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Federicode Roberto



IVICERÉ






Parteprima


1


Giuseppedinanzi al portonetrastullava il suo bambinocullandolo sullebracciamostrandogli lo scudo marmoreo infisso al sommo dell'arcola rastrelliera inchiodata sul muro del vestibolo doveai tempiantichii lanzi del principe appendevano le alabardequando s'udìe crebbe rapidamente il rumore d'una carrozza arrivante a tuttacarriera; e prima ancora che egli avesse il tempo di voltarsiunlegnetto sul quale pareva fosse nevicatodalla tanta polveree ilcui cavallo era tutto spumante di sudoreentrò nella cortecon assordante fracasso. Dall'arco del secondo cortile affacciaronsiservi e famigli: Baldassarreil maestro di casaschiuse la vetratadella loggia del secondo piano intanto che Salvatore Cerraprecipitavasi dalla carrozzella con una lettera in mano.

-"DonSalvatore?... Che c'è?... Che novità!..."

Maquegli fece col braccio un gesto disperato e salì le scale aquattro a quattro.

Giuseppecol bambino ancora in colloera rimasto intontitonon comprendendo;ma sua mogliela moglie di Baldassarrela lavandaiauna quantitàd'altri servi già circondavano la carrozzellasi segnavanoudendo il cocchiere narrareinterrottamente:

-"Laprincipessa... Morta d'un colpo... Stamattinamentre lavavo lacarrozza..."

-"Gesù!...Gesù!..."

-"Ordined'attaccare... il signor Marco che correva su e giù... ilVicario e i vicini... appena il tempo di far la via..."

-"Gesù!Gesù!... Ma come?... Se stava meglio? E il signor Marco?...Senza mandare avviso?"

-"Cheso io?... Io non ho visto niente; m'hanno chiamato... Iersera diceche stava bene..."

-"Esenza nessuno dei suoi figli!... In mano di estranei!... Malataeramalata; peròcosì a un tratto?"

Mauna vociatadall'alto dello scaloneinterruppe subitamente ilcicaleccio:

-"Pasquale!...Pasquale!..."

-"EhiBaldassarre?"

-"Uncavallo frescoin un salto!..."

-"Subitocorro..."

Intantoche cocchieri e famigli lavoravano a staccare il cavallo sudato eansimante e ad attaccarne un altrotutta la servitù s'eraraccolta nel cortilecommentava la notiziala comunicava agliscritturali dell'amministrazione che s'affacciavano dalle finestrelledel primo pianoo scendevano anch'essi giù addirittura.

-"Chedisgrazia!... Par di sognare!... Chi se l'aspettavacosì?..."

Especialmente le donne lamentavano:

-"Senzanessuno dei suoi figli!... Non aver tempo di chiamare i figli!..."

-"Ilportone?... Perché non chiudete il portone?"ingiunse Salemicon la penna ancora all'orecchio.

Mail portinaioche aveva finalmente affidato alla moglie il piccolinoe cominciava a capire qualcosaguardava in giro i compagni:

-"Hoda chiudere?... E don Baldassarre?"

-"Sst!...Sst!..."

-"Chec'è?"

Idiscorsi morirono ancora una voltae tutti s'impalarono cavandosi iberretti ed abbassando le pipeperché il principe in personatra Baldassarre e Salvatorescendeva le scale. Non aveva neppuremutato di abito! Partiva con gli stessi panni di casa per arrivar piùpresto al capezzale della madre morta! Ed era bianco in viso come unfoglio di cartavolgeva sguardi impazienti ai cocchieri non ancoraprontiintanto che dava sottovoce ordini a Baldassarreil qualechinava il capo nudo e lucente ad ogni parola del padrone: -"Eccellenzasì! Eccellenza sì!"E il cocchiere affibbiava ancora le cinghie che il padrone saltònella carrozzacon Salvatore in serpe: Baldassarreafferrato allosportellostava sempre ad udire gli ordiniseguiva correndo illegnetto fin oltre il portone per acchiappare le ultimeraccomandazioni: -"Eccellenzasì! Eccellenza sì!"

-"Baldassarre!...Don Baldassarre!..."Tutti assediavano ora il maestro di casa; poichélasciata lacarrozza che scappava di corsaegli rientrava nel cortile: -"Baldassarreche è stato?... E ora che si fa?... Don Baldassarrechiudere?..."

Maegli aveva l'aria grave delle circostanze solennis'affrettava versole scaleliberandosi dagli importuni con un gesto del braccio e un-"Vengo!..."spazientito.

Ilportone restava spalancato; tuttavia alcuni passantiscorto lostraordinario movimento nel cortiles'informavano col portinaiodell'accaduto; l'ebanistail fornaioil bettoliere e l'orologiaioche tenevano in affitto le botteghe di levantevenivano anch'essi adare una capatinaa sentir la notizia della gran disgraziaacommentare la repentina partenza del principe:

-"Epoi dicevano che il padrone non voleva bene alla madre!... ParevaCristo sceso dalla crocepovero figlio!..."

Ledonne pensavano alla signorina Lucreziaalla principessa nuora:sapevano nullao avevano loro nascosto la notizia?... E BaldassarreBaldassarre dove diamine aveva il capose non ordinava di chiudereogni cosa?... Don Gaspareil cocchiere maggioreverde in viso comeun agliosi stringeva nelle spalle:

-"Tuttoa rovescioqui dentro."

MaPasqualino Risoil secondo cocchieregli spiattellò chiaro etondo.

-"Nonavrete il disturbo di restarci un pezzo!"

El'altrodi rimando:

-"Tunoche hai fatto il ruffiano al tuo padrone!"

EPasqualinobotta e risposta:

-"Evoi che lo faceste al contino!..."

Tantoche Salemiil quale risaliva all'amministrazioneammonì:

-"Cheè questa vergogna?"

Madon Gasparea cui la certezza di perdere il posto toglieva il lumedegli occhicontinuava:

-"Qualevergogna?... Quella d'una casa dove madre e figli si soffrivano comeil fumo negli occhi?..."

Moltevoci finalmente ingiunsero:

-"Silenzioadesso!"

Peròquelli che s'eran messi troppo apertamente con la principessa avevanoil cuore piccino piccinosicuri di ricevere il benservito dalfiglio. Giuseppein quella confusionenon sapeva che fare: chiudereil portone per la morte della padrona era una cosain veritàche andava con i suoi piedi; ma perché mai don Baldassarre nondava l'ordine? Senza l'ordine di don Baldassarre non si poteva farnulla. Del restoneppure gli scuri erano chiusi su al piano nobile;e poiché il tempo passava senza che l'ordine venissequalcunocominciava ad accogliere un timore e una speranzanella corte: se lapadrona non fosse morta? -"Chiha detto che è morta?... Il cocchiere!... Ma non l'haveduta!... Può aver capito male!..."Altri argomenti convalidavano la supposizione: il principe nonsarebbe partito così a rotta di collose fosse mortaperchénon avrebbe avuto nulla da fare lassù... E il dubbiocominciava a divenire per alcuni certezza: doveva esserci unmalintesola principessa era soltanto in agoniaquando finalmenteBaldassarre affacciossi dall'alto della loggia gridando:

-"Giuseppeil portone! Non hai chiuso il portone? Chiudete le finestre dellastalla e delle scuderie... Dite che chiudano le botteghe. Chiudetetutto!"

-"Nonc'era fretta!"mormorò don Gaspare.

Ecomespinto da Giuseppeil portone girò finalmente suicardinii passanti cominciarono ad accrocchiarsi: -"Chiè morta?... La principessa?... Al Belvedere?..."Giuseppe si stringeva nelle spalleavendo perso del tutto la testa;ma domande e risposte s'incrociavano confusamente tra la folla: -"Erain campagna?... Ammalata da quasi un anno... Sola?... Senza nessunodei figli!..."I meglio informati spiegavano: -"Nonvoleva nessuno vicinofuorché l'amministratore... Non lipoteva soffrire..."Un vecchio dissescrollando il capo: -"Razzadi mattiquesti Francalanza!"

Ifamiglifrattantosbarravano le finestre delle scuderie e dellerimesse; il fornaioil bettolierel'ebanista e l'orologiaioaccostavano anch'essi i loro usci. Un altro crocchio di curiosiradunati dinanzi al portone di serviziorimasto ancora apertoguardavano dentro alla corte dove c'era un confuso andirivieni didomestici; mentre dall'alto della loggiacome un capitano dibastimentoBaldassarre impartiva ordini sopra ordini:

-"Pasqualinodalla signora marchesa e ai Benedettini… ma da' la notizia alsignor marchese e a Padre don Blascohai capito?... non alPriore!... A teFilippo: passa da donna Ferdinanda... DonnaVincenza? Dov'è donna Vincenza?... Prendete lo scialle eandate alla badia... parlate alla Madre Badessa perché preparila monaca alla notizia... Un momento! Salite prima dalla principessache ha da parlarvi... Salemi?... Giuseppeordine di lasciar passarei soli stretti parenti... È venuto Salemi?... Lasciate ognicosa; il principe e il signor Marco v'aspettano lassùche c'èbisogno d'aiuto. Nataletu andrai da donna Graziella e dalladuchessa. Agostinoquesti dispacci al telegrafo... e passa dalsarto..."

Secondoche ricevevano le commissionii servi uscivanoaprendosi la via inmezzo alla folla; passavano con l'aria affrettata di altrettantiaiutanti di campo tra i curiosi che annunziavano: -"Vannoad avvertire i parenti... i figlii cognatii nipotii cuginidella morta..."Tutta la nobiltà sarebbe stata in luttotutti i portoni deipalazzi signorilia quell'orasi chiudevano o si socchiudevanosecondo il grado della parentela. E l'ebanista la spiegava:

-"Settefigliuolipossiamo contarli: il principe Giacomo e la signorinaLucrezia che è in casa con lui: due; il Priore di San Nicola ela monaca di San Placido: quattro; donna Chiaramaritata colmarchese di Villardita: e cinque; il cavaliere Ferdinando che staalla Pietra dell'Ovo: sei; e finalmente il contino Raimondo che ha lafiglia del barone Palmi... Poi vengono i cognatii quattro cognati:il duca d'Oraguafratello del principe morto; Padre don Blascoanch'egli monaco benedettino; il cavaliere don Eugenio e donnaFerdinanda la zitellona..."

Ognivolta che lo sportello si schiudeva per dar passaggio a qualcheservoi curiosi cercavano di guardare dentro il cortile; Giuseppespazientitoesclamava:

-"Viadi qua! Che diavolo volete? Aspettate i numeri del lotto?"

Mala folla non si movevaguardava per aria le finestre ora chiusequasi aspettando l'apparizione della stampiglia coi numeri.

Ela notizia correva di bocca in bocca come quella d'un pubblicoavvenimento: -"Èmorta donna Teresa Uzeda..."i popolani pronunziavano Auzeda -"laprincipessa di Francalanza... È morta stamani all'alba...C'era il principe suo figlio... Noè partito da un'ora."L'ebanista frattantoin mezzo a un cerchio di gente attenta comealla storia dei Reali di Franciacontinuava a enumerare il restodella parentela: il duca don Mario Radalìil pazzoche avevadue figli maschiMichele e Giovanninoda donna Caterina Bonelloeapparteneva al ramo collaterale dei Radalì-Uzeda;la signora donna Graziellafiglia d'una defunta sorella dellaprincipessa e moglie del cavaliere Carvanocugina carnale perciòdi tutti i figliuoli della morta; il barone Grazzerizio dellaprincipessa nuoracon tutta la parentela; e poi i parenti piùlontanigli affiniquasi tutta la nobiltà paesana: iCostantei Raimontii Cùrcumai Cugnò... A un trattos'interruppe per dire:

-"To'!Guardate i lavapiatti che arrivano prima di tutti!"


DonMariano Grispo e don Giacinto Costantino arrivavanocome ogni giornoall'ora della colazioneper far la corte al principee non sapevanoniente: scorgendo la folla ed il portone chiusosi fermarono dibotto:

-"Santafede!... Buon Dio d'amore!..."

Ea un tratto affrettarono il passoentrarono interrogando costernatiil portinaio che dava le prime notizie: -"Nonmi sembra vero!... Un fulmine a ciel sereno!..."Poi salirono per lo scalone con Baldassarre che risaliva anch'egli inquel punto dalla corte e faceva loro strada mormorando:

-"Poveraprincipessa!... Non poté superarla!... Il signor principe èsubito partito."

Traversandola fila delle anticamere dagli usci dorati ma quasi nude di mobilidon Giacinto esclamava a bassa vocecome in chiesa:

-"Èuna gran disgrazia!... Per questa famiglia è una disgrazia piùgrande che non sarebbe per ogni altra..."

Epiano anch'eglidon Mariano confermavascrollando il capo:

-"Latesta che guidava tuttiche aggiustò la pericolantebaracca!..."

Introdottinella Sala Giallasi fermarono dopo qualche passonon distinguendonulla pel buio; ma la voce della principessa Margherita li guidò:

-"DonMariano!... Don Giacinto!..."

-"Principessa!...Signora mia!... Com'è stato?... E Lucrezia?... Consalvo?... Labambina?..."

Ilprincipinoseduto sopra uno sgabellocon le gambe penzoloniledondolava ritmicamenteguardando per aria a bocca aperta; discostain un angolo di divanoLucrezia stava ingrottatacon gli occhiasciutti.

-"Macom'è avvenutocosì a un tratto?"insisteva don Mariano.

Ela principessaaprendo le braccia:

-"Nonso... non capisco... È arrivato Salvatore dal Belvedereconun biglietto del signor Marco... Lìsu quella tavolaguardate... Giacomino è partito subito."A bassa vocerivolta a don Marianointanto che l'altro leggeva ilbiglietto: -"Lucreziavoleva andare anche lei"aggiunse -"suofratello ha detto di no... Che ci avrebbe fatto?"

-"Confusionedi più!... Il principe ha avuto ragione..."

-"Niente!"annunziava frattanto don Giacintofinito di leggere il biglietto.-"Nonspiega niente!... E hanno avvertito gli altri... hannodispacciato?..."

-"Ionon so... Baldassarre..."

-"Morirecosìsola solasenza un figlioun parente!"esclamava don Marianonon potendo darsi pace; ma don Giacinto:

-"Lacolpa non è di questi quipoveretti!... Essi hanno lacoscienza tranquilla."

-"Seci avesse voluti..."cominciò la principessatimidamentepiù piano diprima; ma poiquasi impauritanon finì la frase.

DonMariano tirò un sospiro doloroso e andò a mettersivicino alla signorina.

-"PoveraLucrezia! Che disgrazia!... Avete ragione!... Ma fatevi animo!...Coraggio!..."

Ellache se ne stava a guardare per terrabattendo un piedelevòla testa con aria di stuporequasi non comprendendo. Macomeudivasi un frastuono di carrozze che entravano nel cortiledonMariano e don Giacinto tornarono ad esclamarea due:

-"Chesciagura irreparabile!"

Arrivavanola marchesa Chiara col marito e la cugina Graziella:

-"Lucreziala mamma!... Sorella!... Cugina!..."

Subitodopo entrò la zia Ferdinandaa cui le donne baciarono lemanimormorando:

-"Eccellenza!...Ha sentito?..."

Lazitellonaasciutta asciuttascrollava il capo; Chiara abbracciavaLucrezia piangendo; il marchese salutava mestamente i lavapiatti; mala più commossa era donna Graziella: -"Nonmi par vero!... Non volevo crederci!... Che si muore così?...E il povero Giacomo? Dice che è corso subito lassù?...Povero cugino!... Se almeno avesse potuto arrivare a chiuderle gliocchi!... Che dolorenon aver tempo di rivederla!..."

UdendoChiara singhiozzare in seno alla sorella Lucreziaesclamò:-"Hairagionesfogatipoveretta! Mamma ce n'è una sola!..."

Ellapareva tanto addolorata della disgrazia dei cugini da dimenticareperfino che la morta era sorella della sua propria madre. Siprofferiva alla principessa; le dicevatraendola in disparte:

-"Haibisogno di nulla?... Vuoi che ti dia una mano?... Come sta la miafiglioccia?... Che ha lasciato detto il cugino?..."

-"Nonso... Ha ordinato a Baldassarre il da fare..."

Baldassarreinfattiandava su e giùmandando ancora messiricevendoquelli che tornavano dall'aver eseguito le ambasciate. Tutti iparentiormaierano avvertiti: soltanto il famiglio mandato aiBenedettini venne a dire che Padre don Lodovico stava per arrivarema che Padre don Blasco non era nel convento.

-"Va'dalla Sigaraia... a quest'ora sarà da lei... Corridigli cheè morta sua cognata..."

DonLodovico arrivò con la carrozza di San Nicola; e nella SalaGialla tutti s'alzarono all'apparire del Priore. Chiara e Lucreziagli andarono incontrogli presero ciascuna una manoe la marchesacadendo in ginocchioproruppe:

-"Lodovico!...Lodovico!... La nostra povera mamma!"

Tacevanotuttiguardando quel gruppo: la cuginacon gli occhi rossimormorava:

-"Èuna cosa che strazia l'anima!"

IlPriorechinatosi sulla sorellala rialzò senza guardarla invisoe nel silenzio generalerotto da brevi singhiozzi repressidissealzando gli occhi asciutti al cielo:

-"IlSignore l'ha chiamata a sé... Chiniamo la fronte ai decretidella Provvidenza divina..."e poiché Chiara voleva baciargli la manoegli si schermì:-"Nonosorella mia..."e la strinse al pettobaciandola in fronte.

-"Perchési nasce!..."esclamò dolorosamente don Giacinto all'orecchio di donMariano; ma questiscrollando il caposi fece innanzi con pigliorisoluto:

-"Bastaadessosignori miei!... I morti son mortie il pianto non lirisuscita... Pensate alla vostra saluteadessoche èl'importante..."

-"Coraggiopoveretti!..."confermò la cugina Graziellaprendendo per mano le cuginecostringendole amorosamente a sedere; mentre il marchese baciava suamoglie in frontele asciugava gli occhile parlava all'orecchioedonna Ferdinandapoco portata alle scene patetichesi metteva ilprincipino sulle ginocchia.

Ilbiglietto del signor Marco passava di mano in mano; il Prioremanifestava anch'egli l'intenzione di partire per il Belvederema ilavapiatti protestarono.

-"Perfar che cosa?... Angustiarsi per niente?... Se si potesse daraiuto..."

-"Partireiio!"soggiunse la cugina.

-"Aspettiamopiuttosto"propose il marchese. -"Giacomomanderà certo a dire qualcosa..."

L'arrivodi un'altra carrozza fece infatti supporre che venisse qualcuno dalBelvedere. Era invece la duchessa Radalì. Poiché ellaaveva il marito impazzato e non faceva visite a nessunoil suopronto accorrere intenerì più che mai la cuginache lachiamava ziaquantunque non ci fosse parentela tra loro; ma ilritorno di donna Vincenza da San Placido segnò il colmo dellacommozione. La cameriera non trovava parole per esprimere il doloredella monacagiungeva le mani dalla pietà:

-"Figliamia! Povera figlia!... Come una pazzafa come una pazza!... Echiama: "Sorellemie! Sorelle mie!...""

Lucreziapiangeva anch'ellaadesso; Chiara disse tra i singhiozzi:

-"Iovado alla badìa..."

-"VostraEccellenza farà un'opera santa... Anche la Madre Badessapiangeva: "Poveraprincipessa!... Degna serva di Dio!""

Lacugina s'offerse d'accompagnarla; ma poivisto che la principessanon sapeva dove dar del capo:

-"Restopiuttosto ad aiutar Margherita"disse a Chiara; e questa s'alzòmentre le raccomandavano:-"Bacialaper me... e per me... Dille che domani andrò a trovarla..."E don Giacinto chiamava: -"Marchesemarchese!... accompagnate vostra moglie..."

Inmezzo alla confusionementre la marchesa andava via col maritospuntò finalmente don Blascocol faccione sudato che luceva eil tricorno in capo. Entrò senza salutar nessunoesclamando:

-"L'avevodettoeh?... Doveva finire così!..."

Nongli risposero. Il Prioreanzichinò gli occhi a terra quasicercando qualcosa; donna Ferdinandaper suo contopareva nonessersi neppure accorta dell'arrivo del fratello. Il monaco si mise apasseggiare da un capo all'altro della salaasciugandosi il sudoredel collo e continuando a parlar solo:

-"Chetesta!... Che testa!... Fino all'ultimo!... Andare a crepare in manodi quell'imbroglione!... Io l'avevo profetatoah?... Dov'è?...Non è venuto?... È lui il padronequi dentro!"

Poichénessuno fiatavala cugina credé d'osservare:

-"Zioin questo momento..."

-"Chevuol direin questo momento?..."rispose il monacopiccato. -"ÈmortaDio l'abbia in gloria!... Ma che s'ha da dire? Che ha fattouna gran cosa?... E Giacomo?... È andato?... È andatosolo?... Perché non va nessun altro?... Ha proibito agli altridi andare?..."

-"NoEccellenza..."rispose timidamente la principessa. -"Èpartito appena saputa la notizia."

-"Iovolevo accompagnarlo..."disse Lucrezia; ma allora il Benedettino saltò su:

-"Tu?Per far che cosa? Sempre voialtre femmine tra i piedi? Vi pare chesappiate sole aggiustare il mondo?... Dov'è Ferdinando?... Nonè venuto ancora?"

Sopravvenivanoin quel momento il cavaliere don Eugenio e don Cono Canalàaltro dei lavapiatti. Don Cono entrò in punta di piediquasiper paura di schiacciar qualcosae fermatosi dinanzi allaprincipessa esclamògestendo col braccio:

-"Immensaiattura!... Catastrofe immensurabile!... La parola spira sullabbro..."mentre il cavaliere leggeva il biglietto del signor Marco.

Frattantodon Blascogirando come un trottolonesoffermavasi dinanzi agliusciguardava in fondo alla sfilata delle stanzepareva fiutassel'ariaborbottava: -"Chefretta!... Che affezione!..."ed altre parole incomprensibili.

Nelcrocchio dei parenticiascuno adesso diceva la sua: il Prioreabassa voceaccanto alla duchessa ed alla zia Ferdinandaparlavadella -"dolorosaostinazione"della madre; ma tratto trattoquasi pavido di far male discutendoanche rispettosamente la volontà della mortas'interrompevachinava il capo; la cugina era inquieta per la mancanza di notiziedal Belvedere:

-"Giacomoavrebbe potuto mandar qualcuno!..."

Perquesto don Eugenio offrivasi di salir lassùse gli facevanoattaccare una carrozza; ma allora la principessaimbarazzataconfusanon sapendo che fareosservò all'orecchio dellacugina:

-"Nonso... forse può dispiacere a Giacomo..."

Edonna Graziella intervenne:

-"Aspettiamoun altro poco; forse il cugino tornerà egli stesso."

IlPriore e la duchessa tornarono a domandare:

-"Ferdinando?Non viene più?"

Ilavapiatti corsero a interrogar Baldassarre; il maestro di casarispose:

-"Nonho mandato nessuno dal cavaliereperché il signor principem'ha detto che passava lui a chiamarlo."

-"Saràandato anch'egli al Belvedere... Se no a quest'ora sarebbe qui."

Perarrivare dalla Pietra dell'Ovo ci voleva a ogni modo del tempo; tornòinfatti prima dalla badìa la marchesaalla quale la sorellamonaca aveva consegnato un abitino della Madonna perché lomettessero indosso alla morta.

-"Toccantetratto di pietà filiale!"sussurrò don Cono a don Eugenio.

Nessunaltro parlavain quei momenti di commozione; solamente la cuginaasciugandosi gli occhi rossipropose all'orecchio della principessa:

-"Iovorrei profittare di questo momento per indurre lo zio Blasco a farpace con la zia Ferdinanda e con Lodovico. Che ne diciMargherita?"

-"Comecredi... se credi... fa' tu..."

Ela cugina andò in cerca del monaco. Non si trovavaerascomparso. Baldassarreincaricato di rintracciarlolo scoperse infondo alla casadinanzi all'uscio serrato che metteva nelle stanzedella morta. Udendo rumor di passiil monaco si voltò dibotto:

-"Chiè là?"

-"AspettanoVostra Paternità nella Sala Gialla."

IlBenedettino tornò indietrosoffiandoe come la cuginaandandogli incontro con aria di mistero:

-"Eccellenza"gli disse -"vengaad abbracciare sua sorella... Lodovico le bacerà la mano..."egli le voltò le spalleesclamando fortein modo che loudirono sino nella corte:

-"Nonfacciamo pulcinellate."

DonnaGraziella si strinse nelle spallecon un gesto di rassegnazionedolente.

Eil monacoscorto il marchese che era tornato con la moglie dallabadìal'andò ad afferrare per un braccio e lo trascinònella Galleria dei ritratti:

-"Chestai a far qui?... Perché non parti?... Quell'altro èscappato..."

-"Perfar che cosaEccellenza?"

-"Esarai sempre minchione?... Quell'altro è scappato! A quest'orafa scomparire ogni cosa!..."

-"Eccellenza!..."protestò il nipotescandalizzato.

DonBlasco lo guardò nel bianco degli occhiquasi volessemangiarselo. Macome passava in fretta e in furia Baldassarregiròsui tacchitonando:

-"Ahno? E andate un poco a farvi friggeretutti quanti!..."

Finitodi dar ordini alla servitùBaldassarre aveva adesso un altrogran da farepoiché cominciavano a venire ambasciate deiparenti più lontanidegli amicidei conoscenti che mandavanoad esprimere le loro condoglianze e a prender notizie dei superstiti.Il maestro di casa riceveva nell'anticamera dell'amministrazione lepersone di riguardolasciando al portinaio i servitori; ma parecchifra questi portavano i regali funebri: vassoi pieni di dolcidiforme di marmellata o di cioccolatadi frutta canditedi pan diSpagnadi bottiglie di moscato o di rosolioe allora Baldassarre sifaceva in quattro per riporre quella robae annunziare i doni aipadronie ringraziare i donatorie dare udienza ai sopravvenienti.La cugina Graziellacon le chiavi delle credenze alla cintolafaceva da padrona di casaper risparmiare la principessa; ilcavaliere don Eugenio dava anch'egli una manoe quantunque ilavapiatti che lavoravano come domestici protestassero: -"Lasciatefare a noi"egli vuotava i vassoi da restituiretrasportava la roba nella salada pranzo e tratto tratto si ficcava in tasca una manata di dolci.

Perla duchessa Radalì che era andata vianon potendo lasciare alungo il marito solodieci altre visite erano sopravvenute: ilbarone Vitail principe di Roccascianoi Gilifortei GrazzeridonCarlo Carvanomarito della cugina. Secondo che la giornatas'inoltravalettere e biglietti di condoglianza piovevano da tuttele parti: l'Intendente mandava a esprimere il suo dolore per il luttod'una famiglia devota al Re ed alla buona causa; Monsignor Vescovoassociavasi al dolore dei suoi cari figli; dall'Orfanotrofio Uzedadall'Ospizio dei Vecchidagli altri istituti di beneficenza che iFrancalanza avevano fondato o sussidiatovenivano i rettoriicappellaniuna quantità di tonache nereoppure i poveriospitati; ma questi non eran lasciati salire ed esprimevano il lororammarico al portinaio o al sotto-cocchiere.Il comandante della guarnigioneil presidente della Gran Cortetutte le autoritàtutta la città si condoleva con lafamiglia. Gruppi di mendicanti aspettavanocon la speranza cheavrebbero distribuito elemosine; molte persone domandavano coninsistenza del signor Marco: udendo che ancora non era sceso dalBelvederealcuni andavano via per tornare più tardi; altri simettevano a passeggiare su e giù dinanzi alla casaaspettandod'acchiapparlo al varcopazientemente.

Idue cortili parevano una fieradalle tante carrozze allineateall'ombra: i cavallicon le teste dentro le cofferuminavanoraspando tratto tratto il selciato con l'unghia. Ad uno ad unopoiché imbrunivaarrivavano i servitori dei parentiaspettando i padroni; e la conversazione della servitùanimatissimaaggiravasi intorno all'avvenimento ed alle sueconseguenze. Le donnevedendo quella gran confusionequell'andirivieni di gentequel succedersi d'ambasciate e diletterecompiangevano vivamente la principessa nuora: -"Poverasignora! A quest'ora dev'essere sulle spine!..."Infattiella soffriva d'una specie di malattia nervosa per la qualenon tollerava di star pigiata tra la gentedi toccar cose maneggiateda altri: fortunatamente la cugina era lì ad aiutarla. Ealcuni facevano riflessioni filosofiche: -"Seinvece d'oggi la madre del principe fosse morta sei anni addietrolacuginaadessoinvece di aiutar la padronasarebbe lei la padronaqui dentro."Non era stato permesso dalla principessa vecchiaquel matrimonioeil padrone aveva obbedito alla madresposando donna MargheritaGrazzeri; peròbisognava dire la veritàla cuginas'era diportata benissimo: maritata col cavaliere Carvanoerarimasta affezionatissima alla zia che non l'aveva voluta per nuoraeaveva trattato come una vera sorella la moglie dell'antico suoinnamorato. -"Eil principe? Forse che pare si rammenti d'averle voluto bene in uncerto modo?..."Per tantomolti lodavano l'opera della morta: ella aveva ben fattoad opporsi a quel matrimoniopoiché i due antichi innamoratis'eran messo il cuore in pace. -"Grandonnala principessa! Basti dire che rifece la casa giàfallita!"E tutti domandavano: -"Achi lascerà?..."Ma come saperne nulla se non si era confidata mai con nessunoneppure coi figli?... -"Seci fosse stato il contino Raimondoperò!..."

Allorai partigiani del principesenza tanti riguardi: -"Laroba dovrebbe andare al padronese quella pazza non ne avràfatta un'altra delle sue!..."Infatti non aveva potuto soffrire il primogenitoprediligendo ilcontino Raimondo; e il continoquantunque chiamato e richiamatodalla madre che sentiva vicina la propria finenon s'era mosso daFirenze!...

All'arrivodi fra' Carmelospedito dall'Abate di San Nicola per aver notizie didon Lodovico e di don Blascoil discorso prese un'altra piega. Fra'Carmelo sapeva la via del palazzo dalle tante volte che ci avevaaccompagnato don Lodovico novizio; e tutta la servitù loconosceva e gli voleva benetant'era buonocon quel suo faccioneche pareva scoppiaregrasso fin sulla nuca.

-"Poveraprincipessa!... Che gran disgrazia!"

Eglilodava la morta e rammentava i tempi del noviziato di Padre Lodovicoquandoconducendo a casa il ragazzo in permessole portavaregalucci di frutta che la buona signora degnavasi di accettare.

-"Allamano con tutti!... Affezionata con tutti!... Povero Padre Lodovico!Deve aver pianto!"

Ledonne esclamarono:

-"Figuriamoci!Un santo come lui!..."

Efra' Carmelo:

-"Unvero santo! Non c'è monaci che gli possano stare a paragone.Non per nulla l'han fatto Priore a trent'anni!"

-"Suozio don Blasco non gli somiglia?..."disse improvvisamente il cocchiere maggiorecon una strizzatinad'occhi.

-"Èun'altra cosa. Tutti gli uomini possono esser formati a un modo?...Ma bravo anche lui!... Signore anche lui!..."

Egiusto il discorso era a quel puntoquando un lontano rumore dicarrozza con le sonagliere fece tacer tutti. Giuseppeguardandodallo sportellospalancò il portone: il carrozzino dellamattina entrò a rotta di collo e ne scesero il principe e ilsignor Marco che teneva una valigia in manomentre tutti siscoprivano e dalla loggia del piano nobile affacciavasi don Blasco.

Ilritorno del capo della famiglianella Sala Giallaprodusse unanuova commozione: sospirisinghiozzimute strette di mano. Ilprincipe era sempre pallido e parlava a stentocon gesti larghi disconforto:

-"Troppotardi!... Più nulla da fare!... Fino a iersera stavabenissimomangiò anzi con appetito due uova e bevve una tazzadi latte... All'alba di stamaniimprovvisamentechiamò e..."e tacquequasi non potendo proseguire.

Ilsignor Marcodeposta la valigiaconfermava:

-"Impossibileprevedere questa catastrofe... Nel primo momentosperavo fossesoltanto una sincope... ma purtroppo la triste verità..."Chiara e la cugina piangevano; il Priore deplorava specialmente chenessun sacerdote l'avesse assistita negli ultimi istanti; ma ilsignor Marco assicurò che ella erasi confessata due giorniinnanziche il Vicario Ragusa era arrivato in tempo a darlel'assoluzione; mentre il principe da canto suo riferiva:

-"Abbiamoimprovvisato una cappella ardente... tutti i fiori della villa... nehanno mandati da ogni parte..."

-"EFerdinando?"domandò Chiara

-"Nonè venuto?... Ah!"Egli si battè a un tratto la fronte. -"Dovevopassar io ad avvertirlo!... Me ne sono scordato!... Baldassarre!...Baldassarre!..."

Masul più bellodon Blascoil quale aveva tenuto d'occhio lavaligia quasi ci fosse dentro roba di contrabbandolo tiròper la manicadomandando: -"Eil testamento?"

Ilprincipecon un altro tono di vocenon più dolentemapremurosopieno di scrupoli:

-"Ilsignor Marco qui presente"rispose -"m'hacomunicato che le ultime volontà di nostra madre sonodepositate presso il notaio Rubino. Noi aspetteremose credetel'arrivo di Raimondo e dello zio duca... Frattantoabbiamosuggellato tutto quel che s'è trovatoper renderne strettocontoa suo tempoa chi di ragione... Il signor Marco possiede peròun documento che riguarda i funerali... Credo che di questo si debbadar subito lettura..."

Eil signor Marcotratto di tasca un fogliolesse in mezzo a unprofondo silenzio:

-"Inquesto giorno19 maggio 1855trovandomi sana di mente e non dicorpoio sottoscrittaTeresa Uzeda principessa di Francalanzaraccomando l'anima a Dio e dispongo quanto appresso. Il giorno chepiacerà al Signore chiamarmi con séordino che il miocorpo sia affidato ai Reverendi Padri Cappuccini affinché siada essi imbalsamato e nella necropoli del loro cenobio custodito.Voglio che il funerale sia celebratocon quel decoro che competealla famiglianella chiesa dei detti Padri in segno della miadevozione alla Beata Ximenanostra gloriosa parentela cui salmanella loro chiesa si venera. Durante il funerale e dopo che il miocorpo sarà imbalsamatovoglioordino e comando che esso siavestito della tonaca delle Religiose di San Placidoe che allacintura mi sia messa la corona del Santissimo Rosario donatami dallamia diletta figlia Suor Maria Crocifissa il giorno della suamonacazionee che sul petto mi sia posto il crocifisso d'avoriomemoria del mio amato consorte principe Consalvo di Francalanza. Insegno di particolare penitenza ed umiltàespressamenteimpongo che il mio capo sia appoggiato sopra una semplice e nudategola: così voglio e non altrimenti. Per la necropoli deiCappuccini ordino che si costruisca una cassa a cristallidentroalla quale sarà posto il mio corpo nel modo di cui sopra; essaavrà una serratura con tre chiavi delle quali una rimarràa mio figlio Raimondo conte di Lumerala secondain segno dispeciale benevolenza pei servigi prestatimial signor MarcoRoscitanomio procuratore e amministratore generalee la terza alreverendo Padre Guardiano di esso cenobio dei Cappuccini. Nel casoperò che il detto signor Roscitano dovesse lasciarel'amministrazione della mia casaordino che la chiave passiall'altro mio figlio LodovicoPriore nel monastero di San Nicoladell'Arena. Questa è la mia volontà e non altra.

TeresaUzeda"


Ilsignor Marcoche s'era rispettosamente inchinato al passaggiorelativo alla sua personaabbassò il foglio; il principedisse guardando in giro gli astanti:

-"Levolontà di nostra madre sono leggi per noi. Sarà fattosecondo ha prescritto."

-"Intutto e per tutto..."confermò il Priorechinando il capo.

DonBlascoche soffiava come un manticenon aspettò neppure chel'adunanza si sciogliesse. Afferrato il marchese per un bottone delsoprabitoesclamò:

-"Semprepulcinellate?... Fin all'ultimo?... Per far ridere la gente?..."

Eil signor Marco era appena salito al primo pianonelle stanzedell'amministrazione contigue al suo quartierinoper dare aidipendenti gli ordini opportuniche le persone venute a cercarlo sipresentarono a lui. Il ceraiolo di San Francesco veniva a offrirecera di prima qualitàlavorata all'uso di Veneziaa seitarì; il maestro Mascione portava una lettera dell'avvocatoSpedalottiil quale pregava il signor Marco di far eseguire la messadi requiem del giovane compositore; Brusail pittoresollecitaval'appalto della decorazione pel funerale solenne della principessa...

-"Comesapete che ci sarà un funerale solenne?"

-"Peruna signora come la principessa!"

-"Ripassatedomani..."

EBaldassarre chiamava:

-"SignorMarco! Signor Marco!... Il principe!..."

Manuovi postulanti sopravvenivano. Nessuno l'aveva ancor dettoma sisapeva che la principessa di Francalanza non poteva andare all'altromondo senza una gran cerimoniasenza un gran scialacquo diquattrinie ognuno sperava di guadagnarne. Racitiil primo violinodel Comunalevoleva offrire la messa funebre di suo figlio; saputoche Mascione aveva ottenuto una lettera di Spedalottiera corso asollecitare la raccomandazione più valevole del barone Vita;Santo Ferroche aveva la manutenzione del giardino pubblicosperavagli commettessero la camera ardentee poiché Baldassarredalcortiletornava a chiamare:

-"SignorMarco! Signor Marco!... Il principe!..."il signor Marco si sbarazzò bruscamente dei postulanti:

-"Maandate al diavolo!... Ho altro da fareadesso!"


Unformicaiola chiesa dei Cappuccini nella mattina del sabatocheneppure il Giovedì Santo tanta gente traeva a visitarvi ilSepolcro. Tutta la notte era venuto dalla chiesa un frastuono dimartellid'asce e di seghee le finestre erano state abbrunate findal giorno precedente. A buon'oradinanzi alla folla curiosa chegremiva la terrazza e le scalinateavevano inchiodato sulla portamaggiore il drappellone di velluto nero con frange d'argentosulquale leggevasi a caratteri d'oro:


PERL'ANIMA

DI

DONNATERESA UZEDA E RISÀ

PRINCIPESSADI FRANCALANZA

ESEQUIE


Versosedici oredon Carlo Canalàcol naso in ariasotto la portaspiegava al principe di Roccascianotra le gomitate di quelli cheentravano continuamente:

-"Veda:all'esterno non giudicai conveniente... dilungarmi del soverchio..Massima semplicità: per l'anima... esequie...Penso che nella sua concisione... per avventura..."

Magli urtile pestate di piedile esclamazioni dei curiosi non gliconsentivano di filare il discorso; la gente sbucava a torrenti datutte le partisospingevasi in chiesacalpestava i mendicantivenuti a mettersi accosto alle porte ed ai cancelli per far baiocchi.

-"Solesso il nome... onde i concettiper avventura..."

Allafinedon Cono si decise anch'egli ad entrare; maseparato dalcompagnofu travoltocome un chicco di caffè nel macininodal turbine umano che per il troppo angusto passaggio s'ingolfavanella chiesa.

Essaera buiapei veli delle finestrepei manti neri che rivestivano lepareti e pendevano dalle arcate delle cappelle e si stendevano lungoil cornicione. Sopra una piattaforma alta sei o sette gradini dalpavimento e girata da una triplice fila di cerisorgeva ilcatafalco: una piramide tronca le cui quattro faccetappezzated'ellera e di mortellaportavano nel mezzodisegnati a fiorifreschiquattro grandi scudi della casa di Francalanza. Al sommodella piramidedue angeli d'argento inginocchiati da una sola gambaaspettavano di reggere il feretro. Ad ogni angolo inferiore delcatafalcosu tripodi d'argentoerano confitte quattro torce grossequanto le stanghecon uno scudo di cartone legato a mezz'asta; seivalletti con le livree del secolo XVIIIrossenere e dorateimpalati come statuecon le facce rase di frescoreggevano ciascunouna delle antiche bandiere d'alleanza; dopo i valletti dodiciprefichevestite di neri manticoi capelli scarmigliatistavanotutt'intorno al catafalco coi fazzoletti in manoper asciugarsi lelacrime. Ma bisognava lavorar di gomiticamminare sui piedi deivicinilasciarsi ammaccare le costole e pestare i calli e sudare unacamicia prima d'arrivare a quell'apparatointorno al quale una follad'operaidi servidi donnicciuole stava estatica ad ammirareinattesa del corteoil finto marmo della piattaformale urne dicartone scaglionate sui gradinile lacrime di carta argentatagocciolanti dai veli neri: -"Unagalanteria!... Una cosa mai vista!... Per questo sono signoroni!...Lasciate fare a loro!... E dodici piangenti!... Neanche pelfunerale del papa!... Ma il cadavere è già posto alcolatoio per l'imbalsamazione."E Vito Rosail barbiere del principespiegava: -"Appenasceso dal Belvedere fu portato a palazzo e gli fecero girare gliappartamenti per l'ultima voltacome usano... Il cataletto eraportato a spallasenza stanghe... e tutta la parentela dietrolaservitù con le torce accesecome una processione!..."Le comari esclamavano: -"Euna tegola sotto il capo!... Che gli mancavano forse cuscini divelluto?... Anziquesto è per maggior penitenzacon latonaca di San Placido: non capite?"

Mala gente incalzava alle spalle e i discorsi s'interrompevanoi primiarrivati dovevano cedere il postose ne andavano sotto il palcodell'orchestraeretto a ridosso dell'organocon quattro ordini dipanche e i manichi dei contrabbassi che spuntavano dal piùaltoma ancora vuoto; o giravano dalla parte oppostaverso lacappella della Beata Uzedatutta splendente di lampade votive; e sifermavanouna volta fuor della ressaa guardare l'altare scavatodove si vedevaattraverso un vetrola cassa antica rivestita dicuoioche racchiudeva il corpo della santa donna; poi tentavanotornare verso il centro della chiesa per leggere le iscrizioniattaccate agli altri altari; ma la folla era adesso compatta come unmuro. Don Cono Canalàdata un'occhiata all'apparatoavevatentato tre o quattro volteper conto suod'avvicinarsi a qualcunodegli epitaffima non era riuscito a spingersi tanto innanzi daleggerli; e col capo rovesciatoil cappello ammaccato dai continuiurtonii piedi pestatila camicia in sudoretangheggiava come unabarca in mezzo alla tempesta. Con belle manieredicendo: -"Digrazia!... La prego!... Mi scusi!..."arrivò finalmente a tiro della prima tabelladove leggevasi:


SOTTOMULIEBRI SPOGLIE

CUOREGAGLIARDO PIETOSO

ANIMOELETTO MUNIFICO

SPIRITOSVEGLIATO FECONDO

ONNINAMENTEDEGNA

DELLAMAGNANIMA STIRPE

CHELA FE' SUA


-"Onninamente?...."disse il barone Carcaretta che si trovava a fianco di don Cono. -"Checosa significa?"

-"Importainteramenteo vogliam dire del tutto... Onninamentedegna della stirpe... Come le piace questo concetto?..."

-"Ehva bene; ma non capisco perché si divertano a pescar le paroledifficili!"

-"Veda..."spiegò allora don Conoinsinuante: -"lostile epigrafico tiene al sommo grado del nobile e del sostenuto...Io non potevo adoprare..."

-"Ahl'avete scritta voi?"

-"Sissignore...ma non soloveramente: di unita col cavaliere don Eugenio... Io hocurato sovra tutto la forma... Bramerei vedere le altre: temo nonabbian preso un qualche abbaglioin copiando..."

Mala chiesa era talmente gremita che potevano appena fare due passiogni quarto d'ora; e tutt'intorno la gente che non riusciva ad andarené avanti né indietro né a veder altro fuorchéla cima della piramideingannava l'impazienza dell'attesachiacchierandodicendo vitamorte e miracoli della principessa:-"Adessoi suoi figli potranno respirare! Li ha tenuti in un pugno diferro..."-"Isuoi figli: quali?..."-"Costrinsedon Lodovicoil secondogenitoa farsi monaco mentre gli toccava iltitolo di duca; la primogenita fu chiusa alla badìa!... Secampava ancora ci avrebbe messo anche l'altra!... MaritòChiara perché questa non voleva maritarsi!... Tutto per amord'un solodel contino Raimondo..."-"Mail padre?..."-"Ilpadreai suoi tempinon contava più del due di briscola; laprincipessa teneva in un pugno lui e il suocero!..."

Peròtutti riconoscevano chese non fosse stata leia quell'ora nonavrebbero avuto più niente. Ignorantesì; ma accortacalcolatrice!

-"Èvero che non sapeva leggere né scrivere?"

-"Sapevaleggere soltanto nel libro delle devozioni e in quello dei conti!"

Frattantodon Cono avvicinavasia passo di formicaalla seconda iscrizione:


ORBATA

DELTUO FIDO CONSORTE

NELMORTALE VIAGGIO

VECEFACESTI

ALTUOI FIGLI

DELPADRE LORO.


Primaancora di scorgere i caratteridon Cono che la sapeva a memoriarecitò l'epigrafe al baronefermandosi un poco a ciascunaparolapiù a lungo ad ogni capoversogestendo con la manocome se spruzzasse acqua benedettaper sottolineare i passaggisalienti:

-"Ignorose approvate questo concetto: orbata... vece facesti..."

Manuove ondate della folla lo divisero la seconda volta dal compagno.Veniva ora dalla terrazza e dalle scalinate un vasto sussurroperchéi rintocchi del mortorio annunziavano finalmente la partenza delcorteo dal palazzo.

Intornoalla casa Francalanza c'era sempre una fieraper le tante carrozzeaspettantipel tanto popolo fremente d'impazienza. Dal portonesocchiuso vedevasi un'altra folla ragunata nei due cortiliunosciame di servi con le livree nere che andavano e venivanoilmaestro di casa senza cappello che s'affannava a dar ordinilacarrozza di gala a quattro cavalli che sarebbe servita da carrofunebre. Quando finalmente le due pesanti imposte girarono suicardinitutte le teste si voltaronotutte le persone s'alzaronosulle punte dei piedi. Veniva innanzi la fila dei frati Cappuccinicon la crocepoi la carrozza funebredentro alla quale si vedeva ilferetro di velluto rossofiancheggiata da tutta la servitùcon le torce in mano; poi l'Ospizio Uzeda dei vecchi indigentituttia testa nuda; poi le ragazze dell'Orfanotrofio coi veli azzurripendenti fino a terra; poi tutte le carrozze di famiglia: altri duetiri a quattrocinque tiri a duee poi ancora un altro gruppo digente: una quarantina d'uominila più parte barbuticon legiubbe di velluto neroanch'essi coi ceri in mano.

-"Chisono?... Di dove spuntano?..."

Eranoi zolfai delle miniere dell'Oleastro chiamati apposta daCaltanissetta per l'accompagnamento della padrona: quest'ultimoaccessorio finiva di sbalordire tutti quanti: ancora non s'era vistauna cosa simile!... Ma gli equipaggi che s'avanzavano da ogni parteper mettersi in fila sbaragliavano la calca: tiri a quattro chevenivano a prendere i primi postitiri a due che rinculavanoscalpitando tra un fitto schioccar di fruste; e i curiosia rischiodi lasciarsi pestare sotto i piedi delle bestieli venivanoriconoscendo dagli stemmi degli sportelli e anche dai cocchieri:

-"Ilduca Radalì... il principe di Roccasciano... il baroneGrazzeri... i Cùrcuma... i Costante... non manca nessuno!..."

Direpente tutti si volsero a un lontano vocìo:

-"Cheè?... Che cos'è stato?... La carrozza di Trigona!... Ilcocchiere non vuole andare in codagli altri non cedono il posto...Ha ragione!... Questi sono soprusi!..."

Ilcocchiere del marchese Trigonaappuntoquantunque guidasse untrespolo tirato da due ronzinantinon voleva mettersi in coda dovec'erano le carrozze dei non nobili più belle della sua. EBaldassarretutto in sudore per la fatica sostenuta nell'ordinare ilcorteonel far rispettare le precedenzes'avanzava per dar ragioneal cocchiereaprendosi a stento il varco tra la follaallungandoceffoni ai monelli che gli si mettevano fra i piediingiungendo:-"Largo!...largo!..."mentre una buona metà dell'accompagnamento s'era avviata.

Ilmortorio sonato da tutte le chiese della città chiamava genteda ogni parte sul suo passaggio; ma specialmente il campanone dellacattedrale sospingeva a frotte i curiosi. Sonava a morto solo peinobili e i dottorie il suo nton nton grave e solennecostava quattr'onze di moneta; talché la genteudendo la granvoce di bronzodiceva: -"Sen'è andato qualche pezzo grosso!"

Eancora buon numero di carrozzedopo quella di Trigonaaspettavanod'incamminarsiche già la testa del corteo fermavasi aiCappuccini.

Impossibileportare in chiesa la bara dalle scale. Non già che pesassemoltoché anzi era vuota; ma la ressasulle scalecrescevanessuno poteva andare né avanti né indietrosolo ilcannone avrebbe potuto far luogo. Bisognò girare lasituazioneaprire un varco fra la turma che gremiva la salita delSanto Carcere e di San Domenico e portare il feretro dal convento edalla sacrestia: trascorse quasi un'ora prima che fosse posto sulcatafalco.

Isonatori avevano già preso posto sul palco e sfoderato i lorostrumentii frati accendevano con le canne lunghe i ceri dell'altarmaggiore. E i curiosi stipati nella chiesacontinuando a parlardella mortasi rivolgevano insistentemente una domanda e siproponevano una quistione: -"Chisarà l'erede?.."Nobili e plebeiricchi e poveritutti volevano sapere che direbbeil testamentocome se la morta avesse potuto lasciar qualcosa atutti i suoi concittadini. Aspettavanoal palazzol'arrivo delcontino da Firenze e del duca da Palermo per leggere le ultimevolontà della principessa; e le opinioninel pubblicoeranodiametralmente opposte: alcuni sostenevano che tutto sarebbe andatoal contino; maquantunque la defunta odiasse il primogenitoeraproprio possibile che lo diseredasse? -"Nossignore:tutto andrà al primogenito: è vero che non lo potevasoffrirema è il capo della casal'erede del principato!..."

Unnuovo pigia pigia troncò di botto ogni discorsoinfittìla folla in fondo alla chiesa: entravano le orfanelle del Sacro Cuorecon le vesti verdi e gli scialletti bianchi; Baldassarretuttovestito di nerole dirigeva verso l'altar maggioreingiungendo:

-"Largolargosignori miei!..."

Unbambinomezzo soffocato tra la calcasi mise a strillare; unmendicanteriuscito ad entrareinciampò contro un gradinod'altare e cadde per terra.


BENEFICENTE

COIDERELITTI

L'OBOLODELLA CARITÀ

TIFIA RESO

CENTUPLICATO

CONL'ESPIATORIE PRECI


DonCono declamavaa bassa vocel'altra iscrizione al canonico Sortiniche aveva pescato tra la folla:

-"Conciliarl'invenzione del concetto con la venustà della forma:difficoltà precipua dello stile epigrafico... L'obolo...centuplicato... non so se mi appongo..."

Adessol'altar maggiore era tutto una fiammadai tanti ceri; il movimentodei frati e dei sagrestani cresceva; sul palco della musicaaccordavano gli strumentiun clarino sospiravagli archettistridevanoun contrabbasso borbottava; e Baldassarreaiutato daicamerieri di tutta la parentelavestiti di nero anch'essifacevadisporre due file di sedie pei vecchi e le orfanelle: le sedietenute alte sulla follaparevano navigare sul mar delle testeepoiché sempre nuova gente entrava a furiala ressa eraterribile. I fiatil'odor di moccolaiail caldo della giornatafacevano della piccola chiesa una bolgia; alcune donne erano giàsvenutein due o tre punti si litigava fra chi voleva spingersiavanti e chi non voleva tirarsi indietro; ma nessuno si decideva adandarsene; e negli angolilungo i muriavanti agli altariicuriosigli scioperati rifacevano la storia della morta e dellafamigliane commentavano le stravaganze:

-"Lacassa con tre chiavi!... Sarà tanto più difficiletornare a questo mondo!... E la tonaca e il rosario!... Tantapenitenza con un funerale da regina!"

Avoce più bassa le male lingue aggiungevano:

-"Dopol'allegra vita!..."

Accantoalla pila dell'acqua santain mezzo a un crocchio di nobilastriinvidiosi e a corto di quattrinidon Casimiro Scaglisi annunziava:

-"Eil principe? Non sapete che ha fatto il principe? Quand'ebbe lanotizia della morte della madrescappò al Belvedere senza farchiudere il portoneper avere il tempo d'arrivar solo alla villaesenza avvertir Ferdinando alla Pietra dell'Ovo..."

Alcuniprotestarono: don Casimiro confermò:

-"Seve lo dico io!... Per aver tempo di maneggiarsidi far sparire cartee denari!"

Tutt'intornoscrollavano il capo: don Casimiro parlava così per astiogiacché fin a tre giorni addietro era stato lavapiatti di casaFrancalanzama fin da quando la principessa era andata in campagnail principe non l'aveva più ricevutocredendolo iettatore.

-"Delrestoscusate"gli facevano osservare -"chebisogno aveva mai il principe d'allontanare Ferdinando?"

-"Sissignorifa la vita del Robinson Crusoe alla Pietra dell'Ovonon s'occupad'affari e in famiglia lo chiamano il Babbeocol soprannome messoglida sua madre. Ma che vuol dire? Babbeo o noil principe non volevanessuno dei suoi tra i piedi!... Vi dico che lo so di sicuro!"

Unaltro osservò:

-"Nonparlate male di Ferdinando; con le sue manìe non fa male anessuno; è il migliore di tutta la casata."

-"Tantoche non parrebbe dello stesso seme..."rispose don Casimiro.

-"Sstsst! Siamo in chiesa"gl'ingiunsero.

-"Passadon Cono."

DonCono adesso traversava la chiesa per leggere l'iscrizione posta sullapila dell'acqua benedetta; come fu giunto vicino al crocchiolofermarono:

-"DonCono!... Don Cono!... Voi che avete la vista lunga; come dice lassù?"

Edon Cono compitò:


INQUESTO TEMPIO

OVEIL FRALE SI ACCOGLIE

DELLABEATA UZEDA

CORROBORATE

FIENOLE PRECI

DALL'INTERCESSORAPARENTE


-"Bellissimo!Bravo!... Bene l'intercessora..."esclamarono in coro; ma un -"sst"prolungato passò di repente di bocca in bocca: il maestroMascioneappollaiato in cima al palco dell'orchestraavevapicchiato tre colpi sul leggìo; e le conversazioni morironotutte le teste si volsero verso i sonatori.

Inmezzo all'attenzione generale don Casimiro urtò a un trattocol gomito i viciniesclamando piano:

-"Guardate!Guardate!"

Entravain quel puntoprotetto contro la folla dal servitoreil vecchio donAlessandro Tagliavia: nonostante l'etàreggeva ancora dirittal'alta persona e dominava la folla con la bella testa bianca e roseadagli occhi chiari com'acqua marina e dai baffi bionditi dal tabacco.Non potendo avanzareguardava da lontano il catafalcoil palcodella musicale tabelle degli epitaffi; e intantonel silenziofattosi come per incantol'orchestra intonava il preludio: un lungogemitosuoni rotti in cadenza come da brevi singulti si diffondevanoper la chiesae le piangenti riprendevano a lacrimarementrei monacidinanzi all'altarecominciavano le genuflessioni. Molticapi si chinaronoal sordo vocìo sottentrò unraccoglimento profondo.

-"Guardate!..."ripeté don Casimironel gruppo accanto alla pila. -"Èvenuto a dirle l'ultimo addio!"

Tuttiavevano gli occhi fissi sul vecchio: il lavapiatti a spasso continuòinterrompendosi quando l'orchestra taceva:

-"Edio che me lo rammento piangere come un bambino... come undisperato... quando la morta lo lasciò per Felice Cùrcuma...dopo quello che c'era stato fra loro!...Adesso lei è a marcireal colatoio... Lui camperà vent'anni ancora: una salute diferro..."A voce più bassamentre le trombe tratto tratto squillavano ele voci cantavano Requiem aeternam dona eisaggiunse: -"Edha la sua brava ragazzain una villetta al Borgo... Tutte le sere lepassa con lei!..."

Ilvecchio tentava ancora di avvicinarsi ad una iscrizione; ma poichéprincipiata la messanessuno più si movevatornòindietro. Giunto sulla porta della chiesacolpendogli l'aria frescala frontesi calcò il cappello sulla testa che non era ancorfuori.

-"Sictransit gloria mundi!..."

Peròpassato il primo effetto della musicale conversazioni andavano quae là riappiccandosi; e Racitiil primo violino del Comunaleborbottava in mezzo agli sconosciuti: -"Bell'apparatonon c'è che dire; bella funzione!... La quistione è disapere chi pagherà!"

Erafurentedopo che il signor Marco aveva preferito la messa diMascione a quella di suo figlio; ma si consolava sparlando dellacasata: non c'era l'eguale per la stitichezza nel pagare; e TittaCarusoil bollettinaio del teatrone sapeva qualcosacostrettocom'era ogni anno a far cento volte le scale del palazzo prima divedersi pagato l'appalto del palchetto: oggi non c'era il principedomani non c'era la principessaun'altra volta mancava il signorMarcopoi erano tutti in campagna...

-"Miofiglio Salvatore non voleva offrir loro la sua messa? Meglio sonarlagratis per le anime del Purgatorio; almeno se ne guadagna altrettantasalute all'anima!"

Evoltò le spallefuriosoper andarsenementre intonavano ilTuba mirum rubato al Palestrina!... Come luierano venuti inchiesa quanti eran corsi nei primi momenti al palazzo per offrire iloro servigi; ma i rimasti a mani vuote tiravano adesso in ballo lestorie d'avarizia e d'intima spilorceria di quella famiglia il cuilusso era solo apparente: la principessauna voltanon aveva fattocitare dinanzi al giudice il suo calzolaio perché lerestituisse il prezzo di un paio di scarpe non riuscite di suogradimento? E in cucinail cuoco non aveva l'ordine di scolar l'oliorimasto nella padella dopo la frittura per riconsegnarlo allapadrona?

-"Piùsono ricchicotesti porcipiù sono spilorci!..."

Un-"zitti!"imperioso troncò le chiacchiere: l'orchestra intonava il Chedirò io misero? e la gente che stava attenta alla musicanon voleva esser disturbata. Ma dopo un momento le conversazioni siriannodarono. In certi crocchi di liberalivantavano il patriottismodel duca Gasparesottovoceperòe guardandosi intorno perpaura che qualche spia non udisse.

-"Uncolpo al cerchio e un altro alla botte!"esclamava don Casimiro accanto alla pila. -"Inquesta casa chi fa il rivoluzionario e chi il borbonico; cosìsono certi di trovarsi benequalunque cosa avvenga! La ragazzaLucrezia non fa la liberale per amore di quello sciocco di BenedettoGiulente?..."

Ilbarone Carcarettaunitosi ai maldicentiprotestò:

-"Nondaranno mai un'Uzeda a un Giulente!"

Edon Casimiro:

-"Perquesto io dico che il Giulente è uno sciocco..."

-"Silenzioeccoli lì."

Ilgiovanotto infatti entrava in quel momento insieme con suo zio donLorenzoil celebre liberale lavapiatti del duca.

-"Ecosì?"domandò don Casimiro -"quandola farete questa rivoluzione?"

-"Nonlo diremmo a voiin ogni caso"rispose Benedetto sorridendo. Allora l'altro si rivolse allo zio:

-"Eil vostro amicoil duca? Gli muore la cognatai suoi nipotil'aspettanoe non parte subito? Che sta macchinando?"

-"Avoi che importa?"

-"Ame? Un fico secco! Io non faccio il lavapiatti a nessuno!"

-"Ilavapiatti"rispose don Lorenzo -"dovetesapere che io li ho tenuti sempre in cucina..."

-"Silenzio!...Siamo in chiesa."

Lapreghiera ieratica diceva giustamente: -"Serbamiun posto nel gregge."Ma don Casimiro non voleva riconoscere che il dispiacere di non goderpiù dell'intimità degli Uzeda lo animava contro diloro.

-"Bestioni!"esclamòquando i due Giulente si allontanarono. -"Midiranno poi come finirà lorocon quei birbanti!"

Ilprincipe di Roccascianoche aveva girato per la chiesa sballottatodalla follafu sospinto in mezzo al gruppo; tutta la sua personacosì piccola e magra che pareva fatta in economiaesprimevauno straordinario stupore:

-"Signorimieiche funerale! che spesa!... Ci saranno per lo meno cent'onze dicera! E l'apparato! La messa cantata! Io vi so dire che per la felicememoria di mio padre spesi sessantotto onze e tredici tarìeche feci? Niente!... Qui vi dico che si sono spese cent'onze di soletorce..."

-"Sst...il Lux aeterna."

Adogni passaggio della messa operavasi un rimescolamento nella folla:alcuni tentavano uscirela più parte mutavan di postogiravano intorno al catafalcoandavano a leggere le iscrizioni.Restava a don Cono da verificar l'ultima; don Casimiro gli si posealle costoleseguito da parecchi della comitiva.


AHIDURA MORTE

ILPIANTO

D'UNAILLUSTRE PROSAPIA

D'UNPOPOLO INTERO

ADISARMARE IL TUO BRACCIO

NONVALSE


-"Benissimo!"fece don Casimiro. -"Laprosapia è illustre: discende difilato dall'anche d'Anchise.Il popolo piange: non vedete le lacrime?"e mostrava quelle d'argento che frangiavano l'addobbo funebre. -"Piangonoanche le ragazze dell'Orfanotrofio... pensando che andranno a finircameriere dell'illustre principe..."

-"Parmisconvenga..."obiettò don Cono.

-"Ev'accerto io che sono tutti disperati per bene che si vogliono incasa. Poh! Non possono stare un giorno senza abbracciarsi ebaciarsi..."

-"Parmisconvenga..."

-"Prudenzasignori miei... siamo in chiesa!"

Giustola ripresa del Dies irae assordava tutti; i frati erano scesiverso il catafalcobenedicendo; la musica intonava il Libera meriprendeva le frasi del principioimplorava il Requiem. -"Èfinito?... Se Dio vuole!"E un rimescolamento generale: chi era rimasto lontano dal catafalco edalle iscrizioni vi si dirigeva; molti che non reggevansi piùin piedi dalla stanchezzas'avvicinavano alle porte; ma lì laconfusione e la ressa ricominciavano più grandi; perchétutta la gente rimasta fuoricredendo chefinita la messafosseagevole entrares'affollava tumultuosamentecozzando contro quelliche volevano usciretravolgendo gli storpii ciechi e i mutilatiche arrischiavano nuovamente di tender la mano ai passanti. -"Adagio!...I piedi!... Che maniera!"e dominando quel vocìo veniva dalla piazza un incessantescalpitar di cavalli: le carrozze del corteo funebre che sfilavanouna dopo l'altra andandosene.

Ilprincipe di Roccascianoaffacciato dalla terrazzale venivanumerando:

-"Settetiri a quattrosessantatrè carrozze padronalidodici dirimessa"dissequando passò l'ultima. E fece il conto: -"Adodici tarì l'unatolte quelle di famigliasonotrentaquattr'onze!..."

Alloral'onda degli spettatori cominciò a disperdersi. I poveririmasti accoccolati lungo i muri poterono finalmente trascinarsi ailoro posti; ma oramai non passava più nessuno.




2.


Versoseramentre la servitù raccolta nel cortile commentava ancorala magnificenza del funeralearrivò dalla via di Messina ilconte Raimondo con la contessa Matilde. Baldassarreudendo iltintinnìo delle sonaglieresi precipitò giù perlo scalone e arrivò allo sportello della corriera giusto nelmomento che questa arrestavasi e che il padrone saltava giù.

-"Chic'è?"domandò il continotroncando con voce breve le cerimonie diBaldassarre e mostrando le carrozze allineate nella corte.

-"Visitepel signor principeEccellenza..."e subito il maestro di casa prese l'aspetto grave e tristeconveniente alla circostanza luttuosa.

Ilconte s'avviò per lo scalone senza curarsi della moglie nédel bagaglio. Baldassarrea capo chinoofferse il gomito allasignora contessama ella smontò senza appoggiarsi. -"Piùbella che mai!"giudicavan le donne che le si appressavano rispettosamente -"quantunqueun po' dimagratain verità..."La moglie del portinaio osservò anche: -"Parepiù afflitta lei del contino... E con che dolce voce pregavache portassero su le valige e i sacchi da nottee rispondeva al:"BenvenutaEccellenza!"dei serviinformandosi della loro salutedomandando a Giuseppe seil suo bambino stava bene e a donna Mena se la sua figliuola s'eramaritata!..."

Sunelle anticamereil principe e Lucrezia vennero incontro al fratelloed alla cognata. Raimondo si lasciò baciare dalla sorellaestretta la mano che Giacomo gli tendevaentrò nella SalaGiallazeppa di gente al pari della Rossapoichétolto ildivieto di lasciar salire i soli prossimi parentiora i cugini inquarto e in quinto gradogli affinigli amici venivano inprocessione a condolersi della gran disgrazia. Tuttiall'appariredella contessa Matildesi levaronoad eccezione di don Blasco e didonna Ferdinanda. Quest'ultimaquando la nipote le baciò lamanoborbottò un: -"Tisaluto"freddo freddo; quanto a don Blasconon le rispose neppure. Eglivociavagesticolando:

-"Voglionoil resto? Ahvogliono il resto? Se vogliono il restonon hanno dafar altro che chiederlo!..."

L'incontrodel Priore con Raimondo fu osservato da tutti: il Priore che stavaseduto accanto a Monsignor Vescovo col Vicario e parecchi canoniciappena scorto il fratello s'alzò e gli aperse le braccia:Raimondo si lasciò abbracciare un'altra voltama quelledimostrazioni d'affetto lo seccavano visibilmente. Poi il principe locondusse viae tutti ripresero i loro posti e i discorsi interrotti.

Inun gruppo di pezzi grossi dove c'eranofra gli altriil presidentedella Gran Corteil generale e alcuni senatori municipalidonBlasco continuava a fiottare contro i rivoluzionari e iquarantottisti che minacciavano d'alzar la coda. Non era bastata lorola famosa lezione spiegata da Satriano? Volevano il resto? Sarebberostati immediatamente serviti!

-"Mala colpa più grande credete forse che sia dei sanculotti o diquel ladro di Cavour? È di quei ruffiani che per la loroposizione dovrebbero sostenere il governo e invece si mettono coimorti di fame!"

Eglil'aveva principalmente col fratello duca che s'era fitto in capo difare il liberaloneluiil secondogenito del principe diFrancalanza! Il marchese di Villardita approvavachinando la testagiudicando però che i rivoluzionaricon o senza l'aiuto deisignorisarebbero rimasti cheti almeno per un altro mezzo secolo: lacittà portava ancora i segni della terribile repressionedell'aprile Quarantanove: non erano del tutto scomparse le tracce delfuoco e del saccheggioe mezza popolazione piangeva i mortiicondannati all'ergastologli esiliati.

IlPrioretornato a sedere accanto a Monsignorenel gruppo delletonache neredeplorava anch'eglia bassa vocel'iniquitàdei tempi per via della legge piemontese contro le corporazionireligiose; e don Blasconel crocchio opposto:

-"Adessofanno la guerra senza denari! Rubando la Chiesa di Cristo! E quelcelebre d'Azeglio? Avete letto il suo sproloquio?..."

Dallaparte delle donne la principessa se ne stava in un angoloun po'alla largaper evitar contatti. Donna Ferdinandaseduta vicino alprincipe di Roccascianoparlava con lui d'affaridel raccoltodelprezzo delle derratementre la principessa di Roccasciano raccontavaalla baronessa Cùrcuma un suo sognola madre che le eraapparsa con tre numeri in mano: 639 e 70sui quali avea giocatododici tarì di nascosto del marito. Le ragazze Mortara eCostanteamiche di Lucreziaparlavano d'abiti a quest'ultimaperdivagarlaquantunque ella non desse loro ascolto e rispondesse aspropositocom'era sua abitudine; ma la cugina Graziella teneva dasola animata la conversazionerivolgendosi a tutti ed a ciascunopassando da una sala all'altra chiacchierando d'abitidi sartedella Crimeadel Piemontedella guerradel colera. Stanca delviaggiola contessa Matilde parlava pocoaspettando di ritirarsinelle sue camere; don Conovenuto a mettersele vicinole recitavatutte le epigrafi da lui composte pel funerale: -"M'èsovvenuto d'una variante; bramo il giudizio della contessa..."E il cavaliere don Eugenio giudicava povertà il lusso deimoderni funerali a paragone di quello di un tempo: -"Nel1692 fu perfino emanato un bandoin via di prammaticaper impedirel'eccedente sfarzo delle cerimonie mortuarie!"

Tuttis'alzarono al sopravvenire di donna Isabella Fersa con suo marito donMario e con Padre Gerbini: il Benedettino reggeva galantemente sulbraccio un velo della dama. Questa baciò tutte le Uzedafuorché la principessala qualeschivandosipresentò:-"Miacognata Matilde..."

DonnaIsabella strinse forte la mano alla contessa e le si mise a sedere afiancosospirando:

-"Chegrande disgrazia! Ma bisogna fare la volontà di Dio!... Sietestati a Firenze?... Anche noi ci fummo l'anno scorso; ma voialtriallora eravate a Milazzo... Una sola bambina finora?... Il conteaspetta un maschiettonaturalmente. Felice voi che avete una figlia:v'invidiocontessasapete..."

PadreGerbini faceva intanto il giro delle signorediscorrendo a lungo conle più giovani e belledicendo loro cose galanti e proibite.Egli prendeva le morbide e bianche mani femminilile teneva un pocofra le sue egualmente bianche e inanellatepoi le baciava. Vedendorientrare il principe col fratellolasciò le dame percondurre Raimondo dinanzi alla Fersa.

-"Ilconte di Lumera... donn'Isabella Fersala più bella dama delregno..."

-"Nongli credadice a tutte così..."esclamò ella sorridendo. -"Sonodolente di conoscerla"ripresecon altro tono di voce e stringendogli la mano -"inquesta triste circostanza..."Sospirò un pocopoi ricominciò: -"Giustola contessa mi diceva che arrivate da Firenze..."

-"Direttamente.Ci siamo fermati appena a Messina."

-"Perlasciar la bambina a vostro suocero. Avete fatto bene! Com'èquesta Milazzo?"

-"Nonme ne parli."

Perfortunaegli ci stava il meno che potevasempre attirato a Firenzedove aveva tante amicizie. Come egli citava i grandi nomi di Toscanadonna Isabella chinava ripetutamente il capo in atto affermativo:-"IMorsinisicuro... i Realmonte..."

Lacontessa volgeva supplici sguardi al maritoquasi per dirgli: -"Portamivia..."ma Raimondo non cessava di parlare del suo tema favorito. Fersa glis'avvicinò un momento per stringergli la mano ed esprimergliil proprio rammarico.

-"Tuozio il duca arriva domani?"

-"Cosìm'ha detto Giacomo."

-"Edel testamento?"

-"Nonsi sa nulla."

Trai discorsi di politicadi modadi viaggiquella domanda curiosaera sussurrata qua e làe otteneva sempre la stessa risposta.Il presidente della Gran Cortetestimonio della consegna deltestamento segreto fatta dalla principessa al notaio l'anno innanzinon sapeva nulla intorno al contenuto della carta di cui avevafirmato la bustae i figli della morta erano al buio peggio degliestranei. Forsese Raimondo fosse venuto a tempoquando sua madrelo aveva insistentemente chiamatoegli avrebbe saputo qualcosa; mail contedivertendosi a Firenzeaveva fatto orecchio da mercantequasi non si trattasse dei suoi stessi interessi. Possibileallorache la principessa non si fosse confidata proprio a nessuno? aqualcuno dei cognati? a un uomo d'affarialmeno? Di botto donBlascolasciando in pace Cavour e la Russia:

-"Eallorache sugo ci sarebbe stato?"esclamò. -"Cosìfanno tutti coloro che ragionanoeh?... Ma in questa casa la logicaera un'altra!... Nessuno doveva saper niente! tutto si doveva fare aloro capriccio; sempre chiusisempre misteriosicome se fabbricassero moneta falsa!"

Ilpresidente scrollava il capo con bonomiaper acquietare il monacofocoso; ma questi proseguiva:

-"Voletesapere che dirà il testamento? Domandatelo al confessore!Sissignori: al confessore!... Voi al confessore di che parlate? Deipeccatieh? delle cose di coscienza?... Degli affarinaturalmenteincaricate gli avvocatii notaii parentisì o no?... Quiinvece il confessore scriveva il testamento: forse il notaioimpartiva l'assoluzione!"

Alcunisorridevano a quelle sparatee le supposizioni avevano libero corso.Il presidente era sicurochecché si dicesse in contrariochel'erede sarebbe stato il principecon un forte legato al conte; e ilgenerale confermava: -"Sicuramentel'erede del nome!"ma il barone Grazzeri scrollava il capo: -"Senon andarono mai d'accordo?"Don Mario Fersainfattipiano al cavaliere Carvanomanifestava lasua opinionesecondo la quale l'erede sarebbe stato Raimondo. Forseil contegno di lui durante la malattia della madreil costanterifiuto di venire a vederlapotevano avergli un poco nociuto; ma lapredilezione dimostrata dalla principessa a quel figliuolo era statatroppo grande perché in un momento ne andassero dispersi glieffetti. -"Nondimentichiamo"rammentava il cavaliere Pezzino -"chela felice memoria non volle mai chiedere l'istituzione del maiorascoappunto per esser libera di fare a modo suo."Dunque si sarebbe proprio visto questa enormità? Il capo dellacasa diseredato? erede Raimondo che non aveva figli maschi?diseredato il principe che aveva già nel piccolo Consalvo ilsuccessore?... I lavapiatticome familiari della defuntaeranorichiesti della loro opinionema essi che ne sapevano meno di tuttirispondevano evasivamenteper non far torto a nessuno. -"Egli altri figli? Ferdinando? Le donne?..."La curiositàbenché contenuta ed espressa sotto voceera vivissima. Il confessorequesto famoso Padre Camillonon avevaparlato? -"Nonc'èè a Roma da parecchi mesi; e anche ci fossenonparlerebbe: è volpe fina..."E tutti gli sguardi si volgevano naturalmente a Giacomo ed aRaimondo. Questi chiacchierava ancora con donna Isabellae parevache il testamento materno fosse l'ultimo dei suoi pensierianzi cheegli ignorasse perfino la morte della madre; il principe invece avevaun aspetto più grave del consuetoquale conveniva allatristezza di quei giorni; egli riceveva con espressioni digratitudine le reiterate condoglianze delle persone che sicongedavano. Alcune di queste però non riuscivano a trovarloandavano via senza poterlo salutare; e i familiari si guardavano conla coda dell'occhiocomprendendo. Egli aveva una folle paura dellaiettaturaattribuiva a una gran quantità d'individui ilfunesto potere; stava sulle spine in loro presenzaevitava disalutarlicon le mani in tasca. Ma il presidente della Gran Corteappena alzatosise lo vide vicino:

-"Selo zio arriverà domanipresidentefisseremo per posdomani lalettura?"

-"Quandocredeteprincipe mio! Sono agli ordini vostri!..."

-"Veramente..."aggiunseabbassando la voce -"ionon avrei tanta fretta... anzi mi parrebbe una sconvenienza verso lamemoria di nostra madre... Ma sapete come succede quando si èin molti... quando bisogna dar conto a tanti..."E poiché suo fratello il Priore se ne andava anche luiinsieme col Vescovoli avvertì entrambiessendo Monsignoreun altro dei testimoni.

-"Fatefate voialtri..."disse il Prioredisinteressato. -"Chebisogno avete di me?"

MaGiacomo protestò:

-"Nono; che vuol dire! Bisogna fare le cose in regolaper soddisfazionedi tutti..."

Siccomeannottavamolti andavano via. Padre Gerbiniquantunque il Prioreavesse dato l'esempiorestò ancora un poco a cicalare con lesignore; poi se n'andò anche lui. Restòsbraitandocontro i rivoluzionari e la cognata mortadon Blascoche rientravasempre l'ultimo al convento.

Adessoi servi accendevano le lampade; e con le finestre chiuseil calorediveniva intollerabile nella sala. La contessa si sentiva mancare enon vedeva più il marito che aveva seguito donna Isabellanella Sala Rossa a discorrere di Parigi. Ancora una volta avevaaccanto lo zio Eugenio e don Conoi quali continuavano a sviscerarele antiche cronache cittadine e citavano con linguaggio fiorito robalatina.

-"Ifuneri di Carlo V furono celebrati a presenza del ViceréUzeda..."

-"Lareal cappella tolse luogo nel nostro Duomoove fu erettaun'altissima piramide ornata di busti e personaggifra i qualil'Italiala Spagnala Germania e l'India..."

-"Perlo appunto; anzi la epigrafe suonava così:


Indiamæsta sedet Caroli post funera Quinti..."


-"Eil disvenamento del corsier favorito?"

-"Peifunerali di nostro nonnoalla più corta! Quando morìil principe nostro nonnosi svenò il suo cavallo dicoscia..."

-"Usobarbarico anziché no. Il nobile corsiere rigava di sangue laviafinché cadeva spirando l'ultimo fia..."

Aun tratto don Cono esclamò:

-"Contessagran Dio!"

Tuttiaccorsero. Era pallida e freddacon gli occhi rovesciati e le labbradischiuse. Suo maritoaccorso anche lui con donna Isabelladisse:

-"Nonè nulla... la fatica del viaggio..."E pianoquasi tra sémentre la portavano via: -"Lesolite smorfie!..."


Giornidi continue novitàquelli! Il domanicome s'aspettavaarrivò il duca. Mancava da cinque annie nel primo momento laservitù e gli stessi parenti quasi non lo riconobbero:quand'era partito per Palermo aveva un bel collare di barba allaborbonicaadesso invece s'era lasciato crescere il pizzo che dava unaltro carattere alla sua fisonomia. Tutti i nipoti gli baciarono lamano; egli s'informò della disgrazia e si scusò per nonesser venuto più presto; si scusò anchepel disturboche gli davacol principeil quale gli aveva fatto preparare alterzo piano le stanze da lui occupate nella casa paterna prima dilasciarla. Ma il nipote protestò:

-"VostraEccellenza non mi disturbami aiuta... E in questo momento ho piùbisogno dei suoi consigli..."

-"Sainulla?"

-"Nulla!"

-"Tuamadre non avrà fattosperouna delle sue pazzie..."

-"Quelche ha fatto mia madre sarà ben fatto!"

Fucosì stabilita la lettura pel domania mezzogiornoe ilsignor Marco ebbe ordine d'avvertire il notaioil giudice e itestimoni perché si tenessero pronti. Intanto la notiziadell'arrivo del duca s'era subito diffusa per la cittàe leprime visite gli furono annunziate che egli non s'era neppur riposatodel viaggio. Venivano a cercarlo una quantità di persone chenon si sapeva chi fossero: donna Ferdinandaa udire i nomiannunziati da Baldassarre: RaspinatoZappaglionesgranava tantod'occhi; don Blascoda canto suosoffiava come un mantice; ma ilpeggio fu verso seraquando cominciò una vera processione-"ditutti i sanculotti morti di fame"gridava il monaco al marchese -"chehanno scroccato o vogliono scroccar quattrini a quell'animale di miofratello!"Mentre il duca dava udienza agli amicil'Intendente Ramondino vennea far la sua visita di condoglianza al principeil quale lo ricevénella Sala Rossainsieme col marchese di Villardita e don Blasco.Questidimenticando che a San Nicola stavano per serrare i portonifece una terribile sfuriata contro l'agitazione dei quarantottisti;ma il rappresentante del governostringendosi nelle spalleparevanon desse importanza ai sintomi di cui si buccinava: in veritàa Palermo avevano arrestato qualche facinoroso; maal frescoleteste calde si sarebbero subito calmate.

-"Perchénon fate venire altra truppa? Perché non date un esempio?...Il bastone ci vuole: sante nerbate!"

Ilmonaco pareva inferocito; ma il capo della provincia stringevasinelle spalle: bastavano i soldati della guarnigione; non c'era pauradi niente! Del restopiù che sulle baionetteil governofaceva assegnamento sull'influenza morale dei benpensanti... L'elogioera diretto al principeche se lo prese; ma don Blasco girava gliocchi stralunati come seavendo un boccone di traversofacessesforzi violenti per inghiottirlo del tutto o vomitarlo.

-"Eil testamento della felice memoria?"disse l'Intendentecurioso anche lui come tutta la città.

-"Saràaperto domani..."

Entròa un tratto il duca che strinse la mano all'Intendente e gli si misea sedere a fianco. Allora don Blasco s'alzò rumorosamente perandar via. E nell'anticameraal marchese che lo accompagnava:

-"Capisci?"gridò. -"Tuttoil giorno coi sanculotti e adesso si strofina all'autorità!Son cose che mi rivoltano lo stomaco!... In questa casa non metteròpiù piede!"

Anchedonna Ferdinandanella stanza di lavoro della principessadov'eraraccolto tutto il resto della famiglia e alcuni lavapiattifiottavacontro il fedifrago; ma quando Baldassarre annunziòsull'usciocredendo che il duca fosse lì:

-"DonLorenzo Giulente e suo nipote cercano del signor duca…"

-"Nonse ne può più!"proruppe la zitellona arrossendo fin nel bianco degli occhi. -"Èuno scandalo! Dovrebbe pensarci la polizia!"

DonMarianocon aria costernataesclamò:

-"Adessoanche il ragazzo!... È una cosa veramente dispiacevole!...Passi lo zioche è morto di fame; ma il nipote?..."

-"Ilnipote?"incalzò la zitellona. -"Voinon sapete che la volpequando non poté arrivare all'uvadisse che era acerba?"

Lucreziaimpalliditateneva gli occhi bassistrappando la frangia dellapoltrona; il principino Consalvoseduto vicino alla ziadomandò:

-"Perchél'uva?"

-"Perché?...Perché pretendevano il consenso reale all'istituzione delmaiorasco! E non avendolo ottenuto si sono buttati coi sanculotti!...Il consenso reale!... Come se non ci fosse un certo articolo 948 nelCodice civile che canta chiaro!"E sempre rivolta al ragazzoil quale la guardava con gli occhisgranatirecitògestendo con un dito e cantilenando: -"Potràdomandarsene l'istituzione (del maiorasco) da quegl'individui i dicui nomi trovansi inscritti sia nel Libro d'oro sia neglialtri registri di nobiltàda tutti coloro che sononell'attuale legittimo possesso di titoli per concessione inqualunque tempo avvenutae finalmente da quelle persone cheappartengono a famiglie di conosciuta no-bil-nel Regno delle Due Sicilie..."

-"Iocredo che i Giulente sono nobili"disse Lucreziaprima che la zia finisse e senza alzare gli occhi.

-"Iocredo invece che sono ignobili"ribattè secco donna Ferdinanda. -"Sepossedevano documenti da far valereavrebbero ottenutol'approvazione reale."

-"Nobilidi Siracusa..."cominciò don Mariano.

-"OSiracusa o Caropepese avevano i titoli non gli avrebbero negatal'iscrizione nel Libro rosso!"

-"IlLibro rosso è chiuso dal 1813"annunziò don Eugenio col tono di chi dà una notiziagrave.

Lucreziaera rimasta a capo chinoguardando per terra. Quando la zia potécredere d'averla ridotta al silenziola ragazza riprese:

-"IGiulente sono nobili di toga."

Unrisolino fine fine della zitellona le rispose:

-"Gliasini credono che la nobiltà di toga sia paragonabile a quelladi spada!... Che differenza passava tra i sei giudici del RealPatrimoniodon Mariano? I tre di cappacorta erano nobili... nobili!e i tre di cappalungagiurisperiti... giurisperiti!... Adessosapete com'è?... Tutti i mastri notai si credono altrettantiprincipi!... Un tempo c'erano i baroni da dieci scudioggi ci sonoquelli da dieci baiocchi..."

Allorala ragazza s'alzò e andò via. Donna Ferdinandacontinuava a sorridere finementeguardando la contessa Matilde.

Frattantoil signor Marco faceva disporre ogni cosa nella Galleria dei ritrattiper la lettura del testamento. Il principe era stato un poco esitantesulla scelta del luogo dove compiere la cerimonia: la Sala Rossadiscretamente addobbatacapiva poca gente: il Salone dei lampadarivastissimonon aveva altri mobili fuorché le lampade antichependenti dalla volta e gli specchi incastrati nelle pareti; laGalleriainvececonciliava la grandezza con la sontuositàperché era vasta come due saloni messi in filae arredata didivani e sgabelli e mensole e tripodi doratie finalmente piùdegnaper le generazioni d'avi pendenti in effige dai muridellasolennità che radunava i nipoti. Nel mezzo di quella specie digrande corridoiol'amministratore generale fece disporre una grantavola coperta da un antico tappeto e provveduta d'un monumentalecalamaio d'argento. Intorno alla tavola dodici seggioloni abracciuoli aspettavano i testimoni e gl'interessati: quello delprincipepiù altovolgeva la spalliera al grande ritrattocentrale del Viceré Lopez Ximenes de Uzedaa cavallo e inatto di frenare la bestia con la sinistra e d'appuntar l'indicedestro al suolo come dicendo: -"Quicomando io!..."Torno tornoin alto e in bassoquanto la parete era lungaquant'erano larghi i vani tra finestra e finestra nella parete dicontrouna moltitudine d'antenati: uomini e donnemonaci eguerrierivescovi e dottoridame e badesseambasciatori e vicerédi facciadi profilo e di tre quarti; vestiti d'acciaiodi vellutod'ermellino; col capo coronato d'alloroo chiuso negli elmiocoperto dai cappucci; con scettri e libri e bacoli e spade e fiori emazze e ventagli in mano.

Ilgiorno stabilitoprima del notaiodel giudice e dei testimoni ed'ogni altro parentespuntò don Blascorodendosi le unghie.Entrato che fusi mise a girare per la casa ficcando gli occhidappertuttocon le orecchie erte come un gattocon le narici apertequasi a fiutare la preda. Subito dopo apparve donna Ferdinanda; e laservitùgiù nella corteosservava che i cognati dellamortapei quali il testamento non aveva nessun interesseerano piùimpazienti di conoscerlo che gli stessi figliuoli. Ma ormai lacuriosità di tutti era divenuta insofferente e quasi nervosa:i lavapiattisopraggiungendo per aiutare il principe al ricevimentoscambiavano esclamazioni: -"Oramaici siamo! Fra qualche mezz'ora!..."Il Priore venne con Monsignor Vescovoriprotestando che la propriapresenza era inutile; il principe ripeté che voleva tutti. Ilgiudice col notaio Rubino arrivò nello stesso tempo che ilmarchese con la moglie e don Eugenio. Poi il presidente della GranCorte col principe di Roccascianoaltri testimoni; poi la cuginaGraziella col maritopoi ancora la duchessa Radalìpoi iparenti più lontanii Grazzerii Costantepoi l'ultimotestimonioil marchese Motta: ma Ferdinando non si vedeva ancora. Edon Blascopigliando pel bottone del soprabito il marcheseglidiceva:

-"Scommettiamoche hanno dimenticato un'altra volta d'avvertirlo?"L'attesa fu penosa. Nessuno parlava più del testamentomatutti gli sguardi erano rivolti alla cartella del notaio. I piùindifferentituttaviaparevano il conte Raimondo che chiacchieravacon le signore e il principe che parlava col presidente d'una causarelativa alla dote della moglie. Mentre il fratello minoreperòsaltava da un discorso all'altro con grande disinvolturail principefaceva lunghe pausedurante le quali i suoi occhi si fissavanocorrugatie un pensiero molesto gli velava la fronte.

Quandofinalmente Ferdinando spuntòstralunatoassonnatocomecaduto dalle nuvolefu uno scandalo: mentre perfino la servitùera già vestita di neroegli portava ancora l'abito dicoloree a don Blasco il quale gli diceva: -"Chediavolo hai fatto?"rispondevabalbettando: -"Scusate...scusate... non ci pensavo più..."

All'invitodel principepassarono tutti nella Galleria: il principeil ducail conteil marcheseil cavaliereil signor Marcoil giudice colnotaio e i quattro testimoni presero posto alla tavola; gli altrisederono sui divani tutt'intorno: la principessa appartata in unangolo; donna Ferdinanda con Chiara e la cugina Graziella da unaparte; Lucrezia con la duchessa e la contessa Matilde da un'altra: ilPrioreseduto sopra uno sgabelloincrociò le mani in gremboe alzò gli sguardi al soffitto con moto di rassegnataindifferenza; don Blascoappoggiato in piedi allo stipite dellafinestra centraledominava l'adunanza come uno spettatore diffidentedinanzi a una prova di prestigio.

-"VostraEccellenza permette?"domandò il notaioe ad un gesto d'assenso del principe cavòdalla cartella un plico sul quale tutti gli occhi si fermarono.Accertata l'incolumità dei suggelliriscontrate le firmeegli aprì la busta e ne tolse un quadernetto di due o trefogli. Dopo un breve scambio di cerimonie col giudicequestiinmezzo a un religioso silenziocominciò finalmente la lettura:

-"IoTeresa Uzeda nata Risàprincipessa di Francalanza eMirabellavedova di Consalvo viiprincipe di Francalanza eMirabelladuca d'Oraguaconte della Venerata e di Lumerabaronedella Motta RealeGibilfemi ed Alcamurosignore delle terre diBugliarelloMalfermoMartorana e Caltasipalacameriere di S. M. ilRe (che Dio sempre feliciti).

Inquesto giorno 19 di marzo dell'anno di grazia 1854sentendomi sanadi mente ma non di corporaccomando l'anima mia a Nostro SignoreGesù Cristoalla Beata Vergine Maria ed a tutti i gloriosiSanti del Paradiso e dispongo quanto segue:

Imiei amati figli non ignorano che nel giorno in cui entrai in casaFrancalanza ed assunsi l'amministrazione del patrimoniotali e tantepassività oberavano la sostanza del mio consorteche essapoteva considerarsianzi era effettivamente distrutta ed allavigilia di venire smembrata tra i molteplici suoi creditori. Spintapertanto dall'affetto materno che mi spronava a sacrificarmi pel benedei miei figli amatissimiio mi accinsi fin da quel giorno all'operadel riscattola quale è durata quanto tutta la mia vita.Assistita dai consigli prudenti di ottimi amici e parenticoadiuvatadall'opera intelligente del signor Marco Roscitanomioamministratore e procuratore generalecon l'aiuto della DivinaProvvidenza alla quale ne rendo tutte le grazie del mio cuoreiooggi mi trovo di avere non solamente salvata ma anche accresciuta lasostanza della casa..."

Ilsignor Marcoal passaggio che lo riguardavaaveva chinatorispettosamente il capo. Don Blascosempre in piedimutòposto: lasciata la finestra si mise dietro al giudicein modo nonsolamente da udir meglio ma da verificare con l'occhio la fedeltàdella lettura. Il principe teneva le braccia incrociate sul petto eil capo un po' chino; Raimondo batteva un piedeguardando per ariaseccato.

-"Ditutta questa sostanza io sono l'unica e sola donna e padronasìper la parte che rappresenta la mia dote in essa investitasìperché il rimanente è frutto dei miei capitaliparafernali e dell'opera miacome ne fa ampia e piena fede iltestamento del benamato mio sposo Consalvo viiil quale dicecosì..."

Ilgiudice sostò un momento per osservare:

-"Credoche possiamo saltare questo passo..."

-"Infatti...È inutile"risposero parecchie voci.

Ilprincipe invecesciolte le bracciaprotestòguardando ingiro:

-"Nonoio desidero che le cose si facciano in piena regola... Leggetetuttodi grazia."

-"...ilquale dice così: "Sulpunto di rendere a Dio l'anima mianon avendo nulla da lasciare aimiei figliperchécome essi un giorno saprannoil nostropatrimonio avito fu distrutto in seguito a disgrazie di famiglialascio ad essi un prezioso consiglio: di obbedir sempre alla loromadre e mia diletta sposaTeresa Uzedaprincipessa di Francalanzala qualecome si è finora sempre ispirata al bene dellanostra casacosì continuerà per l'avvenire a non averealtra mira fuorché quella di assicurarecol lustro dellafamiglial'avvenire dei nostri figli benamati. Faccia il Signore cheella sia ad essi conservata per mille anni ancorae il giorno cheall'Onnipotente piacerà ridarmela compagna nella vitamiglioreseguano i miei figli fedelmente le sue volontà comequelle che non potranno esser dirette se non al loro bene ed allaloro fortuna."

-"Imiei cari figliadunque"continuava la testatrice -"nonpotranno dare miglior prova della loro affezione e rispetto verso lamemoria del padre loro e miase non scrupolosamente rispettando ledisposizioni che io sono per dettare e i desideri che esprimerò.

Ionomino pertanto..."tutti gli occhi si fermarono sul lettoredon Blasco chinossi ancoraun poco per meglio vedere lo scritto -"erediuniversali..."e le labbra del principe ebbero a un tratto un'impercettibilecontrazione -"ditutti i miei beniesclusi quelli che intendo siano distribuiti nelmodo qui appresso indicatoi miei due figli Giacomo xiv principe diFrancalanza e Raimondo conte di Lumera..."

Ilgiudice fece una breve pausadurante la quale il Vescovo e ilpresidente scrollarono il capoguardandosiin atto di stuporeapprovativo. Il principeincrociate di nuovo le bracciaavevaripreso l'atteggiamento da sfinge; soltanto era un poco pallido;Raimondo pareva non accorgersi dei sorrisi di congratulazione che glirivolgevano; donna Ferdinandacon le labbra cucitepassava arassegna i progenitori pendenti dalle pareti.

-"Intendoperò"riprese il lettore -"chenella divisione tra i due fratelli suddetti restino assegnati alprincipe Giacomo i feudi della famiglia Uzeda da me riscattatiespettino a Raimondo conte di Lumera le proprietà di casa Risàe quelle che in progresso di tempo furono da me acquistate. Ilpalazzo avito toccherà al primogenito; ma mio figlio Raimondoavrà l'usovita natural durantedel quartiere di mezzogiornoe annesso servizio di stalla e scuderia."

Conripetuti cenni del capoil presidente e Monsignore continuavano adesprimere la loro approvazione; si udì anche il marchesemormorare: -"Giustissimo."La cuginaammutolita pel quarto d'oragirava rapidamente glisguardi dall'uno all'altrocome non sapendo che pesci pigliare. Lalettura continuava:

-"Usandosuccessivamente del mio diritto di fare la divisione agli altri mieifigli legittimarie volendo dare a ciascuno di essi una prova dellamia particolare affezioneassegno a ciascuno di essiin compensodei diritti di legittimaaltrettanti legati superiori alla quota cheloro spetterebbe per leggenel modo qui appresso descritto.

Eccettuoinnanzi tutto quelli entrati in religionepei quali richiamoconfermo e completo le disposizioni da me prese al tempo della loroprofessionee cioè:

Primo:in favore del mio diletto figlio Lodovicoin religione PadreBenedetto della Congregazione Cassinesedecano nel convento di SanNicola dell'Arena in Cataniala dotazione di onze 36 (dicotrentasei) annueassegnategli con atto del 12 novembre 1844.

Secondo:in favore di mia figlia primogenita Angiolinain religione SuorMaria Crocifissamonaca nella badìa di San Placido inCataniacome segno di particolare soddisfazione e gradimento perl'obbedienza osservata nel contentare il mio desiderio di vederlaabbracciare lo stato monasticocompleto la mia disposizione del 7marzo 1852ordinando che si prelevi dalla massa dei beni la somma dionze 2000 (due mila)valore del fondo denominato la Timpaposto nelBosco etneocontrada Belvedereordinando che coi frutti di essoimmobile siano celebrate tre messe quotidiane dentro la chiesa dellapredetta badìa di San Placidoe precisamente nell'altare delCrocifissodovendo tale celebrazione aver principio in seguito allamorte della predetta mia figlia Suor Maria Crocifissae intendendoche durante vita della stessa i frutti si debbano da lei percepireatitolo di livellovitaliziamente. Cessando di vivere essa miafigliaordino che l'amministrazione resti affidata alla MadreBadessapro temporedella prefata badìaalla qualesuperiora intendo che resti conferita la facoltà di eleggere isacerdoti celebrantie non ad altri.

Venendopoi agli altri miei figli per eseguire la divisione legittimarialascio al mio benamato Ferdinando..."e Ferdinandoche era stato a seguire il volo delle moschesi voltòfinalmente verso il lettore -"lapiena ed assoluta proprietà del latifondo denominato leGhiandesituato in contrada Pietra dell'Ovoterritorio di Cataniaperché conosco l'affezione particolare che egli porta a questaterra da me concessagli in affitto con atto del 2 marzo 1847. Eperché detto mio figlio abbia una prova speciale del mioaffetto maternointendo che gli siano condonaticome infatti glicondonotutti gli arretrati della rendita da lui dovutami su dettolatifondo in virtù dell'atto sopracitatoa qualunque sommaessi arretrati siano per ascendere al momento dell'apertasuccessione."

Testimonie lavapiatticon gesti e sguardi e sommesse paroleesprimevano unasempre crescente ammirazione.

-"Restanocosì le mie due care figlie Chiaramarchesa di VillarditaeLucrezia; a ciascuna delle qualiaffinché esse lascino laproprietà immobiliare ai loro fratelli e miei eredivoglioche sia pagatasempre a titolo di legittimala somma di 10.000(dico diecimila) onze..."quasi tutti adesso si voltarono verso le donne con espressione dicompiacimento -"treanni dopo l'aperta successione e con gli interessidal giornodell'aperturadel cinque per cento; restando naturalmente inteso chemia figlia Chiara debba conferire la sua dotazione di duecento onzeannuali di cui ai suoi capitoli matrimoniali. Inoltre come prova digradimento per le nozze da lei contratte con mio genero il marcheseFederico Riolo di Villarditale lascio tutte le gioie da me portatein casa Uzedache si troveranno a parte inventariate e descritte;intendo che quelle avite di casa Francalanzada me riscattate dallemani dei creditorirestinodurante vita della mia diletta figliaLucreziaa quest'ultima; ma poiché essa ben conosce che lostato maritale non è confacente né alla salute néal carattere di leivoglio che ella ne goda a titolo di semplicedepositariae che alla sua morte vengano divise in eguali porzionitra il principe Giacomo e il conte Raimondo miei eredi universalicome sopra.

Provvistoin tal modo all'avvenire dei miei figli amatissimipassoall'assegnazione delle seguenti elemosine e legati pii da pagarsi daimiei eredi summentovatie cioè:

AMonsignor Reverendissimo il Vescovo Pattionze cinquecentounavolta tantoperché le distribuisca ai poveri della cittào perché ne faccia celebrare altrettante messe a sacerdotibisognosi della diocesisecondo stimerà conveniente nella suaalta prudenza..."

Monsignoresi mise a scrollare il capoa dimostrazione di gratitudinediammirazionedi rimpiantodi modestia ad un tempo; ma soprattuttod'ammirazione secondo che il giudice leggeva le pietose disposizionidei paragrafi seguenti: -"Allacappella della Beata Ximena Uzedanella chiesa dei Cappuccini inCataniaonze cinquanta annualiper una lampada perpetua ed unamessa ebdomadaria da celebrarsi pel riposo dell'anima mia. Allachiesa dei Padri Domenicani in Cataniaonze venti annue perelemosina e celebrazione di altra messa ebdomadaria come sopra. Allachiesa di Santa Maria delle Grazie in Paternò onze venti comesopra. Ed alla chiesa del monastero di Santa Maria del Santo Lume alBelvedereonze venti come sopra.

Spetteràinoltre ai miei eredi osservare l'istituzione dei seguenti legatiinfavore dei creati che mi hanno fedelmente servita ed assistitadurante il corso delle mie infermitàe cioè:

Eccettuoinnanzi tutto il mio amministratore e procuratore generale signorMarco Roscitanoi cui eccellenti servigi non potendo essereparagonati a quelli d'un servonon sono da compensare con moneta."Il signor Marco era diventato rosso come un pomodoro: o per lelusinghiere paroleo perché non gli toccava altro che parole.-"Lascioa lui pertanto gli oggetti d'orole tabacchierespille ed orologipervenutimi dall'eredità di mio zio materno il cavaliere Risàil cui elenco si troverà fra le mie carte; e faccio obbligo dicoscienza ai miei eredi di continuare ad avvalersi dell'opera suanon potendo essi trovare persona che meglio di lui conosca lo statodel patrimonio e delle liti pendentie che possa spendere maggiorinteresse per il loro meglio."Il principe pareva sempre non udirecon le braccia conserte e losguardo cieco. -"Trai creatilascio al mio cameriere Salvatore Cerra due tarì algiornovitaliziamente; altrettanti alla mia cameriera Anna Lauro. Lasomma di onze cento si paghiuna volta tantoal mio maestro di casaBaldassarre Crimie di onze cinquanta al cocchiere maggiore GaspareGambinoe di onze trenta al cuoco Salvatore Briguccia.

Comepiccoli ricordi ai miei amici destino inoltre:

L'orologiogrande con miniature e brillanti del fu mio consorteal principeGiuseppe di Roccasciano; la carabina del fu mio suocero a donGiacinto Costantino; il bastone col pomo d'oro cesellato a don ConoCanalà; i tre anelli di smeraldo a ciascuno dei tre testimonidel presente testamento solenneescluso il principe di Roccascianosuddetto.

Indistintamentepoi a tutti i miei congiunti: cognatinipoticuginiecc.sipaghino onze dieci ciascuno per le spese del corrotto.

Fattoal Belvederescritto da persona di mia confidenza sotto la miadettaturada me lettoapprovato e firmato.


TeresaUzeda di Francalanza"


Giàqualche minuto prima che il giudice abbassasse il fogliodon Blascolasciando la spallieraaveva dato segno che la lettura stava perfinire; e agli ultimi passi i gesti approvativi ed ammirativilescrollate di capo di ringraziamento erano stati generali; ma appenala voce del lettore si spenseil silenzio fuper un istantecosìprofondo che si sarebbe sentito volare una mosca. A un tratto ilprincipespinta indietro la sua seggiola:

-"Graziea voisignori ed amici; grazie di cuore..."cominciòma non finì; ché i testimonialzatisianch'essilo circondaronostringendogli le manistringendo le mania Raimondorallegrandosi con tutti:

-"Nonc'era veramente bisogno della lettura!... Si sapeva bene che lafelice memoria non avrebbe... Un modello di testamento!... Chesaggezza! Che testa!..."

Monsignorespecialmenteapprovava:

-"Nonha dimenticato nessuno! Tutti possono essere contenti..."

EFerdinandoChiaraLucreziatutti e tutte ricevevano la loro partedi congratulazioni mentre il notaio e il giudice compivano leformalità del verbale. Ma don Blascoche appena finita lalettura aveva ripreso a rodersi le unghie con più fame diprimagironzolando intorno intorno come un calabroneacchiappòFerdinando mentre il presidente gli stringeva la mano e lo trasse nelvano di una finestra:

-"Spogliati!Spogliati! Siete stati spogliati! Spogliati come in un bosco!...Rifiutate il testamentodomandate quel che vi tocca!"

-"Perché?"disse il giovaneattonito.

-"Perché?"proruppe don Blasco guardandolo nel bianco degli occhiquasi volessemangiarselo vivoquasi non potesse entrargli in mente l'idea di unasciocchezza come quella del nipoted'una ingenuità tantobalorda. -"Perquesto!"e giù una mala parola da far arrossire gli antenati dipinti;poivoltate le spalle a quel pezzo di babbeocorse dietro almarchese:

-"Rovinatispogliatimessi nel sacco!"gli spiattellavaficcandogli quasi le dita negli occhi. -"Divisionelegittimaria? E come fa i conti?... Se accettate cotesto testamentosiete gli ultimi..."e giù un'altra mala parola. -"Iconti ve li faccio ioin quattro e quattr'otto! E per te lacollazione dell'assegno che non avesti! E neppure una parola sullegato di Caltagirone! Dichiara che rifiutiseduta stante!"

Ilmarchesesbalordito da quella furiabalbettò:

-"Eccellenzaveramente..."

-"Cheveramente e falsamente mi vai...? O credi che a me ne entri qualchecosa?... Io dico pel vostro interessebestia che sei!"

-"Parleròa mia moglie..."rispose il marchese; ma allora il monacoguardatolo un momentofissolo mandò a carte quarantotto come quell'altrobabbaccioe si diresse verso la marchesa.

Questaera con tutte le altre signore che facevano cerchio a donnaFerdinanda: la zitellona non esprimeva il proprio parerenonrispondeva al cicaleccio degli astanti: -"Ilgiusto!... Tutti trattati bene!... Un modello di testamento..."E la cugina Graziella alla principessa: -"Lemale lingue volevano dire che la zia avesse diseredato tuo marito!Come se il bene che voleva a Raimondo potesse impedirle diriconoscere in Giacomo il capo della casal'erede del titolo!"La duchessa Radalìinvececon aria tra stupita e costernataconfessava a don Mariano: -"Nonl'avrei mai creduto! Eredi tutti e due? E allora la primogenituradove se ne va? Le case hanno proprio da finire?..."Ma la principessaimbarazzatissimanon osava risponderenonlasciava con gli occhi il principe. Questinel gruppo degli uominiche non cessavano di ripetere: -"Chesaggezza! Che previdenza!"dichiarava con voce grave: -"Ciòche ha fatto nostra madre è ben fatto..."mentre il Priore ripeteva a Monsignore: -"Lavolontà della felice memoria sarà certo legge pertutti..."e solo Raimondo pareva stufo dei rallegramentiinsofferente dellestrette di mano congratulatorie. Ma già Baldassarrespalancato l'uscio di fondoentrava seguito da due camerieri chereggevano due grandi vassoi di gramolate e di paste e di biscotti. Ilprincipe cominciò a servire i testimoni; il maestro di casa sidiresse dalla parte delle signore.

-"Rubatidel vostro! Spogliati! Ridotti in camicia!"diceva frattanto don Blasco alla nipote Chiara che era riuscito adagguantare. -"Perfavorire quello scapestrato che neppur si diede la pena di venirla avedere prima che crepasse! E quell'altra villana ch'è venuta aficcarsi qui dentro!"Il monaco fulminava di sguardi rabbiosi la contessa Matilde. -"Vilascerete rubare così? Qui bisogna agire subitospiattellarechiaro e tondo che rifiutate il testamentoche chiedete quel che viviene..."

-"Ionon sozio..."

-"Comenon sai?"

-"Parleròa Federico..."Allora il monaco uscì fuori dei gangheri:

-"Eandate un poco a farvi più che benediretuFedericotuttiquanti sietecompreso iopiù bestia di tutti che me neprendo!... Qui!"ordinò a Baldassarre che andava a servire la contessae presauna gramolatala bevve d'un sorsoper temperar la bile che glisaliva alla gola.

Suofratello don Eugeniozitto zittosi ficcava a pugni nelle taschepaste e biscottine masticava a due palmentici beveva su bicchieridi Marsalanon acqua inzuccheratacome uno che non è certodi far colazione. Ciò nonostante badava ad approvare congrandi scrollate di capo Monsignor Vescovoil qualevedendo che ilPriore don Lodovico rifiutava di rinfrescarsi a motivo che eravigiliadichiarava al presidente: -"Unangelo! Tutto quel che è interesse mondano non l'ha maitoccato! Vivo esempio di virtù evangelica..."e il presidentecon la bocca piena: -"Famigliaesemplare!"confermava; -"dellostampo antico!... Dove mettete quell'eccellente principe?"E il principefinalmenteridottosi in un vano di finestra con lozio duca:

-"Haudito Vostra Eccellenza?"gli diceva con riso amaro.

-"Quelche pareva impossibile è vero!... La mia famiglia èrovinata!..."

-"Noncredevo neppur io!"esclamava il duca. -"Chegli avrebbe fatto una posizione privilegiata tra i legittimarisì;ma coerede?"

-"Eperfino il quartiere qui in casa!... per farmi un'onta! La casa deinostri maggiori ha da servire ai Palmi!..."

-"Dev'essercontenta la Palmi!"diceva ora la cugina Graziella alla duchessa. -"Suomarito coerede!... Il povero Giacomo costretto a dividere colfratello!... A me dispiace per quest'intrusache metteràancora un altro poco di superbia..."

Pesavanosulla contessa Matilde gli sguardi irosi o severi di don Blascodella cuginadel principe. Tutte le volte che Baldassarre s'eradiretto a lei per servirlaqualcuno aveva fatto cenno al maestro dicasa di servire un'altra o un altro. E adesso rimaneva lei soltanto;ma donna Ferdinandafatto venire il principino Consalvose lo misea sedere sulle ginocchia e chiamò:

-"QuiBaldassarre...



3.


Daquel giornodon Blasco non ebbe più pace. A lui come a luiche l'eredità andasse spartita in un modo piuttosto che in unaltroimportava meno d'un fico secco; ma fin da quando egli eraentrato al conventonon avendo più affari proprila suacostante preoccupazione era stata di ficcare il naso in quelli deglialtri.

Ragazzoegli aveva visto i bei tempi di casa Uzedaquando suo padreilprincipe Giacomo xiiispendeva e spandeva regalmentecon venticavalli in istallauno sciame di servitori e un'intera corte dilavapiatti che prendevano posto alla tavola imbandita giorno e notte.Allorail futuro Cassinese non aveva udito altri discorsi fuorchéquelli delle straordinarie ricchezze di suo padredei grandi feudiche possedevadelle rendite che riscoteva da mezza Sicilia; eglien'era naturalmente venuta una smania di godimentiun'ingordigiadi piaceri che ancora non sapeva precisare egli stesso; quando un belgiorno fu messo al noviziato di San Nicola e poi costretto apronunziare i voti. Tutte quelle ricchezze erano del fratelloprimogenito: a lui non toccava altro che la dotazione di trentaseionze l'anno indispensabile per entrare nella ricca e nobile badìa!...Si scialavaveramentea San Nicolaforse meglio che in casaFrancalanza. Il conventoimmensosontuosoera agguagliato aipalazzi realia segno che c'eran le catene distese dinanzi alportone; e le rendite di cui godevacirca settantamila onze l'annobastavano appena ad una cinquantina tra monacifratelli e novizi. Mail lauto trattamento e l'allegra vita e la quasi assoluta libertàdi fare quel che gli piacevanon dissiparono dal cuore del monaco ilcruccio per la violenza patita; tanto più che gli altrifratelli cadettiil secondogenito Gaspare duca d'Oragua e lo stessoEugeniorestavano al secolocon pochi quattriniin veritàma con la possibilità di procacciarsene; liberi del tuttoaogni modoe padroni di vestirsi secondo la modanon costretti aportar la tonaca che pesava a don Blasco più che a un servo lalivrea. L'acrimonia del Benedettinoil suo dolore per le perdutericchezzela sua invidia contro i fratelliil suo rancore contro ilpadresi sfogarono quindi con l'esercizio quotidiano d'una censuraacerba e inesorabile su tutta la parentela. Egli ebbe tanto piùcampo di sfogarsi quanto chevenuti i nodi al pettinedistrutta inpoco tempo la fortuna del padreil principino Consalvo vii fuammogliato a quella Teresa Risà che entrò a far dapadrona in casa Uzeda. Secondo le tradizioni di famigliapremendod'assicurare la continuazione del ramo primogenito e piùinquelle speciali circostanzedi ristorare le sconquassate finanze conuna grossa doteConsalvo fu accasato a diciannove anniquando donBlasco non aveva ancora pronunziato i voti; ma fin da quel momento ilnovizio concepì contro la cognata una particolare avversioneche cominciò a manifestarsi più tardiad ogni momentoper tutto ciò che ella fece e che non fece.

Ilbarone di Risà di Niscemipadre della sposaera venuto aCatania dall'interno dell'isola per dar marito alle due uniche suefigliuolealle qualida principiovoleva spartire egualmente lesue grandi ricchezze; ma quando la maggioreTeresafu proposta alprincipe di Mirabellafuturo principe di Francalanzagli Uzeda glifecero intendere chequantunque fallitiessi non avrebbero datoConsalvo vii alla figlia d'un semplice barone contadinose costeinon avesse colmato coi quattrini la distanza che la separava da undiscendente dei Viceré. Tanto il barone che la ragazzariconobbero che questo era giusto; peròdando il padrequattrocentomila onzecioè quasi tutto a Teresa e spogliandola minore Filomena che trovò poi per caso da maritarsi colcavaliere Vita e restò sempre in freddo con la sorellapretesed'accordo con la figliuolache il matrimonio fossecontratto col regime della comunione dei beni e che a lei toccassedirigere la baracca. Aveva quasi trent'annila promessa; dieci piùdi Consalvo viiessendo nata nel 1795e non avendo potuto trovareper molto tempo un partito conveniente; il suo caratteregiàfortes'era inasprito nella lunga attesa del matrimonioe dallagrande ricchezzadalla potenza quasi feudale esercitata dal padrenel paesetto nativo le veniva un bisogno di comandod'autoritàdi supremazia che ella volle esercitare nella sua nuova casa. Ilprincipe Giacomo xiii dovette piegarsi a quelle dure condizioni perevitare il fallimento e la liquidazione; e così tanto suofiglio quanto egli stesso furono costretti a lasciar le redini inmano alla moglie e nuora. Donna Teresa salvò infatti la casama vi esercitò un potere tirannico al quale si piegaronotuttidal primo all'ultimofuorché don Blasco. Senza paurané di Dio né del diavoloil monaco la fece costantebersaglio della sua più violenta opposizione. Se ellarestrinse certe spesela accusò di disonorar la famiglia conla sua tirchieria; se continuò a spendere in altre cose comeprimale rinfacciò di volerla portare all'ultima rovina;ascoltando gli altrui consigliella fu una bestia incapace dipensare col proprio cervello; se fece da sérestò piùbestia di primaaccoppiando la presunzione alla bestialità. Iquattrini che aveva portato in dote che erano? Una miseria! Quandoquella miseria puntellò e fortificò la pericolantebaraccadivenne il prezzo col quale ella comprò il titolo diprincipessa. La sua nobiltà era della quinta bussolanon soloincapace di stare a paragone con quella sublime degli Uzedamaneppur degna d'uno dei loro lavapiattidi quei nobilucci morti difame che vivevano facendo quasi da servitori ai gran signori. Ellanon poté ordinare un abito alla sartané comprare uncappellino o un paio di guantisenza che il monaco criticassel'occasione della spesala qualità dell'oggetto e la sceltadel negozio. Ma don Blasco non risparmiava neppure gli altri parenti;non il padreche aveva prima ingoiato un patrimonio e adesso eraridotto a vivere dell'elemosina della nuoranon il fratello cheaveva lasciato portare i calzoni alla mogliementre egli portavainvece... -"Santaprudenza! santa prudenza! aiutami tu!..."esclamava alloratappandosi violentemente la boccadicendone piùcon quelle reticenze che non con un lungo discorsoconfermando intal modo le ciarle sparse sul conto della cognataspiattellando poiin tutte sillabe il nome che conveniva a costei quandomorti i dueprincipi padre e figlio nello stesso annola principessa restòsolae molto più libera di primache era stata liberissima.

Ellalo lasciava cantare. Le grida del monaco non le potevano impedire difare in tutto e per tutto quel che le pareva e piaceva. E don Blascosi dannava l'animavedendo le sue stravaganze e le sue pazzie. Ilprimogenitoin tutte le case di questo mondoè ilpredilettova bene? Lìinveceera odiato! Chi era ilpreferito? Il terzogenito! Da secoli e secoliil titolo di conte diLumera era appartenutocon tutti gli altrial capo della casa:adessoper puro capriccioper una pazzia furiosatoccava a quelRaimondo che era stato educato come un -"porco"!E il secondogenitoa cui neppure il Re avrebbe potuto togliere ilsuo titolo vitalizio di duca d'Oraguaera invece chiuso a SanNicola!...

Lastoria di don Lodovico rassomigliava molto a quella di don Blascocon questa differenzatuttavia: che mentre don Blasco era cadettodel cadettoLodovico aveva dinanzi a sé soltanto il principee come duca d'Oragua avrebbe potuto sperarese non dalla madrealmeno da qualche zio i quattrini occorrenti a portar con decoro queltitolo. Poiché era inteso che un altro Uzedain questagenerazionedoveva entrare a San Nicolala ragione e la tradizionedesignavano il terzogenitoRaimondo; ma donna Teresaper farpassare la propria volontà su tutte le leggi umane e divineinvertì l'ordine naturalee avendo preso a proteggereRaimondo sopra gli altri fratellilo lasciò al secolofacendolo contee cominciò invece a lavorare perché ilduchino Lodovico sentisse la vocazione. Nessunoquindipotédare al ragazzoin presenza di leiil titolo che gli spettava; findalla puerizia egli fu vestito della nera tonaca benedettina; comebalocchi non ebbe altro che altarinipiccole pissidi e aspersori eogni altra sorta di oggetti sacri. Quando la mamma gli domandava:-"Tuche vuoi divenire?"il bambino fu avvezzo a rispondere: -"Monacodi San Nicola."A questa risposta gli toccavano carezze e promesse di carlinidisvaghidi passeggiate in carrozza; se talvolta egli osavarispondere: -"Nonso..."donna Teresa gli pizzicottava il braccio tanto forte da farlopiangere finché gli strappava la risposta obbligata. Ilconfessore di leifrattantoil Domenicano Padre Camillolavorava aquel risultato educando il ragazzo alla cieca obbedienza clericalemortificandone in ogni modo i sensi e la fantasiadandogli la pauradell'Infernofacendogli intravedere le letizie del Paradiso. Permeglio riuscire nell'intentola principessa non mise presto ilragazzo al noviziato: lo tenne in casa fino ai quindici anni. Erano itempi delle rigide economiedei creditori affollati nelle stanzedell'amministrazionedei debiti estinti a poco a poco; talchédove don Blasco aveva udito parlare continuamente dei tesori che inparte erano colati sotto i suoi propri occhiLodovico non intese senon querimonieminacce di gente che rivoleva il suol'eternoritornello della madre esagerante a bello studio quelle strettezze:-"Siamorovinati! Non c'è come fare! Non ci resterà piùnulla!"E mentre al palazzo Francalanza la principessa lavorava di lesina eprodigava le più efficaci dimostrazioni della miseria in cuierano ridottiraccogliendo fiammiferi spenti per riaccenderlidall'altro caporivendendo le sue vesti smesse prima di farsene unanuova; ella poi descriveva a Lodovico il monastero dei Benedettinicome un luogo di eterna deliziadove la vita passavasenza curedell'oggi e senza paure del domanitra lauti convitisontuosecerimoniegaie conversazioni e scampagnate gioconde. E quandofinalmente Lodovico entrò novizio a San Nicola potériconoscere che la madre aveva detto la veritàperchéil corno dell'abbondanza pareva rovesciarsi continuamente sulmonastero e la vita vi scorreva facile e lieta. Il giovane che uscivadalla ferrea tutela della principessa e del confessoreapprezzavapiù specialmente la libertàla quasi licenza chevedeva regnar nel convento; talché egli si persuase dellaconvenienzastillatagli fin da bambinodi entrare in quell'Ordine.Tuttaviaprima di pronunziare i votiesitò un momentocomprendendo sul punto di compierlo la gravezza del sacrificio chegl'imponevanofatto accorto da don Blasco dei raggiri materni; maoltre che egli non prestava molta fede al monacodel quale conosceval'implacabile criticaquella stessa terribile severità dellamadre alla quale egli era impaziente di sfuggire lo fece rinunziarespaventatoad ogni tentativo di aperta ribellione

Padredon Lodovico s'accorse del giuoco di cui era stato vittima troppotardiquando vide che le miserie lamentate dalla madre eranomentitee che il posto a cui lo avevano costretto a rinunziaretoccava al fratello Raimondo. Ma non era più tempo di tornareindietro: lo scapolare e la cocolla gli sarebbero pesati sulle spallefino alla morte. La ribellionelo sdegno e l'odio scatenatisinell'animo suo furono tanto più violenti di quelli provatidallo zioquanto meno egli era capaceper il lungo abito dellafinzione e della mortificazionedi sfogarsi a parole come donBlasco. Nulla trapelò dei sentimenti che gli ribollivano incuore: egli restò dinanzi alla madre riverente e sommesso comeprimaprodigò dimostrazioni d'affetto veramente fraterno aquel Raimondo che godeva del posto usurpato; confermòcon unavita esemplarela vocazione per lo stato monastico. Mentre donBlascogrossolanoignoranteavido di godimenti materialigozzovigliava coi peggiori monacigiocava al lotto come un disperatoper arricchire e portava tanto di coltello sotto i panni; donLodovicopiù finepiù istruito e soprattutto piùaccortopiù padrone di séfu additato come raroesempio di virtù ascetichecome arca di dottrina teologica.Mentre lo zioper vendicarsi del perduto potere mondanopretendevaspadroneggiare nel conventovociando contro l'Abate e il Priore e iDecani e i Celleraribestemmiando San Nicola e San Benedetto e tuttii loro celesti compagniil nipote parve mettere ogni cura nel farsida partenon nutrire altra ambizione fuorché quella distudiare... In cuor suo egli smaniava di prender la rivincita. Poichési trovava per sempre chiuso là dentrovoleva arrivareprestoprima d'ogni altroai gradi supremi. Ai Benedettiniinfattic'era un regno da conquistare: l'Abate era una potenzaaveva non so quanti titoli feudaliun patrimonio favoloso daamministrare: le antiche Costituzioni di Sicilia gli davano ildiritto di sedere tra i Pari del Regno! Don Lodovico volle pervenirea quel posto nel più breve tempo possibile; compresa qual erala via da tenerenon se ne discostò d'una linea: nessuno potémai rimproverargli il più piccolo trascorsonessuno lo potémai trascinare nei tanti partiti in cui si dividevano i monaci:appartatoquasi sempre chiuso in bibliotecasi guadagnava simpatiecon l'umiltà del contegnocon l'obbedienza prestata aimaggiori ed anche agli egualicon la stretta osservanza dellaRegolacon la fama di dottrina in brev'ora acquistata. Cosìera stato eletto Decano a ventisette anni; maportato in palma dimano dall'Abate e da quasi tutti i monaciegli si attiròl'odio più acre e violento dello zio. Assetato di poteredonBlasco voleva anch'egli esser Priore ed Abate; ma la vita scandalosail carattere violentol'ignoranza supina gli rendevanose nonimpossibileper lo meno difficilissimo l'appagamento diquell'ambizionetanto che non prima di quarant'anni era statoDecano; veder dunque a quel posto il nipote -"colguscio ancora in... capo"lo fece uscir fuori dalla grazia di Dio. E la lotta tremenda scoppiòalla morte del Priore Raimonei primi di quell'anno 1855. Che unodegli Uzedai cui antenati erano stati tanto benemeriti delconventodovesse occupare la carica vacanteera fuoricontestazione; ma don Blasco pretendeva lui la dignitànécredeva che quel -"gesuita"del nipote potesse sognarsi di contrastargliela: quando seppe chequel -"porco"gli faceva la concorrenza e ardiva mettersi di fronte allo ziomancòpoco non gli pigliasse un accidente. Ciò che gli uscìdi bocca contro Lodovico fu cosa da attirare i fulmini sulla cupoladi San Nicola e da incenerire il convento con tutti i suoi abitanti;il meno che gli disse fu -"ruffianodel Capitolovuotapitali dell'Abate e figlio di non so chi..."Don Lodovico lo lasciò direedificando l'intero monastero conl'umiltà opposta alla violenta aggressione dello zio. Eratroppo sicuro del fatto suo: l'elezione di don Blascoil quale avevaseminato figliuoli in tutto il quartiere e manteneva tre o quattroganzefra cui la famosa Sigaraiaed era tanto ignorante eprepotentegiudicavasi da tutti impossibile: sul nipote aveva ilsolo vantaggio dell'etàma questo non era tale da compensaretutti i suoi enormi difetti. A maggioranza strabocchevole fu elettodon Lodovico; da quel giorno don Blasco diventò una bestiacontro quel -"porcogesuita"e quella -"..."quella -"..."della principessaalla quale fece naturalmente una nuovapiùgraveimperdonabile colpa del calcio assestatogli da quel -"gesuitaporco".

Négli altri nipoti che il monaco adesso difendeva in odio alla mortaeccitandoli a rifiutare il testamentoavevano goduto mai le suebuone grazie. Bastava già che fossero figli di colei ch'egliconsiderava come sua personale nemica; ma poiai suoi occhiavevantorti particolari tutti quantia cominciar da Chiara e da suomarito.

Lagran colpa di quest'ultimo consisteva nell'esser stato scelto dallaprincipessa come genero e d'aver voluto bene a Chiara nonostantel'avversione dimostratagli dalla ragazza; anzi appunto per ciòdon Blasco ci aveva sguazzatopotendo scagliarsi a un tempo controdi lui che voleva -"ficcarsiper forza"in casa Uzedacontro la principessa che voleva -"violentare"la figlia e contro la nipote -"scioccae pazza tanto"da rifiutare un partito -"comequello!..."Resistendo alla madreChiara veramente avrebbe dovuto riscuoter lodie incoraggiamenti dallo zio monaco; ma don Blasco era fatto cosìche quando qualcuno gli dava ragione egli mutava opinione per darglitorto. Il fidanzamento era stato perciò tutt'una guerraviolenta fra cognato e cognatatra zio e nipote ed anche tra madre efigliagiacché la principessa ne aveva fatto anche qui unadelle sue.

Perleicome per tutti i capi delle grandi famigliei figliuolidesiderabili ed amabili non potevano essere se non maschi: le femminenon sapevano far altro che mangiare a ufo e portar via parte dellaroba di casase andavano a marito. Questa idea salicamolto benradicata nel suo cervelloammetteva veramente qualche eccezione —ella stessaper esempio — ma verso la prole era la sola che laguidasse. Fra gli stessi maschituttaviaella non ne avevaconsiderati due egualmente. In vitaaveva quasi odiato ilprimogenito e idolatrato Raimondo; ma l'odiato era l'erede deltitoloil futuro capo della casa; e il preferitononostante ilsacrificio di Lodovicoun semplice cadetto: pertanto ella avevamesso d'accordo il rispetto alla tradizione feudale e lasoddisfazione della sua personale volontà deliberandosenzadirne nulladi dividere le sue ricchezze ai due fratellicioèdefraudando il primogenitoche avrebbe dovuto aver tuttoefavorendo l'altro che non avrebbe dovuto aver nulla. Degli altri dueLodovico era stato quasi soppresso per dar posto a RaimondomentreFerdinando aveva potuto vivere fin ad un certo punto libero e a modosuo. Verso le donneinveceella aveva nutrito un piùprofondo e uniforme sentimento di repulsione e quasi di sprezzolavorando a impedire che -"rubassero"i fratelli. Angiolinala maggioreera stata condannata alla vitaclaustrale fin dalla nascitaper una colpa imperdonabile commessanel venire al mondo. Dopo un anno di matrimoniodonna Teresa eravicina a partorire: aspettava un maschioil primogenitoilprincipino di Mirabellail futuro principe di Francalanza: ella nonsolo l'aspettavama non ammetteva che non venisse. Nacque invece unafemmina: la madre non le perdonò più. Fin da quando latolse dalle fasce la vestì da monachella: la bambina nonparlava ancora che fu portata ogni giorno alla badìa di SanPlacido: a sei anni fu chiusa lì dentro -"pereducazione"a sedici la mite e semplice creaturaignara del mondosoggiogatadalla volontà materna e dagli stessi impenetrabili muri delmonasterosi sentì realmente chiamata a Dio: in tal modo morìAngiolina Uzeda e restò Suor Maria Crocifissa.

Chiaravenuta subito dopo e rimasta in casaaveva provato peggio il rigorematerno; né la principessa l'aveva lasciata al secolo perpaura del biasimo con cui la gente avrebbe considerato il sacrifiziodi due figliole; bensì per esercitare ella stessa sullaragazza una vigilanza e un'autorità più severa e piùforte di quella che la Badessa esercita in una badìa. -"Mada una pazza come mia cognata"soleva dire don Blasco -"eda una bestia come mio fratelloche cosa doveva venir fuori? Unabestiona arcipazzanaturalmente!"E che s'era vistoinfatti? S'era visto che fin a quando la madrel'aveva tenuta in un pugno di ferroquesta figliuola aveva semprechinato il caporispettosa e obbediente; il giorno poi che laprincipessatrovato quello stupido del marchese di Villardita ilquale s'offriva di sposare la giovane per nientes'era persuasa dimaritarlaella aveva detto di nodi nodi no: cose veramentedell'altro mondo!... Il marchesevista la ragazza di tanto in tantosotto lo sciallein chiesase n'era innamoratoe la principessarisolutissima a dargli la figliuolalo aveva ammesso in casa; mascoraggiato dalla fredda accoglienza e dalle ostinate repulse diChiarapersuaso da parenti ed amici che faceva una pazzia a sposarper forza chi non lo volevaegli si sarebbe ritirato in buon ordinese donna Teresache quando pigliava partito neppure il diavolo lafaceva andar indietronon gli avesse ingiunto di rimanere al suoposto. Cosìquand'egli rivedeva la ragazzaseduta in unangoloa capo chinocol fazzoletto in manoaveva voglia dimettersi a piangere anche lui -"quelvitello"diceva don Blasco -"tantotenero di cuore da innamorarsi del faccione lungo di mia nipote!"Chiarainfattinon era una bellezzae la madredapprima perdissuaderla dal matrimoniopoi per indurla ad accettare quelpartitole ripeteva tutti i santi giorni: -"Chenon ti guardi allo specchio? Non vedi quanto sei brutta? Chi vuoi cheti pigli?..."ma Chiaradi rimando: -"Nessunotanto meglio! Se Vostra Eccellenza non voleva maritarmi? Mi lascistare in casa!..."Di prima impressione come tutti gli UzedaChiara non aveva volutosentirne di quel promessoper l'unica e sola ragione che era un pocopingue; mauna volta preso quel partitola cocciutaggineereditaria negli Uzeda molto più che l'impressionabilitàera stata la più potente ragione della resistenza opposta allamadre: fino all'ultimo momentopertinaceostinatainflessibileaveva detto che maimaimai avrebbe sposato quella mezza botteeinutilmente i fratelligli ziiil Padre confessore le avevanospiegato chese non era magroil marchese possedeva un cuor d'oroe che la sposava senza dote pel bene che le volevae che in casa dilui sarebbe stata da regina perché era solo e strariccoe chese lasciavasi sfuggire quel partitola madre poteva tornare allaprima idea di non maritarladi lasciarla invecchiar zitellona: coipiedi al muroella aveva sempre risposto di nodi no e poi di no.La principessa dapprima le aveva tolto la parolapoi l'avevastrapazzata come una servapoi l'aveva chiusa a chiave in uncamerino buiosenza vesticon poco cibo; poi l'aveva cominciata apicchiare con le mani nocchiute che facevano malegiurando dilasciarla morir eticase non si piegava. E al marchese il qualepreso dagli scrupoliveniva a restituirle la sua parola: -"Nossignore"diceva: -"hada sposartiperché così voglio. Se lei è degliUzedaio sono dei Risà! E vedrai che cangerà!..."Ella sapeva com'eran fattitutti quegli Uzeda; quando s'incaponivanoin un'ideaneanche a spaccargli la testa li potevan rimuovere; eranodei Viceréla loro volontà doveva far legge! Ma da ungiorno all'altroquando uno meno se l'aspettavasenza perchécangiavano di botto; dove prima dicevano biancoaffermavano poinero; mentre prima volevano ammazzare una personaquesta diventavapoi il loro migliore amico... Fino all'ultimo momentoChiara nonaveva mutato: dinanzi all'altarecon due campieri a fiancodue facce brigantesche scovate apposta dalla madre per incuterlespaventoera svenutae solo il prete di buona volontà avevaudito il -"";ma il domani delle nozzequando la famiglia andò a far visitaagli sposio non li trovarono abbracciati che si tenevano permano?... -"Coseda far trasecolare!"gridava don Blasco. La gente di servizioi famigliarigli amicischerzarono un pezzo tra loro sul mezzo che il marchese avevaadoperato per addomesticar la moglie: fatto sta che Chiara da quelgiorno fu tutt'una cosa col maritofino al punto che egli non potétardare un quarto d'ora a rincasare senza che ella gli mandassedietro tutta la servitùfino ad essere gelosa dei suoipensieri. E non ebbe piùin tutte le circostanze piccole egrandialtra opinione che quella del marito; prima di dare unarispostase le domandavano qualcosalo interrogava cogli occhiquasi temendo di non dire ciò che egli stesso pensava; il suounico e grande dolore era quello di non avere un figliuolo da luidopo tre anni di matrimoniodopo avere annunziato quattro o cinquevolteper troppa frettala propria gravidanza; ma anche cosìdimostrava il bene che voleva al suo Federico.

Laprincipessa glielo aveva dato per molte ragioni. Prima di tutto leera natadopo i quattro maschiuna terza figliaquindi ella avevaragionato o -"sragionato"a giudizio di don Blascocosì: delle trela prima monacalaseconda a maritol'ultima in casa. Ora il marcheseinnamorato dellaragazzaprometteva non solo di prenderla senza dotema di prestarsianche ad una piccola commedia. Se fermo proposito della madre era chela sostanza della casa non fosse intaccata dalle femmineil suoorgoglio di principessa di Francalanza non poteva consentire che lagente vantasse la generosità del genero nel prendersi Chiarasenza un baioccoquasi togliendola all'ospizio delle trovatelle.Pertantonei capitoli matrimoniali ella aveva costituito alla figliauna rendita di dugent'onze annue: così diceva l'attoregistrato dal notaio Rubino e così sapevano tutti; ma poi ilmarchese le aveva rilasciato un'àpocaaccusando ricevutadell'intero capitale di quattromila onzedelle quali non aveva vistoneppure tre denari!

Oradon Blascoil quale s'era già messo contro al marchese pelmatrimonio con Chiarae contro Chiara per la repentina conversionedall'odio all'amore verso il maritoaveva fatto un torto estremo adentrambi della finzione a cui s'eran prestati per obbedire a quellapazza da legare della cognata. Un altro torto più grossoforse imperdonabileessi avevano commesso non facendo valere i lorodiritti all'eredità paterna. Infattisecondo il Benedettinola casa Uzeda non era interamente distrutta quando c'era entratadonna Teresa; e ad ogni modosiccome le rendite delle proprietàerano state riscosse anche nei tempi peggioribisognava che laprincipessa le conteggiassepotendo dare a bere solo ai gonzi cheesse fossero servite alle spese del mantenimento quotidiano. Avevanoaiutatoinvecea pagare i debiti e a salvar le proprietà;erano quindi confuse nel patrimonio ricostruito e andavano ascritteall'attivo del principe Consalvo vii. Costuida quell'imbecille cheera sempre statoaveva potuto coronare la sua corta e stupida vitacon quel pulcinellesco testamentoimpostogli e dettatogli dallamogliecol quale dichiarando distrutto il suo patrimonio perdisgrazie di famiglia -"lagrazia delle disgrazie!"lasciava ai figli -"cosecose da far recere i cani!..."l'affetto della madre; i figliperòse non erano piùimbecilli del padredovevano chiedere i contifino all'ultimotornese. Il monaco era per questo andato assiduamente dietro ainipotifuorché a Raimondoal quale non rivolgeva la parolada anni ed anni per la ragione che era stato il beniamino dellamadreincitandoli a farsi valere; ma nessunovivendo laprincipessaaveva osato fiatare; ed egli li aveva a malincorposcusatiattesa la soggezione a cui erano stati avvezzi da colei; maquel marchese che le era soltanto generoche non doveva quinditemerlache era stato giuntato una prima volta nell'affare deicapitolifu per don Blasco l'ultimo dei minchioni non risolvendosi aparlar forte; e perché poi? di graziaperché? Perchédichiarava d'aver sposato Chiara pel bene che le volevanon per iquattrini che potevano venirgli!... La collera del monaco fu tale daprocurargli uno stravaso di bile; macol tempoegli s'eraacchetatoaspettando la morte della cognata per riscendere in campo.Crepata costeifinalmentee aperto quel bestiale testamentoilfurioso Cassinese dimenticava adesso le bestialità di Federicoe di Chiara per dar loro un nuovo assaltoper deciderli a muoversi.La mortainvece di dichiarare -"onestamente"quant'era la parte del marito e dividerla -"equamente"a tutti i figlidisponeva invece dell'intero patrimonio come di cosapropria! Non contenta di ciòdefraudava i legittimarifingendo di assegnar loro una quota superiore alla legaledando loroin realtà -"quattrograni"!Chiaraspecialmenteera spogliata -"comein un bosco"giacché il testamento non diceva parola del legato delcanonico Risà. Questo era un altro pasticcio combinato tempoaddietro da donna Teresa. Tra gli altri argomenti per vincere laresistenza di Chiara e indurla al matrimonio col marcheseella avevaricorso a quello dei quattrini eper non sciogliere i cordoni dellapropria borsatirato in ballo un suo zioil canonico Risà diCaltagironeil quale prometteva un legato di cinquemila onze afavore della pronipote se la ragazza avesse sposato il marchese diVillardita. Nell'atto era intervenuta donna Teresa per garantirel'assegnoa condizione che la somma si trovasse realmente nelpatrimonio del canonicoil quale prometteva di lasciare ogni cosa alei. Invecedue anni avanti il canonico era mortodividendo la robatra una sua perpetua e la principessae costei s'era allorarifiutata di riconoscere il patto stabilito: né il marcheseper rispettoper disinteresseaveva pensato di chiedernel'esecuzione. Don Blascoadessopoiché neppure neltestamento la cognata s'era rammentata di quel suo obbligopoichéella aveva combinato -"conarte infernale"anche l'altra gherminella delle quattromila onze che Chiara non avevaricevute e che doveva intanto conferire come se le avesse preseandava tutti i giorni dal marchese per istigarlo contro la morta egli erediincitandolo a reclamare: 1. la divisione legale; 2.l'assegno matrimoniale con tutti gli interessi arretrati; 3. la parteche veniva a Chiara dal padre; 4. il legato del canonico;dimostrandogli in quattro e quattr'otto che non le diecimila onzeassegnate nel testamentoma tre volte tante gliene venivano per lomeno. Il marchesepure ascoltandolochinando il capo a tutto quelche diceva il monacoperché con quel Benedettino benedetto ladiscussione era impossibileesprimeva alla moglie il desiderio dinon dar l'esempio di una lite in famigliad'aspettare quel cheavrebbero fatto gli altri; e Chiara consentiva in queste come intutte le altre opinioni del marito; in cuor suo dava peròragione allo ziovoleva che le attribuissero ciò che letoccavaperchégareggiando d'affetto con Federicole dolevache egli dovesse sostener da solo il peso della casa; ma il marcheseda canto suoprotestava: -"Iot'ho presa per te e non per i tuoi denari! Anche se tu non avessinullanon m'importerebbe... Del restonon vuol dire cherinunzieremo ai nostri diritti. Lasciamo prima fare a Lucrezia e aFerdinando; io non voglio essere il primo a intentare una causa allatua famiglia..."

Queldisinteressequel rispetto da lui dimostrato verso casa Uzedaaccrescevano la devozione e l'ammirazione di Chiarala facevanouniformare ai suoi desideri con tanto maggior zeloquanto chegiusto in quei giornivotatasi per consiglio della Badessa di SanPlacido al miracoloso San Francesco di Paolaella aveva di nuovo lasperanza d'essere incinta. Cosìper difendere il marito daquella mosca cavallina di don Blascoteneva fronte lei stessa alloziogli diceva:

-"Sìva bene; Vostra Eccellenza ha ragioneparla per amor nostro; ma ilrispetto alla volontà di nostra madre..."

-"Tuamadre era una bestia"gridava il monaco -"piùdi te!... Qual è stata la volontà di tua madre? Quelladi rovinarvi tutti per amore di Raimondo e per odio di Giacomo! Pazzatu e lei! Manata di pazzi tutti quanti!..."E montando più in bestia per le moine che marito e moglie sifacevano tutto il giornospecialmente all'ora del desinarequandosi servivano reciprocamente come in piena luna di miele es'imbeccavano al pari di due colombiil monaco scoppiava: -"Ionon so veramente chi è più bestiafra voi due!.."

Tantoche una volta Chiarapresolo a parteprotestò:

-"VostraEccellenza mi dica quel che le piacema non tocchi Federico. Nontollero che se ne parli male"

-"Chetolleri e talleri mi vai contando?"proruppe il monaco di rimando. -"Ocredi che la gente abbia dimenticato che prima non lo volevi neancheper cacio bacato e minacciavi piuttosto di lasciarti morire chesposar quel cocomero?..."

Cosìla nipote voltò le spalle allo zio; questi mandò afarsi friggere la nipote e non mise più piede in casa di leidandosi ad altissima voce del triplice minchione per lo stupidointeresse portato verso quel paio di animali. Ma erano giuramenti damarinaio; egli non poteva rassegnarsi a star zittogli coceva troppoche la volontà della morta si compisse: e alloraaspettandoun'occasione per tornare alla carica contro quelle bestiecominciòa prendersela con Ferdinando.


Aqualunque ora andasse a cercarlolassùalla Pietra dell'Ovolo trovavasempre solocon la pialla o con la sega o con la zappain manointento a lavorar da stipettaio o da giardinierein manichedi camiciacome un operaio o un contadino. Da bambino era statocosìFerdinando: taciturnotimidomezzo selvaggio per lamala grazia con cui lo aveva trattato sua madrecostretto a svagarsida solocome meglio potevapoiché non gli toccava il regalodel più povero balocco. Era cresciuto quasi da séingegnandosi a procacciarsi quel che gli bisognavaa cavarsid'impiccio. Quando gli altri andavano a spassoegli restava in casaa sfasciar scatole di legno o di cartone per farne teatrini oaltarini o casucce che regalava poi a chi glieli chiedevaa Lucreziaspecialmenteper la qualecome per una compagna di destinosentivamolta affezione; e se talvolta lo cercavano perché c'eranvisiteperché qualche parente voleva vederloegli scappavasi rintanava in certi pertugi dove nessuno riusciva a trovarloo sirifugiava nella bottega dell'orologiaiosuo grande amicodal qualefacevasi insegnar l'arte. Un giornoper San Ferdinandodon ConoCanalà gli regalò il Robinson Crusoe; egli lodivorò da cima a fondo e restò sbalordito dalla letturacome da una rivelazione. Da quel momento la sua selvatichezzas'accrebbe; il suo unico e costante desiderio fu quello di naufragarein un'isola deserta e di provveder da sé al propriosostentamento. Cominciò allora a fare esperimenti di colturanel giardino e nella terrazza del palazzoe gli venne il gusto dellacampagnache la principessa assecondò. Gli aveva messo ilsoprannome di Babbeo per quelle sue sciocche manìe; macomprendendo che favorivano i propri piani gli abbandonòallaPietra dell'Ovoprima la brulla chiusa delle ginestre e deifichi d'Indiapoi col tempomaturando il suo piano della generalespogliazione a favore del primogenito e di Raimondotutto il poderestipulando però un contratto in piena regolacol quale ilfigliuolo obbligavasi di pagarle cinquecent'onze l'anno sui fruttidel fondorestando a lui tutto il di più. Il contratto perdonna Teresa fu un affare: innanzi tutto ella risparmiò letrentasei onze annue del fattoregiacché Ferdinando andòsubito subito a stabilirsi lì per coltivare da sél'isola che aveva acquistata; e poi assicurossi una rendita che ilpodere non dava. Il Babbeo faceva assegnamento sulle bonifiche perpagare le cinquecent'onze alla madre e restar padrone dell'avanzo;infattiappena entrato in possessocominciò a dissodareascavar pozzia strappar mandorli per piantar limonia sbarbicar lavigna per ripiantarci i mandorlia sbizzarrirsi in una parola comeaveva sognato. Il suo piacereveramentesarebbe stato piùgrande se avesse potuto far tutto da solo; ma costretto a chiamarzappatori e giardinieriegli stesso lavorava con loroa strapparerbaccea portar via corbelli di sassia rimondar alberifacendoanche da falegnameda muratore e da decoratoreperché unadelle sue prime occupazioni era stata quella d'ingrandire edabbellire la vecchia casa del fattore. Egli era felice facendo lavita dell'eroe che gli aveva acceso la fantasiacome se veramentefosse in un'isola desertaa mille miglia dal mondo. Dormiva soprauna specie di cuccetta da marinaiocostruiva da sé tavole eseggiolee la casa pareva un arsenale dalla tanta roba che v'erasparsa; seghepialletrapanipuleggezappepicconi; e poi unassortimento di assi e di travie sacchi di farina per fare il paneprovviste di polvereuna scansìa di libritutta la roba cheun naufrago può salvare dalla nave prima che questa si sfasci.

Findal primo annoperòegli non aveva potuto pagare interamentela rendita promessa alla madre; restò a dargliene una buonametà che la principessa notò regolarmente a suo debito.Poia furia di mutar colturedi porre in atto le novità dicui udiva parlare o che leggeva nei trattati d'agricoltura o chespeculava da séil frutto del podere gli si venne sempre piùassottigliando tra mano. Colpa dei mercenaridicevache noneseguivano bene i suoi ordinio dello scombussolamento dellestagioni; ma la madre lo canzonavaa postaper incaponirlo inquella sua manìae vi riesciva a meraviglia. E il fruttodelle Ghiande scemava sempre piùnon arrivava neppure allecent'onzenonostante che ad esclusione degli strumenti e di qualchelibro egli non spendesse nulla per sé e mangiasse frugalmentei prodotti dell'orto e della caccia e le rare volte che compariva alpalazzo scandalizzasse perfino i servitanto era stracciato e unto egoffo nei panni vecchi di anni ed anni. Ma la principessaderidendololo lasciava faree segnava una dopo l'altra nel librodell'avere tutte le somme che ogni anno egli le dava in meno. Esseformavano già un discreto capitale che il Babbeo non sapevadove prendere; il suo continuo timore era perciò che la madrestanca di non vedersi pagatagli togliesse di mano il podere; einfatti la principessa più d'una volta lo aveva minacciato diquesto. Il colpo maestro di costeinel testamentofu dunquel'assegnazione delle Ghiande a Ferdinando. Per lui quella proprietàvaleva più d'un feudo; a scambiarla per tutta l'ereditàdei fratelli maggiori temeva di rimetterci. Come se non bastassec'era anche il condono degli arretrati che sommavano ormai a mille ecinquecento onze; talchéal colmo della soddisfazioneeglisi credette trattato benissimooltre ogni speranzae a don Blascoil quale gli si metteva alle costole per indurlo a ribellarsi:

-"Come?"dicevacandidamentelasciando di piallare o di rimondare. -"Nonè abbastanza quello che ho avuto?"

-"Mati tocca il triploper lo meno! Sei stato truffato con tutti glialtri! Ti toccain rate eguali con tutti gli altrila parte di tuopadreche è il momento di rivendicare! E non sai che Giacomonon ti mandò neppure a chiamareil giorno della morte di tuamadre?"

-"Nonè possibile!"rispondeva Ferdinandoscandalizzato. -"Eperchépoi?"

-"Perfar sparire carte e valori! Scappò lassùsi mise arovistolare tutta la villa: le cose si risanno! E poi ha fatto lacommedia dei suggelli. Te ne accorgerai all'atto dell'inventarioanima vergine!"

Ilmonaco smaniava dall'impazienza per quest'inventario; ma il principeinvece pareva non avere fretta di conoscere quel che c'era in casanon parlava d'affari a nessuno dei fratelli e delle sorelleneppureal coerede Raimondoil quale da parte sua pensava a tuttofuorchéa chiedergliene conto. Nonostante il luttostava sempre fuori casaal Casino dei Nobilia ragionar di Firenze coi vecchi amicia farla sua partita o a giudicare gli equipaggi che sfilavano nell'ora delpasseggio. E don Blasco intronava le orecchie di Ferdinando diinvettive contro il fratello. Era -"unoscandalouna mancanza di rispetto alla morta calda ancora"la condotta di quello scapestrato che badava unicamente a spassarsiche non era venuto a -"chiudergli occhi alla madre"neppure per amor dei quattrini che ella gli voleva dare brevimanu -"rubandoliagli altri!..."Ora il giorno checominciato finalmente l'inventariorisultòche in cassa c'erano soltanto cinque onze e due tarì dicontantie un titolo di rendita di cento ducatiil monaco corsealle Ghiande come impazzito.

-"Haivisto? Hai visto? Hai visto?... Che ti dicevo? Cinque onze! Tua madrenon ne teneva mai meno di mille! E la renditala rendita! Fino acinquemila ducati li sapevo io!... Capisci adesso! Hai visto comev'ha rubati il suo caro fratello? Quel ladro del signor Marco gli hatenuto il sacco! Rubati! Rubati! Se non gridatese non vi fatesentiresiete degni che vi sputino in viso."

Nonla finiva piùdimostrando al nipoteintontito dalle gridala nuova magagna. Perché maidunqueGiacomo lasciava al suoposto il signor Marcomentre aveva già cacciato via tutti iservi protetti dalla madreil cocchiere maggioreil cuocotutticoloro ai quali ella aveva lasciato qualcosa? Quel -"porco"del signor Marcol'-"animadannata"della defuntaavrebbe dovuto esser preso -"acalci nel preterito"appena la sua protettrice aveva chiuso gli occhi; invece perchémaidopo due mesiera ancora in servizio? Appunto perchéappena morta la padrona anticas'era buttato -"vigliaccamente"ai piedi del padrone nuovogli aveva consegnato ogni cosagli avevalasciato -"rubare"i valori che andavano -"atutti"o per lo meno -"alcoerede!..."

Equella bestia di Ferdinando che faceva l'ingenuoche non volevacredere a tante porcherie e si dichiarava grato alla madre pelcondono delle mille e cinquecent'onze! Quasi che quello strozzatocontratto tra madre e figlio non fosse stato immoralequasi che laprincipessa non avesse a bella posta stabilito un canone superiore alfrutto del podere per meglio impaniar quell'allocco!... Tuttaviaafuria di predicargli che gli toccava di piùche avrebbepotuto essere ricco più del doppiopiù del triploilmonaco sarebbe forse riuscito a scuotere il nipote secome parlandomale del marito a Chiaranon avesse commesso anche con Ferdinandouna grave imprudenza. Rifiutando il testamentochiedendo ladivisione legaleFerdinando temeva che le Ghiande andassero in manoad altrio cheper lo menoegli dovesse spartirle coi fratelli;don Blascoche gli dimostrava la possibilità di tenerle tutteper séun giorno gli cantò:

-"Efinalmente se perderai questo fondone acquisterai in cambio unaltro che varrà centomila volte più!..."

-"Eccellenzano"rispose Ferdinando; -"comequesto non ce n'è altri in casa nostra..."

-"LeGhiande?"scoppiò allora il monaco. -"Unaterra che si chiamava le Ghiande? Buona veramente a buttarci unamandra di maiali? E che ci vengonofuorché le ghiande? Oraspecialmente che hai finito di rovinarla con le tue speculazionipazzesche?"

Ferdinandoa sentirsi così buttar giù la terra e l'opera propriaammutolì e arrossì come un pomodoro; poiricuperata lavocedichiarò:

-"Eccellenzasa come dice il proverbio? Ne sa più un pazzo in casa propriache un savio nell'altrui!"

Allorail monacoeruttata una buona quantità di male parole controquel malcreatonon rifece più la via del suo -"porcile"e si ridusse a porre l'assedio intorno a Lucrezia. L'aveva serbataper l'ultimapoichése nutriva un'antipatia istintiva controtutti i nipotiera specialmente furioso contro questa qui.

ComeChiara e FerdinandoLucrezia non ricordava una carezza della madre;ma dove Chiara aveva avuto da principio agli occhi del monaco ilmerito relativo della resistenza opposta alla principessa nell'affaredel matrimonioe Ferdinando quello d'essere andato via di casalanipote più piccola non aveva altro che tortiuno piùcapitale dell'altro. Sotto la sferza di donna Teresatrattata conparticolare durezza per esser nata quando costei non aspettava piùaltri figliconsiderata come un'intrusa venuta a rubare parte dellaroba già destinata ai due maschiLucrezia era cresciuta come-"unamarmotta"diceva il Benedettino: tardataciturnaselvatica come Ferdinandoesempre così distratta che le sue risposte erano oggetto dirisa per tutti fuorché per lo zio Blasco che se la mangiavaviva.

Asservendoe maltrattando la figliala principessa non dimenticava tuttavia loscopo principale da raggiungere: cioè di lasciarla zitellonain casa. Perciò ella dimostrava assiduamentequotidianamentea Lucrezia che il matrimonio non era fatto per lei; prima di tuttoper la cattiva salute — e invece la ragazza stava benissimo; poiperché così voleva il bene della casa — e leadditava l'esempio di donna Ferdinanda; poi perchésenzaquattrininon avrebbe potuto mai trovare un partito conveniente —e l'eccezione del marchese Federico confermava la regola; efinalmente perchéquasi tutto questo non bastasseera anchebrutta — e qui diceva la verità. Quando la vedeva allospecchioo le rare volte che la ragazza assisteva alle visite chevenivano per la madrecostei esclamava: -"Macome sei bruttafiglia mia!... Che disgrazia avere una figlia cosìbruttaè vero?"L'argomento più persuasivo era nondimeno quello della povertà:la roba apparteneva -"aimaschi";quando i fattori le portavano sacchi di quattriniella diceva aLucrezia: -"Vediquesti? Sono tutti dei maschi..."e se la ragazza alzava gli occhi alle mappe dei feudi appese nelleanticamerela madre ripeteva: -"Cheguardi? Sono le proprietà dei maschi!"Quando il discorsopresente la figliacadeva sui matrimonidonnaTeresa ammoniva: -"Diche parlate dinanzi alle ragazze?"e a quattr'occhi le diceva che pensare al matrimonio era peccatomortaleda confessarsene: e il confessorePadre Camilloconfermavain queste idee Lucrezia; poi la principessa ricominciavafino allasazietà: -"Tudel resto non hai nientedevi restare in casa per forza: chi tivorrà sposare senza denari?"Quanto a Chiaraera stata un'altra cosa: si era trovato uno che laprendeva con la sola camiciaperché la sapeva saviatimoratadi Dioobbediente alla madre. E addolcendo la pillolalaprincipessa si lasciava scappare di tanto in tanto: -"Seanche tu sarai come tua sorellapoi ti compenseròaltrimenti."

Cosìera cresciuta Lucrezia: costantemente mortificata e umiliatasegregata dal mondo più che nella badìainvisa aifratelli maggiori ed agli stessi ziitiranneggiata un poco anche daChiara che per avere cinque anni più di lei faceva la grande;unicamente voluta bene e protetta da Ferdinandocol carattere delquale s'accordava molto il suo. Il Babbeo aveva già da badarea se stessonon godendo troppe grazie in famiglia; ma dimostravacome poteva a Lucrezia il bene che le voleva. Maggiore appena d'unannoegli giocò con leile diede i balocchi da lui stessocostruiti; più tardiquando egli ebbe qualche nozione diletterequando apprese da sé a disegnarea far minutilavoruccicomunicò la sua scienza alla sorella per la qualenon si faceva la spesa d'un maestro. Del resto la compagnia e laprotezione di Ferdinando non fu la sola di cui godé Lucrezia:ella ebbe anche quella di donna Vannauna delle cameriere; e laprincipessasempre all'ertanon vide il pericolo che correva daquesta parte.

Laservitùin casa Francalanzaera pagata poco e avvezza atremare dinanzi alla padrona; nondimeno raramente qualcuno andava viase non era congedatoperché tutti trovavano il mezzo dirifarsi moralmente e materialmente del cattivo trattamento. Il mezzoconsisteva nel parteggiare segretamente per qualcuno dei figli o deicognati contro la padronanel fomentare le ribellioninel far laspia: per questo v'erano altrettanti partitinel cortilequanteteste presumevanosu nel palazzodi fare a modo proprio. DonnaVanna era dunque del partito delle -"signorine":come dapprima aveva incoraggiato la disperata resistenza di Chiara almatrimonio impostolecosì più tardi venne narrando aLucrezia la storia della sorella per dimostrarle le durezze e lestrambità della madre; e le mise in testa che anche lei dovevamaritarsie le diede la coscienza dei suoi diritti e delle suequalità. Non era vero che ella fosse povera: la principessapoteva disporre solamente della metà della propria sostanza:l'altra metà andava egualmente divisa fra tutti i figli: -"S'hada fare così per forzaperché è scritto nellalegge: perciò questa parte si chiama legittima..."E Lucrezia l'ascoltava a bocca apertacercando di comprendere. Ellacomprendeva più facilmente le adulazioni della cameriera chetrovava recondite bellezze nella persona della padroncinaquando lavestiva o la pettinava: -"Com'èben formata Vostra Eccellenza!... Sembra una palma!... E questetrecce! Corde di bastimento!"Poi concludeva: -"Hada trovarsi uno che se la godrà!..."

Cosìaccadde chequando i Giulente vennero a star di casa dirimpetto alpalazzo dei Francalanzadonna Vanna disse alla signorina: -"VostraEccellenza ha visto il signorino Benedetto? Guardi che bel ragazzo!"Ella si mise a osservarlo dalla finestrae fu del parere dellacameriera. -"VostraEccellenza non s'è accorta come la guarda?"Lucrezia si fece rossa più d'un papaveroe da quel giorno isuoi occhi andarono spesso al balcone del giovanotto. Peròfinché la principessa ebbe buona salutela cosa non uscìda questi termini e nessuno la sospettò. Un brutto giornodonna Teresagià malandatasi svegliò con undoloretto al fiancodel quale sulle prime non si curòma cheun anno dopo doveva condurla al sepolcro. Quando la malattia dellapadrona aggravossie specialmente quandoper mutar d'ariaella sene andò al Belvederesolagiacché Raimondoilbeniaminostava a Firenze e gli altri figliuoli erano qual piùqual meno tutti aborritiallorapiù liberadonna Vannafavorì meglio l'amore della signorina; parlò algiovanottoportò da una parte all'altra dapprima salutipoiambasciate e finalmente biglietti. In famiglia se ne accorseroetutti si scatenarono contro Lucrezia.

IGiulentevenuti circa un secolo addietro a Catania da Siracusaappartenevano a una casta equivocanon più -"mezzoceto"cioè borghesiama non ancora nobiltà vera e propria.Nobili si credevano e si vantavano; ma questa loro persuasione nonriuscivano a trasfondere negli altri. Da parecchie generazionis'erano venuti imparentando con famiglie della vera -"mastraantica"ma avevano dovuto scegliere quelle ridotte a corto di quattriniperché una ragazza nobile e ricca ad un tempo non avrebbe maisposato un Giulente. Per giocare a pari coi baroni autentici avevanoadottato tutti gli usi baronali: uno solo tra loroil primogenitopoteva prender moglie; gli altri dovevano restar scapoli.L'abolizione del fedecommesso li aveva rallegratipoiché incasa loro non c'era: istituito il maiorascoavevano tentato diottenerlosenza riuscirvi. Nondimeno tutto era andato egualmente alprimogenito: don Paoloil padre di Benedettoera ricchissimomentre don Lorenzo non possedeva un baiocco: per questoforsetrescava coi rivoluzionari. Benedettoun po' per l'esempio dellozioun po' pel soffio dei nuovi tempifaceva anch'egli il liberale;teneva moltissimo alla sua nascitama combattendo la bigotteriadella nobiltà — quando la volpe non arriva all'uva!gridava la zitellona — e per questi suoi sentimentiquantunquetutta la sostanza del padre dovesse un giorno spettarglistudiavaper prendere la laurea d'avvocato. Quindi l'ira di don Blasco controla nipote che s'arrischiava di fare all'amore senza chieder permessoa lui; e con chi? Con un Giulenteun liberaleun avvocato!

Oradopo la lettura del testamentodopo le difficoltà opposte daChiaradal marchese e da Ferdinando alle sue sobillazioniil monacosi rivolse a Lucrezia. Aveva maggiore speranza di riuscire con leipoichéper l'amore di Giulenteella aveva interesse aribellarsi alla famiglia; è vero che gli toccava pel momentosecondare o per lo meno fingere d'ignorare l'amoretto della nipote;ma pur di complottare e di metter zeppe e di farsi valeredon Blascopassava sopra a maggiori difficoltà. Egli cominciòdunque a dimostrare a Lucrezia il torto ricevutole ragioni daaddurreil furto di Giacomo appena morta la madre; e le rifece iconti e la stimolò a mettersi d'accordo con Ferdinandosull'animo del quale ella sola potevaper contrastar poiunitialfratello maggiore.

Lucreziache all'opposizione dei parenti s'era impennatacome ogni Uzedadinanzi alla contraddizioneed aveva giurato a donna Vanna cheavrebbe sposato Giulente a qualunque costo; udendo adesso il monacoparlarle dei suoi dirittidimostrarle che ella era più riccadi quanto credevaistigarla a far valere la propria volontàgli dava ascoltodiffidentetuttaviasospettosa di qualcheraggiro. La notte prendeva consigli dalla cameriera; e poichédonna Vanna la confortava a seguire il monacoella riconoscevasìche sua madre l'aveva messa in mezzocome tutti gli altriaprofitto di due solie chinava il capo agli argomenti che don Blascole ripeteva; ma sul punto d'impegnarsi a dire il fatto suo a Giacomola paura l'arretrava. Era cresciuta con l'idea che egli fosse d'unapasta diversad'una natura più fine; mentre tutti i fratellie le sorelle si davano del tu fra loroal primogenito toccava delvoi; e il principe che l'aveva sempre tenuta a distanzaguardandolad'alto in bassoadessodopo la lettura del testamentomostravasiancora più chiuso con tuttima specialmente con lei.Preparata a sostener la lotta per amore di Giulenteella volevariserbare le sue forze pel momento buononon sciuparle per uno scopoche le pareva secondario. Benedetto le aveva fatto sapere cheappenalaureatovoleva dire fra un paio di anniavrebbe chiesto la suamano; e che il duca d'Oraguatanto amico di suo zio Lorenzoliavrebbe sicuramente sostenuti; ma che frattanto bisognava averpazienza e prudenzastudiare di non accrescere l'animositàdegli Uzeda. Consultato intorno alla quistione del testamentoegliconfermava il consiglio di non far nulla contro il principe; parteper le ragioni anticheparte per non parere ingordo della maggioredote di lei. -"VedeVostra Eccellenza?"commentava la camerieraudendo queste lettere che la padroncina lecomunicava. -"VedeVostra Eccellenza quant'è buono? Vuol bene a VostraEccellenzanon ai quattrini! Un altro che avesse uccellato alladoteche cosa avrebbe risposto? "Facciamola lite!""Egli era veramente un buon giovanestudiosoun po' esaltatoinfiammato dalle dottrine liberali dello ziobruciante d'amore perl'Italia: scrivendo alla ragazza le diceva che le sue passioni eranotre: leila madre e la patria che bisognava redimere.

Cosìanche Lucreziadopo aver dato ascolto alle istigazioni di donBlasconon faceva nulla di quel che voleva lo zio: anziuna voltache costui fu più insistenteella rispose:

-"Perchénon parla Vostra Eccellenza con Giacomo?"

Ilmonacoa quest'uscitadiventò paonazzo e parve sul punto disoffocare.

-"Hoda parlar ioahbestia? ahbestiona? Vi piacerebbebestioniprender la castagna con la zampa del gatto? Ahvolevate che parlassiio!... E che cavolo vi pare che me n'importiin fin dei contise vispogliase vi mangia tutti quantibrancata di pazzidi gesuiti ed'imbecillioh?..."


Parlarea Giacomoprendere le parti di quei nipoti contro quell'altroeraveramente impossibile a don Blasco. Egli si sarebbe cosìimpegnato definitivamenteavrebbe preso realmente un partitononavrebbe potuto più dar torto a chi prima aveva dato ragioneeviceversa; e questo era per lui un bisogno. Così per esempioil principesolo fra tutta la -"malarazza"(come il Benedettino chiamava i suoi nei momenti d'esasperazionecioè quasi sempre)gli era stato dinanzi obbediente esommessogli aveva dato ragione nella lotta contro la principessa;ora don Blascoin cambiogli rivoltava i fratelli e le sorelle. Mail monaco non credeva di far malecosì; scettico ediffidentesapeva che Giacomo s'era messo con lui non già peraffezione o per rispettoma per semplice tornaconto.

Ilprincipe Giacomoinfattiaveva obbedito a sue proprie ragioni.Quasi non potesse perdonargli di non esser venuto a tempoquand'ellal'aspettava e lo volevala principessa non aveva fatto festa alprimogenito dei maschiil quale aveva anche messo in pericolonascendola vita di lei. Invece di volergli tanto più benequanto più lo aveva desiderato e quanto più le costavadonna Teresa gliene aveva voluto tanto meno. Alla nascita di Lodovicoera rimasta ancora indifferente e crucciata; le sue viscere maternes'erano improvvisamente commosse per Raimondo. Cosìmentretutti gli altri parenti che non eran -"pazzi"come leio che eran pazzi altrimentiavevano dato a Giacomo l'ideache egli fosse da più di tutti come primogenitocome erededel titolola principessa aveva riposto tutto il suo affettounaffetto ciecoesclusivoirragionevolesopra Raimondo. E laprotezione della madre era molto più efficace di quella delpadre e degli zii; perchémentre costoro davano a Giacomoavido di quattriniingordo d'autoritàsoltanto vane paroleRaimondo era colmato di regaliotteneva ragione su tuttifacevalegge dei propri capricci. Così cominciarono le risse tra idue fratellie Raimondopiù piccolone toccò; maquando la principessa si vide dinanzi in lacrime il suo protettoGiacomo assaggiò le terribili mani di lei che lasciavano ilividi dove cadevano. Il ragazzo s'ostinò un pezzofino amutar la freddezza della madre in odio deciso; poiaccortosi disbagliar viamutò tatticadivenne infintofece da spia adon Blascogustò il piacere della vendetta nel vedereRaimondo picchiato dal monaco in odio alla cognata. Ma furonosoddisfazioni mediocri e di corta durata: con gli anni la principessachiuse a San Nicola il secondogenitodiede a Raimondo il titolo diconte; avaraanzi spilorcialargheggiò soltanto colbeniamino; Giacomo non ebbe mai un baioccoe i suoi abiti cadevano abrandelli quando l'altro pareva un figurino. Se Raimondo esprimevaun'opinionesubito era secondatoo per lo meno non deriso; Giacomonon potè disporre di nulla. Uno dei suoi più lunghidesideri era stato quello di far atto di padronein casariadattando a modo suo il palazzo: la madre non gli permise dimuovere una seggiola. Ella stessa aveva lavorato a mutarl'architettura dell'edificioil quale pareva composto di quattro ocinque diversi pezzi di fabbrica messi insiemepoiché ognunodegli antenati s'era sbizzarrito a chiuder qui finestre per forarepiù là balconia innalzare piani da una parte persmantellarli dall'altraa mutarea pezzo a pezzola tintadell'intonaco e il disegno del cornicione. Dentroil disordine eramaggiore: porte muratescale che non portavano a nessuna partestanze divise in due da tramezzimuri buttati a terra per fare didue stanze una: i -"pazzi"come don Blasco chiamava anche i suoi maggioriavevano uno dopol'altro fatto e disfatto a modo loro. Il più granderimescolamento era stato quello operato da suo padreil principeGiacomo xiiiquando costui non sapeva come buttar via i quattrini; equella -"testadi zucca"di donna Teresainvece di pensare all'economianon s'era divertitaa sciuparne degli altri in altre bislacche novità?... Giacomovoleva anch'egli ritoccare la pianta della casama la madre non glilasciò neanche attaccare un chiodo; e il Benedettino andava inbestia specialmente per questo; che il figliuolo sempre contrariatoera tutto sua madre: autoritariocupidoduroalmanacchista comelei; mentre quella papera preferiva Raimondo che non conosceva ilvalore del denarosperperava tutto quel che avevanon s'intendevad'affariamava e cercava unicamente gli svaghi e i piaceri!... I duefratelliquantunque avessero la stess'aria di famiglianon sirassomigliavano neppure fisicamente: Raimondo era bellissimoGiacomopiù che brutto. Nella Galleria dei ritratti si potevanoriscontrare i due tipi. Tra i progenitori più lontani c'eraquella mescolanza di forza e di grazia che formava la bellezza delcontino; a poco a pococol passare dei secolii lineamenticominciavano ad alterarsii volti s'allungavanoi nasi sporgevanoil colorito diveniva più oscuro; un'estrema pinguedine comequella di don Blascoo un'estrema magrezza come quella di donEugeniodeturpava i personaggi. Fra le donne l'alterazione era piùmanifesta: Chiara e Lucreziaquantunque fresche e giovani entrambeerano disavvenentiquasi non parevano donne; la zia Ferdinandasotto panni mascolinisarebbe parsa qualcosa di mezzo tra l'usuraioe il sagrestano; ed altrettante figure maschilmente dure spiccavanofra i ritratti femminili di più fresca data; mentrenegliantichile strane acconciature e gli stravaganti costumiglistrozzanti collari alla fiamminga che mettevano le teste come sopraun bacinole vesti abbondanti che chiudevano il corpo come scagliedi testugginenon riuscivano a nascondere la sveltezza elegantedelle forme né ad alterare la purezza fine dei lineamenti.Tratto trattofra le generazioni più vicinein mezzo allefigure imbastarditese ne vedeva tuttavia qualcuna che rammentava leprimitive; cosìper una specie di reviviscenza delle vecchiecellule del nobile sangueRaimondo rassomigliava al più purotipo antico. Ridevano gli occhi alla principessaquando lo vedevagrazioso ed eleganteguidaremontare a cavallotirare di scherma;al primogenito invece dava altrettanti soprannomi quanti difettitrovava nella sua persona: l'Orso che ballaper lagoffaggine; Pulcinellaper il lungo naso; il Nanoperla corta statura.

Cosìl'astio di Giacomo contro la madre e il fratello si manteneva semprevivo; esso crebbe a dismisura quando donna Teresa colmò lostaiodando moglie a Raimondo. La tradizione di famigliamantenutafino al 1812 dall'istituzione del fedecommessostabiliva che nessunofuorché il primogenito prendesse moglie; e infattinellagenerazione precedentené il duca né don Eugenios'erano accasati; ma la principessacome sempres'infischiòdelle regole e pensò di trovare un partito a Raimondo primaancora che a Giacomo. Morendo lei e lasciando ad entrambi la suasostanzala condizione dei due fratelli sarebbe stata eguale; ma invitanon volendo ella spogliarsi di nullaGiacomoche dovevanecessariamente ammogliarsi per tramandare il principatosi sarebbearricchito con la dote della mogliementre Raimondorestandoscapolonon avrebbe avuto nulla. Persuasa quindi della necessitàdi dar moglie anche al beniaminoella esitò nondimeno moltotempo prima di attuare la sua risoluzionee non già perchésentisse scrupolo d'infrangere la tradizionedi creare nell'alberogenealogico degli Uzeda un ramo storto che avrebbe fatto concorrenzaal diritto; ma per la stessa passione ispiratale dal giovane:all'idea che un'altra donna gli sarebbe vissuta notte e giorno afiancouna sorda gelosia la struggeva. Per questoil giorno chefinalmente si decisenon soffrì di dargli nessuna delleragazze della città e neppure della provincia; ma cominciòinvece a cercargli un partito a Messinaa Palermopiùlontano ancoranel continentecon certi suoi criteri particolariuno dei quali era che la sposa fosse orfana di madre. Cercòparecchi anni e nessuna la contentò. Alla fineper mezzo d'unmonaco benedettino compagno di don BlascoPadre Dilenna di Milazzofermò la sua scelta sulla figlia del barone Palmicugina delCassinese. Tuttaviaparendo troppo a lei stessa che Raimondoprendesse moglie prima di Giacomoil quale a venticinque anni eraancora scapolocaso unico nella storia della famigliaprovvide adammogliare i due fratelli nello stesso tempoe destinò alprimogenito la figlia del marchese Grazzeri.

Leliti scoppiate in quell'occasione furono straordinarie. Se il rancoredi Giacomo per il matrimonio del fratello divenne più cocentevedendo egli prepararsi accanto alla propria un'altra progenie diUzeda che gli avrebbe sottratto parte delle sue sostanzenon fu menogrande il rancore pel matrimonio suo proprio. Violentoavido e aridocom'eraegli aveva amoreggiato colla cugina Graziellafiglia dellasorella della madree s'era messo in testa di sposarlaquantunquela dote di lei fosse infinitamente più scarsa di quella dellaGrazzeri; ma la principessaun poco appunto per questaconsiderazione della maggiore ricchezzaun poco perché nonera mai andata d'accordo con la sorellaanzi l'aveva sempre tenutalontana da sée soprattutto pel gusto di contrariarel'inclinazione del figliuololo sforzò invece a sposar laGrazzeri.

Giacomonon era più ragazzoda obbedire alla madre per paura dicastighi o di busse; ella aveva però un'arma piùpotente in manoessendo padrona dei quattrini e potendo minacciaredi diseredarlo. -"Neppureun grano!..."gli dicevafreddamentefacendo scattar l'unghia del pollice controi denti; -"nonavrai neppure un grano!..."e la poca simpatia dimostrata a quel figliuolo e la passione perRaimondo e il matrimonio imminente di quest'ultimo confermavano laminacciafacevano sospettare che ella l'avrebbe compiuta. Ilprincipeche fino a quel punto non era riuscito interamente adadottar la politica della finzionedopo quest'ultimo e violentocontrasto le s'inchinòrassegnato e devotole prestòuna obbedienza scrupolosa e cieca anche nelle cose inutili eridicolenon parlò più se non d'amor fraternod'unionedi rispetto ai maggiori. Dentrosi rodeva; ed aspettandodi cogliere il frutto di quella condottaesercitava il propriotirannico impero e faceva pesare il suo cruccio unicamente sullamoglie. Dal primo giorno del matrimonio questa fu trattata peggiod'una serva; non che volontànon poté esprimereneppure opinioni; il principe l'addestrò ad obbedirgli a unsemplice muover di sguardi; quando ella ebbe bisogno di comperare unamatassa di cotone o un palmo di nastrole convenne chiedere a lui ibaiocchi occorrenti — e in dote gli aveva portato centomilaonze. La sua missione fu quella di dare un erede al maritodiperpetuare la razza dei Viceré; compitalaella fu consideratacome una bocca inutilepeggio d'un lavapiatti; perché ilavapiatti facevano almeno la corte alla famigliaall'occorrenzadavano una mano al maestro di casa; mentre donna Margherita nonsapeva far nulla e non pensava ad altro fuorché ad evitarcontatti e vicinanzecon la manìa della nettezza e l'incubodei contagi. Era del resto una creatura mitesenza volontàcera molle che il principe plasmò a suo talento. In odio alfiglionon per amore che le portassela principessa suocera pigliòpiù d'una volta le sue difese; allora ella soffersemaggiormenteperché Giacomoarrendendosi in apparenzalefaceva poi scontare più duramente quella protezione.

Seil matrimonio del principe andò tanto malequello di Raimondoandò molto peggio. Giacomo non voleva la Grazzeriamando lacugina; Raimondo invece non voleva nessunaera deciso a nonammogliarsi. Le moine e le preferenze usategli dalla madre avevanodestato in lui appetiti insaziabili di piaceri e di libertà;ma la protezione della principessa pesava quasi quanto la suaavversionetanto ella era dispotica in tutto. Il suo protetto dovevafare quel che voleva leipagarle con una obbedienza piùrassegnata i privilegi che ella gli accordava; né questiprivilegistraordinari a paragone della soggezione in cui eranotenuti gli altri figlibastavano a Raimondo: svegliavano invece lesue voglie senza arrivare a soddisfarle. A lui soloper esempiotoccavano quattrini da buttar via a suo capriccio; ma la principessadonava per lambicco; e il giovane che spendeva continuamente per gliabitiper le donnee avea fra l'altre la passione del giuocosciupava in una notte quel che la madre gli dava in un anno. Solo aluiancheera stato consentito di arrivare sino a Firenzemaquella rapida corsa. mettendo in corpo al giovanotto la manìadei viaggidei lunghi soggiorni nei paesi più belli e piùricchinon poté esser seguìta da altre Quindibenchétrattati in modo tanto diversoentrambi i fratelli aspettavano coneguale impazienza la morte della madre: Giacomo per esercitare lapropria autorità di capo della casaper vendicarsi deimaltrattamenti soffertiper afferrare la roba; Raimondo per saldarei debiti nascostamente contrattiper buttar via i quattrini nellasoddisfazione delle proprie voglieper appagare il più grandedesiderio che lo struggeva: andar via dalla Siciliaveder Milano eTorinovivere a Firenze o a Parigi.

Alprimo annunzio del matrimonio egli si ribellò dunqueapertamente alla madrepoiché solo fra tutti poteva dirle infaccia: -"Nonvoglio!"Il matrimonio era la catena al collola schiavitùlarinunzia alla vita che egli sognava: a nessun patto potevaaccettarlo. Ma la principessache verso gli altri figli adoperava ipiù acri sarcasmile imposizioni più dure e le minacceestremetenne a lui il linguaggio della persuasione. Voleva eglidivertirsiaver molti quattrini da spenderefar quello che glipiaceva? La dote gli avrebbe subito permesso ogni cosa! Quella gelosache si adattava a dargli moglie per necessitàe non voleva lanuora del paese e gli andava invece a cercare un partito lontanononpoteva ammettere che suo figlio amasse quest'altra donnache lefosse fedeleche le si credesse legato sul serio. -"Stupidoche sei!"gli diceva dunque. -"Sposalaper adesso; poise ti seccala pianterai!"E solamente quel linguaggio e quegli argomenti indussero il giovane adir di sìpersuadendolo che a quel modo egli sarebbe statosubito ricco e si sarebbe nello stesso tempo sottratto all'opprimenteprotezione della madre.

DonBlascoal matrimonio di Giacomoaveva fatto cose dell'altro mondo evomitato gli ultimi vituperi sul nipote che s'era ficcato in testa disposare la cugina Graziellala figlia d'un'altra Risà! esulla cognata che gli dava invece -"perforza"una Grazzeri! Ma a coronare l'opera mancava proprio il matrimonio diRaimondo!... Ammogliare un altro figliuolo? Creare una secondafamiglia? Venir meno alle tradizioni della casa? C'era esempio d'unapazzia più furiosa?... Don Blasco non badava allacontraddizione fra quel rispetto che pretendeva portassero alletradizionied il proprio insaziabile rancore per esser statosacrificato alle tradizioni medesime: pur di fare l'opposizionepurdi sfogarsi in qualche modoegli saltava ostacoli molto piùgrandi. E quel che più specialmente l'offendevanelmatrimonio di Raimondoera la scelta della sposa. Fra tanti partitiche le erano offertiquale aveva preferito sua cognata? Quelloproposto da Padre Dilennanemico personale di don Blasco!

Lassùai Benedettinifra le molte fazioni in cui si dividevano i monacile più accanite eran le politiche: ora don Blasco eraborbonico sfegatato e Padre Dilennaal Quarantottoaveva fattogalloria con gli altri liberali per la cacciata di Ferdinando ii.L'anno dopodon Blasco aveva ottenuto la rivincita; ma Dilenna glifece più tardi mangiar l'aglio quandoin previsione dellavacanza del prioratosostenne Lodovico Uzedamentre don Blasco inpersona aspirava a quell'ufficio! Sceglier dunque per Raimondo lamoglie proposta dal Dilennaanzi la sua propria cuginaeraveramente un po' troppo. Tutte le cose che don Blasco fece e disseal palazzole seggiole che rovesciòi pugni che lasciòcadere sui mobilile male parole e le bestemmie che gli usciron diboccanon si potrebbero ridire; tanto che la principessamentreprima lo aveva lasciato gridareopponendogli una resistenza passivagli spiattellò finalmente sul muso chein casa propriaellaaveva sempre fatto quel che le era piaciuto; e che lo stesso suomarito non s'era mai arrischiato di dirle una parola più forted'un'altra: -"Sapetedunque che c'è? Fatemi il famosissimo piacere di non venircipiù!"Don Blascobotta e risposta: -"Midite voi di non venirci? E non sapete che io vi ho fatto un altissimoonore tutte le volte che sono entrato in questa bottega? E non sapeteche di voi e di tutti i vostri me ne importa meno di quattordici paiadi...? Ma andate un poco a farvi più che... tutti quantisietee maledetti siano i piedi d'asino e di porco che mi ciportarono!"Egli andò poi a dir cosecontro la cognatafra i monaciamicida far cascare il monasteroe non mise piede per piùdi un anno al palazzo struggendosi però di non poter piùgridarecadendone quasi ammalato; talchéalla nascita delprincipino Consalvo viiiquando Giacomotutto spirante pace edamorepropose alla madre ed ottenne che s'invitasse lo zio allafesta del battesimoil Cassinese riapparve in casa della cognataper ricominciaredopo un breve periodo di calma apparentea gridarpeggio di prima.


Laprincipessa aveva dunque sostenutoper accasar Raimondouna lottaora sordaora violenta non solo sul primogenito e con don Blascomacon lo stesso figlio di cui voleva assicurare l'avveniree perfinocon se stessa. Ella ebbe in quell'occasione un altro nemicoe nonmeno terribile: donna Ferdinanda.

Lazitellona contava allora trentotto annima ne dimostrava cinquanta;né in età più fresca aveva mai posseduto legrazie del suo sesso. Destinata a restar nubile per non portar vianulla del patrimonio riserbato al fratello principeella sarebbestata forse rinchiusaper precauzionein un monasterose la suabruttezza e più la naturale sincera avversione allo statomaritale non avessero assicurato i suoi parenti meglio della clausuracontro i pericoli della tentazione. Non era parsa mai donnanédi corpo né d'anima. Quandobambinale sue compagneparlavano di vesti e di svaghiella enumerava i feudi di casaFrancalanza; non comprendeva il valore delle stoffedei nastridegli oggetti di modama sapevacome un sensaleil prezzo deifrumentidei vini e dei legumi; aveva sulla punta delle dita tuttoil complicato sistema di misurazione dei solididei liquidi e dellemonete; sapeva quanti tarìquanti carlini e quanti granientrano in un'onza; in quanti tùmoli si divide una salma difrumento o di terrenoquanti rotoli e quanti coppi formano uncafisso d'olio... A quel modo chefisicamentegli Uzeda sidividevano in due grandi categorie di belli e di brutticosìal morale essi erano o sfrenatamente amanti dei piaceri e dissipatoricome il principe Giacomo xiii e il contino Raimondo; o interessatiavarispilorcicapaci di vender l'anima per un baioccocome ilprincipe Giacomo xiv e donna Ferdinanda. Costei aveva avuto dal padreuna miseriail così detto piattocioè tanto daassicurare il vitto quotidianola magra provvisionedurante ilfedecommessodei cadetti e delle donne. Con quella miseriadonnaFerdinanda aveva giurato d'arrivare alla ricchezza. Tutti i suoipensieri d'ogni giorno e d'ogni notte furono diretti a tradurre inatto il suo sogno. Appena in possesso di quelle miserabilisessant'onze annualiella cominciò a negoziarlea darle inprestito contro pegno od ipotecasecondo la solvibilità deldebitorescontando effetti cambiarifacendo anticipazioni sopravalori o sopra merci: ogni sorta d'operazioni bancarie da ghettopoiché l'esiguità della sua rendita l'obbligava acontrattare con poveri diavoliminuti industrialimercantinicapimastririgattierivinai e perfino coi servi di casa. Ella nontoccava un baiocco del capitalearrischiava solo i frutticioèli raddoppiavali triplicavatanto genio degli affari avevanaturalmentetanto era accortae durainesorabile quando sitrattava di riavere i suoi quattrini e gli interessiche pretendevafin all'ultimo granosorda a preghiere ed a pianti di donne e difanciulli; e più espertapiù cavillosa d'unpatrocinatorese le toccava ricorrere alla giustizia. Tanto eraavaraanche; giacché non spendeva per sé piùdei due tarì al giorno che passava alla principessa in cambiodel vitto e del servizio che questa le assicurava: quantoall'alloggiole avevano lasciato la cameruccia al terzo pianosottoi tettiche aveva occupata da bambinae per vestirsi ricomprava lerobe smesse dalla cognata. Cosìa poco a pocoaveva estesola cerchia dei suoi affari e formato un gruzzoletto che circolava trapersone di maggior levaturanegozianti in grossospeculatoriragguardevoliproprietari in imbarazzo. Allorasecondo che la suasostanza venne crescendonacque una sorda gelosia nell'animo dellaprincipessa e di don Blasco contro la cognata e la sorella. Conmetodi diversidonna Ferdinanda lavorava al conseguimento d'unoscopo simile a quello di donna Teresa. Costei voleva salvare edaccrescere la fortuna degli Uzedaquella aveva l'ambizione dicrearne una di sana pianta. Orapartendo donna Ferdinanda dal nullala sua gloria sarebbe stata maggioreavrebbe offuscato quella didonna Teresa: di qui la sorda antipatia della principessai sarcasmicoi quali punzecchiava l'avarizia della cognata; giacché lapropria era naturalmente legittima ed ammirabile. Quanto a donBlascoil dolore da lui provato nel dover rinunziare al mondos'inacerbiva tutte le volte che qualcuno dei parenti acquistava famapotenza e quattrini: vedendo dunque la sorella far quello che eglistesso avrebbe fattose fosse rimasto al secoloe riuscire oltreogni previsionerapidamenteil sangue gli ribollival'umore glis'inasprival'invidia lo avvelenava. Donna Ferdinanda parveinsensibile ai sarcasmi ed alle asprezze della cognata e delfratello. Le convenivapel momentotaceregiacché era evoleva continuare ad esser ospite della principessafinché ipropri quattrini sarebbero stati tanti da permetterle di avere unacasa propria. Parenti e amici la consigliavano ogni giorno ditogliere quel suo peculio dalla circolazione troppo pericolosadiacquistarne piuttosto solidi immobili; ella scrollava il capoaffermava che i suoi denari non correvano rischio di sortaperchésolo -"chipresta senza pegno perde i denaril'amico e l'ingegno";in realtà ella aspettava d'aver tanto da poter fare una compraragguardevole. Nel '42dieci anni dopo d'essere entrata in possessodel suo magro piattostupì tutta la parentelaacquistando all'asta pubblica per cinquemila onze il fondo delCarrubobel pezzo di terra che ne valeva dieci; fortunatacioèaccorta anche in questo: nell'aver saputo cogliere la magnificaoccasione. Era noto a tutti che possedeva un capitalettonessunoimmaginava che in dieci anni avesse messo insieme una piccolasostanza. Cognata e fratello furono più mordenti di primaspecialmente vedendo che ella non spendeva per sé un carlinodi più: ella lasciò direcontinuando a speculare conle quattrocent'onze di rendita che adesso possedeva. Le facevafruttare quanto più potevanon ne perdeva un granoe quandole cambiali scadevanoil notaioil sensale o il patrocinatorevenivano a portarle il suo avere in tanti bei pezzi di colonnatilucenti e sonanti. Patrocinatorenotaio e sensale erano i suoiamici. Fra la gente che frequentava il palazzo Francalanza ellasceglievaper tirarseli a fiancoi più destrii piùprudentiquelli che avevano come lei l'intelligenza e la passionedegli affaridai quali poteva sperare informazioni e suggerimenti. Eil principe di Roccascianogran signore da quanto gli Uzedama conpochi quattrini che s'era proposto di moltiplicare e che moltiplicavainfattipazientementeprudentementesenza la spilorceria e ledurezze di leiera il suo consigliere preferito. Nel '49quandomeno l'aspettavale si presentò l'occasione di comprar lacasa. Ella aveva dato certe mille onze al cavaliere Calasaroil cuifigliuolocomplicato nella rivoluzioneera stato costretto aprendere le vie dell'esilio. Il padrespogliatosi ed esaurito tuttoil suo credito per non fargli mancare nullanon potéallascadenzasoddisfare donna Ferdinanda. Costeifiutando il ventovolle esser pagata subito subitoe minacciò la espropriazionee lanciò la prima citazione. Il debitore venne a gettarlesi aipiedicon le mani in testaperché gli evitasse l'ultimarovinae le offrìtra le sue proprietàquella chepiù le piaceva. Donna Ferdinanda le buttò per terrapiene com'erano d'iscrizionicapaci di attirarle addosso un diluviodi carta bollatae poiché l'altro insistevae le offriva lacasa netta d'ipotechela zitellona torse il grifodicendo: -"Sene può parlare."Ma ella pretendeva di averla per le sue mille e cent'onzecapitaleinteresse e spesesenza metter fuori un carlino di piùmentre il proprietario la stimava duemila onzeper lo menoepretendeva il resto. La cosa andò a monte; donna Ferdinandaspinse avanti la procedura. L'altrocon l'acqua alla golaspremutodal figliuolo che da Torino chiedeva sempre quattrinivessato dalgoverno per motivo del giovane esiliatochinò finalmente ilcapo. -"Almenofaccia lei le spese dell'atto"le mandò a dire; ma donna Ferdinanda: -"Millee cent'onze: ho una parola sola!"Così ella ebbe la casa. Era piccolanaturalmenteper quelprezzo: due botteghe fiancheggianti il portonee un piano solosopracon un balcone grande e due piccolinella facciata; ma avevaun valore inestimabile agli occhi di donna Ferdinanda; era posta aiCrociferiche era il vecchio quartiere della nobiltàcittadinaed essa stessa era una casa nobileappartenendo da tempoai Calasarosignori della -"mastraantica".

Oltrequella dei quattrinila zitellona aveva infatti la passione dellavanità nobiliare. Tutti gli Uzeda erano gloriosi dellamagnifica origine della loro schiatta; donna Ferdinanda ne eraammalata. Quando ella parlava di -"donRamon de Uzeda y de Zuellosque fue señor de Esterel"e venne di Spagna col Re Pietro d'Aragona a -"fondarsi"in Sicilia; quando enumerava tutti i suoi antenati e discendenti -"promossiai sommi carichi del Regno":don Jaime i -"cheservì al Re don Ferdinandofiglio dell'imperator don Alfonsocontra ai mori di Cordova nel campo di Calatrava";Gagliardetto -"caballerode mucha qualitad";Attardo -"cavalierospiritosoed armigero";il grande Consalvo -"Vicariodella Reina Bianca";il grandissimo Lopez Ximenes -"Vicerédell'invitto Carlo v";allora i suoi occhietti lucevano più dei carlini di nuovoconiole sue guance magre e scialbe s'accendevano. Indifferente atutto fuorché ai suoi quattriniincapace di commoversi perqualunque avvenimento o lieto o tristeella s'appassionavaunicamente alle memorie dei fasti degli antenati. V'era in casaaitempi di suo nonnouna bella libreria; maquando il principeGiacomo xiii cominciò a navigare in cattive acquefu vendutaprima di tutto; ella salvò una copia del famoso MugnòsTeatro genologico di Siciliadove il capitolo -"dellafamiglia de Vzeda"era il più lungooccupando non meno di trenta grandi pagine.E quelle pagine secche e ingialliteesalanti il tanfo delle vecchiecartestampate con caratteri sgraziati ed oscuricon ortografiafantastica; quella enfatica e bolsa prosa siculo-spagnolasecentesca era la sua lettura predilettal'unico pascolo della suaimmaginazione; il suo romanzoil vangelo che le serviva ariconoscere gli eletti tra la turbai veri nobili tra la plebe degliignobili e la -"gramigna"dei nobili falsi. -"Chiaramenteper tutti gli Hifpani genologifti fi fcorgecoi suoi felici fucceffie con le occasioni debbiteqvale vna delle più antiche efublimi famiglie delli regni di Valenza e d'Aragona la famigliaVzedae per tvtto è uolgato effer ella fiffatamentecognominata dal nomedi vna fva terra detta la baronia di Vzedaqvale alcanzò da qvei Rein ricompenfo dei fvoi feruigi etindi coi Trionfi della militia nel Svpremo Cielo delle gloriemilitari peruenne."Questo stile era d'una suprema eleganzad'una straordinariamagnificenza per donna Ferdinandala quale leggeva letteralmenteuolgatoperuenne e faceva già troppopoichéessendo una -"porcheria"per le donne della sua castaal principio del secolosapere dilettereella aveva appreso a legger da sépei bisogni dellesue speculazioni.

Oracon questo infatuamento della zitellona per la propria eccelsaorigine e per l'istituzione della nobiltà in generalelaprincipessa pensò di dar per moglie a Raimondochi? Una Palmidi Milazzola figliuola d'un barone -"dadieci scudi"del quale il Mugnòs non faceva e non poteva fare la piùlontana menzione! Gloriavasiquesto -"barone"Palmidi certi privilegi di centocinquant'anni addietro; ma cheerano centocinquant'anni paragonati ai secoli di nobiltà degliUzeda? Senza contare che di questi privilegi non parlava neppure ilmarchese di Villabiancaautore fiorito nientemeno che un secolo dopoil Mugnòs!... La principessaa cui la nobiltà stava acuorese non quanto a donna Ferdinandacerto moltissimoavevagiudicato invece sufficienti e fors'anche soverchi queicentocinquant'anni dei Palmigiusto perchévolendo che lamoglie del suo Raimondo fosse sottomessa dinanzi al beniamino comeuna schiava dinanzi al padronee che egli potesse trattarla d'altoin basso e farne quel che gli piacevaaveva perfino pensato unmomento di sceglier per lui l'umile figliuola di qualche riccofattore... Il dissidio fu quindi violento. Già donnaFerdinandaacquistato lo stabile dei Calasaroera andata via dalpalazzo Francalanza e aveva messo casacontinuando a squartar lozero ma pagandosi il lusso della carrozza. I legni erano due vecchitrespoli comprati per pochi ducati ma decorati dello stemma di casaUzeda; i cavallidue magre bestie a cui ella dava in pasto un po' dipaglia del Carruboun pugno di crusca e la verdura marcita. Ilcocchiereoltre al servizio della stalla e della scuderiafaceva dacuoco e da staffiere. I sarcasmi della principessa eran divenutipertutto questonaturalmente più aspri; e adesso la zitellonateneva fronte alla cognata. Ricca com'era di quattrini e come sicredeva di sennodonna Ferdinanda pretendeva che le facessero lacorte e la tenessero da conto; mentre primastando insieme coiparentiera rimasta indifferente ai loro affarivoleva oralontanaficcare anche lei il naso in tutte le quistioni di famiglia.Invecela principessa non tollerava né protezione néimposizioni; quindi liti ogni giorno. Da un'altra parte don Blascoesasperato per la fortuna della sorellaperdette il lume degli occhivedendo costei fargli la concorrenza nella sua parte di criticominuto e di giudice infallibile; la zitellonaviceversagli disseil fatto suo per la vita scandalosa che conduceva; e un giornoaproposito d'una certa balia da prendere per il principinosiccome adonna Ferdinanda il latte di costei pareva sospettomentre donBlasco lo dichiarava di prima qualità — le male linguedicevano che aveva ragione di conoscerlo — fratello e sorellavennero quasi alle mani: chetàti a fatica dal nipote Giacomonon si parlarono mai più. Il più strano era chenonparlandosi maievitandosi come la pesteessi soliin quella casavedevano le cose a un modo e in tutto esprimevano eguali opinioni.Come don Blasco aveva gettato fuoco e fiamme contro il matrimonio diRaimondocosì donna Ferdinanda era divenuta una vipera. Nonsolamente quella bestia della cognata proteggeva il terzogenito inodio all'erede del titolonon solamente si metteva sotto i piedi la-"legge"che voleva la continuazione del solo ramo diretto; ma gli dava inmogliechiSignore Iddio? Una Palmi di Milazzo!... Palmi? DonnaFerdinanda non la chiamò mai con questo nome; ma ora Palmaora Palmoe le diede come arma parlante ora la mezza cannache conta appunto quattro palmicon la quale i rivendugliolimisurano la cotonina; ora due palme di piediche tra quella gentedovevano esser villosida quei contadini che erano. Le due cognatea furia di sarcasmi e di litiper poco non si strapparono i capelli;come don Blascola zitellona non mise più piede in casaFrancalanza; macome il fratellonon soffrendo di starne a lungolontanaci tornò alla prima occasione.


Esolamente gli altri due cognatiil duca Gaspare e il cavaliere donEugenionon avevano dato tanti fastidi a donna Teresa.

IlCavaliere don Eugenioal tempo di quelle lottenon era in Sicilia.Destinato sulle prime ad entrare anche lui ai Benedettini come ilfratello don Blascos'era salvato adducendo la propria inclinazioneal mestiere delle armi. Fu la prima menzogna che disseper evitareil convento: non poteva sentirsi chiamato ad un mestiere quasisconosciuto in Siciliadovecome non c'era coscrizione e tra ipopolani correva il motto: -"meglioporco che soldato"così neppure la nobiltà si dava alla milizia. Ma donEugenio voleva anch'egli esser libero e guadagnarsi un posto nelmondo. Rimasto al Noviziato di San Nicola per educazione fin quasi adiciott'annise ne andò a Napoli all'uscir dal monasteroefu ascritto alla nobile compagnia delle Reali Guardie del Corpocerto di salir subito ai primi gradi. Dopo dieci anni era appenasotto-brigadiere.Infatuato come tutti gli Uzeda della sua nobiltàavevaguardato d'alto in basso i compagni ed anche un poco i superiorivantandooltre i sublimi natalisterminate ricchezze; invecealmomento di mostrarle coi fattii giovani signori napolitanimettevano fuori i quattrinimentre il vanaglorioso cadetto sicilianosi ritraeva opeggiofaceva debiti che poi non pagava. Trattato damillantatorefu posto quasi al bando dai compagni; e del resto eglistessoriconoscendo di non aver raggiunto lo scopoquantunque aiparenti scrivesse che il magro successo era da attribuire all'invidiaed all'ingiustiziarisolse un bel giorno di dar le dimissioni. Restòtuttavia a Napolidonde annunziava che le case più ricche enobili gli erano aperte come la sua propriae che il duca Tale ed ilprincipe Talaltro gli volevano dare in moglie le figliuole; nessunodi quei matrimonicontinuamente spacciati come certissimisicombinava mai. Frattantoabbruciato di quattriniegli aveva chiestoun impiego a Corte; e nonostante i precedenti poco promettentipureper ragioni politichepremendo ai Borboni di tenersi amiche legrandi famiglie sicilianeegli fu nominato Gentiluomo di Cameraconesercizio. Nel 1852inaspettato ospitetornò a casa. Dicevad'esser passato dal servizio attivo all'onorario perché ilclima di Napoli non gli conferiva; una certa voce sorda parlòinvece di cose poco pulite combinate con un fornitore di Casareale... Da Napolil'ex Guardia del Corpo e Gentiluomo di Cameratornò con una nuova vocazione: l'archeologiala numismatica el'arti belle. Portò con sé una quantità dirottami provenientidicevada Pompeida Ercolanoda Pestoerappresentanti un valore grandissimo; tante tele da farne la velaturad'un vascello -"tuttedei più famosi autori: RaffaelloTizianoTintoretto";ricolmò di quella roba il quartierino che aveva preso inaffitto — perché la principessa non volle saperne diriammetterlo in casa — e cominciò a far commerciod'antichità. Giacomo era ammogliato da due annied aveva giàl'aspettato primogenito; Raimondo stava a Firenze con la mogliedoveera loro nata una bambina.

Neppureil duca Gaspare s'era trovato in casaal tempo dei matrimoni; mabenché da lontanofu l'unico che approvasse l'opera dellacognataattirandosi naturalmente per quell'approvazionee piùper il motivo che gliela dettavai fulmini di donna Ferdinanda e didon Blasco. Questa ragione era d'indole tutta politica. Il baronePalmipadre di Matildeliberale d'antica dataaveva preso allarivoluzione del Quarantotto una parte così attiva chedopo larestaurazionecolpito da una condanna capitales'era rifugiato aMaltae senza specialissime protezioni e solenni impegni di noncominciar da capoquell'esilioinvece di pochi mesisarebbe duratoquanto la sua vita. Nondimenograziato ed ammonitoegli ricominciòa dirigere nel suo paese e in quasi tutta la Sicilia il movimentocontro il regime borbonico. Ora queste sue opinioni politiche equesta sua autorità nell'ancor vivo partito liberale furono leragioni per cui il duca vide bene il matrimonio della figliuola dilui con Raimondo.

Finoal Quarantottoil ducacome tutti gli Uzedaera stato borbonicoper la pelle. Ma quantunquecome secondogenito e duca d'Oraguaavesse avuto qualcosa di più del magro piatto ed alcunizii materni avessero contribuito ad impinguare il suo appannaggiopure egli aveva un'invidia del primogenito e una smania d'arricchiree di farsi valere nel mondo più grande di quella dei fratelligiacché la sua dotazione svegliava ma non appagava i suoiappetiti. Mentre era durato il fedecommessoi cadetti avevanosopportato con discreta rassegnazione il loro stato miserabilenonpotendo dar di cozzo contro la legge; ora che i primogeniti eranopreferiti per un'idea che al soffio dei nuovi tempi parevapregiudiziol'invidia li rodeva. Per questo sentimento che avevafatto di don Blasco un energumenoe alimentato la cupidigia di donEugenioil duca aveva dato ascolto alle lusinghe dei rivoluzionariai quali premeva di trarre dalla loro un personaggio importante comeil duca d'Oraguasecondogenito del principe di Francalanza. Egli noncessò per altro dal far la consueta corte all'Intendenteafine di prepararsi un paracadute nel caso di possibili rovesci;associossi al Gabinetto di letturacovo dei liberalisenza lasciareil Casino dei Nobiliquartier generale dei purie insomma sidestreggiò in modo da navigar tra due acque. Al primo scoppiodella rivoluzionela paura fu più forte: dichiarando ai suoinuovi amici che il moto era impreparatoinopportunodestinatoimmancabilmente a fallirementre la gente s'armava e si batteva eglise la batté in campagnae fece sapere ai capi del partitoregio che aspettava la fine di quella -"carnevalata".Però la -"carnevalata"promise di durare; i soldati napolitani sgombrarono la Siciliaequantunque s'annunziasse ogni giorno il loro ritornonon se n'ebbepiù né nuova né vecchiae il governoprovvisorio si venne ordinando. Il ducavisto che non ne andava lapelletornò in cittàporse orecchio alle lusinghe delpartito trionfante cheper averlo dalla suagli prometteva tuttoquel che desiderava. Egli stette ancora a vederetirò inlungoconsigliò prudenzaallegò il bene del paeseleinsidiei possibili pericolidando così un colpo al cerchioe un altro alla botte. Corto di vista e presuntuoso per giuntaproprio mentre le cose volgevano fatalmente al peggiogiudicòdi potersi ormai gettare in braccio ai liberali. Stava già perabbruciare i suoi vascelli e già assaporava i primi frutti delfavor popolarequando un bel giorno il principe di Satriano sbarcòa Messina con dodicimila uomini per rimettere le cose al posto diprima. Il duca si stimò perdutoe la nuovapiù grandetremarella gli fece commettere uno sproposito di cui più tardiebbe a pentirsi: mentre la città s'apparecchiava allaresistenzaegli firmò con altri borbonici fedeli e liberalitraditori una carta in cui s'invocava la pronta restaurazione delpotere legittimo. Ai primi d'aprilele compagnie della miliziasiciliana che presidiavano Taormina sgombrarono all'apparire dei regie ritornarono a Catania; il 7 Satriano entrò in cittàdopo un sanguinoso combattimento. Tutti gli Uzeda erano scappati allaPianail duca s'era barricato alla Pietra dell'Ovo perché eraopinione generale che i napolitani si sarebbero presentati dallaparte oppostacioé dalla via di Messina. Inveceessispuntarono dalla strada del Bosco etneoprendendodopo brevi zuffei posti della Ravanusa e della Barriera. Oragiunto all'altezzadella Pietra dell'Ovoil generale borbonico entrò col suostato maggiore nel podere degli Uzedadove il duca lo accolse comeun padronecome un salvatorecome un Diomentre i cannonispazzavano la via Etneae le truppe regieassalite alla Porta d'Acidal disperato battaglione dei corsidecimate a colpi di coltellonell'ora triste del crepuscoloda quel manipolo che si sentivaperdutoinferocivano e distruggevano fin all'ultimo quei milleuomini e sfogavano l'ira sulla inerme città... Amico diSatrianoprotetto dalla firma posta a quell'atto di sottomissioneche tra i liberali andò infamato col nome di Libro neroprotetto ancora più dal suo proprio nomeperché eraimpossibile che un Uzeda avesse potuto dire sul serio mettendosi coirivoluzionariil duca non solo non soffrì molestie di sortanella reazionema fu anzi accarezzato. Inveceun sordo fermento sidestò contro di lui nel partito dei vinti. Gli apponevanoquella firma odiosama più le accoglienze fatte a Satrianoalla Pietra dell'Ovo. L'affare della firma era conosciuto da pochidai capi; la storia della Pietra dell'Ovo si diffuse tra i gregari ecorse in mezzo al popolo; ciascuno v'aggiunse un po' di frangiaarrivarono a narrare che mentre la città agonizzavail ducaguardava lo spettacolo col cannocchiale di Satriano; che all'entratadel conquistatore della città gli aveva cavalcato al fianco.Don Lorenzo Giulenterimastogli amicoebbe un bel difenderlosmentire le esagerazioniasserire che il ducasolo ed inermenonpoteva mandare indietro il generale seguito da un intero esercito:gli animi amareggiati dal disinganno chiedevano un capro espiatorio;e come Mieroslawskiil polacco comandante della poliziaera statoaccusato di tradimentocosì il rancore popolare si rovesciòsul ducaquantunque mille più di lui lo meritassero perchédi lui più colpevoli. In fin dei contiegli non aveva presoné gradiné stipendiné appalti dallarivoluzione: era stato a vedereaspettandone la riuscita; mentretanti altridopo aver fatto gazzarra e il mangia-mangiasi buttavano ai piedi dell'Intendente e salutavano col cappello finoa terra nominando Sua Maestà Ferdinando ii -"cheDio sempre feliciti!"Questo voleva dire il ducain propria difesa; questo dicevaGiulente; ma cantavano ai sordie il duca si vedeva segnato a ditobollato col nome di traditoreinsultato e fin minacciato da lettereanonime. Un giorno l'amico don Lorenzo gli consigliò dipartire: solo la lontananza e il tempo potevano avere virtù difar sbollire quell'odio. Il duca non se lo fece dire due volteeandò a Palermo. Lìil partito d'azionevintoegualmenteera tuttavia meno depresso: le speranze non erano morte ocominciavano a risorgere. Passata la paura che le ultime vicende gliavevano messa in corporinatagli in cuore l'ambizione inappagata emortificatail duca prestò di nuovo orecchio allesollecitazioni dei liberalianche per dimostrare ai suoi cariconcittadini che non meritava il loro disprezzo. E quantunque nons'allontanasse dalla consueta prudenzae andasse ai conciliabolirivoluzionari come ai ricevimenti del Luogotenente generale del Reetornasse insommacon più prudenzaal giuoco di primaarrivòtuttavia a Catania la voce che egli era nei comitati d'azione e incorrispondenza con gli emigratie che dava quattrini per la buonacausa e che soccorreva i patriotti perseguitati. Oltre la vocearrivarono anche i quattrini che egli mandava ai comitati localicomprendendo finalmente che quella era la buona via; che uno comeluisenza fede e senza coraggionon poteva far valere altri titolise non i denari sonanti. E frattanto gli animi placati vedevanomeglioriconoscevano i maggiori colpevolirivolgevano controcostoro l'odio col quale avevano prima perseguitato il duca. Infinevenne il matrimonio di Raimondo con la Palmi ad assicurargli nuovegrazie. Egli aveva conosciuto il barone a Palermoper mezzo degliagitatori che questi veniva a trovare da Milazzoin barba alleautorità e col pretesto degli affari. Quando il duca seppe delmatrimonio divisato dalla principessas'affrettò quindi nonsolamente ad approvarloma anche ad offrirsi come mediatorefacendovalere l'amicizia che lo legava al barone. Egli sentiva chequell'alleanza del proprio nipote con la figlia dell'antico liberalenon poteva se non favorirloaiutarlo a riacquistar credito presso laparte che aveva tradita. Quanto alla principessaborbonica cometutti gli Uzedail liberalismo dei Palmi piuttosto che un ostacolofu una ragione di più che le fece combinare quel matrimonio.Prima di tutto ella era borbonica d'istintoma non s'occupava dipolitica avendo altro da fare; poicome le era piaciuto che la sposanon potesse vantare una eccelsa nobiltàcosì vedevabene che la famiglia di lei fosse perseguitata dal governoaffinchéRaimondo potesse meglio imporsiin tutti i modialla famiglia edalla moglie.

Perle nozze del nipoteil duca tornò in patria. Erano passatiappena due anni dai fatti che gli avevano valso l'odio dei suoiconcittadini e già egli poté vedere gli effetti dellalontananza e della sua nuova politica e dell'amicizia col baronePalmi e dell'adesione al matrimonio di Raimondo. Mentre don Blasco edonna Ferdinandain guerra a morte con la principessase laprendevano anche con lui per l'appoggio prestato alla cognata e perla politica che gli dettava quel contegnoe al colmo della rabbia lovituperavano e per poco non lo denunziavano alle autorità pelsuo liberalismoe poi ne ridevano e quasi gli gettavano in faccia iltradimento del 1849la firma del Libro nerol'amicizia diSatriano; mentre suo fratello e sua sorella facevano ciòmolti di coloro che gli avevano tolto il saluto lo avvicinarono e glistrinsero la mano; altre paci furono facilmente suggellate per mezzodi Giulente; nessuno parve più rammentare le storie passate.Nondimenoil duca ripartìse ne tornò a Palermounpoco perché aveva preso gusto a starcima anche perconfermare quelle buone disposizioni.

Tornatoin patriaadessoper la morte della cognataegli era accolto quasiin trionfola gente traeva a lui in processione. Non solo nessunoparlava più dei fatti del 1849vecchi di sei anni; non soloegli era considerato come una delle speranze del partito; ma il lungosoggiorno alla capitalela frequentazione dei maggiori uominipalermitani gli conferivano improvvisamente fama di grande dottrina.Egli citava le opinioni di Tizio e di Filanocelebri patriotti -"amicimiei"— come don Eugenio aveva per amici i più gran signorinapolitani —; infarciva i suoi discorsi di citazioni erudite diseconda e di terza mano; riesponeva a modo suoquasi pensate da luile teorie economiche e politiche di cui aveva avuto qualche sentorenelle conversazioni di Palermo: e la gente gli stava dinanzi a boccaaperta. Il patriottaè veroriceveva visite dall'Intendentee le restituivae non aveva scrupolo di mostrarsi in compagnia deipiù ferventi borbonici; ma ciò non gli era posto piùa debito: bisognava fingere con l'autorità per non destarne isospettiper comprenderne il giuoco. Egli dava quattrininonlasciava andare a mani vuote chi gli chiedeva soccorsi. Don Blasco edonna Ferdinanda lo vituperavano pertantociascuno da canto suoconpiù grande violenza di prima; egli li lasciava cantareseguitava a giocare sulla carta della libertà come il monacosopra i numeri del lotto e la zitellona sul credito della gente.

Comein politica si teneva bene con tutticosì in casa nonparteggiava più per uno che per l'altro. Vedeva l'armeggio didon Blasco per sollevare i nipoti defraudatisapeva le ragioni chemilitavano per essi; ma vedeva ancora la ciera accigliata delprincipeudiva le sue amare lagnanze pel -"tradimento"che gli aveva fatto la madre: perciò stava al biviodavaragione un po' a tutti: al principe che gli offriva ospitalitàe lo trattava con deferenzaa Lucrezia che amando e sposando ilnipote del cospiratore Giulentelo avrebbe aiutato ad entrar meglionelle grazie dei liberali.




4.


-"Ogginon si mangia?"

Ilprincipino moriva di fame. Da un pezzo l'ora del desinare nonarrivava mai: un po' mancava il ducaun po' Raimondoun po' lostesso principe; quel giorno eran fuori tutti e trepiùLucrezia e Matilde. E il ragazzo era la disperazione di tutta lacasa: correva su e giù dalla cucina alla scuderiadallestalle al giardinoinquietava la servitù vecchia e nuovaintenta al lavoro. Come don Blasco aveva annunziato al Babbeotuttii servi protetti dalla principessa erano stati mandati via daGiacomo; invece i diseredatiquelli che per aver favorito ilfigliuolo avevano meritato l'avversione della madreerano stati dacostui riconfermati nel loro posto. Due sole eccezioni aveva fatto ilprincipe: una a favore di Baldassarre e l'altra del signor Marco.Baldassarrefigliuolo d'una antica camerieraallevato al palazzo eassunto giovanissimo all'ufficio di maestro di casasapeva fin dabambino il debole della famigliale rivalitàle avversioni ele manìe; aveva perciò badato esclusivamente al proprioservizio lodando tutti i padroni checché facessero odicesserotenendo in riga i suoi dipendenti che osavano mormoraredell'uno o dell'altro. Pertanto madre e figlio l'avevano ben vistoentrambie il legato della principessa non gli procurava il congedodel principe. Quanto al signor Marcolancia spezzata della mortamolti si meravigliavano che il figlioda due mesi capo della casanon se ne fosse ancora sbarazzato. Veramentefin da quando laprincipessa era caduta infermal'amministratore aveva mutatotatticaprendendo con le buone il padrone nella previsione didoverlo presto servire; morta la madrese non gli aveva propriolasciato rubare il numerariocome diceva don Blascogli si umiliavacertamente in tutti modi. Del restoun procuratore come luicheconosceva la casa da quindici anniche sapeva le condizioni delleproprietà e lo stato delle litinon si poteva surrogare da unmomento all'altro.

-"Nonsi mangia più?... Che fate?... Voglio vedere!... Perchénon allestite?... A me!"

Incucinatolto di mano a Lucianoil credenziereun coltello chequesti stava nettandoil principino continuò egli stessol'operazione.

-"VostraEccellenzache fa mai!..."Il nuovo cuocomonsù Martinonon sapeva comeprenderlo. -"Sene vada di sopraci lasci lavorare."

-"Lèvatidi torno! Voglio far io!"

Bisognavalasciarlo fare. Se lo contrariavanodiventava una furia: digrignavai dentigridava come un ossessorovesciava quanto gli capitava frale mani. In verità il principe educava severamente ilfigliuolonon gliene passava nessuna liscia; mada un'altra partenon scherzava neppure con le persone di servizio se questemesse conle spalle al muro e perduta la pazienzarispondevano male alpadroncino. E giusto adessodopo la morte della principessailposto di cuocoin casa Francalanzaera divenuto piùimportante di prima. Giacomo dava punti alla madre quanto adiffidenza e a vigilanza: teneva tutte le provviste sotto chiavevoleva conto delle cose più miserabilidegli avanzidellecroste di pane; ma insomma la spesa giornalieranon contandol'aumento per gli ospitiera considerevole e il trattamento piùlauto: mangiavano adesso quattro piatti; mentre ai tempi della madrese ne facevano tre per lei e per don Raimondo: gli altri dovevanocontentarsinei giorni ordinarid'una minestra e d'un po' di carneo di pesce. Anche quando Giacomo era diventato ricco della dote dellamogliela principessafacendosi dare dal figlio la sua parte dispesaaveva continuato a ordinare a modo suoe il principefedeleal proposito di mostrarlesi obbedienteera rimasto zitto. Cosìpure egli non aveva potuto eseguire nel palazzo le modificazioni dalungo tempo disegnate; morta donna Teresaprese finalmente le redinidella casametteva ora ogni cosa sossopra. S'udivano fino in cucinai colpi di piccone dei muratoriil cigolìo delle carrucolecon le quali issavano i materiali dalla corte al piano di sopra; e iguatterioccupati ad affettar patate e a sbatter uovascambiavanofra loro osservazioni su quei lavori:

-"Levanola scala dell'amministrazione per guadagnare spazio..."

-"Ionon avrei chiuso un pezzo della terrazza."

-"Ilpadrone però deve dar conto a suo fratelloessendo ereditutt'e due."

-"Mail palazzo è del principe! Il contino ha un solo quartiere..."

Ilprincipino adesso non perdeva una parola del discorso.

-"Ilcontino scapperà subito fuori via... Non è fatto perstar qui..."

Illavoro delle salse li faceva tacere tratto tratto. Lucianocon unastrizzatina d'occhiodisse dopo un pezzo al compagno:

-"Ricominciaeh?"

-"Lascialofare! Quello è un vero signore!"

ELuciano chinò il capoin segno d'approvazione ammirativa.Erano tutti pel contein cucinacome nelle anticamerecome nellescuderie; perché il padrone giovane non rassomigliava almaggioretanto era dolce di comando e largo di mano.

-"Signoredavverodi modi e di pensieri. Non come l'amico..."

-"L'amicoè volpe vecchia... com'era l'amica..."

-"Chedite?"domandò il principino.

-"NienteEccellenza!"rispose il cuoco; e vòlto ai dipendenti: -"Lavorate!"ingiunse -"senzatante ciarle..."

-"Ahnon vuoi dirmelo?"

-"Mache cosaEccellenzase parlano cosìa vanvera?"

-"Ahnon vuoi dirmelo?"

Aun trattoudendo la carrozza che entrava nel cortileConsalvoscappò a vedere.

Tornavanofinalmente le zie Lucrezia e Matilde andate alla badìa di SanPlacido. Il ragazzodimenticati la cucina e il cuococorse araggiungerle di sopranella camera della madreper vedere se gliportavano nulla.

Lacontessa Matilde gli diede infatti un cartoccio di dolci; ma la ziaLucrezia neppure gli badòcon tanta animazione teneva undiscorso alla principessa:

-"Piangevacapisci!... Abbiamo voluto parlare con la Badessache ci haconfermato ogni cosa; è veroMatilde?... Che modo èquesto!... Le messe per nostra madre..."

-"Sst..."

Laprincipessa fece un segno alla cognata di tacereper riguardo delragazzo.

-"Mammaoggi non si mangia più?..."domandò costui.

-"Setuo padre non è ancora venuto!... Va'va' a vedere searriva."

Ilprincipino comprese che lo mandavano via. A sei anniera curioso piùdi don Blasco. I maneggi dello zio monacoil continuo complottareche si faceva in quella casaavevano destato di buon'ora la suaattenzione: dopo la morte della nonnas'accorgevadal contegno deiparentidai discorsi dei serviche l'avevano con suo padrechi peruna ragione e chi per un'altrama che nessuno ardiva prenderseladirettamente con lui. Egli comprendeva tante altre cose: che la ziaFerdinanda non poteva soffrire la zia Matilde; che tra questa e suomarito c'erano dissapori: comprendeva e tacevafingendo di nonaccorgersi di nullaper non incorrere nella collera di nessuno.Infattilo zio don Blasco dava solenni scappellottila zia Lucreziagiocava anche lei a pizzicargli il bracciospecialmente quando egliandava a rovistarle la camera; ma specialmente suo padresempreburberogliene davaalle voltedi quelle che radevano il pelo.Pertanto egli non se la diceva molto con luimentre invece nonpoteva stare lontano dalla mamma. Donna Ferdinandaveramentegliusava molte preferenze; ma nessuno come la principessa scusava idifetti del monello. Rabbrividendocadendo in convulsione sequalcuno le si metteva troppo dappressoella vinceva la manìadell'isolamento soltanto per amore dei figlisi stringeva al petto ebaciava furiosamente il suo Consalvo anche quanto non era tropponettoe con tanto maggior impeto quando più si difendeva daogni altro contatto. Da un pezzonata la sorellina Teresalecarezze non erano tutte per lui; nondimenosolo la principessariusciva ad ottenere qualche cosa da Consalvo con le buoneperamore.

-"Va'va' a vedere se il babbo è tornato..."

Ilprincipe Giacomo rientrava in quel momento. Aveva una ciera piùaggrottata del solitoe neppure salutòentrando; Lucreziaammutolìalla sua vista. Egli domandò se il duca erarincasatoe udendo che nodiede ordine che servissero in tavolaappena giunto lo zio. Poi se ne andò a chiudersi nel suoscrittoio col signor Marco. Consalvo restò un poco senza saperche fareesitando tra il ritorno in cucina e una visita ai manovali.Invecevisto che la zia Lucrezia riprendeva a parlare con la mammasalì nella camera di lei. Gli aveva proibito di entrarciperché adesso studiava il disegno d'acquarello e non volevatoccate le sue cosespecialmente pel pericolo che scoprissero lelettere di Benedetto Giulente; invecei pezzi di colorei piattellida stemperarei pennellila gommafacevano gola al ragazzo. Enessuna raccomandazione o minaccia serviva a Lucrezia; se reclamavale toccavano soprammercato i rimproveri del fratello diventatointrattabile dopo la lettura del testamento; talché ilmonelloquando carpiva l'occasionefaceva man bassa in camera dellazia. Salito dunque lassùa quell'ora che era sicuro di nonessere sorpresoil principino cominciò a rovistare sultavolinoin mezzo ai disegninella cartieranel comodino.Dov'erano nascoste le cose del disegno? Forse nelle cassette piùalte di quell'armadiodov'egli non arrivava. Intantodal cortiles'udì la campana che annunziava l'arrivo del duca. Eglicontinuò a guardarsi intornoa cercare febbrilmente sotto illettosotto l'armadionella specchiera. Questa era una piccolatavola ricoperta di tela ricamata: sollevatone un lemboapparve lacassetta. Lì dentroin mezzo ai vecchi pettinia scatolevuote di pasta di mandorlec'era un fascio di carte annodate con unnastro rosso. Consalvo disfece il nodo e sciorinò le lettere.Improvvisamente Lucrezia apparve sull'uscio.

-"Ah!..."gridòe slanciarsi sul nipote ed allungargli un ceffone fututt'uno.

Ilragazzo cacciò uno strillo così acutocome se lostessero scannando.

-"T'hodetto mille volte di non toccare le cose mie! Non è possibileserbare più nulla! Sono ridotta come se fossi in piazza..."

AccorseVannala camerieraagli urli disperatima aveva appena cominciato:-"Signorina...lo lasci andare..."che apparve il principe.

-"Eper questo alzi le mani sul bambino?"

-"Senon posso essere ubbidita!... Se non sono padrona di serbare unospillo!..."

Eglisollevò Consalvo da terralo prese per mano e disselentamenteguardandola bene in viso:

-"Un'altravoltase t'arrischi di toccare mio figlioti piglio a schiaffi; haicapito?"

Ellarimase un momento come stordita. Visto uscire il fratellocorse a untratto alla portala chiuse sbattendola violentemente e non risposepiù a nessuno dei servi che venivano a chiamarla pel desinare.Dové salire il duca a scongiurarla di aprirgli; alleraccomandazionialle ammonizioni dello ziofinalmente proruppe:

-"Eche pazienza! Sono due mesi che mi tratta così!... Perchél'ha con me? Pel testamento di nostra madre? Fa' così pergiocar di prima? Ha dunque ragione lo zio don Blasco?... Ha sentitoha sentito Vostra Eccellenzache ha fatto adesso?"

-"Cheha fatto?"

-"Nonvuol riconoscere il legato alla badìa di San Placido!...Abbiamo trovato Angiolina che piangeva e la Badessa che gettava fuocoe fiamme!... Vuol far lui tutte le cartee ci tratta poi cosìd'alto in bassoper avvilirci tutti quanti..."

-"Piano!...Bastaper ora..."il duca tornava a raccomandarsiper amor della pace. -"Basta!...Vieni a desinareper ora... Ti prometto che poi gli parleròio..."


Raimondonon era ancora rientrato quando tutta la famigliacon l'assistenzadi don Marianoprese posto a tavola. Lucrezia aveva gli occhi ancorarossiteneva il capo chinonon diceva una parola; ma il principefattosi improvvisamente sereno in vistarivolgeva cortesie allo zioduca. Tutti i giorni così: dopo lunghe ore di mutriadisilenzidi voltate di spalle al sopravvenire dei fratelli e dellesorelle e più della cognata Matildeegli smetteva a tavola laciera accigliataper corteggiar lo zio. Non era la prima volta cheil desinare cominciava senza Raimondoe al malumore di Lucreziafaceva riscontroquel giornoun pensiero molesto sulla fronte diMatilde.

Nonle facevano festain quella casa. Il principedonna FerdinandadonBlascoun po' anche la cugina Grazielladovevano trovare in leicolpe imperdonabilise la punzecchiavano assiduamentese latrattavano senza riguardi; ma ella perdonava le mancanze di riguardoe gli sgarbi fatti a lei; non soffriva quelli che toccavano a suomarito. Forse era questa la sua grande colpa: l'amore che portava aRaimondo!... Lo amava fin da quando lo aveva vistoda prima ancora;fin da quandofidanzata per lettera a quel conte di Lumera del qualesuo padresuperbo d'imparentarsi coi Viceréle faceva lodisenza fineella aveva lavorato con la fantasia a rappresentarlobellonobilegenerosocavalleresco come un eroe del Tasso odell'Ariosto. E la realtà aveva superato le sue stesseimmaginazioni; tanto era finelo sposo suoe leggiadroedelegantee splendido; ed ella che non aveva conosciuto da vicinoaltri uominiche s'era nutrita unicamente di sognidi poesiadifantasia alta e puragli aveva dato tutta l'animaper sempre; loaveva amato ancora nei suoi cari e idolatrato nella figlia nàtaleda lui. Ella non aveva altra idea della vita che quella espressadalla vita sua propriasemplice e pianatutta trascorsa in mezzoalla sorellina Carlottaalla mamma lorosoave ed amara ricordanzaed al padreuomo di passioni estremeamico o nemico fino alla mortedegli altri uominima cieco e folle d'amore per le sue figlie...Mentre ella adesso si voltava ogni tratto a guardar l'uscio dellasala con l'ansiosa aspettativa dell'arrivo di Raimondola scena cheaveva dinanzi le rammentavacon un effetto di vivo contrastoun'altra indelebilmente fitta nella sua memoria. La sua memoria lerappresentava il desco familiarenella grande stanza da pranzo dellacasa paternaa Milazzo: la mammala sorellaella stessa intenta airacconti del padresorridenti con luicon lui tristi o dolenti; ilpadre tutto lorocoi pensieri e con le opere; e un costante e quasisuperstizioso rispetto per le antiche abitudinie una pacepatriarcaleun amore reciprocouna confidenza assoluta. Se ella siguardava ora intornoche vedeva? La principessa timida e paurosadinanzi al maritoil ragazzo tremante a un'occhiata del padremasuperbo dell'umiliazione inflitta alla zia; Lucrezia e il fratelloancora freddi e sospettosi l'uno verso l'altra; il principeostentante il buon umore col duca dopo una giornata d'accigliatosilenzio... Ella neppure sospettava le passioni che dividevano quellafamigliail giorno che vi era entrata come in un'altra famiglia suapropria: tanto più grande era stato il suo stuporeil suodolorenel vedere di che sordo astio la ripagavano. Giudicavanocertoche fosse indegna di Raimondo perché a lui inferiore: enessuno quanto lei stessa lo poneva tanto alto; ma non le avevagiovato sentirsi e farsi umile dinanzi a lui e ad essi: l'astio nons'era placato. Allora ella aveva cominciato a comprendere leparticolari passioni cheoltre all'orgoglioanimavano ciascuno diquegli Uzeda duri e violenti... La madre di Raimondoper idolatriadel figlio era gelosa di lei: riuscita ad ammogliarloadassicurargli la doteaveva umiliato la nuorafacendole sentire findal primo giorno la sua mano di ferro perchépiùd'ogni altroella stessa sommessa dinanzi al beniamino; ma lasommessione idolatrail cieco affetto della sposatogliendole ognipretesto d'incrudelire su leimettendo nuova esca al fuoco dellasorda gelosia maternal'aveva resa implacabile. Il fratellomaggiorenon perdonando a Raimondo i suoi privileginon potendorassegnarsi alla concorrenza che la famiglia di lui faceva allapropriarovesciava il suo rancore sulla cognata. Tutti gli altrierano stati senza pietà per l'intrusao in odio allaprincipessa che l'aveva voluta in quella casa o in odio a Raimondoche la madre proteggeva. Così ella s'era vista bersaglio diquei parenti ai quali era venuta con animo confidente e cuoreaffezionato; e lo scoprire che il loro astio era tanto acre contro dilei quanto contro Raimondoinvece di attenuare aveva inacerbito lasua pena; poiché perduta d'amore pel maritoella soffriva egioiva in lui e per lui... In quello stesso momento che il principepareva non veder la cognata ose volgevasi dalla sua partesmessa aun tratto la ciera giocondale mostrava un viso contegnosamentechiusopeggio che se fosse una estraneaella non soffriva tanto diquell'ostentata freddezzaquanto della trascuranza da tuttidimostrata verso suo marito. Il desinare progrediva come se egli nondovesse venire piùnessuno chiedeva di lui. Lucrezia tenevaancora il capo chino sul descola principessa badava a suo figlioil principe parlava dello stato delle campagnedei prezzi dellederratedei pericoli del colera; il duca discuteva della guerrad'Oriente; e solamente un estraneodon Marianodiceva trattotratto:

-"ERaimondo?... Non si vede più!... Che gli è successo?"

Alloracome per virtù dell'ecoquella domanda si ripercoteva nelpensiero di lei: -"Nonsi vede più!... Che gli è successo?..."Perché mai tardava tanto? Perché la lasciava sola traquegli estranei indifferenti od ostili?

-"Irussi resistono ancora... un osso duro da rodere... Napoleone neseppe qualcosa..."

Dinuovo assorta in pensieri più gravi e molestiella udivabrani di frasiparole di cui non afferrava il senso. Da quanto tempola lasciava solaRaimondo! Da quantoda quanto!... Ella rammentavaassiduamente la prima pena che le aveva inflittatanto tempoaddietro. Buono con lei nei primi tempi del matrimoniodurante ilviaggio di nozze ed il soggiorno di Cataniaappena giunto a Milazzodove erano andati per affariper vedere il padre e la sorella dileiegli aveva dichiarato di non aver preso moglie per vivere inquella bicoccaper incappare nella tutela del suocero dopo essereuscito da quella della madre. Certoella non credeva che la vitanella sua cittadella natale potesse allettarlo molto; certoloavrebbe seguito dovunque gli sarebbe piaciuto condurla; nondimenoquel brusco giudizio intorno a cose e persone care al cuor suo leaveva procurato un senso d'angustia indimenticabile. Egli volevalasciare per sempre la Siciliaandarsene a vivere a Firenze; néla contraria volontà della madre gli era d'ostacolo; allamoglieche per non discostarsi troppo dai suoi gliela rammentavaesortandolo ad obbedirlarispondeva bruscamente: -"Lasciamifare a modo mio."Ed ellasìaveva riconosciuto le sue ragioni. La SicilialaToscanaqualunque parte del mondo dove sarebbero stati insiemefelicinon doveva esser tutt'uno per lei? Il dispotico divieto dellasuocera poteva avere maggior peso per lei del desiderio del marito? Equel desiderio non era forse legittimo; il suo Raimondo non erachiamato a figurare in mezzo alla società più eletta diuna grande città? Giovani e ricchinon sarebbero statidovunque segno dell'invidia di tutti?... Ed ella non avevaperseverato nei tentativi di resistenza anche per un'altra ragionepiù grave. Raimondodel quale perdonavaanzi voleva ignorarei modi un po' bruschil'insofferenza della contraddizionetutti ipiccoli difetti di un figliuolo troppo vezzeggiatosi mostrava qualera anche col suocero. Il carattere di costui essendo pure moltoforteun dissenso poteva sorgere da un momento all'altro. Sulleprimeil barone aveva fatto una vera festa al generotrattandoloquasi come la principessasedotto anche lui dalla grazia fine delgiovaneinorgoglito dalla fortuna di essersi imparentato coiFrancalanza; ma Raimondo aveva risposto a tante prevenzioni zelantia tante cure affettuose mostrandosi malcontento di tuttoin quellacasaripeteva ogni quarto d'ora: -"Comesi fa a vivere qui?..."Il barone aveva da lui la procura per amministrare le proprietàdate alla figliae in questa amministrazione intendeva seguire icriteri e i sistemi antichidei quali sapeva la bontà;Raimondo inveceper occupar gli ozi di Milazzoquando non passavale intere giornate giocando al casino con gli scapati prestoconosciutisi faceva render conto dal suocero dei suoiprovvedimentiper biasimarliper suggerir quelli chea suogiudiziobisognava adottare. In questa materiaegli dimostravaun'assoluta ignoranza degli affariuna stravaganza di concetti moltosimile a quella del fratello Ferdinando: il barone ne ridevaegli sel'aveva a male. Le parti s'invertivano quando il barone gli chiedevaconto dell'impiego dei capitali dotali: allora egli biasimava certeoperazioni bislacche del generoe questi dichiarava al suocero chenon ci capiva nulla. Spessoin quei dibattitialle uscite vivaci diRaimondo il barone faceva un visibile sforzo per contenersiper nondargli sulla voce; allora Matilde intervenivamutava soggetto aldiscorsocomponendo il lieve screzio coi sorrisi prodigatiegualmente alle due persone che più amava al mondo. Il suogrande dolore fu perciò nell'accorgersi chese voleva vederlein pacele conveniva evitare che stessero a lungo insieme. Decisacosì a secondare il desiderio del maritoella lo avevaseguito a Firenzema quest'ultima risoluzione di Raimondo era statacausa della più viva opposizione del barone che voleva vicinala figlia egiudicando troppo costosa la stabile dimora in unagrande cittàconsigliava piuttosto brevi viaggi. Raimondo gliaveva risposto seccamente che quel consiglio era stupidoperchéi viaggi appunto costano un occhio del capo; e lasciando in asso ilsuocero aveva dichiarato alla mogliecon brutte paroletroppo dureingiuste anchedi non voler più soffrire l'ingerenza di luinegli affari propri. Alloraper vincere l'opposizione del padreella aveva dovuto ricorrere all'espediente di cui s'era avvalsa tantevoltebambina: dirgli che il disegno di vivere un pezzo in Toscanaera caro a lei stessa e pregarlo di farla contenta!...

-"Quattrinie vite sprecate!... La guerra a tanta distanza..."

Mentreil duca continuava a sviscerare la questione d'Oriente ed a proporrecombinazioni diplomatichetutti si volsero verso l'uscio d'entrata.La contessa sussultòsperando che fosse suo marito;s'avanzava invece cerimoniosamente don Cono Canalà: -"Siapro a ciascuno!... Ma non veggio il contino?..."Cosìcosì a Firenzein una città dovenon cheun parentenon aveva da principio neppure una conoscenzaella erarimasta lunghissime oretanti e tanti giorni ad aspettarlo invano.Lì aveva pianto le sue prime lacrimequando s'era vistatrascurata; lì s'era nascosta per piangeregiacchéegli o la derideva per quella -"stupida"affezioneo dichiarava di non voler essere -"seccato"...Avevano un modo radicalmente diverso d'intendere la vita: mentre ellametteva innanzi tutto l'affetto di suo marito e le gioie dellafamigliae non desiderava se non prolungare al fianco di Raimondosia pure in altri luoghil'ineffabile felicità domesticaprovata da fanciulla; il giovane viziato dalle preferenze della madree finalmente uscito dalla sua ferrea tutelaaspirava unicamente ailiberi piaceri mondani. E per questodicendo a se stessa che egliaveva il diritto di divertirsiche non faceva poi nulla di malechei gusti delle persone sono naturalmente diversiella aveva repressoil proprio doloresi era persuasa del proprio torto. Quasi premio diquesta sua rassegnazioneaveva finalmente provato le ineffabiligioie della maternitàe alloracome per incanto i tempifelici della luna di miele parve tornasserotra perchéRaimondo divenne veramente miglioretra perché ella stessaassorta in soavi pensieriin cure minutepose meno mente alla vitadi lui. Al padreche la raggiunse in quell'occasioneella potémostrare un viso raggiante di gioia; felice con leiil baronedimenticò interamente le piccole liti avute col generotornòa volergli bene come ai primi tempi... Tutti aspettavano un maschiotranne lei stessa chese avesse osato contrastare i desideri altruie far differenze tra i figliavrebbe preferita una bambina. Unabambina nacque infattie quando si trattò di battezzarlaquantunque ella e il padre avessero desiderato chiamarla come la lorocara perdutariconobbero tuttavia la convenienza di darle il nomedella principessa. Rammentava forse più la madre felice itrattamenti sgraziati della suocera e della parentela?Quell'angioletto venuto a ristringere il nodo che la univa aRaimondoa dissipare le nubi che minacciavano il suo bel cielononparlava unicamente di pace e d'amore?... Ahimè! Piùpresto che non credesse ella s'era accorta del proprio inganno. Giàda quando erano venuti a Firenzela suocera non le aveva piùscrittoné risposto alle sue letterené accennato alei nelle lettere che mandava al figliuolo. Il silenzio continuòdurante la gravidanzae dopo il parto comprese anche la bambina.Quando Teresina fu svezzataRaimondo deliberò di fare unacorsa in Sicilia; e da quel viaggio ella ripromettevasi la finedell'incomprensibile rancore della principessa; inveceellaricominciò a piangere allora... Donna Teresa Uzedanonpotendo prendersela con Raimondo per il trasferimento nella remotaToscanane aveva rovesciato la colpa sulla nuora; la sua gelosia eil suo odio si erano raddoppiatile facevano una colpa perfino dellanascita della bambina!... Come dimostrare a quella spietata il suotorto? Come persuaderla che suo figliocontro il piacere di tuttiaveva voluto a forza fare quel che si era proposto? Ingenuamenteilbarone non aveva detto che Raimondo era andato a Firenze per farpiacere a Matilde?... Ella aveva così apprestatosenzasaperlouna nuova arma alla suocera; per ottenere l'accordo fra ilmarito ed il padreaveva scatenato quella furia contro se stessa...

-"Lazia di Vostra Eccellenza!"

Annunziatadal maestro di casamentre il desinare stava per finireentravaadesso donna Ferdinanda. Tranne il ducatutti si levarono; lacontessa con gli altri; ma la zitellona salutò tutti fuorchéquest'ultima. Pochi minuti dopo sopravvenne don Blasco che per tuttosaluto disse: -"Ancoraa tavola?"e non parve neppure accorgersi di Matilde... Che era maipensavaellala ostentata trascuranza di costoroa paragone della guerramossaleanni addietrodalla principessa? Non era bastato farsi dapartenon esprimere mai volontàné desiderinéopinioni: l'odio aveva trovato sempre ragioni di sfogarsi. Essoriversavasi ancora contro l'innocente bambina che aveva il doppiotorto d'appartenere al sesso disprezzato e d'esser nata da quellamadre; e poichérassegnata personalmente a quei trattamentila madre sanguinava agli sgarbi fatti alla sua creaturalaprincipessa s'era messa a perseguitare con speciale accanimento lanipotina. Raimondo pareva non accorgersi di nullal'abbandonava piùa lungo che a Firenzenon credendo di lasciarla sola poichéella restava -"infamiglia";e il tormento di quella vita era divenuto in breve così acutoche ella aveva sospirato il momento di tornarsene alla solitudinealmeno tranquilla della sua casa di Firenze...

-"Dov'èquell'altro?..."domandò di botto don Blascosbuffante alle elucubrazionipolitiche del fratello duca.

-"Quell'altro"doveva essere Raimondo; tutti lo compreserorispondendo che nons'era vistoche forse era rimasto a desinare da qualche amico.

-"Avrebbepotuto avvertire..."osservò il principe.

Equantunque quell'osservazione fatta con tono severosenza riguardoper lei che era sua moglieferisse Matildeun'altra voce ora lediceva: -"Èvero! Ha ragione!..."Ella stessatornata a Firenzein quell'asilo che le era parso dipace e di felicitànon aveva forse pensato cosìquando aspettando lungamentedi giorno e di notteil ritorno diRaimondo che la lasciava ormai quasi sempre solas'era sentitastruggere d'ambascia e di pauranon sapendo che cosa gli fosseaccadutotemendo semprecon l'inferma immaginazionepericoli edisgrazie? Suo maritoinvecenon voleva renderle conto dellapropria vitaquasi fosse ancora scapoloquasi ella non avessenessun diritto su luiquasi la loro bambina non esistesse! Quellafiglia che doveva ancora più stringerli insiemeche per lomeno doveva esserenel doloreil gran rifugio della madrenon solopareva non dir nulla al cuore di Raimondoma non bastava neppure aconfortare lei stessapoiché ella non poteva piùscusare come nei primi tempi la condotta sempre più sfrenatadel maritopoiché non ignorava più che egli latrascurava per altre donnee poiché questa scoperta le facevaa un tratto sentire il coltello della gelosia... Ancora una voltalepassate sofferenze le erano parse nullaparagonate a queste altre.Ella lo amava più che mai d'amoreper gli stessi difetti chegli aveva perdonatiper tutto quel che le costava; e le nuovepiùbruschepiù aperte dichiarazioni con le quali egli respingevale preghiere di lei e derideva le sue lacrime e le faceva quasi unacolpa dell'amor suola stringevano a lui sempre più. Nosuafiglia non le bastavala creaturina non poteva consolarlanessunoal mondo poteva consolarlaella doveva perfino nascondere le proprietorture al padrescrivergli che era contenta e feliceperchéegli non venisse a chieder conto a Raimondo di quella condottaperché tra quei due uomini non scoppiasse la guerra!... Eancora una volta s'era messa a sperare nel ritorno in Sicilia; laterribile casa degli Uzeda le parve ancora una volta un'oasinonavendovi almeno conosciuto il sospetto roditore come un verme. Quandoda Catania scrissero a Raimondo di venir presto a casaquando lastessa madre moribonda lo chiamòella fece di tutto perindurlo a partire ma vedendolo sordo alla voce della morentesordoalle stesse ragioni dell'interesserestare a Firenzel'angoscia dilei s'era esacerbatatanto aveva dovuto credere potenti le ragionii legami che lo trattenevano... Giusto in quei giorni le sue viscereavevano avuto un nuovo fremito; ella era madre un'altra volta —freddacattiva madrese non tripudiava a quella scoperta; ma comeavrebbe potuto gioirnequando il padre della sua creatura lecagionava tanta tristezza; quandoall'annunzio della nuovapaternitàegli restava indifferente e quasi fastidito comeper una nuova molestia?... Repentinamentegiunto il dispaccio cheannunziava la morte della principessaerano partitied ella avevatratto liberamente il respirochiedendo perdono al Signore dellagioia che provava per causa d'una morte; ma l'implacata avversionedei parenti l'affliggeva ancora una volta come prova dellainsospettata malvagità umana; e adesso che Raimondosenzarispetto per la memoria della madrefaceva ciarlare tutta la cittàcon la sua vita sbrigliataella domandava tra sécon lungosconforto: -"Quandodove avrò pace?..."

Ildesinare era già finito e Lucreziala principessa e Consalvos'erano già levati di tavolaquando Raimondo rientrò.Mostrava di esser molto allegro e d'aver buon appetito. Alla domandadel ducarispose che gli amici lo avevano trattenutoche non s'eraaccorto dell'ora tarda.

-"Delrestoqui desinate spaventevolmente presto! Nei paesi civili non siva a tavola prima dell'ave!"

Ilprincipe non rispose. Alzandosi da tavola mentre il fratello divoravala minestra serbata in caldodisse al duca:

-"Ziovuol venire un momento con me?"e lo condusse nel suo scrittoio.

Stavadi nuovo sull'intonatocome se dovesse stipulare un trattato. Chiusoa chiave l'uscio della stanza precedenteofferta una poltrona allozioegli stesso in piedicominciò:

-"VostraEccellenza mi scusi se la disturbo dopo tavolama dovendo parlare diaffari importanti e non volendo portarle via il suo tempo..."

-"Mache!..."fece il ducainterrompendo il preambolo. -"Tunon mi disturbi affatto... Parlaparla pure..."e accese un sigaro.

-"VostraEccellenza può vedere ogni giorno"riprese il principe -"chevita fa Raimondoe comeinvece di darmi una mano a sistemar gliaffari della successionepensi a divertirsi lasciando tutto sullemie spalle. Parlargli d'interessi è inutile: o non mi dàrettao non capisce... o finge di non capire."

Ilduca approvava con un cenno del capo. Tra ségiudicavaveramente un po' strane quelle lagnanze del nipoteche non avrebbedovuto esser poi tanto scontento se il fratello non s'impacciavanelle quistioni dell'eredità e lo lasciava libero di fare asua posta. E se Raimondo mostrava poca premura di partecipare agliaffariil fratello maggiore non ne aveva mostrata pochissima direnderne conto al coerede ed ai legatari? Non era forse quella laprima volta che egli teneva a qualcuno della famiglia un discorso diquel genere?

-"Ora"continuava frattanto Giacomo -"iocredo prima di tutto convenientenell'interesse comuneche ladivisione si faccia al più presto; in secondo luogo bisognache tutti sappiano ciò che ho saputo in questi giorni iostesso..."

-"Checosa?"

-"Unabella cosa!"esclamòcon un sorriso amarissimo. E dopo una breve pausaquasi a preparar l'animo dello zio alla dolorosa notizia: -"L'ereditàdi nostra madre è piena di debiti..."

Ilduca si cavò il sigaro di bocca dallo stupore.

-"VostraEccellenza non crede? E chi avrebbe potuto credere una cosa simile?Dopo che abbiamo sentito tanto lodareda tuttiil modo ammirabiletenuto dalla felice memoria nel mettere in piano la nostra casa?Invecec'è un baratro!... Fin all'altr'ierinon sospettavoancora nulla. È vero che nei primi giorni dopo la disgraziaebbi avviso di alcuni piccoli effetti sottoscritti da nostra madreipossessori dei qualidurante la malattiaavevano pazientato oltrela scadenza; ma credevo naturalmente che fossero infime sommediquei debitucci che tuttiin certi momentianche i piùfacoltosihanno bisogno di contrarre. Potevo sospettare che invecesono migliaia e migliaia d'onzee che ogni giorno spunta un nuovocreditoree che se continua di questo passoil meglio dell'ereditàse n'andrà in fumo?..."

-"Mail signor Marco..."

-"Ilsignor Marco"riprese il principe senza dar tempo allo zio di compiere l'obiezione-"nesapeva meno di me ed è più sbalordito di VostraEccellenza. Vostra Eccellenza sa bene che carattere avesse la felicememoriae come facesse in tutto di suo capoe si nascondesse nonsolamente da coloro che dovevano essere i suoi naturali confidentima da quegli stessi nei quali aveva riposto fiducia... Il signorMarco non ha notato nel suo scadenziere neppure la decima parte dellesomme di cui adesso siamo debitori. Io non so che pasticci ci sienosotto. S'immagini che esistono effetti scaduti da treda quattroannie anche da cinque!... Le confesserò chesul principioho temuto d'esser vittimacome tutti gli altrid'una truffaspaventevoled'aver a fare con un'associazione di falsari. Ho dovutoricredermi: le firme sono lìautentiche. Debbo dunquesupporre che il sistema di ricorrere al creditodi cui la felicememoria faceva una colpa tanto grave a nostro nonnonon ledispiacesse poi troppo... E il peggio è di non poter saperefin dove si estende il marcio! E questa è la famosaamministrazione di cui abbiamo sentito tante lodi... Ma dice che deimorti non si deve parlare... e basta!... Ora io ho voluto informareVostra Eccellenzaprima di tutto perché era questo il miodovere; secondariamente perché Vostra Eccellenza ne tengaparola a Raimondo. Se questi debiti hanno da pagarsie purtroppo c'època speranza del contrarioa ciascuno bisogna imputarne la suaparte. Io vorrei anche pregare Vostra Eccellenza di avvisare glialtriperché sappiano che i loro legati saranno anch'essigravati in proporzione..."

Ilduca ricominciò a scrollare il capoma con espressionediversa. I legatari lagnavansi d'aver avuto troppo poco; adessobisognava dir loro che avevano anche meno!

-"Perchénon parli loro tu stesso?"suggerì al nipote.

-"Perché?"rispose il principecol leggiero fastidio di chi ode rivolgersi unadomanda oziosa. -"Enon sa Vostra Eccellenza come sonoqui in casa? Chiusisospettosidiffidenti? Crede Vostra Eccellenza che io non mi sia accorto dicerti maneggiche non abbia udito certe accuse sorde sorde?... Pareche l'abbiano tutti con mespecialmente quella testa pazza diLucrezia!... Anche oggi non ha fatto una scena?..."

-"Nono..."interruppe il duca; -"alcontrariot'assicuro. Si lagnava anzi del contrarioche tu l'abbiacon leiche non le parli mai..."

-"Io?E perché dovrei averla con lei?... Non ho parlato molto inquesti giorniè vero: ma come vuole Vostra Eccellenza cheavessi voglia di parlarecon queste belle notizie? Perchédovrei averla con leio con altri? Io ho pensato sempre ed ho dettoche la cosa principalenelle famiglieè la pacel'unionel'accordo!... È colpa mia se questo non fu possibile finchévisse nostra madre? Vostra Eccellenza sa come fui trattato... megliomolto meglio non parlarne!... Adessoquantunque io sia statospogliatomi hanno udito esprimere una sola lagnanza? Ho detto primodi tutti: la volontà di nostra madre sarà legge!Inveceche cosa s'è visto? Mutrie a destra e a sinistraRaimondo che non vuole occuparsi d'affari quasi per punirmi d'averglipreso mezza eredità..."

-"Noper spassarsi..."corresse il duca.

-"Lozio don Blasco"proseguì il principequasi non udendo l'osservazione -"cheho sempre trattato con rispetto e deferenzacome tutti gli altriistigare contro di me i legatari..."

-"Quelloè un pazzo!..."

-"Ogli altridica Vostra Eccellenzasono forse savi? Che voglionochepretendono? Di che m'accusano? Perché non vengono a dire leloro ragioni? Lucrezia ha parlato oggi con Vostra Eccellenza;sentiamo: che ha detto?..."

Quantunquedeciso a non mantenere la promessa fatta qualche ora prima allanipoteil ducacostretto dalla domandarisposecon un sorrisettoper temperare quel che vi poteva essere di poco gradito nelle sueparole:

-"Tuti lagni d'esser stato spogliato; e invece spogliati si credonoessi..."

Ilprincipe risposecon un sorriso più amaro del primo:

-"Proprioeh?... E comeperché?"

-"Perchéavrebbero avuto meno di quel che gli spetta... perché c'èla parte di vostro padre..."

Giacomos'accigliò un momentopoi proruppecon mal contenutaviolenza:

-"Alloraperché accettano il testamento? Perché non chiedono iconti? Mi faranno un piacere! Mi renderanno un servizio!"

-"Tantomeglioallora..."

-"Checosa credono che sia l'eredità di nostra madre? Facciamo icontisissignore; facciamoli domanifacciamoli oggi! Anziperchénon si rivolgono ai magistrati?..."

-"Chec'entra questo?"

-"M'intentinouna lite! Facciamo ciarlare il paesediamo questo bell'esempiod'amor fraterno! Raimondo s'unisca a loro; mi accusino di avercarpito il testamentoah! ah! ah!... Sono capaci di pensarlo!Conosco i miei pollinon dubiti! Questo è il fruttodell'educazione impartita qui dentrodegli esempi che hanno datodella diffidenza e del gesuitismo eretti a sistema..."

Eraveramente concitatoparlava violentementeaveva perduto la solennecompostezza dell'esordio. Il ducabuttato via il sigaro spentoriprendeva a scrollare il capoquasi riconoscendo che alla fine finenon poteva dargli torto per quelle ultime argomentazioni. Peròlevatosi dalla poltronamessa una mano sulla spalla del nipote:

-"Càlmatiandiamo!"esclamò. -"Nonesageriamo né da una parte né dall'altra. La roba èlì..."

-"Nessunola tocca!"

-"Essivogliono fare i contitu sei pronto a darli..."

-"Oraall'istante!..."

-"Edunque l'accordo è immancabile. Farete questi contivedretese la divisione di vostra madre è giusta o no; accomoderetetutto con le buone."

-"Oraall'istante!"ripeteva il principe seguendo lo zio che s'avviava. -"Perchénon hanno parlato prima? Non sono già lo Spirito Santo perpotere indovinare ciò che mulinano nelle teste bislacche!"

-"C'ètempo! c'è tempo!..."ripeteva il ducaconciliantesenza far notare al nipote lacontraddizione in cui cadevaavendo prima asserito di saper deicomplotti. -"Nonla pigliare così calda! Parlerò con Raimondopoi congli altri; la roba è lì; vedrete che non ci sarannoquistioni... A proposito"esclamògiunto all'uscio e voltandosi indietro -"checosa è l'affare della badìa?"

-"Qualaffare?..."rispose il principestupito.

-"Illegato delle messe... Le mille onze che non vuoi dare adAngiolina..."

-"Lemille onze? Io non voglio darle?..."esclamò allora Giacomo. -"Manon vede Vostra Eccellenza come sono tutti d'una razzafalsi ebugiardi? Io non le voglio dare? mentre invece il legato di nostramadre è nulloperché importa l'istituzione d'unbeneficioe le istituzioni di beneficio non reggono quando mancal'approvazione sovrana?..."

NellaSala Gialla don Blasco rodevasi le unghiesapendo quella bestia delfratello in confabulazione col nipote e non potendo udire i lorodiscorsi. Dalla contrarietàstronfiavaspasseggiava in lungoe in largonon udiva neppure quel che dicevano intorno a lui.

Eraarrivata la cugina Graziellala quale cicalava con la principessacon Lucrezia e con donna Ferdinanda; meno con Matildeper mostrar dipartecipare ai sentimenti degli Uzeda verso l'intrusa. Aveva credutodi poter entrare anche lei in casa Francalanzala cugina; diprendersi anzi il primo postocome moglie del principe Giacomomal'opposizione della zia Teresa aveva trionfato di lei e del giovane.Invece che -"principessa"s'era chiamata semplicemente -"signoraCarvano"ma quantunque il cuginopresa la moglie che la madre gli destinavasi fosse posto il cuore in pace e paresse perfino aver dimenticatoche fra loro due c'erano state un tempo parole tenereella avevacontinuato a fare all'amorese non con luicon la sua casa. C'eravenuta assiduamenteaveva stretto amicizia con la principessaMargherita e indotto il marito a fare anche lui la corte agli Uzedae tenuto a battesimo Teresina e dimostrato in ogni modo e in tutte leoccasioni che le antiche fallite speranze non potevano intepidire inlei l'affezione verso tutti i cugini. Durante la malattia e dopo lamorte di donna Teresaspecialmentedonna Graziella era quasidiventata una persona della famiglia; tutti i giorni e tutte le serea prender notiziea prodigar confortia suggerir consigliarendersi utile con le parole e con le opere. La principessa non solonon aveva ragione di esserne gelosapoiché Giacomo dimostravatanta indifferenza verso la cugina che certe volte neppure lerivolgeva la parola esmesso il tule dava del freddo voi; ma eraperfino incapace di provare gelosia o qualunque altro sentimento perlei come per ogni personatanto la naturale indolenza e il bisognod'isolamento e la soggezione in cui la teneva il marito la rendevanoindifferente a tutto ed a tutti fuorché ai propri figli.

Quelpomeriggio appuntodopo tavolala balia era venuta a dirle che labambina tossicchiava un poco; cosa da nullacerto; ma ella se n'erainquietatae la cuginatrovata quella dispiacevole novitàfaceva sfoggio della sua scienza medicaconsigliando lasomministrazione di polveri e di decotti alla figliocciaassicurandoperò che il male non era gravesgridando nondimeno la baliache aveva dovuto lasciare il balcone aperto.

Raimondoche d'ordinario scappava via appena finito di prendere un bocconepareva volesse restare in casaper suo piacere; e Matildetuttariconfortatadimenticata a un tratto la tristezza di un'ora innanzilo seguiva con lo sguardo ridente. Era così fatta che unaparolaun nulla la turbavano e la rassicuravano: e chiedeva tantopoco per essere felice! Se egli fosse stato sempre cosìseavesse dedicato una parte del suo tempo alla famigliase avesseprodigato alla sua bambina le carezze che quella sera faceva alprincipino!... Questinel gruppo degli uominiripeteva ledeclinazioni al cavaliere don Eugenioil quale s'era costituito suomaestrotra gli applausi dei lavapiatti ad ogni risposta azzeccata;ma cominciando a confondersiad imbrogliarsi:

-"Enon lo tormentare piùpovero bambino!"esclamò donna Ferdinanda. -"Quicon la zia! Ti rompono la testa con tutte queste storieeh? Rispondiloro: "Debboforse fare il mastro di penna?""

DonEugenioudendo disprezzare le belle lettererispose:

-"Bisognastudiareinvece!... L'uomo tanto più vale quanto piùsa! E poi bisogna che tu faccia onore al nome che porti; tra i tuoiantenati c'è don Ferrante Uzedagloria siciliana!"

-"DonFerrante?"esclamò la zitellona. -"Chefece don Ferrante?"

-"Comeche fece? Tradusse Ovidio dal latinocommentò Plutarcoillustrò le antichità patrie: templimonetemedaglie..."

-"Aaah!...Aaah!..."Donna Ferdinanda era scoppiata in una risata che non finiva piùche si risolveva in spruzzi di saliva tutto in giro. Il cavaliererimase a bocca apertadon Cono non sapeva che viso fare.

-"Aaah!...Aaah!..."continuava a ridere donna Ferdinanda. -"DonFerrante! Aaah!... Don Ferrante sai che fece?..."spiegò finalmenterivolta al nipotino. -"Tenevaquattro mastri di pennapagati a ragione di due tarì ilgiornoi quali lavoravano per lui; quando essi avevano scritto ilibridon Ferrante ci faceva stampare su il proprio nome!... Aaah!Che sapesse leggereci ho i miei bravi dubbi!..."

Alloras'impegnò una gran discussione. Don Cono e il cavalieresostenevanoa vicendache se l'antenato non aveva scrittomaterialmente le sue operene aveva però dettato ilcontenuto; tanto è vero che le accademie di PalermoNapoli eRoma lo avevano annoverato tra i loro soci; ma la zitellonainterrompeva: -"Fatemiil piacere!..."intanto che la cuginascrollando il capoaffermava cheveramentegli studi non erano stati il forte dell'antica nobiltà.

-"Ilforte?"esclamava la zitellona. -"Mafino ai miei tempi era vergogna imparare a leggere e scrivere!Studiava chi doveva farsi prete! Nostra madre non sapeva fare lapropria firma..."

-"Eraforse una bella cosa?"obiettò don Eugenio.

-"Nonmi parlare anche tu del progresso!"saltò su donna Ferdinanda. -"Ilprogresso importa che un ragazzo debba rompersi la testa sui libricome un mastro notaio! Ai miei tempii giovanotti imparavano laschermaandavano a cavallo e a cacciacome avevano fatto i loropadri e i loro nonni!..."

Ementre don Mariano approvavacon un cenno del capola zitellona simise a tesser l'elogio di suo nonnoil principe Consalvo viil piùcompito cavaliere dei suoi tempi. Aveva avuto una così grandepassione pei cavalliched'invernoogni annosi faceva costruireun passaggio coperto in mezzo alla pubblica viaaffinché isuoi nobili animali restassero sempre all'asciutto.

-"Ele altre persone potevano passarci?"domandò il principino.

-"Potevanopassarci quando non era l'ora della passeggiata del principe"rispose donna Ferdinanda. -"Seusciva luitutti si tiravano da parte!... Una volta che il capitanodi giustizia con la carrozza propria ardì passar innanzi allasuasai che fece mio nonno? Lo aspettò al ritornoordinòal cocchiere di buttargli addosso i cavalligli fracassò illegno e gli pestò le costole!... Si facevano rispettare isignoria quei tempi... non come orache dànno ragione agliscalzacani!..."

Labotta era tirata al duca che rientrava in quel momento nella SalaGialla insieme col principe. Don Blascointerrotta finalmente la suacorsapiantò gli occhi addosso al fratello e al nipote.

-"Chediavolo hai fatto?"disse al principe.

-"Nulla...avevo certe notizie da domandare allo zio..."

Sopravvenneroin quel momento Chiara e il marchese. Lucreziaancora imbronciatasalutò freddamente la sorella; ma costei non s'accorgeva dinullanervosa com'eratutta piena d'una secreta idea.

-"Margherita"sussurrò alla cognatain confidenza -"questavolta credo sia per davvero!..."Erano quelli i sintomi? Poteva ingannarsi? Tante volte aveva speratod'apporsi e festeggiato invano l'avvenimentoche adesso non ardivapiù annunziare apertamente la gravidanza se non prima lavedeva confermata. Poilasciata la principessaprese a parteMatilde e ricominciò a dirle: -"Lalevatrice n'è certa! Tu che cosa provi?... Come ti seiaccorta?..."

Matildenon l'udiva. Adesso che don Blasco non misurava più la sala daun'estremità all'altraRaimondo aveva ricominciato l'armeggiodello zio monaconon stava fermo un momentochiedeva continuamenteche ora fosse. Voleva andar fuori? Aspettava qualcuno? Ella erainquieta della sua inquietudine... Frattanto arrivavano nuove visite:la duchessa Radalì e il principe di RoccascianodonnaIsabella Fersa col marito. L'entrata di quest'ultima mise sottosoprala società: il principeche ordinariamente non era moltogalante con le signorele andò incontro fino nell'anticamera;Raimondo anche lui l'ossequiò tra i primi. Ella portavacomesempreun abito nuovo fiammante che Lucrezia esaminava ora con lacoda dell'occhioe la principessaChiaratutte le altregiudicavano a una voce elegantissimo.

-"Manifatturadi Firenzeè verodonn'Isabella?"domandò Raimondo.

-"Sivede che vostro marito se ne intendecontessa!"rispose ella indirettamentevolgendosi a Matilde.

DonMariano parlava della parata della Reginadi cui quel giorno era ilnatalizio; Fersa del coleradella quarantena di dieci giornidecretata allora allora contro le provenienze da Maltadella fieradi Noto rimandatadel pericolo che correva un'altra volta laSicilia; e il vocione di don Blasco rispondeva:

-"Questaè l'impresa di Crimea! Il regalo dei fratelli piemontesicapite?"

Ilducaquasi non comprendesse che l'allusione era diretta a luiripigliava il discorso della guerra interrotto a tavoladiceva cheCavour l'aveva sbagliata. La via era un'altraraccogliersirestarsene tranquillicurare le piaghe del '48. Con lo statoindebitato fin agli occhicome poteva pensare a fare nuovi debiti?-"Èun principio d'economia politica..."e quicol tono d'autorità portato da Palermoun discorsoneche faceva inghiottire botti di veleno a don Blascolardellatocom'era di citazioni giornalistiche e parlamentariinfettato dateorie liberalesche. Il principeudendo Fersa esprimere ancora unagrande paura del colerascrollava il capo:

-"Sea Napoli hanno ordinato di spargerlo un'altra volta..."

Comecredeva alla iettaturaera incrollabile nell'opinione che il colerafosse un malefizioun espediente di governo inteso a sfollare lepopolazionia incutere un salutare timore nei superstiti. Dinanziallo zio ducasapendolo dell'opinione contrariapiù -"progressista"cioè che la peste venisse per correnti atmosferichetacevaprudentemente; ma con Fersa si sbottonavaderideva le quarantene etutti gli altri amminnicoli fatti per darla a bere ai gonzi.

-"Nondate retta a queste malinconie!"diceva frattanto Raimondo a donn'Isabellaa fianco della quale s'eraseduto. -"Andretealla serata di gala?"

-"Sìconte; abbiamo il palco."

-"Cherappresentano?"domandò la principessa.

-"L'Elviradi Holbein e Un'eredità in Corsica di Dumanoir. Peccatoche voi non possiate sentire Domeniconiprincipessa. Che artista! Eche compagnia!"

Anchedon Eugenio rammaricavasi di non poter recarsi al Comunaleper farsapere chein qualità di Gentiluomo di Cameraera statoinvitato nei palchi dell'Intendente. Ma egli aveva da concludere unaffarequella sera: la vendita di certe terrecotte -"importantissime"sulle quali avrebbe fatto un bel guadagno: aspettava anzi per questoil principe di Roccascianoanche egli intenditore ed amatore di robaantica.

-"S'haun bel direquindicimila uomini"perorava il duca da canto suo. -"Ese la guerra dura un altro anno? Altri duealtri tre anni? Bisogneràmandar nuove truppefar nuove speseaccrescere il deficit..."

-"AMessina aspettano l'arciduca Massimiliano."

-"Verràanche da noi?"

Raimondoa quella domanda di don Marianosaltò su come morso da unavespa:

-"Eche volete che venga a fare? Per vedere l'elefante di piazza delDuomo? Voialtri vi siete fitto in capo che questa sia una cittàe non volete capire che invece è un miserabile paesuccioignorato nel resto del mondo. Donn'Isabelladite voi: quando mail'avete udito nominarefuori?..."

-"Èveroè vero!..."

Ellaagitava con moto graziosamente indolente il ventaglio di madreperla emerlettidando ragione a Raimondo contro il paese nativo; e lacontessa Matilde non sapeva perché la vista di quella donnale sue parolei suoi gestile ispirassero una secreta antipatia.Forse perché l'udiva approvare il sentimento di Raimondo cheella perdonava al marito ma biasimava negli altri? Forse perchéscorgeva in tutta la persona di leinella ricchezza immodesta degliabitinell'eleganza degli atteggiamentiqualcosa di studiato ed'infinto? Forse perché tutti gli uomini le si mettevanointornoperché ella li guardava in un certo modotroppoarditoquasi provocante? O perchéuna volta al suo fiancoRaimondo non si moveva piùpareva non volesse piùandar fuorinon aspettar più nessuno?...

Ingolfatonel suo tema predilettoegli parlava adesso a vaporeenumerandotutti i vantaggi della vita nelle grandi cittàinterrompendosi tratto tratto per domandare a donn'Isabella: -"Èvero o no?"oppure: -"Parlatevoi che ci siete stata!..."ripigliando a descrivere la grande societàgli spettacolisontuosii piaceri ricchi e signorili. E donna Isabella a chinare ilcapoad aggiungere argomenti:

-"Quandovedremoper esempiole corse fra noi?"

Giustoin quel momentodon Giacinto entrò nella sala. Era cosìturbato in viso e si capiva così chiaramente che portava unacattiva notiziache ognuno tacque.

-"Nonsapete?"

-"Checosa?... Parlate!..."

-"Ilcolera è scoppiato a Siracusa!..."

Tuttilo circondarono:

-"Come!Chi ve l'ha detto?"

-"Mezz'orafaalla farmacia Dimenza... Notizia sicuravienedall'Intendenza!... Colera di quello buono: fulminante!..."

Subitocome se l'annunziatore lo portasse addossola conversazione sisciolse in mezzo ai commenti spaventatialle esclamazioni dolenti:Raimondo accompagnò giù alla carrozza donna Isabelladandole il braccio; don Blasco vociavain mezzo alla scalasotto ilnaso del duca che andava a verificar la cosa:

-"Ilregalo dei fratelli!... AhRadetzkydove sei?... Ahunaltro Quarantanove!..."



5.


Ognialtro interesse cedé come per incanto dinanzi all'universaleinquietudine per la salute pubblicagiacché della notiziaportata da don Giacintosulle prime smentitapoi confermatanon fupossibile più dubitare quandodi lì a qualche giornonon si parlò più di casi sospetti a Siracusama deldivampare del morbo a Noto. Il ducadeliberato di tornarsene aPalermo prima che le cose incalzassero e la via fosse chiusaresistéostinatamente agli inviti del principeil quale s'apparecchiava apartire pel Belvedere all'annunzio del primo caso in città.L'anno innanzicome nel '37gli Uzeda erano scappati alla lorovilla sulle pendici della montagnae poiché il colera nonarrivava mai lassùerano certi di liberarsene. Il principesmessa a un tratto l'acredineriparlava d'accordo e di unionevoleva tutti con lui al sicurotutti gli ziitutti i fratelli.Quantunque non fosse tempo di trattar d'affarinondimenoperdimostrare al nipote d'aver preso a cuore i suoi interessiil ducaprima di partireriferì a Raimondo il discorso delle cambialie lo esortò a mettersi d'accordo col fratello. Raimondo loascoltò distrattamentee gli rispose quasi infastidito:

-"Vabeneva bene; poi se ne parlerà..."

Anch'eglis'era mutatoma al contrario di Giacomoin peggio; era diventatonervosoirascibileverboso e di buon umore solo quando donnaIsabella veniva al palazzo. I Fersa non sapevano ancora dove fuggireil colera: il principe consigliava loro di prendere in affitto unacasa al Belvedereper esser vicini; e a donna Isabella sorridevamolto quel partitobenché sua suocera preferisse rifugiarsi aLeonforte come l'altr'anno.

-"Voidove andrete?"domandava a Raimondo; e il giovane che le si trovava sempre a fianco:

-"Doveandrete voi stessa!"

Ellachinava gli occhicon una severa espressione di biasimoquasioffesa.

-"Evostra moglie? Vostra figlia?"

-"Parliamod'altro!"

Nonostantel'allarme cagionato dalla pestilenzal'intrinsichezza delle duefamiglie si strinse ancora più in quei giorni. Fersache erastato sempre lieto e superbo di venire al palazzo Francalanzaadessogodeva nell'esservi ricevuto con segni di particolare gradimento; nonsolo Raimondoma anche e forse più Giacomo dimostrava moltopiacere in compagnia di lui e di donna Isabella: quando sua moglieandò fuori la prima voltadopo il luttoegli volle chefacesse loro una visita; la contessaper desiderio del maritoaccompagnò la cognata.

DasolaMatilde forse non sarebbe andata in casa di quella donna. Nonvoleva chiamare gelosia il sentimento che le ispirava: se Raimondogalante con tuttestava attorno a costei che tutti gli uominiaccerchiavanonon era già meraviglia; ella stessa non nericeveva continue proteste di calda amicizia?... Puretutte le volteche donna Isabella l'abbracciava e la baciavaella doveva farsiforza per non sottrarsi a quella dimostrazione d'affetto. Non sapevabene rendersi conto della repulsione quasi istintiva che provava ognigiorno più forte; quando tentava di spiegarla a se stessal'attribuiva più che ad altro alla radicale diversitàdel loro carattere; alla leggerezzaall'affettazionealla mancanzadi schiettezza che le pareva scorgere in lei. Non l'aveva anch'ellaudita lagnarsia mezze parolecon allusioni velatedei parenti delmarito e dello stesso marito; mentre ella vedeva benequasiinvidiandolala devozione portatale da Fersae udiva ripetere chela suocera la trattava meglio d'una figliuola? Andata a farle visitain compagnia della principessanon poté accertarsene coipropri occhi?

DonnaMara Fersa era una donna un po' all'anticasenza ombra d'istruzionepoco fine d'educazione anche; ma molto accortae semplicealla manocome una buona massaia. Aveva sperato d'ammogliare il figliuolo amodo suo; ma questiandato una volta a Palermo e vista l'IsabellaPintoorfana di padre e di madrel'aveva chiesta su due piediinnamoratissimoallo zio materno dal quale era stata educata.Nobilissimala Pinto; ma senza dote; aveva però ricevutoun'educazione oltremodo signorile in casa dello zio facoltoso. IFersainvecebenché ammessi tra i signorinascevanomediocremente; donna Ferdinandaestimatrice ed amica di donnaIsabellali chiamava Farsa — farsa tutta da ridere —;ma possedevano gran quantità di quattrini. Donna Marasulleprimeaveva tentato di opporsi a quel matrimonio; ma poichésuo figlio era cotto dell'Isabellae questa pareva più cottadi luiaveva finalmente consentito. Così la nuorapalermitanaeleganteistruita e nobilevenne a mettere nella suacasa una rivoluzioneche ella sopportò con molta buonagraziaper amore del figliocomprendendo di non potersi opporre aigusti ed anche alle fantasie dei giovani. Donna Isabellachiamandola-"mamma"dimostrandole il rispetto che le dovevapareva scontenta di leivergognosa della sua ignoranza e della sua semplicità. Era unacosa tanto sottileche Matilde quasi incolpavasi di cattiverianotandola: una specie di condiscendente compatimento verso leopinioni della suocera come per quelle di un bambino o d'uninferiore; una impercettibile esagerazione d'obbedienzaunacert'aria di sacrifizio che pareva volesse ispirare l'altruicompiantoma che riusciva molto antipatica alla contessa.

Peraltroquesta era sicura di non dover sopportare troppo a lungo lacompagnia di lei. La necessità di sistemare gl'interessipoteva solo trattenere Raimondo in Siciliama forse egli avrebbeaffrettata la partenza per fuggire il colera. Già alle primevoci di pestilenzainquieta per la lontananza del padre e dellabambinaella gli aveva domandato che volesse fare; ma suo marito nonsi era ancora deciso. L'anno innanziin Toscanaudendo le notiziedelle stragi di Siciliadel pazzo terrore che regnava nell'isoladello scioglimento d'ogni civile consorzioaveva espresso la propriasoddisfazione per essere lontano dalla -"selvaggia"terra nataledovedicevanon lo avrebbero sicuramente capitato intempo d'epidemia; pertanto ella era quasi sicura che sarebbero prestopassati nel continenteprendendo con loro la bambina per via.Raimondo invece pareva esitante; se la pigliavasìcon lacattiva stella che lo aveva fatto cogliere dalla pestilenza nellatrappola isolanama diceva di non potersi mettere in viaggio adessoche il male era scoppiatoanche per riguardo della gravidanza dilei. Frattanto il barone le scriveva da Milazzo di raggiungerlolassùpoiché il colera veniva dal Mezzogiornoe difar presto a lasciar Cataniadi non dar tempo alla gente spaventatadi sbarrar tutte le strade. Cosìsecondo che le notizieincalzavanoche le lettere del padre le facevano maggior premurache il pericolo di restar divisa dalla sua bambina diveniva piùgraveil cuore di lei si chiudevadal terroredall'ambasciaquasiella fosse sul punto di perdere per sempre i suoi cari; alloraesortava più caldamente Raimondo a prendere una decisionequalunquead andar subito via:

-"Andiamovia!... Andiamo per adesso a casa mia! Non voglio lasciar solaTeresina... Saremo anche più lontani dal focolaio dellapeste..."

-"Hoda chiudermi in un paesuccio di marein tempo di colera? Per creparecome un cane? Bisognerebbe che fossi impazzito! Scrivi piuttosto atuo padre e a tua sorella di portar qui la bambina."

Ilbarone invece tempestòdi rispostache per niente avrebbecommesso quella sciocchezzagiacché il colera era alle portedi Cataniae ingiunse alla figlia di non perder tempo e anche dilasciar solo Raimondo se costui rifiutavasi di accompagnarla...Allora ella non seppe più che fare né chi ascoltaresmaniando all'idea di restar divisa dalla figlia e dal padrenontollerando neppure d'abbandonare Raimondopoiché non potevavivere lontana né dall'uno né dagli altriin quellatriste stagione. Il giorno che il ducafatte le valigepartìper Palermoella si vide perduta...

Finoall'ultimo momento il principe aveva insistito presso lo zio affinchévenisse con lui al Belvedere; il duca aveva continuato a rifiutareadducendo gli affari che lo chiamavano alla capitalela maggiorsicurezza che c'era lì.

-"Nonpensate a me"disse ai nipoti; -"ionon correrò pericolomettetevi piuttosto in sicurovoialtri..."

-"VostraEccellenza stia tranquillo anche per me; ho tutto pronto per andarvia al primo allarme"rispose Giacomo. Rivolto al fratelloal quale aveva già fattoun primo invitoripetéin presenza di Matilde:

-"Sevolete venire anche voimi farete piacere."

Raimondonon rispose. Voleva dunque davvero restar diviso da sua figlia?Poteva così tranquillamente viverne lontanonei terribiligiorni che si preparavano? Matilde piangevascongiurandolo di nonfar questa cosa; egli le risposeseccato:

-"Nonso ancora ciò che farò. A Milazzo non vado di sicuro."

-"Lasceremodunque sola quella creatura? Se impediranno il transitose nonpotremo più vederla?"

-"Primadi tutto tua figlia non è abbandonata in mezzo a una viamasta col nonno e la zia. Poi se quella testa dura di tuo padrem'avesse ascoltatoa quest'ora l'avrebbe portata quie saremmopronti ad andarcene tutti insieme al Belvederedove non c'èneppure l'ombra del pericolo... Insomma a Milazzo non vengo; giàsi parla di casi sospetti a Messina. Vattene solase vuoi."

Etutti gli Uzedaquasi godendo dell'ambascia di leiquasi per nonlasciarla scappare dalle loro unghieapprovavanodicevano cheoramai ciascuno doveva restar dov'era. E suo padre la rimproveravaacremente di ostinazione e d'egoismomentre ella credevad'impazziresognando tutte le notti sogni spaventosi di lenteagoniedi separazioni senza ritornodi spietate torture; piangendocome morta la sua bambinal'altra creatura che s'agitava nelle sueviscere; vedendo suo padre e Raimondo avventarsi l'uno control'altro... E un giorno terribile come una notte d'incubo il principevenne a dire che il primo caso s'era manifestato in cittàchele strade si chiudevanoche bisognava subito partire pel Belvederedove anche i Fersa sarebbero venuti…


Lavilla Francalanzaal Belvedereera tuttavia nello stato in cuitrovavasi tre mesi addietroal momento della morte dellaprincipessa. Là si riunironocon la rispettiva servitùla famiglia del principe ed i suoi ospiticioè Chiara e ilmarchesedonna Ferdinandail cavaliere don EugenioRaimondo e suamoglie. Ferdinando non aveva voluto sentirne di lasciar le Ghiande:c'era rimasto pel colera dell'altr'annovoleva restarci anche perquest'altrodichiarando che nessun luogo offriva maggiori garanzied'immunità. Don Blasco e il Priore don Lodovico erano giàscappaticon tutti i monaci di San Nicolaa Nicolosi.

Lavilla degli Uzeda era tanto grande da capire un reggimento disoldatinon che gl'invitati del principe; ma come il palazzo incittàa furia di modificazioni e di successivi riadattamentipareva composta di parecchie fette di fabbriche accozzate a casaccio:non c'erano due finestre dello stesso disegno né due facciatedello stesso colore; la distribuzione interna pareva l'opera d'unpazzotante volte era stata mutata. Altrettanto avevano fattodell'annesso podere. Un temposotto il principe Giacomo xiiiquestoera quasi tutto un giardino veramente signorile; amante dei fioriilprincipe aveva sostenuto per essi una delle tante spese folli cheerano state causa della sua rovina: aveva fatto scavare un pozzo pertrovare l'acquaa traverso le secolari lave del Mongibellofinoalla profondità di cento canne; lavoro tutto di bracciadicolpi di picconedurato qualcosa come tre anni. Trovata finalmentel'acquache un bindolo tirava suegli giudicò che la colturadella vigna poteva vantaggiosamente esser sostituita da quella degliagrumi: quindi sradicòin quel tratto del podere non ancoratrasformato in giardinotutte quante le viti per piantare aranci elimoni. Così le spese sostenute da suo nonno per costruire ilpalmento e la cantina andarono perdute. Mavenuta donna Teresaognicosa fu messa nuovamente sossopra. I fiori essendo -"robeche non si mangia"rose e gelsomini furono diveltii pilastri ridotti a mattonilaserra trasformata in istalla pei muli; e il vino avendo maggiorprezzo degli agrumii bei piedi d'aranci e di limonitirati su contanta faticafurono sacrificati alle viti. Restò appenaquattro palmi di giardinotra il cancello e la casae tanti piedid'agrumi quanti bastavano a far la limonata d'estate. Cosìtutte le somme buttate nel pozzo furon buttate nel pozzo davvero.

Oraappena giuntoil principe ricominciava anche qui l'opera innovatriceiniziata al palazzo. Per veritàegli non toccava il poderegiudicandocome la madreche le rose tisicuzze arrampicatesull'inferriata e sui muri della villa bastassero pel godimento dellavista e dell'olfattoe che i cavolile lattughe e le cipollestessero molto meglio nelle antiche aiuole fiorite: machiamati imanovaliordinò che buttassero giù muri e dividesserostanze e condannassero porte e forassero nuove finestre. Erad'eccellente umore e trattava benissimo i suoi ospiti; faceva unacorte devota alla zia Ferdinandausava molte cortesie al fratello edalle sorelleal cognato marchese ed alla stessa cognata Matilde;naturalmenteconsiderata la stagionenessuno parlava d'affari.Molto più contenta di lui era Lucreziapoiché iGiulente che in città non avevano casa propriapossedevanouna delle più graziose ville del Belvederee venuto lassùcon la famiglia alle prime voci del coleraBenedetto passava espassava ad ogni ora del giorno dinanzi al cancello dei Francalanza.Contentone era anche il marchesee Chiara non capiva nella pellepoiché i sintomi della gravidanza si confermavano; marito emoglie s'angustiavano soltanto per non poter preparare il corredo delnascituro. La stessa donna Ferdinanda si mostrava piùaccostabileaddomesticata dall'ospitalità che il principe leaccordavacontenta di poter risparmiare la spesa dell'affitto d'unvillinonon quella del vittoperché ciascuno degli ospiti cistava a suo costo. Ma il più contento di tutti era ilprincipino; mattina e sera nella vignanel giardinettoa zappareatrasportar terraa costruire case di creta; poiquand'era stanco diqueste occupazionisu a cavallo d'un asino o d'una mula ascorrazzare di qua e di làe se il cameriereo il fattore ole altre sue guide non lo lasciavano andare dove gli talentavadavaall'uomo le frustate che sarebbero toccate alla bestia. Solamente lavista del padre l'infrenavaperché il principe lo avevaeducato a tremare a un'occhiata; ma tutti gli altri parenti lolasciavano fare. La principessa lo contentava ad un cenno; la ziaFerdinanda contribuiva anche a viziarlocome erede del principato;ma don Eugenio lo contristavaadessopeggio che in città conle sue lezioni. Il ragazzoquando stava attentocomprendeva tuttoperò il difficile era appunto che stesse tranquillo. -"Studiaadessose no tuo padre ti metterà in collegio!"ammoniva lo zio; e infatti il principe aveva più d'una voltaespresso l'intenzione di mandar via di casa il figliuolodi metterloo al collegio Cutelli fondato per educare la nobiltà -"all'usodi Spagna"oppure al Noviziato dei Benedettinidove i giovani che non volevanopronunziare i voti ricevevano un'educazione non meno nobile. Consalvonon voleva andare né all'uno né all'altro postoe laminaccia era tale che egli si decideva a fare asteggiature e arecitare le declinazioni; in premiodon Eugenio lo conduceva con séper le campagne di Mompileridovepochi giorni dopo il suo arrivoal Belvedereaveva cominciato a fare certe gite misteriose.

Circadue secoli primanel 1669le lave dell'Etna avevano copertodaquelle partiun villaggetto chiamato Massa Annunziata del qualepiùtardis'eran per caso trovate alcune vestigia. Ora don Eugeniochedal commercio dei cocci non ricavava molti guadagniaveva concepitopensando sempre a un gran colpo capace di arricchirloil disegnod'iniziare una serie di scavi come quelli visti ad Ercolano e aPompeiper discoprire il sepolto paesuccio ed arricchirsi con lemonete e gli oggetti che avrebbe sicuramente rinvenuti. Il secretoera necessarioaffinché altri non gli portasse via l'idea;perciòsolo o accompagnato dal ragazzoche andava per contosuo a caccia di lucertole e di farfalleil cavaliere gironzava neicampi di ginestre e di fichi d'India sotto Mompilericon antichilibri in manoorientandosi per mezzo dei campanili di Nicolosi e diTorre del Grifostudiando la posizionepigliando misurea rischiodi farsi accoppare come untore dai mulattieri e dai pecorai che loscorgevano in quelle attitudini sospette. Ma non bastava mantenere ilsecreto sull'idea; bisognava anche spender molti quattrini pertradurla in atto. Un giorno perciò don Eugenio chiamòil principe in disparte e gli comunicò con gran mistero il suodisegnochiedendogli di anticipargli le spese degli scavi.

-"VostraEccellenza scherzao dice davvero? Scavar la montagnaper trovarche cosa? Scodelle dell'altr'ieri e qualche pezzo di rame?Bisognerebbe esser matti!..."

Indirettamenteil principe dava del matto a lui stesso con quella risposta che nonsi sarebbe mai sognato di rivolgere al duca o a donna Ferdinanda. Madon Eugenioin famigliagodeva poca considerazione per lestramberie commesse a Napoli e soprattutto per l'assoluta mancanza diquattrini... Il cavaliere non riparlò più della suaidea. Mutata viadeliberò di scrivere al governo perchéfacesse gli scavi a spese dell'erario e con la speranza cheaffidassero a lui la direzione. Il principino respiròliberamenteperché le lezioni furono interrotte: appenafinito di desinaredon Eugenio si chiudeva in camera suaa lavorarealla memoriae non si vedeva più per tutta la seramentregli altri chiacchieravano o giocavano. A poco a poco una societànumerosa s'era venuta raccogliendo in casa del principe: tutti isignori rifugiati al Belvederetutti i personaggi ragguardevoli delluogo venivano alla villa Francalanzadovecon un trattamentod'acqua e aniceil principe si faceva fare la corte. C'era mezzaCataniaal Belvederee gli Uzedache in città erano moltoseverifacevano adesso larghe concessioniatteso il luogo e lastagionericevendo gente di minuscola od anche di nessuna nobiltàtutti coloro che donna Ferdinanda derideva o disprezzavadei qualistorpiava i nomi o ai quali assegnava bislacche armi parlanti: gliSciloccache chiamava -"Siloca";i Maurigno che si facevano dare del -"cavaliere"e che la zitellona chiamava -"cavalieria piedi";i Mongiolino chediscendendo da fornaciai arricchitidovevanoportare nello scudo tegoli e mattoni. Solo i Giulentedi quellacasta dubbianon venivano alla villaper via del figliuolo; ma ilprincipequando incontrava Benedettoo suo padreo suo zioalcasino pubblicorivolgeva loro la parola molto affabilmente; e ilgiovaneche non aveva interrotto la corrispondenza con Lucrezialeriferiva tutto contento quelle amabili dimostrazioni. Ma la gioiainvece di scemare accresceva l'abituale distrazione della ragazza:ella chiedeva notizie ai vedovi della salute delle mogli defuntescambiava le personenon rammentava nulla; una sera fece rideretutta la società domandando allo speziale del Belvedere cheaveva una sorella in convento: -"Evostra sorella monaca con chi è maritata?..."

Iltema obbligato di tutti i discorsi erano naturalmente le notiziedella città dove il colera si diffondevalentamente peròsenza divampare con la forza spaventosa dell'anno innanzi. Poiciascuno dava notizie dei parenti e degli amici rifugiati qua e làpel Bosco etneo: la cugina Graziellache era alla Zafferanamandavabiglietti o ambasciate coi carrettieri quasi tutti i giornipersapere come stavano i cuginie dir loro come stava ella stessa e ilmaritoe salutarli caramentee mandar regali di frutta e di vino;la duchessa Radalì Uzedadalla Tardarianon scrivevaperchéil ducanel trambusto dell'improvvisa scappataera diventatofurioso. La pazzianel ramo dei Radalìera una malattia difamiglia; il duca aveva dato nelle prime smanie tre anni innanzialla nascita del suo secondo figlio Giovannino. E la duchessafin daquel tempovistosi cadere sulle spalle il peso della casaavevarinunziato al mondo per tener luogo di padre ai figliuoli. Li volevabene entrambima le sue preferenze erano pel duchino Michele: noncontenta dell'istituzione del maiorascolavorava a migliorare leproprietàfaceva una vita di economie e di sacrifizi perlasciarlo ancora più ricco. Ella non dava ombra a nessunodegli Uzeda; la stessa donna Ferdinandache si credeva la sola testafortel'approvava. Al Belvederenonostante il colerala zitellonas'occupava d'affariappartandosi con gli uomini che se neintendevanoparlando di mutuid'ipotechedi crediti da poteraccordaredi fallimenti da temere; e mentre il principe diRoccasciano esponeva alla speculatrice i piani laboriosi coi qualicostruiva pazientemente e lentamente l'edifizio della propriafortunala principessa sua mogliedi nascosto da luisi giocavacon Raimondo e con altri appassionati delle carte tutto quel cheaveva in tasca. Il principe Giacomo vedeva qualche volta giocaresenza metter fuori un baioccoma il più del tempo discorrevacon quelli del paese. Venivano a fargli la corte il medicolospezialei possidenti più grossila gente la cui ciera gliandava a versoperché quanti tra i familiari della madre gliparevano iettatori erano stati da lui messi fuori. Non mancavano ilvicarioil canonicotutte le sottane nere del villaggio. Come incittàla casa Uzeda era qui frequentata da tutto il cleroregolare e secolareper la sua fama di devozionepel bene semprefatto alla Chiesa. Il rifiuto del principe di riconoscere il legatoalla badìa di San Placido non lo pregiudicava presso i Padrispirituali: in vita era umano che egli cercasse di tener per séla più parte della roba; così pure aveva fatto suamadre; morendoavrebbe poi largheggiato con la Chiesa perassicurarsi la salute dell'anima. Come capo della casaegli avevadel resto la facoltà di nominare i sacerdoti celebranti intutte le cappellanie e benefizi fondati dai suoi antenati; lìal Belvederespecialmentece n'era uno molto pinguequello delSacro Lume. Un Silvio Uzedadolce di salevissuto un secolo e mezzoaddietroera stato sempre attorniato da preti e frati: i monaci delconvento di Santa Maria del Sacro Lume l'avevano persuaso che laMadonna voleva sposarsi con lui. Ed egli non era entrato nei pannidal contento. La tradizione narrava che avevano compito la cerimoniacon tutte le formalità: lo sposodopo essersi confessato ecomunicatoera stato condottoin abito di galadinanzi alla statuadi Maria Santissimae il sacerdote gli aveva regolarmente domandatose era contento di sposarla. -"Sì!..."aveva risposto l'Uzeda; poi la stessa domanda era stata fatta allaRegina del cielo; e per bocca del guardiano del conventoanche Ellaaveva risposto sì. Poi s'erano scambiati gli anelli: la statuaportava ancora al dito quello dello sposoil quale avevanaturalmente lasciato alla consorte tutti i suoi beni. Una lunga litene era seguitanon avendo voluto gli eredi naturali riconoscere iltestamento del matto; finalmenteper via di transaziones'eraistituita nel conventocon metà dei beniuna cappellanialaicalesulla quale gli Uzeda avevano esercitato il giuspatronato.Così tutti i monaci venivano la sera a fare la corte alprincipediscutevano con lui gli affari del monastero. Tra tuttaquella gente egli papeggiavasputava tondoascoltato come un Dio;dimenticava il resto della societàle signore e le signorineche giocavano a tombolao a spiegar sciaradeo combinavanoescursioni per la montagnae passavano il tempo cosìallegramente chesenza le notizie del colera e i paesani armati pertener lontani i tardi fuggiaschinessuno avrebbe pensato che quellifossero tempi di pestilenza.

Solola contessa Matildefra le comuni distrazioninon riusciva anascondere il proprio dolore. Ella era venuta via dalla cittàquasi fuori di sentimentotanto forte era stata la prova a cuil'avevano messa. Con l'animo pieno di spavento e di rimorsosulpunto di partire per la campagnaaveva riconosciuto che la pena menosopportabile non le veniva più dalla lontananza della suabambinama dal tradimento di Raimondo. Come poteva piùmetterlo in dubbio? La verità non le si era improvvisamentesvelataall'annunzio che egli andava al Belvederedove andava laFersa? Perché maitanto insofferente di vivere in Sicilias'era rifiutato a partire pel continentese non perché volevarestare vicino a colei? E aveva finto di non sapersi decidereperaspettare che si decidesse quell'altra; ed aveva mendicato pretestie accusato il suoceroe così bene temporeggiato che alloscoppio della pestilenza aveva fatto a modo suo!... Né inquelle finzioniin quelle menzogneella vedeva più laconferma dei brutti lati del suo carattere; esse non l'accoravanoperché egli ne era stato capace: solo il pensiero che le avevaadoperate per amor di quell'altra era il suo cruccio. Che non amassela figliache fosse ingiusto verso il suocero e prepotentecapricciososgraziatonon le faceva nulla: ella non voleva chefosse d'altri! A Firenzela gelosia di lei non aveva avuto oggettodeterminatoo aveva continuamente mutato d'oggettopoichéegli faceva la corte a quante donne vedeva; ella stessa poi s'erafino ad un certo punto assicuratagiacchégalante a parolecon le signorela mutabilità e l'impazienza dei suoi desiderigli facevano preferire quell'altrele donne che si pagano... Chevergognoso dolore era stato il suo nel vedersi ridotta al punto didoversene rallegrare! Eppureella invidiava ora le sofferenzepassategiudicando intollerabile l'idea di saperlo così pienod'un'altra da abbandonar la figlia in quei terribili giorni perstarle vicino! Poi il suo cruccio crescevamisurando la rapiditàcon la quale egli progrediva nella via del tradimento. A Firenzeaveva messo un certo pudore nelle sue tresche; s'era quasi studiatoa momentidi farsele perdonaretornando ad ora ad ora buono conlei; adesso sfrenavasi fino a costringerla d'essere spettatricedell'infamia. Questosoprattuttola feriva: che potessero esserecosì tristi da darsi un simile convegnosotto gli occhi dileimentre i cuori umani tremavano al pensiero della morte!... Chegiornoquello della fuga al Belvedereper le vie arroventate dalsolein mezzo a nugoli di polvere calda e soffocante! Ella era nellastessa carrozza con ChiaraLucrezia e il marchesee la vista dellecure che questi prodigava alla moglie faceva più acuto il suodolore. Raimondo non s'era voluto metter con leil'aveva lasciatasola in quella corsa pei villaggi dove gente armata fermava ognipersona ed ogni veicolocontrastando il passo; ma comprendeva ellanulla di tutto questo? Vedeva nulla sul suo cammino? Ella vedevacongli occhi della menteRaimondo sorridente e felice a fianco diquella donnacome l'aveva visto in realtà tante volte senzache la sua nativa fiducia la insospettisse! Ora però tutte lecose che non aveva saputo spiegare acquistavano un senso evidente: lelunghe uscite di Raimondole sue attese impazientiil piacere chegli si leggeva negli occhi appena entrava coleilo stesso misteriosoistinto di repulsione che quella donna le aveva ispirato fin dalprimo momento... Come doveva esser falsa e malvagiase le dava iltenero nome d'amica e l'abbracciava e la baciava mentre le portavavia il marito? Egli stesso non era falso altrettanto? Quantemenzogne! Aveva anch'addotto la gravidanza di lei per non lasciar laSiciliae non s'accorgeva d'attentare in quel modo alla vita dellacreatura che ella portava in grembo!... Che giorno terribile! Nellacarrozza scottante come un fornoal cui sportello s'affacciavanovisi sospettosi di contadini brutalipiena del nauseante odore dellacanfora che Chiara e Lucrezia tenevavano alle narici contro lamefiteella sentiva mancarsi il respiro. Non sapeva dov'eradoveandava; voleva gridare al cocchierealle compagne di viaggio: -"Tornateindietro!... Non voglio venire!";affrontar suo maritobuttargli in faccia il tradimentoscongiurarlodi non condurla vicino a quella donnadi non farla moriredisalvare la creatura che s'agitava nelle sue visceredi ridar la paceal suo cuorel'aria al suo petto. Aveva perduto i sensiinfattiprima d'arrivare al Belvederenon rammentava più come equando fosse entrata alla villa...

Lìera cominciata per lei una vita di trepidazione continua. Ad ogniistante aveva creduto di vedersi comparire dinanzi la Fersa: tutte levolte che Raimondo era andato fuoriaveva pensato: -"Adessoè con lei..."e il non vederlail non udirne parlareaccresceva il suo spaventolo rendeva più oscurole procurava non sapeva ella stessaquali orribili sospetti di cospirazioni ordite da tutti a suo danno.Aveva trovatosìla forza incredibile di nascondere i suoisentimenti per non insospettire il maritoper non dare buon giuocoai nemici; ma il silenzio imposto a se stessarendendo piùacuto il suo tormentole aveva tolto il mezzo di saper nulla. Perchénessuno nominava quella donna? Perché non veniva alla villacon tutti gli altri visitatori del principe? Dov'era andata a star dicasa?... E intenta a vagliare le mille supposizioni paurose chel'inquieta fantasia le suggerivaella dimenticava il coleraquasinon pensava alla figlia lontanaquasi non s'accorgeva del silenziodi suo padre. Questi doveva volerglienecredere che avesseabbandonato la bambina per smania di divertirsi al Belvedere! Non leera accaduto sempre cosìche tutto quanto aveva fatto controvoglia per obbedire agli altrile era poi stato addebitatodatutticome capriccio e come colpa? Non era ella una di quellecreature disgraziate che non riuscivano a nulla di benedestinate aspiacere ad ognuno? Però non piangeva: non pianse neppurequandoinvece del padrele scrisse la sorella Carlottaper dirleche Teresina stava bene e che erano tutti al sicuro. Non piansemasi sentì vinta da una cupa tristezza che non riuscì anascondere. Raimondo stesso se ne accorse; le domandò:

-"Chescrive tua sorella?"

-"Nulla...che stanno tutti beneche non corrono pericolo..."

-"Haivisto?... Quando io ti dicevo?..."e le voltò le spalle.

Eranopassate due settimane dal loro arrivo e ancora non aveva uditoparlare della Fersa. La sera di quel giornoappena cominciò avenir genteella andò a chiudersi nella sua camera. Stavamalenon solo di spiritoma anche fisicamente; la lunga agitazionetravagliava alla fine anche il suo corpo. Era da un pezzo buttata sullettocon gli occhi e la mente fissi nelle tristi visioni delpassatonelle paurose previsioni dell'avvenirequando fu picchiatoall'uscio.

-"Cognata?..."era la voce del principe. -"Chefate? Perché non venite giù? C'è molta gentestasera... si giuoca..."

Ellalevossis'acconciò con mano tremante i capelli scomposti ediscese. Certoquell'altra era finalmente venuta! CertissimamenteRaimondo le stava al fianco! La chiamavano per farla assistere aquello spettacolo e per goderne!... Guardò rapidamente nelsalone zeppo: non c'era. Peròaveva appena preso postoaccanto alle cognateche la udì nominare: qualcuno diceva:

-"...lavilletta affittata a donna Isabella..."

-"Unguscio di noce!"rispose un altro. -"IMongiolino ci stanno come le acciughe in un barile."

Ellanon comprendeva.

-"Mai Fersa dove se ne sono andati?"

Eraproprio Raimondo che faceva questa domanda? Non sapeva dunque dov'eracolei?

-"Nellacampagna di Leonforte; donna Mara ha preferito…."

Ellacomprese a un tratto; la gola le si strinse convulsamente. Andata viasenza dir nullatraversò la casa con gli occhi gonfi e ilcuore tumultuante; giunta nella sua cameracadde ai piedidell'imagine della Verginescoppiando in pianto dirotto; pianto digioiadi gratitudine di rimorso anche: poiché ella avevasospettato degli innocenti...

Leparve di tornare da morte a vita; coi sospetticessarono i doloridell'anima e quelli del corpo; partecipò alla vita dellafamigliaassaporò finalmente la dolcezza del riposo. Anche lenotizie del colera non le davano timore pei cari lontani; dopo lestragi dell'anno innanzi la pestilenza pareva non trovasse piùdove apprendersiserpeggiava qua e là senza forza.

Allavilla Francalanza continuava la vita allegra; tutte le sereconversazione e giuoco. Raimondo era adesso il più assiduoalla tavola verde; quand'egli prendeva le cartele posteaumentavanoil rischio cresceva. Molti s'alzavanointendendosvagarsi e non lasciarvi la borsa; la principessa di Roccascianoinvecenon chiedeva di megliomolte volte restava sola col conte afar la bazzica da dodici tarì. Si nascondeva dal maritoilqualecome tutti i parsimoniosibiasimava ogni specie di giuoco:amici compiacenti stavano alle vedette per farle un segno appena eglis'avvicinava; allora ella e il suo complice facevano sparire igettoniinterrompevano la partita e si lasciavano sorprendereintenti a una scopa innocente. Raimondo ci si spassavaincitava laprincipessa al giuoco fortela tirava in una stanza fuori mano doverestavano più a lungo a contendersi i quattrinimettendo poiin mezzocon l'aiuto di tutta la societàil principesospettoso. Matildesorridendo anche lei di quelle scene dacommediagiudicava tuttavia che suo marito facesse male a fomentarecosì il vizio della principessa; ma non le bastava il cuore dirimproverarlotanto la rinata fiducia la faceva indulgente. Purchéegli non la tradisseche le importava del resto? Tra le signore chevenivano alla villaRaimondo pareva non apprezzarne alcuna; stavapoco in loro compagniasi dava tutto al giuoco: il giorno al casinola sera in casa. Non che biasimarlopertantoella avrebbe quasivoluto spingerlo in quella via che lo distoglieva da un'altrainfinitamente più dolorosa. Il cuor suo lo avrebbe volutosenza nessun viziosolo amante di leidella famigliadella casa;ma lo prendeva com'eraanzi come lo avevano fattogiacchéella addebitava quel che trovava in lui di men bello alla soverchiaindulgenzaal cieco amore della madre.

Lontanodalle carteRaimondo s'annoiava. Se non poteva combinare una buonapartitasmaniava contro la noia di quel villaggiocontro laconversazione dei villanicontro gli stupidi divertimenti dellatombola e delle gite sugli asini. Ella poteva dirgli: -"Conchi te ne lagni? Non volesti venirci tu stesso?"Però tacevaaffinché egli non prendesse quelle parolecome un rimprovero. Invecevedendolo di cattivo umoregli domandavadolcemente che avesse.

-"Hoche mi secconon lo sai?"le rispondeva.

-"Chevuoi farci!... Quando il colera cesserà torneremo a Firenze…Perché non vai al casino?"

Eglinon se lo faceva ripetere. A poco a pocoil giuoco divenivaindiavolato; nel giro di poche ore facevano differenze di centinaiad'onze. Nessunoin casadiceva nulla a Raimondo; il principegiàpiù alla mano con tuttipareva studiarsi di non pesare pernulla sul fratello. Un giorno questipoiché da Milazzopervia del coleratardavano a mandargli denarigli chiesein contodelle rendite ereditatequalche centinaio d'onze: il principe misela propria cassa a sua disposizione; egli tornò ad attingervia più riprese. Naturalmentese il colera non finivanon sipoteva far nulla per la sistemazione dell'eredità; nondimenoil principe ne parlava adesso direttamente al coeredegli comunicavai propri disegni. Avevano dato a intendere ai legatari che eranostati trattati male dalla madrema la dimostrazione del contrariosarebbe stata facile e pronta. Giàné Ferdinando néChiara davano ascolto ai sobillatori; la stessa Lucrezia si sarebbesubito convinta del proprio torto. Quindiper amore della pacepermettere in chiaro ogni cosaquantunque avessero ancora tanto tempo apagar le sorellenon era meglio togliersi al più presto quelpeso di su le spalle? Avrebbero fatto un poco di economia perraccogliere le sedicimila onze occorrentigiacché se Lucreziadoveva averne diecimilaa Chiara ne toccavano soltanto seidovendosi sottrarre le quattro da lei -"avute"nel maritarsi. Primaperòbisognava pagare i creditorimetter tutto in pulito. Frattantoper guadagnar tempopotevanointendersi loro duecirca la divisione. E a nessuno di queiragionamenti del fratelloRaimondo trovava nulla da obiettare. -"Vabeneva bene"era la sua risposta.

Inmezzo a questa pacepiombò un bel giorno don Blasco daNicolosia cavallo a un gigantesco asino della Pantelleria. Scappatocon tutto il conventoil monaco non aveva messo fuori neppure ilnasonelle prime settimaneper paura di prendere il colera conl'aria che respirava; ma visto che per la campagna prosperavanouomini e bestierassicuratosi sul pericolo del contagiouditofinalmente che al Belvedere facevano baldorianon stette piùalle mosse. Arrivò lìfra colazione e desinareannunziandosi con grandi vociate perché nessuno gli apriva ilcancello; visto poi il principino che gli veniva incontro con unabacchetta in mano la quale spaventava la cavalcaturagridò alragazzocome se volesse mangiarselo: -"Vuoistar fermoche il diavolo ti porti?"e entrò finalmente nella villa esclamando: -"Nonc'è nessunoqui dentro?... Che stillate?..."Al principe che voleva baciargli la manospiattellò: -"Lasciastare queste smorfie..."e senza salutar nessunolo prese pel bottone dell'abitolo trassein disparte e gli domandò a bruciapelo:

-"Èvero che tuo fratello si giuoca la camicia che ha indosso? Com'èche puoi permettere una cosa simile?"

-"VostraEccellenza non conosce Raimondo?"rispose il principestringendosi nelle spalle. -"Chipuò dirgli nulla? Provi Vostra Eccellenza a dissuaderlo..."

-"Io?Ahio? A me importa un mazzo di cavoli di lui e degli altri! Questoè il frutto dell'educazione che gli hanno data! E quell'altrabuona a nulla di sua moglie? Tutto il giorno a grattarsi la panciapiena? E tua sorella? E quei pazzi? E tuo figlio?..."

Nonrisparmiò nessuno: i discorsi di Chiara e del marcheserelativi al corredo del nascituro gli fecero montare la mosca alnasole notizie dei Giulente lo imbestialirono; ma quel che gli feceperdere il lume degli occhi fu la lettura del Giornale diCatania portato dal principe di Roccasciano nel pomeriggioquando cominciarono a venire le prime visite. Subito dopo ilbollettino del colera si leggeva in quel foglio: -"Lagenerosità dei nostri cospicui patrizi non poteva mancareintempi tanto calamitosidi venire in soccorso della sventura.L'Illustrissimo don Gaspare Uzeda duca d'Oraguabenchélontano dai suoi concittadinipure ha fatto tenere al nostro Senatola somma di ducati cento da distribuirsi in soccorso dei piùbisognosi..."Cento ducati buttati viaper soccorrere i bisognosi? Dite piuttostoper fregola di popolarità! Cento ducati buttati a marequasiche quella bestia avesse molto da scialare? A furia di largizioni unbel giorno avrebbe battuto il... capo sul lastronecome meritava lasua sciocchezza: bestiabestionetre volte bestionaccio!... Ilmonaco era talmente fuori della grazia di Dioche quando Roccascianogli chiese notizie di suo nipote don Lodovicosi voltò comeuna furia:

-"Diche nipote m'andate nipotando?... Non li conosco!... Li rinnego tuttiquanti!..."E preso anche quest'altro pel bottone della giaccagli gridòall'orecchio: -"Vedeteun po' quel che fanno?... Non sono tre mesi che han perduta la madree intanto se la spassanosenza un riguardo al mondo!..."

Qualchegiorno dopo ci fu la visita del Priore. Arrivò in carrozzariposato e sereno: salutò ed abbracciò tuttivolleentrare nella camera dov'era spirata la principessaparlòdella pestilenza attribuendola al corruccio del Signore per lenequizie dei tempi. Tutti lagnavansi dell'ostinata siccitàperché in tre mesi di torrida estate non era caduta una gocciad'acqua: egli riferì d'aver disposto un triduoa Nicolosieuna processione per impetrare la pioggia; altrettanto consigliòche facessero al Belvedere.

-"Nonbisogna stancarsi di pregare l'Altissimo. Solo la preghiera e lapenitenza potranno indurre la Divina Clemenza a perdonare ipeccatori."

Poiannunziò che la cugina Radalì gli aveva scritto peravvertirlo cheappena cessato il coleravoleva mettere ilsecondogenito Giovannino al Noviziato: provvedimento lodevole poichécol marito in quello statola povera duchessa non poteva badareall'educazione di entrambi i figliuoli. Il principe disse cheanch'egli forse avrebbe fatto altrettanto per Consalvo. Laprincipessa chinò gli sguardi a terranon osando replicarema non potendo soffrire di esser divisa dal suo bambino.

Cosìzio e nipote tornarono a veniresoliin giorni diversiincapaci distare insiemecome cani e gatti. Però tutti riconoscevano chela colpa era di don Blasco: don Lodovicocon la sua natura veramenteangelicanon avrebbe chiesto di meglio che far la pace; quell'altroinvece non gli perdonava ancora l'assunzione al priorato. Comunquela scissura era dispiacevole: gli amici di casai frequentatori delconvento ne parlavano con dolore. Non ne parlava affatto fra'Carmeloil quale venne anch'egli a far visita alla principessa ed aportarle le prime nocciuole e le prime castagne. Non voleva parlaredella nimistà tra zio e nipote per amore della buona fama delconventoper rispetto ai Padri chea suo giudizioerano tuttibuoni e bravi egualmente; ma in modo particolare per la venerazioneche portava ai due Uzeda. Quei suoi sentimenti comprendevano tutta laparentela. Quando la principessain cambio della frutta che eglirecavagli faceva apprestare uno spuntinoil fratesparecchiandorapidamenteesaltava la nobile casatacasata di signoroni come cen'eran pochi. E la principessa gli voleva bene pel bene che eglidimostrava al piccolo Consalvoper le carezze che gli facevapergli speciali regalucci che gli portavasingolarmente perchénarrandogli il Noviziato degli zii don Lodovico e don Blascoglidiceva:

-"Cen'è stati tanti degli Uzedaa San Nicola! Ma VostraEccellenza non l'avremo! Vostra Eccellenza è figliuolo unicoe non lo metteranno certamente al monastero!..."

Tuttii parentiinvecetranne Chiarache se avesse avuto un figliuolo selo sarebbe cucito alla gonnaerano dell'opinione del principecheper l'educazione e l'istruzione del ragazzo convenisse mandarlo fuoridi casa. Don Blasco specialmentealle monellate del pronipoteall'indulgenza della principessavociava: -"Macome crescecotesto squassaforche!... Che educazione è questaqui!..."Donna Ferdinandaquantunque giudicasse soverchia ogni istruzionepure riconosceva anche lei che mettere il ragazzo in un nobileistituto sarebbe stato secondo le tradizioni della casa: tanto ilcollegio Cutelli quanto il Noviziato benedettino avevano visto moltidi quegli antenati di cui ella leggeva e spiegava al nipotino lastoria. Quando Consalvo era stanco di molestare le persone e lebestiese ne veniva infatti dalla zitellona e le diceva:

-"Ziavediamo gli stemmi?"

Glistemmi erano l'opera del Mugnòsillustrata con le armi dellefamiglie di cui il testo ragionava; e donna Ferdinanda passava interegiornate leggendola e commentandola al nipotino.

Gliaveva già fatto un piccolo corso di grammatica araldicaspiegandogli che cosa volesse dire scudo partito e divisoinquartato e soprattutto; mettendo il dito adunco sulrame che rappresentava quello di casa Uzeda gliene faceva ogni voltala descrizione perché la mandasse a memoria:

-"Inquartatoal primo e al quarto partitod'oro all'aquila neralinguata earmata di rossoe fusato d'azzurro e d'argento; al secondo e alterzo divisod'azzurro alla cometa d'argento e di nero al capriolod'oro; sopra il tutto d'oro con quattro pali rossi che èd'Aragona; lo scudo contornato da sei bandiere d'alleanza."

Poigliene spiegava la formazione: la cometa voleva dire chiarezza difama e di gloria; il capriolo rappresentava gli sproni del cavaliere.Lo stemma piccolo in mezzo al grande era quello dei Re aragonesi; gliUzeda lo avevano ottenuto a poco a poconon tutto in una volta: ilprimo palo al tempo di don Blasco ii.

-"Seruendoegli"la zitellona leggeva nel suo testo -"all'inuittoRe don Giaime nella gverra ch'hebbe col conte Vguetto di Narbona ecoi Mori nell'acquifto di Maiorcanon n'hebbe remvneratione uervnaperilche ritiratofi dal Real feruiggio fenne andò coi fvoi alfuo Statoet iui uedendo che il Re mandaua vna groffa fomma didenari alla Reinacon dvcento caualieri fvoi uaffalli in un celatopaffo fi pvofeet agvatando i real carriaggi gli tolse i denari equanto di fopra portauanomandando a dire al Re ch'era lvi obbligatodi pagar prima i feruiggi perfonalie doppo fodiffar gli appetitidella Reina: ma fdegnatofi di qvefte attioni il Re moffe contra diBlafco graue gverrache per l'interpofitione di molti baronipiaceuolmente fi disftaccòet ottenne la baronia di Almeiranonché poteftà di poter imporre alle fve Arme vn paloroffo d'Aragona."La zitellona gongolavaleggendo quella storiae dopo averla lettala ripeteva al nipotino con linguaggio meno fiorito perchéegli ne intendesse meglio il senso: -"BelRequelloeh? che si faceva servire dai suoi baroni e poi nonvoleva dar loro niente! Ma la pensata di don Blasco Uzeda non fu piùbella? "Ahnon date niente a me che ho combattuto per voie pensate invece amandar regali alla Regina? Aspettate che vi accomodo io!...""La sua voce tremava di commozione nel ripetere la storia dellarapinae i suoi occhi furaci come quelli dell'antenatos'infiammavano della secolare cupidigia della vecchia razzaspagnuoladei Viceré che avevano spogliato la Sicilia.

-"Egli altri pali?"domandava il principinoche pendeva dalle labbra della zia meglioche se gli raccontasse le fiabe di Betta Pelosa e della MammaDraga.

Lazitellona sfogliava rapidamente il libro e piombava sul passaggiocercato.

-"Acagion di ciò auuenne ch'il predetto Gonzalo de Vzedaeffendoeccellente cacciatorefv inuitato dal Re Carlo di andare a caccianei bofchi fvoiil qvale inuito fv dal Gonzalo accettatoe mentreognvno fi procacciaua e'l Re medefmo di fegvire i DainiCinghialieLepriandò folo il Re appreffo vn groffo cinghialeil qualeaftvtamente fi trattenne nel corfoma perché il cauallo delRe fvriofamente di fopra gli correuanel paffar impedito da quellocafcò con tvtto il Re in vn fafcio per terrail qvale reftòcon vna gamba di fotto di cauallouedendo ciò il cinghialef'auuentò fopra il Re per vcciderloil qvale per non hauerfipotvto difbrigare fi difendeua folamente con vn pvgnalee ne reftauafenz'altro morto fi non che auuedvtofi da lvnge Gonzalo del pericolodel fuo Recorfe per soccorrerloet al primo incontro vccife ilcinghialee scendendo poi da cauallol'aivtò poi a forgeree'l fè montar fopra il fuo caualloe tvtta via il Reringratiandolo e lodandolo il chiamò: "Bonfiglio!"perilche fvrono poi fempre i fignori di Vzeda chiamati dai RegiSiciliani col titolo di confangvineie portarono fovra l'arme l'ArmeRegia di Aragona con tutti i fuoi potericome in effetto al prefentefpieganodicendo anche il cronista madrileno: "Losferuicios de los Vzedas fveron tantosy tan buenos que por merced delos Reyes de Aragona hazian la mefmas armas que ellos...""

Chipoteva più arrestare donna Ferdinandauna volta cominciato?Ella non aveva un uditore più attento del ragazzogli volevabene appunto per questogiacché gli altri parenti leprestavano un orecchio distrattobadavano alle loro -"sciocchezze"o lavoravano ad offuscar lo splendore della casacome quel volponedel duca amoreggiante coi repubblicanicome quella pazza da legaredi Lucrezia che non voleva smetterla d'aspettare al balcone ilpassaggio del Giulente!...

Solofra tutti don Eugenioquando non lavorava alla memoria perdisseppellire la nuova Pompeiassisteva alla lettura del Mugnòscitava altri storici della famiglia. Allora fratello e sorellapassavano a rassegna il lungo ordine di avirecitavano la cronacadelle loro gestail secolare sforzo per afferrare e mantener lafortuna; i tradimentile ribellionile prepotenzele liti continueche gli scrittori narravano velatamentee che essi magnificavano.Artale di Uzeda -"giornalmentedal suo castello con i suoi armigeri uscendosignoreggiava tutto ilpaese";Giacomovissuto al tempo del Re Lodovico -"dominòNicosia e ne fu alla perfine rimosso per i molti dazi che impose";don Ferrante -"cognominatoSconzache nel siculo idioma suona il medesimo che Guasta"perdé tutti i suoi feudi -"mercél'inobbedienza che usò col suo Re; ne ottenne quindi ilperdonoma non per questo dimorò nella fedeltàpoichéper sue cagioni si discostò di bel nuovo della Regiaobbedienzae preso e condannato a morte ebbe per Grazia Sovranasalva la testa"don Filippo fu celebrato -"pelvalore che mostrò in favor del suo Re don Ferdinando contro alRe di Portogallodi manierach'essendo bandito della Corte percagion d'omicidiofu liberato e venne in Grazia del suo Re";Giacomo v -"perchéaveva venduto suoi feudi a Errico di Chiaramontepretese poiricuperargli dal poter di quelloe gli tentò lite";Don Livio -"sidelettò di vendicarsi acerbamente degli oltraggi che glifurono fatti";ecc. ecc. Questi eranoper donna Ferdinandaatti di valore e proved'accortezza. Né gli Uzeda avevano litigato coi sovrani e coirivali soltantoma anche tra loro stessi: don Giuseppenel 1684-"sicasò con donna Aldonza Alcarossocolla quale procreò adon Giovanni e a don Erricoche per la morte dei loro padri innanzil'avo pretesero succedergli negli Stati di quello e litigarono lungonumero d'anni innanzi la Regia Corte";don Paolo ebbe -"lunghee criminose contese con suo padregno";Consalvoconte della Venerata -"perla morte del padre fu spogliato dal suo zioe per aver repudiatol'infertile moglie combatté alcuni anni con suo cognato";Giacomo vi -"cognominatoSciarrache Rissa nel tosco idioma diremmonon puoche differenzeebbe col padre".Consalvo iii -"cognominatoTesta di San Giovanni Battistadolorò la fellonia dei figliche seguirono Federico conte di Lunabastardo del Re Martino";ma il più terribile di tutti fu il primo Viceréilgrande Lopez Ximenes -"cheperdette l'animo dei suoi soggettiper i vizi d'un figliuol naturalemolto prepotente e di sciolti costumi: onde il padreavendolotrovato reo et incorreggibilecon somma severità lo condannòa mortesentenzia che si sarebbe eseguitase il Re don Ferdinandoche ritrovavasi in Sicilianon avesse ordinato che non sieffettuisse..."Don Eugeniodi tanto in tantoper edificazione del ragazzogiudicava conveniente fare qualche dissertazione morale; donnaFerdinanda invece lodava tuttoammirava tutto. Col tempoconl'esercizio del poterela razza battagliera erasi infiacchita: ilsecondo Vicerésfidato a duello da un barone ribelle -"nonpuose prudentemente orecchio all'invito che questo sconsigliatogiovane avevagli fatto";la condotta dell'imbelle antenatoper la zitellonaera altrettantolodevole quanto quella degli altri che avevano attaccato lite contutti per niente. Ed a proposito di duellidove lasciare il famosodecreto di Lopez Ximenes?

-"Avevamandato bandi sopra bandi"narrava la zitellona al nipotino -"perproibire le sfide; ma a chi dicevaal muro? Non gli davano retta!Ahno? Allora fece una pensata; aspettò il primo duellochefu tra Arrigo Ventimiglia conte di Geraci e Pietro Cardona conte diGolisanoe confiscò tutti i loro beni: glieli tolsehaicapito?"

-"Echi se li prese?"

-"Tornavanoal Re"spiegò don Eugenio; -"mapoi la faccenda s'accomodò: Ventimiglia se ne andòfuori Regnoe Cardona regalò al Viceré il suo castellodella Roccellaper ottener perdono..."

Afuria di simili pensateil Viceré venne però inuggia a tutto il mondotanto che il Parlamento mandòdeputazioni in Spagna perché il sovrano lo rimovesse dalposto: opera dei baroni invidiosi e birbanti a giudizio dellazitellona —ma lui più fino di loroche fece? Offrìal Re un dono di trentamila scudie così restò al suoposto; per pocoperò. Era naturale che non lo potesserosoffriregiacché nessun altro aveva tanta potenzatantaricchezza e tanta nobiltà. C'erano stati prima molti altrigovernatori della Sicilia che tenevano il luogo del Rema sichiamavano Presidenti del Regnoo Viceré non proprietariedovevano consultare Sua Maestà prima di eleggere qualcuno allecariche di Mastro Giustiziered'Ammiragliodi Gran Siniscalcoecc.; e non potevano dare feudi o burgensatici cheoltrepassassero la rendita di onze duecento castiglianenésomme di denaro superiori a duemila fiorini di Firenze; era loroegualmente proibito di nominare i castellani di PalermoCataniaMoziaMaltaecc.ecc.mentre l'Uzeda esercitava lo stesso precisopotere del Repotendocome diceva il rescritto: -"emanarleggi durature a suo piacerecondonare la pena di morteconferire dignitàfar tutto ciò che avrebbe fattolo stesso Reesercitare tutti gli atti riserbati alla supremaregalìa ed alla regia dignitàancorchéavessero ricercato un mandato speciale o specialissimo..."Chi poteva dunque star loro a fronte? Che avevano da invidiare allefamiglie più nobili di Napoli e di Spagna? Si gloriavanoperfino d'una santa in cielo: la Beata Ximena. Era vissuta tre secolie mezzo addietro; maritata dal padreper forzaal conteGuagliardettoterribile nemico di Dio e degli uominiaveva ottenutola conversione del colpevole e compiuto grandi miracoli in vita edopo morte: il suo corpoportentosamente salvato dalla corruzioneconservavasi in una cappella della chiesa dei Cappuccini!... E comesfogliando il volume per vedere gli altri stemmiquelli dei Radalìdei Torrianiil ragazzo domandava alla zia perché non c'eraquello della zia Palmila zitellona rispondevasecco secco: -"Lostampatore dimenticò di mettercelo; ma è così:suo padre checon una zappa in manopianta un piede di palma..."


Versola fine di settembre il colera crebbe d'intensità; il 25 ilbollettino segnò trenta mortima si diceva che fossero piùe che gl'infetti superassero il centinaio e che qualche caso sparsoinquietasse le campagne. Ci fu una nuova scappata di gente; lavigilanza al Belvedere era continua perché non entrassero ifuggiti da luoghi sospetti: contadini e cittadiniarmati dischioppicarabine e pistolefacevano la guardia in tutte le vie chemettevano capo al paeselloesercitando una specie di poliziaarbitraria e inappellabile; e poichéad ogni passaggio difuggiaschiavvenivano scene tra comiche e tragicheRaimondo pervincer la noia — essendo il giuoco interrotto per quel nuovospavento — gironzava spesso per i posti di guardia. Un giornosaputosi che a Màscali c'era gente ammalata di colerai carrie le carrozze provenienti di lì non furon lasciati passare.Mentre quelli del Belvedere intimavano il dietro-frontcon gli schioppi spianatie gli emigranti facevano valere le lororagionimostrando certificatipregandominacciandogridandoRaimondo che se la godeva s'udì a un tratto chiamare: -"DonRaimondo!... Contino! Contino!..."e guardatosi intorno vide due donne che dallo sportello d'unapolverosa carrozza gli facevano cenni disperati.

-"DonnaClorinda!... Voi qui?..."

DonnaClorinda era la vedova del notaio Limarrafamosa per l'allegriadimostrata in gioventù ed oranella maturità prossimaal disfacimentoper la bellezza della figliuola Agatinala qualeseguendo le orme della madreaveva civettatoragazzacon tutti igiovanotti che le si erano stropicciati alle gonne; maritata piùtardi col patrocinatore Galanogli procurava clienti d'ogni genere.Donna Clorindacon un debole pei giovanotti nobiliera statapiùdi dieci anni addietrola prima conquista di Raimondo; lasciata lamadreegli aveva poi ruzzato con la figliuolama senza moltoprofittoin veritàperché costei uccellava al marito;ammogliato egli stesso e andato via di Siciliale aveva perdute divista. Adesso le due donneed anche il marito che se ne stavarannicchiato più morto che vivo in fondo alla carrozzasimettevano sotto la sua protezione per ottenere un rifugio alBelvedere. Grazie a lui le lasciarono entrare; ma le difficoltàricominciarono subito dopogiacchéavendo i fuggiaschiinvaso ogni buconon c'erano in paese altro che le stalle dove potermettere nuova gente. Nondimenoper donna Clorinda e l'Agatinacheincontravano un nuovo amico ad ogni piè sospintotutto ilBelvedere si mise in motofinché trovarono loro due cameretteterreneun poco fuori manoma con un piccolo giardinetto. Appenastabiliteridussero una di quelle scatole a salottino da ricevereecominciò subito l'andirivieni di tutta la colonia cittadinamessa in rivoluzione da quell'arrivo. Donna Clorindache nons'arrendeva ancoradava udienza a tutti; ma il posto accanto allafigliuola fu serbato a Raimondo. Per la libertà che regnava inquella casapel buon umore delle due donneanche i rimasti a boccaasciutta ci venivano a passare la sera meglio che al casinogiocandociarlandocantando. E Raimondosmessa la noiasmessa lamutrianon rincasava piùsi faceva ancora una voltaaspettare lunghe e lunghe ore dalla moglie triste ed inquieta pelrinnovato pericolo della pestilenzapei sospetti che quel repentinocambiamento rievocavaaccorata più tardi dalle allusioni conle quali donna Ferdinandail principele stesse persone di serviziole rivelavano gli antichi amori del marito. Poteva ella credere allanuova tresca con la figlia dell'antica amante? Non era questo unpeccato mortaleuna mostruosità che la mente di leirifiutavasi di concepire? Non doveva ella crederepiuttostochel'astio dei parenti contro Raimondo e lei stessa ordisse l'accusamaligna?...

Bruscamenteritolta alla paceella tornava a struggersia lottare contro sestessacontro i sospetti che la riassalivano non appena scacciatiapassar le lunghe notti autunnali tremando nell'attesa del ritorno diluia piangere per gli sgarbi coi quali egli rispondeva alle sueinquietudini.

-"Perchéresti fuori così tardi? Ho paura per la tua salute..."

-"Nonsono più libero di restar fuori quanto mi piace?"

-"Seiliberosì… Ma non andare in quella casatra quellagente che tuo fratello si vergogna di ricevere..."

-"Dovevado? Tra quale gente? Io vado al casino; vuoi anche spiarmi?"

Noella gli credevavoleva e doveva credergli. Ma perchépesavano su lei gli sguardi tra ironici e compassionevoli di tutta lafamiglia e della servitù? Perché il discorso moriva inbocca alle persone alle quali ella s'avvicinava?... Una nottedopoquattro mesi di siccitàscoppiò un terribiletemporale; il cielo scuro fu solcato da saette lucenti come spadelestrade si mutarono improvvisamente in fiumane limacciosela grandinestrosciò sulle vetrate e sui tetti. Ella che aveva sperato diveder tornare Raimondo ai primi accenni dell'uraganoaspettavaancora tremante di paura. Non una vocenon un rumore di passi. Iltemporale cessò dopo un'oraRaimondo non tornava ancora...Non gli altri malignima egli stesso era bugiardo e incestuoso:poteva più dubitarne? Quella spudorata non l'aveva anche leiguardata arditamente in visoin atto di sfidaquasi dicendole: -"Sonopiù bella di teperciò egli mi preferisce?..."Ed era vero: la sua gelosia era tanto più umiliataquanto piùella riconosceva di non piacere a suo maritoora specialmente che lagravidanza inoltrata la disformava. Ma aveva egli veramente giuratodi attentare alla vita dell'essere che ella portava in gremboinfliggendole torture sopra torturelasciandola cosìnellanotte oscura e tempestosacon quello spasimo del peccato orribiledel nuovo tradimentocon l'anima piena di dolore e di vergogna e dispavento?... Egli rincasò a mezzanottefradicio intintocongli abiti talmente fangosi come se si fosse rotolato nella mota.

-"MariaSantissima!..."esclamò ellagiungendo le mani. -"Cometi sei conciato così?"

-"Pioveva;sei sorda? Non hai sentito l'acqua?"

-"Mala pioggia è finita da un pezzo..."

-"Mison inzuppato prima!..."gridò quasi egli. -"Hoda sentire anche teadesso?"

Improvvisamenteella ebbe conferma dei propri sospetti: rispondeva cosìquand'era colto in falloreplicava con le violenze alla ragione;troncava la discussione coi gridi... Appoggiata la fronte a un vetrosul quale la nuova pioggia fine fine tirava umide righeella si misea piangere silenziosamente. Il bene che gli voleval'obbedienza chegli prestavala devozione sommessa di cui gli dava prova ogni giornonon bastavanodunque: tutto era inutileegli la sfuggivalatradivaper chi?... E l'aveva costretta ad abbandonare la suabambina e l'aveva esposta ai rimproveri di suo padreper questoperquesto!... Un dolore sopra l'altrosempresempreanche adesso cheella avrebbe dovuto esser sacra per luiperché i doloripotevano uccidere la creatura che stava per nascere!...

Lavoce di Raimondoraucache chiamava il camerierela strappòall'alba di lì. S'era messo a lettoil ribrezzo della febbregli faceva battere i denti. Allora ella asciugò le lacrimecorse ad assisterlo. Per tre giorni non lasciò un momento ilsuo capezzalegli fece da infermiera e da camerieradimenticando lapropria ambascia pel terrore che quel male degenerasse nellapestilenza influenterestando sola presso di lui quandoinsospettitinessuno della famiglia volle più entrarci.Tremavano all'idea del contagioavevano tutti paura di prenderlo.Raimondo più di tuttinonostante le risate confortative deldottorenonostante le assicurazioni di lei.

Guaritodell'infreddaturaegli non ebbe più nulla; però nonera ancora del tutto ristabilito che pretese andar fuori.

-"Fàlloper noi!"scongiurò Matildea mani giunte; -"pernostra figlia! Non t'esporre a un altro malanno!..."

Nongli aveva detto nulla dei suoi sospettiper non irritarlo mentr'erainfermoma ora gli buttava le braccia al collogli dicevaguardandolo negli occhipassandogli una mano sui capelli:

-"Dovevuoi andare? Perché mi lasci? Resta con me!"

-"Vogliofar due passi; mi sento bene..."risposesolleticato da quelle carezzeda quella sommessione di canefedele.

-"Lifaremo insieme nella vigna. Non c'è bisogno di andar fuoriseè vero che mi vuoi bene... me sola!... e che non pensi adaltri..."

-"Achi dovrei pensare?..."esclamò Raimondocon un sorriso fatuo di compiacimento.

-"Anessuna?... A nessuna?... A colei?"

-"Maa chi?"

-"AllaGalano?..."quel nome le bruciava le labbra.

-"Io?"rispose con tono di protesta. -"Maneanche per sogno!... Vorrei un po' sapere chi ti mette in capoqueste cose!"

-"Nessuno!Le temo ioperché ti voglio beneperché sonogelosa..."

Eglirideva di tutto cuorerassicurandola.

-"Mano! Che ti salta in capo!... E poil'Agatina!... Una che è dituttidi chi la vuole!..."

-"Èvero? È vero?... Alloraperché ci vai?"

-"Civado perché mi divertoperché è come andare alcaffèal circolo..."

-"Allorala sera che prendesti l'infreddatura..."

-"M'inzuppaiperché l'acqua mi colse alla Ravanusa; puoi domandarnese nonmi credi!"

Sìella gli avrebbe credutose la dolcezza con cui la trattava nonfosse stata nuovainnegabile prova che aveva qualcosa da farsiperdonare... Ebbeneche le importavase era per questo? Qualunquefosse il sentimento che gli dettava quelle paroleesse erano buonela toglievanoalmeno per pocoal suo cordoglio. E con l'anima cheriaprivasi alla speranzaella lo udiva proporle:

-"Delrestoora che il colera sta per finireandremo via tutti. Quandoavrò sistemato gli affari della divisione con Giacomoce netorneremo a Firenze. Ma per orase vuoifaremo una corsa a Milazzo.Partorirai a casa tua; ti piace?"

6.


-"Abbas!...Abbas!..."disse il fratello portinaioinchinandosi.

-"Chesignifica?"domandòallo zio PrioreConsalvo che il padre conduceva permano.

-"Vuoldire che l'Abate è in convento"spiegò Sua Paternità.

Super lo scalone realetutto di marmoil ragazzo guardava le paretidecorate di grandi quadri a mezzo rilievo di stucco bianco soprafondo azzurrognolo: San Nicola da Bariil martirio di San Placidoil battesimo del Redentorecon sciami d'angeli in girocoronefestoni e rami di palme sulla vòlta. Lo scalone sbucava nelcorridoio di levantedinanzi alla grande finestra che metteva nellaterrazza del primo chiostro.

-"Èlà"disse il Prioreinchinandosi verso un'ombra nera che passava dietroi vetri.

L'Abatedall'esternoattaccò il viso al finestrone e riconosciuti ivisitatori esclamògestendo:

-"ApriapriLudovì..."

IlPriore fece girare la spagnoletta e presa la mano del superiore labaciò rispettosamente; il principe e il principino seguironol'esempio.

-"Benedettifigliuolibenedetti!... Questo è dunque il nostro monachino?Ohche bel monachino ne vogliamo fare!... Consalvoeh?"domandò rivolto al principe; poial ragazzo: -"Consalvotu sei contento di stare con noiche?..."

-"Rispondi!...Rispondi a Sua Paternità..."

Ilragazzo disseguardandolo in viso:

-"Sì."

-"Bravo!...Che bel ragazzo!... Che occhi!... Tu starai qui con lo ziocresceraibuono e santo come luiche?..."e mise affabilmente una mano sulla spalla del Prioreil qualemormoròarrossendo:

-"PadreAbate!..."

Questis'avviòappoggiandosi al bastone. Il Priore gli stava alladestrail principe alla sinistra: Consalvo era andato ad affacciarsiall'inferriataguardava giù nel chiostro contornato da unportico che reggeva la terrazza superiorepieno di statuedi vaschedove l'acqua cantavadi sedili distribuiti fra le aiuolesimmetrichecon un padiglione in centrodi stile goticoa quattroarchila cui vòlta di lastre lucide faceva specchietto alsole. Il ragazzo curiosava ancora quando suo padre lo chiamò:la comitiva dirigevasi al quartiere dell'Abateposto accanto aquello del Renel corridoio di mezzogiornodove ogni uscio erasormontato da grandi quadri rappresentanti le vite dei santi. Giuntodinanzi alla sua portal'Abate diede qualche ordine al camerierepoi tutti si diressero al Noviziatopel corridoio dell'Orologiolungo più di cento canneil cui finestrone di fondo parevapiccolodall'opposta estremitàcome un occhio di bue.Passarono dapprima accanto al secondo chiostroil quale aveva ilportico al primo piano e la terrazza al piano superiore come l'altro;anch'esso coltivato: tutt'un boschetto di aranci e di cedri dalfogliame scuro che i frutti d'oro punteggiavano. Poi si lasciaronodietro il Coro di notte dove sbucava un'altra scalapoi l'orologio;né il corridoio finiva ancora. L'Abatetra il principe e ilPriorechiacchierava con una volubilità straordinariaseminando il discorso di -"che?..."aspirati ai quali non lasciava dare risposta. I fratelli cheincontravano lungo il loro cammino si fermavano tre passi innanzialla comitivachinavano il capo giungendo le mani sul petto alpassaggio dei superiori. E sulla porta del Noviziato stava fra'Carmeloche scorto il ragazzo gli aprì le braccia con ariafestosaesclamando:

-"C'èvenuto!... C'è venuto!..."

PadreRaffaele Cùrcumail maestro dei novizivenne incontroall'Abatee gli fece strada fino alla sala delle lezioni dov'eranoriuniti tutti i fanciulliGiovannino Radalì fra gli altridasei mesi a San Nicola.

-"Questoè il nostro nuovo monachino"spiegava Sua Paternità. -"Abbracciail cuginetto!... La tua camera è prontaor ora ci andremo.Adesso tu lascerai il tuo nome; ti chiamerai Serafino. Il tuocuginetto si chiama Angelicoche?... Questo qui è Placidoquesto Luigi..."

Eranofrattanto arrivati due camerieri con vassoi pieni di dolciai qualii novizi facevano festa.

-"Vedraiche è belloqui"diceva il maestro al nuovo arrivatoaccarezzandolo. -"Tidivertiraicon tanti compagni..."

Consalvochinava il capolasciava che dicessero. La curiosità delprimo momento gli era passatasentiva adesso una gran voglia dipiangere; nondimeno guardava tutti in visoquasi in atto di sfidaper non darla vinta a suo padre che aveva per forza voluto ficcarlolì dentro. E fra' Carmelo era stupito della sua franchezza:tutti gli altri ragazziil primo giornoavevano gli occhi rossidicevano che non volevano starcipiangevano immancabilmente quandoil barbiere recideva le loro chiomequando lasciavano gli abitisecolari per vestire la nera tonacella. Invece il principinoandatovia suo padre dopo l'ultimo predicozzoli lasciava farevedevacadere i capelli sotto le cesoie senza dir nullaindossava il saiocome se l'avesse portato fin dalla nascita.

-"Bravo!...Sempre così contento ha da starci!... Vedrà poi quantigiuochiquanti spassi..."

Ilragazzo risposeduramente:

-"Iosono il principe di Francalanza; non sempre ci starò."

-"Sempre?...Chi l'ha detto?... Ci starà qualche annofinchéimparerà... Sempre ci stanno i suoi zii... Adessoadessoandremo da Padre don Blasco..."

Epresolo per manogli fece rifare la via tenuta al venirefino allacamera del Decanoche era nel corridoio di mezzogiornocol quadrodi San Giovanni Boccadoro sull'uscio.

-"Deogratias?..."

-"Chiè?"rispose il vocione del monaco.

L'uscios'aperse un pocoed egli comparvein pantaloni e maniche dicamiciacon la pipa in boccain mezzo alla camera sottosopra comeun campo lavorato.

-"Quic'è il nipotino di Vostra Paternitàche viene a baciarla mano alla Paternità Vostra."

-"Ahsei qui?"esclamò il monaconettandosi le labbra col rovescio d'unamano. -"Vabenetanto piacere!"aggiunse senza fargli neppure una carezza; poirivolgendosi alfratello: -"Conduceteloa spasso nella Flora."

Dopotante grida contro l'ignoranza e la mala educazione del pronipoteilmonaco era montato in bestia quando il principe aveva deciso dimetterlo a San Nicola. Ce lo mettevano per educazione? Voleva direche non erano buoni di educarlo in casa! Allora aveva ragione luiquando diceva che davano al ragazzo di begli esempi? Ma Giacomovoleva mettere il figlio a San Nicola anche per gli studi: come segli Uzeda avessero mai saputo fare di più della loro firma! Epoi ci voleva molto a dargli qualche maestrose avevano la fregoladi farne un letterato? I maestriperòpoco o moltobisognava pagarlie questo era il solo e vero motivo delladeliberazione: risparmiare i baiocchi; perché ai Benedettininon solamente non si pagava nullama le stesse famiglie degliscolari ci guadagnavano qualcosa!...

Lecamere del Noviziato aprivano tutte in un giardino destinatounicamente al diporto dei ragazzi; non c'erano soltanto fiorimaalberi fruttiferiarancilimonimandarinialbicocchinespoli delGiapponee la mattina un pigolìo assordante di passerisvegliava i novizi prima ancora che fra' Carmelo venisse a chiamarliper le divozioni che andavano a dire nella cappella. Finito dipregare tornavano tutti nelle loro camerefacevano una colazionefrugale perché il pranzo era a mezzogiornoe ripassavano lelezioni per trovarsi pronti all'arrivo dei lettori che insegnavanloro l'italianoil latino e l'aritmeticapiù la calligrafiae il canto coralele domeniche. A terzadopo le lezionic'era lamessache scendevano ad ascoltare in chiesa; la più grande diSiciliatutta marmo e stuccobianca e luminosacon la cupola chesfondava il cielo e l'organo di Donato del Piano costato tredici annidi lavoro e diecimila onze di denari. Subito dopo la messai noviziandavano al refettoriocerte volte in quello grande insieme coiPadricerte altre da solinel piccolosecondo prescriveva laRegola; ma lo spasso cominciava più tardidopo il desinarequando si sparpagliavano per il giardinodove si mettevano a giocarea rimpiattinoalle bocceai castellettioppure zappavano ocoltivavano ciascuno i propri alberioppure mandavano per ariaaquilotti e palloni. Oltre il muro di cinta distendevasi un terrenoincoltotutto lava e sterpifino alla Flora — il giardinogrande destinato al diporto dei monacidove i ragazzi andavano ditanto in tantoa rincorrersi pei grandi viali — e il principinoche aveva subito preso le abitudini del convento ed era il piùdiavolo di tuttispesso arrampicavasi su quel murotentava discavalcarlo e andarsene nella sciara; ma allora il Padre maestro efra' Carmelo ammonivano: -"Dilà non si passa!... Non t'arrischiare da quella parte che cibazzicano gli spiriti: se t'afferrano ti portano via con loro..."

-"Lihai visti tucotesti spiriti?"domandò una volta Consalvo a Giovannino Radalì.

-"Iono; ci vanno la nottedicono."

Ela notte non potevano guardarci perchédopo la passeggiatavespertina che facevano giù in cittàe dopo la cenarientravano per lo studio e per le preghiere della sera.

Fra'Carmelo teneva loro compagniabadava che non mancassero di nullaequando non c'era da fareli svagava parlando dei novizi d'un tempoche adesso erano monaci o alle case loronarrando le storie anticheil famoso furto della cera nella notte del Santo Chiodo; larivoluzione del Quarantottoquando San Nicola era servito diquartier generale a Mieroslawski; la venuta di Re Ferdinando e dellaRegina nel 1834; ma diffondendosi più che altro intorno allevicende del monastero.

Nelprimo principio non si sapeva bene chi lo avesse fondatoma il 1136certi santi Padri Benedettini s'eran ritiratiper meditare e farpenitenzanei boschi dell'Etnae lìcoll'aiuto del conteErricoavevano eretto il primo convento di San Leo. San Leo era unodei tanti crateri spenti del Mongibellotutto coperto di boschi esei mesi dell'anno ammantato dalla neve; una vera solitudine adattaal santo scopo. In inverno la tramontana turbinava intorno al poveroe rustico fabbricatotagliava la facciascottava le manigelavaogni cosa: tanto che molti dei monaci s'eran buscate gravi malattienon resistendo all'intemperie. Pertanto avevano ottenuto di potermandare gl'infermi più giùin un ospizio fabbricatonel bosco di San Nicola; e lìcome ci si stava meno adisagiocominciarono ad andare anche parte dei monaci sani. A SanLeointantooltre il freddo c'era un altro spaventoquando lamontagna s'aprivavomitando fuoco e cenere ardente: i terremotisconquassavano la fabbricala lava distruggeva gli alberi edisseccava le cisternela cenere infocata bruciava ogni verdura.-"Potevanosopportare tanti guaii poveri Padri?"La meditazione stava benema se il suolo mettevasi a ballar latarantellachi poteva più riconcentrarsi e pregare? Lapenitenza stava ancora meglio; ma bisognava pure evitare chea furiadi mortificazionii penitenti non se ne andassero difilato all'altromondo prima d'aver purgato i loro falli. Per conseguenzaimpetraronoed ottennero di stabilirsi definitivamente a San Nicolaintorno alquale venne crescendo un paesetto chedal Santosi chiamòNicolosi per l'appunto. Lìil convento fu costruito conqualche comodopiù grande dell'anticoe i monaci virestarono molti anni; però Nicolosi non scherzava neppur esso:la nevese non per sei mesivi cadeva copiosa in invernoe ilfreddo era ancora troppo pizzicante; tanto che gli ammalati bisognòmandarli in un altro ospizio fabbricato apposta più giùalle porte di Catania; senza dire che i ladri infestavano quellecampagne. Veramente i monaciche avevano fatto voto di povertànon avrebbero dovuto temerli; perché -"centoladri"come dice il proverbio -"nonpossono spogliare un nudo";ma ReRegineViceré e baroni avevano cominciato a donar robaal convento; e a furia di raccoglier legati i Padri si trovavanopossessori di un gran patrimonio. Orachi doveva godersi quellericchezze? i topi? Perciò nel 1550i Benedettini pensarono divenirsene definitivamente in cittàmettendo la prima pietrad'un magnifico edifizio alla presenza del Viceré Medinaceli.Certuni volevan dire che San Benedetto fosse crucciato perchéi suoi figli avevano lasciato i boschi e s'erano accasati da signoriin città: menzogna patentepoichéfinito che fu ilconventoil glorioso fondatore dell'Ordine lo preservò dalfuoco del vulcano: la lava dei Monti Rossidiscesa fino a Cataniapreciso in direzione del conventogiunta dinanzi ad esso giròdalla parte di ponente e andò a gettarsi in mare senza farglialcun danno. È vero che nel 1693 il terremoto rovinòl'edificio dalle fondamenta; però il castigose mainon fuinflitto ai soli Padrima a mezza Sicilia che se ne cascòcome un castello di carte. E allora finalmente cominciarono lacostruzione che adesso ammiravasi sopra un piano tanto grandioso chenon si poté eseguir tutto: per portarne a compimento una metài lavori durarono fino al 1735. La ricchezza dei Padri era pervenutaal sommo: settantamila onze l'annoe certi feudi erano cosìvastiche nessuno ne aveva fatto il giro!

Quandoparlava di queste cosefra' Carmelo non ismetteva piùperchéegli aveva passato più di cinquant'anni fra quelle muraevoleva bene a' Padriai novizialle immagini della chiesa ed aglialberi della Floracome se tutti fossero parte della sua famiglia.Conosceva i feudile tenute e i poderi meglio di tutti i Celleraridi campagnaciascuno dei quali era preposto al governo d'una solaproprietà; e quando bisognava rammentar qualcosala data d'unavvenimento molto lontanola misura d'un antico raccoltotuttiricorrevano a lui.

Ilprincipino era adesso la sua più grande affezione: egli se loteneva vicino più che potevagli regalava dolci e balocchilo vantava all'Abateal maestro dei noviziagli zii ed a tutti. Ilragazzoveramenteera troppo vivacefaceva il prepotenteattaccava lite coi compagni; fra' Carmelopaziente ed indulgentesapeva scusarlo presso il maestrose commetteva qualche monellataeraccomandava prudenza agli altri fratelli se di queste monellate essiscontavan la pena.

-"Bisognalasciarli farei ragazzi; e poi sono signorie a noi toccaobbedirli."

Ifratelliinfattierano addetti alle grosse bisogneservivano iPadri al refettoriomangiavano alla seconda tavola; e quando imonaci dicevano l'uffizio in Coroessi recitavano in un cantone ilsolo rosario. Per entrar novizi e diventar monaci bisognava essernobilie fra' Carmelofanatico di quelle cose quanto donnaFerdinandacelebrava la nobiltà riunita a San Nicola. Vi sitrovavano infatti i rappresentanti delle prime famiglienon solodella Val di Notoma di tutta la Siciliaperché in tutta laSicilia c'era solo un altro convento di Cassinesia Palermoe cosìinferiore in grandezzaricchezza ed importanzache mandavano lìda Catania i monaci stravagantiper punizione. L'Abate era un gransignore napolitanoil secondogenito del duca di Cosenzano; da MonteCassino era venuto anche il Padre Borgiaromanodi quella famigliache aveva dato un Papa alla cristianità; e poi c'erano gliisolanii Gerbiniche discendevano da Re Manfredi per via di donne;i Salvovenuti in Sicilia con gli Svevi; i Toledoi RequenseiMelinai Currera spagnoli come gli Uzedai Cùrcuma e iSagontidi nobiltà longobarda; i Grazzeridiscesi diGermania; i Corvitinifiamminghi; i Carvanoi Costantefrancesi;gli Emanueleappartenenti ad un ramo de' Paleologhiimperatorid'Oriente.

-"Bastaessere ai Benedettinio monaco o novizioper significare che uno èsignore"spiegava fra' Carmelo al principino. -"Quientrano soltanto quelli delle prime casecome Vostra Paternità."

Airagazzi toccava il -"VostroPaternità"e il -"don"come ai monacie tutte le volte che un Padre o un novizio passavadinanzi ai fratelli questi dovevano inchinarsipiegandosi in dueincrociando le braccia sul petto; e se erano sedutialzarsi in piediper salutare. C'era uno di questi fratellifra' Liberatovecchissimoquasi centenarionon più buono a nullail qualeusciva dalla sua camera per tremare al sole sopra una sedia abracciuoli; un giorno il principino gli passò dinanzi e ilvecchio non s'alzò. Allora il ragazzo riferì la cosa almaestroil quale fece al fratello una lavata di capo coi fiocchi.

-"Èistoliditopoveretto"disse fra' Carmeloscusandolo. -"Quandoci facciamo vecchitorniamo peggio di quand'eravamo bambini!"

Consalvoriceveva così le stesse lezioni che gli aveva fatte donnaFerdinandale digeriva meglio che non l'altre del latino edell'aritmetica. Esse gli davano un'idea straordinaria di quel chevalevama gli procuravano anche di solenni scapaccioni dai compagnispecialmente dai maggiori d'etàpel disprezzo col quale litrattava. Michele Rocca si gloriava d'avere anche lui un Vicerétra gli antenati; ma Consalvo correggeva: -"Viceré?Presidente del Regno!..."E l'altro: -"NoViceré..."E Consalvo: -"NoPresidente..."finché Michelinoinfuriatogli si slanciava addosso. Allorapiuttosto che venire alle maniegli gridava al soccorso e a fra'Carmelo toccava comporre la lite. Ma ricominciava con gli altriattaccava brighe sopra brighe.

Quasitutte quelle famiglie baronali avevano un nomignolo spesso ingiuriosoo avvilitivocol quale erano conosciute in città piùche col vero nome. I Fiammona si chiamavano i Caratelliperché corpacciuti come mezze botti; i San Bernardo Piangele faveallusione alla miseria in cui erano ridotti; iCurrera Tignosi perché tutti con le teste calve comepalle da bigliardo; i Salvo Mangia Salivaaltri peggioancora. Il principinoa corto di argomentigridava ai compagni:-"Ohdei Pancia-di-crusca!...Ohdei Cute-di-porco!..."e quellinon potendogli rendere pane per focacciagiacché ilnomignolo degli Uzedai Vicerédiceva la loro anticapotenzase lo mettevano sottoquando riuscivano ad agguantarloelo pestavano bene. Fra' Carmelo accorrevacon le mani in testaperliberare il suo protetto e predicar la pacel'amore reciprocol'attenzione allo studio.

Durantele lezioniquando si dava la pena di stare attentoConsalvo capivatutto e raccoglieva lodi e premi; ma del resto non c'erano castighiché i maestri lettoritutti preti di bassa estrazionenonosavano neppure dar dell'asino agli scolari. Il Priorein segno disoddisfazione pei buoni rapporti del maestroveniva a trovarequalche volta il nipote al Noviziatoportandogli regali di dolci edi libri sacri; don Blascoal refettoriogli dava qualchescappellottoa modo di carezze; ma la prima volta che fra' Carmelolo condusse al palazzoin permessoper mezza giornatatutta lafamigliariunita per la circostanzagli fece gran festa.

-"Chebel monachino!... Che bel monachino!..."

Laprincipessadolente di non averlo più con sémarassegnata come sempre ai voleri del maritose lo mangiava dai bacil'abbracciava stretto stretto con tanta maggior forza quanto maggiorerepulsione le ispiravano gli altri; donna Ferdinanda anche leivenuta apposta al palazzogli prodigò molte carezze;Lucreziaplacatasi ormai che non correva più pericolo divederselo in cameragli diede confetti e biscotti; il principesenza smettere l'abituale severitàlodò i figliobbedienti. Don Eugenio fece una predica intorno ai benefizidell'istruzione; perfino lo zio Ferdinando scese dalle Ghiande perassistere a quella visita. Mancavano però la zia Chiara e ilmarchese: sicuri d'avere il tanto aspettato e desiderato figliuoloun triste giorno la gravidanza era andata in fumo; essi portavano daquel momento il lutto della speranza perduta. C'era invece unabambina di sei anni che guardava il monachino con grandi occhicuriosi e una balia che teneva in braccio un lattante.

-"Letue cuginefiglie dello zio Raimondo"spiegò la principessa.

-"Ela zia Matilde?"

-"Stapoco bene..."

Madonna Ferdinanda troncò quegli stupidi discorsie prese ainterrogare il nipotino intorno ai compagnialla vita del monasteroall'impiego della giornataintanto che fra' Carmelo tesseva l'elogiodel ragazzo alla madre.

-"Tifaresti monaco?"gli domandò il principeper chiasso. -"Cistaresti sempreal convento?"

-""rispose egliper non dargliela vinta. -"Èbello stare a San Nicola!..."

Imonaci infatti facevano l'arte di Michelasso: mangiarebere e andarea spasso. Levatisila mattinascendevano a dire ciascuno la suamessagiù nella chiesaspesso a porte chiuseper non esserdisturbati dai fedeli; poi se ne andavano in cameraa prenderequalcosain attesa del pranzoa cui lavoravanonelle cucinespaziose come una casermanon meno di otto cuochioltre glisguatteri. Ogni giorno i cuochi ricevevano da Nicolosi quattrocarichi di carbone di querciaper tenere i fornelli sempre accesiesolo per la frittura il Cellerario di cucina consegnava loroognigiornoquattro vesciche di struttodi due rotoli ciascunae duecafissi d'olio: roba che in casa del principe bastava per sei mesi. Icalderoni e le graticole erano tanto grandi che ci si poteva bolliretutta una coscia di vitella e arrostire un pesce spada sano sano;sulla grattugiadue sguatteriagguantata ciascuno mezza ruota diformaggiostavano un'ora a spiallarvela; il ceppo era un tronco diquercia che due uomini non arrivavano ad abbracciareed ognisettimana un falegnameche riceveva quattro tarì e mezzobarile di vino per questo serviziodoveva segarne due ditaperchési riduceva inservibiledal tanto trituzzare. In cittàlacucina dei Benedettini era passata in proverbio; il timballo dimaccheroni con la crosta di pasta frollale arancine di riso grosseciascuna come un mellonele olive imbottitei crespelli melatierano piatti che nessun altro cuoco sapeva lavorare; e pei gelatiper lo spumoneper la cassata gelatai Padri avevano chiamatoapposta da Napoli don Tinoil giovane del caffè di Benvenuto.Di tutta quella roba se ne faceva poi tantache ne mandavano inregalo alle famiglie dei Padri e dei novizie i camerieririvendendo gli avanzici ripigliavano giornalmente quando quattro equando sei tarì ciascuno.

Essirifacevano le camere ai monaciportavano le loro ambasciate incittàli accompagnavano al Coro reggendo loro le cocolleeli servivano in camera se le LL. PP. si sentivano maleo siseccavano di scendere al refettorio. Lì il servizio toccava aifratelli: a mezzogiornoquando tutti erano raccolti nell'immensosalone dalla vòlta dipinta a frescorischiarato daventiquattro finestre grandi come portoniil Lettore settimanariosaliva sul pulpito e alla prima forchettata di maccheronidopo ilBenedicitesi metteva a biascicare. Il giro della letturacominciava dai più piccoli novizi fino ai monaci piùvecchiper ordine d'età; ma una volta arrivato ai Padri difresca nominaricominciava per evitare quel fastidio ai grandiiquali se ne stavano comodamente seduti dinanzi alle tavole dispostelungo i murisopra una specie di largo marciapiedi; l'Abatenelcentro del gran ferro di cavalloaveva una tavola per sé. Ifratelli portavano intanto attorno i piattia otto per voltasopraun'asse chiamata -"portiera"che reggevano a spalla. Distinguevansi i pranzi e i pranzettiquesticomposti di cinque portatequelli di settenelle solennità;e mentre dalle mense levavasi un confuso rumore fattodell'acciottolio delle stoviglie e del gorgoglio delle bevandemesciute e del tintinnio delle argenterieil Lettore biascicavadall'alto del pulpitola Regola di San Benedetto: -"...34° comandamento: non esser superbo; 35°: non dedito al vino;36°: non gran mangiatore; 37°: non dormiglione; 38°: nonpigro..."

LaRegolaveramenteandava letta in latino; ma al principino e aglialtri noviziaspettando che la potessero comprendere in quellalinguala spiegavano nella traduzione italianauna volta il mese.San Benedettoal capitolo della Misura dei cibiavevaordinato che per la refezione d'ogni giorno dovessero bastare duevivande cotte e una libbra di pane; -"sehanno poi da cenareil Cellerario serbi la terza parte di dettalibbra per darla loro a cena";ma questa era una delle tante -"antichità"— come le chiamava fra' Carmelo — della Regola. Potevanoforse le Loro Paternità mangiare pane duro? E la sera il paneera della seconda infornatacaldo fumante come quello della mattina.La Regola diceva pure: -"Ognunopoi s'astenga dal mangiare carne d'animali quadrupedieccetto glideboli et infermi";ma tutti i giorni compravano mezza vitellaoltre il pollamelesalsiccei salami e il resto; e in quelli di magro il capo cuocoincettavaappena sbarcatoe prima ancora che arrivasse allapescheriail miglior pesce. Molte altre -"antichità"c'erano veramente nella Regola: San Benedetto non distingueva Padrinobili e fratelli plebeivoleva che tutti facessero qualche lavoromanualecomminava penitenzescomuniche ed anche battiture ai monacied ai novizi che non adempissero il dover lorodiceva insommaun'altra quantità di coglioneriecome le chiamava piùprecisamente don Blasco. Articolo vinoil fondatore dell'Ordineprescriveva che un'emina al giorno dovesse bastare; -"maquelli ai quali Iddio dà la grazia di astenersenesappianod'averne a ricevere propria e particolare mercede".Le cantine di San Nicola erano però ben provvedute e meglioreputatee se i monaci trincavano largamenteavevano ragioneperché il vino delle vigne del Cavalieredi Bordonarodellatenuta di San Basileera capace di risuscitare i morti. PadreCurrerasegnatamenteuna delle più valenti forchettesilevava di tavola ogni giorno mezzo cottoe quando tornava in cameradimenando il pancione gravidocon gli occhietti lucenti dietro gliocchiali d'oro posati sul naso fioritodava altri baci al fiasco cheteneva giorno e notte sotto il lettoal posto del pitale. Gli altrimonacisubito dopo tavolase ne uscivano dal conventosisparpagliavano pel quartiere popolato di famiglieciascuna dellequali aveva il suo Padre protettore. Padre Gerbinila cui camera erapiena di ventagli e d'ombrellini che le signore gli davano adaccomodarecominciava il giro delle sue visite; Padre Galvagno se neandava dalla baronessa LisiPadre Broggi dalla Caldaraaltri daaltre signore ed amiche. Tornavano all'aveper entrare in chiesamaquelli che venivano un poco più tardio a cui doleva il capose ne salivano direttamente in camera; e non già per dormireché la serafino a tre ore di nottequando si serravano iportonic'erano visite di parenti e d'amicisi tenevaconversazionemolti Padri facevano la loro partita. Un tempoanziper colpa di Padre Agatino Rendagiocatore indiavolatoc'era statoun giuoco d'inferno: in una sola sera Raimondo Uzeda aveva perdutocinquecent'onzee più d'un padre di famiglia s'era rovinato;tanto che i superiori dell'Ordinedopo aver chiuso un occhio sumolte marachelleavevano dovuto finalmente prendere qualcheprovvedimento. Era appunto allora venuto da Monte Cassinoin qualitàdi AbatePadre Francesco Cosenzanoe per un po' di tempoconl'autorità della fresca nominaaiutato dai buoni monacichenon ne mancavanoquel bravo vecchietto era riuscito a infrenare ipeggiori; mapoicoll'andare del tempozitti zittia poco a pocoquesti erano tornati alle abitudini di prima: giuocogozzoviglieilquartiere popolato di ganzei bastardi ficcati nel convento inqualità di fratelli — dei Padri — nuovo genere diparentela! E i timidi tentativi di resistenza dell'Abate gli avevanoscatenato contro un'opposizione violenta. Don Blasco fu dei piùterribili. Egli aveva tre ganzenel quartiere di San Nicola: donnaConcettadonna Rosa e donna Lucia la Sigaraiacon una mezza dozzinadi figliuoli: e l'Abate lasciava correresebbene fosse uno scandaloche tutte quelle mogli e quei figliuoli della mano mancaanzi dinessuna manovenissero a udir la santa messa recitata dallo stessomonaco. Poitutte le mattineegli scendeva in cucinaordinando chemandassero i migliori bocconi alle sue amichee i giorni di magro simetteva sul portone per aspettar l'arrivo dei cuochi col pesceinmezzo al quale faceva la sua sceltaordinando: -"Tagliaun rotolo di questa cernia e portalo a donna Lucia!"E l'Abate lasciava correre. Ma un giorno finalmente i nodi vennero alpettineper causa di costei. Il convento possedeva una buona metàdel quartiere in mezzo al quale sorgeva: i tre palazzotti dellapiazza semicircolare dinanzi alla chiesa e una quantità dicase terrene tutt'intorno alle mura. Da queste fabbriche ricavava unamagra renditaperché parte erano affittate a prezzi di favorea vecchi fornitori o sagrestani ritiratiparte erano addiritturaconcesse come elemosina a povera gentea famiglie nobili cadute inbassa fortuna. Ora don Blascocon una particolare affezione perdonna Lucia Garinola Sigaraiale aveva fatto concedere un belquartierino di abitazione nel palazzotto di mezzogiorno e una bottegasottoposta dove suo marito teneva il negozio dei tabacchi. L'Abatevisto che questa donna Lucia non era né indigente nénobile decaduta e che non vantava altro titoloper godersi la casafuorché l'amicizia scandalosa di don Blascomentre poi tantie tanti poveri diavoli non sapevano dove dar del capopensòdi ordinarle che o pagasse regolarmente l'affitto del quartiere edella bottegaoppure che sgomberasse. Don Blascoa cui giàil fare da moralista del nuovo Abate aveva dato ai nervitanto chenon aspettava se non l'occasione per aprire il fuocoa questaintimazione riferitagli dall'amica piangente diventò unabestiasalvo il santo battesimoe fece cose dell'altro mondogridando pei corridoi del conventosotto il muso dei Decani e dietrol'uscio dell'Abateche se qualcuno avesse osato dar lo sfratto opretendere un baiocco dalla Sigaraial'avrebbe avuto a far con lui.E disciplinata l'opposizione ancora incerta e tentennanteraccoltointorno a sé la schiuma del conventoi monaci che nonpotevano digerire le austere ammonizioni del superiore e la fine delgiuoco e di tutti gli scandalise prima era stato lo spavento delCapitoloda quel giorno divenne un diavolo scatenato. Per amor dellapaceil povero Abate dové rimangiarsi il suo provvedimentoma l'Uzeda senior non si placò per questochédove poté trovare argomento da suscitare mormorazioni e litinon diede tregua al suo -"nemico".Giustol'Abateammirato dei severi costumi e della scienza di donLodovicos'era messo a proteggerlofino a sostenerne poi l'elezioneal priorato; perciò don Blascoil quale voleva aver egli quelpostoaccomunò il nipote e il superiore nell'odio feroce einestinguibile.

C'eranostati sempre numerosi partitia San Nicola; perchétrattandosi d'amministrare un patrimonio grandissimoe di maneggiaregrossi sacchi di denaroe di distribuire larghe elemosinee di darlavoro a tanta gentee d'accordar case gratuite e posti non menogratuiti al Noviziatoe d'esercitare insomma una notevole influenzain città e nei feudiciascuno ingegnavasi di tirar l'acqua alsuo mulino; maal tempo dell'ammissione del principinoi contrastierano quotidiani e violenti. L'Abate avevaprima di tuttoi suoipartigiani; ma non tutti i buoni monaci erano per luinon garbando aqualcuno che il supremo potere fosse in mano d'un forestiere.Don Blasco col suo codazzo cercava d'attirar costorogridando chebisognava mandare a casa sua quel -"napolitanomangiamaccheroni";mabenché d'accordo su ciòl'opposizione si dividevapoi novamentequando aveva da scegliere il successore. Non mancavail partito di quelli che dichiaravano non aver partito; e donLodovicomodello del generetenendosi da partenavigandosott'acquaera riuscito ad agguantare il priorato. Parecchisostenevano anzi chein fin dei contiegli era il solo meritevoled'aspirare alla dignità abaziale; ma allora suo zioperevitare che quel -"gianfottere"si ponesse in capo la mitraquasi sosteneva l'Abate Cosenzano. Nélo stesso don Lodovico ammetteva che gli parlassero della promozione:se qualcuno gliela predicevaprotestava:

-"L'Abateper ora è Sua Paternità ed a me tocca obbedirlo primad'ogni altro."

L'Abatein personastanco di quella galeragli confidava di volersiritirare per cedergli il posto: quando pure non avesse pensato amettersi da cantopresto o tardi la morte non ci avrebbe pensato perlui? E il Priore:

-"VostraPaternità non parli di queste cose!... Sono cose checontristano il cuore d'un figlio devotoPadre Reverendissimo."

Ilvecchio lo prendeva allora a suo confidentesi lagnava del pocorispetto dei monacidello scandalo che molti continuavano a dare conla loro vita libertina. Il Priore scrollava il capoin atto dolente:

-"Ilglorioso nostro fondatorePadre dei monacici insegna qual èil rimedio contro gli errori dei traviati: l'orazione dei buoniacciocché il Signoreche tutto puòdia salute agliinfermi fratelli..."

Pertantoegli non riprendeva nessunonon dava corso ai richiami che spessovenivano a farglilasciava che ognuno cocesse nel proprio brodo. Fraquella trentina di cristiani non c'era mai un momento di pace e diaccordo. Se la quistione delle persone divideva il convento in uncerto modoi partiti erano poi scompigliati dalla politica cheraggruppava i Padri in ordine tutto diverso. V'erano i liberaliquelli che al Quarantotto avevano parteggiato pel governo provvisorioe ospitato la rivoluzione in persona dei suoi soldati; e v'erano iborboniciche i liberali chiamavano sorci. Don Blasco capitanavaquesti ultimiin mezzo ai quali stavano molti amici del Priore; iliberaliche nelle quistioni d'ordine interno erano quasi tutti conl'Abate effettivoborbonicissimoobbedivano politicamente all'Abateonorario Ramiraquello del Quarantotto. Quindise spesso s'udivanole voci dei Padri che dicevano male parole ai fratelli e mandavano aquel paese i camerierigli strepiti salivano al cielo appenacominciavano le discussioni sugli avvenimenti pubbliciall'ombra deiportici o dinanzi al portone: liberali e borbonici quasi venivanoalle mania proposito della fine della guerra di CrimeadelCongresso di Parigidella parte che vi sosteneva il Piemonte. DonBlasco era violento contro quel -"piemontesemangiapolenta"di Cavour e lo colmava d'improperirammentando la storia della ranae del bueprofetando che sarebbe scoppiato a furia di gonfiarsi comeuna vescica. Era più terribile ancora contro il sistemacostituzionale di cui i liberali avevano l'uzzolo: esclamava che ilmiglior atto compiuto da Ferdinando ii era stato il 15 maggioquandoaveva fatto prendere a baionettate -"ibuffoni e i ruffiani"di palazzo Gravina. E se i liberali dicevano che avrebbero dato ilben servito al Re un'altra voltagridava:

-"Lomanderete via voi altrise mai; ché ve ne basta l'animoconquei pancioni!"

Equando sentiva esaltare la bontà del giovane Re di Sardegnaalzava le braccia sul caposcotendo le mani come alacce dipipistrellocon un gesto d'orrore disperato: -"PassaSavoia!... Passa Savoia!..."Nel 1713 quando Vittorio Amedeoassunto al trono di Siciliaeravenuto nell'isolain pompatraversandola da un capo all'altroilpassaggio del nuovo sovrano era stato seguito da una mala annata comeda un pezzo non si rammentava l'eguale; e nelle popolazionispaventate ed ammiserite era rimasto in proverbio quel detto: -"PassaSavoia! Passa Savoia!..."come il sintomo d'una sciagurad'un castigo di Dio.

-"Evolevano un altro dei loroal Quarantottocome se non fosse bastatoil primo! Ci volevano ridurre peggio di quel Piemonte morto di fameche spoglia i conventi!..."

Anchetra i novizi v'erano partiti politici: i liberalirivoluzionaripiemontesi; e i borbonicinapolitanisorci; ma se fra imonaci i due campi disponevano di forze quasi egualiqui i liberalierano in maggioranza.

-"Sonotutti i morti di fame"spiegava don Blasco al principino; -"quelliche a casa loro non hanno di che mangiaree qui disprezzano il bendi Dio e le lasagne che gli piovono in bocca bell'e condite!"

Questonon era vero del tuttoperché capitanava i novizi liberaliGiovannino Radalì Uzedail quale apparteneva ad una famigliache per nobiltà e ricchezza veniva subito dopo gli Uzeda delramo diritto: quantunque secondogenitose fosse rimasto al secologli sarebbe toccato il titolo vitalizio di barone. Ma il principinoseguiva egualmente le opinioni degli zii don Blasco e donnaFerdinanda: amico e compagno di giuoco del cuginoera suo avversarioin politica; e quando i rivoluzionari parlavano fra di loroquandocomplottavano per sollevare il convento e scendere in piazza con unabandiera di carta tricoloreegli stava alle vedette e interrogava ipiù ingenuie poi andava a ripetere le notizie allo zioperché li denunziasse all'Abate; tanto che don Blasco ebbepresto in tutt'altra considerazione il pronipote.

-"Questogianfottere non è poi tanto minchione quanto pare... Sìsì"approvavalodando lo spionaggio di Consalvo; -"ascoltaquel che dicono e poi vieni a riferirmelo."

Anchetra i fratelli la politica metteva dissidi e nimistà; i piùfurbiveramentenon s'impicciavano né di Cavour né diDel Carrettoe badavano a ingrassare le loro famiglie con leracimolature del monasteroma parecchi parteggiavano o pel governo oper la rivoluzione. Uno specialmentefra' Colacapo rivoluzionarioparlava sempre di ricominciar la giocata del Quarantotto; i noviziliberali gli facevano raccontare la storia di quel tempo; e quandoegli li servivaa tavolaquando versava in giro l'acqua od il vinodal gran boccale di cristallo che reggeva con la destrafaceva dinascostocon l'indice e il medio della sinistrail segno d'unaforbice che taglia. Il principino domandò un giorno aGiovannino Radalì che volesse dire; il cugino rispose:

-"Vuoldire che ai sorci bisogna tagliargli le code."

Consalvoriferì la cosa allo zioe fra' Colain punizionefu mandatoalla casa di Licodiain mezzo alla malaria. Fra' Carmelopertantonon s'occupava mai di politica e quando gli domandavano se eraliberale o borbonicofaceva il segno della santa croce:

-"Viscongiuro per parte di Dio! So molto di queste cose! Queste sonoopere del Nemico!"

Perlui non c'era altro mondo fuori di San Nicolané altrapotestà fuor di quella dell'Abatedel Priore e dei Decani.Bisognava sentirloquando enumerava tutti i diciotto titolidell'Abatequando nominava i Rele Reginei Principi realiiViceréi baroni che avevano dotato il convento. Ognidomenicain Capitolol'Abate leggeva la litania di quei reali oprincipeschi donatoriin suffragio delle cui anime andavano dettealtrettante messe quotidiane; ma spesso ne recitavano una solaall'intenzione di tutti quanti: il ristoro dei morti era lo stessoei vivi non stavano a perdere tanto tempo.

Ingeneralei Padri avevano fretta di sbrigarsie intendevano fare ilcomodo loro. Per non scendere giù in chiesaa mattutinoquando faceva freschettoessi avevano ordinatomolti anni addietrola costruzione di un altro Corochiamato Coro di nottein mezzo alconvento; ed anzi era costato parecchie migliaia d'onzetutto dinoce scolpito; ma adesso i Padri non si levavano neppur per andar lìa due passi; restavano a covar le lenzuola fin a giorno chiaroe ilmattutino lo facevano recitare per loro conto ai Cappuccinidietropagamento. Viceversa poinelle grandi solennità religioseaNatalea Pasquaper la festa del Santo Chiodotutti prendevanoparte alle cerimonie la cui magnificenza sbalordiva la città.


Leprime a cui assistette il principino furono quelle della SettimanaSanta. Durante un mese la chiesa fu sossopraper la costruzione delSepolcroin fondo alla navata di sinistra: chiusa da un grandeimpalcatocon le finestre sbarratetutta adorna di candelabri dicristallo splendenti come blocchi di diamantie di vasi col granolasciato crescere al buio perché non prendesse coloreepopolata di statue rappresentanti la Sacra Famiglia e gli Apostoliera veramente irriconoscibile. Il giovedìa terzatutto ilmonastero scese in chiesapel Pontificalecon l'Abate alla testaacui i novizi portavano il bacolola mitra e l'anello e i caudatarireggevano lo strascico. L'apparato era quello della Regina Biancatutto di drappo rosso ricamato d'oroe sull'organo maestoso diDonato del Pianotenoribassi e baritoni scritturati a postacantavano il Passio che la folla pigiata stava a sentire come alteatro. Dirimpetto al soglio dell'Abatenei posti miglioric'eranotutti gli Uzeda: il principe e il conte con le moglidonnaFerdinandaLucreziaChiara col marito; i qualiscorto Consalvogli facevano segno col caposua madre e la zitellona specialmenteammirando la sua cotta candida e insaldata a mille piegolinelavorospeciale delle Suore di San Giuliano. S'udiva per tutta la chiesaquando la voce potente dell'organo tacevaun ronzìo comed'alveareun urtarsi di seggiolelo stropiccìo dei passi;luccicavano i fucili e le sciabole dei soldati disposti dinanzi alletre porte e lungo le navate per aprire il varco alla processionepiùtardi. Intanto dodici poverirappresentanti i dodici Apostolieranoentrati nel Coro; l'Abateinginocchiatolavava loro i piedi —seconda lavatura; essendo la prima già fatta in sagrestiaaffinché Sua Paternità per lavar quei piedi nons'insudiciasse le mani.

Unmormorìo venne in quel momento dal fondo della chiesa;Consalvodall'altare maggioresi voltò e vide che lo zioRaimondolasciato il suo postosi faceva largo tra la folladirigendosi verso una signora. Era donna Isabella Fersa. Come tuttele altre dameper la tristezza della Passionevestiva di nero; mail suo abito era così riccotanto guarnito di gale e dimerlettida parere un abito da ballo. Arrivata tardinon trovava unbuon posto; Raimondoraggiuntalale diede il braccio e la condussein mezzo a una doppia ala di curiosialla propria seggiolaaccantoa quella di sua moglie. La contessa Matildeche usciva quel giornola prima volta dopo l'infermitàera tutta bianca in visoel'abito di lana nera contribuiva a farla parere ancora piùpallida. Poigiusto in quel punto Gesù moriva: la chiesaoscuravasi repentinamentei fratelli rovesciavano i candelieri suglialtaritoglievan via le tovaglie bianche e le sostituivano conquelle violaceeavvolgevano d'un velo la croce; e i monacianch'essilasciati i paramenti di festaindossavano quelli delcorrotto. Nella penombrai ceri risplendevano con fiamma piùvivae il Santo Sepolcro era una raggieradalle tante torcedalletante lampadedai tanti riflessi dei cristalli e degli ori. DonnaIsabella guardava con l'occhialetto lo spettacolomentre il contechino su leile nominava ad uno ad uno i monaci e i novizi.

-"Quellolì non è il vostro nipotino?... Che bel chierichettocontessa!..."

Matildefece col capo un gesto ambiguo. L'organo intonava il Misereree il canto doloroso era pieno di sospiri profondidi lunghi lamentiche facevano echeggiare ogni angolo della chiesa scuradi schiantiterribili per cui l'aria tremavadi gemiti lunghi come quelli delvento invernale. Pareva che il mondo dovesse finireche non vi fossesperanza più per nessuno; Gesù era mortoera morto ilSalvatore del mondo; e i monacia due a duecon l'Abate a caposcendevano dall'absidegiravano per l'immensa chiesa tra due file disoldati che contenevano la folla e presentavano le armi capovolte;poi l'Abate deponeva l'Ostia al Sepolcro. Inginocchiata col caposulla seggiola e il viso nascosto dal fazzolettola contessasinghiozzava pianamente; donna Isabella esclamava:

-"Cheeffetto produce questa funzione!..."

Avevaanch'ella gli occhi un po' arrossatima quando il conte le ridiedeil braccio per condurla in sagrestia s'appoggiò a luilanguidamente.

-"Perleggenon potrei venire..."protestava. -"Sonoammesse le sole famiglie..."

-"Mache!... Siete con noi! Diremo che siamo cugini..."

Nellasagrestia ai parenti dei monaci e dei novizi era offerto un lautorinfresco: giravano i vassoi con le tazze di cioccolata fumanteconle gramolate e i dolci e il pan di Spagna. Consalvoin mezzo allamamma e a donna Isabellariceveva carezze e complimenti pel modoesemplare col quale aveva preso parte alle funzioni; Padre Gerbinisenza avere ancora lasciato i paramenti mortuarisalutava lesignorele invitava per la cerimonia del domani.

Eil venerdì gli Uzeda arrivarono coi Fersa; il conte dava ilbraccio a donna Isabellache portava un altro abito neropiùgalante del primo. I sagrestani avevano serbato loro gli stessipostifacendovi la guardia in mezzo alla folla burrascosa. Ma isoldati la frenavano e quando l'organo accompagnava il canto lugubredelle Tre Ore d'agoniail silenzio era profondo; solo Raimondoseduto accanto a donna Isabellale diceva all'orecchio cose che lafacevano sorridere. Intanto l'Abate eseguiva la cerimonia dellaDeposizione della Croce: preso il Crocifisso velatolo deponeva perterrasopra uno dei gradini dell'altaredove un cuscino di vellutotutto trapunto d'oroera preparato apposta. I monaci se ne andavanoviail Sepolcro restava un momento vuoto; a un trattomentrel'organo riprendeva più triste le sue lamentazionituttiriuscivano dalla sagrestiain processionea due a duecolSuperiore alla testa; erano senza scarpecoi piedi nelle calze diseta neraper l'Adorazione della Croce. Inginocchiandosi a ognipassoin mezzo alla siepe dei soldatiscendevano fino alla portamaggiorerisalivano fino all'altarelì ad uno ad uno sibuttavano per terra dinanzi al cuscino del Cristo morto e lobaciavano. La folla saliva sulle seggioleper godersi meglio tuttala vistadonna Isabella e Raimondo si passavano il cannocchialeintanto che la contessagenuflessapregava piangendo. Alla finedella cerimoniaaltro rinfresco in sagrestia; il principinovezzeggiato da tuttifece servire prima i suoi parenti: don Eugeniobeveva cioccolata come fosse acquasi ficcava in tasca i dolci chenon poteva mangiare; ma la zia Matilde non prese nulla.

IlSabato Santoper la funzione della ResurrezioneConsalvo non lavide; lo zio Raimondo dava sempre il braccio alla signora Fersa.




7.


Ogniseraal capezzale della bambinatenendola per la manuccia fredda ebianca come di cerasenza fare alcun moto col braccio irrigidito pernon destare la piccola dormientela contessa vegliava fino a tardi.A notte alta serravano i portoni e nella casa addormentata nons'udiva più alcun rumore; solo dallo stanzino attiguo venivail lieve russare della balia accanto al letticciuolo di Teresina.Raimondo non rientrava. Sul comodino stavano schierate le bottigliedei medicamentii vasetti di pomatatutta la farmacia prescrittadal dottore per la povera malatuccia. Era erpete quell'infermitàdicevano; cattivo umore che si sfogava con eruzioni cutaneeconingorghi di glandole: tutti sintomi rassicurantipoichévolevan dire che l'organismo espelleva il principio morboso.

Ellas'era votata alla Madonna delle Graziele aveva promesso di vestireil suo abito fino alla guarigione di Lauretta; in cuor suo avevachiesto un'altra grazia alla Madonna: di illuminare Raimondodiridestare il suo affetto di marito e di padre.

Finda quando erano andati a Milazzosecondo la promessa fattale alBelvedere dopo il coleraegli aveva ricominciato a smaniareamostrarsi infastidito e crucciatoa dichiarare che non potevarestare a lungo lontano da casa sua per gli affari della divisione.Ed ella s'era appena sgravatastava ancora tra vita e morte dopo unparto difficilissimoquandoaddotta una chiamata del fratelloeglise ne partì. Rimase lontano pochi giornima era la primavolta che l'abbandonava giusto nel momento che la compagnia el'assistenza di lui le erano più necessarie. La nuovatristezza non giovò certamente a darle forza per vincer prestoil male; ma un dolore più grande l'aspettava e i suoi presagidovevano tutti avverarsipoiché la creatura che ella avevaportata in grembo mentre il suo cuore agonizzava era venuta al mondocosì debole e stremata e cagionevole che pareva da un momentoall'altro dovesse mancare. Lunghi e lunghi mesi erano cosìpassatiquasi un anno interosenza che ella potesse lasciar la casapaterna e il capezzale della bambina: durante quell'anno Raimondo eraandato e venutopartito e ritornato parecchie volteed ella aveva apoco a poco fatta l'abitudine a quelle assenzenon potendo seguirloné opporsi alle ragioni d'affari che le adduceva. Quando imedici ordinarono il mutamento di aria alla creatura convalescenteegli volle condurre tutti a Catania. Anche il barone lasciavaMilazzoandava a Palermo con l'altra figlia Carlotta; perciòTeresinanon potendo restar solavenne col babbo. Non era parsovero a Matilde di vedere Raimondo premuroso per le figlieed ellaaveva quasi benedetto le sue sofferenzese per esse godeva di quellatregua; ma appena arrivata in casa degli Uzedaaveva visto ricaderela sua figliuolina e Raimondo trascurarlalasciarla sola in mezzo aquei -"parenti"che la guardavano come prima di traverso ecosa più dura alsuo cuore di madrela ferivano nelle sue bambine. Della piùpiccola deridevano le sofferenze e predicevano la morte; ma lemaggiori ostilità erano contro Teresina. La bambinavivacecuriosainquietacommetteva spesso qualche monelleriaguastavaqualche cosa nei suoi giuochigridava allegramente correndo per lestanze; allora la rimproveravanola mandavano via; il principediceva d'aver messo Consalvo ai Benedettini giusto per startranquillo in casae invece gli disordinavano tuttogli toccavaudire strilli peggio di prima... Egli era più indulgente perla propria figlial'altra Teresinae tutta la famiglia e gli stessiservi trattavano diversamente le due cuginettedando il primo postoalla principessina. La stessa principessa Margheritasola buona edolcenon poteva nascondere la preferenza per la figliuola; eMatildebenché riconoscesse che avevano ragionesoffriva diquesta disparità di trattamento.

Teresinasuaa sei anniera vana come una donnina: si guardava a lungo allospecchioassisteva all'acconciarsi della mamma sgranando tantod'occhiandava matta pei nastriper gli spilloniper le pezzevecchie; e la zitellona se la prendeva con la civetteria di suamadrescoteva la testa predicendo male dell'avvenirefacevapiangere la contessa a quella specie di malìa operata control'innocente. Incrudelivano su lei per un'altra ragioneadesso;perché il viaggio del barone a Palermo aveva lo scopo dicombinare il matrimonio dell'altra figlia Carlotta. Pretendevano chequesta non si maritasseche ella s'opponesse ai disegni del padrealla felicità della sorellaaffinché tutta la sostanzapaterna restasse un giorno a lei! E poiché simili calcoli noncapivano nella sua mentela guardavano in cagnescola martoriavanonelle sue bambinequasi ella avesse loro portato via qualcosa...

Raimondoin veritànon mostravasi per nulla crucciato dei disegni dimatrimonio; ma ricominciava a trascurarlascappava via subito dopocolazionetornava al finire del desinare per andar fuori un'altravolta fino a notte tarda. A veder maltrattare le sue figlieMatildesentiva le lacrime salirle agli occhi; si chiudeva in camera conTeresinala scongiurava di star buonasi studiava di trattenerlaquanto più a lungo era possibile perché non tornasse dilà; né quando Raimondo rincasava ella accusava iparenti di luiper evitargli un dispiacereperché nondicessero che veniva a seminar zizzania in famiglia: lo pregavasoltanto di non lasciarla sempre sola... L'ostilità degliUzeda verso di leii rimproveri e gli scherni rivolti alle suecreaturinetutto le sarebbe parso nullase la gelosia non fossetornata a roderla. Egli aveva ripreso a corteggiare la Fersaandavaa trovarla in casatutte le domeniche in chiesa s'incontravano allastessa messa: ed ella non poteva più pregarevedendosidinanzi costeicomprendendo che egli non l'aveva dimenticatacheera di nuovo sedotto dalla sua eleganzadalla languidezza dei suoiatteggiamentidai gesti studiatamente graziosi coi quali portavasiil fazzoletto profumato alle labbrao agitava il ventaglio di piumeguardandosi attornoo chinava il capo sul libro delle preghieresenza voltarne mai una pagina!... In chiesa! Nella casa di Dio!...Ella non poteva comprendere quella commediale pareva un continuoenorme sacrilegio. E a San Nicolaper le cerimonie della Passioneera venuta con abiti di galacome ad un allegro spettacolofacendovoltar la gente con la sconvenienza del suo contegno!... Perchédunque Raimondo doveva metterle vicino costeifar notare anche luialla gente un'assiduità che già dava argomento amormorazioni?... Il giorno di Pasquapiangendo di dolore e ditenerezzaella s'era confessata con suo maritoal capezzale diquell'innocente: -"Perquesto giorno solenneper amore di questa innocentegiurami che nonmi farai più soffrire..."Ed egli le aveva domandato: -"Cheti faccio? Di che mi accusi?..."-"Milascitrascuri le tue figlienon pensi a noinon ci vuoi piùbene..."Scrollando il capoRaimondo aveva esclamato: -"Letue solite fissazionile tue solite fantasie!... Ti trascuro? Cometi trascuro? Quandoperchéper chi ti dovrei trascurare?..."Per chi?... Per chi?... E con più calore egli aveva ripreso:-"Sicuroper chi? Ricomincicolla tua sciocca gelosia? Ti sei messa qualchealtra fisima in testa?... Per donn'Isabellaeh?..."L'aveva nominata lui! -"Hocapito! Perché le ho ceduto la mia sediaperché l'hoinvitata con noi!... Ma questecara miasono regole di buonacreanza. Bisognava venire in questa bicocca miserabile per sentirsirimproverare una cosa simile!..."

Ein quell'estate del '57 fu visto più assiduo coi Fersa; alteatrodove andava tutte le serenella barcacciasaliva spesso nelloro palco quand'era la loro volta d'abbonamento; li incontrava anchedalla zia Ferdinandadalla quale donna Isabella andava spessissimo;al Casino dei Nobili giocava quasi sempre col maritodal quale silasciava vincere ogni giorno. Quantunque potesse servirsi dellacarrozza del fratelloaveva comperato una magnifica pariglia dipurosangue e un phaeton nuovo fiammante col quale andavadietro alla carrozza dei Fersa: alla Marinaquando c'era musicascendevalasciando le redini al cocchiereper mettersi al lorosportello e chiacchierare con donna Isabellacon la suocera e colmarito. Vestiva con maggiore ricercatezza del solitonon stava maiin casa se noncome per una coincidenza tutta fortuitaquando essivenivano a far visita alla principessa. Il tema del suo discorso eracontinuamente Firenzela vita delle grandi cittàl'eleganzae la ricchezza degli altri paesi; egli si metteva vicino a donnaIsabellaesclamando: -"Voisola mi capite!"quando se la prendeva con la sorte che l'aveva fatto nascere inquella bicocca e ve l'inchiodavamentre non avrebbe voluto mettercii piedimai più: -"Mache proprio ho da lasciar qui l'ossa? Non credo! Non èpossibile!..."E udendolo parlare a quel modoMatilde chiedeva a se stessa perchédunqueegli non andava via e non manteneva l'altra parte dellapromessa fattale un anno e mezzo addietroquella di tornare allaloro casa fiorentina. Per gli affariforse? Ma quantunque Raimondonon le tenesse discorso di queste coseella sapeva che delladivisione non si parlava ancora e non si sarebbe parlato per unpezzo.

Primail colerapoi lo strascico d'inquietudini che la pestilenza avevalasciatopoi la partenza del fratelloerano state ragioni per lequali il principe non aveva parlato della divisione. Adesso quelnuovo lusso costava a Raimondo; egli chiedeva continuamente a Giacomosomministrazioni in denaroe questi non gli faceva ripetere lerichiestedimostrando tuttavia che era ormai tempo di procedere allasistemazione definitiva dell'eredità; ma a Raimondo tornavacomodo prendere i quattrini senza stare a far contia citare ipagatori morosio ad impacciarsi in tutte le noie grosse e piccoledell'amministrazione. Quando il fratello gli esponeva un dubbioochiedeva il suo parere intorno alla proroga d'un affittoallaconclusione d'una venditaegli rispondeva: -"Fa'tufa' come credi..."L'importanteper luiera aver denari; alle volterichiedendone controppa frequenzail principe gli diceva: -"Veramentei fattori non hanno ancora pagato; abbiamo avuto molte spese: peròse vuoiposso anticiparti quel che ti bisogna..."ed egli prendeva i quattrini a titolo d'anticipo o di prestito. Nons'occupava insomma di nulla fuorché di spenderecon una ciecafiducia nel fratellola quale faceva andare in bestia don Blasco.Già il monacosaputo l'affare delle cambialiaveva gettatofuoco e fiamme contro il principedichiarandolo capace di averfalsificato la firma della madreperché -"quellabestia di mia cognata era una testa di cavolosìma non alpunto di piantar debiti da una parte e di serbar quattrinidall'altra".E aveva ricominciato ad aizzare gli altri nipoti contro -"quell'imbroglione"spingendoli ad impugnare la validità di quegli effetti chechiamava -"cavallidi ritorno"perchése non erano falsi del tuttodovevano essere vecchiecambiali ritirate dalla principessatrovate da Giacomo tra le cartee rimesse a nuovo per la circostanza! Ma poiché quell'altrebestie di Chiaradel marchesedi Ferdinandodi Lucrezia facevanoorecchio da mercante — come non si trattasse dei loro propriinteressi! —il monaco quasi quasi era stato sul punto didimenticare l'antica avversione per Raimondo e di andare a svelarglile magagne del coerede e fratelloa gridargli: -"Aprigli occhise no ti metterà nel sacco e ti mangerà!..."Vedendo ora che erano tutt'una cosasi rodeva il fegato notte egiornoe un ultimo fatto l'aveva inviperito e indotto a strepitarecontro quei -"pazzie birbanti"al conventonelle farmacieanche per le pubbliche strade con laprima persona capitata. Alla zolfara dell'Oleastro gli Uzedascavando scavandoavevano oltrepassatosotterrail confine dellaproprietà superficiale: i proprietari limitrofi iniziavanoquindi una lite. Raimondoa cui l'apposizione d'una semplice firmain coda alle ricevute ed ai contratti già pesavamostròin quell'occasione al signor Marcoche veniva per fargli leggere gliatti della liteil proprio fastidio per tutte quelle continue -"seccature";allora il signor Marco gli propose: -"VostraEccellenza perché non fa una procura al signor principe? Cosìrisparmierà tante noie e le cose anderanno anche piùspeditefin a quandopagate le sorelle di Vostra Eccellenzasiprocederà alla divisione..."Raimondo non se lo fece dire due volte e firmò subito l'attocol quale il principe ebbe mandato d'amministrare l'eredità innome anche del coerede.

OraMatildeconosciuto l'accordoaveva domandato a se stessa perchémai Raimondo restava ancora in Sicilia? Se non s'occupava piùdegli affariqual altro interesse ve lo tratteneva? Ed ellaricominciava a struggersi di gelosiavedendolo ancora una voltaaccanto a quella donnanon potendo soffrire di vederla trattare daamica mentre una voce interiore l'avvertiva di non fidarsene.Ammalata di cuore e d'imaginazionecon la sensibilitàeccitata dai dolori continuiella adesso credeva ai funestipresentimentitemeva e sospettava di tutto. Nella felice ingenuitàdi altri tempiavrebbe mai accolto il sospetto che il principelasciasse libero Raimondo di fare quel che più gli piaceva equasi secondasse i suoi vizie lo incitasse a giocare e gliprocurasse le occasioni di veder quella donnaper distorglierlodagli affari ed averne solo il maneggio? Un sospetto cosìtristo non le sarebbe neppure passato pel capo quando ella credevatutti buoni e sinceri; adessospaventata degli altri e di se stessanon riusciva a combatterlo... Come respingerlose il principe parevamettere ogni impegno perché quella donna Isabella venisse alpalazzo Francalanzamentre la suocera di leidonna Mara Fersacominciava a mostrare una specie di diffidenza per quelle relazionidivenute troppo intime?...

DonnaMara Fersa aveva tollerato molte cose alla nuora palermitana; larivoluzione mèssale in casail mal nascosto compatimento colquale la trattavai gusti costosi e le opinioni ardite; ma chiusitutt'e due gli occhi quando ne soffriva lei stessanon intendevachiuderne neppure uno se era in giuoco suo figlio. L'amicizia degliUzedasissignorestava benissimo e le faceva anche tanto piacere:ma che Raimondo stesse sempre alle costole dell'Isabellain casapropria o in quella di leiin chiesain teatro ed al passeggioforse usava a Firenze ed era una cosa elegantedi quelle che leieducata al vecchio modonon comprendeva; ma non le piacevanient'affatto e non intendeva che continuasse. Senza addurne laragione per non mettere il carro avanti ai buoiaveva fatto capireal figlio ed alla nuora chetrattando da buoni amici gli Uzedanonc'era poi bisogno che si spartissero il sonno. Ella predicava aiturchi: Mario Fersa era più che mai infatuato del principe edel contedonna Isabella sempre insieme con la principessaconLucrezia e con donna Ferdinanda. Alloravedendo inutili le proprieesortazionipoco sofferente di sapersi disobbedita e inascoltata inuna cosa che la nuora doveva intendere alla primadonna Mara s'eramostrataincapace di nascondere quel che aveva in corpoinusitatamente acre ed ironica verso di leie nello stesso tempoaveva dichiarato al figliuolo il motivo delle proprie inquietudini.Tuttaviaper non precisar troppos'era mantenuta sulle generalidicendo che quella vita in comune era pericolosache in casa Uzedaoltre ai tanti uomini che vi bazzicavanosi trovavano due giovanicome il principe e il conte accanto ai quali non istava bene chel'Isabella si lasciasse vedere continuamente... Suo figlioperònon l'aveva lasciata finire: -"Ilprincipe? Raimondo? I miei migliori amici?..."E dall'indignazione passando al riso: -"Sospettardi loro? Di due buoni padri di famiglia?..."Né le ragionate insistenze della madre ebbero altra risposta.Frattanto donna Isabellaal piglio severoai modi bruschisolitamente adottati dalla suocerase prima aveva mostrato di starein quella casa con una specie di prudente ma dolorosa rassegnazioneprendeva adesso decisamente l'attitudine d'una vera vittima. ConRaimondoquando costui le diceva la noial'infelicità dellavita di provinciaella scrollava il capoapprovavama soggiungendoche si poteva star bene anche in una campagna o in un desertoapatto di sentirsi circondati di premure e d'affetto... di vedersiintorno persone care... capaci di comprendervi e d'apprezzarvi... Edonna Mara gonfiavagonfiavavedendo che niente riuscivacercandoun mezzo più energico per metter fine a quella -"commedia".Fersaper conto suocontinuava a non accorgersi di nullaperchéavrebbe negato la luce del giorno prima di sospettar della moglie edi Raimondocol quale faceva vita insieme e stava tutto il giorno etutte le sere a chiacchierare o a giocare al casino o nella barcacciadel Comunale. Egli era più che mai orgoglioso dell'amiciziache gli dimostrava il principedei lunghi discorsi che questi glitenevamentre Raimondo e donna Isabella discorrevano in un angolo; ecascava poi dalle nuvole quando la madre gli veniva a direbruscamente: -"Andiamoviache è tardi!..."

Oraun bel giorno Raimondoandato a far visita in casa Fersae dopoaver visto donna Isabella dietro le vetrates'udì risponderedalla cameriera che non c'era nessuno. Lì per lìeglirimase; a un tratto fu per dare uno spintone alla porta ed entrare aviva forza; ma riuscito a stento a contenersiscese le scale ed uscìnella via rosso in viso come per un colpo di sole. Subito avevacapito donde veniva la bottaessendosi già accorto dellafreddezza di donna Mara; e all'idea della contrarietà edell'ostacoloil sangue gli ribolliva nelle venegli saliva allatestagli faceva veder fosco... Fin a quel momentoegli avevacercato la compagnia di donna Isabella perché gli pareva unadelle poche signore con le quali poter discorrereperché glirammentava la società di fuori viaperché gli piacevadi personaanchema non moltonon tanto da voltar l'animo alla suaconquista. Non l'idea di cagionare la rovina di leinon l'amiciziadel marito lo avevano distolto da questo proponimento; Fersa anzicon la sua adorazione per la moglie e la cieca fiducia che dimostravaa lei ed a luigli pareva destinato alla solita disgrazia; e donnaIsabellacon quel suo contegno da vittimacon l'istinto dellacivetteria che la dominavacon i suoi eterni discorsi sulle animefatte per comprendersidoveva provare troppa voglia d'essercompresa. Egli aveva sempre riso dell'amoredella passioneedappunto perciò sua moglie lo seccavaperciò non avevaperseguito mai altro che il piacere comodopronto e sicuro; perciòla previsione delle noie che l'avventura con la Fersa avrebbe potutocagionargli l'aveva indotto a non spingere troppo avanti le cose. AlBelvederepel coleradove donna Isabella doveva venire e non erapoi venutaegli s'era quasi rallegrato del mancato ritrovodivertendosi con l'Agatina Galanoquasi interamente dimenticando lalontana. Rivedutalala tentazione era risortae allora i piagnisteidi sua moglie l'avevano resa più forte; poi l'opposizione didonna Mara aveva messo nuova esca al fuoco. Era così fattoche gli ostacoli lo eccitavanolo rendevano smanioso e restìocome un puledro che senta il morso. Tuttavia s'era contenuto ancorapensando all'avvenireai fastidi sicuriai pericoli possibili; oradi repentela consegna che gli vietava il passo in casa di lei glimetteva addosso una gran voglia di sfondare quell'uscio e di portarvia quella donna. L'istinto sanguinario dei vecchi Uzeda predonil'arrovellava; se avesse potutoavrebbe fatto un eccesso comequell'avo che s'era buttato coi cavalli addosso al capitan digiustizia. Adessonon tanto i tempi quanto le circostanze eranodiverse; egli non poteva fare uno scandalogli conveniva piuttostodissimularericorrere alla politica ed all'astuzia... Appenaarrivato a casascrisse all'amica per dirle che aveva compreso -"gl'ingiustisospetti"dei suoi parentiper lagnarsi che -"inquell'odioso paese"non fosse possibile stringere e mantenere -"lerelazioni d'amicizia".La lettera fu recapitata per mezzo di Pasqualino Risococchiere delprincipeil quale la diede al cocchiere di donna Isabellache gliera compare. Donna Isabella rispose immediatamenteper la stessaviaquerelandosi della -"schiavitù"in cui era tenutadella sospettosa -"cattiveria"esercitata su leiringraziandolo frattanto dei suoi -"delicati"sentimentidell'-"amicizia"di cui le dava prova e che ella ricambiava -"ditutto cuore";scongiurandolo però di -"rinunziarea rivederla"per non urtare la suscettibilità di -"certepersone".Era lo stesso che dirgli: -"Fatedi tutto per trionfare della loro opposizione..."I due cocchieri compari tornarono a vedersi tutti i giorniariferire ambasciate verbali: Pasqualinodi piantone all'angolo dicasa Fersacorreva al Casino dei Nobili ad avvertire il padronecheaveva messo lì il suo quartier generaledelle uscite di donnaIsabella: così egli la seguiva egualmente da per tutto. Delrestol'avvicinava ancora alla carrozza e le faceva visita al teatrole rare volte che non c'era la suocera; perchésordo agliammonimenti maternidolente degli ingiusti sospettiil marito eracon lui come primaanzi gli faceva maggiori dimostrazioni diamiciziaquasi a scusarsi della condotta della madree venivaassiduamente al palazzo. Tutti gli Uzeda pareva si fossero data lavoce per proteggere e secondare quei due. Mentre essi parlavano fraloroin un angoloil principe o donna Ferdinanda stavano achiacchierare con Fersalo conducevano in un'altra stanza; lazitellona andava attorno con donna Isabella e quando incontrava ilnipote si fermava per dargli l'agio di stare con l'amica; megliolainvitava più spesso a casa e Raimondo non tardava asopravvenire. Si vedevano anche dagli altri parenti dei Francalanzadalla duchessa Radalìdai Grazzeripiù spesso dallacugina Graziella che era divenuta grande amica di donna Isabella.Tutti poi cospiravano per non lasciare accorgere di nulla lacontessa; peròavvertita da una specie di senso divinatoreMatilde comprendeva che suo marito le sfuggiva; e dal dolore sistruggeva in pianto. Ora che la sua bambina stava meglioche ellaavrebbe potuto respirare tranquillaquel pensiero non le dava piùpace. Ella sapeva chea contrariarloRaimondo s'incaponiva peggionei suoi capricci; chese v'era un mezzo di ridurloquestoconsisteva nel lasciarlo fare di suo capoma come rassegnarsi asaperlo pieno di un'altraa sentirsi un'altra volta guardata conocchio tra curioso e compassionevole da Lucreziadalla marchesadagli estraneidai servi? E gli si stringeva al fianco timida esupplicegli diceva la sua gelosialo scongiurava di non farlasoffrire se era vero che non pensava a quella donna.

-"Maledettopaese!"esclamava con voce concitata suo marito. -"Chiè che inventa simili infamie? Sei stata tu stessa? Hai messoin piazza i tuoi sciocchi sospettidi' la verità?"

-"Io?...Io?..."

-"Vuoirovinarlavuoi farmi ammazzare da suo marito?"

Eallora un altro terrore l'aveva agghiacciata: se anche Fersa si fosseaccorto di qualche cosa? Se avesse voluto vendicarsi?... A un trattoella vedeva suo marito freddato in mezzo a una stradacon una pallain frontecon un colpo di pugnale al fianco: tutte le volte che eglitardava a rincasaregiungeva le manisi premeva il cuorequasiudendo le grida delle persone di servizio atterrite all'improvvisoarrivo del corpo esanime; e accarezzando le sue bambine piangeva comese già fossero orfanelle. Le coceva sopra ogni cosa di nonpotersi sfogare con nessunodi non aver qualcuno che la confortassealmeno di una buona parola. Al padre non poteva dir nullae gliUzeda tenevano il sacco a quell'altra; chi non spingeva fino a tantoil rancore contro l'intrusarestava neutralenon s'accorgevaneppure di lei.


DonEugenio aveva già finito e spedito a Napoli la memoria suMassa Annunziata. Portava per titolo: -"Intornola convenienza — di essere intrapreso il discavo — dellaSicola Pompei — ossivero Massa Annunziata —vetusta terramongibellese — sepolta nell'anno di grazia 1669 — dalleignivome lave di quell'incendio vulcanico — con tutte le suericchezze che conteneva — memoria sommessa al Real Governo delleDue Sicilie — da don Eugenio Uzeda di Francalanza e Mirabella —Gentiluomo di Camera di Sua Maestà (con esercizio)."La seraegli leggeva alla società la sua prosasulla bruttacopia. C'erano espressioni di questo genere: -"Quandocchesianel 1669 tra le più terribili eruzioni la nostra vi cadendoannoverata... Dopoché appiacevolirono alquanto i tremuoti... Aquale opera tuttosì in Pompei intentando si viene... Non mis'impunti in superbia alle conghietture azzardarmi..."Erano il frutto di riforme grammaticali da lui studiate. Perchéapostrofare soltanto gli articolii pronomi e le particelle? Egliscriveva: -"Ilflagell' accuorav' i naturali... La lav' avanzavas' incontr' a quelborgo..."Per dar più scioltezza al discorso diceva: -"necontinuando"invece di -"continuandone"ed anche -"gliproporre"invece di -"proporgli..."Don Cono soltanto gli dava rettadiscutendo se solennedovesse scriversi con una o con due elle; tutti gli altrivoltavano le spalle a quella bestia chedopo aver perduto per la suabestialità due impieghiaspettava d'esser nominato direttoredegli scavi! Don Blasco e donna Ferdinandafra gli altrimaciascuno per suo contoglielo spiattellavano sul musosenzariguardi: cantavano ai sordi peròché il cavaliere erasicuro questa volta d'aver afferrato la fortuna pel ciuffo. Ilmarchese e Chiaravenendo tutti i giorni al palazzoera precisocome se non ci fossero; perchémentre la gente parlava d'unacosa e d'un'altraessi ad altro non pensavano che alla prole. Ognimesein un certo periodoChiara pareva proprio nelle nuvole: nonrispondeva alle domande che le facevanoo rispondeva a vanvera; poitraeva in disparte tutte le signoreuna dopo l'altrae sottoponevaloro all'orecchio certi suoi quesiti. Pertantoquando don Blascoandava a casa di leiaizzandola nuovamente contro il principe eRaimondonon gli dava rettacon la testa scombussolata dallacontinua ed intensa aspettazione. Ferdinandoda canto suolasciavapiù che mai cantare lo zio monaco. Felice d'essere assolutopadrone delle Ghiandevi s'era sbizzarrito a modo suo; a poco a pocoperò il podere era caduto in rovinaed egli se n'era accorto.Tutte le cose lette nei libri d'agricoltura aveva voluto provare:appuratoper esempioche in ogni albero i rami possono fare daradici e le radici da ramiaveva preso a sperimentar la veritàschiantando gli aranci alti e rigogliosi per ripiantarli capovolti:ad uno ad uno tutti gli alberi erano morti. Nondimeno egli non sisarebbe deciso a smettere quelle sue speculazionise non ne avessepensate altre di diverso genere. Fra i molti libri che compravaglien'erano capitati alle mani alcuni di meccanica; allorarammentati gli antichi amori con l'orologiaioaveva preso un fattoreper lasciargli in balia il poderee s'era messo a fabbricare ruoteed ingranaggi. Perché mai l'acqua nelle pompe aspiranti nonandava mai più su di cinque canne? Per la pressioneatmosferica. Non c'era mezzo di controbilanciarla? Ed aveva costruitoun suo trabiccolo doveper lavorar di manubriol'acquanon che acinque cannenon saliva neppure ad un pollice. La colpa fu tuttadegli operai che non avevano capito i suoi ordini: egli si miseintorno ad un problema molto più vasto: il moto perpetuo... Diquel che avveniva in casain quel che operavano gli altri nons'impacciavadiradava sempre più le sue visite al palazzo; senon fosse stato per Lucrezianon ci sarebbe andato mai. Sua sorellaperòse era occupata a far segnali a Benedetto Giulentenonscendeva giù in sala. L'amoreggiamento continuava piùforte di primain ogni sua lettera il giovane le diceva che il tempodella domanda si veniva sempre approssimandoche fra un anno il lorovoto si sarebbe compiuto. Lucreziaquantunque non ci fosse piùquel diavolo di Consalvopureperché non le frugassero inmezzo alle sue cosechiudeva a chiave la sua camera quando scendevaal piano di sottoné il principe diceva nulla pel disordineche ne derivava.

Cosìnessuno dei legatari s'occupava della divisione; e quanto a Raimondoegli era più che mai intento alla bella vita e ad inseguiredonna Isabella in terrain cielo e in ogni luogo. Pasqualino Risonon faceva quasi più serviziooccupato com'era a spiar lemosse della signoraa portar lettere ed ambasciate. Gli altri servine erano perfino gelosi: il sottococchierespecialmentea cuitoccava tutta la faticae Matteo il cameriere. Essi parlavano adenti stretti della fortuna capitata al compagnonon capivano comeil principe continuasse a pagarlo precisamente come primalasciandolo a disposizione del fratello; e dal dispiacere quasivoltavano casaccaperchémentre prima erano contrari allacontessaadesso la compiangevanodicevano che non meritava queltradimento e quel trattamento...

L'acredinedegli Uzeda contro la Palmi diveniva veramente troppo vivaesercitavasi specialmente sulle figlieperché i mali trattiusati ad esse addoloravano la contessa più che quelli direttipersonalmente a lei. V'erano giorni terribiliquando donnaFerdinanda alzava la mano su Teresinache ella passava a piangerecome una bambinaa bere le sue lacrime perché non cadesserosulle lettere che scriveva al padre per nascondergli il propriodoloreper dargli a intendere che era felice...

Aiprimi di settembreavvicinandosi la villeggiaturail barone giunseda Milazzo per vedere le nipotine e condurre tutti con sénelle sue campagnedov'era venuto anche il promesso di Carlotta: ilmatrimonio si sarebbe celebrato fra un anno. Il principe lo volleospite al palazzoanche gli altri che erano tanto duri per la figlialo accolsero con un certo garboquasi per non lasciargli sospettarela mala grazia usata con lei... Né egli le lesse in viso ilunghi patimenti: superbo di quella parenteladella nobiltàdi quella casas'affermava nell'idea d'aver assicurato la felicitàdi Matilde. Questaall'arrivo del padreall'annunzio che egliveniva per condurli via tuttiricominciò a tremare perun'altra ragione: per l'antica paura che tra il padre e il maritoscoppiasse la guerra. Raimondo non si sarebbe rifiutato di seguire ilsuocero?... Inveceimprovvisamenteun raggio di sole brillònella sua lunga tristezza: all'invito del barone Raimondo risposeordinando i preparativi del viaggio. Era nientequel consenso; nonpoteva rassicurarlagiacché in città nessuno sarebberimastoin quella stagionee la Fersa andava come gli altri anni aLeonforte; purenell'angustia a cui era ridottal'idea di andar viadalla casa degli Uzedadi tornar da suo padreper consenso e incompagnia di Raimondole faceva trarre liberamente il respiro.

Ilprincipe invitò tutti al Belvedere. Lì però lecose non andavano molto liscee i primi a provocare i dissidi furonoChiara e il marchese Federico. Cominciando a perdere la speranza diquel figlio tanto aspettatoquasi vergognosi di aver annunziato ognimomento una gravidanza che non si confermava maimarito e moglieerano ormai pieni d'una malinconia che a poco a poco diventava unaspecie d'irritabilitàd'izza latente e senza oggettodeterminato. La marchesaper suo conto particolarenon potevarassegnarsi alla mancata maternitàse n'accusava come d'unacolpae per farsi perdonare dal maritose prima aspettava ogni suaparola come quella d'un oracoloadesso preveniva i suoi giudiziintuiva le sue volontà. Egli non aveva il tempo di voltarsiper esempioal soffio molesto spirante da una finestra apertacheChiara già gridava alle persone di servizio di chiudere ognicosaminacciando di cacciar via tutti al rinnovarsi dellatrascuraggine; in conversazionequando qualcuno raccontava un fattoo manifestava un'ideaella leggeva negli occhi al marito se la cosanon gli andava a versoe allora ribatteva vivacemente prima che egliavesse ancora aperto bocca. Federicoper non esser da menosimostrava dello stesso umore di leie così tutte le liti cheevitavano tra loro le attaccavano invece con gli altri. Ora l'iniziodella guerra col principedel quale erano ospitifu l'affare dellegato alla badìa di San Placido. Ostinandosi Giacomo aconsiderarlo nullo per la mancanza dell'approvazione regiala MadreBadessa aveva chiamato gli avvocati del monasteroi quali ad unavoce dichiararono che le ragioni del principe non valevano un ficosecco; che la principessabuon'animanon aveva niente affattoistituito un benefizioma lasciata un'eredità cum oneremissarum; quindi che mancava assolutamente la necessitàdell'approvazione regiaquindi che il principe doveva metter fuorile duemila onze; questi invece si incaponiva nell'altrainterpretazionee la povera Suor Crocifissa piangeva sera e mattina.In un momento di malumoreviste inutili le trattative amichevolilaBadessa aveva confidato al marchese ed a Chiara un'altra birbonatadel principe: donna Teresafelice memoriaprima di partire pelBelvederedonde non doveva più tornarele aveva affidatoperché la custodisse nel tesoro della badìa e laconsegnasse al signor Marcoil quale doveva poi darla a Raimondouna cassetta piena di monete d'oro e d'oggetti preziosi: appenaspirata la madreGiacomo s'era presentato per ritirare il deposito;e poiché ella aveva opposto qualche difficoltàeratornato col signor Marcoal quale non aveva potuto rifiutarlo...

Maritoe moglie restarono un poco scandalizzatima non si sarebbero smossise la Badessaper tirarli dalla suanon avesse loro detto che ilglorioso San Francesco di Paola non aveva più reso fecondo illoro matrimonio e che la prima gravidanza era andata in fumo perchéessi lasciavano consumare il sacrilegio in danno della badìa.Con questa pulce nell'orecchiosi rivoltarono tutt'e due contro ilprincipema specialmente Chiara persuadeva il marito delle birbonatedel fratello. Il marchese chinava il capo alle ragioni della mogliee a poco a poco dalla fondazione delle messe e dal carpito depositovenivano alle altre quistioni dell'eredità: alla divisionearbitrariaal numerario sottrattoai conti rifiutatialla pretesache la finta epoca dell'assegno facesse fede dell'avvenuto pagamentoa tutte le ragioni di don Blascoil quale scendeva apposta daNicolosi per soffiar nel bossolo. Fra sette mesi si sarebberocompiuti i tre anni dalla morte della madre dopo i quali le donnedovevano riscuotere la loro parteche il principequantunque avessepromesso di pagare anticipatamenteteneva ancora per sé;bisognava dunque mettere presto in chiaro tutte quelle cosestabilire ciò che veramente toccava loro. Ma reciprocamentepersuasi chese non reclamavanoGiacomo li avrebbe messi in mezzoné la moglie né il marito osavano lagnarsi direttamentecol fratello e cognatotanto era forte l'istinto del rispetto versoil capo della casa. Chiara però volendo dimostrare il propriozelosi mise ad istigare Lucreziaperché poi questa cercassedi trarre dalla sua anche Ferdinando: ella si chiudeva in camera conla sorellao la tirava in un angoloper dirle tutte le ragionidello zio monacoaggiungendo che leiLucreziaera la piùsacrificata di tuttipoichécontinuando la politica dellamadreGiacomo non l'avrebbe maritatao l'avrebbe maritata il piùtardi possibileper restar padrone d'amministrar la dote. Lucrezianon comprendendo nulla degli affarila lasciava direrispondeva:-"Lavedremo!... Ho da dire anch'io la mia!..."Non confidava alla sorella di voler bene a Benedetto Giulentenéavrebbe dato retta alle istigazioni di leicome non ne aveva dato aquelle dello zio monacose il principeaccortosi di quei secreticonciliabolidi quei tentativi di congiura fatti nella sua propriacasamentre godevano della sua ospitalitànon avessetrattato più freddamente le sorelle e tolto il saluto aGiulente. Lucreziarisaputolo e consultatasi con la camerieralaquale disse che era tempo di farsi sentire se il principe si portavamale anche col -"signorino"aprì l'orecchio alle ragioni di Chiara. La sorda ostilitàtra fratello e sorelle s'inasprì al ritorno dal Belvederequando Lucrezia cominciò a lagnarsi con Ferdinandoper farloentrare nella lega. Allora entrò in scena Padre Camilloilconfessore.

Tornatoda Roma dopo la morte della principessail Domenicano era rimastocon stupore di tutticonfessore del principe come ai tempi dellamadre. Giacomo non solamente s'accostava al sacramentoma chiamavain casa il padre spiritualeprendeva consiglio da lui come avevafatto donna Teresae don Blasco fiottava contro -"questocollotorto Gesuita"chedopo aver fatto da spia alla madrefaceva da spia al figliuoloragione per cui -"quelladro"di Giacomo non lo aveva preso -"acalci nel preterito".Ma Padre Camillotutto Gesù e Madonnaneppure udiva lediatribe del Cassinese; e presa un giorno a parte Lucrezialecominciò un lungo discorso per dirle che dichiararsimalcontenta del testamento materno era un peccato eguale a quello didisobbedire alla madre morta. La principessada madre saggia egiustaaveva ripartita la sua sostanza -"conla bilancia"perché al cuore di una madre tutti i figli dovevano essere-"egualmentecari".Certo il principe e il conte avevano ottenuto una parte privilegiata;ma erano appunto il principecioè il capo della casal'erededel titoloe il contecioè quell'altro dei figli maschi cheaveva una famiglia da mantenere con lustro. Per gli altrilasant'anima aveva fatto le parti eguali -"finoall'ultimo baiocco".Le davano a intendere che avrebbe potuto aver terreinvece dimoneta? Egli citò l'antichitài testamenti dei defuntiprincipi di Francalanzal'istituzione fedecommissaria e la leggesalicaportando ad esempio quel che era avvenuto nella generazioneprecedente. Donna Ferdinanda aveva forse avuto beni stabili? Adessosìne possedevama perchédotata di quello spiritodi accorta prudenza che era tradizionale nella famigliaavevamoltiplicato il capitale lasciatole dal padreinvestendolosuccessivamente in case e poderi. C'era anzi di più: chi avevapreso mogliefra tutti quei figli? Nessuno! Don Blascoconvocazione -"esemplare"aveva rinunziato agli adescamenti del mondo per professarsi. Laprimogenita si era chiusa a San Placidoné il duca e donEugenio avevano preso mogliené donna Ferdinanda marito.Perché? Perché essi si consideravano come semplicidepositari della loro parte di sostanza! Nella presente generazionela regola aveva avuto due eccezioni: il conte che aveva sposato donnaMatildeChiara che era diventata marchesa di Villardita. Ma quirifulgeva lo zelante amor materno della principessa. Non tutte lepersone son fatte ad un modociò che ad uno pare soverchio odinutile è ad altri conveniente; chi si contenta di uno stato echi ne soffre. La buon'anima aveva compreso che per la felicitàdi Raimondo il matrimonio era necessarioquindi gli aveva datomogliesenza badare a sacrifizi. Per Chiarauna propizia occasioneerasi presentataed a fine d'assicurare la felicità di quellafiglia la principessa le aveva perfino forzato la mano: adesso iltempo dimostrava da qual parte fosse stata la ragionevolezza! Quantoa leiLucreziaDio aveva permesso che sua madre morisse prima deltempo in cui avrebbe dovuto pensare all'avvenire di lei; masequesta era stata una gran disgrazianon voleva poi dire chel'avvenire di lei non stesse a cuore al fratello maggiore. Era stranoparlare a una ragazza di certe cosema la necessità lostringeva. Certo il desiderio della santa memoriadesiderioragionatissimofondato sopra argomenti positivi e non sopracapricciera che ella restasse in casama setutt'al contrarioella avesse creduto pel proprio meglio di fare altrimentile davanoforse a intendere chevolendo ella maritarsiil principe le sisarebbe opposto? Quando si fosse presentata l'occasione di accasarlabenecol decoro conveniente al suo nomeil principe non l'avrebbelasciata sfuggire. Ma bisognava aver fiducia in luiesser sicura cheegli non poteva desiderare altro che il bene della sorellaconsiderandosi investito d'una specie di tutela morale. E non darel'esempio d'un dissidio funestoche sarebbe stato di scandalo inquesto mondoe d'infinita amarezza alla sant'anima nel mondo di là.

Mentreil confessore teneva questo discorso a Lucreziail principe neteneva un altro un poco diverso a donna Ferdinanda. La zitellonapure vituperando i Giulentes'era col tempo rassicurata sulle loropretese; quella bestia del duca non essendo più lì asecondarleella credeva che l'amoreggiamento fosse finito del tutto.Invece un giorno che si parlava della responsabilità dei capidi famiglia quando in casa vi sono ragazze da maritoGiacomo dissealla zia che anche Lucrezia avrebbe dovuto un giorno o l'altroaccasarsiche da parte sua l'avrebbe lasciata libera di prendersichi meglio le piacevatanto più che una scelta ella dovevaaverla già fatta... La zitellona si rivoltò come unaspide:

-"Hascelto? Ha scelto? E chi è che ha scelto?"

-"Chi?Il solito Giulente..."

Elladiventò rossa in viso quasi fosse sul punto di soffocare.

-"Ahsì... Ancora?... E tu l'hai lasciata fare?"

-"VostraEccellenza sa bene come siamo tutti di casa"rispose il principesorridendo. -"Quandoci mettiamo qualcosa in capoè difficile ridurci a mutarsentimento..."

-"Ahè difficile? Le farò veder io se è difficile o èfacile!..."

Daquel momento la zitellona diventò una vipera con la nipote: lesgridateper una ragione o per un pretesto qualunques'udivano fingiù nelle scuderie; le allusioni ironiche ai romanzettifioccavano acri e pungentigl'insulti contro i Giulente si seguivanoe non si rassomigliavano. Diceva cose enormi dei vicinili accusavad'ogni porcheria e perfino di crimini. Non si contentava piùdi dire che erano ignobiliaffermava che il nonno del vecchioGiulente aveva accumulato i primi quattrini facendo il bottinaio aSiracusasuo figlio aveva rubato il Municipiosuo nipote ilgovernotutte le donne erano state altrettante baldracche...Lucrezia la lasciava dire. Non capivano che più s'accanivanocontro Giulente più ella pensava a luiche ogni discorsodiretto a distoglierla dal suo proposito glielo ribadiva in capo piùsaldo. -"SposeròBenedettoo nessuno"diceva alla camerieradopo quelle sfuriate. -"Hannovoglia di gridare; quando sarà l'oralo sposerò."Il principe intantodopo averle sciolto contro quel canelatrattava meno duramente. Un giorno che la donna portava una letteradi Giulente alla padroncinaegli le tolse la carta di manone lessel'indirizzoe gliela restituì. Donna Vanna corse dallasignorina per dirleansante: -"VostraEccellenza stia di buon animo! Vuol dire che ci ha piacerechefinalmente s'è persuaso..."Egli aveva anche raggiunto lo scopo di rompere la lega tramata controdi luiperché il marchese Federicofanatico della nobiltàquanto gli Uzedaudendo che la cognatina incaponivasi nel volersposare Giulenteaveva dimostrato il proprio dispiacere per quelpartito; allora sua moglie s'era schierata con la zia contro lasorelladandole della stravaganteaccusandola di pazzia. Lucreziainvecesfogandosi con Vannarammentava le smaniei piantiglisvenimenti di Chiara quando l'avevano costretta a sposare ilmarchese: -"Eadesso si mette con quelli che vogliono costringere me! Non m'importadella sua opposizione! Una pazza di quella fatta! Una bandiera alvento! Ora è tutt'una cosa col marito che prima non potevasentir nominare; domani cambierà un'altra volta: vedrai!..."


Inmezzo a quella guerratornò Raimondo da Milazzosenza lafamiglia. Non s'occupò neppure un quarto d'ora della casa edei parenti; appena arrivato si chiuse con Pasqualinoil domani fuvisto seguire in chiesa la Fersa; le mormorazioni dei servideicuriosidegli scioperati del Casino dei Nobili ricominciarono. Avevadetto a sua moglie che sarebbe rimasto lontano una settimanaperaffarima dopo due mesi non le annunziava ancora il ritorno. Allelettere di lei rispondeva chiedendo tempoo non rispondeva affatto;in carnevaleMatilde lo raggiunseaccompagnata dal padre. Eglil'accolse con tre parolepronunziate freddissimamente:

-"Perchései venuta?"

Avevacombinato una serie di divertimenti con gli amici che gli davanomano; il giovedì grassoin un carro rappresentante unvascello dove tutti erano mascherati da marinaipassò eripassò sotto la casa di donna Isabellascagliando fiori econfetti per un quarto d'ora ogni volta contro i suoi balconi; ilsabatoa una festa a contribuzione nelle sale del Palazzo Comunaleballò tutta la sera con lei; il lunedì ricominciòal veglione del Comunale. E Matildelasciata sola dal padre che eraandato a raggiungere le bambineripeteva tra sé quelladomandale sole parole che egli aveva trovato per rispondere allapremura di lei: -"Perchésono venuta?"Per assistere a questo!... Egli dunque continuava a fingereamentiread ingannarla; anzineppure se n'era data la pena! Appenaarrivato a Milazzoaveva smaniato come un pazzo contro la vita diquella speloncal'aveva torturata con lagnanzecon rimprovericonun malcontento quotidianocon un malumore di tutti i momentifinchénon era riuscito a scappare. Ma ingiustiziesgarbiviolenzegliavrebbe perdonato ogni cosatanto gli voleva ancora bene; gliperdonava perfino l'indifferenza con la quale trattava le sue figliele innocenti creature che erano sangue suo! Ma vederselo sfuggiremasaperlo tutto d'un'altrama ritrovare sulla persona di lui ilprofumo degli abitidelle manidei capelli di quell'altra; questonoella non poteva soffrirlo!

-"Ahricominci? Sei dunque venuta per rompermi di nuovo la testa?"rispondeva egli ai suoi tentativi di rimostranzeai suoi timidirimproveri. -"Perchénon te ne sei rimasta con tuo padredunque?"

-"Perchéio debbo stare con teperché il mio posto è al tuofiancoe perché nemmeno tu devi lasciarmi!"

-"Echi ti lascia? Se volessi lasciartiti pare che sarebbe troppodifficile? A quest'ora avrei già fatto fagottoe me ne sareiandato a Firenzea Parigio a casa del..."

-"Andiamovia insieme! Perché non torniamo a Firenze? Abbiamo làla nostra casa..."

-"Perchéin questo momento ho qui da fare!"

-"Sehai dato la procura a tuo fratello..."

-"Hodato la procura per gli affari ordinari dell'amministrazione; orabisogna venire alla divisione e pagare le mie sorelleperchécompiscono tre anni dall'aperta successione: hai capito? O vuoi fattoil conto? Mia madre è morta nel maggio del '55 e siamo nelmarzo del '58... Sono tre annisì o no? Vuoi saper altro?"

-"Perchémi parli così? Che t'ho detto di male?"

-"Nulla!Nulla! Nulla! Soltantoti pare che sia un bel gusto sentirsi rottoil capo ad ogni poco con questi sospetti continui?"

-"Nono; non lo farò più... non ti dirò piùniente..."

Sarebbestato capace di porre in atto la sua minacciadi abbandonarladiabbandonar le sue figlie!... Gli nascondeva quindi il proprio dolorevedendo che egli continuava peggio di primacome se ogni rimostranzafosse stata invece un incitamento. Adesso dicevasi che anche Fersaaveva finalmente dato ascolto alla madreaprendo gli occhifacendocapire al conte che quelle assiduità non gli piacevano; einfatti non conduceva più sua moglie dagli Uzedané sivedeva più Raimondo avvicinare donna Isabella in pubblico;viceversa egli seguiva la carrozza dei Fersa con la propria da pertuttoquasi inseguendoli; e in chiesaal teatrole si piantavadirimpettosenza più lasciarla con gli occhi.

Ungiorno la cugina Graziellavenuta al palazzo a chieder del principesi chiuse con lui per dirgli:

-"Cuginodebbo tenervi un discorso molto grave..."Da molti annida quando Giacomo aveva preso mogliesi davano delvoi. -"DonnaMara Fersa mi ha fatto parlare da un'amica... per questa storia diRaimondo!"

-"Qualestoria?"domandò il principequasi non comprendendo.

-"Nonsapete quel che si dice?... Raimondo s'è messo in testad'inquietare donna Isabella... e se ne accorge ognunoper dire ilfatto della verità..."

-"Ionon mi sono accorto di niente."

-"Nonimportacugino; ve lo dico io!... Ed è una cosa che non stabene e che mi dispiace... Un tempos'incontravano spesso in casamiaed io li ricevevo a braccia aperte. Potevo sospettar niente dimale? Altrimenti non mi sarei prestata ad una cosa simile! Raimondo èpadre di famigliadonna Isabella ha marito anche lei: che voglionofare?... In casa Fersa c'è guerra scatenata tra suocera enuora: bisognerebbe persuadere il cugino a farla finitauna buonavolta."

-"Eperché lo dite a me?"rispose Giacomostringendosi nelle spalle.

-"Perché?Perché io non ho molta confidenza con Raimondo... e poisarebbe meglio che gli parlaste voiche siete il capo della casaepotete..."

-"Sbagliate.Io non posso nulla: qui ciascuno fa a modo suo. Altro che capo!Persuadetevi che per poco non sono la coda!..."

Lacugina tornava a invocare l'autorità del cuginoil principe alagnarsi della mancanza d'accordo che c'era in quella famigliamentr'egli invece avrebbe voluto che tutti fossero unitiaffezionatil'uno con l'altrodisposti ad aiutarsia consigliarsivicendevolmente.

-"Voleteche io parli a mio fratello? È capace di rispondermi: "Diche cosa ti mescoli?"E non sarebbe la prima risposta di questo genere... Cara cuginavoisapete che teste quadre sono le nostre!... Nonocredete a me:sarebbe inutilese non peggio."

Lacuginaa cui non pareva vero di poter mettere le mani in pastaricominciò quel discorso con la principessa.

-"Dicidavvero?..."esclamò donna Margheritala quale non si era avvista mai diniente.

-"PoveraMatilde!... Non meritava questo trattamento!"

-"Èquel che dico io! Con una moglie tanto graziosanon si capisceperché Raimondo cerchi distrazioni fuori casa... Ma la testadegli uomini: chi sa leggere in questo libro?... Mi dispiace quantol'anima! Due famiglie disturbatementre avrebbero potuto vivere inpace ed armonia!... Bastail cugino dovrebbe adesso persuadersi dilasciar quieta donna Isabella. Per menon avrei difficoltà didirglielo a viso aperto: non ho già paura che mi mangi! Ma saibene: è vero che siamo cugini; ma che si potrebbe direche iocerco di mettere il naso negli affari altrui? che cerco di seminarzizzania? mentre sa Dio se mi dispiacequanto l'anima!..."

Laprincipessa scrollava il caposinceramente addoloratatanto piùche non poteva far nulla. Suo marito non le aveva ingiunto di badareai casi proprisotto pena di averla a far con lui?... E la cuginaGraziella cominciò ad armeggiare intorno a Matildedeliberatadi dire ogni cosa a lei stessa. Non era la moglie? Chi più dilei poteva aver diritto di parlare a Raimondo e interesse adistoglierlo da quella tresca?... Riuscita una sera a capitarla solanella Sala Rossacominciò a chiederle notizie del baroneedel matrimonio della sorellae della salute delle bambine.

-"Verrannoquio andrete voi a raggiungerle?"

-"Nonso"rispose Matildeimbarazzata. -"Nonso che deciderà Raimondo."

-"Capisco!"rispose la cuginasospirando. -"Gliuomini vogliono far di loro capo... oggi una cosadomani un'altra...Voinaturalmentevorreste andare al paese vostroinsieme convostro padre. S'ha un bel direla famiglia del maritosìsìsìma la propria non si dimentica mai! Anche ilcugino dovrebbe persuadersi ad andar via di qui... sarebbe moltomeglio... anche per lui..."

Matildechinava il capoevitando di guardarlastringendo una mano conl'altra. La cugina continuò:

-"Ancheper lui... si leverebbe dalle tentazioni... penserebbe soltanto allasua famiglia!... Avete ragione d'essere inquietacapiscopoveretta... Non meritavate un simile trattamento... Ma voi dovrestedirglielo!.. Siete sua moglieinsommala madre dei suoi figli...Potete parlar alto... obbligarlo a finirlauna buona volta!..."

Contutto il sangue alla frontela contessa aveva chiuso gli occhi; pois'era sentita agghiacciare; a un tratto portò le mani al visoe ruppe in singhiozzi.

-"OhSignore!... Cugina!... Che avete?... Santo Dio!... Cuginanon fatecosì!…"

-"Io!...Io!..."balbettava Matildecon le labbra amaramente contorte dall'ambascia.-"Ioche piango da due anni... Io che non ho più figlie... Io chel'ho pregato come si prega Gesù!..."

-"Bontàdivina!... Avete ragione!... Ma zittanon piangete così...Cugina miafatevi animo... Solo alla morte non c'èrimedio!... Del resto io non credo che ci sia stato nulla di male!...Chiacchiere della mala gente!... Raimondo è un po' scapato;maquesto? Non posso credere! La colpacom'è vero Dioèdi quell'altra... Le piace farsi corteggiare un pocoma dal conte diLumerafiguriamoci! Pura vanitàstatene certa e sicura! Manon piangete!... Queste cosesanto Diomi fanno male... Unafamiglia così belladove avrebbe potuto esserci la pace degliangelicon due veri angioletti che sembrano scesi dal Paradiso!...Ma vostro marito deve saperlo; vedrete che capirà... Perchénon chiamate vostro padre? Tocca a lui aiutarvi..."

Ilbaroneinvecele scriveva rimproverandole l'abbandono delle figlieaccusandola di voler più bene al marito che a quelle creaturechiamandola a casa per assistere al matrimonio della sorella. Ellatentò ancora nascondergli la tempesta scatenatasi su leilatortura a cui la poneva con quelle accuse; ma nell'autunno egli vennea trovarlaimprovvisamentesolo.

-"Checosa succede? Sei ammalata? Che cos'ha tuo marito? Perché nonm'hai scritto? Perché non sei venuta?"

Ellaprotestò che non accadeva nullache s'era sentita poco beneche appunto per questo non aveva potuto andar da lui. L'imminenzad'una spiegazione tra suo padre e Raimondo l'atterriva; conoscendo ilcarattere prepotentei modi sprezzanti di suo maritoe gli scattid'ira di cui suo padre era capaceella viveva con l'animo sospesodimenticava i suoi dolori per evitare uno scoppiotanto piùche il barone pareva non aver creduto alle sue protestemostrava unviso accigliato in quella casa che prima era stato superbo d'abitare.Adesso stava molto fuoritornava con ciera più rannuvolatanon rivolgeva la parola a Raimondo. Una sera si chiuse in camera conlei e le disse:

-"Mivuoi dire finalmente quando la smetterai? Non negareèinutile; so tutto..."

Ellatremava in tutta la personabalbettando:

-"Chesai? Io non capisco... non so nulla..."

-"Soche tuo marito fa una bella vitati dimostra un grande amore"esclamò il barone con voce gravida di sorde minacce. -"Horicevuto una lettera anonima; sono venuto per questo... La buonagente non manca!... Ma poiché tu non parli... poichénon ti confidi a tuo padre!... Adesso bisogna mettere le carte intavolahai capito?"e picchiò forte con una mano contro l'altra.

-"Sìsìnon t'inquietare..."

Nonsapeva adesso donde le venisse quella calma sovrumanaquella forzadi negare la cagione del suo lungo cordoglio:

-"Nont'inquietarebabbo mio caro... non vedi come sono tranquilla?... Telo giuronon so nulla... Saranno calunnie... c'è tantacattiva gente!... Un anonimo!... Prendi sul serio quel che scrive unanonimo?"

Ilbarone passeggiava per la camera facendo scoppiare l'indice contro ilpollicevolgendo intorno accigliando gli sguardi.

-"Tantomeglio!... Tanto meglio!... Ma qui bisogna finirla con questoandirivieni continuo! Bisogna decidersi a stare in un postoqualunquema stabilmentea casa propriacoi figlicome tutti glialtri cristiani..."

-"Èquello che diciamo anche noi... Credi forse che non ne siamopersuasi?... Raimondo vuol tornare a Firenze; ci saremmo giàse non fossero gli affari della divisioneil pagamento delle miecognate..."E sorridendo soggiunse: -"Tipesano forsele bambine?"

-"Nonfar la stupida. Con mesainon ci riesci."

Ellasentiva in ogni parola del padrein quell'impeto a stento frenatoche egli aveva acquistato la certezza del tradimento di Raimondodiqualche cosa di più grave ancora; e il cuore le si chiudevale si chiudevacome in una morsae le forze l'abbandonavanoe unbrivido ricominciava a correrle per tutta la persona. Trasalìa un tratto udendo Raimondo che picchiava all'usciochiamandoli.

-"Chefate?"domandò loro entrandoguardandoli curiosamente.

-"Nulla..."

-"Nulla"ripeté il barone. -"Siparlava della decisione che dovete prendere... Vuoi continuare a starsenza casaa pagar quella di Firenze per tenerla chiusa?"

-"Io?"rispose Raimondocon tono stupitocome cascando dalle nuvole. -"Iose potessi"proruppe -"aquest'ora sarei scappato anche a piedi da questo fetido paese. Ahvipare forse che ci stia per mio gustoin mezzo a questi sciocchipresuntuosiignorantipezzentiinvidiosimaleducati?..."

Nessunolo tenevamai s'era scagliato con tanta violenza contro i propriconcittadini; gestendo vivacementequasi gli contraddicesserosfilava la litania delle recriminazionicomprendeva nel propriodisgusto tutta la Siciliatutto il Napolitanol'intera razzameridionale.

-"Alloraquando hai deciso di partire?"interruppe secco il barone.

-"Quando?..."ripeté Raimondoguardandolo un momento. -"Nonsapete che sono incatenato dagli affari?"

-"Gliaffarivolendosi sbrigano in otto giorni."

Raimondotacque un poco; poi esclamòstringendosi nelle spalle: -"Sbrigatelivoise potete."

Ilbarone fece per replicarema la parola vivace gli rimase in gola.Raimondomagrograziosoelegantedominava con gli sguardisprezzanticon l'espressione sottilmente ironica del viso bianco edelicatola persona forte e vigorosa del suocerodalle spallequadratedai polsi nodosidalla faccia abbronzata. Si guardarono unistantementre Matildeimpalliditabatteva i denticome perfebbre; poi il barone guardò sua figliavide lo sguardosmarrito che gli volgevae allora chinato il capomormorò:

-"Vabene... va bene... Procura soltanto di far presto... Fra giorni simarita mia figlia; vi aspetto..."

Ripartìil domani. Sul punto di andar viadisse a Matilde di tenersi prontarisoluto com'era a condurla con séanche solapercostringere il genero a raggiungerla. Ella chinò il capoconsentendogettandogli le braccia al collo dalla gratitudinepoiché comprendeva che s'era padroneggiato per amore di leiper risparmiarle il dolore d'una triste scena. Ma il barone eraappena partito che Raimondo le disse:

-"Saiche è curiosotuo padre? Crede forse che tutti debbano fare amodo suo? O che io abbia sposato lui?... Agli affari di casa miavoglio pensare da mecapisci; e andare dove mi pare e piacequandomi pare e piace!..."

Ellagli diede ragionesoggiogata come sempre dalla volontà diluiallegando appena come scusa dell'assente il bene che voleva adentrambi.

Andaronoa Milazzo pel matrimonio di Carlotta; poipartiti gli sposi e ilbarone per Palermotornarono a Cataniaanzi al Belvederedov'eranotutti gli Uzeda. Lì ella ebbe qualche mese di tregua: i Fersanon c'eranogli Uzeda parevano di nuovo rabboniti. Suo padrescriveva un po' da Palermoun po' da Milazzoun po' da Messina;andò poi anche a Napoli; finalmente tornò nell'aprileinsieme col duca d'Oragua. Questi diceva d'esser venuto per affarid'aver affrettata la partenza per viaggiare insieme col baronemaparlava molto degli avvenimenti pubblicidella guerra di Lombardiadella malattia di Ferdinando ii. Il barone pareva un altroincompagnia del duca; l'intimità che s'era stretta fra loro duedurante il viaggio l'aveva placato. Nondimeno ripeté allafiglia l'offerta di condurla via con sé; ma poichéRaimondo le aveva dichiarato che non poteva muoversi ancoraellarispose:

-"Nobabbo... verremo tutti... prestofra giorni."




8.


Inpiedicon le braccia levaterosso come un pomodorodon Blascopareva volesse mangiarsi vivi i suoi contraddittori:

-"Equesto si chiama vincereah? Con l'aiuto dei più grossiah?Perché hanno chiamato aiutoallora? Perché non si sonobattuti da solise gli bastava l'animo? E questa la chiamatevittoria? In due contro uno?"

-"Nossignore!"protestò Padre Rocca. -"Eranoventimila di meno..."-"Centosessantamilaaustriaci contro centoquarantamila alleati"soggiunse Padre Dilenna.

-"Ei piemontesi si sono battuti da soli!..."affermò Padre Grazzeri.

-"Come?Dove? Quando?"urlò don Blasco. -"Checosa m'andate battendo?..."

-"Leggetei giornalise non sapete!"fecero gli altria coro. Allora egli impallidì come perun'ingiuria mortale.

-"Leggerei giornali?... Leggere i vostri giornali?"Balbettavapareva cercasse le parole. -"Madei vostri giornali io mi netto il fondamento!... Ahno? non voletecapire?... Me ne netto il fondamentocosì..."e fece il gesto.

Ilfratello portinaio mise il capo dietro il muro della scala; dallaterrazza affacciossi Padre Pedantoni per guardare giù nelportico dove s'accendeva la lite.

-"Questonon si chiama rispondere!... A voidunquechi dà lenotizie?... Avete un servizio d'informazioni particolarese nonleggete i giornali?"

-"Così!..."continuava a gestire don Blascofuori della grazia di Dio.

-"Ame parlate della vostra carta sporca? A me che vi farei legare tuttiquantivoi e chi l'introduce qui dentro?"

-"Andatea denunziarci!... Ne sarete capace!..."

-"Fareiil mio dovere!"

-"Farestela spia!"

-"Ame?..."

PadreMasseiche se la godeva seduto sopra un sedileesclamò a untrattovedendo il gesto con cui don Blasco sfibbiava la sua cintoladi cuoio:

-"Sst!...Sst!... Viene l'Abate..."ma don Blasco tonò. -"Men'infondo dell'Abatedel Priore e del Capitolo! Avantichi si senteda più! A me spiamanetta di carognuoli?..."

Vedendoche diceva sul serioPadre Dilenna gli si fece incontrorabbuiatoin viso. Allora Pedantoni fu costretto a mettersi in mezzoperdividerli:

-"Andiamosmettetela. È questo il modo?..."

Daun pezzo le discussioni finivano cosìcon le gridagliinsulti e le minacce. Don Blasco era diventato un energumeno dopo chei liberali rizzavano la cresta per via degli avvenimenti diLombardiadella cacciata del Granduca da Firenzedell'agitazioneche propagavasi per tutta l'Italia. -"Questavolta è per davvero! Son sonate le ventiquattro!..."dicevanoed egli prima si scagliava contro Napoleone iiicontroquel -"figliodi non so chi"al quale non bastava la propria tigna e veniva a grattare quelladegli altri: poi tonava che Francesco ii li avrebbe costretti ad arardritto: -"Perchéè ragazzo? Perché non c'è più suopadre?... Vi farà legare dal primo all'ultimo! La vedremo!..."Ma il suo più grande furore scoppiava quando i liberalidopoaver profetato imminenti novità in Siciliadopo aver parlatodi moti rivoluzionari già belli e prontigli adducevano inprova il ritorno di suo fratellodel duca di Oraguada Palermo.-"Quellolì in galeralegato mani e piedi; quell'imbecillepazzobrigante e traditore!..."Poiridendo di se stessolo vituperava altrimenti: -"Luipericoloso? Quel pezzo di coniglio? Lui congiurare? È tornatoper la squacquerella che ha addosso!... Palermo è buona perbagordarvima in tempo di trambusti è meglio il propriopaesetapparsi in casa propriaficcarsi dentro un forno!... Setutti i sanculotti sono come luiFrancesco regnerà altricent'anni."

Egliripeteva quei discorsi fuori del conventodinanzi agli estranei;dalla Sigaraia specialmentedove andava tutti i giorniuscendo dalrefettorio. Donna Luciaall'ora canonicaserrava la bottega e simetteva alla finestra per vederlo uscire dal portone del convento einfilare quello del palazzotto; allora gli andava incontrofino amezza scalacon le figlie e il marito. Le ragazzeche adessoavevano da dieci a dodici annierano tal e quale don Blasco: grassee grosse come mezze botti; e gli baciavano la mano e gli davano delVostra Eccellenza al pari di Garinoche si sbracciava per servirloper avanzargli la poltrona più comoda ed offrirgli i biscottie il rosolio regalati dal monaco a spese di San Nicola. Quella era lavisita pubblica che don Blasco faceva all'amicaperché poi cen'era una secondaquando Garino portava a spasso le ragazzee i duerestavano soli. Certe volte ce n'era una terzanella tabaccheria.Oltre che il tabaccaioGarino faceva il caffettiere e teneva duetavolini con sei chicchere per ciascunoad uso degli avventoriiquali erano la più parte spie e sbirri e sorci di poliziagiacché egli esercitava una terza professionequelladell'orecchiante. Cosìin mezzo a quel pubblico di fedelidon Blasco si nettava la bocca contro i sanculotti in generale e ilfratello in particolaree apprendeva notizie di prima mano intornoai movimenti dei traditori. VeramenteGarino protestava un granrispetto pel duca d'Oraguazio del principe di Francalanzaappartenente ad una delle prime famiglie del Regno; e a sentire ivituperi di don Blasco scrollava un poco il capo; mavoltandopaginaSua Paternità aveva poi tutti i torti? Il duca facevamale a frequentar troppo don Lorenzo Giulenteil quale era unliberale arrabbiato — naturalmentenon essendo signore! —e per mezzo del console inglese — la polizia sapeva ogni cosa! —faceva venire giornaliproclami e altra roba proibita; a donLorenzoanziavean fatto una visita domiciliare; ma dal duca nonandavanopel rispetto dovuto alla famiglia Uzeda... Questo appuntodon Blasco non poteva soffrire: che egli godesse dell'immunitàche si parlasse di lui come d'un capo rivoluzionario senza checorresse rischi di sorta; voleva che lo trattassero come gli altriche lo legassero più stretto degli altri. -"Sonotutti cani arrabbiati! ci vuole il bastone! Ci vuole la museruola!"Garino scrollava il capo: l'Intendente Fitalia non avrebbe potutopermettere che si molestasse il duca d'Oraguafinchébenintesoegli non si arrischiava troppo; ma questo era certo esicuro: che un gran signore come lui aveva tutto da perdere e nienteda guadagnare mettendosi coi -"malpensanti"e gli arruffapopolo: il signor Intendente gliel'aveva detto a facciaa faccia!... Alloraudendo che suo fratello andava dalrappresentante del governodon Blasco sfogava a un altro modo:

-"Volpone!Camaleonte! Giubba rivolta!... Come possono fidarsene? È delpartito di chi vince! Li giuoca tutti! Tradirebbe suo padre che locreò!..."

Eandando via dalla Sigaraia ripeteva quei discorsi in pubbliconellafarmacia di Timpache era il quartier generale dei fedelimentre inquella di Cardarella si davan convegno i rivoluzionari. Se qualcunoscandalizzato dalla violenza del monacogli faceva osservare che nonstava bene parlare in tal modoagli estraneidel proprio fratello:

-"Fratello?"protestava egli. -"Ionon ho fratelli! Non ho parenti! Non ho nessuno: com'ho dacantarvelo?..."

Sidava al diavoloperché niente andava a modo suoal palazzo.L'anno innanzial momento della scadenza del termine stabilito dallaprincipessa pel pagamento alle figlieChiara e Lucrezia non eranoandate d'accordo; il marchesebiasimando l'amore della ragazza perGiulentes'era riavvicinato al principeil quale gli aveva fatto lacortetrattandolo con le molle d'oroper propiziarselo. Ferdinandointento a mettere insieme un museo di storia naturale alle Ghiandenon si era neppure informato di quel che avveniva; cosìnonsolamente i legatari non avevano chiesto i contima il principeadducendo la mancanza di quattriniaveva ottenuto dal marchese dipoter ritardare il pagamento fino all'altr'anno. La scadenza eraarrivatae Giacomo non pagava ancorascusandosi con le inquietudinipubblichecol ristagno degli affaricon la scarsità delraccolto e l'impossibilità di venderlo. E don Blasco non sidava pace udendo che i nipotidimenticate le loro ragioniaccettavano perfino i continui ritardii pretesti furbeschi delprincipe. Quelle bestie di Federico e di sua mogliespecialmentenon davano più retta a nessunoal settimo cielo per lasperanza d'un figliuolo — come se dalla pancia di Chiara dovessevenir fuori il Messia! — e quel babbeo di Ferdinando riduceva ilgiardino un pestilente carnaiopreso a un tratto dalla smaniad'imbalsamare animali — senza accorgersi che il piùanimale di tutti era lui stesso! Quell'altra sciagurata di Lucreziapoiviveva nelle nuvolepiù stravagante di primaeimpallidiva quando nominavasi Giulentelo sbarbatello petulante cheanche lui discorreva di costituzione e di libertà! Finalmentec'era la quistione impegnata tra Raimondoche non voleva muoversiesua moglie che voleva andar via: in odio all'intrusa don Blasco sischierava a favore del nipote aborrito.

-"Partire?Per andare dove? A Firenze c'è il terremoto! Questi non sonotempi da lasciare il proprio paese!"

Raimondoadduceva la stessa ragionee gli altri la ripetevano: Matildesentiva ordirsi intorno un'altra congiura sempre più stretta;doveva adesso contentarsi di andare e venire da Milazzo ogni mese perveder le bambinenon potendo più reggere ai mali tratti cheusavano loro quei parenti. Suo padre non l'aveva più conRaimondogirava per la Sicilia col pretesto degli affarima perlavorare invece contro il governo: e don Blasco e donna Ferdinanda sidivertivano a predire che un giorno o l'altro l'avrebbero buttato ingalerapoiché quella predizione faceva piangere l'intrusa.Il ducainveceparlava molto bene del barones'intratteneva alungo con lui quando passava da Catania: adesso esaltava il genio diCavouri trionfi della sua politica; se gli rimproveravano leantiche critiche alla spedizione di Crimeanegava d'averne maifatte; e giudicava che la via per la quale s'era posto Francesco iifosse sbagliata: l'alleanza bisognava farla col Piemontenon conl'Austriae concedere la costituzionenon inquietare i patriottiperché Napoleone aveva parlato chiaro: l'Italia doveva esserlibera dall'Alpi all'Adriatico...

Adon Blasco veniva di vomitareudendo queste cosee s'arrovellavanon potendo prendersela direttamente col fratello maggiore; ma ilgiorno che arrivò la notizia della pace di Villafrancaperpoco non gli prese un accidentedall'esultanza. Lungo i corridoi diSan Nicoladinanzi ai monaci dell'altro partito che tenevanomogimogila coda fra le gambevociavatrionfante:

-"Ahil gran Cavour? Ahil gran Piemonte? Dove sono adesso? Perchénon continuano la guerra da soli? Dov'è andato l'Adriatico?Dov'è andato il Mar Tirreno? E quella bestia che sputavasentenzaempiendosi la bocca di nabboleone! Napoleone avevaconfidato proprio a lui quel che voleva fare! Credevano d'esserseloposto in tascaNapoleone!..."

-"Onon l'avevate con lui perché non si grattava la sua tigna?"

-"Come?Quando? So molto io!... La baldoria è finita!... Ma che ReFrancesco ii? Ma che Re? Degno figlio di suo padre!..."

Seavessero fatto lui Renon avrebbe messo più borianonavrebbe guardato la gente da tant'alto. E si sgolava anche alpalazzovedendo che il fratello scrollava il capoudendoglisentenziare che l'ultima parola non era detta.

-"Cheultima e che prima! Il gran cavurre ha fatto fagotto! I principilegittimi tornano tutti quanti! L'avete schiacciata malenon voletecapirlo?"

Ognigiorno s'informava se il duca aveva ordinato i preparativi dellapartenza: quel fratello gli pesava come un sasso sullo stomacononvedeva l'ora che se ne tornasse a Palermoquasi in città nonpotesse regnar pace se colui non se n'andava. Al conventoinsultavaquelli che osavano ancora contraddirglile discussioni minacciavanodi finir male; lo stesso Abate aveva dovuto pregare i Padri Dilenna eRocca di lasciarlo dire per evitare un guaio. Il Prioreinvecenons'occupava di tutte queste cose: nessuno sapeva in qual modo egli lapensasse. Se gli parlavano di politicastava a udirescrollava ilcaporispondeva: -"Nonsono affari che mi riguardano... Date a Cesare quel che è diCesare..."Al Noviziato la lotta fra i due partiti s'era attizzata; ilprincipinoa cui don Blasco dava l'imbeccataprendeva anche luil'aria di un trionfatoredileggiava Giovannino Radalìcapodei rivoluzionaridandogli del -"baronesenza baronia"e del -"figliodel pazzo".Il duca Radalìinfattiera morto in un accesso di deliriofurioso; la duchessa vedova aveva quindi stabilito che Giovanninocome secondogenitopronunziasse i voti. E questo era un altroargomento col quale Consalvo schiacciava il cugino: -"Ioandrò viae tu resterai sempre qui!..."Giovanninoche nonostante le diverse idee politiche gli voleva benesopportava un poco i suoi dileggi; maa volteinfuriava in malomodo: il sangue gli montava alla testagli occhi gli s'accendevano;scagliatosi sul cuginose lo metteva sottomalmenandolofinchéfra' Carmelo accorrevacon le mani in testa:

-"Perl'amor di Dio!... Che modo è questo?... Non potete star cheti?Pensate a divertirvi!"

Compostele litii ragazzi si divertivanoinfatti. I due cugini morivanodalla voglia di fumare; Giovannino aveva ottenuto da fra' Colaingran segretopoca semente di tabaccoe l'aveva piantata in unangolo del giardino; cresceva rigogliosae presto ne avrebbe fattosigari. Frattanto giocavano da mattina a seracon pochi momenti distudio svogliatocon qualche ora di funzioni religiose.

Perla festa di Sant'Agatain agostoandarono a spasso tutti i giorniassistettero alla processione del carroall'oratorio cantato inpiazza degli Studie con più piacere alle corse dei barberiche Raimondo chiamava barbarie. Le facevano lungo la via delCorsotra due siepi vive di curiosisui quali spesso i cavalli sigettavanosparando calci ed ammaccando costole. I cavalli vincitoriripercorrevano poi la via al passo guidati dai palafrenieri chelanciavano tratto tratto un grido ai balconi:


Affacciateviprincipi e baroni

Chesta passando il re degli animali!


Ela folla: -"Olé..."Consalvo stava attento al cerimoniale spagnolesco di quelle feste: ilSenato della cittànella berlina di gala grande quanto unacasapreceduta da mazzieri e gonfalonieri e catapani chesonavano i tamburiandava a prendere l'Intendenteil quale dovevafarsi trovare sul portone: al senatore più giovane toccavamettere il piede sulla predellain atto di scendere; ma allora ilrappresentante del governo doveva avanzarsi con le braccia disteseper impedirgli di toccar terra. Erano le prerogative della città.Il Senato aveva avuto lunghe contese con le altre autoritàcirca il posto da occupare nella cattedraledurante le grandifunzioni: per evitare liti ulterioris'era tracciata per terra unariga di marmo che nessuno poteva varcare.

Finitala festa di Sant'Agataa San Nicola novizi e fratelli prepararonoquella del Santo Chiodoper cui ogni anno c'era grande aspettativa.


IlRe Martinoche la portava sempre al colloaveva regalato quellareliquia ai monacinel 1393: era uno dei chiodi con un pezzetto dellegno della croce sulla quale avevano suppliziato Gesù. Il 14settembre la spera d'oro tutta gemmata dove serbavasi la sacraspoglia fu esposta all'adorazione dei fedelimentre l'Abatecircondato da tutti i Padri con la cocollacelebravaaccompagnatodal grand'organoil pontificale. Ma la vera festa fu quella dellaseraquando la vasta piazza di San Nicola parve trasformata in unsalonedalle tante faci accese per ogni dovedalle tante seggioledisposte per le signore che arrivavano in carrozza dalla Trinitàe dai Crociferie venivano ad assistere alla processione. Questauscivaa suon di banda e di campanetra due file di soldatidallaporta maestra della chiesa che pareva tutta una fiamma: l'Abatereggeva la speraseguito da un lungo corteo che rientrava dopocompìto il giro della piazza: allora cominciavano i giuochi difuocoi razzile ruotele fontane luminosela gran macchinafinale che mutava quattro volte di disegno e di colori e finiva colcrepitare assordante d'un fuoco di fila mentre centinaia di serpentiluminosi si snodavano nell'aria scura... Il principinoaccanto aisuoi parentinon aveva tempo di dar retta a tuttifacendo gli onoridi casagiacché nella piazza e in tutto il quartiere la genteera ospite dei Benedettini. Tutta la città s'era riversatalassù: le signore con gli abiti estivi che portavano l'ultimavoltasegnando quella solennità la fine della stagione. DonnaMara Fersacon la nuora e i parenti di costei venuti da Palermostavano dalla parte opposta degli Uzeda; don Mario era in campagna.Adesso appena si salutavanoper l'occhio del mondo; a donna Isabellaera stato proibito di andare più in casa di donna Ferdinanda odi altri parenti del conte; la gentea poco a pocoaveva finito dichiacchierare su quel soggetto. Lo stesso Raimondo pareva essersirassegnato; non lo vedevano più correre dietro alla signorané costei litigava più con la suoceranés'atteggiava a vittima come un tempo. Quella sera aveva un abitoveramente sfarzosoe tante gioie addossoche tutti gli occhi sivolgevano su lei. Quando la folla cominciò a diradarsiPadreGerbinisempre galantel'accompagnò alla carrozza; e comegiusto per combinazioneil cocchiere dei Fersa e quello del principeFrancalanza avevano messo accanto i loro legniRaimondo e ilprincipenell'andar viafecero una scappellata alle signoreallaquale risposero solo donna Isabella e lo zio palermitano.

Orail domani di quella festauna notizia straordinariasbalorditivaincredibilecorse di bocca in bocca per la città: donna MaraFersa aveva cacciato di casa la nuora!... Era vero?... Non erapossibile!... Se la sera innanzi erano state insieme a San Nicola?...E come? Perché? Quando tutto pareva finito?... Ma i beneinformati dicevano che non era finito nientee che la bomba erascoppiata giusto quella notte per l'assenza di don Mario. Donna Maradopo avere accompagnato i parenti della nuora all'albergo ed esseretornata a casa ed aver preso sonnoaveva udito rumore nella cameradi donna Isabella: entrata da leil'aveva trovata mezzo nudacon lafinestra aperta e il cappello d'un uomo rotolato per terra. Se avessefatto un momento più prestoli avrebbe colti sul fatto; madal balcone che dava sui tetti della scuderiaegli era scappato inun lampo. Senza bisogno di nominarlotutti comprendevano che egliera il conte... Bisognava vedereaggiungevasidonna Isabellapallida come una mortaquando la suoceracon voce strozzataleaveva gridato: -"Escidi casa mia!..."Lì per lìsenza darle neanche tempo d'infilarsi unpaio di scarpein pantofole come si trovava! Ella se n'era andatacon la cameriera che le teneva il saccoall'albergo dove si trovavaquel suo zio provvidenzialmente piovuto da Palermo. -"Ese non c'era? Dove l'avrebbe mandata? E don Marioil marito?..."

DonMario arrivò all'albaa rotta di collomandato a chiamarecon un espresso: il piangere che faceva! come un bambino!... Ne aveavoluto del bene alla moglie! E allo stesso conte! Questo era stato losbaglio! Sua madreno: l'amicizia degli Uzeda non le aveva dato allatesta; fin dal principio s'era accorta della piega che prendevano lecose. Se non fosse stata leiil pasticcio sarebbe successo moltoprimaRaimondo non avrebbe dovuto prender tante precauzioni. Eglirischiava infatti la vitaogni volta. Quando Fersa andava incampagnail conte entrava in casa di donna Isabellaavendocomperato tutte le persone di servizio: ma dal portone della stallache il cocchiere gli aprivadoveva salir sul tetto delle scuderiescavalcarne la balconata e di lì entrare in cameradell'amica... Era stato un vero miracolose per tanto tempo nonl'avevano sorpreso!... L'ultima nottescappato senza cappelloglisbirri di ronda l'avevano incontrato e stavano per arrestarlo; maconosciuto che era il conte Uzedal'avevano lasciato andare...

Gl'incredulii curiosifecero capo alla poliziama lì furono mandati aspasso. E quel giorno stesso tutti videro il contino Raimondo alCasino dei Nobili dove giocò e chiacchierò del piùe del menocome di consueto. Possibile che sfidasse fino a questopunto l'opinione pubblica? O non era piuttosto da dubitare dellastoria che si narrava?.. Già correvano le versioni favorevolia donna Isabella. Era levataa mezzanotte? Non aveva sonno! Lafinestra aperta? Per il gran caldo. Il cappello per terra? Un vecchiocappello del cocchiereil quale s'era divertitonel pomeriggioabuttarlo per aria!... Se tutte queste cose non s'erano messe inchiaro sul momentobisognava incolpare quella furia di donna Mara.Non poteva soffrire la nuoratutti sapevano come l'avevamaltrattata! Chi parlava del conte? Che c'entrava il conte? Chil'aveva visto? Era a casa suasi era raccolto subito dopo laprocessione del Santo Chiodo: il principela principessatutta lafamigliatutti i servi potevano attestarlo! Forse perchéaveva fatto qualche visitatempo addietroalla Fersa? Ma s'eraallontanato subitovisto che prendevano in mala parte un'amiciziainnocente! Aveva dunque ragione di non voler stare in quel paesediribellarsi contro la malignità dei propri concittadini!... E apoco a poco quelle voci acquistavano credito: dicevasi perfino cheFersa l'avesse con la madreper non aver dato tempo all'accusata diprovarsi innocente... Tutta la città discutevacommentavagiudicava ogni notizia relativa al fattoappassionandosi piùche per una caduta di Regno. Chi parteggiava pel conteprotestandoche un padre di famiglia come lui non si sarebbe messo a disturbareun'altra famiglia; chi lo giudicava capace di questo e d'altropersoddisfare un capriccio. Scapolonon aveva fatto una vitaccia?Ammogliatonon aveva fatto tanto soffrire la povera moglie? Inquella circostanzaper buona sorteella era in casa di suo padreaMilazzo.

Giustotre giorni dopoi difensori di Raimondo trionfarono: egli partivaper Milazzoraggiungeva la moglie e le figlie. Donna Isabelladacanto suoera partita per Palermo con lo zio. Chi ardiva ancoraaffermare che ci fosse stato niente di male fra loro? Quellasconsigliata di donna Mara Fersa aveva fatta la frittata!...Gl'increduli andarono al palazzo Francalanza e all'albergopervedere se quelle partenze eran vere. Erano verissime: donna Isabellae Raimondo erano partitil'uno per Milazzo e l'altra per Palermo; ilprincipe si apparecchiava ad andarsene al Belvedere; Fersa con lamadre era già a Leonforte.


Durantela villeggiatura quei fatti furono il tema di ogni discorso.

ANicolositra i Padri Benedettinise ne fece un gran parlare: PadreGerbinifra gli altrisostenne a spada tratta l'innocenza di donnaIsabellaforte del fatto che Raimondoda Milazzoera partitodefinitivamente per Firenzedove tornava a domiciliarsi con lafamiglia. Don Blasco però non aprì bocca su questosoggetto. Egli pareva avesse dimenticato tutti gli affari dellaparentelaoccupato come era ad eruttar bestemmie all'annunzio dellenovità pubblichedei voti delle Romagne e dell'Emilia perl'annessione al Piemontedella dittatura di Farinispecialmente deltrattato di Zurigo che gli dié materia da sbraitare durantetutto l'autunno e tutto l'inverno. Coi Padri del partito liberaleimpegnava novamente discussioni tempestose che minacciavano di nonfinir benea proposito del ritorno di Cavour al ministerodeiplebisciti dell'Italia centraledi tutti i sintomi d'un mutamentoradicale. Ma alla cessione di Nizza e della Savoia alla Franciagongolò come se le avessero date a lui; dopo l'abortitotentativo di sommossa del 4 aprile a Palermocantò vittoriagridando:

-"Ahnon vogliono capirlaah! Fermi con le mani! Giuoco di manogiuocovillano! Parlategridatesbraitate finché vi parema senzarompere nulla! Chi rompe pagae neppure i cocci sono suoi!"

-"Sietevoi che non volete capirla! Non vedete che adesso non è piùcome al Quarantotto?"

-"Eh?Ah? Oh? Non più? Di graziache c'è di nuovo?"

-"C'èdi nuovo che il Piemonte è forte... che la Francia sottomanol'aiuta... che l'Inghilterra... che Garibaldi…"

-"Chi?...Quando?... La Francia? Bel servizio! Bell'aiuto!... Garibaldi? Chi èGaribaldi? Non lo conosco!..."

Imparòa conoscerlo il 13 maggioquando scoppiò come una bomba lanotizia dello sbarco di Marsala. Macontro al suo solitoegli nongridònon disse male parole: alzò le spalle affermandoche al primo colpo di fucile dei napolitani i -"filibustieri"si sarebbero dispersi: i Murati Bandierai Pisacane informavano.

-"Lasonata è un'altra!"gli disse sul muso Padre Roccadopo lo scontro di Calatafimi.

Alloraegli scoppiò:

-"Marazza di mangia a ufo che sietedovete dirmi un poco perchéfregate le mani? Avete vinto un terno al lotto? O credete cheGaribaldi venga a crearvi Papi tutti quanti? Non capiteteste dicornoche avete tutto da perdere e niente da buscare?"

Nonsapeva darsi pace; l'avanzarsi vittorioso dei garibaldini loesasperava; la formazione di squadre di ribelliil fermento cheregnava in città e nelle campagne lo mettevano fuori di sé.Ma il suo furore rovesciavasi particolarmente sul ducache prendevadecisamente posto coi rivoluzionarifiutando già il cadavere.Il monaco diceva contro il fratello parole tali da far arrossire unlancieredava del traditore a tutte le autorità perchéinvece di reprimere il movimentoaspettavano di vederegrattandosila panciase Garibaldi sarebbe entrato o no a Palermo.

-"APalermo? Lanza lo schiaccerà! C'è ventimila uomini aPalermo! Ma bisogna dare esempi! Rizzar la forca in piazza delFortino!"

Invecele squadre dei rivoltosi si riunivano tutt'intorno alla cittài liberali parlavano a voce altagli sbirri fingevano di non udirei -"benpensanti"erano costretti a nascondersi! E quella bestia del generale Clarycon tremila uomini sotto i suoi ordininon usciva dal castelloUrsinonon faceva piazza pulitalasciava che il panico dei -"benpensanti"crescesse. La notte del 27in mezzo al malcelato tripudio deirivoluzionariarrivò la notizia dell'entrata di Garibaldi aPalermo; le squadre minacciavano di scendere in città perattaccare le truppe di Clary. Il duca invece raccomandava la calmaassicurava che i napolitani sarebbero andati via senza tirare uncolpo. Quantunque egli assumesse un'aria importante e protettrice infamigliaquasi potesse far la pioggia e il bel tempoGiacomo adogni buon fine prese le disposizioni per mettersi al sicuro alBelvedere. Lucreziavedendo quei preparativi di partenzasmaniavaall'idea di lasciare Giulenteil quale le scriveva: -"L'oradel cimento sta per sonare; io correrò al posto dove il doveremi chiamacol nome d'Italia ed il tuo sulle labbra!"Ma all'annunzio cherotto ogni indugiole squadre stavano perscendere in cittàil principe andò a San Nicola perraccomandare il bambino all'Abateal Priore e a don Blasco efatteattaccar le carrozzepartì con tutti i suoida Ferdinando infuoriil quale né per pestilenze né per rivoluzionilasciava le sue Ghiande. Allora il ducaper non restar solo nelpalazzo desertose ne venne al conventodove il nipote Priore glidette una camera della foresteria. Don Blascovistolo lìdentroparve uno spiritato; sulle prime non poté articolarparola; poicorso fra i Padri della sua camarillavociferò:

-"L'eroe!L'eroe! L'eroe! Quel grande eroe!... Quel fulmine di guerra!... S'èficcato qui per la paura! Finta che a casa non c'è piùnessuno! Gli treman le chiappeinvece!..."

Ilconvento infatti cominciava a popolarsi di paurosidi pretifuggiaschidi spie borbonichedi gente invisa ai liberali; lostesso castello non era giudicato altrettanto sicuro. Pei noviziquantunque alcuni di essi fossero stati portati via dai parentiinquietiera una festa: tante facce nuoveun incessanteandirivienila continua aspettativa di non si sapeva che cosa. Iragazzi liberali avean formato anch'essi la loro squadraasimilitudine di quelle accampate fuori la città: GiovanninoRadalì la capitanavamaturando il piano di sollevare ilconventodi scendere in piazza e di unirsi ai rivoltosi grandi.Mancavano però di bandieree col pretesto di apparare unaltarino mandarono il cameriere a comprar carta variamente colorata.Il camerierecon la bianca e la rossane portò dell'azzurrainvece della verde; quello sbaglio fu causa che si perdesse ungiorno. Il principinoal quale naturalmentenella sua qualitàdi sorcioi rivoluzionari non avevano detto nientesubodorata nondimeno qualche cosa per ariaaveva deliberato discoprir paese. Una circostanza straordinaria lo aiutò. Iltabacco piantato insieme col cugino era maturo; le fogliestrappateposte da qualche giorno al solecominciavano già adaccartocciarsi; gli bastò arrotolarle con le mani perottenerne tre o quattro sigari che Giovannino giudicò prontiad esser fumati. Alloranascosti insieme in un angolo del giardinoperchétolta la politicaerano amicidettero fuoco aifiammiferi e cominciarono a tirare le prime boccate. Usciva un fumoacreamaropestiferoche bruciava gli occhi e la gola; Giovanninopallidissimorespirava a stentoma continuava a tirare poichéConsalvo dichiarava:

-"Sonoeccellenti!... Tutti tabacco vero!... Non ti piace?"

-"Sì.Un bicchier d'acqua... Mi gira il capo..."

Improvvisamentesi fece bianco come la cartagli si rovesciarono gli occhi ecominciò a vaneggiare:

-"Ilmaestro... acqua... le bandiere..."

Consalvosul quale il veleno agiva più lentamentedomandò:

-"Qualibandiere?... Dove sono?..."

-"Sottoil letto... la rivoluzione... Malannaggia!... Mi viene divomitare..."

Ilprincipino buttò il suo sigaro e rientrò. Sentiva unprincipio di nauseaaveva il piè malfermola vista un po'annebbiata; ma si trascinò fino dal maestro:

-"Hanfatto le bandiere... per la rivoluzione... sotto il letto..."

-"Chi?"

-"Quelli...Giovannino... il complotto..."

Lanausea salivasalivagli stringeva la gola; le mani gli sidiacciavanoogni cosa gli girava intorno vorticosamente.

-"Madi che complotto parli?... Che hai?"

-"Giovan...la ri..."

Stesele mani e cadde per terra come morto. Quando riacquistò isensi si trovò a lettocon fra' Carmelo che lo vegliava. Laluce era fiocanon si capiva se fosse l'alba oppure il tramonto; néuna voce né un rumor di passi nel convento; solo il cinguettìodei passeri sugli aranci in fiore.

-"Comesi sente?"domandò il fratellopremurosamente.

-"Bene...Che è successo? Che ora è?"

-"Spuntaadesso il sole!... Ci ha fatto una bella paura!... Non sirammenta?..."

Alloraconfusamenteegli ripensò ai sigarialla nauseaalladenunzia. Era dunque passata tutta una notte?... E Giovannino?

-"Anchelui!... Adesso sta meglio... Il maestro ha frugato in tutte lecameresotto i letti... ha trovato tante bandiere... Sua Paternitàse l'è presa con me... So moltoiodi queste diavolerie!..."

Icongiurativistisi scopertierano disperatinon comprendendo dondevenisse il colpo. Ma Giovanninoristabilito anche luis'alzava inquel momento e passava tra i compagni costernati:

-"Com'èstato?... Sei stato tu?..."

-"Io?...Ahquel giuda di mio cugino!..."E il sangue gli montò al viso con un impeto selvaggio dicollerada vero -"figliodel pazzo".-"Aspetta!Aspetta!"

Appostatiin attesa che Consalvo uscisselo circondarono nel giardino;Giovannino gli si fece incontrodomandandogli:

-"Seistato tupezzo di sbirroche hai detto al maestro?..."

Consalvocapì. Pallido e tremantecominciò a protestare...

-"MariaSantissima!... Il maestro... Non sono stato..."

Mail cerchio gli si strinse intorno:

-"Negaloanche?... Hai coraggio solo per mentiresbirro schifoso? pezzo diboia?"

-"Vigiuro..."

-"Ahspia fetente!..."e il primo pugno gli piovve sulle spalle. Tutti gli furono addossoed egli cominciò a gridare; ma nessuno poteva udir le suegridaperchéa un trattoa quell'ora insolitatutte lecampane di San Nicola si misero a stormeggiare formando un concertocosì stranoche i ragazzi smisero di picchiare il delatoreguardandosi turbati. A un tratto Giovannino esclamò:

-"Larivoluzione!..."e rientrò di corsa.

Lesquadre erano finalmente scese in cittàper dar l'attacco ainapolitani. Tutti i monaci erano tappati dentro; l'Abate aveva fattoserrare i portoni dopo che tutta una popolazione spaventata s'eravenuta a rifugiare nel convento. Solo il campanile era rimasto apertoai rivoltosii quali continuavano a sonare a stormo mentre s'udivail rombo delle prime cannonate del castello Ursino.

DonBlascononostante il coltello che portava sotto la tonacaverdedalla bile e dalla pauraera venuto a rifugiarsiinsieme coiborbonici più sospettatial Noviziatocome in un cantone piùsicurodoveper via dei bambininessuno sarebbe entrato; nondimenodiceva ira di Dio di quel vigliacco di suo fratello che era rimastodentro col pretesto dei portoni chiusima complottando ancora conquell'altro -"porco"di don Lorenzo Giulente.

-"Perchénon scende in piazza? Perché non va a battersi? Gli apro iostessose vuole!... Carogna! Traditore!..."

Ilducain confabulazione con l'Abate e col nipote Prioredisapprovavainvece l'attaccoriferiva il savio e prudente ultimatum del generaleClary:

-"Clarymi disse ieri: "Aspettiamoquel che fa Garibaldi: se resta a Palermom'imbarco coi miei soldatie me ne vado; se noavrete pazienza voialtri: resterò io."Mi pare che dicesse bene! Che bisogno c'era d'attaccarlo?... Le sortidella Sicilia non si decidono qui!... Ma non vogliono ascoltarmi! Cheposso farci? Io me ne lavo le mani..."

-"Nonvogliono ascoltarlo?"tempestava don Blasco. -"Dopoche li ha scatenati?... E adesso fa il Gesuita? Per restar bene colClaryse la ciurmaglia ha la peggio?..."

Ilcannone tonava di rado; gente arrivata dalla Botte dell'Acquacercando rifugiodiceva che la mischia più forte eraimpegnata ai Quattro Cantonima che del resto i ribelli tiravanosulle truppe alla spicciolatanascosti dietro gli angoli delle caseo dalle terrazze. Le spie borbonichepallideesterrefatteandavanoficcandosi nelle celle dei fratelli; Garinovenuto dei primi achiudersi a San Nicolas'attaccava alla tonaca di don Blasco epareva più di là che di qua. Anche il principino stavaal fianco dello zionon osando neppure lagnarsi delle bussericevutementre Giovannino Radalì e gli altri ragazziliberaliattorniato fra' Carmelogli dicevano:

-"Adessoarriva Garibaldi!... Andremo tutti via!... Non ci torneremo più!..."

Primadi sera cessò lo scampanìo e il cannoneggiamento; donBlascoandato a interrogare i passanti dai muri della Floratornòagitando le braccia e smascellandosi dalle risa:

-"Lagran rivoluzione è finita!... Sono usciti i lancierihannonettato le strade!... Evviva!... Evviva!..."

Lanotizia venne confermata da tutte le partima il ducaprudentementerestò dentro pel momento. La gioia di donBlasco fu però di corta durata: il domaniavuti gli ordini daNapoliClary si preparò alla partenza econsegnata la cittàa una Giunta provvisorias'imbarcò il giorno appresso contutti i suoi soldati.


DonLorenzo Giulente col nipotesaliti a San Nicolainvitarono il ducaal Municipiodove i migliori cittadini attendevano a disciplinare larivoluzione. Giàpartita la truppanella prima ebbrezzadella liberazionenel primo impeto della vendettatorme di popolaniavevano dato la caccia ad uno dei più tristi e odiati sorcidi poliziae uccisolo ne avevano portato in giro la testa. Tremavail cuore al ducaall'idea di lasciare il sicuro asilo del monasteroe di scendere nella città in fermento; ma i due Giulente loassicurarono che adesso tutto era cheto e che gli amici loaspettavano. Così traversarono insieme le vie deserte peggioche in tempo di pestecon tutte le botteghe e le finestre sbarrate eun silenzio pauroso. Don Gaspare Uzedaa dispetto delleassicurazioni dei Giulentenonostante la prova della popolaritàacquistata tra i liberalitemeva che qualcuno non gli rimproverasseil suo rimpiattamento a San Nicolanel giorno dell'azione; che irivoluzionari del Quarantotto non gli rammentassero le storieantiche; le gambepertantogli vagellavano nell'entrare alMunicipionel traversar la corte piena di gentenel salir su dovedeliberavano; ma a poco a poco il sorriso gli spuntava sulle labbrapallide e chiuseil sangue tornava a circolargli liberamente nellevenepoiché da tutte le parti lo salutavano rispettosamente ocordialmente: i popolani s'inchinavanogli amici stringevangli lamanoesclamando: -"Finalmente!...Ci siamo!... Non abbiamo più padroni!... Adesso finalmente ipadroni siamo noi!..."La cosa più urgente era l'ordinamento d'una qualunque forzapubblicad'una milizia civica che prestasse servizio sino allaformazione della Guardia nazionale. Occorrevano quattrini perl'armamento della milizia e della Guardia: aperta una sottoscrizioneper raccogliere i primi fondiil duca offerse trecent'onze. Nessunoaveva dato tantola cifra produsse grande effetto; quando lariunione si sciolseparecchie dozzine di persone riaccompagnaronodon Gaspare a San Nicola.

Ildomani mattina egli aggiunse altre cent'onze per l'acquisto dellemunizioni. Il favore universale gli crebbe intorno. Mancava lavoropoiché la città era tuttavia un deserto: egli nonlasciò andare a mani vuote nessuno di quelli che gli sirivolsero per sussidio. Preso coraggioandò tutti i giorni alGabinetto di letturadove i liberali commentavano con tripudio lenotizie dei progressi della rivoluzione; si mise a capo delledimostrazioni che andavano a prendere la musica dell'Ospizio diBeneficenza e al suono dell'inno garibaldino giravano per la città.A poco a pocosempre più rassicuratoquasi domiciliossi alMunicipiodove chiedevano i suoi consigli. Mentre tutti parlavano dilibertà e d'eguaglianzanessuno pensava a prendere unprovvedimento che dimostrasse al popolo come i tempi fossero cangiatie i privilegi distrutti e tutti i cittadini veramente edassolutamente uguali. Egli propose e fece decretare l'abolizione delpane sopraffino. Allora diventò un grand'uomo.

DonBlascorimpiattato al conventoschiumava: non tantoforseper larovina del suo partito e pel trionfo dell'eresiaquanto per saperesuo fratello considerato a un tratto come uno degli eroi dellalibertà: il Governatore non faceva nulla senza del ducalometteva in tutte le commissioniun codazzo d'ammiratori loaccompagnava al palazzo Francalanzache egli aveva fatto riaprire eriabitava perché la chiusura non s'imputasse al borbonismodella famiglia: e la gente minutagli operaitutti quelli che nonsapevano che cosa sarebbe successoconvertivansi al nuovo partitoudendo che un gran signore come il duca d'Oraguauno deiFrancalanzane faceva parte: le dimostrazioni patriottichedigiorno e di nottecon musiche e fiaccole e bandiere si succedevanosotto il palazzo come sotto le case dei vecchi liberalidi quelliche erano stati in galera o tornavano dall'esilio. Adesso tuttiparlavano in piazzadai balconiper eccitare il popoloo perdiscutere il da fare nei circoli che si venivano costituendo; ma ilducaincapace di dire due parole di seguito in pubblicoatterritodall'idea di dover parlare dinanzi alla follascendeva giù aincontrarla al portonese la cavava gridando con essa: -"VivaGaribaldi! Viva Vittorio Emanuele! Viva la libertà!..."conducendo al caffè i volontari garibaldinipagando lorogelatisigari e liquori. Formata la Guardia nazionalelo feceromaggiore: tutti i giorni egli mandava ai corpi di guardia bottiglionidi vinofocaccepacchi di sigariregali di ogni genere. E la suafama crescevacresceva; nelle dimostrazioni il grido di -"VivaOracqua"— come pronunziavano i più — era altrettantofrequente quanto -"VivaGaribaldi"o -"VittorioEmanuele!..."Queste enormità ridussero don Blasco a un cupo silenziopiùterribile delle grida; il monaco non era però alla fine delleprove. I foruscitii briganti che s'arrolavano per seguirel'anticristo dove furono alloggiati? A San Nicola!...

All'annunzioche la colonna di Nino Bixio e di Menotti Garibaldi sarebbe giunta aCataniail Governatore aveva mandato un ufficio all'Abatecomunicandogli di aver disposto che i soldati della libertàfossero ospitati nel convento dei Padri Benedettini. L'Abateborbonico fino alle cigliavoleva fare qualche difficoltà; mail Priore don Lodovico lo persuase che non era il caso di opporsi. Il27 luglio la Guardia nazionale andò incontrofuori le portealla colonna che entrò in città fra un uraganod'applausi; e i volontari s'acquartierarono a San Nicolaneicorridoi del primo piano e in quello dell'Orologio: la paglia sparsaper terrale rastrellierei fucilile gibernele baionettelecanne di pipa ridussero il convento un assedio. Per andare alrefettoriodon Blasco doveva traversare due volte il giornoquell'inferno; egli passava mutopallidofrementementre i soldatigridavano evviva al Priore don Lodovico che faceva distribuire vino efocacce! Tutto il giornogiù nei cortili esterniessieseguivano esercizi; Bixio stava a invigilare con un frustino inmanoaccarezzando tratto tratto le spalle dei più restii.-"Innome della libertà! In odio all'antica tirannide!.."facevano osservare i Padri sorci a don Blasco; ma questineanche rispondevapareva non interessarsi più a nullacomealla vigilia del finimondo.

Bixioe Menotti erano alloggiati alla foresteria; l'Abate li evitavama ilPrioreper prudenza — diceva — usava agli ospiti tutti iriguardis'informava premurosamente se avevano bisogno di nullametteva la Flora a disposizione del figlio dell'anticristochepassava i suoi momenti d'ozio coltivando rose. Un giornotra inovizi che erano scemati di numero perché molte famiglieavevano ritirato i loro ragazzi in quel trambustovi fu grandeaspettativa: Menotti veniva da loro. Giovannino RadalìPedantonitutti i liberali lo guardarono con gli occhi spalancaticome uno piovuto dalla lunasenza saper dire una parolamentre eglili accarezzava. Manel giardinoGiovannino corse a cogliere la piùbella rosa e gliel'offersechiamandolo: -"Generale!..."Consalvo se ne stette in disparteaggrottato come lo zio don Blascocon la coda tra le gambe.

-"Adessonon fai più il sorcio?"gli dissero i compagni quando Menotti andò via. -"Haipaura che ti taglino la coda?"

Eglinon rispose. Suo padrerassicurato sull'andamento della cosapubblicascese un giorno a trovarlo.

-"Nonci voglio più stare"gli disse il ragazzo; -"tantise ne sono andati..."

-"Voglio?..."rispose il principecon voce dura. -"Chit'ha insegnato a dire voglio?... Per ora hai da star qui!"

Eil duca non solo approvò quella decisionema indusse ilnipote a tornarsene definitivamente con la famiglia in cittàgiacché non c'era pericolo di sortae quell'ostinatalontananzaquelle dimostrazioni di paura potevano esser prese inmala parte dal popolo. Arrivarono tutti dopo qualche giornoilmarchese e la marchesa soli e gongolanti nella loro carrozza cheandava al passoper riguardo della gravidanza di Chiara finalmenteconfermata ed arrivata al sesto mese; Lucrezia che metteva il capoogni minuto allo sportello quando i posti di guardia facevano sostarela vetturaparendole di riconoscere Giulente in ogni soldato.

MaBenedetto non era più in Sicilia. Nei primi giorni avevaaiutato lo zio Lorenzo e il duca a ordinare la rivoluzionearringando il popoloparlando nei circoli con una eloquenza chetutti ammiravanoscrivendo articoli nell'Italia risortafondata dallo zio per propugnare l'annessione al Piemonte; poinonostante l'opposizione del padre e della madres'era ingaggiatogaribaldinonel reggimento delle Guideed era partito pelcontinente. Arrivando in cittàLucrezia trovò unalettera del giovaneil quale le annunziava che andava a raggiungereGaribaldi per compiere il proprio dovere verso la patria e leraccomandava di non piangerlo se gli fosse toccata la grande sorte dimorire per l'Italia. Ella cominciò a leggere tutti i giornalie tutti i bollettini per sapere che cosa avveniva di luima ne capìmeno di primaincapace di farsi un'idea intorno alle mossedell'esercito meridionale. Don Blascoall'arrivo dei parentieruttòfinalmente la bile accumulata in tre mesi. Ogni giornovenendo alpalazzovomitava improperi contro il fratellocolmava di maleparole lo stesso principe perché permetteva che dal balcone dicentro sventolasse l'aborrito tricoloreche mettessero fuori i lumiper festeggiare le vittorie dei -"briganti".Il principe si faceva tutto umilegli dava ragioneesclamava: -"Cheposso farci? È mio zio! Posso mandarlo via?"Ma si guardava bene di fare rimostranze al ducatroppo lieto che lapopolarità del gran patriotta garantisse anche luila suapersona e la sua casa. Però dava un colpo al cerchio e unoalla botte; parlava contro il duca a don Blascocontro don Blasco alducasicuro di non essere scopertopoiché quei dues'evitavano come la peste. Gli toccava poi tenere a bada anche donnaFerdinandala quale era diventata una versieradopo la caduta delgoverno legittimoe ne invocava il ritorno e andava fino apromettere una lampada a Santa Barbara perché questa saettassetutti i suoi fulmini contro i traditori. Chiedeva che il principinofosse tolto dal convento infestato dai rivoluzionari; ingiungeva alnipotinoquando costui veniva a casa in permesso: -"Nont'arrischiar di parlare con quei nemici di Dio o non ti guarderòpiù in faccia!"Consalvo le rispondeva: -"Eccellenzasì!"come al duca quando costuitutt'al contrariogli diceva -"Chebei soldatii garibaldini?..."Dolevano ancora le spalle al ragazzodalle busse toccate per lospionaggio; e adesso egli faceva come vedeva fare allo zio Prioreche godeva la fiducia dell'Abate borbonico di tre cottee intantoera portato in palma di mano dai rivoluzionari... Che importava alprincipino di borbonici e di savoiardi? Egli voleva andar via dalNoviziato; perciò serbava un segreto rancore contro il padreche non l'aveva contentato. Del restocon tutta la rivoluzione e lalibertà e Vittorio Emanuele e l'abolizione del panesopraffinoa San Nicola non si scherzavaarticolo privilegi. Giustoin quei giorni i Giulente avevano raccomandato all'Abate ungiovanettoloro lontano parenterimasto orfano a Siracusa e venutoa Catania per farsi Benedettino. Era tutto il contrario del cuginoBenedettoquesto Luigi; non solo avversava la rivoluzione; ma avevacol timor di Diouna grande vocazione per lo stato monastico. El'Abateritenendo provata la nobiltà della famiglial'avevapreso a proteggere e fatto entrare al Noviziato. Lìi nobilicompagnisenza distinzione di partitose ne prendevano giuocolobeffavanogliene facevano di tutti i colorigiudicandolo indegno distare fra loro; e tra i monaci gli stessi liberali torcevano il muso:Vittorio Emanuele andava bene; l'annessione e la costituzione meglioancora; ma rinunziare ai loro privilegifare d'ogni erba un fascioquesto era un po' troppo!...


Laquistione dell'annessionedel miglior modo di votarlaappassionavain quel momento la pubblica opinione: alcuni volevano affidarne ilmandato ad un'assemblea da eleggerealtri predicavano il suffragiodiretto. Ogni giornocol Governatore della cittàe con donLorenzo Giulente e i capi liberaliil duca sosteneva il plebiscito:-"Ilpopolo dev'essere lasciato libero di pronunziarsi. Si tratta dellesue sorti! Vedete come han fatto nel resto d'Italia!..."Questo consigliomentre accresceva a mille doppi la sua popolaritàgli scatenava addosso più violento l'odio di don Blasco e didonna Ferdinandala critica dello stesso don Eugenio. Il cavaliereadessoperduta la speranza degli scavi di Massa Annunziataavevaconcepito un nuovo disegno: farsi nominare professore all'Università.Non v'erano stati parecchi signori pubblici lettori? L'impiego eradecoroso e nobile; la cattedra di storiaspecialmentegli facevagola. Le sue conoscenze archeologichel'opuscolo sulla PompeiSicolaerano buoni titoli: per averne ancora di miglioriegliscriveva una Istoria cronologica dei Viceré Uzedaluogotenenti dei Regi Aragonesi nella Trinacria. Come Gentiluomodi Cameranon si lasciava molto vedere; ma certo che la rivoluzionesarebbe stata schiacciata da un momento all'altroanche lui se laprendeva col duca.

-"Chiparla di popolo! Se tornassero i Viceré dall'altro mondo! Sesentissero di queste eresiese vedessero un loro pronipote unirsialla ciurmaglia!..."

DonConodon Giacintodon Marianotutti i lavapiatti scrollavano ilcapoaddolorati anch'essi da quel tralignamento; peròtentavano placare il giusto sdegno dei purigiudicando illiberalismo del duca un liberalismo di paratauna necessitàpolitica del momento; era impossibile chein cuor suoil figlio delprincipe di Francalanzauno di quegli Uzeda che dovevano tutto allelegittime dinastiepotesse godere dell'anarchia e dell'usurpazione!

-"Tantopeggio!"urlava don Blasco. -"Capireiun fedifrago risolutoche avesse il coraggio del tradimento! Ma setornano i napolitanicolui andrà a baciar loro ilpreterito!... Vedretequando torneranno!..."

Manon tornavano. Arrivavano inveceuna dopo l'altrale notizie dellapartenza di Francesco ii da Napolidell'ingresso trionfale diGaribaldidell'avanzarsi dei piemontesi incontro ai volontari. AlBelvederedove il principe tornò alla fine di settembreperla villeggiaturaLucrezia lesse i bollettini della battaglia delVolturno che portavano Benedetto Giulente tra i feriti. Ella nonpiansema si chiuse in camera rifiutando il cibosorda ai confortidi Vanna la quale le prometteva che avrebbe cercato di aver notiziedalla famiglia di lui. Il Governatore però s'era giàrivolto ai comandantial direttore dell'ospedale militare di Napoli;e la rispostaprima che sui bollettinifu resa di pubblica ragionein un manifesto affissato al Municipio. Il volontario Giulente eraferito d'arma bianca alla coscia destra e si trovava nell'ospedale diCaserta; il suo stato era soddisfacente e la guarigione assicurata.

Egliarrivò quindici giorni dopola vigilia del plebiscitoconaltri volontari siciliani reduci dal Volturno: lo zio Lorenzoilduca di Oraguail Governatore e la Guardia nazionale andarono loroincontro. Il giovane s'appoggiava a un bastone e sventolava ilfazzoletto con la sinistrarispondeva agli evviva della folla. Suopadre e sua madre piangevanodalla commozione: il ducafacendo lorodolce violenzaprese il ferito nella propria carrozza che s'avviòal Municipio fra un'onda di popolo acclamante. Dal balcone delpalazzo di cittàgremito di guardie nazionalidi reducidipatriottidi cittadini ragguardevoliBenedetto girò unosguardo sulla piazza dove non sarebbe cascato un grano di migliopoilevò la sinistra. La sua fama d'oratore era giàstabilita; tacquero a quel gesto.

-"Cittadini!"cominciò con voce chiara e ferma. -"Noinon possiamo e non dobbiamo ringraziarvi di questa trionfaleaccoglienzasapendo come i vostri applausi non siano diretti allenostre personema all'idea generosa e sublime che guidò ilDittatore da Quarto a Marsala."Scoppiò un uragano d'applausi in mezzo al quale la vocedell'oratore si perdé. -"...sognodi Dante e Machiavellisospiro di Petrarca e Leopardipalpito diventi secoli... ad essaalla gran patria comune... alla nazionerisorta... all'Italia una... gli evvivagli applausiil trionfo..."Ad ogni periodoun gran clamore veniva su dalla piazza; la gentepigiata nel balcone sventolava i fazzolettiil duca esclamavaall'orecchio dei vicini: -"Comeparla bene!... Che giovane d'ingegno!..."

-"Noiabbiamo fatto il dover nostro"continuava l'oratore -"comevoi il vostro. Non poche gocce di sanguema la vita stessa avremmovoluto immolare alla gran causa... degni d'invidianon di rimpiantosono quelli che poteron dire morendo: "Almaterra natiala vita che mi desti ecco ti rendo..."Onore ai forti che caddero!... A voi toccò ufficio non menosuperbo: dare all'Europa ammirata l'esempio d'un popolo chespezzatele sue catenelasciato in balìa di se stessogiàmostrasi degno di quelle libere istituzioni che furono suo secolareretaggio... che un potere aborrito e spergiuro osòcancellare... ma che splenderanno di più vivido raggio!...Cittadini! Applaudite voi stessi... applaudite i vostri reggitori...applaudite questi guerrieri fratelli chedolenti di non poterpugnare con noitutelarono i vostri focolari... applaudite questoinsigne patrizio che alle glorie dell'avito blasone accoppia quelledel patriottismo più puro..."Egli additava alla folla il duca maestoso e marziale nella divisa dimaggiore. Ma questiall'idea di dover risponderesi sentì aun tratto serrar la golavide a un tratto la piazza trasformata inun mare terribilevorticoso e ululantele cui ondate saettavanosguardi; e lo spasimo della paura fu tale ch'egli dovette afferrarsialla balaustrata. Però Giulente riprendevanella strettafinaletra applausi assordanti: -"Cittadini!Prodigioso è il cammino da noi fatto in cinque mesi; ma unultimo passo ci resta... L'entusiasmo dal quale vi veggo animati midà guanto che sarà fatto... Il sole di domani saluti laSicilia unita per sempre alla monarchia costituzionale di VittorioEmanuele!"


Giài colossali erano tracciati sui murisugli usciper terra; al portone del palazzo il duca ne aveva fatto scrivere unogigantescocol gesso; e il domaniin cittànelle campagnefrotte di persone li portavano al cappellostampati su cartellini diogni grandezza e d'ogni colore. Donna Ferdinandaal Belvederescorgendo i contadini cheper non saper leggereavevano messo leschede sottosopraesclamava:

-"Is!Is!"e pronunziando chischische è la voce con laquale si mandan via i gatticommentava: -"Manon dicono dicono ischischis!Fuorichis!..."

Lucreziagonfiavaeccitata dalle notizie del trionfo di Giulenteimpazientedi tornare in città per rivederloirritata dagli sconvenientimotteggi della zia.

Ilprincipe aveva fatto tracciare anche lui un gran sulmuro della villaper precauzionee la folla dei contadiniscioperatigiù in istradabatteva le manigridava: -"Vivail principe di Francalanza!..."mentredentrodon Eugenio dimostravacon la storia alla manochela Sicilia era una nazione e l'Italia un'altra; e donna Ferdinandasgolavasi:

-"Ahse torna Francesco!"

-"Zianon tornerà..."esclamò alla fine Lucrezia.

Allorala zitellona parve volesse mangiarsela viva.

-"Anchetuscioccona e bestiaccia? Sentite chi parla adesso! E non lo sai ilnome che portipazza bestiona? Credi anche tu agli eroismi di questirifiuti di galera? o dei bardassa sguaiati e ciarloni?"

Labotta era tirata a Giulente; Lucrezia s'alzò e andò viasbattendo gli usci. Ma il furore di donna Ferdinanda passò ilsegno quandofattasi alla finestra ad uno scoppio più nutritodi applausivide passare i novizi Benedettiniche venivano daNicolosi a cavallo agli asinitutti con gran aitricorni. Cominciò a gridare così forte contro quelvituperioche il principe accorse:

-"Ziaper caritàvuol farci ammazzare?"

-"Èstato quel Gesuita di Lodovico!..."fiottava la zitellonacoi denti strettiquasi per mordere. -"Anchei ragazzi! Anche Consalvo!"E come il principino salì un momento a salutare i suoiellagli strappò quel cartellino e lo fece in mille pezzi: -"Così!..."




9.


-"Bello!...Bello!... E questi bavaglisono graziosi!... Le calzettinelescarpette: avete pensato a tutto!"

Lacugina Graziella esaminavacapo per caposotto gli occhi di Chiarae del marcheseil corredo del nascituro: sei grandi ceste piene ditanta roba da bastare a un intero ospizio di lattanti; e trovavaparole d'ammirazione per tutte le fasceper tutte le cuffiepertutti i corpettini: ma ogni tanto si fermavatirando forte ilrespiropassandosi la lingua sulle labbragravida anche lei diqualche cosa che voleva direma che né il marchese néChiara si decidevano a domandarle.

-"Ele vesticciuolenon l'avete viste ancora? Guardateguardate!"

-"Ohche bella cosa!... Dove hai trovato questi merletti?... Belle tuttebelle!... Ma più la bianca coi nastri celesti! Un amore!...Lucrezia ci ha lavorato?"

-"Nonessuno: ho voluto far tutto con le mie mani."

-"Cen'è spesi quattrinieh?... Il Signore possa benedirveli!...Avete aspettato un bel pezzoora la vostra felicità èassicurata!... Vi volete tanto bene!... Per memi gode l'animoquando vedo le famiglie tanto affiatate!... Così vorrei cheanche Lucrezia fosse contenta... Voialtri non sapete?"

-"Checosa?"

Ellaabbassò un poco la voce per direcon aria di mistero:

-"Giulentel'ha chiesta allo zio duca!"

MaChiara continuò a piegare la biancheria sulle ginocchiaquasinon avesse udito o non avesse compreso che si parlava di sua sorella:e solo il marchese domandòdistrattamenteriponendo conbell'ordine la roba nelle ceste:

-"Chive l'ha detto?"

Allorala cugina sfilò la corona:

-"Mel'ha detto mio maritoiersera: certo e sicuro com'è certo chesiamo qui! La domanda è stata fatta da don Lorenzoamichevolmente. Il duca vuol esser deputatoe il giovanotto sostienela sua elezione scrivendo nell'Italia risortae discorrendoogni sera al Circolo Nazionale in favore di luiperché ha giàpreso la laurea d'avvocato. Quelli della Nazione Italiana glioppongono l'avvocato Bernardelliperché è stato ingalera; non par veroa che siamo ridotti!... Ma Giulente si battecome un leone... pel futuro zio... mi capite?... Lucrezia non entranei pannidalla contentezza; però gli zii don BlascodonnaFerdinanda e don Eugenio le daranno da fare... e il cugino Giacomoanche... Un Giulente sposare un'Uzeda? Ci voleva la rivoluzioneilmondo sottosopraperché si vedesse una cosa simile! Lo zioducami dispiaceha perduta la testadacché s'èmesso nella politica; hanno ragione i suoi fratelli!... Voi che cosane dite?"

Chiaracontinuava a maneggiare la bella robabiancafine e odorosadelnascituro; e il marchesetemendo che quei movimentia lungo andarepotessero affaticarlale disse:

-"Bastaadesso... lascia fare a me... Che cosa ne dicocugina? Non diconiente: sono cose che non mi riguardano. Mio cognato è padronedi dare sua sorella a chi gli pare... Io non mi mescolo negli affarialtrui."

-"SeLucrezia lo vuole"rincarò Chiara -"selo prenda! In fin dei contidobbiamo sposarlo noi?"domandò ridendo a Federico.

-"Sicuro!...Iocara cuginasapete se ho sempre rispettato la famiglia di miamoglie. Se essi dicono di sìe Lucrezia è contenta!Per conto mioringrazio il Signore che finalmente mi sta concedendouna gran consolazione; del restofacciano quel che vogliono..."

Ela cugina restò con tanto di nasoavendo fatto assegnamentosopra uno scoppio d'indignazione; matorta la bocca quasi peringhiottire un boccone amaroesclamò:

-"Certamente!Sono cose che riguardano la sua coscienza!... E anche Lucrezia!Contenta lei!... È quel che dico anch'io!..."

Daquei due non c'era da cavar nient'altrofuori del mondo com'eranoper via della nascita del figliuolo ormai prossima: la cuginacheper trascorrer di tempo non dimenticava di mostrare il suo interesseper gli Uzedacorse difilato in casa del principe. Sul portoneunacomitiva di dieci o dodici individuifra i quali c'erano i dueGiulentezio e nipotecercavano del duca. Ella si fermòsorridendo a don Lorenzo e a Benedettofacendo loro segno con lamano per chiamarli.

-"Cheorditein tanti rivoluzionari? Volete dar fuoco al palazzo?"

-"Veniamoad offrire la candidatura al signor duca"rispose don Lorenzo -"innome delle società patriottiche."

-"Bravo!Mi rallegro della scelta!..."

Ela commissione stava per salire dal grande scalone quandoBaldassarrespuntato dal secondo cortilee fatta strada a donnaGraziellaavvertì: -"Nossignori!...Favoriscano da questa parte..."

Ilprincipeinfattiapprovando il liberalismo dello zio e godendo deivantaggi della sua popolaritànon aveva potuto permettere chetutti gli scalzacani dai quali era circondato entrassero nel nobilequartiere della Sala Rossa e Gialla: aveva quindi destinato duestanze dell'amministrazionea destra dell'entrataperché ilduca vi ricevesse anche i lustrastivalise così gli era agrado. Mentre i delegati giravano dunque dalla parte delle stalledonna Graziella saliva pomposamente il sontuoso scalone ed eraintrodotta presso la principessa. Il principein compagnia dellamogliegridava qualche cosaquandoall'apparir della cuginatacque subitamente.

-"Nonsapete che ci sono visite?"disse costeientrando. -"Lacommissione delle società... per offrire la candidatura alduca... Una bella commediagiacché tutto fu combinatoprima... E solo i Giulentedi persone conosciute; tutto il restocerte facce!..."

-"Miozio è padrone di ricevere chi vuole"rispose il principe. -"Adessoi tempi sono mutatie non si posson fare tante difficoltà...È quel che dicevo anche a mia moglie..."E voltati i tacchistava per andarsenequando la voce di donnaFerdinandache sopravvenivalo fece fermare. La zitellonapiùgialla del solitosudava fielecon una ciera arcigna e dura damettere spavento.

-"Dunqueè vero?"domandò a denti strettisenza neppure accorgersi di donnaGraziella.

-"Mel'ha detto lui stesso"rispose il principe. -"Dinanzialla cugina possiamo parlare... Gli pare una cosa bellissimaunpartito vantaggiosoun terno al lotto..."

-"Etu non gli hai detto nullatu?"

-"Io?Gli ho detto che dovrebbe tornare nostra madre dall'altro mondopersentire una cosa simile! Per vedere ciò che succede in questacasa! in qual modo si rispettano le sue volontà!... Questo gliho detto; ma è lo stesso che dirlo al muro... VostraEccellenza sa come siamo fattiin famiglia... Ma la colpa non èdello zio... Se Lucrezia non avesse dato retta a quel bardassacredeVostra Eccellenza che le cose sarebbero arrivate a tanto? I Giulentesono stati sempre presuntuosihanno avuto sempre la smania digiocare a pari con tutti; ma un'idea simile non sarebbe loro passatapel caposenza la stramberia di mia sorella..."

Laprincipessa non fiatavadonna Graziella non parlava neppur leimaguardando ora il principe ora donna Ferdinanda scrollava il capocome per dire che era cosìproprio così. La zitellonasi mordicchiava le labbra sottilitorcendo il grifofiutando l'ariacon le narici dischiuse.

-"Semia sorella non fosse stravagante"continuava il principe -"nonpenserebbe a maritarsicon quella salute; non darebbe retta a quelrompicollo che le dice di volerle bene per vanitàfacendo ilrepubblicano; e rispetterebbe invece i consigli di nostra madrenondarebbe motivo di dispiacere a noinon si preparerebbe tanti guai...Perchésperiamo pure che si ravveda e lo zio muti opinione;ma se questo matrimonio dovesse farsila prima sacrificata sarebbelei!... Crede di trovare in casa di quella gente quel che ha nellapropria? Crede che potranno andare d'accordocon tanta diversitàd'educazione e di..."

Aun tratto comparve Lucrezia. Il principe tacque come per incanto; laprincipessa si fece ancora più piccola sulla sua poltronalacugina spalancò meglio gli occhi e l'orecchie.

-"Buongiornozia..."cominciò la ragazza; ma donna Ferdinandalevatasi da sedere epresala per manole disse brevemente: -"Vienicon me."

Passòdi là e chiuse l'uscio. La cuginache le aveva accompagnatecon gli occhiquando si voltò vide che il principe erascomparso da un'altra parte. Allorarimasta sola con la principessacominciò a dimenarsi sulla sua seggiola. Sarebbe andata adorigliarese avesse potutose avesse osato farne proposta; invecele toccava contenersi e chiacchierarementre udivasi tratto trattola voce di donna Ferdinanda alzarsi tanto che le parole arrivavanointere: -"Voglio?Voglio?... Prima creperai!... L'avvocato?... Crepapiuttosto!..."

-"SantoDiomi dispiace!... È una cosacugina..."

-"Lavedremoti dico!..."gridava donna Ferdinanda; subito dopo la voce si spense; la cuginariprese:

-"Lucreziadovrebbe pensare... dare ascolto a chi parla pel suo..."

-"Nonvuoi sentirlabestiaccia?..."Queste parole furono gridate così forteche la cugina e laprincipessa tesero tutt'e due le orecchie. Passò qualcheminuto di silenzio profondo; di bottos'udì il rumore d'unaseggiola rovesciata e subito dopo quello secco e brusco di unviolento ceffone. La principessa levossi in piedigiungendo le mani;la cugina corse all'uscio ad origliare. Più nulla: névociné pianto. Donna Ferdinanda ricomparve sola e venne asedersi tranquillamente vicino alla nipotestirandosi la palma dellamano arrossata. Parlò del più e del menovolle sapereche cosa avevano a desinare e domandò notizie di Teresinachegiusto quel giorno era a San Placidodalla zia Crocifissa. Poi sialzò per andarsene; la cugina l'accompagnò.

Intantogiù nell'amministrazione i delegati delle societàammessi in presenza del ducaerano stati da costui invitati asedersi in giro; Giulente nipoteprendendo a parlare in qualitàd'oratorediceva:

-"Signorducain nome dei sodalizi patriottici il Circolo NazionaleL'UnioneCivicala Lega Operaiail Riscatto Italianoi Figli della Nazionedei quali le presento le rappresentanze... veniamo a compiere ilmandato affidatocidi pregarla affinché ella accetti lacandidatura al Parlamento italiano. Il paese ben conosce di chiederleun sacrifizioe un sacrifizio non lieve; ma il patriottismo di cuiella ha dato tante e sì splendide prove ci dà guantoche anche una volta vorrà rispondere all'appello del paese..."

Itre o quattro popolani tenevano il cappello con tutt'e due le manistretto come se qualcuno volesse portarlo loro via; Giulente zioguardava per terra. Il ducafinito il discorsetto del giovanerisposecercando le parole una dopo l'altracon voce strozzata:

-"Cittadinison confuso... e vi ringrazioveramente... Sono stato felice...orgoglioso anzi direi... di aver potuto contribuirecome ho potutoal riscatto nazionale... e alla grand'opera dell'unificazione dellanazione... Maveramenteciò che voi mi domandate... èsuperiore alle mie povere forze... È un mandato...Permettete!..."soggiunse con altro tono di vocevedendo far gesti di diniego -"chenon saprei come disimpegnarlo... al quale è d'uopo attitudinispeciali che io non possiedo... E non vi mancheranno patriotti cheassai meglio di me... potranno rispondere agli interessi... dellatutela degli interessi... del nostro paese!"

-"Perdoni!"riprese il giovanotto. -"Noiapprezziamo il delicato sentimento che le fa dire così: la suamodestia non le poteva dettare diversa risposta. Ma della capacitàdi lei dev'essere giudiceperdoni!lo stesso paese. Se ella avessealtre ragioni per rifiutareragioni private o di affarinoic'inchineremmonon potendo permettere che il suo sacrificio vadatroppo oltre. Ma se l'unica obiezione consiste nella sua incapacitàci permetta di dirle che non tocca a lei riconoscere se ècapace o pur no!"

TacendoGiulenteil sarto Belliadei Figli della Nazionedisse:

-"Ducal'operaio vuole a Vostra Eccellenza... Ci sono tanti che brigano ilvotoma non ci abbiamo fiducia. Vogliamo un buon patriotta e unsignore come Vostra Eccellenza..."

Allorarivolto ai compagniGiulente zio dissecon tono di bonarietàscherzosaaccarezzandosi la barba:

-"Nonabbiate paura: il duca vuol farsi pregare..."

-"Farmipregare?"esclamò il candidatoridendo. -"Miprendete forse per un dilettante di pianoforte?"

Tuttisorrisero e il ghiaccio si ruppe. Smessi la dignità grave e illinguaggio fiorito dell'ambasceriaognuno disse la suain dialettoalla buonaper indurre il duca ad accettare. Sul nome di lui sisarebbero messi d'accordo; in caso di rifiutoi voti si sarebberosperperati sopra tre o quattro persone; e poiché era quella laprima elezione alla quale chiamavasi il paesebisognava che essariuscisse l'affermazione unanime della volontà del collegio.Questo risultato non poteva ottenersi se non per mezzodell'accettazione del duca; dinanzi a lui tutti gli altri sisarebbero ritirati; il suo rifiuto avrebbe fatto pullulare altreambizioncelle di patriotti dell'ultim'ora. A quell'insistenzailduca esclamava:

-"Signorimiei... mi confondete!... Siete troppo buoni... Non so cherispondere!..."

-"Rispondasì... accetti! Ci vuol tanto?... Se lo vogliamo!"

-"Maio non sono adatto... Sento tutta la responsabilità delmandato... Non si scherza! Altro è dare qualche consiglio inMunicipioconfortato da tutti voi; altro è sedere tra irappresentanti del Parlamento!"

-"Signorimiei"fece a un tratto Giulente ziomettendo fine al cortese contrasto.-"Sapeteche vi dico? La nostra commissione è compita: il duca sa qualè il desiderio di tutti; per ora egli non ci dice né sìné no; lasciamo che ci dorma sopra: domanidopo domaniquando avrà ben ponderatoquando si sarà consigliatocon i suoi amicici darà una rispostae speriamo che saràla desiderata..."

-"Ecco!Graziecosì..."rispose il duca. -"Benissimo;vi prometto che ci penseròche farò il possibile... Maintanto grazie a tutti! Ringraziate per me le società; verròpoi io stesso a fare il mio dovere!..."

Eglili trattenne ancoradiscorrendo delle notizie del giornointeressandosi alla cosa pubblicatoccando di sfuggita iprovvedimenti che bisognava reclamare dal governo di Torino pel benedel paeseper il migliore assestamento del nuovo regime. Prese da uncassetto della scrivania una scatola di sigari: sigari d'Avanacolord'orodolci e profumatie ne fece larga distribuzionestringendola mano a tuttima più forte ai due Giulente. Il domanil'Italia risorta portava un articolo di fondo di Benedettosulle imminenti elezioninel quale era detto: -"Duesoltanto i criteri ai quali possono ispirarsi i votanti: l'intemeratopatriottismo che sia arra dell'italianità dell'eletto e lacospicuità sociale che gli permetta di svolgere la propriamissione con l'indipendenza che dà guanto di disinteresse e disincerità. Ora allorquando il paese ha la fortuna di possedereun Uomo che risponde al nome di duca gaspare uzeda d'oraguanoicrediamo che ogni discussione si riduca un fuor d'operae che tuttii voti dei cittadinigiustamente gelosi del bene pubblicodebbanoconcentrarsi sul nome dell'illustre patrizio!"

Lagran maggioranza del collegio era per lui e nel coro degli adepti levoci discordi rimanevano soffocate. I più infervorati erano ipopolanigli operaila Guardia nazionalela gente spicciola chenon godeva del votoma trascinava con sé i votanti. Sequalcuno tentava addurre argomenti contro quella candidaturaerasubito ridotto al silenzio. Gli Uzeda erano tutti borbonici fin soprai capelli? Tanto maggior merito da parte del duca nell'averabbracciato a dispetto della parentela la fede liberale! AlQuarantotto egli non aveva preso un partito? Ma non aveva traditocome tant'altri!... Però quelle voci parevano ridotte alsilenzioe risorgevano a un tratto più insistenti. Findall'estatefin da quando i napolitani erano andati viadi tanto intanto si trovavano attaccati alle cantonate o circolavano pei caffèe le farmacie certi fogli anonimi dove si leggevano brutte notiziegiudizi inquietantioscure minacce; questa roba era divenuta piùrarama adesso ricominciava a circolare e contenevaoltre chefunesti pronostici sull'avvenire della rivoluzioneallusioni malignecontro le persone più in vedutae specialmente contro ilduca. Erano poche parolein forma dubitativa o interrogativamatrovavasi sempre qualcuno che le spiegava. Che cosa aveva fatto ilPatriotta nella giornata del 31 maggio? S'era nascosto a San Nicoladiceva il commento. E il cannocchiale del Quarantotto? Quello colquale s'era goduto l'attacco e l'incendioattorniato dai soldati diFerdinando ii! E le visite all'Intendente? Per trovarsi dalla partedel manicose alla rivoluzione toccavano colpi di granata...

Ilducaa cui i Giulente avevano tenuti nascosti quegli attacchiordinando perfino alle guardie nazionali di non presentare almaggiore quei manifesti quando li spiccicavano dai muricominciòa chiederne notizieinsistette per leggerli. Impallidì unpoco vedendo il suo nomepercorrendo rapidamente le frasi in cui siparlava di lui; ma non disse nulla.

-"Enon poter sapere da qual mano vengono!"esclamava Benedetto. -"Nonpoter dare una buona lezione a questi vigliacchi!"

-"Chepossiamo farci!"rispose allora l'offeso. -"Sonoi piccoli inconvenienti delle rivoluzioni e della libertà. Mala libertà corregge se stessa... Non ve ne date pensiero..."

Peròappena quei due se ne furono andatiegli si mise il cappello in capoe salì difilato a San Nicoladove chiese del Priore donLodovico.

-"Guardache tuo zio"gli disse tranquillamente -"giuocaa un brutto giuoco. I cartelli anonimi vengono da lui e dalla suacomarca. Che egli se la prenda con menon m'importa; mi giovaanziprocurandomi maggiori simpatie; ma se continua a prendersela contuttia sparger sospetti e notizie bugiardepotrà toccargliqualche dispiacere. Te l'avvertoperché tu che gli staivicino glielo faccia sapere. A lungo andare tutto si scopre... Badi!"

Ilpriore non ne fiatò con don Blascoma riferì ogni cosaall'Abate perché questi ne tenesse parola con qualcuno degliamici del monaco. Padre Galvagno fu incaricato della commissione;all'udire quel discorsodon Blasco mutò di colore.

-"Ditea me?"esclamò. -"Sieteimpazzitivoi e chi vi manda. Dovete sapere che se io ho da dire ciòche sentolo dico sul muso a chi si siaoccorrendo anche aFrancesco iiche Dio sempre feliciti!"e fece un inchino profondo. -"Figurateviun po' se ho paura di questa manetta di briganti e carognuoli e..."e qui ricominciò a sfilare una litania più terribiledelle solite.

Mai cartelli anonimi divennero da quel giorno più rarie a pocoa poco cessarono. Il monacoa cui la bile quasi schizzava dagliocchisfogavasi in casa del principe — quando il duca non c'era— dicendo cose enormi contro il fratelloinsultandoloinfamandolorovesciandogli addosso epiteti di novissimo conioapetto ai quali quelli scambiati tra facchini e donne di mal affareerano complimenti e zuccherini. E la sua rabbia aveva un bersagliopiù vicino e più diretto nella nipote Lucrezia. Questavipera osava ancora pensare a quella carogna! L'avevano allevataperché li mordesse tutti quantiinsozzando il nome degliUzedafacendone ludibriosposando quella carogna!

-"Ahrazza putrida e schifosa! Ahporco Viceré che la creasti!...Meglio sarebbe stato..."(mettere al mondo soltanto bastardiera l'idea espressa dalle turpiparole) -"piuttostoche generare questo nipotame sozzo e puzzolente!..."


Furonoquelli i giorni più tremendi per Lucrezia. Erano tuttiscatenati contro di lei: o non le rivolgevano la parolao lacolmavano d'improperi; donna Ferdinanda l'afferrava pel bracciodandole pizzicotti che portavano via la pelle; don Blasco un giornoper miracolo non se la messe sotto. Pallida e mutaella lasciavapassare la tempestachinava gli occhinon piangevanon si lagnavanon si confidava a nessunonon chiedeva aiuto allo zio duca chesapeva amico di Benedetto e fautore del matrimonionon diceva unaparola dei suoi tormenti a Ferdinando che veniva al palazzounicamente per leilasciando in asso le sue bestie imbalsamate e daimbalsamare. Soltanto quando si chiudeva in camera con Vannaperavere le lettere del giovanele dicevacon un sorriso freddoafior di labbro: -"Èinutile! Lo sposerò!..."

Eglifrattantocontinuava a propugnare l'elezione del ducacon la parolain mezzo ai circolicon gli scritti nell'Italia risorta enelle stampe volanti intitolate: Chi è il ducad'OraguaUn patrizio patriottae via discorrendo. -"Findal 1848 l'insigne gentiluomo schierossi contro il governo del ReBombatanto maggiore il suo merito in quanto egli non aveva darimproverargli torti fatti a lui o ai suoima al popolo intero...Nel lungo periodo di preparazione noi lo vediamo a Palermointrinseco dei più chiari patriotti portare il contributodella sua attività e delle sue sostanze alla causa nazionale.Ai primordi del movimento liberatorecorre in patriapoichéegli vuol parte dei dolori e delle gioie dei suoi amati concittadini.Qui è largo del suo prezioso ausilio ai liberalie fa sentireai rappresentanti dell'esecrato borbone la voce che ormai locondanna. Egli versa il suo contributo per la formazione dellesquadre volontariesussidia quanti liberali perseguitati soffrononell'indigenza. Ritirati gli sgherri di Francescoaccorre tra iprimi a regolare il governo della cittàsi ascrive tra lefile della nazionale miliziapalladio di libertà; acquistaper essa divisemunizioni e non pochi brandi. Apre la sua casa avitaa Bixio ed a Menottirende ai liberatori gli onori della città.Sollecitato a rappresentare il primo collegio al Parlamentomodestamente declina l'offertavolendo esser primo ai sacrificiultimo agli onori. Ma il paese lo vuole. La sorella Palermo ce loinvidia. E chi porta il nome di duca d'oragua non puòsottrarsi alla volontà del paese. Egli sarà il nostrodeputato!"

Ilducada canto suoriparlava al principe del matrimonio di Lucreziatesseva l'elogio del giovaneasseriva che era un partito da nonlasciar sfuggireperché i Giulente avevano quel solofigliuolo al quale sarebbero andate tutte le loro sostanze.

-"Convieneanche per un'altra ragione"spiegava al nipote -"chenon baderanno alla dote..."

-"Checi badino o noche cosa m'importa?"rispondeva il principe. -"Lucreziaha quello che ha; Vostra Eccellenza crede che io glielo voglianegare?"

-"Chiha detto questo? Dico che si contentano di quello che ha..."

-"Sonoaffari che non mi riguardano. Sarebbe curioso che io impedissi a miasorella di fare quel che le aggradaalla sua età! La volontàdi nostra madre forse poteva essere che restasse in casa; ma nostramadre è all'altro mondo; e quando pure vivesse..."

Egliinsisteva spesso su questo tonoripeteva che sua sorella era liberadi prendersi Giulentema le parole gli cascavano di boccatroncavaa mezzo il discorsocome se avesse dell'altro da diree tacesse poiper prudenzaper convenienzaper non parere ostinato. Tanto che ilduca un giorno gli domandò:

-"Maparla chiaro! Sei contrario a questo matrimonio?"

-"Io?...Quando è approvato da Vostra Eccellenza!..."

-"Giulentenon ti piace?"

-"Hada piacere a me?... È un buon giovane; basta saperlo amico diVostra Eccellenza... Discretamente agiatoanche... Io non ho ipregiudizi della zia Ferdinanda e di don Blasco; i tempi oggi sonomutati... Vostra Eccellenza si persuada pure che se Lucrezia crede dipoter essere felice con luiio non mi opporrò... Peròè giusto che neppur lei mi cerchi lite!"

-"Perchédovrebbe cercartela?..."

-"Perché?...Perché?... Vostra Eccellenza non sa nullaera a Palermo inquel tempo!..."E allora gli confidò i dispiaceri che la sorella gli avevadaticomplottando con Chiaracol marchesecon Ferdinandoaccampando dirittiinterpretando a modo suo la leggeaccusandoloperfino di volerla spogliare con tutti gli altri. -"Adessose va a maritobisognerà finirla con tutta questa storia... EVostra Eccellenza vedrà che cominceranno da capo!"

-"Nossignore!"rispose il ducafermamente. -"Ilmatrimonio si faràma prendo impegno che tu non saraimolestato."

GiàPadre Camillo aveva tenuto un simile discorso alla ragazza. Avevacominciato a dirle che quell'unione era avversata da tuttiinfamiglianon perché presumevano che restasse zitella —quantunque!... benché!... — ma per la ragione che non eraun partito conveniente. La considerazione della nascita aveva certola sua importanza; non tanto per se stessa quanto per quella dellaeducazionedei principi morali e religiosi che implicava. Giulenteera forse un buon giovane — non voleva infamarlosenzaconoscerlo — ma professava dottrine pericoloseparteggiava peinemici dell'ordine socialedel potere legittimodella Santa Chiesa;e non si contentava di far ciò a parolema veniva agli atti.E una Uzedauna nipote della Beata Ximenauna figlia del principedi Francalanzaavrebbe sposato costui? Come era possibile ches'intendessero? L'amorel'accordo poteva regnare fra loro? E poilasciamo star questoma Giulentebenché facoltosol'avrebbemantenuta con quel lusso al quale era stata avvezza? Aveva idee edabitudini signorili?... Dunquela famiglia non si opponeva per purocapriccioma per ragioni valide e gravi. Peròdiceellastessa doveva esser miglior giudice di tutto questo: poteva forsesentirsi animata da tanto amore da andare incontro anche ai disagimateriali dell'esistenzada sperare di poter convertire il giovane.Opera meritoriazelo encomiabile; ma la quistione principaleunicaera che senza l'approvazioneil beneplacitola benedizione diquelli che rappresentavano le felici memorie di suo padre e di suamadre non poteva sperar pace e prosperità.

Lucrezianon aveva risposto una sillaba.

-"Checosa vogliono"dissequando il confessore tacque -"perlasciarmelo sposare? Dicano ciò che vogliono; farò comevorranno."

-"Neero sicuro!"esclamò il Domenicano con accento di gioioso trionfo. -"Erocerto che una buona ragazza come te non avrebbe risposto altrimenti.E il principeche ti vuol beneti sosterrà! Mettetevid'accordosiate sempre uniti: questo è il vostro interessereciproco e la consolazione di chi vi guarda di lassù."

Cosìquando il ducache non aveva ancora parlato con la nipote delladomanda di Giulentegliela partecipò e le disse nel tempostesso che Giacomo desideravaprima che gli si desse una rispostasistemare le quistioni d'interesseLucrezia si dichiaròpronta. Il principeche aveva tenuto molte conferenze col signorMarco ed era stato molti giorni chiuso nello scrittoiovenne fuori achiedereanche a nome del fratello coeredeche fosse presa comebase la divisione fatta dalla madredimostrandone con gran lusso didocumenti e di cifre la giustezza; dimostrando altresì che laparte del padre non era mai esistita fuorché nella fantasiadello zio don Blasco. Esistevano però le cambiali che egliaveva pagato; sua sorella doveva dunque sostenere la sua parte inproporzione del legato: a conti fattinon le toccavan più diottomila onze. Lucrezia accettò questa somma. Il testamentomaterno prescriveva poi che il principe dovesse pagarle gli interessial cinque per cento; ma nei cinque anni trascorsi dalla morte dellamadre non aveva egli mantenuto la sorelladi tutto puntodandolecasavittoservizioabitiuso della carrozzaecc.ecc.? Dovevaegli sostenere del proprio queste spese? Se sua sorella fosse statain bisognocerto egli l'avrebbe raccolta in casa per l'affetto chele portavaricordandosi che era dello stesso sangue. Ma ella avevala sua roba: non era dunque giusto né ella stessa potevaaccettare che per cinque anni il fratello l'avesse mantenuta. Rifattoil contogli interessi delle ottomila onze rappresentavano appuntole spese del mantenimento; dunque non le toccava altro che ilcapitale. Lucrezia disse ancora di sì. Tutto parve cosìstabilitoma all'ultimo momento il principe mise allo zio duca unanuova condizione:

-"Iovoglio regolare anche la situazione degli altri legittimari. Avevanotutti ragioneo hanno torto tutti: non pare a Vostra Eccellenzalogico e giusto? Giacché dobbiamo metter mano alla cartabollatabisogna uscirne in una sola volta. Ne parli VostraEccellenza agli altri e li metta d'accordo."

Chiarae il marchese non avevano le stesse ragioni per chinare il capo aipatti del principema il momento era propizio per tentar d'indurreanche questi altri ad una transazionegiacché non vivevano senon dell'attesa del figlioe la gioia di cui l'imminenzadell'avvenimento li colmava era tale che li disponeva a passar sopraad ogni altro interesse. Perciò quando il duca riferìloro che Lucrezia si maritava ed aveva concluso la transazioneapprovaronogiudicando soltanto che l'affare degli interessitrattenuti come compenso delle spese di mantenimento faceva pocoonore al principe. Contenta leidel restocontenti tutti.

-"Adessodovete aggiustarvi anche voialtri!..."aggiunse il ducacol tono d'affettuosa imposizione consentitogli nontanto dalla qualità di zioquanto dall'avere accettato ditenere al fonte battesimale il nascituro.

Ilmarchesescambiata un'occhiata con la moglierispose:

-"SeVostra Eccellenza vuole così..."

-"Ilconto di Chiara è naturalmente lo stesso di quello diLucrezia; ma per lei non c'è la quistione degli interessieGiacomo li pagherà fino all'ultimo."

-"Ioho preso la mia cara Chiara pel bene che le voglioe non peiquattrini..."echinatosi sulla moglieFederico la baciò in fronte.

-"Mail legato dello zio canonico? L'assegno matrimoniale?"rammentò ellaper non lasciar sopraffare il generoso marito.

-"Giacomonon intende riconoscerlie non so se ha ragione o torto... Ma ormaibisogna uscirne! A voiper oraqualche migliaio d'onze non faniente; io le compenseròa suo tempoal mio figlioccio!..."

Cosìfu conclusocon giubilo immenso del marito e della moglie. RestavaFerdinandodal quale il principe voleva le duemila onze della quotadi debiti. Sull'animo del Babbeo Lucrezia sola poteva; ella peròinvece di parlare col fratellosi mise a lettorifiutando di vederegenteaccusando sofferenze misteriose. Il Babbeosaputa la malattiadella sorellavenne a trovarlatutti i giorni; ma Lucrezia pareval'avesse specialmente con lui. La cameriera le aveva detto ed ellastessa s'era accorta che Giacomo la strozzava; maper vincerlacontro i parentisarebbe passata sopra a ben altro. Adesso ellasentiva il male che preparava al fratello minoreil solo che levolesse beneinducendolo a spogliarsi d'un poco della magra ereditàla più magra di tutte le porzioni; ma nella sua testa le partis'invertivano: il torto era di Ferdinando che non s'interessava aleiche non le domandava che cosa avesseche non rimoveva l'ultimoostacolo alla conclusione del matrimonio. Ferdinando invece nonsapeva nulla di nullae restò a bocca aperta quando il ducaper cavare una buona volta i piedi da quel pecorecciogli riferìogni cosa.

-"Èvenuto un buon partito a tua sorella... Benedetto Giulentesaiquelgiovane tanto intelligenteche si è fatto tanto onore..."

-"Ahsì? Va beneci ho piacere..."

-"Manaturalmente Giacomo vuol prima sistemare gl'interessiconcludere ladivisione rimasta per aria. Lucrezia s'è accordataChiaraanche lei; però tuo fratello vuol definire la pendenza con teuna volta che è la stessa quistione... Questa è lamalattia di Lucrezia..."

-"Eperché non me n'ha parlato prima?"

Egliaccorse al capezzale dell'infermaper dirle:

-"Stupida!T'affliggi per questo? Lo zio mi ha narrato ogni cosa... Se t'accorditunon ho ragione di accordarmi anch'io? Bisognava dirlo subito! Seicontenta così?..."


Ilgiorno dell'elezione era vicino; i due Giulentema piùspecialmente Benedettoavevano scovato gli elettoricompiuto tuttele formalità dell'iscrizione; mattina e sera veniva gente atrovare il duca per dichiarargli che avrebbero votato per lui: iGiulente non mancavano mai. La vigilia della votazionementreappunto il candidato dava udienza ai suoi fautoriil cameriere delmarchese venne di corsa a chiamare il principe e la principessaperché Chiara era sul punto di partorire. Quando Giacomo eMargherita arrivarono in casa di leitrovarono Federico che smaniavacome un pazzodall'ansietànon potendo assistere lasofferentechiamando però a ogni tratto la camerieralacugina Graziella o una delle tre levatrici che si davano il cambio alletto della partoriente. Il principe restò con lui e laprincipessa entrò nella camera di Chiara. Nonostante iltravaglio del partocostei aveva un'aria beatasorrideva tra duecontorcimentiraccomandava che rassicurassero suo marito.

-"Ditegliche non soffro... Va' tu stessaMargherita... Ah!... Poveretto... èsulle spine..."

Ilsuo desiderio di tanti anniil suo voto più ardenteeradunque sul punto d'esser conseguito! I dolori s'attutivanoaquest'idea; ella non soffriva quasi più pensando all'ambasciadel marito... Quando la principessa tornò in cameralalevatrice esclamava:

-"Cisiamo!... Ci siamo!..."

-"Presentala testa?"domandò la cuginache reggeva per le ascelle la marchesa inpreda all'ultima crisi.

-"Nonso... Coraggiosignora marchesa... Che è?..."

Aun tratto le levatrici impallidironovedendo disperse le speranze diricchi regali: dall'alvo sanguinoso veniva fuori un pezzo di carneinformeuna cosa innominabileun pesce col beccoun uccellospiumato; quel mostro senza sesso aveva un occhio solotre specie dizampeed era ancor vivo.

-"Gesù!Gesù! Gesù!"

Chiaraper fortunaaveva perduto i sensi appena liberatala principessache s'era aggirata per la camera senza toccar nullaincapace di dareaiuto alla partorientevoltava adesso il capodal disgustoprodottole da quella vista; e le levatricila cuginala camerierasi guardavano costernateesclamando:

-"Echi vuol dare la notizia al marito!"

Giustoil marchesenon udendo più nullachiamava:

-"Cugina!...Donn'Agata!... Come va?... Cugina!... Non viene nessuno?"

Fudonna Graziella quella che dovette andargli incontro a prepararlo albrutto colpo:

-"Cuginodi buon animo!... Chiara è liberata..."

-"Èmaschio?... È femmina?... Cugina!... Perché nonparlate?"

-"Fatevianimo!... Il Signore non ha voluto... Chiara sta bene; questo èl'importante..."

Ilprincipeentrato a vedere l'aborto il cui unico occhio erasi spentotentò d'impedire al cognato smaniante l'entrata nella cameradella moglie; ma non vi riuscì. Dinanzi al mostro che lelevatrici costernate avevano deposto sopra un mucchio di panniilmarchese restò di sassoportando le mani ai capelli.Frattanto sua moglie tornava in sensiguardava in giro gli astanti.-"Federico!...È maschio?..."furon le prime parole che spiccicò.

-"Stiazitta!"ingiunsero a una voce le donnemettendosi dinanzi all'aborto perimpedire che lo scorgesse. -"Nonle dite nulla per ora..."

-"Federico!"chiamava ancora la puerpera.

-"Chiara!...Come stai?"esclamò il marcheseaccorrendo. -"Haisofferto molto? Soffri ancora?"

-"Nonulla... Nostro figlio?"

-"Chiaraconfortati! È una femminetta..."annunziò la cuginaaccorrendo. -"Cheimporta!... È tanto bellina!"

-"Peccato!..."sospirò ella. -"Seidolente per questo?"domandò poi al maritovedendone la ciera buia.

-"Manono!... Tutti i figliuoli sono cari lo stesso..."

-"Edov'è?... Portatela qui..."fece ellacon un nuovo sospiro.

Inquello stesso punto la camerieradietro ordine della principessaportava via il feto avvolto in un pannocercando di non farsiscorgere.

-"Èlì!..."esclamò Chiara. -"Vogliovederla..."

Allorauna grande confusione ammutolì tutti quanti. Federicoaccarezzandole le manibaciandola in frontele disse

-"Coraggiofiglia mia!... Fàtti coraggio... Vedi che anch'io mi rassegno!Il Signore non volle..."

-"Èmorta?"domandò ellaimpallidendo.

-"No...è nata morta... Coraggiopoveretta!... Purché tu stiabene... il resto è nulla: sia fatta la volontà di Dio."

-"Vogliovederla."

Tuttila circondaronoinsistendo per dissuaderla da quel proposito:giacché era morta! Perché angustiarsi a quella vista!Bisognava che ella s'avesse riguardo; l'importante adesso era lasalute di lei!

-"Vogliovederla"ripeté seccamente.

Bisognòcontentarla. Non piansenon provò raccapriccio nell'esaminarequell'abominio; disse al marito:

-"Eratuo figlio!..."

Eordinò che non lo portassero viapel momento. Arrivaronofrattanto gli altri parentidon Eugeniodonna Ferdinandaladuchessa Radalìi cugini del marchese; tutti si condolevanoma auguravano miglior fortuna per la prossima volta. Arrivòanche il ducaverso seraa fare i suoi convenevoli; ma restòpocopoichè i Giulente lo aspettavano giùperriferirgli le ultime notizie intorno alle disposizioni del collegio:Benedetto pareva Garibaldi quando disse a Bixio: -"Ninodomani a Palermo!..."

Ildomani infatti egli corse su e giù per le sezioniper le casedei votantisollecitando la formazione dei seggiinterpretando lalegge che riusciva nuova a tuttiincitando la gente a deporrenell'urna il nome d'Oragua. Frattanto in casa di Chiaraquasi insegno di protesta contro quell'ultima pazzia del ducas'eranoriuniti tutti gli Uzeda borboniciad eccezione di don Blasco ilqualedopo la transazione dei nipotila conclusione del matrimoniodi Lucrezia e la candidatura del fratellopareva veramenteimpazzito. La marchesa stava discretamente in salute e sopportavaanche con sufficiente rassegnazione la sua disgrazia; il marchese nonlasciava il capezzale della puerpera e si chinava a parlarleall'orecchio: nessuno dei due ascoltava i motti feroci di donnaFerdinanda contro il fratelloi ragionamenti storico-criticiche il cavaliere teneva al principinovenuto anche lui a far visitaalla zia col Priore e fra' Carmelo. Chiara aveva mandato a chiamareFerdinandoe lo aspettava con viva impazienza: quando egli apparvese lo fece venire accanto e gli parlò pianolungamente. Poichiamò la cameriera ecavato di sotto al guanciale un mazzodi chiaviglielo diedeordinandole in mezzo al frastuono dellaconversazione:

-"Saila boccia dello struttonel riposto?... la grande?... Prendilavuotala e nettala bene... Ma bene mi raccomando! Se c'è acquacalda è meglio."

Prontache fu la bocciaFerdinando andò a vederla.

-"Vabene"disse; -"adessooccorre lo spirito."

Lamarchesa ordinò che andassero a comprarlo; e allora in mezzoal cerchio dei parenti stupefattifu recato il fetogiallo come dicerache Ferdinando lavòasciugò e introdusse poinella boccia dove versò lo spirito e adattò il tappo.

-"C'èun po' di sego?... di creta?..."

-"Hoil mio cerottose ti serve..."disse il marchese.

Edel cerotto che appestava la camera Ferdinando spalmòl'incastratura del tappoperché non entrasse aria nelrecipiente. La marchesa seguiva attentamente l'operazione; Consalvocon gli occhi spalancatiguardava quel pezzo di grasso diguazzantenello spirito; a un tratto disse a don Lodovico:

-"Zionon pare la capra del museo?"

Almuseo dei Benedettini c'era infatti un altro aborto animalescounotricciuolo con le zampeuna vescica sconciamente membrificata; mail parto di Chiara era più orribile. Don Lodovico non rispose;fatta una breve visita alla sorellaandò via. Anche gli altria poco a poco se ne andaronolasciando Chiara sola col marito aguardar soddisfatta quel pezzo anatomicoil prodotto piùfresco della razza dei Viceré. Premeva al principe di tornaredallo zio duca eper fargli cosa grataprese con sé ilfigliuoloquantunque fosse l'ora che il ragazzo doveva tornare alconvento. La famiglia era appena arrivata al palazzoche s'udironodi lontano suoni confusi: battimanigridasquilli di tromba e colpidi gran cassa. Una dimostrazione di cittadini d'ogni classe conbandiere e musicacapitanata dai Giulenteveniva ad acclamare ilprimo deputato del collegiol'insigne patriotta. Il portinaiovedendo arrivare quella turba vociferantefece per chiudere ilportone; ma Baldassarremandato giù dal ducagli ingiunse dilasciarlo spalancato. La folla gridava: -"Vivail duca di Oragua! Viva il nostro deputato!"mentre la banda sonava l'inno di Garibaldi e alcuni monellianimatidalla musicafacevano capriole. I Giulenteil sindacoaltri otto odieci cittadini più ragguardevoli parlamentavano conBaldassarrevolendo salire a complimentare l'eletto del popolo;poiché il duca si trovava su nella Sala Giallail maestro dicasa ve li accompagnò: Benedetto Giulenteappena entratovide Lucrezia accanto alla principessaancora col cappellino incapo. Il ducafattosi incontro ai cittadinistrinse la mano atuttiprodigando ringraziamentimentre dalla via veniva ilfrastuono delle grida e degli applausie il principevisto nelcrocchio un iettatore impallidiva mormorando: -"Salutea noi! Salute a noi!"Fu il nuovo elettopertantoquello che presentò Giulentealle nipoti. Il giovane s'inchinòesclamando raggiante:

-"Signoraprincipessasignorinasono felice e superbo di presentar loro laprima volta i miei omaggi in questo fausto giorno che è difesta per la loro casa come per tutto il paese..."

-"VivaOragua!... Fuori il duca!... Viva il deputato!"urlavano giù.

EBenedettoquasi fosse già in casa suaspalancò ilbalcone. Allora il duca impallidì peggio del nipote: eglidoveva adesso parlare alla follaaprire finalmente il beccodirequalcosa. Stringendosi a Benedettobalbettava:

-"Checosa?... Che debbo dire?... Aiutami tumi confondo..."

-"Dicache ringrazia il popolo della lusinghiera dimostrazione... che sentela responsabilità del mandatoma che consacrerà tuttele sue forze ad adempierlo... animato dalla fiduciasorretto..."Ma poiché le grida raddoppiavanoegli lo spinse verso ilbalcone.

Appenail deputato apparveun clamore più alto levossi dalla viaformicolante di teste; salutavano coi cappellicoi fazzoletticonle bandierevociando: -"Evviva!Evviva!..."Giallo come un mortoafferrato alla ringhiera con tutte e due lemanicon la vista ottenebrataimmobile in tutta la personal'Onorevole cominciò:

-"Cittadini..."

Mala voce si perdeva nel tumulto vasto e incessantenel coroassordante degli applausi; l'atteggiamento del deputato non facevacapire che egli volesse discorrere. Benedetto alzò un braccio;come per incanto ottenne silenzio.

-"Cittadini!"cominciò il giovanotto; -"innome di voi tuttiin nome del popolo sovranoho comunicatoall'illustre patriotta..."-"EvvivaOracqua!... Evviva il duca!..."-"lasplendidal'unanime affermazione dell'intero collegio... Alle tanteprove d'abnegazione da lui date al paese..."-"Evviva!Evviva!..."-"ilduca d'Oragua aggiunge quest'altra: di obbedire ancora una volta allavolontà del paese e di rappresentarci in quell'angustoconsesso dove per la prima volta concorreranno i figli..."

Manon poté finire quel periodo. Le acclamazionii battimanisoffocavano le sue parole; gridavano: -"Vival'unità italiana! Viva Vittorio Emanuele! Viva Oracqua! VivaGaribaldi!..."Altri aggiungevano: -"VivaGiulente! Viva il ferito del Volturno!..."

-"Loslancio da cui vi vedo animati"egli proseguiva -"èla più bella conferma del responso dell'urna... di quell'urnadonde ancora una volta esce la libera... la sovrana volontàd'un popolo divenuto padrone di sé... Cittadini! Il 18febbraio 1861tra i rappresentanti della nazione risorta noi avremola somma ventura di veder sedere il duca d'Oragua. Viva il nostrodeputato!... Viva l'Italia!..."

Unoscroscio finale d'applausi rintronò e la folla cominciòa rimescolarsi. Una seconda voltacon voce strozzatasenza ungestosenza un motoil duca aveva cominciato: -"Cittadini..."ma giù non udivanonon comprendevano ch'egli fosse perparlare. Alloravoltatosi verso le persone che gremivano il balconeegli disse:

-"Volevoaggiungere due parole... ma se ne vanno... Possiamo rientrare..."

Sorridevatraendo liberamente il respirocome liberato da un incubostringendo la mano a tuttima più forte a Benedettoquasivolesse spezzargliela.

-"Grazie!...Grazie!... Non dimenticherò mai questo giorno..."

Guidòil giovane nella stanza attigua perché prendesse congedo dallesignoreaccompagnò tutti fino alla scale. Quando rientròil principeliberato anche lui dall'incubo della iettaturaricominciò a complimentarloadditandolo come esempio alfigliuolo:

-"Vedi?Vedi quanto rispettano lo zio? Come tutto il paese è per lui?"

Ilragazzostordito un poco dal baccanodomandò:

-"Checosa vuol dire deputato?"

-"Deputati"spiegò il padre -"sonoquelli che fanno le leggi nel Parlamento."

-"Nonle fa il Re?"

-"IlRe e i deputati assieme. Il Re può badare a tutto? E vedi lozio come fa onore alla famiglia? Quando c'erano i Viceréinostri erano Viceré; adesso che abbiamo il Parlamentolo zioè deputato!..."





Parteseconda



1.


Quandoin città si seppe che il conte Raimondo era piovuto da Firenzein casa Uzedaospite inattesosolosenza bagaglicon una saccanella quale aveva ficcato appena la poca biancheria occorrente inviaggiofu un sussurro generaleuno scambio di commentidisupposizionidi domande curiose ed insistenti come per un graveavvenimento pubblico. La prima notizia corsa di bocca in bocca dicevache il contino aveva abbandonato la moglie per separarsenedefinitivamente. I bene informati sapevano che donna Isabella Fersada Palermose n'era andata a Firenzedopo la rivoluzione. Questosolo fatto non bastava a spiegar tante cose? Era dubbio soltanto sel'amica avesse raggiunto il contino di sua propria iniziativa od'accordo con lui. Dicevano alcuni che ella era andata nel continenteper divertirsisenza pensare più all'Uzeda; ma perchésceglier proprio la città dov'egli stava? Lei come lei avevaoramai ben poco da perdere. Poteva forse sperare d'essere ripresa dalmaritodopo due anni di separazione? Vivendo la suoceranon erapossibile; don Mario poteva commettere la debolezza di perdonaretanto più che voleva ancora bene alla moglie e la piangevagiorno e notte peggio che se fosse morta; ma la madre vegliava perlui. Donna Isabelladunquenon arrischiava più nullaanzinon potendo resistere alle tentazionicosì giovane com'erapiuttosto che procurarsi nuovi amici le conveniva tornare col primo:l'unico errore le sarebbe stato così più facilmenterimesso... Ma per Raimondo la cosa era diversa. C'erano i figli dimezzodue innocenti creature!... E la buona gente compiangeva lacontessacosì mitecosì dolcecosì devota almarito e condannata intanto — che cosa è il mondo! —ad una vita d'angustie.

Laservitùal palazzo Francalanzanon discorreva d'altrodimenticava perfino il fidanzamento di Benedetto Giulente con lasignorina Lucrezia. Quest'avvenimentobenché previsto ediscusso da tanto tempoaveva già provocato un risveglio deipartiti in cui i famigliari del principe eran divisi; e mentreGiuseppeil portinaiosi scappellava inchinandosi all'arrivo delfidanzato come se rincasasse il padrone in carne ed ossaPasqualinoRiso non si toccava neppure il berrettoda sotto l'arco del secondocortile dove stava a prendere il solee a mala pena degnavasid'abbassar la pipa e di voltarsi di fianco se gli veniva di tirareuno scaracchio. Solo Baldassarre serbava la sua bella imparzialitàbadando esclusivamente al servizio e trattando il promesso dellasignorina come lo vedeva trattato dal principe: con grande compitezzama senza confidenza. -"Ipadroni sono padroni"diceva il maestro di casa; e se udiva il basso servitorame discuterecon troppo calore della scelta della padroncinarimandava i famiglialla stalla e gli sguatteri in cucina. -"Èforse tua sorellaanimale?"Che cosa avevano essi da vedere se donna Ferdinanda e don Blascosempre d'accordo quantunque non si potessero tollerarenon venivanopiù al palazzodisapprovando il matrimonio? Faceva veramenteun certo effetto anche a luiBaldassarreche una degli Uzedadovesse sposare un avvocato: ma il giovanotto aveva studiatoper suo piacerenon già per esercitare la professione. Equantunque non fosse della costola d'Adamopure aveva l'educazionedei signoridava dell'Eccellenza al padre e alla madre;quand'era entrato in casa della promessa aveva regalato alla servitùquel che si deve. Forse i suoi parenti non erano molto fini; ma glisposi non dovevano fare tutta una casa con loro. Per tutte questeragioniBaldassarre non poteva permettere che i suoi dipendenticicalassero; ma le chiacchiere non finivano maie soltanto l'arrivodel contino le avviò sopra un altro soggetto. Che ilpadroncino Raimondo non fosse venuto per affaricome certunivolevano dare a intendereera certo e sicuro agli occhi dellaservitù: se fosse venuto per affari avrebbe portato almeno unavaligianon già quella sacca con due camicie e due paia dicalze e di mutande; né avrebbe avuto quella brutta cieraluiche era sempre di buon umorelontano dalla moglie! Gli affarisemaili aveva col principe suo fratelloe invece se ne andava tuttii giorni dalla zia donna Ferdinandaquella che era servita dicoperchionei primi tempi dell'amicizia con la Fersa. E donnaFerdinanda diceva chiaro a tutti la sua opinione: allo stato dellecoseattesa l'incompatibilità dei caratteri tra marito emoglienon c'era da far altro che separarsida buoni amici: metterele ragazze in collegiomaritarle al più prestoe delrimanente ciascuno per la sua vita.

Ilprincipeinvecenon parlava al fratello né della moglie nédelle bambineneppure per chiedergli se eran vive o morte. Raimondoper conto suopareva avesse lasciato la lingua a casa ose dicevaqualcosaparlava del più e del menocon aria distrattaimpacciandosi meno che mai di quel che avveniva in famiglia.Dell'accordo dei legataridel matrimonio di Lucrezia non avevafiatatocome fossero cose che non lo riguardassero puntoo intornoalle quali egli avesse già manifestato la propria opinione. Eappena appena s'accorse di Giulentedel futuro cognato.

Lucreziatrionfava: Benedetto veniva tutte le sere a farle la corte; fra seimesi sarebbe stato suo marito. Della transazione strozzatadelsacrifizio fatto per proprio conto e quasi imposto agli altrinon sirammentava neppure. Il giovanearticolo interessequasi non l'avevalasciata direpoiché voleva lei e non la dotepoichéa quel patto s'era ottenuto il consenso del principe. Tuttavia questoconsenso era così freddo che pareva strappato per forza; senzacontare che don Blasco e donna Ferdinanda non venivano più alpalazzoche lo stesso don Eugenio faceva il viso dell'arme al futuronipote. Ma più i parenti si mostravano contrari al matrimoniomaggiori dimostrazioni d'affetto ella faceva a Benedetto: -"Nondar loro retta: sono tutti pazzi! Senza ragione ti odianosenzaragione un bel giorno faranno pace!..."E gli narrava le loro pazziegli suggeriva il modo come disarmarlicome prenderli dal loro debole. Il giovane non aveva bisogno dei suoiconsigligiacché poneva ogni studio nel farsi accettare daifuturi parentisapendo chese avrebbe potuto fare un matrimoniomigliore quanto a interessenon ne avrebbe potuto fare uno migliorequanto a nobiltà. E i Giulente avevano la manìad'essere nobili o per lo meno nobilitati dalla lunga serie dimagistrati avuti in casa: il loro più grande cruccio era perla mancata istituzione del maggiorasco. Pertanto custodivanogelosamente i diplomi e i ritratti di tutti i dottorigiudici epresidenti dai quali discendevanoe si vantavano per le nobilialleanze contrattespecialmente nelle ultime generazioni. Cosìagli occhi della gente che non andava troppo pel sottile eranoconsiderati come nobili; come a nobili senza titolo davano loro delcavaliere; ma i puri li tenevano a una certa distanza. Inqueste condizioni il matrimonio di Benedetto con la sorella delprincipe di Francalanza era una fortunae come tale la consideravanodon Paolo e donna Eleonora sua moglie. Dall'orgoglio d'essereriusciti a combinarlonon s'accorgevano neanche della freddezza edell'ostilità degli Uzedao l'attribuivano al liberalismo diBenedetto: il giovanevano com'essima meno accecatola notavaelavorava a vincerla. S'era subito accaparrata la simpatia dellaprincipessaevitando di darle la mano e lodandole la bellezza e lagrazia di Teresina. Non molto difficile fu la conquista di donEugenioche da principio affettava di non accorgersi di lui. Ilgiovineindettato da Lucreziagli si mise a parlare di cosestoriche e artistichedei Viceré Uzedaascoltando a boccaaperta le sentenze del cavaliere; poi lo pregò di farglivedere le sue collezioni d'arte e si profuse in elogi alla vista ditutti i cocci e di tutte le tele imbrattatepasteggiando asuperlativi dinanzi ai Tiziano ed ai Tintorettoche dichiaròsuperiori a tutti i quadri degli stessi autori conservati nel museodi Napoli. Venuto RaimondoperòBenedetto si trovava spessotra due fuochiperché don Eugenio e don Cono magnificavano leglorie cittadinei patrii monumentie Raimondo interrompeva il suomutismo solo per denigrarli. Giulente dava un colpo al cerchio ed unaltro alla bottenon sapendo come prenderligiacché nonandavano mai d'accordo. Pur d'ammirare i forestieriRaimondo quasidisprezzava la nobiltà della sua casa; don Eugenio invecelavorava assiduamente alla sua Istoria cronologica. Nonparendogli che questo titolo sonasse abbastanzalo aveva mutato inquello di Discettazione Istorico-cronologica;ma poiché don Cono sosteneva che discettazione non equivalevaa dissertazionetra i due s'erano impegnate discussioni molto piùlunghe e vivaci che non intorno al modo di scrivere solennese con una o con due elle. Richiesto del suo parereBenedetto pensò un poco non al vocabolarioma alla freddezzache gli dimostravanoalla guerra dichiaratagli dal monaco e dallazitellona.

-"Credoche siano sinonimi..."rispose.

-"Avetecapitotesta dura?"disse allora don Eugenio trionfante a don Cono. -"V'arrendetefinalmente?..."

Ilprincipedal canto suogiovavasi del futuro cognato in altro modo.Il codice sardo aveva sostituitonel maggio 1861quello napolitanoe giudiciavvocati e litiganti ammattivano sulla nuova legge.Benedettoun po' per amore allo studioun po' per zelo patriotticolo aveva sviscerato col suo maestro; e alloradiscorrendo di questoe di quelloil principe induceva il giovanotto a istituire confrontifra i due testia indicarne le differenze e le concordanze; certevoltecon l'aria di parlare in tesi generaledi casi immaginari osenza interessegli prendeva vere consultazioni legali. Un giornogli domandò che cosa pensava circa il legato della badia.Giulentequantunque credesse il contrariogli rispose che il casoera dubbioche la nullità di quella istituzione potevasibenissimo sostenere... Per ingraziarsi tutti quegli Uzeda egli nesecondava e incoraggiava le pretese; madall'orgoglio di frequentarla loro casadalla superbia di imparentarsi con essiaccettavaquella partesposava sinceramente le cause dei futuri parenti: laDiscettazione del cavaliere gli pareva un'opera veramenteutile; le ragioni del principe veramente plausibili. Vanitàaristocratiche del padre e infatuamento liberale dello zio si davanola mano in lui; talchégloriandosi di discendere dal MastroRazionale Giolentisostenevaa proposito dell'elezione del ducad'Oraguache il governo del paese doveva esser preso da -"noi":cioè da -"un'aristocraziacapacecome la inglesed'intendere e di soddisfare i bisogni dellanazione..."Maa quelle usciteegli perdeva il cammino fatto: il principe e ilcavaliere non sorridevano tanto di sprezzo per le teorie liberaliquanto per udire quel -"noi"in bocca suanel vedere un Giulente prender sul serio la proprianobiltà. Quando il giovine parlava dei suoi passatideglionori che avevano ottenutidelle tradizioni signorili della propriacasadello stemma di famigliail principe si lisciava la barbadonEugenio guardava per ariala principessa chinava gli occhiilavapiatti ammiccavano fra lorola stessa Lucreziaa quel subitogelo diffuso per l'ariasi veniva rannuvolandomentre approvava conun gesto del capoma senza fiatare.

Unasera egli rammentò il canonico Giulentefiorito nel secoloscorsocelebre per certe opere di diritto ecclesiasticospecialmente pel grande trattato Del matrimonio. Raimondopresentepareva interessarsi a quel discorso.

-"Nuovaè la trattazione"diceva Benedetto -"delcapitolo sugli impedimentiimpedienti e dirimenti. Ho avuto per lemani molte opere sul soggetto; ma lo sviluppola ricchezza di testie di commenti di questa sono davvero ammirabili."

-"Sìsì..."confermò per quella volta il cavaliere; -"l'holetta anch'io."

-"Comehai detto?"domandò Raimondo. -"Impedimenti?..."

-"Impedimentie dirimenti."

-"Impedimentoimpediente però"fece osservare don Eugenio -"mipare la stessa cosa."

-"Eccellenzasì"egli dava già dell'Eccellenza al futuro zio; -"madicesi impediente per distinguerlo da dirimente; in altre parole:ostacoli che impediscono la celebrazione e ostacoli..."

-"Permetti!"interruppe il Gentiluomo di Camera. -"Impedimentoche impedisce è una bella stramberia! L'impedimento puòforse favorire?"

Benedettoripigliòcon molta pazienzala dimostrazione; ma ilcavaliere ribattevacocciutoche la -"dizione"era sbagliatané tacque se non quando Raimondo esclamòseccato:

-"Maziolo vada dire ai canonisti! Se questa è l'espressionelegale! E i dirimenti"domandò a Giulente -"qualisono?"

-"Gliimpedimenti dirimenti sono quelli che annullano il matrimonio quandoè già contratto."

-"Cioè?"

-"Eh!...Se ne contano più d'una dozzina... anzi quattordiciprecisamente. Prima erano dodicipoi il Concilio di Trento liaumentò di due... Studiai queste cose tempo addietro; oggisemai"aggiunse voltandosi verso Lucrezia -"piuttostoche gl'impedimenti dovrei studiare le ragioni del sacramentomagno..."

-"IlSacramento?..."fece Lucrezia che era già nelle nuvole. -"Èesposto alla cattedrale."

Tuttisorriseroe per quella sera il discorso restò lì. Maqualche giorno dopo Raimondo ridomandò curiosamente al futurocognato: -"Ecosìnon hai rammentato quali sono gli impedimentidirimenti?"

-"Sì...ma non tutti"rispose Benedetto che in presenza della promessa non voleva spiegarcerte cose. E li disse in latino: -"Errorconditiovotumcognatiocrimen..."

-"Basta!Basta! È inutilenon capisco..."E gli voltò le spalle.

Peròprima d'andar viaBenedetto lo chiamò da parte:

-"Nonpotevo spiegarmi dinanzi alle donne. Gli impedimenti sono questi."E li enumerò e li spiegò tuttiin italiano.


Qualchegiorno dopo quel discorso vi fu un gran ciarlare tra la servitùgiù nella corte: correva in paese la voce che il duca stesseper tornare da Torinounicamente allo scopo d'accomodare l'imbrogliodel contino. Baldassarreal quale domandavano se la notizia eraverasi stringeva nelle spalle: -"Somoltoio! Avanzate nulla dal ducache l'aspettate?..."Ma la notizia era vera: la ripetevano Giulentesuo zio don Lorenzotutti gli amici politici del deputatoe anzi parlavasi d'andargliincontrose veniva per via di terrae di preparargli unadimostrazione. Egli giunse per via di mare e non era solo: il baronePalminominato senatore dopo la rivoluzionelo accompagnava.Questiinvece che al palazzocome le altre voltesceseall'albergo. La cosa parve molto grave. Voleva dunque dire che tuttoera rotto fra il contino e sua moglie? Che si trattava già diseparazione? Ma allorail duca? Perché tornava anche lui?...

Incittà l'arrivo del deputato mise una rivoluzionee subitocominciarono a piovere visite per lui: prima di tutti don LorenzoGiulente col nipotepoi alcune autoritàle rappresentanze diparecchie società politiche; poi una quantità dicittadini d'ogni classepezzi grossiantichi amici e nuovipatriotti che venivano a salutare l'Onorevolea ringraziarlo dellegrandi cose fatte a Torino ementre c'eranoa chieder notizia degliaffaretti particolari che gli avevano raccomandati. Come al tempodell'elezione egli riceveva giùnelle stanzedell'amministrazionee ringraziava dei ringraziamentis'ammantavadi modestia; maalle domande degli ammiratoridescriveva le sedutedel Parlamentola visita a Vittorio Emanuele e al -"povero"Cavourla vita politica della capitale; e tutti stavano intenti audirlo. Non aveva aperto boccain Parlamentoneppure per dir sìo no; ma in sala l'uditorio non lo spaventavacomposto com'era digente più o meno familiare che gli stava dinanzi in attodeferente; ed egli assaporava il suo trionfoloquace quanto una picavecchiasenza neppur avvertire la fatica del viaggio. Cavour gliaveva promesso mare e monti: che peccato che il gran ministro fossemorto! Ma il governo era egualmente ben disposto verso la Sicilia:presto avrebbe messo mano a ferroviea portia grandi operepubbliche. Per vegliare al mantenimento delle promessein queigiorni egli non avrebbe dovuto lasciare la capitale; ma era dovutovenire in fretta e in furia per certi gravi affari di famiglia... persistemare certe faccende... Non si sbottonavama tutti comprendevanolo stesso. Le visite si seguirono fino a sera; quelli che volevanoparlargli da solo a solo non si movevanoparevano decisi di restarea dormire con lui. Quando ne ebbe abbastanzaegli fece un segno adon Lorenzoe questi condusse via tutti.

Mal'Onorevole non andò a letto. Raimondoavvertito daBaldassarre che lo zio voleva parlarglilo aspettava impazientesmaniosonella sua camera.

-"Checosa vuoi fare?"cominciò il ducasenza tanti preamboli.

-"Aproposito di che?"rispose il nipotequasi non comprendesse.

-"Aproposito di tua moglie e della tua famiglia!... Tuo suocero èqui non sai?"

-"Ionon so nulla."

-"Dopoche sei scappato via come un fuggiasco! Dopo che non ti sei fattovivo per due mesi! Adesso mi par tempo che questa storia finisca..."Egli parlava con tono grave d'autoritàpasseggiando per lacamera con le mani incrociate sul dorso; Raimondosedutosiguardavaper terracome un ragazzo intimidito dalla minaccia d'una lavata dicapo.

-"Chehai da dire contro tua moglie?"domandò a un tratto don Gasparrefermandoglisi dinanzi.

-"Io?Nulla..."

-"Losapevo bene! Volevo sentirne la conferma dalla stessa tua bocca.Perchédicosolo se avessi avuto da lagnarti di Matilde sipotrebbe spiegare la tua condotta! Alloracome mai l'hai lasciata?"

-"Ionon l'ho lasciata."

-"Come?Sei qui da due mesinon le hai scritto un rigonon ti sei curato dinessuno dei tuoiquasi non esistessero; e dici..."

-"Sonovenuto qui perché avevo da fare. Non posso star cucito allagonna di mia moglieinsomma."E lo guardò in faccia.

-"Vabene; qui non si parla di star cucito!"rispose il duca. -"Mauno che parte per affariper isvagoper una ragione qualunquenonva via come te ne sei andato tunon lascia la casa per l'albergo."

-"Nonè vero!"

-"Mel'ha detto tuo suocero... l'ho sentito ripetere da tutti..."

-"Èfalso!"ripeté il nipote con voce forte e un poco stridente. Allora ilduca batté in ritirata.

-"Saràfalsotanto meglio... Del resto non è questo l'importante...Il fatto è fatto... adesso si tratta di pensare all'avvenire.Se non è vero che hai lasciato tua moglienon dovresti averedifficoltà di riunirti con lei!"

-"Nonne ho"rispose Raimondorialzandosi.

Lozio restò un momento a guardarloquasi non fosse sicuro diaver udito benepoi ripeté:

-"Seipronto a riprenderla?"

-"Sonopronto a tuttopurché smettano questa commedia."

-"Meglioancora!... Vuol dire che esageravanoche m'hanno informato male...Tanto meglio!... Domani tuo suocero può venire?"

-"Vengadomanivenga quando gli pare! Vorrei piuttosto sapere perchéha fatto la buffonata di scendere all'albergo? Poteva restarsene alsuo paeseinvece di fare questa sciocca commediainvece di dar daciarlare alle persone con una condotta da pulcinella."Egli parlava adesso duramentea denti stretti; con gli occhi rossi;e il ducacambiato tono anche luiesclamavasecondando il nipote:

-"Questoè vero... tu hai ragione... L'ho messo in croce perdissuaderlo!... Ma quel santo cristiano è fatto a un certomodo... Del resto non importa: diremo che non voleva dare impaccio aGiacomo... si troverà una ragione... E tucomprendi chebisogna pigliare gli uomini come sonoche bisogna avere un po' dipolitica nel mondo... Divertiti"aggiunse con un sorrisetto allusivo; -"masenza dar nell'occhiosalvando le apparenze. È giàincrescioso che sia successo un primo guaio..."

-"VostraEccellenza ha da dirmi altro?"domandò Raimondointerrompendolo bruscamente. -"Senon ha da dirmi altrobuona notte."

Ildomaniverso mezzogiornoquando s'aspettava il baroneche lacarrozza di casa era andata a prenderepiovve donna Ferdinanda.Erano oltre sei mesi che non saliva più le scale del palazzodal giorno che c'era entrato Giulente. Fin all'ultimo momento ellaaveva sperato d'impedire che la mostruosità si compisse; mapoiché Lucrezia non sentiva più gli schiaffi néi pizzicottiquasi fosse divenuta di stuccoe Giacomo si difendevagettando la colpa sullo zio ducasul Babbeo e sulla stessa sorellala zitellona era finalmente andata via facendo sbattere tutti gliuscigridando: -"Rideràbene chi riderà l'ultimo!"e appena giunta a casachiamati la camerierail cocchiere e ilmozzo di stallaaveva tratto dall'armadio un foglio di carta e loaveva fatto in mille pezzi: -"Neppureun soldocosì!..."Ella pretendeva che i nipoti le portassero obbedienza e le stesserosottomessi per via dei quattrini chenon avendo figliuoliavrebbeloro lasciati; la distruzione del testamentoin presenza dellaservitùera la pena della loro ribellione... Il principesulle primeera stato zittoper lasciar passare la tempestapoiaveva mandato dalla zia fra' Carmelo col figliuolo perché lavista del nipotino prediletto placasse quella furiapoi era andatoegli stesso a trovarlaa prendersi addossoumile e mutola pioggiadi rimproveri rovesciata dalla zitellona. E a poco a pocopelbisogno di sentirsi far la corteper non poter rinunziare aingerirsi nelle faccende dei nipotiella s'era venuta placandomasenza andar da loro: la casa dei suoi maggiori era profanatacontaminata dalla presenza di quel pezzentedi quel banditodiquell'assassino che chiamavasi Benedetto Giulenteavvocatoavvocato! Neppur l'arrivo di Raimondo l'aveva rimossa dal suoproposito; del resto il nipote era venuto da lei assiduamente aprendere i suoi consigli. In odio alla Palmaper distruggerequel matrimonio stretto contro il suo piacereella aveva spinto ilgiovane alla rottura definitiva. Come Giulentela Palmamacchiava la casa degli Uzeda: ella non voleva che ci rimettessepiede. E difendeva donna Isabella contro le accuse di cui l'udivafare oggetto: anche lei era stata sacrificata con quell'ignobileFarsafarsa tutta da ridere: niente di più naturaleche quel matrimonio tanto male assortito fosse finito peggio: seavessero dato la Pinto a Raimondoallora sì!... A un trattouna sopra l'altra le avevano portato le due notizie dell'arrivo delduca e del barone e dell'imminente riconciliazione tra suocero egenero. Raimondo non s'era fatto vivo; l'avvenimento stava percompiersi ad insaputa di lei! Allorail tempo di far attaccareesubito al palazzo... Quando ella entrò nella Sala Giallac'erano il principe e la principessadon Eugenioil ducaLucreziacol promessoChiara col marchesee Raimondo che passeggiava come unleone in gabbia. Benedetto Giulenteappena la vide entrares'alzòrispettosamente: ella gli passò dinanzi come se fosse uno deimobili sparsi per la sala; non rispose al saluto di nessuno tranne aquello di Raimondo che trasse in disparte verso una finestra.

-"Vecchiapazza!"disse Lucrezia al fidanzatoavvampando subitamente in viso.

Egliscrollò il capo con un sorriso d'indulgenza; ma il duca siavvicinò alla coppiaquasi a compensarla della sgarberiadella sorella.

-"Ilbarone dovrebbe esser qui"disse guardando l'orologio. -"Sareiandato io stesso a prenderlo se non avessi temuto di dare troppaimportanza a una cosa che non dovrebbe averne nessuna..."

-"VostraEccellenza ha fatto benissimo"rispose Benedetto. -"Leciarle sarebbero state più lunghe... Non per questo"aggiunse -"èminore il merito di Vostra Eccellenza per aver ricondotto la pace inuna famiglia che..."

-"Piccolimalintesi! I giovani hanno le teste calde!"esclamò con un sorriso tra di modestia e di compatimentol'Onorevole.

Raimondoaveva finito intanto di parlare con la zia e ricominciava apasseggiare su e giù: era verde in viso e si morsicchiava ibaffitorcendo le labbracon le mani in tasca.

DonnaFerdinanda adesso sedeva accanto alla marchesala quale era alsettimo cielo per essere incinta di sette mesi. Dopo due disgraziategravidanze passate ad ascoltare ogni prescrizione di mediciogniconsiglio di levatrici e ogni opinione di femminucceavevafinalmente mutato sistema di punto in biancofacendo a modo suo intutto e per tuttoandando fuori in carrozza e a piedisalendo escendendo scaletrangugiando tutte le miscele che immaginavadovessero giovarle. Ella dichiarava alla cognata di non esser maistata così bene come ora: -"Quegliasini! Quegli impostori!... E le levatrici?... L'altro giorno nonebbe l'ardire di venir da medonn'Anna? La presi per le spalle e ledissi: "Caradonn'Annatre mesi dopo che avrò partorito se volete venire atrovarmi mi farete tanto piacere; ma per adesso andatevene che non hobisogno di voi!...""Tutt'intorno gli altri parlavano pianocome nella camera d'unammalatoma al rumore di una carrozza che entrava nel cortile ognidiscorso cessò. Il duca passò nell'anticamera perandare incontro all'amico; si vide comparire invece dinanzi la cuginaGraziella.

-"Comesta Vostra Eccellenza? Ho saputo del suo arrivo ed ho detto: andiamosubito a baciar le mani allo zio. Mio marito voleva venire anche lui;ma l'hanno chiamato di fretta al tribunale per una causaseccantissima. Verrà più tardi a fare il suo dovere..."

Raimondovedendola spuntaresoffiò più fortee andò adire concitato allo zio:

-"Quest'altrapettegolaadesso? Ha da esserci tutta la città?... Non vedeVostra Eccellenza che scena ridicola?..."

-"Pazienza!...Pazienza!..."cominciò il duca; ma già un'altra carrozza entrava nelcortile. Egli ripassò di là e poco dopo comparveinsieme col senatore. Questi era pallidissimosi vedeva sotto leguance il movimento delle mascelle nervosamente contratte.

-"Raimondo"esclamò il deputato disinvoltoe conciliante; -"c'èqui tuo suocero..."

Ilconte s'era fermato. Senza cavar le mani di tasca fece col capo unbreve gesto di saluto e disse:

-"Comesta?"

Palmirispose:

-"Bene;stai bene?"E salutò in giro gli astanti. Nessuno fiatavagli sguardi sivolgevano tutti sul barone. Anche le mani gli tremavano un pocoenon guardava in viso il genero.

-"Accomodatevidon Gaetano!"riprese il ducaprendendolo pel braccio e facendogli amichevoleviolenza. Palmi allora sedette tra la principessa e la marchesa;donna Ferdinanda s'impettìaffondando il mento nel collo comeun gallinaccio.

-"Matildesta bene?"domandò la principessa.

-"Benegrazie."

-"Lebambine?"

-"Benissimo."

Raimondoritto in mezzo alla salasi guardava la destrafacendo scattarel'unghia del pollice contro tutte le altre. Il duca tossicchiòun pococome per un principio di raucedine; poi gli domandò:

-"Tuquando raggiungeresti tua moglie?"

Eglirispose secco e breve:

-"Anchedomani."

-"Matildeperò la vogliamo un poco qui"soggiunse lo zioguardando gli altri parentiquasi a chiedere illoro assenso; ma nessuno disse nulla. -"Allora"continuò -"potrestefare così: tu andrai a prenderla e poi ve ne verrete tuttiinsieme. Che ne ditebarone?"

-"Comecredete"rispose Palmi.

Aun tratto s'udì per la terza volta una carrozza che entravanel cortile e tutti gli occhi si volsero verso l'uscio d'entrata. Chipoteva essere? Ferdinando? La duchessa?...

Spuntòdon Blasco.

Ilmonacocome la sorellanon metteva piede al palazzo dal giorno delfidanzamento di Lucrezia; come donna Ferdinandane aveva scagliatola colpa sul principeed era rimasto talmente sordo ad ognigiustificazioneche quest'ultimo s'era finalmente seccatod'insisterenon avendo da sperarne eredità come dall'altra.Alloravistosi solo senza poter occuparsi degli affari dellaparentelacostretto a udirne le notizie di seconda o di terza manoper mezzo del marchese Federico o degli estraneiil monaco s'erasentito perso. Le brighe del convento l'occupavano fino a un certopunto; le grida e le bestemmie contro i liberaliquantunqueraddoppiate dopo la sistemazione del nuovo ordine di cosenon glibastavanonon avevano gusto se egli non le proferiva tra i suoinello stesso luogo dov'erasi compito il trionfo di quel rinnegato delfratellodove quel cialtrone di Giulente doveva vomitare le sueeresie. Cosìsbuffante e smaniantepiù di una voltaera stato sul punto d'andarsene dal principe; magiunto a mezza vias'era pentitonon aveva voluto dare al nipote la soddisfazione dicedere pel primo. All'annunzio dell'arrivo del duca e del baronedella pace che si doveva celebrare tra suocero e generonon erastato più alle mosse.

Ilprincipe gli andò incontro a baciargli la mano. Lucrezia eGiulenteseduti accantoerano i più vicini all'usciod'entrata; e il giovanotto s'alzòcome aveva fatto per lazitellonaal passaggio del monaco; ma questi tirò drittoverso il centro della sala. Al secondo affrontoLucrezia si fece piùrossae costrinse il promesso a sedere.

-"Lapagherannosai!"disse -"lapagheranno!... Se mi vedranno più in questa casa!... Set'arrischierai di guardarli più in viso!..."

Ilduca parve non accorgersi dell'arrivo del fratello. Per animare laconversazione languentee vincere la freddezza da cui tutti eranoimpacciatie rendersi utilela cugina aveva cominciato a chiederglinotizie del suo viaggio attraverso l'Italia; e il deputato parlava avapore:

-"Labaraonda di Napolieh? Che paesone! Pareva che tolta la Corteiministeritutto il movimento della capitaledovesse spopolarsiridursi come una città di provincia; invece cresce ognigiornoè più animata di prima. Anche Torino èpiena di vitaperò in modo diverso..."

-"Inmodo diverso..."ripeté il baronecon tono di condiscendenza. come per nonrestare in silenzio.

-"Èvero che somiglia a Catania?"domandò il marchese.

Raimondosciolse lo scilinguagnolo per direcon sottile ironia:

-"Tale qualesai! Due gocce d'acqua..."

-"Lestrade dice che son tagliate allo stesso modo..."

-"Masì! Ma sì!... Anzi diciamola tutta: Torino è piùbruttapiù piccolapiù poverapiù sporca..."

AlloraChiara saltò su in difesa del marito:

-"Questasmania di dir sempre male del proprio paese non l'ho mai capita."

-"Scusa"protestò il duca. -"Quinessuno ne dice male."

-"Lostesso paragone è impossibile"disse Benedettoconciliante.

DonnaFerdinanda alzò lentamente gli sguardi per volgerli dallaparte donde veniva la voce; magiunta a mezza stradali diressealla parte oppostaalla finestra dove don Blasco udiva dal nipote lenotizie dell'accaduto.

-"Diceche raggiungerà sua moglie e che poi se ne torneranno qui. Èstato lo zio duca quello che ha combinato ogni cosa. Per mefaccianoquel che vogliono. Ma vedrà che ricominceranno. Vorreisbagliarema siamo ancora al principio..."

-"Quellabestia perché ci s'è messo? Non ha abbastanza tigna incapo? Ha da ficcare dovunque il naso? Ma il perché lo so ioil perché... lo so ioil perché!..."

Estava per continuareper vuotare il saccoquando entròBaldassarregrave e dignitoso come la solennità richiedeva.

-"Eccellenza"disse al duca -"cisono le rappresentanze delle società che chiedono d'ossequiareVostra Eccellenza."

Ildeputato non ebbe tempo di rispondere che il barone s'alzò:

-"Ducafate purevi lascio libero."

-"Manorestate!... Un momentoe torno subito..."

-"Hoqualche cosa da sbrigare anch'io; grazie!"

-"Verretealmeno a pranzo con noi?"

-"Grazie;parto oggi stesso; ho fissato uno straordinario."

Fuinutile insistere; il barone opponeva un rifiuto cortesema freddo.Salutò tutt'in giro e andò via accompagnato dal ducache scendeva giù a ricevere i suoi elettorimentre Raimondos'avviava da parte sua alle proprie stanze. E i tre non eranoscomparsiche nella Sala Gialla cominciò un mormoriogenerale.

-"Chemaniera di stare in casa della gente!"esclamò donna Ferdinanda. -"Nonha detto dieci parole in mezz'ora!"rincarò la cugina. -"Checosa aveva? che gli hanno fatto?"E il marchese: -"Quandosi è di quell'umore non si va in casa delle persone!..."-"Ecome faceva il sostenuto!"aggiunse sua moglie.

BenedettoGiulentedal suo postoosservò:

-"Quellapartenza pare un pretesto... per rifiutare..."

Allorasenza rivolgersi al giovanottoma quasi rispondendo all'idea da luiannunziatadon Blasco tonò:

-"Labestial'imbecille e il buffone in questo caso è chi invita!"

Benedettoquantunque il monaco non lo guardassefece col capo un gesto trad'assenso a ciò che quegli dicevatra di scusa perl'insistenza del duca.

-"Parevaconcedesse una grazia specialeonorandoci della sua presenza!"continuava frattanto donna Ferdinanda. -"Comese non si fosse trattato d'interessi suoi! Come se la colpa di ciòche è successo non fosse sua! E quella bestia che lo prega pergiunta e che gli dà ragione! Per renderlo piùpresuntuoso ed arrogante!..."

Benedettoche le stava seduto quasi di facciabadava a chinare il capo con ungesto continuo ed egualecome un automae poiché la cuginacicalava piano con Chiarae don Blascotirato pel bottone delsoprabito il marchesesfogava con luie il principe se ne stavaquatto quattoe la principessa più quatta di luiquel gestod'assenso e d'approvazione attirò alla lunga gli sguardi dellazitellona.

-"Mentrela ragione sta dalla parte di Raimondo"continuava ella -"chegiustamente non vuole lo spionaggio in casache non puòtollerare la continua ingerenza del suocero in tutti i piccoli affaridi casa propria..."

Vedendosiguardato due o tre volteBenedettomentre continuava ad approvarecol capoconfermò:

-"Ilbarone ha veramente un carattere troppo difficile..."

DonnaFerdinanda non gli risposeanche perché in quel momento ilmarchese s'alzavae Chiara con lui; maandando via insieme coinipotifece un breve cenno del capo per rispondere al nuovo e piùprofondo e più rispettoso saluto del giovanotto.


Intantoil ducagiù nell'amministrazionericeveva i delegati deisodalizi e una gran quantità di elettori influenti e una veraprocessione d'ammiratori di ogni condizione che venivano a fargliatto di omaggio. La stessa scena della sera primama piùgrandiosa; a poco a poco tutta la città sfilava dinanzi aldeputato; per due persone che andavano viaquattro nesopravvenivano; e non essendoci più posto da sederetuttirestavano in piedicoi cappelli in manoaspettando i saluti che ilduca veniva distribuendo in giro. Alcuni oratori improvvisatipersone che egli non conosceva neppureparlavano a nome deicompagniaffermavano in risposta alle sue espressioni di modestiache il paese non avrebbe mai dimenticato ciò che doveva alsignor duca. Tutti gli altria bocca apertabadavano a raccoglierereligiosamente le parole dell'Onorevole; il qualecessati icomplimentiragionava della cosa pubblicaprometteva la Veneziaaveva Roma in tascaassicurava insieme col politico il risorgimentomoraleagricoloindustriale e commerciale del paese. -"Questoera il programma di Cavour. Che testa! Ragionava della Sicilia comese ci fosse nato; sapeva il prezzo dei nostri frumenti e dei nostrizolfi meglio di un sensale di piazza..."Il governo gli aveva promesso una quantità di provvedimentiper l'isolagiacché bisognava pensare a tutto:dall'educazione della gioventù al lavoro per gli operai. Apoco alla voltacon la concordia e la pacela prosperitàpubblica e privata sarebbe stata raggiunta. Egli la faceva quasitoccar con manoe le persone venute per sapere che ne era delle lorodomande d'un posticinoo d'un sussidioo d'una pensioneandavanovia portandolo alle stelle come se avesse colmato loro le taschespargendo per la città la nuova della riconciliazione avvenutatra il conte e sua moglie: opera e merito del ducail quale avevafatto il sacrificio di lasciar la capitale in un momento come quelloper indurre il nipote alla ragione. Non s'udivano se non esclamazionidi lode all'indirizzo del deputato; dal cortile del palazzo alGabinetto di letturatutti ad una voce giudicavano che in questaoccasione egli aveva fatto opera buona e doverosa; solamente donBlasconella farmacia borbonicagridava come un ossesso:

-"Ahgli credete?... Perché credete che l'ha fatto? Per darsoddisfazione alla canaglia! Perché si dica che difende lamorale!... E per un'altra ragione ancora…per ingraziarsiquell'altro cialtrone amico dei mangiapolenta!... Il sonatore deimiei sonagli!... Il barone con sette paia di effe..."




2.


Quandola contessa Matilde tornòdopo due anni di lontananzatra iparenti del maritoessi medesimialla primanon la riconobbero. Seera stata sempre pallida e magraadesso era scialba e scarnita; ilpetto le si affondava come se qualche male lento e spietato larodessele spalle le s'incurvavano come per il peso degli anniegli occhi incavatiaccerchiati di lividolucenti di febbredicevano lo strazio di un pensiero cocented'una cura affannosad'una paura mortale.

-"PoveraMatilde! Sei stata male?"le domandò la principessaa dispetto delle ingiunzioni delmaritoil quale le proibiva di avere opinioni.

-"Unpoco..."rispose la cognatascrollando il capocon un sorriso dolce etriste. -"Adessoè passato..."

Infattiella si sentiva rinascere. Suo padre non aveva voluto néaccompagnarla in quella casané permetterle di condurvi lebambine; eppuredimenticando quanto vi aveva soffertoella vientrava con un senso di sollievo e quasi di fiducia. La tempestarecente era stata così forte e durache ella pensava anzi conun senso di rammarico al tempo degli antichi dolori; li avevagiudicati intollerabili e non sapeva di quanto sarebbero cresciutiapoco a pocoma costantementefino a contenderle la stessa speranzad'un qualunque ritorno alla pace. Come le si era chiuso il cuore aiprimi disinganninel vedere che l'amor suo non bastava a Raimondoche egli pensava diversamente da leiche faceva consistere lafelicità in cose senza valore per lei! Eppure egli non l'avevatraditaallora! Ma erano venuti i tradimentied ella li avevaperdonati poiché tutti gli uomini ne commettonole dicevano;poiché ella soltanto ne soffrivasilenziosamentein fondoall'anima. Che cosa avrebbe potuto faredel resto? Che aveva potutofare dinanzi al pericolo più gravealla minaccia terribile?Lasciarlo? Egli stesso l'aveva abbandonata!... Quando ella ripensavaa quei due anni trascorsi in Toscanaa tutto ciò che avevasofferto vedendo prepararsi e non potendo impedire l'ultima rovinaella provava veramente come un bisogno di inginocchiarsi e diringraziare il Signoretanto miracoloso le pareva il ravvedimento diRaimondo. Poteva adesso sperare che durasse? Quante volte egli nonera parso rinsavitoed aveva poi fatto peggio? Due anni addietroprima che scoppiasse lo scandalo in casa di Fersaella non avevacreduto che tutto fosse finito per lei? Alla notizia che quella donnaera stata scacciata dalla suoceraella aveva compreso la commediadella rottura rappresentata da lei e da Raimondoe preveduto conlucidità straordinaria quel che poi era accaduto... Nondimenola partenza pel continente l'aveva illusa ancora una volta; lalontananzail tempogli svaghi mondani dei quali era sempre avidonon avrebbero distrutto nel cuore di Raimondo il ricordo diquell'altra? Ma colei doveva aver giurato di rubarglieload ognicostose lo aveva raggiunto a Firenzese erasi mostrata a lui dalontanoda vicinoper le viein societàtentandoloovunquedinanzi a lei stessa! Ella non accusava più Raimondonon sospettava che fosse d'intesa con quell'altrache avesse fintodi fuggirla per ritrovarla più sicuramente. I suoi sospettile sue accuse gelose cadevano su quella donna soltantoa Raimondoella non rivolgeva se non preghiere indulgentil'umile scongiuro dievitarle nuovi dolori. Egli s'infuriavanegava come altre voltelaincolpava di volergli creare imbarazzi e pericolila riduceva alsilenzio con le tristi parole che ancora le risonavano all'orecchio:-"Quelladonna è l'ultimo dei miei pensieri; ma se non la finite divessarmifarò qualche pazziavedrete!"Ella non sapeva ancora fino a qual punto fosse sincero...

Ilcapriccio di Raimondo per donna Isabellain veritàs'erasedato appena soddisfatto; il chiasso della separazionela paura ditrovarsi qualche grossa responsabilità materiale sulle spalleavevano gettato molt'acqua sul fuoco dei suoi desideri. A Firenzedove s'eran dato convegnoaveva deliberato di spezzare in un modoqualunque la catena da cui si sentiva avvincerepoiché egliaspirava alla vita allegra e varialiberaprincipalmente. Maperla notizia del dramma domestico di cui era stato l'eroeegli si videposto più in alto nella stima degli scapati amici di Toscanadel cui giudizio faceva più conto che d'ogni altra cosa; laconquista d'una signora autentica come la Fersa gli procurava isorrisi di compiacimento un po' invidiosi dei rompicolli che prendevaa modello. E donna Isabella gli divenne pertanto meno indifferente;ma la gelosia della moglie finì di stringere quel vincolo nelpunto che egli stava per giudicarlo increscioso. Tutte le volte cheMatilde gli rivolgeva una supplichevole rimostranzaegli credeva suodoverecome per una specie di compensodi fare maggioridimostrazioni di affetto all'amica; più sommessamente suamoglie lo pregava di non trascurarlapiù smaniosamente egliandava via di casa. Ella sapeva com'era fattocom'era intollerantedi ogni ostacolod'ogni contrastodelle stesse osservazioni; mapoteva forse tacerefingere d'ignorare quel che avveniva? Potevasoffriresenza neanche piangerech'egli la lasciasse solalunghigiornilunghissime nottiche trascurasse le sue figlie perandarsene con quell'altraper mostrarsi pubblicamente in compagniadi leiper condurre i propri amici nella casa di lei come inun'altra casa sua propria?... E il giorno che s'era sfogata noncontro di luima contro quell'altraRaimondo le aveva ingiunto ditacerecon la voce grossacon gli sguardi cattivialzando lamano... Quella triste scena era avvenuta la vigilia del giorno chesuo padrediretto a Torinodoveva passare da Firenze. Il terrore dispingere l'uno contro l'altro quei due uomini l'aveva costretta atacere; e poiché suo padrericominciando a sospettare diRaimondoaveva mutato a un trattocon la violenza abitualel'antica affezione verso il genero in freddezza diffidente e vigileella aveva dovuto bere le proprie lacrimecancellarne le traccemostrarsi allegraper impedire che quei due si scagliassero l'unocontro l'altro. Così ella s'era consuntasoffrendo insilenzioinghiottendo amaro sopra amaroinvocando dal Signore tantaforza da poter continuare a fingerea illudersia credere chenessun serio pericolo la minacciasse.

Maera già troppo tardi. Tutto ciò chenella sua gelosiala moglie gli veniva dicendo contro l'amantespingeva Raimondosempre più nelle braccia di quest'ultima; poichéMatilde gliene parlava malevoleva dire che era invece la primadelle donne. Quest'idea si conficcava tanto più saldamentenella sua testaquanto che donna Isabellada suo cantonon glidiceva mezza parola contro la contessa; e si lagnava appenadiscretamentedell'odio che si vedeva portato. -"Quandom'incontrami volta le spalle... Sparla di me... Che cosa le hofatto?"Oppure gli proponeva di rompere e di lasciarsisi offeriva insacrifizi per assicurargli la pace della famiglia: -"Nont'inquietare di me!... Me ne andròvivrò solacomevorrà Dio... Andrò a buttarmi ai piedi di mio marito;forse mi perdonerà..."Alloradi rimandoegli s'ostinava a far cose che ella stessa nonavrebbe volute; se prima non aveva nascosto quell'amiciziaoral'ostentava; se prima stava poco in casaadesso restava settimaneintere senza metterci piedesenza veder le sue figlie; ed al teatroprendeva posto nel palco dell'amicadal principio alla fine dellospettacolo; ed al passeggiose era con amicinon rispondeva alsaluto di sua mogliequando s'incontravano: mentre la contessalacrimava in fondo alla sua carrozzaegli andava a piantarsi allosportello di quella di Isabella.

ALivornoin principio dell'estatelo scandalo era cresciutotalmenteche alcuni buoni amici di Raimondoil conte Rossi fra glialtrisuo padrone di casal'avevano consigliato d'esser menoimprudente. Matildeil cui cuore sanguinava da tanto tempofu inquei giorni straziata da un altro dolore: Laurettache era semprecagionevoleappena lasciato Firenze cadde inferma. Una notte che lasua bambina vaneggiavain preda alla febbreella restò inpiedi fino all'albavegliandolaimpaurita dal rapido aggravarsi delmaleaspettando ansiosamente il ritorno di Raimondo. A giornoeglirincasò. Doveva esser ebbro. Solo perchérotta daldolore e dalla faticaturbata fieramente dalla malattia dellabambinaatterrita dal pericolo che la povera creatura correvaellaosò dirgli: -"Mache vita è la tua!..."egli le piantò in viso gli occhi foschistrinse il pugno eduscì in una sconcia bestemmia... Che disse poi? Che fece? Ellanon sapeva. Rammentava soltanto cheriavutasi dallo stordimentoStefanala sua camerierale aveva detto che il padrone era andatoviacon lo stesso abito di società col quale era rientratoportandosi soltanto una saccadove aveva buttato pochi effetti allalesta; rammentava d'essersi sentita struggerenon potendo correrglidietronon potendo lasciare la sua poveretta agonizzante; d'avermandato Stefana a Firenzecredendo che egli se ne fosse tornato lì;d'aver saputo il giorno seguente checercato rifugio in un albergodella stessa Livornoegli s'era imbarcato per la Sicilia...

Ilbarone arrivò da Torino come un fulmineprima che ella gliavesse dato notizia dell'accaduto. Allora un altro tormentos'aggiunse ai tanti che la straziavano. Il rancore di suo padrecontro il genero scoppiò a un trattoterribile. -"Èandato via? Meglio così!"aveva detto nel primo momento; ma poiché ella si scioglieva inlacrimenon sapendo come farevedendo distrutta la propriaesistenzaun violento moto di collera gli cacciò tutto ilsangue alla testa: -"Elo piangianche?... Lo vorresti difendere?... Saresti capace dicorrergli dietro?..."Impauritagiungendo le mani per disarmarloella addussetra isinghiozzi: -"Ele mie figlie?... Le mie orfanelle?..."Ma con impeto più selvaggioegli proruppe: -"Ahil suo amor paterno?... Il bene che ha voluto alle sue creature?...Il sangue avvelenato a quella innocente?..."e con un fiotto di parole crudeminacciosefrementile disse lavita indegna di luiciò che ella non sapeva ancoraciòche egli stesso non aveva saputo per tanto tempoaddormentato dallavanitàdal folle orgoglio d'essersi imparentato con uno deiViceré. -"Vuoidunque pregarlo per giunta?... Vuoi ch'io vada a chiedergli scusa perteper meper quelle innocenti?... Non ti bastasciocca che seil'esperienza di dieci anni?... Vuoi ricominciare a tremarglidinanzi?... Credi ch'io non sappia quel che hai sofferto?..."E come ella scrollava le spallerabbrividendoegli gridò:-"Nonte ne importa?... Saresti capace di volergli bene ancora?..."

Sìera vero. Ella non piangeva per l'avvenire delle sue bambinenon sisdegnava al ricordo delle proprie torture; se le aveva patite insilenziose aveva accusato soltanto la rivalese non aveva maitrovato una parola di rimprovero per Raimondol'unica ragioneconsisteva nel bene che gli portava... -"Dopoquel che t'ha fatto?... Non hai dunque capito che non l'ha mairicambiatoil tuo bene? Che non chiede di meglio se non sbarazzarsidi te?... Sciocca che seigli vuoi dunque il bene del cane che leccala mano che lo ha battuto?..."Sìsìcosì! il bene del cane per il padronela devozione d'uno schiavo per l'essere di un'altra razzapiùfortepiù altapiù rara. Sìla sommessionedel cane per il padrone; poichéanche dopo l'onta estrema chele aveva inflittononostante la rivelazione brutalenonostante illegittimo sdegno del padreella pensava di non poter vivere lontanada Raimondodi non poterlo lasciare a quell'altra...

Passaronocosì per lei lunghieterni giorni d'intima ambascia; ilbarone la trattava con ostentata freddezzapareva non accorgersidelle sue lacrime; ella nondimeno aspettavaaffrettava coi voti piùardenti qualcosa: non il ritorno di Raimondoche sarebbe stato unagioia troppo grandema una sua letteraalmenodi pentimentool'intromissione di qualcuno dei suoi... La bambina s'era rimessa; aipiedi della Madonna ella implorava il perdono d'un pensieroabominevole; se Lauretta fosse ricadutaavrebbero potutochiamarlo...

S'ammalòinvece ella stessa. Vedendola piangere anche nella febbreil baroneproruppecol tono acre che prendeva cedendo: -"Nonvuoi dunque finirla? Bisogna anche dargli questa soddisfazionedipregarlo per giunta? Bada però!..."soggiunse con voce minacciosa: -"Dalgiorno che tornerete insiemefa' conto che io non ci sia più!...Scegli tra noi due: non t'imaginare che io possa aver piùnulla di comune con lui!..."Povero babbo! Burberorigidoviolento con tuttiegli aveva sempreceduto dinanzi alle sue figliestudiandosi di fare la voce grossamettendo patti che la violenza del carattere gli dettavama chel'inesauribile bontà del cuore non gli permettevaalla lungadi mantenere. Scrisse così al ducaandò insieme conlui a raggiungere Raimondo dopo averla accompagnata a Milazzoeglielo ricondusse.

Nonv'era statatra lei e suo maritoneppure una parola relativa alpassato; nell'atto che egli le tornava vicinoavrebbe ella potutorammentargli i suoi torti? Da parte sua egli non le chiese perdononon le disse una buona parola; le venne incontro indifferente come sel'avesse lasciata il giorno innanzi. Né ella sperava piùdi questo. Il suo bel sogno d'amore e di felicità s'era a pocoa pocodi giorno in giornodileguato: adessorassegnata alletristezze della realtàella non chiedeva altro che quiete.Purché Raimondo volesse bene alle sue creaturepurchénon le abbandonasse un'altra voltaella era disposta a sopportareogni cosa...

Incasa del principeadessodov'eran venuti pel matrimonio diLucrezialasciando a Milazzo le bambinei parenti di lui latrattavano meglio. La sposache pareva non capire nei panni perl'imminenza del matrimoniole prodigava dimostrazioni d'affettononsi lasciava giudicare da nessuno fuorché da lei nella sceltadegli abiti e degli ultimi oggetti del corredo; la principessasempre timida e mitele dimostrava più di prima la propriasimpatia; quanto a don Blasco e a donna Ferdinandache avevanoripreso a venire tutti i giorni al palazzoparevano anch'essi unpoco placatiperché invece di punzecchiarla non le badavanoaffatto. Che le importava! Erano così; bisognava prenderlicom'erano. Purché Raimondo non la lasciasse un'altra volta!purché quei giorni tremendi dell'abbandono non ritornassero!Quasi quasi ella rassegnavasi alla lontananza delle sue bambine!...La compagnia della nipotina Teresa gliela rendeva piùtollerabile. Come somigliava a Teresa suala figlia del principe! Lastessa bellezza fine e biondala stessa graziala stessa dolcezzadella voce e dello sguardo. Anche i caratteriin fondosirassomigliavanoquantunque la sua bambina dimostrasse una vivacitàquasi irrequietamentre la cuginetta era più tranquilla edobbediente. Ma quanta parte non aveva in questo risultato l'autoritàdel padre? Mentre Raimondo non si curava di sua figliala vigilanzadi Giacomo pesava fin troppo sulla principessina; egli l'educava amortificare i suoi desideria reprimere le sue volontà; lafaceva restare intere giornate tra le monache di San Placido perchés'avvezzasse all'obbedienza e alla disciplina monastica. Poverapiccina! Tutte le volte che la mettevano nella ruota per farlapassare dentro alla badìaoltre il muro impenetrabile chesegregava le suore dal mondotendeva le braccia alla sua mamma edalle zie con un senso di paura negli occhi spalancati; ma laprincipessa che aveva gli ordini del maritopel quale la bambina erauna specie di muta ambasciatrice incaricata di sedare il malcontentodella Badessa e della sorella Crocifissapersuadeva la figlia a starbuonaa non temeree la piccina diceva di sìdi sìmandando baci alla sua mamma mentre la ruota giravala chiudevanello spessore del murola passava dall'altra partenello stanzonefreddo e grigio con un grande Cristo nero e sanguinante che prendevaun'intera parete. La mammale monachetutte e tutti lodavano lasaggezza di cui dava prova; per meritare quelle lodiper nondispiacere al suo babboella faceva quel che volevano. La contessagiudicava chein fondononostante l'apparente vivacitàanche Teresa sua era buona e dolce. Lauretta non era piùtranquilla e ubbidiente della stessa cugina? E pensando ai suoi cariangiolettiella affrettava col desiderio il matrimonio di Lucreziapoiché dopo li avrebbe raggiunti.


Tuttoera pronto. Nella casa degli sposiun quartiere adiacente a quellodi don Paolo Giulentema separatofinivano di dare l'ultima manoalla sistemazione dei mobili; le cose erano fatte larghissimamente econ molto gusto. Il notaio di famiglia aveva già stesoinbase alla transazione e sotto la dettatura del principei capitolimatrimoniali; Benedettoper ingraziarsi il cognatol'aveva lasciatofares'era contentato di cinquemila onzepel momentoinvece diottomilapoiché il principe gli diceva di non aver prontatutta la somma. A poco a pocodal primo incontro col monaco e con lazitellonaegli era riuscito a farsi badare ogni giorno di piùda quei duecontinuando a chinare il capo come un burattino a tuttociò che dicevano. Articolo politicadon Blasco e la sorellaerano più arrabbiati di primavuotavano il sacco deglioltraggi e delle contumelie contro i liberali; e allora il giovanottofingeva di non udiresi voltava dall'altra partelasciando chesfogasseroquasi quell'onda di male parole non si rovesciasse anchesu lui; ma in tutte le altre circostanzenel corso di ognidiscussionesi schierava dalla loro partedava loro ragione ad ognicostoin busca d'uno sguardod'un salutod'una parola. Giusto inquel tornoun debitore di donna Ferdinandaun certo Calafotiavevadichiarato fallimento dando a intendere che la sua proprietàera parte venduta e parte ipotecata. La zitellona strillava come unagallina spennata viva contro quel ladrocontro il sensale che leaveva proposto l'affarecontro il principe di Roccasciano che loaveva approvato; ma Benedettoudito di che si trattava:

-"QuestoCalafoti lo conosco"disse; -"seVostra Eccellenza vuoleio gli potrei parlare. Gli atti che adducesono tutti nulli; con la minaccia di impugnarli lo faremo rigardiritto."

Ellanon si fece pregare per dargli il permesso richiestole; e dopo unasettimana di corse e di trattative Benedetto le ottenne la cessioned'un'ipoteca privilegiata. In ricambiodonna Ferdinanda non venne alpalazzo il giorno del matrimonio. Non ci venne neppure don Blasco.Gli affariva bene; i discorsipure; ma approvarecon la loropresenzal'alleanza d'un'Uzeda con l'affocato Giulentequesto poi no. Tranne di loro duedel restonon mancò nessunaltro della parentelané al Municipiola mattinanéalla cattedralela sera.

Lamarchesa Chiara accompagnò lo sposalizio per ogni dove. Erauscita di contima seguitava ad andare su e giù e non avevavoluto chiamare nessuno. La sera degli sponsalistanca del continuoandirivieniella s'era buttata a sedereansandosopra unapoltronaaccanto a donna Eleonora Giulente. Forse era la grandestanchezzama si sentiva veramente poco beneprovava sordi dolori eacute trafitture. Coi gomiti appuntati ai bracciali per tener liberoed erto il ventreella stringeva un poco le labbra ad ognuna diquelle rapide fittema come il marito veniva tratto tratto adomandarle premurosamente che avesse:

-"Nulla!"rispondeva; -"stobenissimo"perché non chiamassero la gente dell'arte.

Alzatasifece il giro delle sale. C'era una gran quantità d'invitatitutta la parentelatutta la nobiltàe poi i nuovi amici delducale autoritàil sindacoil prefetto che egli avevavoluti per dare risalto al carattere liberale dell'alleanza. E mentrela nobiltà borbonica se ne stava accrocchiata nel salone onelle Sale Rossa e Giallail deputato teneva un circolo democraticonella Galleria dei ritrattiricevendo i complimenti per quel belmatrimonio che era opera suadiscutendo degli affari pubblici. DonPaolo Giulentepoiché nelle sale nobili non trovava daappiccar discorsose n'era venuto ad ascoltarloa bocca apertanoncapendo nella pelle dal piacere d'essere diventato parente delgrand'uomo. Suo fratello don Lorenzo portava a spassoper lacircostanzala cravatta verde di commendatore che l'amico deputatogli aveva fatto concedere dal governo di Torino insieme con certigrossi appalti: delle postedei trasporti militari. Anche una buonaquantità dei postulanti spiccioli cominciavano a vedersiesauditi; l'onorevole aveva fatto accordare impieghisussidicrocidi San Maurizio ai patriotti del Quarantotto e del Sessantaericonoscere il diritto alla pensione dei vecchi impiegati dellarivoluzione sicilianae ammettere nell'esercito regolare i volontarigaribaldinie spingere la causa dei danneggiati dalle truppeborboniche i quali presentavano la nota del loro amor di patria;talché tutti quei suoi clienti soddisfatti o prossimi adessere soddisfatti lo ascoltavano come un oracolosuperbi d'averloamico e d'essere ammessi nella casa dei Vicerédi vedersiserviti dai camerieri con le livree fiammanti.

Baldassarrein gran tenutagirava alla testa della processione dei camerieri chereggevano i vassoi pieni di gelatidi spumonidi gramolate e didolcie serviva la Galleria dopo le salema con la stessaetichettaseguendo l'esempio del principe che faceva a tutti lostesso inchino; quantunqueper dire il fatto della veritàintorno a Sua Eccellenza il duca ci fossero certi tipi che non sisapeva di dove sbucassero: se prendevano il piattello del gelatobuttavano a terra il cucchiainoo si rovesciavano addosso lagramolata tracannandola quasi fosse acqua frescao prendevano idolci a manate come se non ne avessero mangiato mai prima di quellasera. E i Viceré che guardavano dall'alto delle pareti! Basta:a lui toccava eseguire gli ordini dei padroni!

Giustola cugina Graziellaappartata in un crocchio con la duchessa Radalìe la principessa di Roccascianodiceva al principino chestraordinariamenteper la circostanza del matrimonio della ziaaveva ottenuto il permesso di restar fuori la sera:

-"Questoqui lo accaseremo noia suo tempo! Avremo da sceglier noi chi dovràsposare!"

Nonsapeva in qual modo significare alla Giulente che quel matrimonio sifaceva per forzacontro il piacere della maggioranza della famiglia.Ma donna Eleonora non s'accorgeva di niente: seduta accanto allaprincipessa e alla contessa Matildesorrideva di beatitudine alpassaggio degli sposiin volto ai qualispecialmente a Lucrezialeggevasi la gioia del trionfo. Del restose donna Ferdinanda e lacugina le facevano il viso dell'armela principessa le usava moltecortesiela contessa Matilde prendeva parte alla sua felicitàdi madre; la stessa Chiara veniva a gettarsi nuovamente accanto alei.

-"Sietestancamarchesa?"

-"Io?No! Sto benissimo."Le trafitture spesseggiavanoquasi le toglievano il respiro: ellasarebbe stata felice di partorire lìsu quel divano.

Ferdinandoinfagottato nell'abito di società che metteva per la secondavolta in vita suagirava attorno come un'anima in penanonconoscendo nessunoda tanti anni che faceva la vita del Robinson.Era venuto per far da testimonio alla sorella diletta ed aveva frettache la cerimonia finisse presto per tornare alle Ghiande.

QuandoDio volleil corteosceso giù per la scala d'onore edistribuito nelle carrozzes'avviò alla cattedrale. Lafunzione celebrossi nella cappella privata del Vescovoda Monsignorein persona: tutti gl'invitati con le torce in manogli sposi dinanziall'altare sfolgorante e olezzantedonna Eleonora Giulente chepiangeva come una fontana. -"Unacosa commovente"diceva piano il duca al prefetto che gli stava a fianco. A un trattovi fu un rimescolìo: Chiaranon potendone piùs'eralasciata cadere sopra uno sgabello. Tutti la circondaronoma ella lirassicurava con un sorriso: sorrideva perfino Monsignoresapendolain istato interessante. Il marchese la trascinò in carrozzamentre il resto della comitiva andava in casa dei Giulentedove lecose eran fatte forse con più sontuosità che dalprincipe; un rinfresco che non finiva maii gelati che squagliavanonei vassoi per mancanza di consumatori; e finalmente gli sposi simisero in carrozza e se ne andarono al Belvedere.

Ildomani mattina andarono lassù a trovarliuno dopo l'altroiGiulente marito e mogliedon Lorenzo e il ducala principessa eperfino Chiarafresca come una rosa; i dolori erano svanitiellaaveva voluto a forza salire dalla sorella. Gli sposi non aspettavanopiù nessunoquandonel pomeriggio: drlindrlinuntintinnio di sonaglieree la carrozza di donna Ferdinandatuttaimpolveratasi fermò dinanzi al cancello del villino. Lazitellonacome se li avesse lasciati la sera precedentecome sefossero maritati da dieci annidiede la mano da baciare alla nipotee appena sedutasi disse a Benedetto:

-"Bell'affarem'hai proposto! Gli altri creditori si oppongono alla cessionedell'ipoteca!"

Benedettodallo sbalordimentonon seppe lì per lì cherispondere; ma Lucrezia si voltò a lui dicendo:

-"Nonc'è modo di accordarli?"

-"Icreditori?... Sicuro... si possono accordare..."E frenando a stento un sorrisoesclamò: -"VostraEccellenza non se ne inquieti. Il credito di Vostra Eccellenza eraprivilegiato. Li faremo stare a doverenon dubiti!"

Ildomanidonna Ferdinanda tornò col suo patrocinatoreperchéBenedetto gli spiegasse bene il da fare; e tornò ancora ilgiorno appressoe poi quell'altrofinchéper farlacontentaegli stesso riscese con la moglie in città adipanare in persona la matassa. Dovevano passare un mesetto alBelvederee ci stettero così una settimana appena. Egli nonse ne lagnavacontento della pace fatta con la ziala qualese liaveva cercati ogni giorno in campagnavenne mattina e sera atrovarli in città. Arrivava per tempoquando i Giulentepadre e madrenon erano ancora passati dalla nuorala quale restavaa letto fino a tardi. Benedettoin piedi col soledava gli ordinialle persone di servizio per la colazione e il desinarecurava chela moglielevandositrovasse la casa ravviatae tutto in ordine; edonna Ferdinandadopo aver discorso del proprio creditocominciavaa fare le sue osservazioni sulle faccende dei nipoti: se desinavanotroppo tardi per seguire la moda italiana portata da quellabestia del duca; se il venerdì comperavano il pesce troppocaroquando avrebbero potuto contentarsicome leidel baccalà;se davano alla cameriera tutto il trattamento invece della solaminestra come usava lei stessa in casa propria. E a poco a pocoficcava il naso in tutte le cose più minutepiùintime: rivedeva i loro contiesaminava la nota della lavandaiacriticava la compera degli strofinaccidettava sentenze di economiadomesticabiasimava il largo spendere di Benedetto dopo essersiopposta al matrimonio perché i Giulente erano -"pezzenti".Benedetto non si stancava di quella vigilanza curiosa e minuziosaingrazia della benevolenza di cui gli pareva prova; anziperingraziarsela meglioinvitava la zia una volta la settimana adesinare e un'altra a colazione; ma la zitellonache non si facevamolto pregare e che sfruttava in ogni modo i nipotiesercitava consempre maggiore autorità la sua criticavoleva essereascoltata in tutto e per tutto; non potendo prendersela conBenedettoil quale le stava dinanzi come un servitorepunzecchiavala nipote perché si levava tardiperché fino amezzogiorno restava discintacoi capelli sulle spalle e i piedinelle pantofole; tanto che finalmente questa disse a suo marito:

-"Micomincia a seccaresai!"

Alloraper farle piacerenon importandole il broncio della ziaegli diradògli inviti; ma quando credeva di mettersi a tavola solo con suamoglievedeva spuntare la zitellonache Lucrezia aveva chiamata.Mutava facilmente opinioneLucreziada un momento all'altro; etutti la secondavanonon solo suo maritoma anche il suocero e lasuocera: la covavano con gli occhi come una cosa preziosalacontentavano a un cennola servivano all'occorrenza. Cosìella si alzava ogni giorno un poco più tardirestava un paiod'ore senza far nullasenza neppure lavarsi; vestita finalmentesene andava talvolta dalla sorella Chiarache non era ancorapartoritaavendo sbagliato i conti d'un mese; ma più spessoal palazzodove aveva giurato di non metter più piedemarestava invece tanto che spesso suo marito doveva passare a rilevarlaall'ora del desinare. Ci tornava anche la sera per prender parte allasolita conversazione; talchétutto sommatoe tolte le oredel sonnoella stava più nella casa paterna che nellamaritale. I Giulentedel restogiudicavano naturale che ellacercasse dei suoi parentiné Benedetto pensava a rammentarlegli antichi propositi; quandoun bel giornooffertosi come alsolito di accompagnarla al palazzosi udì rispondere: -"M'hannoda tagliare tutt'e due le manise vado più in quella casa!"

-"Cheè stato? Che t'hanno fatto?..."

-"Chem'hanno fatto? Leggi!"

Ilprincipe aveva ritardato di settimana in settimana il pagamento delleultime tremila onze; adesso finalmente mandavaper mezzo del signorMarcoin piego suggellato diretto a Benedettoun nuovo conto.Lucrezia l'aveva aperto; c'era un passivodove figuravano le spesedella festa di nozze: un totale di centoventicinque onze. Notati glispumonii dolcii pacchi di candelel'olio delle lampade Carcel;ad ogni persona di servizio un'onza di regalo; dieci onze di fioridodici tarì di carrozze pagate a Baldassarre e persinoquindici tarì di piatti rotti. Quando Giulente lesse quellanotasi mise a ridere di cuoretanto gli parve buffa la grettezzaspinta a tal segno; ma Lucrezia era furibonda contro il fratello.

-"Chetrovi da ridere? È una schifezza senza esempio!... Per questoordinò le cose largamente!... Ma trent'onze di dolcichi liha mangiati? Cento rotoli di roba? E quelle quattro rose che mandòa cogliere al Belvedere? E i piatti rotti?..."

Quantunquesuo marito cercasse di calmarladimostrandole che in fin dei contiil principe non era obbligato a spendere del proprioella nonintendeva ragionespiattellava il restociò che prima avevanegato a se stessa:

-"Nonera obbligato? E il frutto della mia dote che s'è pappato persei anni? misurandomi il pane? senza ch'io fossi padrona dicomperarmi uno spillo?... E la transazione a cui m'obbligòprendendomi per il colloper consentire al nostro matrimonio? EFerdinando spogliato con me?... Se lo guardo più in faccianon sono più io!..."

Nonandò più infatti al palazzo; ma il principeda cantosuonon venne più da lei; alla moglieche voleva far qualchevisita alla cognataordinò rigorosamente di astenersene. Lacugina Graziellache a stento era stata a trovare una volta glisposiseguì l'esempio del capo della casa; talchéLucrezia cominciò a dire il fatto suo anche a quest'altrapettegola:

-"Nonvuol venire a casa mia? L'onore sarebbe stato tutto suo! Guardate unpo' questa boriosa che mia madre non fece valere un fico seccodarsiadesso il tono di non so chi! Credono di farmi dispiacere non venendoa casa mia? Non sanno che non cerco di meglio? Che non voglio vederpiù nessuno?"

DonBlascoda canto suonon aveva messo piede neppure una sola voltadagli sposi; e Lucreziadichiarandosene contentadiceva anche tuttele pazzie e le porcherie del monaco. Ella l'aveva anche con lasorella Chiarasenza che questa le avesse fatto nullae la deridevaper l'eterna gravidanza che non veniva a finequantunque giunta aldecimo mese. Se la prendeva insomma con tuttie alla contessaMatilde che la veniva a trovare come prima:

-"Dillotu"diceva -"cherazza di gente! Quante te n'han fatto vedereah? Quel birbante dituo marito? Tutti quegli altri che gli hanno tenuto il saccoquandoegli andava dietro a quella?..."

Impallidendopoi arrossendo a quei discorsiMatilde tentava nondimeno di metterbuone parole; ma l'altra rincarava:

-"Eli difendianche? Lasciali andare!... Tutti di una pasta!... Chi saquante ne vedrai ancorapovera disgraziata!... Per meringrazio Diod'essere uscita da quella galera!... Credono che io mi debbarinchinare?... M'importa assai di loro e delle loro visite!..."

Oraun giornorincasandoBenedettoche per secondare la moglienongià per sentimento proprioaveva chinato il capo a quellesfuriatela trovò seduta accanto a don Blascoal qualeserviva biscotti e rosolio... Il monaconon vedendo piùLucrezia al palazzosaputo della rottura tra fratello e sorellaeraapparso come una malombra dinanzi alla nipote. E Lucreziache avevagettato fuoco e fiammes'era subito alzata per baciargli la mano:-"Comesta Vostra Eccellenza?... Mio marito è andato fuori... SeVostra Eccellenza si ferma un poconon tarderà a venire..."E mentre lo aspettavanoil monaco s'era fatto raccontare tuttol'accaduto. Agli sfoghi di lei contro Giacomo e la cuginaeglipareva ingrassare nel seggiolone; ma non esprimeva il proprio parerenon si schierava né da una parte né dall'altra;scrollava il capo soltantoper dar la corda alla narratrice.Arrivato Benedettoche non credeva ai propri occhiil monaco silasciò baciar la mano dal nuovo nipotechiacchierò ditutto un pocomangiò un altro biscottoci bevve su un altrobicchierinoe andò via accompagnato dagli sposi fino alpianerottolo. Da quel giornoBenedetto non se lo potè piùlevar di torno. Veniva continuamentea ore diversequando meno sel'aspettavano; una strappata di campanello lo annunziavabruscafortepadronale; e una volta entratocominciava a girondolare comeun trottoloneparlando di centomila coseguardando in tutti gliangolifrugando su tutti i mobilileggendo tutte le cartedicendola sua sulle faccende dei nipoti peggio che donna Ferdinandamaandando via appena spuntava costei. Benedetto non era piùpadrone di casa propriagiacché nulla sfuggiva alla doppiacritica della zitellona e del monaco; ma egli la soffrivaallegramentecontento di vedersi oramai trattato da tutti gli Uzedasolo dolente della freddezza sorta col principe per causa nonpropria. Ma ciò che faceva sua moglie era per lui sempre benfattoed ellache aveva preso al suo servizio Vannadalla qualeera informata di tutto ciò che avveniva al palazzosfogavacon lo zio Blasco contro il fratellolo accusava di averla rubatadi aver rubato Chiaradi voler rubare adesso Raimondo:

-"Lospinge lui contro la moglie! Dicono che gli ha detto: "Checi stai a fare qui?"Per metter legna sul fuoco! Deve avere il suo piano! Non ètipo da far nulla per nulla! E Raimondo parte con MatildeperMilazzodice. Ma è troppo stupidainsommamia cognata! Ioho cercato di aprirle gli occhi perché mi fa pena. La cosa nonfinirà bene!... Non si sono consigliati con Benedetto sulloscioglimento del matrimonio?... Io gli ho detto di non mescolarsi inquesti pasticci!..."

Ellanon diceva che Benedettomandato a chiamare da donna Ferdinandaincasa della quale Raimondo lo aspettavalusingato da una confidenzadelicatissima sopra un affare intimose aveva dapprima lottato conla propria coscienzas'era a poco a poco lasciato vincere dall'onoreche la zitellona gli facevamettendolo a parte d'un secreto difamigliasollecitando i consigli di un parente piuttosto che quellid'un primo venuto. E questa idea aveva vinto i suoi scrupoli. Unestraneoun azzeccagarbugli capace di tutto per amore di farquattrininon sarebbe stato più da temerenon avrebbeconsigliato di porre subito mano alla causa? Invece egli confidava diriuscire a metter pace fra marito e moglie; fino all'ultimo momentoce ne sarebbe stato il tempo. Poigli ostacoli enormi da superarefinivano di rassicurarlo. Lo scioglimento d'un matrimonio era impresadifficilissima; ma donna Ferdinanda voleva scioglierne due: quellodella Fersa e quello di Raimondoe i motivi mancavanomancavanoperfino i pretestida una parte e dall'altra.

Chemale commetteva egli dunque rienumerando i motivi necessarideiquali il cognato gli aveva già chiesto una prima voltaediscutendo con la zitellona la via che si sarebbe dovuto tenere sequalcuno di quei motivi fosse realmente esistito? Non era una puraaccademiauna specie di lezione di diritto canonicocome quella delsuo antenatoche il cavaliere don EugenioGentiluomo di Cameraaveva elogiato?... Nondimenouna segreta soggezione lo impacciavadinanzi a Matildesentendosi già complice della trama orditacontro la poveretta. La contessaperòmostravasi piùserena e confidente che al tempo del suo arrivo in casa Uzeda; a pocoa poco ella s'era lasciata vincere dalla speranzavedendo cheRaimondo non parlava più di tornare in Toscanache leprometteva di condurlasubito dopo il parto di Chiaraa Milazzo perraggiungere le bambine e poi a Torinodove il padre di leiplacatosili aspettava. Come suo padre aveva dimenticato i severipropositi contro Raimondoanche Raimondo non poteva aver dimenticatol'amore di quell'altra?... Non finiva tuttocol tempo?...

EChiara non partoriva. Il secondo nono mese stava per finire e il suoventre non si sgonfiava. I dolori e le trafitture erano continuioramai; macol coraggio dei maniacinon ne diceva niente a nessunoostinata a voler sgravarsi senza aiuto di medici o di levatrici. Ilguaio fu checompiuto il decimo meseella non si liberava ancora.Certamenteaveva sbagliato il calcolo; maal maritoai parenti chela esortavano a chiamare qualcuno:

-"Nonvoglio nessuno!"rispondeva cocciutaper partorire da sola.

-"Questaè nuova!"gridava don Blascoil quale voleva ficcare il naso anche nel ventredella nipote. -"Unagravidanza di dieci mesi dove s'è vista? Meno male se durassedodiciquanto l'asina che sei!"

Infattiera cominciato l'undicesimo mesesecondo il primo calcolo. E unasera che ella non ne poteva piùche si sentiva morire e nonriusciva a nascondere le proprie dogliesuo maritospazientito perla prima volta dopo otto anni di matrimoniogridò:

-"Sequi non viene un dottoremi prendo il cappello e me ne vado."

Venneil dottor Lizio e si chiuse con la partorientementre il marcheseaspettava ansioso nel salottocoi parenti. Udendo che il chirurgoschiudeva l'uscio e chiamavacorse a domandarglitrepidante:

-"Dottore!...È sgravata?"

-"Mache sgravare e aggravare d'Egitto!"esclamò Lizio. -"Vostramoglie ha una ciste all'ovaia grande come una casa. Un altro pocoedera spacciata!..."



3.


ASan Nicoladopo la sistemazione del governo italianosi faceva lastessa vita di primacome al tempo dei napolitani; anzi era questouno degli argomenti sfoderati dai liberali contro i sorcidurante le discussioni politiche che s'impegnavano continuamenteall'ombra dei chiostri.

-"Avetevisto? A darvi ascolto doveva succedere il finimondodovevanomandare all'aria il conventoe invece è sempre ritto..."

Pelmomento i monaci seguitavano a far l'arte del Michelasso. Ilprincipinocrescendoindiavolava. Prepotente coi fratelliincutevaadesso un vero terrore ai camerieridai quali pretendeva le cose piùproibite: coltelli arrotati per lavorar canne delle quali facevacerchiandole di fil di ferroschioppi e pistole; polvere da sparoper caricare queste armi che gli potevano scoppiareDio liberitrale mani e accecarlo di tutt'e due gli occhi; razzi e tric-trace altri fuochi artifiziati per cavarne la polvereoppure zolfosalnitro e carbone per farla da sé. Aveva una inclinazioneistintiva e invincibile per la caccia: nel giardinodurante laricreazionenon potendo far altrotirava sassate agli uccelliacosto di spaccar la testa a qualche compagnoo s'arrampicava suimuri per distruggere i nidi dei passeri a rischio di fiaccarsi ilcollo egli stesso. E quando i camerieri non lo contentavanonon gliprocuravano le retiil vischiola polvereli strapazzavalidenunziava al maestro per colpe inventate di piantali metteva a piùdure prove buttando all'aria ogni cosa nella propria camera dopo cheessi l'avevano rifatta... La smania di fumare non gli era neppurepassata. Attribuendo alla cattiva preparazione del tabaccol'ubriacatura presa al tempo della rivoluzionevolle fumare sigariper davveroe prese un'ubriacatura più terribile della prima.Scoperto anche questa voltail maestro si decise a dargli un grancastigovietandogli di uscire per una settimana; ma poi la settimanafu ridotta a tre giornigrazie all'avvicinarsi del Natale.

Ogniannoper questa ricorrenzaciascuno dei novizi doveva recitare unapredicae riceveva in premio un'onza di quattriniquasi tredicilire della nuova monetapiù una scatola di cioccolata e duegalletti vivi. La predica di Natale toccava quell'anno '61 a ConsalvoUzeda: l'aveva scritta il Padre bibliotecarioche era letteratoperciò invece che nelle poche paginette degli altri anniconsisteva in un bel quadernetto. Egli che aveva una memoria di ferroe una faccia tosta a tutta prova aspettava la cerimonia con unatranquillità e una sicurezza ignote ai compagniai quali iregali costavano quindici giorni d'ansia e uno di vera paura. Ilgiorno della funzioneil Capitolo dove i monaci avevano giàpreso posto nei loro stalli fu invaso dalla consueta folla deiparenti maschi: le donneper via della clausurarestavano accantonella sacrestiadella quale lasciavansi spalancate le porte. Tuttiesclamarono piano: -"Chebel ragazzo! Com'è franco e sicuro!"quando il principinovestito della candida cotta piegolinatasalìsul pulpitoguardò tranquillamente la folla degli spettatorie spinse uno sguardo alla sacrestia rigirandosi tra le mani ilrotoletto del manoscritto e tossicchiando un pocoprima dicominciare. Sotto lo stallo dell'Abatein mezzo al principeal ducad'Oraguaa Benedetto Giulentedon Eugenio diceva: -"Guardateche padronanza! Se non pare un predicatore consumato!"Ma la stupefazione crebbe a dismisura quando il ragazzoaperto ilfascicolo e datavi un'occhiatalo abbassòrecitando amemoria: -"ReverendiPadri e fratelli dilettissimiera una notte del più rigidovernoallorquando in una stalla di Nazaret..."e tirando poi via sino in fondo senza guardare neppure una volta loscartafacciogestendofacendo pausecambiando il tono della vocecome un oratore provettocome un vecchio attore sul palcoscenico.Finito che ebberisceso che fuper miracolo non lo soffocaronodagli abbraccidai baci; la principessa aveva le lacrime agli occhidonna Ferdinanda anche lei era commossa; maquantunque mutal'ammirazione del deputatoal quale la sola idea della folla serravala gola e annebbiava la vistanon era la meno profonda. -"Chepresenza di spirito! Che franchezza!..."e tutte le signore lo attiravanol'abbracciavanolo baciavano inviso: egli lasciava farerestituiva i baci sulle guance fresche eprofumatetorceva il muso dinanzi alle flosce e grinzose; e oltre airegali del convento intascava le lire che gli davano gli zii. Il piùcontentocon tutto questoera fra' Carmelo: gli pareva d'esserel'autore di quel trionfod'aver diritto ad una parte degli applausidelle congratulazionidei baci delle signore. Non aveva covato congli occhi quel ragazzo nei cinque anni del noviziato? Non avevavantato il suo ingegnopredetto la sua riuscita? I maestri silagnavano perché non amava lo studio: doveva dunque fare ilmedico o l'avvocato o il teologo? Ai Benedettini ci stava perricevere l'educazione conveniente alla sua nascita; poi sarebbeandato a casa sua a fare il principe di Francalanza!

Equesto era il giorno che Consalvo aspettava; per l'impazienza di nonvederlo arrivareper farsi mandar viaegli sfrenavasi sempre piùmetteva con le spalle al muro non più i fratelli e icamerierima lo stesso maestro. Durante la rivoluzione e subitodopoi Tignosi avevano tolto dal convento MichelinoiCùrcuma Gasparinoi Cugnò Luigi; né altrinovizi erano entratifuorché Camillo Giulentegiacchédicevasi che il governo avrebbe soppresso i conventi. Restavanosoltanto coloro che le famiglie destinavano a professarsiGiovanninoRadalìfra gli altriil -"figliodel pazzo".Morto suo padrela duchessaper amore del primogenitodestinava ilsecondo a farsi monaco. Ma Consalvoche non doveva professarsivoleva andar viaal più prestosubito; e invece suo padreogni volta che egli gli domandava: -"Quandotornerò a casa?"rispondeva col solito suo fare secco e freddo che non ammettevareplica: -"Hoda pensarci io!"E non ci pensava maie il ragazzo sentiva crescere l'avversione chequel padre rigidodel quale non rammentava una buona parolagliaveva ispirata. Quando andava a casa in permessoegli stava unmomento con la mammapoi se ne scendeva giù nella cortepassava in rivista i cavalli e le carrozzedomandava il nome ditutti gli arnesi delle scuderie; e la tonaca gli pesavaperchénon gli permetteva di salire a cassetta e d'imparare a guidare. Avevatempo di spassarsigli diceva Orazioil nuovo cocchierepoichéPasqualino era partito per Firenze al servizio dello zio Raimondo; maegli voleva spassarsi subitosottrarsi alla tutela dei monacifarequel che gli piaceva. E all'idea di dover tornare nella prigione delconventoinvidiava perfino le persone di servizioil figlio didonna VannaSalvatoreche era entrato in casa Uzeda come mozzo distallae passava tutto il santo giorno a cassettascarrozzando perla città. Consalvo lo invidiava e lo ammirava per le tantecose che sapevaper le male parole che diceva liberamente; e fra'Carmelosonata l'ora di ricondurlo al conventodoveva sgolarsi unbel pezzo prima di stanarlo dalla stalla o dalla scuderia.

-"Chehai fatto?"gli domandavano la mamma e la zia.

-"Nulla"rispondevaun po' rosso in viso.

Erastato ad ascoltare i discorsi di Salvatoreche gli narrava le gestadi tanti Padri Benedettini:

-"Lanotte se n'escono per andare a trovar le amichee certe volte leconducono con loronello stesso conventoavvolte nei ferraioli: ilportinaio finge di capire che son uomini!... Vostra Eccellenza chec'è dentro non le ha mai viste?..."

Nonaveva visto nullalui; e tutte quelle cose apprese in una volta lostupivano e lo turbavano.

-"Manon è peccato?..."

-"Eh!..."faceva il famiglio. -"Seavessero cominciato essi! Hanno fatto sempre cosìi monaci! Ifratelli non sono quasi tutti figli dei vecchi Padri?"

-"Anchefra' Carmelo?"

-"Fra'Carmelo?... Fra' Carmelo è un'altra cosa... È bastardodel bisnonno di Vostra Eccellenzafratello spurio di don Blasco..."

-"Perciòmio zio?"

-"EBaldassarre anche lui... fratello bastardo del signor principe... Sisono spassati i signori Uzeda!... Poiquando sarà grandesidivertirà anche Vostra Eccellenza!..."

Ahcome aspettava di crescere! Con quanta impazienzacon qual rancoreverso il padre vedeva scorrere i giornile settimanei mesi e glianniin quella prigione! Con qual animo udiva adesso le predichesevere dei monacidopo aver saputo la loro vita! Spesso discorrevadi queste cose secrete con Giovanninogli diceva quel che avrebbefatto appena fuori del convento; e Giovannino stava a sentire conaria stralunataquasi non capisse. Era così quel ragazzoalle volte furioso come un diavoloalle volte inerte come uno scemo.Voleva anche lui andar via dal conventoe davaa giorniin ismanieterribili; ma poi si persuadeva dei ragionamenti della duchessa suamadreche i quattrini di casa erano tutti del fratello Michelechea San Nicola sarebbe stato da signorefra tanti altri signorie sichetavanon pensava più a scapparsenenon invidiava lafutura libertà di Consalvo.

Finital'agitazione politicaera venuta meno una gran causa di risse alNoviziato e tra i Padri; ma questi avevano trovato un'altra ragionedi battagliare. Le voci relative alla prossima soppressione deiconventi erano state confermate da Roma; non poteva passar molto cheil governo degli usurpatori avrebbe messo le mani sui beni dellaChiesa. Don Blasco s'era nettata la bocca contro i liberaliifedifraghinemici di Dio e di loro stessiche non avevano volutodargli retta. Adesso peròpiù che gridarebisognavaprendere un partito in previsione di quell'avvenimento. A San Nicolas'era sempre speso allegramente tutta la rendita del conventonellacertezza che la cuccagna sarebbe durata sino alla fine dei secoli; macol mondo sottosopracol pericolo che il governo abolisse dabbero lecorporazioni religiosenon era più conveniente moderare lespeseperché il più corto non rimanesse poi da piede?L'Abatecome sempreaveva preso consiglio prima di tutto dalPriore. Padre don Lodovicomodestamentenon aveva volutopronunziarsi: -"Cheposso dire a Vostra Paternità? L'avvenire è nelle manidi Dio. Dalla nequizia dei tempi c'è tutto da aspettarsi. Inemici della Chiesa son capaci di questo e d'altro. Non mi stupireise ricominciassero le persecuzioni dell'infernale Ottantanove."Egli era sincero nel suo livore contro il nuovo ordine di cosecheda principio aveva appoggiato per politicaper tenersi bene con lanuova potestà temporale. Ma la soppressione dei conventidistruggeva tutti i suoi sogni di rivincitadi predominiod'onori.Che cosa gl'importava ora mai del bilancio di San Nicolamentrepericolava tutto il proprio avvenireil frutto di quindici anni dipoliticamentre egli doveva pensare a una nuova via da batterea unaltro scopo verso il quale dirigere la propria attività? Equel poveromo dell'Abate insisteva per avere la sua opinione sullemiserie della spesa quotidiana! -"Dimmitu come debbo regolarmi! Che cosa faresti al mio posto?..."Un momentodon Lodovico provò la tentazione di levarselo daipiedi; machinato il capocon maggiore umiltà di primarispose: -"VostraPaternità è troppo buona! Le economie mi sembranosempre lodevoli. Se il Signore non permetterà che i suoi servisiano messi alla provaavremo qualche cosa di più dadestinare alle opere buone..."Così l'Abate s'era pronunziato pel risparmiod'accordo colCapitolo; ma i monaci non furono tutti d'un sentimento. Tra quelliche non credevano possibile la soppressionetra gli altri chetemevano di dover rinunziare al lusso di cui avevano sempre godutoil partito delle economie trovava molti oppositori. In mezzo ai duecampi don Blasco non voleva né tenere né scorticarescaraventandosi a un tempo contro gli uni e gli altri. Combattere ilsistema delle economie con la speranza che il governo noncommetterebbe la spogliazioneegli oramai non poteva piùsequesta spogliazione aveva prevista e rinfacciata ai traditoriliberali; e del resto le economie destinate ad essere spartite tra imonaci in caso di scioglimento erano nel suo modo di vederepoichéegli avrebbe avuto la propria parteuscendo dal convento; perònon voleva rinunziare allo scialo cui era avvezzoe poi lo stessofatto che questo partito era capitanato dall'Abate e dal nipotePriore e da tutti quelli del Capitolo faceva che egli si scagliassecontro di lorochiamandoli -"lercistraccioni"gridando: -"Vadanoa fare i locandieri o i bottegai! Si mettano a vender l'olioil vinoe il caciocavallo! A questo son buoni! Per questo mestiere sononati!..."Udendo dall'altro canto i patriotti cullarsi nella certezzache il governoin ogni casoavrebbe pensato a loros'evacuava:-"ilgoverno vi butterà fuori a pedate e vi porgerà ilsedere da baciare! Giuda vendé Cristoma n'ebbe almeno trentadenari. A voialtri toccheranno calci nel preterito per giunta!..."

Infondoall'idea della spartizione dei quattrinidi possederefinalmente qualcosa di suoera per le economiepure combattendole.Del resto a San Nicola la spesa era grande non tanto per il valoredelle cose acquistatequanto pel modo regale di sperperare iquattrinidi compensare il più piccolo lavorodi far godereai primi venuti il ben di Dio accatastato nei sotterranei delconvento. Con un certo ordinelasciando che i cuochi rubassero unpo' meno di primache i fratelli destinati al governo dei feudis'arricchissero in un tempo un poco più lungo del consuetoc'era da riporreogni announa somma che avrebbe fatto l'agiatezzadi parecchie famiglie. Ma le case regalate ai protetti dei monaciper esempionon bisognava toccarle: don Blasco avrebbe voluto vederproprio questoche avessero tolta la bottega e il quartierino allaSigaraia! E né lui né gli altri volevano rinunziare ailoro diritti: spesato ed alloggiatociascun Padre aveva tre rotolid'olio al meseuna soma di carboneuna salma di vinotutta robache andava a finire dalle amiche. Ora i risparmi stavano bene; maciascuno pretendeva il suo.

L'Abateo di buona o di mala vogliadoveva lasciarli fare. Egli del restochiudeva adesso un occhioperché aveva da propiziarseli.Camillo Giulentecompiti vent'anni ed espressa la ferma decisione dipronunziare i votiera passato al Noviziato formale. C'era statobisogno di una votazioneper questoe l'opposizione control'intrusoscatenatasi più violentaaveva gridato eminacciato alto per impedire la sanzione dello scandalo. Ma l'Abateaveva insistito personalmente presso tutti i Padriraccomandandoquel ragazzofacendo rilevare le sue eccellenti qualitàilprofitto ricavato negli studila sua triste situazione di orfanopovero. Ai capoccia aveva fatto parlare dal Vescovo e scrivere daiparentidalle persone che potevano esercitare qualche influenzasull'animo loro: così qualcuno s'era piegatoaltri aveva datouna promessa in ariae insomma nonostante le grida e i complottiGiulente era stato ammessoma per pochi voti. La notizia aveva fattochiasso: i nobili improvvisatidi fresca datase ne eranorallegrati come di una fortuna loro propriariconoscendo l'influssodei nuovi tempil'azione spregiudicata dei Padri liberali; matra ipurilo scandalo durava ancora.

Adessopassato l'anno di provainnanzi che il novizio potesse pronunziare ivotibisognava che il Capitolo rinnovasse lo scrutinio. L'Abatequantunque sicuro del fatto suopure trattava tutti con le molled'oros'affidava a don Lodovicogli esponeva le nuove ragioni chedovevano indurre i monaci a dire di sì. Dopo un primo votofavorevole era mai possibile darne uno contrariose durante tuttoquesto tempo il giovanotto era stato il vivente esempio del rispettodell'umiltàdello zelo religioso? Del restose quel che sitemeva dovesse realmente accaderese il governo avesse soppresso iconventiche fastidio poteva dare il nuovo monaco agli antichi? Erabeneanzinelle tristizie dei tempifar vedere ai persecutoridella Chiesa che lo stato monastico rispondeva a un vero bisognosocialesecol pericolo di non goderne più i vantaggiigiovani chiedevano egualmente di sopportarne i pesi...

El'Abateassicurato da don Lodovico che tutto sarebbe andato asecondadormiva tra due guanciali. Arrivato il giorno dellavotazione e posta ai Padri la quistione se volevano fra loro ilGiulentetrenta sopra trentadue votanti risposero noe due soliconsentirono.

-"Peruna volta che si ragiona!"esclamò don Blasco quasi sotto il naso di Sua Paternità.

Ilcomplotto era stato preparato sottomano da un pezzo. Alla primavotazione una metà dei votanti s'eran lasciati piegare sapendobene che quel voto non pregiudicava nullache bisognava poi tornarda capo; ma dovendo ora dir sul serionessuno aveva piùesitato: borbonici e liberalifautori e avversari dell'Abateilpartito delle economie e quello dello scialos'erano tutti accordatinell'opporsi all'ammissione tra i discendenti dei conquistatori delregno e dei Viceré di un pronipote di mastri notari comeGiulente. Non importava loro della prossima o lontana fine dellacuccagnané dell'esempio da dare nell'interesse dellareligione; c'era innanzi tutto il principio di tener alto -"ilbestiame da non confondere"come diceva don Blasco; se il giovane era orfano e poverogli sisarebbe dato da dormire e da mangiarecome a uno di quei tantiparassiti che vivevano sul convento; ma permettere che rivestisse lanobile tonaca benedettina? Che gli si dicesse Vostra Paternità?Che sedesse alla loro mensa?...

Eper tutta la clientela del convento corse un lungo sussurro diapprovazione: così andava fattosin dal principio! Era unabella lezione data all'Abate!... Il giovanottodal dispiaceredallavergognarestò un mese senza farsi vedere. Quando riapparvepallido e con gli occhi rossinon si seppe che cosa farne. Se iPadri non l'avevano volutonon era più possibile rimandarlotra i novizialla sua età e dopo quello scandalospecialmenteche attirava sul povero diavolo le beffe e gli insultidel principino e dei suoi compagni. Così l'Abate dovetteassegnargli una camera fuori manoin fondo a un corridoio deserto; eGiulentelasciato l'abito di San Benedetto per l'umile veste delpretese ne stava tutto il giorno a studiare sui libri che il suoprotettore gli faceva mandare dalla biblioteca. Al refettorionéi Padri né i novizi volendolo con loroegli mangiava allaseconda tavolain compagnia dei fratelli di servizio... Don Lodovicoesprimeva il proprio dolore all'Abate per questa persecuzione. Eglisi era guardato bene dal far la propaganda della quale Sua Paternitàl'aveva pregatoprima di tutto perché il suo proposito dineutralità glielo vietavapoi perché neppur lui volevaGiulente al convento. Nondimeno era stato il solo a votare il sìper dimostrare al superiore la propria fedeltàsicurofrattanto dell'unanime opposizione dei monaci. Dopo l'esito delloscrutiniogettava la colpa sulla doppiezza dei Padriche dopo tantepromesseall'ultimo momentoper uno -"stupido"pregiudizios'eran disdetti... E così la baracca andavaavanticol solito armeggio dei partiticon le solite discussionipiù o meno burrascosequando un bel giorno tutta la frateriafu messa a rumore da un avvenimento straordinariocome al tempodella rivoluzione.


Garibaldiera già in Sicilia a far gentenon si sapeva perché omegliosi sapeva benissimo: per andar contro il Papa. Al suoavanzarsi un mal represso fremito si levava tutt'intornoper lecittà e le campagnementre le autorità sibarcamenavano non sapendo a qual santo votarsie un po' fingevanod'osteggiarloun po' gli cedevano il passo. Quando egli si presentòdinanzi a Cataniala guarnigione che doveva arrestarlo aveva giàsgomberato la cittàe il prefetto scese al porto perimbarcarsi sopra un legno di guerra. E il Generale entrò coisuoi volontari tra due siepi vive di popolazione che applaudiva egridava freneticamentein mezzo a un delirio d'entusiasmo dinanzi alquale le stesse dimostrazioni del Sessanta parevano tiepide escolorite. Da un balcone del circolo degli operaidominando il corsogonfio di popolo come una fiumanaegli spiegava lo scopo della nuovaimpresagettava con la voce dolce il grido della nuova guerra: -"ORomao morte!..."Poidove andò egli a porre il suo quartier generale? A SanNicola!

Legridail trambusto che ci furono lassù tra i monaci silasciarono anch'essi molto indietro le dimostrazioni del Quarantottoe del Sessanta. Don Blasco divenne un energumeno; disse cose dei -"piemontesi"che non fucilavano Garibaldi e di Garibaldi che non spazzava via i-"piemontesi"da far turare le orecchie a un saracino. E la sua più vivasperanzala fede che lo sorreggevaera quest'ultima: che i duepartiti si sterminassero reciprocamenteche i briganti dellaBasilicata dessero l'ultimo crollo alla baraccache succedesse cosìun cataclismail diluvio universale non più d'acqua ma diferro e di fuoco perché il mondo risorgesse purificato dalleproprie ceneri. E i monaci liberaloni -"queipezzi di scannapagnotte"osavano ancora batter le mani mentre la rivoluzione ordiva la finalerovina dell'ultimo rappresentante delle legittimitàdel piùaugustodel più sacro: il Santo Padre! Battevano le mani comegli arruffonicome gli affamati in busca di un'offacome i galeottievasi di cui si componevano le nuove bande! E dimenavano i fianchiingrassati a spese di San Nicolae si fregavano le mani che la beatacuccagna permetteva loro di mantener bianche e lisce come quelledelle dame!

-"Manettadi mangia a ufo che sieteavete forse vinto un terno al lotto? Noncapite che più presto l'eresia trionferàpiùpresto vi butteranno in mezzo a una strada? Di che vi rallegratetraditori più di Giuda? Non volete capire che avete tutto daperdere e niente da guadagnare?"

-"Econ questo?"

-"Comecon questo?"

-"Cipiglieremo anche noi un po' di libertà..."

Quandogli dettero quella rispostail monaco impallidì poi tutto ilsangue gli montò alla testa e gli occhi parvero sul punto dischizzare dalle orbite.

-"Ahsì; ve ne manca?"articolava. -"Vimanca la libertà...? Siete chiusi in fondo a un carcerepoveri disgraziati?... Che libertà vi mancad'ubriacarvi cometanti otri? di crepare dalla sazietà? di mantenere le vostreciarpe?... Non lo sapetenocome vi chiama la gente?..."E spiattellò loro in faccia l'epiteto popolare col quale eranodesignati da tutta la città: -"Porcidi Cristo!..."

Inmezzo al baccano delle discussioni che minacciavano di finire acinghiateil povero Abate pareva un pulcino nella stoppanonsapendo come farenon volendo dar mano ad affrettar lo scempio deibuoni princìpima non potendosi opporre alla venuta deigaribaldini. Pertanto s'afferrava al Prioresi metteva nelle suemaninon lo lasciava più. Don Lodovicolagnandosi delletristizie dei tempiinvocando dal Signore la cessazione di quelledure proveprese le redini del convento e preparò ilricevimento di Garibaldi: ordinò che dessero aria al quartiererealeche approntassero pagliericci e foraggiche vuotassero lecantine e i riposti. Quando arrivò il Generalegli andòincontro fino a piè dello scaloneaccompagnò ai loroalloggi gli aiutanti e presiedé il pranzo delle camicie rossescusando l'Abate che una piccola indisposizione costringeva a letto.

DonBlascogiallo come un limonenon potendo più gridareall'arrivo dei garibaldinis'era tappato una seconda volta alNoviziato. Quasi tutti i ragazzi non c'erano piùripresidalle rispettive famiglieche per paura dei torbidi si mettevano insalvo. Solo il principinoGiovannino Radalì e due o tre altrierano rimastimentre gli Uzeda erano scappati al BelvederetranneFerdinandochiuso come sempre alle Ghiandee Lucrezia conBenedettoil quale riprendeva il suo posto di combattimento in queigiorni agitatitra le poche autorità e i rari notabilirimasti. Egli si sarebbe anzi arrolatoper far la nuova campagna congli antichi commilitonisenza il dovere di non abbandonar la moglie.Salito su al conventoil domani dell'arrivo di Garibaldiandòad ossequiare il Generaleche lo riconobbe subitogli strinse lamanoe lo intrattenne un pezzo nonostante l'andirivieni dellecommissionidelle rappresentanze di ogni genere accorrenti incontroall'antico Dittatore. La incertezza e l'inquietudinele speranze e itimori intorno a quel che sarebbe seguito erano universali. Qualidisegni aveva Garibaldi? Quali ordini i rappresentanti dell'autorità?il conflittose maisarebbe scoppiato a Catania? Che cosa avrebbefatto la Guardia nazionale?... Non si sapeva nulla; certuni dicevanoche il governo fosse secretamente d'accordo con Garibaldichefacesse finta d'osteggiarlo per l'occhio dei potentati. Benedettoripresa la pubblicazione dell'Italia risortasosteneva questaopinionee il silenzio del duca d'Oraguaal quale aveva scrittolettere su lettere pregandolo di tornare in Siciliapoiché lapresenza di lui poteva divenire necessarialo induceva aconfermarvisi. Aveva pertanto assicurato al Dittatore l'unanimeconsenso di tutto il paese. Congedandosi e sul punto di riscendere incittàsi udì chiamare:

-"Eccellenza!...Eccellenza!..."Era fra' Carmelo che gli veniva dietro. All'orecchioe con aria dimisteroquando l'ebbe raggiunto: -"Suozio don Blasco"gli disse -"hada parlarle..."

Rintanatonell'ultima stanza dell'ultimo corridoio del Noviziatodon Blascovolle sentire due volte la voce del nipote prima d'aprire. Serratol'uscio sul muso del fratello:

-"Seidunque impazzito anche tupezzo di bestione?"disse a Benedetto.

Questiaveva appena domandato un perché timido e sommessoche ilmonaco ricominciòcon nuova violenza:

-"Comeperché? Hai il viso di domandarlo? Con la guerra civile chestate per far scoppiare? La città bombardata? Le stradeinsanguinate? I galantuomini perseguitati?... E mi domandiperché?..."

-"Nonè colpa..."

-"Nonè colpa tua? Di chidunque? Miaforse? Sicuro! Li hoscatenati io in persona! Conosco il solito giuoco! Gl'istigatori sonoi galantuomini colpevoli di non transigere con la propria coscienza!Mi meraviglio che non son venuti ad arrestarmi!... Venganovenganopure!..."e pareva un leonecon gli occhi sfavillanti.

-"VostraEccellenza si calmi..."balbettava Giulente.

-"Hoda calmarmianche? Mentre il mio paese è minacciatodell'ultima rovina? Quando vedo una bestia della tua cubatura batterle mani con gli altriinvece di evitare quest'inferno?..."

-"Main qual modo?"

-"Inqual modo? Facendoli andar via! Si scannino in campagnasul maredove piace loronon dentro una città come la nostradove idanni sarebbero incalcolabilidove ne andrebber di mezzo le donneivecchii bambinii galant... Vadano via a scannarsi dove gli piace;il mondo è grande!... Ecco in qual modo!..."

Giulenterimaneva perplessonon osando contraddire allo zioma non volendoneppure disdirsi dopo mezz'ora.

-"Macome fare? Tutto il paese è pel Generale..."

-"Tuttoil paese? Prima di tuttosei una bestia! Quale paese? I pazzi comete? E poiquand'ancheragione di più! Se il paese èper luise c'è entrato da trionfatoreche resta a farci?Fosse una piazzafortecapirei; ma una città aperta ai quattroventi? Se ha da attaccar battagliavada altrove! Si porti chi vuolee ciò che vuolee buon viaggio!..."

Ilmonacoa poco a pocos'era venuto placandoe aveva detto le ultimeparole quasi col tono di ogni altro cristiano; ma appena Benedettoosservò:

-"Echi lo persuaderà?"

-"Ahsangue di Maometto!"riprese col vocione di prima e un gesto furioso. -"Parlocon una bestia o con un essere ragionevole? Chi l'ha da persuadere?Voialtri che gli state attorno! C'è una Guardia nazionale? C'èun'autorità qualunque? Tuche cavolo sei? Capitanobuoncittadinoil diavolo che ti porta via? Tocca a voialtri parlarchiaro e tondodopo che i tuoi conigli piemontesi se la sonobattutalasciandoci nel ballo! O credi forse che voglia impicciarmicon cotesti assassinibrigantigaleottiru..."

Alrumore di un passo risonante pel corridoiodon Blasco ammutolìcome per incanto. Si gargarizzò quasi la gola gli prudessefece due passi per la camerasi fermò un momento a tenderl'orecchio; poicessato il rumoredichiarò:

-"Sevuoi capirlatanto meglio; se nomettiti bene in testa che a mecome a meimporta un solennissimo cavolo di tedi GaribaldidiVittorio Emanuelee di quanti siete..."

Giulentetornò a casa sua impensierito ed inquieto. Appena entrato incamera di sua moglievide Lucrezia seduta in un angolocon glisguardi a terra e gli occhi rossi.

-"Chehai?... Che è stato?..."

-"Nulla.Non ho nulla."

-"Matu hai piantoLucrezia! Parla! Dimmi che cos'hai!..."

Ellanegavasenza guardarlo in facciacon la bocca ostinatamente cucitae se non era Vanna che sopravvenivaBenedetto non sarebbe riuscito asaper niente.

-"Lapadrona non vuol restare in città"dichiarò la cameriera. -"Tuttii suoi parenti se ne sono andatianche la povera gente si mette alsicuroe lei sola ha da restare al pericolo?"

-"Chepericolo?... Lucreziaè per questo? Ma se non c'èpericolo di niente? Che temi? Non sono qua io? A me non farannonullain nessun caso! Se ci fosse un pericolo anche lontanotilascerei qui? Andremo via se le cose si guastano; ho bisogno dipromettertelo?..."

Dopoche ebbe parlato un quarto d'oraella articolò:

-"Voglioandarmene dai miei parenti."

-"Masanto Dioperché? Stamattina eri così tranquilla! Checosa è mai successo?"

Erasuccesso questo: che la moglie di Orazioil cocchiere del principeaveva fatto una visita all'antica padroncina per annunziarlecolfiato ai dentiche scappava anche lei al Belvedere. -"Eccellenzaqui non si può più stare. Oggi non sa che cosa èsuccesso? I soldati piemontesi rimasti all'infermeria se ne andavanoa raggiungere la truppa. Al Fortinoi garibaldini li vogliono fareprigionieri. AlloraGesù e Mariail tenente ordina baionettain canna! E io che passavo con le creature!... Dallo spavento stoancora tremando! Ho fatto un fagotto di quei quattro cencie staserame ne vado..."Allorase la moglie del cocchiere andava vialeila sorella delprincipe era da meno della moglie del cocchiere?... Quest'idea nonera sorta improvvisamente nella sua testa. Lottando per sposareGiulenteella aveva giurato di non aver più che fare con gliUzeda; tutte le ragioni da loro addotte per denigrare Benedetto e lafamiglia di lui l'avevano invece sempre più confermata nel suoproposito. Matrionfando delle opposizioniella aveva cominciato arimuginarenelle lunghe ore d'ozio e d'inerziagli antichiargomenti della zia Ferdinandadi Giacomodel confessore; lapersuasione d'essere discesasposando Benedettoaveva cozzato unpezzo con l'ostinazione antica; in rotta col fratelloil cruccio dinon poter più entrare nella casa dei Vicerédisentirsi quasi posta al bando dai parentil'aveva occupata a poco apocomentre ella continuava a prendersela con loro. Al principiodelle inquietudini pubblichela fuga generale dei nobili e deiricchi aveva colmato la misuraed ora ella dimenticava ciòche aveva detto contro Giacomola freddezza sorta tra loro dueilfermo proposito di non piegarsi: voleva andare al Belvedereseperfino la moglie del cocchiere c'era andata...

Giulentestava ancora cercando di persuaderlaquando arrivò la posta;in mezzo ai giornali c'era finalmente una lettera del duca. Il ducadiceva di non aver più ricevuto sue letterein quei momentidi agitazioneche gliele facevano aspettare con impazienza. Lenotizie di Sicilia gli avevano messo la febbre addossotanto cheegli voleva subito far le valige; ma disgraziatamente era impedito damolte e gravi faccende -"tutted'interesse del collegio e del paese".Del restose voleva trovarsi fra i propri concittadiniciòera per avvertirli di non lasciarsi trascinare da Garibaldi. -"Lodico dunque a te che puoi farlo capire alle teste riscaldatedovepiù insistente si cammina a nome del principio utopistasicorre sicuro al naufragio. Altronde il governo è decisoopporsi in tutti modi a simile aberrato. Ed io credo che fa benissimoanzi che ha perduto troppo tempo. Garibaldi dev'essere arrestato aforza; non si può permettere che una nazione di ventisettemilioni sia messa in orgasmo da un uomo che ha meriti distintimapare aver giurato di farli dimenticare con una condotta che..."e qui due facciate contro Garibaldi. -"Perchépoivoltiamo la paginaneppure il governo è liberoe nonbisogna lusingarsi col non intervento; c'è la Francia che faun caso del diavoloNapoleone ha detto... l'Austria aspetta unpretesto... tutta l'Europa invigila..."e un altro foglietto di gravi considerazioni sulla politicainternazionale. -"Quinditi raccomando di far comprendere queste verità agli amiciedancheanzi soprattuttoagli avversari. Bisogna evitare un seriodisastro al nostro paesee tutti bisognano persuadersi del pericolodella situazione. Pregoti di parlare e occorrendo scrivere in questosenso; anzi sono sicuro che nella tua accortezza ti sarai giàmesso all'attuazione."

Perla terza volta in tre orequalcuno dei suoi parenti lo spingeva cosìnella via da cui egli ripugnava. Il duca scrivevaescandescenze apartecome don Blasco parlava; il monaco borbonico erain fondod'accordo col deputato liberale; e sua mogliechiusa in cameragliteneva il bronciocomplottava con la cameriera per indurlo adabbandonare il suo posto.

Laseraad una tempestosa riunione del Circolo Nazionaledove ilpartito garibaldino e il governativo erano venuti quasi alle maniegli s'alzò per parlare. Nell'imbarazzo da cui era vintol'argomento suggerito da don Blasco gli parve il piùopportuno. Nessuno poteva mettere in dubbiodissela sua devozioneal Generalené la coscienza gli permetteva di dare ragione aquelli che volevano schierarsi contro il liberatore della Sicilia; mabisognava piuttosto dimostrarglicol dovuto rispettoil pericolo acui era esposta la città. Delle due l'una: o agiva d'accordocol governoe allora non aveva nessun interesse di restare aCatania; o il governo gli si opponevae allora bisognava chiedere alsuo cuore di evitare gli orrori della guerra civile ad una cittàpopolosa e fiorente. E questo era proprio il casopoiché ilgoverno aveva deciso di opporglisi... Quel discorso scandalizzòi suoi antichi amici; maprendendoli a parte uno dopo l'altro quandol'assemblea fu sciolta senza nulla deliberareegli li esortòa piegarsiesponendo la verità nuda e crudale notiziedategli dal duca. -"Perchénon viene egli stessoallora?"domandavano. -"Checosa sta a fare a Torinomentre qui si balla?"Ed egli lo giustificavaannunziando che si sarebbe messo in viaggioal più presto possibilema che intanto bisognava mandare unacommissione al Generale per indurlo a sgomberare...

Lasua propaganda ottenne l'effetto desiderato. Sul partito ostile aGaribaldi s'erano accumulati molti sospettipoiché iborbonicii paurosi senza nessuna fede erano con esso; ora che unliberale provato consigliava non la resistenzama la rispettosaesposizione del pericoloquesto consiglio si faceva strada.Benedetto non ebbe tuttavia il coraggio di andare in persona dalGenerale ad esporgli la sua nuova opinione; lasciò cheandassero gli altri. Costretto a condurre sua moglie al Belvederesene tornò solo in cittàaspettando gli avvenimentiscrivendo e telegrafando al duca per invitarlo a venire. Passaronoalcuni giorni senza che la situazione mutasse. Garibaldidall'altodella cupola di San Nicolascrutava spesso la linea dell'orizzontecol cannocchiale spianato; ocurvo sulle cartestudiava i suoipianio riceveva la gente e le commissioni che venivano a trovarlo.Finalmente s'imbarcò con tutti i volontarinon si sapeva dovedirettose in Grecia o in Albania; ma dopo la partenzaun lievitodi scontento restò nella cittàuna sorda agitazioneche le persone influenti e la stessa Guardia nazionale non riuscivanoa sedare. Il movimento era adesso contro i signoricontro i ricchi;Giulente aveva arringato i tumultuantima nessuno lo ascoltava più;e il duca gli scriveva ancora che non poteva venireche stava pocobeneche i grandi calori gli avevano rovinato lo stomaco...

Unpomeriggio che don Blasco aveva arrischiatoper la prima voltaunavisita alla Sigaraiadoveridiventato un energumenoaugurava ilreciproco sterminio dei garibaldini e dei piemontesiarrivòGarinogiallo come un morto:

-"Larivoluzione!... La rivoluzione!... Bruciano il Casino dei Nobili..."

Infattila dimostrazione era diventata sommossale fiamme consumavano ilcircolo dell'aristocrazia. Il monacomanco a dirlotornò asbarrarsi al conventoe non lo lasciò più se nonquando la truppa regolare rioccupò la città. Mal'eccitazione degli animi prodotta dall'avvenimento d'Aspromontelepaurei pericoli non parevano cessatie il principe non si movevadal Belvederee Giulente tornava a pregare il duca di farsi vivodivenire a metter la pace nel paese. Il duca non venne; rispose ancorache i medici gli avevano vietato di tornare in Sicilia. -"Sonodisperatonon posso trovarmi fra voi come dovrei e vorreinonsolamente per tutto ciò che mi dici di Cataniama anche perciò che è avvenuto a Firenze..."

Benedettonon sapeva a che cosa alludesse; lì per lì non pensòneppure che Raimondo era in Toscana. Seppe qualche giorno dopo di chesi trattavaquando arrivaronoinsiemeil conte e donna IsabellaFersae scesero all'albergosempre insiemecome fossero marito emoglie.




4.


L'impressioneprodotta da quell'avvenimento fu tale che tutt'a un tratto Garibaldie RattazziRoma ed Aspromonte passarono in seconda linea. Il conteUzeda con donna Isabella! All'albergo insiemequasi fossero dueinnamorati fuggiti di casa per forzar la mano alle famiglie! E lacontessa? E il barone? Com'era successo il pasticcio? E come sarebbeandato a finire?

PasqualinoRisoreduce da Firenzecol padronefu assediato di domande. Parevaun signorePasqualino: abito tagliato all'ultima modabiancheriafinissimaanelli alle ditascarpe verniciateché se non erala faccia sbarbataognuno lo avrebbe preso per un cavaliere. E nelleportinerienelle stallenei caffè dei cocchierinelleanticamere della parenteladiede tutte le spiegazioni desiderate.Che il contino non potesse durarla a lungo con la moglieeglil'aveva previsto da un pezzoe tutti avevano potuto accorgersenel'anno innanziquando il signor don Raimondo era scappato lontano daquella donna che gli amareggiava l'esistenza. Lo sapevan tutti cheegli voleva bene a donna Isabella; dunque la contessase fosse stataun'altrache cosa avrebbe dovuto fare? Usar prudenzaper amore deifigli! Invecenossignori: piantistrepitiaccuseminaccesuopadre sempre tra i piedi: bisognava esser fatti di stucco perresistervi! Ma quantunque la pazienza fosse scappata una prima voltaal povero continopure egli aveva ceduto — tant'era vero che iltorto non stava dalla sua parte! — dimenticando il passatorassegnandosi a tornar con lei perché i figli ne andavan dimezzo. Gli uominisi sanon possono star sempre cuciti alle gonnedelle moglie il contino non aveva fatto più di ciòche fanno tutti i mariti. Le donne accortequelle che hanno due ditadi cervellocapiscono queste cosechiudono un occhio e fanno lavolontà di Dio. Invecequella santa cristiana dellacontessinadopo d'aver promesso d'essere ragionevoleavevacominciato da capo; ma come? Peggio di prima! Suo marito non potevapigliare un po' d'aria che lei non gli facesse una scenata: se andavaal Glubbo a trovar gli amicia far quattro passisubito isospettii pianti ed i rimproveri. E gli strepiti per la passeggiataalle Cassine? il continoche usciva a cavalloci trovavadonna Isabella in carrozza enaturalesi fermava a salutarla;giusto in quel punto: ciaff-ciaffchi spuntava? La carrozza della padrona!... O buona donnase questole dispiacevaperché non se ne andava al giardino dei Popoliche non è meno bello?... E poicon le bambine? Con queldiavoletto della maggiore che capiva tante cose come una donna fatta?Le bambine avrebbe dovuto lasciarle alla Missa inglese che ilcontino aveva preso appunto per questo!... La serapoia casauninferno! E il povero contino: santa pazienzaaiutami tu!... Lapadronaquando smetteva di andargli dietrocominciava un'altramusica: chiusa in camera quindici giorni di filasenza metter fuorila punta del nasonon ascoltando né ragioni népreghieresenza riguardi per la bambina piccola che aveva bisogno dipigliar aria e non voleva andar fuori se la sua mamma restava incasa! E il conte: santa pazienza!... Ma questo sarebbe stato niente:finché era sua moglie quella che lo metteva con le spalle almuroil padrone sopportava tutto in santa pace. Un bel giornochepensa di fare la contessa? Pensa di chiamare suo padredi metterseloin casa e di scatenare una guerra tra suocero e genero!... Bisognavache fosse ammattita! Leifino a un certo puntopoteva mescolarsinelle faccende del contino; ma suo padre? Chi era suo padre? Unestraneovillano rivestito per giuntae rompiscatole anche! Diciamole cose come sono: prima di tutto gli mancava l'educazione: uno cheaveva imparato alle figlie a dargli del tu! Istigato poi dallacontessaera diventato una bestiasalvo sempre il santo battesimoe il conte doveva sorbirsi le sue impertinenzein casa propria! Ungiornosolo per aver detto che certi affari gli impedivanod'accompagnare la moglie al teatroil barone villano ardìperfino minacciarlo col bastone! Santo Dio d'amoreera un po'troppo! il contino non gli disse nientealtro che una parola: -"Facchino!..."quella che ci volevae preso il cappello se n'andòpersemprestavolta. Chi poteva più consigliargli di tornare aperdonare? Le figliepazienzasarebbero andate in collegioosela padrona voleva tenerle con séil padrone gliele avrebbeanche lasciate... quantunque... quantunque... Perché il piùcuriososignori mieiera questo: che la contessamentre faceva lagelosasi divertiva anche lei in società! Non che fossesuccesso niente; in coscienzaquesto non si poteva direnéil padrone sarebbe restato con le mani a cintolase mai! mabisognava vedere che smania di andare ai ballial teatro; che sfarzodi abiti quando riceveva tanti uominitanti scapoliun certo conteRossifra gli altriil padrone di casa...

Ela storia di Pasqualino passava di bocca in boccaera ripetuta daicocchieri ai famiglidai guatteri ai cuochidai portinai agliaffittacamereciascuno dei quali ci ricamava su qualcosa delpropriofinchéarrivando al gran pubblicopreparaval'opinioneguadagnava simpatie alla causa del conte. Molti peròscrollavano il caponon si lasciavano prendere; e a poco a pocosenza che si sapesse dondeda certe informazioni venute da Firenze eda Milazzoda certe parole sfuggite allo stesso Pasqualino quando sitrovava a quattr'occhi con gl'intimidopo aver bevutola veritàcominciava a venire a galla.

Raimondoaveva giurato di romperla con sua moglie nel punto stesso che lo zioduca lo costringeva a riprenderla. Come tutte le volte che cercavanodissuaderlo da un propositoegli s'era maggiormente incaponito.Lontano da Matilde e da donna Isabellaaveva goduto l'illusione diquella libertà che gli stava a cuore sopra ogni cosa;costretto a rinunziarvis'era promesso di riguadagnarla a qualunquecostoe la sua facile sottomissione ai consigli del duca non avevaavuto altro scopo che dimostrarecon la propria arrendevolezzailtorto della moglieunico punto in cui la versione di Pasqualino nonmentisse del tutto. L'ideale del suo padrone era di liberarsi dellamoglie e dell'amica ad un tempo; ma il conto era fatto senza l'ostecioè senza donna Isabella. Fin dai primordi dell'amicizia conRaimondofin da quandoin casa del maritoella resisteva allacorte del giovanedimostrandogli simpatia ma opponendogli i doveridel proprio statogli aveva detto e ripetutocon un rammarico chedoveva dargli la prova dei suoi sentimenti per lui: -"Seci fossimo conosciuti primaliberi entrambi! Come saremmo statifelici!..."E quelle parole alle quali egli non credeva lo gelavanoe piùlo avrebbero gelato se le avesse credute espressione di un sentimentosincero: come il gran torto di sua moglie era il bene che gli volevala pretesa di averlo tutto per sédi far tutt'uno con luitorto egualmente grave sarebbe stata una simile pretesa da partedell'amica. Tuttaviaimpegnato a vincere le sue resistenzeanch'egli le aveva ripetuto: -"Comesaremmo stati felici!"e giurato che l'unico suo sogno era di vivere con leiper lei. Dopoaveva tentato di dare addietro; ma donna Isabellaperdutasi per luisenza famigliasenza protezionenon intendeva che le sfuggisse. Perricondurre a sé quel tiepido amantedel quale aveva imparatoa conoscere a proprie spese la conformazionele era bastatoaddebitare la freddezza di lui all'opposizione dei parentiallavolontà della moglie. Ognuna di queste allusioni era un colpodi sprone nei fianchi del giovane; impegnato a dimostrarle che eralibero di fare ciò che volevaegli faceva ciò che nonvoleva... E il martirio della contessa Matilde era ricominciatopiùatroce di primaaccresciuto dal nuovo disingannodall'impossibilitàdi ricorrere al padrenon già perché ella credesseall'abbandono di cui l'aveva minacciatama per una specie d'impegnocontratto dinanzi a se stessa di non confessare l'erroreperl'antica paura d'un urto tra quelle due nature violente... Suo padrequand'ella si sentì più sola e perdutala raggiunse.Il suo cieco amore per la figlia e il non meno cieco odio pel generoavevano reso vano il suo proponimento d'indifferenza; da lontano eglili seguiva di passo in passoaspettando l'ora d'intervenire: equando la misura fu colma apparve. E Pasqualino l'aveva propriouditoil colloquio fra suocero e generola spiegazione definitivaavvenutadopo pochi giorni di calma apparentegiù nellescuderie del palazzo Rossiper impedire che Matildeche le bambineudissero. Alle ingiunzioni sordamente minacciose del barone che glidiceva: -"Nonvuoi finirla? Non vuoi?"Raimondo aveva risposto col tono consueto di sprezzante superiorità:-"Diche intendete parlare? Occupatevi di ciò che vi riguarda!..."Sìdi ciò che lo riguardavarispondeva il baronedella pace di sua figlia che gli stava a cuore sopra ogni cosachevoleva garantita a qualunque costoa costo di portarsela via e diromperla per sempre... -"Echi vi trattiene? Andatevene pure!"Era appiattato nella stallaPasqualinolì accostoe seudiva i padroni non poteva vederli; ma a quella risposta del continoal breve silenzio da cui era stata seguitaaveva sentito un certosenso di freddo in pelle in pelle. -"Sìce ne andremo... ma prima..."E allora Pasqualino accorse. Col sangue agli occhiil pugno levatoil barone aveva già agguantato il genero; masenza ilcocchiere gettatosi in mezzoera bastato a Raimondo dire una solaparola: -"Facchino!..."perché tutt'a un tratto il suocero lo lasciasse. Sicurol'aveva detta il conte quella parolaPasqualino non lavorava difantasiariferendola: e bisognava aver veduto l'effetto prodotto sulbarone! Quel pezzo d'uomo che con un soffio avrebbe buttato a terrail genero esile e sfiaccatoche lo avrebbe spezzato come una cannatra le mani grosse e villosepareva diventato un ragazzo dinanzi almaestro: il contino Uzedail grazioso e frollo discendente deiViceré fulminava il barone contadino con quella parolaconquell'insulto che diceva la distanza da cui erano separati il signorevizioso ma bene educato e il manesco villano ringentilito. Facchinosìapprovava Pasqualino: tra persone d'una certa nascita lequistioni non vanno definite a pugni: e con quella parola appunto ilconte rammentava al suocero l'onore fattogli sposando sua figlia; ese il barone restava immobile come una statua era perchésubitamente riconosceva d'esser nel torto. La parentela con gli Uzedanon gli era parsa una fortuna? L'orgoglio d'essere entrato nellafamiglia dei Viceré non l'aveva accecato al punto di nonscorgere per tanti anni il sacrifizio della figlia? Un confuso equasi istintivo sentimento della propria inferiorità dinanzial genero non lo aveva impacciato ogni volta cheaperti gli occhis'era proposto di rinfacciargli la sua condottai suoi vizila suadurezzail sangue avvelenato all'innocente bambina? Facchinosìegli meritava l'insulto selasciandosi trasportare dall'iraavevavoluto definire la lite come tra cocchieri; e aveva riconosciuto dimeritarload alta vocedinanzi al generoprima di voltargli lespalle. Perché infatti la scena non era finita in quel puntoaveva anzi avuto una codetta che Pasqualino narrava solo aquattr'occhi. -"Iofacchino... sì..."aveva balbettato il barone; -"matu?..."E ad un tratto gli aveva buttato in faccia una parola che ilcocchiere ripetevapianoall'orecchio delle persone... Raimondolasciò allora immediatamente la sua casacorse dall'amicalacostrinse a far le valige e la condusse seco in Sicilia.


Dovettecostringerlaperché infatti donna Isabella non era ben sicuradell'opportunità di quel viaggio. Ella vedeva che Raimondovoleva condurla al suo paese per rompere clamorosamente edefinitivamente coi Palmi; ma comprendeva pure che soltantol'eccitazione dei contrasti sofferti e l'impeto dell'odio provocatodalla tempestosa spiegazione determinavano l'amico suo a quel passoe non l'amore di lei; e sentiva anche che l'ostentazione della loroamicizialaggiùin una piccola cittàle avrebbefatto tortoche la morale più o meno sincera della provinciasi sarebbe ribellata. Pureessendo ormai tardinon riuscendo con lesue osservazioni se non a eccitare maggiormente Raimondononrestandole altro per trarlo a sé che fare assegnamento suqueste eccitazioniella era venuta. Gli Uzedaa ogni modosarebbero stati per lei.

Appenaarrivatainfattidonna Ferdinandache nonostante la mal sedatainquietudine pubblica era in città per una sua causa controcerti debitori morosivenne a trovarli all'albergos'informòdell'accadutoapprovò la determinazione di Raimondo con unasola parolama molto espressiva: -"Finalmente!..."C'erano in città anche Benedetto e Lucrezia che s'era poifatto coraggio: Raimondo andò a trovarli il domani del suoarrivo. Lucrezia gli restituì la visita nella stessa seratanon curando l'opposizione del marito. Questi giudicava moltoseveramente la condotta del cognato ese avesse osatoavrebbeimpedito alla moglie di far quella visita; ma Lucrezia dichiaròche non vedeva nulla di male nel recarsi a trovare il propriofratello: era forse obbligata a sapere che -"accompagnava"una signora? E andarono all'albergodove Raimondo li ricevette solo;ma dopo un poco che discorrevano del viaggio e del tempoeglis'accostò a picchiare all'uscio della camera accantoecomparve donna Isabellala quale strinse la mano a Giulente e baciòLucrezia. Né presentazioniné spiegazioninénulla. Benedettosulle primeera imbarazzatissimonon sapeva cometrattarecon qual nome chiamare la Fersa; ma ella stessa diede iltono alla conversazioneparlando del più e del meno con moltadisinvolturacome tra vecchi amicianzi come tra veri parenti. Pelmomento erano all'albergo; ma non potevano naturalmente restarci.Raimondo aveva intenzione di prendere in affitto un quartiere incittà; ella giudicava preferibile una villettaanche perevitare le indiscrezioni della gente.

Giulentestava per dire che facevano benequando Lucrezia esclamò:

-"Chec'entra la gente? Se vi nascondetedirà che avete paura!Parliamo chiaro: vi saranno molti che faranno gli schifiltosi."Donna Isabella chinò gli occhi. -"Secominciate voialtri a dar loro ragioneè finita!"

Raimondonon disse nullaaspettando di veder Giacomo che era al Belvedere edal quale nella mattina aveva spedito Pasqualino per avvertirlo delsuo arrivo. Ma il cocchiere tornò con un'aria confusa emortificata e non sapeva spiccicar parola -"Èvenuto?"gli aveva detto il principe; -"eche vuole?..."come ad uno che si presenti per chiedere quattrini. -"NienteEccellenza... manda ad avvertire l'Eccellenza Vostra... desiderasapere quando tornerà in città Vostra Eccellenza..."Con lo stesso tono di voce il principe aveva risposto: -"Comincioadesso la villeggiatura; tornerò a novembre..."e gli aveva voltato le spalle. Raimondoalla narrazione della scenasi morse le labbra; donna Isabella esclamò:

-"Cheabbiamo fatto!... Tuo fratello ci disapprova!"Ed incolpando solo se stessa: -"Tiho messo in urto con la tua famiglia!..."

-"Lavedremo"rispose brevemente Raimondo.

Leprevisioni di lei si avveravano. I piùsenza accogliere nérifiutare le scuse e le accuse relative al secondo e decisivoabbandono della famigliabiasimavano Raimondo per il viaggio fattoinsieme con l'amicail soggiorno nell'albergol'unione apertamenteconfessataquasi sfidando l'opinione pubblica. Egli poteva avertorto o ragione di lagnarsi della moglie; la passione per donnaIsabella poteva scusarsi; però i moralistii padri difamigliale signore più o meno timorate volevan salve leapparenze; e quantunque ci fosse poca gente in cittàpurequegli umori si manifestavano in certi freddi saluti rivolti aRaimondoin certi ambigui discorsi di servitori. In campagnanelleville dove la notizia dello scandalo giungevatutti discutevanodella condotta da tenere verso la coppia al ritorno in città.Molti dichiaravano che avrebbero troncato ogni rapporto; altripiùintimiperciò più imbarazzatifacevano dipendere laloro risoluzione dal modo col quale si sarebbe comportata lafamiglia. Ora l'improvvisa severità espressa dal principe aPasqualino significava chiaro che egli ritirava loro a un tratto ilsuo appoggio. Dinanzi all'ostacolo Raimondo s'impennavaprendeval'impegno di vincere; ma come donna Ferdinanda gli suggerì diandare personalmente da Giacomoegli entrò in una sordaagitazione: era disposto a far tutto fuorché a pregare quelbirbante chedopo avergli dato manogli si schierava contro chi saper qual finefuorché ad umiliarsi dinanzi a quel fratellodal quale per tanti anniai tempi della madres'era sentito odiato.Poi il pensiero delle dimostrazioni ostili che si preparavano a luied all'amica sua lo arrovellavagli metteva un'altra smania nelsangue. E un giorno prese una carrozza e salì al Belvedere.Giacomovedendolo arrivaregli dissenon nel dialetto familiarema in lingua:

-"Buongiornocome stai?"e senza stendergli la mano.

-"Benee tu?"rispose Raimondo.

-"Benissimo"e il principe si lisciò la barba.

Laprincipessa che si teneva accanto Teresina intenta a ricamarerispose a monosillabi alle domande del cognatosentendo pesarsiaddosso lo sguardo del marito.

-"Restereteancora un pezzo?"domandò Raimondorosso come un papavero.

-"Sìfino a novembre. Te lo mandai a direcredo."

Elasciò di nuovo cadere il discorso. La bambina volgeva losguardo a quello zio di cui non rammentava bene le fattezzeche nonl'accarezzavache suo padre trattava come un estraneo.

-"Volevodirti una cosa"riprese Raimondo esitantequasi paurosoe tanto piùcrucciato contro se stesso quanto più cresceva il suoimpaccio. -"Volevodomandarti se c'è qualche villetta da affittare... una casettache faccia per me... non importa se piccolapurché pulita..."

Ilprincipe parve cercare nella memoria.

-"No"rispose. -"Tuttoè presofin da quando passò Garibaldi."

Raimondoche si torceva i baffi nervosamenteinsisté:

-"Cercheròad ogni modo."

Eallora il fratellocon voce freddasenza guardarlo:

-"Cercase vuoi. È inutilenon ne troverai."

Raimondoandò via pallidomuto e fremente. S'era umiliato per nulla!Colui gli dichiarava guerra! Non lo voleva vicino!...

Ilprincipeinfattiaveva spiattellato a tutta la parentela ed a tuttele conoscenze che non trovava parole per disapprovare la condotta diRaimondo. -"Èuno scandalo inaudito! Come non si vergogna? Ha il viso di tornarsenenel suo paese? Ma quando si vuol fare una di queste pazziebisognanascondersi dove più lontano è possibiledove non si èconosciutidove si può dare a intendere ciò che sivuole!"E alla ziadonna Ferdinandache salì un giorno a posta alBelvedere per intromettersiper indurlo a far come lei:

-"Lanostra situazione è diversa"rispose. -"VostraEccellenza è padrona di pensare ciò che crededi fareciò che le piace: può anche prenderseli in casanonavendo da render conto a nessuno. Io ho mia moglie e mia figlia allequali non posso metter sotto gli occhi un simile scandalo."

Dicevaqueste cose dinanzi alla principessa e alla bambinae le insistenzedella zitellona lo trovavano incrollabile nella sua indignazione.Anche Chiara disapprovava il fratello poiché Federico logiudicava immorale; non si parla della cugina Graziellala qualefaceva da portavoce al principe. Tutte le parole di costuiper mezzodella zitellona stomacatadei lavapiatti dolentidel servidoramepettegoloarrivavano all'orecchio di Raimondoil quale fremevaentrava in collere mute; ma allora donna Isabella con un sorrisotriste:

-"Vediche non puoi durarla!"gli diceva. -"Ilmeglio è che tu mi lasci! Non voglio costarti la pace dellafamiglia!"

Cosìegli che sentiva aggravarsi le conseguenze del suo passo falsochein cuor suo malediceva l'ora e il punto in cui aveva posto mente aquella donna della quale era già stufoper la quale avevasofferto l'affronto di rinchinarsi al fratellosi stringeva piùa leiper puntiglio le si dava mani e piedi legati. Non la volevanoricevere? Egli le prometteva che avrebbe visto tutti ai suoi piedi.Parlavano male di lei? Le assicurava che sarebbe stata sua moglie.

Peraver altri parenti dalla suaandò a cercare dello zioEugenio. Il povero cavaliere era molto giùil commercio deivecchi cocci non rendeva più niente; e Vittorio Emanuelepoteva forse dare una cattedra al Gentiluomo di Camera di Ferdinandoii? Così egli aveva lasciato il quartierino dove stava datanto tempos'era ridotto in due camerette più piccolepiùfuori mano. Sempre in busca di quattriniaveva fondato adessol'Accademica dei quattro poetidi cui era presidentesegretarioeconomo e tuttoe nominava a destra e a manca soci promotorifondatoriprotettorieffettivibenemeriticorrispondentionorari: ciascuno di questi riceveva un diplomauna medaglia dibronzolo statuto e una noticina di venti lire di spese; ma soventela postainvece del vagliagli portava indietro l'involtorifiutato. I parenti lo tenevano un poco a distanzatemendorichieste di quattrini; mavedendosi cercato da Raimondoegli fiutòa un tratto il buon vento. Andò subito a trovare donnaIsabellasi dichiarò per lei contro il principes'invitòtutti i giorni a colazione e a desinare. Aveva certi abiti che glipiangevano addosso e certe scarpe cheviceversagli ridevano aipiedi: pochi giorni dopo mise pelle nuova. Con l'abito fiammantelecamicie di bucato e le mani inguantate accompagnò donnaIsabella tutte le volte che ella andò fuorile fece dacavalier serventeperorò in pubblico e in privato la suacausa dandole della -"nipote".

AncheLucreziaa dispetto del maritosi faceva vedere per le strade conleila sostenevasi scagliava con violenza contro il fratellomaggiorespiegandone l'opposizione con un motivo semplicissimo. -"Perla morale? Per farsi pagare il suo appoggio! Scommettiamo? Io non hodovuto pagargli il suo consenso al mio matrimonio?"

-"Lucrezia!..."avvertiva Benedetto.

-"Chec'è? Non è forse vero? Non ho dovuto accettare latransazione strozzata per sposarti? È storia che tutti sanno!Adesso viene la tua volta"e si volgeva a Raimondo. -"Vedretese sbaglio! Aveva ragione lo zio don Blascoquando diceva... Ohapropositoperché non vai a fargli una visita? E a Lodovico?Quanti più saranno dalla tuatanto meno varranno gli scrupolidi Giacomo. Andiamo insiemev'accompagno io..."

ERaimondo rifece la via del Boscoandò con la sorella e colcognato a Nicolosidove i Benedettini villeggiavanoa mendicarl'appoggio del fratello e dello zio monaco. Don Blasco era a giornodi tutto edimenticato a un tratto Garibaldinon faceva altrolassùche gridare come indemoniato contro Raimondo che avevafatto l'ultimo e più grande imbroglio; poi contro Giacomononmeno imbroglione del fratelloverso il qualedopo avergli tenuto ilsaccofaceva adesso il puritano: perché? Per strozzarlo!...All'arrivo dei nipotidopo il refettorioegli dormiva come unghiroquando fra' Carmelo lo destò.

-"Chec'è?"vociò. -"Perchémi rompi il capo?"

-"VostraPaternità mi scusi; ci sono i parenti di Vostra Paternità."

Eglivenne fuorie appena vide Raimondo aprì bene gli occhi ancoraimbambolati. Come Lucrezia e BenedettoRaimondo gli baciò lamano. Egli lasciò fareborbottando:

-"Chec'è? A quest'ora? Con questo sole?"

-"Siamovenuti a fare una visita a Vostra Eccellenza"spiegò Lucrezia per tutti. -"Lagiornata non è tanto calda. Vostra Eccellenza sta bene? Sonodue anni dacché non venivo più qui... E Lodovico?"

Fra'Carmelocosternatovenne a dire che Sua Paternità il Prioreera in conferenza con l'Abate e che non poteva scendere giùpel momento. Raimondo impallidì: anche quest'altro glidichiarava guerra; si mettevano tutti contro di lui!... Per questaragionequando Lucreziaaccordatasi con lo ziopropose di fare ungiro pel giardinoegli disse brevemente:

-"Noho fretta di tornare. Andiamo via."

Ildomani mattinaall'albergoegli non s'era ancora levato che ilcameriere venne ad annunziargli:

-"C'èlo zio di Vostra Eccellenza."

Edon Blasco apparve. Per la prima volta dacché vivevaRaimondovedeva lo zio venirgli incontrol'udiva domandarglicon voce quasigarbata: -"Comestai...?"Non pareva vero al monacosentendo riprepararsi una gran litedipoter rificcare il naso nelle faccende altrui.

C'eraadesso da spingere l'uno contro l'altro i due fratellida dar mano adisfare un'altra opera della principessa defuntail matrimonio diRaimondo: egli si sentiva invitato al suo giuoco.

DonnaIsabella si mostrò in veste da cameragli baciò lamanodandogli dell'-"Eccellenza"quasi fosse già suo zio; e il discorso si avviò sul dafare. Udendola ripetere che voleva nascondersi in campagnail monacosaltò su:

-"Incampagna? Perché in campagna? Per la villeggiaturava benefino a novembre; ma la casa in città bisogna prepararla! Avetepaura della gente? Allora perché siete venuti? Questa èlogicami pare!"

Ilconsiglio era di chieder subito i conti a Giacomodi togliergli laprocura e di iniziare la divisione: a quelle minacce il principesarebbe subito venuto a più miti consigli. Ma proprio ildomani della visita del monacoscese il signor Marco dal Belvedereper dire al conte che il signor principe voleva restituirgli laprocura e dargli i contiuna volta che era tornato in patria.Raimondo mandò via l'amministratore con un violento: -"Hocapito; va bene!..."e un malumore terribile lo tenne a bocca chiusa per tutto un giorno.Donna Isabellacosternatagli ripeteva: -"Nonvedi? Io ti porto disgrazia! Lasciami andare! Sarà di me quelche vorrà Dio..."E allora egli di rimando: -"No;ho da vincer io!..."

GiustoLucreziache oramai era tutta una cosa con la cognata della manomancafece una pensata:

-"Giacchénon potete stare sempre all'albergoe ora è il tempo dellavilleggiaturaperché non ve ne andate alla Pietra dell'Ovoda Ferdinando? Ha tanto posto; vi darà due camere. Starete conun parente e la cosa farà buon effetto."

Tuttiapprovarono la proposta. Né Raimondo era ancora andato atrovar quel fratelloné Ferdinando sapeva che Raimondo eratornato: dalla tanta indifferenzadalla tanta diversità dieducazionedi gustidi vitaerano diventati peggio che estraneiciascuno ignorava l'esistenza dell'altro. Lucreziaincaricatasidelle trattativeandò alle Ghiande. Non vedendo il Babbeo damolti mesirimase. Egli era dimagrato come dopo una lunga malattiaaveva gli occhi infossatila barba incoltala voce fiocaunamalinconia più nera dell'abituale.

-"Vengapure... è il padrone..."rispose alla sorellasenza esprimere nessuna meraviglia pel ritornodi Raimondoper la richiesta dell'ospitalità.

-"Masaiti debbo dire una cosa..."aggiunse Lucrezia. -"Nonè solo..."

-"Ècon sua moglie?"

-"Consua mogliesì... come se fosse sua moglie..."

Egli spiegò che aveva lasciato la Palmi e che viveva con laFersa. Ferdinando stette ad ascoltarla guardando a destra ed asinistraquasi avesse smarrito qualcosapoi ripeté:

-"Vabeneva bene; digli che venga quando gli piace."


Arrivatiche furono alle GhiandeRaimondo e donna Isabella vollero visitarela casail giardino e il poderee profusero elogi per l'ottimacoltivazione della vigna e pel magnifico aspetto del fruttetoapprovarono la trasformazione delle coltureammirarono ogni cosa. Male lodi non facevano più sul povero Babbeo l'effetto d'untempo. Una trasformazione erasi compita nel suo spiritole cose cheprima lo allettavano adesso lo lasciavano indifferentela vita diRobinson aveva perduto per lui ogni attrattivasenza di che nonavrebbe consentito a prendere altra gente in casa. Il fattore eraadesso il vero padrone delle Ghiandevi faceva quel che volevalecoltivava a modo suone intascava le rendite mostrando al cavalierele bucce. Se talvoltapreso da uno scrupologli chiedeva qualcheordineFerdinando rispondeva: -"Lasciatemistare! Non mi parlate di nulla! Per me è finita... Avròsei mesi di vitaforse... Potete prepararmi il cataletto..."

Lacosa era andata a questo modo: che il libraiodal quale avevacomperato le opere d'agricolturadi meccanica e di storia naturaletrovandosi una quantità di opuscoli di medicina d'ignotiautoritesi di laurea di dottori asinivecchi ricettarifarmaceuticifascicoli spaiati di enciclopedie anonimetuttacartaccia che non si poteva vendere altrimenti che a pesoglienepropose un giorno l'acquisto dandogli a intendere che c'era dentro ilfior fiore della dottrina. Egli la pagò salatae si mise aleggere tutto. Allora la sua mente cominciò a turbarsi. Ladescrizione dei morbil'enumerazione dei sintomil'incertezza dellecure lo atterrirono: chiuso nella sua cameracol libro in una manoegli si teneva l'altra sul cuore per verificarne il numero deibattitio si palpava dappertutto con lo spavento di scoprire itumorigli incordamentile infiammazioni di cui parlavano i medici.A poco a pocoper un colpo di tosseper una digestione difficileper un dolor di capoper un leggiero pruritoper un formicolìoin pelle in pelle credette d'avere tutte le malattie; e quell'ideaficcatasi nel suo cervello di solitario misantropoaveva compìtouna devastazione. La morteper luiera quistione di tempo; e giustola paura di dover morire soloil bisogno di vedersi dinanzi un visoamico lo aveva persuaso a prendere con sé il fratello.

Quandocostui vide che non mangiava quasi nullache stava chiuso in camerache certi giorni neppur si levavacominciò a chiedergli cheavevase si sentiva male; e sulle primequasi arrestato da unaspecie di pudoreegli si tenne sulle negative; messo alle stretteconfessò. Aveva un catarro intestinale cronicoun'espansionedella milzauna bronchite lenta; l'erpete gli serpeggiava nelsangueil sistema glandolare gli s'era ingorgato. Come Raimondorideva di quell'enumerazioneegli soggiunsecon voce triste e quasicon le lacrime agli occhi: -"C'èpoco da rideresai! Credi che siano fantasie? So io quel chesoffro!..."

-"Alloraperché non chiami un medico?"

-"Unmedico? Che possono fare i medici? Al punto in cui sono ridotto?"

Enon ci fu verso di persuaderlo. Allora entrò in scena donnaIsabella. Invece di contrariare il maniacoprese a secondarlo:riconobbe l'esistenza e la gravità delle sue malattiel'inutilità delle prescrizioni mediche; peròse idottori ci perdevano il latinonon poteva provare almeno qualcuno diquei rimedi empirici che certe volte fanno miracoli'

-"Quand'eroragazza anch'io ebbi un catarro intestinale lungo e ostinato piùdel vostro. Sapete come andò via? Con l'insalata di lattughe!"

Egliene fece preparare un piattocome contorno d'una gran fettad'arrosto sanguinolento. Ferdinando si mise a mangiare come Cristoall'ultima cena: non aveva fiducia nel risultatoera sicuro chequella roba avrebbe affrettato la sua fine.

-"Adessobisogna farci sopra una bella passeggiata!"e offertogli il bracciocome ad un povero convalescentelo condussea spasso pel giardino.

Nonparve vero al malatoil domanidi svegliarsi vivo e con un certoappetito. L'insalata e l'arrostoin poco tempofecero miracoli; marestava da guarire il prurito al quale egli dava il nome di erpete.

-"Perquesto il rimedio è ancora più semplice: fate un belbagno d'acqua dolce."

Damesi e mesiegli non si lavava altro che la punta del naso e delleditadue o tre volte la settimanaper paura di prendere unapolmonite; così l'erpete andò via. Il lattele uovail motola nettezza lo ritornarono in vitae dalla gratitudineverso donna Isabella gli spuntavano i lucciconi:

-"Chedonna! Che testa! Che intelligenza!"

Avevaben poche amiciziema tutte le volte che si trovava con qualcunocominciava a parlar di lei con tanta ammirazionecome fosse la donnapiù saggia e virtuosaun angelo sceso dal cielo. Presal'abitudine di muoversise ne andava dalla sorella Lucreziacercavala gente apposta per parlare di lei.

-"Quantobene vuole a Raimondo! Che cura ha della casa! Quel che ha fatto perme non si può ridire! Se non era leia quest'ora sarei mortoe sepolto!"

Ungiorno arrivò da Lucrezia mentre moglie e marito discutevanovivamente: al suo apparire essi tacquero.

-"Diche parlavate?"

-"Siparlava della situazione di Raimondo"rispose sua sorelladecidendosi di metterlo a parte del secreto.-"Nonpuò durare a lungo così. Bisogna pensare alegittimarlasciogliendo i matrimoni."

Ellaannunziava quel partito con la stessa semplicità con cuiRaimondo e donna Ferdinanda lo avevano partecipato a lei. Chiedere edottenere il doppio annullamento di matrimonio eraper gli Uzedaunacosa semplicissima: chi poteva negare ai Viceré ciò cheessi volevano? La loro volontà non doveva esser legge pertutti? Non possedevano essi tutti i mezzi materiali e morali pervincere gli ostacoli e le resistenze? Avevano clientele dappertuttotra i borbonici e i liberaliin sacrestia e in tribunale: i nobilierano con loro per solidarietàgli ignobili per rispetto:ognuno doveva essere superbo e lieto di render loro servizio.Bisognavaper riuscire in questa impresaesser bene indirizzati;perciò volevano l'opera di Benedetto. Come la prima volta chegliene avevano parlatoBenedetto titubavaarrestato dagli scrupolicon la coscienza del male che gli facevano commetteredelledifficoltà enormi dell'impresadel dispiacere che avrebbefatto allo zio ducatanto amico di Palmi; ma sua moglie insisteva adimostrargli che gli scrupoli erano sciocchiche anzi l'operasarebbe stata meritoria.

-"Sedomani nasce un figlio? Sarà condannato a restare bastardo?Raimondo non riprende più sua mogliecerto com'è certala morte. Allora? Meglio mettersi in regola con la legge e lasocietà! Non dico bene?"

EFerdinandorivolto al cognato:

-"Nedubiti forse?... Ma come ragioni?... Dov'hai la testa?"

Benedettotentava dimostrare che non ragionavano loro invece; che i figli giànati c'erano e che bisognava pensare a questi prima che ai nasciturima Lucrezia e Ferdinando gli davano sulla vocetutt'e due insieme:

-"C'èla famiglia della madre che pensa alle figlie! Nostro fratello lerinnegherà per questo?... E gl'interessi saranno regolati comevogliono i Palmi... Se i matrimoni sono sciolti di fattoperchénon scioglierli di diritto? Chi ci guadagna? La gente che ci fa soprai suoi commenti!"

Equesto era il pungolo di Raimondo. Quanto maggiori difficoltàaveva incontrato nella via per la quale s'era messotanto piùs'era incaponito a persistervi: l'opposizione del fratellolemormorazioni degli estraneiil biasimo quasi universale lospingevano a vincer la partita in un modo imprevisto da tutti e dalui stesso. Egli non pensava più che la sua passione era stataquella della libertàche donna Isabellacome moglieglisarebbe pesata più della mogliee che gli pesava giàcome amante; impuntatoaccecato dall'opposizionedalladisapprovazionedal biasimovoleva trionfare degli avversarisbaragliarli con un colpo di cui si sarebbe parlato un pezzo...Dicevano che l'impresa era disperatache il doppio scioglimento nonsi sarebbe mai ottenutoche donna Isabella era condannata a restarein una falsa posizionebandita dalla societàdalla stessacasa del principe? Egli metteva i piedi al murodeciso a spuntarla aqualunque costocontro tutto e tutti. E LucreziaFerdinandodonnaFerdinandadon Blasco lo aiutavano ciascuno per conto e a modopropriocongiuravano per vincere le ultime resistenze di Benedettoche all'idea di contentare sua mogliedi cattivarsi la fiducialastima e la gratitudine dei parenti sentiva ammorzarsi a poco a poco irimorsi.


Alprincipio dell'invernoquando il principe tornò dallavilleggiaturanon si parlò d'altro che della rottura tra idue fratelli. Giacomo non solamente non salutò Raimondoincontrandolo per viama non tollerò neppure che toccasseroin sua presenza il tasto dei pasticci di lui. Per tanto tempomentreil fratello minore era stato in Toscanao era andato e tornato diqua e di làcol capo all'amical'eredità era rimastaindivisae il principe l'aveva amministrata anche nell'interesse eper procura del coerede; adessoper troncare ogni rapporto con luigli mandava il signor Marco a notificargli che rinunziava la procurae voleva subito dargli i conti e venire alla divisione. Quellatrombetta della cugina Graziella annunziava a tutti queste coseedovunque si trovassetra parenti od amici o semplici conoscenzeapprovava il cugino Giacomoesprimeva il grande dispiacere che -"anoi della famiglia"cagionava l'ostinazione di Raimondo. Come mai poteva egli del restosperare di ottener l'intento? Dicevano che donna Isabella chiedesselo scioglimento del matrimonio perché non era stato consumato!Ma a chi volevano darla a bere? Perché non c'erano figli? Nonsapevano tutti che Fersagiovanottoavea corso la cavallina?... Oforse speravano di poter sostenerecome dicevano certi altrichedonna Isabella era stata forzata a sposar Fersasenza volerlo?Questa doveva essere fatica particolare del Giulente! -"Guardateun po' che immoralità! sostenere una causa condannata datuttiche fa tanto dispiacere alla famiglia! È venuto aficcarsi tra noi per metter guerre e litiquesto avvocato dellecause perse!..."Ma ella prevedeva un fiasco colossale. Giàcominciamo che iltribunale civile non era buono ad annullare un matrimonio contrattosotto il codice napolitano del 1819; bisognava rivolgersi alla Cortevescovile; ma qui cascava l'asinoperché Monsignor Vescovoeil Vicario Coco e il canonico Russo e tutti i maggiorenti della Curiaerano col principe contro il contegiustamentesapendo i torti diRaimondo e della Fersanon potendo metter mano a sanzionare unoscandalo di quella fatta!...

D'altraparte i fautori del conte e di donna Isabella davano sicura lariuscita. L'impotenza di Fersala violenza patita da sua moglieerano affermate da una quantità di persone; ma specialmentePasqualino sonava la campana per conto del suo padrone. Sissignori:il cavaliere Giulentee non avvocatostudiava edirigeva la causa del cognatopiuttosto che lasciarla in manodi qualche strascinafaccende di quelli da quattro il mazzo; ma delresto egli non aveva molto da faticareperché il motivo dellanullità del matrimonio di donna Isabella era chiaro elampante. Lasciamo stare che Fersa non era precisamente un vulcanocome uomo; ma lo zio di lei l'avea costretta a prenderselo mettendoleil coltello alla gola: altro che la storia della signorina Chiara!Almeno la principessasant'animaavea cercato di prendere suafiglia con le buonericorrendo alle minacce soltanto all'ultimodopo due anni di persuasioni e di preghiere; ma lo zio di donnaIsabella? Bastonate mattina e serafin dal primo momento che laragazza aveva detto: -"Megliomorta che sposar Fersa!"Come Pasqualinotutta la servitùla minuta clientela dellafamiglia eranonostante l'opposizione del principefavorevole alcontino; questiper accaparrarsi simpatienon faceva piùvenirecome un tempole sue robe da Firenze o da Napolima davaogni genere di commissioni in cittàe il sartoil calzolaioil cravattaioonorati dai comandi del contino Uzedalo portavano alcieloperoravano in favor suotenevano fronte agli scandalizzati.V'era gente che rammentava l'amore di donna Isabella per Fersa?Rispondevano adducendo infinite testimonianze contrarie: da Palermosarebbero venuti tutti i servi di casa Pintopronti a giurar sulVangelo che l'orfanella era stata picchiata di santa ragione dallozio tutoreperché costuisenza badare che Fersase avevaquattrininon nasceva benevoleva darglielo per forza. Dicevano chequeste testimonianze erano sospetteottenute per via di quattrini?Enumeravano gli amici palermitani di casa Pintodon Michele Broggiil cavaliere Cuticail notaio Rosatutti superiori al sospetto dicorruzionecitati da donna Isabella perché attestassero lesevizie usatelei rifiuti costanti da lei opposti. Che più?Lo stesso zio sarebbe venuto a confermare la violenza esercitata!...-"Epoi?"esclamava da suo canto la cugina. -"Dopoche avranno sciolto questo matrimonio? Credono di poter riuscire asciogliere quell'altro? Non sanno che cosa ha detto Palmi?"E narrava che quell'attaccabrighe di Giulente gli aveva scritto perottenere che anche luiil baroneconsentisse allo scioglimento delmatrimonio di sua figliatestimoniando d'averla forzata a prendersiil conte Uzeda. Per amore della veritàspiegava che Giulentes'era dapprima rifiutatoparendogli una cosa proprio enormeproponendose maidi affidare questa missione al duca che eraintimo del senatore. Ma sìil duca aveva altro pel capo! Sene stava a Torinobadando ai suoi affarinon voleva tornare inSicilia per paura che la sua lontananza durante i turbamentidell'anno precedente gli avesse fatto torto; e quando gli scrivevanodell'affare di Raimondo rispondeva che per nulla al mondo volevamescolarvisi. Giulentedunqueper contentar la moglieil cognato egli ziiaveva dovuto rassegnarsi a rivolgersi lui al barone. -"Sapetequanto tempo ha impiegato a scrivere la lettera?"aggiungeva la cuginainformata di tutti i più piccoliparticolari. -"Unasettimana! Ha stracciato una risma di carta! Sfido io! Come dire a uncristiano: consentite che il matrimonio di vostra figlia si sciolgache le vostre nipoti restino senza padre!..."Ma la letterapiena d'espressioni riguardosedi complimentidiscuseera partita: e Giulente aspettava ancora la risposta!...L'avrebbe aspettata un pezzo! Ché per mezzo di certe personedi Messinala cugina sapeva quel che aveva detto il barone a unamicostringendo il pugno: -"Vogliopiuttosto veder morire tutti quanti!..."Perché infatti la -"poveraMatilde"moribonda dai tanti dispiaceriindifferente a tutto oramaicomprendendo che non c'era più alcun riparoavrebbe anchecontentato l'ultima pretesa del marito! il baroneinvecefacevacerti giuramenti tremendi per dire che maimailui viventesuogenero sarebbe riuscito a rompere il matrimonio: sapeva bene che eraspezzato di fattoma voleva che Raimondo restasse incatenato pertutta la vitache la Fersa non potesse prenderedinanzi al mondoil posto della propria figliuola...

AnchePasqualino sapeva tutto questo; ma al cocchiere di donna Graziellachetenendo per la padronagli prediceva il fiasco del conte: -"Unpo' per volta!"rispondeva. -"Lasciateche si finisca la prima causa!... Quando la padrona saràliberapenseremo a liberare anche il padrone!... Adesso non hanno adecidere i canonicima i giudici civili. Con la legge di VittorioEmanueleil matrimonio dinanzi alla Chiesa vale un fondelloe soloha peso quello dinanzi al sindaco: abbasso Francesco ii! Viva lalibertà!..."Ma donna FerdinandaLucreziatutti i sostenitori di Raimondo non sicontentavano di una sentenza civile; volevano legittimare lasituazione di Raimondo e di donna Isabella dinanzi agli uomini e aDio. Pertanto Ferdinandoil quale era intimo del canonico Ravesapezzo grosso della Curia e proprietario d'una vigna attigua alleGhiandegli parlava tutti i giorni a favore del fratelloe donBlasco andava tutti i giorni dal Vicario Cocointronandolo con leclamorose dimostrazioni della convenienzadella giustiziadellanecessità di quell'annullamento di matrimoni: dellastramberiadella prepotenzadella birbonaggine del principe che locontrastava. Il pezzo più grosso da guadagnare era peròMonsignor Vescovo; il quale adesso non faceva nulla senzal'approvazione del Priore don Lodovico. Questipersuaso chel'abolizione delle comunità religiose era quistione di tempodisinteressatosi di San Nicolas'era rivolto al Vescovato dove lasua nascitala sua reputazione d'intelligenzadi dottrina e disantità gli avevano spalancato le porte. In poco tempocom'era già stato il braccio destro dell'Abateera diventatoil braccio destro del capo della diocesi: la prudenza dei suoiconsiglil'eccellenza della sua posizionea cavaliere di tutti ipartitilo avevano reso indispensabile in molte circostanzedelicatequando bisognava conciliarsi le nuove autoritàpolitiche senza tradire le -"legittime"salvar capra e cavoliservir Cristo e Mammone. Orase egli avessedetto una parola a favore di Raimondoil matrimonio di donnaIsabella sarebbe stato annullato; ma a donna Ferdinandache gli simetteva alle costole per guadagnarlo alla causa della sua protettail Priore rispondeva ambiguamenteadducendo le difficoltà dasuperarel'imbarazzo in cui lo mettevano.

-"Sciogliereun matrimonio è una cosa grave... Vostra Eccellenza sa benequanto la Chiesa sia giustamente contraria a pronunziare sentenze diquesto generecome vada coi calzari di piombo. Essa non puòcontentarsi di certe prove e di certe ragioni... Queste potevanoforse bastare ai giudici secolarila cui responsabilità non èimpegnata dinanzi alla Maestà Divina. Mi duole moltissimoincoscienzadi vedere Raimondo messo per una via falsa... Dopo questacausa ne verrà una secondalo scandalo è immenso... Ioho i miei doveri da compiere... La mia coscienza..."

-"Coscienza?...Coscienza?..."Donna Ferdinandache stava a sentirlo a bocca chiusa e a dentistrettiuna volta cantò: -"Lascialada parte la coscienza! Di' piuttosto che non gli hai ancora perdonatod'aver preso il tuo posto e gliela vuoi far pagareora che l'hainelle forbici!..."

IlPriore impallidì repentinamenteguardando un istante in visola zia che lo guardava fisso anche leicome se gli volesse leggerenell'anima. Poi chinò il capo e portò le braccia incroce sul petto:

-"VostraEccellenza m'affligge crudelmente... Sa bene che le passioni delmondo sono straniere al mio cuore... che io amo mio fratello comerispetto Vostra Eccellenza!... Dica questo a Raimondo; mi forniscal'occasione di darne la prova..."

DonnaFerdinanda andò pertanto da Raimondo per dirgli di recarsipersonalmente dal fratello e di raccomandarglisi. Un momentoilgiovane si ribellò. Era stanco di pregare e di umiliarsidifar la corte a Ferdinando e a Giulente per guadagnarli alla suacausadi imbeccare Pasqualino e gli altri portavoce. S'era giàumiliato una volta dinanzi a Giacomo e non gli era valso nulla; s'eraumiliato anche dinanzi a Lodovicoquando era andato a Nicolosie ilfratello non s'era lasciato vedere. Adesso bisognava gettarsi aipiedi di cotesto Gesuitachiedergli perdono del posto sottrattogliimplorarne col perdono la protezione e l'appoggio. Era tropponon nepoteva più. Le mortificazioni dell'amor proprio gli cocevanopiù di tuttegli facevano stringer le pugna e mordersi ledita e quasi spuntar le lacrime agli occhi... Ma giustofinita lavilleggiaturatornati tutti in cittàla parentela e lanobiltà si schieravan col principe contro di lui. La cuginaGraziella andava dicendo dovunque che neppure la causa civile sarebbeandata avantiche i giudici avrebbero essi fatto un processo perfalsa testimonianza a chi avesse tentato di provare la mancanza delconsenso; figuriamoci poi la causa ecclesiastica!

Euna domenica donna Isabellache era scesa in città per farcerte comperetornò alle Ghiande con gli occhi rossi.

-"Chehai?"le domandò Raimondoquasi bruscamentequasi pronto a sfogarecontro di leicausa prima di tutto quello che gli accadeva.

-"Nulla...Nulla..."e piangeva dirottamente.

Eglidovette alzar la voce per sapere il motivo di quel pianto. La suaamica aveva incontrato per via i Grazzeri e la cugina Graziella; lacugina s'era voltata dall'altra parteLucia e Agatina Grazzeri nonavevano risposto al suo salutofingendo di non vederla... Il giornodopo egli salì a San Nicolacercando del Priore.

Lodovicolo ricevette a braccia apertelo ascoltò con attenzionebenevola. Raimondo gli disseun po' pallido: -"Tiprego d'aiutarmi..."Invocava il suo appoggio per uscire dalla falsa situazione in cui sitrovava. Era urgente legittimarla per una potente e nuova ragione chenessuno ancora sapevache confidava a lui prima che ad ogni altro:donna Isabella era incinta... Con gli occhi quasi chiusiil capo unpoco piegatole mani raccolte in gremboil Priore pareva unconfessore indulgente ed amico: non una contrazione del visonon unadilatazione del petto svelava l'intima soddisfazione di vedersifinalmente dinanzisommesso e quasi suppliceil ladro che lo avevaspogliatopel quale era stato bandito dalla famiglia e dal mondo.

-"Tupuoi aiutarmimettere una buona parola..."continuava Raimondo -"farconsiderare che in fondo non si domanda se non giustizia... perchéla volontà di Isabella fu violentata; trenta testimoniproveranno la verità..."

-"Loso! Lo so!..."rispose finalmente il Priore. -"Ionon t'avrei neppure ascoltato se non conoscessi che la religione stadalla vostra parte!"

-"Alloraposso fare assegnamento su te?"

-"Certocerto!... Ma c'è un'altra quistione... Nel caso presentenonsi tratta tanto di giustizia astrattaquanto di prudenza mondana.Sicuramentenoi dobbiamo render conto solo a Dio delle nostreazionima perché la nostra coscienza s'acquieti del tuttonon dobbiamo e non possiamo perder di mira l'effetto che i nostrigiudizi sono capaci di produrre!... Oracome vuoi che cotestoprovvedimento sia stimato giustose nella nostra stessa famigliaseil capo della nostra casanon riconosce le tue ragioni e ti condannacon tanta severità?..."

-"Ese Giacomo si piega?"insisté Raimondo.

-"Saràun gran passo innanzi! Vedrai che l'opinione pubblica lo seguiràche tutti quelli finora dichiaratisi tuoi avversari ti sosterrannoconcordi. Allora sarà molto più facile ottenerel'intento. Lo stesso Giacomo potrà giovarti presso igiudicanti molto meglio di me. Sai bene quali relazioni egli ha traquanti circondano Monsignore... una sua parola varrà molto piùdella mia..."

Equesta era la dimostrazione a cui voleva arrivare attraverso tanteparole. L'affare di Raimondotutto quel pateracchio di matrimoni dasciogliere e da ristringere non gli piaceva: il biasimo sordo delgran pubblico gli era noto e lo metteva in guardia contro l'errore disostenere una cattiva causail trionfo della qualedel restonongli avrebbe menomamente giovato...

Raimondotornando alle Ghiandemandò a chiamare il signor Marco.Chiusi in camera tutt'e duerestarono pochi minuti a confabulare.L'amministratore tornò il domani e poi il giorno doporestando sempre più a lungo. Un pomeriggio Ferdinando erabuttato sul letto a dormirequando l'abbaiare dei cani lo destòdi repente; il fattore già picchiava all'uscio.

-"Eccellenza!Eccellenza!... C'è qui suo fratello... Il signor principe..."

Eglibalzò in piedistropicciandosi gli occhi. Giacomo da lui?Adesso che c'era Raimondo? E se si fossero incontrati?…

-"Vengosubito.. trattienilo tu... ma non dir nulla.."

-"ComeEccellenza?... Se i suoi fratelli stanno parlando insieme?... C'èanche la principessa..."

Scesogiù a precipizio per evitare qualche guaioFerdinando entrònel salotto e trovò i fratelli e le cognate chechiacchieravano allegramente.

-"Passavamodi qui"gli disse il principe -"eabbiamo pensato di farvi una visita..."


Ildomaninella Sala Giallala cugina Graziellavenuta prima dicolazione e trovata la principessa in compagnia di don Marianose laprendeva con più calore del solito contro Raimondo e l'amicasua; narrava i loro nuovi armeggile istanze fatte allo zio ducaperché prestasse la sua autorità di deputato perottenere lo scioglimento dei matrimoniperché persuadesse ilsuo buon amico Palmi ad acconsentirvi. La principessasui carboniardentisi faceva di mille colorialzavaabbassava e girava gliocchipareva invocare l'intervento di don Marianotossicchiando unpoco voleva avvertire la cugina di non insistere; ma questacontinuava con nuova lena:

-"Almenoavessero un po' di pazienza! Si libereranno egualmenteperchéla povera Matilde sta per morire... Pare che vogliano affrettare lasua fine!... Tutte queste notizie figuratevi che effetto le fanno!...Ma suo padre giura più terribilmente di prima che nonacconsentirà mai a fare il comodo loro... Sua figlia loscongiura di desistere perché anche a luiquando arrivano diqueste notizieè come se gli pigliasse un colpoapoplettico... Veramenteè un po' troppo!... Qui sotto c'èlo zampino della zia Ferdinanda!... Non credete giunto il punto diavvertirli che siano più prudenti?..."

Laprincipessa non ebbe il tempo di risponderedi nascondere il nuovoimbarazzo in cui quella domanda la gettavaquando Baldassarreentrato senza far rumoreannunziò con la consueta sua bellaserenità:

-"Ilsignor conte e la signora contessa."

Lacugina restò di sale. Raimondo? La contessa? Qualecontessa?... E donna Isabella apparveandò incontro allaprincipessa che le veniva incontrol'abbracciò e la baciòsulle due guance.

-"ComestaiMargherita? Ero impaziente di restituirti la tua cara visita diieri..."

Sidavano del tu! La Fersa trovava modo di dire che Margherita era giàstata da lei! E il principe sopravvenivastringeva la mano aRaimondodicendo:

-"Cognatae cuginaresterete a colazione con noi?..."



5.


-"Ilduca d'Oragua!... Il deputatoil patriotta!... Dov'è?Dov'è?... Eccolo lì!... È ingrassato!…Manca da quasi tre anni!... Viene da Torino?... Signor duca!...Eccellenza!..."E qui saluti ed inchini a destra e a sinistracertuni che si tiravanda canto una decina di passi prima d'incontrarloe si scoprivanocome al passaggio del Santissimo Sacramento: tutti che si voltavano aseguirlo un pezzo con gli occhi quand'era già passato. Pochigodevano il privilegio di poterlo accostaredi stringergli la manodi chiedergli le sue notizie; pochissimigli elettipotevanoonorarsi d'accompagnarlodi scortarlodi mescolarsi al codazzodegli intimi ammiratori ed amici che lo seguivano su e giùalla prefetturaal municipioai circoli. Ed egli teneva il centrodella stradaquasi ne fosse il padroneascoltato devotamente daquanti gli stavano a fiancoaspettato da tutta una corte intenta atessere e a ritessere le sue lodi quandoper un piccolo bisognoimperiosoegli s'accostava a un cantone. Al palazzolo stessoandirivieni d'un tempo: elettorisollecitatoridelegazioni disocietà politiche che tornavano a ringraziarlo a vocedopoaverlo ringraziato per iscrittodel bene che aveva fatto al paese edai concittadini: grazie a luila prima ferrovia a cui s'era messomano in Sicilia era quella da Catania a Messinae il porto avevanumerosi approdi di piroscafie la città era stata dotata dinumerose scuoled'una ispezione forestaled'un deposito distalloni; e un istituto di creditola Banca Meridionalestava persorgere; e il governo prometteva d'intraprendere una quantitàd'opere pubblichedi aiutare il municipio e la provincia; e i buoniliberalii figli della rivoluzioneottenevano a poco a poco quelche chiedevano: un postoun sussidiouna croce.

Lasua popolarità toccava l'apice. Alcuniè veroglirimproveravano l'assenza durante i fatti del '62addebitandola allapaurae tiravano in ballo le storie del Quarantottolo accusavanod'essersi finalmente rammentato del collegio adesso chesciolta laCameravoleva gli riconfermassero il mandato; ma questi mormoratorierano gli eterni malcontentii pochi repubblicaniqualchegaribaldino sfegatatotutta gente che non poteva perdonargli la suaiscrizione al partito conservatore. Nelle conversazioni politicheegli difendeva infatti a spada tratta la politica moderata -"orache abbiamo fatto la rivoluzione e raggiunto lo scopo";e celebrava l'azione prudente del governodeplorava le intemperanzedi Garibaldibiasimava il malcontento contro la Convenzione disettembreaffermava che la lega dei buoni era necessaria per salvarla nazione dai nemici esterni ed interni. Più che nei primitempi della deputazionefaceva colpo mentovando i suoi grandi amicipolitici: -"Quandoandai da Minghetti... Rattazzi mi disse... In casa del ministro..."Però non citava più il barone Palmi; se gli parlavanodelle gesta del nipote Raimondofaceva con le spalle e col capo unbreve moto che poteva dir tuttosecondo l'umore dell'interrogato:approvazionecompatimentobiasimo. Ma oramai la situazione diRaimondo e di donna Isabella era legittimae tutti i parentidopol'esempio del principeli trattavano come marito e moglie. In menodi sei mesila Corte vescovilericonosciuto che il matrimonio erastato contratto per forza e con la pauraaveva liberato la Fersa.

Perquello di Raimondo con la Palmi c'era stato un poco più dafare. Da principioaspettavano che il barone si decidesse anche luia chiedere l'annullamento del matrimonio della figliaasserendo diaverla forzata a contrarlo; ma il barone -"testadi villan cocciuto"spiegava Pasqualinoaveva e avrebbe detto di nofino al momento ditirar le cuoiaquantunque sua figlia — felice memoria — sifosse finalmente posto il cuore in pacespecialmente apprendendo cheil primo matrimonio non esisteva più e che il conte aveva unfiglio da legittimare. La signora donna Matilde — giustiziainnanzi tutto! — nonostante le sue stravaganze era ragionevolein fondoe sapendosi del resto malatacomprendendo che un po' primaun po' dopo il conte sarebbe rimasto liberos'era persuasa dipregare il padre che consentisse allo scioglimento del matrimoniocivile. Del religiosonoperché aveva certi suoi scrupoli unpo' curiosi sulla santità del sacramento; ma basta! suo maritosi sarebbe contentato dello scioglimento civile. I conti eran peròfatti senza la mulaggine del barone villanoil quale giurava divoler prima morta la figliuola che consentire alla liberazione delgenero!... Ahno? E allora il contino aveva chiesto lui d'esserescioltoadducendo che la madre lo aveva costretto a prendersi quellamoglie!

Sapevanotutti che donna era stata la principessacon quanta prepotenza s'eraimposta ai figli. Non aveva violentato la volontà di Chiaraper darle il marchese di Villardita? Così aveva violentatoquella di Raimondo per dargli la Palmi! Decinecentinaia ditestimoni affermavano che il contino mai e poi mai aveva volutoprender moglie: prima di tutti la parentelail principele sorellei cognatigli ziile cugine; poi gli amicipoi la servitùpoi tutta la città. Ma per ottenere lo scioglimento delmatrimonio bisognava dimostrare che all'atto di pronunziare il sìche lo legava per sempre don Raimondo avesse provato un timor grave:e allora il cavaliere don Eugenio era venuto innanzi al magistratoper testimoniare che la principessa sua cognata aveva fattoaccompagnare il figliuolo alla parrocchia da due campieriarmatii qualise egli avesse risposto nodovevano legarlobuttarlo in fondo a una carrozza che stava ad aspettare vicino allachiesa e portarlo in campagna per usargli le maggiori sevizie. Daifeudi di Mirabella erano venuti due campai a confermare latestimonianzae il cocchiere l'avea suffragata per suo contoe ilsagrestano pure. Così il tribunale aveva fatto giustizia.

Ecerta gente — Pasqualino non se ne dava pace! — pretendevache quelle testimonianze fossero falseche i campai fossero statipagatiche don Raimondo avesse dato una bevuta ditrecent'onze allo zio don Eugenio! Quasi che don Eugenio Uzeda diFrancalanzaGentiluomo di Camera di Sua Maestà Ferdinando ii(senza esercizio perché Ferdinando non era più diquesto mondo e i suoi discendenti avevano ricevuto il benservito)fosse capace di un'azione di questa fatta! Quasi che i giudicifossero gente da accettare deposizioni non vere! Altri volevano darea intendere checome uomoil contino non poteva spaventarsi delleminaccee che non s'era mai dato il caso d'un annullamento dimatrimonio per costrizione della volontà dello sposo. Nons'era ancor datoe adesso si dava: oh bellache ci trovavano daridire? Non ci aveva trovato da ridire neppure il barone Palmichenon aveva preso parte alla causa! Le male lingue rincaravano che ilbarone aveva lasciato correre per amore della figliala quale era infin di vita; ma Pasqualinocom'è vero Diocerte cose neppurintendeva come potessero capire in mente umana! Che c'entrava lamalattia della signora donna Matilde col silenzio del barone? Forseche a saper dissolto il matrimoniola signora Matilde sarebbeguarita dalla contentezza? Era mortainvece — salut'a noi! —qualche mese dopo le giuste nozze del conte e di donna Isabella!Dunque il barone era rimasto zitto perché sapeva che il generodiceva la verità!

Subitodopo la pace col principeRaimondo e donna Isabella s'eranoriconciliati con una gran parte degli antichi oppositori; la cuginaGraziellaspecialmentes'era messa a difenderli con maggior caloredello stesso Pasqualinodimostrando che la passione è -"cieca"che gli uomini -"sonofatti di carne"e le donne puree che la colpa di tutto quel che si succedeva andavaattribuita tutta alla leggerezza -"pernon dir altro"della Palmi. Tuttaviabuona parte della nobiltà restava afare il viso dell'arme a Raimondo ed all'amica; ma la cuginaassicurava che a poco a poco tutti si sarebbero addomesticatispecialmente quando i tribunali avessero fatto giustiziaaccordandoi divorzi; e non contenta di dare assicurazionifaceva propagandapersuadeva i tentennantiteneva fronte ai borbottoni.

Frattantoringraziato Ferdinando dell'ospitalità che gli avevaaccordataRaimondo s'era preso in affitto un quartiere nel palazzoRoccasciano e v'era andato a stare insieme con la futura moglie.Giacomoil Prioreil duca avevano veramente consigliato loro di nonfarne nulladi restar piuttosto alla Pietra dell'Ovo fino al giornodella loro legittima unione e poi andar viaa Napolia MilanoaTorinoin mezzo a gente nuova. Ma donna Isabellaa cui leschifiltose avevano fatto troppi affrontivoleva prendere larivincita ed assaporare il trionfo. Raimondoimpegnato a spuntarlacontro tutti e tuttofaceva ancorasuo malgradociò cheella voleva. Fermo proposito di lui era d'andar via al piùprestonon già per le ragioni di prudenza suggerite daiparentima perché non ammetteva di poter vivere due giorni diseguitosenza una estrema necessitànel paese nativo; pocheparole dell'amica bastarono a dissuaderlo. I suoi parenti nonconsigliavano forse quel partito perchénonostante la paceavevano mediocre piacere di trattarla e preferivano saperla lontana?Non c'erano tuttavia tante persone che la salutavano freddamentecheevitavano di parlarle?... Ed egli cominciò a far spese pazzeper metter su una casavolle che il matrimonio si celebrasse con lamassima pompaquasi sfidando chi prima aveva sostenuto impossibilela riuscita della sua impresa. Fu una festa sontuosa alla quale moltidi quelli che si erano ostinati nel biasimo sollecitarono il grandeonore di poter assisteree così donna Isabella assaporòla voluttà di vederseli ai piedi. Peccato che la cuginaGraziellala quale aveva tanto contribuito a quest'effettononpotesse goderne anche leipoiché suo maritopochi giorniprimaaveva preso un raffreddore che pareva all'inizio una cosa danullama che giusto la notte degli sponsali degenerò inpolmonite e tre giorni dopo lo ammazzò.

Tuttigli Uzeda furono da lei in quella dolorosa circostanza; il principespecialmentenonostante l'abituale freddezzamostrò diprendere molta parte al dolore della cugina. Ella pareva veramenteinconsolabileraccontava a tutti piangendo la gran bontà delpovero marito suoil grande amore che gli aveva portatol'irreparabile sciagura che quella morte era per lei. Soltanto lavista dei suoi -"caricugini"i conforti della -"famiglia"lenivano il suo cordoglio: i -"cugini"gli -"zii"erano ormai i soli che le restavano. Ella mise per ogni dove i segnidel corrottoper poco non si tinse di nero la facciae durante unbuon numero di mesi rifiutò ostinatamente di prender arianeanche in carrozza chiusadi sera. Ma la sua prima visita fu alpalazzo del principe dovea poco a pocoriprese l'abitudine divenire spesso a confortarsi. Si prendeva in braccio Teresina edesclamavacon voce rotta: -"Figliamia! Figlia mia!... Se il Signore mi avesse concesso una figlia cometenon sarei rimasta sola al mondo!... Il Signore ti conservi sempreall'affetto di tua madre... Figlia! Figlia mia!..."tanto che la principessa Margheritamolto impressionabilesimetteva a piangere anche lei. Col temponondimenoquel grandedolore si calmòdivenne più compostotale daconsentirle di occuparsi delle cose mondane. Suo marito l'avevalasciata erede universale d'una discreta sostanzatalché ellanon aveva da inquietarsi per l'avvenire; piuttostonon sapendo comedisbrigare gli affari dell'ereditàrivolgevasi al cuginoprincipeil quale glieli metteva in piano. Pertanto ella venivaadesso tutti i giorni al palazzocerti giorni più d'unavolta; maquantunque non avesse affariandava pure spesso daLucreziadalla -"zia"Ferdinanda e dalla -"cugina"Isabella. In casa di costei tuttaviaa causa del luttononcompariva il lunedìgiorno nel quale la contessa -"riceveva".

Quest'usodi ricevere in un giorno determinato era una gran novità dellaquale si discorreva molto. Donna Isabellache non s'appagava deltrionfo d'una sola sera e voleva piegare le ultime ostinateoppositricil'aveva introdottoriuscendo così a dare al suosalotto un tono specialeun'importanza straordinariatale che lepiù restie brigavano finalmente l'onore di esservi ammesse.Talchédopo appena tre anni che era venuta in una volgarecamera d'albergomoglie della mano mancaosteggiata da tuttiellatroneggiava in quell'inverno del '65autentica contessa di Lumerafra una corte di ammiratori.

-"Grazie!Grazie!..."diceva a Raimondogettandogli le braccia al collo e stringendolo asé. -"Tul'hai voluto e ottenuto!... Grazie! Grazie!..."

Eglirestava di marmo sotto quelle carezze. Vinta la partitacessata lafebbre che lo aveva animato contro le difficoltài contrastie le opposizioni d'ogni generefaceva il conto di quanto gli costavaquel risultato. Confusamentesordamentepoiché non potevaconvenire di esser stato tanto ciecosentiva d'aver lavorato aribadirsi al collo una nuova e più pesante ed infrangibilecatenaquando invece la sua personale aspirazioneil suo unicoardente desiderio sarebbe stato quello di liberarsi del tutto.Scontentoirrequietonervosofrenavasi dinanzi alla gente; ma incasacoi familiaritrovava nelle circostanze più futili unmotivo di sfogarsidi gridaredi maltrattare qualcuno; Pasqualinoriceveva sulle spalle il fitto della gragnuola; donna Isabellasentiva la tempesta minacciare anche leima la stornava a furia disommessionesecondando sempre e comunque l'umore del marito.

Adessol'incosciente rancore di cui Raimondo era animato contro di sérovesciavasi sui parenti; egli sapeva che in modo diversoperdiverse ragioniincoraggiandolo o contraddicendoloavevanocontribuito al suo danno enon potendo accusare se stessose laprendeva con quelli. Sua moglieper evitare che egli pensasse adaltrogli parlava male di tutti gli Uzeda. E la materia erainesauribile. Chiaraper esempioche aveva fatto la scrupolosaquand'essi non erano uniti legittimamenteadesso dava da parlare atutta la città per le cose vergognose che tollerava in casasua. Con l'utero fradicio dopo l'estirpazione della cistenon potevapiù essere toccata dal maritoe di che si lagnava quellapazza? Forse della condizione in cui era ridotta? Del male che laminacciava sordamente? Nossignore: il suo gran dolore era di nonpoter servire a Federico! E comprendendo che questiil quale nonaveva niente di fradicioanzi era sanissimo come una lascanonpoteva far quaresima tutto l'annoche aveva pensato? Di sceglierglilei stessa certe fiorenti cameriereuna più bella dell'altrae gliele metteva nel lettoe le trattava a zuccheriniquasi leserviva lei stessa invece di farsene servire!... -"Soncose vergognose!... È pazza!..."esclamava donna Isabellarammentando a Raimondo la storia delmatrimonio di Chiara con quel marchese aborritola violenza che laprincipessa madre aveva dovuto farle. -"Egli altri? E le altre?"Infattidove metter Lucrezia? La pazzia di costei era andata tutt'alrovescio: dopo aver fatto cose dell'altro mondo per sposare Giulenteadessoa poco a pocoera arrivata quasi a disprezzarlogli davadell'asino a tutto pastonon poteva soffrire la sua politica cheprima l'aveva accesagli diceva sul muso: -"Hapur da tornare Francesco ii che vi legherà tutti quanti!..."E le speculazioni di don Eugenio? Costuifacendo pagare un occhiodel capo al principe di Roccasciano cocci ed imbrattili riprendevaper due baiocchi dalla moglie cheinvasata dal demonio del giuocoli sottraeva dagli scaffali... E la metamorfosi di Ferdinando? Parevache la passione per le Ghiande non potesse finirgli mai: un belgiorno le aveva piantateaveva lasciato in asso tutti gliesperimenti agricoli e meccanici e se n'era venuto a stare in città.Non mancava ai lunedì della cognataandava tutte le sere alteatrofrequentava le donne eper non metter più piede nelpodere che gli era stato tanto a cuorelasciava che il suo fattoregli rubasse gli occhi. -"Èpazzo?... Son pazzi?..."Donna Isabella non parlava d'altrosapendo d'appagare il rancore diRaimondo. Egli l'avevasìcon tuttima il suo astio piùgrande era serbato al principe.

Giacomonon aveva prodotto solo un danno morale al fratellogli aveva anchefatto pagar salato il suo appoggio. Nei momenti in cui era impegnatoa spuntarla contro tuttia trionfare degli immensi ostacoli di cuiera irta l'impresa dello scioglimento dei matrimoniRaimondo nonaveva neppur calcolato quel che gli costava la pace col fratellomaggiore; era tantoallorail suo impegnoche egli avrebbe forseconsentito a cedere tutto quanto possedeva. Adesso che faceva ilconto e tirava le sommevedeva che Giacomo gli aveva preso un buonterzo del suo. Come a Lucreziaaveva presentato a lui la notadell'ospitalità accordatagliuna nota molto lunga perchécomprendeva le spese fatte per la Palmi e le bambine; poi avevatirato fuori le solite cambiali apparse dopo la morte della madreaddebitandogliene la metà; e nei conti della procura avevadimostrato d'esser rimasto creditore di parecchie migliaia d'onzeper gl'interessi accumulati degli anticipi: così s'era preso idue fondi di Burgio e Burgitello. Ma la magagna più grossa erastata operata nella divisioneperché egli aveva messosecondo gli convenivai prezzi alle terree tenuto per sé lemigliori e le più vicine. In cambio di altre proprietàgli aveva ceduto rendite fradicedi difficile ed incertariscossionee non contento di tutto ciò gli aveva ancheimposto di rinunziare all'uso del quartiere nel palazzo avitoaquella clausola del testamento materno che gli stava come un bruscolonegli occhi... Passata pertanto la foga della lottaRaimondo eraanimato da un sordo astio contro di lui; ma donna Isabellaparlandogli male del fratellonon rammentava già queste cosecomprendendo che l'argomento era a due tagli e si poteva ritorcerecontro di lei. Invece criticava il carattere prepotente del cognatola sua severità verso la moglieil suo disamore per tuttilasua doppiezza con gli zii. Curiosa per indolevigile per interesseella veniva scoprendoadessoin casa di luiqualche cosa di nuovoche le dava buono in mano. -"Haivisto?... Hai visto?..."diceva al marito tutte le volte che tornavano a casa dopo esserestati al palazzo. -"Efaceva il moralista anche lui! Bisognava sentirloquandopredicava!... E quella stupida di Margherita che non s'accorge dinulla!..."


Laprincipessainfattinon pareva notasse che da un pezzo la vedovacugina veniva a consolarsi -"infamiglia"tutte le sante mattine che il Signore mandava e tutte le sante sere.Il principe s'occupava di metterle in ordine l'ereditàeperciòavendo bisogno di parlarlel'andava spesso a trovareper suo conto; certe volte la riconduceva con sé al palazzo.La sera ella restava fino all'ultimo nella Sala Gialladove lasolita società si riuniva. Nessuno degli Uzedapel momentovi mancava: il matrimonio di Raimondo pareva avesse ricondotto lapace in tutti gli animi. Il duca pontificavaaggiustava l'Europa inquattro e quattr'ottole finanze italiane in men che non si dicaeGiulente stava a udirlo come il Messialasciandosi rimorchiaresempre piùdisertando il suo partito per corteggiare lo zioaspettando di prenderne il posto. Il ducainfattigli aveva detto:-"Quandosarò stancolascerò a te il collegio";e questa era la secreta brama di Benedetto: esser deputatomettersinella grande politica. Per dargli pazienzail duca lo aveva fattoeleggere consigliere comunalee discorreva con lui anche delle cosedel Municipiodelle riforme da introdurvi. Quantunque il Parlamentofosse in piena sessioneegli non parlava d'andar viaoccupato asbrigare i suoi affari. Il patriottismo gli era costato: persussidiare i perseguitatiper comperar fucili e cartucceperoffrire rinfreschi alla Guardia nazionaleaveva fatto qualchedebituccioipotecata la sua magra proprietà: ora la rimettevain ordine. Dove trovava i quattrini? Dicevano che spartisse negliappalti fatti accordare a Giulente zio; ma quei guadagniquantunquegrossinon potevano bastare alle grandi operazioni che disegnava.Fondata la Banca Meridionale di Credito e di Depositiavevasottoscritto per cento azioni di mille lire l'una; è vero chenon aveva versato se non un quarto; ma nello stesso tempo egliparlava d'una grande compagnia di navigazione a vapored'una societàper la lavorazione degli zolfidi un'altra pel taglio dei boschietnei. Don Blasco e donna Ferdinandaciascuno per conto proprios'ingegnavano con ogni mezzo di appurare come facesse; fu il marcheseFederico quello che li mise sulla buona strada.

Conle economie del suo largo redditoil marchese faceva ogni annoqualche acquisto; ultimamente aveva comperato una villa al Belvedereper stare a casa propria durante la villeggiaturae gli era rimastatuttavia una sommetta della quale non sapeva che fare. Era troppoesigua per comprare una proprietà; darla a mutuo non voleva;che cosa bisognava farne? -"Acquistanerendita pubblica!"gli aveva consigliato il ducaspiegandogli i vantaggi dell'impiegooffrendogli di farla venire da Torino. -"VostraEccellenza ne ha dunque comprata?"gli domandò il marchese. -"Neho compratane ho venduta... secondo i corsi... capisci bene..."poiquasi pentito d'avergli fatto comprendere che ci aveva speculatosu durante i cinque anni passati a Torinocol comodo delle notizieappurate nelle anticamere dei ministeriaveva mutato discorso. Ilmarchese titubò un pezzoun po' per fedeltà alprincipio borbonicomolto più per paura di perdere i suoiquattrinifrutto e capitalecon l'idea che l'Italia fosse sempresul punto non che di fallirema di andare a rotoli; finalmente ungiornoincontrato il duca che veniva a riscuotere le cedole delsemestre scadutovistolo venir via con un bel rotolo di bigliettisi decise. E la sera che annunziò al palazzo l'acquistobisognò sentir don Blasco!

-"Ahpezzo di pagliaccio! Anche tu? Con l'Italia anche tu? Sei impazzitoanche tu?"

-"Perché?"tentò rispondere il marchese. -"AlSessantaseiil capitale frutta il sette e mezzo per cento... Lecedole sono pagate puntualmente alla scadenza..."

Ilmonaco stava a sentirlospalancando tanto d'occhicome aspettandodi vedere fin dove sarebbero arrivate le enormità che quelbestione eruttava: alla fine scoppiò:

-"Tene netterai il fondamentodelle tue cedole!... Andrai a riscuoterleal lungo comodopezzo d'asino!..."E rivolto a Chiaracon le mani in capo: -"Fallointerdire!... Ti vuol rovinare!... L'impiego al sette per cento!...Se non ne vogliono neppure in elemosina?..."Girando poi uno sguardo tutt'intornocon amara ironia: -"Impiegosicurosignori miei!... Quando la rendita napoletana era al cento edieci!... Un altro poco e scenderà al cinque la cartacciasporca!... Allora con cinque lire di capitaleavremo cinque lirel'anno! Arricchiremo tutti quanti! Viva la cuccagna! Viva il granVittorio!"

Ilducache stava in un angolo con Benedetto spiegandogli le proprieidee sull'avviamento della Banca Meridionaleche sotto la direzionedi don Lorenzo Giulente doveva -"venireall'aiuto dell'incremento industriale e commerciale"e -"cooperarel'opera protettrice del governo"sorrise impercettibilmentescrollando le spallealla sfuriata delfratello; Chiarapreso in disparte suo maritogli disse:

-"Nondar retta a quel pazzo!... Tu hai fatto benissimo: compranedell'altra."E dopo un poco lo condusse viaprima che la società sisciogliessecome faceva da un pezzosenza che si sapesse la ragionedella sua gran fretta di tornare a casa.

Laragione era questa: che Rosa Schiranola nuova cameriera da leipresa a Federicoun bel pezzo di ragazza della Pianabianca e rossaal pari d'una melaera incinta per opera del marchese; e invece dicacciarla viaella non capiva in sé dal contento. Questa eraanzi la secreta speranza che l'aveva indotta a metter tante frescheragazze a fianco del marito; poiché voleva un figlio di lui enon era buona a farlos'accontentava di quello di un'altralepareva naturalissimo circondare di cure quest'altra che Federicoaveva fecondatae ne invidiava la sorte. Ella stessa le avevastrappato la confessione dell'erroree la ragazzaimpaurita etremanteera rimastapoiché la padronainvece di buttarlagiù dalle scalele aveva detto: -"Nont'inquietare; penserò io a tuo figlio!..."Da quel giorno Chiara non aveva avuto pensieri se non per lacameriera. Un certo senso di rispetto umano le aveva impedito dicontinuare a tenerla nelle proprie camere col ventre sempre piùgonfio; ma giù nel cortilenelle stanze che la moglie delcocchiere era stata costretta a cederlela visitava tre o quattrovolte il giornole mandava i migliori bocconi della sua tavolalateneva nella bambagia.

Quandola cosa si riseppetutti i parentispecialmente i fiutonidonBlasco e donna Ferdinandacominciarono a fare un diavolìogridandole che dovesse cacciare a pedate quella ciarpa; ma Chiarafingendo che Rosa avesse la tresca fuori di casala scusavaedichiarava di non poterla veder soffrire. -"Letentazioniper queste povere ragazzesono tante!... Speriamo che lasposeràchi è stato... Io so che cosa vuol diregravidanza... Non ho il coraggio di buttarla in mezzo a unastrada..."Ma il più bello era che il marchese si seccava e si vergognavaanche un poco di quella paternità clandestina. Col maritoChiara non aveva tenuto nessun discorso in proposito; ma quando lacugina Graziella si mise anche lei della partitavenendo a dirle dimandar via quella sgualdrinaella si fece rossanon sapendo lìper lì che rispondere; ma appena l'altra se ne andòprorupperivolta a Federico:

-"Sentilaadesso!... Io faccio quel che mi pare e piacee tu solo hai ildiritto di comandarequi dentro!... Fa la scrupolosaadessoquestanon so che cosa! Dopo che ruba Giacomo a sua moglie! Ci vuole lasciocchezza di mia cognataper non accorgersi di nulla!..."

Veramentepiù d'uno ne cominciava ora a mormoraree tra la servitùdelle due case correvano già certe occhiate d'intelligenzasiscambiavano certi commenti che facevano inghiottire a Baldassarrebotti di veleno. Il signor principe non poteva dunque fare un atto dicaritàsorvegliando l'amministrazione intricata della cuginache già le lingue di vipera ci trovavano a ridire? Forseperché s'era parlato di matrimonio tanti anni addietro? Ma ilpadrone aveva fatto la volontà della principessasant'animae adesso pensava ai suoi figlirispettava la moglieavevatutt'altro pel capo che le galanterie! Se avesse voluto andar dietroalla cuginane avrebbe avuto tanto temposenza aspettar la mortedel maritoperché proprio quel buon diavolaccio del cavalierCarvano non era tipo da metter paura! Non vedevano del resto laprincipessa? Era la più interessata di tutti a sapere laverità; e se quelle ciarle maligne avessero avuto fondamentose ne sarebbe rimasta così tranquilla?...

Laprincipessa era più tranquilla che maisempre piena diobbedienza verso il maritosempre aspettando gli ordini che egli leimpartiva spesso con una sola guardata. La cugina a poco per voltaquasi domiciliavasi a palazzodava ordini alle persone di serviziocome le pagasse leiesprimeva su tutti gli affari della casa lapropria opinionedella quale il principe teneva più conto chenon di quella della moglie; ma donna Margheritainvece di dolersenerespirava più liberamente perché Giacomo la lasciavaquietanon pretendeva ch'ella gli desse ragione in tutto e pertuttoe non la rimproverava se le cose non riuscivano poi com'eivoleva. Pertantose qualche giorno la vedova non venivaella lamandava a chiamare prima che il principe notasse l'assenzae latratteneva tutto il giorno in casale affidava Teresinala trattavacome una sorella. Quell'intrinsichezza le procurava un altrovantaggio grandeimpagabilerisparmiandole l'orrore di toccar lechiavii mobiligli oggetti. Quando bisognava metter fuoribiancherieo frugare negli armadio riporre qualche cosa nellecassela cugina faceva tutto leiandava e veniva con le chiavi allacintola per la casala metteva sossopraal punto che in sua assenzanon si trovava più nulla e bisognava mandare qualcuno achiamarla.

-"Almenolevassero via la bambina!"diceva donna Isabellascandalizzataa Raimondo. -"Lafanno assistere a un bello spettacolo!..."

Edon Blasco e donna Ferdinanda già cominciavano a fareanch'essi i loro commenti; ma quando Rosa Schirano partorì almarchese un bel figlio maschiobianco e rossogrosso e grassolanuova guerra tra gli Uzeda divenne generale.

Chiarafuori dei panni dal piacereriprese vicino a sé la camerierale cercò una baliadiede al piccolino tutto il corredopreparato un tempo pei suoi propri figli. Lo teneva mattina e sera inbracciolo dava a baciare al marito dicendogli: -"Guardacom'è bello!... Ti somigliaeh?..."ma quand'era solafaceva calare dall'alto dell'armadio la bocciapolverosa col mostricciattolo partorito da leiabbracciava con unsolo sguardo l'orribile aborto giallo come il sego e il bambinopaffuto che tirava pugnie due lacrime le spuntavano sulle ciglia.-"Siafatta la volontà di Dio!..."Riposta la bocciatutte le sue cure e tutti i suoi pensieri sirivolgevano al figlio di Rosaal quale aveva persino messo il nomedi Federico... Ma Giacomo diede della pazza alla sorella; Chiarasentendosi pungeresi mise a cantare contro il fratello che tenevala ganza in casa e le affidava la figlia; Lucreziache aveva giàfatto pace con Giacomo al tempo del matrimonio di Raimondovoltònuovamente casacca e accusò Giacomounicamente perchéBenedetto consentiva con lui nel biasimare le stramberie dellamarchesa; donna Isabellaper distrarre Raimondoche aveva un umoresempre più nerorincarò la dose contro il principecontro Chiaracontro Lucrezia; don Blasco e donna Ferdinandasoffiavano nel fuoco ciascuno per suo contoora formando leghecontro Chiaraora contro Giacomoora contro la contessa; e tutti etuttegiovani e vecchifratelli e sorellezii e nipotiricominciavano a buttarsi addossovolta per voltal'accusa distravaganzadi ossessione e di pazzia. In mezzo ad essiil Prioreportava la sua serena indifferenza per tutte le cose di questo mondodopo aver fatto la corte a Monsignore e brigato col coadiutorecolVicario e coi canonici; Ferdinandoelegantissimonon parlava piùd'altro che di abiti e di sarti forestieri; il ducaudendo tuttisenza rispondere a nessunoscambiava telegrammi coi sensali chegiocavano in Borsa per conto suoe badava a ordinare le sue banche esocietà; il cavaliere don Eugeniolasciata in assol'Accademia dei quattro poetisi occupava unicamente d'un certonegozio di zolfi che pareva molto lucrativo — con letrecent'onze della falsa testimonianzadicevano le male lingue —e la principessa era felice di tener per aria le mani bianche elucidepreservandole da ogni contattoadoperandole soltanto perabbracciare i suoi figli.

Teresaadesso vicina ai dodici anniformava il suo orgoglioper labellezza della persona e la bontà dell'animo. Mai undispiacere da quella bambina; lo stesso principeche a giorni parevacercasse col lanternino i pretesti per andare in colleranon lacoglieva mai in fallo. Bastava che le dicessero una volta: -"Teresinaciò dispiace a tuo padre"oppure: -"Tuopadre vuole così"perché ella chinasse il capo senza fiatare. Per l'obbedienzaesemplareper la dolcezza del cuoreella raccoglieva dovunque lodie premi. Cresciuta negli anninon la mettevano più nellaruota per farla passare tra le monachea San Placidoma laconducevano spesso al parlatorio della badìa. Ella che avevafrenatopiccolinala paura di restar chiusa nello spessore delmuroe il terrore del crocifisso neropreferiva anche orain cuorsuole belle passeggiate all'aria aperta; ma poiché aiparenti faceva piacere che andasse dalla zia monacaella stessasollecitava quelle visite dietro le grate. Ella passava per proveancora più forti. La vigilia dei Defuntitutti gli annilafamiglia recavasi nelle catacombe dei Cappuccinia visitare gliavanzi della principessa Teresaper ordine del principeil quale dacanto suo restava in casa temendo che la vista dei morti gli portasseiettatura. La bambina tremava da capo a piedi. Che spaventotuttiquei morti pendenti dalle paretichiusi nelle cassevestiti come invitacon le scarpe ai piedi e i guanti alle mani; certuni con labocca contorta come se urlassero dallo spasimoaltri che ridevanod'un riso sgangherato; la nonnatutta nera in visonella bara divetrovestita da monacacon la testa sopra una tegola e le maniaggrappate disperatamente a un crocifisso d'avorio!... Tremava tuttala bambinadallo spaventodall'orroree la notte sognava tuttiquei morti che le danzavano intorno; ma nascondeva il propriospavento poiché il confessore le aveva detto che i poverimorti non possono far maleche è dovere visitarlichebisogna continuamente pensare ad essi perché un giorno anchenoi moriremo e andremo dinanzi al Giudice eterno. Quasi in tutte lechiesedel restoella aveva un senso di fredda paura; alla Madonnadelle Grazie c'era una parete piena di doni votivi: gambetestebracciamammelle di cera sulle quali erano dipinte orribili piaghepaonazze; ai Cappuccininella cappella della Beata Ximenavedevasila bara dove custodivano il suo corpo. Dicevano che si conservassecosì frescadopo secolicome se fosse spirata da un'ora; adogni centenario della beatificazione scoperchiavano il feretro; ellapensava con terrore che fra dodici anninel 1876sarebbe capitatoil terzo centenario. Ma poiché faceva sempre forza a se stessae niente traspariva delle sue pauree la vedevano stare lunghe orein quelle chieseinginocchiatapregantetutti lodavano la suapietà; alcuni dicevano perfino: -"Crescecome la Beata; santa come lei!"E queste lodisìl'inorgoglivano; per guadagnarselesopportava tutto in pace. Anch'ellacome tutte le altre sueamichettedesiderava le belle vesti nuovedai colori gaidallericche guarnizionio le prime buccoleun anellino; ma suo padrediceva che queste cose guastano le ragazze; e invece di piangere e digridarecome facevan tanteella chinava il capoconfortata dallasua mamma che le prometteva all'orecchio: -"Vedraiamorino mioquando sarai grande!..."

Consalvonon aveva lo stesso carattere della sorella; tutt'al contrario; ma laprincipessascusandololo esortava ad essere buono. Le esortazionidella mamma non davano molto frutto. Sperato invano di tornare a casapei torbidi del Sessantadueegli aveva visto passare gli anni unodopo l'altro senza che il padre mantenesse la promessa di toglierlodal Noviziato. Tutte le volte che era venuto al palazzoil ragazzol'aveva rammentata al principe; ma questi rispondeva invariabilmente:-"Piùtardi... in primavera... in autunno... non tocca a te pensarci!..."Così rodeva il frenoaspettando la primavera e l'autunno chelo ritrovavano ancora in quella prigionesmanianteirrequietobuttato a un tratto col partito dei liberalinella speranza dellasoppressione dei conventi. Giovannino Radalìchedurando lamadre nel proposito di fargli pronunziare i votinutriva anche luiquest'unica speranza per tornare al secololo aveva convertito; mal'annunzio della soppressione somigliava alle promesse del principe:ripetute semprenon si trovavano mai confermate dai fatti. Perciòcontinuamente irritato dall'ostinazione del padrepieno di invidiaper quei compagni che ad uno ad uno se ne tornavano in famiglia agodersi la bella libertàegli diventava il tormento deimaestridei fratellidei camerieridi tutto il conventoerifiutava anche di andare a casaose vi andavanon salutavanessunonon parlavastava tutto il tempo della visita con tanto dimuso. Ora che al palazzo non si rimoveva una seggiola senza ilbeneplacito della cuginacostei prestava mano forte al principegiudicava che il ragazzopel momentostava bene dov'era; glidicevacon tono d'affetto maternomentr'egli fremeva d'odio controquest'altra: -"Nondubitare; verrai via a suo tempo; per ora bisogna studiare... Vedi lamia figlioccia'! Anche lei va messa in collegio..."

Lasignorina Teresina in collegio?... Nella cortetra la parentelalanotiziaappena risaputafu commentata in mille modi: -"Eperché?... Non sta bene in casa?... Il duca ha voluto così...E che c'entrava il duca?... Noè stato il principe... Nolacugina... La principessa piange da mattina a sera..."Ciascuno diceva la suaqualcuno soffiava che forse la decisione erastata presa perché un giorno la signorinaentratainavvertitamente nella Sala Rossaaveva trovato il principe e lamadrina in troppo intimo colloquio... Ma Baldassarrecol suo tonod'autorità che troncava tutte le chiacchieredava la versioneschietta e genuina: tutte le grandi famiglie di Palermo e di Napolial giorno d'oggistillano di mettere le signorine in collegioneicollegi a chicdove imparano la lingua italiana e anche lafrancesa: il barone Cùrcuma ci aveva messo la suaragazzadunque la figlia del principe di Francalanza doveva andareanche lei in uno di quei collegi. Il signor duca conosceva che quellodell'Annunziataa Firenzeera il più a chic di tuttiperché infatti costava più caro; e anche il signor donRaimondo e la contessa donna Isabellache a Firenze c'erano stati dicasadicevano altrettanto e approvavano che la principessinaricevesse l'educazione conveniente!...

Eglinon diceva che donna Ferdinandaalla notizia della decisione presa asua insaputas'era scagliata con più violenza contro ilprincipe e aveva perdonato a Chiara l'allevamento del bastardo perandare a sfogarsi con lei contro queste stupide novità deicollegi fiorentiniquando ai suoi tempi le ragazze nobili imparavanoin famiglia a filar seta e non s'impinzavano di sciocchezze italianee forestiere; non diceva che don Blasco girava per le case dei nipotipredicando la crociata contro le porcherie che si commettevano alpalazzo... Pel Baldassarreil principe era Dioe tutto ciòche il padrone faceva era ben fatto. Rispettava anche gli altriparenti e perciò le voci di quelle guerre in famiglia locontristavano positivamente; voleva che tutti andassero d'accordo peril buon nomeper il prestigio della casata. E negava i piccolidissidiscemava importanza ai grandiimponeva silenzio al bassopersonale sempre con l'orecchie tese per acchiappare a volo qualchenotizia piccanteattribuiva all'invidia delle altre case meno nobilie ricche le voci maligne che circolavano tra i servi. Esse nondovevano a nessun costo arrivare al padrone; se costui domandavaperché il tale o tal altro guattero era stato congedatoeglitrovava un buon pretestooppure diceva che era stato il signorMarco. Stimava pertanto l'amministratoreche era come lui geloso delbuon nome della casa e pieno di rispetto verso il principe e digiusta severità verso i dipendenti.

Delrestoalla lungagl'invidiosi si stancavano di sparlare. Prima dituttoalcuni dei parenti andarono via e perciò i motivi dilite scemarono. Il contino Raimondo un bel giornosenza aver dettoniente a nessunofece i bauli e se ne partì con la moglie perPalermolasciando a Pasqualino l'incarico di vendere la mobiliacomperata un anno prima. Poi partì il duca diretto a Firenze econducendo via anche la principessina Teresaper metterla alcollegiocom'erasi stabilito. La bambinanel congedarsipiangevadirottamente dal dolore di lasciar la sua casadi entrare nelcollegio di Firenzetanto lontanodove neppure la domenicaneppurdietro a una gratacome a San Placidoavrebbe potuto vedere la suacara mamma. La comare però le diceva:

-"Nonpiangere così; non vedi che fai male a tua madre?..."e allora ella inghiottiva le sue lacrimesi ricomponeva. Il giornodella partenzala principessa ebbe una convulsione di piantoabbracciando furiosamente la figlia; e la stessa cugina aveva gliocchi rossima faceva coraggio a tutti: -"Teresinatornerà fra qualche anno; e poi ogni autunno l'andremo atrovareè veroGiacomo?... Verrò anch'io; seicontenta così?... Vedrai poiquando tornerai istruita ededucata come si convienequanto tutte t'invidieranno!... Vedraianche tuMargheritaquanto sarai orgogliosa della miafiglioccia!..."La bambina allora chinò il capos'asciugò gli occhiedisse alla sua mammaseria e composta com'era sempre stata: -"Nont'angustiaremamma mia bella; ci scriveremo ogni giornocirivedremo presto... Vedi che sono ragionevole?.."Un amore di figliuolaquella lì; vera razza dei Viceré!

Poipartì anche il cavaliere don Eugenio per Palermo. La ragionedi questa partenza qui non si seppe molto bene. Il cavaliere avevadetto che certe grandi case palermitane lo avevano chiamato perassociarlo in grandi e nuove speculazioni dove c'era da arricchire inpoco tempo; ma le male lingueche non tacciono maivolevano dare aintendere che egli era scappato perchémangiatisi i quattrinidegli zolfi presi a credenzacontro cambiali che non poteva piùpagarecorreva rischio di prendersi qualche soma di sante legnate...Comunque andasse la cosafatto sta chepartite tutte questepersonela pace tornò a regnare in famiglia. La cuginaaffezionatissimaveniva giornosera e notte a tenere compagnia e adare una mano alla principessache le era gratissima di tanteattenzioni; venivano anche gli altri parentinon piùinviperiti come un tempo; gridavanoè veroogni tanto: donBlascoper esempioa motivo della soppressione dei conventiannunziata nel programma della nuova legislaturao la signora donnaLucrezia contro il marito e i liberali; ma niente di positivo. Ilprincipeda canto suobadava agli affari dell'amministrazionemasenza più affaticarsi tropposenza più tenere leinterminabili sedute d'un tempo col signor Marco.


Oraun giornoche fu giusto il 31 dicembre 1865Baldassarre corse aduna chiamata del padrone il quale era nel proprio scrittoio incompagnia del notaio.

-"Accompagnail notaio dal signor Marco e consegnagli questo biglietto"gli disse il padrone.

-"Eccellenza"rispose Baldassarre -"èandato fuori mezz'ora addietro..."

-"Vabene; metterai dunque il biglietto sul suo tavolino. E voinotaiomi farete il piacere d'aspettare un poco... Tu va' a prendere uncartellino col si locadi quelli delle botteghe; ce ne deveesserenel magazzino... E attaccalo al balcone della sala del signorMarco."Baldassarrenonostante la sua abituale passivitànell'obbedienzarestò un momento a guardar per aria. -"Ilsi loca nel balcone della sala: hai capito?"ripeté il padrone che non amava dire due volte le cose.

-"SubitoEccellenza."

Corsoa prendere il cartellinoil maestro di casa salì a quattro aquattro le scale dell'amministrazioneentrò nel quartierinodel signor Marco elasciato il biglietto sulla tavolaaperse lavetrata e si mise ad attaccar l'appigionasi. Non capiva bene che cosasignificasse quell'ordine né quel che stesse per succedere; masentivasi inquieto. Giusto mentre finiva di legare la tavolettaapparvegiù nella viail signor Marco. Si fermò unistante a guardare in altopoi cominciò a gesticolaredomandando al maestro di casa che diamine facessee Baldassarre glirispondeva additando le finestre del padroneper fargli intendereche obbediva ad un suo ordine. A un tratto il signor Marco si misequasi a correree dopo pochi minuti gli arrivò dinanzipallido e col fiato ai denti.

-"Chefai? Perché il si loca? Chi diavolo t'ha detto?"

-"Ilprincipeil signor principe.. c'è anzi una lettera... lìsulla tavola..."

Leggendoil bigliettole mani e le labbra tremavano al signor Marcocome segli stesse per prendere un accidente; e Baldassarreimpauritositirava un poco indietropronto a chiamare soccorso; quandostrappato malamente il fogliol'altro gridòcon voce rotta:

-"Ame?... Il congedo?... Come a un guattero? L'ultimo del mese? Ladroschifoso! Principe porco!"

-"DonMarco!..."balbettò Baldassarreatterrito.

-"Ame il congedo?... E il notaio per la consegna?... Credeva forse chegli volessi portar via i suoi denari?... Quelli che ha rubati aifratelli e alle sorelle?... O le sue carte? Le prove delle sueruberie? Delle sue falsità? Ladroladroladrone! E piùporco io che gli tenni mano!... Mi manda via perché non ha piùda spogliare nessuno?..."

Conle mani in capoBaldassarre scongiurava: -"DonMarco!... Signor Marco!... per carità!... possono udirvi!..."ma l'altrofuori della grazia di Diotremando dall'irabuttavafuori quel che aveva in corpo contro il padrone e tutta la sua razza:

-"Diecianni! Dieci anni di studio per rubare i suoi parenti! quegli altripazzi e furbiscemi e birbanti!... E non mangiavanon bevevanondormivastudiando il modo di accalappiarlifacendo il moralistafingendo l'affezioneil rispetto alle volontà di sua madre;pezzo di Gesuita più di quell'altro Sant'Ignazio del Priorepezzo di porco più di quell'altro maiale di don Blasco! Ahcrede che la gente non sappia quant'è porcocon la ganza incasaadesso che non ha più nessuno da rubarecon la ganzasotto gli occhi di sua mogliesotto gli occhi di sua figliafinoall'altr'ieri?..."

-"DonMarco!"gridò Baldassarreminaccioso finalmente anche luiper tentard'arrestare quella fiumana di male parole che i gesti disperati dipreghiera e di paura non erano valsi a frenare. E il signor Marco loguardò stralunatoquasi accorgendosi in quel punto della suapresenza.

-"Mimeraviglio!"continuava il maestro di casafermo e contegnoso. -"Lavolete finireuna buona volta?..."

Alloral'altro gli tirò sul muso un'amara sghignazzata.

-"Zittotu! Prendi le parti di tuo fratellobastardo?"

Giustoin quel momento comparve il notaio che saliva dal quartiere delprincipe:

-"SignorMarco..."ma l'altro non lasciò dire:

-"Veniteper la consegnaeh?"riprese a tonare. -"Checosa volete che vi consegni? le carte false del vostro padrone? gliatti carpiti? le transazioni strozzate?... Ecco quiprendete!..."E cominciò a buttare all'aria tutto ciò che si trovavasulla scrivaniasugli scaffali. -"Temeteche io li porti via? Non ne ho bisogno. Lo sanno tutti che razzad'imbroglionedi ladro e di falsario è il vostro principe!Voi lo sapeteche ha rubato la sorella monaca e la badia col cavillodell'approvazione regiae quell'altra pazza per consentire al suomatrimonioe il Babbeo perché è babbeo e il continoper dargli mano a quelle altre vergogne!... Voi le sapete meglio dime tutte le trame che ha orditele cambiali vecchie pagate dallamadrefatte ripagare due volteprima ai legataripoi al coerede; ei debiti suppostila procura carpita..."

-"Digraziasignor Marco... un po' di misura..."

-"Misura?Sono misuratissimosono! O credete che mi dolga del postoperduto?... Ne troverò un altronon dubitate!... E da pertutto sarò trattato meglio che tra questi arlecchini fintiprincipi... Forse temevano che io li rubassieh? Che iom'arricchissi a spese loro?... Lo disse una voltaquel maiale delmonaco: vi pare che non l'abbia risaputo?... Io che ci ho rimesso disacca mia? perché se trovavano un centesimo mancante gridavanoun mese durante!... Casa munificain veritàda poterci fareil nido!..."E spalancando gli armadi e le cassette riprendeva: -"Qui!...Prendetevi consegno ogni cosa!... Venite a guardare sotto il lettose c'è il cantero!... Frugatemi addossose gli porto viaqualche cosa... A voichiappate: sono le chiavi delle casse e degliarmadi; ditegli che se le..."E le lasciò correre per terra. A un trattovidenell'armadiospalancatoappesa a un uncino di rame doratoquella della baradella principessal'unico regalo fattogli dalla defunta oltre levecchie tabacchieredopo quasi trent'anni di servizi. Afferrarla escaraventarla contro il murofu tutt'uno.

-"Equesta con l'altre..."gridòcon una mala parola da far arrossire la mortalaggiùnelle catacombe dei Cappuccini.




6.


Perla via polverosasotto il cielo di fuocoun'interminabile fila dicarri colmi di masserizie: stridevano le ruotetintinnavano isonaglie i carrettieri seduti sulle stanghe o appollaiati in cimaal carico voltavano tratto tratto il capose uno scalpitar piùfrequente e un più vivace scampanellìo di sonagliereannunziavano il passaggio di qualche carrozza. Allora la fila deicarri serravasi sulla destra della viae il legno passavatra unanugola di polvere e lo schioccar delle frustementre le faccespaventate dei fuggenti apparivano agli sportelli.

-"Ilcastigo di Dio!... Tutta colpa dei nostri peccati!... Eran piùdi dieci anni che vivevamo tranquilli! Assassini del governo!..."La povera gente seguiva a piedi i carrettelli carichi di due magrisacconi e di quattro seggiole sciancate; e nelle brevi soste fatteper riprender fiatoper asciugar il sudore grondante dalle frontiterrosescambiava commenti sulle notizie del colerasull'originedella pestilenzasulla fuga universale che spopolava la città.I più credevano al malefizioal veleno sparso per ordinedelle autorità; e si scagliavano contro gl'-"italiani"untori quanto i borboni. Al Sessantai patriotti avevano dato aintendere che non ci sarebbe stato più coleraperchéVittorio non era nemico dei popoli come Ferdinando; e adessoinvecesi tornava da capo! Alloraperché s'era fatta la rivoluzione?Per veder circolare pezzi di carta sporcainvece delle belle moneted'oro e d'argento che almeno ricreavano la vista e l'uditosottol'altro governo? O per pagar la ricchezza mobile e la tassa disuccessioneinaudite invenzioni diaboliche dei nuovi ladri delParlamento? Senza contare la levala più bella gioventùstrappata alle famiglieperita nella guerraquando la Sicilia erastata sempre esenteper antico privilegiodal tributo militare?Eran questi tutti i vantaggi dell'Italia una?... E i piùscontentii più furiosiesclamavano: -"Benehan fatto i palermitania prendere i fucili!..."Ma la rivolta di Palermo era stata vintaanzi la pestilenzasecondoi pochi che non credevano al velenoveniva di lìimportatadai soldati accorsi a sedare l'insorta città... E suimonticelli di breccia disposti lungo la viaal filo d'ombraproiettata dai muridalla cui cresta sporgevano le pale spinose deifichi d'Indiai fuggenti sedevano un pocodiscutendo di questecosementre continuava la sfilata delle carrozzedei carri e deipedoni non ancora stanchi. Alcuni tra questii più poveriavevano caricato tutta la loro roba sopra un asinelloe uominidonne e bambini seguivano a piedicon fagotti di cenci in capoosotto il braccioo infilati ad un bastonela bestia lenta epaziente. I conoscenti si fermavanonotizie e commenti eranoscambiati anche tra sconosciuticon la solidarietà delpericolo nella comune miseria. Le donne ripetevano ciò cheavevano udito dire dai preti: il colera era la pena dei tempipeccaminosi: gli scomunicati non avevano fatto la guerra al Papa? LaChiesa non era perseguitata? E adessoper colmar lo staioc'era lalegge che spogliava i conventi! La fine del mondo! L'anno calamitoso!Chi avrebbe creduto una cosa simile! Tanti poveri monaci buttati inmezzo a una via? I luoghi santi sconsacrati? Non c'è piùdove arrivare!... Queste erano sciocchezzegiudicavano invece gliuomini. I monaci avevano assai scialato senza far nulla! Mangiavano aufo! E i muri dei conventise avessero potuto parlarene avrebberodette di belle. Era tempo che finisse la cuccagna! L'unica cosa fattabene dal governo!... Peròtanti santi Padriche ce n'eranocostretti a vivere con una lira al giorno! I Benedettiniperesempioavevano di che scialare con una lira il giornodopo averfatto la vita di tanti Re! -"Ei quattrini che si sono divisi?"

Lanotizia circolava da un pezzoe certuni ne davano i particolari comese fossero stati presenti: le economie fatte negli ultimi anninellaprevisione della leggeerano state distribuite a tanto per uno: ognimonaco aveva preso nientemeno che quattromila onze di monete d'oro ed'argento. Poi s'eran spartita l'argenteria da tavolatutta la robadi valoree avvicinandosi il momento del congedo avevano venduto unagran quantità delle provviste accatastate nei magazzini:grandi botti di vinograndi giare d'oliogran sacchi di frumento edi legumi; altrettanti quattrini intascati — e nondimeno imagazzini parevano ancora colmi! -"Hanfatto bene! Dovevano forse lasciare anche la cassa ai ladri delgoverno?..."E le piccole carovane si rimettevano in marcia con le testeriscaldate all'idea dei milioni di milioni d'onze che avrebbeintascato Vittorio Emanuele vendendo i beni di San Nicola e di tuttele altre comunità... Molti mendicantiprofittando del granpassaggio di gentetendevano la mano dal mucchio di sassi dovestavano sdraiati; i cenciosi bambini che li accompagnavano correvanodietro alle carrozze se da qualcuna di esse cadeva un soldino nellapolvere dello stradale. E i pedoni riconoscevano i signori fuggentise ne ripetevano il nomespaventati all'idea del vuoto della città:-"ilprincipe di Roccasciano!... La duchessa Radalì!... ICùrcuma!... I Grazzeri!... Non resterà dunquenessuno?..."


Versoseraquando l'ardore della giornata si temperòtre carrozzepadronali scappanti una dietro all'altra sollevarono una gran nuvoladi polvere dalla città al Belvedere. Nella prima c'era ilprincipe di Francalanzadonna Ferdinanda e la cugina Graziellainvitata alla villa perché non poteva andar sola allaZafferanae il principino Consalvo a cassettache brandivatrionfalmente la frustaquantunque portasse ancora la tonacabenedettina perché suo padre s'era deciso a riprenderlo incasa proprio all'ultimo momentoquando i monaci s'eran dispersi edon Blasco e il Priore avevano anch'essi chiesto ospitalità alpalazzo. Nella seconda carrozza stava la principessasenza nessuno afianco né dirimpetto e solo la cameriera nell'angolo opposto.Il contatto d'una spalla l'avrebbe fatta cadere in convulsioneperciò s'era dichiarata contentissima che il principeaccompagnasse la cugina. L'altra carrozza era invece stipata: c'eranoil marchese e ChiaraRosa col bambino e finalmente don Blasco.Questi aveva rifiutato per la campagna l'ospitalità delprincipe e accettata quella del marcheseallo scopo d'evitare lasorella Ferdinanda; l'avversione non cedeva neppure dinanzi alpericolo del coleragli faceva preferire la compagnia delbastardello. Il Prioreinveceera rimasto in cittàalVescovatodove Monsignore lo aveva accolto a braccia aperte: tuttele preghiere e gli inviti dei parenti non erano valsi a farlofuggire; il suo postodicevaera al capezzale degli infermiaccanto a Monsignore. Le maggiori insistenze gli erano venute dalprincipeil quale sostenevacome sempreche in tutte lecircostanze gravi e solenni la famiglia doveva tenersi unita; perciògl'incresceva di lasciare in mezzo al pericolo qualcuno dei suoi. Checosa si sarebbe detto? Che egli pensava solamente a se stesso?... Macome non era riuscito a rimuovere il Priorecosì aveva fattofiasco con Ferdinandoil qualepreso gusto alla vita cittadinanonvoleva sentir parlare neppure di rifugiarsi alle Ghiande.Lucrezia era già partita nella mattina pel Belvedere colmaritoil suocero e la suocera. Quanto allo zio ducaera a Firenzevicino alla nipote Teresinae poiché il colera non infierivae non metteva tanto spavento quanto in Siciliacosì egli erae voleva che sua moglie fosse tranquilla. Al cavaliere don Eugenioche se ne stava ancora a Palermonessuno pensava.

Ricominciòal Belvedere la vita allegra della villeggiaturatanto piùche l'allarme destato dalle prime notizie della pestilenza sidimostrò presto ingiustificato: in città c'era appenaqualche caso sospetto di tanto in tanto. Il principinolasciatafinalmente la tonaca per gli abiti di tutti gli altri cristianicominciò a prendersi quegli spassi che aveva sognati. Prima dituttocon uno schioppo verose ne andava a caccia sui montidell'Elce o dell'Urnaa sterminare coniglilepripernici ed anchepasserise non trovava altro; poi faceva attaccare ogni giorno perimparare a guidaree il suo calessino divenne in breve il terrore dichi girava per le vie di campagna: sempre addosso ai carri ed allecarrozzelanciato a tutta corsa per lasciare indietro ogni altroveicolo a costo di ribaltaredi fracassarsid'ammazzare qualcuno.Quando non guidavase ne stava nella scuderia a veder governare lebestiea imparare il linguaggio speciale dei cocchieridei cozzonie dei maniscalchia criticare gli animali degli altri signoririfugiati al Belvedere o nei dintornigli acquisti recenti di Tiziogli equipaggi di Filanoe donna Ferdinandaudendolo parlare consempre maggior competenza intorno a tali nobili argomentis'inorgogliva ammirando: -"Questeson le cose che devi imparare!..."Anche la principessasebbene piangesse ancora per la lontananza diTeresinasi mostrava orgogliosa dei progressi del figliuoloma piùla cuginache prodigava al giovanotto continue carezzebenchéConsalvo non solamente non le rispondesse con eguale effusionema sistudiasse anche di evitarla. Non l'aveva perdonata d'essersi oppostaal suo più pronto ritorno nella casa paterna; e adessovedendola domiciliata lì come una persona della famigliaprendere il posto della sua mammala sua antipatia cresceva. DonnaGraziellain veritàpiù che da ospite si diportava dapadrona: bisognava vederla la seraquando veniva gentecome facevagli onori di casaspecialmente se la principessa sentivasiindisposta E questo accadeva spesso; senza soffrire precisamente dinulladonna Margheritadopo la partenza della figliuolettaaccusava un sordo malesseredolori di capouna certa difficoltàdi digestione. E felice di poter evitare la follale vicinanzeinfettele strette di mano contagiosese ne andava a lettomentrenel salone la gente conversava animatamentegiocavascioglievasciarade. Lucrezialasciando la villa Giulentepartecipava con lacugina alla direzione delle faccende domestiche. Lei che in casapropria non metteva un dito all'acqua frescaveniva a darsi un granda fare per la vanagloria di riprendere il proprio posto nella casadel fratello principe. Chiara tirava su a zuccherini il bastardellolo vezzeggiava molto più del marcheseil quale provava sempreun certo disagio e una certa vergogna a riconoscere pubblicamentequella paternitàmentre sua moglie quasi se ne gloriava. Sela principessao donna Ferdinandao qualche altro parente nonfaceva buon viso al piccolinoella mostravasi offesa ed era capacedi non metter piede per una settimana alla villase le passava pelcapo che qualcuno incominciasse a criticare quella specie diadozione. Viceversaera adesso tutt'una cosa con lo zio Blascoilqualestando con leila approvava implicitamente.

Ilmonacoalla notizia della legge che sopprimeva i conventidurantegli ultimi tempi della vita claustrale e nei primi passati a casa delnipoteaveva fatto cosecose dell'altro mondo: era parso veramenteuno scatenato diavolone dell'Inferno. Le male parole di nuovo coniole imprecazionile bestemmie eruttate contro il governoa SanNicolaal palazzodalla Sigaraianelle farmacie borboniche e anchesulla pubblica vianon si poterono neppur noverare; i vituperievacuati contro il fratello deputatoche aveva dato il suo voto allaleggesi lasciarono mille miglia lontano tutto quello che di piùviolento gli era mai uscito di bocca. Ma quasi la mostruositàcompitasi fosse troppo grandetroppo stordenteegli si ridussetosto ad un silenzio grave ed incagnatodal quale non lo toglievanose non le vociripetute in sua presenzadella spartizione delleeconomiedelle quattromila onze toccate a ciascun Padre. Alloraricominciava a tonare: -"Spartitesette paia di corna! Toccate quattromila teste di cavolo!… C'eraun cavolo da spartire!… E se pure ci fosse stato qualcosanessuno avrebbe toccato niente! Per rendersi complici dei ladroniah? del rifiuto delle galere? del sublimato della briganteria?…"Egli parlava così dinanzi agli estraneialla gente di pocoaffarealle persone di servizio; in famigliatra gli intimiconfessava la spartizionema riduceva la sua quota a poche centinaiadi onzea due posatea un paio di lenzuolatanto da non restarsulla paglia. Da San Nicola era venuto via con due cassedelle qualinon lasciava mai le chiavi; e il principein cittàle avevacovate con gli occhiquasi pesandole e fiutandolecon nuovorispetto per quello zio che adesso possedeva qualcosa; ma tutto ilsuo studio per trovare il destro di guardar dentro alle casse erastato inutilegiacché il monaco si sprangava in cameraogniqualvolta aveva da frugarvi.

Adessoal Belvedereanche Chiara e Federico parlavano spesso tra loro diquesti famosi quattrini che doveva possedere don Blasco. Il marchesetemendo che li sciupasse con la Sigaraiaavrebbe voluto proporgli dimetterli al sicurodi comperarne altrettanta rendita se il monacofosse stato un altrose ogni semestreavvicinandosi la scadenzadelle cedoledon Blasco non l'avesse vessatopunzecchiatotormentatoprofetandogli il subisso di quel titolo. Il corsoforzosola guerrail coleratutte le pubbliche calamitàerano stati altrettanti argomenti di giubilo pel monacoil quale sifregava ogni volta le manigridando al nipote: -"Addiola carta sporca! È frittoil tuo governo! Tu non mi haivoluto ascoltareben ti sta!…"Ma il marchese incassava sempre la sua rendita il giorno stabilitofino all'ultimo centesimo. Cessato del tutto il pericolo del coleraun giorno egli scese in città per qualche affare e perriscuotere il semestre; tornato al Belvedere e passeggiandodopopranzosulla terrazzamentre Chiara giocava col bastardelloegliriferì allo zio l'impiego della sua giornata.

-"Hoanche preso i quattrini delle cedole... adesso le paganoanticipatamenteper l'affare dell'aggio… A mandarle a Parigi siprenderebbero altrettanti pezzi di napoleoni. Io ho ordinato un'altrapartita di cartelle... le divideremo con parecchi amici... perchéoggi non c'è come impiegare il denaro…"

Volevainsistere a dimostrar la bontà dell'affarema tacqueperchédon Blascofermatosi di bottogli piantò gli occhi addossocome sul punto di scoppiare.

-"Potresticedermene diecimila lire?"

Ilmarchesesulle primecredé d'aver udito male.

-"Cederne?...Come?... A Vostra Eccellenza?..."

-"Dicose puoi vendermi diecimila lire di cartellecapisci o non capisci?"

-"Macredo... certo... Diecimila lire di capitales'intende?...Eccellenza sì; posso scrivere subito un'altra letterapermaggior sicurezzase Vostra Eccellenza le vuole..."

-"Quandoscriverai?"

-"Domanistesso."

-"Everranno subito?"

-"Inun giro di posta."

Ilmonaco gli voltò le spalle e s'allontanò un poco; poitornato indietroripiantatoglisi dinanziriprese:

-"Sentigiacché ci seifanne venire per ventimila lire."

-"Eccellenzasì; quanto vuole Vostra Eccellenza..."

Eappena soloil marchese corse dalla mogliele disse col respirorotto dallo sbalordimento:

-"Nonsai?... Non sai?... Lo zio vuol comprare della rendita! Ventimilalire di cartelle!... M'ha dato la commissione!... Non mi par vero! Mipar di sognare!..."

Chiararisposetranquillamentecon una scrollatina di spalle:

-"Diche ti stupisci? Non sai che i miei parenti sono tutti pazzi?..."

Sottovocel'uno all'orecchio dell'altrogli Uzeda riprendevano a darsi delmatto. Non era matta Chiara che trattava la cameriera come unasorella e il bastardo di lei come un figlio suo proprio? Non eramatta Lucrezia che maltrattava quel povero diavolo di Benedetto intutti i modi? Che cos'era donna Ferdinandala qualesenza chegliene venisse nullasi impacciava di tutti gli affari dellaparentela? E che dire del principeil qualedopo aver dimenticatoper tanti anni la cuginaadesso si metteva con leisotto gli occhidel figlio?...

Quiconsisteva forse il motivo che rendeva la Graziella sempre piùantipatica a Consalvo: egli la contraddiceva in tutto e per tuttodinanzi alle persone; evitava poi di restar solo in sua compagniaaffettava di trattarla come una intrusa quando le persone di serviziogli parlavano di lei. Questo era però l'unico sentimento cheegli manifestava; del restostava in casa il meno possibilemontavaa cavallo quando non usciva in carrozzainforcava tutti gli asinidei contadiniteneva conversazione con tutti i carrettieri; ilcuocodalla finestra della cucinada cui si scorgeva il podere finoalla chiusa degli olivilo vedeva rincorrere le donne chevenivano a cercare i fasci dei sarmenti vecchi. Con la moglie dimassaro Rosario Farsatoreil fattore lo colse quasi sul fattounpomeriggionel pagliaio: egli non si mostrò per nullaturbatoe la cosavenuta all'orecchio di donna Ferdinandalorialzò nella stima della zitellona. Il principe finse di nonsaper nulla: pareva si fosse proposto di lasciarlo sbizzarrirequasia compensarlo degli ultimi anni che lo aveva tenuto a San Nicola.

-"Efra' Carmelo?"domandavano di tanto in tanto donna Ferdinandala principessaLucrezia. -"Chen'è di fra' Carmelo?..."ma il principino non sapeva né curavasi di sapere che fosseavvenuto del suo antico protettore. A San Nicolaquando aveva rosoil frenoaspettando la legge di soppressione come l'unica via disalvezzaegli s'era divertito a tormentare il fratello predicendoglilo sbando dei monacila chiusura del convento; ma l'altroscrollando il caposorrideva d'incredulitànon comprendevacome gli stessi Padri potessero credere a una cosa simile. Mandarlivia? Vendere le proprietà? Parolechiacchierequeste d'oracome quelle d'un tempo! Chi avrebbe avuto tanto ardire? E lascomunica del Papa? la guerra delle potenze cattoliche? larivoluzione di tutta la cristianità?... E nulla era riuscito ascuotere la sua sicurezzané le notizie dei giornalinéi preparativi dello sgomberoné la partenza dei novizi. DopoConsalvo non aveva più avuto notizie di lui.

Unamattinaal Belvederementre la famiglia si levava di tavola dopocolazioneBaldassarre venne ad annunziare:

-"Eccellenzac'è fra' Carmelo."

-"Fra'Carmelo!"

Nessunoriconobbe il fratello dal faccione bianco e roseodalla cieragiovialedal pancione arrotondato sotto la tonacanel personaggioche s'avanzò verso il principecon le braccia levate:

-"Men'hanno cacciato!... Me n'hanno cacciato!..."

Inqualche mese era dimagrato della metàe sul viso giallo efloscio gli occhi un tempo ridenti avevano una strana espressione diinquietudine quasi paurosa.

-"Eccellenzame n'hanno cacciato!... Eccellenzame n'hanno cacciato!..."e guardava tutti i signoritutte le signorequasi a provocare ladimostrazione del loro sdegno contro quella mostruosità. -"Dunqueera vero?... Ma che non s'ha da far nulla?... Voialtri che sieteascoltati?... Lascerete che quei scellerati rubino San NicolaSanBenedettotutti i santi del Paradiso?..."

-"Chepossiamo farci!..."esclamò Consalvo fregandosi le mani; e donna Ferdinandaaggiunse:

-"Avetevoluto il governo liberale? Godetene i frutti!"

-"Io?...IoEccellenza?... Sapevo moltoiodi liberali e non liberali!...Io badavo agli affari miei!... Sessant'anni che c'ero dentro!...Nessuno aveva osato toccarloin tante rivoluzioni che ho viste: ilTrentasetteil Quarantottoil Sessanta..."

-"Belterno!..."fece il principino; e come Baldassarre venne a dirgli che il calesseera attaccatosi alzòesclamando sotto il naso del fratello:

-"Adessoc'è la leggecaro mio!..."

-"Maè giusta legge questa?... I beni della Chiesa?... Allora io mene vengo in casa delle Vostre Eccellenze e mi piglio ogni cosa?... Sipuò fare una legge così?..."E raccontò confusamente ciò che era avvenuto all'attodello spogliamento: -"Queldelegatoper la consegna... L'Abate non volle esser presenteed haben fatto: una simile vergogna!... E s'è coricato nel letto diSua Paternitàlo straccione: cose da non credersi... Venne ilPrioree gli ha dato tutte le chiaviEccellenza: della chiesadella sacrestiadei magazzinidel museodella biblioteca... Etutto vendutosulla pubblica piazza: le tavolele seggioleiservizila lanail vinoi lettiquasi fossero di nessuno!... E icandelieri del coroquel ladrocredendoli d'orodi notte non liportò via?... Lo legaronogli altri ladri più dilui!... E non c'è più niente!... I soli muri!... Men'hanno cacciato!... Me n'hanno cacciato!..."

Laprincipessa cercava di confortarlocon belle parole; il principe glioffrì da bere; ma egli rifiutòriprese a narrare lestesse storie imbrogliandosi più di prima; poi se ne andòalla villa del marcheseda don Blascoricominciando:

-"Cen'hanno cacciato!... E Vostra Paternità non fa nulla?.. IlPriore suo nipote?... Monsignor Vescovo?... Perché nonscrivono a Roma?... Ha da finir così?..."

DonBlascoal quale il giorno prima era arrivata la renditatonò:

-"Comevuoi che finisca?... Quando io gridavo a quei ruffiani: "Badateai fatti vostri? Non scherzate col fuoco! Ci rimetterete il pane!..."mi davano del pazzoè vero? E si confortavano con gliagliettile bestiedicendo che il governo non li avrebbe toccatiche avrebbe passato loro una lauta pensionese mai!... E i tuoicompagni che facevano anch'essi i sanculottiquel porco di fra' Colache distribuiva bollettini ai novizi? Quell'altro collotorto di mionipote che faceva salamelecchi a Bixio e a Garibaldi? Quell'asino condiciotto piedi dell'Abate che si grattava la tignae pareva unpulcino nella stoppa?... Adesso che volete? Se siete stati i vostripropri nemici?... Il governo è ladroe doveva fare il suomestiere di ladro: che meraviglia? La colpa è di quelletestacce di cavolo che lo aiutaronoche gli proposero: "Venitea rubarmi!..."e gli aprirono anzi le porte!... Non mi disserouna voltachevolevano godersi un po' di libertà? Se la godano tuttaadesso!... Nessuno gliela contrasta!..."

-"Ece n'hanno cacciato!... Ce n'hanno cacciato!..."


Quandogli Uzeda tornarono in cittàal principio dell'anno nuovouna lettera del duca a Benedetto annunziò che la Camerasarebbe stata sciolta fra poco. Egli non si dava questa volta neppurla pena di venireincaricava i suoi amici di lavorare per lui. Gliaffari non gli consentivano di lasciar Firenzee questi affariinfin dei contierano più quelli degli elettori che i suoipropri. I suffragi dovevano quindi andare a luicome al naturaleallegittimo rappresentante del paese; era assurdo supporre che qualcunopensasse a contrastarglieli. Quanto a render conto del modo col qualeaveva esercitato l'ufficio ed a spiegare le proprie convinzionipolitiche ed a studiare i bisogni o ad ascoltare i voti del collegiouno scambio di lettere con Giulente zio e nipotecon qualcuno deipezzi grossibastò. I soliti malcontenti tornavano a farglistupide accusetentavano un'altra volta di rivangare le vecchiestorie; i repubblicanii sinistrigli rimproveravano il suoservilismo verso il governotentavano contrapporgli qualcuno deiloro; ma incontravano da per tutto forte resistenzaerano costrettia battere in ritirata. Un giornaletto satirico settimanaleilFiccanasofaceva ridere la gentedicendo che l'onorevoled'Oragua aveva fatto alla Camera quanto Carlo in Francia senzaneppure aprir bocca; ma il Pensiero italianosuccessoall'Italia risortadichiarava che il Paese non sapevache farsi dei chiacchieronie preferiva i cittadini intemerati chevotavano senza ascoltare altra voce se non quella della propriacoscienza. Esso non nominava mai il duca senza chiamarlo l'eminentepatriottal'insigne patriziol'illustre deputato; e all'annunziodello scioglimento della Camera ne cominciò il panegirico. Frai tanti meriti del -"cospicuoCittadino"quello d'aver contribuito precipuamente all'istituzione della BancaMeridionale di Credito non era certo il più piccolo; e donLorenzo Giulentenel suo gabinetto di direttoreraccomandava allagente che veniva a prender quattrini l'elezione del duca. -"C'èbisogno di rammentarcelo?..."Maconsiderando la velleità d'opposizionegli amici deldeputato volevano ottenere una vittoria strepitosa; infatti glimisero insieme quasi trecento voti. Il ducariconoscentefececadere sul collegio una nuova strabocchevole pioggia di croci di SanMaurizio e Lazzaro; Benedetto ne ebbe una tra i primie la cosa nongli fece certo dispiacerequantunque egli si stimasse cavaliere pernascita; ma dal giorno di quell'annunzio sua moglie non gli dette piùrequie: -"Cavaliere!...Senticavaliere!... Che faicavaliere?... Cavalierevogliamo andarfuori?..."gli diceva a quattr'occhi e in presenza d'estraneia proposito e asproposito. E se c'erano altre personeaggiungeva invariabilmente:-"Perchéadessonon sapete? mio marito è cavalieresissignori: senzacavallo..."

Laverala prima origine della durezza con la quale ella lo trattava daun pezzo era la persuasione finalmente radicatasi nel suo cervelloche egli non fosse abbastanza nobile per lei. A poco a pocogiornoper giornoaveva riconosciuto che i suoi parenti dicevano giustoquando denigravano i Giulente; edimenticate le accuse rivolte alprincipeaveva fatto la pacecedendo per la primaaffinchénon si dicesse che gli Uzeda sdegnavano di trattarla. E quanto piùBenedetto le stava dinanzi sommessotanto più ellariconosceva di avergli accordato una grazia specialesposandolo. Leopinioni liberali di luiun tempo ammirateadesso l'esasperavanocome una prova di volgarità. I puri erano tuttiborbonici; lo zio duca e qualche altro facevano i liberali perchéci speculavano su. Se il patriottismo avesse fruttato qualche cosa asuo maritoun grande onore o molti quattrinimeno male; ma queiprincipi da straccione professati senza costrutto dimostravanoinsieme la bassa origine e la sciocchezza di Benedetto. Adessopervantarsi di quel ciondolodi quel titolo di cavaliere toccato agliultimi scalzacanibisognava sapersi discendenti da mastri notari!Benedetto ci rideva un pocoma a malincuoree una voltaanzidasolo a solale disse:

-"Potrestismetterloquesto scherzo."

-"Scherzo?Che scherzo? T'hanno fatto cavalieresì o no? È veritào è menzogna?"

Eper farsi un vanto del suo rigorismonon contenta d'aver messo inridicolo quella nominaandava a dire dinanzi a donna Ferdinanda o adon Blasco:

-"Delrestoegli non ha bisogno della croce! È già cavalieredi natura..."

Mail più bello era che donna Ferdinandaadessonon le dava piùrettaanzi parteggiava a viso aperto per Benedettoil quale laserviva in quella stagioneper via della famosa legge sul corsoforzoso. Con gli anniquanto più il suo peculio eracresciutotanto più cupida ella era divenuta: adesso dava idanari al trentaal quaranta per centogridando poi al ladro sequalche povero diavolo ritardava di qualche giorno il pagamento. Oradella -"cartasporca"come chiamava i biglietti di bancaella non voleva saperenonriconosceva altra moneta dai colonnati e dai dodici tarì infuori; se i suoi debitorialle scadenzevenivano a pagarlegl'interessi in tanti stracciella rifiutava di rinnovare ilprestitopretendeva sotto il colpo la restituzione del capitalesifaceva suggerire dal nipote avvocato il modo d'eludere lalegge e d'obbligare la gente a pagare in argento sonante... Quanto adon Blascoanch'egli aveva altre cose pel capoe i Giulentecominciavano a entrare nelle sue grazie. Tornato dalla villeggiaturas'era preso in affitto un quartierino verso la Trinitàperesser libero e restar vicino alla Sigaraiacome quand'era a SanNicola; ma gli bisognava frattanto ammobiliar la casetta. E vomitandomaledizioni contro i -"piemontesi"che lo avevano buttato in mezzo ad una viacon l'elemosina d'unalira e mezza il giornochiedeva qualcosa a ciascuno dei parenti: undivano al principeun paio di poltrone al marcheseun armadio aBenedetto. Comprata un po' di biancheriala distribuì alleparenti perché gliela facessero cucire; cucita che fuchiesequalche piccolo ricamo per giunta; e tutti si facevano un dovere dicontentarlorivaleggiavano anzi nel rendergli quei servizise loingraziavanoadesso che aveva anch'egli il suo gruzzolo. Quantoavesse non si sapeva con precisione; ma alla scadenza del primosemestre della sua renditavisto che le cedole eran pagatepuntualmente — in cartaè veroma la carta correva comemoneta — egli disse al marchese di fargli comperare altrediecimila lire di cartelle. E gridando contro il governo ladro tenevasotto il guanciale i suoi titoli.

Alprincipio dell'estatebenché la Camera fosse ancora apertaarrivò il duca. Ricominciarono le solite dimostrazioni degliamici e degli ammiratori; egli saliva in cattedra con maggiorsicumera di prima e commentava l'opera del Parlamento. Lasoppressione delle società religiose era il gran fatto deitempi moderni; egli ne enumerava e dimostrava gli immensi vantaggi.Prima d'ogni cosai latifondi tolti alla manomorta avrebberoraddoppiato e migliorato i loro prodotti -"avantaggio dell'agricolturaindustria e commerciosorgente precipuadi ricchezza sociale";in secondo luogo tuttianche coloro che non avevano capitalipotevano diventar proprietari aggiudicandosi piccoli lotti dariscattare con lo stesso frutto della terra; finalmente il governocon l'utile della venditaavrebbe scemato le tasse -"asollievo della finanza pubblica e privata".Era come un'altra -"leggeagraria":egli citava i romaniServio Tullio; e la gente che non capivabatteva egualmente le maniin attesa della cuccagna.

Eglifrattanto si preparava a comperar qualche lotto — dicevano anziche fosse venuto proprio per questo — e consigliava al principea Benedettoal marchese di fare altrettanto. Quando don Blasco neebbe sentorefece cose da pazzo:

-"Ibeni della Chiesarazza di miscredenti e di dannati? Volete dunquetenere il sacco ai ladriah? Non avete paura per l'altra vita? Chefaccia una cosa simile quel farabutto"ormai non chiamava altrimenti il fratello deputato -"nonè meravigliadopo che ha votato la ladreria. Nel piùc'è il menoe neppure Domineddio può cavarlo dal fuocoeterno! Ma voialtri! Guai a tutti! Fuoco dall'aria sui vostri capi!Arse l'anime!..."

DonnaFerdinandada canto suoera contrarissimaper scrupolo religioso;e minacciava anche lei le pene infernali ai compratori dei beni dellaChiesa; la principessache stava peggio in saluteappoggiava lazia; e un giorno venne il Priore al palazzoa posta per distoglierei parenti dall'acquisto col linguaggio della persuasione evangelica.

-"Nonvi lasciate indurre in tentazione. Vi diranno che l'occasione èpropizia per fare qualche guadagno materiale; ma la salute dell'animaè il sommo dei beni. Il Signore vi compenserà in altromodovi darà da un altro canto quello che orarinunzierete..."

Ilprincipe stava a sentire le due campane senza esprimere la propriaopinione; il marchese però giudicava eccessivi gli scrupoli; eChiaraper seguire il maritonon dava ascolto alle ammonizioni delconfessore. Lucreziada canto suospingeva Benedetto a comprareadarricchirsipoiché adesso lo credeva non solo ignobilemaanche miserabile; uno che non possedeva neppure uno straccio difeudomentre in casa Francalanza ce n'erano sedici!...

Frattantoil Parlamento discuteva un'altra legge -"avantaggio dell'incremento pubblico e privato"come spiegava il ducasebbene non andasse alla capitale: quellacioèrelativa allo svincolo delle cappellanie e dei beneficilaicali; e il principezitto zittocominciava a tener conferenzecol notaro e col procuratore legalepreparava i suoi titoli perottenere i beni di tutte le fondazioni degli antenatispecialmentedella cappellania del Sacro Lume; quando un bel giorno don Blascoche da un certo tempo non metteva piede al palazzovi piovveinaspettato.

-"Badiamoohi! Se si svincola la cappellaniala roba va divisa fra tutti iconsanguinei!"

-"VostraEccellenza s'inganna"rispose il principe. -"Ibeni rientrano nel fedecommesso."

-"Chefedecommesso d'Egitto? Dov'è il fedecommesso? Sonoquarant'anni che è finitoe i titoli li ho letti anch'io!"

-"Mail diritto di patronato è stato in mano mia."

-"Patronato?Quasi che si trattasse di un ente autonomo!"Don Blasco parlava adesso come un trattato di giurisprudenza. -"Èuna semplice eredità cum onere missarum: hai daspiegarmi il latino? O torniamo coi cavilli che facesti alla badìaper non pagare il legato?... Alle cortequi bisogna intendersi: seno comincio con un dichiaratorioe poi ce la vedremo in tribunale!"

Ilprincipevistosi scopertoin un momento che la bile gli tornava agolaesclamò:

-"OVostra Eccellenza non aveva vietato di toccare i beni della Chiesa?"

-"Evvivala bestia!"proruppe il monaco. -"Quila Chiesa che ha da vedere? Le messe si faranno celebrare come primaanzi meglio di prima! Tu volevi forse intascare le renditesenz'altro?"

Manon ci fu tempo di approfondire la quistione e di concretar nullache una sera d'agostomentre al palazzo una folla d'invitatiassisteva alla processione del carro di Sant'Agataarrivò ilduca giallo come un mortoannunziando:

-"Ilcolera! il colera!... Un'altra volta!..."

Quellobuonoadesso; la dose giusta finalmente trovata dagli untori;perchéDio ne scampinon erano passate ventiquattr'ore chegià il morbo si dilatava. E che spavento per le vie dicampagnanuovamente percorsegiorno e notteda torme difuggiaschi; e che terroreinfinitamente più contagioso dellapestevinceva i più coraggiosi all'annunzio del rapidoprogredire del malee li cacciava suverso la montagnanei paesidel Boscodovecon la consueta fiducia nell'immunitàl'affitto d'una casupola costava un occhio del capo!

GliUzeda erano arrivati al Belvedere poche ore dopo la notizia portatadal ducae questi aveva preso posto nella prima carrozzatantatremarella aveva in corpo. La cugina Graziella era ancora una voltacoi cugini: la sua presenza adesso diveniva tanto piùnecessaria quanto che la povera principessa andava peggioeo fossela paura del colera o il disagio della fuga improvvisaappenaarrivata alla villa si mise a letto. Un po' per questoun po' per latristezza generale prodotta dal sapere le stragi che faceva in cittàla pestilenzanon più ricevimentinon più giuochinon più veglie. Il giorno passeggiavano nel podere; ConsalvoBenedetto e qualche altro s'arrischiavano per le viema all'ave ilprincipe voleva che tutti fossero in casa e faceva sprangare tutte leporte e tutti i cancelli; don Blascoalla villa del marchesesiteneva prudentemente nella propria camerae non andava neppure alitigare con Giacomoanche per evitare la compagnia di quel -"farabutto"del duca. Ma improvvisamente un brutto giorno la costernazione crebbefuor di misura: la pestilenza era scoppiata al Belvedere; la serva dicerta gente venuta tre giorni prima dalla città agonizzava;s'udiva la campanella del Viatico per le vie deserte come quelle d'unpaese morto.

-"Bisognascappare!... Scappiamo! Subito!... Alla Viagrandealla Zafferana..."

Lucreziacoi Giulente partì subito per Mascalucia. Il ducapiùmorto che vivoavrebbe voluto andarsene sul pizzo d'Etnapermettersi bene al sicuro; ma prevalse pel momento il partito delmarcheseche diceva d'andare alla Viagrandedov'erano quasi sicuridi trovare una casa capace di tutta la parentela. Bisognava peròche qualcuno passasse innanzi per cercarla; e il duca s'offersed'accompagnare il principenon parendogli vero di batterselaimmediatamente. Giacomo disse alla moglie:

-"Vuoivenire anche tu?"

Laprincipessada alcuni giorniaveva lo stomaco rovinatonondigeriva piùsi trascinava penosamente dal letto allapoltrona; e appunto perciò tutti convennero che bisognavametterla in salvo prima degli altri. Marito e moglie partirono dunquesubito con lo zio e Baldassarre; gli altri restarono a preparare icarri della robagiacché questa voltanon andando in casapropriabisognava portare lettibiancheriatutte le cose d'usogiornaliero. Nella notte tornò il maestro di casa peravvertire che l'alloggio era trovatoe il domani all'alba tuttiscapparono dal Belvedere dove il colera già divampava. Lacasaalla Viagrandes'era trovata grazie alle relazioni e aiquattrini del principe di Francalanza: nondimenoera una catapecchiaconsistente in tre cameracce e due stanzini a pian terrenopoveraabitazione d'un bottaiodove i -"Viceré"furono molto contenti di potersi ficcare. Grazie al nome di Uzedal'entrata in paese fu loro consentitaquantunque venissero da unluogo infetto; mauna volta dentroil principeil ducadon Blascocominciarono a gridare che non bisognava lasciar passare nessunaltrose non si voleva la rovina della Viagrande. Infatti l'epidemiadecimava non solamente la popolazione rimasta in cittàdovesi contavano fino a trecento morti il giorno e non c'era piùconsorzio civilenessuna autoritàné deputatinéconsiglieriné nientema diffondevasi per la prima volta conviolenza straordinaria nel Bosco scampato a tutte le altre invasionicoleriche: era al Belvederea San Gregorioa Gravinaalla Puntaguadagnava le case sparsenon risparmiava i casolari perduti inmezzo alle campagne; e non soltanto i poveri diavoli morivanoma lepersone facoltosei signori che s'avevano ogni sorta di riguardi;talché la gente atterrita fuggiva da un paesuccio all'altrocome potevasui carria cavalloa piedi; ma chi portava addosso ilgerme del male cadeva lungo gli stradalisi torceva nella polvere emoriva come un cane: i cadaveri insepolticotti dal torrido soleestivoesalavano pestiferi miasmimettevano il colmo all'orrore; ei fuggiaschi che arrivavano sani e salvi ai luoghi ancora immunierano accolti a schioppettate dai terrazzani atterriti; oseriuscivano a trovare un rifugiocomunicavano ai sani la pestilenza.La siccità aggiungevasi a render disperate quelle tristicondizioni; tutte le cisterne erano asciuttenon si poteva farpuliziac'era appena di che dissetarsi. Il principealla Viagrandepagava una lira ogni brocca d'acqua; e la principessa parevadiventata un pozzotanta ne sciupavatra per lavarsi ogni orainquelle stanze dai pavimenti e dai muri unti e dagli usci luridilacui sola vista le metteva i brividitra per la sete che la divorava.I dolori intestinali non la lasciavano più; a momenti parevache avesse già i crampi del colera; tanto che il ducaatterritopensava di scapparsene più lontano; ma la paura dilui era fuor di luogo: quei doloriquelle disposizioni al vomitolaprincipessa li soffriva da più di un annonon con l'intensitàdi adessoè veroma con lo stesso carattere. Il principeassicurando lo ziogli manifestava altri timori:

-"Margheritanon ha voluto mai chiamare un dottore... ma io ho una gran paura...m'hanno detto che forse ha un cancro allo stomaco..."

Mail duca non gli dava retta; per adessoaveva da pensare alla propriapelleperché il colera poteva scoppiare da un momentoall'altro alla Viagrandeanzi qualche allarme c'era giàstato.

-"Andiamovia!..."insisteva; -"andiamopiù lontanoal Miloa Cassonesulla montagna..."e quando finalmente il primo caso fu accertato in paesementre tuttiripetevano: -"Andiamovia... scappiamo più lontano"egli aveva la cacaioladalla paura.

Questavolta le difficoltà per trovare una casa erano ancora piùgrandi. Il duca andò a cercarla dalle parti del Milo. Ilprincipe si preparò a partire per Cassone.

-"Vuoivenire anche tu?"ripeté alla moglie.

Ellaaveva passato una notte orribilesenza sonnotormentata dallanausea e dal vomito; s'era levata a stentopallida e disfatta cosìche Chiara disse:

-"Nolasciala... verrà quando avrai trovato la casa..."

Lestesse cameriere dissero che non era prudente esporla al disagiodella ricercache meglio le conveniva partire quando si sapeva dovecondurla; ma la cugina Graziella fu di contrario parereudendo che icasi si moltiplicavano rapidamente nel villaggio.

-"Iodirei invece di allontanarla subito... nelle sue condizioni puòopporre meno resistenza al contagio... una casa qualunque Giacomo hapure da trovarla..."

DonnaFerdinanda era anche lei di questa opinione; ma Consalvostrettoalla mammale dicevapiano:

-"Nonon andare per ora... è meglio qui... andremo poi tutti..."

Ellacarezzava il giovanetto con la mano scarna e freddae guardavatimidamente il maritoaspettando che egli stesso decidesse.

-"Vuoio non vuoi venire?"le domandò eglicon voce brevecol tono che prendeva quandole decisioni cominciavano a seccarlo; e la domandache aveva il suosenso letterale per tuttine acquistava un altro per la principessache comprendeva le intenzioni e i gestiche intuiva i sottintesi.

-"Not'accompagno..."

Sulpunto di vederla andar viail principino insisté:

-"Mammaresta... o prendimi con te"e il giovanettoordinariamente allegro e spensieratodimostravaadesso una specie d'inquietudine quasi paurosa.

-"Nonc'è posto per tutti!"rispose il principebrusco; e la principessa abbracciò forteil figliuolo dicendogli:

-"Resta...resta... domani saremo insieme..."

Simise in carrozza accanto a suo marito tenendo un pezzo di canforaalle nari; Baldassarre montò in serpa e la carrozza partì.

Finoa seranon s'ebbe più notizia di loro. A un'ora di nottearrivò un espresso mandato dal duca dal Miloil qualeavvertiva d'aver trovato uno stambugio dove c'era posto appena perlui; li lasciava quindi liberi di raggiungere Giacomo.

AllaViagrande frattanto smaniavanoperché il panico crescevacontagiosamente. Già accusavano Giacomo d'essersi scordato diloro come quell'egoista del duca; già don Blasco parlava dimettersi a cavallo a un asino e di andarsene non importava dovequandoall'alba del domaniarrivò Baldassarrepallidostravolto e tremante.

-"Eccellenza!...Eccellenza!... La padronala signora principessa!... Attaccata dicolera!... Spirata in tre ore!..."




7.


Almatrimonio del principe con la cugina Graziellacelebrato tre mesidopo la cessazione dell'epidemiasolo i parenti e pochissimi intimifurono invitati: il vedovo era ancora in gramaglie e il chiasso d'unafesta sarebbe stato inopportuno. Del resto il principe stessospiegava che quel matrimonio era di semplice convenienza: tanto luiquanto la sposa avevano molti autunni sulle spalleassociavanoquindi i loro destini senza nessuna delle fantasticherie giovaniliesolo per fare assegnamento sull'aiuto reciproco che si sarebberoprestato: la cugina aveva bisogno d'un uomo che tutelasse gliinteressi di leiche le ridesse una posizione in societàedil principe trovava una nuova madre ai propri figliuoli.Quell'unioneprevista da alcunifin da quando la cattiva salutedella principessa aveva fatto temere per la sua vitaaspettata poida un giorno all'altro dopo la catastrofe affrettata dal colerariscoteva perciò l'approvazione quasi universale: ilconfessoreil Vicariotutti i preti che bazzicavano per la casal'avevano giudicata conveniente e provvida. I preparativi dellacerimonia nuziale furono molto modesti perché non i soli sposierano in lutto: non c'era quasi famigliadopo quella terribileepidemiache non piangesse qualche persona cara. Benedetto Giulenteaveva perduto in un giorno il padre e la madrea Mascalucia; laprincipessa di Roccasciano era rimasta vedovaalla duchessa Radalìera morto uno zioil cavaliere Giovanni Artuso; ma questa disgrazianon era stata causa di grande dolorepoiché il cavalierericchissimo e senza figliaveva lasciato in casa Radalì tuttala sua sostanza: l'usufrutto alla duchessala proprietà aGiovannino che aveva tenuto a battesimo. Doleva piuttosto alla madreche l'eredità non fosse andata al primogenitoper amor delquale ella aveva sacrificato la propria vita. La soppressione deiconventi aveva già sconvolto tutti i suoi disegninon potendoGiovannino professarsi piùe tornando al secolo; adessol'eredità veniva a pareggiare la condizione dei due fratellicioè a diminuire quella del primogenito. Ella voleva bene adentrambima al ducaoltreché beneportava anche una specied'istintivo rispettocome capo della casacome erede e continuatoredel nome e della potestà paterna. Perché la chiusuradei conventi e l'errore dello zio non disturbassero i piani di leibisognava che Giovannino non prendesse moglie: ella lavorava a questoscopolasciando il giovane libero di sbizzarrirsi a suo modosecondando tutti i suoi gusti per la cacciapei cavalliper tutti idiportiin modo che il giovane non fosse tentato di mutar vita.

Chedonna Graziella avrebbe fatto da madre ai figli del principeerafrattanto fuori di dubbio. Baldassarre aveva riferito ai suoidipendentie questi ripetevano dovunquei particolari delle letterescambiate tra la sposa e la principessina. La ragazza aveva saputo aFirenze la morte della mammae che pianto! che convulsioni! bastidire che la direttrice del collegio s'era messe le mani in capononsapendo come fare. Povera signorinaaveva pure ragione! Solalontana da casa sua -"senzapoterla abbracciare un'ultima volta! Mamma mia! Mamma mia!..."Bisognava leggerlequeste lettere; perché alla SantissimaAnnunziata le signorine ricevevano un'istruzione comi fo e laprincipessina otteneva sempre i primi premitanto era svegliata estudiosa. Ma finalmentequando la madrina le mandò una cioccadi capelli della buon'animae il suo libro di preghieree il suorosariopromettendole che il principe l'avrebbe ripresa piùpresto in casa e raccomandandole frattanto di non affliggerlo di piùpoverettocon quelle letterela padroncina si venne calmando a pocoa poco: -"Hairagionemia buona madrina; dimenticavo il dolore del povero babboper pensare al mio solo; e ciò non è giusto..."E le lettere scritte al principe direttamente? -"Nonti affliggere piùbabbo mio; pensa come me che la santa mammaè in Paradisoe di là ci guarda tuttie veglia sunoie vuole che ci consoliamo perché ella è tra ibeati e noi tutticon la grazia del Signoreun giorno laraggiungeremo..."Cosa veramente da strabiliare che una ragazza di quattordici anniscrivesse a questo modo!... E il principe le aveva dato allora lagran notizia: inconsolabile per la perdita di quella santaeglil'avrebbe pianta fino all'ultimo giorno della propria vita; ma ifigliuoli avevano bisogno di qualcuna che tenesse loro luogo dimadree per quest'unico scopo egli accettava i consigli di tutti iparenti che lo persuadevano a riammogliarsi: sposava quindi la cuginache gli aveva dato tante prove d'affezione nella circostanza della-"grandedisgrazia"ed era la più adattanella sua qualità di parenteacompiere la delicata missione di seconda madre. La cuginada suocantoscrisse in coda sotto la dettatura del Padre confessore: -"Miacara figliada quel che t'ha detto tuo padretu comprendi che daora innanzi ho più diritto di chiamarti con questo nome che ilmio cuore t'ha sempre dato. La mia più grande ambizione èquella di renderti meno sensibile la mancanza della nostra santanondi fartela dimenticareche sarà sempre impossibile non solo ate ma a noi tutti. Stringendo ancora più i vincoli che giàci unisconoio ti sarò sempre a fianco per vegliare su te etuo fratellocome quella benedetta raccomandò al letto dimorte. Sono impaziente di stringerti al mio cuore: se i tuoi studinon ti permetteranno di tornare per ora a casaverremo noi atrovarti al più presto..."Passarono però molti giornisenza che a questa letteravenisse risposta. Che cosa succedeva? La posta ne aveva fattaqualcuna delle sue? O la signorina stava poco bene? Oppure accoglievamale l'annunzio del matrimonio?... Baldassarre fece di tutto perdissipare quest'ultimo dubbio. Veramente egli lavorava del suo meglioper nascondere alla gente anche il malumore del principinoma non ciriuscivaperché Consalvofin dal primo annunzio delle nozzeaveva preso posizione contro la futura madrigna e il padre.Naturalmenteaspettando lo sposaliziola cugina non veniva piùal palazzoadesso che non c'era più nessuna signora che laricevesse; ma il principe andava da lei e voleva che il figliuolo lefacesse visita; tutto fiato perduto: il principino non ci sentiva daquell'orecchioe quando incontrava la promessa del padre in casa deiparentila salutava appenarispondeva con una freddezzamortificante alle effusioni di lei che gli dava del -"figliomio"a tutto andareo addirittura la sfuggivalasciando intenderel'avversione che quella donna gl'ispirava. Il principecon grande ecomune stuporepareva che non se ne accorgessee quasi avessemutato caratterequasi volesse ingraziarsi anche lui il figliuololargheggiava a quattrinigli lasciava fare quel che volevaglicomperava carrozzini e cavalli inglesi; ma Consalvo era freddo anchecol padrelo evitavastava settimane intere lontanoin campagnaacacciatanto che a poco a poco si vedeva il principe gonfiaregonfiare. Il maestro di casatanto amante della pacese n'accoravae lavorava a rabbonire il padroncino. Consalvo lo lasciava dire; a uncerto punto gli rispondeva freddo freddo: -"Nonmi seccare. Bada al tuo servizio. Non mi seccare..."Giovanotti! Giovanotti! Bisogna aver pazienza con essilasciarlifare a modo loroprima che mettano giudizio! Ma la principessina?Era possibile che anche lei si voltasse contro il padre e lamadrigna? Una figliuola saviaobbedienteeducate alla SantissimaAnnunziata?...

Dopoessersi fatta aspettare più d'una settimanaarrivòfinalmente la risposta della signorina. -"Carobabbocara mamma"diceva -"nonv'ho scritto più presto perché sono stata poco bene;una cosa da nullanon v'inquietate; oragrazie a Dioposso dirvicon quanta gioia ho appreso ciò che fate per noi":e così via per due pagine piene d'espressioni affettuosefinoalla chiusa che diceva: -"Vostraaffezionatissima e gratissima figliaTeresa."Scrisse anche al fratellonello stesso senso; ma il principinorispondendoleneppur nominò la madrignaneppur feceun'allusione al prossimo matrimoniocome se mai ne avesse uditoparlare. Due giorni prima della cerimoniaanziandò via conGiovannino Radalì ed altri amicia cacciadicendo chesarebbe rimasto fuori ventiquattr'ore; invece il giorno deglisponsaliquando il padre e la matrigna con gl'invitati andarono alMunicipioegli non era ancora arrivato. Non arrivò neppur laseraquando gli sposi tornarono dalla chiesa: uno scandalostraordinariola servitù che mormoravai lavapiatti sullespinela sposa che sorrideva per forzaLucrezia che ripeteva ogniquarto d'ora: -"MaConsalvo? Perché non lo mandate a chiamare?..."nonostante le avessero spiegato parecchie volte che il giovanotto erain campagnaalla Piana. Il principeun poco pallidodiceva chedoveva esser capitata qualche disgrazia alla comitiva; infattinessuno dei compagni di Consalvo era ancora tornatoe la duchessaRadalì e il duca Michelesuo figliomandavano ogni mezz'oraa casainquieti per il loro Giovannino. La barca capovoltaalBiviere? La carrozza ribaltata? Un fucileDio liberiscoppiato?...Donna Ferdinanda era invece tranquillissimasapeva bene che il suoprotetto aveva dovuto combinar la cosa per non assistere allacerimonia nuziale; e in cuor suo lo approvava. Bella sciocchezzadaparte di Giacomoquella di dar a intendere che si ammogliava per nonlasciar senza madre i propri figli! I suoi figli non erano piùbambinida doverli allattare!... E poie poiche grande autoritàaveva esercitato su loro la madre! il principe non le aveva maipermesso d'attaccar loro un bottone! Adessoinveceche si sarebbevisto? La pettegola cugina far da padrona in casa Francalanza!

Lazitellona diceva queste cosepianoall'orecchio di Chiara e diLucreziale quali le ripetevano al marchesea don Blasco; e tuttiriconoscevano che Giacomo sposava Graziella unicamente perchéda giovanes'era messo in capo di sposarla. La madre non avevavolutoed egli s'era piegatoalloraalla ferrea volontà dilei; pareva anzi aver dimenticato la propriatrattando la cuginafreddamentequasi non l'avesse pensata maibadando solo agliaffari; ma appena finito di accomodarliegli s'era messo conl'antica innamoratae oradopo tanti anninon più giovanecon due figli grandi e grossi sulle spalleil suo primo pensieroappena liberoera quello di sposarlavedovainvecchiataimbruttitapur di prendere la rivincitapur di disfare l'operadella madre. Non l'aveva disfatta in un altro modoeludendo levolontà che ella aveva manifestate nel testamentospogliandoi legatari e il coerede? E che restava oramai dell'opera delladefunta? Raimondo non aveva anch'egli disfatto il matrimonio volutoda lei? Lucrezia che doveva restare in casa non s'era sposata?...-"Strambi!...Cocciuti!... Pazzi!..."Così essi scambiavansi le stesse accuse; ma stavolta tuttierano stati d'accordo nel biasimare il principenel coalizzarsicontro di lui; ad eccezione del solo Priore. Gli interessi mondanile lotte della famiglia lo lasciavano adesso molto piùindifferente di primasul punto com'era di partire per Roma. Dopo lasoppressione dei conventi tutti avevano riconosciutoalla Curiacheil dotto e santo Cassinese doveva andare avanti in altro modo. Gliera stato offerto un vescovatoa sua scelta; ma egliche mirava piùaltoaveva chiesto di andare a Propaganda. E giusto in quei giornicon la nomina di Vescovo in partibusera stato chiamato allagrande Congregazione. Che gl'importava del matrimonio del fratellodel testamento della madre e di tutte le trame meschine che ordivanoi suoi? A Roma egli era preceduto da una fama così chiaradaraccomandazioni tanto efficaciche in poco tempo era sicuro diraggiungerecon la propria accortezzai più alti gradi dellagerarchia... Come a luilo scioglimento delle corporazioni religioseaveva dato a don Blasco altri desiderialtre ambizioni. Convertitiin bella rendita sul Gran Libro i quattrini portati via dal conventoil monaco aveva finalmente visto avverarsi il sogno della suagiovinezza: aver del suoessere capitalista. Allora aveva quasidimenticato l'odio contro il rivale nipotenon s'era piùcurato né di lui né degli altri. Ma l'appetito vienmangiandodice il proverbioe don Blasco non si contentava diquelle poche migliaia d'onzevoleva arricchire per davverostudiavail modo di batter moneta. Pertanto voleva assaggiare i beni delleCappellanie e dei Benefizi; e vedendo che Giacomo gli dava erbatrastulla e nonostante le promesse iniziava la causa per contoproprioera stato l'anima della lega ordita contro di luimettendoin opera il sistema da lui adoperato contro i fratelli. Chi la fal'aspettadice un altro proverbioe il principeche s'era fattopagare da Raimondo e da Lucrezia per dar loro il suo appoggioavevadovuto chiuder la bocca allo zio perché questiche non avevamai avuto peli sulla linguas'era messo a cantare che la faccendadella morte della principessa non era tanto lisciae che avercostretto la -"poveraMargherita"a scappare a Cassone mentre stava così male ed aveva anzi iprimi sintomi del colera era stato un voler sbarazzarsi di leidopoaverle dettato un testamento nel quale s'era fatto lasciare ognicosae niente ai figli; e che la freddezza di Consalvo non era poisenza ragionie che... e che... Allora il principe avevariconosciuto i diritti della parentela alla spartizione dei benietutti s'erano placati. Placati in apparenzaperché i rancoriribollivano sordamente. Giacomo non se la poteva prendere col monacoper non disgustarseloadesso che aveva quattrininéper lastessa ragionecon la zia Ferdinanda; tanto meno col duca alla cuiautorità di deputato ricorreva per essere assistito contro ilfisco rapace. Ma sfogava contro tutti gli altriincagnatounafuria. L'agente delle tassespecialmenteun certo Stravusoera ilsuo incubo: oltre che di ingordocostui aveva la fama di terribileiettatoree il principepigliandosela con luinon lo poteva neppurnominare dalla paura; non lo chiamava altrimenti che -"Salut'anoi!"tenendo nel pugno un amuletoun ignobile pezzo di ferro a foggia dimano che fa il segno delle corna.

-"Cheio parli con Salut'a noi?..."diceva allo zioquella sera degli sponsali. -"Fossipazzo!... Fatelo andar via! Fatelo traslocarecotesto ladroimboscato per spogliar la gente!... Non gli basta farmi pagare ilventi per cento sugli svincolila doppia tassa di successione fraestranei! Ma se fossimo estranei non erediteremmo! I beni vengono anoi appunto perché i fondatori furono nostri antenati!"

Ilducache portava al cielo le nuove leggigli consigliava di nonlagnarsi: anche dedotto il venti per centoil resto era tanto diguadagnato. L'importante in tutto questoper il legislatoreera chetante proprietà e tante rendite fossero sottratte ai monaci edestinate ad impinguare la fortuna dei privati cittadiniquindi adaumentare la pubblica prosperità. Perciòaspettando diprender la sua parte nella divisione dei beni svincolatiegli erarimasto aggiudicatario del Carrubo e di Fontana Rossadue feudidella badìa di San Giulianodei quali a giorni sarebbeentrato in possessoe incitava il nipote a fare altrettantoascegliere qualche bel tenimento di terre da pagare a tanto l'anno congli stessi frutti e da migliorare in modo da moltiplicarne il valore;ma il principe:

-"Eccellenzanon posso. Il confessore non vuole. Me l'ha messo a scrupolo dicoscienza; e giusto in questa circostanza solenne del mio matrimoniointendo rispettarlo. Ciò non vuol dire che Vostra Eccellenzaabbia fatto male; ma i nostri casi sono diversi..."

Ilduca lo guardò un poco nel bianco degli occhicome persincerarsi se diceva sul serio o se scherzava; poi uscì nellastessa obiezione che il principe aveva rivolta a don Blasco:

-"Oallora perché rivendichi i beni delle Cappellanie? Non sonodella Chiesa anche quelli?"

-"Eccellenzano"rispose il principe. -"LaChiesa ne era semplice amministratricesecondo l'intenzione deifondatori. Le sole rendite debbono essere convertite a scopi sacriedi ciò siamo responsabili tutti..."

Mentreessi tenevano questi discorsil'assenza del principino continuava afar ciarlare gli altri parentidi nascosto alla nuova principessala quale si mostrava sovrappensieritemendocome il maritononfosse capitato un accidente al giovanottoe parlava di spedir messialla Piana per appurare che cos'era successo. Nonostantel'inquietudineella badava al serviziodava ordini sottovoce aBaldassarreinsisteva perché gl'invitati riprendessero dolcie gelatiesercitando così per la prima volta l'ufficio dipadrona di casa. Don Blasco non si facea pregar molto: adesso che aSan Nicola c'era tanto di catenaccioegli poteva far tardi quantogli piaceva; e mentre masticava a due palmentiutilizzava il suotempo chiedendo informazioni alla gente sulle firme solvibiligiacché anch'egli s'era messo a dar quattrini in piazza. Ditanto in tanto s'avvicinava anche al crocchio d'uomini in mezzo alquale il ducafinito di discorrere col nipoteparlava dellepubbliche faccende. La quistione che impensieriva pel momento ildeputato era quella del Municipio. Le cose vi andavano malegliamici del grand'uomo lo pregavano con insistenza di prenderne leredinidi dare questa nuova prova di affetto al paese; ma eglidichiarava che non la volontà ma la forza gli faceva difetto.Era già deputatoconsigliere comunale e provincialemembrodella Camera di commerciodel Comizio agrariopresidente delconsiglio d'amministrazione della Banca di Creditoconsigliere disconto alla Banca Nazionale e al Banco di Sicilia ecome se nonfosse abbastanzalo mettevano in tutte le giunte di vigilanzaintutte le commissioni di inchiesta. Ad ogni nuova nominaegliprotestava che era troppoche non aveva tempo di grattarsi il capoche bisognava dar luogo ad altrima dopo una lunga e cortesediscussione doveva finalmente arrendersi alle insistenze degli amici.Gli avversarii repubblicanii malcontenti gridavano contro questoaccentramento di tanti uffici in una stessa persona; e giusto il ducas'era fatto forte di tale ragione per rifiutare la sindacatura.Benedettodopo il gran dolore delle disgrazie soffertericominciavaallora ad occuparsi degli affari pubblicie insisteva presso lo ziogli ripeteva l'invito a nome del Consiglio comunaleadducendo lamancanza di persone capaci.

-"Nonmi darai a intendere"rispose il deputato -"cheio solo possa fare il sindaco! Perché non lo fai tu?"

-"Perchéio non ho i titoli di Vostra Eccellenza!"

-"Dimmiche accettie fra quindici giorni avrai la nomina."

Benedettocontinuava a schermirsisorridendofingendo di non credere allaserietà dell'offerta; in cuor suoegli non desiderava dimeglio; ma una grande difficoltà lo arrestava: l'opposizionedi sua moglie. Costei dimostravasi sempre più irascibilequando udiva parlare di cariche pubblichedi uffici elettividipolitica liberale; minacciava di far mandare ruzzoloni giù perle scale le persone che venivano a cercar di lui nella sua qualitàdi consigliere comunale o di presidente del Circolo Nazionale; dilacerareprima che egli le leggessele carte indirizzate a suomarito. Se gli moveva tanta guerra per così pocoche avrebbefatto sapendolo sindaco? E Benedettosoggiogato dal timoresischermiva contro le rinnovate offerte dello zioil qualecomeargomento irresistibileriserbato per il colpo di graziaglidiceva: -"Ilgiorno che io mi ritireròtroverai preparato il terreno..."

Mentreil deputato insistevae Lucrezia sparlava di suo marito con Chiarae donna Ferdinanda sparlava del principe col marchesee i lavapiattifacevano la corte alla nuova principessae don Blasco ciaramellavada un gruppo all'altros'udì il fracasso d'una carrozza chearrivava di carriera e tutti esclamarono:

-"Consalvo!...Il principino!..."

Baldassarreerasi precipitato ad incontrarlo. Il giovanotto aveva l'abito inassetto e gli stivaloni puliti come sul punto di andar fuori; ma almaestro di casa che gli domandava ansiosamente che cosa fossesuccesso:

-"Sonovivo per miracolo"rispose.

Entratonel salonementre tutti gli si affollavano intornocominciòa narrare la storia d'un accidente complicatissimoil suosmarrimento nel Bivierela fame sofferta per dodici oreilnaufragio della barca che lo portava. -"Gesù!...Gesù!... Santo Dio d'amore!..."esclamavano tutt'intorno; la principessaspecialmenteripeteva ognimomento:

-"Ahquesta caccia!... Figlio mio!... Che paura!..."lo stesso principe mostrava di credere quella storiae tuttiperprudenzafingevano di rallegrarsi dello scampato pericolo; solodonna Ferdinanda increspava le labbra sottili ad un ironico sorrisosapendo bene che il suo protetto non aveva corso pericolo di sorta...Benedettofrattantoriferiva sottovoce alla moglie l'offerta dellasindacatura fattagli dallo zio e il proprio rifiuto. Lucrezia sivoltò a guardarlo in faccia e gli disse sul muso:

-"Semprebestia sarai?"


Leera parso che quel titolo di sindaco avrebbe nobilitato in qualchemodo il maritoconferendogli l'autoritàil lustrol'importanza che non aveva; invecedopo che il duca ottenne perGiulente la nominas'accorse che gli restava più Giulente diprimauna specie d'impiegatoun miserabile passacarteun servitoredel pubblico. E quando le diedero della sindachessaarrossìcome un papaveroquasi l'insultasseroquasi le intonazioni piùcomplimentose fossero studiate e nascondessero un ironico dileggio.Ella non diede più quartiere a Benedetto; dopo averlo spintoad accettar l'ufficiogliene rinfacciò l'inutilitàlenoiei pericoli; se per la moltitudine degli affari egli tornava acasa più tardi del consuetostancoaffamatol'accoglievacon tanto di musogli faceva trovare la tavola mezza sparecchiata eil desinare freddo; se veniva gente a chieder del sindacoellagridava alla cameriera: -"Nonc'è! Non c'è nessuno! Mandate via cotestiseccatori!..."in modo che i seccatori udissero e che passasse loro la voglia di maipiù tornarci; se Giulenteciò nonostantericevevaquella genteper prudenzaper necessitàella si metteva loscialle in testa e se ne andava dalle parentio dalle amicheecominciava a sfogarsi:

-"Nonci posso più reggere! Mi par d'impazzire! Che vita d'inferno!Se avessi saputo!..."

Secondoche le dimostravano il suo torto e l'affezione e il rispetto di cuiBenedetto la circondavala sua avversione cresceva: ellaimmaginavasi d'esser maltrattataattribuiva al marito ogni specie ditorti. Poiché i Giulente non avevano avuto concessione difeudilo giudicava miserabile; manon potendo ragionevolmente darea intender questol'accusava d'avarizia. Egli la lasciava libera dispendere ciò che voleva mafittosi in capo che fosse avarola fissazione prendeva nel cervello di lei più consistenza diun fatto; e con l'aria d'una vittima rassegnata al suo destinoquasipiangendorifiutava di comperar nulla per sérinunziava agliabitiai cappelliai gioielliandava attorno come una cameriera.Suo marito non riusciva a strapparle la spiegazione di quellasciatteria; ma al palazzo ella si nettava la bocca contro di luiese il principe o donna Ferdinanda le rammentavano che smania avevaavuto di sposarlose la prendeva con loro:

-"Perchénon mi apriste gli occhi? Che ne sapevo! Toccava a voialtriavvertirmi!"

-"Oh!Oh! Hai dunque dimenticato tutto quello che facesti?"

-"Chene sapevo! Colpa vostra che non v'ostinaste a impedirmi di commettereuna pazzia!"

Equesta nuova idea le s'inchiodava talmente in testache sfogandosicoi primi venutilagnandosi della propria infelicità congente a cui aveva parlato appena una voltaella l'adduceva a propriadiscolpa:

-"Lamia famiglia m'ha fatto un tradimento. Questo marito non faceva perme: me l'hanno dato per forza... sono stata sacrificata!..."

Poidenigrava in altro modo Giulentemetteva in ridicolo il suopatriottismolo attribuiva all'ambizione o lo negava del tutto.

-"Cotestosciocco ha fatto il liberale per essere qualche cosa. Ma non èdivenuto nienteed ha fatto meno che niente. Il ferito del Volturno?Guardategli la coscia: l'ha più sana delle mie!"

Dicevaspesso cose più enormisenza pudoreun poco perchénon ne comprendeva la sconvenienzaun poco perché credeva lefosse lecito tutto. Non si levava mai prima di mezzogiornoe per duebuone ore restava discintacon una gonna sulla camiciail collo ele braccia nudii piedi nudinelle pantofole; si mostrava cosìal cameriere ed al cuocoera capace di ricevere anche qualchevisita; e se Benedettopresenteesclamavagiungendo le mani: -"MaLucrezia? Per carità!..."ella lo guardava stupitaspalancando tanto d'occhi: -"Chec'è? Sono visite di confidenza! Ho da mettermi gli abiti daballo? Quelli che m'hai fatto venire da Parigi?..."E se egli le diceva di ordinarli puredi spendere tutto quel chevolevaella si stringeva nelle spalle: -"Io?A che pro? Per qual Santo? Non vado più da nessuna partenonconosco più nessuno della mia società! Risparmiarisparmia i tuoi quattrini!..."

Messocon le spalle al muroegli perdeva talvolta la pazienza; allora ellaminacciava d'andarsene via.

-"Ahla prendi su questo tono? Bada che ti pianto!... Non mi far saltareil ticchio d'andar viaperché altrimenti non mi tratterraineppur con gli argani!... Sai come siamo noi Uzedaquando cimettiamo una cosa in testa! Raimondo ha posto il mondo sottosopra perpiantar sua moglie e prenderne un'altra! Giacomo aveva giurato disposar Graziellaed ha fatto morire quella disgraziata prima deltempo..."

-"Taci!...Che dici!..."

Eglisopportava pertanto le stramberiei capriccile contraddizioniirimproverile ironie di lei. Ma la sorda guerra della moglie non glinoceva meno della protezione dello zio duca. Questiche oramai nonandava più alla capitaleconsacrava tutto il suo tempo aipropri affaribadava alle cose di campagnamigliorava le proprietàcomprate dalla manomortaspeculava sugli appaltisi giovava del suocredito presso le amministrazioni pubbliche per rifarsi di quel chegli costava la rivoluzione. E con l'aria di consigliare Giulentelopersuadeva a fare ciò che voleva. Ufficialmenteil sindacoera suo nipote; in fattoera egli stesso. Non si rimuoveva unaseggiolaal Municipiosenza la sua approvazione; ma specialmentenella nomina degli impiegatinella concessione di lavori pubblicinella distribuzione di incarichi gratuiti ma indirettamente omoralmente profittevoliegli faceva prevalere la propria volontàproteggeva i suoi fedelifossero anche inettimetteva avanti lagente da cui poteva sperare qualcosa in cambionon dava quartiere aquelli del partito avversoqualunque titolo possedesserodaqualunque parte glieli raccomandassero. Aveva l'abilità difingersi assolutamente disinteressatodi spingere il nipote a fareciò che egli stesso voleva come se invece non gl'importassenulla di nullae il Municipio diventava cosìa costo dipatenti ingiustiziedi manifeste violazioni della leggeun'agenziaelettoraleuna fabbrica di clienti. Per rispetto e per soggezionesoprattutto per la speranza di raccogliere l'eredità politicadello zioBenedetto non osava contrariarlo; seper qualche fattopiù grave degli altriegli esitava un momentoil ducavinceva quegli scrupolio adducendogli le necessità dellalotta politicao impegnandosi a riparare più tardiofacendogli semplicemente comprendere chein fin dei contia quelposto l'aveva messo luiperciò conveniva che facesse ciòche a lui piaceva. Per compensogli garantiva l'appoggio del governoe della prefetturalo sosteneva in consigliotesseva i suoi elogiperfino in famigliatenendo fronte a Lucreziache lo vilipendevadinanzi a tutti. Costeiper far la corte allo ziorispondeva che unpo' di bene suo marito lo faceva solo quando seguiva i consigli dilui; viceversada sola a solo con Benedettogli rinfacciava lacieca obbedienza prestata al duca.

-"Bestia!Sciocco! Stupido! Non capisci che ti spreme come un limone? Che vuolprendere la castagna dal fuoco senza scottarsi?... Almenosapessifarti dare la tua parte!"

Egli consigliava di mettersi nei loschi affari del deputatodivendere la propria autoritàdi farsi pagare gli atti che erain dovere di compiere; e ciò senza scrupolicome una cosanaturalissimacome avevano fatto i Viceré al tempo della loropotenza. Cosìun po' per la moglieun po' per lo zioGiulente commetteva ingiustizie d'ogni sorta rifiutandone il prezzometteva a rischio la sua bella riputazione di liberaledisinteressatodi -"feritodel Volturno".Ma l'ambizione lo accecavaegli voleva rappresentare una parte inpoliticae il Parlamento era la mèta per la quale sopportavail Municipio. Poiché presto o tardi il duca si sarebberitiratoegli voleva sostituirlo; tutta la parentela uccellava iquattrini messi assieme dal deputatoegli aspirava all'ereditàpolitica; il seggio alla Camera sarebbe stato la confermailriconoscimento del suo patriottismodella sua capacità.Pertantoil disprezzo di sua moglie cresceva: ella non capiva che sipotesse esercitare un ufficio pubblico pel piacere di esercitarlosenza specularci sopraperdendoci il tempotrascurando per essoogni altra occupazionenon badando agli affari proprinon andandomai in campagnalasciando fare ai castaldi e agli affittaiuoli.Quasi che potesse permettersi questo lusso! Quasi fosse il principinodi Mirabella!...

Consalvosìpoteva fare e faceva quel che gli piaceva. Non solo eglinon badava agli affari di casa — ché suo padre ci pensavaper lui — ma non stava in casa se non per dormire — quandoci dormiva. Lasciata la camera che aveva occupata al ritorno dalconventos'era accomodato un quartierino al primo pianodalla partedel secondo cortilesfondando murimurando finestreaprendo unanuova scaladisordinando ancora un altro poco la pianta del palazzo.Il principe l'aveva lasciato fare. Non contento di starsene cosìinteramente segregato dal resto della famigliacon persone diservizio esclusivamente addette alla sua personaadesso desinavasolodichiarando che le ore di suo padre non gli convenivano. E ilprincipe si piegava anche a questocon grande stupore di quanticonoscevano la sua prepotenzail suo bisogno d'assoluto comando. Ilgiovanotto faceva la bella vita: cavallicarrozzecacciaschermagiuoco ed il resto. Finitodopo l'incendio del SessantadueilCasino dei Nobiliegli aveva fondatoinsieme con qualche dozzina dicompagniun club che era la risurrezione più elegante e piùricca dell'antica istituzione: quantunque solo i nobili autentici vifossero ammessiConsalvo vi aveva ficcato due o tre giovanotti chenon appartenevano alla castama gli facevano da mezzani. Accordavala sua protezione e la sua amicizia solo a quelli che lo servivanoche lo ammiravanoche gli facevano la corte. Come al Noviziatoanche adesso derideva i meno nobili e meno ricchi di lui: un motivodi cruccio contro suo padre era appunto l'avarizia di costui che silasciava prender la mano dai nuovi arricchiti. Il lusso esterioredegli Uzedache prima del Sessanta pareva straordinarioadessocominciava ad esser agguagliato se non superato dalla gente rifattae mentre al palazzo i mobili di cinquant'anni addietro cadevano apezzi e le livree del secolo passato servivano al pasto delletignolec'era gente che spendeva un occhio del capo a metter su caseed equipaggi col gusto moderno. Ma agli occhi del principe lavecchiaia dei mobili e delle livree era come un altro titolo dinobiltà; e se tutti tenevano adesso il guardaportonementrevent'anni addietro c'era in città solo quello di casa Uzedachi aveva nel vestibolo la rastrelliera?... Del restoConsalvolavorava per conto suo a distruggere gli effetti della spilorceriapaterna. Quandodall'alto di un break o d'uno stageattillato negli abiti venuti apposta da Firenzeguidava come il piùesperto cocchiere un tiro a quattrofermandosi per far salire gliamici che incontrava lungo la viaavanzando poi tutti gli altriequipaggifrustando come i suoi antenati i cocchieri che osavanocontrastargli il passola gente si fermava ad ammirarea ripetereil suo nome e il suo titolo con un senso d'alterezzaquasi un pocodel suo lustro si riversasse su chi poteva salutarlosu chi loconosceva almeno di nomesulla stessa città che gli avevadato i natali. Se egli comperava o vendeva una pariglia di cavallise mandava via o riprendeva un servitorese vinceva o se perdeva algiuocole notizie di questi avvenimenti facevano le spese delleconversazioni; la sua antipatia per la madrigna gli era ascrittageneralmente a lodespiegata com'era col rispetto da lui portatoalla memoria della madre; tutti avevano interesse e premure di darglimogliee di tanto in tanto la voce d'un possibile matrimoniocircolava per ogni dovefinchéripetuta dinanzi a luilofaceva scoppiare in una risata. Per ora egli voleva divertirsi; cisarebbe poi stato tempo ad incatenarsi. E le sue visite assidue aquesta od a quella signorai vistosi regali che faceva alle cantantied alle attrici spiegavano la sua risposta: tornavano per PasqualinoRiso i bei tempi del contino Raimondo: il padroncino gli facevaguadagnare il pane.

Lesue gesta avevano anche un altro campomeno elegantema altrettantofamoso. Insieme con gli amici più scapestratiaveva combinatouna compagnia che erala notteil terrore di mezza città.Armati di stocchidi rivoltelle o anche di semplici coltelliportavano a spasso le ciarpe d'infima classecantando asquarciagolaspegnendo i fanali del gasattaccando briga coipassantifacendo aprire per forzaa furia di schiamazzi e disassate ai vetrile taverne e le case pubblichegiocando al toccoo a briscola coi bertoniordinando cene che finivano con la rotturadi tutte le stoviglie: i padroni li lasciavano sbizzarrire perchése facevano dannisapevano anche risarcirli. Certe volteperòper capricciopel gusto di commettere un soprusoper esercitarel'ereditaria prepotenza dei Viceréil principino non volevapagare lo scottoo lo pagava a legnate; ementre profondeva iquattrini con le donneera capace di portar via a certe poverediavoleper spassoi pochi soldi che avevano in tasca — salvoa compensarle un'altra volta — lasciandole intanto piangenti ovomitanti un sacco di sozzure che lo facevano ridere a crepapelle.

Spessoscendeva con la sua comarca al portoandava a far baccano nelletaverne dove i marinai inglesi s'ubriacavano come bruti: egli salivasopra una tavolaprendeva la parola senza soggezionepredicava laRegola di San Benedettoripeteva le sentenze politiche dello zioduca e di Giulente; senza sapere una parola d'inglese teneva lunghidiscorsiserio serioai marinai foggiando per proprio uso e consumouna lingua che nessuno intendeva; la cosa spesso finiva con unapartita di box e relative ammaccature di costole e rotture distoviglie... Se lo avesse visto fra' Carmelo! il fratello appariva ditanto in tanto al palazzosempre più magro e stralunatoperricantare il consueto: -"Men'hanno cacciato!... Me n'hanno cacciato!..."Non gli strappavano di bocca nient'altro. Quando nelle sue escursioninotturne Consalvo andava dalle parti di San Nicolalo incontravaimmancabilmenteerrante per le vie del quartiere come un'anima inpena o fermo a considerare la massa scura del convento; ilprincipinoalterando la vocegli dava la baialo chiamava: -"PadrePriore!... Padre Abate!... Dove sono i porci di Cristo?..."tra le risa della comitiva.

Egline era l'animail capo riconosciuto e obbedito. Giovanni Radalìveniva spesso con lui; ma quantunque ora fosse liberoricco ebaronenon aveva l'umore costante: talvolta faceva pazziestraordinarietalaltra frenava i compagni; più spessoprendendo parte ai bagordiaveva la ciera funebreun riso falso. Ditanto in tanto scomparivase ne andava ad Augustanelle terrelasciategli dallo ziodonde nessuno riusciva a scovarlose eglistessomutata fantasianon si decideva a tornare. Allora Consalvolo trascinava ai bagordi.

Unanotteper quistione di donnela banda venne alle mani con unacomitiva di popolanidi barbieridi sensali; piovvero le legnateluccicarono i coltellima per buona sortesopravvenute le guardietutti scomparvero. I bastonatii mariti canzonatile vittime dellaloro prepotenza non osavano ricorrere: se qualcuno minacciava diquerelarsila gente lo dissuadevaconsiderando chi erano queisignori: il barone Radalìil principino di Mirabellailmarchesino Cugnò! E la poliziase ricorrevano ad essafacevaaccomodar la cosa: qualche biglietto di bancae tutti lesti. Ma ilprestigio di quei nomi era tale che pochi osavano lagnarsi; la piùparte si stimavano onorati di competere con quei signoriliammiravanoparlavano di loro col massimo rispetto. In carnevalelamascherata favorita dei monellidei facchiniera quella del barone:sui calzoni a sbrendoli e sulle camicie rattoppateun vecchio abitoa coda di rondineun enorme colletto di cartauna tuba di cartonealta quanto una canna di camino: andavano così a crocchichiamandosi scambievolmentead alta vocefra le risa dei passanticol nome dei baroni per davvero: -"AddioFrancalanza!... Radalìcome stai?... Andiamo al teatromarchese!..."

Senzaquei nobili l'operaio come avrebbe fatto? il loro lussoi loropiacerile loro stesse pazzie erano altrettante occasioni perchéla gente minuta lavorasse e buscasse qualcosa! E il principinospendeva e spandevaregalmentecome se avesse le mani bucate. Suopadre gli pagava i cavalli e le carrozzei fucili e i canie peiminuti piaceri gli passava cento lire il mese; ma Consalvoallevolteperdeva in una notte la pensione dell'anno intero; e il domaniricorreva a tutti gli usurai della cittài qualicontro lafirma d'una cambialinagli davano quel che voleva. Quanto aiparentiessi o lo incoraggiavano a scialareo non si occupavano diluio erano disarmati dalla sua politicagiacché egli sapevaprenderli pel loro versosecondando le fisime di ciascuno. SoloBenedetto comprendeva che quella vita doveva costargli molto esospettava qualcosa dei debiti; ma il giovanotto lo tirava dalla suasollecitandolo nella sua vanità di patriottadi ferito delVolturnodi futuro deputato; e del resto se Benedetto manifestava leproprie paure alla moglie perché questa mettesse sull'avvisoil principe:

-"Diche ti mescoli?"saltava su Lucrezia. -"Lascialofare! Credi che mio nipote sia un pezzenteda non potersi permetterequesto lusso? Può pagarli i suoi debitise mai!"

DonnaFerdinanda da canto suo andava in estasi per la riuscita del suoprotetto edalla soddisfazionegli regalava di tanto in tantoqualche biglietto da cinque lire che il giovanottodopo essersiprofuso in ringraziamentilasciava come mancia al cameriere delCaffè di Sicilia. Il ducaingolfato negli affariavevaqualche sentore dei pasticci del pronipotema bastava a costuidargli del salvatore del paesedel grande statista o profetargli unposto al Ministeroperché il deputato si chetasse. Piùtardiper ingraziarsi meglio donna FerdinandaConsalvo le davaragione se l'udiva gridare contro il fedifrago; e in questo erasinceroperchésenza mescolarsi nella politicaegliparteggiava pel governo assolutoprotettore dei signorisciabolatore della canaglia. Questi sentimenti però nongl'impedivano di prender con le buone lo zio Giulenteal quale nondava tuttavia dell'Eccellenzama del semplice voi; e piùtardi conveniva con la zia Lucrezia se costei lagnavasi di quellabestia del marito. Cosìnonostante la freddezza col padreseguiva l'esempio di luipigliando ciascuno pel suo versosecondando le fissazioni di tutti gli Uzeda. La zia Chiara giàparlava d'adottare il bastardo della cameriera: egli approvava questarisoluzione. Lo zio Ferdinandocredutosi affetto da tutte lemalattie quando vendeva saluteadesso che deperiva visibilmentecredeva invece d'esser sanissimo e non poteva soffrire che la gentegli consigliasse di chiamare un dottore: Consalvo si rallegrava conlui per l'ottima ciera... Quanto a don Blascoda un pezzo non sifaceva più vedere al palazzo. Dacché stava per casasuaamministrando i propri capitalila sua smania di criticar tuttoe tutti in famiglia era finita: quando capitava tra i parentidiscorreva un poco del più e del meno e andava via presto. Pernon star soloin casas'era messo dentro la Sigaraiasuo marito ele sue figlie; talché oraservito di tutto puntonon avevapiù bisogno di nulla. Eda un certo tempoera diventatoaddirittura irreperibile. -"Checosa fa lo zio?... Che cosa fa don Blasco?..."ma nessuno ne sapeva niente. Il principeil marcheseLucreziaunpo' anche Benedettocercavano d'ingraziarseloper via dei quattriniche doveva aver da parte; ma egli li sfuggiva tuttie se li udivaalluderesorridendoalla sua ricchezzaripigliava a vociare comeun tempo: -"Chericchezze e povertà?... Che..."e giù male parole di nuovo conio.

Unbel giorno però Benedettoleggendo sul foglio d'annunzi dellaprefettura l'elenco degli ultimi aggiudicatari dei beniecclesiasticitrovò il nome di Matteo Garino.

-"Nonsi chiama così il marito della Sigaraia?"domandò alla moglie.

-"Credo...Perché?"

-"Hacomprato il Cavaliereuna delle migliori terre dei Benedettini."

Senzaesitare un istanteLucrezia esclamò:

-"Garino?Questo è lo zio don Blasco che l'ha comprato!..."

Infattidi lì a poco la verità si seppe; Garino era ilprestanome di don Blasco; questi aveva messo fuori i quattrini ed eragià entrato in possesso del latifondo... Un monacoun monacobenedettinouno che aveva fatto voto di povertàcomprare unaterra del suo stesso conventocalpestare in tal modo la leggedivina?... Lo scandalo fu straordinario: donna Ferdinanda dissevituperi del fratello; il duca sorrise scetticamenterammentando lefuribonde minacce di dannazione eterna eruttate dal Cassinese; lostesso principequantunque non volesse inimicarsi uno zio checomprava di tali poderiscrollava il capo; e tutti i cattolicizelantii partigiani della Curiai monaci a spassoi borbonici untempo amicissimi di don Blasco gli si misero contro; ma a chi gliriferiva le voci malevole egli gridava:

-"Sissignoreil Cavaliere è stato comprato per mio conto: e poi? Chi citrova da ridire? Mia sorella che ha fatto l'usuraia percinquant'anni? Mio nipote che ha rubato tutti i suoi? Sono questi gliscrupolosi e i timorati?... Io non ho scrupoli di sorta! Se nonavessi comprato io il Cavalierel'avrebbe preso un altro: alconvento non restava di sicuroper la buona ragione che il conventonon c'è più!... Anziin mano miaè come sefosse di San Nicola; a segno che ho fatto restaurare la cappellaevi dico la messa tutti i giorniquando salgo lassù: che seandava ad altria quest'ora l'avrebbero ridotta a uso diporcile!..."

Lamessaveramenteegli la diceva di tanto in tantoperchéaveva molto da fare: dissodava la chiusastrappava vecchiepiantescavava un pozzoingrandiva la fattoria trasformandola incasina di villeggiaturaspostava il muro di cinta arrotondando amodo suo i confini; doveva quindi stare con tanto d'occhi apertisugli zappatori e sui muratori perché non lo rubassero. Incampagnaper esser pronto ad esporsi all'acqua ed al ventoindossava una giacca corta da cacciatore e portava gli stivaloni finoa mezza gamba; tornato in cittàsmise la tonaca e loscapolarema si compose un abito neroda ministro protestantecolpanciotto abbottonato fino in cima e il colletto clericale. Pertantodisapprovava quei due o tre antichi suoi compagni che s'eranospogliati del tuttodandosi senza riguardo alla vita del secolocome il sanculotto Padre Rocca; o quelli chesenza smetter l'abitodavano da ciarlare alla gente con la loro condottacome PadreAgatino Renda che stava tutto il giorno in casa della vedovaRoccascianogiocando mattina e sera. Padre Gerbini se n'era andato aParigidov'era stato creato rettore della Maddalena; altririmastiin cittàfacevano la vita dei preti; ma don Blasco proponevaa tutti se stesso come modello. Fra' Carmelochecome dal principeveniva spesso anche da luipareva non si fosse accorto del mutamentodi Sua Paternitàe ripeteva con gesti disperati il suo eternoritornello: -"Men'hanno cacciato!... Me n'hanno cacciato!..."Don Blasco gli dava qualche soldo e gli offriva da bereconfortandolo con belle parole; ma il maniacodopo bevutoragionavamenocominciava a prendersela con gli indiavolati che avevanospogliato il convento:

-"Assassinie ladri! Ladri e assassini! il più gran convento del Regno!...E quegli altri ladri che si son prese le sue proprietà!All'Inferno! All'Infernoscomunicati..."

Unavoltadelirante più del solitosi mise in ginocchiodeclamandocon gran gesti di croce:

-"Innome del Padredel Figlio e dello Spirito Santo! Vi scongiuro perparte di Dio!... Restituite il maltolto a San Nicola!... Ladri!...Schifosi!... Siete cristiani o turchi?... Pensate all'anima! Fuocod'inferno!..."

DonBlascoperdendo finalmente la pazienzalo prese per una spalla e lospinse fuori:

-"Vabeneva beneabbiamo inteso..ma per adesso vatteneche ho dafare..."

Esbattutogli l'uscio sul muso mentre sopravveniva donna Lucia:

-"Cominciaa rompermi la divozionequesto vecchio pazzo!... Se torna un'altravoltabuttatelo giù dalle scaleavete capito?..."




8.


Unanottementre Lucreziaa lettorussava profondamentee Benedettostudiava a tavolino il bilancio comunaleuna scampanellataimprovvisa fece sussultare il marito e destò la moglie. Andatoad aprireBenedetto si vide dinanzi il principino bianco in visocome un foglio di carta.

-"Datemida lavare"disse allo ziotraendo dalla tasca della giacchetta la destra rossadi sangue.

-"Consalvo!...Che è stato?... Che hai?..."

-"Nullanon gridare... Per aprire una finestra... ho rotto un vetromi sonotagliato... Datemi da lavare!... È una cosa da nulla..."

Laferita era invece profonda; cominciava dal dorso della manogiravasotto la giuntura del pollice e finiva sul polso. Medicata contaffetàdoveva essersi riapertaperché del fazzolettoche fasciava la mano non restava neppure un angolo biancoe ilsangue gocciolavamacchiando l'abito e la camicia.

-"Nonpotevo andare a casaconciato in questo modo..."spiegava il giovinottomentre teneva immersa la mano in unacatinellal'acqua della quale s'arrossava; ma ad un trattoperdutala sicurezza che l'aveva fin lì sostenutocominciò atremarecon la fronte madida di sudor freddogirando intorno losguardo stravoltodove Giulente leggeva adesso lo sbigottimento diun'improvvisa aggressionela paura della morte intravista nel balenod'una lama.

-"Di'la verità: com'è stato?..."

-"Ancora?...La vetrata rottav'ho detto... Chiamate piuttosto Giovannino chem'accompagnò dal farmacista e aspetta giù..."

L'amicopiù pallido di Consalvoconfermò la narrazione. Laverità si seppe il domani. Da un pezzo Consalvo andava dietroalla figlia del barbiere del BelvedereGesualdo Marotta: una ragazzache si tirava su per pettinatrice equantunque girasse sempre per levienon dava retta a nessunocon una gran paura dei fratelli pocodispostiarticolo onorea scherzare. Ma il principinoquandoconcepiva un capriccionon si chetava se non dopo averlosoddisfatto; enonostante le preghieregli avvertimenti e leminacce dei Marottaaveva messo in moto tutte le mezzane della cittàper vincere la resistenza della giovane e della famigliapromettendodi toglierla dalle stradeda quel mestiere penoso e pericoloso; dimetterle su una bella bottega di modistaassicurandole anche laclientela di tutte le sue parenti ed amiche. Tutto era stato inutile.Alloravedendo che con le buone non otteneva nullaegli fece un belgiorno rapire la ragazza e la tenne tre giorni con sé alBelvedere. I fratelliper un certo tempostettero zittiquasifossero al buio; solo quella brutta nottementre il principinousciva dal Caffè di Siciliain compagnia di GiovanninoRadalìs'era sentito urtare e squarciare da una lamatagliente la mano distesa istintivamente per difendersi. -"Cirivedremo!..."aveva detto l'aggressorescappando alle grida di Radalì.

Ilprincipe non disse nulla quando vide il figliuolo con la manofasciata: mostrò di credere alla storia della vetrata rotta esi mise a vegliarlo insieme con la principessala quale stette alcapezzale di Consalvo premurosa ed inquieta come una vera madre. Ilgiovane dissimulava male il suo fastidio per quelle cure antipatichee accoglieva come altrettanti liberatori gli amici che venivano afargli visita mattina e sera. Il pericolo corsoil sangue perdutogli procuravano l'ammirazione di quei suoi compagni di bagordo; peròguaritoegli non mise il naso fuori dell'uscio. I Marotta avevanofatto sapere che erano pronti a ricominciare appena lo avrebberorivistodi notte o di giornoe che la seconda volta non se lasarebbe cavata con una semplice graffiaturae cheaspettando difarsi giustizia da lorodenunziavano intanto la cosa ai giudici.Tutti gli Uzedainquieti per la vita dell'erede del nomericorseroal duca: egli solocon l'autorità che gli veniva dallaposizione politicapoteva ottenere dal prefettodal questoredaimagistrati che quei malviventi lasciassero quieto il giovanotto. Ilducaudito il fatto e quel che volevano da luiinvece di darragione al pronipotefece inaspettatamente una gran sfuriatatantopiù strana quanto che non era nel suo carattere.

-"Benegli sta! Queste sono le conseguenze della sua vitaccia! E voialtriche non lo chiudete a chiave! Che vi rallegrate delle sue prodezze!Adesso che volete da me?"

Nessunolo aveva mai visto così rabbuffato; un altro poco e pareva suofratello don Blasco. La quistione era che i suoi avversari tentavanocon accanimento un nuovo assalto alla sua reputazione e chel'imbroglio di Consalvo dava loro buono in mano. Il deputato nonandava da due anni alla capitaledimenticava interamente gli affaripubblici per badare ai propri. Che gran patriottaeh? Di quantodisinteressedi quanto amor patrio non dava prova? Quando avevaavuto da imbrogliare a Torino e a Firenzese n'era stato semprelontanocol pretesto degli affari pubblicianche se la Camera erachiusa a catenaccio e il ministero disperso di qua e di là;pei fatti del Sessantadue nessuno lo aveva strappato da Torino; inpatria era venuto solo per essere rieletto; l'ultima volta neppurs'era data questa penaconsiderando il collegio come un feudoelettorale la cui proprietà nessuno poteva contrastargli;adesso che gli conveniva accomodare le sue faccendeavevano un beldiscutere delle più gravi quistioniin Parlamento: egli nonsi moveva. Ma quando pure ci fosse andato? Che cosa avrebbe fattolìdentro? Che cosa aveva fatto in otto anni di deputazione? Come unburattinoaveva alzato ed abbassato il capoper dire sì onosecondo gl'imbeccavano! E avesse una voltauna sola voltaaperto la bocca! Si scusava col dire che il pubblico lo sgomentava;ma la verità era che non aveva neppur l'ombra di un'idea infondo alla zuccache non sapeva scrivere un rigo senza fare settespropositi; e credeva di poter nascondere la sua supina ignoranza conl'aria di presunzione e di sufficienza! E ad una bestia di quellacubatura affidavano tutti gli affari della città e dellaprovincialasciavano dettar sentenze intorno a ogni sorta diquistioni: d'istruzione pubblicadi ingegneriadi musicadimarina!... Non contento di esercitare personalmente tanto potereficcava i suoi aderenti da per tutto perché facessero il suogiuoco: così Giulente zio aveva avuto la direzione dellabancacosì Giulente nipote era stato fatto sindaco!...

Tuttequelle accuse dei suoi nemici giravano per il paesetrovavanocreditoerano una minaccia. Giulente prendeva le sue difesemaadesso non lo ascoltavano più come un tempo; il discredito deldeputato si estendeva un poco su lui. Gli davano dell'ipocrita perchépretendeva conservare le antiche amicizie mentre era diventatosettariol'esecutore delle partigianeriedelle ingiustizie delduca. Ipocrita soltanto? I più accaniti assicuravano cheteneva anzi il sacco all'onorevoleperché qualcosa dovevaentrarglieneperché spartivano gli illeciti profittiilfrutto dei loschi affari!... Epiù di ogni altro argomentoquesto dei guadagni del deputato aveva la virtù d'infiammare isuoi nemici. Delle cariche pubbliche s'era servito per accomodar lesue cose; i denari impiegati nella rivoluzione gli fruttavano ilmille per cento! Così spiegavasi il suo patriottismolacommedia della sua conversione alla libertàmentre casa Uzedaera stata sempre covo di borbonici e di reazionarimentre eglistessoal Quarantottoaveva goduto col cannocchialecome alteatrolo spettacolo della città agonizzante! Spiegavasi unpoco con la pauracol bisogno di dar prova di liberalismo e didemocrazia per non essere fucilato — e i gonzi s'eran lasciatiprendere dalla famosa abolizione del pane di lussodurata quindicigiorni! — ma la cupidigia era stata più grande dellapaura; e certuni bene informati assicuravano che una voltanei primitempi del nuovo governoegli aveva pronunziato una frase moltosignificativa. rivelatrice dell'ereditaria cupidigia viceregaledella rapacità degli antichi Uzeda: -"Orache l'Italia è fattadobbiamo fare gli affari nostri..."Se non aveva pronunziato le paroleaveva certo messo in atto l'idea;perciò vantava l'eccellenza del nuovo regimei beneficieffetti del nuovo ordine di cose! Le leggi eran provvide quando gligiovavano; per esempiola famosa soppressione delle comunitàreligiose! A dargli rettai beni tolti alla Chiesa dovevanopermettere di alleggerir le tassee far divenire tutti proprietari.Invecele gravezze pubbliche crescevano sempre piùe chiaveva ottenuto quei beni? il duca d'Oraguala gente piùriccai capitalistitutti coloro che erano dalla parte delmestolo!...

L'opposizioneal deputato si confondeva cosìa poco a poconell'universalemalcontentonel disinganno succeduto alle speranze suscitate dallamutazione politica. Primase le cose andavano malese il commerciolanguivase i quattrini scarseggiavanola colpa era tutta diFerdinando ii : bisognava mandar via i Borbonifar l'Italia unaperché di botto tutti nuotassero nell'oro. Adessodopo diecianni di libertàla gente non sapeva più come tirareinnanzi. Avevano promesso il regno della giustizia e della moralità;e le parzialitàle birboneriele ladrerie continuavano comeprima: i potenti e i prepotenti d'un tempo erano tuttavia al loroposto! Chi batteva la solfasotto l'antico governo? Gli Uzedairicchi e i nobili loro paricon tutte le relative clientele: quellistessi che la battevano adesso!

Percombattere queste idee che facevansi strada e che nocevano anche aluiGiulente le attribuiva all'invidia degli inettialla mala fededei nemicisegnatamente alla propaganda dei suoi antichi amicirivoluzionari. Il gran torto del duca era quello di sostenere lacausa dell'ordinedella moderazionedella prudenza! Seinvece diappoggiare il governosi fosse gettato tra gli esaltati dellasinistragli avrebbero battuto le mani! Ma predicava ai turchi; peressere ascoltatoper riscuotere approvazioni ed incoraggiamentinongli restava altro che rivolgersi ai partigiani del duca. Questi eranosempre numerosima soprattutto più autorevolipiùinfluenti della folla anonima degli accusatoritra la quale glielettori si contavano sulla punta delle dita. Fedelianche; e sordia quelle accusee tanto più ligi al deputato quanto che lasua caduta li avrebbe rovinati... Orain queste condizionidell'opinione pubblicail pasticcio del nipote dava molta noia a donGaspare. Non già che gl'importasse del pericolo a cui ilgiovanotto era esposto: egli non provava le tenerezze di donnaFerdinanda o l'interesse degli altri parenti per l'erede delprincipato; né che temesse veramente di rimaner nella tromba aun prossimo scioglimento della Cameradi non poter continuare aspadroneggiare in paese; ma non voleva esser discussopresumevaserbare intatto il prestigio dei primi tempi; e giusto per questo lasventataggine di Consalvo lo metteva in un bell'impiccio: poichédando mano ad un soprusoperseguitando i parenti della ragazzarapitaavrebbe sollevato più forti clamori contro se stesso;mentre la rinunzia a difendere il nipote sarebbe stata attribuitaappunto alla paura di attirarsi nuove opposizioni. Dopo avere esitatoun poco fra i due partitifacendo sentire a Consalvo il peso delproprio sdegnoma difendendolo dinanzi agli estraneiegli siapprese al più audace. Il più facinoroso fratello dellapettinatrice fu chiamato un giorno da un ispettore di poliziailquale gli consigliò pel suo meglio di desistere dalle bravatealtrimenti lo avrebbero denunziato per l'ammonizione; nello stessotempo i testimoni del ratto voltarono casaccadichiararono inveceche la giovane era andata liberamente alla villa Uzeda; e sitrovarono poi due contadini che dissero di avercela veduta altrevoltee parecchi altri i quali affermarono che in paese si dicevanon esser quella la prima scappata della ragazza. I parenti gridavanovendettama i vicini li persuadevano a desisteread accomodarsi conle buone; il principinoquantunque le migliori testimonianze losollevassero da ogni responsabilitàpureper evitar altrenoie era pronto a sborsare tremila lire per la bottega di modista.

Oraun bel giornomentre s'aspettava da un momento all'altro la notiziache l'imbroglioun po' con le minacceun po' con le promesse eraaccomodato e che il giovanotto non correva più alcun pericoloil principeche non aveva ancora mosso un solo rimprovero alfigliuolo entrò nella camera di quest'ultimo rosso in visocome un pomodoro spiegazzando un foglio di carta: -"Ate!... Che significa questa lettera?"

Siriferiva a un debito di seimila lire che Consalvo aveva garentito conuna cambiale rinnovata parecchie volte di quattro in quattro mesi; ilcreditorevolendo esser soddisfatto e profittando della clausura delgiovanottoscriveva al padre avvertendolo della scadenza einvitandolo al pagamento.

Consalvonel primo momentorimase; ma poiché suo padreanimato daquel silenziochiedeva spiegazioni gridando più forteeglirispose freddo e calmo:

-"Nonc'è bisogno d'alzar la voce. Che cosa le hanno scritto?"

-"Saileggeresì o no?"esclamò il padremettendogli il foglio sotto il naso.

Mail principino si trasse vivamente indietrocome se fosse minacciatoda un contatto impuro. Durante i lunghi giorni che aveva passatisopra una poltronatenendo il braccio appeso al collonell'inerziaforzatacon l'impossibilità di servirsi della mano destrarabbrividendo alla vista del sangue che ancora trapelava dalla feritae macchiava la fasciaturaa poco a poco s'era svegliato in lui edera cresciuto e s'era fatto irresistibile lo stesso senso di ribrezzoche era stato il tormento di sua madrela stessa repulsione pertutti i toccamentilo stesso schifo per le cose che gli altriavevano maneggiatela stessa paura dei sudiciumi contagiosi. Comesuo padre più gli s'avvicinava porgendo la letterapiùegli si scostavacon le mani dietro la schienaper evitare diprenderla.

-"Vabene... va bene..."dicevaschermendosie guardando di sbieco i caratteri; -"hovisto... è don Antonio Sciacca."

-"Ahdon Antonio?"gridò il principe. -"Dunqueè vero? Non ti dài neppur la pena di fingere?... Ed haiil coraggio..."

Consalvopiantò a un tratto gli occhi negli occhi del padreguardandolo fissocon un'espressione duracome di sfidae lasciatoimprovvisamente il lei:

-"Checosa volete?..."gli disse. -"Avevobisogno di danari... Me ne date tanti!... Li ho presi: voi che neavete li pagherete..."

Ilprincipe pareva sul punto di cader fulminato. Rivolgendo al figliuolouno sguardo non meno fisso né meno duro:

-"Pagheròun cavolo... pagherò!..."articolava. -"Imiei quattrini?... Ti lascerò condannare e legarebestione!Capiscibestione?"

Piùfreddo di primaConsalvo rispose:

-"Vabenissimo. Dunque non mi seccate..."

-"Ahti secco?... Ti secco?..."

Edi repentecome uno che riesce a vomitare dopo vani conaticominciòa sfogarsi. Gonfiava da due anniper due lunghi anni avevaconsentito tutte le libertà al figliuolo; durante tutto queltempo aveva compressosoffocatovinto l'imperioso bisogno che erain lui di comandaredi veder tutti piegare dinanzi alla propriavolontà di capo della casadi padronedi arbitro assolutodel destino della famiglia; egli che aveva martoriato tutti i suoifatto di loro ciò che gli era piaciutos'era piegato alasciar la briglia sul collo al figliuoloa colui sul quale piùlegittimamente avrebbe potuto esercitare la propria potestà.Per due annifingendo la tolleranzal'indulgenzal'affeziones'era arrovellato sordamentecovando l'antipatia e l'avversionecontro Consalvoricambiando l'odio che si sentiva portato; adessofinalmente scoppiava. Finché s'era trattato della mala vitadel giovanedella sua freddezza verso la madrignaegli era riuscitoa frenarsi; ora invece Consalvo lo feriva nel sentimento piùforte di tutti gli altriattentava non più alla sua autoritàmorale ma alla sua borsa. Il principe aveva lottato tutta la vitafin dall'età della ragioneper accumulare nelle proprie maniquanto più denaro gli era stato possibileper toglierlo allamadreai fratellialle sorellealla moglie; meglio che tutti glialtri Uzedaegli era il rappresentante degli ingordi spagnuoliunicamente intenti ad arricchirsiincapaci di comprendere unapotenzaun valoreuna virtù più grande di quella deiquattrini; e adesso che era riuscito nel proprio intentoche vedevaarrivato il tempo di godere serenamente il frutto delle lunghe epazienti faticheecco suo figlio cominciare a disporre di quellasostanza come di cosa propria! Se Consalvo gli avesse chiesto leseimila lireegli le avrebbe date; ma l'idea del debito contrattodella cambiale firmatadegli interessi rilasciati anticipatamenteagli usurai produceva una rivoluzione nella testa del padreglifaceva vedere irreparabilmente pericolante la propria ricchezzagiacché quella cambiale non doveva esser solagiacchéla naturale inclinazione del figlio allo sperpero gli riuscivaevidentegiacché quello sciagurato osava parlare alteramentequasi non avesse fatto se non esercitare un diritto! E non volevaesser seccato per giunta! E rispondeva con quel tono a suo padre!

-"Ahti farò veder io se ti secco! Come t'accomoderò!... Quiil padrone sono io: càcciati bene questa idea nel cervellacciopazzo! Qui s'ha da far sempreunicamentein tutto e per tuttolamia volontà! Perché sono stato troppo buono finora?...Ti farò veder iopezzo d'imbecille!... E la gentei mieiparentitutto il paese che mi rinfaccia ad una voce la vitaccia diquest'animale! la vita delle taverne e dei lupanari!... Credi forseche non sappia le tue sporche prodezze?... Come non arrossisci dallavergogna? Come non vai a nasconderti lontano dalle persone a modo? Ladignità del tuo nome calpestata in compagnia dei piùschifosi bagordieri! E non parlo dei denari scialacquatibuttati viacome fossero sassi! Chi spende per capricciper divertimenti pazziquanto questa bestia?... E non basta lasciarlo farenon dirglinullametter mano tutti i giorni al portafogli!... E ardiscelagnarsi che non ha abbastanza! E invece di scusarsidi chiedereperdonovuol rifatto il resto! Ohcon chi credi di trattareimbecille?... Io non pagherò un soldo! Ed è tempod'intendersisai! Giacché ci siamouna volta per tutte!...Qui bisogna mutar registro!... Fin a quando starai in casa miahaida fare quel che piace a mecomportarti come tra la gente civile!...Questa non è una locandada venirci solo per mangiare edormire! Io non ti posso imporre l'affezionee non m'importa che mene voglia ma esigo il rispetto che m'è dovuto; il rispetto chedevi a tua madre..."

Consalvonon aveva detto una sola parolanon aveva fatto un gesto durante lasfuriata del principe. Questi aveva un bell'arrestarsidopoun'interrogazione o una esclamazionequasi per dargli il tempo dirispondere qualcosadi giustificarsi: in piedi presso la finestrail giovanotto guardava nel cortile di servizio le carrozze tiratefuori dalle rimesse e i famigli intenti a ripulirle: se fosse statosolo nel suo salottino non sarebbe rimasto più impassibile. Maalle ultime parole del principesi voltò lentamente.

-"Miamadre?"

Avevasul volto un'espressione indefinibiledi curiositàdistuporedi dubbiodominata da un sorriso tenuissimodi soli occhi.

-"Miamadre?... Mia madre è morta. Lei lo sa meglio di tutti."

Ilprincipe tacqueguardandolo. A un tratto s'udì un fruscio digonnee la principessa Graziellaavvertita dalla cameriera cheaveva udito le vocientrò:

-"Chec'è? Che cosa avete?..."

Consalvosi mise le mani in tasca e senza dir nulla passò nella cameraattigua. Il principe si lasciò condurre via dalla moglie.

Permolte settimane padre e figlio non scambiarono più una parola.L'affare del debitorisaputo dai parentidivise in due campi lafamiglia. Il ducache non perdonava ancora al pronipote l'imbarazzoin cui l'aveva messososteneva il principel'incitava a non cederea lasciar protestare la cambiale; Giulente anche lui giudicavanecessario dare un po' di paura al giovanottoperché nienteavrebbe poi potuto arrestarlo nella via dei debitise il principedecidevasi a pagare il primo; ma Lucreziapel gusto di contraddireal maritoper dare una lezione di munificenza a quel pezzente chegiudicava tutti alla sua streguaesclamava che Consalvo aveva ildiritto di svagarsi; che seimila lire per il principe di Francalanzaerano come dieci lire per Giulentee che in casa Uzeda per nessunaragione al mondo poteva darsi lo scandalo d'un protesto. DonnaFerdinandamanco a dirlose la prendeva con l'avarizia delprincipeche non dando abbastanza al figliuolo lo costringeva aricorrere al creditoe Chiara dava un poco ragione agli uni e unpoco agli altrisecondo l'umore di Federico. Quanto a don Blascoche da un pezzo era diventato invisibileun bel giorno venuto alpalazzocominciò a prendersela non solo contro Consalvo peidebiti e per la condotta scandalosama anche contro il principe e laprincipessaalla cui debolezza attribuiva lo sfrenamento diConsalvo.

-"Lacolpa è tutta vostra! Questo non è il modo d'educarlo!Pagargli i debiti? Alzargli la mangiatoiabisogna!..."Esenza nominarlasi scagliò contro donna Ferdinandadandole della bestia a tutto spianoperché coi vezzi che gliaveva fatti ella era l'origine prima della mala creanza delprincipino.

DonnaFerdinanda riseppe il discorso tenuto dal monaco nello stesso tempoche il suo sensale le dava una notizia strepitosa: don Blascononcontento d'aver comprato la tenuta di San Nicolaaveva preso dalDemaniogiusto in quei giorniuna delle case appartenenti alconvento: il palazzotto di mezzogiornol'antica abitazione dellaSigaraia; armeggiando così beneda farselo aggiudicare per unboccon di pane. Alloraapriti cielo.

-"Anchela casa?"gridò la zitellona. -"Iol'ho sempre detto che è un porcoun vero maiale! E fa la vocegrossa con gli altridopo quello che ha sulla coscienza!... Che gliestranei comprino i beni del conventosi capisce: non hanno nessunobbligo; ma lui? che se non l'avessero fatto monaco sarebbe morto difame? che s'è ingrassato a spese della comunità?..."

-"Onon era quello"rincaravano nella farmacia di Timpa -"chevoleva mangiarsi i liberi pensatori e bandire una nuova crociataaddosso agli usurpatori scomunicati e ridare la roba loro al Papa eda Francesco ii?"

Maa don Blasco importava adesso un fico secco se il Re chiamavasiFrancesco o Vittorio; chéentrato nella casa di San Nicolaci stava da papa: le botteghe le aveva affittate a buoni pattied ilprimo piano anchea un professore che dava lezioni nella scuolatecnica istituita nel convento. Scrupoli egli non ne provava; perchéanzise tutti i monaci avessero imitato il suo esempioaccaparrandole proprietà del monastero invece di sciupare i quattrini chene avevano portato viai beni di San Nicola non sarebbero andati inmano di estranei. -"Questoera il vero modo di riparare all'abolizione e non le vociate inutilie ridicole. Ricompràti i beni da tutti i monacil'avremmofatta in barba al governo!"

Eglise la pigliava ancora con questo governospecialmente per via delletasse che gli faceva pagare; peròsiccome i fedeli alla causadella reazione predicevano la fine della baldoria e il ritorno allostato antico e la restituzione del maltolto alla Chiesail monacoprotestava:

-"Comeil maltolto? Io ho pagato il Cavaliere e la casa con bei quattrinisonanti; ho affrancato il censoavete capito?... Me li hannoregalatio li ho rubatiperché possano riprenderli?"

-"Nondovevate comprarlisapendone la provenienza! E arriverà ilgiorno della resa dei contidel Dies irae: non dubitate!..."

-"Chi?Che? Chi ha da venire?..."gridava allora il monaco. -"Verràun cavolo!"

-"Lamano di Dio arriva da per tutto!... Le vie della Provvidenza sonoinfinite!..."

Leliti ricominciavano ogni dopo pranzo: quei borbonici e clericaliricevevano certi fogliacci dove la fine della rivoluzione era datacome certa ed imminente: gli articoli letti ad alta voceascoltaticome il Vangeloapplauditi ad ogni periodofacevano andare inbestia il Cassinese. Un giorno che la brigatadopo una di quelleletturegli diede addosso con maggior vivacità del solitodon Blasco s'alzòfece un gesto molto espressivogridòun: -"Andatea farvi!..."e se ne uscì per non metter più piede dallo speziale.Il pomeriggiopassando dinanzi alla bottegaaffrettava il passoguardando dritto dinanzi a sée se c'era gente seduta allimitaretraversava la stradaper passare dal marciapiede opposto.Egli non metteva neppur piede al palazzodove quell'usuraia dellasorella gracidava anche lei contro i compratori dei beniecclesiastici come se fossero altrettanti ladrie dove quell'altropezzo di Gesuita di Giacomo gli faceva la corte adesso che lo sapevariccoma non dava torto alla zia.

-"Vorrebbeche lasciassi a lui il Cavaliere!"gridava in casa alla Sigaraiaa Garino e alle figliuole. -"Aprenderlo da medi seconda manonon avrebbe scrupoli! Ma gli vorròlasciare trentasette mazzi di cavolia cotesto Gesuita e ladro!"

LaSigaraiaGarino e le ragazze approvavanorincaravano la doseparlavan male al monaco di tutta la parentelaaffinché eglilasciasse loro ogni cosa. E lo servivano come un Diosiprecipitavano ad un suo cennocamminavano in punta di piediquand'egli riposavagli tenevano compagnia fino a tarda notte se nonaveva sonnolo accompagnavano al Cavalieregli lodavano le suecolturele sue fabbrichela riuscita di tutte le sue speculazioni.

Unadi questeperòera venuta corta al Cassinese. Il Cavaliereera attaccatoda levantea un altro fondo del Demanio ancorainvendutoe la linea del confineconsistente in un'antica siepe difichi d'Indiain molti punti aveva soluzioni di continuità.Don Blascofacendo costruire un bel muro sodo e altoirto di rovi edi cocci di bottiglies'era appropriato qua e là moltiritagli di terra; a un certo angolodove non restavano piùtracce della siepeaveva annesso al Cavaliere un bel trattodell'altro fondo. Ora la cosavenuta in chiaro all'intendenza difinanzagli aveva fatto piovere in casa certa carta bollataper cuiil monaco s'era messo a sbraitare come ai bei tempi contro i ladriitalianie quasi quasi voleva riconciliarsi coi reazionari dellafarmacia.

-"Ame l'accusa d'usurpazione? Se la proprietà di San Nicolaarrivava fino alle vigne? Vogliono insegnare a me qual era laproprietà del conventocotesti ladri che hanno spogliato unregno?"

Garinoaggiungeva il resto; ma poiché le chiacchiere non facevanandare indietro i reclami del Demanioe una perizia avrebbe potutolegittimarlil'ex confidente di poliziavedendo che il monaco cis'arrabbiavagli disse un giorno:

-"VostraEccellenza perché non ne dice una parola a suo fratellodeputato?"

DonBlasco non rispose. Era già stato dal duca.

Daanni ed anni non rivolgeva più la parola al fratelloda untempo più lungo ancora lo vituperava in pubblico e in privato;don Gaspare dunque rimasevedendoselo apparire dinanzi. Il monacoentrò nello scrittoio del fratello col cappello in testacomea casa propria; disse: -"Tisaluto"col tono di chi vede una persona lasciata il giorno innanzi e si misea sedere. Il ducapassato il primo momento di stuporesorrisefinementedicendogli con lo stesso tono: -"Cheabbiamo?"e il monaco entrò subito in argomento.

-"Saiche ho comprato il Cavaliere da San Nicola? Non c'era più lalinea del confine e feci alzare un muro. Per questo il Demaniom'accusa d'usurpazione!.."

Ilduca continuava a sorridere in pelle in pellegodendoselae poichéil monaco tacevacredendo di non aver bisogno d'aggiunger altroegli che voleva avere la soddisfazione di sentirsi richiedere d'aiutoda quell'arrabbiato che gli aveva mossa tanta guerrafece:

-"E...?"

-"Nonsi potrebbe parlare a qualcuno?"

Nonera precisamente quel che s'aspettava; ma il ducain fondoera unbuon diavolonon aveva il fiele del principe e del Prioree se necontentò.

-"Vabene. Torna domani con le carte."

Cosìcon immenso stupore di tutta la parentelafuron visti i due fratelliandare insieme su e giù per le scale dell'intendenzadellaprefetturadel genio civile e del catasto. In pochi giorni la cosafu avviata bene; ma il duca suggerì al Cassinese una soluzionepiù radicale:

-"Perchénon compri addirittura l'altro fondo?"

-"Ei danari?"

-"Idanari si trovano!"

Eglili prendeva dalle banche delle quali era amministratore: con essispeculava sui fondi pubbliciriscattava le proprietà presedalla manomortane comperava di nuove; adessoper stare anche luida séfaceva fabbricare una grande e bella casa in via delPlebiscito... Per suo mezzodon Blasco fu ammesso allo sconto allaBanca dei Depositi e Creditie una cambiale di venticinquemila liredel monaco passò. Il Cavaliereingrandito di quasi il doppiodivenne così una proprietà ragguardevolissima -"unvero feudo"diceva Garinoil quale adesso esaltava il ducai suoi talentilapotenza a cui aveva saputo arrivare: ma i ciarlatani della farmaciaborbonica sbraitavano più di prima e profetavano imminente ilgiorno in cui don Blasco e gli altri sacrileghi avrebbero dovutorestituire il maltolto. Il monaco li lasciava cuocere nel loro brodoe non passava più nel tratto di strada dov'era la farmaciaché solo a vederli da lontano gli facevano venir da recere.Peròalla lungala mancanza della conversazione gli pesavae una domenicaincontrato per le scale il professore suo inquilinolo invitò a venirlo a trovare.

Ilprofessore diceva d'essere stato garibaldinonarrava il fattod'Aspromontenon parlava d'altro che di cospirazioni e minacciavaanche lui il finimondoma solo nel caso che l'Italia non andasse aRoma.

-"Voidunque dite che questo governo durerà?"domandava don Blascotrepidante.

-"Sefarà il suo dovere! Altrimenti lo manderemo all'aria come glialtri! Gli sbirri non ci spaventano! Abbiamo visto il fuoco. Sappiamocome si fanno le rivoluzioni!"

-"C'èperò gente che crede si possa tornare indietro..."

-"Tornareindietro? Ma bisogna andare avantiinvece! integrare l'unitànazionale! smantellare l'ultima cittadella della teocrazial'ultimobaluardo dell'oscurantismo!... L'umanità non torna indietro!Abbiamo sepolto il Medio Evo! Lo Stato dev'essere laico e la Chiesatornare alle sue originiperché come disse quel grand'uomo diGesù Cristo: "ilmio regno non è di questo mondo!""

Laconversazione dell'inquilinoquantunque di tratto in tratto glifacesse passare qualche brivido per la schienapiaceva moltissimo adon Blascoe un giorno anzimentre passava dalla farmaciaCardarellaantico ritrovo di liberaliil professoreche era lìdentro a discutere calorosamentelo chiamò. Parlavano dellesoppresse corporazioni religiosee il professore non voleva credereche le rendite di San Nicola toccassero certi anni il milione dilire.

-"Sissignore"confermò don Blasco. -"Erail più ricco di Sicilia e forse di tutto l'ex regno."

Allorail professore si scagliò contro i monacii pretii parassitid'una società che per buona sorte s'era finalmente -"sedutasopra altre basi".

Daquel giorno don Blasco prese l'abitudine di frequentare la nuovafarmacia. Vi bazzicavano i liberali più arrabbiati i qualigridavano contro il governocome quegli altri retrogradima per unaragione diversa: perché era un governo di coniglidi lacchédella Franciadi lustrastivali di Napoleone iii: perchéperseguitava i patriotti veri e faceva il Gesuita nella questioneromana. Gli rinfacciavano Aspromonte e Mentana; ma Roma doveva essereitaliana a dispetto di tuttio sarebbero scesi in piazza aricominciar le schioppettate. -"ORoma o morte!"vociferava il professoreil quale aveva sempre notizie di guerre edi moti rivoluzionari pronti a scoppiaree don Blascotra le gridadegli altrisentenziava:

-"IlSanto Padre dovrebbe pensarci a tempocon le buonee rammentarsidel Quarantotto; ché se allora non dava ascolto ai retrivioggi sarebbe il presidente rispettato della Confederazione italiana!"

-"Conle buone?"gridava il professore. -"Santecannonate vogliono essere! il sangue di Monti e Tognetti èancora fumante! Ci vuole il cannone per abbattere l'antro delfanatismo!"

Ungiornoentrò dal padron di casa con un'aria gloriosa etrionfante:

-"Questavolta ci siamo! La guerra è pronta!"

DonBlascoturbato dalla notiziapoiché temeva che d'una guerrafosse minacciata l'Italiasi rassicurò quando l'inquilino gliriferì che l'elezione d'un principe tedesco al trono di Spagnaera considerata dalla Francia come un casus belli. -"Ilnostro dovere..."Mamentre spiegava il dovere dell'Italiavenne un servitore di casaUzeda. Il principe mandava a chiedere notizie dello zio e nellostesso tempo l'avvertiva che Ferdinando stava molto malee che erabene fargli una visita. Don Blascoa cui premeva sopra ogni cosaudire il verbo del suo nuovo amicorispose:

-"Vabeneva bene; domani ci andrò..."

9.


Ferdinandodeperiva da un anno. Nel viso emaciatonegli occhi giallinellelabbra bianchegli si leggeva da un pezzo un malessere secretoun'intima sofferenza; macome s'era creduto affetto da tutti i maliquando stava benissimocosì adesso che qualcosa si disfacevanel suo organismose gli domandavano che avesserispondevaseccato:

-"Nulla!Che ho da avere? Volete che m'ammali apposta?"

Erispose una mala parola al principe il giorno che questi gliconsigliò d'andarsene un poco alle Ghiande a respirare l'ariasana della campagna. Non voleva più sentire neppur nominare lasua terra. I libri che gli erano costati tanti quattrinis'impolveravano e tarmavano negli scaffaligli strumentis'arrugginivano e si rompevano; solo il podere prosperavaadesso cheegli non sperimentava più novità. Incaponitosi a negarele sue sofferenzei dolori di stomacoi disturbi visceraliliattribuiva a cause fantastiche: alla poca cottura del paneallospirare dello sciroccoal fresco della sera; ma egli cadeva in unatristezza lugubrein una funebre ipocondria. Per lunghe e lunghegiornate non diceva una parolanon vedeva anima viva: chiuso nellasua camerabuttato sul lettose ne stava immobile a seguire il volodelle mosche; quando la crisi passavafaceva grandi scorpacciate diroba indigeribile. Una notte d'estateil cameriere spaventato da unvomito nerastro e da una diarrea sanguinolentamandò ilfigliuolo al palazzoper avvertire la famiglia.

All'arrivodel principe e alla proposta di mandare a chiamare un medicol'infermo gridò che non voleva nessunoche s'era rimessointeramente. Ma adesso tutti comprendevano che il caso era grave.Lucreziala compagna della sua fanciullezzaebbe un bell'insistereper dimostrargli la convenienza di una visita medica; egli minacciòdi chiudersi in camera e di non ricevere più nessuno. Ma ilsuo polso scottava dalla febbre. Per vincere quell'ostinazionedovettero ricorrere a un artifiziocome con un fanciullo o con unpazzo: finsero che un ingegnere dovesse rilevar la pianta della casae introdussero così un dottore in camera sua. Il dottorescrollò il capo: la condizione dell'ammalato era molto piùgrave che non credessero. A trentanove anni egli se ne moriva: ilsangue vecchio e impoverito dei Viceré si corrompevanonnutriva più le flaccide fibre. Per tentar di combattere ladiscrasiuna cura e una dieta severissima erano necessarie; ma ilmaniaco non ascoltava nessunotanto meno i parenti. Se essiinsistevanoegli gridava: -"Nonla volete finire?"Fittosi in capo che stava benissimose coloro pretendevano per forzache fosse ammalato voleva dire che desideravanoche aspettavano lasua morte. Perché? Per raccogliere l'eredità! Egliconfidava la cosa al cameriere; gli dicevaquando gli Uzeda andavanovia:

-"Crediche costoro vengano qui per amor mio? Vengono per la roba! Un'altravolta dirai loro che non ci sono."

Mala sua roba era già bell'e andata. Dapprima per lespeculazioni stravaganti che avevano rovinato la terrapoi per lespese matte di libri e d'ordegnipiù tardi per le ruberie delfattore; quand'egli non aveva voluto veder le Ghiande neppure dalontanos'era messo a fare qualche debituccio. Senza stupirsenesenza indagarne la ragionesi vedeva attorno gente che gli offrivadenarodentro una certa misurabeninteso. Ed egli firmavacambialinee le cambialine andavano a finire in mano del principeil qualeadocchiando le Ghiande e comprendendo che quel matto nonavrebbe fatto testamentose le accaparrava a quel modo. Il maniacoincapace di calcolare a qual tasso prendeva quei quattrinicredendosi ancora padrone della robaera persuaso che i parenti glistessero attorno aspettando la sua morte: appena li vedeva apparirepertantovoltava loro le spalle tranne che al nipote Consalvo.

Ildebito di costui era stato finalmente pagatoe tutti attribuivano adonna Ferdinanda la largizione. Ma la zitellona non aveva dato unsoldo. Sarebbe crepata d'accidente se avesse dovuto metter fuori nonseimila lirema seicentoma sessanta!... I quattrini erano statirealmente sborsati dal principeal qualecon una generositàche edificò tuttila principessa Graziella persuase diperdonare il figliastro. Era mai possibile che la firma delprincipino di Mirabella fosse protestata? Lei viventequesto nonsarebbe accaduto; piuttostose Giacomo si fosse ostinato a dir dinoavrebbe pagato lei del suo! Per Consalvocome anche perTeresinaella sentiva l'affezione d'una vera madrequantunque nonlo avesse portato in grembo e il figliastro la ripagasse cosìmale. -"Mache ci posso fare? Non si comanda al cuore! Bastaun giorno ol'altro egli s'accorgerà che non merito simile trattamento..."Così ella aveva indotto il principe a pagar la cambialemaaveva pure trovato l'espediente di far credere alla generositàdella zitellonaperché Consalvo non facesse assegnamento inavvenire sulla debolezza paterna. Tra padre e figlio l'avversione eracresciuta frattanto di giorno in giorno; Consalvoper sfuggire lacompagnia del principe e per darsi contemporaneamente l'aria di unsacrificatodisertava la casa paterna; ma invece di andarsene congli amici al caffèal clubandava dallo zioal qualeportava i giornali e leggeva le notizie politiche. L'infermos'appassionava moltissimo alla guerra minacciataera quello anzil'unico tema che avesse la virtù di sciogliergli la lingua.Don Blascovenuto finalmente a visitare il nipotediscuteva anchelui con passione intorno a quel soggettoripetendo gli argomenti delprofessore; ma il duca assicurava che si trattava d'un falso allarmee che guerra non ci sarebbe statacon un'aria così convintacome se Napoleone gliel'avesse confidato in gran secreto.

Scoppiòfinalmente la notizia della dichiarazionee il grand'uomo esclamòallora che Bismarck e Guglielmo dovevano aver perduto la testa. Oscherzavano? Attaccar Napoleone? L'esercito franceseil primo delmondoavrebbe sbaragliatotritatopolverizzato il prussianoepreso Berlino fra due settimane al più tardi!... Invecearrivarono i telegrammi annunzianti le vittorie tedesche; e alloragli avversari del deputato ripresero a sbertarlo con maggior lena.Quella bestia con la prosopopea d'un Cavour redivivo non era neppurbuono di capire le cose più evidenti; smentito dai fattiostinavasi nella sua sciocchezzaannunziava i nuovi piani deifrancesila loro imminente rivincital'intervento delle potenze!...Ferdinandodal fondo della poltrona che adesso non lasciava piùperché le gambe non lo reggevanostava a udire quei discorsicon tanta ansietà quasi ne dipendesse la sua salute. Tremantedalla febbrecon la fronte in fiammeuna nuova fissazionesconvolgeva il suo cervello esangue: quella delle vittorienapoleoniche che egli voleva a qualunque costo. Comprata una cartadel Renopassava le sue giornate a piantar spilloni in tutti i postifrancesi e spille piccole nei prussiani: col bollettino della guerraalla manostudiava le operazioni dei due esercitimutava di posto isegni secondo i mutamenti realie a misura che le spilles'avanzavano e gli spilloni retrocedevanola sua malattias'inaspriva. Con voce raucacavernosaspiegava quel che i francesiavrebbero dovuto fare per riottenere le posizioni perdute:improvvisava piani strategicidisegnava ogni giorno parecchi teatridella guerradisponeva a modo suo delle divisioni e deireggimentiesclamando: -"Questodi qua va làquello di là va qua..."finchéstancoabbattutocon le mani penzoloni e la testarovesciatachiudeva gli occhi e schiudeva la bocca quasi fosse sulpunto di spirare.


Frattantoil ducasentendo crescere l'opposizione e venirgli meno il terrenosotto i piedicomprendendo la necessità di far qualche cosaper rialzare il proprio prestigiopreparava un colpo di mano. Leinquietudini della guerra accrescevano il malcontento comunegliavversari del governo se ne giovavano per gridare e minacciare piùforte. L'opposizioneche nei diversi partiti e nei diversi ordinisociali procedeva da diversi motivi e tendeva ad opposti scopis'accordava pel momento nel chiedere a una voce Roma. Come piùla fortuna della Francia precipitavale accuse di fiacchezza e divigliaccheria al governo fioccavano da ogni parte; le minacce diprendergli la mano parevano dovessero tradursi in atto da un momentoall'altro. Oramentre quasi tutti i soddisfatti tenevano a bada imalcontenti e consigliavano la prudenza e navigavano tra due acqueuna sera il ducache se n'era stato nelle sue terresi recòal Circolo Nazionale dove battagliavasi giorno e notteed espressesenza esitazioni il suo pensiero: era venuto il momento d'agire! Seil governo si lasciava scappare quest'occasionenon avrebbe piùavuto nessuna scusa agli occhi della nazione! Egli aveva semprecombattuto le impazienze del partito avanzatoperchéseerano generosepotevano far male al paese. Oggi però i tempierano maturiqualunque indugio sarebbe stato una colpa inescusabile.Se a Firenze non facevano il loro dovereegli minacciava -"discendere in piazza con le carabinecome nel Sessanta".

-"Ahbuffone!... Ahvecchia volpe!..."esclamavano nel campo avversario; maa dispetto dei suoidenigratoriquelle opinioni francamente professate e ripetute ognigiorno a chi voleva e a chi non voleva udirle sostenevano ilpericolante credito del duca. Benedetto Giulente era rimastoudendole; poichéprevedendo che lo zio avrebbe seguito finoall'ultimo la politica dei temporeggiatorisi era messo con quelli.Rimase ancora peggio quando il duca venne a trovarlodicendogli chebisognava ricominciare a pubblicare l'Italia risortaperspingere il governo sulla via di Roma: i tempi erano maturi e a nonsecondare la corrente si rischiava d'esserne travolti.

Benedettoquantunque spendesse tutto il suo tempo al Municipiomise insiemeuna redazione d'impiegati comunali e di maestri elementariepubblicò il foglio. Lucrezia fece cose dell'altro mondo controquella bestia che voleva Romaora -"quasipotesse mettersela in tasca o portarla a vendere alla fiera!"Ma gli infiammati articoli di Benedettoil quale diceva che il ducaera col popolopronto a partire per Firenze se i governanti nonvolevan udire la voce del paeseprocuravano all'onorevole nuova auradi popolarità.

Ilgiorno che arrivò la notizia della lettera di VittorioEmanuele al Papaarrivò pure da Romainaspettato ospitedonLodovico. Egli aveva dato appena una volta l'anno notizie di séalla famigliatutto intento ai doveri del suo ufficioallapreparazione della sua fortuna che oramai era avviata. In poco piùdi tre anni era già segretario a Propaganda ed Arcivescovo diNicea; Pio ix aveva molta stima di lui. Al principeche nel primomomento lo guardò come uno piovuto dalla lunaegli dissecontono di dolce rimprovero:

-"Ferdinandoè in fin di vitae mi scrivete appena che sta poco bene? Senon fosse stato per Monsignor Vescovonon avrei saputo la verità!"

Eandò a mettersi al capezzale del fratello infermo. Questi nonlasciava più il letto; quando chiudeva gli occhiil suo visoverde e affilato pareva d'un morto; ma rifiutava i rimedi con piùostinazione di prima. Come più il suo corpo si disfacevagliultimi barlumi dell'offuscata ragione si spegnevano: adesso mandava acomprare ogni giorno dozzine e dozzine di scatoline di spilloni erisme di carta e pacchi di matite. Quella roba avrebbe dovutoservirgli per tracciar piani di campagnaper infigger segnali dipiazzefortidi accampamenti e di quartieri generali; ma eglidimenticava lo scopo degli acquisti e ne ordinava sempre nuovi egridava e smaniava se non l'obbedivano. Con evangelica pazienzaconzelo indefessocon ammirabile abnegazionedon Lodovico vegliaval'infermosecondava le sue manie; e frattanto — Baldassarre neera disperato — le male lingue andavano spargendo che egli eratornato in Sicilia non per amore del Babbeoal quale non aveva maipensatoma per evitare di trovarsi a Roma in quei momenti criticiper poi prender consiglio dagli avvenimenti!...


Gliavvenimenti incalzavano. I soldati italiani avevano ricevuto l'ordined'avanzarsi nello Stato romano. L'attesa delle notizie era febbrile;il ducadomiciliato alla prefetturaapriva i telegrammi delprefetto e andava poi a diffonderliquasi li avesse ricevutidirettamente da Lanza.

-"Èarrivata la fine del mondo!"gridava la zitellona da Ferdinando presso al quale la famiglia adessosi riunivain una stanza lontana da quella del moribondoche nonvoleva attorno nessuno. E il principe scrollava il capoe laprincipessa Graziella si faceva il segno della croceintanto cheMonsignor don Lodovico mormoravacon gli occhi a terra:

-"Bisognaperdonar loroperché non sanno quel si fanno..."

Lucreziapareva una vipera contro il maritoe nessuno parlava del ducalacui condotta era una vergogna; ma donna Ferdinandaincrollabilenella sua fedesi scagliava peggio che mai contro don Blascoilquale andava anche lui predicando per le farmacie:

-"Iol'ho sempre dettoPio ix"non gli dava più del Santo Padre -"dovevapensarci a tempo e a luogoquando era l'arbitro della situazione.Adesso che vuole? Chi è causa del suo mal pianga sestesso!..."

Efattosi socio del Gabinetto di letturaci andava tutti i giorni colprofessore per saper le notizie e assicurarsi contro il timore didover restituire la roba di San Nicola; pertanto vociava contro itiepidisosteneva a spada tratta il fratelloleggeva ad alta vocegli articoli di fuoco di Giulenteapprovandoliammirandoli:

-"Eh?Come scrive mio nipote! Questo si chiama scrivere!"

Mala recente apostasia di don Blascol'antico tradimento del ducanontoglievano al resto degli Uzeda la stima dei puri; presso la Curiaspecialmentela loro condottala fedeltà prestata ai saniprincipila costante devozione alla buona causa li facevanconsiderare come figli prediletti. Un giornononostante la tristiziadei tempiMonsignor Vescovo si recò da Ferdinando perrestituire la visita fattagli da don Lodovicoper avere notiziedell'infermo e consolare l'afflitta famiglia. Tutti andarono intornoal prelato e gli baciarono la mano; la principessa dalla commozioneaveva le lagrime agli occhi.

-"Chenotizie del nostro caro ammalato?"

-"Nonva beneMonsignore"rispose Lodovicosospirando di tristezza. -"Abbiamopersino dovuto dispacciare a nostro fratello Raimondo..."

-"Manon ci ha da esser proprio rimedio?"

-"Abbiamoprovato tutto: l'acqua di Lourdesle medaglie di Loreto..."

-"Benebene... ma avete chiamato un dottore? Che farmaci gli avete dato?"

-"Oramai!..."parve voler dire Lodovicoaprendo le braccia. -"Lavita del nostro povero fratello non è più nelle manidegli uomini..."

Eglinon disse che Ferdinando era impazzito del tutto. La sorda diffidenzadestatasi in lui contro i fratelliil secreto sospetto che non gliaveva consentito di attribuire all'affezione le loro premurefastidioseerano cresciuti di giorno in giorno e avevan invasotalmente il suo cervelloche non capiva più nessun'altraidea. Egli che per trentanove anni aveva dato prova di tantodisinteresse da meritar dalla madre il nome di Babbeoda lasciarsirubar da tuttisi rivelava a un tratto dei Viceré con quelsospetto buffo e pazzoadesso che non aveva più nulla dalasciare. Come la sua fibra si infiacchiva e il suo cervello siscombuiavail sospetto crescevafinché diventòfuriosa certezza all'arrivo del fratello Raimondo.

Ilconte arrivò insieme con la moglie ed il figliuolo.Invecchiata di trent'annila povera donna Isabella; irriconoscibilecome un giorno era stata irriconoscibile la Palmi. In quei cinqueanni che erano stati fuoria Palermoa Milanoa Parigicome ilcapriccio del marito aveva volutocerte voci di tanto in tantoarrivate in Sicilia dicevano che ella pagasse amaramente il malefatto alla prima contessa; che Raimondostufo finalmente di quelladonnal'acquisto della quale gli costava assai caronon potendopensare ad infrangere la seconda catena scioccamente postasi alcolloavesse ricominciato a correre la cavallina molto peggio diprimaa portar le ganze fresche nel mutato letto coniugaleamaltrattare in ogni modo la nuova mogliecui non giovava mostrarprudenzapazienzasommessione ed umiltà per schivar l'astioil rancorequasi l'odio del marito. Ma quantunque le voci nonfossero incredibilidato il carattere di Raimondonon avevanotrovato tuttavia molto creditopotendo esser messe in giro dagliinvidiosi di donna Isabelladai nemici del contedalle eterne malelingue. All'arrivo di Raimondo non fu possibile persistere neldubbio. Egli scese all'albergocome sette anni innanziquando avevadefinitivamente abbandonata la prima famiglia; ma questa voltaaccompagnato da quattro o cinque tra governantibonnes ecameriere: giovani tutteuna più bella dell'altrasvizzerelombardeinglesiun vero harem internazionale. Aveva una cameraseparata da quella della mogliee quando i parenti andarono a farglivisitaudirono che dava a costei del voilessero in viso adonna Isabella le sofferenze espiatorie. Ella era mutata oltre chenelle fattezze anche nei modi: parlava adagioevitava di guardare ilmaritopareva timorosa di spiacergli perfino con la sola presenza. ERaimondo non nascondeva i propri sentimenti verso di lei: quel voiera già molto eloquentema egli affettava di non rivolgerlela paroladi non udire quel che ella diceva: quando andò avedere il fratello infermo le dissein presenza dei parenti:

-"Nonoccorre che veniate anche voi."

Orail Babbeoche non ragionava piùalla vista del fratello ebbeun assalto di manìa furiosa. Con gli occhi stravolticoicapelli arruffati sul viso scarno e paurososi mise a gridare:

-"Assassini!Assassini!... I prussiani!... Vogliono avvelenarmi!..."

Gridòcosì tutta la nottedelirante; macessata la crisil'idearimase fissaincrollabile. E per paura del velenocolla manìadella persecuzionenon schiuse più bocca: tutte le volte chegli si appressavano per dargli del cibo stringeva i dentiurlavatrovava nelle bracciaspaventosamente magrela forza di respingerei tentativi di fargli ingoiare un sorso di brodo o di latte.

-"Aiuto!...Bismarck! Assassino!..."

Lucreziagli si metteva accantolo prendeva per manogli domandava:

-"Madi chi hai paura? Non ci riconosci?... Credi che ti voglia avvelenareio? O Giacomo? O Raimondo?..."

Ilpazzo sorrideva d'incredulitàma quando ritentavano di fargliprendere un bocconeper prolungargli di qualche giorno la vitaperché non morisse di famericominciava a urlare: -"Assassino!...Aiuto!... Assassino!..."

Unaseramentre don Blasco stava per uscir di casa insieme colprofessoreil cocchiere del principe venne a dirglicol fiato aidenti:

-"Eccellenzal'aspettano dal Cavaliere... Sono tutti lì... Portano ilviatico al signorino Ferdinando..."

Ilmonaco aveva una gran fretta di andare al Gabinetto per sapere chec'era di nuovo. Le ultime notizie dicevano che le truppe italianeerano dinanzi a Roma; e se la curiosità universale eravivamente eccitatadon Blasco smaniava addirittura. Nondimenoaquell'annunzio di mortestava per rispondere che sarebbe subitoandatoquando arrivò a precipizio un altro messo da parte delduca.

-"SuaEccellenza l'aspetta subito a casa... È affareurgentissimo..."

-"Vengo."

Ilprofessoredeclamando contro il tribunale del Sant'Uffizioloaccompagnò fino alla nuova casa del ducadove questi s'eradomiciliato dal primo del mese. Giunto dinanzi al portoneil monacochiese permesso al compagnoil quale restò ad aspettarlopasseggiando su e giù. Dopo due o tre minuti riapparve donBlascopallido in visocorrendo e agitando un pezzo di carta:

-"Ènostra!... È nostra!..."

-"Chi?...Che cosa?..."

-"Venite!..."esclamava il Cassinese allungando il passo e ansimando. -"AlGabinetto! Roma è nostra! La breccia è aperta!..."

-"Come?...Aspettate!... Fatemi vedere..."

-"Avanti!...Avanti!... Mio fratello ha ricevuto il dispaccio... Le truppe sonoentrate... Andiamo al Gabinetto!..."

Piovvelìtra la gente seduta sul marciapiede al frescocome unabomba:

-"Ènostra! È nostra! È nostra!... Roma ènostra!..."

Tuttis'alzaronocircondandoloparlando insiemelevando le braccia. Eglispiegava il pezzo di carta dove il duca aveva riadattato iltelegramma ricevuto dal prefetto per togliergli il carattereufficialemutando l'indirizzo per far credere che fosse venuto alui; e la gente accorreva dal fondo delle salei passanti sifermavanola folla ingrossava da un momento all'altro. Tuttivolevano leggere la notiziama don Blasco non dava a nessuno ildispaccio che nella ressa correva pericolo d'essere stracciato inmille pezzi.

-"Leggete!...Leggete!... Vogliamo sentirlo!..."

Salitoallora sopra una seggiolail monaco lesse col suo vocione: -"Firenzeore 5 pomeridiane: Onorevole d'OraguaCatania. Oggi alle ore dieciantimeridianedopo cinque ore di cannoneggiamentotruppe nazionaliaprirono breccia cinta di Porta Pia... Bandiera bianca alzata suCastel Sant'Angelo segnò fine ostilità... Nostreperdite venti morticirca cento feriti..."

Eun urlo si levò tutt'intorno. Ma don Blascodominando leurlagridò:

-"All'Ospizio...per la musica... Fermi!... Le bandiere..."

Inun attimo tutte le bandiere del Gabinetto furono recate dai camerieristorditi dalle grida. Don Blasco ne agguantò unas'aprìun varco tra la folla e vociò nuovamente:

-"All'Ospizio!...All'Ospizio!..."

Perviale grida di Viva l'Italia! Viva Roma! echeggiavanod'ogni intornola dimostrazione s'ingrossava; quelli che ignoravanoancora di che si trattasse gridavano per sapere che cos'era successoe tutti rispondevano:

-"Latruppa ha preso Roma!... È venuto il dispaccio al deputatoalduca d'Oragua!..."

Quandola banda dell'Ospizioriunita in fretta e in furiacominciòsonareil clamore divenne assordante. E mentre i sonatori e il capomusica domandavano:

-"Dache parte?... Dove si va?..."

-"Daldeputato..."risposero diecicento voci; -"dalduca..."

Tuttele finestre illuminatein casa dell'onorevole; una bandiera chepareva una vela di bastimento sventolante al balcone di mezzoildeputato che in persona rispondeva salutando col fazzoletto allegrida di:

-"VivaRoma capitale!... Viva Oragua!... Viva il deputato..."

Aun trattomentre alcuni gridavano per ottener silenzioaspettandoun discorso d'occasioneil duca scomparve. Per evitare il pericolodi dover parlarepoiché Giulente non lo poteva aiutareessendo con la moglie al letto dell'agonizzante Ferdinandoegliscendeva incontro ai dimostrantiveniva a mescolarsi tra la folla.

-"Evviva!...Evviva!... Alla prefettura!..."

Ela marcia ricominciò. Don Blascocon la bandiera aspall'armela tuba un poco di traversoil colletto monacale madidodi sudoreandava in mezzo alla dimostrazione a braccio delprofessore che lo aveva ripescato e non lo lasciava più.

-"Fuorii lumi!..."gridavano i suoi seguaci a ogni passoe applausi e fischis'alternavano secondo che le finestre illuminavansi o restavanoserrate e buie com'erano. Dinanzi a una bottega di merciaiolafiumana dei manifestanti s'arrestò un momento: -"Letorce!... Le torce a vento!..."E tutte quelle che si trovarono furono distribuite e acceseimmediatamente. La luce foscafumosa si rifletteva contro le caseilluminandolestrappando vivi bagliori ai vetri delle finestre; sulmare delle teste fazzoletti e cappelli s'agitavano; la banda eccitaval'entusiasmo sonando a tutto andare la marcia reale e l'inno diGaribaldi; e le grida echeggiavano più fortepiù altepiù spesse intorno all'onorevole:

-"VivaRoma!... Viva l'Italia!... Viva Oragua!..."

Aun tratto la dimostrazione s'arrestò nuovamente come sequalcuno le contrastasse il passoe un vario vocìo si levò:

-"Ancora!...Avanti!... Abbasso!... Morte!... Chi è?... Che c'è?..."

Daun vicolo era sbucato un frate: alla vista della tonaca i dimostrantiche andavano innanzi s'erano fermati e gridavano sul muso almalcapitato:

-"Abbassoi preti!... Abbasso le tonache! Viva Roma nostra!..."

Ilfratelivido in voltocon gli occhi spalancatiguardò unmomento la folla minacciosa e urlante; di repentealzò lebracciagridando anche luiscompostamente:

-"Eh!...Eh!..."

-"Èil matto... lasciatelo andare!..."esclamarono alcuni; ma pochi udirono l'avvertimentoe la folla simise in moto gridando:

-"Morteai preti!... Abbasso il temporale!... Abbasso!... Morte!..."

DonBlascoallungato il colloriconobbe fra' Carmeloun altro degliUzeda ammattitoil bastardo che a dispetto della fede di battesimosi rivelava anch'egli della famiglia. E il professorealla vistadella tonacase era un energumenoinferocì come un torelloal rosso:

-"Morteai corvi!... Giù i tricorni: viva il pensiero laico!...Abbasso l'ultramontanismo!..."

Ilpazzoalla luce fantastica delle torcecontinuava a gestirescompostamentea gridare: -"Eh!...Eh!..."senza riconoscere l'ex paternità di don Blascoil qualepernon esser da meno del professore che gl'intronava le orecchievociava anche lui:

-"Abbasso!...Morte!... Abbasso!"




Parteterza



c


-"Signoreonorandissimo

-"L'origininommenché l'istoria della patria nobiltà saperetornar'in mente non dev'a ciascunispecie in ta' tempi che la vengonstimando da sezzoin quella vece che tuttosì dagli esteriammirando si viene. Da ricapo narrarladopocché il MugnosilVillabianca ed altri famosi a sé recarono immortalitàsbrancandone quel denso velochiarirsi potrebbe un fuor'opera; sequei valentuominiper legge di naturaarrestati non fossers' aitempi che vissero. Masenzaché il proseguiment'insin'a nostriultimi giorniun altr'oggetto ne rischiara la convenienza; vogliamdir la rarezza di quell'oper'insignicui non a tutt'èdat'acquistare. Quind'è perciòall'oggettocchétra le mani dell'universale una nuov'opera messa in giornata negisseabbiam divisato dettarla. E attalché non ci s'imputi insuperbia a tant'impres'azzardarcinon vogliamo far senza di porrequi bocca sulla scienza che dell'araldiche discipline noi succhiammouna col lattesì come quelle ch'a discendente di non ultimatra le sicole blasonate famigliefamigliapiù convenissero.Lusingarci da indi possiamo chela mercé d'uno studioindefessonommenché la paziente compulsione d'archiviimportanti e zeppati di documenti solo noi dato esaminaresaraccidato fornire l'assunto come disse il Poetasenza infamia sicuroforse con lode.

-"Comecchécultore d'istoric'istudii ed amante delle patrie glorieVostraSignoria Onorandissimaecheggiando al nostro propositonegar nonvorrane il suo ambito concorso; laonde viviamo fidenti della suafirma nella scheda dove le soscrizioni si ammozzolano. Bassa idea diguadagno non spronaciladdiomercé not'essendo non averne poiuopo; nonperoddimanco onde coprire in parte le pure semplici speseabbisognamo il suo appoggio. Delché dormiam'in guanciali.


schedadi soscrizione all'opera


delcavaliere don Eugenio Uzeda dei principi di Francalanza e Mirabelladuchi d'Oraguaconti della Lumeraetc.etc.; già Gentiluomodi Camera (con esercizio) di Sua Maestà il Re Ferdinando II;medagliato dell'ordine ottomano del Nisciam-Ifitkarda Sua Altezza il Bey di Tunisimembro di varie Accademieetc.etc.intitolata:


l'araldosicolo


consistentenell'istoria documentata dell'originisort'e vicende delle NobiliFamiglie Siciliane da' tempi più oscuri infino al giornod'oggi: ben tre volumidi cui il primo testoil secondo alberigenealogiciil terzo stemmi. Usciranno una dispensa ogni mese.Prezzo d'ogni dispensa: lire due. Associazione all'opera completalire cinquanta. — N.B. Chi procura sei soscrizioni avràdiritto a pubblicare il proprio albero genealogico. Chi ne procuradodici avrà tuttosì lo stemma colorato."

Questacircolarediffusa a centinaia e centinaia di copieprovò aiconcittadini del cavaliere don Eugenio che egli era ancora tra ivivi. Nessuna notizia di lui arrivava più da anni; sulle primeaveva scritto ai parenti chiedendo quattrini in prestito per grandi esicure speculazioni; ma poiché gli rispondevano piccheavevafinalmente smesso. Che cosa avesse fatto tanto tempodove fossestatonon seppe nessuno. Nessuno di quelli che andavano a Palermo lovide mainessuno udì parlare di luie insomma l'ignoranzadei fatti suoi fu così grandeche molti avevano suppostofosse passato zitto zitto al mondo di là. La posta non avevafinito di distribuire il manifesto dell'Araldo sicolochearrivò l'autore in persona.

Mancavada tanti annied era naturalmente invecchiatotoccando ormai lasessantina; ma stranamente imbruttitoanchee quasiirriconoscibile. Sul viso dimagrito ed emaciato il naso sembravaessersi allungatocome una trombauna proboscideun'appendiceflessibile atta a frugare in mezzo al letame; la caduta dei dentiaffossando la boccaaveva contribuito anch'essa a quell'apparentecrescenza che dava a tutto il viso un aspetto bassoignobile e quasianimalesco. Indossola sordidezza della camicia e dell'abito a codatroppo lungo e troppo largocon un panciotto che era stato bianco el'untume del cappello che pareva sudasse dal troppo caldolofacevano prendere per un servitore di trattoria o per un bigliardieredi bisca; la gotta che gli tormentava i piedi lo costringeva adun'andatura storta e strisciante. Prese alloggio in un albergod'infimo ordine; ma alle prime persone alle quali si diede aconoscere — giacché nessuno lo riconosceva — eglidisse che non aveva trovato camere disponibili al Grand Hotel e chepartito improvvisamente da Palermonon aveva potuto portare con séi bauli... i bàulicome pronunziava.

Lasua prima visita fu pel capo della famiglia; magiunto dinanzi alportone del palazzovide con stupore che era chiusocol solosportello aperto. Datosi a conoscere come zio del padrone al nuovoportinaio che lo squadrava da capo a piedisentì rispondersiche non c'era nessuno: né il principené laprincipessané Consalvo: partiti tutti: il signorino inviaggio da quasi un annoi padroni per togliere dal collegio lasignorina e farle vedere un po' di mondo. Non bene persuasocome unoavvezzo ad esser mandato viail cavaliere alzava gli occhi allefinestrepareva voler guardare a traverso i muriquando s'udìsalutare:

-"Eccellenza?...Vostra Eccellenza qui?"

EraPasqualino Risoil cocchiere. Anche lui era andato giùnonsfoggiava gli abiti elegantigli anelli e le catene d'oro d'untempo.

-"TuttipartitiEccellenza... La casa è vuota!"

-"Quandotorneranno?"

-"NonsappiamoEccellenza; forse per le vendemmiei padroni..."-"Eil principino?"

-"Ahil principino non per ora..."

DonEugenioi cui occhietti luccicavano di curiosità sul visoaffamatos'accomodò sulla seggiola senza spalliera che ilportinaio teneva dinanzi all'uscio del suo stanzinodomandando:

-"Perché?Che c'è di nuovo?"

Ea poco a pocoPasqualino rivelò la verità. Ilsignorino non poteva più stare in casaalmeno per un certotempoa cagione dell'urto continuo col padre. Dai tanti dispiaceriil signor principe era caduto ammalato. Quanto a don Consalvonon sipoteva dire che s'affliggesse tanto da farne una malattiama neanchelui doveva ingrassare a furia di dissapori e di diverbi; il meglioperciò era che se ne stesse un pezzo lontano... Così ilprincipe avrebbe trovato tempo di placarsidi persuadersi cheinfin dei contiil figliuolo non aveva ammazzato nessuno! L'accusavanodi non interessarsi alle faccende dell'amministrazionedi trattarmale la madrigna? -"MaVostra Eccellenza sa com'è fatto il signor principe: piuttostoche dare ad altri i registri dei conti o le chiavi della cassasilascerebbe tagliare tutt'e due le mani!... Alla principessa ilsignorino non vuol bene come una madrequesto è vero: madreperò ce n'è una sola: dico benecavaliere? La madrignabasta che la rispetti; e rispettarlala rispetta..."La ragione vera del dissenso era pertanto un'altra: che il signorprincipe non voleva metter fuori quattrinie il principino invecespendeva da signore... Perciò il signorino aveva firmatoqualche cambialetta; e ogni volta che i creditori ne presentavano unaal signor principeparevaDio ne scampi e liberi tutti quantichegli pigliasse un accidente secco. E voleva perfino farlo arrestarecome se una cosa simile potesse dirsi per puro semplice scherzoincasa Francalanza!

Fattoun gesto d'indignazionePasqualino prese un'altra seggiola nelbugigattoloe sedette accanto al cavaliereil qualescrollandogravemente il capotrasse di tasca mezzo sigaro spento e chiese uncerino al cocchiere. -"AlloraVostra Eccellenza permette?..."E accesa la sua pipa riprese il filo del discorso. Per chi dunqueaveva ammassato tante ricchezzeil signor principe? Per se stessono; giacché non ne godeva; per la figlianeppure; perchéuna volta maritatala signorina Teresa avrebbe preso la sua dote ebuona notte; dunquepel figlio. Alloraperché tenerlo acorto di quattrini? Un giovanotto come il principino di Mirabellaaveva bisogno di tante cose; dovevaper necessitàfar tantespese!... Il padrone non lo capivalui chegiovaneera vissuto damonaco. -"Masiamo tutti fatti ad un modo?"E poii tempi erano mutati: i signori dovevano spenderese volevanoessere considerati; se noil primo ciabattino arricchito si reputavada più di loro!... E nel rammarico di non poter piùguadagnare come un tempo sulle spese intime del padroncinoPasqualino qualificava arditamente di porcherie le lesinerie delprincipe: diceva che per una lira colui avrebbe rinnegato ilfigliuolo; lasciava intendereper trarre dalla sua il cavalierecheil capo della casase fosse stato un altroavrebbe dovuto aiutare iparenti che non erano ricchi quanto lui... Don Eugeniofumando esputandocon le gambe magre da don Chisciotte accavalciatechinavail capodava ragione al cocchieresi dava ragione da sé:-"Iol'avevo detto... così non poteva durare... mio nipote ha uncerto modo!..."

Alfresco del vestibolo la conversazione si prolungava: padrone e servodiscorrevano intimamenteda pari a parimescolando il fumo dellapipa e del sigaro; anziquantunque Pasqualino non fosse elegantecome un tempopure sembrava il padronee don Eugenio il creato. Ilguardaportonetra scandalizzato ed invidioso della confidenza che ilcavaliere accordava al cocchierespasseggiava dignitosamente dinanziall'entratacon le mani sul dorso del soprabitone gallonato.

-"Chiè quel pezzo di straccione?"gli domandavano i commessi dell'amministrazioneuscendo dopo illavoro.

-"Unozio del signor principedice!"


Etutto sommatofu la miglior accoglienza che ebbe il povero donEugenio. Il domani egli cominciò il giro dei parenti che eranoin città: andò prima di tutti dal fratello don Blasco.

Ilmonaco pareva sul punto di scoppiare: il pancione gli s'era imbottitodi lardo e la testa ingrossata; il mento si confondeva con la massagelatinosa del collo. Non poteva muoversiper l'enormezza dellapersonaper la fiacchezza delle gambe; e accanto a lui donna Luciala moglie di Garinosembrava svelta e leggiera.

-"Perchései tornato?"disse al fratelloappena lo vide entrare ed a modo di saluto. Avevainfatti ricevuto la circolare dell'Araldo sicoloecomprendendo da quella che l'autore doveva aver l'acqua alla golametteva le mani avantiper evitare richieste di sussidi.

-"Sonovenuto per poco"rispose don Eugenio; -"primadi tutto per rivedervie poi per fare associati all'opera di cui tiho mandato il manifesto..."

Ecominciò a enumerare gl'insigni sottoscrittori: Sua Altezza ilBey di Tunisii vizir della reggenzai più gran signoripalermitani; il principe d'Alìil marchese di Lojacomoilduca tale e il conte tal altro.

-"E?..."fece il monacoquasi per dire: -"Perchévieni a contarmi queste storie?"senza neppur domandare al fratello: -"Seistato a Tunisi? Che sei stato a farci?"

-"Hopure le firme di venti municipidi trenta societàdi ottobiblioteche. L'affare è magnifico. A conti fattidedotte lespese di stampacartapostaetc. con le sole soscrizioni sinoraraccolte il guadagno è assicurato. Ma debbo ancora giraremezza Sicilia per fare associati. Se arriveremo a trecentoresteranno diecimila lire nette."

-"E?..."

-"Ioti vorrei proporre di stampare insieme il libro."

Ilmonaco lo guardò fisso nel bianco degli occhi.

-"Seipazzo?"

-"Perché?O non credi forse che ci sia da guadagnare? Ti faccio i conti inquattro e quattr'ottoti faccio vedere le firme raccolte..."

-"Nonvoglio veder niente! Credo benissimo e ti ringrazio tanto. Tieni perte le diecimila lire."

Ilcavaliere ebbe un bell'insisterecol tono persuasivo e insinuanted'un sensale o d'un mezzanoe un bello sgolarsi per dimostrare aluce meridiana l'eccellenza della sua proposta; don Blasco continuavaa rifiutaredapprima seccamentepoi alzando la vocepoi gridandoperché quel seccatore gli si togliesse dai piedi.

-"Allora...se non vuoi correre i rischi dell'affare... fammi un favore… Isoscrittori non pagano anticipatamente; m'occorre una somma percominciare la stampa. Prestami un migliaio di lire..."

-"Nonle ho."

-"Ticederò le firme più sicurele sceglierai tu stesso..."

-"Nonle ho."

Ilcavaliere non si scoraggiava neppure adesso. Ridusse la domanda damille a ottocento e poi a cinquecento lire; poiché il monacocontinuava a risponderecantilenando dall'impazienza: -"Nonle honon-ho-de-na-ri...come debbo dirtelo?..."don Eugenio conclusepacatamente:

-"Alloraaspetterò finché sarai comodo... Non ho fretta: primadebbo compire la soscrizione... poi ti porterò a veder leschedele domandei manifesti..."

Sperandodi riuscir meglio con la sorellail cavaliere andò arinnovare il tentativo con donna Ferdinanda. Asciutta e verde come unagliola zitellona pareva sfidare il tempogli anni le passavanoaddosso senza mutarla: ne aveva oramai sessantadue e non ne mostravapiù di cinquanta. Solo le mani le si coprivano di rughe e sispolpavano e s'irruvidivano a contar denaricome a lavorare il ferrood a zappar la terra. Anche lei aveva ricevuto la circolaredell'Araldo sicolo: mavedendo il fratellocominciò achiedergli notizie della sua salutedi Palermodelle persone checonosceva in quella città; ascoltando con interesse i discorsiinterminabili del cavaliere cheincoraggiato da quelle buonedisposizioninominava un mondo di persone colle quali era come -"fratello"ne narrava i casi con tanto interesse come se fossero occorsi a luiin persona: -"laseparazione del duca Protitanto amico mio... quella pazza dellabaronessa non mi volle dar retta... io al principe l'avevo detto:caro Emanuelepensaci bene..."Le chiacchiere tiravano in lungoperché donna Ferdinanda glidava la cordaed il cavaliere non ne aveva neppur bisognofelice dimentovare le sue grandi relazioni palermitane.

-"Enon sai la più bella notizia? La figlia della Palmi èsposa!"

-"Sì?E con chi?"

-"Colmio amico Memmo DuffrediDuffredi di Casàurail nipote diCiccio Lojacomo: la prima nobiltà di Palermo e parecchimilioncini di proprietà..."

-"Madavvero?"

-"Unagran fortuna per la ragazza! Quell'intrigante del barone ha combinatoogni cosa ed ha preso Memmo in trappola... Naturalmentecomeparentenon potevo dir questoaltrimenti sarei andato da Ciccio peravvertirlo: "Tuofiglio può trovare un partito migliore..."E poiquella ragazza ha un certo fare... Basta; io non ho parlatotanto più che giusto quando si combinava la cosaero aTunisi..."

-"Ahsei stato a Tunisi? E per fare che cosa?"

-"Checosa?... Niente!... Per diporto..."egli tossicchiava un pocotuttaviaimbarazzatoquasi confuso. Epoiché donna Ferdinanda continuava a fargli domandepersapere se Tunisi era una bella cittàquanto tempo c'era statoe via discorrendoil cavalierequasi risolvendosidissefinalmente:

-"Cifui anche per raccogliere soscrizioni alla mia operasai..."

-"Opera?"fece la zitellonacon atto di meraviglia. -"Qualopera?"

-"Comenon hai ricevuto il manifesto?"

-"Ionon ho ricevuto niente..."

-"L'Araldosicolo?... la storia della nobiltà?..."

-"Tu?...Tu stampi un'opera?... Ah! ah! ah!..."

Escoppiò in una di quelle sue rare risate che pungevano nelvivo. Don Eugenioche aveva sostenuto imperterrito tutti i rifiutidel monacosi sconcertò all'ilarità della sorella.

-"Perché?"domandòtentando di rialzare la propria dignità di cuidonna Ferdinanda faceva ludibrio con quelle rise indecenti. -"Nonsono forse buono a scriverlacome tanti altri?..."

-"Ah!ah! ah!.."

Ela risata non finiva. Quando il vecchio spiegò che libro avevascrittoessa divenne più finepiù ironicapiùtagliente. Una storia della nobiltà dopo il Mugnòs eil Villabianca? Per ficcarci dentro gli arricchiti che si facevanodare del cavaliere e del marchese? La nobiltà autentica eratutta scritta nei libri antichi!... E il cavaliere tentava almeno didimostrare la bontà della speculazione: ma la zitellona nongli dava quartiere: guadagnare con la carta sporca? Per chi mai lacarta sporca ha avuto valorefuorché pei pizzicagnoli? E chiavrebbe comprato un libro di lui? Si sarebbero messi a riderecomerideva lei! Le firme? Le avevano date per levarselo di torno!Bisognava vedere quanti avrebbero poi pagato!...

-"Almenomi presti qualche centinaio di lire?"

-"Noperché non me le restituiresti."

Eogni altra insistenza fu inutile.

Andatoa ripetere il tentativo dalla nipote Chiaradon Eugenio non poténeppure vederla: la cameriera gli disse che il marchese era fuori ela marchesa chiusa in camera col dolor di capo.

-"Dilleche c'è suo zio."

-"VostraEccellenza scusi; ma quando ha il dolor di caponessuno puòparlare alla signora marchesa."

Efacendo il cavaliere un atto d'impazienzala donna mormoròguardandosi attorno:

-"Eccellenzac'è guai!"

-"Cheguai?"

-"Lamarchesa... ma signor cavaliereper caritànon mi facciaperdere il pane!... Pazza pel maritoè veroEccellenza?Tutt'una cosa; quello che voleva il signor marchese era legge perlei... Né il padrone ne abusava: d'amore e d'accordo in tuttoe per tutto... Adesso? Adesso non c'è più paceperquel figlio di... chi so io! Un diavolo dell'InfernoEccellenza; ela padronache non ci vede dagli occhidal tanto bene che glivuolelo lascia farelo difende contro il padrone... Litigano tuttii giorniperché il signor marchese vorrebbe correggerloinsegnargli l'educazioneobbligarlo a studiare; e invece la nipotedi Vostra Eccellenza se la prende col padrone perché lemaltratta il ragazzo... Ieri vennero alle grosse; non si parlano daventiquattr'ore... Il signor marchese è uscito di casaall'alba... chi sa se torna!"

Eper quanto insistessedon Eugenio non poté persuadere lacameriera ad affrontare il malumore della padrona portandolel'ambasciata.

Alloraegli andò a battere alla porta dei Giulente. Arrivò daloro sull'annottaredopo una giornata di corse. Benedetto non c'erae Lucrezia non si riconosceva piùtanto s'era trasformata edimbruttita. Il corpo era diventato un sacco di carnedove non sidistinguevano piu né senoné vitané fianchi;il visodalla continua acrimonia che la animavadall'inguaribilescontento della propria condizioneera divenuto duroarcignoinaspettatamente rassomigliante a quello del principe. E il primodiscorso che tenne allo ziorivedendolo dopo tanti annifu giustocontro Benedetto.

-"Nonc'è; non sta mai in casa. Adesso che non è piùsindacos'è fatto nominare presidente del Consiglioprovinciale. Per amor della patriaVostra Eccellenza mi capisce!...Più invecchiae più bestia diventa. È un pazzo!Ma la disgrazia è che fa impazzire anche me. Dopo vent'anni"ella calcolava il tempo a modo suo -"unaltro che non fosse tanto bestia avrebbe capito l'inutilità difare il servitore a questo e a quello. Invecepare l'uovo al fuoco:più sta e più indurisce! Vuol essere deputato; per checosadomando io? Dopo che sarà deputato. che cosa avràbuscato? A fare il sindaco ha guadagnato questo: che nessuno lo puòvedereneppur quelli ai quali ebbe la stupidaggine di rendereservizio! Bene gli sta!..."

Versola propria famiglia ella aveva ancora quel misto d'astiodi invidiae di premurasecondo che il vanto di farne parteil dolore d'averlalasciata o il sospetto d'esserne ripudiata predominavano nel suocervello. Anche oraparlando del viaggio del principeella ripetevacon insistenza che il fratello e la cognata le scrivevano ogni duegiornie riferiva il contenuto delle loro lettereannunziava illoro ritorno per l'autunno; poi cominciava a criticare ed amalignare:

-"Hannofatto bene a prender essi stessi Teresina dal collegioe a farlaviaggiare... Mia cognata è un'altra madre per questafigliastra!... Dal tanto amorel'ha tenuta due anni più delbisogno in collegioper farne una letterata. Graziella s'intendemolto di letteratura!..."

Peròsubito dopo soggiunse:

-"VostraEccellenza non ha visto l'ultimo ritratto di Teresina?.. No?...Aspetti... vedrà che bellezza; me l'hanno mandato due mesiaddietro... Di Consalvo però"riprese dopo che ebbe mostrato il ritratto allo zio -"nénuova né vecchia... come se non fosse loro figlio anche lui...Senza le lettere che scrive alla zianon sapremmo se è vivo ose è morto... Adesso dice che è a Parigi. Èstato a Berlinoa Londraa Vienna..."

Ilcavaliere non l'udivarimuginando il discorso da tenerle. Appena lanipote fece una pausaegli espose la speculazione ideatacheriuniva l'immancabile riuscita finanziaria alla nobiltà delloscopo. Ma Lucrezia:

-"Storiadella nobiltà?"replicò. -"Dov'èpiù la nobiltà? Che storia vuole scrivere VostraEccellenza? Adesso sono in favore i lustrascarpenon i nobili! Peresser consideratibisogna venire dal niente! Scriva piuttosto lastoria dei villani e dei mastri notari; in quella sì che c'èda guadagnare!..."


Imperturbabiledon Eugenio ricominciò il giorno seguente. Dai Radalì-Uzedatrovò il duca Michele e il barone Giovannino; la duchessa erafuori di casa. Michelea venticinque anniperdeva i capelli epareva vecchio del doppio; Giovannino era invece più graziosodi primafineelegante. Udita la richiesta del parenteentrambirisposero che solo la madre gli avrebbe potuto dare risposta. Ilgiorno dopo il cavaliere tornò a parlare con la duchessaequesta cadde dalle nuvole:

-"Iostampar libri? E come mai vi viene in testa una cosa simile? So moltodi queste coseio!"

Edon Eugenio ci rimise le pedate.

Maegli non si perdette d'animo. Dai lontani parenti passò agliamiciai semplici conoscentialle persone che incontrava peristrada e che fermava col pretesto di rivederle e salutarle.Cominciava a riferirecome se le avesse avute direttamentelenotizie del principe e di Consalvo apprese da Lucrezias'addoloravaper la lite fra padre e figliuoloannunciava il ritorno dellaprincipessinache diceva d'aver visto a Firenze: -"unabellezza da sbalordire!..."e poi parlava del suo soggiorno di Palermodescriveva l'appartamentodi dieci stanze che aveva abitato sul Cassarodrappeggiandosimaestosamente nell'abito lercio e sdrucito che diceva la miserialafamele ignobili promiscuità; riferiva ancora il viaggio diTunisil'onorificenza beilicale ma senza spiegare a qual titolol'avesse ottenutache cosa avesse precisamente fatto alla corte diSua Altezza; e quando aveva bene intontito la gente con tutti queidiscorsidomandava a bruciapelo:

-"Avetericevuto il mio manifesto?"

Eriesponeva il concetto dell'operaenumerava le adesioni ricevute:ogni voltaqueste crescevano di numero: le firme dei privatisalivano da duecento a trecentoa quattroa cinquecento; quelle deimunicipi sommavano a cinquantaa settantaa novanta; le bibliotechesi moltiplicavano da un momento all'altro. Mille sottoscrittori eranogià sicuriun altro migliaio non potevano mancare. E offrivala compartecipazionesi restringeva all'anticipoda ultimodichiarava di contentarsi di dodici firmedi seianche di una. Perlevarselo di torno la gente prometteva ambiguamente; ma egli prendevanota dei nomi in un suo portafogli unto e squarciatounicamenteimbottito di circolari e di schededelle quali faceva nuovedistribuzionificcandole in tasca a chi rifiutava col gestoraccomandando di diffonderledi riempirle al più presto...Dopo una giornata di lavoronel momento che stava per rientrarenell'albergoincontrò Benedetto che ne usciva.

-"Eccellenza!...Come sta?... Ero venuto a trovarla; mi dispiacque tantoieridi nonessere in casa..."

Unpoco imbarazzatodon Eugenio lo invitò a salir su in camera.Una camera col pavimento affossatodue strisce di tela bianca aguisa di tendine dinanzi alla finestrauna catinella sopra unaseggiola e una brocca per terra.

-"Hodovuto venir qui perché al Grand Hôtel era tutto pieno.Come si sta male in questa città! A Palermo avevo unappartamento di dodici stanze... bisognava vedere che scale!..."

Enonostante il rifiuto oppostogli da Lucreziaegli cavò ditasca le circolari ed entrò subito in materia.

-"Tuamoglie non t'ha detto?... Sono venuto per stampare la mia opera...Per ventimila lire non la cederei a nessuno... Ma non ho quattrini dacominciare la stampa. Vogliamo farla insieme? Spartiremo i guadagnida buoni parenti ed amici."

Giulenteesitò un pocopoi domandò:

-"Cheha detto Lucrezia?"

-"Tuamoglie? Ha detto di sìsolo che tu ti persuada dellaconvenienza della cosa. Guarda un po'..."E non capendo nei panni dalla gioia d'aver trovato finalmente uno chenon rifiutavagli sciorinò dinanzi alcune schede con qualchefirma.

-"Vabeneva benegiacché Lucrezia approva..."

-"Seanche mutasse parerein fin dei contipotremmo fare a meno del suoconsenso!..."

Benedettoesitò un pocopoi disse:

-"Nossignoreè necessario... perché adesso i denari li tiene lei..."

-"Come!I denari? Tu non puoi disporre di qualche migliaio di lire?"

-"Eccellenzano... Gli affari pubblici mi portavano via molto tempo... Ho ceduto alei l'amministrazione..."




2.


Ilritorno del principecon lo zio ducala moglie e la figliaalprincipio dell'invernodiede nuovo alimento alla pubblica curiosità.Aspettavano tutti di vedere in viso questa famosa principessina dellacui bellezza si parlava tantoma quantunque l'esagerazione dellelodi anticipate avesse disposto la gente alla diffidenzapure larealtà lasciò molto indietro ogni immaginazione. Labellezza bianca e biondafinedelicataquasi vaporosa dellafanciulla non aveva riscontri nella famiglia dei Viceré. Lavecchia razza spagnuola mescolatasi nel corso dei secoli con glielementi isolanimezzo grecimezzo saraciniera venuta a poco apoco perdendo di purezza e di nobiltà corporea: chi avrebbepotuto distinguereper esempiodon Blasco da un fratacchione uscitoda lavoratori della glebao donna Ferdinanda da una vecchiatessitrice? Ma comenella generazione precedentes'era vistal'eccezione del conte Raimondocosì adesso anche Teresapareva fosse venuta fuori da una vecchia cellula intatta del purosangue castigliano. Altamagra di spallecon una vita che le suedue mani quasi arrivavano ad accerchiare e che rendeva piùvistosa la curva dei fianchiTeresa possedeva una istintivaeleganzauna nobile grazia di portamentoancora non del tuttoliberata dall'impaccio della collegialefino a qualche mese addietrocostretta nella goffa uniforme. Nei primi giorniquando cominciòad uscire in carrozzaaccanto alla madrignala gente si fermava suimarciapiedil'aspettava al varcodinanzi al portone del palazzoper figgerle gli occhi addossoa bocca aperta: ella pareva nonaccorgersi di quella curiosità indiscretanon guardare anzinessuno.

Incasanaturalmenteerano venute a trovarla prima di tutte le zieeLucrezia s'era quasi attaccata alle gonne della nipotel'accompagnava per ogni dovele dava consiglinon parendole vero dipoter esercitare su qualcuno la sua smania d'autorità. Laprincipessa la lasciava fare; ma a Chiara non restituì neppurela visitaper via del bastardello. Una ragazza come Teresaappenauscita dal collegiopoteva andare in una casa dove c'erano di queipasticci? Ella diceva a tutticameriereparenti e conoscenzecongrandi gesti e torcimenti di sguardo: -"Possopermettere che mia figlia sappia di queste coseeh? Tanto peggio seChiara se ne adonta."E Chiara se ne adontò in malo modo. Aveva rotto con tutti iparentiormaiper amore del figlio della camerierail qualeguastato da tanti vizila comandava a bacchettale dava del tuall'occorrenza le alzava le mani addosso. Ma ella lo lasciava fareese il marchese diceva mezza parolagridaminacceun inferno. Uditigli scrupoli della cognata-cuginasi nettò la bocca contro di leitanto più cheperordine di Giacomodonna Graziella condusse Teresa a baciar la manoallo zio don Blasco. Dal monaco sìche teneva la Sigaraia ele tre figlie in casae da lei no? -"Sicuroperché dal monaco aspettano l'eredità..."

DonBlascoadessoera un signore: oltre la casa e i due poderiavevamesso di bei quattrini da canto; il principe gli faceva la corte perquesto. Il Cassinese se la lasciava fare da lui come da Lucrezia e daChiara; non andava più in casa di nessunonon potendo piùsalire scale; ma dettava legge ai nipotise ne serviva in tutti imodie se qualcuno di costoro lo faceva andare in colleraeglicavava fuoricome donna Ferdinandaun suo foglio di carta e lostracciava in mille pezzi: -"Neancheun soldo da me!..."La visita della nipote Teresa gli fece piacere; le figliuole non silasciarono vederee la principessa spiegò alla ragazza chedonna Lucia era -"governante"dello zio.

Delrestoqueste precauzioni erano inutili per Teresa. Ella non avevacuriosità sconvenientie quando comprendeva che le piùgrandi avevano da dirsi qualcosas'allontanavaandava ad ordinarela sua cameretta o a badare alle sue cosucce. Non era soltanto bellada far strabiliarema piena d'ingegnoistruita da dar punti a tantiuomini. Disegnava e dipingevaparlava il francese e l'inglese comela sua propria linguasapeva far versi e comporre musica; e modestacon questosemplicebuonaaffettuosa da non si dire. Rientrandonella casa dovebambinaaveva lasciato la sua mammae adesso nonla trovava piùavevano dovuto sorreggerla e i suoi occhi eranparsi due vive fontidal tanto pianto; ma il culto per la santamemoria non le impediva di rispettare e di amare il padre e lamadrigna. E timorata di Diosempre con qualche libro di preghieretra le maniquando non lavorava ai suoi ricamiai suoi disegnialla sua musica: certi libri doratiricoperti di velluto o di pelleodorosa: mesi di Mariacoroncine della Beata Verginevite di Santipieni ad ogni pagina d'imagini divinetutti premi riportatiquand'era all'Annunziata.

Maquesti sentimenti piiquesto timor di Dio non le impedivano diamarecome conveniva ad una fanciulla della sua etàglisvaghi mondanile eleganze della moda. Quando aveva da vestirsi perfar visite o per riceverneo per andare al passeggio o al teatroella s'indugiava come le altredinanzi allo specchio; e aveva uncerto modo tutto suo di portare gli abitini più semplici chela faceva parer vestita come per andare a un ballo. Quando passavanodalla modista o dalla sartase dovevano sceglier stoffe oguarnizioni o minuti oggetti d'ornamento ella dava prova di grangustoscegliendo le cose più belle e più elegantipersuadendo con buone maniere la zia Lucreziala qualedacchéteneva le chiavi della cassasi faceva un abito ogni quindici giornipreferendo ogni volta quel che c'era di più disgraziatoedimbronciandosi se non lodavano la sua scelta. Invece la principessalasciava che la figliastra facesse a modo suo e scegliesse quel chele piaceva; anzisi rimetteva a lei per le cose sue proprie. -"Chegustoquello della mia figliuola!... Che figliuola modello!..."La lodava specialmente per la dolcezza del carattere e la bontàdel cuore; la baciava e l'abbracciava dinanzi a tuttianche inconversazione; vegliava su lei come una vera mamma.

Eragelosa e scrupolosissima; non permetteva che oltre i libri direligione la figliastra leggesse cose capaci di guastarle la testa;né chedinanzi alla giovanetenessero certi discorsiperpaura che le stesse parole le contaminassero il pensiero. Stavaperciò sulle spine quando la cognata Lucrezia narrava certestorie di concubinaggidi separazioni coniugalidi nasciteillegittime. Cominciava allora a tossire per dar sulla voce a quellastravagante malaccorta; e se la tosse non bastavamutava discorsobruscamentecon un certo modo tutto suofatto apposta perrichiamare l'attenzione sulle cose dalle quali voleva invecestornarla. Ma Lucrezia non si accorgeva di nulla; e non commettevaanzi la sconvenienza di dire spesso alla nipotinaa proposito ed aspropositoma più spesso quando si lagnava di Benedetto: -"Badaa chi piglierai per marito"?Oppure: -"Aprigli occhiquando sarai maritata"?La principessa diventava di mille colorialzava gli occhi alsoffittofacendo sforzi straordinari per contenersiper non dire ilfatto suo a quella matta a cui il Signore aveva fatto bene di non darfigliese intendeva così l'educazione delle ragazze. -"Cognata!...Lucrezia!..."ma nulla servivatanto che una volta la principessa mise carte intavola:

-"Scusacugina; ma questi discorsi mi sembrano fuor di luogo. Teresa simariterà quando sarà tempoe ci penserà suopadrenon dubitare: a me non piace la moda d'oggidi parlar diqueste cose alle signorine..."

Teresacon gli occhi bassi e le mani in grembopareva non ascoltare;Lucrezia ammutolì e andò via dopo un pocosenzasalutar nessuno. Ma un altro parlava spesso di cose scabrose e laprincipessa doveva tenerlo in riga: il cavaliere don Eugenio. Appenasaputo l'arrivo del fratello e del nipoteera corso da loro perricominciare il discorso dell'Araldo sicolo. Il ducasenza legrida di don Blasco e le commedie di donna Ferdinandagli avevarisposto chiaro: -"Coilibricaro mionessuno ha mai fatto quattrini; tu ne farai menodegli altri perché non hai saputo far nulla mai. Se vuoistampar l'operanessuno te lo impedisce; ma io non ho denari dabuttar via in queste imprese."Don Eugenio accettava a capo chino il predicozzocome riconoscendodi meritarloossequiente ed umile dinanzi a quell'imbroglione chesputava sentenzee come s'era arricchito? a spese delle cassepubblichemanipolando gli appaltifacendo ogni sorta d'imbrogli!...-"Almeno"don Eugenio insisteva -"faraicomprare il libro alle biblioteche dello Stato? A te non costa nullasei tanto influente!... Basterà che tu dica una parola..."Il deputato ascoltava la lode a occhi socchiusibeatamente. Infattii bei giorni erano tornati per lui; dopo l'atteggiamento preso nellaquestione romana aveva rimesso il tallo; l'elezione del novembreSettanta era stata un altro trionfo. Sìgli sarebbe bastatodire una parola per aiutare il fratello; tuttaviaalle insistenze dicostuirispondeva che avrebbe vistoche ci avrebbe pensatopresoda uno scrupolo: -"Checosa si potrà dire? Che mi giovo del mio credito per procurarfavori alla mia famiglia?..."

DonEugenio allora s'era rivolto al principe. Questi aveva negato sulleprimecome meglio aveva potutoma in fin dei conti gli riuscivadifficile insistere in un rifiuto crudo crudopoiché egli nonaveva tanta confidenza con lo zio da mandarlo a spassoe nemmenopoteva addurre ragionevolmente la mancanza di quattrini; perciòs'era lasciato strappar la promessa d'una anticipazione d'un par dimigliaia di lireaspettando a sborsarle che la sottoscrizione fossea buon punto. Frattanto don Eugenioallettato dalla promessavenivaal palazzo quasi ogni seracon grande mortificazione dellaprincipessa che non poteva soffrire la vista della famelica faccia edei miserabili indumenti del cavaliere e stava poi sui carboniardenticome un'anima del Purgatorioquando egli cominciava araccontare tutti i fatti della società palermitana: -"Sasàmarita le sue figlie... La moglie di Cocò ne ha fatta un'altradelle sue... Il figlio di Nenè è scappato con unaballerina..."Cocò era il principe di AlìSasà il duca diRealcastroNenè il barone Mortara; e nessuno nominava qualchepersona di Palermo senza che egli assicurasse d'essere con questapersona -"comefratello..."Tutte le volte che descriveva il suo appartamento il numero dellestanze cresceva: adesso era arrivato a quindici enon potendolo piùragionevolmente aumentareaggiungeva: -"oltrela stalla e la rimessa..."Il principe lo lasciava direma gli faceva pagare l'attenzioneprestatagli e la promessa dei quattrinigiovandosi di lui come di unservomandandolo di qua e di là a portar lettere odambasciateche gli affidava dandogli tuttaviaper un certo rispettoumanodell'Eccellenza. Neppure lo metteva a giorno dei propriaffariné gli faceva confidenze di sorta; curiosoilcavaliere voleva sapere a chi pensavano di dare in moglie Teresachecosa faceva Consalvoquando sarebbe tornatoma non riusciva adappurar nullaspecialmente circa il principinoil quale nonscriveva se non a donna Ferdinanda. Le notizie del giovanealpalazzovenivano per mezzo di Baldassarreil quale ogni due giorniscriveva al signor principe per riferirgli minutamente la vita delpadroncino. Quelle lettere facevano fare schiette risate a Teresinascritte com'erano in una lingua fantasticadi particolarecomposizione del maestro di casa. -"SoEccellenza sta bene e s'addiverte... Oggi abbiamo stato al Buàdi Bolognache ci era grande passeggio di carrozze e cavalli esignori e signore accavallo..."Il maestro di casa annunziava ogni giorno il programma delsuccessivo: -"Domaniandiamo all'Ussaburgo... domani partiamo per Fontana Buvedere ilpalazzo reale..."ma donna Ferdinanda aspettava la narrazione d'una visita benaltrimenti importante: quella a Sua Maestà Francesco ii. Primache Consalvo partisseella gli aveva fatto un obbligoquandosarebbe passato da Parigidi -"baciarela mano al Re"e appena saputo il nipote nella metropoli francesegli avevarammentato di mantener subito la promessa. Padre Gerbiniche aParigi era cappellano della Maddalena e andava in casa di tutta lanobiltà legittimistaed era ammessoinsieme con gli intimipresso l'ex Reaveva chiesto l'udienza pel giovanotto sicilianofacendo opportunamente valere la fede serbata dalla più granparte degli Uzeda alla causa borbonica. In una lunga letteradellaquale donna Ferdinanda diede lettura in mezzo al circolo dei parentiConsalvo riferiva l'accoglienza affettuosa dell'antico sovranolapremura con la quale s'era informato di tutta la famiglia e il donoche gli aveva fattoprima di congedarlodopo un lungo colloquio: ilproprio ritratto con dedica autografa. -"SuaMaestà la Regina"era sofferentee perciò non aveva potuto riceverlo anche lei;ma il -"Re"gli aveva detto che voleva rivederlo prima della sua partenza!...Venne anche la lettera di Baldassarre che riferiva la visita -"aSo Maistà Francisco secundoinseme con So Paternitàdon Placito Gerbini. So Maistà abbia parlato a So Eccellenzadella Siggilia e dei signori sigiliani che abbia conosciuto in Napolie in Pariggi. So Eccellenza ci ha baciato le manie So Maistàgli arregalato il suo ritrattodicendoci che ci deve tornareun'altra voltaper appresentarlo a So Maistà la Regina".Infatti prima che padrone e servo partissero da Parigitutt'e dueannunziarono la seconda udienzama questa volta la lettera delmaestro di casa al padrone conteneva un particolare del quale non eraparola in quella di Consalvo alla zia. -"SoMaistà abbia fatto una grande festa a So Eccellenzae quandoci abbia stretto la mano ci ha addomandato chi sa quando ciarrivedremo; e So Eccellenza mi ha contato So Paternità che ciabbia risposto: "Maistàci arrivedremo in Napolinel palazzo reale di Vostra Maistà!...""


DaParigi il giovanotto tornò finalmente in Italiae fermatosiun poco a Torino e a Milano passò a Romache era l'ultimatappa del suo viaggio. Lì si fermò un pezzo; madopoaver scritto un paio di lettere alla zianon si fece piùvivo. Donna Ferdinanda gli aveva anche raccomandato di -"baciareil piede al Papa"e Baldassarre infattida principioannunziava che -"Monsignoridon Lotovico"doveva condurre in Vaticano il nipotema poi non disse se la visitaera stata fatta; anzi un giorno inaspettatamenteannunziò pertelegrafo l'imminente ritorno. Aspettato alla stazione da donnaFerdinanda e da Teresa — perché il principe era rimastoed aveva ordinato alla moglie di rimanere al palazzo —Consalvofece una specie d'ingresso trionfaletra le persone di servizio egl'impiegati dell'amministrazione schierati su due filecheammiravano la bellissima ciera del signorino e gli davano ilbentornato e si facevano in quattro per aiutare Baldassarre ascaricare la gran quantità di baulivaligeportamantelli ecappelliere di cui era piena la carrozza e un carrozzino da nolo. Ilprincipecon aria tra dignitosa ed affabilesi fece trovare nellaSala Rossa e gli dette la mano a baciare; altrettanto fece laprincipessama con maggiori dimostrazioni d'affettuosa premura: -"Tisei divertito?... Avesti buon tempo di mare?... C'è tutta latua roba?... Le tue camere sono già pronte!..."

Lastanchezza del viaggiolo stordimento dell'arrivo spiegavanonaturalmente la poca loquacità di Consalvo in quelle primeore; infatti la seradopo aver mandato in camera del padredellasorella e della madrigna una quantità di regaliegli cicalòmoltissimoriferì una quantità d'impressioninarròcerti aneddoti comici su Baldassarre cheall'esterosconoscendo lelingues'era spesso smarritoaveva attaccato lite con gente allaquale diceva male parole siciliane; e una voltaanzia Viennaaveva corso rischio di dormire al posto di guardia. Il giorno dopocontinuò il discorso del viaggiospecialmente di Parigi; ma apoco a pocoe secondo che quell'argomento si esaurivail giovanottonon prendeva più parte alla conversazione. Se la principessanarrava qualche cosao se il principe discorreva degli affari dicasasi contentava di stare a sentire e rispondeva qualcheEccellenza o qualche Eccellenza no ditanto in tanto. A tavolacol muso sul piattonon guardava nessuno espesso non pronunziava due parole una dopo l'altra. Il principecominciava a soffiare e ammutoliva anche luifacendo peròcerti versacci che non annunziavano niente di buono; la principessaalzava gli occhi al soffitto dalla costernazionee Teresaangustiata da quella freddezzaperdeva sin l'appetito. Levandosi ditavolaquando il figlio andava via:

-"Cominciamoda capo!"sfogavasi il principe. -"Statea vedere che cominciamo da capo! Che gli hanno fattoa cotestabestia? S'è divertito più d'un anno a viaggiarenongli è mancato nientee mi ringrazia cosìtenendomi ilbroncioavvelenandomi tutti i giorni il desinare!..."

Néera da dire che quella bestia stesse muto per poca voglia di parlare;giacchéin presenza di estraneinon la finiva più dinarrare le sue avventure di viaggiole grandi cose che aveva vistele novità di cui in Sicilia non v'era neppur sentore. ConBenedetto Giulentespecialmentee con la gente più o menomescolata nelle cose pubblicheteneva certi discorsi stupefacenti inbocca suasull'ordinamento delle guardie di cittàsullamanutenzione dei giardiniintorno ai sistemi d'inaffiamento dellevie o d'illuminazione dei teatri. Perché diamine s'occupava diquelle cose? Per far sapere che era stato fuori via?... Manossignore; non solo teneva discorsi diversi dagli usatimutavaanche sistema di vita. Riveduti appena gli antichi compagni dibagordonon li aveva più cercatianzi li evitava; lapassione dei cavalli pareva gli fosse interamente passata; nonscendeva più nelle stallenon teneva conversazione coicocchieri. Non più donnenon più giuoco; passava ilsuo tempo chiuso nella propria stanzadove non si sapeva che diamineordisse. Quando andava fuorifaceva frequenti visite allo zio ducacol quale parlava di cose serieo si vedeva in compagnia di genteche prima soleva evitare come la peste: parrucconipoliticanti delGabinetto di letturasorci di farmaciepersone occupanti pubblichecarichetutto il codazzo del deputato. La posta gli portava ognigiorno una quantità di giornali italiani e francesie illibraioogni settimanagli mandava grossi pacchi di libri che eglistesso andava a scegliere e ad ordinare.

-"Qualaltra pazzia adesso gli salta in capo?"diceva il principecon tono sempre più acrealla moglie; maquesta:

-"Diche ti lagni?"rispondevaconciliante. -"Nonsi riconosce più; pare davvero un altro: benedetto questoviaggiose lo ha fatto cambiare di nero in bianco!"

CertigiorniConsalvo non veniva a tavola; al cameriere che andava achiamarlo rispondevadietro l'uscioche aveva da fare; e allora ilprincipe buttava via il tovagliolostringeva i dentiquasiscoppiava dinanzi ai lavapiatti che assistevano al pranzo. Teresaaun segno della principessaandava a cercare il fratello e insistevatantocon voce dolcecon persuasioni amorevolifinché egliapriva.

-"Perchénon vieni? Sai che al babbo dispiace..."

-"Perchého da faresto scrivendonon posso perdere il filo..."

-"Lasciadi scriverecontentalofratellino!... Hai tanto tempo per studiare!Altrimentipotrebbe parere che tu lo faccia appostache tu l'abbiacon lui... o con la mamma..."

-"Ionon l'ho con nessuno. Vedi che sto scrivendo?..."infatti la scrivania era piena di carte e di libri aperti.

Equando finalmente veniva a tavolail principe gonfiavagonfiavagonfiavavedendo il figliuolo taciturno e ponzante come un nuovoArchimede.

-"Mangeròsolose debbo vedere quella faccia da funerale! Tutto il giornoquella faccia ingrugnita! È una iettatura! il cibo non mi fabuon sangue! Piglierò una malattia..."

AlloraTeresacome la sola capace d'esercitare un'influenza sull'animo delfratellotornava da luigli prendeva le manilo scongiuravad'esser buonogli parlava dei suoi doveri di figlio; e Consalvo lalasciava diremuto ed immobile. Ma una volta che ellafra gli altriargomentiaddusse quello della gratitudine che dovevano al padre ealla madrignaegli risposecon ironia fredda e tagliente:

-"Moltain verità... Mio padre m'ha voluto sempre benefin da quandomi tenne dieci anni chiuso al Noviziatocome ha tenuto in collegiosei anni te! Gli dobbiamo essere molto grati entrambiperchénon lasciò passare sei mesi dalla morte di nostra madrechemise un'altra al posto di lei... Anche leidal Paradisodeveessergli grata pel rispettoper l'amoreper le cure di cui lacircondò..."

-"Taci!Taci!..."esclamò Teresa.

-"Hoda tacere?... Lo sai dunque quel che fecero soffrire a quellapoveretta?... Ma tu eri a Firenzetu non puoi saper niente..."

-"TaciConsalvo!"

-"Allorache vuoi? Dimmi tu che debbo fare per contentarlo! Quando stavo tuttoil giorno fuori casaa divertirmi a modo miospendendo quattrini:nossignorebisognava cambiar vita! Adesso che sto sempre dentroastudiarecontinua a rompermi la testa?"


Consalvostudiava economia politicadiritto costituzionalescienzadell'amministrazione. La gente che non sapeva di che cosa s'occupavama che vedeva il radicale mutamento operatosi in luilo attribuivaal lungo viaggioal senno che tutti i giovanio presto o tardihanno pure da mettere. E il viaggioinfattiera stato l'originedella conversione del principinola sua grande lezione.

Lalotta col padre lo aveva disgustato della sua casa ed anche del suopaesedove la mancanza di quattrini e la pesante autoritàpaterna non gli consentivano di fare tutto ciò che voleva;pertanto egli aveva accettato con gioia d'andar viadi girare unpoco il mondo; ma la prima impressione da lui provataappena fuoridi Siciliafu quella che proverebbe un vero Re in cammino perl'esilio. Il giorno primaquantunque non potesse sbizzarrirsi a modosuoera nondimeno un pezzo grossoil pezzo più grosso delsuo paesedove tutta la gentein alto e in bassogli faceva dicappello e s'occupava di lui e delle cose sue; a un tratto egli sisvegliava uno qualunque in mezzo alla folla che non gli badava. E seneppur egli avesse visto nessunomeno male: ma le lettere dipresentazione di cui era fornito lo avevano messo in rapportoaNapolia Romaa Firenzea Torinocon altra gentecoi signori dilassù; e allora aveva compreso che c'eran pezzi grossi piùgrossi di lui. Il nome di principino di Mirabella aveva perduto lasua virtùera diventato quello di un signore come ce n'eranoa migliaia. Il lusso veroe non quello mediocre di suo padreilgusto fastosolo sfarzo elegante di cui non s'aveva idea inquell'angolo di Siciliafuori delle grandi vie del mondodov'egliera vissutolo costringevano a riconoscere la propria inferiorità.Al club di Catania erano quasi in famiglia ed egli troneggiava; aNapoli e a Firenze otteneva per favore un biglietto per pochi giorni;se fosse rimasto a lungo avrebbe dovuto esporsi ad una votazionefarsi raccomandarecorrerechi sail rischio d'essere respinto!Nella sua testa avveniva una rivoluzione. Soffrendo realmentenell'orgoglionella vanità di -"Viceré"quando andava a fare qualche visita in certi palazzi grandi quattrovolte l'avitonei quali invece di botteghe da affittare c'eranogallerie vaste quanto museicon dentro tesori d'arteegli smise difrequentare le sue conoscenzerinunziò a farne di nuove. Peraffermare in qualche modo la propria ricchezzabuttava via iquattrini a carrozze di rimessao nei caffènei teatrineinegozi dove comprava una quantità di cose inutilicol soloscopo di lasciare il suo indirizzo: principe di Mirabellaalbergotale... Il più caro della città. E meno male ancora aNapolidove le tradizioni d'uno spagnolismo in tutto eguale alsiciliano gli facevano dare dell'Eccellenza dagli sconosciutiche gli si professavano servi; ma a Firenzea Milanoglitoccava il semplice signore; e invano Baldassarreche glistava sempre a fiancoprodigava il Sua Eccellenza e ilVoscenza paesano: la gente sorrideva o restava a bocca apertaalle espressioni stravaganti del maestro di casa.

Cosìper evitare queste mortificazioniil principino passòall'estero più presto del tempo stabilito. In paesi stranierila maggior ricchezza e autorità della gente della sua castanon lo feriva tantoma un altro impaccio lo aspettava: col suopovero e mal digerito francesesi sentì come fuori del mondoa Viennaa Berlinoa Londra: a Parigi fece sorriderecome inItalia Baldassarre. Ma frattanto la Siciliail suo paese nativolasua casa dove la considerazione ed il primato d'un tempo loaspettavanoerano divenuti per lui sempre più piccoli emeschini. Come rassegnarsi a tornare laggiùdopo aver vistola gran vita nelle grandi città? E come tenere un postomediocre in una capitale? Bisognava dunque essere il primo tra iprimi!... E una volta entratagli in testa quest'ideaConsalvo simise a considerare il modo di attuarla. Suo padre avrebbe consentitoa lasciarlo andar via per sempre? La cosa era dubbiamaimmancabilmentearticolo quattrinine avrebbe assegnati il menopossibile; e con vincoli umilianticome durante quel viaggiotuttele spese del quale dovevano esser fatte personalmente dal maestro dicasa! Vivendo il padreegli non avrebbe dunque potuto conseguire ilsuo scopo; e il principe poteva vivere cent'annicome tanti diquegli Uzeda che avevano il cuoio durose il vecchio sangue non siscomponeva prima del tempo... E Consalvo cheragionando freddamentemettendo a calcolo tuttofaceva i suoi conti sulla morte del padrecome sopra un avvenimento necessario alla propria felicitàconsiderava anche un altro lato della quistione: l'insufficienza ditutta la sostanza paternail giorno in cui egli ne sarebbe statounico padronea dargli le soddisfazioni che andava cercando. Grandelaggiùe anche da per tuttoper uno che non avesse vogliesmodateil patrimonio del principe di Francalanza era per Consalvopoco più che la mediocritàa Roma. La morte del padreera dunque inutile; egli doveva cercare un altro mezzo. E lìalla capitalequando vi passò di ritornoegli lo trovò.

Lozio ducafra le altre letteregliene aveva date parecchie per icolleghi del Parlamento. All'andataegli aveva visto un momentol'onorevole Mazzarinigiovane avvocato della provincia di Messinail quale faceva la politica continuando ad esercitare la professione.Di ritornoConsalvo pensava a tutti fuorché a costuipelquale sentiva un profondo disprezzo di razzaquando una sera si videaccostato per via dall'onorevole. -"Dinuovo a Romaprincipino? Di ritornonaturalmente? Ma perchénon m'avete avvertito del vostro arrivo? Sarei venuto a trovarvim'avreste fatto tanto piacere! E vi siete divertito certamentenonc'è bisogno di domandarlo!"Colui parlava a vaporegestendodandogli confidenzialmente del voimettendogli le mani addosso. E Consalvoche alle dimostrazionid'intimità restava freddissimosi tirava indietroschifandoogni contatto. L'onorevole peròquantunque accusasse un granda faree avesse infatti lasciato un crocchio di gente che loattorniavalo trattenne un pezzo; prima di lasciarlo gli disse: -"Civedremo domani; verrò a trovarvi all'albergo…"

Consalvofu tanto stupito che non ebbe tempo di levarselo dai piedi. Ed ildomani Mazzarinivenuto a prenderlolo invitò a desinare conluitrascinandolo al Morteo. V'erano molti altri deputatiunaquantità di clienti li circondava; Mazzarini stessoprima dipotersi sedere a tavoladovette sbarazzarsi di quattro o cinquepersone che lo aspettavanoe per tutta la durata del pranzo parlòdella moltitudine delle sue faccendedelle combinazioni politichedegli affari pubblici; un fattorino del telegrafo gli portòdue dispaccidei quali egli firmò la ricevuta masticando adue palmentimacchiando d'inchiostro il tovagliolo che teneva appesoal collo. Le persone che traversavano il caffè lo salutavanoegli rispondeva lorointerrompendosi con un -"cavaliere!..."o un -"carocommendatore!..."Alle fruttaaveva una piccola corte d'intorno alla quale parlavacon grande animazionedi Romadi quel che bisognava fare perrenderla degna dei suoi destiniper affermarne l'italianitàper tenere a segno il Vaticano. Finito il pranzoun po' alticcioprese a braccio Consalvo il quale fremè a quel contatto; ma ildeputatocon un sorriso che voleva essere discreto ed era beatoesclamò: -"Èdura la via della politicaspecialmente quando bisogna lavorare pervivere; main fin dei contiprocura anch'essa qualchesoddisfazione!... E voiprincipinonon pensate di mettervi nellavita pubblica?"

Paroledette cosìsbadatamenteper continuare a parlare; maConsalvo ne fu abbagliato. Stancoinfastiditodisgustato dallechiacchiere dell'onorevoledalla confidenza con la quale lotrattavada quell'ignobile pranzo che aveva dovuto ingozzare perforzaegli si vide in un momento schiuder dinanzidiritta edagevolela via che andava cercandoquella che d'un umilefaccendiere come Mazzarini faceva un uomo importanteriverito ecorteggiato; quella che permetteva di raggiungere la notorietàe la supremazia non in una sola regione o sopra una sola casta ma intutta la nazione e su tutti. Deputatoministro — Eccellenza!— presidente del ConsiglioViceré per davvero;che cosa occorreva per ottenere quei posti? Nullao ben poco.Mazzarini aveva parlato delle aspre lotte sostenute nel propriocollegio; ma il duca di Oragua non possedeva un feudo elettorale chenaturalmentesarebbe passato al nipote? Per farsi conoscerel'avvocato aveva dovuto crearsi pazientementeaccortamenteunaclientela: il principino di Mirabella l'aveva già bell'epronta. Alla culturaalla competenzaegli non pensava: se avevapotuto fare il deputato un ignorante come suo zioegli si credevacapace di reggere i destini della nazione. La forza della memorialafacilità della parolala sicurezza dinanzi alla folla cheerano mancate al duca e lo avevano tormentato per tutta la vitaaccrescendo la sua miseria intellettualeConsalvo le possedeva: aSan Nicoladinanzi ai monaci che s'empivano il buzzo di cibo o alcospetto della folla che veniva ad ascoltar le prediche di Natale;più tardi nelle vie della cittànelle taverneattorniato da gente d'ogni rismaegli aveva fatto sfoggiod'eloquenza: gli sguardi fissi su luiil silenzio dell'uditorioaspettante non lo avevano mai sgomentato. Che altro occorreva?

Avevapromesso alla zia di baciareoltreché le mani a Francesco iianche i piedi al Santo Padre: egli soppresse questa seconda visitapoiché gli conveniva mutare non solo le abitudini ma anche leidee. Fin quel momento era stato borbonico nell'anima e clericale perconseguenzaquantunque non credenteanzi scettico sulle cose dellareligione al punto di non andare a sentire la messa: altro capod'accusa mossogli da quel bigotto di suo padre. Adessoper mettersie riuscire nella nuova viaegli doveva essere liberale e mangiapreticome Mazzarini. Andò tuttavia a visitare lo zio Lodovico.Monsignore l'accolse con l'untuosità consuetacon le freddeespressioni d'un sentimento preso ad imprestito per la circostanza.L'antico Priore di San Nicola pareva conservato sott'aceto; asciuttosenza un pelo biancocon la faccia liscianessuno lo avrebbegiudicato sulla cinquantina. Ed i suoi occhi sfavillarono quandorichiesto dal nipote se sarebbe tornato in Siciliarispose pianomodestamente:

-"Nopel momento. E i miei nuovi doveri mi tratterranno ancora piùa Roma..."

-"Chedoverizio?"

Egliabbassò le cigliadicendo:

-"IlBeatissimo Padre vuolesenza merito miodestinarmi alla sacraporpora..."

Furboquello lì: arrivato a furia di furberia!... Consalvo se lopropose a modello. Frattantoinvece di fuggire Mazzarinilo andòcercandosi fece guidare da lui alla Camera ed al Senato peresaminar subito il campo della sua azione futura. Allora compresechese ad occupare un posto di deputato gli mancava soltanto l'etàgli occorreva qualche altra cosa per salire più in alto.Pertantotornato a casanessuno lo riconosceva. Persuaso che gliconveniva studiarecominciò comprare libri su librid'ognigenere e d'ogni grossezza: li divorava da cima a fondo o lispilluzzicava prendendo notepieno di buoni propositisulprincipiodisposto a fare sul serio. Tutte quelle materie eran taliche non occorreva l'opera del maestro: bastavan la preparazionesuperficiale che egli possedeva e la naturale intelligenza. Il latinodei monaciquello studio detestatoadesso gli giovava a qualchecosa. Più tardicol fervore d'un neofitacon la presunzionedegli Uzeda che non conoscevano ostacolicomperò grammatichee libri di lettura spagnoliinglesi e tedeschi per apprendere da séquelle lingue.

Lafama della sua conversione si diffuse subito. Stupitisospettosi orallegratii parentigli antichi amicigli stessi servi disseroche stava tutto il giorno a tavolino. Associatosi al Gabinetto diletturaluifondatore del club aristocraticovi andava a discuteredi politica e d'amministrazionea criticare o lodare uomini e cosea nominare autori e citar opere. Una sera che Giulente e il ducaincasa di quest'ultimodiscutevano a proposito dei dazi di consumo seconvenisse meglio al Comune appaltarli o riscuoterli per contoproprioConsalvo disse la suacon grande sfoggio di erudizione.Uscendo di lìBenedetto esclamò con tono scherzoso diprotezione:

-"Tifaremo consigliere comunaleappena avrai l'età!..."

-"Perché?No!..."esclamò egli. -"Epoi come si fa?"

-"Perché?Per avere un posto nella rappresentanza del tuo paese. Quanto almodoè semplicissimo."

Innanzitutto lo presentò al Circolo Nazionale. Alcuni soci feceroqualche difficoltà. Era degli Uzeda liberali o dei retrivi?Più d'uno assicurò che era borbonico come la ziaFerdinanda; che anzia Parigiera andato a far visita a Francescoii. Ma Giulente si portò garante dei liberi sensi del nipote:all'ex Re aveva fattoera verouna visitama costretto daiparenti; una visita di pura formadel restoche non lo impegnava aniente. Fino a quel momento era stato un ragazzo irresponsabile delleidee che aveva potuto esprimere; adessose chiedeva di far parte delcircolosignificava che ne approvava il programma. Néconveniva rifiutarloperché altrimenti egli avrebbe potutogettarsi in braccio ai reazionari... Gli scrupolosi si contentaronodi quelle assicurazionimormorando tuttavia chesecondo una certaversioneil principino aveva augurato al Re spodestato di rivederlonella reggia di Napoli... Quando Consalvo seppe che correva questavoceprotestò con tutte le sue forze che era una menzognasfacciatadella quale non capiva l'origine. Mapreso a quattr'occhiil maestro di casache solo poteva averla messa in girogli gridòsul muso:

-"Tubestionehai scritto che io ho detto a Francesco ii che vogliorivederlo a Napoli e il diavolo che ti porti?"

Imbarazzatoe confusoBaldassarre rispose:

-"Eccellenzasì..."

-"Echi t'ha detto una simile bestialità?"

-"Melo disse Padre Gerbiniche l'udì dire a Vostra Eccellenza..."

Alzatoil braccio in atto di minacciaConsalvo ingiunse:

-"Un'altravolta che ripeterai simili corbellerieti piglierò ascapaccionihai capito?"

Efu ammesso al circolo a pieni voti. Allora bisognò sentiredonna Ferdinanda! Già ellasubodorato qualcosadell'apostasiaaveva afferrato pel braccio il nipotegridandogli:-"Badache non ti guarderò più in faccia! Bada che non avraiun soldo da me!"E Consalvo le aveva risposto facendo l'indianoprotestando lapropria innocenza: -"Chehanno dato a intendere a Vostra Eccellenza?"Ma Lucrezia le andò un bel giorno a portar la notiziadell'ammissione del nipote al circolo. Schiumava anche leidall'indignazione; main fondoandava a denunziare Consalvo allazia per farglielo cader dal cuoregliene parlava male per entrarella nelle sue buone grazieper vendicarsi della principessa.

-"Ahmala razza!... AhGesuiti!... Ed a me diceva che non era vero!..."

Lavecchia non poteva tollerare singolarmente che quel mariuolo avessetentato d'infinocchiarla spudoratamente.

-"Mavorranno star freschi tutti quanti!... Voglio vederli creparetuttiquanti!..."

Eandata a prenderecome dieci anni addietropel matrimonio diLucreziala solita carta che teneva nell'armadiola laceròin mille pezzi dinanzi alla nipote.

-"Neancheun soldo! Così!"

AncheChiarapoiché suo marito s'era venuto a poco a pocoaccostando alle idee liberalifiottò contro il nipote econtro il marito. Don Blascoinveceliberale di data oramai quasianticaapprovò la conversione del nipote; il qualelasciandoche ciascuno di quei pazzi dicesse la suafece il suo esordio alcircolouna sera che l'assemblea discuteva intorno ai trattati dicommercio. Nella salaangustala gente era stipata e le seggiole sitoccavano. Per evitare contattiConsalvo aveva tirato la sua fuoridella filadistruggendone l'ordine; emordendosi i baffettistavaa sentire con aria di grave attenzione. Ma quando il presidenteannunziò: -"Senessuno domanda la parolametto ai voti le conclusioni dellacommissione"il principino s'alzò.

-"Domandola parola."

Immediatamentesi fece un profondo silenzioe tutti gli sguardi si diressero suConsalvo. Rivolte le spalle al muroguardando da un latol'assembleadall'altro la presidenzaegli cominciò:

-"Signoriio vi debbo innanzi tutto chieder venia dell'ardimento di cui potreteaccusarmi vedendomiultimo arrivato fra voiosare di prender laparola intorno a una grave materiaoggetto di così accuratoesame da parte di soci ai qualivolendo ma non potendo dare i nomedi colleghidebbo e voglio dare quello di maestri."

Illaborioso periodo fu detto con tanta sicurezzauscì cosìfilatoera così abile ed opportunosollecitava tanto l'amorproprio dei precedenti oratoririusciva così inaspettatosulla bocca d'un giovanotto conosciuto fino a quel momento solo perle sue prodigalità ed i suoi vizi che molti mormorarono: -"Bravo!...Bene!..."

Eglicontinuò. Disse che se il suo ardimento poteva giudicarsigrandeegli sapeva che non meno grande era l'indulgenza del suouditorio. Qualificò come -"modellodel genere"la relazione della commissionela disse -"degnaveramente d'un Parlamento".Ne citò due o tre paragrafi quasi letteralmente; quel prodigiodi memoria sollevò un lungo mormorio ammirativo. Ma forsel'indulgente assemblea aspettavasi che egli esprimesse la propriaopinione? E questa egli esprimeva -"conperitanza di discepolo ma saldezza di apostolo".Egli era per la libertà; per la libertà -"cheè la più grande conquista dei nostri tempi";della quale -"nonsi può mai abusare"perché essa è -"correttivodi se stessa".I vantaggi del libero regime erano infinitiperché -"comedice il celebre Adamo Smith nella sua grande opera..."e infatti -"opinaanche il grande Proudhon..."ma quantunque -"ilfamoso Bastiat non ammetta"pure -"lascuola inglese è del parere..."Lo stupore e il piacere erano propriamente granditutt'intorno;Benedetto godeva come d'un personale trionfopareva dicesse: -"Avetevisto? E quand'io vi garentivo?..."Salve d'applausi interrompevano tratto tratto quel discorso che tutticredevano improvvisato con tanta disinvoltura era detto; ma un verotrionfo successe all'argomentazione finale: la necessariacorrispondenza tra la libertà economica e la politica: -"lepiù grandi garanzie di benessere e di felicitàleragioni d'essere di questa giovane Italiaricomposta ad unitàdi nazione libera e forte per virtù di popolo e Re!..."




3.


Unanottementre al palazzo tutti dormivanotranne Consalvo curvo suivolumi di Spencerfu picchiato con grande fracasso al portone:Garinoil marito della Sigaraiachiamava il principe a rotta dicollo perché a don Blasco era venuto un accidente.

Ilmonacofloscio come un otre sgonfiatorantolava. La vigilia avevafatto una solenne scorpacciata e cioncato largamente: spogliato emesso a letto da donna Lucias'era addormentato di botto; manelmezzo della notteun sordo tonfo aveva fatto accorrere tutti quantie allora s'era visto il Cassinese distesoquant'era lungoin terrasenza più sentimento. La Sigaraiale figliuolela serva nonla finivano di raccontar la disgrazia; ma Garinochelasciatal'ambasciata al principe e chiamato un dottoreera tornato di corsaa casaaveva la ciera rannuvolata e non diceva verbo. Mentre ilmedico dichiarava di non poter fare nullaperché il colpo erafulminantee le donne ricominciavano a contristarsie ad invocarela Bella Madre Maria e tutti i santi del ParadisoGarino prese perun braccio il principe appena arrivato e lo trascinò in unastanza remota.

-"Eccellenzasiamo rovinati! Ho frugato da per tuttoe non c'è niente!Rovinata Vostra Eccellenza e rovinati noi! Dopo tanti anni chel'abbiamo servito! E quelle creature anch'esse! Sua Paternitànon doveva farci un simile tradimento!"

-"Avetecercato bene?"

-"Lacasa sottosopraEccellenza; che appena successe la disgrazia presile chiavi e frugai da per tutto... nell'interesse di VostraEccellenza.. Ma potevo credere a una cosa simile? Dopo che SuaPaternità aveva promesso dodici tarì al giorno alleragazze? È un tradimento! Sono rovinato! E Vostra Eccellenzapure... Io credevo che il testamento fosse scritto da annidall'altra volta che gli prese il capogiro...

-"L'avràforse dato al notaro?"

-"Mache notaro! Sua Paternità non voleva sentirnee anzi quandoil notaro Marco gli parlò in proposito... per amicizia anoi... gli rispose brusco che il testamento l'avrebbe fatto da sée chiuso nella sua cassa!... Ma non c'è niente in tutta lacasa... Se avessi saputo una cosa simile!..."E tacqueguardando il principe.

-"Cheavreste fatto?"

-"Avreiscritto io il testamentosecondo le sue intenzioni... per darglieloa firmare... La firma ce l'avrebbe messa in mezzo minuto... Potevoanche..."

Main quel punto chiamarono di là. Il dottoretanto percontentare -"lafamiglia"aveva ordinato che si cavasse sangue al fulminato e gli s'attaccassequalche mignatta alle tempie; Garino scappò per eseguire gliordini del dottoree il principe si mise a girare per la casa.

Facevagiorno quando venne il salassatore. L'operazione non giovòquasi a nulla; solo gli occhi del moribondo s'aprirono un momento; mané un muscolo si scossené una parola uscìdalla bocca serrata. Col giorno venne la principessa. Gli altriparenti non sapevano ancora nullae cominciarono ad arrivare piùtardiuno dopo l'altro; entravano un momento nella cameradell'agonizzante e poi passavano nella stanza attiguagirellonandocercando il momento di prendere a parte il principeper dirgli in unorecchio:

-"C'ètestamento?"

-"Nonso... non credo..."rispondeva il principe. -"Chipensa a queste cose per ora?"

Invecenon pensavano ad altrodivorati dalla curiositàdallacupidigia dei quattrini del monaco. Dopo la vecchia principessadonBlasco era il primo Uzeda danaroso che se ne andava; Ferdinando nonera contato: aveva poca roba e quella poca era stata carpita dalprincipe. Il Cassineseinvecetra i due poderila casa e irisparmi lasciava quasi trecentomila liree tutti speravano dirasparne qualcosa. Se non c'era testamento i due fratelli Gaspare edEugenio e la sorella Ferdinanda avrebbero ereditato; e la zitellonadopo una vita d'inimiciziaaspettava d'arraffar la sua parte. Tuttigli altrial contrarioaspettavano un testamento che li nominasse.Il principe dichiarava piano all'orecchio dello zio duca che nonsperava nulla per séma qualcosa per Consalvoe di mezz'orain mezz'ora spediva al palazzo qualcuno dei camerieri dellaparentelaaccorsi coi padroniperché chiamassero suo figlio.Ma il principino dapprima aveva risposto che era a lettopoi chedovevano dargli il tempo di vestirsipoi che stava per venireefinalmente gli ultimi messi non lo trovarono più. Se n'eraandato al Circolo Nazionale per assistere all'adunanza d'unacommissione incaricata di studiare il piano regolatore della città.Arrivò finalmente quando attaccavano le mignatteall'agonizzante. Il principe non gli rivolse neppure la parola eprese invece in disparte Garino che in quel momento tornava per laquarta o la quinta volta. Poi il marito della Sigaraia entrònella camera del moribondoche sua moglie e le ragazze nonlasciavano un momento. Invece di giovarele sanguisughe affrettaronola catastrofe; Garino affacciossi sull'uscioannunziando:

-"IlSignore l'ha chiamato con sé!"

Tuttientrarono nella camera del morto. Era immobilestecchitocon gliocchi chiusicon le tempie butterate dai morsi delle mignatte.L'odore nauseante del sangue appestava la cameracome una beccheria;e c'era per terra e sui mobili una confusione straordinaria: pannidisseminati qua e làcatinelle piene d'acquacaraffe diaceto. La Sigaraiadischiusa immediatamente la finestra perchél'anima del Cassinese potesse volarsene difilata in Paradisodisponevasinghiozzandodue candele sul comodino. Le ragazzepiangevano come due fontane e Lucrezia pareva avesse perduto il suosecondo padre; ma i pianti e le preci a poco a poco cessarono; ealloraasciugatisi gli occhiLucrezia dissemolto tranquillamente:

-"Adessoche lo zio è in Paradiso potremmo vedere se c'ètestamento."

Nelsilenzio di tuttiil principecome capo della casafece un gestodi consenso. Ma donna Luciache finiva d'accendere le candelesivoltò e disse:

-"C'ètestamentoEccellenza. La sant'animaper sua bontàme lodiede a serbare. Vado a prenderlo subito."

Sipotevano udir volare le mosche mentre la donna consegnava al principeuna busta apertae questiper deferenzala passava allo zio duca.Il duca diede un'occhiata al foglio dove c'erano poche righe discrittoe senza leggereannunziando il contenuto dei brevi periodia mano a mano che li scorrevadisse:

-"Eredeuniversale Giacomo... esecutore testamentario... un legato diduecent'onze l'anno a don Matteo Garino..."

-"Nient'altro?...E nient'altro?..."domandarono tutt'intorno.

-"Nonc'è altro."

DonnaFerdinanda s'alzò e si mise a leggere il foglio prendendolodalle mani del principe a cui il duca l'aveva passato; ma Lucreziavenendo a metterlesi a fiancole disse:

-"VostraEccellenza mi lasci vedere."Il principe pareva del tutto disinteressato. Le due donne che stavanochine sul documento scambiarono sottovoce qualche parola; poiLucrezia annunziòforte: -"Questotestamento è falso."

Tuttisi voltarono. Il principecon estremo stuporeesclamò:

-"Comefalso?"

-"Falso?"saltò su Garinoche se ne stava nel vano d'un uscio.

-"Hodetto che è falso"ripeté Lucreziadando uno spintone a suo marito che volevaleggere anche lui il foglio. -"Questanon è scrittura dello zio; la scrittura dello zio la conosco."

-"Lasciamivedere!..."e Giacomo considerò attentamente i caratterimentre tutti glialtri gli s'affollavano intornoesaminandoli anch'essi.

-"T'inganni"disse il principe freddamente; -"èscrittura dello zio."

Deglialtri nessuno espresse un'opinione. Con tono di fine ironiaLucreziareplicò:

-"Alloravorrei sapere quando l'ha scritto. Stanotte? C'è ancora lasabbia attaccata!"

LaSigaraia intervenne:

-"EccellenzaSua Paternità scrisse il testamento ieri l'altroperchépoverettoil cuore gli parlava e gli diceva che la sua fine eraprossima..."

-"Eperché non ne avete detto nulla?"domandò allora donna Ferdinanda.

-"Eccellenza..."

-"Ione fui avvertito"affermò il principe.

-"Maa noi dicesti che non credevi ci fosse testamento..."

-"Avrestipotuto farcelo sapere"ribatté donna Ferdinanda.

-"Mache!"riprese Lucreziadando un altro spintone a Benedettoil quale lefaceva qualche osservazione prudente all'orecchio. -"Èun testamento falsosi vede dalla freschezza della scrittura e anchedalla firma. Lo zio firmava "BlascoPlacido Uzeda"col secondo nome preso in religione..."

Garinoallora credette di dover dire la sua:

-"Eccellenzaallora Vostra Eccellenza crede..."

-"Voistate zitto!"esclamò Lucreziasprezzantementesuperba di fare attod'autorità dinanzi a tutta la parentela.

-"VostraEccellenza è la padrona..."continuava nondimeno il Sigaraiocon aria dignitosa -"manon può offendere un galantuomo. Allora l'ho fatto ioiltestamento falso?"

Ea un tratto la Sigaraia scoppiò in pianto:

-"Quest'affronto!...Maria Santissima!..."

Ilducail marcheseBenedetto intervennero tutti insieme:

-"Chiha detto questo?... State zittain un momento simile... Silenziovidico: che è questo modo?"

-"Tuaccetti il testamento?"insisteva Lucreziarivolta al fratello.

-"Sicuroche l'accetto!"

-"Allorace la vedremo in tribunale! Intanto chiamate l'autorità permettere i suggelli..."

Ela Sigaraia che si strappava i capellidi làinginocchiatadinanzi al morto:

-"Parlatevoi!... Ditelo voi se è vero!... Una simile ingiuria!... Dopotant'anni che v'abbiamo servito!... Parlate voi dal Paradisocon labocca della verità!..."

Ela lite scoppiòpiù feroce di tutte le precedenti.Donna Ferdinanda non scherzavaall'idea che le avevano tolto la suaparte della successione; ma Lucrezia era implacabile per la rivincitada prendere su Graziella che l'aveva trattata male e anche un po'perché sperava sull'eredità dello zio come un mezzo dimettere in piano l'amministrazione della propria casa: dacchéla teneva leinon c'erano quattrini che bastassero. Il marchesebonaccionevoleva evitare lo scandalo; ma Chiaraper fare ilcontrario di ciò che egli volevasi schierò controGiacomo con la zia. A poco a poco tutto l'amor suo pel marito s'erarivolto al bastardo; e poiché Federico era sempre vergognosodella paternità clandestina e non voleva riconoscerlal'odioantico per il marito che le avevano imposto s'era venuto ridestandoin lei. La sua testa di Uzeda sterile aveva concepito e maturato undisegno: lasciare Federicoadottare il bastardello e portarselo via;avendo bisogno di quattrinisperava nella sua parte dell'ereditàdi don Blasco. EllaLucrezia e donna Ferdinanda si nettavano quindila bocca contro quel falsario di Giacomocontro quel ladro chevoleva la roba del monaco come aveva carpito le Ghiande alla felicememoria di Ferdinando: contro quello sbirro di Garinoanchecheaveva proposto ed eseguito il colpoché al tempo in cuiesercitava l'onorato mestiere di spia s'era provato ad imitare lescritture dei galantuominiper rovinarli dinanzi alla polizia. Ma ilpiù bello che era? Che un ladro aveva rubato l'altro; giacchéGarinoil quale doveva farsi lasciare dodici tarì al giornosoltantoaveva calcato la manomentre c'eraportando il legato aduecento onze l'anno! Né il principe poteva fiatareperchéaltrimenti si sarebbe dato la zappa sui piedi!...

Garinoe la Sigaraia giuravano e spergiuravano che era tutta un'infamiainventata dalla parentelala quale non aveva mai potuto andared'accordo. A chi volevano dunque che la buon'anima lasciasse? Allasorella ed ai fratelliche aveva amato come il cane i gatti? L'eredenaturale era il principeil capo della casa! Quanto ad essinientedi più naturale che la sant'anima si fosse disobbligata deiloro buoni servigi; anziper dire la veritàchi si sarebbeaspettata quella miseria di duecento onzedopo quanto avevano fattoper lui?...

Ofatto o non fattodonna Ferdinanda spedì la prima cartabollata in cui impugnava il testamento e domandava una perizia altribunale. Il principe si strinse nelle spallericevendola. Per luiniente era più -"doloroso"delle liti in famiglia; e a tutte le persone che incontrava esprimevail suo profondo rammarico per la condotta della zia e delle sorelle.Ma che poteva farci? Poteva rinunziare all'eredità? Eran essele ostinatele prepotenti e le pazze!... In casaperòegliera divenuto più irascibile di prima. Contegnoso in presenzadi estraneisfogava dinanzi alla moglieai figli ed ai servi lacontrarietà e l'acredine. Teresaveramentenon gli davanessun appigliosempre docile e obbediente; la principessa anche leichinava il capo al soffio della bufera; ma egli se la prendeva tuttii momenti col figliuoloattribuendo all'apostasia politica di costuil'inasprimento di donna Ferdinanda.

-"S'èmesso in urto con sua zia che gli voleva tanto benecotestoimbecillecotesto buffone! Perderà l'ereditàperandare a dir buffonate al circolo e al quadrato! E mi fa piovere unalite sulle spalle! Io domando e dico se mi poteva capitare maggiordisgrazia d'avere un figlio così bestia e birbante!..."

Maoltre quellaegli aveva tante altre ragioni di cruccio. Piùche mai infervorato nelle sue nuove ideedeciso colla cocciutagginedi famiglia a percorrere la strada prefissaConsalvo spendeva adessoa libri un occhio del capo. Ne faceva venire ogni giornointorno adogni soggettodietro una semplice indicazione del libraiosenz'altro criterio fuorché quello della quantitàconla stessa smania di sfoggiare e di far le cose in grande cheprimaquando l'eleganza degli abiti era il suo unico pensierogli facevacomperare i bastoni a dozzine e le cravatte a casse. Era umanamenteimpossibilenon che studiarema neppur leggere tutta quella cartastampata che pioveva al palazzole opere in associazionelevoluminose enciclopediei dizionari universali; e ad ogni nuovoarrivo il principe montava peggio in bestia.

-"Vedi?..."rispondeva Consalvo a Teresaquando la sorella andava a parlargli illinguaggio della pace e dell'amore. -"Vedi?S'è proprio messo in capo di contrariarmi in tutto e pertutto. Che faccio di male? C'è cosa che piùraccomandanooggi: lo studio? il sapere? No: neppur questo!..."

Equando il principe se la pigliava direttamente con luie glirimproverava il dissidio con la zia e lo sciupio dei quattrini:

-"Iopenso con la mia testa"rispondeva freddamente il figlio. -"Ciascunoè libero di pensarla come crede. Mia zia non puòimpormi le sue idee... e se spendo qualche cosa a libridomandoaltro?..."

Ognidomenica c'era un'altra lite per la messa. Consalvo si seccava diandare a sentirlasorrideva d'un ambiguo sorriso allo zelo religiosodel padre: costretto a confessarsirecitava al vecchio Domenicanouna filastrocca di bislacchi peccati. Punzecchiava anche la sorellapel fervore che ella metteva nelle devozioni; voltava le spalle alletonache nere che bazzicavano per la casa. Il principe aveva fattocostruirenel camposanto del Miloun monumento di marmo e bronzosulla sepoltura della prima moglie: negli anniversari della morteandava lassù con la principessa e Teresafaceva dire moltemesse pel riposo dell'anima della defuntaportava grandi corone difiori sulla tomba. Consalvo non andava mai insieme con la famiglia: oun giorno primao un giorno dopo. Ad ogni pretesto addotto dalfiglioil principe lo guardava fisso; poi si lasciava condurre viadalla mogliela quale lavorava a mettere pacead evitar liti. Eadesso l'urto era più tra figlio e padre che tra figliastro emadrigna; Consalvo si piegava piuttosto ad una buona parola dellaprincipessa che alle ingiunzioni del principe.

Ungiorno annunziò che aveva preso un professore di tedesco ed'inglese. Il padredopo averlo guardato bene in visogli domandò:

-"Mispiegherai una volta che diamine vuoi fare?"

Consalvodopo averlo guardato anche lui:

-"Quelche mi pare"rispose.

Aun tratto il principe diventò rosso come un gambero elevatosi da sederequasi una molla lo avesse spintosi precipitòcontro il figliuologridando:

-"Cosìrispondifacchino?"

Sela principessa e Teresa non si fossero slanciate a trattenerloe seConsalvo non fosse andato subito viasarebbe finita male. Da quelmomento la rottura fu totale. Per ordine del principeil giovanottonon venne più a prender i pasti con la famiglia: cosa chesedispiacque alla principessa e più alla sorellafece a luigrandissimo piacere. Egli vide il padre un momento ogni giornoperdargli il buon giorno o la buona sera; né costui lagnossi piùdel mutismo e della solitudine in cui si chiudeva il figliuoloanzievitò egli stesso d'incontrarlo. Prima del famoso viaggioquando i vizi e i debiti del giovanotto procuravano al principestravasi di bilemoti nervosi e vere malattieun dubbio era sortonella testa di quest'ultimo: suo figlio era forse iettatore? E ildubbio adesso facevasi stradaquantunque egli non osassemanifestarlo. Ma perchédunquetutte le volte che egliaffrontava una discussione col figliuologli veniva il mal di capo ogli si guastava lo stomaco? Perchédurante la lunga assenzadi Consalvoegli era stato benissimo? In un altro ordine d'ideequella conversione politica che aveva acceso il furore di donnaFerdinanda e coonestata l'impugnazione del testamentonon eraun'altra prova di malefico influsso? Rivangando nella propriamemoriail principe trovava altre ragioni di credere a quel funestopotere: una vendita andatagli male quando il figliuolo aveva detto:-"Saràdifficile ottenere buoni prezzi";una scossa di terremoto prodottasi dopo che il giovanotto avevaosservato: -"L'Etnafuma!..."Pertanto egli era adesso contento di non averlo più vicino; selo incontrava per le scaleo traversando le stanzerispondeva conun cenno del capo al suo saluto e tirava via; se c'era una necessitàqualunque di stargli da pressoin salottoquando venivano visitegli parlava il meno possibilescappava appena poteva.

L'unicomezzo di rimetter la pace in famiglia era che il giovane prendessemoglie e andasse a far casa da sé. Tanto e tantoavevaventitrè annie tra gli Uzeda gli eredi del principatos'ammogliavano presto. I lavapiattii pettegolii curiositutticoloro che s'occupavano dei fatti dei Francalanza come se fossero ipropriaspettavano con impazienza il matrimonio di lui e di Teresadiscutevano i partiti possibili. Per Consalvo c'era l'imbarazzo dellascelta: il barone Currerail barone Requenseil marchese Corvitinii Cùrcumatanti altri avevano figliuole straricche in etàd'andare a marito; per Teresa la cosa era più difficile.Giovani a un tempo ricchi e nobili tanto da poterla sposarenonc'erano altri che i due figli della duchessa Radalì. Laduchessasacrificati i suoi più begli anni per amor delprimogenitogelosa di luinon gli aveva ancora dato moglienontrovando buono nessun partito e se lo teneva cucito alle gonnequasipotessero rubarglielo; invece lasciava libero Giovanninoperchéal giovane non venisse voglia d'ammogliarsi. L'eredità dellozio lo aveva fatto ricco quanto il fratello maggiorema tra loro duec'erano differenze che andavano considerate. Michele non era difisico molto vantaggiosoa ventisei anni aveva pochi capelli ed unacorporatura troppo pingue; ma era il primogenitopossedeva tutti ititoli della casa; il secondoche godeva solo di quello nontrasmissibile di baroneera fra i giovani più graziosi edeleganti. Quantunque andassero poco dagli Uzeda dacché c'erauna ragazza da marito — anzi a causa di ciò —levoci d'un possibile matrimonio trovavano credito; ma il principesegli domandavano che cosa ci fosse di verodichiarava che primadoveva ammogliarsi Consalvoe la principessa si guastavaaddirittura. -"Questeciarle mi dispiacciononon per nientema perché potrebberovenire all'orecchio di Teresinae io sono molto gelosa: il miosistema è che le ragazze non debbano saper certe cose néudire certi discorsi!..."

Teresapareva non udire né questi né altri discorsie sognaretuttodì ad occhi aperti. Divorava i pochi libri di versi e iromanzi che la principessa le consentiva di leggeredipingevaquadretti dove si vedevano castelli merlati sorgenti in mezzo a laghidi cobaltotrovatori con la chitarra ad armacolloo piùspesso castellane inginocchiate ed orantiMadonne col divinoFigliuolo tra le braccia. Le composizioni austere e più lesacre erano le preferite dalla principessa; e la figliuola lasciavaperciò da canto i soggetti futili. Questa costante remissioneai voleri altruiquesto senso di doverosa obbedienza erano semprevivi in lei; più Consalvo dava motivi di cruccio in famigliapiù ella credeva suo obbligo di evitare ai parenti ogni piùpiccolo dispiacere. Le finzioni poetiche dei libri le accendevano lafantasia e le facevano battere il cuorema se la principessagiudicava troppo lungo il tempo da lei dedicato alle letture frivolele smetteva addirittura. Spesso udiva lodare un romanzoun drammaun volume di versie si struggeva di leggerliimmaginando quantodovevano esser belliche piacere le avrebbero procurato; non cipensava più se la madrigna le diceva: -"NoTeresinanon sono per te."Certe volte quei libri erano posseduti da Consalvoil qualebenchés'occupasse solo di studi positivipure comprava anche la roba amenaper far vedere che era a giorno di tutto; e allora sarebbe bastato aTeresa farsi prestare il volume dal fratello per leggerlo dinascosto; ma quest'idea non le passava neppure pel capoper lastessa ragione chein collegioaveva rifiutato di leggere i libriche qualche sua compagna era riuscita a procurarsie non aveva datoascolto ai discorsi proibiti delle amiche sventate. Il confessoreladirettrice le avevano detto che non bisognava neppur parlare di certecoseed ella se ne astenevarigorosamente. Come quando era bambinal'idea delle lodi e del premio da ottenerel'ambizione di vedersiadditata come esempio alle altrevincevano le tentazioni dellacuriositànon le facevano sentire le privazioni ches'infliggeva.

Adessola conducevano spesso al teatro: d'estate alla commediad'inverno almelodramma; ed ella non sapeva veramente dire quale dei duespettacoli le piacesse di più. Ella stessa componeva di tantoin tanto un valzeruna mazurcaoppure notturnisinfoniefantasiesenza parole che portavano per titolo: Vorrei!IncantiStoria mestaOgnor...e conoscenzeparentiamicitutti andavano in visibilio udendole; lo stesso maestrounvecchietto scelto apposta dalla principessa per non mettere -"l'escaaccanto al fuoco"prodigava grandi lodi: don Conoil vecchio lavapiattile dava del-"Belliniin gonne"ed anzi una volta esclamò: -"Opinoche al concerto bellico convenga appararle onde eseguirle inpubblico!"Il concerto bellico era la musica militareche godeva la famad'essere una delle migliori d'Italia. Teresa si schermì; laprincipessatra il piacere di far conoscere a tutti il talento di-"miafiglia"e la repulsione per la pubblicitànon sapeva risolversi; ilprincipepoiché non ne andavan quattrini di mezzoera deltutto indifferente; ma don Conoincaponito nella sua ideavenne ungiorno a dire che aveva già parlato al capobanda.

Ilmaestro venne al palazzoin compagnia del lavapiatti; era un giovanecosì bello che pareva San Michele Arcangelo: bruno di capellibiondo di baffiroseo di carnagione. La principessaappena lo videcominciò a torcere il muso e a far segni a don Cono per dirgliche non s'aspettava da lui quella parte: condurle in casa un tiposimile?... Intanto il maestro eseguiva al pianoforte le composizionidella signorinacon un coloritoun'espressioneun'anima darenderle irriconoscibili alla stessa autrice; e ad ogni pezzo leesprimeva una crescente ammirazionee quando non ce ne furono piùdisse che non sceglieva perché erano uno più bellodell'altro: non potendoli prender tuttilasciava che la stessa -"principessa"scegliesse. Teresa gli diede Storia mesta; ma quandofinitodi cavar la partiturauna settimana dopoil maestro si presentòal portone del palazzoper far vedere il suo lavoroil portieredisse che i padroni non ricevevano.

-"Condurmiin casa quel tipo? Non m'aspettavo un simile tiro da voi! Si vedebene che non avete figliuole!"aveva detto donna Graziella al vecchio lavapiattinon riuscendo adarsi pace; ma ella esageravacome in ogni cosa: la principessina diFrancalanza poteva forse gettare gli occhi sopra un capobanda?

Storiamesta fu eseguita una domenicaalla Marinadalla musica delreggimento: il concerto era veramente uno dei migliorie lacomposizione di Teresa parve un vero pezzo d'operacon certicantabili affidati ad un corno inglese dolce come una voce umanaecerti effetti d'organo da far credere alla gente d'essere a SanNicoladinanzi allo strumento di Donato del Piano. Teresaincarrozza chiusasotto i platanistava a udirecol cuore che lebatteva come se volesse schiantarsicon un nodo di pianto alla golae pallida in viso come una rosa biancae poi a un tratto di porporaquandoal finire del pezzos'udì uno scroscio d'applausi...La musica suaquella degli altrii drammila poesial'inebbriavanola rapivanola sollevavano in altoin cielonell'etere azzurrodove ella non sentiva più il suo corpodove aspirava e bevevaanche tra le lacrimela pura felicità.Ma niente delle commozioni ora dolciora ardentior tristiorsoavior disparateineffabili sempreche gonfiavano il suo cuoredi gioia o lo serravano dall'angosciaera noto al mondo. Ella non sitradiva: mentre l'anima sua era più turbataal pensierodell'amorenell'attesa dell'amoredinanzi agli uominiai giovanibelli come il cugino Giovannino Radalì; mentre la fantasia lerappresentava con maggior evidenza il proprio avvenirepiaceri edolorifortune e sciagureella rimaneva tranquilla e composta eserena. Non le costava farsi forzadisperdere quelle fantasie perattendere alle minute o ingrate bisogne reali.

Laconoscenza del maestro del reggimentole sue lodil'esecuzionedella musica avevano scatenato una tempesta in lei; ma quando ilgiovaneper divieto della principessanon tornò piùal palazzoella non pensò più a lui. Don Conoincaponito nella sua ideaincoraggiato dal lieto successoparlòun giorno all'assessore dei pubblici spettacoliperché desseordine al direttore della musica cittadina di concertare anche lui lecomposizioni della principessina. Questo assessore degli spettacoliera Giuliano Biancavillafigliuolo di don Antonio e della Bivonaungiovanotto sulla trentinabruno di carnagione e nero di capelli comeun araboma fineelegante e con gli occhi dolcissimi. Appena udìla proposta di don Conodiede immediatamente gli ordini opportuniela principessa acconsentì che la figliuola avesse tutte leconferenze occorrenti col maestroche era sulla sessantina. Maquando il diavolo ha da ficcarci la coda! Donna Graziellacon tuttele sue precauzioninon poté impedire che il giovane assessoremettesseda lontanogli occhi addosso a Teresa! Al teatro laguardava fissosenza lasciarla un istante; al passeggiola suacarrozza seguiva sempre quella degli Uzeda; perfino in chiesa sifaceva trovare sul loro passaggio. Appena accortasi di quellacommediala principessa riferì ogni cosa al principeilquale lasciò cadere tre sole parole:

-"Èpazzopoveretto."

Ela lingua della moglie cominciò a lavorare. Un Biancavillapretendere alla principessina di Francalanza? Forse perché unaUzeda aveva sposato un Giulente? Poverettocredeva d'avere a farecon un'altra Lucreziaquell'assessore!... Nobilisissignori: iBiancavilla erano nobiliricchi anche; ma la loro ricchezza e laloro nobiltà non li faceva eguali ai Viceré. -"Guardatefrattanto che ardimento e che petulanza! Far ciarlare la genteintorno alla mia figliuola!..."E con tutti i suoi discorsinon s'accorgeva di diffondere piùrapidamente la nuova.

Inbreve non si parlò d'altro in città. -"Glieladaranno?... Non gliela daranno?..."Ma tutti riconoscevano che Biancavilla aveva posto gli occhi troppoin alto. Baldassarrespecialmentenon sapeva darsi pace. Eglivoleva naturalmente che la principessina sposasse uno fatto per leiun baronea dir pocoricco da mantenerla come una Regina; epureaspettando che il principe facesse la sua sceltain cuor suo avevadestinato alla padroncina il cugino don Giovannino. Questo frattantoera per lui certo: che la signorina non si sarebbe neppure accortadell'esistenza di Biancavilla.

Invecealla lungagli sguardi del giovane avevano attirato quelli di leiquasi per virtù magneticae le facevano adesso affrettare emancare tutt'in una volta il respiro. Anch'ella lo guardavadi tantoin tantosenza vederlo benedal turbamento; ma tornava a casafelice e ridente quando lo aveva scorto anche da lontanoe simetteva a improvvisare al pianofortetremando da capo a piedicomese egli potesse udire tutti i segreti pensieri d'amore confidati allostrumentole divine speranze d'eterna felicità... Incollegioella aveva composto talvolta qualche versoper le festedelle maestreper gli onomastici delle amiche: voleva adessoscriverne per luimetterli in musica unicamente per lui...


Sefossi il pallido

raggiodi luna

chea notte bruna

tiposa in fronte;

sefossi il zeffiro

lalieve brezza

chet'accarezza...


Nonriuscì ad andare più innanzima si pose a comporre unaromanza su quel temaintitolato Se!… piangendo didolcezza quando non la vedevanomentre le note appassionates'involavano dal pianoforte.

Ininvernoil barone Cùrcuma diede alcuni balli. Donna Graziellanon aveva ancora condotto Teresa in società; prima di tuttoperché non intendeva che i giovanotti avvicinassero sua -"figlia"e poi anche perché non aveva giudicato nessuna casa degnad'esser frequentata dalla principessina. Quella dei Cùrcumaveramentepoteva passare; e poi il principe volle che tutta lafamiglia vi andasse. Ma il cuore le parlavaa donna Graziella:giusto la prima serachi ci trovò? Giuliano Biancavilla!...Se quel petulante avesse conosciuto un poco il mondosarebbe rimastoquieto al suo posto; invece pensò di farsi presentare e diballare con la sua Teresa!... Costei tremavanelle sue braccia; eglinon le disse altro che qualche parola: -"Èstanca?... Grazie!..."ma pareva a lei d'essere in cielomentre la principessa stava sullespine e faceva segni al marito per dargli segno del pericolo. Ma ilprincipe era in istretto colloquio col padrone di casa; e a un trattoquel petulante si ripresentò per chiedere alla signorina unamazurca. Allora donna Graziella intervenne:

-"Scusatecavaliere; mia figlia è stanca."

Conuna gran stretta al cuore Teresa s'accorse dell'opposizione dellamadre. Infiammato per averla tenuta un momento fra le bracciaBiancavilla cominciò a seguirla per le viecome l'ombra: laprincipessa gonfiavasmaniavasoffiava: una voltasulla portadella chiesa dei Minoritipassandogli innanziesclamò pianoma in modo che i vicini potessero udirla: -"Cheseccatore!..."

Teresapianse a lungonascondendo le proprie lacrimeprevedendo che tuttele sue speranze si sarebbero infrantese i suoi non volevano. Anchei Biancavilla sapevano che gli Uzeda non avrebbero mai consentito aquel matrimonio; ma il giovaneche era proprio cottoinsistevagiorno e notte presso la madre e il padre perché facessero larichiesta; tanto che un giorno Biancavilla padre prese il suocoraggio a due mani e andò a parlare col duca. Questicongrande consumo di -"moltoonorati"e di -"figuratevicon quanto piacereper me!"gli rispose che ne avrebbe parlato al principe; Giacomo ripetèallo zio le stesse tre parole dette alla mogliecon una piccolavariante: -"Sonopazzipoveretti!"Quindi il duca rispose a don Antoniocon molte belle paroleche nonse ne poteva far niente -"perchéil principe voleva prima accasare Consalvo".

Nonera un pretesto. Il principe aveva iniziato pratiche coi Cùrcumaed era andato in casa loro per combinare il matrimonio dellabaronessina col figlio. Il partito era stato accettato a occhichiusie l'assiduità di Consalvo ai balli del barone fuappresa come l'inizio della sua corte alla signorina. Ma egli nonsapeva niente di quanto aveva ordito suo padree andava ora insocietà per parlare di politica e di filosofia. Tutto l'orodel mondo non lo avrebbe piegato a fare un giro di valzer: tenevacattedra nel cerchio degli uominie se avvicinava le signore o lesignorinele metteva a parte del bilancio comunaledel regolamentoscolastico e del gettito dei dazi consumocon molte citazionistatistiche e proverbi latini. Ripetuta di bocca in boccala notiziadel suo matrimonio arrivò anche a lui; e allora egli scoppiòin una risata cordialedicendopiù laconico del padre:

-"Sonopazzi!"

Prendermogliesposare una bambola carica d'oro come quella baronessinalegarsi ancora più strettamente a quel paese dal quale volevaandar viacrearsi gli avvincenti doveri della famigliaquando avevabisogno d'essere libero come l'ariadi dedicare tutte le proprieenergie al conseguimento dello scopo prefissosi? Mattidavvero! E lacosa gli parve sì buffache neppur volle smettere le visiteal barone.

Giustoin quel tornoperduta ogni speranzaGiuliano Biancavilla partì.Chi diceva che sarebbe andato a Romachi a Parigichi aggiungevache non sarebbe mai più tornato a casasenza riguardo aldolore dei suoi. Il ducaper incarico del principe che aveva pauradi parlare direttamente col figliuoloannunziò a Consalvo cheera tempo di prender moglie e che tutta la famiglia era d'accordo perdargli la baronessina.

-"BenissimoEccellenza"rispose il giovane. -"C'èperò una difficoltà."

-"Cioè?"

-"Cheio non la voglio!"

-"Eperché non la vuoi?"

-"Perchéno! Si tratta di me o di Vostra Eccellenza? Si tratta di me! Dunquetocca a me manifestare la mia volontà. Io non la voglio."

Quandoil duca riferì al principe questa rispostaGiacomo era giàfuori della grazia di Dioper aver saputo che il peritoincaricatodal tribunale di esaminare il testamento del fu don Blascos'erapronunziato contro l'autenticità della scrittura. Udendo ildecisivo rifiuto del figlioegli scoppiògridando con vocerauca:

-"Ahiettatore! Lo fa apposta! Per farmi crepare! Ma voglio far crepareluiprima! Ditegli dunque che si scelga chi diavolo vuole: sposisposi la prima sgualdrina che gli piaceuna di quelle ciarpe con lequali andava bagordando quando ancora non s'era fitto in capo didivenire letterato! Sposi chi gli piace e vada al diavoloperchéio non voglio più trovarmelo fra i piedicotesto iettatore!"

-"Eccellenza"rispose il principino allo zio che gli riferiva la secondaambasciata -"ionon voglio sposare né la Cùrcumanénessun'altra. Sono ancora giovane e ci sarà sempre tempo dimettermi la catena al collo. La cosa certa è che per ora nonbisogna parlarmi di matrimonio. Non sono una donna come la ziaChiarache la nonna fece sposare per forza..."

Ela nuova tempesta si veniva addensando sordamente; i lampi guizzavanonegli sguardi irosi del principei tuoni rumoreggiavano nella suavoce cupa.

-"SantoDio d'amore!..."diceva la principessa a Teresa. -"Chedispiacerequesta guerra; che scandalo! E chi sa come e quandofinirà... Ma tu!... Tu nonon hai dato a nessuno il minimomotivo di dolore!... Benedetta!... Sempre santa così!.."

Teresasi lasciava abbracciare e baciare dalla madrignaassaporando lalodedolendosi della guerra tra il padre e il fratellovotandosialla Madonna affinché la facesse cessare. Che cosa potevaoffrire alla Vergineper ottenere tanta grazia? L'amor suo perGiuliano?... Noera troppoera la cosa che più le stava acuore... Ella non vedeva più il giovanenon aveva notiziadella richiesta e del rifiuto; sapeva nondimeno che i suoi nonvedevano bene quel partito; ma la speranza era in lei viva ancora: ungiorno o l'altro il padre e la madrigna avrebbero potuto ricredersiconsentire alla sua felicità...

Ungiornoinvecescoppiò la tempesta fra il padre e ilfratello. Questi aveva ordinatodi suo caposenza dirne niente anessunoquattro grandi scaffali per disporvi i suoi libri; quando ilprincipe vide arrivare quei mobilifece chiamare Consalvo e glidomandò concitato:

-"Chit'ha permesso d'ordinar nullain casa mia?"

Ilgiovane rispose con la studiata freddezza che faceva imbestialire suopadre:

-"Avevobisogno di questi mobili."

-"Quicomando iot'ho detto molte volte"ribatté l'altrofacendo sforzi violenti per contenersi. -"Nons'ha da piantare un chiodo senza mio permesso! Se vuoi far dapadronevattene via! Nessuno ti trattiene!... Prendi moglie erompiti il collo."

-"Hogià detto"rispose Consalvo più freddo che mai -"hogià detto allo zio che non voglio ammogliarmi..."

-"Ahnon vuoi?... Non vuoi?... Ed io ti butterò via a pedatebestionefacchinoanimale!..."

-"Tantomeglio"soggiunse il principino freddo come la neve. -"Mifarete piacere..."

Aun tratto il principe impallidì come se stesse per svenirepoi diventò paonazzo come per un colpo apopletticoefinalmente proruppeabbaiando come un cane:

-"Fuoridi qui!... Fuori di casa mia!... Oraall'istantecacciatelofuori!..."

Accorseropallidi ed impauritila principessaTeresa e Baldassarre: con labava alla boccail principe fu trascinato via dalla moglie e dalservo.

Teresagiunte le mani tremanti dinanzi al fratelloesclamò con voced'angosciosa rampogna:

-"Consalvo!...Consalvo!... Come puoi fare così?"

-"Tulo difendi?"rispose il giovanesempre calmoma con voce un po' stridula. -"Difendilodifendiligli assassini di nostra madre."

-"Ah!"

Ellanascose la faccia tra le mani. Quando si guardò intornoerasola. Un andirivieni di serviper la casa: chiamavano un dottoreapplicavano vesciche di ghiaccio alla fronte del principe. Ella andòa cadere dinanzi all'immagine di Maria Santissima. Un rimorsodopola scena disgustosadopo le terribili parole del fratelloleserrava il cuoreper non aver voluto offrire in olocausto l'amorsuole sue speranze di gioiapur di evitare la lite violenta e latremenda accusa. Ella chiedeva perdono alla Vergine di tanto egoismole chiedeva conforto ed aiutotremante di pauramalferma come se ilsuolo oscillasse sotto le sue ginocchia. Ed era ancora in ginocchioquando fu sorpresa dalla principessa che la chiamava al capezzale delpadre.

-"Figliamia! Figlia mia!... Che cuore di figlia!... Sìprega laMadonna Santa che torni la pace: Ella sola oramai può farequesto miracolo... Tuo padre non vuole più vederlonon lovuole più in casa; ed egli non cede!... Tu no! Tu no!..."

Etra i baci e le lacrimele parlò di qualcunodi luidandole la notizia che era partito:

-"Erail meglio che potesse fare. Tu forse lo guardavi con simpatia: non tene incolpo: siamo tutte state ragazze e so come vanno queste cose. Manon avresti potuto esser felice con luie tuo padreil cui unicoscopo è la tua felicitànon voleva... Non ti avreiparlato di tutto ciò senza i dolori che soffriamoe se nonsapessi che tu sei tanto buonatanto giudiziosa da comprendere chetuo padre non può voler altro che il tuo bene. È verofiglia mia?..."

Laprima voltadopo quella scenache il principe udì nominareil figliuologridò:

-"Nonparlate più di cotesto iettatore! Non lo nominate più!O mando via tutti..."

Larottura fu definitiva. Il ducamesso a giorno dell'accadutovenne aprendersi Consalvo e lo condusse per alcune settimane in campagna. Diritornofu deciso che il principino sarebbe andato ad abitare lacasa che il padre possedeva alla Marina. Il giovane non chiedeva dimeglio. Arredò il quartiere a modo suoe passò astarci contento come una pasqua. Faceva adesso da padronenon andavapiù alla messariceveva chi volevainvitava a casa sua ipezzi grossi del circoloai quali mostrava due stanzoni tutti pienidi carta stampata. I vantaggi erano infiniti. Al palazzonon avevaancora potuto significar bene i suoi sentimenti liberalimettendofuori lumi e bandiere per le feste patriottiche; qui il 14 marzo e ilgiorno dello Statuto inalberava un bandierone grande quanto unatendae disponeva ai balconi una fila di lampioncini che splendevanomalinconicamente nelle tenebre del quartiere deserto. Poirestavanel suo studio quanto volevae prendeva i suoi pasti nelle ore piùstravaganti. Studiava l'Enciclopedia popolarenemandava a memoria gli articoli riguardanti le quistioni del giornoepoi sbalordiva l'assemblea con la propria erudizionedicendo: -"Suquesta materia hanno scritto TizioCaioSempronioMartinoetc.etc."Come un tempo aveva gettato sulla folla il suo tiro a quattrocosìla schiacciava con tutto il peso della sua dottrinae la gente chesi tirava da cantoun tempoper non restar sotto i suoi cavalliesclamando tuttavia: -"Chebell'equipaggio!"adesso lo stava a udireintronata della sua loqueladicendo: -"Quantecose sa!"La nativa spagnolesca albagia della razza ignorante e prepotenteela necessità d'adattarsi ai tempi democratici sicontemperavano così in luia sua insaputa. Pur di arrivareall'intentoniente lo arrestavale imprese più ardue non losgomentavano; leggeva i libri più grevi come se fosseroromanzi; come un romanzo avrebbe letto un trattato di calcolosublime. Cavava da quello studio il mediocre profitto che era solopossibile: acquistava una infarinatura di tuttoimmagazzinavacognizioni disparateidee contraddittorieuna scienza farraginosa eindigesta. Main mezzo alla massa ignorante della nobiltàpaesanasi guadagnava la riputazione di -"istruito"e quando la gente minuta udiva nominare il principino di Mirabellatutti dicevano: -"Quelloche ora fa il letterato?"

Unabella mattinatra le stampe che la posta gli portava a catastericevette da Palermo il primo fascicolo dell'Araldo sicoloopera istorico-nobiliaredel cavaliere don Eugenio Uzeda di Francalanza e Mirabella. Comeluitutti i parentii sottoscrittorii circoli ne ebbero unesemplare. L'opera storico-nobiliarecominciava con Brevi cenni amplificati sulle dinastie cheavevano regnato nell'isola: Real Casa NormannaReal Casa SvevaRealCasa d'Angiò e così via discorrendo fino alla Real CasaSabauda: ché il cavaliere aveva riconosciuto la nuovamonarchia per vender copie del libro alle biblioteche dello Stato. Ibrevi appunti amplificati fecero ridere Consalvola Real CasaSabauda fece imbestialire donna Ferdinandabenché del restola vecchia adesso fosse in un immutabile stato di furore per viadella lite ancora indecisa. Ma la sua collera contro la famiglia delprincipe s'accrebbe naturalmentepoiché la stampa di quelle-"porcherie"era stata possibile per l'anticipazione fatta dal principe a donEugenio!...

Dopoaver promesso duemila lireil principe però non ne aveva datepiù di cinquecentoper le quali lo zio aveva dovutorilasciargli una cambiale con la data in bianco; madopo la morte didon Blascoi rapporti finanziari tra zio e nipote avevano preso unapiega pericolosa. Don Eugeniodapprima con le buonepoi con leminaccescriveva al nipote chiedendo altri quattriniperchéin caso contrarioegli avrebbe fatto lega con Ferdinanda perimpugnare il testamento del fratello; il principeda canto suoconla cambiale in manopretendeva tenere in riga lo zio. Avviata lastampa dell'operail cavaliere piovve un giorno da Palermo: era piùsordido di primaaveva l'aria più affamata che mai. Dopo unalunga serie di trattativeil principe sborsò altre duemilaliremediante le quali don Eugenio rinunziò con apposito attoa tutto quel che avrebbe potuto eventualmente toccargli nellaspartizione dell'eredità del monacoe riconobbe il nipoteproprietario di mille esemplari dell'opera.

Ilprincipe aveva capito che l'impresa di quella pubblicazione non erapoi l'affare sballato che tutti credevano. I fascicoli successividove s'iniziava la storia delle singole famiglieandavano a ruba.Don Eugenioin veritàsi restringeva a trascrivere il Mugnòse il Villabiancainfiorandoli di locuzioni di sua particolarefattura; mada una partequei libri erano introvabilio costavanocaro e si prestavano poco alla letturacoi loro vecchi tipicon laloro carta seccagialla e polverosamentre l'edizione di donEugenio era veramente bellae i fascicoli degli stemmi coloratifiammeggiavano dal tanto minio e dal tanto oro; da un altro cantopoiil compilatore usava l'innocente artifizio di sopprimere leindicazioni troppo precisetalché trequattrocinquefamiglie che portavano per caso lo stesso nome senza nessunarelazione di parentado potevano credere che la storia della solaautenticamente nobile fosse anche la propria. A Palermoa Messinain tutta la Siciliaegli trovava così una quantità di-"gentileschegenti"e quindi di associati. Certuni volevano dire che prendesse altriquattrini per aggiungere qua e là: -"Unabranca di cotanto blasonata famiglia fiorisce tuttosì nellavetusta città di Caropepe..."Donna Ferdinandapertantodiventava paonazza dall'indignazione; eanche Consalvo nutriva un profondo disprezzo per quel parente che nonsolo prostituiva in tal modo se stessoma discreditava tutta lacasata. Il principino peròal contrario della ziateneva persé i propri sentimentie manifestava solo quelli che gligiovavano. Sentiva di dover fare in politica come aveva visto fare asuo padrein casaquando si teneva bene con tutti e assecondava lepazzie di tutti quantisalvo a dare un calcio a chi non poteva piùnuocergli. Adesso adoperava anch'egli quel metodopiaggiando tutti ipartiti. Quello dello zio duca aveva sempre il mestolo in mano.Veramente nei quattro anni passati dallo scioglimento della questioneromanail favor popolare aveva a poco a poco ricominciato adabbandonare il deputatopoiché questidimentico del pericolocorsopersuaso d'aver consolidato stabilmente la propria posizionenon temendo più sommosse e rivolgimentiaveva ripreso amostrarsi partigianoa badare agli affari propri e degli amicipiuttosto che a quelli del paesea trattare il collegio come unfeudo; mase la gente spicciola incominciava a mormorarei pezzigrossiinvecei capi della camarilla si lasciavano ammazzare perl'onorevolenon giuravano per altro che per luiper i suoi saniprincìpi di moderazione: nel novembre di quell'annoSettantaquattroegli fu rielettosenza dimostrazionima senzaopposizioni: alla unanimità. Così Consalvo dinanzi allozio ed ai suoi amici celebrava la saldezza della loro fedel'eccellenza del principio conservatore -"dacui dipende la salute dell'Italia";matrovandosi dinanzi a qualcuno degli avversariaffermava lanecessità del progressola convenienza che anche la sinistrafacesse la prova del governoperché -"comedice il celebre Tal dei Talii partiti debbono alternarsi alpotere".

Ese gli stavano di fronte due che la pensavano in modo contrariotaceva o dava ragione ad entrambi e torto a nessuno. Tranne che nelgrande principio aristocraticonel profondo sentimento di sprezzoverso la ciurmaglianella ferma opinione d'esser fatto veramented'un'altra pastanell'ardente bisogno di comandare al gregge umanocome avevano comandato i suoi maggioriegli era disposto a concederetutto. Non aveva neppure scrupolo di sostenere a parole il contrariodi quel che pensavase era necessario nascondere il proprio pensieroed esprimerne un altro. Le parole -"repubblica"e -"rivoluzione"gli facevano passare brividi di paura per la schiena; mapersecondare la corrente democraticaper farsi perdonare la suanascitas'ingraziava il partito estremo. Al Circolo Nazionale buonaparte dei socipure accettando le istituzionionoravanosopratutti gli uomini del RisorgimentoMazzini e Garibaldi; altresocietàspecialmente le popolarifesteggiavano il 19 marzogiorno di San Giuseppein loro onore; egli ripetél'esposizione del bandierone e dei lumi anche in quell'occasionecercò apposta i più noti repubblicani per dir loro:-"Ionon capisco l'esclusivismo di certuni: senza Mazzini il fuoco sacrosi sarebbe spento; e senza Garibaldichi saFrancesco ii sarebbeancora a Napoli."

Nécredeva alla sincerità della fede altrui. Monarchia orepubblicareligione o ateismotutto era per lui quistione ditornaconto materiale o moraleimmediato o avvenire. Al Noviziatoaveva avuto l'esempio della sfrenata licenza dei monaci che avevanofatto voto dinanzi al loro Dio di rinunziare a tutto; in casanelmondoaveva visto che ciascuno tirava a fare il proprio comodo sopraogni cosa. Non c'era dunque nient'altro fuorché l'interesseindividuale; per soddisfare il suo amor proprio egli era disposto agiovarsi di tutto. Del restoil sentimento ereditario della propriasuperiorità non gli permetteva di riconoscere il male diquesto scettico egoismo: gli Uzeda potevano fare ciò che loropiaceva. Il conte Raimondo aveva distrutto due famiglie; il ducad'Oragua s'era arricchito a spese del pubblicoil principe Giacomospogliando i propri parenti; le donne avevano fatto stravaganze checonfinavano con la pazzia: se egli dunque s'accorgeva talvoltad'essere in fallosecondo la morale dei piùpensava che infin dei conti faceva meno male di tutti costoro.




4.


Ilprincipe Giacomo tardò molto a riaversi interamente dal colpoche l'ultima spiegazione col figlio gli aveva procurato. Con laminaccia d'una congestione cerebralesi condannò da sestessopel terrore di morire di subitoa una dieta magra che gliimpoverì il sangue. Deboleirritabiledivenne più diprima il terrore della casa eattribuendo più che mai ilproprio male al pestifero influsso del figliuolonon soffriva piùd'udirlo nominare. Nei primi tempise Baldassarre o qualcuno deilavapiatti o della servitù alludeva al principinoegliesclamavaafferrando l'ignobile amuletotenendolo stretto come inprocinto di naufragare: -"Salutea noi!... Salute a noi!..."e ingiungeva alle persone di taceredi smettere immediatamenterosso in viso come se davvero fosse per morir soffocato. La gente sifaceva il segno della croce udendo parlare di quella paura inumanadi quell'avversione contro natura: Teresa ne soffriva più ditutti. Poiché suo fratello non poteva più venire alpalazzoella stessa andava a trovarloin compagnia dellaprincipessaper la quale Consalvo era tornato d'un'indifferenzaquasi serena ed urbanapoco lontana dall'affabilità. Lamadrignadi nascosto dal principemandava al giovanotto buona partedella roba che i fattori portavano dalla campagna equantunque ellastessa disponesse di pochi quattrinipure metteva a disposizione delfigliastro la propria borsa. Consalvoringraziandolanon accettavanulla: suo padre gli aveva fatto un assegnoe Baldassarre gliportava ogni primo del mese i quattrini. Erano pochima eglis'ingegnava di farli bastaresoffocava i suoi bisogni costosimortificava i suoi desideri di lussoe non ne soffrivao nesoffriva come d'una cura dolorosanecessaria al riacquisto dellasalute. Quanto al principeera come se egli non avesse piùquel figliuolo: costretto a parlare di luinon lo chiamava più-"miofiglio" -"Consalvo" -"principino"ma -"Salut'anoi!..."Dicevaper esempioa Baldassarre: -"Portala mesata a Salut'a noi..."oppure domandava alla principessain qualche raro momento di buonumore: -"Chedice quella bestia di Salut'a noi?..."

ETeresa non pensava più a Giulianodimenticava il propriodoloreatterrita da quell'odio scellerato. Ella non leggeva piùnon sedeva più al pianofortecol triste pensiero sempre nellamente. L'esilio del fratello era grave al suo cuore; ma perchéaveva egli suscitato l'ira del padre? Come aveva osato incolparlo?...Se pure egli avesse avuto ragione? Se era vero?... Allora sinascondeva il viso tra le manicome nel pauroso momento dellarivelazioneper non pensareper non rammentare. Non rammentava ellala madrigna far da padrona in casa della sua povera mamma? Nonrammentava il dolore provato all'annunzio che suo padre sposavaquell'altra qualche mese dopo la morte della sua santa mamma?... Mano! Ma no! Per discacciare i suoi ricordiper vincere l'orribilepensierosi segnavapregavae usciva fortificata dall'orazione.Era colpa dimorare in quei pensiericontinuar quell'indagine: ellaunicamente doveva al padre rispettoobbedienza ed amore. E credendosuo debito compensarlo della ribellione di Consalvolo ubbidivaciecamentelo serviva con umiltà. Il principe non le sapevagrado di quella sua inesauribile bontà. Se talvoltaessendotristeprovando il bisogno di sollevare un istante lo spiritooppressoella si metteva al pianofortei suoni lo irritavanoleingiungeva che smettesse. Sempre più interessatolitigavasulle spese per le sue vesti; Teresa si contentava di tutto. Ma persolo capriccio di criticaredi esercitare comunque la propriaautoritàed anche per una specie d'invidia chegoffo com'erasempre statogli destava l'abilità con la quale ella facevafigurare come un abito di lusso la più modesta vesticciuolala punzecchiava assiduamente a proposito della sarta o del figurinodi mode.

Ungiorno peròcontro il solitos'occupòdell'abbigliamento della figliuola non per rimproverarne l'eleganzama per giudicarlo troppo modesto.

-"Nonhai un abito più grazioso da mettere oggi?"

Erauna domenica d'estatee come di consueto la principessa e Teresaandavano fuori in carrozza per prendere il gelato e fermarsi poidinanzi al cancello del giardino pubblicoa veder la folla pedestreche v'entrava borghesemente durante il concerto. Mausciti appenadal portonedonna Graziellache s'abbottonava ancora i guantidisse a Teresa:

-"Andiamoa fare una visita alla zia Radalì. Oggi è il suoonomastico."

Daun pezzo non la conducevano più lì; ma la principessa ela duchessa si salutarono come se si fossero lasciate il giornoinnanzi. C'erano i due figliuoliil duca e il baronee altriparenti; furono serviti i rinfreschila società si sciolsemolto tardi.

Laduchessa restituì la visita coi figliuolie le relazionifurono riprese con più intrinsichezza di prima. Il ducaMichelemezzo calvograssoasmaticotrascurato nel vestirestavamale e mal volentieri in società; Giovannino invece vifigurava moltissimo. Salutando la cuginamettendosi vicino a leiparlandoleegli faceva mostra di molta graziad'una viva premura;il primogenitopiù grossolanopiù ignoranteaprivadi rado la boccanon parlava se non di quaglie e di coniglidelBiviere e del Pantanodi cani e di doppiette. Teresacortese edamabile con tutt'e duesentiva risorgere e a poco a poco farsi piùforte l'ammirazione per la bellezza del cugino. Ella avevadimenticato Biancavillama c'era un vuoto nel suo cuore: il pensierodi Giovannino lo colmava. Dopo una lunga mortificazionel'anima suaschiudevasi ancora una volta all'amore; il canto le fioriva sullelabbrail pianoforte ridiventava il suo confidentei libri dipoesia i suoi ispiratori.

Trale due famiglie l'intimità si venne stringendo sempre più;c'era un continuo scambio di regalila voce del matrimonio di Teresacon uno dei cugini tornava ad acquistar nuovo credito; ma néil principe né la principessa si spiegavano con nessuno.Baldassarre però trionfava: il partito che egli avevadestinato alla padroncina era quello che i padroni preferivano! E conun piacere immensocon una gioia indicibilevedeva che tra lasignorina e il barone la simpatia cresceva ogni giorno. Il ducaMichele regalava gran quantità di cacciagione agli UzedamaGiovanninoche si occupava con amore di fioricolturamandava enormimazzii quali finivano tutti nella cameretta di Teresao pianterare e delicate che ella educava amorosamente. Amante della buonatavolail primogenito era sempre un po' intorpidito dal cibo e dallelibazioni; se si facevano quattro saltiegli restava sopra unapoltrona a sonnecchiare; Giovannino ballava con Teresa. Una dellecose che più facevano piacere alla principessina era l'udirparlare del fratello in quella casa dove non si poteva piùnominarlo: farne le lodivantarne l'intelligenzala serietàdella conversazioneera il miglior mezzo per guadagnarsi il cuoredella sorella. E Giovanninorammentando i tempi nel Noviziato e lemonellate commesse a San Nicolaprofetava a Consalvo il piùlieto avvenireandava apposta a fargli visita per riferire a Teresad'averlo trovato intento allo studio.

-"Sapetecugina"le disse una sera -"Consalvo..."

-"Sst...!"esclamò piano Teresagiungendo le mani. -"Ilbabbo..."Infatti il principe passava in quel momento vicino ad essidirigendosi verso la duchessa.

-"VoglionoConsalvo"rispose Giovannino all'orecchio della cugina -"consiglierecomunale. Vedrete che risulterà dei primi..."


BenedettoGiulentecome aveva promessofu il padrino del candidato. Egli nonsospettava di preparare il terreno ad un rivale. Gli pareva che unposto nella rappresentanza civica bastasse all'attività eall'ambizione del nipote; tutt'al più Consalvo avrebbe potutoprender partepiù tardiall'amministrazione municipaleessere eletto assessore echi saun giornonominato anche sindaco.Che aspirasse al Parlamentoné sospettavané credevapossibile. Prima di tuttolo zio duca gli aveva garantito tantevolte cheritirandosi dalla politica militanteavrebbe ceduto aluiBenedettoil proprio posto; e questo ritiroattesa l'etàdell'onorevolepoteva tardare ancora di poco; forse il seggiosarebbe rimasto libero alla prossima legislaturaquando Consalvo nonavrebbe neppure compiuti gli anni di legge. Del resto gli mancavanotante altre cosel'esperienza della vita pubblicaprincipalmenteesegnatamente il patriottismo. Agli occhi di Benedettoche sistruggeva da tanti anni dal desiderio d'essere mandato alla Cameraaver preso parte alle battaglie dell'indipendenza e dell'unitàaver pagato un tributo di sangueera il massimo titolo per aspirarealle pubbliche cariche. Ora Consalvo non solo era bambino quand'eglisi batteva sul Volturnoma fino a due anni addietro non avevanascosto a nessuno l'affezione e il rimpianto per l'antico regime.Giulente credeva che la conversione del nipote fosse in gran partemerito proprioe ne andava naturalmente alteroe si credevadestinato a guidare ancora per lungo tempo l'erede degli Uzeda nellavita pubblica; L'atteggiamento ossequiente del giovanotto loconfermava in questa fiducia.

Adaprirgli gli occhi non valse l'esito delle elezioni amministrative.Egli stesso era tra i candidatiavendo finito il suo quinquennioeConsalvo si presentava la prima volta; Consalvo fu eletto il secondosubito dopo lo zio ducasempre primo; Giulente ebbe il decimoposto... Alla prima riunione del Consiglio riconvocatoil principinovenne severamente vestito d'una redingote tagliata all'ingleseconcravatta scura e cappello alto: mentre già tutti erano ai loropostiegli s'aggirava per l'angusta sala delle riunionisalutando iconoscentichiacchierando col sindacointerrogando il segretario evolgendosi di tanto in tanto alla mezza dozzina di curiosi chestavano vicino all'uscio. Sedutosi finalmente in un angoloperevitar vicinanzecominciò a sfogliarecon mani inguantateil volume del bilancio e a prendere appuntifacendo correrel'usciere per spedir biglietti a destra e a mancacome aveva vistoche usava a Montecitorio. Appena si presentò l'occasione diparlarel'acchiappò a volo. Trattavasi dell'inaffiamentostradale che facevano con un metodo troppo primitivo: egli chiese diparlare e spiegò quello che aveva visto all'estero. Raccomandòil sistema di Londra e suggerì al sindaco l'idea di scrivereal Lord Mayor -"cheè il primo magistrato civico della capitale inglese".Mentre c'eraaggiunse che il Municipio avrebbe dovuto pensare anchead ordinare un corpo di pompieri. -"Neimiei viagginon vidi mai cittàper piccola che fosselaquale non avesse simile istituzionela cui necessità non hobisogno di far notare agli onorevoli del Consiglio."Nondimenoper dimostrare la convenienza di quel servizioenumeròquante case s'incendiavano a Costantinopoliin mediaogni anno.-"Èvero che non siamo in Turchia..."e fece una breve pausa per dar tempo ai colleghi di ridere dellafacezia -"mapensate un pocoonorevoli del Consiglioai grandi magazzini dizolfo che si trovano ad ogni pié sospinto dentro le mura dellanostra città."Allora spiegò che lo zolfo -"èuna sostanza eminentemente combustibilecome quella che entra nellacomposizione della stessa polvere pirica; e se le sue lentecombinazioni con l'ossigenopreparate nelle officinesono di tantaapplicazione nell'industria e nel commercio col nome di acidosolforicouna combinazione troppo rapida manderebbe in fiamme lanostra città..."

Ildiscorso ebbe un bel successo: pochi osservarono che quel giovanottodi primo pelo aveva l'aria di far la lezione; quasi tutti ammiraronola facilità della sua parola e giudicarono che il principinodi Mirabella era davvero un giovane -"istruito".Egli continuò a parlare ogni giorno; per la discussione delbilancio pronunziò una trentina di concioni una piùsbalorditiva dell'altrasulla quistione della dote al Comunale tiròin ballo Sofocle ed Euripidegli odei della Grecia e i circhiromani; parlando dell'ospedale fece un piccolo corso di clinicadistinguendo tutte le malattie per le quali bisognava poter disporredi altrettante sale; a proposito della pescheria citò Darwin el'Origine della specie -"giacchéil pesceluna che s'imbandisce nelle nostre mense e le sardine chealimentano il popolo discendono dagli stessi protozoi".Sul capitolo del camposanto arrischiò questa idea: -"Ioveramente non sarei alieno dal concetto storicamente piùestetico e scientificamente più razionale della cremazione..."ma le unanimivivaci proteste di una dozzina di consigliericlericali lo fecero accorto che sbagliava strada.

Lìdentroe nel paesei clericali erano una forza con la qualebisognava patteggiare. Già essi avevano notato che ilprincipinoimbandierando e illuminando la sua casa per tutte lefeste costituzionali e democratichepareva non accorgersi dellesolennità religiosedella festa di Sant'Agata specialmente.La celebravanocome sempredue volte all'anno: in febbraio e inagosto; ma la nuova Giunta libera-pensatricegiudicato che una sola gazzarra bastasseaveva soppresso dalbilancio l'assegno per la festa estiva. Questo fu il segnale di unaspecie di guerra civile. Dal pulpitonei confessionalinellesacrestie i preti incitavano i fedeli alla riscossa; i liberali siostinavano nel loro propositogl'indifferenti erano costretti aprendere un partitoe le cose minacciavano di guastarsi. Ilconsiglio fu chiamato a decidere. Una folla straordinaria assistéalle tempestose sedute: sagrestaniscacciniappaltatori emercantucci interessati alla festa pel guadagno che ne speravano;giornalisti improvvisati badavano a stendere precise relazioni deldibattimento per divulgarle. I campioni liberali facevano grandisfoggi di eloquenzama erano fischiati di santa ragione; iclericaliquasi tutti poveri oratorierano invece portati allestelle. Il duca d'Oragua non parlavacome non aveva mai parlatomasi sapeva che avrebbe votato a favore; Giulentein cuor suoeracontrarioma per far la corte allo zio avrebbe votato come lui. Conchi si sarebbe messo il principino? C'era una grande curiositàdi saperlo; pertantoil giorno che egli parlòuna follatripla del consueto si stipava nella piccola sala e tendeva leorecchie dalle contigue. Egli cominciò a parlare in mezzo a unsilenzio profondo. L'esordio accrebbe la curiositàconsistendo al solito nella ripetizione laudativa di tutto ciòche avevano detto -"gliegregi preopinanti".Poi: -"Masignori del Consiglioconsentitemi di lasciare per un momento laquistione che sta sul tappeto e di rivolgere a me stesso una domandache parrebbe non averema invece ha diretto rapporto con quella (icronisti notarono: segni d'attenzione). La domanda èquesta: i rappresentanti del paese vengono a sedere nell'aulaconsiliare per sostenere le idee che passano loro pel capoe sianopure provvide e giusteo non piuttosto per eseguire il mandato cheripetono dal popolo sovrano?... Certamente per tutelare gl'interessiper soddisfare i bisogni del popolo che rappresentano. Oradi frontealla quistione che ci occupail paese ha una volontà? Se sìqual è dessa?... Signori del Consigliosarebbe vanonasconderlo: il paeseo per lo meno la più gran parte diessovuole la festa!"Il silenzio religioso mantenuto fino a quel punto fu rotto da un urlod'approvazioni: uragano d'applausinotarono i cronisticlericalimentre i consiglieri liberi-pensatoriscrollavano il capofacevano atto di protestachiedevano diparlare. Calmo in mezzo alla tempestadata un'occhiata alle cartelleche teneva dinanziegli ripresedominando il tumulto con la vocesquillante: -"Consideriamoper un momento accertato che la volontà del paese è perla festa: noisuoi delegatiqual altro obbligo avremo se non quellodi tradurla in atto? E mi scusino i miei colleghi che siedono a queiposti (additando i liberali più avanzati). Io comprenderei chea questo concetto si ribellassero tutti gli altrinon mai essiiquali fanno consistere nell'imperativo categorico uno dei punti piùsalienti del loro programma!..."Nel silenzio che tornò a regnare tutt'intornoegli cominciòallora una lezione sul libero arbitriocitando il -"celebreAristotele"l'-"illustrescuola scozzese"e nominando un grande uomo tedescoinglese o francese ogni mezzominuto. Il peso di quel discorso schiacciava l'uditorio; ma eglis'era già guadagnato il cuore della follae la sua erudizionenon poteva se non farlo ammirare di più. Tuttaviaper nondispiacere ai rappresentanti delle idee radicaliquando finìla sua lezioneriappiccò: -"Néla persona rivestita d'una procura abdica ai propri princìpiper il fatto che esegue la volontà del mandante. Ho sentitolanciare in quest'aula l'accusa di clericalismo contro tutti coloroche voteranno la festa; masignori del Consigliochi puòessere così ardito da leggere nelle coscienze? Vogliamo forsetornare ai tempi infausti del Torquemada? Voi sapete che qui seggonouomini d'un patriottismo superiore ad ogni discussione"— la piaggeria andava allo zio duca — -"iqualivotando la festanon intendono per nulla cancellare tutto unpassato che la storia ha scritto a lettere d'oro nei suoi annaliimperituri!... Anch'io voterò la festa (Formidabile scoppiod'applausi)ma il mio voto non pregiudica i miei princìpi(Nuovi applausi). Dei miei princìpi sono responsabiledinanzi alla mia coscienzae con la mia coscienza io non transigo!(Benissimo!) Né io consiglierei mai agli egregioppositori di transigere con la loro; mao signori del Consiglioinquest'aula vi possono essere clericalicattoliciateiprotestanti... ebreiturchise volete (Ilarità)esiete proprio sicuri che io non segua la dottrina di Maometto? (Nuovailarità) Ho letto il Coranoche è il Vangelo degliislamitie se davvero esiste il paradiso delle Urìforse piùd'uno fra voi si convertirebbe alla fede ottomana! (Scoppio dirisa generali) Ma anche un turcosiatene sicurise venisse inquest'aula mandato dal nostro popolo che vuole la festalavoterebbe!... Se io ordino al procuratore che amministra i miei feudidi eseguire un certo lavorosarebbe per lo meno curioso che il mioprocuratore si rifiutasseperché ostano i suoi princìpi!(Ilaritàapplausi) Se costui si rifiutasapeteche cosa succede? Io lo mando via! E se noi rifiuteremo la festachefarà il paese? Eleggerà altri consiglieri cheristabiliranno l'assegno!"

Oramaiad ogni periodo gli applausi scrosciavano come gragnuolae quandoegli cominciò a dimostrare per quali interessi -"legittimirispettabilionesti"tutte le classi della popolazione volevano la festal'ovazione simutò in trionfo: i festaiuoli per poco non lo portarono abraccia per le vie; gli stessi oppositori dovettero riconoscere lasua abilità. Per la festa i suoi balconi furono illuminati agiorno; e poiché la processione della Santa passava sotto casasuaegli fece dar fuoco a un considerevole numero di bombe emortaretti.

IlConsiglioil giorno primalo aveva eletto assessore.


Giustoper l'occasione ci fu grande ricevimentoin casa del principe.

Laduchessa coi figliuoli arrivò tra i primie Giovanninopresaa parte Teresale diede la notizia della nomina del fratello. Ellanon potè gustarlaperché il principe era di umor neroda far spavento. Nella mattinail tribunale aveva pubblicato lasentenza relativa al testamento di don Blasco; la qualesulla fededel risultato della periziadichiarava false le ultime volontàdel Cassinesebuon'anima sua. Quel disastrocoincidente conl'assunzione di Consalvo all'assessoratoera parso al principe unanuova prova del potere iettatorio di -"Salut'anoi"e tutto il giorno egli aveva smaniato come un pazzo. Oraperchénon si dicesse che era troppo dolente della cosasforzavasi dimostrarsi indifferentedi discorrere del più e del meno. Girae rigiraogni discorso però finiva con una sfuriata contro ipreti corrotti e i giudici birbanti. -"Lihanno pagati appostaper far dire bianco al nero. Se avessi volutopagarli anch'ioa quest'ora la sentenza direbbe tutto ilrovescio..."

Teresaaiutava la madre a servire gl'invitati; il duca Radalì non sifaceva pregaresempre pronto a bere ed a mangiare; ma Giovanninoaspettava che Teresa avesse finito per servirla egli stesso. Ellaassaggiò appena il gelato che il giovane le offrì. Ilmalumore del padre non le dava cuore di divertirsidi goder dellafestadella compagnia di Giovannino. Questi non la lasciava cogliocchipareva cercar l'occasione di restarle vicino un momento.

-"Cheavetecugina?... Non siete contenta?..."le dissementre la folla degl'invitati affacciavasi per vederpassare la processione.

-"Nonon ho nulla... Perché?"

-"Aveteuna cert'aria... Non per colpa miaspero?"

-"Chedite mai!... Venite a veder la Santa."

Ellatroncava così ogni volta i colloqui che minacciavano diprendere una piega pericolosa. Era dover suo fare così; nongià che le parole teneregli sguardi innamorati del cugino ledispiacessero. L'altro fratellomeno riguardososenza dirle nulladi gentileera capace di metterle le mani addossodi brancicarladi abbracciarlavoltando poi la cosa in ischerzofacendo rideretuttitogliendo a lei il modo di dolersene; ma i tentativi timidi esecreti di Giovannino la turbavanocome qualcosa di proibitounvero peccato.

Albalconedove c'era ressa di signoreella poté appenasporgere il capo per veder la processione: Giovannino le si poseaccantofingendo anch'egli di guardare.

Salivadalla via un rumore come d'alvearetanta era la follae ilcampanone del Duomo coi suoi rintocchi lenti e gravi pareva batter lasolfa alle campane della badiadella Collegiata e dei Minoriti: -"VivaSant'Agata!..."Tutte le signore s'inginocchiarono; Teresaprostratacol capobassogli occhi fissi alla Santasi fece il segno della croce.Cominciava lo sparo dei fuochi d'artificio pagati dal principe; inmezzo al fumo che pareva quello d'una battaglia lampeggiavano i colpirapidi e frequenti come le scariche di un reggimento; le grida diviva si perdevano in mezzo al fragore degli scoppi e solovedevansi sul mar delle teste sventolare i fazzoletti come sciami dicolombe impazzate. Teresa piangeva a calde lacrimedalla commozionepregando la Martire gloriosa di ricondurre la pace in famigliadicomporre tutti i dissensidi far felici il padreil fratellolamadrignale zietuttitutti... E a un tratto sentìprendersipremersistringersi forte la destra: era Giovanninoinginocchiato al suo fianco. Ella non ebbe cuore di svincolarsi daquella stretta: le pareva che la Santa benedicesse quell'unionechele promettesse tutto il suo aiuto. E il crepitìo delle bombe edei mortarettiil clamore delle campane e delle grida umanedivenivan più assordanti; e in mezzo a quel frastuono le parved'udire parole soavila voce sua che mormorava: -"Teresa...Teresami vuoi bene?"

Ifuochi cessarono a un trattoe l'urlo degli evviva salì alcielo. Alloradolcementelentamentedopo aver risposto allastretta di Giovanninoella liberò la propria mano... E nelsilenzio rifattosi a poco a pocos'udì una voce che gridava:

-"Masiete insorditi?"

Erail cavaliere don Eugenioarrivato allora allora. Egli pareva piùmorto di fame di quando era partito. L'abitotutto macchiato erattoppatogli piangeva addosso; le scarpe non dovevano vedercerotto chi sa da quantola cravatta pareva un pezzo di corda. Ilviso del principealla vista dello ziose era già scurosifece buio pesto. Dopo la sentenza contrariaci mancava quest'altroaffamato! Ed appunto don Eugenio aveva fatto il viaggio da Palermoper chiedere nuovi quattrini:

-"Houn'idea: siccome l'Araldo..."

-"Voleteancora soldi?..."gli gridò sul muso il principemettendo da bandal'Eccellenza. -"Statefresco! Non vi bastano tutti quelli che vi siete presi? Invece direstituirechiedete dell'altro?"

-"Ionon ho da restituire nulla; puoi pretendere solo le copie!"

-"Sicuroche le voglio!"

-"Dopoche ho rinunziato alla causa?"

-"Grazietanto della rinunzia! Dice che il testamento è falso: avetecapito? Andate a riscuotere la vostra parteandate!..."

Idanari arraffati con l'Araldo sicolo non avevan fatto pro alcavaliere. Prima di tuttola gente da lui mandata attorno adincassare il prezzo dei fascicoli si trattenevadi riffe o di raffeuna buona metà: certuni poi se l'eran battuta col valsente.Provato a far da séi guadagni se n'eran andati a spese diviaggio. Il cartaiol'incisore e il tipografo avevano riscosso daparte loro solo qualche acconto; quindi s'erano accordati persequestrar le copie dell'opera e non liberarle se non dopo pagamentotalché don Eugeniose ne volle venderedové pagarlequanto costavano e contentarsi di guadagnarci qualche lira. I premiversati dai -"branchi"delle -"blasonatefamiglie"gli eran serviti a fare qualche giorno di buona vitae adesso egliprecipitava di nuovo nella miseria. Per sollevarsitentava un altrocolpo: il Nuovo Araldoossivero Supplimento all'operastorico-nobiliare.Con meno pudore e più fame di primaegli voleva metterci nonsolo le famiglie dimenticatema anche i nuovi nobiliquelli che nonsi trovavano nel Mugnòs e nel Villabiancala gente che sifaceva dare del cavaliere senza avere titoli autenticiche sfoggiavastemmi più o meno fantastici. Ma per far questo glibisognavano altri quattrini... Visto di non poter sperare nulla dalprincipeandò da Consalvoche nella sua qualità diassessore poteva dargli aiuto; ma il principino adesso aveva fatto unaltro passo avanti nelle idee politiche. Il 16 marzo di quell'anno1876dopo sedici anniil partito di destra era finalmentecapitombolato con grande stupore del moderatume paesano e gioiainfinita dei progressisti. In quel frangente i nemici del ducaprofetarono che il grande patriottaseguendo la solita tatticasisarebbe voltato contro gli antichi amicia favore dei nuovitrionfatori; ma la profezia non s'avverò. Il ducache nonandava più da tanto tempo alla capitalee non sapeva perciòle ragioni e l'importanza della rivoluzione parlamentarenoncredette alla riuscita e alla durata di essae si mostrò piùche mai saldo nelle proprie idee. Questa fu la sua salvezza; perchéi progressisti trionfanti non avevano ancora voce in capitolomentrequasi tutta la classe dirigente del paese era contro la strombazzatanovità. Sciolta la Cameraun certo avvocato Molara ardìpresentarsi contro il ducafacendo un programma quasi rivoluzionarioin cui si parlava del -"piùche trilustre sgoverno"di diritti -"conculcati"di rivendicazioni -"imminenti"non che di redde rationem. I fautori del duca si strinserointorno a lui sentendosi con lui minacciati. Per rispondere alla -"sfida"del Molaral'Oragua mise fuoridopo cinque legislatureuna -"Letteraai miei elettori".Benedetto Giulenteche aspettava ancora di poter fare un programmaper proprio contola scrisse. Essa enumerava i titoli della destraalla gratitudine dell'Italiala cui unificazione era tutta opera diquel partito: se errori erano stati commessiquesti avevano la loroorigine nelle circostanze e non nelle intenzioni. Don Gaspare fu cosìrieletto con duecento e più voti; Molara potéraggruzzarne appena un centinaio. Uno dei ministri della Riparazionepassando da Cataniafu accolto a fischiate.

Maintanto che il duca s'ubriacava del nuovo trionfoConsalvo fiutavail ventosi rendeva conto del mutamento operatosi in tutta Italiadell'imminenza delle riforme liberali. Pertantosenza prender parteall'agitazione elettoraledichiarò che la destra era morta esepolta. Tenendo la gente a distanzaper non contagiarsicominciòa dichiarare d'esser -"democratico".E lo zio don Eugenio veniva appunto in quel frangente a proporglil'affare del Nuovo Araldo!... Egli lasciò che quellostraccione facesse anticamera un bel pezzo; poiudita la suadomandaalzò le spalle.

-"Mache araldo e trombettiere! Queste cose hanno fatto il loro tempo! Ilcomune non può spendere i denari dei contribuenti perincoraggiare pubblicazioni ispirate alla divisione delle classisociali. Ce n'è una sola: quella dei liberi cittadini!"

Ela rispostaudita dagli impiegatiripetuta in tutti gli ufficiglivalse il plauso dei buoni democratici. Il cavaliere andòsubito a riferirla al principeper farsi un merito mettendogli inpeggior vista il figliuolo. Ma né la denunzia né leinsistenti preghiere gli valsero un soldo: Giacomo anzi pretendeva iquattrini anticipatie l'accusava di sciocchezzaper soprammercatoa causa del sequestro che s'era lasciato porre dallo stampatore.

Ilcavaliere tentò un nuovo passo presso la sorella Ferdinanda.Presentatosi in casa suagli chiusero l'uscio sul muso. Nondimenoegli fece parlare alla zitellona per ottenere un piccolo prestito chea lei non sarebbe costato nulla ed a lui avrebbe assicurato un pane:la vecchia rispose che neppure a vederlo crepar di fame gli avrebbedato un soldo per stampare quelle -"schifezze".

Chiusaquest'altra viadon Eugenio andò dalla nipote Chiara. Trovòil marchese solo: sua mogliela quale da un certo tempo non gli davapiù requieaveva un bel giorno fatto attaccare di nascosto ese n'era andata al Belvedere col bastardello per non tornarci più.Il cavaliere tentava di esporre i suoi guai al nipote; ma questi nonfiniva più di narrare i propritutto ciò che quellamatta gli aveva fatto soffrire; talché il povero Gentiluomo diCamera se ne andò via ancora una volta a mani vuote.

Alloranon sapendo più a qual santo votarsisi rivolse a GiovanninoRadalì. Col fiuto d'un bracco affamatos'era accortodell'amoretto fra i due cuginispecialmente dai discorsi diBaldassarre. Il maestro di casa era più che mai contento esoddisfatto della piega che prendevano le cose. L'intimitàcresciuta tra le due famiglie era indizio che il principe approvavail matrimonio — giacché Sua Eccellenza non faceva nullasenza un secondo fine — e il bene che i due giovani si volevanoassicurava la loro unione. Se ancora non se ne parlavala ragioneandava cercata nei dispiaceri che il principe aveva patiti per viadel testamento: siccome il padrone trattava gli affari ad uno pervoltabisognava naturalmente aspettare che la lite finisse del tuttoperché egli si decidesse a maritar la figliuola. Sciogliendoil riserbo che manteneva scrupolosamente su tutte le faccende deipadroniBaldassarre dava quindi agli intimi l'assicurazione checomposta la liteil matrimonio si sarebbe certamente combinato.

Ilcavaliere pertanto cominciò a strizzar l'occhio a Giovanninoa parlar bene di lui dinanzi a Teresala quale si faceva di millecolori. -"Quasinon si sapesse che sarà tuo marito!..."sussurrava alla nipote; e al giovane: -"Quasinon si sapesse che sarà tua moglie!..."Egli li incoraggiavadava all'uno notizie dell'altrariferivasaluti e ambasciatefinché chiese a Giovannino un piccoloprestito di mille lire. Il giovane le diede subitoe allora donEugenio prese il volo.




5.


-"Unsindaco a ventisei anni?... Dove s'è visto?... Bisogneràdargli nello stesso tempo un aio!... Avremo l'amministrazione dellebalie!..."Ma le satire non attecchivanotanto entusiasmo animava i partigianidi Consalvo Uzeda. In un anno che il principino era stato assessorenon s'eran forse visti in città continui miglioramentiquantinon avevan saputo compierne in diciotto anni i suoi predecessori? Isergenti di città che prima andavano attorno bracaloniunti elercitrascinando le sciabole arrugginite come vecchi spiediadessoper opera suasfoggiavano divise nuove fiammantituttemostreggiaturealamari e nappine da farli parere altrettantiammiragli. E il corpo dei pompiericon gli elmi lucenti e ipennacchi rossi come quelli dei soldati romani del Santo Sepolcronon era tutta opera sua?... -"Largoai giovani! Largo ai giovani istruiti come il principino diMirabella!"

Egliadesso non studiava piùgiudicando sufficiente la suapreparazioneaccorgendosi del resto che nella scienza principalequella di gettar polvere agli occhiera già maestro. Sapevache la grande popolarità della sua casata dipendeva dal fastoesterioredalle livree fiammantidalle carrozze rilucentidalguardaportone maestoso; e quantunque dicessero che i tempi eranomutatitutte queste cosei segni visibili della ricchezza e dellapotenzanon avevano potutonon potevano perdere maiper mutar ditempiil loro valore. I provvedimenti di quella che egli giàchiamavaessendo soltanto assessore -"lamia amministrazione"s'erano dunque aggirati su tutto ciò che dava all'occhiochepoteva essere subito apprezzato dalla folla. Quindi egli aveva messoil più grande impegno nel reggimentarenel vestire di divisai corpi municipali dei quali era capo e che passava poi in rivistacome un generale: i custodigli spazzini e gli accalappiacani.Uscito dalla casa paternauna delle sue piccole sofferenzesopportata del resto pazientementecome tutte le altreera stataquella di non aver più un drappello di camerieridisguatteridi cocchieri e di famigli che s'inchinassero al suopassaggio; adesso teneva sotto i suoi ordini un piccolo esercito.

Ilsuo tormento era tuttavia il contatto con la gente e le cose.Riceveva tenendo ficcate le mani in tasca per non aver da stringerele altruio le stringeva coi guanti che poi gettava via; firmava ifogli tenendo la penna con due dita intanto che un impiegato litratteneva perché non gli scorressero sottoe quando lasciavail Palazzo di città faceva chiudere il suo seggiolone in unripostiglio perché nessuno avesse da sederci sopra. Un giornoche non fu trovata la chiaverestò sei ore in piedi. E il suoterrore erano certi impiegati poco puliticoi capelli lunghileunghie nere. Sbuffavaesclamava: -"Nonvi buttate addosso alla gente"mentre gli parlavano di cose di servizioo gli riferivano lo statodegli affari in corso; einvece di rispondere alle loro domandeusciva inaspettatamente in un: -"Matagliatevi quella zazzera!"oppure: -"Puliteviun po' le unghie!..."

-"Comese tutti potessero passar la giornata allo specchioal par di lui!"mormoravano i rimproveratidandogli dell'aristocraticodel superboe dell'infintopoichéa sentirlotutti gli uomini eranofratellifatti per sedersi sopra una stessa panca... Ma lemormorazioni si perdevano nel coro delle lodi degli altri impiegatiche egli aveva creati e ai quali aveva fatto aumentare lo stipendioo concedere gratificazionio accordar licenzeo condonar colpe:tutti quelli che gli stavan dinanzi con maggior umiltà e glidavano del Vostra Eccellenzacome servi. Cosìilpartito che lo voleva innalzare al supremo magistratose era fortein cittàal Municipio era fortissimo. Tuttaviaegli sischermivaadducendo l'età immaturala mancanza di pratica; ea Giulenteil quale faceva il suo giuoco con sempre maggioreingenuitàaveva confidato che temeva di fare un capitombolo edi chiudersi l'avvenire. -"Noncadrai"assicurava Benedettocon aria di protezione; -"cisiamo noialtri che ti sosterremotutto il partito dello zio duca."Ma egli non s'arrendevasi faceva pregare dal prefettoringraziava-"dalprofondo del cuore"le commissioni che andavano ad invitarloma dichiarava che il pesoera troppo forte per le sue spalle. Continuava a nicchiaresapendoche c'era una corrente contrariagl'immancabili brontoloniimalcontenti invidiositutti quelli che volevano romperla coi solitisignoricon gli eterni Uzeda. E come gl'impiegati municipali gliripetevano ogni giorno:

-"Ilsindaco ha da esser Vostra Eccellenza: il paese lo vuole..."

-"Chene so io?"rispose una volta. -"ilpaese non m'ha detto niente!"

Allorafu messa insieme una dimostrazionecon musica e bandiereperandarlo ad acclamare capo della città. Egli si lasciòstrappare una mezza promessa -"seil prefetto proporrà la mia nomina..."La dimostrazione andò a gridare: -"Vivail sindaco Mirabella!"sotto i balconi della prefettura. E quando il decreto di nomina fuprontoegli pose un altro patto: che a comporre la Giunta entrasserotutte le frazioni del Consigliodai clericali borboneggianti airepubblicani. Lo lasciarono libero di dettar egli stesso la listadegli assessori: in capo ci mise Benedetto Giulente. Questi ebbe unbel protestare; Consalvo gli disse:

-"Senon accettatetutto va a monte. Io sarò il sindaco di nomedi fatto faremo ogni cosa insieme. Capisco che vi chiedo unsacrifizioma voi ne avete fatti ben altri!"

FigurarsiLucrezia! Ella non si potè veramente dar pace.

-"Dasindacoassessore! Fa il progresso del gambero! Qualche giorno diquesti lo nomineranno bidello! Il mestiere pel quale è nato! Es'è fatto infinocchiare da quel gesuitello! per servirgli dacomodino! per fargli da servitore! che non è buono ad altro!"

Ellase n'andava a sfogare dalla zia Ferdinanda e tutt'e due eranonervosissimeintrattabiliperché giusto s'aspettava dimomento in momento la sentenza della Corte d'appello sull'affare deltestamento. Il giorno che essa fu pubblicata e diede ragione alprincipeannullando la prima perizia e ordinandone una nuovazia enipoteverdi dalla bilefecero cose dell'altro mondo; il poveroGiulenteavvilito dalle tante gridadai tanti rimproveriscappòdi casa come disperato. Il principe inveceche negli ultimi tempiera tornato a star maleguarì come per incantoe manifestòil proprio contento parlando quasi urbanamente con le personechiedendo perfino notizie di -"Salut'anoi".Qualche settimana dopononostante il caldo della stagionelaprincipessa andò attorno con la figliuolafacendo grandiacquisti di biancheria; poi chiamò operaie che si misero acucire e a ricamare servizi d'ogni sorta. -"Lavoriamoper la principessina!"dicevano esse con tono d'affermazione che voleva tuttavia provocareuna conferma; ma la principessa non diceva niente; abbracciava invecepiù spesso del solito la figliuolala guardava con unacert'aria come per dire: -"Aspettae vedrai!..."Teresa non le domandava nullama comprendeva che il giorno della suafelicità era vicino. Baldassarre gongolavaannunziava ilmatrimonio senza tante reticenze: la cosa era certa oramai: ilprincipe non andava tutti i giorni in casa della duchessaperregolare gl'interessi? Poteva esser quistione di settimanee tuttoil parentado avrebbe ricevuto comunicazione del lieto avvenimento.

Infattiun giornoa proposito di certe coperte da letto tra le quali nonriusciva a scegliereTeresa disse alla madrigna:

-"FacciaVostra Eccellenza. Per me sono tutte belle…"

-"Debboforse usarle io? Non capisci che si tratta di te?"rispose la principessa.

Unaviva fiamma salì alla fronte di Teresa. Ella trattenne ilrespiro ed abbassò le ciglia.

-"Vieniqui!..."Eattiratala sul cuoredonna Graziella cominciò: -"Sitratta di tedel tuo matrimonio... È venuto il momento difarti felice... Credevi che tuo padre non pensasse a te? Tantiaffaritante cure!... Ma adesso faremo tutto prestovedrai!..."Stampatole un bacio in fronte mentre le reggeva il capo con tutt'edue le maniesclamò: -"Seicontenta di divenir duchessa?"

UnmomentoTeresa credé d'aver capito male. Batté lepalpebre guardando negli occhi la madrignae ripeté comeun'eco:

-"Duchessa?..."

-"DuchessaRadalìsicuroed anche baronessa di Filiciperché iltuo secondogenito porterà questo titolo! Duchessae con moltiducati! Una delle più ricche! Tuo padreperchéConsalvo s'è portato male con luiti tratterà bene...Ha già stabilito tutto con la zia... E il mio non saràpoi tuo? E che? Fingi di non sapere?... Perché mi guardicosì?... Che hai?..."

-"Mamma...mamma..."

Semprepiù pallida come la madrigna veniva dicendo quelle paroleepiù smarrita e più tremantequasi vedesse una cosa dispaventoella adesso portava una mano alla tempia ed afferrava conl'altra la mano della principessa.

-"Mammano... io non credevo..."

-"Checosa?... Figlia mia! Confidati a me!... Non credevi?... Ma io inveceero sicura... Veniva qui quasi ogni giorno!... Ebbenelo saiadesso!... No?... Dici di no?... E perché? Con qual motivo?...Tuo padre non bada a sacrifizi per assicurarti questo partito!...Trentamila onzecapisci?... Ti dà trentamila onzecapisci?... Ti dà trentamila onze!... E Michele ne possiedequattro volte tante... E tu dici di no?...

-"Ohperché?..."

-"Perchécredevo... non credevo... che fosse lui..."

-"Chidunque?... Un altro?..."E la principessa parve cercare; a un trattoquasi rammentandosi:-"Suofratelloforse?"soggiunse.

Lasciatasicadere sopra una seggiolaTeresa nascose il volto tra le mani escoppiò in pianto. Fin dal primo momento ella aveva sentitocol cuore strettoche tutti i suoi rifiuti sarebbero stati invano;che se avevano deliberato di darla al primogenitoella doveva aqualunque costo accettarlo; e le melate parole della madrigna che ledicevagiungendo le mani: -"Seavessi saputo!... Perché non hai parlato?... Adesso che tuopadre ha combinato ogni cosa!..."la confermavano in quella sconsolata fiduciafacevano raddoppiare ilsuo pianto... Parlare? A chied a che scopo? Se in quella casa nonc'era confidenzase tutti stavano in guerraunicamente curanti delproprio tornaconto? Se l'avevano prima abituata a cedere in tutto epoi cullata nella fiducia che l'avrebbero fatta contenta? Poteva ellasupporre che avrebbero scelto da lorosenza consultarlae che ungiorno sarebbero venuti a dirle:

-"Saibisogna che tu sposi chi non ti piace?..."E perchépoi? Perché volevano darle quell'altro e nonchi aveva il suo cuore?

-"Peltuo meglio!"esclamava la madrigna -"abbiamodeciso così pel tuo meglio! È il primogenitosaraiduchessai tuoi figli avranno due titoli da dividersimentre conl'altro non ne resterà loro nessuno... Ed è anche piùricco; non moltoè vero; ma c'è tuttavia unadifferenza!... E la figlia del principe di Francalanza non devesposare un oscuro cadetto come una qualunque!..."

Chele importava di ciò! Se ella aveva dato il suo cuore aGiovannino? Se non aveva mai pensato che l'altro fratellocosìgrossolanocosì bruttopotesse essere suo marito?

-"Matu non sai"riprendeva la principessa -"cheneppure la zia duchessa consentirà al matrimonio diGiovanninoancora quando noialtri acconsentissimocome io vorreiacconsentireper farti contenta? Non sai che la zia vuol dar moglieal solo primogenito? Questa è la legge delle nostre famiglie;ché anzise i tempi non fossero mutatiGiovannino nonavrebbe neppur pensato a inquietare una ragazza come tesapendo dinon poterla sposare!"

-"Nono!..."proruppe allora Teresa fra le lacrime; -"nonl'accusate; sono stata anch'io... gli vo' bene anch'io..."

-"Andiamo!..."fece la madrigna con un sorriso pieno d'indulgenza. -"Fantasiedi ragazzicose che passano!... No?..."riprese con un altro tonovedendo che il muto pianto di Teresaricominciava. -"Tiostini a dare un dispiacere a tuo padre? Come se glienemancassero?... E allora diglieloche non lo vuoi!"

-"Iomamma?..."

-"Vuoidunque che tocchi a me dargli questa grata notizia?... E sia!Anche a me dispiace il tuo rifiutosai... Mamama... Non sono tuamadre!... È giusto che a tecome a tuo fratellonon importiil mio piacere o il mio dispiacere..."

-"Mamma!...Perché dice così... Non sa che l'ho sempre rispettataed amata come la mamma mia?..."

-"Esia!... E sia!..."

Ahperché non aveva accanto la sua mamma verain quella tristeora che il bisogno d'un affetto sincerod'una protezione gelosa erapiù necessario! La mamma sua non l'avrebbe lasciata solapiangentecome la lasciava la madrignacon queste sole parole pertutto conforto:

-"Esia; dirò tutto a tuo padre! In fin dei contici avràda pensar lui!..."

Laprincipessa non riparlò più a Teresa del matrimoniocome se mai gliene avesse tenuto parola. Neppure il principe le dissenulla; ma dal contegno mutato del padreella comprese che sapevaogni cosa e che gliene voleva. Da un giorno all'altro non le diressepiù la parolenon la chiamò più per nomeparvenon accorgersi della sua presenza; edissipatasi dal suo voltol'aria di contento per le buone notizie della liteegli si rannuvolòpeggio che mairiprese a montare in bestia per niente. La notiziacominciò a trapelare fra i parenti: i più giudicavanosciocca Teresache preferiva il barone al duca; alcuni lasostenevanoConsalvo tra questi. A lui non importava un fico seccodella sorellama per dar prova di dottrina e di democrazia: -"Vedetela forza del pregiudizio?"esclamava. -"Voglionodare mia sorella a un cugino"e giù una lezione sui matrimoni tra consanguinei; -"matra i due le dànno quello che non vuolenon quello che lepiace; e perché? Per una differenza di parole! Duca obarone!... Pazienza ci fossero dietro a questi titoli la ducea o labaronia!"

L'avversionedella zia Ferdinanda e di Lucrezia ebbe nuovo alimento; quellasciocca preferiva il secondogenito al primo! Si opponeva alla volontàdel padre! E il padre che non aveva saputo educarla a un'obbedienzapiù cieca!... Lo zio ducacoi piedi in due staffecomesemprepencolava un po' di quaun po' di là ma in cuor suoera favorevole al partito voluto dal principecome più degnodella casata. Edel restose anche la duchessa non voleva darmoglie al cadetto?

Laduchessainfattis'era poste le mani in capo. Dopo aver sacrificatotutta la sua vita per amore di quel primogenitoper assicurare unagrande ricchezza a lui ed alla sua discendenzadopo aver tantoaspettato a dargli moglie perché nessunaa suo giudiziolomeritava; ora che gli aveva trovato la cugina Teresache era allavigilia di coronar l'opera di trenta lunghi annil'amoretto diGiovannino distruggeva a un tratto tutti i suoi piani. Ella non avevasospettato una cosa similetanto le pareva che Giovannino dovessesentir l'obbligo di restar scapolo affinché solo ilprimogenito continuasse la casa. -"QuandoMichele prenderà moglie... Quando Michele avràfigli..."Lo stesso Giovannino non aveva parlato d'altro che del matrimonio diMicheledel duca. I due fratelli si volevano beneerano andatisempre d'accordo; se dunque Giovannino pareva voler mettere bastonitra le ruotela colpa era di lei che non lo aveva avvertito delmatrimonio disegnato. La colpa era anche di Michele. Indifferente atuttoincapace di riscaldarsi per nientesolo amante della bellacaccia e della buona tavolaquando la madre aveva lasciato passargli anni senza dargli moglieegli non aveva chiesto di prenderla;adesso che gli proponeva la cugina Teresasi disponeva a sposarlasenza volontàsenza desideriocome avrebbe fatto un'altracosa qualunque. Trattava la cugina con la confidenza giustificatadalla parentelascherzava con lei come scherzava con tuttiun po'grossolanamente; era incapace di dirle una parola tenera: chi potevadunque sospettare che quello fosse un futuro promesso della ragazza?Non lo sospettava neppure Baldassarreil quale rimaseudendo che ilfidanzato non era più il suo favoritoma l'altro fratello.Come? Il principe voleva dare quell'altro alla padroncina? Se lasignorina non lo voleva! Se lui stessoBaldassarreaveva annunziatoa tutti che il promesso era il barone Giovannino? -"Andiamo!il principe non sa che la padroncina vuol bene al piccolo. Quandovedrà che dice davverosi persuaderà..."Invecepoiché Teresa aveva sempre gli occhi rossi di piantoper l'avversione che le dimostrava il padreper la freddezza cheostentava la stessa madrignaper la nuova guerra scoppiata infamiglia mentre ella voleva far opera di paceun giorno laprincipessa le disse:

-"Sipuò finalmente sapere che hai?"

-"Nullamamma; non ho nulla."

-"Alloraperché questo broncio continuo? Ti ostini sempre nella tuaidea?... Ohadesso è tempo di parlar chiaro. Tuo padre hadichiarato che sposerai Micheleo nessuno. Non ho voluto dirteloprimacredendo che egli si sarebbe piegatoma tu lo conosci megliodi me... Edel restoproprio in questo momento vuoi dargli un grandispiacere? Non sai che è ammalatomolto piùgravemente che non sembri?... E non solo tuo padrema anche laduchessa? Due famiglie! Avete disturbato due famiglie!... Adesso chesai come stanno le cosecontinua purese ti piace... Certooggidìla volontà dei parenti non ha pei figli forza di legge. Se lovuoi a qualunque costopuoi anche scappartene di casacome fanno leragazze senza rispetto e senza pudore..."Svolgendo questi argomentila voce di donna Graziella si addolcivaquasi ella non potesse credere alle ipotesi che enunziava: -"...epotrete anche maritarvima ad altre condizioni benintesoe senza labenedizione dei vostri parenti... e se tu credi che in tal modopotete esser felicifa' pure!..."

Teresanon piangeva piùadesso; aveva versato tante lacrime insegretobagnando il suo guancialetutte le notti! Guardava dinanzia séfissosenza veder nullacon un tremito nervoso dellamascellacon una piega senza fine amara del labbro... E laprincipessasmessa la severitàincominciava a persuaderlacon le buoneamorosamentedicendole che i migliori giudici di quelche le conveniva erano i suoi parenti; che ella poteva ingannarsicome s'era ingannataper esempiosua zia Lucrezia. Aveva voluto aqualunque costo sposare Giulentee adesso come ne parlava? Certo icasi erano diversiperché tra Michele e Giovannino nonpassava tanta differenza da rendere l'uno degno di lei e l'altro no;ma c'era una grave ragione che li consigliava a darle il maggioreuna ragione che bisognava pur dire.

-"SeMichele non è così giovane come Giovanninoha unasalute di ferro; mentre suo fratello è gracilecagionevole...Senza contare un'altra cosapiù grave ancora: la soverchiairrequietezza dello spirito... Non sai che suo padre era giàpazzo quand'egli nacque? Dio disperda la profeziama se un giornoanche a lui voltasse il cervello?... Avresti fatto un bell'affare!...Vedi che tuo padre adduce dunque ragioni e non capricci. Contrariarloimporta dargli un dispiacere che gli può riuscire fataletanto più che la sua malattia non si sa che cosa sia... Hopianto tantogiorni addietroquando il dottore mi confidòche bisogna pensare alla sua salute!... Non te ne volevo dir nulla;ma è necessario che tu sappia quale sarebbe la tuaresponsabilità nell'opporti ai suoi desideriche non miranoad altro fuorché al tuo bene..."

Ericominciò il giorno dopoe poi l'altro appressoe cosìsemprecon le buonecoi ragionamentiai quali Teresa non opponevai ragionamenti contrari che le si affollavano nella mente. Cheesempio era quello della zia Lucreziase costei aveva mutatosentimentosenza ragioneper stravaganzacome dicevano tutti?... Ese temevano per la salute morale di Giovanninoperché leconsigliavano di portargli un colpo così fortecome quello dirifiutar di sposarlodopo ch'egli le aveva detto di voler bene a leisola?... Noella non diceva né questané quante altrecose pensava; perchédovendo manifestare tutto l'animo suoavrebbe dovuto dire che suo padre voleva sacrificarla ad uno scioccopregiudizioche la madrigna fingeva quell'affetto per indurla a fareciò che voleva il marito; avrebbe dovuto dire che innessun'altra famiglia la malattia del padre è stata ragione diordire l'infelicità delle figliuole; e avrebbe dovuto direancora che la ribellione di Consalvo si dimostrava ora giustificataavrebbe dovuto ribellarsi ella stessa... Ma questo era peccato! Ilconfessore glielo avvertivaraccomandandole la prudenzal'obbedienzal'abnegazionetutte le virtù cristianedi cuiin famiglia ella aveva luminosi esempi: Suor Crocifissache dabambina stava a San Placidoche aveva rinunziato con vocazioneesemplare al tristo mondo per darsi allo Sposo Celestee adessogiusto premio delle sue virtù cristianeera Badessa delmonastero; Monsignor Lodovico che anche lui aveva disprezzato ilposto spettantegli al secolo per abbracciare lo stato monastico. E laBeata Ximenanei secoli andati. Proprio quell'anno ricorreva ilterzo centenario della sua esaltazione fra gli Eletti: voleva ladiscendente mostrarsi degenereproprio mentre Ella la guardava dalParadiso con più amore e fervore?... E le stesse cose leripeteva la zia Badessaa San Placidodove ora la principessa laconduceva ogni domenica per ordine del marito.

LaBadessacol viso color della cera tra i veli bianchiera rimbambitadel tuttonon sapeva far altro che ripetere alla nipotinadietro legrate del parlatorioquel che le avevano indettato: -"Bisognafare la volontà di tuo padre e tua madre... Cosìcomanda Nostro Signorecosì comanda la Vergine Immacolatacosì comanda il patriarca San Giuseppe..."La sua voce aveva il tono che si prende nel recitare le litanie; elìtra le mura del monasteroTeresa rammentava lafanciullezza lontanal'antica paura provata quando la posavano sullaruota per farla entrare nell'impenetrabile badìa; marammentava ancora le lodi delle monachequand'ella aiutava a ornardi fiori gli altariad accendere i ceri dinanzi al Crocifisso: -"Monachellasanta! Monachella santa!..."E l'istinto del sacrifizioi moti d'umiltàla sete diricompense che l'avevano occupata bambina si ridestavano in lei. Ilconfessore le metteva un altro scrupolo nell'anima: quello dispingere al peccato un'altr'anima; giacché — ella non losapevama era così — il minore dei Radalìminacciava di ribellarsi apertamente alla madre...

Erafalso: Giovannino non pensava niente affatto a ribellarsiperdevasoltanto la sua gaiezzaall'annunzio del disegnato fidanzamento delfratello. E Baldassarresempre più incaponito a combinare ilmatrimonio del secondogenitonon capiva più niente di quantoavveniva. Don Giovannino aveva sì o no fatto la corte allacugina? La signorina aveva sì o no mostrato di gradirla? Ilduca Michele era sì o no del tutto indifferente alla cuginacome ad ogni altrae voleva sì o no un gran bene al fratello?Allora tutto quel diavolìo donde veniva? Dal principecocciuto come tutti gli Uzeda... — ma Baldassarrea un certopuntosi turava la bocca per non ripetere i giudizi della gente suquella casata — e dalla duchessache non per nulla era un pocoUzeda anche lei!...

Ilcentenario della Beata Ximena fu celebrato con pompa straordinaria.Per il triduo la chiesa dei Cappuccinitutta rosse drapperie efrange dorate e tappeti fioritifu illuminata a giorno; le campanesonavano a festale messe che si seguivano a tutti gli altarichiamavano una folla sterminata di fedeli d'ogni stato. I discendentidella Santa vi convennero anch'essima in ore diverseper evitarsidal tanto amore. La principessa e Teresail primo giornorestaronoun momento per impetrar dalla gloriosa parente la guarigione delprincipe Giacomoda due settimane inchiodato a letto da misteriosesofferenze. Ma la solennità più grande era serbata peril terzo giornoquandodopo il Pontificaleil popolo sarebbe statoammesso a contemplare la salma.

Giàper cura del Padre Guardianocoadiuvato dal Padre Camillo e daMonsignor Vicarioera venuto in luce un opuscolo intitolato: Nelterzo centenario della canonizzazione della Beata Uzedaestampato con molto sfoggio di margini e di colori. Tutti i parenti neavevano ricevuto un esemplaree Teresache s'era confessata easpettava di comunicarsi il giorno della gran festameditava il suo.La leggenda della Santache ella aveva udito ripeterea braniindiverso modoera in quel libriccino narrata per filo e per segno.

-"Ximenadella illustre prosapia degli Uzeda"così cominciava il primo capitolo -"fufiglia al Viceré Consalvo ed alla nobile Caterina dei baronidi Marzanese. Fin dai suoi teneri anni diede esempio di edificazionealla famigliafacendo sua delizia delle sacre immagini e degliuffici divini. Quantunque per naturale elezione Essa volesse dedicarla sua vita allo Sposo Celestepure le ragioni della politicapersuasero il padre suo a farla sposa del conte di Motta Realepotente signore spagnuoloma uomo d'efferato animo e senza timor diDio."Seguiva la narrazione dei rifiuti opposti da Ximenadei lunghipiantidel contrasto tra l'amor filiale ed il celeste; ma un giornoessendo la fanciulla in età di quindici anniavverossisingolare prodigio: un angelo apparve a Ximenail quale le disse:-"ilSignore t'ha eletta per redimere un'anima: obbedisci."Allora la fanciulla aveva accettato il partito.

Ilsecondo capitolo descriveva il castello del conteposto sopra unluogo eminente -"acavaliere di più strade battute dai mercatanti"e narrava le scelleratezze del suo signore. -"Aggredivai viandantili lasciava nudilegati ad un albero in mezzo allastrada; oppure li menava prigioni o li spegneva tra spasimi crudeli.La sua vita era un'orgia; egli faceva oltraggio alle donnegozzovigliava da mane a serabestemmiava Dio e i Santie siprendeva beffe dei Ministri del Cielo."E i tormenti inflitti alla sposa erano materia del terzo capitolo.-"Schernitatuttodì per le sue pratiche devotecostretta a udiregl'impuri parlari di quel malvagio e dei suoi accolitia vedere leloro scelleragginiad assistere alle loro turpitudiniXimenafacevasi usbergo sempre più saldo della sua fedepregando aitraviati il perdono dell'Onnipotente: ma la nequizia di quel tristosuo sposoirritata da tanta esemplare santitàoffesa dallaprotezione che la consorte prestava ai poveretti caduti nelle unghiedi luimise Ximena a tal provache la stessa penna arrossisce innarrandola. Una seraebro per la gran quantità di vinotracannatolasciò che i suoi amici penetrassero nella cameranuzialedove Ximena riposava dopo una giornata tutta spesa nelpregare e nel fare il bene. Desta d'un tratto la meschina e atterritadagli sguardi disonesti di quegli ubriachisalta giù daltalamocadendo ai piedi d'una Sacra Imagine della SS. Verginedell'Aiuto che teneva sempre con gran devozione al capezzale; ed ecconuovo prodigio operarsi: s'arrestano gl'imbestialitiquasi magicocerchio impedisca loro appressarsi alla donna: etornati a un trattoalla ragioneallontanansi facendo il segno della croce dinanzi allaImmagine."

Partitoun bel giorno il conte pei suoi possedimenti di Spagnae restatasola in Sicilia la sposatutto s'era a un tratto mutato nel castellodi Motta Reale. -"Doveprima echeggiavano osceni cantie ferri incrociatie colpi difuocoe grida selvagge e lugubri lamentisolo le laudidell'Altissimo salirono al cielo. Quel luogogià terrore deiviandantidivenne ritrovo di derelitti e di infermiattirati dallagran fama di carità della contessa. Alloggiava dessa ipellegriniadottava gli orfanellisoccorreva i bisognosicuravagli ammalatie le sue mani stesse medicavano le piaghe e le ferite eprodigiosamente le risanavano. In quei luoghi dove tanti miseri eranocaduti vittime del contealtari e croci s'alzaronoad espiazionedegli antichi delittia conversione dei miscredenti. Tutte lesostanze di Ximena furono spartite alle chiese; Essa viveva vitafrugaledicendo: "Ilpoco mi soverchiail molto mi spaventa."Non contentavasi che i poveri venissero a lei ma sì andava aipoverisfidando le intemperie e i pericoliprotetta visibilmentedal Cielo..."

Nessunanotiziafrattantodel conte. Che cosa faceva? Dov'era? -"Unanotte di tempestamentre guizzavano i lampi e scoppiavano i tuonila contessalevatasi e destata la sua fantescale disse: "Va'ad aprirequalcuno batte."La donna rispose: "Nonbattonoè il tuono."E una seconda volta la contessa levossi e disse alla donna: "Va'ad aprirequalcuno batte"e la donna rispose: "Nonbattonoè il vento."E una terza volta la contessa levossi e disse alla donna: "Va'ad aprirequalcuno batte"e la donna rispose: "Nonbattonoè la pioggia."Macomandata che svegliasse i servila fantesca levossi anche leie dischiusa la porta del castelloun miserabile chiese dellasignora. Era costui un vecchiolaceroscalzosul cui viso stavanoimpresse le stimmate del vizio; un terribile male che è lagiusta punizione dei dissoluti aveva corroso le sue fattezzee isuoi occhi s'erano chiusi alla luce del dì. Moriva di famenon reggevasi in piedie un fanciulletto avrebbelo avuto allapropria mercé. Chi era quel vecchio?"

Erail conte di Motta Reale. -"Dissipatenei bagordi e nei giuochi tutte le sue ricchezzeperduta la saluteabbandonato dagli antichi compagni di gozzoviglierespinto da tuttiper l'orrore del male che lo struggevaegli trascinavasi di luogo inluogoblasfemando ed imprecando; finchétornato in Siciliaudì della gran carità d'una donna che accoglieva emedicava qualunque infermoanche i lebbrosi. E nel salire alcastellonel penetrarvii suoi morti occhi non avevano potutoriconoscere l'antico suo covoné le sue orecchie piagateavevano potuto riconoscere la voce della consorte. Ma ben Essa avealoriconosciuto. E ristoratolo di cibo e di bevandemedicate le suepiaghelavati i suoi piediXimena lo mise a riposare nel proprioletto... E il miserabileche insino a qualche ora indietro aveablasfemato e disperatosentì per la prima volta una dolcezzasoave allargargli le venee un fuoco di gratitudine sciogliergli ilcuore impetrato... Ma l'ora sua era suonatae il Signore aveastabilito di donargli non l'effimera salute del corpoma sìquella dell'anima... Il vecchiardotra le cure della Beataal lievemormorìo delle preci che Essa mormoravaentrava in agonia. Mala sua agonia non aveva nulla di terribile; anzi pareva a lui d'esserrisanato del tuttoe udire musiche ineffabilie respirare profumisoavissimiladdove poco innanzi marciva nel lezzo e avea rotta tuttala persona... E un sorriso di contento gli schiudeva la boccamentrele sue labbra mormoravano: "Chisei tu dunque che non mi respingesti e mi ridoni la vita?..."E la Beata rispose: "Guardamiin viso."

Alloraavvenne più grande prodigio. Gli occhi del cieco si schiusero:egli riconobbe sua mogliela donna che aveva maltrattata ed offesae che sola lo proteggeva nella miseria e nell'infermità; e nelpunto che l'anima suaperdonata e redentasaliva al cielodallesue labbra uscirono queste parole: "SantaSignore! Santa!""

Teresaaveva gli occhi bagnati di piantodalla commozione; ma il librettonon era finito. L'ultimo capitolo narrava i nuovi e più grandie più chiari esempi di carità e santità che laBeata aveva dati dopo la morte del marito; da ultimo narrava la mortedi lei e i suoi miracoli. -"Nonera per anco spiratache stormi d'augelletti scesero sul tetto dellasua casaposaronsi sul davanzale del suo veroneentrarono nella suacamerettaquasi messaggeri celesti venuti ad incontrarne l'Animabella. Soave profumo di rose e gelsomini e giacinti sprigionossicome incensodal suo corpo; e un gran numero d'infermi che trasseroa contemplarla l'ultima volta sul letto ferale guarironomiracolosamente soltanto per aver baciato il lembo della sua veste.Per prodigio divinola spoglia terrena di questa Eletta salvossidalla corruzione: dopo tanti secoliil frale della Beata conservaancora la freschezza ed il colore che aveva in vitasì chepare che Essa sia assopita in un sogno divino. In occasione dipestilenze e d'altre pubbliche e private calamitàla BeataUzeda ha operato innumerevoli miracolicome fu provato dinanzi aiSacri Tribunali di Roma. A tal uopo pubblichiamo qui per la primavolta il processo della Sua canonizzazioneche abbiamo potutoprocurarci grazie all'alta intercessione dell'Eminentissimo CardinaleLodovico Uzedapreclaro discendente della Beata."

Equella letturala solennità del centenarioi discorsi delconfessore e della madrigna e della zia monacala malattia delpadrela stessa esaltazione dello zio Lodovico alla suprema dignitàecclesiastica avvenuta in quei giornitutto concorse a piegarecomecerail cuore di Teresa... La costringevano forse a sposare unmostrocome avevano costrettonei tempila Santa? Michele non eraun mostroera un buon giovane; e i parenti non la costringevanoletenevano il linguaggio della persuasionele consigliavano la virtùdell'obbedienzaparlavano pel suo beneper la pace delle duefamiglieper la salute di suo padreammalato — dicevano —dai tanti dispiaceri. La incitavano a non seguire il tristo esempiodi Consalvo; le promettevano ogni ricompensa terrena e celeste... Epoiquella solennità del centenariola cerimonia del terzogiornol'adorazione della salma! Ella s'era accostata all'altare perla comunioneaveva ricevuto l'Ostiamentre le spire dell'incenso eil profumo dei grandi mazzi di fiori imbalsamavano l'ariae lecampane squillavano a festae l'organo cantavagrave e potente.Quante fronti umiliatequante preghiere mormorate dinanzi allaSantaa cui ella era stata paragonata! Ma un infinito terrore lastringevada lungo tempoda tanti anniall'idea di dover vedere lamortail secolare cadaverequasi che per un nuovo mostruosoprodigio il corpo esanime potesse sollevarsi dalla barainfrangere ivetriafferrarsi ai viventi spandendo attorno l'odore nauseabondodei balsami corrotti... E in mezzo alla folla che aprivasirispettosamente sul loro passaggiomentr'ella avanzavasi verso lacappella tutta lucenteil suo terrore cresceval'agghiacciavalesue gambe piegavansibrividi di freddo le scendevano dalla nuca giùper la schiena... Ahquella cassa!

Congli occhi serratiella cadde in ginocchiosmarritatremantefolledalla paura. Una voce al suo fianco mormorò:

-"Pregalaper tuo padre... promettile che sarai buona come lei..."

Dallapauraper andar subito viaper non veder quell'orroreella risposecon gli occhi serrati:

-"Sì..."


Epassò dell'altro tempo. Il principe migliorò e ricaddela duchessa venne al palazzo col solo primogenito; la trama deiconsiglidelle persuasionidegli incitamenti si strinse intorno aTeresa. La madrigna le disse che Giovanninoper non esser d'ostacoloalla felicità del fratelloaveva dato l'esempiodell'obbedienzase n'era andato ad Augustadove domiciliavasi perbadare alle proprietà. Teresa consideravasi impegnata dinanzialla Beata: acconsentì. Mise un patto solo: disse allamadrigna:

-"Faròquel che vorretepurché il babbo mi prometta una cosa. Chefaccia pace con mio fratello e consenta almeno a rivederlose nonvuole che torni a vivere qui. Che finisca la lite con le zie e vengaa un accordo. Non sarà difficile concluderlopurchéciascuno ceda in qualche cosa. Se voleteparlerò io stessacon le zie."La sua voce era graveil suo sguardo velato.

-"Seiuna santa!"esclamò donna Graziella. -"Tuamadre certo t'ispira! Vedremo così la pace tornare fratutti!... Parlerò subito a tuo padreed otterremo ciòche tu vuoi."

Ildomaniinfattile annunziò:

-"Tuopadre acconsente. Consalvo verrà qui il giorno in cui ci verràil tuo promesso. Andremo ad invitare noi stessi le zie; e per la litesperiamo che si venga all'accordo."

Tremesi dopola duchessa venne a presentare il duca in casa dellafidanzata. Già Consalvo era arrivato al palazzoe Teresapresolo per manolo aveva guidato nella camera del padre.

-"Babbo"gli aveva detto -"c'èqui suo figlio che viene a baciarle la mano."

Ilprincipetenendo la sinistra in tascagli porse la destra abaciaree alla domanda del figliuolo: -"Comesta Vostra Eccellenza?"-"Benissimo"risposecalcando un poco la vocee senza domandargli: -"Etu?"Non avevano ancora barattato quattro paroleche la carrozza di donnaFerdinanda entrò con gran fracasso nel cortile. La principessabaciò la mano alla vecchiae abbracciò la cognataLucreziala quale portava un abito elegantissimo: seta colord'albicocca con guarnizioni pistacchio... Ella avea fatto sapere atutti che la lite col fratello s'avviava ad un amichevole compimentoe che le bisognava adesso dare molte commissioni alla sarta per losposalizio di -"mianipote la principessina con mio nipote il duca".Era piena di debiticon la sartacon la modistail gioielliere:imbrogliava sempre più l'amministrazione del maritoma la suaparte nell'eredità di don Blasco avrebbe appianato ogni cosa.

Tuttigli altri parenti sopraggiunsero: il duca d'OraguaGiulenteilmarchese senza la mogliela quale non voleva più venire dalBelvederedove il bastardellocresciuto negli anni e rovinatodall'educazione di leila picchiava di santa ragione. Il principesalutando i parentiguardava con la coda dell'occhio Consalvo e noncavava di tasca la mano sinistra. Arrivò finalmente ilpromesso con la madre. Il ducavestito quasi elegantementenonfaceva poi un troppo brutto vederee pareva veramente felice. Suamadre gli aveva spiegato che Teresa era innamorata di luie che ibronci di Giovannino derivavano dall'idea che questi s'era fitto incapo di sposar la cuginasenza che né la ragazzanéla famigliané lei stessa che era sua madre e doveva contarebene per qualche cosaacconsentissero. Quindi se n'era andato adAugusta; lì si sarebbe persuaso del proprio torto. Pertanto laduchessa era trionfante: l'opera a cui aveva atteso durante tutta lavita si compiva lietamente: il primogenito accasavasicontinuava larazza; il cadettodopo ed a causa di quell'amore contrastatonon leavrebbe dato certamente altre inquietudini. Quanto alla principessasfolgorava dalla soddisfazione: il matrimonio di Teresina era tuttafatica sua particolare. È vero che la ragazza aveva dato provadi grande arrendevolezzae perciò ella la baciucchiava ogniquarto d'orain presenza della gente; ma i buoni consiglileragioni persuasive chi li aveva dati? Leiper la felicitàdella sua cara figliuolaper la soddisfazione del maritoper lapace della famiglia!... Anche il principe mostrava una bella cieranonostante l'inquietudine ispiratagli dal figliuolo e le tracce dellarecente malattia. La transazione per l'eredità di don Blascoera stata discreta: la casa a donna Ferdinandala rendita al ducail quale aveva fatto due grossi regali a Lucrezia ed a Chiara;centovent'onze l'anno a Garino; il Cavaliere col nuovo podere —il più grosso e bel boccone — a lui.

Cosìla pace era generalee solamente donna Ferdinanda guardava incagnesco Consalvo per l'apostasia della quale s'era macchiato. MaTeresadopo aver rappattumato il fratello col padreripreseConsalvo per mano e lo condusse dinanzi alla zia.

-"Zia"disse -"Consalvole vuol baciare la mano."

Eglisi chinò subito a prender la zampa rugosa per nascondere ilriso che gli solleticava la gola. Quella vecchia che avevaacchiappato senza tanti scrupoli un pezzetto della roba della Chiesadopo avere sbraitato contro i fedifraghi l'aveva con lui perchéeglia parole soltantoaveva mutato politica!... E mentre facevauno sforzo straordinario sopra se stesso per avvicinarsi alle labbrala mano di leiella la ritraevacredendo di fargli cosa sgraditaborbottando un freddo: -"Vabeneva bene!..."Egli volse le spalle alla vecchia matta. Ma come chiamar Teresa?Consalvo rideva tra sévedendo lo zelo col quale costeiandava accoppiando i parenti recalcitranti. Per metter pace tra genteche il domani avrebbe ricominciato ad azzuffarsiper dar provad'obbedienza a quei birbanti del padre e della matrignaperchési dicesse che era una figliuola modelloaveva rinunziato all'amoredi Giovanninosposava quel citrullo del duca!

-"Seicontenta?"non poté fare a meno di domandarlea quattr'occhi.

-""ella rispose; e la tristezza del sacrifizio che le velava la frontesi diradò per dar luogo alla serenità del doverecompìto...

Oramentre questo avveniva nella Sala GiallaBaldassarrenell'anticameraparlava solofuori di sé:

-"Guardateun po'... E io che non credevo!... Adesso anche lei!... Ma alloracome sonotutti pazzi?... Questa no! Non dovevano farmela!..."

Nofino all'ultimo momento egli non aveva creduto a quel che gli dicevatutta la città: -"Ilduca! Sposa il duca!"Norispondeva egli a tutti con un sorriso di compassionecome unoche la sa più lunga degli altri... Adessovedendo tuttaquella gente riunitail duca seduto accanto alla padroncinalapadroncina che riceveva i complimenti di tuttila testa cominciava agirargli. Il sangue degli Uzeda si risvegliava in lui. Dopocinquant'anni di devozione sconfinatadi obbedienza ciecadivolontà annichilitaegli aveva espresso un'opinioneannunziato un avvenimento. Tutto lo aveva persuaso a crederloimmancabile; e quando il principe si era oppostoegli aveva fattoassegnamento sulla volontà dei giovani. Inveceil barone sen'era andato ad Augustala principessina sorrideva al duca. Alloravoleva dire che per il capriccio di coloroper la loro stramberiala parola di luiBaldassarrenon valeva niente? Egli valeva menoin quella casadel manico della granata?... E parlava solononudiva gli squilli del campanellodimenticava gli ordinisbagliavail servizio; ma quando la gente cominciò ad andarseneun'impazienza febbrile l'animò ad un tratto. Spingeva via lepersone con gli occhinon stava fermo un minutoe finalmentequando credette che non ci fosse più nessunoentrònella Sala Rossa.

-"Eccellenza..."

C'eraancora il principino. Vedendo entrare il maestro di casaConsalvos'alzò e baciò la mano al padre. Ebbe appena voltato lespalleaccompagnato da Teresa e dalla principessache il principecavata finalmente la sinistra dalla tasca dove l'aveva sempre tenutasquadrò le corna contro il iettatore. Ma la voce diBaldassarre lo richiamò:

-"Eccellenza..."

-"Etuche vuoi?"

-"Eccellenza"disse il maestro di casa -"iome ne vado."

-"Dove?"domandò il principecredendo d'avergli dato qualchecommissione della quale s'era dimenticato.

-"Mene vado via. Chiedo licenza a Vostra Eccellenza."

Ilpadrone lo guardò un pococredendo d'aver frainteso.

-"Licenza?Perché?"

-"PernienteEccellenza. Sono stato quarant'anni in casa di VostraEccellenzaora me ne voglio andare. Vostra Eccellenza puòtenermi per forza? In casa suaVostra Eccellenza comanda come lepare e piace; chi le può dir nulla?... Anch'io in casa miasono padrone. Vostra Eccellenza può procurarsi un altromaestro di casa migliore di me; non ne mancano: il primo del mese iome ne vado."

-"Seiimpazzito?"

-"Nonne mancano... In casa sua Vostra Eccellenza è padrone... facome crede... Io me ne vado... Il primo del mese..."




6.


Unodei primissimi provvedimenti del giovane sindacoappena insediato alMunicipioera stato quello relativo alla costruzione di un'-"aula"per le riunioni consiliari. All'antica saletta fu sostituito un gransalone provvisto di due file di banchi cheper gradisi elevavanodal suolo ad anfiteatrocon tre ordini di posti per ciascuna fila.In fondo al salone una specie di alto e vasto pulpito comprendeva: adestrain bassoi posti della Giuntain alto quello degliscrutinatori e la poltrona destinata al prefetto; a sinistral'ufficio di segreteria; nel mezzo di tutta la baraccasopra un'altapredellail seggiolone sindacale dorato e scolpitocon un cuscinoche l'usciere toglieva e chiudeva a chiave quando il principinoscioglieva l'adunanza e se ne andava. Nel centro del saloneun granbanco per le commissioni; più oltretavole per -"lastampa";dirimpetto al pulpito sindacale la tribuna pubblica. -"UnParlamento in miniatura!"dicevano quelli che erano stati a Roma; e le adunanze del Consigliosotto la presidenza di Consalvoprendevano ora un vero carattereparlamentare. L'ordine del giornoche prima attaccavano manoscrittodietro un usciosi distribuivastampatoa tutti i consiglieri; unapposito regolamentoelaborato dal sindacoprescriveva le norme daseguire nelle discussioni pubbliche. Gli oratori non potevano parlarepiù di tre volte sopra uno stesso soggetto; al segretario erarigorosamente vietato d'interloquireneppure per rispondere alledomande dei consiglierie se qualcuno di costoro aveva da lagnarsidella sporcizia stradale o dei cani senza guinzaglioil principinogli gridava dal suo seggiolone: -"Presentidomanda d'analoga interpellanza."

Primacura della nuova amministrazione furono i lavori pubblici. Ilsindacoin un discorso dove rammentò la via Appia -"cheda Roma conduceva all'Adriatico"dimostrò la necessità di sistemare le strade; e lacittà fu messa sottosoprasomme considerevoli furono speseper indennizzare i proprietari danneggiati; ma la vistositàdei risultati fruttò considerevoli elogi al giovaneamministratore.

Conle stradel'amministrazione di Mirabellacome tutti la chiamavanoprovvide alla costruzione d'un grande mercatod'un grande teatrod'un grande macellod'una grande casermad'un gran cimitero.

Nuoviedifizi sorgevano da per tuttoil lavoro non cessavala cittàtrasformavasile lodi del principino salivano al cielo. Qualcunotimidamentefaceva osservare che tutte quelle cose stavanobenissimo; mae i quattrini? Ce n'erano abbastanza?... Consalvorispondeva che il bilancio d'una città in via di continuoprogresso -"presentavatale elasticità"da permettere non che quellema spese anche maggiori. La popolaritàessendo tutta suaegli faceva degli assessori ciò che voleva;se manifestavasi qualche velleità di contraddizionela sedavasuscitando gli uni contro gli altri coloro che s'accordavanonell'opposizione; oppurequando la faccenda era più seriaminacciando di andarsene. Allora tutti si chetavano. E di quel cheriusciva bene egli aveva tutto il merito; di quel che non otteneval'approvazione del popolo rigettava la colpa sulle spalle dellaGiunta. Le tornate consiliari erano diventate uno spettacolo a cuigrazie alla -"tribuna"pubblicala gente accorreva come alla commedia o al giuoco deibussolotti; i soci del clubgli ex compagni di bagordi delprincipino salivano di tanto in tanto lassùcon l'intenzionedi canzonarlo; ma la serietàil sussiegol'autoritàdi Consalvo s'imponevano talmenteche essi arrischiavano appena traloro qualche epigramma... Chi rammentava più la prima fasedella sua vita? La sua riuscita lo insuperbivala sua forza quasi lostupiva; ma oramai non era sicuro di poter arrivare dove avrebbevoluto? -"Saràdeputatolo manderemo a Roma quando avrà gli anni; in lui c'èla stoffa d'un ministro!"cominciavano a dire in città; ma se udiva queste coseegliscrollava le spallecon un sorriso mezzo di compiacimentomezzo dimodestiaquasi a significare: -"Graziedella buona opinione che avete di me; ma ci vuol altro!"

Cosìegli si teneva bene con tuttiraccoglieva lodi da ogni parte. Quelliche s'accorgevano del suo giuoco e lo denunziavanoo non eranocredutio erano sospettati d'invidia o di malignitàofinalmentese trovavano creditosentivano rispondersi: -"Fannotutti cosìin questi tempi d'armeggio! Il principino haquesto di vantaggioche è ricco e non ha da ingrassarsi allespalle nostre!"Ma gli oppositori più vivaci non mancavano. Come trasformavasimaterialmentela città prendeva anche moralmente un nuovoindirizzo. La popolarità del vecchio duca andava scemando digiorno in giorno; il Circolo Nazionaleche aveva spadroneggiatoperdeva sempre più credito. Le nuove società popolarinon ne avevano ancorama le riforme promesse dalla sinistral'avrebbero loro conferito: frattantoalla discussione dei negozipubblici partecipavano classi e persone dapprima incapaci dicomprenderne nulla. Anche la stampa era più arditase non piùliberae trattava con pochi riguardigli antichi spadroneggiatori.Il principinofiutando il ventosfoggiava coi democratici le suelinee di democrazia. A udirlola libertàl'eguaglianzascritte nelle leggi erano ancora un mito: il popolo era stato cullatonell'opinione che le antiche barriere fossero state infrante; ma iprivilegi esistevano sempre ed erano soltanto d'altra natura. Avevanolargito il diritto del votoe questo era parso una rivoluzione; maquanti godevano di cotesto diritto? Bisognava dunque farne un'altra-"legalee morale"per estenderlo a tutti. La parola -"rivoluzione"gli scottava le labbra e gli faceva tremare il cuore; e il desideriointimosinceroardente dell'animo suo era che vi fosse un numero dicarabinieri doppio di quello dei cittadini; ma poiché il ventosoffiava da un'altra parteegli cercava la compagnia dei radicalipiù noti per dir loro: -"Larepubblica è il regime idealeil sogno sublime che un giornosarà realtàpoiché essa suppone uominiperfettivirtù adamantinee il costante progressodell'umanità ci fa antivedere il giorno del suo compimento."E dichiarava: -"Iosono monarchico per la necessità di questo periodotransitorio. Milioni e milioni d'uomini liberi possonovolontariamente riconoscersi e vantarsi sudditi di un uomo come loro?Io non ho nessun padrone!"E in questo era sinceroperché avrebbe voluto esser eglistesso padrone degli altri.

Ilduca e i suoi malvacei amiciostinandosi a giurar sulla destraaspettando il ritorno di Sella e Minghetti come quello di NostroSignoreavevano creato un'Associazione Costituzionaledi cuituttavia l'onorevole deputato non aveva voluto esser capo. Anch'egliadessoin cuor suoriconosceva che la strada non aveva uscita; maoramai egli stava per toccare la settantinaera stanconon glirestava più nulla da fare. In meno di venti anni aveva messoinsieme una sostanza di parecchi milionile cure della qualeprendevano tutto il resto della sua attività. Deciso veramentea ritirarsi dalla vita pubblicaaveva un'ultima ambizione: quellad'essere nominato senatore; sequindiper finir bene dinanziall'opinione pubblicanon gli conveniva abbandonar bruscamente ilpartito al qualedopo il Settantaseis'era legato ancora piùstrettonon gli conveniva neppure muover guerra troppo aperta aquella sinistra da cui aspettava la seggiola a Palazzo Madama. Quindiaveva dato a Benedetto Giulente la presidenza della Costituzionalecontentandosi del posto di semplice gregario. Frattantocontroquesta società era sorta una Progressistaalla quale s'erafatto ascrivere Consalvo. -"Zioe nipote l'un contro l'altro armati? Il ragazzo che si ribella alvecchio?"dicevano in piazza; ma le eterne male lingue insinuavano che la cosaera fatta d'amore e d'accordoche il duca era ben contento d'avereil nipote nel campo contrariocome il principino si giovava delcredito dello zio tra i conservatori. Del restoquantunque consociodei progressistiegli dichiarava a questi ultimi che la sinistra nonaveva ancora -"unfinanziere della forza del Sella" -"oratorieleganti come Minghetti".Ma a quelli che non nascondevano i disinganni prodotti dal regimecostituzionale non aveva nessuna difficoltà a dichiarare: -"L'erroreè stato di credere che potesse dare buoni frutti. Il gregge hasempre avuto bisogno d'un pastore con relativi bastoni e cani diguardia..."Dava ragione perfino a quei pochi che rimpiangevano l'autonomia dellaSicilia: -"Diciamolofrancamente tra noi: forse oggi staremmo meno peggio!"Non avrebbe fatto nessuna difficoltà a concedere alla ziaFerdinanda che il governo borbonico era il solo amabile; ma poichéla vecchia non poteva giovarglilasciava ch'ella cantasse. Anzisigiovava di quell'opposizionenon che della rottura col padre.Siccome sapeva che moltiudendo celebrare la sua fede democraticaridevano d'incredulitàesclamando: -"Luiil principino di Mirabellail futuro principe di Francalanzaildiscendente dei Viceré? Andiamo!..."egli affermava: -"Perquesta fedeper questi princìpi io sono venuto in urto conmio padreho rinunziato all'eredità di mia ziasosterreiogni maggiore avversità!..."Nella Giuntatra i conservatori aristocratici e i radicaliprogressisti di tanto in tanto s'accendeva una lite; allora egliesclamava: -"Quinon bisogna parlar di politica!..."ma una volta che la contesa divenne più vivacelo tirarono inballo. Rizzoniradicalissimoesclamò:

-"Madomandatelo al principinose l'avvenire non è nostroseanch'egli non è democratico!..."

-"Mionipote?"rispose Benedetto Giulente. -"L'aristocraziaincarnata?..."

Costrettoa rispondereegli sorrisesi lisciò i baffie disse:

-"L'idealedella democrazia è aristocratico."

-"Come?Sentiamo!... Questa è nuova!... Che diavolo..."esclamarono tutti.

Eglilasciò che dicessero: poi ripeté:

-"L'idealedella democrazia è aristocratico... Che cosa vuole infatti lademocrazia? Che tutti gli uomini sieno eguali! Ma eguali in che cosa?Forse nella povertà e nella soggezione? Eguali nelle dovizienella forzanella potenza..."E poichédopo un momento di stuporele esclamazioniricominciavanoegli troncò di botto la discussione: -"Adessopassiamo all'altro articolo: voto al governo per la costituzione d'unbacino di carenaggio..."


Egliandava adesso qualche volta da suo padre. Non sentiva piùavversione contro di lui: lo zelola febbre con la quale s'occupavadella cosa pubblicala tensione di tutte le sue energie alconseguimento del nuovo scopo non lasciavano posto a nessun altrosentimento né d'odio né d'amore. Quanto al principelevisite del figliuolo gli mettevano i brividi addossoed appena loudiva annunziare dal nuovo maestro di casa — poichéBaldassarrecocciuto come un vero Uzedaera proprio andato via —ficcava la sinistra in tasca e non la traeva se non per spianarlaaperta col segno delle cornadietro al figliuoloquando costui sidecideva a sgomberare. I loro discorsi s'aggiravano sopra coseindifferenticome fra estranei; il principe fingeva di non sapereche Consalvo fosse il primo magistrato civico; ma insomma adessostavano insieme da cristiani.

Teresaora duchessa Radalìvedeva in tal modo compensato il propriosacrifizio. Eccettuati i primissimi tempiquando la memoria diGiovannino non era interamente morta nel suo cuoree piùgrande le era parsa la superiorità di lui sull'altro fratelloella non aveva del resto sofferto quanto aveva temuto. Il ducaMichele non solo la trattava bene e le lasciava ogni libertà;ma le dimostravaa modo suoun po' alla grossaun affetto vivo esincero. La duchessa madreanche leidalla soddisfazione di vedereriusciti i propri disegnile faceva gran festa e la metteva perfinoa parte del governo della casa. Il barone se n'era andato ad Augustabadava agli affari di campagna e scriveva due o tre volte il mese alfratello od alla madrechiudendo le sue lettere con un -"salutola cognata".La tranquillità che regnava nella sua nuova casala pace cheristabilivasi nell'antical'affezione del maritoi trionfi diConsalvole lodi che raccoglieva ella stessa — poichétra le giovani signoreaveva occupato subito il primo posto —facevano fiorire sulle sue labbra sorrisi a grado a grado piùschietti. Veramenteella non sentiva più l'anima disposta acomporre musiche o poesiema sedeva ancora spesso al pianoforte peresercitarsie nel farsi bella spendeva forse maggiori cure di prima.

Adessoera libera di leggere i libri che più le piacevano; e quandonon aveva nulla da faredivorava romanzidrammi e poesie.L'eccitazione di quelle letture non le impediva però diattendere alle pratiche religiose con zelo e fervore: in casa Radalìvenivano lo stesso Monsignor Vescovolo stesso Vicariogli stessiprelati che frequentavano la casa del principe: essi additavano atutti la duchessa nuora come modello di domestiche e cristiane virtù.

Prestola gravidanza le fece dimenticare del tutto i sogni del passatoel'affezionò meglio alla realtà del presente. Soffrìpochissimo durante la gestazione; il tempo volò rapido inmezzo a tante cure ed a tanti pensieri. Il parto fu felicissimo:tutti aspettavano un maschio e un maschio nacqueun bambino grosso eflorido che pareva d'un anno. -"Potevaessere altrimenti?"dicevano tutti. -"Peruna figlia e una sposa buona come leiprotetta da una Santa incielo?..."I preparativi del battesimo furono grandiosi: il duca volle ilfratello come padrino. La duchessa madre approvò; Teresariposando sul letto nuzialedove restava più per una beataindolenza che per necessitàdisse che naturalmente la sceltanon poteva essere migliore. Giovannino tardò a risponderemasollecitato dal duca anche a nome della madre e della mogliearrivòla vigilia della cerimonia.

Parevaun altr'uomo: s'era fatto più forteil sole lo avevaabbronzatola barba cresciuta gli dava un'aria più maschiasimpatica quanto l'anticama in modo diverso. Strinse la mano allacognatachiedendole premurosamente notizie della sua salutee volleveder subito il nipotino che giudicò un amore e baciò eribaciò fino alla sazietà. Ancora più calma eserena di luiella lo accolse come un amico che non si vede da moltotempo. Dopo la cerimonia del battesimoalla quale furono invitatitutti i parenti stretti e larghitutte le conoscenzemezza cittàGiovannino annunziò che ripartiva. Fecero a gara pertrattenerloma egli dichiarò che c'era molto da fare incampagnae andò via promettendo ad ogni modo di tornar prestoa rivedere il figlioccio.


Moltidegli invitati al battesimonuovi tra gli Uzedaavevano chiesto chifosse un vecchio magro e sfiancatoil quale portava un abito nuovofiammante e certe scarpe che non ne potevano piùun cappellountoe una mazza col pomo d'argento.

Erail cavaliere don Eugenio. La stampa del Nuovo AraldoossiveroSupplimentogli aveva procurato un altro momento di benessere.Aveva scialatopossedeva qualche soldo: ma lo scandalo era enorme:egli aveva attribuito titoli di nobiltà e stemmi e corone aquanti lo avevano pagato: spezialicalzolaibarbieri sfoggiavanodentro le botteghe quadri dalle cornici dorate dovesotto coroneelmi e variopinti svolazzisi vedevano scudi con leoniaquileserpentigattilepriconigliogni sorta di bestie passanti evolanti; e poi castellitorricolonnemontagne; e poi astri ditutte le grandezzelune d'argentopiene e falcate; soli d'orostellecomete; e tutti i colori dell'iridetutti i metallitutti imantelli. Né scrupoliné difficoltà lo avevanoarrestato: a chi si chiamava Panettiere aveva dato per arme un fornofiammante in campo d'oroa chi portava il nome di Rapicavoli un belmazzo di verdura in campo d'argento. Così l'impresa avevafruttato di gran bei quattrini; macome l'altra voltabuona partes'era perduta per via. Egli aveva però riscattato l'edizionedel primo Araldo che il tipografo teneva sotto sequestroecon mille copie dell'opera se n'era tornato al suo paese per venderlee mangiarci su.

Facevail conto senza il principe. Sistemato l'affare della litequestis'era pentito dell'accordoe si lagnava d'essere stato defraudatod'esser rimasto con un pugno di moschementre l'eredità didon Blasco doveva toccare tutta a lui. Il malumorel'inappetenzaladebolezza di cui aveva sofferto tornavano a tormentarlo: sordamenteirritatoincapace di confessarsi ammalato pel superstizioso timoredi accrescere con la confessione la malattiase la prendeva con lafiglia che gli aveva imposto la transazionedichiarava d'esserestato spogliato come in un bosco. Appena visto tornare lo zioeudito che aveva qualche soldoandò a chiedergli larestituzione del prestito. E siccome don Eugenio tirò in ballola rinunzia ai propri dirittiegli gridò:

-"Chediritti e che storti? Sono stato spogliato! Si sono preso tutto! Iov'ho dato i quattrini; restituiteliadesso che li avete."

Vistala mala paratadon Eugenio gli confidò:

-"Nonli ho! Ti giuro che non li ho! Ho quattro soldi per tirare innanzi;se ti do duemila e cinquecento lirecome mangio?"

-"Datemiallora le copie"rispose pronto Giacomo.

-"Masono il mio solo provento! Se tu me le toglidove vado a sbattere?Che t'importa di un po' di carta sporca?... Tu che sei tanto ricco?Per me è il pane!... Le venderò a poco a pocoavròtanto da campucchiare..."

Inflessibileil principe volle presso di sé tutta l'edizione dell'Araldosicolo e del Supplimentocome garanzia del propriocredito.

Quantunquemezza Sicilia fosse inondata di quella pubblicazionepure riuscivaspesso a don Eugenio di collocarne qualche copia; e allora andava aprenderla dal principe promettendo di portare i quattrini per poidividerli con lui; ma i quattrini non venivano maitalché unbel giornostanco d'esser beffatoil nipote gli dichiarò:

-"Mipare che lo scherzo sia durato a lungo; d'ora in poise vorretealtri esemplarili pagherete anticipatamente."

Allorafiniti i soldi che aveva portato da Palermogl'imbarazziricominciarono per l'ex Gentiluomo di Camera. Come un fattorino dilibraioegli saliva e scendeva scale coi piedi gonfi dalla gottatrascinandosi penosamenteper offrire il suo Araldopermostrarne un fascicolo di saggioe quando arrivava a scovare uncompratore correva a supplicare il principe perché gli dessela copiagiurando e spergiurando che sarebbe tornato subito coiquattrini; ma il principeduro: -"Portateliprima!"Non sapendo dove dar il capoil vecchio fermava i parenti e lesemplici conoscenze per farsi prestare le trenta lire;raggranellatelele portava al nipoteil quale solo dopo averleintascate rilasciava l'esemplare. Mariscosso il prezzo dalcompratoredon Eugenio dimenticava di soddisfare i debiti contrattitalché l'operazione si rinnovava ogni volta con maggiordifficoltà. Del resto il cavaliere trovava da un certo tempola piazza molto più dura di prima: da gente a cui egli nonaveva mai proposto l'Araldo sentivasi rispondere: -"Un'altravolta? L'ho già!"Dicevano così per mandarlo via?... Un giornopersincerarsenevolle domandare a uno di costoro come l'avesse: -"Ohbella! L'ho comprato! È venuta una persona di casa vostra: nonsiete zio del principe?..."

Ilvecchio si batté la fronte: quel birbone di Giacomo!.. Noncontento di avergli preso novemila lire di roba in cambio delleduemila e cinquecento anticipatenon contento d'avergli resoimpossibile la vendita pretendendo l'anticipazione del prezzoadessovendeva le copie per proprio conto! -"Ahladro! Ahladro!..."Macomposta la fisionomia all'abituale bonarietàcorse alpalazzo.

-"Seanche tu hai venduto l'operafacciamo i conti!"disse al principe.

-"Checonti?"rispose costuiquasi cascando dalle nuvole.

-"Haivenduto il libro! A quest'ora il mio debito sarà estinto."

-"Civuol altro!... I conti li faremo quando avrò tempo..."

DonEugenio tornòassiduamente; ma il nipote un po' gli dicevache aveva da fareun po' che gli doleva il capoun po' che stavaper andar fuori. Lo zio non perdeva la pazienza; tornava ogni giornoa rammentargli la promessa; anzi una brutta mattina gli dissegettandosi sopra una seggiola:

-"Sentii conti li faremo quando sarai comodo; ma oggi non ho niente in tascae sono stanco. Prestami qualche cosa."

-"Come?Volete il resto?"esclamò il principe impallidendo. -"Credeteforse che siamo pari? Si sono vendute mezza dozzina di copie intutto! Avete il viso di chiedere altri denari?"

-"Nonho come fare"gli confidò il cavalierecon un viso da affamatoguardandolobene negli occhi.

-"Evenite da me? Che pretendete? Che vi dia da mangiar io? Perchéavete sciupato ogni cosa? Perché non avete pensato maiall'avvenire?"

-"Ioho da mangiarecapisci?"ripeté il cavalierecon lo stesso tono di voce; e i suoiocchi parevano volersi mangiare il nipote.

-"Andateda vostro fratelloda vostra sorella... che hanno l'obbligod'aiutarvi... Perché venite da me?"

Maspaventato dall'espressione del vecchiogli voltò le spalle.Quando lo udì andar viachiamò il portinaio perordinargli di non lasciarlo mai più salire.

Eil provvedimento riscosse l'unanime approvazione della servitù:veramente quel cavaliere non faceva onore alla famiglianon tantoper quel che si diceva sul conto di luiquanto per la condizione incui era caduto. Il nuovo maestro di casa confessò: -"Iomi vergognavo ogni volta che lo dovevo annunziare al padrone..."

Tuttii tentativi del vecchio per salire al palazzo furono vani: egli ebbeun bel dichiarare: -"Mionipote mi aspettam'ha detto che sarebbe in casa"oppure: -"L'hovisto rientrare"oppure: -"Eccololìdietro quella finestra..."il portinaioi cocchierii famigli gli dicevano sul muso: -"VostraEccellenza può andarseneche perde il suo tempo"e gli davano dell'Eccellenza come in tempo di carnevale ai facchinidi piazza vestiti da barone. Egli tentò di salire per forzama allora lo afferrarono e lo spinsero fuori: -"Eccellenzacon le brusche?... Questi non son modi da Eccellenza pari vostra!..."Un giornosi mise a sedere in portineriadichiarando che non sisarebbe mosso fino al passaggio del nipote. Sulle primeilguardaportone ci scherzò su; poi tentò persuaderlo conle buoneprendendolo dal lato dell'amor proprio: -"Quinon è il posto di Vostra Eccellenza!... Un cavaliere comeVostra Eccellenza sedere con un portinaio! Non si vergogna?..."Ma il vecchio non si movevanon rispondevacupoaffamato come unlupo; e il portinaio cominciò a perdere la pazienzasmise aun tratto l'Eccellenza: -"Sene vuole andaresì o no?..."e come don Eugenio restava inchiodato sulla seggiolaquell'altromontò finalmente in bestiasmise anche il lei eafferratoloper le spallelo fece sorgere e lo spinse fuori ad urtonigridando:

-"Fuorivi dicocorpo del diavolo!"


DonnaFerdinanda lo cacciò via come un cane rognoso: il duca glidette un piccolo soccorsofacendogli intendere di non dover fareassegnamento sopra altre elemosine. Procurargli un posto era ilmeglio che si potesse fare e ciò che egli desiderava; quindiBenedetto Giulenteil quale lo aveva anch'egli sovvenutone parlòa Consalvo.

-"Cheposto volete dargli?"rispose il principino. -"Èuna bestianon sa far nulla. Volete che lo zio del sindaco serva dausciere o da accalappiacani?"

Erachiaro che al Municipio non c'era da far niente per il legittimoorgoglio del principino. Giulente andò dal ducasuggerendoglidi metterlo in qualche ufficio alla provincia o alla prefettura. E ilducaper evitare altre domande di sussidifece in modo daottenergli un posto di copista all'Archivio provincialeil meglioche si poté trovare. Ma quando ne diedero comunicazioneall'interessatoil cavaliere diventò rosso come unrosolaccio.

-"Ame un posto di scrivano? Per chi m'avete preso?"

-"Maveda..."gli fece considerare rispettosamente Benedetto -"VostraEccellenza non ha titoli accademici... è avanzata in età...le amministrazioni pubbliche sono esigenti..."

-"Emi proponi di fare il copista?"gridò il cavaliere. -"AmeEugenio Uzeda di FrancalanzaGentiluomo di Camera di Ferdinandoiiautore dell'Araldo sicolo?... Perché non lo fai tupezzo d'asino che sei?"

Ilvecchio ricominciò a chiedere aiuto. Ma il ducaper punirlodel rifiuto del postogli chiuse la porta in facciae Lucreziadopo averlo giudicato degno dei più alti uffici per far ontaal maritonon lo volle neppur lei per la casa quando lo videquestuare... Un giornoil cavalieresempre più miserabile estracciatoandò dalla nipote Teresa. Il portinaiononriconoscendolonon voleva lasciarlo passare; arrivato finalmentedinanzi alla duchessa nuorache giunse le mani vedendolo in quellostatocominciò a querelarsi:

-"Vedicome m'ha ridotto tuo padre? Quel birbante che mi ha rubato il libro?Quel ladro che mi ha..."

-"Zioper carità!..."esclamò Teresa: e vuotò la sua borsa nelle mani delvecchio che tremava dalla cupidigia alla vista dei quattrini. Egli siripresentò altre volte al palazzo ducalema la duchessamadreper evitare i commenti tra la servitùdichiaròa Teresa chese voleva soccorrerlofacesse pure; ma che in casa nonlo lasciasse più venire.

Edanche quella porta gli fu chiusa.

Egliaspettava che gli procurassero un posto di professore o di cassieretanto da vivere signorilmente senza far nulla; e siccome non locontentavanofermava per istrada le persone di sua conoscenzanarrava a modo suo i propri casi:

-"M'hannospogliatom'hanno ridotto alla miseria! Mio fratello il Benedettinom'aveva lasciato cinquecent'onzee stracciarono il testamentonefecero uno falso! Il principe mio nipote m'ha rubato la miagrand'opera dell'Araldo sicolo!... Mi chiudono la porta infaccia! A meEugenio di Francalanza! Gentiluomo di Camera!Presidente dell'Accademia dei Quattro Poeti!... Sanno forse chi sonoio? Se veniste a casa miavi farei vedere quante medaglie e diplomi:uno scaffale intero!..."

Lasua megalomaniacon la miseriagli stentile umiliazionicrescevadi giorno in giorno; egli annunziava:

-"Ilgoverno m'ha invitato a Roma per una cattedra dantesca. Ma io non civado! Fossi pazzo! Me ne andrò piuttosto in Alemagnadoveconoscono tutte le mie celebri operee la scienza èrispettata!... Il prefetto mi ha detto che il Re mi vuole comeprofessore di suo figlio. Io fare il maestro di scuola? Per chim'hanno preso? Se lui si chiama Savoiaio mi chiamo Uzeda. EhidonUmbertosiete forse al buio?..."Poiall'orecchio: -"Potrestefavorirmi cinque lire? Ho dimenticato il portafogli a casa..."

Glienedavano dueuna o anche mezza; egli metteva in tasca ogni cosa. Iparentiavvertiti di quello scandalosi stringevano nelle spalleodicevano: -"Bisognafinirla"senza far poi nulla. Giulente e Teresadi nascostolo soccorrevanocome meglio potevano: ma egli aveva già preso l'abitudine diquestuareil mestiere era dolce e comodoil passaggio del denarodalla tasca altrui alla propria gli pareva naturalissimo; e poi unsordo istinto di rappresaglia contro i parenti lo spingeva acontinuare per far loro onta.

Eun giorno si diffuse per tutta la città una notizia:

-"Nonsapete nulla? il cavaliere don Eugenio chiede l'elemosina!"

Egliaccattavaalla lettera. Anche se aveva in tasca qualche liras'avvicinava agli sconosciutitendeva la manodiceva:

-"Pergentilezzami favorite due soldi? Un soldoper comprare un sigaro?"

Acchiappavala moneta come una predala cacciava in tasca; s'avvicinava a unaltro:

-"Unsoldoper favore?"

Teresaaccompagnata dal maritoandò a trovarlo nello stambugio doves'era ridottogli si gettò ai piedi:

-"Zionoi le daremo tutto quel che vorràpurché non facciapiù questa cosa!... Una persona come leiabbassarsi così?"

-"Sìsì..."

Egliprese i denari che gli porgevano; il domani ricominciò. Adessoera un'idea fissa; la malattia che tornava a tormentarlo finiva discombuiare la sua debole testa d'Uzeda. Lacero come un veroaccattonecon la barba bianco-sporcaspelazzata sul viso smuntoi piedi in grosse scarpe di pannoandavaattornoappoggiandosi a un bastonechiedendo:

-"Unsoldoper favore!... per questa volta sola!..."

Eper procacciarselo dava spettacolo della sua pazzia. Certuni glidomandavano chi erase non era il cavaliere Uzeda? e allora lui:

-"EugenioConsalvo Filippo Blasco Ferrante Francesco Maria Uzeda diFrancalanzaMirabellaOraguaLumeraetc.etc.Gentiluomo diCamera (con esercizio) di Sua Maestàquello era Re!"e si cavava il cappello -"Ferdinandoii; medagliato da Sua Altezza il Bey di Tunisi del Nisciam-Ifitkarpresidente dell'Accademia dei Quattro Poetimembro corrispondente dipiù società scientifico-letterarie-vulcanologichedi NapoliLondraParigiCaropepePietroburgoPaoloburgoNuovaYork e Forlimpopoliautore della celebre operastorico-araldico-blasonico-gentilesco-cronologicaintitolata l'Araldo sicolo con supplimento... Un soldopercomprarmi un sigaro..."






7.


Ilsecondo figliuolo di Teresaun altro maschionacque un anno dopo ilprimotanto che tutti dicevano agli sposi: -"Sivede che non perdete tempo!"Se al primo parto la duchessa non aveva soffertodi quest'altroquasi non s'accorse: degno premio della purezza dei suoi costumi. Lacerimonia del battesimoquesta voltafu modestaun po' perchéera nato un cadettoil baroncinoun po' per un'altra ragioneincresciosa. Grattandosi un giorno sotto la nucain mezzo allespalleper un forte pruritoil principe aveva calcato le unghiesino a farsi un po' di sangue. Lì per lì non ci avevabadatoma dopo qualche tempo gli si formònel puntomaltrattatouna specie di bottone che crebbe fino a impacciarlo neimovimenti e ad impedirgli di star supino nel letto. Tuttiattribuirono il fatto all'eccessivo grattamento; nondimenosiccomel'incomodo non andava viafu necessità chiamare un chirurgo.Il dottore confermò che era una cosa da nullama disse chesenza una piccola incisione non sarebbe guarita. Il principeall'annunzio dell'operazione impallidìrifiutando disottoporvisi; ma giustodopo il parto di Teresaquel tumoretto eracresciuto ancoradandogli tanto fastidio che egli aveva consentito alasciarselo tagliare. L'operazioncella durò più che nonsi credesse e il principe dové restare molti giorni in casa;pertanto il battesimo del baroncino di Filici fu celebrato senzapompa. Il sindaco Consalvo fece da compare; da Augusta venne perassistere alla cerimonia Giovannino. Durante l'annoegli avevafattosecondo la promessadue o tre visite al figlioccio: visitebrevi d'uno o due giorni. Dicevano che egli avesse ad Augustaepropriamente nelle terre di Costantinala figliuola d'un fattoreuna bella contadina biancarossa e prosperosaper via della qualerifiutava di stare a lungo a Catania. La duchessa madre ne eracontentissimacome della più sicura garanzia contro ilmatrimonio. Il duca godeva nel sentire che suo fratello si divertiva;e quanto a Teresanonostante che l'onestà le impedissed'approvar quel legamepure dimostrava al cognato un affettofraternoe gli faceva molta festa; se da Augusta egli mandavaqualche commissione alla madrespesso l'eseguiva ella stessa.Chiedeva ordinariamente biancheriaoggetti d'uso domesticoma ditanto in tanto anche tagli d'abiti da donnabustifazzoletti diseta... Servivano per la figlia del fattore?

Tuttele volte che veniva alla casa maternaegli aveva il viso piùcottocon la barba più ispidala pelle delle mani piùdura. Su quella faccia da arabo del deserto il bianco degli occhi eraperò dolcissimo. Teresa ringraziava il Signore della saggezzache gli aveva ispiratadella salute che gli accordava; peròin cuor suoella domandava come mai quel giovane tanto elegantecosì avido di piaceridelle cose belle e riccheaveva potutorassegnarsi a far la dura vita di campagnaa vivere con unacontadinain mezzo a contadini... Non era però lei stessa lacausa di quella trasformazione? E subitoquasi a scagionarsi aipropri occhiella pensava: -"Sonotrasformata anch'io!..."Dov'erano piùinfattile sue ispirazioni poetichele suealate fantasie? Aveva preso marito da due annie giàcominciava la terza gravidanza. Quand'ella sognava di GiulianoBiancavilladi Giovanninopensava forse di divenire una macchina dafar figliuoli?... Ora dava guerra a quei pensieri che lo spiritodella tentazione doveva certo suggerirle... Biancavillatornato dalsuo viaggiodimenticava anche luiprendeva moglie: un giorno ellalo incontrò a faccia a faccia; trasalì un momentomaun'ora dopo l'incontro se ne dimenticò. Giovannino era suocognato; più nulla restava così dei sogni antichi. Sene doleva forse? No! Pensava: -"Checosa mi manca per esser felice? Sono giovanebella e riccatutti mivogliono benetutti mi lodanoho due angioletti di figli: di che milagno?"E nella misura delle proprie forze aveva fatto il bene: la sua mammadi lassù non doveva benedirla? La Beata non poteva essercontenta di quella lontana discendente?

Lospirito della tentazione si serviva di arti molto sottili perturbarla in quella serenità. Forse erano i librile poesieiromanziquelli checerte voltequando si sentiva piùtranquilla e sicura e sorrideva di maggior beatitudinefacevanosorgere a un tratto una specie di nebbia che offuscava il suo belcieloe le davano un senso di oscuro sgomentoe il rancore d'unbene perduto prima ancora che ella avesse potuto raggiungerlo. Erapeccato leggere quei libriseguire quelle visioni? Il confessoreipreti che la circondavano dicevano sìche erano pericolosi;ma non riconoscevano forse nello stesso tempo che il pericoloperleiera molto più lontanogiacché ella aveva un'animaretta e una mente sana e una coscienza purissima?... E poie poiepoiella aveva rinunziato a tante cose; se avesse rinunziato anche avivere con la fantasiache le sarebbe rimasto?

AncheGiovannino leggeva molto: tutte le volte che veniva da Augusta ledomandava: -"Cognataavete libri da prestarmi?"e ne portava via a cassein mezzo alla roba di cui veniva arifornirsi. In qual modo ammazzare il tempo quando non c'era davegliare ai lavori della terra: la vendemmiale seminagioniiraccolti?... Un'altra cosa di cui si provvedevavenendo in cittàera il solfato di chinino. A Costantinanei poderi della Balata edella Favarotta regnava la malaria; egliveramentenella stagionedel pericolo se ne andava a Melillisui colli Ibleidove l'aria erabalsamica; maad ogni buon fineper sé come pei lavoratoriera bene che il sovrano rimedio non mancasse mai.

Unabella sera d'estateTeresa e la duchessa madrelasciato a casaincustodia della camerierail duchinoe presa in carrozza la baliacol figliuolo più piccolofacevano la consueta passeggiata.Il baroncino lattantecullato dal moto dolce del legnodormiva inmezzo a una nube di garza sulle ginocchia della nutrice. Teresaportava per la prima volta un abito molto ricco arrivatole da qualchegiorno da Torino; ella vedeva che tutte le signore le cui carrozzeincrociavansi con la sua si voltavanoesaminandolaammirandola. Lacarrozza salì fino alla Madonna delle Grazie; le padrone e labalia sceseroentrarono nell'angusta cappella e s'inginocchiaronodinanzi all'altare. Teresa aveva chinato gli sguardi per evitare lavista del muro pieno di ex voto orribilidel carnaio che ladisgustava ora come l'inorridiva bambina; mafissando l'immaginedella Verginele diceva tutta la sua gratitudine per le grazie dicui la colmava. Sentivasi tanto calmada un certo tempo; quasifelice! Da un pezzo nulla più la turbava; nessun soccorsoaveva da chiedere alla Madonna. Sìla salute sempre malfermadi suo padrel'umor tetro che lo rodeva dopo l'operazionechirurgica. Chiusocupocrucciosocon più bisogno di primadi prendersela con qualcunoegli era tornato a rimuginar l'idea didar moglie a Consalvo. Quantunque non parlasse e paresse nonoccuparsi di quel iettatorerodevasi al pensiero della fine dellapropria razzase quel iettatore non prendeva moglie. E gli avevacercato un nuovo partitoa Palermoun partito che tuttiassicuravano straordinario; ma Consalvo aveva detto ancora di noeil principe aveva rotto un'altra volta più violentemente conlui...

Teresapregò più a lungopertanto; poi si segnò esorse in piedi. La suocera era già alzata; la balial'umilecontadina che reggeva in braccio il frutto delle sue viscerefinivadi pregare; il bambinodestato dallo scalpiccio dei passidalborbottare dei ciechi questuantiguardava la fiamma dell'altare traridente ed attonito. Ella distribuì tutto quel che aveva intasca ai poveri e risalì in carrozza. La duchessa madre ordinòal cocchiere di andare a fermarsi al Caffè di Sicilia.

Lìil cameriere non aveva ancora portato i gelatiche una voce alterataesclamò dietro la carrozza:

-"Teresa...Mamma..."

Erail ducairriconoscibilecon la camicia disfatta dal sudorepallidocome un morto. Rivolto al cocchierementre esse domandavanosgomente:

-"Chec'è?... Michele!... Che hai?..."

-"Tornaa casa!"ordinava egli. -"Tornasubito..."

Eaprì lo sportellosalìsi gettò a sedereaccanto alla balia.

-"Miopadre?... Il bambino?"esclamava già Teresaafferrandogli una mano; ma egli:

-"Nono..."

Ementre i cavallisferzatipartivano traendo scintille dallastricatospiegò finalmente:

-"Giovannino...Un telegramma del fattore... La perniciosa!... Sono corso daldottorepoi alla stazione... Vi ho cercato da per tutto... Partiròstanottecon un treno straordinario..."


Nelprimo momentoTeresa provò quasi un senso di sollievo.Smarrita alla vista del maritoatterrita dalle sue oscure paroleaveva creduto alle più terribili catastrofi: la morte delpadreun'improvvisa minaccia per l'altro suo figlio. Assicurata chenessuno dei suoi era in pericoloella non attribuì moltagravità alla malattia del cognato. Poiché Micheleperdeva la testae la suoceraimprovvisamente intenerita per quelfigliuolo che aveva tanto trascuratosmaniava adesso e parlava dipartiredi correre a chiamare altri dottoriella sentiva chetoccava a lei ragionare. Letto il telegramma del fattorela suafiducia s'affermò. Il telegramma diceva: -"FratelloVostra Eccellenza trovasi a letto con febbre altasomministratosubito chinino temendo trattisi perniciosa; venga qualcuno famigliainsieme dottore."Il duca non aveva posto attenzione alla forma dubitativadell'annunzio; ella diede coraggio a tuttis'offerse diaccompagnarli; ma la duchessa che esclamava ogni due minuti: -"Figliomio!... Figlio mio!..."volle che restasse. Allora ella preparò le valige pel marito eper la suoceranon dimenticando nullaraccomandando loro di nonlasciarla senza notizieassicurandoli che anche della perniciosa ilchinino già somministrato e le cure del dottore di Cataniaavrebbero sicuramente trionfato.

All'unadella notte Michele e la duchessa partirono. Restata sola in casalasua fiducia cominciò a mancare. Se non si fosse trattato d'unacosa graveil dispacciola richiesta d'un altro dottorelachiamata dei parenti non sarebbero stati necessari. E perchénon aveva firmato egli stesso il telegramma?... Stringendosi al pettoi bambini ella pregava in cuor suo: -"SignoreMadonna delle Graziefate che non succeda una disgrazia!..."

Eperché col giornoquando Michele e la duchessa dovevano essergiunti al capezzale di luinon veniva nessuna notizia?... Elladiceva tra séper darsi coraggio: -"Nessunanuovabuona nuova!..."e tentava raffigurarsi i volti ilari del marito e della suocera nelvedere il fratello e il figlio sorrider lororassicurarli... Perchédunque non rassicuravano lei stessa? Non sapevano che anche lei erainquieta?... Come si rimproveravaadessoil crudele egoismo chel'aveva quasi fatta gioire udendo che in pericolo versava il cognato!Non le era quasi fratello? Non l'amava ella di fraterno amore?...Come si perdeva adessocome si cancellava la memoria di quell'altroamore che aveva nutrito per lui! Adesso restava solo l'amicoilparentecolui che aveva tenuto al fonte della redenzione lacreaturina sua!...

Ele notizie mancavano ancora. Veniva gente a chiederneparentiamici: ed ella non poteva darne. Il marchese Federicoscotendo ilcaporiferì d'aver sentito dire che l'imprudente giovanottoera stato a dormire parecchie notti nelle terre della Balatanelfitto della malaria: -"Hopaura che sia di quella buona: sarebbe peggio d'una schioppettata."La principessa Graziella protestava: -"Mache! Le male nuove le porta il vento!... Se gli hanno dato il chininoa temponon c'è pericolo!"

Finoa mezzogiorno non venne nulla. Ella stessa voleva fare un dispaccioper sollecitar la risposta; macomunicata l'idea alla madrignacostei rispose che non le pareva il casoche era meglio aspettare.

Nelpomeriggio restò di nuovo sola. I tristi pensieri tornarono adassalirla. Per combatterliper discacciarlisi mise in orazione.Pregandopensò alla Beataalle lampade votive ardenti nellasua cappella. Con la veste che indossavabuttatosi soltanto unoscialle sulle spalleaccompagnata dalla camerierasi fece portarein carrozza chiusa ai Cappuccini. Sotto l'altare stava sempre lasecolare cassa mortuarial'oggetto dei suoi terrori. Ella nesostenne la vistagiunse le maniinvocò dalla santa parentela salute del poverettoe ordinò al sagrestano d'accendereuna lampada perpetua. Tornata a casanon trovò nullama unosquillo di campanello la fece trasalire: forse era il dispaccio. Erainvece un usciere municipale mandato da Consalvoil quale volevasapere le novità... Ella schiuse una finestraavendo bisognod'aria. Tornando in camera suacadde sopra una seggiolacol visonascosto tra le mani. Lo vide morto. Michele non le dava la notiziafunesta per riguardo del suo stato. E a un trattoil passato letornò tutto alla memoria: ella lo rivide come lo avevaconosciutocome lo aveva amato: udì la sua voce dolce quandole aveva domandato: -"TeresaTeresami vuoi bene?..."e con gli occhi aridicon voce strozzataella riconobbe: -"Sìl'ho ucciso io!... Per me ha mutato vita... è andato aseppellirsi laggiù... ha trovato la morte!..."

Sorsein piedi. Se qualcuno l'avesse udita?... Le creature dormivano; ellaera sola. E i dolorosii malvagi pensieri tornarono ad assalirla.Non era stata soltanto leierano stati anchee piùtuttiquegli altri! La sua madrignasuo padrela madre di luituttaquella gente duraspietatainesorabiletutti quelli che avevanoimpedito d'esser felice a lui ed a lei stessa. Perché ella nonera stata felicenomai! E le davan lode per l'amore che portava almarito! Se non l'aveva amato neppure un momento! Se le ispirava quasidisgusto! Se disprezzava la sua ignoranzala sua volgarità! El'avevano sacrificata pei loro puntiglipei loro capricciper lasuperstizione dei titoliper l'idolatria delle vane parole! Pazzi emaligni: aveva ragione Consalvo. Egli aveva ben fattoche s'eraribellato. La sciocchezza era stata tutta suanell'obbedirciecamente. Colpa sua! Anche sua! Per obbedireper rispettarepercontentare: chi? -"Gliassassini di nostra madre!..."

Congli occhi spalancatiella trattenne il respiro. Il bambino l'avevaudita?... La guardavacoi chiari occhi serenilucenti come celestispiracoli nella penombra della sera... Non corse a lui. Nellapenombraanche l'argento del Crocifissoil vetro del quadro dellaMadonna lucevano. Perché dunque Essi permettevano queste cose?Non le sapevano? Non le vedevano? Non potevano impedirle?

Laporta si schiuse: la cameriera entrò esclamando:

-"Eccellenzail telegramma!"

Ellalesse: -"Dottoriassicurano superato ultimo accesso. Riprende conoscenza. Siamo piùtranquilli."

Alloraruppe in pianto.


Ilduca tornò dopo una settimana. Suo fratello era entrato inconvalescenzama quel giorno dell'arrivo lo avevano trovatoboccheggiante: in un accesso di delirio aveva tentato di buttarsi giùdal balcone; quattro uomini a stento erano riusciti a trattenerlo. Unvero miracolo l'aveva salvato. Appena in grado di viaggiareloavrebbero riportato a casa per assicurare la guarigione colcambiamento d'aria.

Infattipochi giorni dopola duchessa madrerestata al suo capezzalescrisse chiamando il duca per aiutarla a trasportare il sofferente.Quando Teresa lo vide arrivarecurvodimagritocon la barba ispidasul viso gialloquasi non lo riconobbe. La pace era tornata adessonell'anima di lei. Aveva un istante disperato del soccorso divinoegiusto mentr'ella dubitavamentre quasi accusava il Signore d'averladimenticataun miracolo aveva salvato il poveretto. Ella viriconosceva l'intercessione della Beata: innalzava quindi al cielo lepiù fervide azioni di grazie. La lampada ardeva ora notte egiorno nella cappellala voce del prodigioso soccorso accresceva lafama della Santa.

Nessunatraccia della tempesta restò più in lei. Dinanzi alcognatodebolescarno e tremanteella non provava null'altro cheuna grande pietànon faceva altri voti che per la suaguarigione. Mentre gli prodigava tutte le sue curecome una suorapensava: -"Com'èimbruttito! Non si riconosce più!..."Egli lasciavasi curare come un bambinosenza forzasenza volontàsenza memoria. Il terribile colpo l'aveva storditola fibra sirinsanguava a poco a pocoma le facoltà della mente erano piùtarde a ripristinarsi. Le fortissime dosi di chinino gli avevanoquasi tolto l'udito; spessoegli credeva d'essere ancora ad Augustachiamava la gente che aveva intorno laggiù. La parola era rarasulle sue labbra; lo sguardo stancofissoa momenti pareva cieco.

Dopoun mesei dottori consigliarono di portarlo in montagna. Sua madrelo accompagnò alla Tardarìa. Durante la loro assenzache durò tre mesiTeresa partorì un altro maschietto.In novembreil freddo non permettendo più di stare in mezzoai boschila duchessa e il convalescente tornarono: Giovannino eraadesso guarito del tuttoi colori della salute gli fiorivano inviso; la mente però era debole ancora. La sua lieve sorditàlo rendeva inquietoirritabilenervoso. Ora smaniava per andarfuoriper veder gente; ora si chiudeva in cameraevitando tutti.Spessoad una lieve contraddizionea un'osservazione senzaimportanza della madre o del fratellosi spazientivarispondevasgarbatamente; alle volte gridava con le mani in testa: -"Voletedunque farmi impazzire?..."Solo Teresa pareva esercitare un'influenza pacificatrice sul suospirito ammalato. Come per virtù d'un senso più fineperfettoegli intendeva sempre tutto ciò che diceva Teresaquasi leggesse le sue parole negli sguardinello stesso movimentodelle labbra. Ed a poco a pocoper quel benefico influssoeglimiglioròguarìriprese le abitudini d'un temporicominciò a vestirsi con curaa prendere interesse alle coseche vedeva e udiva. Un giorno si fece radere la barba: fu una speciedi trasformazione come quelle che si vedono al teatro: ringiovanìin un momentoil bel ragazzo di un tempo riapparve.

-"Cosìva bene!"gli disse Consalvoche veniva spesso a trovarloquando le sueoccupazioni sindacali lo lasciavano libero

Egliera adesso all'apogeo della popolarità: non si sentiva parlared'altro che della sua intelligenzadella sua accortezzadel granbene che faceva al paese: il governo l'aveva nominato commendatoredella Corona d'Italia. Spessotuttavias'impegnavano discussionitra lui e Giovanninopoiché quest'ultimo osservava che colsistema di buttar via allegramente i quattrini in opere più omeno utili le finanze del comunegià floridissimecorrevanorischio di dare un crollo.

-"Chine ha ne spende!"rispondeva Consalvo. -"Aprèsmoi le déluge..."

-"Dovrannofar debitise continuerai di questo passo..."

-"Qualcunoli pagherà. Mio caroho da farmi popolare; mi servo dei mezziche trovo. Credi tu che questo gregge m'apprezzi per quel che valgo?S'ha da buttargli la polvere agli occhi!"

Teresae Giovanninonei loro discorsiparlavano sempre di luis'accordavano interamente nel giudicarlo. Quel suo disprezzo di tuttoe di tutti li addolorava: certoera un segno di forza; ma alla lunganon avrebbe potuto nuocergli? Teresaspecialmentecredeva che laforza vera fosse più modestapiù riguardosapiùtimida; il cognato consentiva nei suoi giudizi; peròscagionava Consalvoattribuiva quel che c'era di men bello in lui alsistema politico. Doleva sopra ogni cosa a lei che il fratello nonavesse una fede salda e desse ragione a tutti e si ridesse di tutto.Egli non praticava piùe ciò la crucciavainfinitamente; ma avrebbe piuttosto preferito una franca negazione aisotterfugi ch'egli poneva in opera. Per Sant'Agataalla testa dellaGiuntacon l'abito nero e le decorazioniegli assisteva alla messapontificale dinanzi a migliaia di persone stipate nella cattedrale;poi dichiarava: -"Lamascherata è finita!"

-"Perchéci vaiallora?"gli domandava la sorella. -"Èmeglio restare a casase credi che sia una mascherata."

-"Èmeglio..."confermava Giovannino.

-"Seresto a casaperdo l'appoggio dei sagrestani e dei baciapile!"

-"Mai liberi pensatori che ti vedono in chiesa"soggiungeva il cuginomentre Teresa approvava col capo -"chedicono?"

-"Diconocome me: "Costail favore popolare!...""

Nonoella non voleva che suo fratello fosse così. E sostenevacon lui discussioni vivaci durante le quali le dava della pinzocheradella clericaleper finire con una raccomandazione: -"Nonm'inimicare i tuoi Monsignori!"

Mai prelati che venivano a trovare la giovane duchessa le facevanoanch'essi molti elogi del fratello. Scrollavano un poco il capoveramentea motivo dello scetticismo di luima riconoscevano le suebuone qualità; e -"quandoil fondo è buononon bisogna disperare".La frequentazione di quegli ecclesiasticil'ascolto che prestavaloro non facevano rinunziare Teresa alle sue ideein fatto dipolitica religiosa. Devota credentema non bigottaella non potevacondannareper esempiola soppressione delle fraterieudendonarrare — adesso che era maritata — gli scandali deiBenedettini. E perché mai il Papa ostinavasi a pretendere ildominio temporalese Gesù aveva detto: -"Ilmio regno non è di questo mondo"?...Ma simili opinioniche avrebbero fatto scomunicare ogni altraeranoin lei tollerate dai suoi confidenti spiritualii quali del resto lestavano attornotiravano partito della sua pietàdell'influenza che esercitava sul fratello sindaco. Se volevano farentrare certi ragazzi all'Ospizio di beneficenza o certi vecchi aquello di mendicità o certi ammalati agli ospedali; sebisognava sostenere le Suore di carità che gli atei volevanomandar viaoppure ottenere a prezzo di favore il terreno per gliasili cattolici; se sorgevano contestazioni tra il Municipio e lacuriaTeresa serviva da intermediariaotteneva spesso da Consalvoquanto gli chiedeva. Ma gli scherzii motteggile scettichedichiarazioni del fratelloche diceva di concedere quelle cose perottenerne il ricambio a suo tempole facevano male. Una volta cheella gli rimproverò la mancanza di caratterele risposesorridendo: -"Miacaranon sai la storia di quello che vedeva una festuca negli occhialtrui e non la trave nei propri? Pensa un po' a ciò che haifatto tu stessa!"

Eranosoli. Ella chinò il capo.

-"Volevisposar Giovanninoed hai preso Michele che non volevi: èverosì o no? Ed era un atto gravissimoil più gravedi tutta la vitaquello che decide dell'esistenza... Hai fatto cosìper mancanza di caratterepotrei dirti per seguire il tuo esempio.Io dirò invece che l'hai fatto perché t'èconvenuto! Il caratteretienlo bene a menteè ciò chetorna conto..."

Ellacontinuò a tacere. Era la prima volta che il fratello leparlava di quelle cose intime. Maquasi per correggere ciòche vi poteva esser d'urtante nelle sue paroleConsalvo riprese:

-"Delrestonon te ne faccio colpa. Può darsi che sia stato meglioper te. Il povero Giovanninodopo la malattianon ha più latesta a posto..."

-"Perché?..."domandò ella. -"Comepuoi dirlo? A me non pare..."

-"Nonparrà a tepare a tutti quelli che gli parlano. Non vedicom'è sempre nelle nuvole? Guardalo quando cammina solo per lestrade: urta i passantinon vede le carrozzetal e quale come suopadre..."

-"Dicidavvero?"

-"L'altrogiornose non erano le guardie di cittàrestava sotto uncarro. Certe volte non ragionami fa ripetere due o tre volte lecose prima che capisca... Parlane a tuo maritofatelo curarestateattenti prima che succeda una disgrazia."

Ellarimase profondamente turbata. Le pareva che il cognato fosseristabilito del tutto; nulla le faceva più sospettare che losquilibrio della sua mente durasse. Oraaspettando ch'eglirincasasseprovava quasi un senso di pauracome se veramente unpazzo stesse per venirle dinanzi. Ma vedendolo rientrare serenosorridentecon un cartoccio di dolci pei bambinicon una quantitàdi notiziole per leiella fu certa che Consalvo s'ingannavaoalmeno che esagerava sicuramente.

-"Sai"gli disse la prima volta che restò sola con lui -"ituoi timori sono ingiustificati; Giovannino non ha nulla..."

Consalvoscosse il capo; ma come Teresa insisteva dimostrandogli che in casail giovane non dava alcun sospettoche con lei ragionava benissimoegli si lasciò scapparecon aria di galanteria:

-"Credoche stia bene... con te."

Aquelle parolerepentinamenteprima ancora che ne avesse consideratala significazioneuna vampa le salì al viso. Volevarisponderglidirgli che lo scherzo era sconveniente e indegnochequelle parole contenevano un sospetto ingiurioso ed infamechiedergli di spiegarle megliocostringerlo a disdirle... ma tuttequelle idee passavano ratte come lampi per la sua menteed ellarestava mutasoffocataavvampantenon udendo più nulla deidiscorsi del fratello... Quando si trovò sola provò aragionare. Che aveva voluto dire Consalvo? Era possibile chesospettasse di lei? E se anche avesse accolto un sospetto di quelgeneresarebbe venuto ad esprimerlo dinanzi a lei?... Noera unoscherzoun'allusione sconsiderata ma innocente a quel che c'erastato un tempo... Ma perché non aveva ella risposto subitodichiarando che quelle parole erano fuori di luogo? Perché erarimasta così turbataperché la sua inquietudine duravaancoraadesso che ella si prendeva la testa fra le mani e sirivolgeva tutte quelle domande?... Aveva taciuto perché erastata colta in fallo?... Suo cognatodunqueera inquieto lontano dalei e non ragionavaper causa di lei? E allora per qual virtùquando le stava dinanziera sorridente e sereno?... Ed ellachecosa aveva fatto perché ciò fosse possibile? Lo avevacuratogli aveva dimostrato il bene fraterno che gli volevas'eravalsa dell'ascendente che esercitava su lui per guarirlo... E poi?Nient'altro!... Nient'altro!... Il Signore le era testimonio!...Nullacome suo fratello!... Perché dunque le parole delfratello suo?... Forse perché c'era stato qualcosa fra loroun tempotanto tempo prima? Perché Giovannino non le erafratello di sangue?... E un dubbio atroce le passò per lamente: -"Sequello che ha detto Consalvo è ripetuto dagli altri?..."

Lostupore dominava quella tempesta di dubbidi pauredi proteste.Come maise ella era innocente non solo di atti ma anche dipensieriConsalvo aveva potuto pensare al male o solamenterammentare il passato ch'ella credeva morto e sepolto? Come mai?...Perché?... E vedendo rincasar Giovanninoudendolo discorrereseduto accanto a lei alla tavola comuneella comprese: perchévivevano adesso sotto lo stesso tettoperché erano tutto ilgiorno insiemeperché uscivano insieme in carrozzaperchéella lo ritrovava in casa del padredelle zieda per tutto doveandava... Nonon s'era accorta ancora che la loro intimitàfosse giunta a tal segnoo piuttosto non aveva compreso chequell'intimità potesse far nascere un sospetto orribile; maecco che la sua mente cominciava a rischiararsi: sìnon leera fratelloera un estraneoun uomo che ella aveva amato altravolta... Bisognava dunque che egli andasse viache se ne stesselontanocome nei primi anni del matrimoniocome prima dellamalattia... Sìandarsene via... E ad un tratto ella compreseuna cosa più terribile di tutte: che ciò eraimpossibileperché ella lo amava. All'idea di non vederlopiùal pensiero di rompere quella cara e dolce comunione dianimeella sentì lacerarsi il cuore. E poiché non piùlampi interrottima una luce cruda illuminava adesso il suopensieroella riconobbe che non lo amava soltanto per la compagniaspiritualema tuttoanima e corpocome primacome sempre...

Suomarito s'era fatto più grasso e più goffoavevaperduto gli ultimi capelli: il suo cranio lucido le faceva ribrezzo.All'idea di passar la mano sulla chioma folta e odorosa di Giovanninoella tremava... perché s'accordavano nei giudizinei gustinelle opinioni? Perché si amavano!... Perché ella solanel tempo che egli soffrivaera stata buona a sedare lo spiritoinquieto? Perché si amavano!... S'amavanovoleva dire cheerano infami! Tanto più degni d'eterna dannazionequanto piùsacri erano i vincoli che avrebbero dovuto rispettare!... Leilasanta!... la santa!...

Edalla sua mente atterrita parve che il peccato fosse commessosenzapiù scampo. Tutte le volte che Giovannino le stava vicinoella tremava come dinanzi al testimonio ed al complice della propriacolpa. Lo evitavanon lo guardava più in visosmaniavaquand'egli teneva in braccio i nipotinibaciandoli lungamenteavidamentequasi baciasse lei stessauna parte della sua carne...-"CheaveteTeresa?"le domandava egli; e l'imbarazzola freddezza di lei divenivano piùgrandipoiché non le diceva più cognatama lachiamava per nomeed ella stessa lo chiamava per nometanto la lorointimità s'era stretta. Michelela suocera cominciavano anotare anch'essi il mutato umore di lei e non sapevano a cheattribuirloo lo mettevano in conto di un malessere indefinibile dicui ella lagnavasi. Se avessero saputo!... Se avessero scoperto!...

Quandogiunse al parossismoil suo terrore si risolsecome una febbre. Chepotevano scoprire? Quali attiquali parolequali sguardid'intelligenza? Era mai accaduto nulla fra di loroun giornoun'oraun minutoche li avesse costretti ad arrossire? Dov'era lacolpafuorché nel pensiero? Ed era ella proprio sicura cheegli nutrisse come lei il pensiero peccaminoso? Che prova diretta neaveva? Quel suo spaventoal contrariola repulsione che ora glidimostravanon potevano essere gli unici indizi denunziatori? E apoco a pocosforzandosi a ragionarequetossi. Egli sarebbe andatoviail tempo avrebbe ancor una volta spento il fuoco divampante atratti nel suo cuorecome gl'incendi vulcanici...


Unimprovviso peggioramento del padre la aiutò a dimenticare. Iltumorescomparso da un pezzo nel punto dov'era passato il ferro delchirurgoriappariva nuovamente più a destraverso l'ascella.L'infermoappena accortosi della nuova formazione malignaebbe uncosì formidabile accesso di furore impotenteche lo spaventogelò le anime dei suoi. Ella accorsepassò interegiornate al capezzale del disperatosopportò pazientementetutti gli scoppi del suo livorealleviò le pene dellamadrigna. I dottorial momento opportunos'apprestavano a tagliarea bruciare; anche questa volta l'infermo urlò che non voleva.-"Voglionoammazzarmi! Non sono dottorisono macellai!.. Li pagate perammazzarmiper liberarvi di me!..."E nel deliriobuttava via a un tratto la maschera dello zelantecattolico timorato di Dioorribilisconce bestemmie gli uscivanodalle labbra. La principessa si turava le orecchieTeresa alzava gliocchi al cielo; i Monsignori però affermavano: -"Nonè lui quello che parlaè il male… Egli non sa ciòche dice..."Mascorgendo le vesti nerel'infermo gridava: -"Evoialtri corvacciche volete?... Fiutate la carne umanacorvacci?... Via di qua!... Via di qua!..."La crisi finì con un pianto dirotto. Egli promise Messe alleanime del Purgatorioceri e lampade a tutte le Madonne e a tutti iCrocifissichiese perdono ai suoiscongiurando che non loabbandonassero. Teresainginocchiata al suo capezzalelo indusse alasciarsi operare un'altra volta.

-"Fate...fate come volete... Ma non mi lasciate!... Per caritàperl'anima di tua madre! non mi lasciare..."

Ellaassisté al macello. Dapprimala vista del padre che perl'azione del cloroformiosotto la maschera di feltros'agitòrisedisse parole incomprensibilipoi si quetòimpallidìparve mortole gelò il sangue nelle vene; ma ella fece forzaa se stessa per non essere di impaccio ai dottori; e constraordinaria tensione della volontà vinse i propri nervi. Maalla vista dei ferrialle zaffate dell'acido fenico che simescolavano alle esalazioni dell'anesteticoun senso di freddo lesalì al cuoreun moto di nausea le passò per la golae a un tratto le parve che tutte le cose girassero.

-"Vadavia! Vada via!..."le diceva il chirurgo quando tornò in sensi; ma ella scosse ilcapo: aveva promessorestò.

Nonvedeva la piagama il gesto circolare che l'operatore faceva colbraccioil sangue che sprizzò sui grembiali del chirurgo edegli assistentiche macchiò il letto e il pavimentochefece più disgustoso l'odore dell'aria. Quanto sangue! Quantosangue! Se ne colmavano le catinelle; vuotatesi ricolmavano... Ellastava dall'altro lato del lettotenendo una mano del padrefreddacome quella d'un cadavere. Non poteva né pregare népensarevinta dall'orrore: una sola idea occupava il suo spirito:-"Quandofiniranno?... Non finiranno più?..."

Nonfinivano mai. Come un artefice alle prese con la materia inerte daridurre alla forma prestabilitail chirurgo tagliava ancorarecidevaraschiava; lasciava uno strumento e ne pigliava un altropoi riprendeva il primocalmofreddoattentissimo. Ed un incidenteprolungò l'attesaritardò l'operazione. Una goccia delputrido sangue cadde sulla mano scalfita dell'assistente; perchéquell'uomo non fosse avvelenato accesero il termocauterioil platinorovente fu passato sulla sua mano; s'udì il frizzo della carnebruciatal'aria divenne mefitica.

Dopoun'oratutto finì. Lavate le macchiefasciata la piagariposti gli strumenti nelle custodieil principe fu destato. Ilprimo sguardo del padrecieco ancoraancora mortoaccrebbe ilterrore di Teresa. Nondimenoella attese il ritorno della vita;disse al padresorridendoglistringendogli la mano:

-"Èfatto... tutto è andato benissimo... Non è verodottore?..."

Maad un tratto ogni forza l'abbandonò. Suo maritoentrato conla principessa e gli altri parentila portò viain una salalontana. Il dottore venne a direcon tono d'autorità:

-"Voletesì o no andarvene a casaadesso?... Andate a riposarvi: quinon c'è più nulla da fare..."

Nonebbe la forza di rientrare neppure un istante nella cameradell'infermo; volle però che Michele restasseper recarglienepiù tardi le nuove. Scese le scale barcollandoappoggiata albraccio del dottoree si lasciò cadere sul sedile dellacarrozza. E mentre i cavalli correvanoe l'aria smossa le vivificavail pettoanche lo spirito liberavasi finalmente dalla lungaoppressione. Ella pensava: -"Quantidolori! quante miserie!"Che valevano al padre le ricchezzel'impero ai quali aveva tantotenuto? Non avrebbe dato tutto per la salute?... Ed era condannato!Quell'operazione era quasi inutile: l'ascesso sarebbe riapparsoaltrove... E contro quella povera vita ròsa dal maleungiornoun momentoin cuor suo — non a paroleSignorecolsolo pensiero; ma con un pensiero egualmente colpevole — controquella povera vita ella s'era ribellata... Perché?... Come erastato possibile?... Se egli aveva tortiadesso li pagavacon unsupplizio atroce. E se aveva tortitoccava a lei giudicarlo? Eglinon aveva posto opera a farla felice: poteva giudicarlo per ciò?...E dov'era la felicità? Sarebbe ella stata felice altrimenti?Chi sa quali altri dolori! Quante miserie!... E sempre il gesto delchirurgo che incideva la viva carne le stava dinanzi agli occhi...Pensava suo padre a queste cose? Riconosceva d'essersi ingannato?...Ella non doveva giudicarlo; ma perché dunque le tornavano amente tutte le accuse che aveva udito ripeter contro di lui: che erastato durofalsoviolento; che aveva spogliato le sorelle e ifratellie falsificato il testamento del monacoe lasciato morireaccattando lo zioe amareggiato la vita e affrettato la morte dellamogliedella madre di lei?.. Erano vere queste cose? Era egli cosìtristo?... Se l'invidiala malignità lo avevano calunniatoquanto più tristo era il mondo? Che tristo e orribile mondoquello dove l'odio tra padre e figlio poteva allignare!... Egli nonvoleva veder Consalvo; il sacrifizio di lei era stato dunque inutile!Sarebbe morto senza vederlobestemmiando e piangendo... Che mondo ditristezzache mondo di miseria!... Allorarapidamentequasi icavalli che la trascinavano la trasportassero indietro nel tempoella pensò alla badìadovefanciullas'era sentitaopprimerecome ad un sicuro rifugioa un porto riparato dalletempeste. Beatasìla zia monaca che passava i suoi giornitutti egualitra le preghiere e le semplici cure della santa casafuor della vista del maleal sicuro dalle tentazionidagli errori edalle colpe. Ella pensava: -"Perchého avuto paura del monastero?... Così vi fossi entrata persempre!..."L'imaginazione dolente riconosceva adesso che la verità eralìin quel silenzioin quella solitudinein quellarinunzia. -"Vientrerei ora?"chiedeva a se stessa; e rispondeva: -"Oraall'istante!"Che era la vita se non l'aspettazione della morte? Perchéavrebbe provato repugnanza per la solitudinela rinunziailsilenzio della vita claustralese ella sentivasi solaspaventosamente solase aveva rinunziato a tante cose che le eranostate a cuorese le voci del mondo erano tristi e dolorose? -"Seio non fossi nata?..."

Unbrivido di freddo l'assalì quando la carrozza arrestossi nelcortile di casa sua. E i suoi figli? Aveva dimenticato i suoi figli?Quando li ebbe stretti al pettola lunga agitazione del suo spiritosi risolse in pianto. Ed in quel punto ella udì una voceunavoce vivadolce e pietosa:

-"Teresache avete?... Com'è andata?... Sta male?..."Non poté rispondere; il pianto la strozzava.

-"Teresa!...Per l'amor di Dionon v'angustiate così! Voi che siete tantoforte!... L'operazione non è riuscita? Sì?... Eallora?... AndiamoTeresasiate ragionevole!... Guariràvedrete... Poveretta!... Ha ragione... Ma ora basta! BastaTeresa...Sentitemi... ditemi... Michele non è venuto con voi?..."

Ellarispondeva a cenni col capo. Voleva dirgli di tacere perchéquella voce dolcequelle parole buone accrescevano la tempesta delpiantoperché quella soave pietà le rivelava lapropria miseria. Noella non era forte; era deboletimidafragile;non poteva dare aiuto agli altri; aveva ella stessa bisognod'appoggio e di soccorso.

Ela caritatevole voce diceva ancora:

-"Poveretta!Poveretta!... Fatevi animo... Sono qui i vostri figli; guardateliguardate come sono belli... Fatelo per amore di questi angiolettinon v'ammalate anche voi... E la mamma che non c'è!... Voletevostro fratello? Volete che lo mandi a chiamare?... Dite che cosavolete; son qua io..."

Edil suo braccio la cinsela sua tempia sfiorò la tempia dilei. Ella piangeva ancorama di tenerezzanon di dolore: dopol'orrore che aveva vistodopo le tristezze che aveva pensatel'anima sua aveva bisogno di confortie le confortanti parole lescendevano soavi all'anima come un balsamo. Avendo pensato d'essersola al mondodi non aver nessuno che l'intendesseabbandonavasioracon la trepida voluttà della debolezzaa quella forzaaquella simpatia. Egli le asciugava gli occhile divideva sullafronte i capelli scomposti. La sua mano tremava.

-"Così..."mormorava -"bastacosì..."

Lepassò nuovamente il braccio attorno alla vitale prese unamano. I singhiozzi che le sollevavano il seno ambasciato facevano piùstretto l'abbraccio. La baciò in fronte.

Ellasi liberò dalla stretta e levossi. La duchessa sopravveniva.


Daquel momentoentrambi lessero il pensiero della colpa nei lorosguardi. Evitavano di guardarsima il pensiero persistevacome sequalcunole stesse mute cose lo esprimessero. Se la manose l'abitodell'una sfiorava quello dell'altrole fronti arrossivanole mentisi turbavano. Ella non pensava più a suo padre che se nemorivanon ai suoi figli. Alla tentazionesoltantosempre. Andòa gettarsi dinanzi alla Beata: la lampada votiva ardeva perennementecome la fiamma che struggeva il suo cuore. Non valsero le preghiere:nessuno le udiva. Nulla valeva. Ella pensava: -"Saràoggi... sarà domani..."

Suomarito le disse una volta:

-"Giovanninom'inquieta... torna ad esser turbato come dopo la malattiahaivisto?"

Ellanon aveva visto nulla: stupivasi come non si fossero accorti ancoradello smarrimento suo proprio.

-"Nonparlanon ridepare che ricominci a tormentarlo qualchefissazione... Che possiamo fare?"

Chepotevano fare?

Ungiornoa tavolaGiovannino annunziò:

-"Partoper Augusta."

Erala salvezzaella pensava che era la salvezzamentre la duchessa eMichele esclamavano:

-"Un'altravolta? Per prendere una recidiva? In questa stagione?... Di qui nonti lasceremo partire!"

Ellapensava che era la salvezza; e come Michele le domandò:

-"Èvero che non può partire?"

-"Èun'imprudenza..."rispose.

Eglialzò lo sguardo su lei. Non si guardavano negli occhi da tantotempo. Allora ella ebbe paura: quegli occhi spalancatifiammantiterribiligli occhi del folleripetevano a lei: -"Voletedunque farmi impazzire?"

Erimase. Ma divenne un selvaggio. Ella s'accorse subito della pazziaperché era rivolta contro di lei. La evitavanon le rivolgevala parola. Quando gli presentavano i bambini li respingevaquasitoccasse lei stessa nel toccar la carne della sua carne. Unaterribile misantropia lo assalìnon andò piùfuori: un giornocostretto ad uscirenon rincasò. Tornòil domani: non si seppe dov'era stato.

Quelgiorno ella fu chiamataall'albadalla principessa. Il principeGiacomo era agli estremi; il sangue avvelenato incancreniva a poco apoco tutto il suo corpo. La mattina primacon grande stupore dituttiegli aveva mandato a chiamare Consalvo. Voleva fare un ultimotentativo per indurlo a prender moglie; la paura della iettaturacedeva dinanzi alla suprema necessità di assicurare ladiscendenza. Nella mente superstiziosaindebolita ancor piùdal maleil matrimonio del figlio era d'altronde l'unico mezzo ditogliergli quel funesto potere. Ammogliatostabilito in una casapropriapadrone d'un assegno e della dote della moglienon avrebbeavuto ragione di augurare corta vita al padre.

Consalvovenne subitos'informò premurosamente della sua salutesedette al suo capezzale. Il principe spiegò

-"T'hofatto chiamare per dirti una cosa.. È tempo che tu prendamoglie."

-"PensiVostra Eccellenza a guarire!"esclamò Consalvo. -"Poisi parlerà di questi negozi."

-"No"insisté il principe. -"Deviprender moglie ora..."Non aggiunse: -"Perchéio sto per morire..."

Consalvofrenò un moto di fastidio

-"Mache teme Vostra Eccellenza?... Che la nostra razza si spenga?... Nondubiti... prenderò moglieglielo prometto... Mi lasci peròun po' di tempo... Vuole che io ne prenda l'impegno in iscritto?"aggiunse sorridendo. -"Sonopronto!... È contenta?..."

L'infermotacque un poco; poi riprese con voce breve:

-"Voglioche tu non perda tempo... Ha da esser ora."

-"Oggisubitoall'istante?..."continuò Consalvo con lo stesso tono di scherzo.

-"Ora...o te ne pentirai!"

Eglinascose più difficilmente un moto di ribellione.

-"Masanto Dioche fretta ha mai Vostra Eccellenza... Neanche s'io fossiuna ragazza che invecchiando corresse il rischio di non trovar piùpartiti! Ho appena ventinove anni; posso aspettare ancorafare unabuona scelta. Ai tempi di Vostra Eccellenza davano moglie ai ragazzidi diciott'anni; ora le idee sono altre. Non dico che col sistemaantico riuscissero cattivi mariti e padri... macome si pensa oggicome penso iobisogna aver acquistato una larga esperienzaesserenella pienezza della vita prima di dar la vita ad altri. Forsesbaglierò; ma a prender moglie orale assicuro che fareiinfelice la mia compagna e sarei infelice io stesso. Mi pentirei seascoltassi Vostra Eccellenza. Vorrei farla contentase l'obbedienzaal suo desiderio non portasse conseguenze troppo gravi a me e adaltri..."

Finchéil figlio parlòsfoggiando la sua eloquenzail principe nondisse una parola. Quando Consalvo andò viaegli s'afferròal campanello e sonò disperatamente; e la principessalepersone accorse lo trovarono in uno stato da fare spavento. Pallidocome fosse già mortocon le mascelle contrattecon le coltristrettamente afferrate tra le mani adunche:

-"Ilnotaio! Il notaio! Il notaio!"mugolava.

Adogni parola dei familiari che gli domandavano che avessechetentavano calmarlomugolavacome un cane arrabbiato:

-"Ilnotaio!... Il notaio!... Il notaio!..."

Teresalo trovò in quello stato. Non si chetò se non primavenne il notaro. E allora diseredò il figlio. Solamentenell'impeto dell'iraper vendicarsiaveva potuto indursi a dettarele sue ultime volontà. Earrestando con rauche grida leosservazioni del vecchio notaro che non credeva alle proprie orecchiee cercava richiamarlo alla ragione e impedire quella mostruositàdettò:

-"Nominoerede universale di tutto il mio patrimoniodi tutto il miopatrimoniomia figlia Teresa Uzeda duchessa di Radalì... conl'obbligo che faccia precedere il cognome dei suoi figli dal miocasatochiamandoli Uzeda Radalì di Francalanza... e cosìper tutta la discendenzasino alla fine..."

-"Eccellenza..."

-"Scrivete!...Lascio a mia moglie Graziella principessa di Francalanza il miopalazzo avito... con l'obbligo espressoespressoscrivete:espressoche vi dimori essa solavita natural durante..."

-"Signorprincipe!..."

-"Scrivete!..."E continuò a dettare i legati alle persone di servizioaiparenti per il corrottoalle chiese per le messeai preti per leelemosine; e non una sola parolanon un accenno a quel figlio.Ordinò che i funerali fossero celebrati col decoro competenteal suo nomeche il suo corpo fosse imbalsamato; ma a mano a mano cheesprimeva queste intenzionila sua voce s'arrochivagli spiritivitali lo abbandonavano: quando finìparve al notaio chel'ultimo momento fosse giunto davvero. Ma allora l'infermo sirianimòprese il fogliolo rilesse parola per parola e lofirmò. Quando le ultime formalità furono compitequando il testamento fu chiusoquella violenta eccitazione vennemeno a un tratto. Egli aveva parlato della propria morte! Avevadettato le ultime volontà! Aveva provveduto ai funerali! Egliera iettatore di se stesso! Non gli restava più che morire!Nessuno gli cavò più una parola: immobiletetroserrògli occhiaspettando.

Ilnotaio era già corso dal duca:

-"Ilprincipino diseredato! Messo fuori di casa! Erede universale lafiglia! Il palazzo alla madrigna!... E quando mai s'è vistauna cosa simile?... La casa Francalanza è proprio finita?...Pensateci voi!... Riparate lo scandalo!... Persuadete quel pazzo!..."

Ilducain quei giorniaveva da fare: la tredicesima legislatura erastata chiusai comizi convocati per il 26 maggio. Deciso a ritirarsise lo avessero nominato senatoreegli ripresentavasi ancora unavolta perché la nomina non voleva venire. E tra la devozionedei vecchi amicitra l'indifferenza sfiduciata di quanti speravanonella promessa riforma elettorale per sbarazzarsi di luila suacandidatura non andava peggio delle altre volte: Giulentecredutosisul punto di ottenere il postotornava a battersi per lo zio.Nonostante le sue occupazioniudite le notizie portategli dalnotaioil duca accorse al palazzo; ma il principe aveva dato ordinedi non lasciar entrare anima viva. Andò allora in cerca diConsalvo. Questi era al Municipiodove presiedevanella sala dellaGiuntauna riunione d'ingegneri per una nuova opera che avevadivisata: la costruzione di grandi acquedotti destinati a dotard'acqua la città. Udendo che suo zio lo chiamavachiesepermesso agli astanti e andò a riceverlo nel suo gabinetto.

-"Nonsai che succede?"esclamò piano il ducama con aria grave ed inquieta; e gliriferì ogni cosa.

-"Ebbene?"rispose Consalvoarricciandosi i baffi.

-"Comeebbene?... Ma va' a gettarti ai suoi piedi!... Chiedigli perdono!...Arrenditi una buona volta..."

-"Io?...Perché?..."E con un sorriso ambiguosoggiunse: -"Puòtogliermi quel che mi dà la legge? No?... Faccia del resto ciòche gli pare!"

Lozio restò a guardarlointerdettonon comprendendo. Eradunque vero? Quell'Uzeda non somigliava a tutti gli altri? Quando glialtri litigavanos'azzuffavanopassavano sopra a tutti gli scrupolie a tutte le leggi pur di far quattriniquello lì restavaindifferentesorrideva udendo che era diseredato?

-"Matu non pensi a ciò che perdi!... Il palazzo lasciato a suamoglie per cacciartene via?... Non capisci questa cosa?... Non te neduole?..."

Consalvolasciò che lo zio dicesse; poi rispose:

-"VostraEccellenza ha finito?... Sappia che la legittimacioè unquarto del patrimoniomi bastaanzi mi soverchia. Quanto alpalazzo..."egli tacque un pocoperché questo veramente gli coceva: ilprincipe aveva saputo portare il colpo -"quantoal palazzocase non ne mancanoe coi quattrini se ne fanno di piùbelle della nostra... Adesso Vostra Eccellenza permetta: lacommissione m'aspetta."

Ela notizia si diffuse per la città. Ad una vocein alto e inbassoil principe fu biasimato. Antipatia e odio contro ilfigliuolosia pure; ma fino a questo punto?... L'anima a Dio e laroba a chi spetta!... Non si rammentava egli dunque che anche lavecchia principessa sua madre lo aveva odiatoma chenondimenoloaveva trattato come il prediletto?.. La cosa era solo possibile inquella gabbia di matti. Pazzo il padre e pazzo il figlio! Ma ifautori del principino esclamarono: -"Vedeteil suo disinteresse?... Per esser uomo di carattereper nontransigereperde un patrimonioe non gliene importa niente!"

Mase tuttiuniversalmentebiasimavano il principetra la servitùtra i familiaritra i lavapiatti regnava una vera costernazione. Lacasa Francalanza finita! Le ricchezze alla femmina! Il palazzo allamoglie! Era venuta dunque la fine del mondo?... E una sola personadurava fatica a nascondere la propria gioia: la duchessa Radalìmadre. La sostanza che si riuniva nelle mani del suo primogenito eradunque immensa! Il duchino non avrebbe potuto contare le proprierendite. Se Giovannino non si fosse ammogliato — e lei c'era perquesto! — la ricchezza del futuro duca avrebbe dato levertigini!... Ella quasi le provavanon comprendeva come Michelerestasse indifferente a quell'annunziocome le dicesse:

-"Mammanon penso a questo... Penso a Giovannino... Non lo vedete? Cupotaciturnocerti giorni mi fa spavento..."

Ellanon vedeva nullaera persuasa che Michele esagerasse; lasoddisfazione le si leggeva negli occhisi manifestava ad ogni attoad ogni parola. E Teresa la guardavanon comprendendo. Sola fratuttiella non sapeva del testamento del padre. Non udiva iborbottii dei parentinon comprendeva le allusioni della gente.Aveva un fuoco ardente nel pettoun chiuso fuoco che la consumava apoco a poco... Perché non lo aveva lasciato andar via? Perchénon aveva stornato la tentazione? E gli occhi di lui dicevano sempre:-"Voletedunque farmi impazzire?..."

Ellanon poteva né udire né comprendere nullasotto il pesodella tragica fatalità che sentiva aggravarsi tutt'intorno. Amomenti pregava che l'agonia del padre durasseperché soloquell'agoniaquello spavento di morte la distoglieva dal pensierococente. Che sarebbe avvenuto dopo la morte del padre?... Poivedendo l'atroce supplizio del principes'incolpava di quellapreghiera inumana...

Ilprincipe moriva a pezzo a pezzotra bestemmie e preghierescoppi difurore e di pianto. Ora aveva paura di restar soloora la vistadella gente sana lo rendeva furibondo. Nominata erede la figliarespingeva anche leipoichédovendo ereditareanche leidoveva affrettar coi voti la sua morte. Nessuno gli parlava nédel testamentoné di null'altro: bisognavaperaccontentarloche egli stesso avviasse un discorso. Piùspessola sua porta era chiusa: nessuno poteva penetrare fino a lui.

Euna notte un servo corse in casa Radalì: il principe era agliestremi. La notizia fu comunicata al barone Giovanniperchéavvertisse il fratello che dormiva con la moglie.

-"Ecome si fa?... Come si fa?..."balbettava egliin preda a una confusione straordinaria.

Andòfinalmente a chiamare la madre. La duchessa corse nella cameramaritale; all'improvvisa apparizione Teresache non dormiva piùda tanto temposentì un gran freddo serpeggiarle pel corpo.-"Miopadre?..."ecacciato un gridocadde riversa sul letto. La duchessa scosse ilduca Michele per destarlo dal sonno grevee corse a cercare uncordiale. La cameriera e la balia accorsero anch'esse.

Nellastanza attigua il barone pareva istupidito. Suo fratello lo chiamavale persone di servizio gli dicevanopassando e ripassando in fretta:-"Lapovera duchessina!... Venga anche Vostra Eccellenza..."ma egli guardava la soglia della camera nuziale con occhio fissodilatatocome se ci vedesse qualche cosa di orribile.

-"Giovannino!"gridò a un tratto il duca.

Eglientrò. Era distesa sul lettocon le braccia nudeil senonudoi capelli d'oro diffusi sul guancialele labbra dischiusegliocchi rovesciati.

-"Aiutamia sollevarla..."

Erarigida come una morta. Egli la sollevò per le ascelle. Come sele mani gli scottasserosi mise a scuoterle. Tremava. Tremavanotuttiperché la notte era glaciale.

-"Riprendei sensi"annunziò la duchessa.

Alloraegli s'allontanòandò a mettersi dietro la finestradell'altra stanza. Mezz'ora dopo uscirono tutti e tre: la suocera eil marito reggevano Teresa; Michele disse al fratello:

-"Tuva' a letto... Fa freddo... Tornerò appena potrò."

Incasa del principe c'era tutta la parentela. Consalvo stava nella SalaGialla con gli zii; al capezzale del morente c'eran solo laprincipessa e lo zio duca. Teresa andò a mettersi accanto allamadrigna.

-"Èmeglio che finisca"dicevano nella Sala Gialla -"soffretroppo..."

Consalvonon diceva nulla. Pensava impaurito a quel male terribile che ungiorno avrebbe potuto roderedistruggere il suo proprio corpo inquel momento pieno di vita. Era il sangue impoverito della vecchiarazza che facevadopo Ferdinandoun'altra vittima precocepoichésuo padre aveva appena cinquantacinque anni. Sarebbe anch'egli mortoprima del tempoprima di conseguire il trionfoucciso da quei maliterribili che ammazzavano gli Uzeda giovani ancora? Suo padre avrebbedato tutte le proprie ricchezze per vivere un announ meseungiorno di più. Che avrebbe dato egli stessoperchénelle proprie vene scorresse il sangue vivido e sano di unpopolano?... -"Niente!..."Il sangue povero e corrotto della vecchia razza lo faceva quel cheera: Consalvo Uzedaprincipino di Mirabella oggidomani principe diFrancalanza. A quello storico nomea quei titoli sonori egli sentivadi dovere il posto guadagnato nel mondola facilità con cuile vie maestre gli s'aprivano innanzi. -"Tuttosi paga!..."pensava; ma piuttosto che dare qualcosa per vivere la vita lunga eforte d'un oscuro plebeoegli avrebbe dato tutto per un solo giornodi gloria supremaa costo d'ogni male... -"Anchea costo della ragione?"Solo quest'altro oscuro pericolo che pesava su tutta la gente dellasua razza lo atterriva; ma poiconsiderando la lucidità delsuo spiritola giustezza dei suoi criteril'acutezza della suavistarassicuravasi; quei poveri di spiritoquei monomaniaci ches'eran chiamati Ferdinando ed Eugenio Uzeda avevano potuto perdere laragione: non egli era minacciato... Ed in quel momentosottol'influenza di quei pensieridi quel senso di paurasi giudicavaquasi severamente per la lunga lotta sostenuta contro il padre.L'ostinazionel'irremovibile durezza di cui aveva fatto mostra nonera un sintomo inquietantela prova che anch'egli poteva un giornosmarrirsicome quegli altri? Anche resistendo alle imposizioni delpadreanche giudicandolo come meritavanon avrebbe egli potutoconservare una certa misurarispettare le formesalvar leapparenze? Perché quello scandalo? Non poteva fargli anzitorto?... E adesso sentivasi quasi disposto a chieder perdono almorentea mutar politica...

Recitavanole preghiere degli agonizzantinella camera dell'infermo; ilprincipe rantolava. Dinanzi allo spettacolo della morteil senso dipaura agghiacciava nuovamente il cuore di Consalvo. Egli aveva pietàdel padredi tutti i suoi. Stravagantiduriprepotentimaniaci:erano forse responsabili delle loro brutte qualità? -"Tuttosi paga!..."e anch'essi pagavano il gran nomela vita fastosale piùinvidiate fortune!... Ma quel viso affilato del padrequello sguardociecoquel rantolo affannoso!... Il giovane piegava i ginocchiintuiva cose che aveva negate. Egli che s'era fatto beffe dellareligiosità della sorellaaccusandola di bigotteriacomprendeva ora che la preghiera e la fede erano per lei un rifugio.Inginocchiatacon le mani giunteimmobile come una figurasepolcraleella non vedevanon udiva. Consalvo quasi invidiaval'immancabile conforto cui ella poteva ricorrere nella tristezza...

Ilsacerdote che vegliava l'agonizzante alzò ad un tratto lebraccia al cielo. S'udì lo scoppio di pianto dellaprincipessai gemiti delle donne di servizioi sospiri dellamarchesa e di Lucrezia.

SoloTeresa non piangeva; neppure la duchessa Radalì e donnaFerdinandain verità. Tutti sfilarono dinanzi al cadaverebaciandone le mani. Le donne si lasciarono condur viatranne lafiglia e la moglie. Nella Sala Rossala duchessa ripeteva che erameglio fosse mortoquel poveretto; non era vivereil suo. Il ducacol maestro di casa e Benedetto Giulente davano disposizioni per lacircostanzamentre i servi sbarravano tutte le finestretutti iportoni. Michelefattosi vicino a Consalvogli stringeva la manomormorando: -"Coraggio!..."Egli stava per rispondere qualcosaquando udì una voce:

-"Eccellenza..."

Erail portinaio che gli faceva cenno di dovergli parlare.

-"Permetti..."disse al cuginoe avvicinossi al servocredendo gli chiedessequalche ordine.

-"Eccellenza...venga qui..."mormorava l'altrotrascinandolo nella stanza attigua con aria dimisteroche Consalvononostante la tristezza del momentogiudicavaun poco buffa. -"Eccellenza!"esclamò a un trattoquando furono solicon voce di terroreche diede un senso di raccapriccio al giovane. -"ChedisgraziaEccellenza!... Suo cugino il barone... Il cognato delladuchessa..."

-"Giovannino?"esclamò eglinon comprendendolo.

-"S'èammazzatoè morto!... Or ora; è venuto or ora ilcameriere della duchessa... L'ho lasciato abbasso... Mortocon unapistolettata... Per avvertir prima Vostra Eccellenza... Bisognamandare qualcuno..."

Unsospiro di terrore e d'ambascia sfuggì dal petto a Consalvo.Il -"figliodel pazzo"la pazziala morte violenta!... Ad un tratto si scossestrinse ilbraccio al servo:

-"Nonuna parola a nessunocapisci?... Andrò io stesso... Aspettail mio ritorno... Non dire che sono andato fuori..."

Sentivadi dover fare qualcosa. E quel sentimentola nettezza dellapercezionela rapidità della risoluzione gli procuravano unvero senso di sollievodi fiduciacome se uscendo da un sognopenoso s'accorgesse in quel punto d'esser desto e al sicuro... Allapazziaal suicidio del cugino non era estranea Teresa: egli nonsapeva in qual misurama era certo che non la sola ereditànon la sola malattia avevano sconvolto il cervello del giovane.Bisognava dunque nascondere il suicidio per Teresaper la famigliaper la gente... E appena giunto in casa dei Radalìappenaentrato nella camera dove il cadavere giaceva per terraai piedi diun divanosotto un trofeo d'armiesclamò dinanzi allaservitù costernata:

-"Ahquest'armi maledette!... Credeva che la rivoltella fosse scarica...Povero Giovannino!... Che disgrazia!..."

Nessunoosò rispondere. Prima che sopraggiungesse la giustiziaeglitolse l'arma che il morto stringeva nel pugnone cavò lecinque cartucce rimastee la ripose in mano al cadavere. E alpretoreche saputa la morte del principe Giacomogli diceva conaria dolente:

-"Signorprincipe!... Che disgrazie!... Due in una volta!... Non parecredibile!..."

-"Nonpare davvero..."confermò eglicon chiara voceinteramente rassicurato.

Quel-"signorprincipe"che il magistrato gli dava prima d'ogni altro gli rammentava che unanuova èra s'apriva per lui. La fermezza di cui aveva datoprovala prontezza con cui aveva visto quel che doveva fare lorassicuravano: egli non aveva paura di cadere nelle pazzie degliUzeda; dei suoi aveva soltanto la ricchezza e la potenza. E l'ingannoin cui trascinava la giustizia non era l'ultimo motivo del suocompiacimento; egli diceva al pretore:

-"Ilmio povero cugino era solo in casa... aveva la passione delle armi...Credette che questa rivoltella fosse scarica... Inveceguardic'erauna sola cartuccia dimenticata..."




8.


Ledue duchesse stettero un mese fra la vita e la morte. Il dolore dellamadre fu terribilepoiché ella vide nella spaventosadisgrazia la mano di Dio. Quella morte era stata permessa affinchéella scorgesse il proprio errore e misurasse la colpa commessadisamandotrascurando quel poveretto. Ella aveva quasi calcolatosulla morte di luiperché l'altro ne godesse! Non s'eraneppur ravveduta alla prima minacciaquando lo sventurato era statosull'orlo della fossa! Cosìdinanzi al cadavere sanguinosouna mano l'aveva atterrata: ricuperati i sensile sue lacrime noncessarono più; nel vedere il mutoinconsolabile doloredell'altro figliole crisi di pianto quasi la soffocavano. Quantoalla duchessa Teresatutti furon meravigliati della forzastraordinaria che dimostrò nei primi momenti. Le due disgrazieche mettevano in lutto le due famiglie colpivano lei più dituttiperché ella faceva parte di entrambe: purenelleprimissime orementre gli altri perdevano la testaella die' provad'una resistenza incredibile. Che alla notizia della morte del baronerimanesse insensibileparve quasi naturaleperché ella avevagià chiuso gli occhi al padre ed era quindi sotto il peso d'undolore più grande. Solamente Consalvo non riusciva acomprendere come la nuova sciagurache impressionava gli altri perla tragica coincidenza con la prima e più per la suaimprevedibile rapiditànon scotesse la sorellanon leprocurasse un moto di stuporequasi ella l'avesse prevista.Strappata dal letto di morte del principeella sola potéstrappare il marito e la suocera dal cadavere del giovaneella solali indusse a lasciar la casa e a ricoverarsi coi bambini daiFrancalanza. Vegliò tutta la nottesenza piangeretergendoil pianto degli altripassando dalla madrigna alla suoceradaifigli al marito. Solamente col nuovo giornoquando venne da SanMartino de' Bianchi il suono del mortorioella portò la manoal cuore e cadde.

Lapietà fu immensa. -"Soloil Signore poté darle tanta forza"dissero i prelati; -"un'altrasarebbe rimasta fulminata sul colpo!"E le donnei servigli umili: -"Pensare"esclamavano -"chein due ore ha visto i cadaveri del padre e del cognato!... Veramentec'era da impazzire!"Donna FerdinandaLucrezia e la marchesacalmissimes'alternavanoal capezzale delle tre infermeperché anche la principessadové mettersi a letto. Consalvo stava spesso accanto allasorellateneva compagnia a Michele; la seraperòfacevaportar su il registro aperto al pubblico in portineria. Eglienumerava le centinaia di firme disposte in colonna e le centinaia dibiglietti da visita ammucchiati in due grandi vassoileggeva gliarticoli necrologici terminanti tutti con: -"Lenostre più sentite condoglianze al figlio inconsolabile"i voti di simpatico dolore deliberati dal Consiglio comunaledallaCamera di commerciodai sodalizi politici. Quelle carte erano ildocumento e la misura della sua popolarità e del suo creditopoiché grandi e piccolinoti ed ignotitutta la cittàpassava sotto il portone del palazzo. Dopo il funeralecelebrato conpompa straordinariaegli cominciò a ricevere. Dalle due allesei di giornodalle otto alle undici di nottele sale eranostipate: assessoriconsiglieriimpiegatiil prefettoil generaleil questoreparentiamiciconoscenzeammiratori d'ogni generefautori di tutte le rismerappresentanti di tutti i partiti e ditutte le clientele sfilavano continuamente. Tutti insistevanoconaria adatta alla circostanzasulla doppia incredibile sciagura; eglisi diffondeva un pezzo sulla malattia del padre e sull'-"accidente"del cugino; ma poiper toglier dall'imbarazzo le personeavviava ildiscorso sopra un altro soggettochiedeva notizie degli affari agliassessori ed al prefettocommentava con gli altri i risultati delleelezioni generalila nuova riuscita dello zio duca. Quindici giornidopo le due mortitornò al Municipio: non sapeva ormai viverefuori di lìtemeva che le cose andassero a soqquadro senza diluiin mano di Giulenteil qualecome assessore anzianoavevapreso la firma.

Ingolfatodi nuovo nel mare degli affari pubbliciquando tornava al palazzoquando desinavaquando andava a lettonon pensava ad altro. Delresto nessuno lo disturbavale inferme si rimettevano lentamenteassistite dalla principessa vedovada Lucrezia felicissima di poterfare nuovamente da padrona di casadalle altre parentisenzacontare i soliti Monsignori. La duchessa suocera cominciòprima a levarsi; aveva poco più di cinquant'annie pareva unavecchia decrepita. Teresa dava maggiormente da pensare ai dottori; ilsuo male ostinatoribellecome alimentato da un veleno misteriososi prolungava esaurendo le sue forze. A poco a pocoandòmeglio anche leima il giorno che tentò di levarsi caddesenza sentimento. Poi tornò a riaversi. Consalvouna mattinaprima d'uscirepassato a chiedere alla sorella se aveva bisogno dinullala trovò con la madrignala duchessa e Michele. Appenaegli entròsi volsero tutti dalla sua partetaciturniconaria grave. Teresacon la testa sollevata da un monte di guancialisul cui candore il suo viso emaciato pareva di ceradisse con vocelenta e fiocacome stanca:

-"AscoltaConsalvo; siedi un momento... Abbiamo da parlarti."

Eglisedetteaspettando.

-"Ascolta:abbiamo parlato d'una cosa che ti riguarda... Nostro padre... tu saiche nostro padrein un momento di collera... volle... vollepreferirmi a te... Io non credo che questa potesse essere la suavolontà vera... Se il Signore non ce lo avesse toltoeglil'avrebbe certo modificata... Io ho detto a Michele ed alla mammachein coscienzanon posso accettare... quel che ho avuto in talicondizioni..."Tacque un pocopoi aggiunse: -"Ditevoi... non posso."

Unmomento di silenzio. La duchessa aveva gli occhi pieni di lacrimescrollava il capo amaramente. Consalvo disse:

-"Perchéparlare di queste coseadesso?"

Leparole della sorellaquella rinunzia all'ereditàlolasciavano del tutto indifferente. Da un pezzo erasi abituatoall'idea di non aver altro dal padre che la legittima. Piuttosto lostupiva un poco il magnanimo disinteresse di Teresache il cognato ela zia approvavano.

-"Unavolta o l'altra"diceva Michele -"bisognavapure parlarne. Io e mia madre approviamo pienamente Teresa; nonvogliamo profittare di quel testamento per portarti via il tuo...Siamo ricchi abbastanza... siamo troppo ricchi... e daremmo..."

Giròil capo per nascondere gli occhi rossi di lacrime. La duchessasinghiozzava.

-"Maperché ora?"ripeté Consalvo. -"Cisarebbe stato tempo... Ziasi calmi!... Va beneva bene; viringrazio... Voi sapete che io non ho certi pregiudizi... voglio direcheper metutti i figlimaschi o femmineprimogeniti o..."Scorgendo l'atteggiamento umilequasi supplice della vecchianonfinì la frase; disse: -"Insommase Teresa rinunzia al testamentodivideremo ogni cosa egualmente: vabene così?"

-"Sìcome vuoi..."

Teresarimasta immobilecon gli occhi chiusiparve destarsi. -"Un'altracosa"riprese. -"Lafelice memoria volle purenello stesso momento di cruccio... vollelasciare alla mamma questa casa... Non è giusto neppure chetu... L'erede del nome... Il solo del nostro nomene esca..."

Egliprovò una commozione indefinibile: era il piacere di trionfaredella volontà del padrel'orgoglio di poter restare nellacasa degli avila paura di dovere qualcosa in cambio alla madrigna.InfattiTeresa continuava:

-"Lamamma rinunzia alla casa... prenderà invece un'altraproprietà... o un compenso in denaro..."

-"Perme!..."esclamò la principessa Graziella. -"Èlo stesso! Io desidero che tutto si faccia d'accordoche la famigliasia sempre unita..."

-"Però"continuava Teresa -"nonbisogna che neppur lei esca dalla casa di suo marito... Tu le cederaiun quartierefino ai suoi mille anni... La proprietà saràtua..."

Tacqueuna seconda volta. Pareva che sul punto di morirecon l'anima giàstaccata dal mondodettasse le ultime disposizioni per assicurare lapaceil benesserela felicità di chi restava.

DonnaGraziellasotto l'influenza della generosità e deldisinteresse di cui tutti davan provaper non essere da meno deglialtriperché non si dicesse che ella sola metteva ostacoliall'accordo generaleaveva consentito al cambio; ma nulla al mondol'avrebbe indotta a sfrattar dal palazzo.

-"Ègiusto... Va bene"disse Consalvo. -"Grazie!...C'intenderemo."

Daquel giorno Teresa andò migliorando più rapidamente. Uncoro di lodiper quel che aveva fattoper la nobile rinunzia di cuiaveva preso l'iniziativa e che aveva indotto tutti gli altri adaccettaresi levò da ogni parte. Il Vescovo in persona vennea trovarlaappena ella fu in grado di riceverlo; e mentr'ella glibaciava la manopiangendole disse: -"Figliamiaho saputo. Sii benedetta ora e sempre pel bene che fai."Ella scosse il capo mormorando: -"Cheè questo!..."Poi anche a nome della suocera e del marito lo pregò didistribuire diecimila lire di elemosine. Già gli altri prelatiavevano ricevuto commissione di far dire messe pel riposo delle animedel principe e del barone.

IRadalì avevano già stabilito di lasciare il palazzoFrancalanza per andarsene alla Tardarìaappena Teresa sarebbestata in grado di sopportare il viaggio. Dal giorno funestosoloMichele aveva rimesso piede nella casa macchiata dal sangue delfratello. Mapei preparativi della partenzaera necessario che unadelle donne vi si recasse. E poiché la prova era piùdura alla madreTeresa andò lei accompagnata dal marito. Salìle scale appoggiata al suo braccio; maentrando nell'anticamerafucostretta a sederea fiutar la fialetta dei sali. Riavutasicompìquel che aveva da fare con la fermezza antica. Le stanze del mortoerano tutte chiuse.

Ildomani partirono per la montagnadove restarono tutta l'estate el'autunno.


FrattantoConsalvo stabilivasi definitivamente al palazzo paterno. Lasciatoalla principessa il quartiere di mezzogiornoegli s'era riservatoquello di galama pei soli ricevimentifissando la propriaabitazione al secondo piano. Con la madrigna non aveva quasi nulla incomune; facevano tavola separata perché desinavano a orediverseciascuno aveva le proprie persone di servizio e la propriacarrozza. Si vedevano di tanto in tanto per le necessitàdell'amministrazione. Consalvo non sapeva nulla dello stato dellacasamentre la principessa ne era a giorno; quindisel'amministratore chiedeva ordini o schiarimentiegli lasciava direalla madrigna. Non solamente si sentiva attirato dagli affaripubblici più che dai suoi proprima giudicava che non valessela pena di occuparsi di questi ultimi finché le proprietàrestavano indivise.

Ladivisione fu cominciata al ritorno dei Radalì. Le due duchesseerano interamente rimesse in salute: la suocera pareva ancora piùvecchia e la nuora era incinta. Tutti gli articoli del contrattofuron stabiliti di comune accordocon lo stesso disinteresse di cuiavevan dato prova in principio. Teresa volle che tutti i feudistorici restassero al fratellocontentandosi delle proprietàdi fresco acquistatedelle renditedei capitalidei creditidiversi. In cambioConsalvo volle che di questa differenza tuttamorale fosse tenuto conto nella valutazione delle terre. Laprincipessarinunziando al palazzoprese le tenute di Gibilfemi eil podere dell'Oleastroche valevano il doppio.

Consalvodurante le trattativeera andato quasi tutti i giorni dalla sorella.Continuò nell'abitudine presa anche dopo. In fin dei contiegli doveva esserle grato della rinunzia che aveva raddoppiatoda unquarto alla metàla sua parte. Manonostante questa speciedi doverenonostante la tristezza del luttoegli riuscivadifficilmente ad astenersi dal punzecchiar la sorella per laferventela crescente sua devozione. Adesso il Vicarioilconfessorele suore di carità parevano domiciliati in casa dilei. Le nuove chiese della Madonna della Salette e della Mercéi miracoli di Lourdes e di Valle di Pompeil'opera dei missionarierano argomento di tutti i loro discorsi. I disciolti fratiCappuccinitornati a riunirsi in barba alla leggeavevano compratouna casa con le oblazioni dei fedeli: Consalvo seppe che sua sorellaaveva contribuito a quell'acquisto. Non aveva ellaprimagiudicatoprovvida la legge che disperdeva quelle comunità? Come potevamai andare ogni venerdì a pregare nella cappella della BeataXimenadove ardeva la lampada accesa per la salute di Giovanninodella cui pazzia e del cui suicidio ella era stata in parte cagione?Sapeva ella che il giovane s'era uccisoe non era già mortod'accidente?... La sua fede ostinataresistente ai disingannierasincera o non piuttosto una forma della mania ereditaria tra i suoi?Consalvo inclinava a quest'ultima ipotesianche perché eglinon aveva fede alcuna; ma non un attonon una parola rivelavano quelche c'era nel cuore della sorella. Quando egli arrischiò lesue prime allusioni ironicheella gli disse:

-"SentiConsalvo: ognuno ha da rispondere a Dio delle proprie azioni. Ioposso soffrire del tuo scetticismoma non vengo a rimproverartelo.Così vorrei che tu rispettassi le mie credenze ese ti piacedi chiamarle cosìle mie superstizioni. Ti chiedo troppo?"

Eglichinò il capoprima di tutto perché il ragionamentoera giustoe poi anche perché le aderenze di Teresa nel mondoclericale gli potevano giovare.


Infattiil giorno tanto aspettato s'avvicinava rapidamente: la riformaelettorale era all'ordine del giorno; dopo averla votatala Camerasi sarebbe sciolta. Ed egli s'accorgeva adesso che la propriaelezione non era così sicura come gli era sembrata il primogiornoa Romadurante la sua conversazione con l'onorevoleMazzarini e poi nei princìpi della sindacatura. Perl'allargamento del voto e per lo scrutinio di listanon piùle poche centinaia di elettori dello zio potevano mandarlo allaCamera: ce ne volevano migliaia. E se egli era sicuro della cittànon sapeva che assegnamento fare sulle sezioni rurali.

Giàil vecchio ducafiutato il ventoannunziava ai suoi intimi cheavrebbe accettato un seggio al Senato: sicuro d'essere spazzato viacome una foglia seccaegli si ritirava finalmente in buon ordinefingeva di rinunziare spontaneamente per non patir l'onta d'unadisfatta. E mentre Consalvo pensava ai casi suoiinquieto per quelmutamentoper quella -"rivoluzionemorale"da lui invocata ma avvenuta un po' troppo prestoGiulente non vedevanullanon s'accorgeva di nulla. Fiutava le pedate al duca come fossel'oracolo di vent'anni addietroaspettava di raccoglierne l'ereditàgiurava ancora sulla destra e su Cavourera sicuro che i nuovielettori avrebbero dato il gambetto al governo della Riparazionerestaurando il principio moderato. E pensando mattina e sera a questecoselasciava ancora le redini della casa alla mogliela qualefinendo d'imbrogliare ogni cosaaspettava anche lei adessosenzadirne nullaanzi continuando a deriderlol'elezioneper non darglii contiperché egli potesse far quattrini come lo zioGaspare...

Consalvonon s'occupava di lui: lo disprezzava talmente checerte voltequasi gli faceva pena. Riconosciuta la necessità di prestomettersi all'operaegli affrettò una risoluzione che avevagià presa da un pezzo: rinunziare all'ufficio di sindaco. Nonsolo aveva bisogno d'essere liberoma gli conveniva evitare un gravepericolo: cheprolungando il suo soggiorno al Municipioilvantaggio ottenuto andasse perduto e si mutasse in dannoirreparabile. Infattila baracca cominciava a scricchiolare. Lespese pazze da lui fatte avevano esaurito la cassal'ultimo bilancios'era chiuso con un deficit considerevoleche egli aveva potutodissimulare a furia d'artifici; ma la situazione non era piùsostenibile; bisognava o imporre tasse o contrarre un debitoed eglinon voleva affrontare l'impopolarità di simili provvedimenti.Afferrò quindi il primo pretesto per battersela.L'amministrazione comunale discuteva ancora una volta sul modo diriscuotere i dazipoiché il sistema dell'appalto non avevafatto buona prova. Egli dichiarònelle private conversazioniche il ritorno alla riscossione diretta era per lui uno sbaglio e cheperciò bisognava correggere i difetti del sistema vigentenonabbandonarlo: in Giunta non fiatòlasciò che lamaggioranza si pronunziasse. La maggioranza deliberò di mutarsistema. La sera stessaandato a casaegli scrisse due lettere; unaal prefettocon la quale rassegnava le sue dimissioni; l'altracollettivaa tutti gli assessoriannunziando loro che -"perragioni di delicatezza"aveva già mandato la rinunzia alla prefettura.

Fucome un fulmine a ciel sereno. -"Delicatezza?..."esclamò Giulentea cui tutti gli altri chiedevanospiegazioni. -"Chedelicatezza? Io non capisco!..."E la Giunta in corpo andò a trovarlomentre la notizia sidiffondeva rapidamente per gli uffici.

-"Cispiegherai"gli disse Benedetto in nome dei colleghi -"chesignifica questa lettera?"

-"Significa"rispose il principeguardando per aria -"cheio non ho voluto esercitare nessuna costrizionee siccome il vostromodo di vedere è contrario al mioper lasciarvi liberime nevado."

-"Maa proposito di che?... Forse dei dazi?..."

-"Deidazi come di altre cose..."

Comprendendoche quella gente veniva per indurlo a ritirare le dimissionieglitagliava la via alle insistenze. Disse che da un pezzoin tantequistioniin cento piccoli affari quotidianis'era accorto che nonc'era più fra loro il buon accordo d'un tempo. Ora egli nonpoteva rinunziare alle proprie ideené imporle agli altri: ilmeglio era quindi andarsene.

-"Potevateperò dirlo prima! Non piantarci in asso! È questo ilmodo?..."

Confusamenteessi comprendevano il tiro che aveva loro giocatoil ballo in cui lilasciava; Giulente soltanto insisteva:

-"Ebbenec'è mezzo di riparare: torneremo sulle deliberazioni prese; ilConsiglio non le ha ancora esaminate; faremo come vorrai..."

-"Èinutile che insistiate"dichiarò Consalvo. -"Lamia risoluzione è irrevocabile. Persuadetevi pure che non sonofatto di ferro. Ho lavorato parecchi anni pel mio paese; ora hobisogno di riposarmi. Del restosarebbe tempo che pensassi un pocoagli affari di casa miaadesso che li ho sulle spalle... Graziedella vostra premura"gli assessori invece schiumavano; -"macredetenon posso. Nessun uomo è necessario; voi avete tantaesperienza quanto me; lascio l'amministrazione in buone mani..."

Benedettoandò dal prefettoperché s'interponesse: fiatosprecato. La Giunta si riunì in casa di Giulenteperdeliberare. Alcunivolendo evitare gl'imbarazzisostenevano chealle dimissioni del sindaco dovessero seguire quelle di tutti gliassessori; ma non sarebbe parsa una diserzione? Non avrebberodimostrato la loro incapacità e dato credito alla voce che lidiceva altrettanti burattini mossi dai fili che il sindaco tirava asuo talento?

-"Èun tradimento!"vociferavano i più accaniti. -"Unnero tradimento! Ci siamo lasciati giocare da cotesto birbante!"

-"Calmadi grazia!... Perché tradimento?... Che interesse avrebbe?..."

-"Comeche interesse?..."e allora gli cantarono sul muso: -"Manon capite?... Non capite che vuol essere deputatoe che ci piantavedendo pericolar la baraccaora che ha sfruttato la situazione?...Ora che ha altro da farecon le elezioni imminenti?"

Egliimpallidivaguardava intorno con aria smarrita secondo che la mentegli si schiariva. Sìnegli ultimi tempi aveva ben capito cheil nipote nutriva anche lui l'ambizione di esser deputato; ma erasicuro che non si sarebbe presentato subitoche gli avrebbe cedutoil passo almeno la prima voltae ad ogni modo poteva forsesospettare un tiro di quel generel'imbroglio in cui lo metteval'eredità di tassedi debitidi odii che gli lasciava tra lebraccia? Ora egli non protestava più contro le recriminazionile rampogne vivaci che i suoi colleghi lanciavano contro l'exsindaco. -"Inganno!...Tradimento!... Birbonata!... Azione degna di colpi di coltello!..."tutte queste parole echeggiavano invece nel suo pensiero; egliriconosceva che erano giustecomprendeva finalmente che quelbirbante da lui iniziato alla vita pubblica gli portava via il postotanto aspettato e gli sparava calci per tutta gratitudine. E il duca?Il duca che gli aveva tante volte promesso di lasciare a luiritirandosil'eredità politica?... Il ducadal quale eglicorsegli disse:

-"Èverot'avevo promesso il mio appoggioma in altri tempiquando nonpotevo prevedere la situazione attuale... Ora che si presentaConsalvocapisci tu stesso in che imbarazzo mi trovo."

Dunqueè vero? Anch'egli è traditorepeggio del nipote?Pensava Benedetto; maad alta voce: -"VostraEccellenza però non ignora che Consalvo è di sinistrache appartiene alla Progressistamentre Vostra Eccellenza..."

-"Pensiancora alla destra e alla sinistra?"esclamò ridendo il ducache aveva in tasca la formalepromessa d'un seggio al Senato. -"Nonvedi che i partiti vecchi sono finiti? che c'è unarivoluzione? Chi può dire che cosa uscirà dalle urne acui hanno chiamato la plebe? Un vero salto nel buio!... Se mipresentassi io stesso"per giustificarsiriconosceva finalmente la verità -"restereinella tromba!... E vuoi che gli elettori ascoltino la mia voce?L'appoggio che posso dare è puramente ideale... forse saràuna pietra al collo che affonderà il candidato."

AlloraGiulente corse da Consalvo. Era in uno stato d'esasperazioneviolenta; dinanzi al vecchio non aveva osato infrangere l'anticorispettoma sentiva il bisogno di sfogaredi dire ciò cheoccorreva a quel birbante.

-"Tuhai fatto... hai fatto ciò che hai fatto per i tuoi finiperlasciar nell'imbroglio me?... Per rovinarmi?... Per prendere il mioposto?..."

Consalvolo guardò con un ambiguo sorrisofingendo di non capire.

-"Cheavete?... Calmatevi!... Non capisco..."

-"Èvero che presenti la tua candidatura?"

-"Forsese avrò probabilità di riuscire..."

-"Enon sapevi... non sai che il posto è mio? Che da tanti anni loaspetto? Che tuo zio me l'aveva promesso?..."

-"Posto?"fece Consalvocon la stess'aria d'ingenuo stupore. -"Qualposto? Con lo scrutinio di lista non ci sarà più unposto soloce ne saranno tre."

-"Eridianche? Mi canzonianche? Dopo avermi preso il postoatradimento?"

Ilsorriso scomparve dal viso di Consalvo.

-"Vifaccio osservare che siete riscaldato e che non riflettete a quel chedite."

-"Ahnon rifletto?"

-"Quinon si tratta di posti di plateadove siede chi ha pagato ilbiglietto. Io non v'ho preso nullaper la semplicissima ragione chenulla avevate. Se credete di poter riuscirenessuno v'impedisce dipresentarvi. Se da parte mia avrò questa persuasionemipresenterò anch'io. La nostra parentela non è cosìstretta da renderci incompatibili. Non c'è nessun impegno tranoi; ognuno è libero di far quel che crede..."

-"Etu sei anche libero di piantarci in assoora che vedi il baratrospalancato?..."

-"Nonc'è baratro. C'è qualche difficoltà da superare;vuol dire che avrete l'agio di far valere la vostra abilità..."

Ilsangue montò alla testa di Benedetto.

-"Sietetutti d'una razza!"gridò improvvisamente; -"tuttebirbe matricolate..."

Consalvolo guardò un momento nel bianco degli occhi. A un tratto glisparò una risata sul musogli voltò le spalle escomparve.

Giulentenell'uscirenon rispose al saluto dei servinon udì ciòche gli veniva dicendo il maestro di casa. Credettero che fosseimpazzitovedendolo scappar viaacceso in visocol braccio levatoe il pugno chiuso. Parlava solo: -"Falsibugiarditraditori!... La rivoluzione! il salto nel buio!... Essiperò saltano in piedi!... S'è aggiustato gli affari dicasa sua!... Adesso il nipote!... Il salto nel buio!... Borbonici finnelle ossa!... Dovevano impiccarloal Sessanta!... Ed iobuffoneche li ho serviti tutt'e due!... Gli auguri a Francesco ii!... Adessoè di sinistra!... Buffone!... Sono stato sempre buffone!"Cocenteinsoffribiledestavasi a un tratto in lui la coscienzadella situazione subalterna in cui era stato tenutodel mal garbocon cui lo avevano trattato. -"Lanostra parentela non è così stretta!..."Quel bardassa gliel'aveva spiattellato in faccia! Parenti? Eranostati mai parenti per lui? Tuttitutti lo avevano guardatodall'altocome un intrusocome indegno di loro! Lo avevano dapprimasdegnato per i suoi studiquegli ignorantiper l'-"ignobile"laurea da lui ottenuta: ed erano stati i soli a favor dei quali avevadovuto esercitare la professioneper sostenere le loro magagne: lavecchiail principeRaimondo... -"Chisono dunque?... Una mala razza di predoni spagnuoliarricchiti conle ladrerie!... A me?... Io me li metto sotto i piedi!..."Invece egli li aveva serviticorteggiatipiaggiati; che altro avevafatto se non magnificare la loro presunzioneincoraggiare le loropazzieapprovare le loro birbonate? -"Buffone!buffone! Sono sempre stato buffone!..."

Arrivòa casa senza sapere da che parte c'era venuto. Strappò ilcampanelloentrò come uno spiritato. Lucreziasdraiata soprauna poltronacolle mani sulla pancialo guardò un pococuriosamentepoi disse:

-"Chehai?"

Eglile si piantò dinanzicon gli occhi fuori dell'orbite.

-"Cheho?... Che ho?... Ho che sono una massa d'infami traditori!..."

-"Chi?"

-"Chi?Tuo ziotuo nipotei tuoi parentiquella mala razzache maledettasia l'ora e il giorno..."

Ellalo guardava sempre come un oggetto strano e ridicolo. Piùstupita che sdegnatainterruppe:

-"Chediavolo dici?"

-"Chedico? Quel che ho da dire. Vorresti difenderli? O tieni loro ilsacco?"

-"Seiproprio un imbecille"esclamò ellalevandosi.

AlloraBenedetto perse il lume degli occhi. Afferratala per un bracciogridò:

-"Èvero? Hai ragione di dirlotu! Sono un imbecille."

Ele lasciò correre un ceffonetremendoche la colse nel pienodella guancia e tonò come una schioppettata. A un tratto lalasciò e andò a chiudersi in camera.

Iserviche avevano visto entrare il padrone a quel modo inusitatoerano rimasti in ascolto: nessuno di loro fiatava. La camerierafinita la scenasogguardava tratto tratto dall'uscio rimasto apertoper vedere che faceva la signora. Costei era immobiledietro lafinestracon la guancia gonfia ed infocata. Dopo un'orarestavasempre nella stessa posizione. Subitamente si mise a passeggiareguardando per aria come per acchiappar moscheguardando per terracome cercando un oggetto smarritoarrestandosi di botto in mezzoalla camera quasi colta subitamente da un'ideariprendendo poi lacorsa quasi inseguendo qualcuno. Ai servi che le chiedevano ordinirispondeva brevementema non in collera. La guancia le si sgonfiavae sbiancava a poco a poco; tratto tratto ella vi portava la mano.

-"Eccellenza"vennero a domandarle -"èora d'apparecchiare?"

-"Aspettate"rispose; e andò a picchiare alla camera del marito.

Benedettoera buttato sul lettocoi panni sbottonatila testa ancora infiamme. Vedendo entrare la moglienon disse nulla. Lucrezia gli sifece vicino.

-"Cometi senti?"gli domandò.

-"Bene"rispose Giulentesenza guardarla.

-"Vuoidesinare?"

-"Cometi piace."

-"Ocredi che sia presto?"

-"Comecredi."

-"Alloraposso ordinare?"

Eglifece col capo un gesto d'indifferenza. Lucrezia dette ordine cheallestissero. Poi tornò nella camera del marito.

-"Perchéresti a letto? Hai nulla?"

-"Nonulla."

Benedettos'alzò per andare a buttarsi sopra una poltrona. Era pentitodell'atto brutalema non esprimeva il suo pentimento. Ruminavacontinuamente il suo rancoreconsiderava i partiti che gli sipresentavanonon sapeva a quale appigliarsi.

-"Cheavete deciso al Municipio?"domandò ancora Lucrezia.

-"Nonso niente!..."proruppe egli. -"Nonvoglio sentir parlare più di nulla!... Vadano tutti aldiavolo!... Se qualcuno dei tuoi mi viene innanzilo mando ruzzoloniper le scale."

-"Hairagione"rispose sua moglie.

Dietrol'uscioil giorno innanziaveva compresodai discorsi degliassessoriil tiro giocato da Consalvo a suo marito; aveva capito cheBenedetto non poteva essere deputato. Nel primo momento era rinata inlei l'avversione pel nipoteper quegli Uzeda che pareva avesserogiurato di schiacciarla e pretendevano accaparrare tutto per loro. Manon sapeva ancora con chi prendersela. Era proprio colpa di Consalvoo non piuttosto di quella bestia di Benedetto? Ciò che avevanodetto gli assessori era vero? il duca non avrebbe riparato?... Nél'aspetto sconvolto di Giulente quand'era rincasatoné leviolente parole contro Consalvo e il duca l'avevano persuasa; forseegli avrebbe parlato un giorno intero senza riuscire a nulla. Ilceffone la convertì. Quasi che il suo torbido cervello avessebisogno d'una scossa materiale per funzionare regolarmenteelladisse subito tra sé: -"Haragione!"Durante le due ore passate in cameraa guardar la via senza vederea passeggiare come una bertuccia in gabbiaaveva ripetutomentalmente: -"Haragione!... È Consalvo!... È lo zio!... Mi voglionoschiacciare!... Chi sa che cosa credono!... D'esser padroni propriodi tutto?..."E oramentre Benedetto si sfogavaella ripeteva: -"Hairagione! Hai ragione!..."Durante il desinare tacquero entrambi. Giulente assaggiava appena levivande e lasciava la posata nel piatto. -"Tisenti male?...Desideri qualcosa?... Vuoi andare a letto?..."Ella gli prodigava ogni sorta d'attenzionilasciava di mangiarequando il marito non mangiava più. A un puntoBenedetto sialzò. Si sentiva realmente maletutto sossoprae andòa letto. Ella l'aiutò a spogliarsigli sprimacciò iguancialigli preparò il caffè.

-"Vuoirestar solo? Vuoi riposare?"

-"Sì."

Ellase n'andò. Aveva appena chiuso l'uscio che lo riaprì.

-"Nont'angustiare"tornò a dire al marito. -"Deputatinon se n'ha da fare uno solo. Ti presenterai anche tu. Vedremo chi èpiù forteo lui o noi!"




9.


Lasituazione del collegio era questa: smantellata la roccaaffaristico-conservatriceche per vent'anni aveva sostenuto il duca d'Oraguasbaragliatal'Associazione Costituzionalein dissoluzione la stessaProgressistafloride e battagliere le società operaie chetrovavano finalmentenel votol'arma con la quale poter scendere inlizza. Mentretra la classe borghesegli antichi moderatigliammiratori di Lanza e di Sella erano costretti a nascondersilenuove falangi di elettori parlavano di più grandi libertàdi più radicali riformedi repubblica e di socialismo. Maqueste parolespaventando i progressisti timoratipotevanospingerli tra le file dei conservatoridar nuova vita alboccheggiante moderatismo. Il posto più vantaggioso era dunquetra i progressisti e i radicali. Consalvo di Francalanza lo preseimmediatamente. La sua iscrizione al partito di sinistrala suarottura con lo zio dopo la -"rivoluzioneparlamentare"del 1876legittimavano il programma ultra-liberaleche egli veniva annunziando.

Appenaandato via dal Municipioaveva cominciato il lavorìo fuoricittànelle sezioni rurali. Popolani e contadini sisvegliavano laggiù alla politica; c'erano societàoperaiecircoli agricolicasini democratici ordinati edisciplinaticoi quali bisognava venire a patti. I nobiliiborghesii facoltosi furono conquistati subito. Accompagnato daamici e ammiratori spontaneamente offertisiegli cominciò ilgiro del collegio. Il sindacoil signore più riccoo lapersona più influente dava un pranzo o un ricevimento in suoonoreinvitando gli altri maggiorenti. Non si parlava delleelezionima il principeaffabile con tuttis'informava dei bisognidel paeseascoltava i reclami di tuttiprendeva note sopra untaccuinoe lasciava la gente ammaliata dai suoi modi cortesisbalordita dalla sua eloquenza e soddisfatta come se egli avessescritto il decreto per la costruzione della ferroviaper lariparazione delle stradeper il traslocamento del pretore. Madopoil banchetto o la refezionedopo la visita ai capocciaConsalvoandava alla sede delle società popolari. Lìin quellepiccole stanze con mobili sospettiaffollate da povera gente dallemani callosecominciava il suo tormento. Egli stringeva quelle manisenza guanti; si mescolava a quegli umilisedeva tra loroaccettavai rinfreschi che gli offrivanoe non un moto dei suoi muscolirivelava lo spasimo che quelle vicinanze e quei contatti gli facevanosoffrire. Istruito in precedenzateneva lunghi discorsi sui bisognidel paesesulla crisi dei vini o degli agrumisulla gravezza delleimpostee prometteva leggi intese a proteggere l'agricolturaassicurava lenimenti di tassepremiagevolezze di ogni genere. Lasua teoria era quella del progresso -"delprogresso che mai non s'arresta..."mase vedeva pender dalle pareti i ritratti di Garibaldi e diMazziniinsisteva sull'urgenza di -"piùampie libertà richieste dallo spirito dei tempi";se vedeva quelli della famiglia realericonosceva la necessitàdi andare -"coicalzari di piombo".Quasi sempre egli trovava qualcuno che gli faceva da guidamatalvolta non c'era nessuno che potesse presentarlo nei circoli piùintransigenti: allora egli si presentava da séchiedeva del-"signorpresidente"annunziava che trovandosi di passaggio aveva desiderio di visitare-"questosodalizio tanto benemerito del paese".

Quasida per tutto si guadagnava simpatie e accaparrava voti. Il solo fattoche don Consalvo Uzeda principe di Francalanza faceva loro unavisitadisponeva quegli umili in favor suo. Le strette di manoidiscorsi famigliarile grandi frasi e le promesse convertivano i piùrestii. Molti però recalcitravano; egli otteneva tuttavial'effetto di metter la scissura dove prima era l'accordo. Una dozzinadi società lo elesseroseduta stantepresidente onorario;egli ringraziò per -"l'insigneonore di cui sarei indegno se non avessi da far valere l'immensoaffetto per gli operaii cui miglioramentiil cui benesserela cuifelicità sono stati e saranno sempre lo scopo della mia vita".Dopo i discorsi ufficiali egli soggiungeva: -"Quandoavrete bisogno di mequando verrete in cittàrammentateviche la mia casa è la vostra..."

Eancora non si parlava dell'elezione. Esaurito quel primo punto delsuo programmaegli passò al secondocioè all'accordocon gli altri candidati. Per tre seggic'era una dozzinad'aspiranti; ma tolte le pretensioni ridicolecome quella diGiulenterestavanooltre alla suaquattro candidature serie:l'avvocato Vazzache aveva un'estesissima clientela e si presentavacon programma -"liberale"senza indicazione di partito parlamentare; il professor Lisigiàpresidente della Progressistae perciò con idee di sinistra;Giardona e Marcenòradicali. Consalvo si mise in relazionecol primo di questi dueche era il più temperatoperun'azione comune. Dal radicalismo annacquato di costui al liberalismoavanzato suo proprio c'era tanta distanza da non potersi intendere?Nondimenoi fautori di Giardona vollero dichiarazioni esplicite:egli s'impegnò a dare il suo voto a tutte le riforme chiestedal partito e sopra tutte alle riforme sociali. Andò a dire inmezzo a loro: -"Iosono socialista. Dopo che ho studiato Proudhonmi sono convinto chela proprietà è un furto. Se i miei antenati nonavessero rubatoio dovrei guadagnarmi la vita col sudore dellafronte."Tuttavia quelle dichiarazioni non soddisfacevano interamente. Iradicali più avanzati che sostenevano Marcenò gli sivoltarono contro. Venne poi fuori un giornalettoLa limachelo prese di mirachiamandolo il -"nobileprincipeil sire di Francalanza"alludendo ai suoi parenti borboniciaffermando che un aristocraticosuo paridiscendente dai Vicerénon poteva esser sinceroquando sfoggiava tanta fede democratica. Allora anch'egli fecepubblicare un foglioIl nuovo elettore. Tutti i numeridalprincipio alla fineerano pieni di luidelle sue gesta alMunicipiodei suoi titoli alla gratitudine del paese. I giornaliquotidiani anch'essi avevano articoli esaltanti -"ilgiovane patrizio democratico a fattinon a parole".

Strettoil patto con Giardonarestava da scegliere tra il Lisi e il Vazzaper formare la triade. Egli voleva mettersi con quest'ultimoperchéera il più forte; ma Giardona minacciò di mandare tuttoa monteperché il Vazzaproclamandosi ambiguamente -"liberale"era il più moderato di tutti e ben visto perfino dalla Curia.Invecel'alleanza con Lisiche s'avvicinava più alle loroideeera la sola naturale. Egli riconobbe questa convenienza. Fustabilito l'accordoma ciascuno si mise all'opera per proprio conto.

Lalegge della riforma era ancora dinanzi al Senato che già ognisera riunivasi gente in casa del principe: nobili parentiimpiegaticomunalimaestri elementariavvocatisensaliappaltatori: unveglione. Il quartiere di gala era aperto al pubblico; egli nonrelegava gli elettori nelle stanzette buie dell'amministrazionecomeaveva fatto suo zio; spalancava le nobili Sale Gialla e RossailSalone degli specchila Galleria dei ritratti. Tutti erano animatidal più vivo entusiasmo; la gente minuta che veniva la primavolta al palazzoche sedeva sulle poltrone di raso sotto gli sguardiimmobili dei Vicerési sarebbe fatta tagliare a pezzi perquel candidato che prometteva mari e montiil bene generale e quelloparticolare d'ogni singolo votante. Un perito agrimensore compose unopuscolo intitolato: Consalvo Uzeda principe di Francalanzabrevicenni biograficie glielo presentò. Egli lo fece stamparea migliaia di copie e diffondere per tutto il collegio. Il ridicolodi quella pubblicazionela goffaggine degli elogi di cui era pienanon gli davano ombrasicuro com'era che per un elettore che neavrebbe risocento avrebbero creduto a tutto come ad articoli difede. Un infinito disprezzo di quel gregge lo animavae un rancoreviolento contro chi tentava sbarrargli la via. Perchéinfatticome l'agitazione crescevagli attacchi della Limadivenivano più acrie una quantità di foglifogliettie bollettini elettoralisorti per sostenere questa o quellacandidaturao per speculare sulla curiosità che induceva lagente a buttar via i soldini in carta sporcalo aggredivano mattinae seragliene dicevano di cotte e di crude. Dinanzi alle persone neridevadentro s'arrovellava: potendoavrebbe messo il bavaglio aquei libellistili avrebbe banditiimprigionati. Ma l'accusa chepiù lo ferivache lo faceva veramente sanguinareera quellache cominciavano a lanciare: -"Elettoriil candidato che noi vi presentiamo non ha feudi né blasoninon oro da corrompere le coscienze; ma voicittadinidimostrereteche la vostra coscienza è un tesoro troppo grande perchéun pugno di monete possa comprarla."Era una menzognagiacché egli non spendeva altri quattrini senon quelli della stampadella postadelle carrozze; ma potevatrovar credito più delle altreed egli voleva esser elettoper l'attitudine alla vita pubblica di cui aveva dato provaper lacultura che s'era affannato ad acquistare. Poirammentando l'impegnopreso con se stesso di restar calmodi lasciar direscrollava lespalledominava gli impeti di sdegnoi moti di cruccio; diceva:-"Mieleggano pel blasone e pei feudiche m'importa? Purché mieleggano!"E agli intimi che s'arrabbiavano per lui vedendolo aggredito a quelmodo:

-"Hannoragione!"rispondevasorridendo. -"ilmio più grande titolo all'elezione è quello diprincipe!"

Ciòche egli esprimeva con la facezia era la verità. -"Principedi Francalanza":queste parole erano il passaportoil talismano che operava ilmiracolo di aprirgli tutte le vie. Egli sapeva che le dichiarazionidi democrazia non gli potevano nuocere presso gli elettori della suacastapoiché costoro non lo credevano sincero ed erano sicuridi averloal momento buonodalla loro; dall'altro canto sentiva chele accuse di aristocrazia non lo pregiudicavano molto presso la granmaggioranza di un popolo educato da secoli al rispetto edall'ammirazione dei signoriquasi orgoglioso del loro fasto e dellaloro potenza. Per luiil buon popolo che si lasciava taglieggiaredai Viceré era stato pervertito da false dottrineda sciocchelusinghe: egli era sicuro che prendendo a quattr'occhi uno di quelliche più vociavano -"libertàed eguaglianza"e dicendogli: -"Sefoste al mio postogridereste così?"il fiero repubblicano sarebbe rimasto in un bell'impiccio. Laquistionedicevano alcuniera che questi posti eminentiquestesituazioni privilegiate non dovevano più esistere: ma alloraConsalvo sorrideva di pietà. Quasichéammessa pure lapossibilità d'abolire con un tratto di penna tutte ledisuguaglianze socialiesse non si sarebbero di nuovo formate ildomaniessendo gli uomini naturalmente diversie il furbo dovendosemprein ogni temposotto qualunque regimemettere in mezzo ilsemplicee l'audace prevenire il timidoe il forte soggiogare ildebole! Nondimeno piegavasiconcedeva tuttoa paroleallo spiritodei nuovi tempi. I giornaletti arrabbiati lo mordevano tenacementecon l'accusa di muffosità -"spagnolesca"di orgoglio -"organico";egli diceva agli elettori che gli davano del -"signorprincipe"a tutto spiano: -"Ionon mi chiamo signor principemi chiamo Consalvo Uzeda..."Metteva adesso una specie di zelo nello spogliarsi di tutto ciòche poteva offendere il sentimento dell'uguaglianza umananonparlava più dei -"mieiviaggi"e dei -"mieifeudi"pareva volersi scusare del suo titolo e delle sue ricchezzequasivergognoso del grande stemma infisso sull'arco del portonedellarastrelliera del vestibolodei ritratti degli avid'altrettantemacchied'altrettanti attestati d'indegnità. Ma egli facevacosì a tempo e luogodinanzi ai radicali sinceriairepubblicani puri; la più gran parte del tempo sapeva d'avereintorno persone che chiamandolo -"principe"mostrandosi in sua compagniacredevano di partecipare in qualchemodo al suo lustro.

Lavoravacome un cane a far visitea scriver letterea dirigere i suoigaloppinia presiedere le adunanze del comitato. La notte stentava aprender sonnocon la mano scottata dal contatto di tante manisudicesudateruvideincalliteinfette; con la mente infiammatadall'ansietà della riuscita. Sarebbe riuscito? A momenti neaveva l'intima e salda certezza; il governo era per lui; Mazzariniarrivato al potereministro dei lavori pubblicigli avevatrascritto da Roma tutte le lettere con le quali lo raccomandava alprefetto. Ma non si contentava di riuscirevoleva stravincereessere il primo degli elettiassicurarsi stabilmente il collegio conuna votazione unanimeplebiscitaria. L'accordo col Giardona gligiovava certamentema quello col Lisi era stato forse un errore. Lasituazione di Vazza era invece fortissimamolti assicuravano chesarebbe riuscito il primo: raccoglieva adesioni dovunque e iclericali specialmentesenza sostenerne in pubblico la causalavoravano per luisott'acquama con efficacia grandissima. Erastato un vero sbaglio rinunziare a quest'alleanza e preferir Lisi;per tentar di riparareper giovarsi del lavorìo dellesacrestieegli pensò di rivolgersi alla sorella. Non lavedeva da un pezzoma sapeva che la sua vita severaaustera quasila rinunzia totaledopo i luttialle occupazioni ed ai piacerimondanil'edificante pietà l'avevano messa ancora piùin grazia dei Monsignori. Andò dunque da lei. Sul puntod'entrare nel suo salotto udì una voce squillante che diceva:

-"L'hocantato a tuttinon mi stancherò di ripeterlo! Cada Sansonecon tutti i filistei!"

Erala zia Lucrezia. Egli si fermò ad ascoltare.

-"VostraEccellenza mi perdoni"rispondeva dolcemente Teresa -"maparlare così contro suo nipote..."

-"Mionipote?... Che nipote?..."vociferava l'altra. -"Alui dunque fu permesso trattare così mio marito? Pan perfocacciadice il proverbio! Benedetto non risulteràmaneppur lui: la vedremo! Piuttosto mi meraviglio di quella bestia diMonsignore..."

-"Zia!"

-"Diquel bestione di Monsignoreche non vuole appoggiare mio marito.Invece di fare il giuoco di Vazzadovrebbe sostener Benedettoche èstato sempre moderato e perciò più vicino ai clericali!E mi meraviglio più di teche non vuoi spendere una parolaper tuo zio!... Ma gli parlerò io! Ho linguae posso parlarda me! Se tutti abbandonano Benedettoci sono qua io! Io nonl'abbandonerò! Ho lui solo al mondo!... Capisci che gli hannoprocurato una malattia di fegato? Tirano a ucciderlocotestiassassini! Ma riderà bene chi riderà l'ultimo!"

Contenendole risaConsalvo entrò. Appena lo videLucrezia levossi.

-"Tisalutoho da fare"disse alla nipote; e senza guardarloquasi non l'avesse scortomacalcando la voce e passandogli dinanzi gonfia e impettitaripeté:-"Rideràbene chi riderà l'ultimo!"

Consalvosi mise a ridere.

-"Quellapazza l'ha con me!... Che diavolo pretendeva? Che le hanno fatto?"

-"Poverettanon ne dir male"rispose Teresa con pietosa indulgenza.

-"Ègià una fortuna che tu non le dia ragione! Voleva che peibegli occhi di suo marito io rinunziassi all'avvenire? E adessotutt'a un trattoarde d'affetto per cotesto marito primavilipeso?..."Teresa non rispose; fece solo un gesto di grande compatimento. -"Eche voleva da te? Ti parlava dell'elezione?"

-"Sì."

-"Volevail tuo votoah! ah!"

-"Nocredeva che io potessi giovarle."

-"Eche le hai risposto?"

-"Chenon posso nulla."

-"Eper me?"soggiunse rapidamente Consalvo.

-"Pernessunofratello mio!... Io non mi occupo di queste cose."

-"Mai tuoi Monsignori?"esclamò egli sorridendo.

-"Néio né essi parliamo di queste cose."

-"Diche parlate alloraspiegami un po'?"

Altono leggermente canzonatorio di Consalvola duchessa chiuse gliocchi un momentoquasi ad attinger forza per affrontare lecontraddizioniquasi a pregare pel miscredente.

-"Parliamoin questi giornid'un gran miracolo che il Signore ha permesso. Nonhai sentito discorrere della Serva di Dio?"

Eglisapeva qualcosacosì in ariad'un preteso prodigioavveratosi in persona d'una contadina di Belpasso; ma Teresasenzaaspettare la sua risposta:

-"Èun'umile contadinella"proseguì -"chevive in una casupolacol padre e la madrenelle campagne diBelpasso. È stata sempre religiosissimama da qualche temposi manifestano in lei i segni della Grazia. Tutti i venerdìdopo esser rimasta tre ore in ginocchiole appariscono sul corpo lestimmate di Nostro Signore; ella esala un odore d'incenso soavissimoe dalle sue labbra..."

-"Questili chiami segni della Grazia? Sono fenomeni isterici!"

Teresatacque un pococon la stessa espressione dell'indulgenza ches'accorda ai poveri ignoranti. -"Sefossero fenomeni istericii dottori l'avrebbero curata. Invecenessuno di quanti l'hanno vista ha saputo spiegare questemanifestazioni; tutti i loro pretesi rimedi sono rimasti inefficaci."

-"Vuoldire che hanno chiamato dottori asini..."

-"Noi più riputati!... Sulla fronte le appare una macchia rossa informa di crocesul costato la figura del giglio..."A voce più bassa aggiunse: -"Monsignoreandrà a visitarla."

-"Vedràanche il costato?"

Ellasi trasse indietroi suoi sguardi espressero uno sdegnato biasimo.

-"Consalvo!Sai che mi duole udirti parlare così..."

-"Andiamo!Non si può scherzare?... Ma tu credi sul serio?..."

-"Credo"rispose brevemente.

Eglila considerò un poco. Voleva dire: -"Achi la dài a intendere?... Sei ammattita come tutti inostri?..."Ma non era venuto per questo.

-"Delleelezionidunquenon parlate?"

-"No.Sono quistioni che io non capisco; e poila Chiesa non partecipa aqueste lotte."

-"Néeletti né elettorieh? Eppure i tuoi Padri spirituali sidànno un gran da fare per un certo avvocato..."

-"IlSanto Padre ha ordinato che i cattolici non vadano alle urne comepartito..."

-"Ah!...Dunque sai che c'è distinzione fra partito ordinato ecittadini spiccioli?"

-"Nonè difficile intenderlo."

-"Vabeneva bene!... E come singoli cittadinii cattolici che fanno?"

-"Appoggianotalvoltachi più s'accosta a loro."

-"Cioè?"

-"Chicrede."

Ledue parole significavano: -"Tunon sei fra questi; ecco perché io non posso fare nulla perte."Ma Consalvoche faceva l'ingenuoreplicò:

-"Chicrede a che cosa?"

-"Primadi tutto agli eterni princìpi di verità."

-"Epoi?"

-"Altrionfo della Chiesa!"

-"Anchetu?..."cominciò Consalvosul punto di protestaredi dire il fattosuo a quell'altra sciocca. Ma si contenne ancora una volta. Chegl'importava di quelle sciocchezze? L'importante era sapere sebisognava assolutamente rinunziare all'intromissione di lei. -"Ahva benissimo!..."ripresecon tono diverso. -"Iltrionfo della Chiesa!... Ma su chi deve trionfaresentiamo?"

-"Soprai suoi nemici e i suoi persecutori."

-"Chisono? Dove sono? In Italia? In Francia? Sentiamo un po': che bisognafare? Restituire Roma al Papaeh? Dargli tutta l'Italiatutto ilmondo? Sentiamospieghiamoci una buona voltaper saperci regolareper vedere fino a qual punto potremo intenderci..."

Elladisseseriamente:

-"Èinutile che tu la prenda su questo tono. Presto o tardi il dirittolegittimo trionferà."

-"Come?Quando? Dove?"

Ellaalzò il capo e socchiuse gli occhiquasi ispirandosi.

-"Nascerà"disse -"ungran monarcadalla diretta progenitura di San Luigi di Franciae sichiamerà Carlo. Egli farà dell'Europa sette regnierimetterà il Santo Padre sulla cattedra di Pietro..."

Questavolta Consalvo non riuscì a frenare le risa.

-"Ah!Ah! Ah!... S'ha da chiamare proprio Carlo? E perché nonFilippoIgnazioEpaminonda?... Ma dove diavolo peschi similifandonie?"

-"Chet'importase sono fandonie?... Mi duole che tu ne rida... Ti hodetto mille volte che ciascuno ha le proprie convinzioni..."

-"Sì!Sì!... Ma donde t'è venuta questa qui? Dove hai saputoche accadranno tutte queste belle cose?"

Ellastese il braccio verso una scansietta piena di libri e vi prese unvolumetto legato con pelle nera e dorato sui tagli. Consalvo lessesul frontespizio: L'Europa liberata ovvero Trionfo dellaChiesa di G.C. su tutte le usurpazioni e tutte le eresie. Eco deiProfeti e dei SS. Padri... A un tratto volse il capoudendo ilcameriere che annunziava dalla sogliascostando la tenda:

-"PadreGentileEccellenza."

Entròun prete altoasciuttocon forti occhiali sul naso adunco come unrostro.

-"Ilprincipe di Francalanzamio fratello"presentò Teresa. -"PadreAntonio Gentile..."

Ilprete inchinossi profondamente. Consalvo lo squadrava da capo apiedi. Un altroadesso! Quella casa diventava una sacrestia!

-"IlPadre"aggiunse Teresarivolta al fratello -"hala bontà di dirigere l'educazione dei miei bambini..."

-"Iosono ben lieto"rispose l'ecclesiastico -"dipoter servire la signora duchessa..."

-"Nonè siciliano?"gli domandò Consalvoper dire qualcosaperché nonparesse che andava via subitoma impaziente di svignarsela poichés'accorgeva d'aver già perduto troppo tempo.

-"Signornosono romano"rispose il Padre.

-"Èda un pezzo fra noi?"

-"Daqualche mese appena."

-"Tantopiacere..."fece il principealzandosi.

Ilprete s'alzò e s'inchinò una seconda volta. Teresa glichiese permesso e accompagnò il fratello.

-"Dunque?"insisté Consalvo. -"Chebisogna fare per ottenere l'appoggio della signora duchessa?"

-"Maio non valgo a nulla!..."protestò Teresacon un discreto sorriso.

-"Bisognagiurare fedeltà a Carloal Gran Monarca?... Non c'èaltro scampo?... Ma se ancora ha da venire?... Bastaarrivederci!...E quest'altrodove l'hai pescato? Chi è?..."

-"Unodei Padri più colti della Compagnia di Gesù!..."


-"Tempoperduto! Tempo perduto!..."Non c'era da cavar nulla da quegli Uzeda! I miglioriquelli cheparevano i più saggia un tratto si rivelavano pazzicomegli altri. Questa quiadessosi chiamava in casa i Gesuiticredevaalle balorde profezieai pretesi miracolidiventava cieco strumentoin mano dei preti! Dov'era la fanciulla d'una voltagraziosagentilepoeticapietosa ma non bigottacredente ma non accecata?Anche al fisicoaveva perduta l'eleganza del portamentoingrassavaera irriconoscibile. La pazzia soggiogava anche leiprendeva laforma religiosadiventava misticismo isterico! Tutti a un modotutti!... Egli solo si stimava savioforteprudenteimmune dalvizio ereditariopadrone e giudice di se stesso e degli altri... Eapparso sulla Gazzetta ufficiale il decreto che chiudeva lasessioneegli si buttò a capo fitto nella lotta.

Giornoe notte la sua casa trasformata in una piazzain un pubblicomercatodove i delegati discesi dalle sezioni rurali e gli elettoricittadini andavano e venivanodiscutendocontrattandogridandocol cappello in testacon le mazze in mano. Più gente venivapiù egli ne invitava: i galoppiniper suo ordinerimorchiavano lassùadescati dal marsala e dai sigaridallacuriosità di entrare nel palazzo dei Vicerégonfidell'importanza a cui erano assunti d'un trattoindividui di tuttele classibottegaiscrivaniuscieritrattoribarbierigente piùumile ancoraserviguatteritutte le infime persone che per avermesso una firma dinanzi al notaro tenevano nelle loro mani unafrazione della sovranità. Egli stringeva tutte quelle maniaccoglieva tutta quella gente con un -"graziedell'adesione!"dava del lei sopra e sotto; essi andavano via incantatiaccesid'entusiasmoprotestando: -"Elo dicevano superbo! Un signore tanto alla mano!..."

Unaserafacendo il giro delle saleConsalvo vide una faccia nuovacherassomigliava tuttavia... a chi?... A Baldassarreil suo anticomaestro di casa! Ma i favoriti erano scomparsie invece sulle labbragià sbarbate dell'ex servitore cresceva un grosso paio dimustacchi tinti come stivali.

-"Graziedell'adesione"gli disse Consalvostringendogli la mano.

-"Niente!...Dovere!..."balbettò Baldassarre.

Uscitodalla casa del principeil maggiordomo s'era buttato alla politicaaveva abbracciato la fede democraticapresiedeva ora una societàoperaia di mutuo soccorso. Giacché il principino —Baldassarre adoperava ancora il diminutivo per designare l'anticopadroncino — si presentava con programma democraticoegli avevaindotto i consoci ad appoggiarlo; così rientrava nel palazzolasciato da servo con l'importanza di uno che portava un bel gruzzolodi voti. Seduto sopra una di quelle poltrone di raso che prima avevaavanzato ai signoriegli si guardava intorno ed ascoltava con lagravità dell'antico maestro di casaera più serio edecorativo di tanti altri; un sindaco di provincia che gli stava afianco gli disse:

-"Danoi la riuscita è assicurata. E quiprofessorecome vanno lecose?"

-"Eccellente!"fece Baldassarrescrollando il capo.

Imembri del comitatoquella serariferivano i nomi degli elettoriamici che avevano fatto iscrivere nelle liste. L'antico servos'avvicinò a Consalvo.

-"Signorprincipe"non gli dava piùper democraziadell'Eccellenza -"lanostra società ha fatto iscrivere una cinquantina di elettori.Sono tutti nostri!"

-"Laringrazio; non so come ringraziarla."

-"Sifiguriper carità: dovere! Vinceremo certamente! La vittoriaè nostra!"

-"Accettodi cuore l'augurio cortese."

EBaldassarredimenticato il torto che gli aveva fatto il principedefuntosi fece in quattro per assicurare il trionfo del principinodivenne in breve uno dei suoi luogotenenti. Egli faceva i suoirapporti a Consalvone riceveva le istruzionigli dava a sua voltaconsigli; e il padrone e il servo erano scomparsisedevano a fiancoalla stessa tavolail principe passava la carta e la pennaall'antico creatosi davano del lei come due diplomatici stipulantiun trattato.

Lalotta diveniva frattanto più aspra. Consalvo aveva fatto farecerte aperture ai capi clericalima costoro avevano risposto che lasua alleanza con Lisi e Giardona rendeva impossibile qualunqueaccordo. Giulente boccheggiava. Per salvare il Municipio aveva dovutoimporre nuove tasseaggravare le antichecongedare impiegatilasciare in asso tutte le opere non finiteridurre tutte le spese; ela sollevazione era unanime contro di lui per l'odiosità delleimpostela gretteria eretta a sistema. La sua lunga aspirazioneall'eredità politica dello ziola stessa malattia di fegatoerano un po' ridicole: sua moglie finiva di rovinarlovantando ilsuo patriottismo dopo averlo deriso: -"AlVolturno stava per lasciare una gamba!..."domandando a tutte le personeai commessi di negozioai venditoriambulanti: -"Nonsiete elettore?... Allora andate a farvi iscrivere..."Ed ella gli aveva finalmente consegnato i conti dell'amministrazionedove c'era un baratro peggio che al comune.

Glialtri candidatiperònon si davano vintii piùpericolanti si ostinavano peggioricorrevano a tutti i mezzicontrattavano i votilanciavano accuse violente ai rivali fortunatispecialmente al principe. -"Noinon abbiamo nipoti educati dai Gesuitiné zii Cardinali diSanta Chiesané parenti reazionari; non ci appoggiamo sututti i partitidalla nobiltà alla canaglia!..."Consalvo lasciava direcorreva in provinciatornava in cittàallargava la cerchia dei propri aderenti. I messi di Baldassarredalcanto loropredicavano nelle osterie la democrazia del principepagavano da bere a quanti gli promettevano il voto. Una seraperòla discussione si fece brutta fra quelli che stavano dalla sua e glioppositori che davano al principe del Rabagasdel Gesuita e deltraditore. Dalle parole vennero ai fattivolarono sedie e bottiglieluccicarono i coltelligravi minacce furono pronunziate. AlloraConsalvo si rivolse agli antichi compagni di bagordoalla gente conla quale aveva fatto vitaun temponelle taverne e nelle case ditolleranza: ceffi spaventosipallidi bertoni con la faccia tagliatada cicatrici fecero la guardia al suo palazzoalla sua persona; sidisseminarono nei luoghi equivociminacciandointimorendo... -"Ilcandidato di Francesco ii ha sguinzagliato la mafia per tutto ilcollegio allo scopo di spaventare gli onesti cittadini"denunziarono i fogli avversari; ma nella violenza della battaglia lepiù feroci accuse avevano perduto ogni efficaciaeranonaturalmente attribuite all'odio di parteal rancore di chi sentivamancarsi il terreno sotto i piedi. Il nome di Francalanza era sututte le bocchenessuno dubitava oramai dell'elezione del principe.Egli preparava il discorso elettorale.


Grandicartelloni multicolori incollati per tutta la cittàannunziarono l'avvenimento: -"meetingelettorale. Cittadini: Domenica8 ottobre 1882alle ore 12meridianenella Palestra Ginnastica (ex convento dei PP.Benedettini) il Principe di Francalanza esporrà il suoprogramma politico agli elettori del 1° Collegio."Seguivano le firme del comitato: un presidentevecchio magistrato ariposoben visto da tutti i partiti e perciò messo a quelposto da Consalvo; poi sei vicepresidentipiù di cinquecentomembriotto segretariventiquattro vicesegretari.

Erauna novitàquesta dei discorsi-programmi.Le elezioni non si potevano più fare alla chetichellainfamigliacome al tempo del duca d'Oragua: ciascun candidato dovevapresentarsi agli elettorirender loro conto delle proprie ideediscutere le quistioni del giorno. -"Almenoè certo che andranno al Parlamento solo quelli che sannoparlare!..."Ma udire il principe di Francalanza discorrere in piazza come uncavadenti... lo spettacolo era veramente straordinario. Gli altricandidati tenevano i loro discorsi nei teatrima per quello diConsalvo c'era tanta aspettazionepiovevano tante richieste dipostiarrivavano tante rappresentanze dalla provinciache nessunteatro parve sufficiente. La palestra ginnasticache era il secondochiostro del convento di San Nicolagrande quanto una piazzaavevacon i suoi archile colonne e le terrazzeuna cert'aria dianfiteatro; era l'ambiente più vastopiù nobilepiùadatto alla grandezza dell'avvenimento. E poi Consalvoda cui venivala sceltaaveva una sua idea.

Egliandò a dirigere personalmente l'addobbo. Ma intanto che itappezzieri lavoravano a disporre trofei di bandiere e festonid'ellera e tende e ritrattiil principe si guardava intorno con unsenso di stuporesorpreso a un tratto dalle memorie dellafanciullezza. L'enorme e nobile monasterola signorile dimora deiPadri gaudentil'aristocratico collegio della gioventù erairriconoscibile. Scomparsi i corridoi che s'allungavano a perditad'occhiochiusi da muri e da cancelliconvertiti in sale egabinetti scolastici; il refettorio trasformato in salone di disegnodell'Istituto Tecnicoingombro di cavallettiornato di stampe e digessi; il Coro di notte pieno d'attrezzi nautici; al posto dei grandiquadrisugli usci delle camerecartelli con l'iscrizione: primaclassedirezionepresidenza. Giùnel cortilei magazzinitrasformati in caserme. Le generazioni di soldati e di studentisuccedutesi dal Sessantasei avevano devastato i chiostrirotto isediliinfranto le balaustrate; i muri erano pieni di figure e dimotti oscenie i calamai lanciati come fionde pel corruccio dellebocciature o per la gioia delle promozioni avevano stampato da pertutto larghe chiazze d'inchiostro.

Dinanzia quella devastazioneConsalvo pensava adesso con un senso dirammarico alla morte del mondo monasticoche egli aveva vista convivo tripudio. Ma allora — rammentava! — aveva quindicianniera impaziente di prendere il posto che lo aspettava insocietà. Se gli avessero dettoallorache egli sarebbetornato un giorno a San Nicola per discorrervi dell'eguaglianzasociale e del pensiero laico!... Noegli non poteva assuefarsi aquest'ideale democratico contro il quale protestavano la suaeducazione e il suo stesso sangue. Lìa San Nicolaforse piùche a casa propriaegli era stato imbevuto di superbia signorileera stato avvezzo a considerarsi d'una pasta diversa dalla comune...Dove era la sua camera? Egli la cercavaal Noviziatoe non latrovava. Forse dove stava scritto gabinetto di fisica. Un custodefacendogli da guidanarrava le magnificenze del conventole festesontuosel'abbondanza dei convitila nobiltà dei Padrierammaricavasi mostrando le rovine presenti. -"Quistavano i novizitutti figli dei primi baroni: bei tempi! Adesso civengono i figli dei ciabattini!"Il prestigio della nobiltà e della ricchezza era dunqueveramente imperiturose quel povero diavolo parlava cosìd'una riforma che giovava ai suoi pari... Consalvo voleva rispondere:-"Aveteragione..."ma il rumore di martellate che veniva dalla palestra gli rammentavala necessità di nascondere i propri sentimentidirappresentare la parte che s'era assunta. Lìfra quelle muraegli s'era messo col partito dei sorciai quali fra' Colavoleva tagliar la coda; qualcuno non gli avrebbe fatto una colpa diquel remotissimo passato?... Bah! Chi si rammentava delle monellated'un ragazzo! Giovannino era mortonon poteva tornar dall'altromondo a contraddirlo! E quand'anche?...

Frattantoi preparativi si venivano compiendo; la domenica del comizio tutto fupronto. L'aspetto della palestra era grandioso. Duemila seggioleerano disposte in bell'ordine nell'arenae restava tuttavia spaziolibero per gli spettatori in piedi. Il lato meridionale del porticoriservato alla presidenza ed alle associazioniconteneva una grantavola circondata di poltrone e fiancheggiata da tavolini per lastampa e gli stenografi. Gli altri tre lati erano per gl'invitati:autoritàsignorerappresentanze varie. Tutta la terrazzacome l'arenarestava agli spettatori minuti: per difendere le testedal sole erano state distese grandi tende di mussolina tricolore.Trofei di bandiere abbracciavano le colonneed in mezzo a ciascuntrofeo spiccava un ritratto: a destra e a sinistra della balaustratada cui avrebbe parlato il candidatoUmberto e Garibaldi; poi Mazzinie Vittorio Emanuele; poi Margherita e Cairoli; e così tutto ingiro AmedeoBixioCavourCrispiLamarmoraRattazziBertaniCialdinila famiglia sabauda e la garibaldinala monarchia e larepubblicala destra e la sinistra.

Findalle diecila folla cominciò a far ressama le porte eranocustodite da buon nerbo di membri del comitatoriconoscibili a unagran coccarda tricolore appuntata al petto. Giùnel cortileesternosi riunivano le società attorno alle bandiere e ailabariper ricevere il candidato e accompagnarlo alla palestra. Trebande arrivarono una dopo l'altracoi sodalizi più numerositirandosi dietro una folla di curiosi; e il brusìo saliva alcielo; torrenti di gente s'ingolfavano dallo spalancato portone dellascala reale. Gli strumenti dei sonatori specchiavano al gaio soleautunnale; pennacchi e bandiere ondeggiavano al vento; i cartellonimulticolori vestivano a festa i muri del monastero.

Baldassarrein redingote e cappello altocon una coccarda grande come unaruota di mulinoandava e venivasudatosbuffantecome ventottoanni addietroquando ordinava l'aristocratico cerimoniale deifunerali della vecchia principessa. Ma allora egli era servostipendiatoe adesso libero cittadino che interveniva a un metingodemocraticoe che prestava il suo appoggio al principe non perquattrini ma per un'idea. Alla folla che voleva entrare ad ogni costodiceva alzando le mani: -"Signorimieiun po' di pazienza; c'è tempo... ci vuole un'ora..."Era possibile lasciar entrare la ciurmaglia prima degli invitati?...Ma alle undici e mezzo la resistenza fu impossibile: dato ordine aisuoi dipendenti di difendere almeno i posti riservatilasciòaprire la terrazza e l'arena. In un attimo l'onda umana vi sirovesciò. Era ancora la folla anonimail popolo minuto; ma apoco per volta cominciavano a venire le persone di riguardosignorie signore elegantidinanzi alle cui carrozze s'apriva l'altra follarimasta nel cortile esterno. Baldassarrenella palestraadditandoalle dame i loro postisi voltava tratto tratto verso i compagni:-"Diteche le bande vengano quiche prendano posto!... Non ci saràla musica all'arrivo del candidato!..."Quelle bestie non ne azzeccavano una! Impossibile aver le bandeneanche dopo essersi sgolato un'ora; tanto che dové correreegli stesso a chiamarle: -"Chefate qui? Non è il vostro posto! Venite dentro!..."Egli non era più maggiordomoma le cose malfatte non potevatollerarle. Uno del comitato non disse che bisognava sonare al primoarrivo del principe? Egli si guastò: -"Ilricevimento si fa nella palestranon nel cortile! Volete darmilezioni?..."E mise le bande al posto opportunoordinando: -"Marciareale ed Inno di Garibaldi..."

Orala palestra offriva uno spettacolo veramente straordinario: l'arenaera un mare di testeserrate le file delle sediestretti comeacciughe gli spettatori in piedi; nella terrazza una follavariopintasulla quale fiorivano gli ombrellini delle molte signoreche non avevano trovato posto giù. Ma l'aspetto piùsontuoso era quello dei portici: tutta la migliore società visi era riunitale dame nelle prime filegli uomini dietroed unronzio come d'alveare si levava tutt'intorno: chiacchiere elegantiprofezie sull'esito delle elezionibattibecchi politicimaspecialmente esclamazioni d'impazienzatentativi d'applausi dichiamatacome al teatroche facevano voltare il capo a tutti ecavare gli orologi. Scoccava già mezzogiornoil campanone diSan Nicola dava i primi tocchiquando venne da lontano un sordoclamore. -"Èquiè qui... Arriva... ci siamo!..."S'udivano adesso distintamente le grida: -"VivaFrancalanza... Viva il nostro deputato!..."e scoppi d'applausi il cui fragore crescevarimbombava nei corridoifaceva tremare i vetridestava tutti gli echi sopiti del monastero.Dalla palestra la folla s'era levata in piedii colli erano tesigli sguardi fissi sull'arco d'ingresso. Squillarono a un trattointonate dalle tre musichele prime note della Marcia realementre apparivano le prime bandieree un urlo formidabileun verouragano d'applausidi evvivadi grida confuse scoppiò nelvasto recintoriecheggiò tempestosamente tra l'altra follache circondava il candidato.

Consalvoavanzavasipallidissimoringraziando appena con un cenno del capoassordatoabbacinatosgomentato dallo spettacolo. Dietro di luinuovi torrenti si riversavano nelle terrazzenei porticinell'arenavincendo la resistenza dei primi occupanti; ma tuttaviamigliaia di mani applaudivanosventolavano fazzoletti e cappelli; lesignorein piedi sulle seggiolesalutavano coi ventagli e gliombrelliniformavano gruppi pittoreschi sul fondo scuro della granfolla mascolina; e la ovazione si prolungavale grida salivano adacuti stridenti alle riprese della marciai battimani scrosciavanocome una violenta grandinata sulle tegole. Qua e là piccoligruppi di avversari o d'indifferenti restavano silenziosimadall'alto sembrava che tutta quella moltitudine avesse una sola boccaper urlaredue sole braccia per applaudire. -"Uno...due... due e mezzo... tre minuti..."alcuni contavanocon gli orologi in manoe si vedeva gente con lelacrime agli occhidalla commozione; molti perdevano la voce:stanchi di sventolare i fazzolettise li legavano ai colli rossi esudati. -"Basta...basta..."diceva Consalvoa bassa vocecon un senso di vera paura dinanzi aquel mare urlante e Baldassarreda lontanonon potendo attraversareil muro vivente che lo serrava tutt'intornofaceva segni disperatialla musica; e finalmente i sonatori compreserola musica finìgli applausi e le grida si spensero; maad un trattomentre ilpresidente del comitato si faceva alla balaustrata presentando ilcandidatosquillarono le note dell'inno garibaldinoun nuovofremito corse per la follail delirio ricominciò... OraConsalvovinta la paura del primo istanteringraziava piùfrancamente a destra e a mancae sorridevasicuro di ségonfio il cuore di fiducia superba. La musica cessònuovamentela folla si chetòle bandiere appoggiate allecolonne del portico formarono una nuova decorazione: l'ufficio dipresidenzai giornalistigli stenografi presero posto alle lorotavole e i segretari tirarono fuori dalle cartelle i loro fogli. Unodi essi sorse in piedie in mezzo a un silenzio solenne cominciòcon voce stridula la litania delle adesioni. Ma la gente stancavasile parole si perdevano in un sordo mormorìo. In un gruppo distudenti motteggiatori discutevasi animatamente se il candidatoavrebbe cominciato con l'aristocratico Signori o ilrepubblicano Cittadini. Uno affermò: -"Scommettiamoche dirà Signori cittadini?"Ma gli entusiasti lanciavano sguardi severi agli scetticiintimavanoil silenzio. Finalmente la litania finì. Consalvocon unamano sul velluto della balaustratavoltato di fiancoaspettava. Adun cenno del presidentesi volse alla folla:

-"Concittadini!...Se la benevolenza dei miei amici vi ha indotto a credere che iopossegga le doti dell'oratoree vi ha qui adunati con la promessache udrete un vero e proprio discorsoio sono dolente di dovervidisingannare..."La voce nitidafermasicuragiungeva da per tuttodebole machiara anche negli angoli più remoti. -"Iovi dichiaroconcittadiniche non possoche non so parlare; tale èil tumulto di impressionidi sentimentid'affetti che sconvolge inquesto momento l'animo mio. (Gli stenografi notarono: Benissimo!)Io sento che fino ai miei giorni più tardi non si potràpiù cancellare il ricordo di questo momento indescrivibilediquesta immensa corrente di simpatia che mi circondachem'incoraggiache mi riscaldache infiamma il mio cuoreche ritornaa voi altrettanto viva e gagliarda e sincera quale viene dai vostricuori a me. (Applausi prolungati.) Ma questa restituzione ètroppo poca cosa e non vale a sdebitarmi: tutta la mia vita dedicataal vostro servigio sarà bastevole appena. (Applausi.)Concittadini!... Voi chiedete un programma a chi sollecita l'onoredei vostri suffragi; il mio programmain mancanza d'altri meritiavrà quello della brevità; esso compendiasi in tre soleparole: libertàprogressodemocrazia... (Battimanifragorosi ed entusiastici.) Un superstizioso contento occupal'animo mionell'udir voiliberi cittadinicoronare d'applausi nonmema queste sacre parolequitra questi vecchi muri che furono untempo cittadella dell'ignaviadel privilegiodell'oscurantismoteologico... (Scoppio unanime di approvazioni clamorose)quitra queste muragià covo dell'ignoranzaoggi vivido faro dacui radia la luce del vittorioso pensiero! (Nuovo scoppio difrenetici battimanila voce dell'oratore è soffocata peralcuni minuti.) Concittadinila mia fede in questi grandi idealiumani non è nuovanon data da questi giorniin cui tutti lasfoggianocome i galanti vantano le grazie della donna desiderata...(Ilarità)protestando di non volerne i favori...(Nuova ilarità) ma di star paghi a sospirarla dalungi... (Risa generali.) La mia fede data dall'alba della miavitaquando i pregiudizi di casta che io conobbima che non miduole di aver conosciutiperché ora sono meglio in grado dicombatterli... (Benissimo!) mi vollero chiuso quitra questimuri. Permettetemi ch'io vi narri un aneddoto di quei giorni lontani.Erano i tempi in cui Garibaldi il Liberatore correva trionfalmente daun capo all'altro del feudo borbonico per farne una libera provinciadella libera patria italiana... (Bravobene!) Io ero allorafanciulloe alla mia mente inesperta ed ignara il nome di Garibaldisonava come quello di un guerriero formidabile che altre leggi nonconoscesse fuorché le durele violente leggi di guerra. Ungiorno corse una voce: Garibaldi era alle porte della nostra città;i Padri Benedettini si disponevano ad ospitarlo... non potendosubissarlo coi suoi diavoli rossi... (Si ride.) Ed io quasitemetti di guardare in viso quel fulmine di guerracome se col solosguardo dovesse incenerirmi. Ed un giorno i miei compagnim'additarono l'Eroe dei due mondi. Allora io vidi quel biondoarcangelo della libertà intento... sapete voi a qual opera? Acoltivare le rose del nostro giardino! Da quel giorno la rivelazionedi quel cuore vasto e generosodove la forza leonina s'accoppiavaalla gentilezza soave... (Scroscio di applausi)di quell'uomocheconquistato un Regnodovevacome Cincinnatoridursi acoltivare il sacro scogliodove oggi aleggia il magnanimo spirito diLuiche fu a ragione chiamato "ilCavaliere dell'umanità"..."

Glistenografi smisero di scriveretale uragano d'applausi e di grida siscatenò. Urlavano: -"VivaFrancalanza!... Viva Garibaldi!... Viva il nostro deputato!..."e le parole del principe si perdevano nel clamore universalevedevasi solamente la bocca che s'apriva e chiudeva come masticandoil braccio che gestiva rotondamente per finire l'aneddoto: laconfusione tra Menotti Garibaldi e il padrela sostituzione di sestesso al morto cugino... -"Silenzio!...Parla ancora!... Viva Garibaldi!... Viva il principino!..."Tratto di tasca il fazzolettoegli lo sventolò gridando: -"VivaGaribaldi! Viva l'Eroe dei due mondi!..."Poiaspettando il silenziosi terse la fronte imperlata di sudore.

-"Concittadini"riprese quando fu ristabilita la calma -"iosono giovane d'annie la vita potrà apprendermi molte cose edimostrarmi la fallacia di molte altree darmi quell'esperienzaquel senno maturo che ancora forse non ho; ma quali che sieno levicende e le prove che l'avvenire mi serbauna cosa posso affermarefin da questo momentosicuro che per volger d'anni o per mutar difortuna non potrà venir meno: la mia fede nella democrazia!...(Salva d'applausi entusiastici.) Questa fede mi è caracom'è cara al capitano la bandiera conquistata nellabattaglia... (Scoppio di battimani.) All'alpigiano che passatutti i suoi giorni tra le cime dei montiil grandioso spettacolonulla diceo ben poco; all'alpinista che è partito dallapianurache ha conquistato a grado a grado l'ardua vetta sublimeilcuore s'allarga di gioiasi gonfia di giusta superbia nelcontemplare il meritato orizzonte. (Ovazione generale eprolungata.) Cittadini! Io non voglio turbare la solennitàdi questa adunanza portando dinanzi a voi le piccole gare in cui siaffannano le anime piccole; ma voi sapete che un'accusa mi fulanciata; voi sapete che mi dissero... aristocratico..."Gli stenografi non seppero se notare impressione o silenzio omovimenti diversi; ma già l'oratore incalzava: -"Quest'accusaè fondata sui miei natali. Io non sono responsabile della mianascita... (No! no!) né voi della vostranéalcuno della propriavisto e considerato che quando veniamo al mondonon ci chiedono il nostro parere... (Ilarità fragorosa.)Io sono responsabile della mia vita; e la mia vita è statatutta spesa in un'opera di redenzione: redenzione dai pregiudizisociali e politiciredenzione morale e intellettuale; e nulla èvalso ad arrestar quest'opera; né le facili seduzioninéle derisioni ironichené i sospetti ingiuriosi; népiù gravi al mio cuorele opposizioni incontrate nello stessofocolare domestico... (Bene! Bravo! Applausi.) Voi vedete cheio non posso più rinunziare a questa fede; essa mi ètanto più cara e preziosaquanto più mi costa...(Scoppio di battimani fragorosi e prolungati. Grida di: VivaFrancalanza... Viva la democrazia!... Viva la libertà...L'oratore è costretto a tacere per qualche minuto.)"

Ilpiacerel'ammirazione erano in ogni animo: negli amici che vedevanoassicurato il trionfonegli avversari che riconoscevano la suaabilitànella stessa gente minuta che non comprendevamaesclamava: -"Mache avvocato! Non ci sono avvocati capaci di parlare così"e le signoreanimatissimegodevano come allo spettacoloscambiandoosservazioni sull'arte e sulla persona del principe quasi fosse unprimo attore recitante la sua parte.

-"Mavoiconcittadini"riprese egli -"giudichereteforse che se questa fede compendia tutto un programmaèmestieri che un legislatore si tracci una precisa linea di condottain tutte le particolari quistioni riflettenti l'orientamentopoliticol'ordinamento delle amministrazioni pubblicheil regimeeconomico e via dicendo. Permettetemi dunque di dirvi le mie idee inproposito. Disciolte le antiche parti parlamentarinon ancora sidelineano le nuove. Io auguro pertanto la formazionee seguiròle sorti di quel partito che ci darà la libertà conl'ordine all'interno e la pace col rispetto all'estero (Benissimoapplausi)di quel partito che realizzerà tutte le riformelegittime conservando tutte le tradizioni (Bravo! bene!)diquel partito che restringerà le spese folli e largheggerànelle produttive (Vivissimi applausi)di quel partito che nonpresumerà colmare le casse dello Stato vuotando le tasche deisingoli cittadini (Ilarità generaleapplausi)di quel partito che proteggerà la Chiesa in quanto poterespiritualee la infrenerà in quanto elemento di civilidiscordie (Approvazioni)di quel partitoinsommacheassicurerà nel modo più equoper la via piùdirittanel tempo più brevela prosperitàlagrandezzala forza della gran patria comune (Applausi generali.)"

Veramentegli applausi non furono generali a questo passoe anzi qualche colpodi tosse partito da un angolo fece voltare molte teste.

-"Voimi direte"proseguiva però l'oratore -"chequesto programma è troppo vasto ed eclettico; perchésecondo un proverbioè impossibile avere ad un tempo la bottepiena e la moglie ubriaca (Ilarità). La botte pienasenza poterne spillare l'inebbriante liquorerappresenterebbe unaricchezza inutilee tanto varrebbe che contenesse acqua o un altrofluido qualunque; ma quanto ad avere anche la moglie ubriacasarebbein verità troppa grazia: me ne appello a tutti i mariti.(Scoppio d'ilarità clamorosabattimani vivi ereplicati.) Bisogna attingere dalla botte quel tanto di vino chebasti a saziar la setea letificare lo spirito. Dicono i francesi:Si jeunesse savait! Si vieillesse pouvait! Questo che èimpossibile nella vita di un sol uomonon solo è possibilema necessario nella vita collettiva dei popoli. Il legislatore devepossedere le audacie della gioventù accoppiate al senno dellavecchiaia; la legge deve tener conto di tutti gli interessidi tuttele credenzedi tutte le aspirazioni per fonderle e armonizzarle:essa è necessariamente regolata sull'esperienza del passatoma non deve né può tarpar l'ali all'avvenire!(Ovazione.) Pertantoinvidiabili e invidiate sono le nostreistituzioniche mediante un prudente equilibrio tra i due rami delParlamento e il potere esecutivo permettono che ci s'avvicini allasuprema conciliazione. Macome tutte le cose umanequesteistituzioni non sono perfettebensì perfettibili e a talopera di continuo miglioramento io dedicherò tutte le mieforzescevro come sono e di paure e di feticismi. Lo Statuto puòe deve essere migliorato. Questa necessità è intesa datutti: dal popolo che reclama intera la sua sovranitàal Reche riconosce la sua dal popolo. (Approvazioni.) Per nostrafortunapopolo e Re sono oggi in Italia tutt'uno (Applausi) ela monarchia democratica di Casa Savoia spiega e legittima isentimenti democraticamente monarchici degli italiani (Benissimo!)Fin quando sederanno sul trono principi leali e Re galantuominiildissidio sarà impossibilela nostra fortuna sicura! (Scrosciodi applausi prolungatigrida di: Viva il Re!... Viva l'Italia!... Lavoce dell'oratore è coperta dai battimani.) Ma poichél'aspetto della sovranità popolare e il benessere delle classilaboriose debbono essere scopo precipuo dei legislatorisaràimpossibile raggiungerlo se non verranno a sedere alla Camera i piùlegittimii più diretti rappresentanti del popolo. Lasciatemiquindi augurare che molti candidati operai riescano eletti. Molticombattono le candidature operaieforti d'un motto inglese chesuona: the right man in the right place. Ma essi dimenticanoche questa citazione è una spada a due taglie cheallorquando il Parlamento dovesse occuparsi di quistioni operaietheright men in the right places sarebbero appunto i cittadinioperai (Bene! bravo!) Una volta un parrucchiere s'impancòa criticoe il celebre Voltaireseccato da tanta presunzioneglidisse: "MastroAndreafate piuttosto parrucche."(Ilarità.) Ma se si fosse trattato di dover fareparrucchee Voltaire avesse voluto dire la suamastro Andreaavrebbe potuto rispondere al celebre poeta: "SignorVoltairefate tragedie piuttosto."(Ilarità fragorosa applausi prolungati.)Concittadinila quistione socialebisogna riconoscerlo francamentepreme in questo momento più che tutte le altre. È essanuova? Nocerto. Facciamone un poco la storia..."

-"Cisiamo! Adesso stiamo freschi!..."mormorarono qua e là gli avversarigli studenti; ma vocicrucciate ingiunsero: -"Silenzio!"mentre l'oratoreprese le mosse da Adamo ed Eva e da Caino ed Abelegaloppava per la Babilonial'Egittola Grecia e Romasaltava a pièpari il Medioevopiombava nell'Ottantanovesi arrestava al principedi Bismarck ed al socialismo della cattedra. L'attenzione delpubblico cominciava a diminuire; tuttavia molti si sforzavano diseguirlo in quella corsa pazza. -"LoStato dovrà dunque essere l'incarnazione della divinaProvvidenza? (Ilarità.)"Nodove lo Stato non può arrivaredeve supplire l'iniziativaindividuale: quindi Trade-unionsprobiviricooperativelibertà di sciopero. Era cosìsciolta la quistione sociale? -"Noci vuol altro!"

Qualchesignora sbadigliava dietro il ventagliola gente che desinavaall'una se la svignava. Mafinalmentedichiarato che i problemisociali -"sononodi gordiani che nessuna spada deve tagliarema che l'amorosostudio e l'industre pazienza possono sciogliere"l'oratore passava alla politica estera. -"L'assettodell'Europasarebbe vano celarlorisente ancora dellepreoccupazioni della Santa Alleanza."L'unità germanica doveva soddisfare gl'italianima forse ilpanslavismo era un fenomeno non scevro di pericoli. -"Iocredo che s'apponesse il principe di Metternich quando diceva... Nonsfuggì tuttavia all'acuto sguardo del conte di Cavour... Ècerto che il concetto del celebre Pitt..."Sfilavano tutti gli uomini di Stato passati e presentientravano inballo MachiavelliGladstoneCampanellaMacaulayBacone daVerulamio; l'oratore chiedeva a se stesso: -"Qualè la missione storica dell'Inghilterra?... Però laSpagnase udisse la voce del sangue?..."Tutto questopel tradimento di Tunisi! -"Nonon è stata la Francia di Magenta e Solferino; è statala Francia di Brenno e di Carlo viii!..."L'uditorio si scosse un poco; gli stenografi annotarono: grandiapplausi. Ma gli antagonismi di razza si sarebbero un giornocomposti; allorasarebbero sorti gli Stati Uniti d'Europa. -"Peròcome ottimamente disse Camillo Benso"la pace andava cercata nelle fide alleanze e nei forti battaglioni(Benissimo). -"Fervela lotta tra i sostenitori delle grandi navi e delle piccole: iocredo che le une e le altre siano necessarie all'odierna guerramarittima. Caio Duilio distrusse la flotta cartaginese mutando labattaglia navale in terrestre."(Bravo! applausi.) Cosìun -"giornonon lontanorivendicati i nostri naturali confini (Applausivivissimi)riunita in un sol fascio la gente che parla la linguadi Dante (Scoppio di applausi)stabilite le nostre colonie inAfrica e forse anche in Oceania (Benissimo!)noiricostituiremo l'Impero romano!"(Ovazione.)

Subitodopo passò alla quistione delle finanze.

-"Quivisospiripianti ed alti guai..."(Ilarità.) Ma i guai non erano senza riparo. -"Nonfacciamo per carità di patria confronti con gli Stati Unitid'America..."Prima di tutto occorreva riformare il sistema tributario. -"PaulLeroy Beaulieu dice... Secondo l'opinione dell'illustre Smith..."Citazioni e cifre si accavallavano. Pochi lo seguivano ormai inquelle elucubrazionialtra gente andava viale signoresbadigliavano francamente. -"Passiamoadesso ai trattati di commercio... Consideriamo l'ufficio dei comiziagrari..."Ad ogni annunzio di nuovo argomentopiccoli gruppi di spettatoriseccati se ne andavano: -"Bellissimodiscorsoma dura troppo..."Gli uscenti costringevano la folla a tirarsi da cantoi fedeliingiungevano: -"Silenzio!"e Baldassarre non si dava pacevedendo l'ineducazione del pubblico.-"Amministrazionedella giustizia... Giustizia nell'amministrazione. Discentrareaccentrandoaccentrare discentrando..."Quanto alla marina mercantileil sistema dei premi non era scevrod'inconvenienti. Poi -"riformapostale e telegraficalegislazione dei telefoni; non bisogna neppuredimenticare l'idra della burocrazia..."

Adessosi vedevano larghi vuoti nell'arena e nei porticispecialmente nelleterrazze dove il sole arrostiva i crani. -"Maquesto non è un programma elettoraleè un discorso daministro!..."sogghignavano alcuni; l'uditorio era schiacciato dal peso diquell'erudizionedi quelle nomenclature monotone; la luce troppochiarail silenzio del monastero ipnotizzava la gente; il presidentedel comizio abbassava lentamente la testavinto dal sonno; maaduno scoppio di voce del candidatola rialzava rapidamenteguardandoattonito attorno; i musicanti sbadigliavanomorendo di fame.Baldassarre dava di tanto in tanto il segnale di applausiincorava ifedeli anch'essi accasciati e vinti; si disperava vedendo passareinosservate le bellissime cose dette dall'oratore. Questi parlava daun'ora e mezzaera tutto in sudorela sua voce s'arrochivailbraccio destro infranto dal continuo gestire si rifiutava oramai alsuo ufficio. Egli continuava tuttaviadeciso ad andare sino infondononostante la stanchezza propria e del pubblicoperchési dicesse che aveva parlato due ore difilato. A un tratto alcuneseggiole rovesciate dalla gente che scappava fecero un gran fracasso.Tutti si voltaronotemendo un incidente spiacevoleuna rissa;l'oratore fu costretto a tacere un momento. Riprendendo a parlarelavoce gli uscì rauca e fioca dalla strozza; non ne poteva piùma era alla perorazione.

-"Questeed altre riforme io vagheggio; non credo tuttavia di dover abusaredella vostra pazienza."Sospiri di sollievo uscirono dai petti oppressi. -"Concittadini!Se voi mi manderete alla Cameraio dedicherò tutto me stessoall'attuazione di questo programma. (Bene! Bravo!) Io nonpresumo di essere infallibileperché non sono néprofeta né figlio di profeta (Si ride): accoglieròpertanto con lieto animoanzi sollecito fin da ora i mieiconcittadini a suggerirmi quelle ideequelle propostequelleiniziative che credono giuste e feconde (Benissimo). Il nostromotto sia: Fiat lux! (Applausi). Luce di scienzadiciviltàdi progresso costante (Scoppio di applausi).Il pensiero della patria stia in cima ai nostri cuori (Approvazioni).La patria nostra è quest'Italia che il pensiero di Dantedivinòe che i nostri padri ci diedero a costo di sangue(Vivissimi applausi). La nostra patria è anchequest'isola benedetta dal soledov'ebbe culla il dolce stil novo edonde partirono le più gloriose iniziative (Nuoviapplausi). La nostra patria è finalmente questa cara ebella città dove noi tutti formiamo come una sola famiglia(Acclamazioni). Dicesi che i deputati rappresentino la nazionee non i singoli collegi. Ma in che consistono gl'interessi nazionalise non nella somma degli interessi locali? (Benissimoapplausi.)Ioquindise volgerò la mente allo studio dei grandiproblemi della politica generalecredo di potervi promettere cheavrò a cuore come i miei propri gli affari piùspecialmente riguardanti la Siciliaquesto collegiola mia cittànatale e tutti i singoli miei concittadini (Grande acclamazione).Grato a tutti voi dell'indulgenza con la quale m'avete ascoltatoiofinisco invitandovi a sciogliere un triplice evviva. Viva l'Italia(Scroscio d'applausi grida di: Viva l'Italia.) Viva ilRe! (Generali e fragorosi battimani.) Viva la libertà!(Tutto il pubblico in piedi applaude e acclama. Si sventolano ifazzolettisi grida: Viva Francalanza! Viva il nostro deputato! Ilpresidente abbraccia l'oratore. Commozione generaleentusiasmoindescrivibile.)"

Consalvonon ne poteva piùsfiancatorottoesausto da una fatica daistrione: parlava da due oreda due ore faceva ridere il pubblicocome un brillantelo commoveva come un attor tragicosi sgolavacome un ciarlatano per vendere la sua pomata. E mentre la marciaintonata per ordine di Baldassarrespronava l'entusiasmo delpubbliconel gruppo degli studenti canzonatori domandavano:

-"Adessoche ha parlatomi sapete ripetere che ha detto?"


Negliultimi giornil'ansietà di Consalvo divenne febbre scottante.

Lariuscita non poteva mancarema egli voleva essere il primo. Il suocomitato oramai era tutta la cittàtutto il collegioelettori e non elettori. I cartelloni con la scritta: votate pelprincipe di francalanza. eleggete consalvo uzeda di francalanza. ècandidato al primo collegio il principe consalvo di francalanzacrescevano di dimensionierano lenzuoli di carta con lettere d'unaspanna: sembrava che gli stessi muri gridassero il suo nome... Ilprimo! Il primo! Egli voleva essere il primo!...

Lasera della vigilia c'era al palazzo un vero pandemonio: tuttidomandavano: -"Ilprincipe?... Dov'è il principe?..."ma la gente di casa rispondeva che egli era presso lo zio ducailquale stava poco bene. Nondimeno il lavoro progrediva alacrementecome se egli ci fosse. Erano venuti i rappresentanti di Giardona eLisiper concretare la lista degli uffici elettorali; frattanto sipreparavano a partire coloro cui toccava andar a vigilare nellesezioni rurali. A mezzanotte arrivò il principe. L'adunanza siprotrasse fino alle duequando partirono le prime carrozze per lesezioni lontane.

Eil domanicostituiti gli ufficicominciata la votazioneinsiemecon la notizia della vittoria del principe — perché glielettori dichiaratisi per lui erano migliaiavenivano apposta dallevilleggiaturesi facevano trascinare alle urne sopra le seggiole senon potevano andare coi loro piedi — una voce si sparsedapprima sordapoi sempre più alta fra i seguaci di Lisi:-"Tradimentotradimento!..."Il principeaffermavanosi era messo d'accordonelle ultime oredella sera innanzicon Vazza; alcuni precisavano: -"L'abbiamovisto noi entrare in casa dell'avvocatoverso le undici..."e sostenevano che lì si fosse complottato il tradimentol'accordo coi clericalil'abbandono di Lisifors'anche quello diGiardona. -"Comequando? Che diavolo infinocchiate? Il principe è stato in casadel ducanon si è mosso di lì!..."rispondevano i suoi fautori nel tripudio della vittoria giàassicurata.

Alpalazzoverso il tramontoarrivarono i primi telegrammi dellesezioni di provincia; ma quei risultati non erano tutti egualmentefavorevoli: i candidati locali avevano forti maggioranze; il postodel principenelle prime sommeoscillava fra il secondo ed ilterzo. Consalvopallidissimoaveva la febbre. Macome venivano irisultati delle sezioni urbanela sua posizione si consolidava; delterzo posto non si parlava più; egli stava con Vazza tra ilprimo e il secondo. Quando arrivarono gli ultimi telegrammi e gliultimi messi con le cifre definitivenon vi fu più dubbio:egli era il primo con 6043 voti; veniva dopo Vazza con 5989; poiGiardona con 4914; il radicale Marcenò restava fuori con 3309;Lisi precipitava con meno di 3000 voti; gli altri erano tutti adistanza di migliaia di voticon 2000con 1000 appena. Giulente nonne aveva più di 700!

Eranotte altama il palazzo Francalanzailluminato a giornorisplendeva da tutte le finestre. Una folla sterminata traeva acongratularsi -"colprimo eletto del popolo";per le scale era un brusìo incessante; nelle sale non sirespirava. Consalvoraggiantecircolava a stento in mezzo allafolla compattaafferrava tutte le manisi stringeva addosso a tuttele personeguarito interamentecome per incantodalla manìadell'isolamento e dei contaginella pazza gioia del magnificotrionfo. E quando una grande fiaccolataun'immensa dimostrazione conmusiche e bandierevenne ad acclamarlo freneticamenteegli si feceal balconearringò la follasi diede nuovamente in pascoloalla sua curiositàcome un tribuno.

Pertre giorni la città fu in un continuo fermento: ogni sera ladimostrazione si rinnovaval'entusiasmo invece di raffreddarsicresceva. Fra il basso popolo una canzonettasull'aria del MastroRaffaelefuroreggiava:


Evvivail principino

Chepaga a tutti il vino;

EvvivaFrancalanza

Chea tutti empie la panza.


Gruppidi ubriachi gridavano: -"VivaVittorio Emanuele! Viva la rivoluzione! Viva Sua Santità!..."cose ancora più pazze. Per tre giorni il palazzo restòancora invaso dalla gente che veniva a congratularsi: una processioneincessante dalle dieci del mattino a mezzanottecon appena due oredi sosta per la colazione ed il pranzo. Modestamenteegli tentavaparlare dei risultati generalidell'-"ottimoesperimento"che aveva fatto la nuova leggedel senno di cui avevano dato provagl'italiani; ma non lo lasciavano diregli parlavano soltanto diluidella sua clamorosameritata vittoria.

Ilquarto giorno uscì nelle vie. Si spezzò il bracciodalle tante scappellatedalle tante strette di mano. La gioia gli sileggeva in visotraspariva da tutti i suoi atti e da tutte le sueparolenonostante lo studio per contenerla. Stanco di veder genteper assaporare altrimenti il proprio trionfo pensò di farvisita ai parenti. Cominciò dal ducache veramente stavamalecon gli ottanta anni di maneggi e d'intrighi sulle spalle.

-"Ècontenta Vostra Eccellenza dei risultati?"gli domandò Consalvo.

Mail vecchioquantunque avesse raccomandato a tutti il nipote perchéil potere restasse in famigliapure non sapeva difendersi da unsenso d'invidia gelosa pel nuovo astro che sorgevamentre egli nonsolo era tramontato politicamentema sentiva di aver poco da vivere.

-"Hosentito... va bene..."borbottò seccamente.

-"Havisto pure che nel resto d'Italia tutto è andato benissimo?Pareva dovesse cascare il mondoe i radicali sono appena qualchedozzina. Anche la destra ha guadagnato..."

Eglipiaggiava un poco lo ziodel quale aspettava adesso l'eredità.A Roma avrebbe avuto bisogno di denaridi molti denari; quanto piùricco sarebbe statotanto più presto avrebbe conquistato ilsuo posto nella capitale. E la specie di freddezza che gli dimostravail duca non lo inquietava: a chi avrebbe dovuto lasciare la suasostanzase non all'erede del nome degli Uzeda? Ai figli di Teresaforse?

Lasciatala casa dello zioegli andò dalla sorella. Se doveva essergrato a costei per la generosità con la quale s'era vistotrattato al tempo della morte del padrenon le aveva tuttaviaperdonato il rifiuto di aiutarlo durante la lotta: voleva ora farlevedere che anche da solo aveva saputo trionfare. Ma Teresa non c'era.Il portinaio gli disse che la duchessa nuora era uscita con lacarrozza di campagnainsieme con Monsignor Vicario. Egli salìtuttaviae trovò la vecchia duchessa con Padre Gentile.

-"Teresaè andata a Belpasso a visitare la Serva di Dio... sai benequella contadinella dei miracoli... Monsignor Vescovo non ha permessoa nessuno questo genere di visite; ha fatto un'eccezione solo per tuasorella..."

-"Lasantità della duchessa"disse compuntamente il Padre Gesuita -"spiegae legittima questa eccezione."

Consalvocredé di dover chinare un poco il capoin atto diringraziamentocome per una cortesia detta a lui stesso.

-"Equando tornerà?"

-"Staseracerto."

-"Monsignore"continuava a spiegare il Padre -"haprovvidamente impedito che questo spettacolo alimentasse la malsanacuriosità della folla; ma i sentimenti cristiani che animanola giovane signora e la distinguono fra tutte..."

Laconversazionesempre sullo stesso soggettocontinuava fra ilGesuita e la duchessa. Consalvovisto sul tavolino da lavoro accantoal quale era seduto un foglietto stampatolo scorreva con la codadell'occhio: -"formuledu serment. En présence de la Très Sainte Trinitéde la Sainte Vierge Marie et de tous les Saints qui sont nésou qui ont vécu sur le sol de... au nom des pays de... icireprésentéset devant notre vénérépasteur père et chef spirituelmoidéléguéà cet effetje déclare formée la provincechrétienne du... sous le patronage spécial de Saint...Au nom de cette nouvelle province je reconnais librement etsolennellement le Christ Jésusfils de Dieu vivantvrai Dieuet vrai hommedans l'hostie sainte exposée sur cet autelcomme notre Seigneur et maître et comme le Chef suprèmedu... Au pied du Christ Jésus nous jetons nos biensnosfamillesnos personnesnotre vienotre honneuren un mot tout cequi tient le plus au cœur de l'homme... "Contenendo a fatica il sorrisoConsalvo sorse in piedi.

-"Nonsai che Ferdinanda sta male?"gli disse la duchessa.

-"Cheha?"

-"Un'infreddatura.Ma alla sua età tutto può esser grave... Perchénon vai a trovarla?"

Egliascoltò il consiglio. Anche da quella parte poteva venirgliqualcosaun mezzo milioncino. Se fosse stato più accortoavrebbe preso con le buone la vecchiasenza rinunziarebenintesoanessuna delle proprie ambizioni. L'ostinazionela durezza di cuiaveva dato prova anche con lei erano sciocchedegne d'un Uzedastravagantenon dell'onorevole di Francalanzadell'uomo nuovo cheegli voleva essere. E arrivando in casa della vecchiain quella casadov'era venuto tante volte bambinoa veder gli stemmia udire lestorie dei Viceréad abbeverarsi d'albagia aristocraticaunmuto sorriso gli spuntò sulle labbra. Se gli elettori avesserosaputo?

-"Comesta la zia?"chiese alla camerierauna faccia nuova.

-"Cosìcosì..."rispose la donnaguardando curiosamente quel signore sconosciuto.

-"Diteleche il principe suo nipote vorrebbe vederla."

Lavecchia era capace di non riceverlo; egli aspettava la risposta conuna certa ansietà. Donna Ferdinandaudendo che c'era di làConsalvorispose alla camerieracon voce arrochita dal raffreddore:-"Lascialoentrare."Ella aveva saputo gli ultimi vituperi commessi dal nipotela parlatain pubblico come un cavadentii princìpi di castasconfessatil'inno alla libertà e alla democraziail palazzoFrancalanza invaso dalla folla dei mascalzoniBaldassarre ammessoalla tavola del principe che prima aveva servito: Lucrezia le avevanarrato ogni cosaper vendicarsiper rovinare Consalvoperportargli via l'eredità. E donna Ferdinanda aveva sentitorimescolarsi il vecchio sangue degli Uzedadallo sdegnodall'ira;ma adesso era ammalatal'egoismo della vecchiaia e dell'infermitàtemperava i suoi bollori. E Consalvo veniva a trovarla; dunques'umiliavale dava questa soddisfazione negatale per tanto tempo.Poinonostante le apostasie e i vituperiegli era tuttavia ilprincipe di Francalanza... Il capo della casail suo protetto d'unavolta... -"Lascialoentrare..."

Eglile andò incontro premurosamentesi chinò sul lettucciodi ferroquello di tant'anni addietroe domandò:

-"Ziacome sta?"

Ellafece solo un gesto ambiguo col capo.

-"Hafebbre? Mi lasci sentire il polso... Nosoltanto un po' di calore.Che cosa ha preso? Ha chiamato un dottore?"

-"Idottori sono altrettanti asini"gli rispose brevementevoltandosi con la faccia contro il muro.

-"VostraEccellenza ha ragione... sanno ben poco... ma qualcosa più dinoi sanno pure... Perché non curarsi in principio?"

Lavecchia rispose con uno scoppio di tosse cavernosa che finìcon uno scaracchio giallastro.

-"Hala tosse e non prende nulla! Le porterò io certe pastiglie chesono davvero miracolose. Mi promette di prenderle?"

DonnaFerdinanda fece il solito cenno col capo.

-"Ionon sapevo nullaaltrimenti sarei venuto prima. M'hanno detto cheVostra Eccellenza stava poco bene a momentiin casa Radalì...Sa che mia sorella è andata oggi a vedere la Serva di Dioquella di cui si narrano tante cose? È andata col Vicarioleisolamente ha avuto il permesso. Pare che sia un favore insigne...Vostra Eccellenza crede a tutto ciò che si narra?"

Nonebbe risposta. Pur continuò a parlarecomprendendo che allavecchia doveva far piacere udir chiacchiere e notizievedersiqualcuno vicino.

-"Iocol rispetto dovutonon ne credo niente. È forse peccato? Lostesso San Tommaso volle vedere e toccareprima di credere... ed erasanto!... Ma francamentecerte storie!... Teresa adesso èinfatuata... Bastaciascuno ha da vedersela con la propriacoscienza... E la zia Lucrezia che l'ha con me? Che cosa voleva cheio facessi?... Mi va sparlando per ogni dovequasi fossi l'ultimodegli uomini..."

Lavecchia non fiatavagli voltava le spalle.

-"Tuttopel grande amore del marito improvvisamente divampatole in petto!...Prima dichiarava ridicoli gli atteggiamenti di Giulente"non lo chiamava zio sapendo di farle piacere -"adessosono tutti infami coloro che non l'hanno sostenuto!"

Unnuovo scoppio di tosse fece soffiare la vecchia come un mantice.Quando calmossiella disse con voce affannatama con accento diamaro disprezzo:

-"Tempiobbrobriosi!... Razza degenere!"

Labotta era diretta anche a lui. Consalvo tacque un pocoa capo chinoma con un sorriso di beffa sulle labbrapoiché la vecchia nonpoteva vederlo. Poifiocamentecon tono d'umiltàriprese:

-"ForseVostra Eccellenza l'ha anche con me... Se ho fatto qualcosa che le èdispiaciutagliene chiedo perdono... Ma la mia coscienza non mirimprovera nulla... Vostra Eccellenza non può dolersi che unodel suo nome sia di nuovo tra i primi del paese... Forse le duole ilmezzo col quale questo risultato s'è raggiunto... Creda cheduole a me prima che a lei... Ma noi non scegliamo il tempo nel qualeveniamo al mondo; lo troviamo com'èe com'è dobbiamoaccettarlo. Del restose è vero che oggi non si sta moltobeneforse che prima si stava d'incanto?"

Nonuna sillaba di risposta.

-"VostraEccellenza giudica obbrobriosa l'età nostrané io ledirò che tutto vada per il meglio; ma è certo che ilpassato par molte volte bello solo perché è passato...L'importante è non lasciarsi sopraffare... Io mi rammento chenel Sessantunoquando lo zio duca fu eletto la prima volta deputatomio padre mi disse: "Vedi?Quando c'erano i Vicerégli Uzeda erano Viceré; orache abbiamo i deputatilo zio siede in Parlamento."Vostra Eccellenza sa che io non andai molto d'accordo con la felicememoria; ma egli disse allora una cosa che m'è parsa e mi paremolto giusta... Un tempo la potenza della nostra famiglia veniva daiRe; ora viene dal popolo... La differenza è più di nomeche di fatto... Certodipendere dalla canaglia non èpiacevole; ma neppure molti di quei sovrani erano stinchi di santo. Eun uomo solo che tiene nelle proprie mani le redini del mondo e siconsidera investito d'un potere divino e d'ogni suo capriccio falegge è più difficile da guadagnare e da serbarpropizio che non il gregge umanonumeroso ma per natura servile... Epoie poi il mutamento è più apparente che reale.Anche i Viceré d'un tempo dovevano propiziarsi la folla; senoerano ambasciatori che andavano a reclamare a Madridche neottenevano dalla Corte il richiamo... o anche la testa!... Le avrannoforse detto che un'elezione adesso costa quattrini; ma si rammentiquel che dice il Mugnòs del Viceré Lopez Ximeneschedovette offrire trentamila scudi al Re Ferdinando per restare alproprio posto... e ci rimise i quattrini! In veritàavevaragione Salomone quando diceva che non c'è niente di nuovosotto il sole! Tutti si lagnano della corruzione presente e neganofiducia al sistema elettoraleperché i voti si comprano. Masa Vostra Eccellenza che cosa narra Svetoniocelebre scrittoredell'antichità? Narra che Augustonei giorni dei comizidistribuiva mille sesterzi a testa alle tribù di cui facevaparteperché non prendessero nulla dai candidati!..."

Eglidiceva queste cose anche per se stessoper affermarsi nellagiustezza delle proprie vedute; mapoiché la vecchia non simuovevapensò che forse s'era assopita e che egli parlava almuro. S'alzòquindiper vedere: donna Ferdinanda aveva gliocchi spalancati. Egli continuòpasseggiando per la camera:

-"Lastoria è una monotona ripetizione; gli uomini sono statisonoe saranno sempre gli stessi. Le condizioni esteriori mutano; certotra la Sicilia di prima del Sessantaancora quasi feudalee questad'oggi pare ci sia un abisso; ma la differenza è tuttaesteriore. Il primo eletto col suffragio quasi universale non èné un popolanoné un borghesené undemocratico: sono ioperché mi chiamo principe diFrancalanza. Il prestigio della nobiltà non è e non puòessere spento. Ora che tutti parlano di democraziasa qual èil libro più cercato alla biblioteca dell'Universitàdove io mi reco qualche volta per i miei studi? L'Araldo sicolodello zio don Eugeniofelice memoria. Dal tanto maneggiarlonehanno sciupato tre volte la legatura! E consideri un poco: primaadesser nobileuno godeva grandi prerogativeprivilegiimmunitàesenzioni di molta importanza. Adessose tutto ciò èfinitose la nobiltà è una cosa puramente ideale enondimeno tutti la cercanonon vuol forse dire che il suo valore eil suo prestigio sono cresciuti?... In politicaVostra Eccellenza haserbato fede ai Borbonie questo suo sentimento è certorispettabilissimoconsiderandoli come i sovrani legittimi... Ma lalegittimità loro da che dipende? Dal fatto che sono stati sultrono per più di cento anni... Di qui a ottant'anni VostraEccellenza riconoscerebbe dunque come legittimi anche i Savoia...Certola monarchia assoluta tutelava meglio gl'interessi dellanostra casta; ma una forza superioreuna corrente irresistibile l'hatravolta... Dobbiamo farci mettere il piede sul collo anche noi? ilnostro dovereinvece di sprezzare le nuove leggimi pare quello diservircene!..."

Travoltodalla foga oratorianel tripudio del recente trionfocol bisogno digiustificarsi agli occhi propridi rimettersi nelle buone graziedella vecchiaegli improvvisava un altro discorsoil verolaconfutazione di quello tenuto dinanzi alla canagliae la vecchiastava ad ascoltarlosenza più tossiresoggiogataall'eloquenza del nipotedivertita e quasi cullata da quellarecitazione enfatica e teatrale.

-"Sirammenta Vostra Eccellenza le letture del Mugnòs?..."continuava Consalvo. -"Orbeneimaginiamo che quello storico sia ancora in vita e voglia mettere agiorno il suo Teatro genologico al capitolo: Della famigliaUzeda. Che cosa direbbe? Direbbe press'a poco: "DonGafpare Vzeda""egli pronunziò f la s e v la u-""fupromosso ai maggiori carichiin quel travolgimento del nostro Regnoche passò dal Re don Francesco ii di Borbone al Re donVittorio Emanuele ii di Savoia. Fu egli deputato al NazionalParlamento di TorinoFiorenza e Romaet ultimamente dal Re donUmberto have stato sublimato con singolar dispaccio al carico disenatore. Don Consalvo de Uzedaviii prencipe di Francalanzatennepoter di sindaco della sua città nativaindi deputato alParlamento di Roma et in prosieguo...""Tacque un pocochiudendo gli occhi: si vedeva già al bancodei ministria Montecitorio; poi riprese: -"Questodirebbe il Mugnòs redivivo; questo diranno con altre parole ifuturi storici della nostra casa. Gli antichi Uzeda eranocommendatori di San Giacomoora hanno la commenda della Coronad'Italia. È una cosa diversama non per colpa loro! E VostraEccellenza li giudica degeneri! Scusiperché?"

Lavecchia non rispose.

-"Fisicamentesì; il nostro sangue è impoverito; eppure ciònon impedisce a molti dei nostri di arrivare sani e vegetiall'invidiabile età di Vostra Eccellenza!... Al moraleessisono spesso cocciutistravagantibislacchitalvolta..."voleva aggiungere -"pazzi"ma passò oltre. -"Nonstanno in pace tra lorosi dilaniano continuamente. Ma VostraEccellenza pensi al passato! Si rammenti quel Blasco Uzeda"cognominatonella lingua siciliana Sciarrache nel tosco idioma Rissa diremmo";si rammenti di quell'altro Artale Uzedacognominato SconzacioèGuasta!... Io e mio padre non siamo andati d'accordoed egli midiseredò; ma il Viceré Ximenes imprigionò suofigliolo fece condannare a morte... Vostra Eccellenza vede chesotto qualche aspetto è bene che i tempi siano mutati!... Erammenti la fellonia dei figli di Artale ; rammenti tutte le liti traparentipei beni confiscatiper le doti delle femmine... Conquestonon intendo giustificare ciò che accade ora. Noi siamotroppo volubili e troppo cocciuti ad un tempo. Guardiamo la ziaChiaraprima capace di morire piuttosto che di sposare il marchesepoi un'anima in due corpi con luipoi in guerra ad oltranza.Guardiamo la zia Lucrezia cheviceversafece pazzie per sposareGiulentepoi lo disprezzò come un servoe adesso ètutta una cosa con luifino al punto di far la guerra a me e dispingerlo al ridicolo del fiasco elettorale! Guardiamoin un altrosensola stessa Teresa. Per obbedienza filialeper farsi dar dellasantasposò chi non amavaaffrettò la pazzia ed ilsuicidio del povero Giovannino; e adesso va ad inginocchiarsi tutti igiorni nella cappella della Beata Ximenadove arde la lampada accesaper la salute del povero cugino! E la Beata Ximena che cosa fu se nonuna divina cocciuta? Io stessoil giorno che mi proposi di mutarvitanon vissi se non per prepararmi alla nuova. Ma la storia dellanostra famiglia è piena di simili conversioni repentinedisimili ostinazioni nel bene e nel male... Io farei veramentedivertire Vostra Eccellenzascrivendole tutta la cronacacontemporanea con lo stile degli antichi autori: Vostra Eccellenzariconoscerebbe subito che il suo giudizio non è esatto. Nolanostra razza non è degenerata: è sempre la stessa."