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Edmondode Amicis



CUORE






OTTOBRE


Ilprimo giorno di scuola

17lunedì


Oggi primo giorno di scuola. Passarono come un sogno quei tre mesidi vacanza in campagna! Mia madre mi condusse questa mattina allaSezione Baretti a farmi inscrivere per la terza elementare: iopensavo alla campagna e andavo di mala voglia. Tutte le stradebrulicavano di ragazzi; le due botteghe di libraio eranoaffollate di padri e di madri che compravano zainicartelle equadernie davanti alla scuola s'accalcava tanta gente che ilbidello e la guardia civica duravan fatica a tenere sgombra laporta. Vicino alla portami sentii toccare una spalla: era il miomaestro della secondasempre allegrocoi suoi capelli rossiarruffatiche mi disse: - DunqueEnricosiamo separati persempre? - Io lo sapevo bene; eppure mi fecero pena quelle parole.Entrammo a stento. Signoresignoridonne del popolooperaiufficialinonneservetutti coi ragazzi per una mano e i librettidi promozione nell'altraempivan la stanza d'entrata e lescalefacendo un ronzio che pareva d'entrare in un teatro. Lorividi con piacere quel grande camerone a terrenocon le portedelle sette classidove passai per tre anni quasi tutti i giorni.C'era follale maestre andavano e venivano. La mia maestra dellaprima superiore mi salutò di sulla porta della classe e midisse: - Enricotu vai al piano di sopraquest'anno; non tivedrò nemmen più passare! - e mi guardò contristezza. Il Direttore aveva intorno delle donne tutte affannateperché non c'era più posto per i loro figliuolie miparve ch'egli avesse la barba un poco più bianca che l'annopassato. Trovai dei ragazzi cresciutiingrassati. Al pian terrenodove s'eran già fatte le ripartizionic'erano dei bambinidelle prime inferiori che non volevano entrare nella classe es'impuntavano come somarellibisognava che li tirassero dentro aforza; e alcuni scappavano dai banchi; altrial veder andar viai parentisi mettevano a piangeree questi dovevan tornare indietroa consolarli o a ripigliarselie le maestre si disperavano. Ilmio piccolo fratello fu messo nella classe della maestra Delcati;io dal maestro Perbonisu al primo piano. Alle dieci eravamo tuttiin classe: cinquantaquattro: appena quindici o sedici dei mieicompagni della secondafra i quali Derossiquello che ha sempreil primo premio. Mi parve così piccola e triste lascuola pensando ai boschialle montagne dove passai l'estate!Anche ripensavo al mio maestro di secondacosì buonoche rideva sempre con noie piccoloche pareva un nostrocompagnoe mi rincresceva di non vederlo più làcoi suoi capelli rossi arruffati. Il nostro maestro èaltosenza barba coi capelli grigi e lunghie ha una rugadiritta sulla fronte; ha la voce grossae ci guarda tuttifissol'un dopo l'altrocome per leggerci dentro; e non ridemai. Io dicevo tra me: - Ecco il primo giorno. Ancora nove mesi.Quanti lavoriquanti esami mensiliquante fatiche! - Avevoproprio bisogno di trovar mia madre all'uscita e corsi a baciarlela mano. Essa mi disse: - Coraggio Enrico!

Studieremoinsieme. - E tornai a casa contento. Ma non ho più il miomaestrocon quel sorriso buono e allegroe non mi par piùbella come prima la scuola.



Ilnostro maestro

18martedì

Ancheil mio nuovo maestro mi piacedopo questa mattina. Durantel'entratamentre egli era già seduto al suo postos'affacciava di tanto in tanto alla porta della classe qualcunodei suoi scolari dell'anno scorsoper salutarlo; s'affacciavanopassandoe lo salutavano: - Buongiornosignor maestro. - Buongiornosignor Perboni; - alcuni entravanogli toccavan la mano escappavano.

Sivedeva che gli volevan bene e che avrebbero voluto tornare conlui. Egli rispondeva: - Buon giorno- stringeva le mani chegli porgevano; ma non guardava nessunoad ogni saluto rimanevaseriocon la sua ruga diritta sulla frontevoltato verso lafinestrae guardava il tetto della casa di facciae invece dirallegrarsi di quei salutipareva che ne soffrisse. Poi guardavanoil'uno dopo l'altroattento. Dettandodiscese a passeggiarein mezzo ai banchie visto un ragazzo che aveva il viso tutto rossodi bollicinesmise di dettaregli prese il viso fra le manie lo guardò; poi gli domandò che cos'aveva e gli posòuna mano sulla fronte per sentir s'era calda. In quel mentreun ragazzo dietro di lui si rizzò sul banco e si mise afare la marionetta. Egli si voltò tutt'a un tratto; ilragazzo risedette d'un colpoe restò lìcol capobassoad aspettare il castigo. Il maestro gli pose una mano sulcapo e gli disse: - Non lo far più. - Nient'altro. Tornòal tavolino e finì di dettare. Finito di dettareciguardò un momento in silenzio; poi disse adagio adagioconla sua voce grossama buona: - Sentite. Abbiamo un anno da passareinsieme. Vediamo di passarlo bene. Studiate e siate buoni. Io nonho famiglia. La mia famiglia siete voi. Avevo ancora mia madrel'anno scorso: mi è morta. Son rimasto solo. Non ho piùche voi al mondonon ho più altro affettoaltro pensieroche voi. Voi dovete essere i miei figliuoli. Io vi voglio benebisogna che vogliate bene a me. Non voglio aver da punire nessuno.Mostratemi che siete ragazzi di cuore; la nostra scuola saràuna famiglia e voi sarete la mia consolazione e la mia alterezza.Non vi domando una promessa a parole; son certo chenel vostrocuorem'avete già detto di sì. E vi ringrazio. - Inquel punto entrò il bidello a dare il .finis.. Uscimmo tuttidai banchi zitti zitti.

Ilragazzo che s'era rizzato sul banco s'accostò al maestroegli disse con voce tremante: - Signor maestromi perdoni. - Ilmaestro lo baciò in fronte e gli disse: - Vàfigliuolmio.



Unadisgrazia

21venerdì


L'anno è cominciato con una disgrazia. Andando alla scuolaquesta mattinaio ripetevo a mio padre quelle parole del maestroquando vedemmo la strada piena di genteche si serrava davantialla porta della Sezione. Mio padre disse subito: - Unadisgrazia! L'anno comincia male! - Entrammo a gran fatica. Ilgrande camerone era affollato di parenti e di ragazziche imaestri non riuscivano a tirar nelle classie tutti eranrivolti verso la stanza del Direttoree s'udiva dire: - Poveroragazzo! Povero Robetti! - Al disopra delle testein fondo allastanza piena di gentesi vedeva l'elmetto d'una guardia civica ela testa calva del Direttore: poi entrò un signore colcappello altoe tutti dissero: - è il medico. - Mio padredomandò a un maestro: - Cos'è stato? - Gli èpassata la ruota sul piede- rispose. - Gli ha rotto il piede-disse un altro. Era un ragazzo della secondache venendo a scuolaper via Dora Grossa e vedendo un bimbo della prima inferioresfuggito a sua madrecadere in mezzo alla stradaa pochi passida un omnibus che gli veniva addossoera accorso arditamentel'aveva afferrato e messo in salvo; ma non essendo stato lesto aritirare il piedela ruota dell'omnibus gli era passata su. èfigliuolo d'un capitano d'artiglieria. Mentre ci raccontavano questouna signora entrò nel camerone come una pazzarompendo lafolla: era la madre di Robettiche avevan mandato a chiamare;un'altra signora le corse incontroe le gettò le braccia alcollosinghiozzando: era la madre del bambino salvato.

Tutt'edue si slanciarono nella stanzae s'udì un grido disperato: -Oh Giulio mio! Bambino mio! - In quel momento si fermò unacarrozza davanti alla portae poco dopo comparve il Direttore colragazzo in braccioche appoggiava il capo sulla sua spallacolviso bianco e gli occhi chiusi. Tutti stettero zitti: si sentivano isinghiozzi della madre. Il Direttore si arrestò unmomentopallidoe sollevò un poco il ragazzo con tutt'edue le braccia per mostrarlo alla gente. E allora maestrimaestreparentiragazzimormorarono tutti insieme: - BravoRobetti! - Bravopovero bambino! - e gli mandavano dei baci; lemaestre e i ragazzi che gli erano intornogli baciaron lemani e le braccia. Egli aperse gli occhie disse: - La miacartella! - La madre del piccino salvato gliela mostròpiangendo e gli disse: - Te la porto iocaro angiolote la portoio. - E intanto sorreggeva la madre del feritoche si copriva ilviso con le mani. Uscironoadagiarono il ragazzo nella carrozzalacarrozza partì. E allora rientrammo tutti nella scuolainsilenzio.



Ilragazzo calabrese

22sabato


Ieri seramentre il maestro ci dava notizie del povero Robettiche dovrà camminare con le stampelleentrò ilDirettore con un nuovo iscrittoun ragazzo di viso moltobrunocoi capelli nericon gli occhi grandi e nericon lesopracciglia folte e raggiunte sulla frontetutto vestito di scurocon una cintura di marocchino nero intorno alla vita. Il Direttoredopo aver parlato nell'orecchio al maestrose ne uscìlasciandogli accanto il ragazzoche guardava noi con quegliocchioni nericome spaurito. Allora il maestro gli prese unamanoe disse alla classe: - Voi dovete essere contenti. Oggi entranella scuola un piccolo italiano nato a Reggio di Calabriaa più di cinquecento miglia di qua. Vogliate bene alvostro fratello venuto di lontano.

Egliè nato in una terra gloriosache diede all'Italia degliuomini illustrie le dà dei forti lavoratori e dei bravisoldati; in una delle più belle terre della nostra patriadove son grandi foreste e grandi montagneabitate da un popolopieno d'ingegnodi coraggio. Vogliategli benein maniera chenon s'accorga di esser lontano dalla città dove ènato; fategli vedere che un ragazzo italianoin qualunque scuolaitaliana metta il piedeci trova dei fratelli. Detto questos'alzò e segnò sulla carta murale d'Italia il puntodov'è Reggio di Calabria. Poi chiamò forte: - ErnestoDerossi! - quello che ha sempre il primo premio. Derossis'alzò. - Vieni qua- disse il maestro.

Derossiuscì dal banco e s'andò a mettere accanto al tavolinoin faccia al calabrese. - Come primo della scuola- gli disseil maestro- dà l'abbraccio del benvenutoin nome di tuttala classeal nuovo compagno; l'abbraccio dei figliuoli delPiemonte al figliuolo della Calabria. - Derossi abbracciòil calabresedicendo con la sua voce chiara: - Benvenuto! - equesti baciò lui sulle due guanciecon impeto. Tuttibatterono le mani. - Silenzio! - gridò il maestro- non sibatton le mani in iscuola! - Ma si vedeva che era contento.

Ancheil calabrese era contento. Il maestro gli assegnò ilposto e lo accompagnò al banco. Poi disse ancora: -Ricordatevi bene di quello che vi dico. Perché questofatto potesse accadereche un ragazzo calabrese fosse come in casasua a Torino e che un ragazzo di Torino fosse come a casa propriaa Reggio di Calabriail nostro paese lottò percinquant'anni e trentamila italiani morirono. Voi doveterispettarviamarvi tutti fra voi; ma chi di voi offendesse questocompagno perché non è nato nella nostraprovinciasi renderebbe indegno di alzare mai più gliocchi da terra quando passa una bandiera tricolore. - Appena ilcalabrese fu seduto al postoi suoi vicini gli regalarono dellepenne e una stampae un altro ragazzodall'ultimo bancogli mandòun francobollo di Svezia.



Imiei compagni

25martedì


Il ragazzo che mandò il francobollo al calabrese èquello che mi piace più di tuttisi chiama Garroneèil più grande della classe ha quasi quattordici annilatesta grossale spalle larghe; è buonosi vede quandosorride; ma pare che pensi semprecome un uomo. Ora neconosco già molti dei miei compagni. Un altro mi piace pureche ha nome Corettie porta una maglia color cioccolata e unberretto di pelo di gatto: sempre allegrofigliuolo d'unrivenditore di legnache è stato soldato nella guerra del 66nel quadrato del principe Umbertoe dicono che ha tre medaglie. C'èil piccolo Nelliun povero gobbinogracile e col viso smunto.C'è uno molto ben vestitoche si leva sempre i peluzzi daipannie si chiama Votini. Nel banco davanti al mio c'è unragazzo che chiamano il muratorinoperché suo padre èmuratore; una faccia tonda come una mela con un naso apallottola: egli ha un'abilità particolaresa fare il .musodi lepre.e tutti gli fanno fare il muso di lepree ridono; portaun piccolo cappello a cencio che tiene appallottolato in tascacome un fazzoletto. Accanto al muratorino c'è Garoffiuncoso lungo e magro col naso a becco di civetta e gli occhi moltopiccoliche traffica sempre con penniniimmagini e scatoledi fiammiferie si scrive la lezione sulle unghieper leggerladi nascosto. C'è poi un signorinoCarlo Nobischesembra molto superboed è in mezzo a due ragazzi che mison simpatici: il figliuolo d'un fabbro ferraioinsaccato in unagiacchetta che gli arriva al ginocchiopallido che par malatoe ha sempre l'aria spaventata e non ride mai; e uno coi capellirossiche ha un braccio mortoe lo porta appeso al collo: suo padreè andato in America e sua madre va attorno a vendere erbaggi.è anche un tipo curioso il mio vicino di sinistra-Stardi- piccolo e tozzosenza colloun grugnone che non parlacon nessunoe pare che capisca pocoma sta attento al maestrosenza batter palpebracon la fronte corrugata e coi denti stretti:e se lo interrogano quando il maestro parlala prima e laseconda volta non rispondela terza volta tira un calcio. E hadaccanto una faccia tosta e tristauno che si chiama Frantiche fu già espulso da un'altra Sezione. Ci sono anche duefratellivestiti egualiche si somigliano a pennelloeportano tutti e due un cappello alla calabresecon una penna difagiano. Ma il più bello di tuttiquello che ha piùingegnoche sarà il primo di sicuro anche quest'annoèDerossi; e il maestroche l'ha già capito lo interrogasempre. Io però voglio bene a Precossiil figliuolo delfabbro ferraioquello della giacchetta lungache pare unmalatino; dicono che suo padre lo batte; è molto timidoeogni volta che interroga o tocca qualcuno dice: - Scusami- eguarda con gli occhi buoni e tristi. Ma Garrone è il piùgrande e il più buono.



Untratto generoso

26mercoledì


E si diede a conoscere appunto questa mattinaGarrone. Quandoentrai nella scuola- un poco tardiché m'avea fermato lamaestra di prima superiore per domandarmi a che ora poteva venira casa a trovarci- il maestro non c'era ancorae tre o quattroragazzi tormentavano il povero Crossiquello coi capellirossiche ha un braccio mortoe sua madre vende erbaggi.Lo stuzzicavano colle righegli buttavano in faccia delle scorzedi castagnee gli davan dello storpio e del mostrocontraffacendolocol suo braccio al collo. Ed egli tutto solo infondo al bancosmortostava a sentireguardando ora l'uno oral'altro con gli occhi supplichevoliperché lo lasciasserostare.

Magli altri sempre più lo sbeffavanoed egli cominciò atremare e a farsi rosso dalla rabbia. A un tratto Frantiquella brutta facciasalì sur un bancoe facendo mostra diportar due cesti sulle bracciascimmiottò la mamma diCrossiquando veniva a aspettare il figliuolo alla portaperchéora è malata. Molti si misero a ridere forte. AlloraCrossi perse la testa e afferrato un calamaio glie lo scaraventòal capo di tutta forzama Franti fece civettae il calamaio andòa colpire nel petto il maestro che entrava.

Tuttiscapparono al postoe fecero silenzioimpauriti.

Ilmaestropallidosalì al tavolinoe con voce alteratadomandò:

-Chi è stato?

Nessunorispose.

Ilmaestro gridò un'altra voltaalzando ancora la voce: - Chi è?

AlloraGarronemosso a pietà del povero Crossisi alzò discattoe disse risolutamente: - Son io.

Ilmaestro lo guardòguardò gli scolari stupiti;poi disse con voce tranquilla: - Non sei tu.

Edopo un momento: - Il colpevole non sarà punito. S'alzi!

IlCrossi s'alzòe disse piangendo: - Mi picchiavano em'insultavanoio ho perso la testaho tirato...

-Siedi- disse il maestro. - S'alzino quelli che lo han provocato.

Quattros'alzarono col capo chino.

-Voi- disse il maestro- avete insultato un compagno che non viprovocavaschernito un disgraziatopercosso un debole che non sipuò difendere. Avete commesso una delle azioni piùbassepiù vergognose di cui si possa macchiare unacreatura umana. Vigliacchi!

Dettoquestoscese tra i banchimise una mano sotto il mento a Garroneche stava col viso bassoe fattogli alzare il visolo fissònegli occhie gli disse: - Tu sei un'anima nobile.

Garronecolto il momentomormorò non so che parole nell'orecchio almaestroe questivoltatosi verso i quattro colpevolidissebruscamente: - Vi perdono.



Lamia maestra di prima superiore

27giovedì


La mia maestra ha mantenuto la promessaè venuta oggi acasanel momento che stavo per uscire con mia madreperportar biancheria a una donna poveraraccomandata dalla .Gazzetta..Era un anno che non l'avevamo più vista in casa nostra.Tutti le abbiamo fatto festa. è sempre quellapiccolacolsuo velo verde intorno al cappellovestita alla buona e pettinatamaleché non ha tempo di rilisciarsi; ma un poco piùscolorita che l'anno passatocon qualche capello biancoe tossesempre. Mia madre glie l'ha detto: - E la salutecara maestra?Lei non si riguarda abbastanza! - Ehnon importa- ha rispostocolsuo sorriso allegro insieme e malinconico. - Lei parla troppoforte- ha soggiunto mia madre- si affanna troppo coi suoiragazzi. - è vero; si sente sempre la sua vocemi ricordodi quando andavo a scuola da lei: parla sempreparla perchéi ragazzi non si distragganoe non sta un momento seduta. N'eroben sicuro che sarebbe venutaperché non si scorda mai deisuoi scolari; ne rammenta i nomi per anni; i giorni d'esamemensilecorre a domandar al Direttore che punti hanno avuto; liaspetta all'uscitae si fa mostrar le composizioni per vederese hanno fatto progressi; e molti vengono ancora a trovarla dalGinnasioche han già i calzoni lunghi e l'orologio.Quest'oggi tornava tutta affannata dalla Pinacotecadove avevacondotto i suoi ragazzi come gli anni passatiche ogni giovedìli conduceva tutti a un museoe spiegava ogni cosa. Poveramaestraè ancora dimagrita. Ma è sempre vivas'accalora sempre quando parla della sua scuola. Ha voluto rivedereil letto dove mi vide molto malato due anni fae che ora èdi mio fratellolo ha guardato un pezzo e non poteva parlare. Hadovuto scappar presto per andar a visitare un ragazzo dellasua classefigliuolo d'un sellaiomalato di rosolia; e avevaper di più un pacco di pagine da correggeretutta la seratada lavoraree doveva ancor dare una lezione privatad'aritmetica a una bottegaiaprima di notte. - EbbeneEnrico-m'ha dettoandandosene- vuoi ancora bene alla tua maestraora che risolvi i problemi difficili e fai le composizioni lunghe? -M'ha baciatom'ha ancora detto d'in fondo alla scala: - Non miscordaresaiEnrico! - O mia buona maestramaimai non tiscorderò.

Anchequando sarò grandemi ricorderò ancora di te eandrò a trovarti fra i tuoi ragazzi; e ogni volta chepasserò vicino a una scuola e sentirò la voce d'unamaestrami parrà di sentir la tua vocee ripenseròai due anni che passai nella scuola tuadove imparai tante cosedove ti vidi tante volte malata e stancama sempre premurosasempre indulgente disperata quando uno pigliava un mal vezzo delledita a scriveretremante quando gli ispettori c'interrogavanofelice quando facevamo buona figurabuona sempre e amorosa comeuna madre. Maimai non mi scorderò di temaestra mia.



Inuna soffitta

28venerdì


Ieri sera con mia madre e con mia sorella Silvia andammo a portar labiancheria alla donna povera raccomandata dal giornale: io portai ilpaccoSilvia aveva il giornalecon le iniziali del nome el'indirizzo. Salimmo fin sotto il tetto d'una casa altain uncorridoio lungodov'erano molti usci. Mi madre picchiòall'ultimo: ci aperse una donna ancora giovanebionda e macilentache subito mi parve d'aver già visto altre voltecon quelmedesimo fazzoletto turchino che aveva in capo. - Siete voi quelladel giornalecosì e così? - domandò miamadre. - Sìsignorason io. - Ebbenev'abbiamoportato un poco di biancheria. - E quella a ringraziare e abenedireche non finiva più. Io intanto vidi in unangolo della stanza nuda e scura un ragazzo inginocchiato davanti auna seggiolacon la schiena volta verso di noiche parea chescrivesse: e proprio scrivevacon la carta sopra la seggiolae aveva il calamaio sul pavimento. Come faceva a scrivere cosìal buio? Mentre dicevo questo tra meecco a un tratto chericonosco i capelli rossi e la giacchetta di frustagno di Crossiil figliuolo dell'erbivendoloquello del braccio morto. Iolo dissi piano a mia madrementre la donna riponeva la roba. -Zitto! - rispose mia madre- può esser che si vergogni avedertiche fai la carità alla sua mammanon lo chiamare-. Ma in quel momento Crossi si voltòio rimasiimbarazzatoegli sorrisee allora mia madre mi diede una spintaperché corressi a abbracciarlo. Io l'abbracciaieglis'alzò e mi prese per mano. - Eccomi qui- diceva in quelmentre sua madre alla mia- sola con questo ragazzoil maritoin America da sei annied io per giunta malatache non posso piùandare in giro con la verdura a guadagnare quei pochi soldi. Non ciè rimasto nemmeno un tavolino per il mio povero Luiginodafarci il lavoro.

Quandoci avevo il banco giù nel portonealmeno poteva scrivere sulbanco; ora me l'han levato. Nemmeno un poco di lume da studiaresenza rovinarsi gli occhi.

ègrazia se lo posso mandar a scuolaché il municipio glidà i libri e i quaderni. Povero Luiginoche studierebbetanto volentieri! Povera donna che sono! - Mia madre le diedetutto quello che aveva nella borsabaciò il ragazzoequasi piangevaquando uscimmo. E aveva ben ragione di dirmi: -Guarda quel povero ragazzocom'è costretto a lavoraretu chehai tutti i tuoi comodie pure ti par duro lo studio! Ah! Enricomioc'è più merito nel suo lavoro d'un giorno che neltuo lavoro d'un anno. A quelli lì dovrebbero dare i primipremi!



Lascuola

28venerdì


Sìcaro Enricolo studio ti è duro.come ti dice tua madrenon ti vedo ancora andare alla scuola con quell'animo risoluto econ quel viso ridentech'io vorrei. Tu fai ancora ilrestìo. Ma senti: pensa un pò che miseraspregevolecosa sarebbe la tua giornata se tu non andassi a scuola! A manigiuntea capo a una settimanadomanderesti di ritornarcirosodalla noia e dalla vergognastomacato dei tuoi trastulli e dellatua esistenza. Tuttitutti studiano oraEnrico mio. Pensaagli operai che vanno a scuola la sera dopo aver faticato tutta lagiornataalle donnealle ragazze del popolo che vanno a scuolala domenicadopo aver lavorato tutta la settimanaai soldati chemetton mano ai libri e ai quaderni quando tornano spossati dagliesercizipensa ai ragazzi muti e ciechiche pure studianoefino ai prigionieriche anch'essi imparano a leggere e a scrivere.Pensala mattina quando esci; che in quello stesso momentonella tua stessa cittàaltri trentamila ragazzi vanno comete a chiudersi per tre ore in una stanza a studiare. Ma che! Pensaagli innumerevoli ragazzi che presso a poco a quell'ora vanno ascuola in tutti i paesivedili con l'immaginazionechevannovannoper i vicoli dei villaggi quietiper le stradedelle città rumoroselungo le rive dei mari e dei laghidove sotto un sole ardentedove tra le nebbiein barca nei paesiintersecati da canalia cavallo per le grandi pianurein slittasopra le neviper valli e per collinea traverso a boschi e atorrentisu per sentier solitari delle montagnesolia coppiea gruppia lunghe filetutti coi libri sotto il bracciovestitiin mille modiparlanti in mille linguedalle ultime scuoledella Russia quasi perdute fra i ghiacci alle ultime scuoledell'Arabia ombreggiate dalle palmemilioni e milionitutti aimparare in cento forme diverse le medesime coseimmagina questovastissimo formicolìo di ragazzi di cento popoliquestomovimento immenso di cui fai partee pensa: - Se questomovimento cessassel'umanità ricadrebbe nella barbariequesto movimento è il progressola speranzala gloria delmondo. - Coraggio dunquepiccolo soldato dell'immenso esercito.I tuoi libri son le tue armila tua classe è la tuasquadrail campo di battaglia è la terra interae lavittoria è la civiltà umana. Non essere un soldatocodardoEnrico mio..

Tuo padre



Ilpiccolo patriota padovano

Raccontomensile

29sabato


Non sarò un soldato codardono; ma ci andrei molto piùvolentieri alla scuolase il maestro ci facesse ogni giorno unracconto come quello di questa mattina. Ogni mesedissece ne faràunoce lo darà scrittoe sarà sempre il raccontod'un atto bello e verocompiuto da un ragazzoIl piccolopatriotta padovano. s'intitola questo. Ecco il fatto. Unpiroscafo francese partì da Barcellonacittà dellaSpagnaper Genovae c'erano a bordo francesiitalianispagnuolisvizzeri. C'erafra gli altriun ragazzo di undici annimal vestitosoloche se ne stava sempre in dispartecomeun animale selvaticoguardando tutti con l'occhio torvo. E avevaben ragione di guardare tutti con l'occhio torvo. Due anni primasuo padre e sua madrecontadini nei dintorni di Padoval'avevanovenduto al capo d'una compagnia di saltimbanchi; il qualedopoavergli insegnato a fare i giochi a furia di pugnidi calci e didigiunise l'era portato a traverso alla Francia e allaSpagnapicchiandolo sempre e non sfamandolo mai. Arrivato aBarcellonanon potendo più reggere alle percosse e allafameridotto in uno stato da far pietàera fuggito dalsuo aguzzinoe corso a chieder protezione al Console d'Italiailqualeimpietositol'aveva imbarcato su quel piroscafodandogliuna lettera per il Questore di Genovache doveva rimandarlo aisuoi parenti; ai parenti che l'avevan venduto come una bestia.Il povero ragazzo era lacero e malaticcio. Gli avevan datouna cabina nella seconda classe. Tutti lo guardavano;qualcuno lo interrogava: ma egli non rispondevae pareva cheodiasse e disprezzasse tuttitanto l'avevano inasprito eintristito le privazioni e le busse. Tre viaggiatorinon di menoaforza d'insistere con le domanderiuscirono a fargli snodare lalinguae in poche parole rozzemiste di venetodi spagnuolo edi franceseegli raccontò la sua storia. Non erano italianiquei tre viaggiatori; ma capironoe un poco per compassioneunpoco perché eccitati dal vinogli diedero dei soldiceliando e stuzzicandolo perché raccontasse altre cose; edessendo entrate nella salain quel momentoalcune signoretutti e tre per farsi vederegli diedero ancora del denarogridando: - Piglia questo! - Piglia quest'altro! - e facendo sonarle monete sulla tavola.

Ilragazzo intascò ogni cosaringraziando a mezza vocecol suofare burberoma con uno sguardo per la prima volta sorridente eaffettuoso. Poi s'arrampicò nella sua cabinatiròla tendae stette quetopensando ai fatti suoi. Con quei danaripoteva assaggiare qualche buon boccone a bordodopo due anni chestentava il pane; poteva comprarsi una giacchettaappena sbarcatoa Genovadopo due anni che andava vestito di cenci; e potevaancheportandoli a casafarsi accogliere da suo padre e dasua madre un poco più umanamente che non l'avrebbero accoltose fosse arrivato con le tasche vuote. Erano una piccola fortunaper lui quei denari. E a questo egli pensavaracconsolatodietrola tenda della sua cabinamentre i tre viaggiatori discorrevanoseduti alla tavola da pranzoin mezzo alla sala dellaseconda classe. Bevevano e discorrevano dei loro viaggi e deipaesi che avevan vedutie di discorso in discorsovennero aragionare dell'Italia. Cominciò uno a lagnarsi deglialberghiun altro delle strade ferratee poi tutti insiemeinfervorandosipresero a dir male d'ogni cosa. Uno avrebbepreferito di viaggiare in Lapponia; un altro diceva di non avertrovato in Italia che truffatori e briganti; il terzochegl'impiegati italiani non sanno leggere.

-Un popolo ignorante- ripete il primo.

-Sudicio- aggiunse il secondo.

-La... - esclamò il terzo; e voleva dir ladroma non potéfinir la parola:

unatempesta di soldi e di mezze lire si rovesciò sulle loro testee sulle loro spallee saltellò sul tavolo esull'impiantito con un fracasso d'inferno.

Tuttie tre s'alzarono furiosiguardando all'in sue ricevettero ancorauna manata di soldi in faccia.

-Ripigliatevi i vostri soldi- disse con disprezzo il ragazzoaffacciato fuor della tenda della cuccetta; - io non accettol'elemosina da chi insulta il mio paese.







NOVEMBRE


Lospazzacamino

1martedì


Ieri sera andai alla Sezione femminileaccanto alla nostraper dare il racconto del ragazzo padovano alla maestra diSilviache lo voleva leggere.

Settecentoragazze ci sono! Quando arrivai cominciavano a usciretutte allegreper le vacanze d'Ognissanti e dei morti; ed ecco una bella cosa chevidi. Di fronte alla porta della scuoladall'altra partedella viastava con un braccio appoggiato al muro e colla frontecontro il bracciouno spazzacaminomolto piccolotutto neroin visocol suo sacco e il suo raschiatoioe piangevadirottamentesinghiozzando. Due o tre ragazze della secondagli s'avvicinarono e gli dissero: - Che hai che piangi a quellamaniera? - Ma egli non risposee continuava a piangere. - Ma dìche cos'haiperché piangi? - gli ripeterono le ragazze. Eallora egli levò il viso dal braccio- un viso di bambino-e disse piangendo che era stato in varie case a spazzaredove s'eraguadagnato trenta soldie li aveva persigli erano scappati per lasdrucitura d'una tasca- e faceva veder la sdrucitura- e nonosava più tornare a casa senza i soldi. - Il padrone mibastona- disse singhiozzandoe riabbandonò il capo sulbracciocome un disperato. Le bambine stettero a guardarlotutte serie. Intanto s'erano avvicinate altre ragazze grandi epiccolepovere e signorinecon le loro cartelle sotto il braccioe una grandeche aveva una penna azzurra sul cappellocavòdi tasca due soldie disse: - Io non ho che due soldi: facciamo lacolletta. - Anch'io ho due soldi- disse un'altra vestita dirosso; - ne troveremo ben trenta fra tutte. - E allora cominciaronoa chiamarsi: - Amalia! - Luigia! - Annina! - Un soldo. - Chi ha deisoldi? - Qua i soldi! - Parecchie avevan dei soldi per comprarsifiori o quadernie li portaronoalcune più piccole diederodei centesimi; quella della penna azzurra raccoglieva tuttoecontava a voce alta: - Ottodieciquindici! - Ma ci volevaaltro. Allora comparve una più grande di tutteche parevaquasi una maestrinae diede mezza lirae tutte a farle festa.Mancavano ancora cinque soldi. - Ora vengono quelle della quartache ne hanno- disse una. Quelle della quarta vennero e i soldifioccarono. Tutte s'affollavano. Ed era bello a vedere quelpovero spazzacamino in mezzo a tutte quelle vestine di tanticoloria tutto quel rigirìo di pennedi nastrinidiriccioli. I trenta soldi c'erano giàe ne venivano ancorae le più piccine che non avevan denarosi facevan largotra le grandi porgendo i loro mazzetti di fioritanto per darqualche cosa. Tutt'a un tratto arrivò la portinaiagridando: - La signora Direttrice! - Le ragazze scapparonoda tutte le parti come uno stormo di passeri. E allora si vide ilpiccolo spazzacaminosolo in mezzo alla viache s'asciugava gliocchitutto contentocon le mani piene di denarie avevanell'abbottonatura della giacchettanelle taschenel cappellotanti mazzetti di fiorie c'erano anche dei fiori per terraaisuoi piedi.



Ilgiorno dei morti

2mercoledì


Questogiorno è consacrato alla commemorazione dei morti. SaiEnricoa quali morti dovreste tutti dedicare un pensiero in questogiornovoi altri ragazzi?

Aquelli che morirono per voiper i ragazziper i bambini.Quanti ne morironoe quanti ne muoiono di continuo! Pensastimai a quanti padri si logoraron la vita al lavoroa quante madridiscesero nella fossa innanzi tempoconsumate dalle privazionia cui si condannarono per sostentare i loro figliuoli? Sai quantiuomini si piantarono un coltello nel cuore per ladisperazione di vedere i propri ragazzi nella miseriaequante donne s'annegarono o moriron di dolore o impazzirono peraver perduto un bambino?

Pensaa tutti quei mortiin questo giornoEnrico. Pensa alle tantemaestre che son morte giovaniintisichite dalle fatiche dellascuolaper amore dei bambinida cui non ebbero cuore disepararsipensa ai medici che morirono di malattie attaccaticciesfidate coraggiosamente per curar dei fanciulli; pensa a tutticoloro che nei naufraginegli incendinelle carestiein unmomento di supremo pericolocedettero all'infanzia l'ultimo tozzodi panel'ultima tavola di salvamentol'ultima fune perscampare alle fiammee spirarono contenti del loro sacrificioche serbava in vita un piccolo innocente. Sono innumerevoliEnricoquesti morti; ogni cimitero ne racchiude centinaia diqueste sante creatureche se potessero levarsi un momentodalla fossa griderebbero il nome d'un fanciulloal qualesacrificarono i piaceri della gioventùla pace dellavecchiaiagli affettil'intelligenzala vita: spose divent'anniuomini nel fior delle forzevecchie ottuagenariegiovinetti- martiri eroici e oscuri dell'infanzia- cosìgrandi e così gentiliche non fa tanti fiori la terraquanti ne dovremmo dare ai loro sepolcri. Tanto siete amatiofanciulli! Pensa oggi a quei morti con gratidudinee sarai piùbuono e più affettuoso con tutti quelli che ti voglion bene eche fatican per tecaro figliuol mio fortunatoche nelgiorno dei morti non hai ancora da piangere nessuno!.

Tua madre



Ilmio amico Garrone

4venerdì


Non furon che due giorni di vacanza e mi parve di star tantotempo senza rivedere Garrone. Quanto più lo conoscotanto più gli voglio benee così segue a tutti glialtrifuorché ai prepotentiche con lui non se la diconoperché egli non lascia far prepotenze. Ogni volta che unogrande alza la mano su di uno piccoloil piccolo grida: - Garrone!- e il grande non picchia più.

Suopadre è macchinista della strada ferrata; egli cominciòtardi le scuole perché fu malato due anni. è il piùalto e il più forte della classealza un banco con unamanomangia sempreè buono. Qualunque cosa gli domandinomatitagommacartatemperinoimpresta o dà tutto; e nonparla e non ride in iscuola: se ne sta sempre immobile nel bancotroppo stretto per luicon la schiena arrotondata e il testonedentro le spalle; e quando lo guardomi fa un sorriso con gli occhisocchiusi come per dirmi: - EbbeneEnricosiamo amici?

-Ma fa rideregrande e grosso com'èche ha giacchettacalzonimanichetutto troppo stretto e troppo cortouncappello che non gli sta in capoil capo rapatole scarpegrossee una cravatta sempre attorcigliata come una corda. CaroGarronebasta guardarlo in viso una volta per prendergli affetto.

Tuttii più piccoli gli vorrebbero essere vicini di banco.Sa bene l'aritmetica. Porta i libri a castellinalegati con unacigna di cuoio rosso.

Haun coltello col manico di madreperla che trovò l'annopassato in piazza d'armie un giorno si tagliò un ditofino all'ossoma nessuno in iscuola se n'avvidee a casa nonrifiatò per non spaventare i parenti. Qualunque cosa silascia dire per celia e mai non se n'ha per male; ma guai se glidicono: - Non è vero- quando afferma una cosa: getta fuocodagli occhi allorae martella pugni da spaccare il banco.Sabato mattina diede un soldo a uno della prima superiorechepiangeva in mezzo alla stradaperché gli avevan preso il suoe non poteva più comprare il quaderno. Ora sono tre giorniche sta lavorando attorno a una lettera di otto pagine conornati a penna nei margini per l'onomastico di sua madrechespesso viene a prenderloed è alta e grossa come luiesimpatica. Il maestro lo guarda sempree ogni volta che gli passaaccanto gli batte la mano sul collo come a un buon torellotranquillo. Io gli voglio bene. Son contento quando stringo nellamia la sua grossa manoche par la mano d'un uomo. Sono cosìcerto che rischierebbe la vita per salvare un compagnoche sifarebbe anche ammazzare per difenderlosi vede così chiaronei suoi occhi; e benché paia sempre che brontoli con quelvocioneè una voce che viene da un cor gentilesi sente.



Ilcarbonaio e il signore

7lunedì


Non l'avrebbe mai detta Garronesicuramentequella parola chedisse ieri mattina Carlo Nobis a Betti. Carlo Nobis èsuperbo perché suo padre è un gran signore: unsignore altocon tutta la barba neramolto serioche viene quasiogni giorno ad accompagnare il figliuolo. Ieri mattina Nobis sibisticciò con Bettiuno dei più piccolifigliuolod'un carbonaioe non sapendo più che rispondergliperchéaveva tortogli disse forte: - Tuo padre è unostraccione. - Betti arrossì fino ai capellie non dissenullama gli vennero le lacrime agli occhie tornato a casaripeté la parola a suo padre; ed ecco il carbonaiounpiccolo uomo tutto neroche compare alla lezione deldopopranzo col ragazzo per manoa fare le lagnanze al maestro.Mentre faceva le sue lagnanze al maestroe tutti tacevanoil padredi Nobische levava il mantello al figliuolocome al solitosulla soglia dell'uscioudendo pronunciare il suo nomeentròe domandò spiegazione.

-è quest'operaio- rispose il maestro- che è venutoa lagnarsi perché il suo figliuolo Carlo disse al suoragazzo: Tuo padre è uno straccione.

Ilpadre di Nobis corrugò la fronte e arrossìleggermente. Poi domandò al figliuolo: - Hai detto quellaparola?

Ilfigliuolo- ritto in mezzo alla scuolacol capo bassodavanti alpiccolo Betti- non rispose.

Allorail padre lo prese per un braccio e lo spinse più avantiin faccia a Bettiche quasi si toccavanoe gli disse: - Domandagliscusa.

Ilcarbonaio volle interporsidicendo: - Nono. - Ma il signore nongli badòe ripeté al figliuolo: - Domandagli scusa.Ripeti le mie parole. Io ti domando scusa della parola ingiuriosainsensataignobile che dissi contro tuo padreal quale il mio...si tiene onorato di stringere la mano.

Ilcarbonaio fece un gesto risolutocome a dire: Non voglio. Ilsignore non gli diè rettae il suo figliuolo disselentamentecon un fil di vocesenza alzar gli occhi da terra: -Io ti domando scusa... della parola ingiuriosa...

insensata...ignobileche dissi contro tuo padreal quale il mio... si tieneonorato di stringer la mano.

Allorail signore porse la mano al carbonaioil quale gliela strinsecon forzae poi subito con una spinta gettò il suo ragazzofra le braccia di Carlo Nobis.

-Mi faccia il favore di metterli vicini- disse il signore almaestro. - Il maestro mise Betti nel banco di Nobis. Quando furonoal postoil padre di Nobis fece un saluto ed uscì.

Ilcarbonaio rimase qualche momento sopra pensieroguardando i dueragazzi vicini; poi s'avvicinò al bancoe fissòNobiscon espressione d'affetto e di rammaricocome se volessedirgli qualcosa; ma non disse nulla; allungò la mano perfargli una carezzama neppure osòe gli strisciòsoltanto la fronte con le sue grosse dita. Poi s'avviòall'uscioe voltatosi ancora una volta a guardarlosparì.- Ricordatevi bene di quel che avete vistoragazzi- disse ilmaestro- questa è la più bella lezione dell'anno.



Lamaestra di mio fratello

10giovedì


Il figliuolo del carbonaio fu scolaro della maestra Delcati che èvenuta oggi a trovar mio fratello malaticcioe ci ha fatto ridere araccontarci che la mamma di quel ragazzodue anni fale portòa casa una grande grembialata di carboneper ringraziarlache aveva dato la medaglia al figliuolo; e s'ostinavapoveradonnanon voleva riportarsi il carbone a casae piangeva quasiquando dovette tornarsene col grembiale pieno. Anche d'un'altrabuona donnaci ha dettoche le portò un mazzetto di fiorimolto pesantee c'era dentro un gruzzoletto di soldi. Ci siamomolto divertiti a sentirlae così mio fratello trangugiòla medicinache prima non voleva. Quanta pazienza debbono averecon quei ragazzi della prima inferioretutti sdentati comevecchiettiche non pronunziano l'erre e l'essee uno tossel'altro fila sangue dal nasochi perde gli zoccoli sotto il bancoe chi bela perché s'è punto con la pennae chipiange perché ha comprato un quaderno numero due invece dinumero uno.

Cinquantain una classeche non san nullacon quei manini di burroe doverinsegnare a scrivere a tutti! Essi portano in tasca dei pezzi diregoliziadei bottonidei turaccioli di boccettadel mattonetritatoogni specie di cose minuscolee bisogna che la maestra lifrughi; ma nascondon gli oggetti fin nelle scarpe. E non stannoattenti: un moscone che entra per la finestramette tuttisottosoprae l'estate portano in iscuola dell'erba e dei maggioliniche volano in giro o cascano nei calamai e poi rigano i quadernid'inchiostro. La maestra deve far la mamma con loroaiutarli avestirsifasciare le dita punteraccattare i berretti checascanobadare che non si scambino i cappottise no poignaulano e strillano. Povere maestre! E ancora vengono le mamme alagnarsi: come vasignorinache il mio bambino ha perso lapenna?

com'èche il mio non impara niente? perché non dà lamenzione al mioche sa tanto? perché non fa levar quelchiodo dal banco che ha stracciato i calzoni al mio Piero? Qualchevolta s'arrabbia coi ragazzi la maestra di mio fratelloe quandonon ne può piùsi morde un ditoper non lasciarandare una pacca; perde la pazienzama poi si pentee carezza ilbimbo che ha sgridato; scaccia un monello di scuolama si ribevele lacrimee va in collera coi parenti che fan digiunare i bimbiper castigo. è giovane e grande la maestra Delcatievestita benebruna e irrequietache fa tutto a scatto di mollae per un nulla si commovee allora parla con grande tenerezza. -Ma almeno i bimbi le si affezionano? - le ha detto mia madre. -Molti sì- ha risposto- ma poifinito l'annola maggiorparte non ci guardan più. Quando sono coi maestrisivergognano quasi d'essere stati da noida una maestra. Dopo dueanni di curedopo che s'è amato tanto un bambinoci fatristezza separarci da luima si dice: - Oh di quello lìson sicura; quello lì mi vorrà bene. - Ma passano levacanzesi rientra alla scuolagli corriamo incontro: - Obambinobambino mio! - E lui volta il capo da un'altra parte. -Qui la maestra s'è interrotta.

-Ma tu non farai così piccino? - ha detto poialzandosi congli occhi umidie baciando mio fratello- tu non la volterai latesta dall'altra partenon è vero? non la rinnegherai latua povera amica.



Miamadre

10giovedì


Inpresenza della maestra di tuo fratello tu mancasti di rispetto a tuamadre!

Chequesto non avvenga mai piùEnricomai più! La tuaparola irriverente m'è entrata nel cuore come una puntad'acciaio. Io pensai a tua madre quandoanni sonostette chinatatutta una notte sul tuo piccolo lettoa misurare il tuo respiropiangendo sangue dall'angoscia e battendo i denti dal terrorechécredeva di perdertied io temevo che smarrisse la ragione; e aquel pensiero provai un senso di ribrezzo per te. Tuoffender tuamadre! tua madre che darebbe un anno di felicitàper risparmiarti un'ora di doloreche mendicherebbe per teche si farebbe uccidere per salvarti la vita! SentiEnrico.Fissati bene in mente questo pensiero. Immagina pure che tisiano destinati nella vita molti giorni terribili; il piùterribile di tutti sarà il giorno in cui perderai tua madre.Mille volteEnricoquando già sarai uomoforteprovatoa tutte le lottetu la invocheraioppresso da un desiderioimmenso di risentire un momento la sua voce e di rivedere le suebraccia aperte per gettarviti singhiozzandocome un poverofanciullo senza protezione e senza conforto. Come ti ricorderaiallora d'ogni amarezza che le avrai cagionatoe con che rimorsi lesconterai tutteinfelice! Non sperar serenità nella tuavitase avrai contristato tua madre. Tu sarai pentitoledomanderai perdonovenererai la sua memoria; - inutilmente- lacoscienza non ti darà pacequella immagine dolce ebuona avrà sempre per te un'espressione di tristezza e dirimprovero che ti metterà l'anima alla tortura. O Enricobada: questo è il più sacro degli affetti umanidisgraziato chi lo calpesta. L'assassino che rispetta sua madre haancora qualcosa di onesto e di gentile nel cuoreil piùglorioso degli uominiche l'addolori e l'offendanon è cheuna vile creatura.

Chenon t'esca mai più dalla bocca una dura parola per coleiche ti diede la vita. E se una ancora te ne sfuggissenon sia iltimore di tuo padresia l'impulso dell'anima che ti getti aisuoi piedia supplicarla che col bacio del perdono ti cancellidalla fronte il marchio dell'ingratitudine. Io t'amofigliuolmiotu sei la speranza più cara della mia vita; ma vorreipiuttosto vederti morto che ingrato a tua madre. Vàe perun po' di tempo non portarmi più la tua carezza; non te lapotrei ricambiare col cuore..

Tuo padre



Ilmio compagno Coretti

13domenica


Mio padre mi perdonò; ma io rimasi un poco tristee alloramia madre mi mandò col figliuolo grande del portinaio a fareuna passeggiata sul corso. A metà circa del corsopassando vicino a un carro fermo davanti a una bottegami sentochiamare per nomemi volto: era Corettiil mio compagno di scuolacon la sua maglia color cioccolata e il suo berretto di pelo digatto tutto sudato e allegroche aveva un gran carico di legnasulle spalle. Un uomo ritto sul carro gli porgeva unabracciata di legna per voltaegli le pigliava e le portava nellabottega di suo padredove in fretta e in furia le accatastava.

-Che faiCoretti? - gli domandai.

-Non vedi? - risposetendendo le braccia per pigliare il carico-ripasso la lezione.

Iorisi. Ma egli parlava sul serioe presa la bracciata di legnacominciò a dire correndo: - Chiamansi .accidenti del verbo...le sue variazioni secondo il numero... secondo il numero e lapersona....

Epoibuttando giù la legna e accatastandola: - .secondo iltempo... secondo il tempo a cui si riferisce l'azione....

Etornando verso il carro a prendere un'altra bracciata: - .secondo ilmodo in cui l'azione è enunciata..

Erala nostra lezione di grammatica per il giorno dopo. - Che vuoi- midisse- metto il tempo a profitto. Mio padre èandato via col garzone per una faccenda. Mia madre è malata.Tocca a me a scaricare. Intanto ripasso la grammatica. èuna lezione difficile oggi. Non riesco a pestarmela nella testa.

Miopadre ha detto che sarà qui alle sette per darvi i soldi- disse poi all'uomo del carro.

Ilcarro partì. - Vieni un momento in bottega- mi disseCoretti. Entrai: era uno stanzone pieno di cataste di legna e difascinecon una stadera da una parte. - Oggi è giorno disgobbote lo accerto io- ripigliò Coretti; - debbo fare illavoro a pezzi e a bocconi. Stavo scrivendo le proposizionièvenuta gente a comprare. Mi son rimesso a scrivereeccoti il carro.Questa mattina ho già fatto due corse al mercato delle legnain piazza Venezia. Non mi sento più le gambe e ho le manigonfie. Starei fresco se avessi il lavoro di disegno! - E intantodava un colpo di scopa alle foglie secche e ai fuscelli checoprivano l'ammattonato.

-Ma dove lo fai il lavoroCoretti? - gli domandai.

-Non qui di certo- riprese; - vieni a vedere; - e mi condussein uno stanzino dietro la bottegache serve da cucina e da stanzada mangiarecon un tavolo in un cantodove ci aveva ilibri e i quadernie il lavoro incominciato. - Giusto appuntodisse- ho lasciato la seconda risposta per aria:col cuoio sifanno le calzaturele cinghie.... Ora ci aggiungo .le valigie.. -E presa la pennasi mise a scrivere con la sua bella calligrafia.

-C'è nessuno? - s'udì gridare in quel momento dallabottega. Era una donna che veniva a comprar fascinotti. - Eccomi-rispose Coretti; e saltò di làpesò ifascinottiprese i soldicorse in un angolo a segnar lavendita in uno scartafaccio e ritornò al suo lavorodicendo:- Vediamo un po' se mi riesce di finire il periodo. - E scrisse: .leborse da viaggiogli zaini per i soldati..

-Ah il mio povero caffè che scappa via! - gridòall'improvviso e corse al fornello a levare la caffettiera dalfuoco. - è il caffè per la mamma- disse; - bisognòbene che imparassi a farlo. Aspetta un po' che glie lo portiamo; cosìti vedràle farà piacere. Son sette giorni che èa letto... Accidenti del verbo! Mi scotto sempre le dita conquesta caffettiera. Che cosa ho da aggiungere dopo gli zainiper i soldati? Ci vuole qualche altra cosa e non la trovo. Vienidalla mamma.

Aperseun uscioentrammo in un'altra camera piccola: c'era la mamma diCoretti in un letto grandecon un fazzoletto bianco intorno alcapo.

-Ecco il caffèmamma- disse Coretti porgendo la tazza; -questo è un mio compagno di scuola.

-Ah! bravo il signorino- mi disse la donna; - viene a far visita aimalatinon è vero?

IntantoCoretti accomodava i guanciali dietro alle spalle di suamadreraggiustava le coperte del lettoriattizzava il fuococacciava il gatto dal cassettone. - Vi occorre altromamma? -domandò poiripigliando la tazza. - Li avete presi i duecucchiaini di siroppo? Quando non ce ne sarà più daròuna scappata dallo speziale. Le legna sono scaricate. Alle quattrometterò la carne al fuococome avete dettoe quandopasserà la donna del burro le darò quegli otto soldi.Tutto andrà benenon vi date pensiero.

-Graziefigliuolo- rispose la donna; - povero figliuolovà!Egli pensa a tutto.

Volleche pigliassi un pezzo di zuccheroe poi Coretti mi mostrò unquadrettoil ritratto in fotografia di suo padrevestito dasoldatocon la medaglia al valoreche guadagnò nel '66nel quadrato del principe Umberto; lo stesso viso del figliuolocon quegli occhi vivi e quel sorriso così allegro. Tornammonella cucina. - Ho trovato la cosa- disse Corettie aggiunsesul quaderno:

.sifanno anche i finimenti dei cavalli.. - Il resto lo faròstaserastarò levato fino a più tardi. Felice teche hai tutto il tempo per studiare e puoi ancora andare apasseggio!

Esempre gaio e lestorientrato in bottegacominciò amettere dei pezzi di legno sul cavalletto e a segarli per mezzoediceva: - Questa è ginnastica!

Altroche la .spinta delle braccia avanti.. Voglio che mio padre trovitutte queste legna segate quando torna a casa: sarà contento.Il male è che dopo aver segato faccio dei .t. e degli .l.che paion serpenticome dice il maestro.

Checi ho da fare? Gli dirò che ho dovuto menar le braccia.Quello che importa è che la mamma guarisca prestoquesto sì.Oggi sta megliograzie al cielo. La grammatica la studieròdomattina al canto del gallo. Oh! ecco la carretta coi ceppi! Allavoro.

Unacarretta carica di ceppi si fermò davanti alla bottega.Coretti corse fuori a parlar con l'uomo poi tornò. - Oranon posso più tenerti compagnia- mi disse; - a rivedercidomani. Hai fatto bene a venirmi a trovare. Buonapasseggiata! Felice te.

Estrettami la manocorse a pigliar il primo ceppoe ricominciòa trottare fra il carro e la bottegacol viso fresco come una rosasotto al suo berretto di pel di gattoe vispo che mettevaallegrezza a vederlo Felice te! egli mi disse. Ah noCorettino:sei tu il più felicetu perché studi e lavori di piùperché sei più utile a tuo padre e a tua madreperché sei più buonocento volte più buono epiù bravo di mecaro compagno mio.



IlDirettore

18venerdì


Coretti era contento questa mattina perché èvenuto ad assistere al lavoro d'esame mensile il suo maestro disecondaCoattiun omone con una grande capigliatura crespauna gran barba neradue grandi occhi scurie una voce da bombarda;il quale minaccia sempre i ragazzi di farli a pezzi e di portarli peril collo in Questurae fa ogni specie di facce spaventevoli; manon castiga mai nessunoanzi sorride sempre dentro la barbasenza farsi scorgere. Otto sonocon Coattii maestricompresoun supplente piccolo e senza barbache pare un giovinetto. C'èun maestro di quartazoppoimbacuccato in una grande cravatta dilanasempre tutto pieno di dolorie si prese quei dolori quandoera maestro ruralein una scuola umida dove i muri gocciolavano.Un altro maestro di quarta è vecchio e tutto bianco ed èstato maestro dei ciechi. Ce n'è uno ben vestitocon gliocchialie due baffetti biondiche chiamavano l'.avvocatino.perché facendo il maestro studiò da avvocato e prese lalaureae fece anche un libro per insegnare a scriver le lettere.Invece quello che c'insegna la ginnastica è un tipo disoldatoè stato con Garibaldie ha sul collo lacicatrice d'una ferita di sciabola toccata alla battaglia di Milazzo.

Poic'è il Direttorealtocalvo con gli occhiali d'orocon labarba grigia che gli vien sul pettotutto vestito di nero e sempreabbottonato fin sotto il mento; così buono coi ragazzichequando entrano tutti tremanti in Direzionechiamati per unrimproveronon li sgridama li piglia per le manie dicetante ragioniche non dovevan far cosìe che bisogna chesi pentanoe che promettano d'esser buonie parla con tantabuona maniera e con una voce così dolce che tutti esconocon gli occhi rossipiù confusi che se li avesse puniti.Povero Direttoreegli è sempre il primo al suo postolamattinaa aspettare gli scolari e a dar retta ai parentiequando i maestri son già avviati verso casagira ancoraintorno alla scuola a vedere che i ragazzi non si caccino sottole carrozzeo non si trattengan per le strade a farquerciolao a empir gli zaini di sabbia o di sassi; e ogni voltache appare a una cantonatacosì alto e nerostormi diragazzi scappano da tutte le partipiantando lì il giuocodei pennini e delle biglieed egli li minaccia con l'indice dalontanocon la sua aria amorevole e triste. Nessuno l'ha piùvisto rideredice mia madredopo che gli è morto ilfigliuolo ch'era volontario nell'esercito; ed egli ha sempre ilsuo ritratto davanti agli occhisul tavolino della Direzione.E se ne voleva andare dopo quella disgrazia; aveva giàfatto la sua domanda di riposo al Municipioe la tenevasempre sul tavolinoaspettando di giorno in giorno a mandarlaperché gli rincresceva di lasciare i fanciulli. Ma l'altrogiorno pareva decisoe mio padre ch'era con lui nella Direzionegli diceva: - Che peccato che se ne vadasignor Direttore!- quando entrò un uomo a fare iscrivere un ragazzochepassava da un'altra sezione alla nostra perché avevacambiato di casa. A veder quel ragazzo il Direttore fece un atto dimeraviglia- lo guardò un pezzoguardò ilritratto che tien sul tavolino e tornò a guardare il ragazzotirandoselo fra le ginocchia e facendogli alzare il viso. Quelragazzo somigliava tutto al suo figliuolo morto. Il Direttoredisse: - Va bene; - fece l'iscrizionecongedò padre efiglioe restò pensieroso. - Che peccato che se ne vada!- ripeté mio padre. E allora il Direttore prese la suadomanda di riposola fece in due pezzi e disse: - Rimango.



Isoldati

22martedì


Il suo figliuolo era volontario nell'esercito quando morì:per questo il Direttore va sempre sul corso a veder passare isoldatiquando usciamo dalla scuola. Ieri passava un reggimentodi fanteriae cinquanta ragazzi si misero a saltellare intornoalla banda musicalecantando e battendo il tempo colle righesugli zaini e sulle cartelle. Noi stavamo in un grupposulmarciapiede a guardare: Garronestrizzato nei suoi vestiti troppostrettiche addentava un gran pezzo di pane; Votiniquello benvestitoche si leva sempre i peluzzi dai panni; Precossiilfigliuolo del fabbrocon la giacchetta di suo padree ilcalabresee il muratorinoe Crossi con la sua testa rossae Franticon la sua faccia tostae anche Robettiil figliuolo delcapitano d'artiglieriaquello che salvò un bambinodall'omnibuse che ora cammina con le stampelle.

Frantifece una risata in faccia a un soldato che zoppicava. Ma subito sisentì la mano d'un uomo sulla spalla: si voltò: era ilDirettore. - Bada- gli disse il Direttore; - schernire un soldatoquand'è nelle fileche non può névendicarsi né rispondereè come insultare un uomolegato: è una viltà. - Franti scomparve. I soldatipassavano a quattro a quattrosudati e coperti di polveree ifucili scintillavano al sole. Il Direttore disse: - Voi dovetevoler bene ai soldatiragazzi. Sono i nostri difensoriquelli cheandrebbero a farsi uccidere per noise domani un esercito stranierominacciasse il nostro paese. Sono ragazzi anch'essihanno pochianni più di voi; e anch'essi vanno a scuola; e ci sonopoveri e signorifra lorocome fra voie vengono da tutte leparti d'Italia. Vedetesi posson quasi riconoscere al viso:passano dei Sicilianidei Sardidei Napoletanidei Lombardi.Questo poi è un reggimento vecchiodi quelli che hannocombattuto nel 1848. I soldati non son più quellima labandiera è sempre la stessa. Quanti erano già mortiper il nostro paese intorno a quella bandiera venti anni prima chevoi nasceste! - Eccola qui- disse Garrone. E infatti si vedevapoco lontano la bandierache veniva innanzial di sopradelle teste dei soldati. - Fate una cosafigliuoli- disse ilDirettore- fate il vostro saluto di scolaricon la manoalla frontequando passano i tre colori. - La bandieraportata daun ufficialeci passò davantitutta lacera e stintacon le medaglie appese all'asta. Noi mettemmo la mano alla frontetutt'insieme. L'ufficiale ci guardòsorridendoe cirestituì il saluto con la mano. - Braviragazzi- disseuno dietro di noi. Ci voltammo a guardare: era un vecchio che avevaall'occhiello del vestito il nastrino azzurro della campagna diCrimea: un ufficiale pensionato. - Bravi- disse- avete fattouna cosa bella. - Intanto la banda del reggimento svoltava infondo al corsocircondata da una turba di ragazzie cento gridaallegre accompagnavan gli squilli delle trombe come un canto diguerra. - Bravi- ripeté il vecchio ufficialeguardandoci; - chi rispetta la bandiera da piccolo la sapràdifender da grande.



Ilprotettore di Nelli

23mercoledì


Anche Nelliieriguardava i soldatipovero gobbinoma conun'aria cosìcome se pensasse: - Io non potrò essermai un soldato! - Egli è buonostudia; ma è cosìmagrino e smortoe respira a fatica. Porta sempre un lungo grembialedi tela nera lucida. Sua madre è una signora piccola abiondavestita di neroe vien sempre a prenderlo al .finis.perché non esca nella confusionecon gli altri; e loaccarezza. I primi giorniperché ha quella disgraziad'esser gobbomolti ragazzi lo beffavano e gli picchiavan sullaschiena con gli zaini; ma egli non si rivoltava maie non dicevamai nulla a sua madreper non darle quel dolore di sapere chesuo figlio era lo zimbello dei compagni; lo schernivanoedegli piangeva e tacevaappoggiando la fronte sul banco. Ma unamattina saltò su Garrone e disse: - Il primo che toccaNelli gli do uno scapaccione che gli faccio far tregiravolte! - Franti non gli badòlo scapaccione partìl'amico fece le tre giravoltee dopo d'allora nessuno toccòpiù Nelli. Il maestro gli mise Garrone vicinonello stessobanco. Si sono fatti amici. Nelli s'è affezionato molto aGarrone. Appena entra nella scuolacerca subito se c'èGarrone. Non va mai via senza dire: - AddioGarrone. - E cosìfa Garrone con lui. Quando Nelli lascia cascar la penna o un librosotto il bancosubitoperché non faccia fatica a chinarsiGarrone si china e gli porge il libro o la penna; e poi l'aiuta arimetter la roba nello zainoe a infilarsi il cappotto. Perquesto Nelli gli vuol benee lo guarda sempree quando ilmaestro lo loda è contentocome se lodasse lui. Orabisogna che Nellifinalmenteabbia detto tutto a sua madreedegli scherni dei primi giorni e di quello che gli facevan patiree poi del compagno che lo difese e che gli ha posto affettoperchéecco quello che accadde questa mattina. Il maestromi mandò a portare al Direttore il programma della lezionemezz'ora prima del .finis.ed io ero nell'ufficio quando entròuna signora bionda e vestita di nerola mamma di Nellilaquale disse: - Signor Direttorec'è nella classe del miofigliuolo un ragazzo che si chiama Garrone? - C'è-rispose il Direttore. - Vuol aver la bontà di farlo venire unmomento quiche gli ho da dire una parola? - Il Direttore chiamòil bidello e lo mandò in iscuolae dopo un minuto eccolì Garrone sull'uscio con la sua testa grossa e rapatatuttostupito. Appena lo videla signora gli corse incontrogli gettòle mani sulle spalle e gli diede tanti baci sulla testa dicendo:- Sei tuGarronel'amico del mio figliuoloil protettore delmio povero bambinosei tucarobravo ragazzosei tu! - Poifrugò in furia nelle tasche e nella borsae non trovandonullasi staccò dal collo una catenella con una crocinaela mise al collo di Garronesotto la cravattae gli disse: -Prendilaportala per mia memoriacaro ragazzoper memoria dellamamma di Nelliche ti ringrazia e ti benedice.



Ilprimo della classe

25venerdì


Garrone s'attira l'affetto di tutti; Derossil'ammirazione. Hapreso la prima medagliasarà sempre il primo anchequest'annonessuno può competer con luitutti riconosconola sua superiorità in tutte le materie. è ilprimo in aritmeticain grammaticain composizionein disegnocapisce ogni cosa al voloha una memoria meravigliosariesce intutto senza sforzopare che lo studio sia un gioco per lui...Il maestro gli disse ieri: - Hai avuto dei grandi doni da Diononhai altro da fare che non sciuparli. - E per di più ègrandebellocon una gran corona di riccioli biondilesto chesalta un banco appoggiandovi una mano su; e sa giàtirare di scherma. Ha dodici anniè figliuolo d'unnegozianteva sempre vestito di turchino con dei bottonidoratisempre vivoallegrograzioso con tuttie aiuta quanti puòall'esamee nessuno ha mai osato fargli uno sgarbo o dirgli unabrutta parola. Nobis e Franti soltanto lo guardano per traverso eVotini schizza invidia dagli occhi; ma egli non se n'accorgeneppure. Tutti gli sorridono e lo pigliano per una mano o per unbraccio quando va attorno a raccogliere i lavoricon quella suamaniera graziosa. Egli regala dei giornali illustratideidisegnitutto quello che a casa regalano a luiha fatto per ilcalabrese una piccola carta geografica delle Calabrie; e dàtutto ridendosenza badarcicome un gran signoresenzapredilezioni per alcuno. è impossibile non invidiarlonon sentirsi da meno di lui in ogni cosa. Ah! io purecomeVotinil'invidio. E provo un'amarezzaquasi un certo dispettocontro di luiqualche voltaquando stento a fare il lavoro a casae penso che a quell'ora egli l'ha già fattobenissimo esenza fatica. Ma poiquando torno alla scuolaa vederlo cosìbelloridentetrionfantea sentir come risponde alleinterrogazioni del maestro franco e sicuroe com'è cortesee come tutti gli voglion beneallora ogni amarezzaogni dispettomi va via dal cuoree mi vergogno d'aver provato quei sentimenti.Vorrei essergli sempre vicino allora; vorrei poter fare tutte lescuole con lui; la sua presenzala sua voce mi mette coraggiovoglia di lavorareallegrezzapiacere. Il maestro gli ha datoda copiare il racconto mensile che leggerà domani: Lapiccola vedetta lombarda.; egli lo copiava questa mattinaedera commosso da quel fatto eroicotutto acceso nel visocogliocchi umidi e con la bocca tremante; e io lo guardavocom'erabello e nobile! Con che piacere gli avrei detto sul visofrancamente: - Derossitu vali in tutto più di me! Tu seiun uomo a confronto mio! Io ti rispetto e ti ammiro!



Lapiccola vedetta lombarda

Raccontomensile

26sabato


Nel 1859durante la guerra per la liberazione della Lombardiapochi giorni dopo la battaglia di Solferino e San Martinovintadai Francesi e dagli Italiani contro gli Austriaciin unabella mattinata del mese di giugnoun piccolo drappello dicavalleggieri di Saluzzo andava di lento passoper un sentierosolitarioverso il nemicoesplorando attentamente la campagna.

Guidavanoil drappello un ufficiale e un sergentee tutti guardavano lontanodavanti a sécon occhio fissomutipreparati a veder da unmomento all'altro biancheggiare fra gli alberi le divise degliavamposti nemici. Arrivarono così a una casetta rusticacircondata di frassinidavanti alla quale se ne stava tutto soloun ragazzo d'una dozzina d'anniche scortecciava un piccolo ramocon un coltelloper farsene un bastoncino; da una finestradella casa spenzolava una larga bandiera tricolore; dentro nonc'era nessuno: i contadinimessa fuori la bandieraeranoscappatiper paura degli Austriaci. Appena visti i cavalleggieriil ragazzo buttò via il bastone e si levò ilberretto.

Eraun bel ragazzodi viso arditocon gli occhi grandi e celesticoicapelli biondi e lunghi; era in maniche di camiciae mostrava ilpetto nudo.

-Che fai qui? - gli domandò l'ufficialefermando il cavallo. -Perché non sei fuggito con la tua famiglia?

-Io non ho famiglia- rispose il ragazzo. - Sono un trovatello.Lavoro un po' per tutti. Son rimasto qui per veder la guerra.

-Hai visto passare degli Austriaci?

-Noda tre giorni.

L'ufficialestette un poco pensando; poi saltò giù da cavalloe lasciati i soldati lìrivolti verso il nemicoentrònella casa e salì sul tetto... La casa era bassa; daltetto non si vedeva che un piccolo tratto di campagna. - Bisognasalir sugli alberi- disse l'ufficialee discese. Propriodavanti all'aia si drizzava un frassino altissimo e sottilechedondolava la vetta nell'azzurro. L'ufficiale rimase un po' soprapensieroguardando ora l'albero ora i soldati; poi tutt'a untratto domandò al ragazzo:

-Hai buona vistatumonello?

-Io? - rispose il ragazzo. - Io vedo un passerotto lontano un miglio.

-Saresti buono a salire in cima a quell'albero?

-In cima a quell'albero? io? In mezzo minuto ci salgo.

-E sapresti dirmi quello che vedi di lassùse c'èsoldati austriaci da quella partenuvoli di polverefucili cheluccicanocavalli?

-Sicuro che saprei.

-Che cosa vuoi per farmi questo servizio?

-Che cosa voglio? - disse il ragazzo sorridendo. - Niente. Bellacosa! E poi... se fosse per i .tedeschi.a nessun patto; ma peri nostri! Io sono lombardo.

-Bene. Va su dunque.

-Un momentoche mi levi le scarpe.

Silevò le scarpesi strinse la cinghia dei calzonibuttò nell'erba il berretto e abbracciò il tronco delfrassino - Ma bada... - esclamò l'ufficialefacendo l'attodi trattenerlocome preso da un timore improvviso.

Ilragazzo si voltò a guardarlocoi suoi begli occhicelestiin atto interrogativo.

-Niente- disse l'ufficiale; - va su.

Ilragazzo andò sucome un gatto.

-Guardate davanti a voi- gridò l'ufficiale ai soldati.

Inpochi momenti il ragazzo fu sulla cima dell'alberoavviticchiato alfustocon le gambe fra le fogliema col busto scopertoe ilsole gli batteva sul capo biondoche pareva d'oro. L'ufficiale lovedeva appenatanto era piccino lassù.

-Guarda dritto e lontano- gridò l'ufficiale.

Ilragazzoper veder megliostaccò la mano destradall'albero e se la mise alla fronte.

-Che cosa vedi? - domandò l'ufficiale.

Ilragazzo chinò il viso verso di luie facendosi portavocedella manorispose: - Due uomini a cavallosulla strada bianca.

-A che distanza di qui?

-Mezzo miglio.

-Movono?

-Son fermi.

-Che altro vedi? - domandò l'ufficialedopo un momento disilenzio. - Guarda a destra.

Ilragazzo guardò a destra.

Poidisse: - Vicino al cimiterotra gli alberic'è qualche cosache luccica.

Paionobaionette.

-Vedi gente?

-No. Saran nascosti nel grano.

Inquel momento un fischio di palla acutissimo passò alto perl'aria e andò a morire lontano dietro alla casa.

-Scendiragazzo! - gridò l'ufficiale. - T'han visto. Nonvoglio altro. Vien giù.

-Io non ho paura- rispose il ragazzo.

-Scendi... - ripeté l'ufficiale- che altro vedia sinistra?

-A sinistra?

-Sìa sinistra Il ragazzo sporse il capo a sinistra; in quelpunto un altro fischio più acuto e più basso del primotagliò l'aria. Il ragazzo si riscosse tutto. - Accidenti!

-esclamò. - L'hanno proprio con me! - La palla gli era passatapoco lontano.

-Scendi! - gridò l'ufficialeimperioso e irritato.

-Scendo subito- rispose il ragazzo. - Ma l'albero mi riparanondubiti. A sinistravuole sapere?

-A sinistra- rispose l'ufficiale; - ma scendi.

-A sinistra- gridò il ragazzosporgendo il busto da quellaparte- dove c'è una cappellami par di veder...

Unterzo fischio rabbioso passò in altoe quasi ad un punto sivide il ragazzo venir giùtrattenendosi per un tratto alfusto ed ai ramie poi precipitando a capo fitto colle bracciaaperte.

-Maledizione! - gridò l'ufficialeaccorrendo.

Ilragazzo batté la schiena per terra e restò distesocon le braccia larghesupino; un rigagnolo di sangue gli sgorgavadal pettoa sinistra. Il sergente e due soldati saltaron giùda cavallo; l'ufficiale si chinò e gli aprì lacamicia: la palla gli era entrata nel polmone sinistro. - èmorto! - esclamò l'ufficiale. - Novive! - rispose ilsergente. - Ah! povero ragazzo! bravo ragazzo! - gridòl'ufficiale; - coraggio! coraggio! - Ma mentre gli dicevacoraggio e gli premeva il fazzoletto sulla feritail ragazzostralunò gli occhi e abbandonò il capo: era morto.L'ufficiale impallidìe lo guardò fisso per unmomento; poi lo adagiò col capo sull'erba; s'alzòestette a guardarlo; anche il sergente e i due soldatiimmobililo guardavano: gli altri stavan rivolti verso il nemico.

-Povero ragazzo! - ripeté tristemente l'ufficiale. - Povero ebravo ragazzo!

Pois'avvicinò alla casalevò dalla finestra labandiera tricoloree la distese come un drappo funebre sulpiccolo mortolasciandogli il viso scoperto. Il sergenteraccolse a fianco del morto le scarpeil berrettoil bastoncinoe il coltello.

Stetteroancora un momento silenziosi; poi l'ufficiale si rivolse al sergentee gli disse: - Lo manderemo a pigliare dall'ambulanza; èmorto da soldato: lo seppelliranno i soldati. - Detto questo mandòun bacio al morto con un atto della manoe gridò: - Acavallo. - Tutti balzarono in sellail drappello si riunì eriprese il suo cammino.

Epoche ore dopo il piccolo morto ebbe i suoi onori di guerra.

Altramontar del soletutta la linea degli avamposti italianis'avanzava verso il nemicoe per lo stesso cammino percorso lamattina dal drappello di cavalleriaprocedeva su due file ungrosso battaglione di bersaglieriil qualepochi giorni innanziaveva valorosamente rigato di sangue il colle di San Martino. Lanotizia della morte del ragazzo era già corsa fra quei soldatiprima che lasciassero gli accampamenti. Il sentierofiancheggiato da un rigagnolopassava a pochi passi didistanza dalla casa. Quando i primi ufficiali del battaglionevidero il piccolo cadavere disteso ai piedi del frassino ecoperto dalla bandiera tricolorelo salutarono con la sciabola; euno di essi si chinò sopra la sponda del rigagnoloch'eratutta fioritastrappò due fiori e glieli gettò.Allora tutti i bersaglierivia via che passavanostrapparonodei fiori e li gettarono al morto. In pochi minuti il ragazzo fucoperto di fiorie ufficiali e soldati gli mandavan tutti un salutopassando: - Bravopiccolo lombardo! - Addioragazzo! - A tebiondino! - Evviva! - Gloria! - Addio! - Un ufficiale gli gettòla sua medaglia al valoreun altro andò a baciargli lafronte. E i fiori continuavano a piovergli sui piedi nudisulpetto insanguinatosul capo biondo. Ed egli se ne dormiva lànell'erbaravvolto nella sua bandieracol viso bianco e quasisorridentepovero ragazzocome se sentisse quei salutie fossecontento d'aver dato la vita per la sua Lombardia.



Ipoveri

29martedì


Darela vita per il proprio paesecome il ragazzo lombardoèuna grande virtùma tu non trascurare le virtùpiccolefigliuolo. Questa mattinacamminando davanti a mequando tornavamo dalla scuolapassasti accanto a una poveracheteneva fra le ginocchia un bambino stentito e smortoe che tidomandò l'elemosina. Tu la guardasti e non le desti nullaepure ci avevi dei soldi in tasca. Sentifigliuolo. Non abituarti apassare indifferente davanti alla miseria che tende la manoetanto meno davanti a una madre che chiede un soldo per il suobambino. Pensa che forse quel bambino aveva fame! pensa allostrazio di quella povera donna. Te lo immagini il singhiozzodisperato di tua madrequando un giorno ti dovesse dire. - Enricooggi non posso darti nemmen del pane? - Quand'io do un soldo a unmendicoed egli mi dice. - Dio conservi la salute a lei e alle suecreature! - tu non puoi comprendere la dolcezza che mi danno alcuore quelle parolela gratitudine che sento per quel povero. Mipar davvero che quel buon augurio debba conservarsi in buona saluteper molto tempoe ritorno a casa contento. e penso: Oh! quelpovero m'ha reso assai più di quanto gli ho dato! Ebbenefa ch'io senta qualche volta quel buon augurio provocatomeritatoda tetogli tratto tratto un soldo dalla tua piccola borsa perlasciarlo cadere nella mano d'un vecchio senza sostegnod'una madresenza paned'un bimbo senza madre. I poveri amano l'elemosina deiragazzi perché non li umiliae perché i ragazziche han bisogno di tuttisomigliano a loro.

vediche ce n'è sempre intorno alle scuoledei poveri. L'elemosinad'un uomo è un atto di caritàma quella d'unfanciullo è insieme un atto di carità e una carezzacapisci? è come se dalla sua mano cadessero insieme un soldoe un fiore. Pensa che a te non manca nullama che a loro mancatutto; che mentre tu vuoi esser felicea loro basta di nonmorire. Pensa che è un orrore che in mezzo a tanti palazziper le vie dove passan carrozze e bambini vestiti di vellutocisiano delle donnedei bimbi che non hanno da mangiare. Non aver damangiareDio mio! Dei ragazzi come tebuoni come teintelligenti come teche in mezzo a una grande città non handa mangiarecome belve perdute in un deserto! Oh mai piùEnriconon passare mai più davanti a una madre cheméndica senza metterle un soldo nella mano!.

Tua madre





DICEMBRE



Iltrafficante

1giovedì


Mio padre vuole che ogni giorno di vacanza io mi faccia venire acasa uno dè miei compagnio che vada a trovarloperfarmi a poco a poco amico di tutti.

Domenicaandrò a passeggiare con Votiniquello ben vestitoche siliscia sempree che ha tanta invidia di Derossi. Oggiintanto è venuto a casa Garoffiquello lungo e magrocolnaso a becco di civetta e gli occhi piccoli e furbiche par chefrughino per tutto. è figliuolo d'un droghiere. è unbell'originale. Egli conta sempre i soldi che ha in tascacontasulle dita lesto lestoe fa qualunque moltiplicazione senzatavola pitagorica. E rammucchiaha già un libretto dellaCassa scolastica di risparmio. Sfidonon spende mai un soldoese gli casca un centesimo sotto i banchiè capace dicercarlo per una settimana. Fa come le gazzedice Derossi. Tuttoquello che trovapenne logorefrancobolli usatispillicolaticci di candeletutto raccatta. Son già più didue anni che raccoglie francobollie n'ha già dellecentinaia d'ogni paesein un grande albumche venderà poial libraioquando sarà tutto pieno. Intanto il libraio glidà i quaderni gratis perché egli conduce moltiragazzi alla sua bottega. In iscuola traffica semprefa ognigiorno vendite d'oggettilotteriebaratti; poi si pente del barattoe rivuole la sua roba; compra per due e smercia per quattro; giocaai pennini e non perde mai; rivende giornali vecchi al tabaccaioeha un quadernino dove nota i suoi affaritutto pieno di sommee di sottrazioni. Alla scuola non studia che l'aritmeticae sedesidera la medaglia non è che per aver l'entrata gratis alteatro delle marionette. A me piacemi diverte. Abbiamo giocatoa fare il mercatocoi pesi e le bilancie: egli sa il prezzo giustodi tutte le coseconosce i pesi e fa dei bei cartocci speditocome i bottegai. Dice che appena finite le scuole metterà suun negozioun commercio nuovoche ha inventato lui. èstato tutto contento ché gli ho dato dei francobolli esterie m'ha detto appuntino quando si rivende ciascuno per lecollezioni. Mio padrefingendo di legger la gazzettalo stavaa sentiree si divertiva. Egli ha sempre le tasche gonfie dellesue piccole mercanzieche ricopre con un lungo mantello neroepar continuamente sopra pensiero e affaccendatocome unnegoziante. Ma quello che gli sta più a cuore èla sua collezione di francobolli: questa è il suo tesoroe ne parla semprecome se dovesse cavarne una fortuna. I compagnigli danno dell'avaracciodell'usuraio. Io non so. Gli voglio benem'insegna molte cosemi sembra un uomo. Corettiil figliuolo delrivenditore di legnadice ch'egli non darebbe i suoi francobollineanche per salvar la vita a sua madre. Mio padre non locrede. - Aspetta ancora a giudicarlo- m'ha detto; - egli haquella passione; ma ha cuore.



Vanità

5lunedì


Ieri andai a far la passeggiata per il viale di Rivoli con Votini esuo padre.

Passandoper via Dora Grossavedemmo Stardiquello che tira calciai disturbatorifermo impalato davanti a una vetrina di librariocogli occhi fissi sopra una carta geografica; e chi sa da quantotempo era làperché egli studia anche per la strada:ci rese a mala pena il salutoquel rusticone.

Votiniera vestito beneanche troppo: aveva gli stivali di marocchinotrapunti di rossoun vestito con ricami e nappine di setauncappello di castoro bianco e l'orologio. E si pavoneggiava. Ma lasua vanità doveva capitar male questa volta. Dopo avercorso un bel pezzo su per il vialelasciandoci molto addietro suopadreche andava adagioci fermammo a un sedile di pietraaccanto a un ragazzo vestito modestamenteche pareva stancoepensavacol capo basso. Un uomoche doveva essere suo padreandava e veniva sotto gli alberileggendo la gazzetta. Ci sedemmo.Votini si mise tra me e il ragazzo. E subito si ricordòd'essere vestito benee volle farsi ammirare e invidiare dal suovicino.

Alzòun piede e mi disse: - Hai visto i miei stivali da ufficiale? - Lodisse per farli guardar da quell'altro. Ma quegli non gli badò.

Alloraabbassò il piedee mi mostrò le sue nappine disetae mi disseguardando di sott'occhio il ragazzochequelle nappine di seta non gli piacevanoe che le volea farcambiare in bottoni d'argento. Ma il ragazzo non guardòneppure le nappine.

Votiniallora si mise a far girare sulla punta dell'indice il suobellissimo cappello di castoro bianco. Ma il ragazzopareva che lofacesse per puntonon degnò d'uno sguardo nemmeno ilcappello.

Votiniche si cominciava a stizziretirò fuori l'orologio l'apersemi fece veder le rote. Ma quegli non voltò la testa. -è d'argento dorato? - gli domandai. - No- rispose- èd'oro. - Ma non sarà tutto d'oro- dissi- ci saràanche dell'argento. - Ma no! - egli ribatté; - e percostringere il ragazzo a guardare gli mise l'orologio davanti alviso e gli disse: - Dì tuguardanon è vero che ètutto d'oro?

Ilragazzo rispose secco: - Non lo so.

-Oh! oh! - esclamò Votinipien di rabbia- che superbia!

Mentrediceva questosopraggiunse suo padreche sentì: guardòun momento fisso quel ragazzopoi disse bruscamente al figliuolo:- Taci; - e chinatosi al suo orecchio soggiunse: - è cieco.

Votinibalzò in piedicon un fremitoe guardò il ragazzonel viso. Aveva le pupille vitreesenza espressionesenza sguardo.

Votinirimase avvilitosenza parolacon gli occhi a terra. Poi balbettò:- Mi rincresce... non lo sapevo.

Mail ciecoche aveva capito tuttodisse con un sorriso buono emalinconico:

-Oh! non fa nulla.

Ebbeneè vano; ma non ha mica cattivo cuore Votini. Per tutta lapasseggiata non rise più.



Laprima nevicata

10sabato


Addio passeggiate a Rivoli. Ecco la bella amica dei ragazzi! Eccola prima neve! Fin da ieri sera vien giù a fiocchifitti e larghi come fiori di gelsomino. Era un piacere questamattina alla scuola vederla venire contro le vetrate e ammontarsisui davanzali; anche il maestro guardava e si fregava le manietutti eran contenti pensando a fare alle pallee al ghiaccio cheverrà dopoe al focolino di casa. Non c'era che Stardi chenon ci badassetutto assorto nella lezionecoi pugni strettialle tempie. Che bellezzache festa fu all'uscita! tutti ascavallar per la stradagridando e sbracciandoe a pigliarmanate di neve e a zampettarci dentro come cagnolini nell'acqua.I parenti che aspettavan fuori avevano gli ombrelli bianchilaguardia civica aveva l'elmetto biancotutti i nostri zaini inpochi momenti furon bianchi.

Tuttiparevan fuor di sé dall'allegrezzaperfino Precossiilfigliuolo del fabbroquello pallidino che non ride maie Robettiquello che salvò il bimbo dall'omnibuspoverinochesaltellava con le sue stampelle. Il calabreseche non aveva maitoccato nevese ne fece una pallottola e si mise a mangiarlacome una pesca; Crossiil figliuolo dell'erbivendolase n'empìlo zaino; e il muratorino ci fece scoppiar da riderequandomio padre lo invitò a venir domani a casa nostra: egli avevala bocca piena di nevee non osando né sputarla némandarla giùstava lì ingozzato a guardarcie nonrispondeva.

Anchele maestre uscivan dalla scuola di corsaridendo; anche la miamaestra di prima superiorepoverettacorreva a traverso alnevischioriparandosi il viso col suo velo verdee tossiva. Eintanto centinaia di ragazze della sezione vicina passavanostrillando e galoppando su quel tappeto candidoe i maestri e ibidelli e la guardia gridavano: - A casa! A casa! - ingoiandofiocchi di neve e imbiancandosi i baffi e la barba. Ma anch'essiridevano di quella baldoria di scolari che festeggiavan l'inverno...

- .Voi festeggiate l'inverno... Ma ci son dei ragazzi che non hannoné panniné scarpené fuoco. Ce ne sonmigliaia i quali scendono ai villaggicon un lungo camminoportando nelle mani sanguinanti dai geloni un pezzo di legno perriscaldare la scuola. Ci sono centinaia di scuole quasi sepolte frala nevenude e tetre come spelonchedove i ragazzi soffocanodal fumo o battono i denti dal freddoguardando con terrore ifiocchi bianchi che scendono senza fineche s'ammucchiano senzaposa sulle loro capanne lontaneminacciate dalle valanghe. Voifesteggiate l'invernoragazzi. Pensate alle migliaia di creature acui l'inverno porta la miseria e la morte..

Tuo padre



Ilmuratorino

11domenica


Il muratorino è venuto oggiin cacciatoratutto vestitodi roba smessa di suo padreancora bianca di calcina e di gesso.Mio padre lo desiderava anche più di me che venisse.Come ci fece piacere! Appena entratosi levò il cappelloa cencio ch'era tutto bagnato di neve e se lo ficcò in untaschino; poi venne innanzicon quella sua andaturatrascurata d'operaio stancorivolgendo qua e là il visettotondo come una melacol suo naso a pallottola; e quando funella sala da desinaredata un'occhiata in giro ai mobiliefissati gli occhi sur un quadretto che rappresenta Rigolettounbuffone gobbofece il muso di lepre. è impossibiletrattenersi dal ridere a vedergli fare il muso di lepre. Cimettemmo a giocare coi legnetti: egli ha un'abilitàstraordinaria a far torri e pontiche par che stian su permiracoloe ci lavora tutto seriocon la pazienza di un uomo.Fra una torre e l'altrami disse della sua famiglia: stannoin una soffittasuo padre va alle scuole serali a imparar aleggeresua madre è biellese. E gli debbono voler benesicapisceperché è vestito così da poverofigliuoloma ben riparato dal freddocoi panni ben rammendaticon la cravatta annodata bene dalla mano di sua madre. Suo padremi disseè un pezzo d'uomoun giganteche stenta a passarper le porte; ma buonoe chiama sempre il figliuolo muso dilepre; il figliuoloinveceè piccolino. Alle quattro sifece merenda insieme con pane e zebibboseduti sul sofàequando ci alzammonon so perchémio padre non volle cheripulissi la spalliera che il muratorino aveva macchiata di biancocon la sua giacchetta: mi trattenne la mano e ripulì poiluidi nascosto.

Giocandoil muratorino perdette un bottone della cacciatorae mia madre gliel'attaccòed egli si fece rosso e stette a vederla cuciretutto meravigliato e confusotrattenendo il respiro. Poi glidiedi a vedere degli album di caricature ed eglisenz'avvederseneimitava le smorfie di quelle faccecosìbeneche anche mio padre rideva. Era tanto contento quando andòviache dimenticò di rimettersi in capo il berrettoa cencioe arrivato sul pianerottoloper mostrarmi la suagratitudine mi fece ancora una volta il muso di lepre. Egli sichiama Antonio Rabuccoe ha otto anni e otto mesi...

- Lo saifigliuoloperché non volli che ripulissi ilsofà? Perché ripulirlomentre il tuo compagnovedevaera quasi un fargli rimprovero d'averlo insudiciato. Equesto non stava beneprima perché non l'aveva fatto appostae poi perché l'aveva fatto coi panni di suo padreilquale se li è ingessati lavorando; e quello che si falavorando non è sudiciume: è polvereè calceè verniceè tutto quello che vuoima nonsudiciume. Il lavoro non insudicia.

Nondir mai d'un operaio che vien dal lavoro: - è sporco. - Devidire: - Ha sui panni i segnile tracce del suo lavoro.Ricordatene. E vogli bene al muratorinoprima perché ètuo compagnopoi perché è figliuolo d'un operaio..

Tuo padre



Unapalla di neve

16venerdì


E sempre nevicanevica. Seguì un brutto casoquestamattinacon la neveall'uscir dalla scuola. Un branco diragazziappena sboccati sul Corsosi misero a tirar palleconquella neve acquosache fa le palle sode e pesanti come pietre.Molta gente passava sul marciapiedi. Un signore gridò: -Smettetemonelli! - e proprio in quel punto si udì un gridoacuto dall'altra parte della stradae si vide un vecchio cheaveva perduto il cappello e barcollavacoprendosi il visocon le manie accanto a lui un ragazzo che gridava: - Aiuto!Aiuto! - Subito accorse gente da ogni parte. Era stato colpito dauna palla in un occhio. Tutti i ragazzi si sbandarono fuggendocome saette. Io stavo davanti alla bottega del libraiodov'eraentrato mio padree vidi arrivar di corsa parecchi mieicompagni che si mescolarono fra gli altri vicini a mee finserodi guardar le vetrine: c'era Garronecon la sua solita pagnottain tascaCorettiil muratorinoe Garoffiquello deifrancobolli.

Intantos'era fatta folla intorno al vecchioe una guardia ed altricorrevano qua e là minacciando e domandando: - Chi è?chi è stato? Sei tu? Dite chi è stato! - eguardavan le mani ai ragazzise le avevan bagnate di neve. Garoffiera accanto a me: m'accorsi che tremava tuttoe che avea il visobianco come un morto. - Chi è? Chi è stato? -continuava a gridare la gente. - Allora intesi Garrone che dissepiano a Garoffi: - Suvatti a presentare; sarebbe una vigliaccherialasciar agguantare qualcun altro. - Ma io non l'ho fatto apposta!

-rispose Garoffitremando come una foglia. - Non importa fa il tuodovere- ripeté Garrone. - Ma io non ho coraggio! - Fatticoraggiot'accompagno io. - E la guardia e gli altri gridavansempre più forte: - Chi è? Chi è stato? Unocchiale in un occhio gli han fatto entrare! L'hanno accecato!Briganti! - Io credetti che Garoffi cascasse in terra. - Vieni- gli disse risolutamente Garrone- io ti difendo- eafferratolo per un braccio lo spinse avantisostenendolocomeun malato. La gente vide e capì subitoe parecchi accorserocoi pugni alzati. Ma Garrone si fece in mezzogridando: - Vimettete in dieci uomini contro un ragazzo? - Allora quelliristetteroe una guardia civica pigliò Garoffi permano e lo condusseaprendo la follaa una bottega di pastaiodove avevano ricoverato il ferito. Vedendoloriconobbi subito ilvecchio impiegatoche sta al quarto piano di casa nostracolsuo nipotino.

Eraadagiato sur una seggiolacon un fazzoletto sugli occhi. - Non l'hofatto apposta! - diceva singhiozzando Garoffimezzo morto dallapaura- non l'ho fatto apposta! - Due o tre persone lo spinseroviolentemente nella bottegagridando: - La fronte a terra!Domanda perdono! - e lo gettarono a terra. Ma subito due bracciavigorose lo rimisero in piedi e una voce risoluta disse: - Nosignori! - Era il nostro Direttoreche avea visto tutto. - Poichéha avuto il coraggio di presentarsi- soggiunse- nessuno ha ildiritto di avvilirlo.

Tuttistettero zitti. - Domanda perdono- disse il Direttore aGaroffi.

Garoffiscoppiando in piantoabbracciò le ginocchia del vecchioequesticercata con la mano la testa di luigli carezzòi capelli. Allora tutti dissero: - Vàragazzovàtorna a casa! - E mio padre mi tirò fuori della folla e midisse strada facendo: - Enricoin un caso simileavresti ilcoraggio di fare il tuo doveredi andar a confessare la tua colpa?- Io gli risposi di sì. Ed egli: - Dammi la tua parola diragazzo di cuore e d'onore che lo faresti. - Ti do la mia parolapadre mio!



Lemaestre

17sabato


Garoffi stava tutto paurosoquest'oggiad aspettare una granderisciacquata del maestro; ma il maestro non è comparsoepoiché mancava anche il supplenteè venuta a farscuola la signora Cromila più attempata delle maestrecheha due figliuoli grandi e ha insegnato a leggere e a scrivere aparecchie signore che ora vengono ad accompagnare i lororagazzi alla Sezione Baretti. Era tristeoggiperché ha unfigliuolo malato. Appena che la viderocominciarono a fare ilchiasso. Ma essa con voce lenta e tranquilla disse: - Rispettate imiei capelli bianchi: io non sono soltanto una maestrasono unamadre; - e allora nessuno osò più di parlareneanche quella faccia di bronzo di Frantiche si contentòdi farle le beffe di nascosto. Nella classe della Cromi fumandata la Delcatimaestra di mio fratelloe al posto dellaDelcatiquella che chiamano la monachinaperché èsempre vestita di scurocon un grembiale neroe ha un visopiccolo e biancoi capelli sempre lisci gli occhi chiari chiarie una voce sottileche par sempre che mormori preghiere. E nonsi capiscedice mia madre: è così mite e timidacon quel filo di voce sempre egualeche appena si senteenon gridanon s'adira mai: eppure tiene i ragazzi quieti che nonsi sentonoi più monelli chinano il capo solo che liammonisca col ditopare una chiesa la sua scuolae per questoanche chiamano lei la monachina. Ma ce n'è un'altra che mipiace pure: la maestrina della prima inferiore numero 3quella giovane col viso color di rosache ha due belle pozzettenelle guanciee porta una gran penna rossa sul cappellino e unacrocetta di vetro giallo appesa al collo. è sempre allegratien la classe allegrasorride sempregrida sempre con lasua voce argentina che par che cantipicchiando la bacchetta sultavolino e battendo le mani per impor silenzio; poi quandoesconocorre come una bambina dietro all'uno e all'altroperrimetterli in fila; e a questo tira su il baveroa quell'altroabbottona il cappotto perché non infreddinoli segue finnella strada perché non s'accapiglinosupplica iparenti che non li castighino a casaporta delle pastiglie a queiche han la tosseimpresta il suo manicotto a quelli che hanfreddo; ed è tormentata continuamente dai più piccoliche le fanno carezze e le chiedon dei baci tirandola pel velo e perla mantiglia; ma essa li lascia fare e li bacia tuttiridendoeogni giorno ritorna a casa arruffata e sgolatatutta ansante etutta contentacon le sue belle pozzette e la sua penna rossa.

èanche maestra di disegno delle ragazzee mantiene col propriolavoro sua madre e suo fratello.



Incasa del ferito

18domenica


É con la maestra dalla penna rossa il nipotino del vecchioimpiegato che fu colpito all'occhio dalla palla di neve diGaroffi: lo abbiamo visto oggiin casa di suo zioche lo tienecome un figliuolo. Io avevo terminato di scrivere il raccontomensile per la settimana venturaIl piccolo scrivanofiorentino.che il maestro mi diede a copiare; e mio padre mi hadetto: - Andiamo su al quarto pianoa veder come sta dell'occhioquel signore. - Siamo entrati in una camera quasi buiadov'era ilvecchio a lettosedutocon molti cuscini dietro le spalle;accanto al capezzale sedeva sua mogliee c'era in un canto ilnipotino che si baloccava. Il vecchio aveva l'occhio bendato. èstato molto contento di veder mio padreci ha fatto sedere eha detto che stava meglioche l'occhio non era perdutonon soloma che a capo di pochi giorni sarebbe guarito. - Fu una disgrazia-ha soggiunto; - mi duole dello spavento che deve aver avuto quelpovero ragazzo. - Poi ci ha parlato del medicoche doveva venir aquell'oraa curarlo. Proprio in quel puntosuona il campanello. -è il medico- dice la signora. La porta s'apre... E chivedo? Garoffi col suo mantello lungoritto sulla sogliacol capochinoche non aveva coraggio di entrare. - Chi è? - domandail malato. - è il ragazzo che tirò la palla- dicemio padre. - E il vecchio allora: - O povero ragazzo! vieni avanti;sei venuto a domandar notizie del feritonon è vero? Ma vamegliosta tranquillova meglioson quasi guarito. Vieni qua. -Garofficonfuso che non ci vedeva piùs'èavvicinato al lettoforzandosi per non piangeree il vecchiol'ha carezzatoma egli non poteva parlare. - Grazieha detto ilvecchio- va pure a dire a tuo padre e a tua madre che tutto vabeneche non si dian più pensiero. - Ma Garoffi non simovevapareva che avesse qualcosa da direma non osava. - Che mihai da dire? che cosa vuoi dire? - Io... nulla. - Ebbeneaddioa rivederciragazzo; vattene pure col cuore in pace. Garoffi èandato fino alla portama là s'è fermatoe s'èvolto indietro verso il nipotinoche lo seguitavae lo guardavacuriosamente. Tutt'a un trattocavato di sotto al mantello unoggettolo mette in mano al ragazzodicendogli in fretta: - èper te- e via come un lampo. Il ragazzo porta l'oggetto allo zio;vedono che c'è scritto su: .Ti regalo questo.; guardandentroe fanno un'esclamazione di stupore. Era l'albumfamosocon la sua collezione di francobolliche il poveroGaroffi aveva portatola collezione di cui parlava sempresu cuiaveva fondato tante speranzee che gli era costata tante fatiche;era il suo tesoropovero ragazzoera metà del suo sangueche in cambio del perdono egli regalava!



Ilpiccolo scrivano fiorentino

Raccontomensile


Faceva la quarta elementare. Era un grazioso fiorentino di dodicianninero di capelli e bianco di visofigliuolo maggiored'un impiegato delle strade ferrateil qualeavendo moltafamiglia e poco stipendioviveva nelle strettezze. Suo padrelo amava ed era assai buono e indulgente con lui:

indulgentein tutto fuorché in quello che toccava la scuola: inquesto pretendeva molto e si mostrava severo perché ilfigliuolo doveva mettersi in grado di ottener presto un impiego peraiutar la famiglia; e per valer presto qualche cosa glibisognava faticar molto in poco tempo. E benché il ragazzostudiasseil padre lo esortava sempre a studiare. Era giàavanzato negli anniil padree il troppo lavoro l'aveva ancheinvecchiato prima del tempo. Non di menoper provvedere aibisogni della famigliaoltre al molto lavoro che gl'imponeva ilsuo impiegopigliava ancora qua e là dei lavori straordinaridi copistae passava una buona parte della notte a tavolino. Daultimo aveva preso da una Casa editriceche pubblicavagiornali e libri a dispensel'incarico di scriver sulle fasce ilnome e l'indirizzo degli abbonati e guadagnava tre lire perogni cinquecento di quelle strisciole di cartascritte incaratteri grandi e regolari. Ma questo lavoro lo stancavaed eglise ne lagnava spesso con la famigliaa desinare. - I miei occhise ne vanno- diceva- questo lavoro di notte mi finisce.- Il figliuolo gli disse un giorno: - Babbofammi lavorare in vecetua; tu sai che scrivo come tetale e quale. - Ma il padre glirispose: - No figliuolo; tu devi studiare; la tua scuola èuna cosa molto più importante delle mie fasce; avreirimorsi di rubarti un'ora; ti ringrazioma non voglioe nonparlarmene più.

Ilfigliuolo sapeva che con suo padrein quelle coseera inutileinsisteree non insistette. Ma ecco che cosa fece. Egli sapevache a mezzanotte in punto suo padre smetteva di scriveree uscivadal suo stanzino da lavoro per andare nella camera da letto.Qualche volta l'aveva sentito: scoccati i dodici colpi al pendoloaveva sentito immediatamente il rumore della seggiola smossa e ilpasso lento di suo padre. Una notte aspettò ch'egli fosse alettosi vestì piano pianoandò a tentoni nellostanzinoriaccese il lume a petroliosedette allascrivaniadov'era un mucchio di fasce bianche e l'elenco degliindirizzie cominciò a scrivererifacendo appuntino lascrittura di suo padre. E scriveva di buona vogliacontentocon un pò di paurae le fasce s'ammontavanoe trattotratto egli smetteva la penna per fregarsi le manie poiricominciava con più alacritàtendendol'orecchioe sorrideva.

Centosessantane scrisse: una lira! Allora si fermòrimise la pennadove l'aveva presaspense il lumee tornò a lettoin puntadi piedi.

Quelgiornoa mezzodìil padre sedette a tavola di buonumore. Non s'era accorto di nulla. Faceva quel lavoromeccanicamentemisurandolo a ore e pensando ad altroe noncontava le fasce scritte che il giorno dopo. Sedette a tavola dibuonumoree battendo una mano sulla spalla al figliuolo: - EhGiulio- disse- è ancora un buon lavoratore tuo padrechetu credessi! In due ore ho fatto un buon terzo di lavoro piùdel solitoieri sera. La mano è ancora lestae gli occhifanno ancora il loro dovere. - E Giuliocontentomutodicevatra sé: Povero babbooltre al guadagnoio gli dòancora questa soddisfazionedi credersi ringiovanito. Ebbenecoraggio.

Incoraggiatodalla buona riuscitala notte appressobattute le dodicisuun'altra voltae al lavoro. E così fece per varie notti.E suo padre non s'accorgeva di nulla. Solo una voltaa cenauscì in quest'esclamazione: - è stranoquantopetrolio va in questa casa da un pò di tempo! Giulio ebbe unascossa; ma il discorso si fermò lì. E il lavoronotturno andò innanzi.

Senonchéa rompersi così il sonno ogni notteGiulio non riposavaabbastanzala mattina si levava stancoe la serafacendo illavoro di scuolastentava a tener gli occhi aperti. Una sera- per la prima volta in vita sua- s'addormentò sulquaderno. - Animo! animo! - gli gridò suo padrebattendo lemani- al lavoro! - Egli si riscosse e si rimise al lavoro. Ma lasera dopoe i giorni seguentifu la cosa medesimae peggio:sonnecchiava sui librisi levava più tardi del solitostudiava la lezione alla straccapareva svogliato dello studio. Suopadre cominciò a osservarlopoi a impensierirsie in fine afargli dei rimproveri. Non glie ne aveva mai dovuto fare! - Giulio-gli disse una mattina- tu mi ciurli nel manicotu non sei piùquel d'una volta. Non mi va questo. Badatutte le speranze dellafamiglia riposano su di te. Io son malcontentocapisci! - Aquesto rimproveroil primo veramente severo ch'ei ricevesseilragazzo si turbò. E sì- disse tra sé- èvero; così non si può continuare; bisogna chel'inganno finisca. Ma la sera di quello stesso giornoa desinaresuo padre uscì a dire con molta allegrezza: - Sapete che inquesto mese ho guadagnato trentadue lire di più che nel mesescorsoa far fasce! - e dicendo questotirò di sotto allatavola un cartoccio di dolciche aveva comprati perfesteggiare coi suoi figliuoli il guadagno straordinarioe chetutti accolsero battendo le mani. E allora Giulio riprese animoedisse in cuor suo: Nopovero babboio non cesseròd'ingannarti; io farò degli sforzi più grandi perstudiar lungo il giorno; ma continuerò a lavorare di notteper te e per tutti gli altri. E il padre soggiunse: - Trentaduelire di più! Son contento... Ma è quello là-e indicò Giulio- che mi dà dei dispiaceri. - EGiulio ricevé il rimprovero in silenzioricacciandodentro due lagrime che volevano uscire; ma sentendo ad un tempo nelcuore una grande dolcezza.

Eseguitò a lavorare di forza. Ma la fatica accumulandosialla faticagli riusciva sempre più difficile diresistervi. La cosa durava da due mesi. Il padre continuava arimbrottare il figliuolo e a guardarlo con occhio sempre piùcorrucciato. Un giorno andò a chiedere informazioni almaestroe il maestro gli chiese: - Sìfafaperchéha intelligenza. Ma non ha più la voglia di prima.Sonnecchiasbadigliaè distratto. Fa delle composizionicortebuttate giù in frettain cattivo carattere. Oh!potrebbe far moltoma molto di più. - Quella sera il padreprese il ragazzo in disparte e gli disse parole più gravi diquante ei ne avesse mai intese. - Giuliotu vedi ch'io lavoroch'io mi logoro la vita per la famiglia. Tu non mi assecondi. Tunon hai cuore per mené per i tuoi fratelliné pertua madre! - Ah no! non lo direbabbo! - gridò il figliuoloscoppiando in piantoe aprì la bocca per confessare ognicosa. Ma suo padre l'interruppedicendo: - Tu conosci le condizionidella famiglia; sai se c'è bisogno di buon volere e disacrifici da parte di tutti. Io stessovedidovreiraddoppiare il mio lavoro. Io contavo questo mese sopra unagratificazione di cento lire alle strade ferratee ho saputostamani che non avrò nulla! - A quella notiziaGiulioricacciò dentro subito la confessione che gli stava perfuggire dall'animae ripeté risolutamente a séstesso: Nobabboio non ti dirò nulla; io custodiròil segreto per poter lavorare per te; del dolore di cui ti soncagioneti compenso altrimenti; per la scuola studieròsempre abbastanza da esser promosso; quello che importa è diaiutarti a guadagnar la vitae di alleggerirti la fatica chet'uccide. E tirò avantie furono altri due mesi di lavoro dinotte e di spossatezza di giornodi sforzi disperati delfigliuolo e di rimproveri amari del padre. Ma il peggio era chequesti s'andava via via raffreddando col ragazzonon gli parlavapiù che di radocome se fosse un figliuolo intristitoda cui non restasse più nulla a speraree sfuggiva quasid'incontrare il suo sguardo. E Giulio se n'avvedevae nesoffrivae quando suo padre voltava le spallegli mandava un baciofurtivamentesporgendo il visocon un sentimento di tenerezzapietosa e triste; e tra per il dolore e per la faticadimagrava escolorivae sempre più era costretto a trasandare i suoistudi. E capiva bene che avrebbe dovuto finirla un giornoe ognisera si diceva: - Questa notte non mi leverò più; -ma allo scoccare delle dodicinel momento in cui avrebbe dovutoriaffermare vigorosamente il suo propositoprovava un rimorsogli parevarimanendo a lettodi mancare a un doveredi rubareuna lira a suo padre e alla sua famiglia. E si levavapensando che una qualche notte suo padre si sarebbe svegliato el'avrebbe sorpresoo che pure si sarebbe accorto dell'inganno percasocontando le fasce due volte; e allora tutto sarebbe finitonaturalmentesenza un atto della sua volontàch'eglinon si sentiva il coraggio di compiere. E cosìcontinuava.

Mauna seraa desinareil padre pronunciò una parola che fudecisiva per lui.

Suamadre lo guardòe parendole di vederlo piùmalandato e più smorto del solitogli disse: - Giuliotusei malato. - E poivoltandosi al padreansiosamente: -Giulio è malato. Guarda com'è pallido! Giulio miocosa ti senti? - Il padre gli diede uno sguardo di sfuggitaedisse: - è la cattiva coscienza che fa la cattiva salute.Egli non era così quando era uno scolaro studioso e unfigliuolo di cuore. - Ma egli sta male! - esclamò la mamma. -Non me ne importa più! - rispose il padre.

Quellaparola fu una coltellata al cuore per il povero ragazzo. Ah! non gliene importava più. Suo padre che tremavauna voltasolamente a sentirlo tossire!

Nonl'amava più dunquenon c'era più dubbio oraegliera morto nel cuore di suo padre... Ah! nopadre mio- disse trasé il ragazzocol cuore stretto dall'angoscia- ora èfinita davveroio senza il tuo affetto non posso viverelorivoglio interoti dirò tuttonon t'ingannerò piùstudierò come prima; nasca quel che nascapurché tutorni a volermi benepovero padre mio!

Ohquesta volta son ben sicuro della mia risoluzione!

Ciònon di menoquella notte si levò ancoraper forzad'abitudinepiù che per altro; e quando fu levatovolleandare a salutarea riveder per qualche minutonella quiete dellanotteper l'ultima voltaquello stanzino dove aveva tantolavorato segretamentecol cuore pieno di soddisfazione e ditenerezza. E quando si ritrovò al tavolinocol lume accesoe vide quelle fasce bianchesu cui non avrebbe scritto maipiù quei nomi di città e di persone che oramai sapevaa memoriafu preso da una grande tristezzae con un atto impetuosoripigliò la pennaper ricominciare il lavoro consueto. Manello stender la mano urtò un libroe il libro cadde. Ilsangue gli diede un tuffo.

Sesuo padre si svegliava! Certo non l'avrebbe sorpreso acommettere una cattiva azioneegli stesso aveva ben deciso didirgli tutto; eppure... il sentir quel passo avvicinarsinell'oscurità; - l'esser sorpreso a quell'orain quelsilenzio; - sua madre che si sarebbe svegliata e spaventata- eil pensar per la prima volta che suo padre avrebbe forse provatoun'umiliazione in faccia suascoprendo ogni cosa... tutto questolo atterrivaquasi. - Egli tese l'orecchiocol respirosospeso... Non sentì rumore. Origliò allaserratura dell'uscio che aveva alle spalle: nulla. Tutta la casadormiva. Suo padre non aveva inteso. Si tranquillò. Ericominciò a scrivere. E le fasce s'ammontavano sullefasce. Egli sentì il passo cadenzato delle guardie civichegiù nella strada deserta; poi un rumore di carrozza che cessòtutt'a un tratto; poidopo un pezzolo strepito d'una fila dicarri che passavano lentamente; poi un silenzio profondorottoa quando a quando dal latrato lontano d'un cane. E scrivevascriveva. E intanto suo padre era dietro di lui: egli s'era levatoudendo cadere il libroed era rimasto aspettando il buon punto;lo strepito dei carri aveva coperto il fruscio dei suoi passie il cigolio leggiero delle imposte dell'uscio; ed era là- con la sua testa bianca sopra la testina nera di Giulio- eaveva visto correr la penna sulle fasce- e in un momento avevatutto indovinatotutto ricordatotutto compresoe unpentimento disperatouna tenerezza immensagli aveva invasol'animae lo teneva inchiodatosoffocato làdietro alsuo bimbo. All'improvvisoGiulio diè un grido acuto- duebraccia convulse gli avevan serrata la testa. - O babbo! babboperdonami! perdonami! - gridòriconoscendo suo padre alpianto.

-Tuperdonami! - rispose il padresinghiozzando e coprendogli lafronte di baci- ho capito tuttoso tuttoson ioson io che tidomando perdonosanta creatura miavienivieni con me! - E losospinseo piuttosto se lo portò al letto di sua madresvegliatae glielo gettò tra le braccia e le disse: -Bacia quest'angiolo di figliuolo che da tre mesi non dorme e lavoraper mee io gli contristo il cuorea lui che ci guadagna ilpane! - La madre se lo strinse e se lo tenne sul pettosenzapoter raccoglier la voce; poi disse: - A dormiresubitobambinomiovà a dormirea riposare! Portalo a letto! - Il padre lopigliò fra le braccialo portò nella sua cameralomise a lettosempre ansando e carezzandoloe gli accomodòi cuscini e le coperte. - Graziebabbo- andava ripetendo ilfigliuolo- grazie; ma và a letto tu ora; io sonocontento; và a lettobabbo. - Ma suo padre voleva vederloaddormentatosedette accanto al lettogli prese la mano e glidisse:

-Dormidormi figliuol mio! - E Giuliospossatos'addormentòfinalmentee dormì molte oregodendo per la prima voltadopo vari mesid'un sonno tranquillorallegrato da sogniridenti; e quando aprì gli occhiche splendeva giàil sole da un pezzosentì primae poi si videaccosto al pettoappoggiata sulla sponda del letticciolola testabianca del padreche aveva passata la notte cosìe dormivaancoracon la fronte contro il suo cuore.



Lavolontà

28mercoledì


C'è Stardinella mia classeche avrebbe la forza di farequello che fece il piccolo fiorentino. Questa mattina ci furonodue avvenimenti alla scuola:

Garoffimatto dalla contentezzaperché gli han restituito il suoalbumcon l'aggiunta di tre francobolli della repubblica diGuatemalach'egli cercava da tre mesi; e Stardi che ebbe laseconda medaglia. Stardiprimo della classe dopo Derossi!Tutti ne rimasero meravigliati. Chi l'avrebbe mai dettoinottobrequando suo padre lo condusse a scuola rinfagottato in quelcappottone verdee disse al maestroin faccia a tutti: - Ci abbiamolta pazienza perché è molto duro di comprendonio! -Tutti gli davan della testa di legno da principio. Ma eglidisse: - O schiattoo riesco- e si mise per morto a studiaredi giornodi nottea casain iscuolaa passeggiocoi dentistretti e coi pugni chiusipaziente come un boveostinato comeun muloe cosìa furia di pestarenon curando lecanzonature e tirando calci ai disturbatoriè passatoinnanzi agli altriquel testone. Non capiva un'acca di aritmeticaempiva di spropositi la composizionenon riesciva a tener a menteun periodoe ora risolve i problemiscrive corretto e canta lalezione come un artista. E s'indovina la sua volontà diferro a veder com'è fattocosì tozzocol capoquadro e senza collocon le mani corte e grosse e con quella vocerozza. Egli studia perfin nei brani di giornale e negli avvisi deiteatrie ogni volta che ha dieci soldi si compera un libro: s'ègià messo insieme una piccola bibliotecae in un momento dibuon umore si lasciò scappar di bocca che mi condurràa casa a vederla. Non parla a nessunonon gioca con nessunoèsempre lì al banco coi pugni alle tempiefermo come unmassoa sentire il maestro. Quanto deve aver faticatopoveroStardi! Il maestro glielo disse questa mattinabenchéfosse impaziente e di malumorequando diede le medaglie: -Bravo Stardi; chi la dura la vince. - Ma egli non parve affattoinorgoglitonon sorrisee appena tornato al banco con la suamedagliaripiantò i due pugni alle tempie e stette piùimmobile e più attento di prima.

Mail più bello fu all'uscitache c'era a aspettarlosuo padre- un flebotomo- grosso e tozzo come luicon unfaccione e un vocione. Egli non se l'aspettava quella medagliaenon ci voleva crederebisognò che il maestro lo assicurassee allora si mise a ridere di gustoe diede una manata sulla nucaal figliuolodicendo forte: - Ma bravoma benecaro zuccone miovà! - e lo guardava stupitosorridendo. E tutti i ragazziintorno sorridevanoeccettuato Stardi. Egli ruminava giànella cappadoccia la lezione di domani mattina.



Gratitudine

31sabato


Iltuo compagno Stardi non si lamenta mai del suo maestrone soncerto. - Il maestro era di malumoreera impaziente; - tu lo diciin tono di risentimento.

Pensaun pò quante volte fai degli atti d'impazienza tue conchi? con tuo padre e con tua madrecoi quali la tua impazienza èun delitto. Ha ben ragione il tuo maestro di essere qualche voltaimpaziente! Pensa che da tanti anni fatica per i ragazzi; e chese n'ebbe molti affettuosi e gentiline trovò puremoltissimi ingratii quali abusarono della sua bontàedisconobbero le sue fatiche; e che pur troppofra tuttigli datepiù amarezze che soddisfazioni.

Pensache il più santo uomo della terramesso al suo postosilascerebbe vincere qualche volta dall'ira. E poise sapessi quantevolte il maestro va a far lezione malatosolo perchénon ha un male grave abbastanza da farsi dispensar dalla scuolaed è impaziente perché soffree gli è un grandedolore il vedere che voi altri non ve n'accorgete o ne abusate!Rispettaama il tuo maestrofigliuolo. Amalo perché tuopadre lo ama e lo rispetta; perché egli consacra la vita albene di tanti ragazzi che lo dimenticherannoamalo perchéti apre e t'illumina l'intelligenza e ti educa l'animo; perchéun giornoquando sarai uomoe non saremo più al mondo néio né luila sua immagine ti si presenterà spessoalla mente accanto alla miae alloravedicerte espressionidi dolore e di stanchezza del suo buon viso di galantuomoallequali ora non badite le ricorderaie ti faranno penaanche dopotrent'anni; e ti vergogneraiproverai tristezza di non averglivoluto bened'esserti portato male con lui. Ama il tuo maestroperché appartiene a quella grande famiglia dicinquantamila insegnanti elementarisparsi per tutta Italiaiquali sono come i padri intellettuali dei milioni di ragazzi checrescon con tei lavoratori mal riconosciuti e mal ricompensatiche preparano al nostro paese un popolo migliore del presente. Ionon son contento dell'affetto che hai per mese non ne hai pure pertutti coloro che ti fanno del benee fra questi il tuo maestro èil primodopo i tuoi parenti. Amalo come ameresti un miofratelloamalo quando ti accarezza e quando ti rimproveraquandoè giusto e quando ti par che sia ingiustoamalo quando èallegro e affabilee amalo anche di più quando lovedi triste. Amalo sempre. E pronuncia sempre con riverenza questonome - .maestro. - che dopo quello di padreè il piùnobileil più dolce nome che possa dare un uomo a un altrouomo..

Tuo padre








GENNAIO




Ilmaestro supplente

4mercoledì


Aveva ragione mio padre: il maestro era di malumore perchénon stava benee da tre giorniinfattiviene in sua vece ilsupplentequello piccolo e senza barbache pare un giovinetto.Una brutta cosa accadde questa mattina. Già il primo e ilsecondo giorno avevan fatto chiasso nella scuolaperchéil supplente ha una gran pazienzae non fa che dire: - State zittistate zittivi prego. - Ma questa mattina si passò lamisura. Si faceva un ronzìo che non si sentivan piùle sue paroleed egli ammonivapregava: ma era fiatosprecato. Due volte il Direttore s'affacciò all'uscio eguardò. Ma via luiil sussurro crescevacome in unmercato. Avevano un bel voltarsi Garrone e Derossi a far deicenni ai compagni che stessero buoniche era una vergogna.

Nessunoci badava. Non c'era che Stardi che stesse quietocoi gomiti sulbanco e i pugni alle tempiepensando forse alla sua famosalibreriae Garoffiquello del naso a uncino e deifrancobolliche era tutto occupato a far l'elenco deisottoscrittori a due centesimi per la lotteria d'un calamaio datasca. Gli altri cicalavano e ridevanosonavano con punte dipennini piantate nei banchi e si tiravano dei biascicotti di cartacon gli elastici delle calze.

Ilsupplente afferrava per un braccio ora l'uno ora l'altroe liscrollavae ne mise uno contro il muro: tempo perso. Non sapevapiù a che santo votarsipregava: - Ma perché fate incodesto modo? volete farmi rimproverare per forza?

-Poi batteva il pugno sul tavolinoe gridava con voce di rabbia e dipianto:

-Silenzio! Silenzio! Silenzio! - Faceva pena a sentirlo. Ma il rumorecresceva sempre. Franti gli tirò una frecciuola di cartaalcuni facevan la voce del gattoaltri si scappellottavano; era unsottosopra da non descriversi; quando improvvisamente entròil bidello e disse: - Signor maestroil Direttore la chiama. -Il maestro s'alzò e uscì in frettafacendo un attodisperato. Allora il baccano ricominciò più forte. Matutt'a un tratto Garrone saltò su col viso stravolto e coipugni strettie gridò con la voce strozzata dall'ira: -Finitela. Siete bestie. Abusate perché è buono. Se vipestasse le ossa stareste mogi come cani. Siete un branco divigliacchi. Il primo che gli fa ancora uno scherno lo aspetto fuorie gli rompo i dentilo giuroanche sotto gli occhi di suo padre!- Tutti tacquero. Ah! Com'era bello a vedereGarronecon gliocchi che mandavan fiamme! Un leoncello furiosopareva. Guardòuno per uno i più arditie tutti chinaron la testa. Quandoil supplente rientròcon gli occhi rossinon sisentiva più un alito. - Egli rimase stupito. Ma poivedendo Garrone ancora tutto acceso e frementecapìe glidisse con l'accento d'un grande affettocome avrebbe detto a unfratello: - Ti ringrazioGarrone.



Lalibreria di Stardi


Sono andato da Stardiche sta di casa in faccia alla scuolaeho provato invidia davvero a veder la sua libreria. Non èmica ricconon può comprar molti libri; ma egli conservacon gran cura i suoi libri di scuolae quelli che gli regalano iparentie tutti i soldi che gli dannoli mette da parte e lispende dal libraio: in questo modo s'è già messoinsieme una piccola bibliotecae quando suo padre s'èaccorto che aveva quella passionegli ha comperato un belloscaffale di noce con la tendina verdee gli ha fatto legare quasitutti i volumi coi colori che piacevano a lui. Così oraegli tira un cordoncinola tenda verde scorre via e sivedono tre file di libri d'ogni coloretutti in ordinelucidicoi titoli dorati sulle coste; dei libri di raccontidi viaggi edi poesie; e anche illustrati. Ed egli sa combinar bene i colorimette i volumi bianchi accanto ai rossii gialli accanto ai nerigli azzurri accanto ai bianchiin maniera che si vedan di lontano efacciano bella figura; e si diverte poi a variare le combinazioni.S'è fatto il suo catalogo.

ècome un bibliotecario. Sempre sta attorno ai suoi libriaspolverarlia sfogliarlia esaminare le legature; bisogna vederecon che cura gli aprecon quelle sue mani corte e grossesoffiando tra le pagine: paiono ancora tutti nuovi. Io che hosciupato tutti i miei! Per luiad ogni nuovo libro checomperaè una festa a lisciarloa metterlo al posto ea riprenderlo per guardarlo per tutti i versi e a covarselo come untesoro. Non m'ha fatto veder altro in un'ora. Aveva male agliocchi dal gran leggere. A un certo momento passò nellastanza suo padreche è grosso e tozzo come luicon untestone come il suoe gli diede due o tre manate sulla nucadicendomi con quel vocione: - Che ne diciehdi questa testacciadi bronzo? E una testaccia che riuscirà a qualcosate loassicuro io! - E Stardi socchiudeva gli occhi sotto quelle ruvidecarezze come un grosso cane da caccia. Io non so; non osavoscherzare con lui; non mi pareva vero che avesse solamente un annopiù di mee quando mi disse - A rivederci - sull'usciocon quella faccia che par sempre imbronciatapoco mancò chegli rispondessi: - La riverisco - come a un uomo.

Iolo dissi poi a mio padrea casa: - Non capiscoStardi non haingegnonon ha belle maniereè una figura quasi buffa;eppure mi mette soggezione. - E mio padre rispose: - è perchéha carattere. - Ed io soggiunsi: - In un'ora che son stato conlui non ha pronunciato cinquanta parolenon m'ha mostrato ungiocattolonon ha riso una volta; eppure ci son stato volentieri.- E mio padre rispose: - è perché lo stimi.



Ilfigliuolo del fabbro ferraio


Sìma anche Precossi io stimoed è troppopoco il dire che lo stimo.

Precossiil figliuolo del fabbro ferraioquello piccolosmortoche ha gliocchi buoni e tristie un'aria di spaventato così timidoche dice a tutti:

scusami;sempre malaticcioe che pure studia tanto. Suo padre rientra incasa ubriaco d'acquavitee lo batte senza un perché almondogli butta in aria i libri e i quaderni con un rovescione;ed egli viene a scuola coi lividi sul visoqualche volta colviso tutto gonfio e gli occhi infiammati dal gran piangere. Mamaimai che gli si possa far dire che suo padre l'ha battuto. - ètuo padre che t'ha battuto! - gli dicono i compagni. Ed egli gridasubito: - Non è vero! Non è vero! - per non fardisonore a suo padre. - Questo foglio non l'hai bruciato tu-gli dice il maestromostrandogli il lavoro mezzo bruciato. -Sì- risponde luicon la voce tremante; - son io chel'ho lasciato cadere sul fuoco. - Eppure noi lo sappiamo bene che èsuo padre briaco che ha rovesciato tavolo e lume con unapedatamentr'egli faceva il suo lavoro. Egli sta in una soffittadella nostra casadall'altra scalala portinaia raccontatutto a mia madre; mia sorella Silvia lo sentì gridare dalterrazzo un giorno che suo padre gli fece far la scala a capitomboliperché gli aveva chiesto dei soldi da comperare laGrammatica. Suo padre bevenon lavorae la famiglia patisce lafame. Quante volte il povero Precossi viene a scuola digiunoerosicchia di nascosto un panino che gli dà Garroneo unamela che gli porta la maestrina della penna rossache fu suamaestra di prima inferiore! Ma mai ch'egli dica: - Ho famemiopadre non mi dà da mangiare. - Suo padre vien qualche volta aprenderloquando passa per caso davanti alla scuolapallidomalfermo sulle gambecon la faccia torvacoi capelli sugli occhi eil berretto per traverso; e il povero ragazzo trema tutto quandolo vede nella strada; ma tanto gli corre incontro sorridendoe suopadre par che non lo veda e pensi ad altro. Povero Precossi! Eglisi ricuce i quaderni stracciatisi fa imprestare i libri perstudiare la lezionesi riattacca i brindelli della camicia condegli spillied è una pietà a vederlo far laginnastica con quelli scarponi che ci sguazza dentrocon queicalzoni che strascicanoe quel giacchettone troppo lungocon lemaniche rimboccate sino ai gomiti. E studias'impegna; sarebbeuno dei primi se potesse lavorare a casa tranquillo. Questa mattinaè venuto alla scuola col segno d'un'unghiata sopra unagotae tutti a dirgli: - è stato tuo padrenon lo puoinegare sta voltaè tuo padre che t'ha fatto quello. Dilloal Direttoreche lo faccia chiamare in questura. - Ma eglis'alzò tutto rosso con la voce che tremava dallo sdegno: -Non è vero! Non è vero! Mio padre non mi batte mai! -Ma poidurante la lezionegli cascavan le lacrime sul bancoequando qualcuno lo guardavasi sforzava di sorridereper nonparere. Povero Precossi! Domani verranno a casa mia DerossiCoretti e Nelli; lo voglio dire anche a luiche venga. E vogliofargli far merenda con meregalargli dei librimettersossopra la casa per divertirlo e empirgli le tasche di fruttepervederlo una volta contentopovero Precossiche è tantobuono e ha tanto coraggio!



Unabella visita

12giovedì


Ecco uno dei giovedì più belli dell'annoper me.Alle due in punto vennero a casa Derossi e Coretticon Nelliilgobbino; Precossisuo padre non lo lasciò venire.Derossi e Coretti ridevano ancora ché avevano incontrato perstrada Crossiil figliuolo dell'erbivendola- quello del bracciomorto e dei capelli rossi- che portava a vendere un grossissimocavoloe col soldo del cavolo doveva poi andar a comperare unapenna; ed era tutto contento perché suo padre ha scrittodall'America che lo aspettassero di giorno in giorno. Oh le belledue ore che abbiamo passate insieme! Sono i due più allegridella classe Derossi e Coretti; mio padre ne rimase innamorato.Coretti aveva la sua maglia color cioccolata e il suo berretto dipel di gatto. è un diavoloche sempre vorrebbe farerimestaresfaccendare. Aveva già portato sulle spalle unamezza carrata di legnala mattina presto; eppure galoppòper tutta la casaosservando tutto e parlando semprearzillo e lesto come uno scoiattoloe passando in cucina domandòalla cuoca quanto ci fanno pagare le legna il miriagrammaché suo padre le dà a quarantacinque centesimi.Sempre parla di suo padredi quando fu soldato nel 49°reggimentoalla battaglia di Custozadove si trovò nelquadrato del principe Umberto; ed è così gentile dimaniere!

Nonimporta che sia nato e cresciuto fra le legna: egli l'ha nelsanguenel cuore la gentilezzacome dice mio padre. E Derossici divertì molto: egli sa la geografia come un maestro:chiudeva gli occhi e diceva: - Eccoio vedo tutta l'Italiagli Appennini che s'allungano sino al Mar Jonioi fiumi checorrono di qua e di làle città bianchei golfiiseni azzurrile isole verdi; - e diceva i nomi giustiper ordinerapidissimamentecome se leggesse sulla carta; e a vederlo cosìcon quella testa altatutta riccioli biondicon gli occhi chiusitutto vestito di turchino coi bottoni doratidiritto e bello comeuna statuatutti stavamo in ammirazione. In un'ora egli avevaimparato a mente quasi tre pagine che deve recitare dopo domaniper l'anniversario dei funerali di re Vittorio. E ancheNelli lo guardava con meraviglia e con affettostropicciando lafalda del suo grembialone di tela neroe sorridendo con quegliocchi chiari e melanconici. Mi fece un grande piacere quella visitami lasciò qualche cosacome delle scintillenella mente enel cuore. E anche mi piacquequando se n'andaronovedere ilpovero Nelli in mezzo agli altri duegrandi e fortiche loportavano a casa a braccettofacendolo ridere come non l'ho vistoridere mai. Rientrando nella stanza da mangiarem'accorsi che nonc'era più il quadro che rappresenta Rigolettoil buffonegobbo. L'aveva levato mio padre perché Nelli non lo vedesse.



Ifunerali di Vittorio Emanuele

17martedì


Quest'oggi alle dueappena entrato nella scuolail maestro chiamòDerossiil quale s'andò a mettere accanto al tavolinoinfaccia a noie cominciò a dire col suo accento vibratoalzando via via la voce limpida e colorandosi in viso:

-Quattro anni sonoin questo giornoa quest'oragiungevadavanti al Pantheona Romail carro funebre che portava ilcadavere di Vittorio Emanuele IIprimo re d'Italiamorto dopoventinove anni di regnodurante i quali la grande patria italianaspezzata in sette Stati e oppressa da stranieri e da tirannierarisorta in uno Stato soloindipendente e liberodopo un regno diventinove annich'egli aveva fatto illustre e benefico colvalorecon la lealtàcon l'ardimento nei pericoliconla saggezza nei trionficon la costanza nelle sventure.Giungeva il carro funebrecarico di coronedopo aver percorsoRoma sotto una pioggia di fioritra il silenzio di una immensamoltitudine addolorataaccorsa da ogni parte d'Italiapreceduto da una legione di generali e da una folla di ministrie di principiseguito da un corteo di mutilatida una selva dibandieredagli inviati di trecento cittàda tutto ciòche rappresenta la potenza e la gloria d'un popologiungevadinanzi al tempio augusto dove l'aspettava la tomba. In questomomento dodici corazzieri levavano il feretro dal carro. Inquesto momento l'Italia dava l'ultimo addio al suo re mortoal suovecchio reche l'aveva tanto amatal'ultimo addio al suosoldatoal padre suoai ventinove anni più fortunati e piùbenedetti della sua storia. Fu un momento grande e solenne. Losguardol'anima di tutti trepidava tra il feretro e le bandiereabbrunate degli ottanta reggimenti dell'esercito d'Italiaportateda ottanta ufficialischierati sul suo passaggio; poichél'Italia era làin quegli ottanta segnacolichericordavano le migliaia di mortii torrenti di sanguele nostrepiù sacre gloriei nostri più santi sacrificiinostri più tremendi dolori. Il feretroportato daicorazzieripassòe allora si chinarono tutte insieme inatto di salutole bandiere dei nuovi reggimentile vecchiebandiere lacere di Goitodi Pastrengodi Santa Luciadi Novaradi Crimeadi Palestrodi San Martinodi Castelfidardoottanta veli neri cadderocento medaglie urtarono contro la cassae quello strepito sonoro e confusoche rimescolò il sangue dituttifu come il suono di mille voci umane che dicessero tutteinsieme: - Addiobuon reprode releale re! Tu vivrai nelcuore del tuo popolo finché splenderà il sole sopral'Italia. - Dopo di che le bandiere si rialzarono alteramenteverso il cieloe re Vittorio entrò nella gloria immortaledella tomba.



Franticacciato dalla scuola

21sabato


Uno solo poteva ridere mentre Derossi diceva dei funerali del Ree Franti rise. Io detesto costui. è malvagio. Quando vieneun padre nella scuola a fare una partaccia al figliuoloegli negode; quando uno piangeegli ride. Trema davanti a Garroneepicchia il muratorino perché è piccolo; tormentaCrossi perché ha il braccio morto; schernisce Precossichetutti rispettano; burla perfino Robettiquello della secondache cammina con le stampelle per aver salvato un bambino. Provocatutti i più deboli di luie quando fa a pugnis'inferocisce e tira a far male. Ci ha qualcosa che mette ribrezzosu quella fronte bassain quegli occhi torbidiche tien quasinascosti sotto la visiera del suo berrettino di tela cerata. Nonteme nullaride in faccia al maestroruba quando puònega con una faccia invetriataè sempre in lite conqualchedunosi porta a scuola degli spilloni per punzecchiare ivicinisi strappa i bottoni dalla giacchettae ne strappa aglialtrie li giocae ha cartellaquadernilibrotuttosgualcitostracciatosporcola riga dentellatala pennamangiatale unghie rosei vestiti pieni di frittelle e di strappiche si fa nelle risse. Dicono che sua madre è malata dagliaffanni ch'egli le dàe che suo padre lo cacciò dicasa tre volte; sua madre viene ogni tanto a chiedere informazionie se ne va sempre piangendo. Egli odia la scuolaodia icompagni odia il maestro. Il maestro finge qualche volta di nonvedere le sue birbonateed egli fa peggio. Provò a pigliarlocon le buoneed egli se ne fece beffe. Gli disse delle paroleterribilied egli si coprì il viso con le manicome sepiangessee rideva. Fu sospeso dalla scuola per tre giornietornò più tristo e più insolente di prima.Derossi gli disse un giorno: - Ma finiscilavedi che il maestro cisoffre troppo- ed egli lo minacciò di piantargli unchiodo nel ventre. Ma questa mattinafinalmentesi fece scacciarecome un cane. Mentre il maestro dava a Garrone la brutta copiadelTamburino sardo.il racconto mensile di gennaiodatrascrivereegli gittò sul pavimento un petardo che scoppiòfacendo rintronar la scuola come una fucilata. Tutta la classe ebbeun riscossone. Il maestro balzò in piedi e gridò:- Franti! fuori di scuola! - Egli rispose: - Non son io! - Ma rideva.Il maestro ripeté: - Và fuori! - Non mi muovo-rispose. Allora il maestro perdette i lumigli si lanciòaddossolo afferrò per le braccialo strappò dalbanco. Egli si dibattevadigrignava i denti; si fece trascinarfuori di viva forza. Il maestro lo portò quasi di peso dalDirettoree poi tornò in classe solo e sedette altavolinopigliandosi il capo fra le maniaffannatoconun'espressione così stanca e afflittache faceva male avederlo. - Dopo trent'anni che faccio scuola! - esclamòtristamentecrollando il capo. Nessuno fiatava. Le mani glitremavano dall'irae la ruga diritta che ha in mezzo alla fronteera così profondache pareva una ferita. Povero maestro!Tutti ne pativano. Derossi s'alzò e disse: - Signor maestronon si affligga. Noi le vogliamo bene. - E allora egli sirasserenò un poco e disse: - Riprendiamo la lezioneragazzi.



Iltamburino sardo

Raccontomensile


Nella prima giornata della battaglia di Custozail 24 luglio del1848una sessantina di soldati d'un reggimento di fanteria delnostro esercitomandati sopra un'altura a occupare una casasolitariasi trovarono improvvisamente assaliti da duecompagnie di soldati austriaciche tempestandoli di fucilate davarie partiappena diedero loro il tempo di rifugiarsi nella casae di sbarrare precipitosamente le portedopo aver lasciatoalcuni morti e feriti pei campi. Sbarrate le portei nostriaccorsero a furia alle finestre del pian terreno e del primo pianoe cominciarono a fare un fuoco fitto sopra gli assalitoriiqualiavvicinandosi a grado a gradodisposti in forma disemicerchiorispondevano vigorosamente. Ai sessanta soldatiitaliani comandavano due ufficiali subalterni e un capitanounvecchio altosecco e austerocoi capelli e i baffi bianchi; ec'era con essi un tamburino sardoun ragazzo di poco più diquattordici anniche ne dimostrava dodici scarsipiccolodi viso bruno olivastrocon due occhietti neri e profondichescintillavano. Il capitanoda una stanza del primo pianodirigevala difesalanciando dei comandi che parean colpi di pistolaenon si vedeva sulla sua faccia ferrea nessun segno di commozione.Il tamburinoun pò pallidoma saldo sulle gambesalito sopra un tavolinoallungava il collotrattenendosi allapareteper guardar fuori dalle finestre; e vedeva a traverso alfumopei campile divise bianche degli Austriaciche venivanoavanti lentamente. La casa era posta sulla sommità d'unachina ripidae non aveva dalla parte della china che un solofinestrino altorispondente in una stanza a tetto; perciògli Austriaci non minacciavan la casa da quella partee la chinaera sgombra:

ilfuoco non batteva che la facciata e i due fianchi.

Maera un fuoco d'infernouna grandine di palle di piombo che difuori screpolava i muri e sbriciolava i tegolie dentro fracassavasoffittimobiliimpostebattentibuttando per aria schegge dilegno e nuvoli di calcinacci e frantumi di stoviglie e di vetrisibilandorimbalzandoschiantando ogni cosa con un fragore dafendere il cranio. Di tratto in tratto uno dei soldati chetiravan dalle finestre stramazzava indietro sul pavimento ed eratrascinato in disparte. Alcuni barcollavano di stanza in stanzapremendosi le mani sopra le ferite. Nella cucina c'era già unmortocon la fronte spaccata. Il semicerchio dei nemici sistringeva.

Aun certo punto fu visto il capitanofino allora impassibilefareun segno d'inquietudinee uscir a grandi passi dalla stanzaseguito da un sergente.

Dopotre minuti ritornò di corsa il sergente e chiamò iltamburinofacendogli cenno che lo seguisse. Il ragazzo lo seguìcorrendo su per una scala di legno ed entrò con lui in unasoffitta nudadove vide il capitanoche scriveva con una matitasopra un foglioappoggiandosi al finestrinoe ai suoi piedisulpavimentoc'era una corda da pozzo.

Ilcapitano ripiegò il foglio e disse bruscamentefissandonegli occhi al ragazzo le sue pupille grigie e freddedavantia cui tutti i soldati tremavano: - Tamburino!

Iltamburino si mise la mano alla visiera.

Ilcapitano disse: - Tu hai del fegato Gli occhi del ragazzolampeggiarono.

-Sìsignor capitano- rispose.

-Guarda laggiù- disse il capitanospingendolo alfinestrino- nel pianovicino alle case di Villafrancadove c'èun luccichìo di baionette. Là ci sono i nostriimmobili. Tu prendi questo bigliettot'afferri alla cordascendidal finestrinodivori la chinapigli pei campiarrivi fra inostrie dai il biglietto al primo ufficiale che vedi. Butta via ilcinturino e lo zaino.

Iltamburino si levò il cinturino e lo zainoe si mise ilbiglietto nella tasca del petto; il sergente gettò la cordae ne tenne afferrato con due mani l'uno dei capi; il capitanoaiutò il ragazzo a passare per il finestrinocon la schienarivolta verso la campagna.

-Bada- gli disse- la salvezza del distaccamento è nel tuocoraggio e nelle tue gambe.

-Si fidi di mesignor capitano - rispose il tamburinospenzolandosifuori.

-Cùrvati nella discesa- disse ancora il capitanoafferrando la corda insieme al sergente - Non dubiti.

-Dio t'aiuti.

Inpochi momenti il tamburino fu a terra; il sergente tiròsu la corda e disparve; il capitano s'affacciòimpetuosamente al finestrinoe vide il ragazzo che volava giùper la china.

Speravagià che fosse riuscito a fuggire inosservato quandocinque o sei piccoli nuvoli di polvere che si sollevarono da terradavanti e dietro al ragazzol'avvertirono che era statovisto dagli Austriacii quali gli tiravano addosso dalla sommitàdell'altura: quei piccoli nuvoli eran terra buttata in ariadalle palle. Ma il tamburino continuava a correre a rompicollo.

Aun trattostramazzò. - Ucciso! - ruggì il capitanoaddentandosi il pugno.

Manon aveva anche detto la parolache vide il tamburino rialzarsi. -Ah! una caduta soltanto! - disse tra sée respirò.Il tamburinoinfattiriprese a correre di tutta forza; mazoppicava. - Un torcipiede- pensò il capitano.

Qualchenuvoletto di polvere si levò ancora qua e là intornoal ragazzoma sempre più lontano. Egli era in salvo. Ilcapitano mise un'esclamazione di trionfo. Ma seguitò adaccompagnarlo con gli occhitrepidandoperché era un affardi minuti: se non arrivava laggiù il più prestopossibile col biglietto che chiedeva immediato soccorsoo tutti isuoi soldati cadevano uccisio egli doveva arrendersi e darsiprigioniero con loro. Il ragazzo correva rapido un trattopoirallentava il passo zoppicandopoi ripigliava la corsama semprepiù affaticatoe ogni tanto incespicavasi soffermava. -Lo ha forse colto una palla di strisciopensò il capitanoe notava tutti i suoi movimentifremendoe lo eccitavagliparlavacome se quegli avesse potuto sentirlo; misurava senzaposacon l'occhio ardentelo spazio interposto fra il ragazzofuggente e quel luccichìo d'armi che vedeva laggiùnella pianura in mezzo ai campi di frumento dorati dal sole. Eintanto sentiva i sibili e il fracasso delle palle nellestanze di sottole grida imperiose e rabbiose degli ufficialie dei sergentii lamenti acuti dei feritiil rovinìo deimobili e dei calcinacci. - Su! Coraggio! - gridavaseguitando con lo sguardo il tamburino lontano- avanti! corri! Sifermamaledetto! Ah! riprende la corsa.

-Un ufficiale venne a dirgli ansando che i nemicisenzainterrompere il fuocosventolavano un panno bianco per intimarela resa. - Non si risponda! - egli gridòsenza staccar losguardo dal ragazzoche già era nel pianoma che piùnon correvae parea che si trascinasse stentatamente. - Ma và!ma corri!

-diceva il capitano stringendo i denti e i pugni; - ammazzatimuoriscelleratoma và! - Poi gettò un'orribileimprecazione. - Ah! l'infame poltrones'è seduto! - Ilragazzoinfattidi cui fino allora egli aveva visto sporgere ilcapo al disopra d'un campo di frumentoera scomparsocome sefosse caduto. Ma dopo un momentola sua testa venne fuori daccapo;infine si perdette dietro alle siepie il capitano non lo vide più.

Alloradiscese impetuosamente; le palle tempestavano; le stanze eranoingombre di feritialcuni dei quali giravano su sé stessicome briachiaggrappandosi ai mobili; le pareti e il pavimentoerano chiazzati di sangue; dei cadaveri giacevano a traversoalle porte; il luogotenente aveva il braccio destro spezzato dauna palla; il fumo e il polverio avvolgevano ogni cosa. - Coraggio!

Arrivansoccorsi! Ancora un pò di coraggio! - Gli Austriaci s'eranoavvicinati ancora; si vedevano giù tra il fumo i loro visistravoltisi sentiva tra lo strepito delle fucilate le loro gridaselvaggeche insultavanointimavan la resaminacciavanl'eccidio. Qualche soldatoimpauritosi ritraeva dallefinestre; i sergenti lo ricacciavano avanti. Ma il fuocodella difesa infiacchivalo scoraggiamento appariva su tutti ivisinon era più possibile protrarre la resistenza. Aun dato momentoi colpi degli Austriaci rallentaronoe unavoce tonante gridò prima in tedescopoi in italiano: -Arrendetevi! - No! - urlò il capitano da una finestra. E ilfuoco ricominciò più fitto e più rabbioso dalledue parti. Altri soldati caddero. Già più d'unafinestra era senza difensori. Il momento fatale era imminente.Il capitano gridava con voce smozzicata fra i denti: - Nonvengono! Non vengono! - e correva intorno furiosotorcendo lasciabola con la mano convulsarisoluto a morire. Quando unsergentescendendo dalla soffittagettò un grido altissimo:

-Arrivano! - Arrivano! - ripeté con un grido di gioia ilcapitano. - A quel grido tuttisaniferitisergentiufficialisi slanciarono alle finestree la resistenza inferocìun'altra volta. Di lì a pochi momentisi notòcome un'incertezza e un principio di disordine fra i nemici.Subitoin furiail capitano radunò un drappello nellastanza a terrenoper far impeto fuoricon le baionetteinastate. - Poi rivolò di sopra. Era appena arrivatoche sentirono uno scalpitìo precipitosoaccompagnato da unurrà formidabilee videro dalle finestre venir innanzitra il fumo i cappelli a due punte dei carabinieri italianiunosquadrone lanciato ventre a terrae un balenìo fulmineodi lame mulinate per ariacalate sui capisulle spallesui dorsi;- allora il drappello irruppe a baionette basse fuor dellaporta; - i nemici vacillaronosi scompigliaronodiedero di voltail terreno rimase sgombrola casa fu liberae poco dopo duebattaglioni di fanteria italiana e due cannoni occupavan l'altura.

Ilcapitanocoi soldati che gli rimanevanosi ricongiunse al suoreggimentocombatté ancorae fu leggermente ferito allamano sinistra da una palla rimbalzantenell'ultimo assalto allabaionetta.

Lagiornata finì con la vittoria dei nostri.

Mail giorno dopoessendosi ricominciato a combatteregli italianifurono oppressimalgrado la valorosa resistenzadal numerosoverchiante degli Austriacie la mattina del ventisei dovetteroprender tristamente la via della ritirataverso il Mincio.

Ilcapitanobenché feritofece il cammino a piedi coi suoisoldatistanchi e silenziosie arrivato sul cader del giorno aGoitosul Minciocercò subito del suo luogotenentecheera stato raccolto col braccio spezzato dalla nostra Ambulanzaedoveva esser giunto là prima di lui. Gli fu indicata unachiesadov'era stato installato affrettatamente un ospedale dacampo. Egli v'andò. La chiesa era piena di feritiadagiati su due file di letti e di materassi distesi sulpavimento; due medici e vari inservienti andavano e venivanoaffannati; e s'udivan delle grida soffocate e dei gemiti.

Appenaentratoil capitano si fermòe girò lo sguardoall'intornoin cerca del suo ufficiale.

Inquel punto si sentì chiamare da una voce fiocavicinissima: - Signor capitano!

Sivoltò: era il tamburino Era disteso sopra un letto acavalletti- coperto fino al petto da una rozza tenda da finestraa quadretti rossi e bianchi- con le braccia fuori; pallido esmagritoma sempre coi suoi occhi scintillanticome due gemme nere.

-Sei quitu? - gli domandò il capitanostupito ma brusco. -Bravo. Hai fatto il tuo dovere.

-Ho fatto il mio possibile- rispose il tamburino.

-Sei stato ferito- disse il capitanocercando con gli occhiil suo ufficiale nei letti vicini.

-Che vuole! - disse il ragazzoa cui dava coraggio a parlare lacompiacenza altiera d'esser per la prima volta feritosenza diche non avrebbe osato d'aprir bocca in faccia a quel capitano; -ho avuto un bel correre gobbom'han visto subito. Arrivavo ventiminuti prima se non mi coglievano. Per fortuna che ho trovatosubito un capitano di Stato Maggiore da consegnargli il biglietto.

Maè stato un brutto discendere dopo quella carezza! Morivo dallasetetemevo di non arrivare piùpiangevo dalla rabbiaa pensare che ad ogni minuto di ritardo se n'andava uno all'altromondolassù. Bastaho fatto quello che ho potuto. Soncontento. Ma guardi leicon licenzasignor capitanoche perdesangue.

Infattidalla palma mal fasciata del capitano colava giù per le ditaqualche goccia di sangue.

-Vuol che le dia una stretta io alla fasciasignor capitano?Porga un momento.

Ilcapitano porse la mano sinistrae allungò la destra peraiutare il ragazzo a sciogliere il nodo e a rifarlo; ma ilragazzosollevatosi appena dal cuscinoimpallidìedovette riappoggiare la testa.

-Bastabasta- disse il capitanoguardandoloe ritirando la manofasciatache quegli volea ritenere: - bada ai fatti tuoiinvecedi pensare agli altriché anche le cose leggiereatrascurarlepossono farsi gravi.

Iltamburino scosse il capo.

-Ma tu- gli disse il capitanoguardandolo attentamente- deviaver perso molto sanguetuper esser debole a quel modo.

-Perso molto sangue? - rispose il ragazzocon un sorriso. - Altro chesangue.

Guardi.

Etirò via d'un colpo la coperta.

Ilcapitano diè un passo indietroinorridito.

Ilragazzo non aveva più che una gamba: la gamba sinistragli era stata amputata al di sopra del ginocchio: iltroncone era fasciato di panni insanguinati.

Inquel momento passò un medico militarepiccolo e grassoin maniche di camicia. - Ah! signor capitanodisse rapidamenteaccennandogli il tamburino- ecco un caso disgraziato; una gambache si sarebbe salvata con niente s'egli non l'avesse forzata inquella pazza maniera; un'infiammazione maledetta; bisognòtagliar lì per lì. Ohma... un bravo ragazzogliel'assicuro io; non ha dato una lacrimanon un grido! Erosuperbo che fosse un ragazzo italianomentre l'operavoin parolad'onore. Quello è di buona razzaperdio!

Ese n'andò di corsa.

Ilcapitano corrugò le grandi sopracciglia biancheeguardò fisso il tamburinoristendendogli addosso lacoperta; poilentamentequasi non avvedendosenee fissandolosemprealzò la mano al capo e si levò il cheppì.

-Signor capitano! - esclamò il ragazzo meravigliato. -Cosa fasignor capitano? Per me!

Eallora quel rozzo soldato che non aveva mai detto una parola mitead un suo inferiorerispose con una voce indicibilmente affettuosae dolce: - Io non sono che un capitano; tu sei un eroe.

Poisi gettò con le braccia aperte sul tamburinoe lo baciòtre volte sul cuore.



L'amordi patria

24martedì


Poichéil racconto del Tamburino t'ha scosso il cuore ti doveva esserfacilequesta mattinafar bene il componimento d'esame: -.Perché amate l'Italia..

Perchéamo l'Italia? Non ti si son presentate subito cento risposte? Ioamo l'Italia perché mia madre è italianaperchéil sangue che mi scorre nelle vene è italiano perchéè italiana la terra dove son sepolti i morti che mia madrepiange e che mio padre veneraperché la città doveson natola lingua che parloi libri che m'educanoperchémio fratellomia sorellai miei compagnie il grande popoloin mezzo a cui vivoe la bella natura che mi circondae tuttociò che vedoche amoche studioche ammiroèitaliano. Oh tu non puoi ancora sentirlo intero quest'affetto. Losentirai quando sarai un uomoquando ritornando da un viaggiolungodopo una lunga assenzae affacciandoti una mattina alparapetto del bastimentovedrai all'orizzonte le grandi montagneazzurre del tuo paese; lo sentirai allora nell'onda impetuosa ditenerezza che t'empirà gli occhi di lagrime e ti strapperàun grido dal cuore. Lo sentirai in qualche grande cittàlontananell'impulso dell'anima che ti spingerà fra la follasconosciuta verso un operaio sconosciuto dal quale avrai intesopassandogli accantouna parola della tua lingua. Lo sentirainello sdegno doloroso e superbo che ti getterà il sangue allafrontequando udrai ingiuriare il tuo paese dalla bocca d'unostraniero. Lo sentirai più violento e più altero ilgiorno in cui la minaccia d'un popolo nemico solleverà unatempesta di fuoco sulla tua patriae vedrai fremere armi d'ognipartei giovani accorrere a legionii padri baciare i figlidicendo: - Coraggio! - e le madri dire addio ai giovinettigridando: - Vincete! - Lo sentirai come una gioia divina seavrai la fortuna di veder rientrare nella tua città ireggimenti diradatistanchicenciositerribilicon losplendore della vittoria negli occhi e le bandiere laceratedalle palleseguiti da un convoglio sterminato di valorosi cheleveranno in alto le teste bendate e i moncheriniin mezzo auna folla pazza che li coprirà di fioridi benedizioni e dibaci. Tu comprenderai allora l'amor di patriasentirai la patriaalloraEnrico. Ella è una così grande e sacracosache se un giorno io vedessi te tornar salvo da una battagliacombattuta per essasalvo teche sei la carne e l'anima miaesapessi che hai conservato la vita perché ti sei nascostoalla morteio tuo padreche t'accolgo con un grido di gioiaquando torni dalla scuolaio t'accoglierei con un singhiozzod'angosciae non potrei amarti mai piùe morirei con quelpugnale nel cuore..

Tuo padre



Invidia

25mercoledì


Anche il componimento sulla patria chi l'ha fatto meglio di tutti èDerossi. E Votini che si teneva sicuro della prima medaglia! Iogli vorrei bene a Votinibenché sia un pò vanesio esi rilisci troppo; ma mi fa dispettoora che gli son vicino dibancoveder com'è invidioso di Derossi. E vorrebbegareggiare con luistudia; ma non ce ne puòin nessunamanieraché l'altro lo rivende dieci volte in tutte lematerie; e Votini si morde le dita. Anche Carlo Nobis lo invidia;ma ha tanta superbia in corpo cheappunto per superbianon si fascorgere. Votini invece si tradiscesi lamenta dei punti a casasuae dice che il maestro fa delle ingiustizie; e quandoDerossi risponde alle interrogazioni così pronto e benecome fa sempreegli si rannuvolachina la testafinge di nonsentireo si sforza di riderema ride verde. E siccome tutti losannocosì quando il maestro loda Derossi tutti si voltano aguardar Votiniche mastica velenoe il muratorino gli fa il musodi lepre. Stamaniper esempiol'ha fatta bigia. Il maestro entranella scuola e annunzia il risultato dell'esame: - Derossidieci decimi e la prima medaglia. - Votini fece un grande starnuto.Il maestro lo guardò: ci voleva poco a capire. -Votini- gli disse- non vi lasciate entrare in corpo il serpedell'invidia:

èun serpe che rode il cervello e corrompe il cuore. - Tutti loguardaronofuorché Derossi; Votini volle risponderenonpoté; restò come impietratocol viso bianco. Poimentre il maestro faceva lezionesi mise a scrivere a grossicaratteri sopra un foglietto: - Io non sono invidioso diquelli che guadagnano la prima medaglia con le protezioni e leingiustizie.. - Era un biglietto che voleva mandare a Derossi.Ma intanto vedevo che i vicini di Derossi macchinavano fraloroparlandosi all'orecchioe uno ritagliava col temperino unagran medaglia di cartasu cui avevan disegnato un serpe nero. EVotini pure se ne accorse. Il maestro uscì per pochiminuti. Subito i vicini di Derossi s'alzarono per uscir dalbanco e venire a presentar solennemente la medaglia di carta aVotini. Tutta la classe si preparava a una scenata. Votini tremavagià tutto. Derossi gridò: - Datela a me! - Sìmeglio- quelli risposero- sei tu che gliela devi portare.Derossi pigliò la medaglia e la fece in tanti pezzetti. Inquel punto il maestro rientròe riprese la lezione.

Iotenni d'occhio Votini; - era diventato rosso di bragia; - prese ilfoglietto adagio adagiocome se facesse per distrazioneloappallottolò di nascostose lo mise in boccalo masticòper un pocoe poi lo sputò sotto il banco...

Nell'uscirdalla scuola passando davanti a DerossiVotini ch'era un pòconfusolasciò cascar la carta asciugante. Derossigentilela raccattò e gliela mise nello zaino e l'aiutòad agganciare la cinghia. Votini non osò alzare lafronte.



Lamadre di Franti

28sabato


Ma Votini è incorreggibile. Ierialla lezione direligionein presenza del Direttoreil maestro domandò aDerossi se sapeva a mente quelle due strofette del libro dilettura: .Dovunque il guardo io giroimmenso Iddio ti vedo.. -Derossi rispose di noe Votini subito: - Io le so! - con unsorriso come per fare una picca a Derossi. Ma fu piccato luiinveceche non poté recitare la poesiaperché entròtutt'a un tratto nella scuola la madre di Frantiaffannatacoi capelli grigi arruffatitutta fradicia di nevespingendoavanti il figliuolo che è stato sospeso dalla scuola perotto giorni. Che triste scena ci toccò di vedere! Lapovera donna si gettò quasi in ginocchio davanti al Direttoregiungendo le manie supplicando: - Oh signor Direttoremi facciala graziariammetta il ragazzo alla scuola! Son tre giorni che èa casal'ho tenuto nascostoma Dio ne guardi se suo padre scoprela cosalo ammazza; abbia pietàche non so più comefare! mi raccomando con tutta l'anima mia! - Il Direttore cercòdi condurla fuori; ma essa resistettesempre pregando epiangendo. - Oh! se sapesse le pene che m'ha dato questo figliuoloavrebbe compassione! Mi faccia la grazia! Io spero che cambierà.Io già non vivrò più un pezzosignorDirettoreho la morte quima vorrei vederlo cambiato primadi morire perché... - e diede in uno scoppio di pianto- èil mio figliuologli voglio benemorirei disperata; me loriprenda ancora una voltasignor Direttoreperché nonsegua una disgrazia in famiglialo faccia per pietà d'unapovera donna! - E si coperse il viso con le mani singhiozzando.

Frantiteneva il viso bassoimpassibile. Il Direttore lo guardòstette un pò pensandopoi disse: - Frantivà al tuoposto. - Allora la donna levò le mani dal visotuttaracconsolatae cominciò a dir graziegraziesenzalasciar parlare il Direttoree s'avviò verso l'uscioasciugandosi gli occhie dicendo affollatamente: - Figliuol miomi raccomando. Abbiano pazienza tutti.

Graziesignor Direttoreche ha fatto un'opera di carità.Buonosai figliuolo. Buon giornoragazzi. Graziea rivederlosignor maestro. E scusino tantouna povera mamma. - E dataancora di sull'uscio un'occhiata supplichevole a suo figliosen'andòraccogliendo lo scialle che strascicavapallidaincurvatacon la testa tremantee la sentimmo ancor tossire giùper le scale. Il Direttore guardò fisso Frantiin mezzo alsilenzio della classee gli disse con un accento da far tremare:- Frantitu uccidi tua madre! - Tutti si voltarono a guardarFranti. E quell'infame sorrise.



Speranza

29domenica


Bello Enrico lo slancio con cui ti sei gettato sul cuore di tuamadre tornando dalla scuola di religione. Sit'ha detto dellecose grandi e consolanti il maestro. Dio che ci ha gettati l'unonelle braccia dell'altronon ci separerà per sempre; quandoio moriròquando tuo padre morrànon ce le diremoquelle tremende e disperate parole: - mammababboEnricononti vedrò mai più! - Noi ci rivedremo in un'altra vitadove chi ha molto sofferto in questa sarà compensatodove chi ha molto amato sulla terra ritroverà le animeche ha amatein un mondo senza colpesenza pianto e senzamorte. Ma dobbiamo rendercene degnituttidi quell'altra vita.Sentifigliuolo: ogni tua azione buonaogni tuo moto d'affettoper coloro che ti amanoogni tuo atto cortese per i tuoi compagniogni tuo pensiero gentile è come uno slancio in alto versoquel mondo. E anche ti solleva verso quel mondo ogni disgraziaogni doloreperché ogni dolore è l'espiazioned'una colpaogni lacrima cancella una macchia. Proponiti oggigiorno di essere più buono e più amoroso che il giornoinnanzi. Dì ogni mattina: oggi voglio far qualche cosa di cuila coscienza mi lodi e mio padre sia contento; qualche cosa che mifaccia voler bene da questo o da quel compagnodal maestrodamio fratelloo da altri. E domanda a Dio che ti dia la forza dimettere in atto il tuo proposito. Signoreio voglio esserebuononobilecoraggioso gentilesinceroaiutatemifate cheogni seraquando mia madre mi dà l'ultimo salutoio possadirle. Tu baci questa sera un fanciullo più onesto e piùdegno di quello che baciasti ieri. Abbi sempre nel tuo pensieroquell'altro Enrico sovrumano e feliceche tu potrai essere dopoquesta vita. E prega. Tu non puoi immaginare che dolcezza proviquanto si senta migliore una madre quando vede il suo fanciullo conle mani giunte. Quando io vedo te che preghi mi pare impossibileche non ci sia nessuno che ti guardi e ti ascolti. Io credoallora più fermamente che c'è una bontà supremae una pietà infinitaio t'amo di piùlavoro con piùardoresoffro con più forzaperdono con tutta l'anima epenso alla morte serenamente. Oh Dio grande e buono! Risentirdopo morte la voce di mia madreritrovare i miei bambinirivedere il mio Enricoil mio Enrico benedetto e immortaleestringerlo in un abbraccio che non si scioglierà mai piùmai più in eterno! Oh pregapreghiamoamiamocisiamobuoniportiamo quella celeste speranza nell'animaadoratofanciullo mio..

Tua madre




FEBBRAIO



Unamedaglia ben data

4sabato


Questa mattina venne a dar le medaglie il Sovrintendente scolasticoun signore con la barba biancavestito di nero. Entrò colDirettoree sedette accanto al maestro. Interrogòparecchipoi diede la prima medaglia a Derossie prima di dar lasecondastette qualche momento a sentire il maestro e ilDirettoreche gli parlavano a voce bassa. Tutti domandavano: - Achi darà la seconda? - Il Sovrintendente disse a voce alta:- La seconda medaglia l'ha meritata questa settimana l'alunnoPietro Precossi: meritata per i lavori di casaper le lezioniper la calligrafiaper la condottaper tutto. - Tutti sivoltarono a guardar Precossisi vedeva che ci avevan tuttipiacere. Precossi s'alzòconfuso che non sapeva piùdove fosse. - Vieni qua- disse il Sovrintendente. Precossi saltògiù dal banco e andò accanto al tavolino delmaestro. Il sovrintendente guardò con attenzione quel visinocolor di ceraquel piccolo corpo insaccato in quei pannirimboccati e disadattiquegli occhi buoni e tristichesfuggivano i suoima che lasciavano indovinare una storia dipatimentipoi gli disse con voce piena di affettoattaccandoglila medaglia alla spalla: - Precossiti dò la medaglia.Nessuno è più degno di te di portarla. Non la dòsoltanto alla tua intelligenza e al tuo buon volerela dòal tuo cuorela dò al tuo coraggioal tuo carattere dibravo e buon figliuolo. Non è vero- soggiunsevoltandosiverso la classe- che egli la merita anche per questo? - Sìsì- risposero tutti a una voce.

Precossifece un movimento del collo come per inghiottire qualche cosaegirò sui banchi uno sguardo dolcissimoche esprimeva unagratitudine immensa. - Vàdunquegli disse ilSovrintendente- caro ragazzo! E Dio ti protegga! - Era l'orad'uscire. La nostra classe uscì avanti le altre. Appenasiamo fuori dell'uscio... chi vediamo lì nel cameroneproprio sull'entrata? Il padre di Precossiil fabbro ferraiopallidocome al solitocol viso torvocoi capelli negli occhicol berretto per traversomalfermo sulle gambe. Il maestrolo vide subito e parlò nell'orecchio al Sovrintendente;questi cercò Precossi in fretta epresolo per manolocondusse da suo padre. Il ragazzo tremava. Anche il maestro eil Direttore s'avvicinaronomolti ragazzi si fecero intorno. -Lei è il padre di questo ragazzoè vero? -domandò il Sovrintendente al fabbrocon fare allegrocome se fossero amici. E senz'aspettar la risposta: - Mirallegro con lei. Guardi: egli ha guadagnato la seconda medagliasopra cinquantaquattro compagni; l'ha meritata nellacomposizionenell'aritmeticain tutto. è un ragazzo pienod'intelligenza e di buona volontàche farà moltocammino: un bravo ragazzoche ha l'affezione e la stima di tutti;lei ne può andar superbogliel'assicuro. - Il fabbrocheera stato a sentire con la bocca apertaguardò fisso ilSovrintendente e il Direttoree poi fissò il suo figliuoloche gli stava davanticon gli occhi bassitremando; e come sericordasse e capisse allora per la prima volta tutto quello cheaveva fatto soffrire a quel povero piccinoe tutta la bontàtutta la costanza eroica con cui egli aveva soffertomostròa un tratto nel viso una certa meraviglia stupidapoi un doloreaccigliatoinfine una tenerezza violenta e tristee con unrapido gesto afferrò il ragazzo per il capo e se lo strinsesul petto. Noi gli passammo tutti davanti; io l'invitai a venir acasa giovedìcon Garrone e Crossi; altri lo salutarono; chigli faceva una carezzachi gli toccava la medagliatutti glidissero qualche cosa. E il padre guardava stupitotenendosisempre serrato al petto il capo del figliuoloche singhiozzava.



Buonipropositi

5domenica


M'ha destato un rimorso quella medaglia data a Precossi. Io chenon ne ho ancora guadagnata una! Io da un pò di tempo nonstudioe sono scontento di mee il maestromio padre e miamadre sono scontenti. Non provo più neppure il piacere diprima a divertirmiquando lavoravo di vogliae poi saltavo sudal tavolino e correvo ai miei giochi pieno d'allegrezzacome senon avessi più giocato da un mese. Neanche a tavolacoi miei non mi siedo più con la contentezza d'una volta.Sempre ho come un'ombra nell'animouna voce dentro che mi dicecontinuamente: - non vanon va. - Vedo la sera passar per lapiazza tanti ragazzi che tornan dal lavoroin mezzo a gruppid'operai tutti stanchi ma allegriche allungano il passoimpazienti di arrivar a casa a mangiaree parlano forteridendoe battendosi sulle spalle le mani nere di carbone o bianche dicalcee penso che hanno lavorato dallo spuntar dell'alba fino aquell'ora; e con quelli tanti altri anche più piccolichetutto il giorno son stati sulle cime dei tettidavanti allefornaciin mezzo alle macchinee dentro all'acquae sotto terranon mangiando che un pò di pane; e provo quasi vergognaio che in tutto quel tempo non ho fatto che scarabocchiaredi mala voglia quattro paginuccie. Ah sono scontentoscontento!

Iovedo bene che mio padre è di malumoree vorrebbe dirmelomagli rincrescee aspetta ancora; caro padre mioche lavori tanto!Tutto è tuotutto quello che mi vedo intorno in casatutto quello che toccotutto quello che mi veste e che mi cibatutto quello che mi ammaestra e mi divertetutto è fruttodel tuo lavoroed io non lavorotutto t'è costatopensieriprivazionidispiacerifatichee io non fatico! Ah noè troppo ingiusto e mi fa troppa pena. Io voglio cominciareda oggivoglio mettermi a studiarecome Stardicoi pugniserrati e coi denti strettimettermici con tutte le forze della miavolontà e del mio cuore; voglio vincere il sonno la serasaltar giù presto la mattinamartellarmi il cervello senzaripososferzare la pigrizia senza pietàfaticaresoffrire ancheammalarmi; ma finire una volta di trascinare questavitaccia fiacca e svogliata che avvilisce me e rattrista glialtri.

Animoal lavoro! Al lavoro con tutta l'anima e con tutti i nervi! Allavoro che mi renderà il riposo dolcei giochi piacevoliil desinare allegro; al lavoro che mi ridarà il buonsorriso del mio maestro e il bacio benedetto di mio padre.



Ilvaporino

10venerdì


Precossi venne a casa iericon Garrone. Io credo che se fosserostati due figliuoli di principi non sarebbero stati accolti con piùfesta. Garrone era la prima volta che venivaperché èun pò orsoe poi si vergogna di lasciarsi vedereche ècosì grande e fa ancora la terza. Andammo tutti ad aprirla portaquando suonarono. Crossi non venne perché gli èfinalmente arrivato il padre dall'Americadopo sei anni. Mia madrebaciò subito Precossi mio padre le presentò Garronedicendo: - Ecco qui; questo non è solamente un buon ragazzo;questo è un galantuomo e un gentiluomo. - Ed egli abbassòla sua grossa testa rapatasorridendo di nascosto con me. Precossiaveva la sua medagliaed era contento perché suo padre s'èrimesso a lavoraree son cinque giorni che non beve piùlo vuol sempre nell'officina a tenergli compagniae pare un altro.

Cimettemmo a giocareio tirai fuori tutte le cose mie; Precossirimase incantato davanti al treno della strada ferratacon lamacchina che va da séa darle la corda; non n'aveva vistomai; divorava con gli occhi quei vagoncini rossi e gialli. Io glidiedi la chiavetta perché giocasseegli s'inginocchiòa giocaree non levò più la testa. Non l'avevo maivisto contento così. Sempre diceva: - Scusamiscusami-a ogni propositofacendoci in là con le maniperchénon fermassimo la macchinae poi pigliava e rimetteva i vagoncinicon mille riguardicome se fossero di vetroaveva paura diappannarli col fiatoe li ripulivaguardandoli di sotto e disoprae sorridendo da sé. Noitutti in piediloguardavamo; guardavamo quel collo sottilequelle povere orecchineche un giorno io avevo visto sanguinarequel giacchettone conle maniche rimboccateda cui uscivano due braccini di malatoches'erano alzati tante volte per difendere il viso dalle percosse...Oh! in quel momento io gli avrei gettato ai piedi tutti i mieigiocattoli e tutti i miei librimi sarei strappato di boccal'ultimo pezzo di pane per darlo a luimi sarei spogliato pervestirlomi sarei buttato in ginocchio per baciargli le mani -Almeno il treno glielo voglio dare- pensai; ma bisognavachiedere il permesso a mio padre. In quel momento mi sentii mettereun pezzetto di carta in una mano; guardai: era scritto da miopadre col lapis; diceva: - .A Precossi piace il tuo treno. Egli nonha giocattoli. Non ti suggerisce nulla il tuo cuore?. - Subito ioafferrai a due mani la macchina e i vagoni e gli misi ogni cosasulle braccia dicendogli: - Prendiloè tuo. - Egli miguardònon capiva. - è tuo- dissi- te lo regalo.- Allora egli guardò mio padre e mia madreancora piùstupitoe mi domandò: - Ma perché? - Mio padre glidisse: - Te lo regala Enrico perché è tuoamicoperché ti vuol bene... per festeggiare la tuamedaglia. - Precossi domandò timidamente: - Debbo portarlovia... a casa? - Ma sicuro! - rispondemmo tutti. Era giàsull'uscioe non osava ancora andarsene.

Erafelice! Domandava scusacon la bocca che tremava e rideva.Garrone lo aiutò a rinvoltare il treno nel fazzolettoechinandosifece crocchiare i grissini che gli empivan le tasche. -Un giorno- mi disse Precossi- verrai all'officina a veder miopadre a lavorare. Ti darò dei chiodi. - Mia madre mise unmazzettino nell'occhiello della giacchetta a Garrone perché loportasse alla mamma in nome suo. Garrone le disse col suo vocione:- Grazie- senza alzare il mento dal petto. Ma gli splendeva tuttanegli occhi l'anima nobile e buona.



Superbia

11sabato


E dire che Carlo Nobis si pulisce la manica con affettazione quandoPrecossi lo toccapassando! Costui è la superbia incarnataperché suo padre è un riccone.

Maanche il padre di Derossi è ricco! Egli vorrebbe avere unbanco per sé soloha paura che tutti lo insudicinoguardatutti dall'alto al bassoha sempre un sorriso sprezzante sullelabbra: guai a urtargli un piede quando s'esce in fila a due a due!Per un nulla butta in viso una parola ingiuriosa o minaccia di farvenire alla scuola suo padre. E sì che suo padre gli hadato la sua brava polpetta quando trattò da straccione ilfigliuolo del carbonaio! Io non ho mai visto una muffa compagna!Nessuno gli parlanessuno gli dice addio quando s'escenon c'èun cane che gli suggerisce quando non sa la lezione. E lui non puòpatir nessunoe finge di disprezzar sopra tutti Derossiperché è il primoe Garrone perché tutti glivoglion bene. Ma Derossi non lo guarda neppure quant'èlungoe Garronequando gli riportarono che Nobis sparlava di luirispose: - Ha una superbia così stupida che non meritanemmeno i miei scapaccioni. - Coretti pureun giorno ch'eglisorrideva con disprezzo del suo berretto di pel di gattoglidisse: - Và un poco da Derossi a imparare a far il signore!- Ieri si lamentò col maestro perché il calabrese glitoccò una gamba col piede. Il maestro domandò alcalabrese: - L'hai fatto apposta? - Nosignore- rispose franco.E il maestro: - Siete troppo permalosoNobis. - E Nobisconquella sua aria: - Lo dirò a mio padre. - Allora il maestroandò in collera: - Vostro padre vi darà tortocomefece altre volte. E poi non c'è che il maestroin iscuolache giudichi e punisca. - Poi soggiunse con dolcezza: - AndiamoNobiscambiate modisiate buono e cortese coi vostri compagni.

Vedeteci sono dei figliuoli d'operai e di signoridei ricchi e dei poverie tutti si voglion benesi trattan da fratellicome sono. Perchénon fate anche voi come gli altri? Vi costerebbe così pocofarvi benvolere da tuttie sareste tanto più contento voipure!... Ebbenenon avete nulla da rispondermi? - Nobisch'era stato a sentire col suo solito sorriso sprezzanterispose freddamente: - Nosignore. - Sedete- gli disse ilmaestro. - Vi compiango.

Sieteun ragazzo senza cuore. - Tutto pareva finito così; ma ilmuratorinoche è nel primo bancovoltò la suafaccia tonda verso Nobische è nell'ultimoe gli fece unmuso di lepre così bello e così buffoche tutta laclasse diede in una sonora risata. Il maestro lo sgridò; mafu costretto a mettersi una mano sulla bocca per nascondere ilriso. E Nobis pure fece un riso; ma di quello che non si cuoce.



Iferiti del lavoro

13lunedì


Nobis può fare il paio con Franti: non si commossero nél'uno né l'altroquesta mattinadavanti allo spettacoloterribile che ci passò sotto gli occhi.

Uscitodalla scuolastavo con mio padre a guardar certi birbaccionidella secondache si buttavan ginocchioni per terra a strofinareil ghiaccio con le mantelline e con le berretteper far glisdruccioloni più lestiquando vedemmo venir d'in fondoalla strada una folla di gentea passo affrettatotutti seri ecome spaventatiche parlavano a voce bassa. Nel mezzo c'erano treguardie municipalidietro alle guardiedue uomini che portavanouna barella.

Iragazzi accorsero da ogni parte. La folla s'avanzava verso dinoi. Sulla barella c'era disteso un uomobianco come un cadaverecon la testa ripiegata sopra una spallacoi capelli arruffati einsanguinatiche perdeva sangue dalla bocca e dalle orecchie; eaccanto alla barella camminava una donna con un bimbo in braccio chepareva pazza e gridava di tratto in tratto: - è morto! èmorto! è morto! - Dietro alla donna veniva un ragazzocheaveva la cartella sotto il braccioe singhiozzava. - Cos'èstato? - domandò mio padre. Un vicino rispose che era unmuratorecaduto da un quarto pianomentre lavorava. Iportatori della barella si soffermarono un momento. Moltitorsero il viso inorriditi. Vidi la maestrina della penna rossa chesorreggeva la mia maestra di prima superiore quasi svenuta.Nello stesso tempo mi sentii urtare nel gomito: era il muratorinopallidoche tremava da capo a piedi. Egli pensava a suo padrecerto. Anch'io ci pensai. Io sto con l'animo in pacealmenoquandosono a scuolaio so che mio padre è a casaseduto atavolinolontano da ogni pericolo; ma quanti miei compagni pensanoche i loro padri lavorano sopra un ponte altissimo o vicino alleruote d'una macchinae che un gestoun passo falso puòcostar loro la vita! Sono come tanti figliuoli di soldaticheabbiano i loro padri in battaglia. Il muratorino guardavaguardavae tremava sempre più fortee mio padre sen'accorse e gli disse: - Vattene a casaragazzova subito datuo padreche lo troverai sano e tranquillo; và! - Ilmuratorino se n'andò voltandosi indietro a ogni passo. Eintanto la folla si rimise in motoe la donna gridavadastraziar l'anima: - è morto! è morto! è morto!- Nononon è morto- le dicevan da tutte la parti. Maessa non ci badava e si strappava i capelli. Quando sentii unavoce sdegnata che disse: - Tu ridi! - e vidi nello stesso tempo unuomo barbuto che guardava in faccia Frantiil quale sorridevaancora. Allora l'uomo gli cacciò in terra il berrettocon un ceffonedicendo: - Scopriti il capomalnatoquando passaun ferito del lavoro! - La folla era già passata tuttae sivedeva in mezzo alla strada una lunga striscia di sangue.



Ilprigioniero

17venerdì


Ah! questo è certamente il caso più strano di tuttol'anno! Mio padre mi condusse ieri mattina nei dintorni diMoncalieria vedere una villa da prendere a pigione per l'estateprossimaperché quest'anno non andiamo più aChieri; e si trovò che chi aveva le chiavi era unmaestroil quale fa da segretario al padrone. Egli ci fece vederela casae poi ci condusse nella sua cameradove ci diede da bere.C'era sul tavolinoin mezzo ai bicchieriun calamaio di legnodi forma conicascolpito in una maniera singolare. Vedendo che miopadre lo guardavail maestro gli disse: - Quel calamaio lìmi è prezioso: se sapessesignorela storia di quelcalamaio! - E la raccontò:

Annisonoegli era maestro a Torinoe andò per tutto un inverno afar lezione ai prigionierinelle Carceri giudiziarie. Facevalezione nella chiesa delle carceriche è un edificiorotondoe tutt'intornonel muri alti e nudici son tantifinestrini quadratichiusi da due sbarre di ferro incrociateaciascuno dei quali corrisponde di dentro una piccolissima cella.Egli faceva lezione passeggiando per la chiesa fredda e buiae isuoi scolari stavano affacciati a quelle buchecoi quadernicontro le inferriatenon mostrando altro che i visi nell'ombradei visi sparuti e accigliatidelle barbe arruffate e grigiedegli occhi fissi d'omicidi e di ladri. Ce n'era unofra glialtrial numero 78che stava più attento di tuttiestudiava moltoe guardava il maestro con gli occhi pieni dirispetto e di gratitudine. Era un giovane con la barba nerapiùdisgraziato che malvagioun ebanistail qualein un impeto dicolleraaveva scagliato una pialla contro il suo padroneche daun pezzo lo perseguitavae l'aveva ferito mortalmente al capo; e perquesto era stato condannato a vari anni di reclusione. In tre mesiegli aveva imparato a leggere e a scriveree leggevacontinuamentee quanto più imparavatanto piùpareva che diventasse buono e che fosse pentito del suo delitto. Ungiornosul finire della lezioneegli fece cenno al maestro ches'avvicinasse al finestrinoe gli annunziòcontristezzache la mattina dopo sarebbe partito da Torinoperandare a scontare la sua pena nelle carceri di Venezia; edettogli addiolo pregò con voce umile e commossa che silasciasse toccare la mano. Il maestro ritirò la mano: erabagnata di lacrime. Dopo d'allora non lo vide più. Passaronosei anni. - Io pensavo a tutt'altro che a quel disgraziato- disseil maestro- quando ieri l'altro mattina mi vedo capitare a casauno sconosciutocon una gran barba neragià un pòbrizzolatavestito malamente; il quale mi dice: - è leisignoreil maestro tale dei tali? - Chi siete? - gli domando io -Sono il carcerato del numero 78- mi riponde; - m'ha insegnatolei a leggere e a scriveresei anni fa: se si rammentaall'ultima lezione m'ha dato la mano: ora ho scontato la mia pena eson qui... a pregarla che mi faccia la grazia d'accettare un mioricordouna cosuccia che ho lavorato in prigione. La vuolaccettare per mia memoriasignor maestro? - Io rimasi lìsenza parola. Egli credette che non volessi accettaree mi guardòcome per dire: - Sei anni di patimenti non sono dunque bastati apurgarmi le mani! - ma con espressione così viva di doloremi guardòche tesi subito la mano e presi l'oggetto.Eccolo qui. Guardammo attentamente il calamaio: pareva statolavorato con la punta d'un chiodocon lunghissima pazienza; c'erasu scolpita una penna a traverso a un quadernoe scrittointorno:Al mio maestro. - Ricordo del numero 78 - Sei anni. - Esottoin piccoli caratteri: - .Studio e speranza..... Il maestronon disse altro; ce n'andammo. Ma per tutto il tragitto daMoncalieri a Torinoio non potei più levarmi dal capoquel prigionero affacciato al finestrinoquell'addio almaestroquel povero calamaio lavorato in carcereche diceva tantecosee lo sognai la nottee ci pensavo ancora questa mattina...quanto lontano dall'immaginare la sorpresa che m'aspettava allascuola! Entrato appena nel mio nuovo bancoaccanto a Derossiescritto il problema d'aritmetica dell'esame mensileraccontaial mio compagno tutta la storia del prigioniero e del calamaio ecome il calamaio era fattocon la penna a traverso al quadernoequell'iscrizione intorno: - .Sei anni!. - Derossi scattòa quelle parolee cominciò a guardare ora me ora Crossiil figliuolo dell'erbivendolache era nel banco davanticonla schiena rivolta a noitutto assorto nel suo problema. - Zitto!- disse poia bassa vocepigliandomi per un braccio. - Non sai?Crossi mi disse avant'ieri d'aver visto di sfuggita un calamaiodi legno tra le mani di suo padre ritornato dall'America: uncalamaio conicolavorato a manocon un quaderno e una penna: -è quello; -sei anni!. - egli diceva che suo padre era inAmerica: - era invece in prigione; - Crossi era piccolo al tempo deldelittonon si ricordasua madre lo ingannòegli nonsa nulla; non ci sfugga una sillaba di questo! - Io rimasi senzaparolacon gli occhi fissi su Crossi. E allora Derossirisolvette il problema e lo passò sotto il banco a Crossi;gli diede un foglio di carta; gli levò di mano L'Infermieredi Tata.il racconto mensileche il maestro gli aveva dato aricopiareper ricopiarlo lui in sua vece; gli regalò deipenninigli accarezzò la spallami fece promettere sulmio onore che non avrei detto nulla a nessuno; e quando uscimmo dallascuola mi disse in fretta: - Ieri suo padre è venuto aprenderloci sarà anche questa mattina: fa come faccio io.Uscimmo nella stradail padre di Crossi era làun pòin disparte: un uomo con la barba neragià un pòbrizzolatavestito malamentecon un viso scolorito epensieroso. Derossi strinse la mano a Crossi; in modo da farsivederee gli disse forte: - A riverderciCrossi- e gli passòla mano sotto mentoio feci lo stesso. Ma facendo quelloDerossidiventò color di porporaio pure; e il padre di Crossi ciguardò attentamentecon uno sguardo benevolo; ma in cuitraluceva un'espressione d'inquietudine e di sospettoche ci misefreddo nel cuore.



L'infermieredi Tata

Raccontomensile


La mattina d'un giorno piovoso di marzoun ragazzo vestito dacampagnuolotutto inzuppato d'acqua e infangatocon un involto dipanni sotto il bracciosi presentava al portinaio dell'Ospedalemaggiore di Napoli e domandava di suo padrepresentando unalettera. Aveva un bel viso ovale d'un bruno pallidogli occhipensierosi e due grosse labbra semiaperteche lasciavan vedere identi bianchissimi. Veniva da un villaggio dei dintorni di Napoli.Suo padrepartito di casa l'anno addietro per andare a cercarlavoro in Franciaera tornato in Italia e sbarcato pochi dìprima a Napolidoveammalatosi improvvisamenteaveva appenafatto in tempo a scrivere un rigo alla famiglia per annunziarle ilsuo arrivo e dirle che entrava all'ospedale. Sua mogliedesolatadi quella notizianon potendo moversi di casa perché avevauna bimba inferma e un'altra al senoaveva mandato a Napoli ilfigliuolo maggiorecon qualche soldoad assistere suo padreil suo .Tata.come là si dice; il ragazzo aveva fattodieci miglia di cammino.

Ilportinaiodata un'occhiata alla letterachiamò uninfermiere e gli disse che conducesse il ragazzo dal padre.

-Che padre? - domandò l'infermiere.

Ilragazzotremante per il timore d'una trista notiziadisse il nome.

L'infermierenon si rammentava quel nome.

-Un vecchio operaio venuto di fuori? - domandò.

-Operaio sì- rispose il ragazzosempre piùansioso; non tanto vecchio.

Venutodi fuorisì.

-Entrato all'ospedale quando? - domandò l'infermiere.

Ilragazzo diede uno sguardo alla lettera. - Cinque giorni facredo.

L'infermierestette un pò pensando; poicome ricordandosi a un tratto: -Ah!

-disse- il quarto cameroneil letto in fondo.

-è malato molto? Come sta? - domandò affannosamente ilragazzo.

L'infermierelo guardòsenza rispondere. Poi disse: - Vieni con me.

Salironodue branche di scaleandarono in fondo a un largo corridoio esi trovarono in faccia alla porta aperta d'un cameronedoves'allungavano due file di letti. - Vieni- ripetél'infermiereentrando. Il ragazzo si fece animo e lo seguitògettando sguardi paurosi a destra e a sinistrasui visi bianchie smunti dei malatialcuni dei quali avevan gli occhi chiusie parevano mortialtri guardavan per aria con gli occhi grandi efissicome spaventati. Parecchi gemevanocome bambini. Ilcamerone era oscurol'aria impregnata d'un odore acuto dimedicinali. Due suore di carità andavano attorno con delleboccette in mano.

Arrivatoin fondo al cameronel'infermiere si fermò al capezzale d'unlettoaperse le tendine e disse: - Ecco tuo padre.

Ilragazzo diede in uno scoppio di piantoe lasciato caderel'involtoabbandonò la testa sulla spalla del malatoafferrandogli con una mano il braccio che teneva distesoimmobile sopra la coperta. Il malato non si scosse.

Ilragazzo si rialzò e guardò il padree ruppe inpianto un'altra volta.

Allorail malato gli rivolse uno sguardo lungo e parve che lo riconoscesse.Ma le sue labbra non si muovevano. Povero .Tata.quanto eramutato! Il figliuolo non l'avrebbe mai riconosciuto. Gli s'eranoimbiancati i capelligli era cresciuta la barbaaveva il visogonfiod'un color rosso caricocon la pelle tesa e luccicantegliocchi rimpicciolitile labbra ingrossatela fisionomia tuttaalterata: non aveva più di suo che la fronte e l'arco dellesopracciglia.

Respiravacon affanno. - Tatatata mio! - disse il ragazzo. - Son ionon miriconoscete? Sono Cicilloil vostro Cicillovenuto dal paeseche m'ha mandato la mamma. Guardatemi benenon mi riconoscete?Ditemi una parola.

Mail malatodopo averlo guardato attentamentechiuse gli occhi.

-Tata! Tata! che avete? Sono il vostro figliuoloCicillo vostro.

Ilmalato non si mosse piùe continuò a respirareaffannosamente.

Allorapiangendoil ragazzo prese una seggiolasedette e stetteaspettandosenza levar gli occhi dal viso di suo padre. - Unmedico passerà bene a far la visita- pensava. - Egli midirà qualche cosa. - E s'immerse nè suoi pensieritristiricordando tante cose del suo buon padreil giorno dellapartenzaquando gli aveva dato l'ultimo addio sul bastimentolesperanze che aveva fondato la famiglia su quel suo viaggioladesolazione di sua madre all'arrivo della lettera; e pensòalla mortevide suo padre mortosua madre vestita di nerolafamiglia nella miseria. E stette molto tempo così. Quandouna mano leggiera gli toccò una spallaed ei si riscosse:era una monaca. - Che cos'ha mio padre? - le domandò subito.- è tuo padre? - disse la suoradolcemente. - Sìèmio padreson venuto. Che cos'ha? - Coraggioragazzo- risposela suora; - ora verrà il medico. - E s'allontanòsenza dir altro.

Dopomezz'orasentì il tocco d'una campanellae vide entrarein fondo al camerone il medicoaccompagnato da un assistente; lasuora e un infermiere li seguivano. Cominciaron la visitafermandosi a ogni letto. Quell'aspettazione pareva eterna alragazzoe ad ogni passo del medico gli cresceva l'affanno.

Finalmentearrivò al letto vicino. Il medico era un vecchio alto ecurvocol viso grave. Prima ch'egli si staccasse dal lettovicinoil ragazzo si levò in piedie quando gli s'avvicinòsi mise a piangere.

Ilmedico lo guardò.

-è il figliuolo del malato - disse la suora; - èarrivato questa mattina dal suo paese.

Ilmedico gli posò una mano sulla spallapoi si chinò sulmalatogli tastò il polsogli toccò la frontee fece qualche domanda alla suorala quale rispose: - nulla dinuovo. Rimase un pò pensierosopoi disse: - Continuatecome prima.

Allorail ragazzo si fece coraggio e domandò con voce di pianto: -Che cos'ha mio padre?

-Fatti animofigliuolo- rispose il medicorimettendogli unamano sulla spalla. - Ha una risipola facciale. è gravemac'è ancora speranza. Assistilo.

Latua presenza gli può far del bene.

-Ma non mi riconosce! - esclamò il ragazzo in tuono desolato.

-Ti riconoscerà... domaniforse. Speriamo benefatticoraggio.

Ilragazzo avrebbe voluto domandar altro; ma non osò. Il medicopassò oltre. E allora egli cominciò la sua vitad'infermiere. Non potendo far altro accomodava le coperte al malatogli toccava ogni tanto la manogli cacciava i moscerinisi chinavasu di lui ad ogni gemitoe quando la suora portava da berelelevava di mano il bicchiere o il cucchiaioe lo porgeva in sua vece.Il malato lo guardava qualche volta; ma non dava segno diriconoscerlo. Senonché il suo sguardo si arrestava semprepiù a lungo sopra di luispecialmente quando si mettevaagli occhi il fazzoletto. E così passò il primogiorno. La notte il ragazzo dormì sopra due seggiolein unangolo del cameronee la mattina riprese il suo ufficiopietoso. Quel giorno parve che gli occhi del malato rivelassero unprincipio di coscienza. Alla voce carezzevole del ragazzo pareva cheun'espressione vaga di gratitudine gli brillasse un momento nellepupillee una volta mosse un poco le labbra come se volesse dirqualche cosa. Dopo ogni breve assopimentoriaprendo gli occhisembrava che cercasse il suo piccolo infermiere. Il medicoripassato due voltenotò un poco di miglioramento.

Versoseraavvicinandogli il bicchiere alle labbrail ragazzocredette di veder guizzare sulle sue labbra gonfie unleggerissimo sorriso. E allora cominciò a riconfortarsia sperare. E con la speranza d'essere intesoalmeno confusamentegli parlavagli parlava a lungodella mammadelle sorellepiccoledel ritorno a casae lo esortava a farsi animoconparole calde e amorose. E benché dubitasse sovente di nonesser capitopure parlavaperché gli pareva cheanchenon comprendendoil malato ascoltasse con un certo piacere lasua vocequell'intonazione insolita di affetto e di tristezza. E inquella maniera passò il secondo giornoe il terzoe ilquartoin una vicenda di miglioramenti leggieri e di peggioramentiimprovvisi; e il ragazzo era così tutto assorto nelle suecureche appena sbocconcellava due volte al giorno un pò dipane e un pò di formaggioche gli portava la suorae nonvedeva quasi quel che seguiva intorno a luii malati moribondil'accorrere improvviso delle suore di nottei pianti e gliatti di desolazione dei visitatori che uscivano senza speranzatutte quelle scene dolorose e lugubri della vita d'un ospedalechein qualunque altra occasione l'avrebbero sbalordito e atterrito.

Leorei giorni passavanoed egli era sempre là colsuoTata.attentopremurosopalpitante ad ogni suo sospiro e adogni suo sguardoagitato senza riposo tra una speranza che gliallargava l'anima e uno sconforto che gli agghiacciava ilcuore.

Ilquinto giornoimprovvisamenteil malato peggiorò.

Ilmedicointerrogatoscrollò il capocome per dire che erafinitae il ragazzo s'abbandonò sulla seggiolarompendo insinghiozzi. Eppure una cosa lo consolava. Malgrado chepeggiorassea lui sembrava che il malato andasse riacquistandolentamente un poco d'intelligenza. Egli guardava il ragazzosempre più fissamente e con un'espressione crescente didolcezzanon voleva più prender bevanda o medicina che daluie sempre più spesso faceva quel movimento forzatodelle labbracome se volesse pronunciare una parola; e lo facevacosì spiccato qualche voltache il figliuolo gli afferravail braccio con violenzasollevato da una speranza improvvisaegli diceva con accento quasi di gioia: - CoraggiocoraggioTataguariraice n'andremotorneremo a casa con la mammaancora un pòdi coraggio!

Eranole quattro della serae allora appunto il ragazzo s'eraabbandonato a uno di quegli impeti di tenerezza e di speranzaquando di là dalla porta più vicina del camerone udìun rumore di passie poi una voce fortedue sole parole: -Arrivedercisuora! - che lo fecero balzare in piedicon un gridostrozzato nella gola. Nello stesso momento entrò nelcamerone un uomocon un grosso involto alla manoseguito da unasuora.

Ilragazzo gettò un grido acuto e rimase inchiodato al suo posto.

L'uomosi voltòlo guardò un momentogittò un gridoanch'egli: - Cicillo! - e si slanciò verso di lui.

Ilragazzo cadde fra le braccia di suo padresoffocato. Lesuoregl'infermieril'assistente accorseroe rimasero lìpieni di stupore.

Ilragazzo non poteva raccogliere la voce.

-Oh Cicillo mio! - esclamò il padredopo aver fissato unosguardo attento sul malatobaciando e ribaciando il ragazzo. -Cicillofigliuol miocome va questo? T'hanno condotto alletto d'un altro. E io che mi disperavo di non vedertidopo chemamma scrisse: l'ho mandato. Povero Cicillo! Da quanti giorni seiqui? Com'è andato questo imbroglio? Io me la son cavata conpoco. Sto bene in gambasai! E la mamma? E Concettella? E .'unennillo.come vanno? Io me n'esco dall'ospedale. Andiamo dunque. Osignore Iddio! Chi l'avrebbe mai detto!

Ilragazzo stentò a spiccicar quattro parole per dar notiziedella famiglia. - Oh come sono contento! - balbettò. -Come sono contento! Che brutti giorni ho passati! E non rifiniva dibaciar suo padre.

Manon si muoveva.

-Vieni dunque - gli disse il padre. - Arriveremo ancora a casastasera.

Andiamo.- E lo tirò a sé.

Ilragazzo si voltò a guardare il suo malato.

-Ma... vieni o non vieni? - gli domandò il padrestupito.

Ilragazzo diede ancora uno sguardo al malatoil qualein quelmomentoaperse gli occhi e lo guardò fissamente.

Alloragli sgorgò dall'anima un torrente di parole. - NoTataaspetta...

ecco...non posso. C'è quel vecchio. Da cinque giorni son qui.Mi guarda sempre. Credevo che fossi tu. Gli volevo bene. Mi guardaio gli do da beremi vuol sempre accantoora sta molto maleabbipazienzanon ho coraggionon somi fa troppo penatorneròa casa domanilasciami star qui un altro pònon va micabene che lo lascivedi in che maniera mi guardaio non so chisiama mi vuolemorirebbe sololasciami star quicaro Tata!

-Bravo.piccerello!. - gridò l'assistente.

Ilpadre rimase perplessoguardando il ragazzo; poi guardò ilmalato. - Chi è?

-domandò.

-Un contadino come voi - rispose l'assistente- venuto di fuorientrato all'ospedale lo stesso giorno che c'entraste voi. Loportaron qui ch'era fuor di sensoe non poté dir nulla.Forse ha una famiglia lontanadei figliuoli.

Crederàche sia un dei suoiil vostro.

Ilmalato guardava sempre il ragazzo.

Ilpadre disse a Cicillo: - Resta.

-Non ha più da restar che per poco- mormoròl'assistente.

-Resta -ripeté il padre. - Tu hai cuore. Io vado subito acasa a levar di pena la mamma. Ecco uno scudo pei tuoi bisogni.Addiobravo figliuolo mio. A rivederci.

Loabbracciòlo guardò fissolo ribaciò infrontee partì.

Ilragazzo tornò accanto al lettoe l'infermo parveracconsolato. E Cicillo ricominciò a far l'infermierenonpiangendo piùma con la stessa premuracon la stessapazienza di prima; ricominciò a dargli da bereadaccomodargli le copertea carezzargli la manoa parlarglidolcementeper fargli coraggio. Lo assistette tutto quel giornolo assistette tutta la nottegli restò ancora accanto ilgiorno seguente. Ma il malato s'andava sempre aggravando; il suoviso diventava color violaceoil suo respiro ingrossavaglicresceva l'agitazionegli sfuggivan dalla bocca delle gridainarticolatel'enfiagione si faceva mostruosa. Alla visita dellaserail medico disse che non avrebbe passata la notte. E alloraCicillo raddoppiò le sue cure e non lo perdette piùd'occhio un minuto. E il malato lo guardavalo guardavae muovevaancora le labbratratto trattocon un grande sforzocome sevolesse dir qualche cosae un'espressione di dolcezza straordinariapassava a quando a quando nei suoi occhiche sempre più sirimpiccolivano e s'andavano velando. E quella notte il ragazzo lovegliò fin che vide biancheggiare alle finestre il primobarlume di giornoe comparire la suora. La suora s'avvicinòal lettodiede un'occhiata al malato e andò via a rapidipassi. Pochi momenti dopo ricomparve col medico assistente e con uninfermiereche portava una lanterna.

-è all'ultimo momento- disse il medico.

Ilragazzo afferrò la mano del malato. Questi aprì gliocchilo fissòe li richiuse.

Inquel punto parve al ragazzo di sentirsi stringere la mano.

-M'ha stretta la mano! - esclamò.

Ilmedico rimase un momento chino sul malatopoi s'alzò. Lasuora staccò un crocifisso dalla parte.

-E morto! - gridò il ragazzo.

-Vàfigliuolo- disse il medico. - La tua santa opera ècompiuta. Và e abbi fortunache la meriti. Dio tiproteggerà. Addio.

Lasuora che s'era allontanata un momentotornò con unmazzettino di violetolte da un bicchiere sulla finestrae loporse al ragazzodicendo: - Non ho altro da darti. Tieni questoper memoria dell'ospedale.

-Grazie- rispose il ragazzo- pigliando il mazzetto conuna mano e asciugandosi gli occhi con l'altra; - ma ho tanta stradada fare a piedi... lo sciuperei. - E sciolto il mazzolinosparpagliò le viole sul lettodicendo: - Le lascio perricordo al mio povero morto. Graziesorella. Graziesignordottore. - Poirivolgendosi al morto: - Addio... - E mentre cercavaun nome da dargligli rivenne dal cuore alle labbra il dolce nomeche gli aveva dato per cinque giorni: - Addiopovero Tata!

Dettoquestosi mise sotto il braccio il suo involtino di pannie alenti passirotto dalla stanchezzase n'andò. L'albaspuntava.



L'officina

18sabato


Precossi venne ieri sera a rammentarmi che andassi a vedere lasua officinache è sotto nella stradae questa mattinauscendo con mio padremi ci feci condurre un momento. Mentrenoi ci avvicinavamo all'officinane usciva di corsa Garofficonun pacco in manofacendo svolazzare il suo gran mantellochecopre le mercanzie. Ah! ora lo so dove va a raspare la limatura diferroche vende per dei giornali vecchiquel trafficone diGaroffi! Affacciandoci alla portavedemmo Precossisedutosur una torricella di mattoniche studiava la lezionecollibro sulle ginocchia. S'alzò subito e ci feceentrare: era uno stanzone pien di polvere di carbonecolle paretitutte irte di martellidi tanagliedi spranghedi ferracci d'ogniformae in un angolo ardeva il fuoco d'un fornelloin cuisoffiava un manticetirato da un ragazzo. Precossi padreera vicino all'incudinee un garzone teneva una spranga diferro nel fuoco. - Ah! eccolo qui- disse il fabbro appena ci videlevandosi la berretta- il bravo ragazzo che regala i trenidelle strade ferrate! è venuto a vedere un pòlavorarenon è vero? Eccolo servito sul momento. - Edicendo questo sorridevanon aveva più quella facciatorvaquegli occhi biechi dell'altre volte. Il garzone gli porseuna lunga spranga di ferro arroventata da un capoe il fabbrol'appoggiò sull'incudine. Faceva una di quelle spranghe avoluta per le ringhiere a gabbia dei terrazzini. Alzò ungrosso martello e cominciò a picchiarespingendo la parterovente ora di qua ora di là tra una punta dell'incudine e ilmezzoe rigirandola in vari modied era una meraviglia avedere come sotto ai colpi rapidi e precisi del martello il ferros'incurvavas'attorcevapigliava via via la forma graziosa dellafoglia arricciata d'un fiorecome un cannello di pastach'egliavesse modellato con le mani. E intanto il suo figliuolo ciguardavacon una cert'aria alteracome per dire: - Vedetecome lavora mio padre! - Ha visto come si fail signorino? - midomandò il fabbroquand'ebbe finitomettendomi davanti lasprangache pareva il pastorale d'un vescovo. Poi la mise indisparte e ne ficcò un'altra nel fuoco. - Ben fatto davvero- gli disse mio padre. E soggiunse: - Dunque... si lavoraeh? Labuona voglia è tornata. - è tornatasì -rispose l'operaioasciugandosi il sudoree arrossendo un poco.

-E sa chi me l'ha fatta tornare? - Mio padre finse di non capire. -Quel bravo ragazzo- disse il fabbroaccennando il figliuolo coldito- quel bravo figliuolo làche studiava efaceva onore a suo padre mentre suo padre...

facevabaldoria e lo trattava come una bestia. Quando ho vistoquella medaglia... Ah! il piccinetto mioalto come un soldo dicaciovieni un pò qua che ti guardi bene nel muso! - Ilragazzo corse subitoil fabbro lo prese e lo mise dirittosull'incudinetenendolo sotto le ascellee gli disse: - Puliteun poco il frontespizio a questo bestione di babbo. - E alloraPrecossi coprì di baci il viso nero di suo padre fin che fuanche lui tutto nero. - Così va bene- disse il fabbroe lo rimise in terra. - Così va bene davveroPrecossi! -esclamò mio padrecontento. E detto a rivederci al fabbro eal figliuolomi condusse fuori. Mentre uscivoPrecossino midisse: - Scusami- e mi cacciò in tasca un pacchetto dichiodi; io l'invitai a venir a vedere il carnevale da casa mia. -Tu gli hai regalato il tuo treno di strada ferrata- mi disse miopadre per la strada; - ma se fosse stato d'oro e pieno di perlesarebbe stato ancora un piccolo regalo per quel santo figliuolo cheha rifatto il cuore a suo padre.



Ilpiccolo pagliaccio

20lunedì


Tutta la città è in ribollimento per il carnevaleche è sul finirein ogni piazza si rizzan baracche disaltimbanchi e giostree noi abbiamo sotto le finestre un circo diteladove dà spettacolo una piccola compagnia venezianacon cinque cavalli. Il circo è nel mezzo della piazzae inun angolo ci son tre carrozzoni grandidove i saltimbanchi dormonoe si travestono; tre casette con le ruotecoi loro finestrini e uncaminetto ciascunache fuma sempre; e tra finestrino efinestrino sono stese delle fasce da bambini. C'è una donnache allatta un puttofa da mangiare e balla sulla corda. Poveragente! Si dicesaltimbanco. come un'ingiuria; eppure si guadagnanoil pane onestamentedivertendo tutti; e come faticano! Tuttoil giorno corrono tra il circo e i carrozzoniin magliacon questifreddi; mangian due bocconi a scappa e fuggiin pieditra unarappresentazione e l'altrae a voltequando hanno già ilcirco affollatosi leva un vento che strappa le tele e spegne ilumie addio spettacolo! debbon rendere i denari e lavorar tuttala sera a rimetter su la baracca. Ci hanno due ragazzi chelavorano; e mio padre riconobbe il più piccolo mentreattraversava la piazza: è il figliuolo del padrone lo stessoche vedemmo fare i giochi a cavallo l'anno passatoin un circo dipiazza Vittorio Emanuele. è cresciutoavrà otto anniè un bel ragazzoun bel visetto rotondo e bruno di monellocon tanti riccioli neri che gli scappan fuori dal cappello a cono. èvestito da pagliaccioficcato dentro a una specie di saccone con lemanichebianco ricamato di neroe ha le scarpette di tela. èun diavoletto.

Piacea tutti. Fa di tutto. Lo vediamo ravvolto in uno sciallelamattina prestoche porta il latte alla sua casetta di legno;poi va a prendere i cavalli alla rimessa di via Bertola; tienein braccio il bimbo piccolo; trasporta cerchi cavallettisbarrecorde; pulisce i carrozzoniaccende il fuocoe neimomenti di riposo è sempre appiccicato a sua madre. Mio padrelo guarda sempre dalla finestrae non fa che parlar di lui e deisuoiche han l'aria di buona gentee di voler bene ai figliuoli.Una sera ci siamo andatial circo; faceva freddonon c'era quasinessuno; ma tanto il pagliaccino si dava un gran moto per tenerallegra quella pò di gente: faceva dei salti mortalis'attaccava alla coda dei cavallicamminava con le gambe per ariatutto soloe cantavasempre sorridentecol suo visetto bello ebruno; e suo padre che aveva un vestito rosso e i calzoni bianchicon gli stivali alti e la frusta in manolo guardava; ma eratriste. Mio padre n'ebbe compassionee ne parlò il dìdopo col pittore Delische venne a trovarci. Quella povera gentes'ammazza a lavorare e fa così cattivi affari! Quelragazzino gli piaceva tanto! Che cosa si poteva fare per loro? Ilpittore ebbe un'idea. - Scrivi un bell'articolo sulla .Gazzetta.-gli disse- tu che sai scrivere: tu racconti i miracoli del piccolopagliaccio e io faccio il suo ritratto; la .Gazzetta. la leggontuttie almeno per una volta accorrerà gente. - E cosìfecero. Mio padre scrisse un articolobello e pieno di scherziche diceva tutto quello che noi vediamo dalla finestrae mettevavoglia di conoscere e di carezzare il piccolo artista; e il pittoreschizzò un ritrattino somigliante e graziosoche fupubblicato sabato sera. Ed eccoalla rappresentazione di domenicauna gran folla che accorre al circo. Era annunziato:.Rappresentazione a beneficio del pagliaccino.; del pagliaccinocom'era chiamato nella .Gazzetta.. Mio padre mi condusse nei primiposti. Accanto all'entrata avevano affisso la .Gazzetta.. Il circoera stipato; molti spettatori avevano la .Gazzetta. in manoela mostravano al pagliaccinoche rideva e correva or dall'unoor dall'altrotutto felice. Anche il padrone era contento.Figurarsi! Nessun giornale gli aveva mai fatto tanto onoree lacassetta dei soldi era piena. Mi padre sedette accanto a me.Tra gli spettatori trovammo delle persone di conoscenza.

C'eravicino all'entrata dei cavalliin piediil maestro diGinnasticaquello che è stato con Garibaldi; e in facciaa noinei secondi postiil muratorinocol suo visetto tondoseduto accanto a quel gigante di suo padre... e appena mividemi fece il muso di lepre. Un pò più in làvidi Garoffiche contava gli spettatoricalcolando sulle ditaquanto potesse aver incassato la Compagnia. C'era anche nelleseggiole dei primi postipoco lontano da noiil povero Robettiquello che salvò il bimbo dall'omnibuscon le suestampelle fra le ginocchiastretto al fianco di suo padrecapitano d'artiglieriache gli teneva una mano sulla spalla.La rappresentazione cominciò. Il pagliaccino fecemeraviglie sul cavallosul trapezio e sulla cordae ogni voltache saltava giùtutti gli battevan le mani e molti glitiravano i riccioli. Poi fecero gli esercizi vari altrifunamboligiocolieri e cavallerizzivestiti di cenci e scintillantid'argento. Ma quando non c'era il ragazzopareva che la gente siseccasse. A un certo punto vidi il maestro di ginnasticafermoall'entrata dei cavalliche parlò nell'orecchio delpadrone del circoe questi subito girò lo sguardo suglispettatoricome se cercasse qualcuno. Il suo sguardo si fermòsu di noi. Mio padre se ne accorsecapì che il maestroaveva detto ch'era lui l'autor dell'articoloe per non esserringraziato se ne scappò viadicendomi: - RestaEnrico;io t'aspetto fuori. - Il pagliaccinodopo aver scambiato qualcheparola col suo babbofece ancora un esercizio: ritto sulcavallo che galoppavasi travestì quattro voltedapellegrinoda marinaioda soldatoda acrobatae ogni volta che mipassava vicinomi guardava. Poiquando scesecominciòa fare il giro del circo col cappello da pagliaccio tra le manietutti ci gettavan dentro soldi e confetti. Io tenni pronti duesoldi; ma quando fu in faccia a meinvece di porgere ilcappellolo tirò indietromi guardò e passòavanti. Rimasi mortificato. Perché m'aveva fatto quellosgarbo? La rappresentazione terminòil padrone ringraziòil pubblicoe tutta la gente s'alzòaffollandosi versol'uscita. Io ero confuso tra la follae stavo già per uscirequando mi sentii toccare una mano. Mi voltai: era il pagliaccinocol suo bel visetto bruno e i suoi riccioli neriche mi sorrideva:aveva le mani piene di confetti. Allora capii. - .Voresistu. - midisse - .agradir sti confeti del pagiazzeto?. - Io accennai di sìe ne presi tre o quattro. - .Alora.- soggiunse - .ciapa anca unbaso.. - Dammene due -risposie gli porsi il viso. Egli si pulìcon la manica la faccia infarinatami pose un braccio intorno alcolloe mi stampò due baci sulle guancedicendomi: - .Tòe portighene uno a to pare..



L'ultimogiorno di carnevale

21martedì


Che triste scena vedemmo oggi al corso delle maschere! Finìbene; ma poteva seguire una grande disgrazia. In piazza SanCarlotutta decorata di festoni giallirossi e bianchis'accalcava una grande moltitudine; giravan maschere d'ogni colore;passavano carri dorati e imbandieratidella forma di padiglioni diteatrini e di barchepieni d'arlecchini e di guerrieridicuochidi marinai e di pastorelle; era una confusione da nonsaper dove guardare; un frastuono di trombettedi corni e dipiatti turchi che lacerava le orecchie; e le maschere dei carritrincavano e cantavanoapostrofando la gente a piedi e la gentealle finestreche rispondevano a squarciagolae si tiravano afuria arancie e confetti; e al di sopra delle carrozze e dellacalcafin dove arrivava l'occhiosi vedevano sventolarbandierinescintillar caschitremolare pennacchiagitarsitestoni di cartapestagigantesche cuffietube enormiarmistravagantitamburellicrotaliberrettini rossi e bottiglie:

parevantutti pazzi. Quando la nostra carrozza entrò nellapiazzaandava dinanzi a noi un carro magnificotirato daquattro cavalli coperti di gualdrappe ricamate d'oroe tuttoinghirlandato di rose fintesul quale c'erano quattordici oquindici signorimascherati da gentiluomini della corte diFranciatutti luccicanti di setacol parruccone biancouncappello piumato sotto il braccio e lo spadinoe un arruffio dinastri e di trine sul petto: bellissimi. Cantavano tutti insiemeuna canzonetta francesee gettavan dolci alla gentee la gentebatteva le mani e gridava. Quando a un trattosulla nostrasinistravedemmo un uomo sollevare sopra le teste della folla unabambina di cinque o sei anniuna poverella che piangevadisperatamenteagitando le bracciacome presa dalle convulsioni.L'uomo si fece largo verso il carro dei signoriuno di questisi chinòe quell'altro disse forte: - Prenda questa bimbaha perduto sua madre nella follala tenga in braccio; la madre nonpuò essere lontanae la vedrànon c'è altramaniera. - Il signore prese la bimba in braccio; tutti gli altricessarono di cantarela bimba urlava e si dibattevailsignore si tolse la maschera; il carro continuò a andarelentamente. In quel mentrecome ci fu detto poiall'estremitàopposta della piazzauna povera donna mezzo impazzita rompeva lacalca a gomitate e a spintoniurlando: - Maria! Maria! Maria!Ho perduto la mia figliuola! Me l'hanno rubata! Mi hannosoffocato la mia bambina! - E da un quarto d'ora smaniavasidisperava a quel modoandando un pò di qua e un pòdi làoppressa dalla follache stentava ad aprirle ilpasso. Il signore del carrointantosi teneva la bimba strettacontro i nastri e le trine del pettogirando lo sguardo perla piazzae cercando di quietare la povera creaturache sicopriva il viso con le maninon sapendo dove fossee singhiozzavada schiantarsi il cuore. Il signore era commossosi vedeva chequelle grida gli andavano all'anima; tutti gli altri offrivano allabimba arancie e confetti; ma quella respingeva tuttosempre piùspaventata e convulsa. - Cercate la madre!

gridavail signore alla folla- cercate la madre! - E tutti si voltavanoa destra e a sinistra; ma la madre non si trovava. Finalmenteapochi passi dall'imboccatura di via Romasi vide una donnaslanciarsi verso il carro...

Ah!mai più la dimenticherò! Non pareva più unacreatura umanaaveva i capelli scioltila faccia sformatalevesti laceresi slanciò avanti mettendo un rantolo che nonsi capì se fosse di gioiad'angoscia o di rabbiae avventòle mani come due artigli per afferrar la figliuola. Il carro sifermò. - Eccola qui -disse il signoreporgendo la bimbadopo averla baciatae la mise tra le braccia di sua madrechese la strinse al seno come una furia... Ma una delle due maninerestò un minuto secondo tra le mani del signoree questistrappatosi dalla destra un anello d'oro con un grosso diamanteeinfilatolo con un rapido movimento in un dito della piccina: -Prendi- le disse- sarà la tua dote di sposa. - La madrerestò lì come incantatala folla proruppe inapplausiil signore si rimise la mascherai suoi compagni ripreseroil cantoe il carro ripartì lentamente in mezzo a unatempesta di battimani e d'evviva.



Iragazzi ciechi

23giovedì


Il maestro è molto malato e mandarono in vece sua quellodella quartache è stato maestro nell'Istituto deiciechi; il più vecchio di tutticosì bianco che parche abbia in capo una parrucca di cotonee parla in un certomodocome se cantasse una canzone malinconica; ma benee samolto. Appena entrato nella scuolavedendo un ragazzo con unocchio bendatos'avvicinò al banco e gli domandò checos'aveva. - Bada agli occhiragazzo- gli disse. - E alloraDerossi gli domandò: - è verosignor maestroche èstato maestro dei ciechi?

-Sìper vari anni- rispose. E Derossi disse a mezza voce: -Ci dica qualche cosa.

Ilmaestro s'andò a sedere a tavolino.

Corettidisse forte: - L'istituto dei ciechi è in via Nizza.

-Voi dite ciechiciechi- disse il maestro- cosìcomedireste malati e poveri o che so io. Ma capite bene il significatodi quella parola? Pensateci un poco. Ciechi! Non veder nullamai! Non distinguere il giorno dalla nottenon veder né ilcielo né il sole né i propri parentinulla di tuttoquello che s'ha intorno e che si tocca; essere immersi in unaoscurità perpetuae come sepolti nelle viscere dellaterra! Provate un poco a chiudere gli occhi e a pensare di doverrimanere per sempre così: subito vi prende un affannounterrorevi pare che vi sarebbe impossibile di resistereche vimettereste a gridareche impazzireste o morireste. Eppure... poveriragazziquando s'entra per la prima volta nell'Istituto dei ciechidurante la ricreazionea sentirli suonar violini e flauti da tuttele partie parlar forte e rideresalendo e scendendo le scalea passi lestie girando liberamente per i corridoi e peidormitorinon si direbbe mai che son quegli sventurati chesono. Bisogna osservarli bene. C'è dei giovani di sedici odiciott'annirobusti e allegriche portano la cecità conuna certa disinvolturacon una certa baldanza quasi; ma si capiscedall'espressione risentita e fiera dei visiche debbono aversofferto tremendamente prima di rassegnarsi a quella sventura. Cen'è altridei visi pallidi e dolciin cui si vede unagrande rassegnazione; ma tristee si capisce che qualche voltain segretodebbono piangere ancora. Ah!

figliuolimiei. Pensate che alcuni di essi hanno perduto la vista in pochigiorniche altri l'han perduta dopo anni di martirioe molteoperazioni chirurgiche terribilie che molti son nati cosìnati in una notte che non ebbe mai alba per loroentrati nel mondocome in una tomba immensae che non sanno come sia fatto il voltoumano! Immaginate quanto debbono aver sofferto e quanto debbonosoffrire quando pensano cosìconfusamentealladifferenza tremenda che passa fra loro e quelli che ci vedonoedomandano a sé medesimi:

-Perché questa differenza se non abbiamo alcuna colpa? - Io cheson stato vari anni fra loroquando mi ricordo quella classetutti quegli occhi suggellati per sempretutte quelle pupillesenza sguardo e senza vitae poi guardo voi altri... mi pareimpossibile che non siate tutti felici. Pensate: ci sono circaventisei mila ciechi in Italia! Ventisei mila persone che nonvedono lucecapite; un esercito che c'impiegherebbe quattro orea sfilare sotto le nostre finestre!

Ilmaestro tacque; non si sentiva un alito nella scuola. Derossi domandòse era vero che i ciechi hanno il tatto più fino di noi.

Ilmaestro disse: - è vero. Tutti gli altri sensi si raffinano inloroappunto perchédovendo supplire fra tutti a quellodella vistasono più e meglio esercitati di quello chenon siano da chi ci vede. La mattinanei dormitoril'uno domandaall'altro: - C'è il sole? - e chi è più lesto avestirsi scappa subito nel cortile ad agitar le mani per ariapersentire se c'è il tepore del solee corre a dar la buonanotizia: - C'è il sole! - Dalla voce d'una persona si fannoun'idea della statura; noi giudichiamo l'animo d'un uomodall'occhioessi dalla voce; ricordano le intonazioni e gliaccenti per anni. S'accorgono se in una stanza c'è piùd'una personaanche se una sola parlae le altre restanoimmobili. Al tatto s'accorgono se un cucchiaio è poco o moltopulito.

Lebimbe distinguono la lana tinta da quella di color naturale.Passando a due a due per le stradericonoscono quasi tutte lebotteghe all'odoreanche quelle in cui noi non sentiamo odori.Tirano la trottolae a sentire il ronzìo che fa girandovanno diritti a pigliarla senza sbagliare. Fanno correre ilcerchiogiocano ai birillisaltano con la funicellafabbricanocasette coi sassicolgono le viole come se le vedesserofanno stuoie e canestrini intrecciando paglia di vari colorispeditamente e bene; tanto hanno il tatto esercitato! Il tatto èla loro vistaè uno dei più grandi piaceri per loroquello di toccaredi stringered'indovinare la forma delle cosetastandole. è commovente vederliquando li conducono almuseo industrialedove li lascian toccare quello che voglionoveder con che festa si gettano sui corpi geometricisuimodellini di casesugli strumenticon che gioia palpanostropiccianorivoltano fra le mani tutte le coseper vedere comeson fatte.

Essidicono .vedere.!

Garoffiinterruppe il maestro per domandargli se era vero che i ragazziciechi imparano a far di conto meglio degli altri.

Ilmaestro rispose: - è vero. Imparano a far di conto e aleggere. Hanno dei libri fatti appostacoi caratteri rilevati;ci passano le dita soprariconoscon le letteree dicon leparole; leggono corrente. E bisogna vederepoveretticomearrossiscono quando commettono uno sbaglio. E scrivono puresenzainchiostro. Scrivono sur una carta spessa e dura con unpunteruolo di metallo che fa tanti punticini incavati eaggrappati secondo un alfabeto speciale; i quali punticiniriescono in rilievo sul rovescio della carta per modo che voltandoil foglio e strisciando le dita su quei rilieviessi possonoleggere quello che hanno scrittoed anche la scrittura d'altriecosì fanno delle composizionie si scrivono delle letterefra loro. Nella stessa maniera scrivono i numeri e fanno i calcoli.E calcolano a mente con una facilità incredibilenonessendo divagati dalla vista delle cosecome siamo noi. E sevedeste come sono appassionati per sentir leggerecome stannoattenticome ricordano tuttocome discutono fra loroanche ipiccolidi cose di storia e di linguaseduti quattro o cinquesulla stessa pancasenza voltarsi l'un verso l'altroeconversando il primo col terzoil secondo col quartoad alta vocee tutti insiemesenza perdere una sola parolada tanto chehan l'orecchio acuto e pronto! E danno più importanza di voialtri agli esamive lo assicuroe s'affezionano di più ailoro maestri. Riconoscono il maestro al passo e all'odore;s'accorgono se è di buono o cattivo umorese sta bene omalenient'altro che dal suono d'una sua parola; vogliono che ilmaestro li tocchiquando gli incoraggia e li lodae gli palpan lemani e le braccia per esprimergli la loro gratitudine. E si voglionbene anche fra lorosono buoni compagni. Nel tempo dellaricreazione sono quasi sempre insieme quei soliti.

Nellasezione delle ragazzeper esempioformano tanti gruppisecondo lo strumento che suonanole violinistele pianistelesuonatrici di flautoe non si scompagnano mai. Quando hanno postoaffetto a unoè difficile che se ne stacchino. Trovano ungran conforto nell'amicizia. Si giudicano rettamentefra loro.Hanno un concetto chiaro e profondo del bene e del male. Nessunos'esalta come loro al racconto d'un'azione generosa o d'un fattogrande.

Votinidomandò se suonano bene.

-Amano la musica ardentemente- rispose il maestro. - è laloro gioiaè la loro vita la musica. Dei ciechi bambiniappena entrati nell'Istitutoson capaci di star tre ore immobiliin piedi a sentir sonare. Imparano facilmentesuonano conpassione. Quando il maestro dice a uno che non ha disposizione allamusicaquegli ne prova un grande dolorema si mette astudiare disperatamente. Ah! se udiste la musica là dentrose li vedeste quando suonano colla fronte alta col sorriso sullelabbraaccesi nel visotremanti dalla commozioneestaticiquasi ad ascoltar quell'armonia che rispandono nell'oscuritàinfinita che li circondacome sentireste che è unaconsolazione divina la musica! E giubilanobrillano difelicità quando un maestro dice loro: - Tu diventerai unartista. - Per essi il primo nella musicaquello che riesce megliodi tutti al pianoforte o al violinoè come un re; lo amanolo venerano. Se nasce un litigio fra due di lorovanno da lui;se due amici si guastanoè lui che li riconcilia. I piùpiccinia cui egli insegna a sonarelo tengono come un padre.Prima d'andare a dormirevanno tutti a dargli la buona notte.E parlano continuamente di musica. Sono già a lettolasera tardiquasi tutti stanchi dallo studio e dal lavoroemezzo insonniti; e ancora discorrono a bassa voce di operedimaestridi strumentid'orchestre.

Edè un castigo così grande per essi l'esser privatidella lettura o della lezione di musicane soffrono tanto doloreche non s'ha quasi mai il coraggio di castigarli in quel modo.Quello che la luce è per i nostri occhila musica èper il loro cuore.

Derossidomandò se non si poteva andarli a vedere.

-Si può- rispose il maestro; - ma voiragazzinon cidovete andare per ora. Ci andrete più tardiquando saretein grado di capire tutta la grandezza di quella sventurae disentire tutta la pietà che essa merita. è unospettacolo tristefigliuoli. Voi vedete là qualche volta deiragazzi seduti di contro a una finestra spalancataa godere l'ariafrescacol viso immobileche par che guardino la grandepianura verde e le belle montagne azzurre che vedete voi...; e apensare che non vedon nullache non vedranno mai nulla di tuttaquella immensa bellezzavi si stringe l'anima come se fosserodiventati ciechi in quel punto. E ancora i ciechi natiche nonavendo mai visto il mondonon rimpiangono nullaperchéhanno l'immagine d'alcuna cosafanno meno compassione. Ma c'èdei ragazzi ciechi da pochi mesiche si ricordano ancora di tuttoche comprendono bene tutto quello che han perdutoe questi hanno dipiù il dolore di sentirsi oscurare nella menteunpoco ogni giornole immagini più caredi sentirsi comemorire nella memoria le persone più amate.

Unodi questi ragazzi mi diceva un giorno con una tristezzainesprimibile: - Vorrei ancora aver la vista d'una voltaappena unmomentoper rivedere il viso della mammache non lo ricordopiù - E quando la mamma va a trovarlile mettono le mani sulvisola toccano bene dalla fronte al mento e alleorecchieper sentir com'è fattae quasi non sipersuadono di non poterla vederee la chiamano per nome molte voltecome per pregarla che si lasciche si faccia vedere una volta.Quanti escono di là piangendoanche uomini di cuor duro! Equando s'esceci pare un'eccezione la nostraun privilegio quasinon meritato di veder la gentele caseil cielo. Oh! non c'ènessuno di voine son certoche uscendo di là nonsarebbe disposto a privarsi d'un pò della propria vista perdarne un barlume almeno a tutti quei poveri fanciulliper i qualiil sole non ha luce e la madre non ha viso!



Ilmaestro malato

25sabato


Ieri serauscendo dalla scuolaandai a visitare il mio maestromalato. Dal troppo lavorare s'è ammalato. Cinque ore dilezione al giornopoi un'ora di ginnasticapoi altre due oredi scuola seraleche vuol dire dormir pocomangiare di scappata esfiatarsi dalla mattina alla sera: s'è rovinata lasalute. Così dice mia madre. Mia madre m'aspettòsotto il portoneio salii soloe incontrai per le scale ilmaestro della barbaccia nera- Coatti- quello che spaventatutti e non punisce nessunoegli mi guardò con gli occhilarghi e fece la voce del leoneper celiama senza ridere. Ioridevo ancora tirando il campanelloal quarto piano; ma rimasimale subitoquando la serva mi fece entrare in una povera cameramezz'oscuradove era coricato il mio maestro. Era in un piccololetto di ferroaveva la barba lunga. Si mise una mano allafronteper vederci meglioed esclamò con la sua voceaffettuosa: - Oh Enrico! - Io m'avvicinai al lettoegli mi poseuna mano sulla spallae disse: - Bravofigliuolo. Hai fattobene a venir a trovare il tuo povero maestro. Son ridotto a malpartitocome vedicaro il mio Enrico. E come va la scuola? comevanno i compagni? Tutto beneeh? anche senza di me. Ne fate dimeno benissimoè vero? del vostro vecchio maestro. - Iovolevo dir di no; egli m'interruppe: - Viavialo so che non mivolete male. - E mise un sospiro. Io guardavo certe fotografieattaccate alla parete. - Vedi? - egli mi disse. - Son tutti ragazziche m'han dato i loro ritrattida più di vent'anni in qua.Dei buoni ragazzison le mie memorie quelle. Quando moriròl'ultima occhiata la darò lìa tutti quei monellifra cui ho passata la vita. Mi darai il ritratto tu purenon èveroquando avrai finito le elementari? Poi prese un'arancia sultavolino da notte e me la mise in mano. - Non ho altro da darti-disse- è un regalo da malato. - Io lo guardavo e avevo ilcuor tristenon so perché.

-Bada eh... - riprese a dire - io spero di cavarmela; ma se nonguarissi più... vedi di fortificarti nell'aritmeticache è il tuo debole; fà uno sforzo! non si tratta ched'un primo sforzo perchéalle voltenon è mancanzadi attitudineè un preconcettoè come chidicesse una fissazione. - Ma intanto respirava fortesi vedevache soffriva. - Ho una febbraccia- sospirò- sonmezz'andato. Mi raccomandodunque. Battere sull'aritmeticasuiproblemi. Non riesce alla prima? Si riposa un pò e poi siritenta. Non riesce ancora? Un altro pò di riposo e poidaccapo. E avantima tranquillamentesenza affannarsisenzamontarsi la testa. Và. Saluta la mamma. E non rifar piùle scaleci rivedremo alla scuola. E se non ci rivedremoricordati qualche volta del tuo maestro di terzache t'ha volutobene. - A quelle parole mi venne da piangere. - China la testa-egli mi disse. Io chinai la testa sul cappezzale; egli mi baciòsui capelli. Poi mi disse: - Và- e voltò il visoverso il muro. E io volai giù per le scale perchéavevo bisogno d'abbracciar mia madre.



Lastrada

25sabato


Iot'osservavo dalla finestraquesta seraquando tornavi dacasa del maestrotu hai urtato una donna. Bada meglio a comecammini per la strada.

Anchelì ci sono dei doveri. Se misuri i tuoi passi e i tuoi gestiin una casa privataperché non dovresti far lo stesso nellastradache è la casa di tutti? RicordatiEnrico.Tutte le volte che incontri un vecchio cadenteun poveroun donnacon un bimbo in bracciouno storpio con le stampelleun uomo curvosotto un caricouna famiglia vestita a luttocedile il passocon rispetto: noi dobbiamo rispettare la vecchiaiala miserial'amor maternol'infermitàla faticala morte.

Ognivolta che vedi una persona a cui arriva addosso una carrozzatiraloviase è un fanciulloavvertilose è un uomo;domanda sempre che cos'ha al bambino che piangeraccogli ilbastone al vecchio che l'ha lasciato cadere. Se due fanciullirissanodividilise son due uomini allontànatinonassistere allo spettacolo della violenza brutaleche offende eindurisce il cuore. E quando passa un uomo legato fra dueguardienon aggiungere la tua alla curiosità crudeledella folla: egli può essere un innocente. Cessa di parlarcol tuo compagno e di sorridere quando incontri una lettigad'ospedaleche porta forse un moribondoo un convogliomortuarioché ne potrebbe uscir uno domani di casa tua.Guarda con riverenza tutti quei ragazzi degli istituti che passanoa due a due: i cechii mutii rachiticigli orfaniifanciulli abbandonati: pensa che è la sventura e la caritàumana che passa. Fingi sempre di non vedere chi ha una deformitàripugnante o ridicola. Spegni sempre ogni fiammifero acceso che tutrovi sui tuoi passiche potrebbe costar la vita a qualcuno.Rispondi sempre con gentilezza al passeggiero che ti domanda la via.

Nonguardar nessuno ridendonon correre senza bisognonon gridare.Rispetta la strada. L'educazione d'un popolo si giudicainnanzi tutto dal contegno ch'egli tien per la strada. Dovetroverai la villania per le stradetroverai la villania nellecase. E studialele stradestudia la città dove vivi; sedomani tu ne fossi sbalestrato lontanosaresti lieto d'averlapresente bene alla memoriadi poterla ripercorrere tutta colpensiero- la tua cittàla tua piccola patria- quellache è stata per tanti anni il tuo mondo- dove hai fattoi primi passi al fianco di tua madreprovato le prime commozioniaperto la mente alle prime ideetrovato i primi amici. Essa èstata una madre per te: t'ha istruitodilettatoprotetto.Studiala nelle sue strade e nella sua gente- ed amala- e quandola senti ingiuriaredifendila..

Tuo padre







MARZO



Lescuole serali

2giovedì


Mio padre mi condusse ieri a vedere le scuole serali dellanostra sezione Barettiche eran già tutte illuminateegli operai cominciavano ad entrare.

Arrivandotrovammo il Direttore e i maestri in gran collera perché pocoprima era stato rotto da una sassata il vetro d'una finestra: ilbidellosaltato fuoriaveva acciuffato un ragazzo che passava;ma allora s'era presentato Stardiche sta di casa in facciaalla scuolae aveva detto: - Non è costuiho visto coimiei occhi: è Franti che ha tiratoe m'ha detto: - Guai setu parli! - ma io non ho paura. E il Direttore disse che Frantisarà scacciato per sempre. Intanto badava agli operai cheentravano a due a tre insiemee n'eran già entrati piùdi duecento. Non avevo mai visto come è bella unascuola serale! C'eran dei ragazzi da dodici anni in sue degliuomini con la barbache tornavano dal lavoroportando libri equaderni; c'eran dei falegnamidei fochisti con la faccia neradei muratori con le mani bianche di calcinadei garzoni fornai coicapelli infarinati e si sentiva odor di vernicedi coiamidipeced'olioodori di tutti i mestieri. Entrò anche unasquadra d'operai d'artiglieria vestiti da soldaticondotti da uncaporale. S'infilavano tutti lesti nei banchilevavan l'assicelladi sottodove noi mettiamo i piedie subito chinavan la testasul lavoro. Alcuni andavan dai maestri a chieder spiegazionicoi quaderni aperti. Vidi quel maestro giovane e ben vestito -l'avvocatino - che aveva tre o quattro operai intorno al tavolinoe faceva delle correzioni con la penna; e anche quello zoppoil quale rideva con un tintore che gli aveva portato un quadernotutto conciato di tintura rossa e turchina. C'era pure il miomaestroguaritoche domani tornerà alla scuola.

Leporte delle classi erano aperte. Rimasi meravigliatoquandocominciarono le lezionia vedere come tutti stavano attenticongli occhi fissi. Eppure la più partediceva il Direttoreper non arrivar troppo tardinon eran nemmeno passati a casa amangiare un boccone di cenae avevano fame. I piccoliperòdopo mezz'ora di scuola cascavan dal sonnoqualcuno anches'addormentava col capo sul banco; e il maestro lo svegliavastuzzicandogli un orecchio con la penna. Ma i grandi nostavano sveglicon la bocca apertaa sentir la lezionesenzabatter palpebra; e mi faceva specie veder nei nostri banchitutti quei barboni. Salimmo anche al piano di soprae io corsialla porta della mia classee vidi al mio posto un uomo con duegrandi baffi e una mano fasciatache forse s'era fatto maleattorno a una macchina; eppure s'ingegnava di scrivereadagioadagio. Ma quel che mi piacque di più fu di vedere al postodel muratorinoproprio nello stesso banco e nello stesso cantucciosuo padrequel muratore grande come un giganteche se ne stava làstretto aggomitolatocol mento sui pugni e gli occhi sul libroattento che non rifiatava. E non fu mica un casoè luiproprio che la prima sera che venne alla scuola disse al Direttore:- Signor Direttoremi faccia il piacere di mettermi al posto delmio muso di lepre; - perché sempre chiama il suo figliuolo aquel modo... Mio padre mi trattenne là fino alla fineevedemmo nella strada molte donne coi bambini in collo cheaspettavano i maritie all'uscita facevano il cambio: gli operaipigliavano in braccio i bambinile donne si facevan dare i libri ei quadernie andavano a casa così. La strada fu perqualche momento piena di gente e di rumore. Poi tutto tacque enon vedemmo più che la figura lunga e stanca del Direttoreche s'allontanava.



Lalotta

5domenica


Era da aspettarsela: Franticacciato dal Direttore vollevendicarsie aspettò Stardi a una cantonatadopo l'uscitadella scuolaquand'egli passa con sua sorellache va aprendere ogni giorno a un istituto di via Dora Grossa. Mia sorellaSilviauscendo dalla sua sezionevide tutto e tornò a casapiena di spavento. Ecco quello che accadde. Franticol suoberretto di tela cerata schiacciato sur un orecchiocorse in puntadi piedi dietro di Stardie per provocarlodiede una strappataalla treccia di sua sorellauna strappata così forte chequasi la gittò in terra riversa. La ragazzina mise un gridosuo fratello si voltò. Frantiche è molto piùalto e più forte di Stardi pensava:

-O non rifiaterào gli darò le croste. - Ma Stardinon stette a pensaree così piccolo e tozzo com'èsi lanciò d'un salto su quel grandiglionee cominciòa mescergli fior di pugni. Non ce ne poteva peròe netoccava più di quel che ne desse. Nella strada nonc'eran che ragazzenessuno poteva separarli. Franti lo buttòin terra; ma quegli su subitoe addosso daccapoe Franti picchiacome sur un uscio: in un momento gli strappò mezz'orecchiagli ammaccò un occhiogli fece uscir sangue dal naso. MaStardi duro; ruggiva: - M'ammazzeraima te la fò pagare. -E Franti giùcalci e ceffonie Stardi sottoa capate e apedate. Una donna gridò dalla finestra: - Bravo il piccolo!

-Altre dicevano: - è un ragazzo che difende sua sorella. -Coraggio! Dagliele sode. - E gridavano a Franti: - Prepotentevigliaccone. - Ma Franti pure s'era inferocitofece gambettaStardi caddeed egli addosso: - Arrenditi! - No! - Arrenditi! -No! - e d'un guizzo Stardi si rimise in piediavvinghiòFranti alla vita e con uno sforzo furioso lo stramazzò sulselciato e gli cascò con un ginocchio sul petto. - Ah!l'infame che ha il coltello! - gridò un uomo accorrendoper disarmare Franti. Ma già Stardifuori di ségli aveva afferrato il braccio con due mani e dato al pugno un talmorsoche il coltello gli era cascatoe la mano gli sanguinava.Altri intanto erano accorsili diviseroli rialzarono; Frantise la dette a gambemalconcio; e Stardi rimase làgraffiato in visocon l'occhio pesto- ma vincitore- accantoalla sorella che piangevamentre alcune ragazze raccoglievano ilibri e i quaderni sparpagliati per la strada. - Bravo il piccolo- dicevano intorno- che ha difeso sua sorella! - Ma Stardichesi dava più pensiero del suo zaino che della suavittoriasi mise subito a esaminare uno per uno i libri e iquadernise non c'era nulla di mancante o di guastoli ripulìcon la manicaguardò il penninorimise a posto ogni cosae poitranquillo e serio come sempredisse a sua sorella: -Andiamo prestoche ci ho un problema di quattro operazioni.



Iparenti dei ragazzi

6Lunedì


Questa mattina c'era il grosso Stardi padre a aspettare ilfigliuoloper paura che incontrasse Franti un'altra voltamaFranti dicono che non verrà più perché lometteranno all'Ergastolo. C'eran molti parenti questa mattina. C'erafra gli altri il rivenditore di legnail padre di Corettituttoil ritratto del suo figliuolosveltoallegrocoi suoi baffettiaguzzi e un nastrino di due colori all'occhiello della giacchetta.Io li conosco già quasi tutti i parenti dei ragazziavederli sempre lì. C'è una nonna curvacon la cuffiabiancache piova o nevichi o tempestiviene quattro volte algiorno a accompagnare e a prendere un suo nipotino di primasuperioree gli leva il cappottoglie lo infilagli accomoda lacravattalo spolveralo rilisciagli guarda i quaderni: sicapisce che non ha altro pensieroche non vede nulla di piùbello al mondo. Anche viene spesso il capitano d'artiglieriapadredi Robettiquello delle stampelleche salvò un bimbodall'omnibus; e siccome tutti i compagni del suo figliuolopassandogli davantigli fanno una carezzaegli a tutti rende lacarezza o il salutonon c'è caso che ne scordi unosututti si chinae quanto più son poveri e vestiti malee piùpare contentoe li ringrazia. Alle voltepuresi vedono dellecose tristi: un signore che non veniva più da un meseperché gli era morto un figliuoloe mandava a prenderl'altro dalla fantescatornando ieri per la prima voltaerivedendo la classei compagni del suo piccino mortoandòin un canto e ruppe in singhiozzi con tutt'e due le mani sulvisoe il Direttore lo pigliò per un braccio e locondusse nel suo ufficio. Ci son dei padri e delle madri checonoscono per nome tutti i compagni dei loro figliuoli. Ci sondelle ragazze della scuola vicinadegli scolari del ginnasioche vengono a aspettare i fratelli. C'è un signore vecchioche era colonnelloe che quando un ragazzo lascia cascare unquaderno o una penna in mezzo alla stradaglie la raccoglie.

Sivedono anche delle signore ben vestite che discorrono dellecose della scuola con le altreche hanno il fazzoletto in capo ela cesta al braccioe dicono: - Ah! è stato terribilequesta volta il problema! - C'era una lezione di grammatica che nonfiniva più questa mattina! - E quando c'è un malatoin una classetutte lo sanno; quando un malato sta megliotutte sirallegrano. E appunto questa mattina c'erano otto o diecisignore e operaiche stavano attorno alla madre di Crossil'erbivendolaa domandarle notizie d'un povero bimbo della classedi mio fratelloche sta di casa nel suo cortileed è inpericolo di vita. Pare che li faccia tutti eguali e tutti amici lascuola.



Ilnumero 78

8mercoledì


Vidi una scena commovente ieri sera. Eran vari giorni chel'erbivendolaogni volta che passava accanto a Derossiloguardavalo guardava con una espressione di grande affetto;perché Derossidopo che ha fatto quella scoperta delcalamaio e del prigioniero numero 78ha preso a benvolere il suofigliuolo Crossiquello dei capelli rossi e del braccio mortoel'aiuta a fare il lavoro in iscuolagli suggerisce le rispostegli dà carta penninilapis: insommagli fa come a unfratelloquasi per compensarlo di quella disgrazia di suopadreche gli è toccatae ch'egli non sa. Eran vari giorniche l'erbivendola guardava Derossie pareva gli volesse lasciargli occhi addossoperché è una buona donnache vivetutta per il suo ragazzo; e Derossi che glie l'aiuta e gli fa farbella figuraDerossi che è un signore e il primo dellascuolale pare un reun santo a lei. Lo guardava sempre e parevache volesse dirgli qualcosae si vergognasse. Ma ieri mattinafinalmentesi fece coraggio e lo fermò davanti a un portonee gli disse: - Scusi tanto leisignorinoche è cosìbuonoche vuol tanto bene al mio figliomi faccia la graziad'accettare questo piccolo ricordo d'una povera mamma; - e tiròfuori dalla cesta degli erbaggi una scatoletta di cartoncino biancoe dorato. Derossi arrossì tuttoe rifiutòdicendorisolutamente: - La dia al suo figliuolo; io non accetto nulla. - Ladonna rimase mortificata e domandò scusabalbettando:

-Non pensavo mica d'offenderlo... non sono che caramelle. - Ma Derossiridisse di noscrollando il capo. - E alloratimidamenteessalevò dalla cesta un mazzetto di ravanellie disse: -Accetti almeno questi che son freschida portarli alla suamamma. - Derossi sorrisee rispose: - Nograzienon voglio nulla;farò sempre quello che posso per Crossima non possoaccettar nulla; grazie lo stesso. - Ma non è mica offeso? -domandò la donnaansiosamente.

Derossile disse nonosorridendoe se ne andòmentre essaesclamava tutta contenta: - Oh che buon ragazzo! Non ho mai vistoun bravo e bel ragazzo così!

-E pareva finita. Ma eccoti la sera alle quattroche invece dellamamma di Crossis'avvicina il padrecon quel viso smorto emalinconico. Fermò Derossie dal modo come lo guardòcapii subito ch'egli sospettava che Derossi conoscesse ilsuo segreto; lo guardò fisso e gli disse con voce tristee affettuosa: - Lei vuol bene al mio figliuolo... Perché glivuole così bene? - Derossi si fece color di fuoco nel viso.Egli avrebbe voluto rispondere: - Gli voglio bene perché èstato disgraziato; perché anche voisuo padresietestato più disgraziato che colpevolee avete espiatonobilmente il vostro delittoe siete un uomo di cuore. - Ma glimancò l'animo di dirlo perchéin fondoegliprovava ancora timoree quasi ribrezzo davanti a quell'uomo cheaveva sparso il sangue d'un altroed era stato sei anni in prigione.Ma quegli indovinò tuttoe abbassando la vocedissenell'orecchio a Derossiquasi tremando: - Vuoi bene alfigliuolo; ma non vuoi mica male... non disprezzi mica il padrenon è vero? - Ah no! no! Tutto al contrario! - esclamòDerossi Con uno slancio dell'anima. E allora l'uomo fece unatto impetuoso come per mettergli un braccio intorno al collo;ma non osòe invece gli prese con due dita uno dei ricciolibiondilo allungò e lo lasciò andare; poi si misela mano sulla bocca e si baciò la palma guardando Derossicon gli occhi umidicome per dirgli che quel bacio era per lui.Poi prese il figliuolo per mano e se n'andò a passi lesti.



Unpiccolo morto

13lunedì


Il bimbo che sta nel cortile dell'erbivendolaquello della primasuperiorecompagno di mio fratelloè morto. La maestraDelcati venne sabato seratutta afflittaa dar la notizia almaestro; e subito Garrone e Coretti si offersero di aiutare a portarla cassa. Era un bravo ragazzinoaveva guadagnato la medagliala settimana scorsa; voleva bene a mio fratelloe gli avevaregalato un salvadanaio rottomia madre lo carezzava semprequando lo incontrava.

Portavaun berretto con due strisce di panno rosso. Suo padre èfacchino alla strada ferrata. Ieri seradomenicaalle quattro emezzo siano andati a casa suaper far l'accompagnamento allachiesa. Stanno al pian terreno. Nel cortile c'eran giàmolti ragazzi della prima superiorecon le loro madrie con lecandele; cinque o sei maestrealcuni vicini. La maestra della pennarossa e la Delcati erano entrate dietroe le vedevamo da unafinestra apertache piangevano: si sentiva la mamma del bimbo chesinghiozzava forte. Due signoremadri di due compagni di scuoladel mortoavevano portato due ghirlande di fiori. Alle cinquein punto ci mettemmo in cammino. Andava innanzi un ragazzo cheportava la crocepoi un pretepoi la cassauna cassa piccolapiccolapovero bimbo! coperta d'un panno neroe c'erano stretteintorno le ghirlande di fiori delle due signore. Al panno nerodauna parteci avevano attaccato la medagliae tre menzionionorevoliche il ragazzino s'era guadagnate lungo l'anno. Portavanla cassa GarroneCoretti e due ragazzi del cortile. Dietro la cassaveniva prima la Delcatiche piangeva come se il morticino fossesuo; dietro di lei le altre maestre; e dietro alle maestreiragazzialcuni fra i quali molto piccoliche avevan dei mazzettidi viole in una manoe guardavano il feretrostupitidandol'altra mano alle madriche portavan le candele per loro. Sentiiuno che diceva: - E adesso non verrà più alla scuola?- Quando la cassa uscì dal cortilesi sentì ungrido disperato dalla finestra: era la mamma del bimboma subitola fecero rientrar nelle stanze. Arrivati nella stradaincontrammo i ragazzi d'un collegioche passavano in doppia filae visto il feretro con la medaglia e le maestresi levaron tuttiil berretto.

Poveropiccinoegli se n'andò a dormire per sempre con la suamedaglia. Non lo vedremo mai più il suo berrettino rosso.Stava bene; in quattro giorni morì.

L'ultimosi sforzò ancora di levarsi per fare il suo lavorino dinomenclaturae volle tener la sua medaglia sul lettoper paurache glie la pigliassero.

Nessunote la piglierà piùpovero ragazzo! Addioaddio. Ciricorderemo sempre di te alla Sezione Baretti. Dormi in pacebambino.



Lavigilia del 14 marzo


Oggi è stata una giornata più allegra di ieri.Tredici marzo! Vigilia della distribuzione dei premi al teatroVittorio Emanuelela festa grande e bella di tutti gli anni. Maquesta volta non sono più presi a caso i ragazzi che debbonoandar sul palcoscenico a presentar gli attestati dei premi aisignori che li distribuiscono.

IlDirettore venne questa mattina alfinee disse: - Ragazziunabella notizia. - Poi chiamò: - Coraci! - il calabrese.Il calabrese s'alzò. - Vuoi essere di quelli che portano gliattestati dei premi alle Autoritàdomani al teatro?

-Il calabrese rispose di sì. - Sta bene- disse ilDirettore; - così ci sarà anche un rappresentantedella Calabria. E sarà una bella cosa. Il municipioquest'annoha voluto che i dieci o dodici ragazzi che porgono ipremi siano ragazzi di tutte le parti d'Italiapresi nellevarie sezioni delle scuole pubbliche. Abbiamo venti sezioni concinque succursali: settemila alunni: in un numero così grandenon si stentò a trovare un ragazzo per ciascuna regioneitaliana.

Sitrovarono nella sezione Torquato Tasso due rappresentanti delleisole: un sardo e un sicilianola scuola Boncompagni diedeun piccolo fiorentinofigliuolo d'uno scultore in legno; c'era unromanonativo di Romanella sezione Tommaseovenetilombardiromagnoli se ne trovarono parecchi; un napoletano ce lodà la sezione Monvisofigliuolo d'un ufficiale; noi diamo ungenovese e un calabreseteCoraci. Col piemontesesaranno dodici.è bellonon vi pare? Saranno i vostri fratelli di tutte leparti d'Italia che vi daranno i premi. Badate: compariranno sulpalcoscenico tutti e dodici insieme. Accoglieteli con un grandeapplauso. Sono ragazzi; ma rappresentano il paese come se fosserouomini: una piccola bandiera tricolore è simbolodell'Italia altrettanto che una grande bandieranon èvero? Applauditeli calorosamentedunque. Fate vedere che anchei vostri piccoli cuori s'accendonoche anche le vostre anime didieci anni s'esaltano dinanzi alla santa immagine della patria. -Ciò dettose n'andòe il maestro disse sorridendo:- DunqueCoracitu sei il deputato della Calabria. - E alloratutti batterono le maniridendoe quando fummo nellastradacircondarono Coracilo presero per le gambelo levaronsue cominciarono a portarlo in trionfogridando: - Viva ildeputato della Calabria! - cosìper chiassos'intendema non mica per ischernotutt'altroanzi per fargli festadicuoreché è un ragazzo che piace a tutti; ed eglisorrideva. E lo portaron così fino alla cantonata doves'imbatterono in un signore con la barba nerache si mise aridere. Il calabrese disse: - è mio padre. - E allora iragazzi gli misero il figliuolo tra le braccia e scapparono da tuttele parti.



Ladistribuzione dei premi

14marzo


Verso le due il teatro grandissimo era affollato; plateagalleriapalchettipalcoscenicotutto pieno gremitomigliaia di visiragazzisignoremaestrioperaidonne del popolobambiniera un agitarsi di teste e di maniun tremolio di pennedinastri e di riccioliun mormorio fitto e festosoche mettevaallegrezza. Il teatro era tutto addobbato a festoni di pannorossobianco e verde. Nella platea avevan fatto due scalette: unaa destraper la quale i premiati dovevan salire sul palcoscenico;l'altra a sinistraper cui dovevan discenderedopo averricevuto il premio. Sul davanti del palco c'era una fila diseggioloni rossie dalla spalliera di quel di mezzo pendevano duecoroncine d'alloro; in fondo al palcoun trofeo di bandiere; dauna parte un tavolino verdecon su tutti gli attestati dipremio legati coi nastrini tricolori. La banda musicale stava inplateasotto il palco; i maestri e le maestre riempivano tuttauna metà della prima galleriache era stata riservata aloro; i banchi e le corsie della platea erano stipati dicentinaia di ragazziche dovevan cantaree avevan la musicascritta tra le mani. In fondo e tutto intorno si vedevano andare evenire maestri e maestre che mettevano in fila i premiatie c'erapieno di parenti che davan loro l'ultima ravviata ai capelli el'ultimo tocco alle cravattine.

Appenaentrato coi miei nel palchettovidi in un palchetto di frontela maestrina della penna rossache ridevacon le sue bellepozzette nelle guanciee con lei la maestra di mio fratelloe lamonachina tutta vestita di neroe la mia buona maestra di primasuperiore; ma così pallidapoveretta e tossiva cosìforteche si sentiva da una parte all'altra del teatro. In plateatrovai subito quel caro faccione di Garrone e il piccolo capo biondodi Nelliche stava stretto contro la sua spalla. Un pò piùin là vidi Garofficol suo naso a becco di civettache sidava un gran moto per raccogliere gli elenchi stampati deipremiandie n'aveva già un grosso fascioper farne qualchesuo traffico... che sapremo domani. Vicino alla porta c'era ilvenditor di legna con sua moglievestiti a festainsieme alloro ragazzoche ha un terzo premio di seconda: rimasi stupito anon vedergli più il berretto di pel di gatto e la magliacolor cioccolata: questa volta era vestito come un signorino.

Inuna galleria vidi per un momento Votinicon un gran colletto ditrina; poi disparve. C'era in un palchetto del prosceniopieno digenteil capitano d'artiglieriail padre di Robettiquello delle stampelleche salvò un bambino dall'omnibus.

Alloscoccar delle due la banda sonòe salirono nello stessotempo per la scaletta di destra il sindacoil prefettol'assessoreil provveditoree molti altri signorituttivestiti di neroche s'andarono a sedere sui seggiolonirossisul davanti del palcoscenico. La banda cessò disuonare.

S'avanzòil Direttore delle scuole di canto con una bacchetta in mano. A unsuo cennotutti i ragazzi della platea s'alzarono in piedi; a unaltro cennocominciarono a cantare. Erano settecento checantavano una canzone bellissimasettecento voci di ragazzi checantano insiemecom'è bello! Tutti ascoltavanoimmobili:era un canto dolcelimpidolentoche pareva un canto di chiesa.

Quandotacquerotutti applaudirono: poi tutti zitti. La distribuzionedei premi stava per cominciare. Già s'era fatto innanzi sulpalco il mio piccolo maestro di secondacol suo capo rosso e isuoi occhi vispiche doveva leggere i nomi dei premiati.S'aspettava che entrassero i dodici ragazzi per porgere gliattestati. I giornali l'avevan già detto che sarebbero statiragazzi di tutte le provincie d'Italia. Tutti lo sapevano e liaspettavanoguardando curiosamente dalla parte donde dovevanoentrareanche il sindacoe gli altri signorie il teatro interotaceva...

Tutt'aun tratto arrivarono di corsa fin sul proscenioe rimaseroschierati lìtutti e dodicisorridenti. Tutto il teatrotremila personesaltaron sud'un colpoprorompendo in unapplauso che parve uno scoppio di tuono. I ragazzi restarono unmomento come sconcertati. - Ecco l'Italia! - disse una voce sulpalco. Riconobbi subito Coraciil calabresevestito di nerocome sempre. Un signore del municipioch'era con noie liconosceva tuttili indicava a mia madre: - Quel piccolo biondo èil rappresentante di Venezia. Il romano è quello alto ericciuto. - Ce n'eran due o tre vestiti da signori; gli altri eranfigliuoli d'operaima tutti messi bene e puliti. Il fiorentinoch'era il più piccoloaveva una sciarpa azzurra intorno allavita. Passarono tutti davanti al sindacoche li baciò infronte uno per unomentre un signore accanto a lui gli dicevapiano e sorridendo i nomi delle città: - FirenzeNapoliBolognaPalermo... - e a ognuno che passavatutto il teatrobatteva le mani. Poi corsero tutti al tavolino verde a pigliargli attestatiil maestro cominciò a leggere l'elencodicendo le sezionile classi e i nomie i premiandi principiaronoa salire e a sfilare.

Eranoappena saliti i primiquando si sentì di dietro alle sceneuna musica leggiera leggiera di violiniche non cessò piùper tutta la durata dello sfilamentoun'aria gentile esempre egualeche pareva un mormorìo di molte vocisommessele voci di tutte le madri e di tutti i maestri e lemaestreche tutti insieme dessero dei consigli e pregassero efacessero dei rimproveri amorevoli. E intanto i premiatipassavano l'un dopo l'altro davanti a quei signori seduticheporgevano gli attestatie a ciascuno dicevano una parola o facevanouna carezza. Dalla platea e dalle gallerie i ragazzi applaudivanoogni volta che passava uno molto piccoloo uno che dai vestitiparesse poveroe anche quelli che avevano delle grancapigliature ricciolute o eran vestiti di rosso o di bianco. Nepassavano di quelli di prima superiore che arrivati làsiconfondevano e non sapevano più dove voltarsie tutto ilteatro rideva. Ne passò uno alto tre palmicon un gran nododi nastro rosa sulla schienache a mala pena camminavaeincespicò nel tappetocaddeil Prefetto lo rimise inpiedie tutti risero e batteron le mani. Un altro ruzzolò giùper la scalettaridiscendendo in platea; si sentiron delle grida;ma non s'era fatto male. Ne passaron d'ogni sortadei visi dibirichinidei visi di spaventatidi quelli rossi in viso comeciliegiedei piccini buffiche ridevano in faccia a tutti quantie appena ridiscesi in platea erano acchiappati dai babbi e dallemamme che se li portavano via. Quando venne la volta della nostrasezioneallora sì che mi divertii! Passarono molti checonoscevo. Passò Corettivestito di nuovo da capo a piedicol suo bel sorriso allegroche mostrava tutti i dentibianchi: eppure chi sa quanti miriagrammi di legna aveva giàportati la mattina! Il sindaconel dargli l'attestatoglidomandò che cos'era un segno rosso che aveva sulla frontee intanto gli teneva una mano sopra una spalla:

iocercai in platea suo padre e sua madree vidi che ridevanocoprendosi la bocca con una mano. Poi passò Derossituttovestito di turchinocoi bottoni luccicanticon tutti quei ricciolid'orosveltodisinvoltocon la fronte altacosìbellocosì simpaticoche gli avrei mandato un bacioe tuttiquei signori gli vollero parlare e stringer le mani. Poi il maestrogridò: - Giulio Robetti! - e si vide venire innanzi ilfigliuolo del capitano d'artiglieriacon le stampelle. Centinaia diragazzi sapevano il fattola voce si sparse in un attimo scoppiòuna salva d'applausi e di grida che fece tremare il teatrogliuomini s'alzarono in piedile signore si misero a sventolare ifazzolettie il povero ragazzo si fermò in mezzo alpalcoscenicosbalordito e tremante...

IlSindaco lo tirò a ségli diede il premio e unbacioe staccata dalla spalliera del seggiolone la coroncinad'alloro che v'era appesaglie la infilò nella traversinad'una stampella... Poi lo accompagnò fino al palchetto delprosceniodov'era il capitano suo padree questi lo sollevòdi peso e lo mise dentroin mezzo a un gridìo di .bravo. ed'.evviva.. E intanto continuava quella musica leggiera e gentiledi violinie i ragazzi seguitavano a passare:

quellidella Sezione della Consolataquasi tutti figli di mercatini;quelli della Sezione di Vanchigliafigliuoli d'operai;quelli della Sezione Boncompagnidi cui molti son figliuolidi contadini; quelli della scuola Raineriche fu l'ultima.Appena finitoi settecento ragazzi della platea cantaronoun'altra canzone bellissimapoi parlò il Sindacoe dopodi lui l'assessoreche terminò il suo discorso dicendo airagazzi: - ...Ma non uscite di qui senza mandare un saluto a quelliche faticano tanto per voiche hanno consacrato a voi tutte leforze della loro intelligenza e del loro cuoreche vivono emuoiono per voi. Eccoli là! - E segnò la galleriadei maestri. E allora dalle galleriedai palchidalla plateatutti i ragazzi s'alzarono e tesero le braccia gridando verso lemaestre e i maestrii quali risposero agitando le maniicappellii fazzolettitutti ritti in piedi e commossi.

Dopodi che la banda sonò ancora una volta e il pubblico mandòun ultimo saluto fragoroso ai dodici ragazzi di tutte le provincied'Italiache si presentarono al proscenio schieraticon le maniintrecciatesotto una pioggia di mazzetti di fiori.



Litigio

20lunedì


Eppurenonon fu per invidia ch'egli abbia avuto il premio ed ionoche mi bisticciai con Coretti questa mattina. Non fu perinvidia. Ma ebbi torto. Il maestro l'aveva messo accanto ameio scrivevo sul mio quaderno di calligrafia: egli mi urtòcol gomito e mi fece fare uno sgorbio e macchiare anche ilracconto mensileSangue romagnolo.che dovevo copiare per ilmuratorino che è malato. Io m'arrabbiai e gli dissi unaparolaccia. Egli mi rispose sorridendo: - Non l'ho fatto apposta.- Avrei dovuto credergli perché lo conosco; ma mi spiacqueche sorridessee pensai: - Oh! adesso che ha avuto il premiosarà montato in superbia! - e poco dopoper vendicarmiglidiedi un urtone che gli fece sciupare la pagina. Alloratuttorosso dalla rabbia: - Tu sì che l'hai fatto apposta! - midissee alzò la mano- il maestro vide- la ritirò.Ma soggiunse: - T'aspetto fuori! - Io rimasi malela rabbia misbollìmi pentii. NoCoretti non poteva averlo fattoapposta. è buonopensai. Mi ricordai di quando l'avevovisto in casa suacome lavoravacome assisteva sua madre malatae poi che festa gli avevo fatto in casa miae come era piaciuto amio padre. Quanto avrei dato per non avergli detto quellaparolaper non avergli fatto quella villania! E pensavo alconsiglio che m'avrebbe dato mio padre.

- Hai torto? - Sì. - E allora domandagli scusa. - Ma questoio non osavo di farloavevo vergogna d'umiliarmi. Lo guardavo disott'occhiovedevo la sua maglia scucita alla spallaforse perchéaveva portato troppe legnae sentivo che gli volevo benee midicevo: - Coraggio! - ma la parola - scusami - mi restava nellagola. Egli mi guardava di traversodi tanto in tantoe mipareva più addolorato che arrabbiato. Ma allora anch'io loguardavo biecoper mostrargli che non avevo paura. Egli mi ripeté:- Ci rivedremo fuori! - Ed io:

-Ci rivedremo fuori! - Ma pensavo a quello che mio padre m'avevadetto una volta: - Se hai torto difenditi; ma non battere! - Ed iodicevo tra me: - mi difenderòma non batterò. -Ma ero scontentotristenon sentivo più il maestro.Infinearrivò il momento d'uscire. Quando fui solo nellastradavidi ch'egli mi seguitava. Mi fermaie lo aspettai conla riga in mano. Egli s'avvicinòio alzai la riga. - NoEnrico- disse eglicol suo buon sorrisofacendo in làla riga con la mano- torniamo amici come prima. - Io rimasistupito un momentoe poi sentii come una mano che mi desse unospintone nelle spallee mi trovai tra le sue braccia. Eglimi baciò e disse: - Mai più baruffe tra di noinon èvero? - Mai più! mai più! - risposi. E ci separammocontenti. Ma quando arrivai a casa e raccontai tutto a mio padrecredendo di fargli piacereegli si rabbruscò e disse: -Dovevi esser tu il primo a tendergli la manopoichéavevi torto. - Poi soggiunse: - Non dovevi alzar la riga sopra uncompagno migliore di tesopra il figliuolo d'un soldato! - Estrappatami la riga di manola fece in due pezzi e la sbatténel muro.



Miasorella

24venerdì


PerchéEnricodopo che nostro padre t'aveva già rimproveratod'esserti portato male con Corettihai fatto ancora quello sgarbo ame? Tu non immagini la pena che n'ho provata. Non sai chequand'eri bambino ti stavo per ore e ore accanto alla cullainvecedi divertirmi con le mie compagnee che quand'eri malato scendevoda letto ogni notte per sentire se ti bruciava la fronte? Non losaitu che offendi tua sorellache se una sventura tremenda cicolpisseti farei da madre ioe ti vorrei bene come a unfigliuolo? Non sai che quando nostro padre e nostra madre non aisaranno piùsarò io la tua migliore amicala solacon cui potrai parlare dei nostri morti e della tua infanziae chese ci fosse bisogno lavorerei per teEnricoper guadagnarti ilpane e farti studiaree che ti amerò sempre quandosarai grandeche ti seguirò col mio pensiero quando andrailontanosempreperché siamo cresciuti insieme eabbiamo lo stesso sangue? O Enricostanne pur sicuroquando saraiun uomose t'accadrà una disgraziase sarai solosta pursicuro che mi cercheraiche verrai da me a dirmi: - Silviasorellalasciami stare con teparliamo di quando eravamofeliciti ricordi? parliamo di nostra madredella nostra casadiquei bei giorni tanto lontani. - O Enricotu troverai sempre tuasorella con le braccia aperte. Sìcaro Enricoe perdonamianche il rimprovero che ti faccio ora. Io non mi ricorderòdi alcun torto tuoe se anche tu mi dessi altri dispiacerichem'importa? Tu sarai sempre mio fratello lo stessoio non miricorderò mai d'altro che d'averti tenuto in braccio bambinod'aver amato padre e madre con ted'averti visto crescered'essere stata per tanti anni la tua più fida compagna.Ma tu scrivimi una buona parola sopra questo stesso quaderno e ioripasserò a leggerla prima di sera. Intantoper mostrartiche non sono in collera con tevedendo che eri stancohocopiato per te il racconto mensile Sangue romagnoloche tu dovevicopiare per il muratorino malato: cercalo nel cassetto disinistra del tuo tavolino. L'ho scritto tutto questa notte mentredormivi. Scrivimi una buona parolaEnricote ne prego..

Tua sorella Silvia


Nonsono degno di baciarti le mani..

Enrico



Sangueromagnolo

Raccontomensile


Quella sera la casa di Ferruccio era più quieta delsolito. Il padreche teneva una piccola bottega dimerciaioloera andato a Forlì a far delle comperee suamoglie l'aveva accompagnato con Luiginauna bimbaper portarla daun medicoche doveva operarle un occhio malato; e non dovevanoritornare che la mattina dopo. Mancava poco alla mezzanotte. Ladonna che veniva a far dei servizi di giorno se n'era andatasull'imbrunire. In casa non rimaneva che la nonnaparaliticadelle gambee Ferruccioun ragazzo di tredici anni. Era unacasetta col solo piano terrenoposta sullo stradonea un tiro difucile da un villaggiopoco lontano da Forlìcittàdi Romagna; e non aveva accanto che una casa disabitatarovinatadue mesi innanzi da un incendiosulla quale si vedeva ancoral'insegna d'un'osteria. Dietro la casetta c'era un piccolo ortocircondato da una siepesul quale dava una porticina rustica; laporta della bottegache serviva anche da porta di casas'apriva sullo stradone.

Tutt'intornosi stendeva la campagna solitariavasti campi lavoratipiantatidi gelsi.

Mancavapoco alla mezzanottepiovevatirava vento. Ferruccio e lanonnaancora levatistavano nella stanza da mangiaretra laquale e l'orto c'era uno stanzino ingombro di mobili vecchi.Ferruccio non era rientrato in casa che alle undicidopo unascappata di molte oree la nonna l'aveva aspettato a occhiapertipiena d'ansietàinchiodata sopra un largoseggiolone a bracciuolisul quale soleva passar tutta lagiornatae spesso anche l'intera nottepoichéun'oppressione di respiro non la lasciava star coricata.

Piovevae il vento sbatteva la pioggia contro le vetrate: la notteera oscurissima. Ferruccio era rientrato stancoinfangatocon la giacchetta lacerae col livido d'una sassata sulla fronte;aveva fatto la sassaiola coi compagnieran venuti alle manisecondo il solito; e per giunta aveva giocato e perduto tutti i suoisoldie lasciato il berretto in un fosso.

Benchéla cucina non fosse rischiarata che da una piccola lucerna a olioposta sull'angolo d'un tavoloaccanto al seggiolonepure lapovera nonna aveva visto subito in che stato miserando sitrovava il nipotee in parte aveva indovinatoin parte gli avevafatto confessare le sue scapestrerie.

Essaamava con tutta l'anima quel ragazzo. Quando seppe ogni cosasimise a piangere.

-Ah! no- disse poidopo un lungo silenzio; - tu non hai cuoreper la tua povera nonna. Non hai cuore a profittare in codesto mododell'assenza di tuo padre e di tua madre per darmi dei dolori.Tutto il giorno m'hai lasciata sola!

Nonhai avuto un pò di compassione. BadaFerruccio! Tu timetti per una cattiva strada che ti condurrà a una tristefine. Ne ho visti degli altri cominciar come te e andar afinir male. Si comincia a scappar di casaa attaccar lite coglialtri ragazzia perdere i soldi; poia poco a pocodalle sassatesi passa alle coltellatedal gioco agli altri vizie dai vizi...al furto.

Ferrucciostava a ascoltareritto a tre passi di distanzaappoggiato a unadispensacol mento sul pettocon le sopracciglia aggrottateancora tutto caldo dell'ira della rissa. Aveva una ciocca di beicapelli castagni a traverso alla fronte e gli occhi azzurriimmobili.

-Dal gioco al furto- ripeté la nonnacontinuando apiangere. - PensaciFerruccio. Pensa a quel malanno qui del paesea quel Vito Mozzoniche ora è in città a fareil vagabondo; che a ventiquattr'anni è stato due volte inprigionee ha fatto morir di crepacuore quella povera donna di suamadreche io conoscevoe suo padre è fuggito in Svizzeraper disperazione. Pensa a quel tristo soggettoche tuo padre sivergogna di rendergli il salutosempre in giro con deiscellerati peggio di luifino al giorno che cascherà ingalera.

Ebbeneio l'ho conosciuto ragazzoha cominciato come te. Pensa cheridurrai tuo padre e tua madre a far la stessa fine dei suoi.

Ferrucciotaceva. Egli non era mica tristo di cuoretutt'altro; la suascapestrataggine derivava piuttosto da sovrabbondanza di vita ed'audacia che da mal animo; e suo padre l'aveva avvezzatomale appunto per questoche ritenendolo capacein fondodeisentimenti più bellied anchemesso a una provad'un'azione forte e generosa gli lasciava la briglia sul colloe aspettava che mettesse giudizio da sé. Buono erapiuttosto che tristo; ma caparbioe difficile moltoanchequando aveva il cuore stretto dal pentimentoa lasciarsisfuggire dalla bocca quelle buone parole che ci fanno perdonare: -Sìho tortonon lo farò piùte lo promettoperdonami. - Aveva l'anima piena di tenerezza alle volte; mal'orgoglio non la lasciava uscire.

-Ah Ferruccio! - continuò la nonnavedendolo così muto.

-Non una parola di pentimento mi dici! Tu vedi in che stato mi trovoridottache mi potrebbero sotterrare. Non dovresti aver cuore difarmi soffriredi far piangere la mamma della tua mammacosìvecchiavicina al suo ultimo giorno; la tua povera nonnachet'ha sempre voluto tanto bene; che ti cullava per notti enotti intere quand'eri bimbo di pochi mesie che non mangiava perbaloccartitu non lo sai! Io dicevo sempre:

-Questo sarà la mia consolazione! - E ora tu mi faimorire! Io darei volentieri questo pò di vita che mirestaper vederti tornar buonoobbediente come a quei giorni...quando ti conducevo al Santuarioti ricordiFerruccio? che miempivi le tasche di sassolini e d'erbee io ti riportavo a casa inbraccioaddormentato? Allora volevi bene alla tua povera nonna. Eora che sono paralitica e che avrei bisogno della tua affezionecome dell'aria per respirareperché non ho più altroal mondopovera donna mezza morta che sonoDio mio!...

Ferrucciostava per lanciarsi verso la nonnavinto dalla commozionequandogli parve di sentire un rumor leggierouno scricchiolìonello stanzino accantoquello che dava sull'orto. Ma non capìse fossero le imposte scosse dal ventoo altro.

Tesel'orecchio.

Lapioggia scrosciava.

Ilrumore si ripeté. La nonna lo sentì pure.

-Cos'è? - domandò la nonna dopo un momentoturbata.

-La pioggia- mormorò il ragazzo.

-DunqueFerruccio- disse la vecchiaasciugandosi gli occhi- me lo prometti che sarai buonoche non farai mai piùpiangere la tua povera nonna...

Unnuovo rumor leggiero la interruppe.

-Ma non mi pare la pioggia! - esclamòimpallidendo - ... vàa vedere!

Masoggiunse subito: - Noresta qui! - e afferrò Ferruccio perla mano.

Rimaserotutti e due col respiro sospeso. Non sentivan che ilrumore dell'acqua.

Poitutti e due ebbero un brivido.

All'unoe all'altra era parso di sentire uno stropiccìo dipiedi nello stanzino.

-Chi c'è? - domandò il ragazzoraccogliendo il fiato afatica.

Nessunorispose.

-Chi c'è? - ridomandò Ferruccioagghiacciato dallapaura.

Maaveva appena pronunciato quelle paroleche tutt'e due gettarono ungrido di terrore. Due uomini erano balzati nella stanza; l'unoafferrò il ragazzo e gli cacciò una mano sullabocca; l'altro strinse la vecchia alla gola; il primo disse: -Zittose non vuoi morire! - il secondo: - Taci! - e levò uncoltello.

L'unoe l'altro avevano una pezzuola scura sul visocon due buchi davantiagli occhi.

Perun momento non si sentì altro che il respiro affannoso ditutti e quattro e lo scrosciar della pioggia; la vecchia mettevadei rantoli fittie aveva gli occhi fuor del capo.

Quelloche teneva il ragazzogli disse nell'orecchio: - Dove tiene idanari tuo padre?

Ilragazzo rispose con un fil di vocebattendo i denti: - Dilà...

nell'armadio.

-Vieni con me- disse l'uomo.

Elo trascinò nello stanzinotenendolo stretto allagola. Là c'era una lanterna ciecasul pavimento.

-Dov'è l'armadio? - domandò.

Ilragazzosoffocatoaccennò l'armadio.

Alloraper esser sicuro del ragazzol'uomo lo gittò in ginocchiodavanti all'armadioe serrandogli forte il collo fra leproprie gambein modo da poterlo strozzare se urlavae tenendo ilcoltello fra i denti e la lanterna da una manocavò ditasca con l'altra un ferro accuminatolo ficcò nellaserraturafrugòruppespalancò i battentirimescolò in furia ogni cosas'empì le tascherichiusetornò ad aprirerifrugò: poi riafferròil ragazzo alla strozzae lo risospinse di làdovel'altro teneva ancora agguantata la vecchiaconvulsacol capoarrovesciato e la bocca aperta.

Costuidomandò a bassa voce: - Trovato?

Ilcompagno rispose: - Trovato.

Esoggiunse: - Guarda all'uscio.

Quelloche teneva la vecchia corse alla porta dell'orto a vedere sec'era nessunoe disse dallo stanzinocon una voce che parve unfischio: - Vieni.

Quelloche era rimastoe che teneva ancora Ferruccio mostrò ilcoltello al ragazzo e alla vecchia che riapriva gli occhie disse:- Non una voceo torno indietro e vi sgozzo!

Eli fisso un momento tutti e due.

Inquel punto si sentì lontanoper lo stradoneun canto dimolte voci.

Illadro voltò rapidamente il capo verso l'uscioe in quel motoviolento gli cadde la pezzuola dal viso.

Lavecchia gettò un urlo: - Mozzoni!

-Maledetta! - ruggì il ladroriconosciuto. - Devi morire!

Esi avventò a coltello alzato contro la vecchiache svennesull'atto.

L'assassinomenò il colpo.

Macon un movimento rapidissimogettando un grido disperatoFerruccio s'era lanciato sulla nonnae l'aveva coperta col propriocorpo.

L'assassinofuggì urtando il tavolo e rovesciando il lumeche si spense.

Ilragazzo scivolò lentamente di sopra alla nonnae cadde inginocchioe rimase in quell'atteggiamentocon le bracciaintorno alla vita di lei e il capo sul suo seno.

Qualchemomento passò; era buio fitto; il canto dei contadinis'andava allontanando per la campagna. La vecchia rinvenne.

-Ferruccio! - chiamò con voce appena intelligibilebattendo identi.

-Nonna- rispose il ragazzo.

Lavecchia fece uno sforzo per parlare; ma il terrore le paralizzava lalingua.

Stetteun pezzo in silenziotremando violentemente. Poi riuscì adomandare:

-Non ci son più?

-No.

-Non m'hanno uccisa- mormorò la vecchia con voce soffocata.

-No... siete salva- disse Ferrucciocon voce fioca. - Sietesalvacara nonna. Hanno portato via dei denari. Ma il babbo...aveva preso quasi tutto con sé.

Lanonna mise un respiro.

-Nonna- disse Ferrucciosempre in ginocchiostringendola allavita- cara nonna... mi volete benenon è vero?

-Oh Ferruccio! povero figliuol mio! - rispose quellamettendogli lemani sul capo- che spavento devi aver avuto! Oh Signore Iddiomisericordioso! Accendi un pò di lume... Norestiamo albuioho ancora paura.

-Nonna- riprese il ragazzo- io v'ho sempre dato dei dispiaceri...

-NoFerruccionon dir queste cose; io non ci penso piùhoscordato tuttoti voglio tanto bene!

-V'ho sempre dato dei dispiaceri- continuò Ferruccioastentocon la voce tremola; - ma... vi ho sempre voluto bene. Miperdonate?... Perdonateminonna - Sìfigliuoloti perdonoti perdono con tutto il cuore. Pensa un pò se non ti perdono.Levati d'in ginocchiobambino mio. Non ti sgriderò mai più.Sei buonosei tanto buono! Accendiamo il lume. Facciamoci unpò di coraggio.

AlzatiFerruccio.

-Grazienonna- disse il ragazzocon la voce sempre piùdebole. - Ora...

sonocontento. Vi ricorderete di menonna... non è vero? viricorderete sempre di me... del vostro Ferruccio.

-Ferruccio mio! - esclamò la nonnastupita e inquietamettendogli le mani sulle spalle e chinando il capocome perguardarlo nel viso.

-Ricordatevi di me- mormorò ancora il ragazzo con una voceche pareva un soffio. - Date un bacio a mia madre... a miopadre... a Luigina... Addiononna...

-In nome del cielocos'hai! - gridò la vecchia palpandoaffannosamente il capo del ragazzo che le si era abbandonatosulle ginocchia; e poi con quanta voce avea in gola disperatamente:- Ferruccio! Ferruccio! Ferruccio! Bambino mio! Amor mio! Angelidel paradisoaiutatemi!

MaFerruccio non rispose più. Il piccolo eroeil salvatoredella madre di sua madrecolpito d'una coltellata nel dorsoavevareso la bella e ardita anima a Dio.



Ilmuratorino moribondo

18martedì


Il povero muratorino è malato grave; il maestro ci dissed'andarlo a vederee combinammo d'andarci insieme GarroneDerossi ed io. Stardi pure sarebbe venutoma siccome il maestroci diede per lavoro la descrizione del .Monumento a Cavour.eglici disse che doveva andar a vedere il monumentoper far ladescrizione più esatta. Così per prova invitammoanche quel gonfionaccio di Nobische ci rispose: - No-senz'altro. Votini pure si scusòforse per paura dimacchiarsi il vestito di calcina. Ci andammo all'uscita dellequattro.

Piovevaa catinelle. Per la strada Garrone si fermò e disse con labocca piena di pane: - Cosa si compera? - e faceva sonare due soldinella tasca. Mettemmo due soldi ciascuno e comperammo trearancie grosse. Salimmo alla soffitta.

Davantiall'uscio Derossi si levò la medaglia e se la mise intasca: gli domandai perché: - Non sorispose- pernon aver l'aria... mi par più delicato entrare senzamedaglia. - Picchiammoci aperse il padrequell'omone che pareun gigante: aveva la faccia stravolta che pareva spaventato. - Chisiete? - domandò. - Garrone rispose: - Siamo compagni discuola d'Antonioche gli portiamo tre arancie. - Ah! poveroTonino- esclamò il muratore scotendo il capo- ho paurache non le mangerà più le vostre arancie! - e siasciugò gli occhi col rovescio della mano. Ci fece andaravanti: entrammo in una camera a tettodove vedemmo il muratorinoche dormiva in un piccolo letto di ferro:

suamadre stava abbandonata sul letto col viso nelle manie si voltòappena a guardarci: da una parte pendevan dei pennelliunpiccone e un crivello da calcina; sui piedi del malato era distesala giacchetta del muratorebianca di gesso. Il povero ragazzo erasmagritobianco biancocol naso affilatoe respirava corto.O caro Toninotanto buono e allegropiccolo compagno miocomemi fece penaquanto avrei dato per rivedergli fare il muso dileprepovero muratorino! Garrone gli mise un'arancia sul cuscinoaccanto al viso:


l'odorelo svegliòla pigliò subitoma poi la lasciòandaree guardò fisso Garrone. - Son io- dissequesti- Garrone: mi conosci? - Egli fece un sorriso che si videappenae levò a stento dal letto la sua mano corta e laporse a Garroneche la prese fra le sue e vi appoggiòsopra la guancia dicendo: - Coraggiocoraggiomuratorino; tuguarirai presto e tornerai alla scuola e il maestro ti metteràvicino a mesei contento? - Ma il muratorino non rispose. Lamadre scoppiò in singhiozzi: - Oh il mio povero Tonino! ilmio povero Tonino! Così bravo e buonoe Dio che ce lo vuolprendere! - Chétati! - le gridò il muratoredisperato- chetati per amor di Dioo perdo la testa! - Poi dissea noi affannosamente: - Andateandateragazzi; grazie; andate; chevolete far qui? Grazie; andatevene a casa. - Il ragazzo avevarichiuso gli occhi e pareva morto. - Ha bisogno di qualcheservizio? - domandò Garrone. - Nobuon figliuolograzierispose il muratore; - andatevene a casa. - E così dicendo cispinse sul pianerottolo e richiuse l'uscio. Ma non eravamo a metàdelle scaleche lo sentimmo gridare: - Garrone! Garrone! -Risalimmo in fretta tutti e tre. - Garrone! - gridò ilmuratore col viso mutato- t'ha chiamato per nomedue giorni chenon parlavat'ha chiamato due voltevuole tevieni subito. Ahsanto Iddiose fosse un buon segno! - A rivederci- disse Garronea noi- io rimango- e si lanciò in casa col padre.Derossi aveva gli occhi pieni di lacrime. Io gli dissi: - Piangiper il muratorino? Egli ha parlatoguarirà. - Lo credo-rispose Derossi; - ma non pensavo a lui... Pensavo com'èbuonoche anima bella è Garrone!


Ilconte Cavour

29mercoledì


èla descrizione del monumento al conte Cavour che tu devi fare. Puoifarla.

Machi sia stato il conte Cavour non lo puoi capire per ora. Perora sappi questo soltanto. egli fu per molti anni il primo ministrodel Piemonteè lui che mandò l'esercitopiemontese in Crimea a rialzare con la vittoria della Cernaia lanostra gloria militare caduta con la sconfitta di Novara; èlui che fece calare dalle Alpi centocinquantamila Francesi acacciar gli Austriaci dalla Lombardiaè lui che governòl'Italia nel periodo più solenne della nostrarivoluzioneche diede in quegli anni il più potente impulsoalla santa impresa dell'unificazione della patrialui conl'ingegno luminosocon la costanza invincibilecon l'operositàpiù che umana. Molti generali passarono ore terribili sulcampo di battaglia; ma egli ne passò di più terribilinel suo gabinetto quando l'enorme opera sua poteva rovinare dimomento in momento come un fragile edifizio a un crollo diterremotoorenotti di lotta e d'angoscia passòdauscirne con la ragione stravolta o con la morte nel cuore. E fuquesto gigantesco e tempestoso lavoro che gli accorciò divent'anni la vita.

Eppuredivorato dalla febbre che lo doveva gettar nella fossaeglilottava ancora disperatamente con la malattiaper far qualche cosaper il suo paese. -è strano.diceva con dolore dal suoletto di morte- .non so più leggerenon posso piùleggere.. - Mentre gli cavavan sangue e la febbre aumentavapensava alla sua patriadiceva imperiosamente: - .Guaritemilamia mente s'oscuraho bisogno di tutte le mie facoltà pertrattare dei gravi affari.. - Quando era già ridotto agliestremie tutta la città s'agitavae il Re stava al suocapezzaleegli diceva con affanno. - .Ho molte cose da dirviSiremolte cose da farvi vedere; ma son malatonon possonon posso.; - e si desolava. E sempre il suo pensiero febbrilerivolava allo Statoalle nuove provincie italiane che s'eranounite a noi; alle tante cose che rimanevan da farsi. Quando loprese il delirio. - .Educate l'infanzia. - esclamava fra glianeliti- .educate l'infanzia e la gioventù... governate conla libertà.. - Il delirio crescevala morte gli era sopraed egli invocava con parole ardenti il generale Garibaldicol qualeaveva avuto dei dissensie Venezia e Roma che non erano ancorlibereaveva delle vaste visioni dell'avvenire d'Italia ed'Europasognava un'invasione stranieradomandava dovefossero i corpi dell'esercito e i generalitrepidava ancora pernoiper il suo popolo. Il suo grande dolorecapiscinon era disentirsi mancare la vitaera di vedersi sfuggire la patriache aveva ancora bisogno di luie per la quale aveva logorato inpochi anni le forze smisurate del suo miracoloso organismo. Morìcol grido della battaglia nella golae la sua morte fu grandecome la sua vita. Ora pensa un pocoEnricoche cosa è ilnostro lavoroche pure ci pesa tantoche cosa sono i nostridolorila nostra morte stessaa confronto delle fatichedegliaffanni formidabilidelle agonie tremende di quegli uomini; a cuipesa un mondo sul cuore! Pensa a questofigliuoloquando passidavanti a quell'immagine di marmoe dille: - Gloria! - in cuortuo..

Tuo padre






APRILE


Primavera

1sabato

Primo d'aprile! Tre soli mesi ancora. Questa è statauna delle più belle mattinate dell'anno. Io ero contentonella scuolaperché Coretti m'aveva detto d'andar dopodomani a veder arrivare il Reinsieme con suo padre che lo conosce;e perché mia madre m'avea promesso di condurmi lo stessogiorno a visitar l'Asilo infantile di Corso Valdocco. Anche erocontento perché il muratorino sta meglioe perchéieri serapassandoil maestro disse a mio padre: - Va benevabene. - E poi era una bella mattinata di primavera. Dalle finestredella scuola si vedeva il cielo azzurrogli alberi del giardinotutti coperti di germoglie le finestre delle case spalancatecolle cassette e i vasi già verdeggianti. Il maestro nonridevaperché non ride maima era di buon umoretantoche non gli appariva quasi più quella ruga diritta in mezzoalla fronte; e spiegava un problema sulla lavagnaceliando. E sivedeva che provava piacere a respirar l'aria del giardino cheveniva per le finestre apertepiena d'un buon odor fresco di terrae di foglieche faceva pensare alle passeggiate in campagna.Mentre egli spiegavasi sentiva in una strada vicina un fabbroferraio che batteva sull'incudinee nella casa di faccia una donnache cantava per addormentare il bambino: lontanonella casermadella Cernaiasuonavano le trombe. Tutti parevano contentipersino Stardi. A un certo momento il fabbro si mise a picchiarpiù fortela donna a cantar più alto. Il maestros'interruppe e prestò l'orecchio. Poi disse lentamenteguardando per la finestra: - Il cielo che sorrideuna madre checantaun galantuomo che lavoradei ragazzi che studiano... eccodelle cose belle. - Quando uscimmo dalla classevedemmo cheanche tutti gli altri erano allegri; tutti camminavano in filapestando i piedi forte e canticchiandocome alla vigilia d'unavacanza di quattro giorni; le maestre scherzavano; quella dellapenna rossa saltellava dietro i suoi bimbi come una scolaretta; iparenti dei ragazzi discorrevano fra loro ridendoe la madre diCrossil'erbaiolaci aveva nelle ceste tanti mazzi di violetteche empivano di profumo tutto il camerone. Io non sentii maitanta contentezza come questa mattina a veder mia madre che miaspettava nella strada. E glielo dissi andandole incontro: - Sonocontento: cos'è mai che mi fa così contento questamattina? - E mia madre mi rispose sorridendo che era la bellastagione e la buona coscienza.



ReUmberto

3lunedì


Alle dieci in punto mio padre vide dalla finestra Corettiilrivenditore di legnae il figliuoloche m'aspettavano sullapiazzae mi disse: - EccoliEnrico; và a vedere il tuo re.

Ioandai giù lesto come un razzo. Padre e figliuolo erano anchepiù vispi del solito e non mi parve mai che sisomigliassero tanto l'uno all'altro come questa mattina: il padreaveva alla giacchetta la medaglia al valore in mezzo alle duecommemorativee i baffetti arricciati e aguzzi come due spilli.

Cimettemmo subito in cammino verso la stazione della strada ferratadove il re doveva arrivare alle dieci e mezzo. Coretti padrefumava la pipa e si fregava le mani. - Sapete- diceva - chenon l'ho più visto dalla guerra del sessantasei? Labagatella di quindici anni e sei mesi. Prima tre anni inFranciapoi a Mondovì; e qui che l'avrei potuto vederenon s'è mai dato il maledetto caso che mi trovassi in cittàquando egli veniva. Quando si dice le combinazioni.

Eglichiamava il re: - Umberto - come un camerata. - Umberto comandavala 16a divisioneUmberto aveva ventidue anni e tanti giorniUmberto montava a cavallo così e così.

-Quindici anni! - diceva forteallungando il passo. - Ho propriodesiderio di rivederlo. L'ho lasciato principelo rivedo re. Eanch'io ho cambiato: son passato da soldato a rivenditor di legna. -E rideva.

Ilfigliuolo gli domandò: - Se vi vedessevi riconoscerebbe?

Eglisi mise a ridere.

-Tu sei matto- rispose. - Ci vorrebbe altro. LuiUmbertoera unosolo; noi eravamo come le mosche. E poi sì che ci stette aguardare uno per uno.

Sboccammosul corso Vittorio Emanuele; c'era molta gente che s'avviava allastazione. Passava una compagnia d'Alpinicon le trombe.Passarono due carabinieri a cavallodi galoppo. Era un sereno chesmagliava.

-Sì! - esclamò Coretti padreanimandosi; - mi faproprio piacere di rivederloil mio generale di divisione. Ah!come sono invecchiato presto! Mi pare l'altro giorno che avevo lozaino sulle spalle e il fucile tra le mani in mezzo a queltramestiola mattina del 24 giugnoquando s'era per venire aiferri. Umberto andava e veniva coi suoi ufficialimentre tonava ilcannonelontano; e tutti lo guardavano e dicevano: - Purchénon ci sia una palla anche per lui! - Ero a mille miglia dal pensareche di lì a poco me gli sarei trovato tanto vicinodavantialle lance degli ulani austriaci; ma proprio a quattro passi l'undall'altrofigliuoli. Era una bella giornatail cielo come unospecchioma un caldo! Vediamo se si può entrare.

Eravamoarrivati alla stazione; c'era una gran follacarrozzeguardiecarabinierisocietà con bandiere. La banda d'unreggimento suonava. Coretti padre tentò di entrare sotto ilporticato; ma gli fu impedito. Allora pensò di cacciarsi inprima fila nella folla che facea ala all'uscitae aprendosi ilpasso coi gomitiriuscì a spingere innanzi anche noi.Ma la follaondeggiandoci sbalzava un pò di qua eun pò di là. Il venditor di legna adocchiava il primopilastro del porticatodove le guardie non lasciavano starenessuno. - Venite con me- disse a un trattoe tirandoci per lemaniattraversò in due salti lo spazio vuoto e s'andòa piantar làcon le spalle al muro.

Accorsesubito un brigadiere di Polizia e gli disse:

-Qui non si può stare.

-Son del quarto battaglione del '49- rispose Corettitoccandosi la medaglia.

Ilbrigadiere lo guardò e disse: - Restate.

-Ma se lo dico io! - esclamò Coretti trionfante; - èuna parola magica quelquarto del quarantanove!. Non ho diritto divederlo un pò a mio comodo il mio generaleio che son statonel quadrato! Se l'ho visto da vicino allorami par giusto divederlo da vicino adesso. E dico generale! è stato miocomandante di battaglioneper una buona mezz'oraperché inquei momenti lo comandava lui il battaglionementre c'era in mezzoe non il maggiore Ubrichsagrestia!

Intantosi vedeva nel salone dell'arrivo e fuori un gran rimescolio disignori e d'ufficialie davanti alla porta si schieravano lecarrozzecoi servitori vestiti di rosso.

Corettidomandò a suo padre se il principe Umberto aveva lasciabola in mano quand'era nel quadrato.

-Avrà ben avuto la sciabola in mano- rispose- per parareuna lanciatache poteva toccare a lui come a un altro. Ah! idemoni scatenati! Ci vennero addosso come l'ira di Diocivennero. Giravano tra i gruppii quadratii cannonicheparevan mulinati da un uraganosfondando ogni cosa. Era unaconfusione di cavalleggeri d'Alessandriadi lancieri di Foggiadifanteriadi ulanidi bersaglieriun inferno che non se ne capivapiù niente. Io intesi gridare: - Altezza! Altezza! - vidivenir le lancie calatescaricammo i fuciliun nuvolo dipolvere nascose tutto... Poi la polvere si diradò... Laterra era coperta di cavalli e di ulani feriti e morti. Io mi voltaiindietroe vidi in mezzo a noi Umbertoa cavalloche guardavaintornotranquillocon l'aria di domandare: - C'ènessuno graffiato dei miei ragazzi? - E noi gli gridammo: - Evviva!- sulla facciacome matti. Sacro Dio che momento!... Ecco il trenoche arriva.

Labanda suonògli ufficiali accorserola folla s'alzòin punta di piedi.

-Ehnon esce mica subito- disse una guardia; - ora gli fanno undiscorso.

Corettipadre non stava più nella pelle. - Ah! quando ci penso-disse- io lo vedo sempre là. Sta bene tra i colerosi e iterremoti e che so altro: anche là è stato bravo; maio l'ho sempre in mente come l'ho visto allorain mezzo a noiconquella faccia tranquilla. E son sicuro che se ne ricorda anche luidel quarto del '49anche adesso che è ree che gli farebbepiacere di averci una volta a tavola tutti insiemequelli che s'èvisto intorno in quei momenti.

Adessoci ha generali e signoroni e galloni; allora non ci aveva che deipoveri soldati. Se ci potessi un pò barattare quattroparolea quattr'occhi! Il nostro generale di ventidue anniilnostro principeche era affidato alle nostre baionette...Quindici anni che non lo vedo... Il nostro Umbertovà.

Ah!questa musica mi rimescola il sangueparola d'onore.

Unoscoppio di grida l'interruppemigliaia di cappelli s'alzarono inariaquattro signori vestiti di nero salirono nella prima carrozza- è lui! - gridò Corettie rimase come incantato.

Poidisse piano: - Madonna miacome s'è fatto grigio! -Tutti e tre ci scoprimmo il capo: la carrozza veniva innanzilentamentein mezzo alla folla che gridava e agitava i cappelli.Io guardai Coretti padre. Mi parve un altro:

parevadiventato più altoserioun pò pallidorittoappiccicato contro il pilastro.

Lacarrozza arrivò davanti a noia un passo dal pilastro.

-Evviva! - gridarono molte voci. - Evviva! - gridò Corettidopo gli altri.

Ilre lo guardò in viso e arrestò un momento lo sguardosulle tre medaglie.

AlloraCoretti perdé la testa e urlò: - Quarto battaglione delquarantanove!

Ilreche s'era già voltato da un'altra partesi rivoltòverso di noie fissando Coretti negli occhistese la mano fuordella carrozza.

Corettifece un salto avanti e gliela strinse. La carrozza passòla folla irruppe e ci diviseperdemmo di vista Coretti padre. Mafu un momento. Subito lo ritrovammoansantecon gli occhiumidiche chiamava per nome il figliuolotenendo la mano inalto. Il figliuolo si slanciò verso di luied egli gridò:- Quapiccinoche ho ancora calda la mano! - e gli passò lamano intorno al visodicendo: - Questa è una carezza del re.

Erimase lì come trasognatocon gli occhi fissi sullacarrozza lontanasorridendocon la pipa tra le maniin mezzo aun gruppo di curiosi che lo guardavano. - è uno delquadrato del '49- dicevano. - è un soldato che conosce ilre. - è il re che l'ha riconosciuto. - è lui che gliha teso la mano. - Ha dato una supplica al re- disse uno piùforte.

-No- rispose Corettivoltandosi bruscamente; - non gli ho datonessuna supplicaio. Un'altra cosa gli dareise me ladomandasse...

Tuttilo guardarono.

Edegli disse semplicemente: - Il mio sangue.



L'asiloinfantile

4martedì


Mia madrecome m'aveva promessomi condusse ieri dopo colazioneall'asilo infantile di Corso Valdoccoper raccomandare alladirettrice una sorella piccola di Precossi. Io non avevo mai vistoun asilo. Quanto mi divertirono!

Duecentoc'erano tra bimbi e bimbecosì piccoliche i nostridella prima inferiore sono uomini appetto a quelli. Arrivammoappunto che entravano in fila nel refettoriodove erano due tavolelunghissime con tante buche rotondee in ogni buca una scodellanerapiena di riso e fagiolie un cucchiaio di stagno accanto.Entrando alcuni piantavano un meloe restavan lì sulpavimentofin che accorrevan le maestre a tirarli su. Molti sifermavano davanti a una scodellacredendo che fosse quello illoro postoe ingollavano subito una cucchiaiataquando arrivavauna maestra e diceva: - Avanti! - e quelli avanti tre o quattropassi e giù un'altra cucchiaiatae avanti ancorafin chearrivavano al proprio postodopo aver beccato a scrocco una mezzaminestrina.

Finalmentea furia di spingeredi gridare: - Sbrigatevi! Sbrigatevi! - limisero in ordine tuttie cominciarono la preghiera. Ma tutti quellidelle file di dentroi quali per pregare dovevan voltar laschiena alla scodellatorcevano il capo indietro per tenerlad'occhioche nessuno ci pescassee poi pregavano cosìconle mani giunte e con gli occhi al cieloma col cuore alla pappa.Poi si misero a mangiare. Ah che ameno spettacolo! Uno mangiava condue cucchiail'altro s'ingozzava con le manimolti levavano ifagioli un per uno e se li ficcavano in tasca; altri inveceli rinvoltavano stretti nel grembiulino e ci picchiavan super far la pasta. Ce n'erano anche che non mangiavano per vedervolar le moschee alcuni tossivano e spandevano una pioggiadi riso tutto intorno. Un pollaiopareva. Ma era grazioso.Facevano una bella figura le due file delle bambinetutte coicapelli legati sul cocuzzolo con tanti nastrini rossiverdiazzurri. Una maestra domandò a una fila di otto bambine: -Dove nasce il riso? Tutte otto spalancaron la bocca piena diminestrae risposero tutte insieme cantando: - Na-sce nel-l'ac-qua- Poi la maestra comandò: - Le mani in alto! - E allora fubello vedere scattar su tutti quei bracciniche mesi fa erano ancornelle fasciee agitarsi tutte quelle mani piccoleche parevantante farfalle bianche e rosate.

Poiandarono alla ricreazione; ma prima presero tutti i loropanierini con dentro la colazioneche erano appesi ai muri.Uscirono nel giardino e si sparpagliaronotirando fuori leloro provvigioni: paneprune cotteun pezzettino di formaggioun ovo sododelle mele piccoleuna pugnata di ceci lessiun'ala di pollo. In un momento tutto il giardino fu copertodi bricioline come se ci avessero sparso del becchime per unostormo d'uccelli.

Mangiavanoin tutte le più strane manierecome i coniglii topiigattirosicchiandoleccandosucchiando. C'era un bimbo che siteneva appuntato un grissino sul petto e lo andava ungendo con unanespolacome se lustrasse una sciabola. Delle bambinespiaccicavano nel pugno delle formaggiole molliche colavano frale ditacome lattee filavan giù dentro alle maniche; edesse non se n'accorgevano mica. Correvano e s'inseguivano con lemele e i panini attaccati ai denticome i cani. Ne vidi treche scavavano con un fuscello dentro a un ovo sodo credendo discoprirvi dei tesorie lo spandean mezzo per terrae poi loraccoglievano briciolo per briciolocon grande pazienzacome sefossero perle. E a quelli che avevan qualcosa di straordinarioc'erano intorno otto o dieci col capo chino a guardar nelpanierecome avrebber guardato la luna nel pozzo. Ci sarannostati venti intorno a un batuffoletto alto cosìcheaveva in mano un cartoccino di zuccherotutti a farglicerimonie per aver il permesso d'intingere il panee lui a certi lodavaed ad altripregato benenon imprestava che il dito dasucchiare.

Intantomia madre era venuta nel giardino e accarezzava ora l'uno oral'altro.

Moltile andavano intornoanzi addossoa chiederle un bacio col viso insucome se guardassero a un terzo pianoaprendo e chiudendo laboccacome per domandare la cioccia. Uno le offerse uno spicchiod'arancia morsicchiatoun altro una crostina di paneuna bimbale diede una foglia; un'altra bimba le mostrò con grandeserietà la punta dell'indice dovea guardar benesi vedevaun gonfiettino microscopicoche s'era fatto il giorno primatoccando la fiammella della candela. Le mettevan sotto gli occhicome grandi meravigliedegl'insetti piccolissimiche non socome facessero a vederli e a raccoglierlidei mezzi tappi disugherodei bottoncini di camiciadei fiorellini strappatidai vasi. Un bambino con la testa fasciatache voleva essersentito a ogni costole tartagliò non so che storia d'uncapitomboloche non se ne capì una parola; - un altro volleche mia madre si chinassee le disse nell'orecchio: - Mio padrefa le spazzole. - E in quel frattempo accadevano qua e làmille disgrazieche facevano accorrere le maestre: bambine chepiangevano perché non potevano disfare un nodo del fazzolettoaltre che si disputavano a unghiate e a strilli due semi di melaun bimbo che era caduto bocconi sopra un panchettino rovesciatoesinghiozzava su quella rovinasenza potersi rialzare.

Primad'andar viamia madre ne prese in braccio tre o quattroeallora accorsero da tutte le parti per farsi pigliarecoi visitinti di torlo d'ovo e di sugo d'aranciae chi a afferrarle lemanichi a prenderle un dito per veder l'anellol'uno atirarle la catenella dell'orologiol'altro a volerla acchiappareper le trecce. - Badi- dicevano le maestre- che le sciupantutto il vestito. - Ma a mia madre non importava nulla del vestitoe continuò a baciarlie quelli sempre più aserrarlesi addossoi primi con le braccia tese come se volesseroarrampicarsii lontani cercando di farsi innanzi tra la calcaetutti gridando: - Addio! Addio! Addio! - infine le riuscì discappar dal giardino. E allora corsero tutti a mettere il visotra i ferri della cancellataper vederla passaree a cacciarle braccia fuori per salutarlaoffrendo ancora tozzi di panebocconcini di nespola e croste di formaggioe gridando tuttiinsieme: - Addio! Addio! Addio! Ritorna domani! Vieni un'altravolta! - Mia madrescappandofece ancora scorrere una mano suquelle cento manine tesecome sopra una ghirlanda di rose vivee finalmente riuscì in salvo sulla stradatutta copertadi briciole e di macchiesgualcita e scarmigliatacon unamano piena di fiori e gli occhi gonfi di lacrimecontentacome se fosse uscita da una festa. E si sentiva ancora il vocìodi dentrocome un gran pispigliare d'uccelliche dicevano: -Addio! Addio! Vieni un'altra voltamadama!.



Allaginnastica

5mercoledì


Il tempo continuando bellissimoci hanno fatto passare dallaginnastica del camerone a quella degli attrezziin giardino.Garrone era ieri nell'ufficio del Direttore quando venne la madredi Nelliquella signora bionda e vestita di neroper fardispensare il figliuolo dai nuovi esercizi. Ogni parola lecostava uno sforzoe parlava tenendo una mano sul capo del suoragazzo. - Egli non può... - disse al Direttore. Ma Nellisi mostrò così addolorato di essere escluso dagliattrezzid'aver quella umiliazione di più... - Vedraimamma- diceva- che farò come gli altri. - Sua madre loguardavain silenziocon un'aria di pietà e di affetto.Poi osservò con esitazione: - Temo dei suoi compagni. -Voleva dire: - Temo che lo burlino. - Ma Nelli rispose: - Non mi fanulla... e poi c'è Garrone. Mi basta che ci sia lui che nonrida. - E allora lo lasciaron venire. Il maestroquello dellaferita al colloche è stato con Garibaldici condussesubito alle sbarre verticaliche sono alte moltoe bisognavaarrampicarsi fino in cimae mettersi ritti sull'asse trasversale.

Derossie Coretti andaron su come due bertucce; anche il piccolo Precossisalì sveltobenché impacciato da quel giacchettoneche gli dà alle ginocchiae per farlo riderementre salivatutti gli ripeteano il suo intercalare: - Scusamiscusami! - Stardisbuffavadiventava rosso come un tacchinostringeva i denti chepareva un cane arrabbiato; ma anche a costo di scoppiare sarebbearrivato in cimae ci arrivò infatti; e Nobis puree quando fu lassù prese un'impostatura da imperatoremaVotini sdrucciolò due voltenonostante il suo bel vestitonuovo a righette azzurrefatto apposta per la ginnastica. Persalir più facile s'eran tutti impiastrati le mani di pecegrecacolofoniacome la chiamano; e si sa che è queltrafficone di Garoffi che la provvede a tuttiin polverevendendola un soldo al cartoccio e guadagnandoci un tanto.

Poitoccò a Garroneche salì masticando panecome seniente fossee credo che sarebbe stato capace di portar su undi noi sulle spalleda tanto ch'è tarchiato e fortequeltoretto. Dopo Garroneecco Nelli. Appena lo videro attaccarsialla sbarra con quelle mani lunghe e sottili molti cominciarono aridere e a canzonare; ma Garrone incrociò le sue grossebraccia sul pettoe saettò intorno un'occhiata cosìespressivafece intender così chiaro che avrebbeallungato subito quattro briscole anche in presenza del maestroche tutti smisero di ridere sul momento. Nelli cominciò aarrampicarsi stentavapoverinofaceva il viso pavonazzorespiravafortegli colava il sudore dalla fronte. Il maestro disse: - Vienigiù. - Ma egli nosi sforzavas'ostinava:

iom'aspettavo da un momento all'altro di vederlo ruzzolar giùmezzo morto.

PoveroNelli! Pensavo se fossi stato come lui e m'avesse visto mia madrecome n'avrebbe soffertopovera mia madree pensando a questoglivolevo così bene a Nelliavrei dato non so che perchériuscisse a salireper poterlo sospinger io per di sottosenz'esser veduto. Intanto GarroneDerossiCoretti dicevano:

-SusuNelliforzaancora un trattocoraggio! - E Nelli feceancora uno sforzo violentomettendo un gemitoe si trovò adue palmi dall'asse. - Bravo!

-gridarono gli altri. - Coraggio! Ancora una spinta! - Ed ecco Nelliafferrato all'asse. Tutti batteron le mani. - Bravo! - disse ilmaestro- ma ora basta; scendi pure. - Ma Nelli volle salir finoin cima come gli altrie dopo un pò di stento riuscìa mettere i gomiti sull'assepoi le ginocchiapoi i piedi:

infinesi levò rittoe ansando e sorridendoci guardò. Noitornammo a batter le manie allora egli guardò nella strada.Io mi voltai da quella partee a traverso alle piante che copronla cancellata del giardinovidi sua madre che passeggiava sulmarciapiedesenz'osar di guardare. Nelli discese e tutti glifecero festa: era eccitatoroseogli splendevan gli occhinonpareva più quello. Poiall'uscitaquando sua madre glivenne incontro e gli domandò un pò inquietaabbracciandolo: - Ebbenepovero figliuolocom'è andata?com'è andata? - tutti i compagni risposero insieme: - Hafatto bene! - è salito come noi. - è fortesa. -è lesto. - Fa tale e quale come gli altri. - Bisognòvederlaallorala gioia di quella signora! Ci volle ringraziare enon potéstrinse la mano a tre o quattrofece una carezzaa Garronesi portò via il figliuoloe li vedemmo per unpezzo camminare in frettadiscorrendo e gestendo fra lorotutti e due contenticome non li avea mai visti nessuno.



Ilmaestro di mio padre

11martedì


Che bella gita feci ieri con mio padre! Ecco come. Ieri l'altroa desinareleggendo il giornalemio padre uscì tutt'a untratto in una esclamazione di meraviglia. Poi disse: - E io chelo credevo morto da vent'anni! Sapete che è ancora vivo ilmio primo maestro elementareVincenzo Crosettiche haottantaquattro anni? Vedo qui che il Ministero gli ha dato lamedaglia di benemerenza per sessant'anni d'insegnamento.Ses-san-t'an-nicapite? E non son che due anni che ha smesso di farscuola. Povero Crosetti! Sta a un'ora di strada ferrata diquia Condovenel paese della nostra antica giardiniera dellavilla di Chieri. - E soggiunse: - Enriconoi andremo a vederlo. - Eper tutta la sera non parlò più che di lui. Il nomedel suo maestro elementare gli richiamava alla memoria mille cosedi quand'era ragazzodei suoi primi compagnidella sua mammamorta. - Crosetti! - esclamava. - Aveva quarant'anni quando ero conlui. Mi pare ancor di vederlo. Un ometto già un pòcurvocogli occhi chiaricol viso sempre sbarbato. Severomadi buone maniereche ci voleva bene come un padre e non cene perdonava una. Era venuto su da contadinoa furia di studio edi privazioni. Un galantuomo. Mia madre gli era affezionata e miopadre lo trattava come un amico. Com'è andato a finire aCondoveda Torino? Non mi riconoscerà piùcertamente. Non importaio riconoscerò lui.Quarantaquattro anni son passati. Quarantaquattro anniEnricoandremo a vederlo domani.

Eieri mattina alle nove eravamo alla stazione della strada ferrata diSusa. Io avrei voluto che venisse anche Garrone; ma egli non potéperché ha la mamma malata. Era una bella giornata diprimavera. Il treno correva fra i prati verdi e le siepi in fioree si sentiva un'aria odorosa. Mio padre era contentoe ogni tantomi metteva un braccio intorno al colloe mi parlava come a unamicoguardando la campagna. - Povero Crosetti! - diceva. - èlui il primo uomo che mi volle bene e che mi fece del bene dopo miopadre. Non li ho mai più dimenticati certi suoi buoniconsiglie anche certi rimproveri secchiche mi facevan tornare acasa con la gola stretta. Aveva certe mani grosse e corte. Lo vedoancora quando entrava nella scuolache metteva la canna in uncanto e appendeva il mantello all'attaccapannisempre con quellostesso gesto. E tutti i giorni il medesimo umoresemprecoscienziosopieno di buon volere e attentocome se ognigiorno facesse scuola per la prima volta. Lo ricordo come losentissi adesso quando mi gridava:

-BottiniehBottini! L'indice e il medio su quella penna! -Sarà molto cambiatodopo quarantaquattro anni.

Appenaarrivati a Condoveandammo a cercare la nostra antica giardinieradi Chieriche ha una bottegucciain un vicolo. La trovammo coisuoi ragazzici fece molta festaci diede notizie di suomaritoche deve tornare dalla Greciadov'è alavorare da tre annie della sua prima figliuolache ènell'Istituto dei sordomuti a Torino. Poi c'insegnò la stradaper andar dal maestroche è conosciuto da tutti.

Uscimmodal paesee pigliammo per una viottola in salitafiancheggiatadi siepi fiorite.

Miopadre non parlava piùpareva tutto assorto nei suoi ricordie ogni tanto sorrideva e poi scoteva la testa.

All'improvvisosi fermòe disse: - Eccolo. Scommetto che è lui.

Venivagiù verso di noiper la viottolaun vecchio piccolocon la barba biancacon un cappello largoappoggiandosi a unbastone: strascicava i piedi e gli tremavan le mani.

-è lui- ripeté mio padreaffrettando il passo.

Quandogli fummo vicinici fermammo. Il vecchio pure si fermòeguardò mio padre. Aveva il viso ancora frescoe gli occhichiari e vivi.

-è lei - domandò mio padrelevandosi il cappello-il maestro Vincenzo Crosetti?

Ilvecchio pure si levò il cappello e rispose: - Son io- conuna voce un pò tremolama piena.

-Ebbene- disse mio padrepigliandogli una mano- permetta a unsuo antico scolaro di stringerle la mano e di domandarle come sta.Io son venuto da Torino per vederla.

Ilvecchio lo guardò stupito. Poi disse: - Mi fa troppoonore... non so...

Quandomio scolaro? mi scusi. Il suo nomeper piacere.

Miopadre disse il suo nomeAlberto Bottinie l'anno che era stato ascuola da luie dove; e soggiunse: - Lei non si ricorderàdi meè naturale. Ma io riconosco lei così bene!

Ilmaestro chinò il capo e guardò in terrapensandoemormorò due o tre volte il nome di mio padre; il qualeintantolo guardava con gli occhi fissi e sorridenti.

Aun tratto il vecchio alzò il visocon gli occhispalancatie disse lentamente: - Alberto Bottini? il figliuolodell'ingegnere Bottini? quello che stava in piazza della Consolata?

-Quello- rispose mio padretendendo le mani.

-Allora... - disse il vecchio- mi permettacaro signoremipermetta- e fattosi innanziabbracciò mio padre: la suatesta bianca gli arrivava appena alla spalla. Mio padre appoggiòla guancia sulla sua fronte.

-Abbiate la bontà di venir con me- disse il maestro.

Esenza parlaresi voltò e riprese il cammino verso casa sua.In pochi minuti arrivammo a un'aiadavanti a una piccola casa condue usciintorno a uno dei quali c'era un pò di muroimbiancato.

Ilmaestro aperse il secondoe ci fece entrare in una stanza. Eranquattro pareti bianche: in un canto un letto a cavalletti con unacoperta a quadretti bianchi e turchiniin un altro un tavolinocon una piccola libreria; quattro seggiole e una vecchia cartageografica inchiodata a una parete: si sentiva un buon odore dimele.

Sedemmotutti e tre. Mio padre e il maestro si guardarono per qualchemomentoin silenzio.

-Bottini! - esclamò poi il maestrofissando gli occhisul pavimento a mattonidove il sole faceva uno scacchiere. -Oh! mi ricordo bene. La sua signora madre era una cosìbuona signora! Leiil primo annoè stato per un pezzonel primo banco a sinistravicino alla finestra. Guardi un pòse mi ricordo. Vedo ancora la sua testa ricciuta. - Poi stette un pòpensando. - Era un ragazzo vivoeh? molto. Il secondo anno èstato malato di crup. Mi ricordo quando lo riportarono allascuoladimagratoravvolto in uno scialle. Son passatiquarant'anninon è vero? è stato buono tanto aricordarsi del suo povero maestro. E ne vennero degli altrisagli anni addietroa trovarmi quidei miei antichi scolari: uncolonnellodei sacerdotivari signori. - Domandò a miopadre qual'era la sua professione. Poi disse: - Mi rallegromirallegro di cuore. La ringrazio. Ora poi era un pezzo che nonvedevo più nessuno. E ho ben paura che lei sia l'ultimocaro signore.

-Che dice mai! - esclamò mio padre. - Lei sta beneèancora vegeto. Non deve dir questo.

-Eh no- rispose il maestro- vede questo tremito? - e mostròle mani. - Questo è un cattivo segno. Mi prese tre anni faquando facevo ancora scuola.

Daprincipio non ci badai; credevo che sarebbe passato. Ma invece restòe andò crescendo. Venne un giorno che non potei piùscrivere. Ah! quel giornoquella prima volta che feci uno sgorbiosul quaderno d'un mio scolarofu un colpo al cuore per mecarosignore. Tirai bene ancora avanti per un pò di tempo; mapoi non potei più. Dopo sessant'anni d'insegnamento dovettidare un addio alla scuolaagli scolarial lavoro. E fu durasafu dura. L'ultima volta che feci lezione mi accompagnarono tutti acasami fecero festa; ma io ero tristecapivo che la mia vita erafinita. Già l'anno prima avevo perso mia moglie e il miofigliuolo unico. Non restai che con due nipoti contadini. Oravivo di qualche centinaio di lire di pensione. Non faccio piùnulla; le giornate mi par che non finiscano mai. La mia solaoccupazionevedeè di sfogliare i miei vecchi libri discuoladelle raccolte di giornali scolasticiqualche libro chemi hanno regalato. Ecco lì- disse accennando la piccolalibreria; - lì ci sono i miei ricorditutto il miopassato... Non mi resta altro al mondo.

Poiin tono improvvisamente allegro: - Io le voglio fare una sorpresacaro signor Bottini.

S'alzòe avvicinatosi al tavolinoaperse un cassetto lungo checonteneva molti piccoli pacchi tutti legati con un cordoncinoesu ciascuno c'era scritta una data di quattro cifre. Dopo avercercato un poco. ne aperse unosfogliò molte cartetiròfuori un foglio ingiallito e lo porse a mio padre.

Eraun suo lavoro di scuola di quarant'anni fa! C'era scritto intesta:

.AlbertoBottini. Dettato. 3 Aprile 1838.. Mio padre riconobbe subito lasua grossa scrittura di ragazzoe si mise a leggeresorridendo.Ma a un tratto gli si inumidirono gli occhi. Io m'alzaidomandandogli che cos'aveva.

Eglimi passò un braccio intorno alla vita e stringendomi al suofianco mi disse: - Guarda questo foglio. Vedi? Queste sono lecorrezioni della mia povera madre. Essa mi rinforzava sempre glielle e i ti. E le ultime righe son tutte sue. Aveva imparato aimitare i miei caratterie quando io ero stanco e avevo sonnoterminava il lavoro per me. Santa madre mia!

Ebaciò la pagina.

-Ecco- disse il maestromostrando gli altri pacchi- le miememorie. Ogni anno io ho messo da parte un lavoro di ciascuno deimiei scolarie son tutti qui ordinati e numerati. Alle volte lisfogliocosìe leggo una riga qua e una làe mitornano in mente mille cosemi par di rivivere nel tempo andato.

Quantine son passaticaro signore! Io chiudo gli occhie vedo visidietro visiclassi dietro classicentinaia e centinaia di ragazziche chi sa quanti sono già morti. Di molti mi ricordo bene.Mi ricordo bene dei più buoni e dei più cattividiquelli che m'han dato molte soddisfazioni e di quelli che m'hanfatto passare dei momenti tristi; perché ci ho avuto anche deiserpentisi sain un così gran numero! Ma oramaileicapisce è come se fossi già nel mondo di làevoglio bene a tutti egualmente.

Sirimise a sedere e prese una delle mie mani fra le sue.

-E di me- domandò mio padre sorridendo- non si ricordanessuna monelleria?

-Di leisignore? - rispose il vecchiosorridendo pure. - Noper ilmomento.

Maquesto non vuol mica dire che non me n'abbia fatte. Lei peròaveva giudizioera serio per l'età sua. Mi ricordo lagrande affezione che le aveva la sua signora madre... Ma èstato ben buonoben gentile a venirmi a trovare! Come ha potutolasciare le sue occupazioni per venire da un povero vecchio maestro?

-Sentasignor Crosetti- rispose mio padrevivamente. - Io miricordo la prima volta che la mia povera madre m'accompagnòalla sua scuola. Era la prima volta che doveva separarsi da me perdue oree lasciarmi fuori di casain altre mani che quelledi mio padre; nelle mani d'una persona sconosciutainsomma. Perquella buona creatura la mia entrata nella scuola era comel'entrata nel mondola prima di una lunga serie di separazioninecessarie e dolorose: era la società che le strappava per laprima volta il figliuoloper non renderglielo mai più tuttointero. Era commossaed io pure. Mi raccomandò a lei con lavoce che le tremavae poiandandosenemi salutò ancoraper lo spiraglio dell'usciocon gli occhi pieni di lacrime. Eproprio in quel punto lei fece un atto con una manomettendosil'altra sul petto come per dirle:

Signorasi fidi di me. Ebbenequel suo attoquel suo sguardoda cui miaccorsi che lei aveva capito tutti i sentimentitutti i pensieri dimia madrequello sguardo che voleva dire: Coraggio! quell'attoche era un'onesta promessa di protezioned'affettod'indulgenzaio non l'ho mai scordato m'è rimasto scolpitonel cuore per sempre; ed è quel ricordo che m'ha fatto partirda Torino. Ed eccomi quidopo quarantaquattro annia dirle:Graziecaro maestro.

Ilmaestro non rispose: mi accarezzava i capelli con la manoe lasua mano tremavatremavami saltava dai capelli sullafrontedalla fronte sulla spalla.

Intantomio padre guardava quei muri nudiquel povero lettoun pezzo dipane e un'ampollina d'olio ch'eran sulla finestrae pareva chevolesse dire: - Povero maestrodopo sessant'anni di lavoroèquesto tutto il tuo premio?

Mail buon vecchio era contento e ricominciò a parlare convivacità della nostra famigliadi altri maestri di quegliannie dei compagni di scuola di mio padre; il quale di alcuni siricordava e di altri noe l'uno dava all'altro dellenotizie di questo e di quello; quando mio padre ruppe laconversazione per pregare il maestro di scendere in paese a farcolazione con noi. Egli rispose con espansione: - La ringraziola ringrazio; - ma pareva incerto. Mio padre gli prese tutt'e duele mani e lo ripregò. - Ma come farò a mangiare-disse il maestro - con queste povere mani che ballano in questamaniera? è una penitenza anche per gli altri! - Noil'aiuteremomaestro - disse mio padre. E allora accettòtentennando il capo e sorridendo.

-Una bella giornata questa- disse chiudendo l'uscio di fuori-una bella giornatacaro signor Bottini! Le accerto che me nericorderò fin che avrò vita.

Miopadre diede il braccio al maestroquesti prese per mano meediscendemmo per la viottola. Incontrammo due ragazzine scalze checonducevan le vacchee un ragazzo che passò correndoconun gran carico di paglia sulle spalle. Il maestro ci disse che erandue scolare e uno scolaro di secondache la mattina menavan lebestie a pasturare e lavoravan nei campi a piedi nudie la sera simettevano le scarpe e andavano a scuola. Era quasi mezzogiorno. Nonincontrammo nessun altro. In pochi minuti arrivammo all'albergoci sedemmo a una gran tavolamettendo in mezzo il maestroecominciammo subito a far colazione.

L'albergoera silenzioso come un convento. Il maestro era molto allegroe lacommozione gli accresceva il tremito; non poteva quasi mangiare.Ma mio padre gli tagliava la carnegli rompeva il panegli mettevail sale nel tondo. Per bere bisognava che tenesse il bicchiere condue manie ancora gli batteva nei denti. Ma discorreva fittocon caloredei libri di lettura di quando era giovanedegliorari d'alloradegli elogi che gli avevan fatto i superiorideiregolamenti di quest'ultimi annisempre con quel viso serenounpoco più rosso di primae con una voce gaiae il risoquasi d'un giovane. E mio padre lo guardavalo guardavacon lastessa espressione con cui lo sorprendo qualche volta aguardar mein casaquando pensa e sorride da sécol visoinclinato da una parte. Il maestro si lasciò andar del vinosul petto; mio padre s'alzò e lo ripulì coltovagliolo. - Ma nosignorenon permetto! - egli dissee rideva.Diceva delle parole in latino. E in fine alzò il bicchiereche gli ballava in manoe disse serio serio: - Alla sua salutedunquecaro signor ingegnereai suoi figliuolialla memoriadella sua buona madre! - Alla vostramio buon maestro! - risposemio padrestringendogli la mano. E in fondo alla stanza c'eral'albergatore ed altriche guardavanoe sorridevano in unamanieracome se fossero contenti di quella festa che si facevaal maestro del loro paese.

Alledue passate uscimmo e il maestro ci volle accompagnare alla stazione.Mio padre gli diede di nuovo il braccio ed egli mi riprese perla mano: io gli portai il bastone. La gente si soffermava aguardareperché tutti lo conoscevanoalcuni losalutavano. A un certo punto della strada sentimmo da una finestramolte voci di ragazziche leggevano insiemecompitando. Ilvecchio si fermò e parve che si rattristasse.

-Eccocaro signor Bottini- disse- quello che mi fa pena. èsentir la voce dei ragazzi nella scuolae non esserci piùpensare che c'è un altro. L'ho sentita per sessant'anniquesta musicae ci avevo fatto il cuore... Ora son senzafamiglia. Non ho più figliuoli.

-Nomaestro- gli disse mio padreripigliando il cammino- leice n'ha ancora molti figliuolisparsi per il mondoche siricordano di leicome io me ne son sempre ricordato.

-Nono- rispose il maestrocon tristezza- non ho piùscuolanon ho più figliuoli. E senza figliuoli non vivròpiù un pezzo. Ha da sonar presto la mia ora.

-Non lo dicamaestronon lo pensi- disse mio padre. - In ognimodolei ha fatto tanto bene! Ha impiegato la vita cosìnobilmente!

Ilvecchio maestro inclinò un momento la testa bianca sopra laspalla di mio padree mi diede una stretta alla mano.

Eravamoentrati nella stazione. Il treno stava per partire.

-Addiomaestro! - disse mio padrebaciandolo sulle due guancie.

-Addiograzieaddio- rispose il maestroprendendo con lesue mani tremanti una mano di mio padree stringendosela sulcuore.

Poilo baciai ioe gli sentii il viso bagnato. Mio padre mi spinse nelvagonee al momento di salire levò rapidamente il rozzobastone di mano al maestroe gli mise invece la sua bella cannacol pomo d'argento e le sue inizialidicendogli: - Laconservi per mia memoria.

Ilvecchio tentò di renderla e di riprender la sua; ma miopadre era già dentroe aveva richiuso lo sportello.

-Addiomio buon maestro!

-Addiofigliuolo- rispose il maestromentre il treno si moveva-e Dio la benedica per la consolazione che ha portato a un poverovecchio.

-A rivederci! - gridò mio padrecon voce commossa.

Mail maestro crollò il capo come per dire: - Non ci rivedremopiù.

-Sìsì- ripeté mio padre- a rivederci.

Equegli rispose alzando la mano tremola al cielo: - Lassù.

Edisparve al nostro sguardo cosìcon la mano in alto.



Convalescenza

20giovedì


Chi m'avrebbe detto quando tornavo così allegro da quellabella gita con mio padre che per dieci giorni non avrei piùvisto né campagna né cielo! Son stato molto malatoin pericolo di vita. Ho sentito mia madre singhiozzareho vistomio padre pallido pallidoche mi guardava fissoe mia sorellaSilvia e mio fratello che discorrevano a bassa vocee il medicocon gli occhialiche era ogni momento lìe mi diceva dellecose che non capivo. Proprioson stato a un punto dal dare un addioa tutti. Ah povera mia madre! Son passati almeno tre o quattrogiorni di cui non mi ricordo quasi nullacome se avessi fatto unsogno imbrogliato e oscuro. Mi sembra d'aver visto accanto al mioletto la mia buona maestra di prima superiore che si sforzava disoffocar la tosse col fazzolettoper non disturbarmi; ricordocosì in confuso il mio maestro che si chinò abaciarmi e mi punse un poco il viso con la barba; e ho visto passarecome in una nebbia la testa rossa di Crossii riccioli biondi diDerossiil calabrese vestito di neroe Garrone che mi portòun mandarino con le foglie e scappò subito perché suamadre stava male. Poi mi destai come da un sonno lunghissimoecapii che stavo meglio vedendo mio padre e mia madre chesorridevanoe sentendo Silvia che canterellava. Oh chetriste sogno è stato! Poi ho cominciato a migliorare ognigiorno. è venuto il muratorino che m'ha rifatto ridere perla prima volta col suo muso lepre; e come lo fa bene ora che gli s'èallungato un pò il viso per la malattiapoveretto! èvenuto Corettiè venuto Garoffi a regalarmi due bigliettidella sua nuova lotteria per un temperino a cinque sorprese checomprò da un rigattiere di via Bertola. Ieri poimentredormivoè venuto Precossie ha messo la guancia sopra lamia manosenza svegliarmie come veniva dall'officina di suopadre col viso impolverato di carbonemi lasciòl'impronta nera sulla manicache mi ha fatto un gran piacere avederlaquando mi sono svegliato. Come son diventati verdi glialberi in questi pochi giorni! E che invidia mi fanno iragazzi che vedo correre alla scuola coi loro libriquando miopadre mi porta alla finestra! Ma fra poco ci tornerò io pure.Sono tanto impaziente di rivedere tutti quei ragazziil miobancoil giardinoquelle strade; di sapere tutto quello che èaccaduto in questo tempo; di rimettermi ai miei libri e ai mieiquaderniche mi pare un anno che non li vedo più! Poveramia madrecom'è dimagrata e impallidita. Povero padremiocome ha l'aria stanca. E i miei buoni compagniche son venutia trovarmi e camminavano in punta di piedi e mi baciavano infronte! Mi fa tristezza ora a pensare che un giorno ci separeremo.Con Derossicon qualche altrocontinueremo a far gli studiinsiemeforse; ma tutti gli altri? Una volta finita la quartaaddio; non ci vedremo più; non li vedrò piùaccanto al mio letto quando sarò malato; GarronePrecossiCorettitanti bravi ragazzitanti buoni e cari compagnimaipiù!



Gliamici operai

20giovedì


PerchéEnrico.mai più?. Questo dipenderà da te. Finita laquartatu andrai al Ginnasio ed essi faranno gli operaimarimarrete nella stessa cittàforse per molti anni. Eperchéalloranon v'avrete più a rivedere? Quando tusarai all'Università o al Liceoli andrai a cercare nelleloro botteghe o nelle loro officinee ti sarà un grandepiacere il ritrovare i tuoi compagni d'infanzia- uomini- allavoro. Vorrei vedere che tu non andassi a cercar Coretti ePrecossi; dovunque fossero. Tu ci andraie passerai delle orein loro compagniae vedraistudiando la vita e il mondoquantecose potrai imparare da loroche nessun altri ti sapràinsegnaree sulle loro arti e sulla loro società e sultuo paese. E bada che se non conserverai queste amiciziesaràben difficile che tu ne acquisti altre simili in avveniredelleamicizievoglio direfuori della classe a cui appartieni; ecosì vivrai in una classe solae l'uomo che pratica una solaclasse socialeè come lo studioso che non legge altro cheun libro. Proponiti quindi fin d'ora di conservarti quei buoniamici anche dopo che sarete divisi; e coltivali fin d'ora dipreferenzaappunto perché son figliuoli d'operai. Vedi: gliuomini delle classi superiori sono gli ufficialie gli operai sonoi soldati del lavoroma così nella societàcome nell'esercitonon solo il soldato non è mennobile dell'ufficialeperché la nobiltà sta nellavoro e non nel guadagnonel valore e non nel gradoma se c'èuna superiorità di merito è dalla parte del soldatodell'operaioi quali ricavan dall'opera propria minor profitto.Ama dunquerispetta sopra tuttifra i tuoi compagnii figliuolidei soldati del lavoro; onora in essi le fatiche e i sacrificidei loro parenti; disprezza le differenze di fortuna e diclassesulle quali i vili soltanto regolano i sentimenti e lacortesia; pensa che uscì quasi tutto dalle vene deilavoratori delle officine e dei campi il sangue benedetto che ci haredento la patriaama Garroneama Precossiama Corettiama iltuo muratorino che nei loro petti di piccoli operai chiudono deicuori di principie giura a te medesimo che nessun cangiamentodi fortuna potrà mai strappare queste sante amicizieinfantili dall'anima tua. Giura che se fra quarant'anni;passando in una stazione di strada ferratariconoscerai neipanni d'un macchinista il tuo vecchio Garrone col viso nero... ahnon m'occorre che tu lo giuri: son sicuro che salterai sullamacchina e che gli getterai le braccia al collofossi ancheSenatore del Regno..

Tuo padre



Lamadre di Garrone

29sabato


Tornato alla scuolasubito una triste notizia. Da vari giorniGarrone non veniva più perché sua madre era malatagrave. Sabato sera è morta. Ieri mattinaappenaentrato nella scuolail maestro ci disse: - Al povero Garrone ètoccata la più grande disgrazia che possa colpire unfanciullo. Gli è morta la madre. Domani egli ritorneràin classe. Vi prego fin d'oraragazzi:

rispettateil terribile dolore che gli strazia l'anima. Quando entreràsalutatelo con affettoe seri: nessuno scherzinessuno ridacon luimi raccomando. - E questa mattinaun pò piùtardi degli altrientrò il povero Garrone. Mi sentii uncolpo al cuore a vederlo. Era smorto in visoaveva gli occhirossie si reggeva male sulle gambe: pareva che fosse stato unmese malato: quasi non si riconosceva più: era vestitotutto di nero: faceva compassione. Nessuno fiatò; tutti loguardarono. Appena entratoal primo riveder quella scuoladovesua madre era venuta a prenderlo quasi ogni giornoquel banco sulquale s'era tante volte chinata i giorni d'esame a farglil'ultima raccomandazionee dove egli aveva tante voltepensato a leiimpaziente d'uscire per correrle incontrodiede in uno scoppio di pianto disperato. Il maestro lo tiròvicino a sése lo strinse al petto e gli disse:

-Piangipiangi purepovero ragazzo; ma fatti coraggio. Tua madrenon è più quama ti vedet'ama ancoraviveancora accanto a tee un giorno tu la rivedraiperchései un'anima buona e onesta come lei. Fatti coraggio. - Dettoquestol'accompagnò al bancovicino a me. Io non osavo diguardarlo. Egli tirò fuori i suoi quaderni e i suoi libriche non aveva aperti da molti giorni; e aprendo il libro dilettura dove c'è una vignetta che rappresenta una madre colfigliuolo per manoscoppiò in pianto un'altra voltae chinòla testa sul banco. Il maestro ci fece segno di lasciarlo starecosìe cominciò la lezione.

Ioavrei voluto dirgli qualche cosama non sapevo. Gli misi unamano sul braccio e gli dissi all'orecchio: - Non piangereGarrone.- Egli non risposee senz'alzar la testa dal bancomise la suamano nella mia e ve la tenne un pezzo. All'uscita nessuno gli parlòtutti gli girarono intornocon rispettoe in silenzio. Io vidi miamadre che m'aspettava e corsi ad abbracciarlama essa mi respinsee guardava Garrone. Subito non capii perchéma poi m'accorsiche Garronesolo in disparteguardava me; e mi guardavacon uno sguardo d'inesprimibile tristezzache voleva dire: - Tuabbracci tua madree io non l'abbraccerò più! Tuhai ancora tua madree la mia è morta! - E allora capiiperché mia madre m'aveva respinto e uscii senza darle la mano.



GiuseppeMazzini

29sabato


Anche questa mattina Garrone venne alla scuola pallido e con gliocchi gonfi di pianto; e diede appena un'occhiata ai piccoli regaliche gli avevamo messi sul banco per consolarlo. Ma il maestroaveva portato una pagina d'un libroda leggergliper farglianimo. Prima ci avvertì che andassimo tutti domani altocco al Municipio a veder dare la medaglia del valor civile a unragazzo che ha salvato un bambino dal Poe che lunedìegli ci avrebbe dettato la descrizione della festain luogodel racconto mensile. Poirivoltosi a Garroneche stava colcapo bassogli disse: - Garronefa uno sforzoe scrivianche tu quello che io detto. - Tutti pigliammo la penna. Ilmaestro dettò.

GiuseppeMazzininato a Genova nel 1805morto a Pisa nel 1872grandeanima di patriottagrande ingegno di scrittoreispiratore edapostolo primo della rivoluzione italiana; il quale per amoredella patria visse quarant'anni poveroesuleperseguitatoramingoeroicamente immobile nei suoi principii e nei suoipropositi; Giuseppe Mazzini che adorava sua madree che avevaattinto da lei quanto nella sua anima fortissima e gentile v'eradi più alto e di più purocosì scriveva a unsuo fedele amicoper consolarlo della più grande dellesventure. Son presso a poco le sue parole: "Amicotu nonvedrai mai più tua madre su questa terra. Questa è latremenda verità. Io non mi reco a vedertiperchéil tuo è uno di quei dolori solenni e santi che bisognasoffrire e vincere da sé soli. Comprendi ciò chevoglio dire con queste parole:

-.Bisogna vincere il dolore.? - Vincere quello che il dolore ha dimeno santodi meno purificatore; quello cheinvece di migliorarel'animala indebolisce e l'abbassa. Ma l'altra parte deldolorela parte nobilequella che ingrandisce e innalzal'animaquella deve rimanere con tenon lasciarti piùmai. Quaggiù nulla si sostituisce a una buona madre.Nei dolorinelle consolazioni che la vita può darti ancoratu non la dimenticherai mai più. Ma tu devi ricordarlaamarlarattristarti della sua morte in un modo degno di lei. Oamicoascoltami. La morte non esistenon è nulla. Non sipuò nemmeno comprendere. La vita è vitae seguela legge della vita: il progresso. Tu avevi ieri una madre interra: oggi hai un angelo altrove. Tutto ciò che è benesopravvivecresciuto di potenzaalla vita terrena. Quindi anchel'amore di tua madre. Essa t'ama ora più che mai. E tu seiresponsabile delle tue azioni a Lei più di prima. Dipende datedalle opere tue d'incontrarladi rivederla in un'altraesistenza. Tu devi dunqueper amore e riverenza a tua madrediventar migliore e darle gioia di te. Tu dovrai d'ora innanziadogni atto tuodire a te stesso: - Lo approverebbe mia madre? - Lasua trasformazione ha messo per te nel mondo un angelo custode alquale devi riferire ogni cosa tua. Sii forte e buono; resisti aldolore disperato e volgare; abbi la tranquillità dei grandipatimenti nelle grandi anime: è ciò che essa vuole.

-Garrone! - soggiunse il maestro: - .sii forte e tranquilloèciò che essa vuole.. Intendi?

Garroneaccennò di sì col capoe intanto gli cadevan dellelacrime grosse e fitte sulle manisul quadernosul banco.



Valorcivile

Raccontomensile


Al tocco eravamo col maestro davanti al Palazzo di cittàper veder dare la medaglia del valor civile al ragazzo che salvòil suo compagno dal Po.

Sulterrazzo della facciata sventolava una grande bandiera tricolore.

Entrammonel cortile del Palazzo.

Eragià pieno di gente. Si vedeva in fondo un tavolo col tappetorossoe delle carte soprae dietro una fila di seggioloni doratiper il Sindaco e per la Giunta: c'erano gli uscieri delMunicipio con la sottoveste azzurra e le calze bianche. A destradel cortile stava schierato un drappello di guardie civichecheavevano molte medagliee accanto a loro un drappello di guardiedaziarie; dall'altra parte i pompieriin divisa festivae moltisoldati senz'ordinevenuti là per vedere: soldati dicavalleriabersaglieriartiglieri. Poi tutt'intorno deisignoridei popolanialcuni ufficialie donne e ragazzichesi accalcavano. Noi ci stringemmo in un angolo dov'erano giàaffollati molti alunni d'altre sezionicoi loro maestrie c'eravicino a noi un gruppo di ragazzi del popolotra i dieci e idiciott'anniche ridevano e parlavan fortee si capiva ch'eranotutti di Borgo Pocompagni o conoscenti di quello che doveva averla medaglia. Sua tutte le finestrec'erano affacciati degliimpiegati del Municipio; la loggia della biblioteca pure era pienadi genteche si premeva contro la balaustrata; e in quella dellato oppostoche è sopra il portone d'entratastavanopigiate un gran numero di ragazze delle scuole pubblichee molteragazze militaricoi loro bei veli celesti. Pareva un teatro.Tutti discorrevano allegriguardando a ogni tratto dalla partedel tavolo rossose comparisse nessuno. La banda musicale suonavapiano in fondo al portico. Sui muri alti batteva il sole. Era bello.

All'improvvisotutti si misero a batter le mani dal cortiledalle loggedallefinestre.

Iom'alzai in punta di piedi per vedere.

Lafolla che stava dietro al tavolo rosso s'era apertaed eran venutiavanti un uomo e una donna. L'uomo teneva per mano un ragazzo.

Eraquello che aveva salvato il compagno.

L'uomoera suo padreun muratorevestito a festa. La donna- sua madre- piccola e biondaaveva una veste nera. Il ragazzoanchebiondo e piccoloaveva una giacchetta grigia.

Aveder tutta quella gente e a sentir quello strepito d'applausirimasero lì tutti e treche non osavano più néguardare né muoversi. Un usciere municipale li spinse accantoal tavoloa destra.

Tuttistettero zitti un momentoe poi un'altra volta scoppiarono gliapplausi da tutte le parti. Il ragazzo guardò su allefinestre e poi alla loggia delleFiglie dei militari.; teneva ilcappello fra le manisembrava che non capisse bene dove fosse. Miparve che somigliasse un poco a Corettinel viso; ma piùrosso. Suo padre e sua madre tenevan gli occhi fissi sul tavolo.

Intantotutti i ragazzi di borgo Poche eran vicini a noisisporgevano avantifacevano dei gesti verso il loro compagno perfarsi vederechiamandolo a voce bassa: - .Pin! Pin! Pinot!. - Afuria di chiamarlo si fecero sentire. Il ragazzo li guardòenascose il sorriso dietro il cappello.

Aun dato punto tutte le guardie si misero sull'attenti.

Entròil Sindacoaccompagnato da molti signori.

IlSindacotutto biancocon una gran sciarpa tricoloresi mise altavolinoin piedi; tutti gli altri dietro e dai lati.

Labanda cessò di suonareil Sindaco fece un cennotuttitacquero.

Cominciòa parlare. Le prime parole non le intesi bene; ma capii cheraccontava il fatto del ragazzo. Poi la sua voce s'alzòesi sparse così chiara e sonora per tutto il cortileche nonperdetti più una parola. - ...Quando vide dalla sponda ilcompagno che si dibatteva nel fiumegià preso dal terroredella morteegli si strappò i panni di dosso e accorsesenza titubare un momento.

Gligridarono: - T'anneghi!- non rispose; lo afferraronosisvincolò; lo chiamaron per nomeera giànell'acqua. Il fiume era gonfioil rischio terribileanche perun uomo. Ma egli si slanciò contro la morte con tutta laforza del suo piccolo corpo e del suo grande cuore; raggiunse eafferrò in tempo il disgraziatoche già erasott'acquae lo tirò a galla; lottòfuriosamente con l'onda che li volea travolgerecol compagnoche tentava d'avvinghiarlo; e più volte sparì sottoe rivenne fuori con uno sforzo disperato; ostinatoinvittonel suo santo propositonon come un ragazzo che voglia salvare unaltro ragazzoma come un uomocome un padre che lotti persalvare un figliuoloche è la sua speranza e la sua vita.InfineDio non permise che una così generosa prodezza fosseinutile. Il nuotatore fanciullo strappò la vittima alfiume gigantee la recò a terrae le diè ancoracon altrii primi conforti; dopo di che se ne tornò a casasolo e tranquilloa raccontare ingenuamente l'atto suo.Signori! Bellovenerabile è l'eroismo nell'uomo. Ma nelfanciulloin cui nessuna mira d'ambizione o d'altrointeresse è ancor possibile; nel fanciullo che tanto deveaver più d'ardimento quanto ha meno di forza; nel fanciulloa cui nulla domandiamoche a nulla è tenutoche cipare già tanto nobile e amabilenon quando compiama soloquando comprenda e riconosca il sacrificio altrui; l'eroismo nelfanciullo è divino. Non dirò altrosignori. Nonvoglio ornar di lodi superflue una così semplice grandezza.Eccolo qui davanti a voi il salvatore valoroso e gentile.

Soldatisalutatelo come un fratello; madribeneditelo come unfigliuolo; fanciulliricordatevi il suo nomestampatevi nellamente il suo visoch'egli non si cancelli mai più dallavostra memoria e dal vostro cuore. Avvicinatiragazzo. In nomedel Re d'Italiaio ti do la medaglia al valor civile.

Unevviva altissimolanciato insieme da molte vocifeceecheggiare il palazzo.

IlSindaco prese sul tavolo la medaglia e l'attaccò al petto delragazzo. Poi lo abbracciò e lo baciò.

Lamadre si mise una mano sugli occhiil padre teneva il mento sulpetto.

IlSindaco strinse la mano a tutti e duee preso il decreto delladecorazionelegato con un nastrolo porse alla donna.

Poisi rivolse al ragazzo e disse: - Che il ricordo di questogiorno così glorioso per tecosì felice per tuopadre e per tua madreti mantenga per tutta la vita sulla viadella virtù e dell'onore. Addio!

IlSindaco uscìla banda sonò e tutto parea finitoquando il drappello dei pompieri s'apersee un ragazzo di otto onove annispinto innanzi da una donna che subito si nascosesi slanciò verso il decorato e gli cascò fra lebraccia.

Unaltro scoppio d'evviva e d'applausi fece rintronare il cortile; tuttiavevan capito alla prima: quello era il ragazzo stato salvato dalPoche veniva a ringraziare il suo salvatore. Dopo averlobaciatogli si attaccò a un braccio per accompagnarlo fuori.Essi due primie il padre e la madre dietros'avviaronoverso l'uscitapassando a stento fra la gente che faceva ala alloro passaggioguardieragazzisoldatidonnealla rinfusa.Tutti si spingevano avanti e s'alzavano in punta di piedi pervedere il ragazzo. Quelli che eran sul passaggio gli toccavan lamano. Quando passò davanti ai ragazzi delle scuoletuttiagitarono i berretti per aria. Quelli di borgo Po fecero un grandeschiamazzotirandolo per le braccia e per la giacchettaegridando: -Pinviva Pin! Bravo Pinot!. - Io lo vidi passarproprio vicino. Era tutto acceso nel visocontento: la medagliaaveva il nastro biancorosso e verde.

Suamadre piangeva e rideva; suo padre si torceva un baffo con unamanoche gli tremava fortecome se avesse la febbre. E su dallefinestre e dalle logge seguitavano a sporgersi fuori e adapplaudire. Tutt'a un trattoquando furono per entrar sotto ilporticovenne giù dalla loggia delle .Figlie dei militari.

unavera pioggia di pensieridi mazzettini di viole e dimargheriteche caddero sulla testa del ragazzodel padredellamadree si sparsero in terra. Molti si misero a raccoglierli infretta e li porgevano alla madre. E la banda in fondo al cortilesonava piano piano un'aria bellissimache pareva il canto di tantevoci argentine che s'allontanassero lente giù per le rived'un fiume.





MAGGIO



Ibambini rachitici

5venerdì


Oggi ho fatto vacanza perché non stavo benee mia madrem'ha condotto con sé all'istituto dei ragazzi rachiticidov'è andata a raccomandare una bimba del portinaio; ma nonmi ha lasciato entrar nella scuola...

Nonhai capito perchéEnriconon ti lasciai entrare? Per nonmettere davanti a quei disgraziatilì nel mezzo dellascuolaquasi come in mostraun ragazzo sano e robusto: troppeoccasioni hanno già di trovarsi a dei paragoni dolorosi.

Chetriste cosa! Mi venne su il pianto dal cuore a entrar làdentro. Erano una sessantinatra bambini e bambine... Povere ossatorturate! Povere manipoveri piedini rattrappiti e scontorti!Poveri corpicini contraffatti! Subito osservai molti visi graziosi;degli occhi pieni d'intelligenza e di affetto: c'era un visettodi bimbacol naso affilato e il mento aguzzoche parevauna vecchiettama aveva un sorriso d'una soavità celeste.Alcunivisti davantison bellie paion senza difettima sivoltano... e vi danno una stretta all'anima. C'era il medicocheli visitava. Li metteva ritti sui banchie alzava i vestitini pertoccare i ventri enfiati e le giunture grossema non sivergognavano puntopovere creature; si vedeva ch'eran bambiniassuefatti a essere svestitiesaminatirivoltati per tutti iversi. E pensare che ora son nel periodo migliore della loromalattiaché quasi non soffron più. Ma chi puòdire quello che soffrirono durante il primo deformarsi del corpoquando col crescere della loro infermitàvedevanodiminuire l'affetto intorno a sépoveri bambinilasciati soli per ore ed ore nell'angolo d'una stanza o d'uncortilemal nutritie a volte anche schernitio tormentati permesi da bendaggi e da apparecchi ortopedici inutili! Ora perògrazie alle curealla buona alimentazione e alla ginnasticamolti migliorano. La maestra fece fare la ginnastica. Era unapietàa certi comandivederli distender sotto i banchitutte quelle gambe fasciatestrette fra le stecchenocchierutesformatedelle gambe che si sarebbero coperte di baci! Parecchi nonpotevano alzarsi dal bancoe rimanevan lìcol caporipiegato sul braccioaccarezzando le stampelle con la mano;altrifacendo la spinta delle bracciasi sentivan mancare ilrespiroe ricascavano a sederepallidima sorridevanoperdissimulare l'affanno. Ah! Enricovoi altri che non pregiate lasalutee vi sembra così poca cosa lo star bene! Io pensavoai bei ragazzi forti e fiorentiche le madri portano in giro comein trionfosuperbe della loro bellezzae mi sarei prese tuttequelle povere testeme le sarei strette tutte sul cuoredisperatamenteavrei dettose fossi stata sola: non mi movopiù di qui; voglio consacrare la vita a voiservirvifarvi da madre a tutti fino al mio ultimo giorno... E intantocantavanocantavano con certe vocine esilidolcitristicheandavano all'animae la maestra avendoli lodatisi mostraroncontenti; e mentre passava tra i banchile baciavano le mani ele bracciaperché senton tanta gratitudine per chi libeneficae sono molto affettuosi. E anche hanno ingegnoquegliangioletti; e studianomi disse la maestra. Una maestra giovanee gentileche ha sul viso pieno di bontà una certaespressione di mestiziacome un riflesso delle sventure che essaaccarezza e consola. Cara ragazza! Fra tutte le creature umane chesi guadagnan la vita col lavoronon ce n'è una che se laguadagni più santamente di tefigliuola mia..

Tua madre



Sacrificio

9martedì


Mia madre è buonae mia sorella Silvia è come leihalo stesso cuore grande e gentile. Io stavo copiando ieri sera unaparte del racconto mensileDagli Appennini alle Ande.che ilmaestro ci ha dato a copiare un poco a tuttitanto è lungo;quando Silvia entrò in punta di piedi e mi disse in frettae piano: - Vieni con me dalla mamma. Li ho sentiti stamani chediscorrevano: al babbo è andato male un affareeraaddoloratola mamma gli faceva coraggio; siamo nelle strettezzecapisci? non ci sono più denari. Il babbo diceva chebisognerà fare dei sacrifici per rimettersi. Ora bisogna chene facciamo anche noi dei sacrificinon è vero? Sei pronto?Beneparlo alla mammae tu accenna di sì e promettilesul tuo onore che farai tutto quello che dirò io. Dettoquestomi prese per manoe mi condusse da nostra madrechestava cucendotutta pensierosa; io sedetti da una parte del sofàSilvia sedette dall'altrae subito disse: - Sentimammaho daparlarti. Abbiamo da parlarti tutti e due. - La mamma ci guardòmeravigliata. E Silvia cominciò: - Il babbo è senzadenariè vero? - Che dici? - rispose la mamma arrossendo-Non è vero! Che ne sai tu? Chi te l'ha detto? - Lo sodisseSilviarisoluta. - Ebbenesentimamma; dobbiamo fare deisacrifici anche noi. Tu m'avevi promesso un ventaglio per la fin dimaggioe Enrico aspettava la sua scatola di colori; non vogliamopiù nulla; non vogliamo che si sprechino i soldi; saremocontenti lo stessohai capito? - La mamma tentò diparlarema Silvia disse: - Nosarà così.

Abbiamodeciso. E fin che il babbo non avrà dei denarinon vogliamopiù né frutta né altre cose; ci basteràla minestrae la mattina a colazione mangeremo del pane; cosìsi spenderà meno a tavolaché già spendiamotroppoe noi ti promettiamo che ci vedrai sempre contenti ad unmodo. Non è veroEnrico? - Io risposi di sì. -Sempre contenti ad un modo- ripeté Silviachiudendo labocca alla mamma con una mano; - e se c'è altri sacrifici dafareo nel vestireo in altronoi li faremo volentierievendiamo anche i nostri regali: io do tutte le mie coseti servo iodi camerieranon daremo più nulla a fare fuor di casalavorerò con te tutto il giornofarò tutto quello chevorraisono disposta a tutto! A tutto! - esclamò gettandole braccia al collo a mia madre; - pur che il babbo e la mamma nonabbian più dispiaceripur ch'io torni a vedervi tutti e duetranquillidi buon umore come primain mezzo alla vostra Silvia eal vostro Enricoche vi vogliono tanto beneche darebbero la lorovita per voi! - Ah! io non vidi mai mia madre così contentacome a sentir quelle parole; non ci baciò mai in fronte aquel modopiangendo e ridendosenza poter parlare. E poiassicurò Silvia che aveva capito maleche non eravamomica ridotti come essa credevaper fortunae cento volte cidisse graziee fu allegra tutta la serafin che rientròmio padrea cui disse tutto. Egli non aperse boccapoveropadre mio! Ma questa mattina sedendo a tavola... provai insieme ungran piacere e una gran tristezza: io trovai sotto il tovagliolo lamia scatolae Silvia ci trovò il suo ventaglio.



L'incendio

11giovedì


Questa mattina io avevo finito di copiare la mia parte delracconto .Dagli Appennini alle Ande.e stavo cercando un tema perla composizione libera che ci diede da fare il maestroquando udiiun vocìo insolito per le scalee poco dopo entrarono incasa due pompierii quali domandarono a mio padre il permessodi visitar le stufe e i caminiperché bruciava un fumaiolosui tettie non si capiva di chi fosse. Mio padre disse: - Faccianopure- e benché non avessimo fuoco acceso da nessuna parteessi cominciarono a girar per le stanze e a metter l'orecchio alleparetiper sentire se rumoreggiasse il foco dentro alle gole chevanno su agli altri piani della casa.

Emio padre mi dissementre giravan per le stanze: - Enricoecco untema per la tua composizione: i pompieri. Provati un pòa scrivere quello che ti racconto. Io li vidi all'opera due annifauna sera che uscivo dal teatro Balboa notte avanzata.Entrando in via Romavidi una luce insolitae un'onda di genteche accorreva: una casa era in fuoco: lingue di fiamma enuvoli di fumo rompevan dalle finestre e dal tetto; uomini e donneapparivano ai davanzali e sparivanogettando grida disperatec'era gran tumulto davanti al portone; la folla gridava: - Brucianvivi! Soccorso! I pompieri! - Arrivò in quel punto unacarrozzane saltaron fuori quattro pompierii primi che s'erantrovati al Municipioe si slanciarono dentro alla casa. Eranoappena entratiche si vide una cosa orrenda: una donna s'affacciòurlando a una finestra del terzo pianos'afferrò allaringhierala scavalcòe rimase afferrata cosìquasi sospesa nel vuotocon la schiena in fuoricurva sotto ilfumo e le fiamme che fuggendo dalla stanza le lambivan quasi latesta. La folla gettò un grido di raccapriccio. I pompieriarrestati per isbaglio al secondo piano dagli inquiliniatterritiavevan già sfondato un muro e s'eran precipitatiin una camera; quando cento grida li avvertirono: - Al terzopiano! Al terzo piano! - Volarono al terzo piano. Qui era unrovinio d'infernotravi di tetto che crollavanocorridoi pieni difiammeun fumo che soffocava. Per arrivare alle stanze dov'erangl'inquilini rinchiusinon restava altra via che passar pel tetto.

Silanciaron subito sue un minuto dopo si vide come un fantasma nerosaltar sui coppitra il fumo. Era il caporalearrivato il primo.Ma per andare dalla parte del tetto che corrispondeva alquartierino chiuso dal fuocogli bisognava passare sopra unristrettissimo spazio compreso tra un abbaino e la grondaia;tutto il resto fiammeggiavae quel piccolo tratto era coperto dineve e di ghiaccioe non c'era dove aggrapparsi. - èimpossibile che passi! - gridava la folla di sotto. Il caporales'avanzò sull'orlo del tetto: - tutti rabbrividironoestettero a guardar col respiro sospeso: - passò: - un immensoevviva salì al cielo. Il caporale riprese la corsaearrivato al punto minacciatocominciò a spezzarefuriosamente a colpi d'accetta coppitravicorrentiniperaprirsi una buca da scender dentro. Intanto la donna era sempresospesa fuor della finestrail fuoco le infuriava sul capounminuto ancorae sarebbe precipitata nella via. La buca fu aperta:si vide il caporale levarsi la tracolla e calarsi giù; glialtri pompierisopraggiuntilo seguirono.

Nellostesso momento un'altissima scala Portaarrivata alloras'appoggiò al cornicione della casadavanti alle finestreda cui uscivano fiamme e urli da pazzi. Ma si credeva che fossetardi. - Nessuno si salva più- gridavano. - I pompieribruciano. - è finita. - Son morti. - All'improvviso si videapparire alla finestra della ringhiera la figura nera del caporaleilluminata di sopra in giù dalle fiamme- la donna gli siavvinghiò al collo; - egli l'afferrò alla vita contutt'e due le bracciala tirò sula depose dentro allastanza.

Lafolla mise un grido di mille vociche coprì il fracassodell'incendio. Ma e gli altri? e discendere? La scalaappoggiata al tetto davanti a un'altra finestradistava daldavanzale un buon tratto. Come avrebbero potuto attaccarvisi?Mentre questo si dicevauno dei pompieri si fece fuori dellafinestramise il piede destro sul davanzale e il sinistro sullascalae così ritto per ariaabbracciati ad uno ad unogli inquiliniche gli altri gli porgevan di dentroli porse a uncompagnoch'era salito su dalla viae cheattaccatili bene aipiolili fece scenderel'un dopo l'altroaiutati da altripompieri di sotto. Passò prima la donna della ringhierapoiuna bimbaun'altra donnaun vecchio. Tutti eran salvi. Dopoil vecchioscesero i pompieri rimasti dentro; ultimo a scenderefu il caporaleche era stato il primo ad accorrere. La follali accolse tutti con uno scoppio d'applausi; ma quando comparvel'ultimol'avanguardia dei salvatoriquello che avevaaffrontato innanzi agli altri l'abissoquello che sarebbe mortoseuno avesse dovuto morirela folla lo salutò come untrionfatoregridando e stendendo le braccia con uno slancioaffettuoso d'ammirazione e di gratitudinee in pochi momenti ilsuo nome oscuro - Giuseppe Robbino - suonò su mille bocche...Hai capito? Quello è coraggioil coraggio del cuorechenon ragionache non vacillache va diritto cieco fulmineo dovesente il grido di chi muore. Io ti condurrò un giorno agliesercizi dei pompierie ti farò vedere il caporaleRobbino; perché saresti molto contento di conoscerlonon èvero?

Risposidi sì.

-Eccolo qua- disse mio padre.

Iomi voltai di scatto. I due pompieriterminata la visitaattraversavan la stanza per uscire.

Miopadre m'accennò il più piccoloche aveva i galloniemi disse: - Stringi la mano al caporale Robbino.

Ilcaporale si fermò e mi porse la manosorridendo: io glielastrinsi; egli mi fece un saluto ed uscì.

-E ricordatene bene- disse mio padre- perché dellemigliaia di mani che stringerai nella vitanon ce ne saranno forsedieci che valgono la sua.



DagliAppennini alle Ande

Raccontomensile


Molti anni fa un ragazzo genovese di tredici annifigliuolo d'unoperaioandò da Genova in Americada soloper cercare suamadre.

Suamadre era andata due anni prima a Buenos Airescittàcapitale della Repubblica Argentinaper mettersi al serviziodi qualche casa riccae guadagnar così in poco tempo tantoda rialzare la famigliala qualeper effetto di variedisgrazieera caduta nella povertà e nei debiti. Non sonopoche le donne coraggiose che fanno un così lungo viaggio perquello scopoe che grazie alle grandi paghe che trova laggiùla gente di servizioritornano in patria a capo di pochi anni conqualche migliaio di lire. La povera madre aveva pianto lacrimedi sangue al separarsi dai suoi figliuolil'uno di diciott'annie l'altro di undici; ma era partita con coraggioe piena disperanza. Il viaggio era stato felice: arrivata appena a BuenosAiresaveva trovato subitoper mezzo d'un bottegaio genovesecugino di suo maritostabilito là da molto tempounabuona famiglia argentinache la pagava molto e la trattava bene. Eper un pò di tempo aveva mantenuto coi suoi unacorrispondenza regolare. Com'era stato convenuto fra loroilmarito dirigeva le lettere al cuginoche le recapitava alladonnae questa rimetteva le risposte a luiche le spediva aGenovaaggiungendovi qualche riga di suo.

Guadagnandoottanta lire al mese e non spendendo nulla per sémandava acasa ogni tre mesi una bella sommacon la quale il maritocheera galantuomoandava pagando via via i debiti più urgentie riguadagnando così la sua buona reputazione. E intantolavorava ed era contento dei fatti suoianche per la speranza chela moglie sarebbe ritornata fra non molto tempoperché lacasa pareva vuota senza di leie il figliuolo minore in specialmodoche amava moltissimo sua madresi rattristavanon sipoteva rassegnare alla sua lontananza.

Matrascorso un anno dalla partenzadopo una lettera breve nellaquale essa diceva di star poco bene di salutenon ne ricevetteropiù. Scrissero due volte al cugino; il cugino non rispose.Scrissero alla famiglia argentinadove la donna era a servire;ma non essendo forse arrivata la lettera perché aveanstorpiato il nome sull'indirizzonon ebbero risposta. Temendo d'unadisgraziascrissero al Consolato italiano di Buenos Aireschefacesse fare delle ricerche; e dopo tre mesi fu risposto loro dalConsole chenonostante l'avviso fatto pubblicare dai giornalinessuno s'era presentatoneppure a dare notizie. E non potevaaccadere altrimentioltre che per altre ragionianche perquesta: Che con l'idea di salvare il decoro dei suoichéle pareva di macchiarlo a far la servala buona donna nonaveva dato alla famiglia argentina il suo vero nome. Altrimesi passarononessuna notizia. Padre e figliuolo eranocosternati; il più piccolooppresso da una tristezza chenon poteva vincere. Che fare? A chi ricorrere? La prima idea delpadre era stata di partired'andare a cercare sua moglie inAmerica. Ma e il lavoro? Chi avrebbe mantenuto i suoi figliuoli? Eneppure avrebbe potuto partire il figliuol maggiorechecominciava appunto allora a guadagnar qualche cosaed eranecessario alla famiglia. E in questo affanno vivevanoripetendoogni giorno gli stessi discorsi dolorosio guardandosi l'unl'altroin silenzio. Quando una sera Marcoil piùpiccolouscì a dire risolutamente: - Ci vado io inAmerica a cercar mia madre. - Il padre crollò il capocontristezzae non rispose. Era un pensiero affettuosoma una cosaimpossibile. A tredici annisolofare un viaggio in Americache ci voleva un mese per andarci! Ma il ragazzi insistettepazientemente. Insistette quel giornoil giorno dopotutti igiorni con una grande pacatezzaragionando col buon senso d'un uomo.- Altri ci sono andati- diceva - e più piccoli di me.Una volta che son sul bastimentoarrivo là come un altro.Arrivato lànon ho che a cercare la bottega del cugino.Ci sono tanti italianiqualcheduno m'insegnerà la strada.

Trovatoil cuginoe trovata mia madrese non trovo lui vado dalConsolecercherò la famiglia argentina. Qualunque cosaaccadalaggiù c'è del lavoro per tutti; troveròdel lavoro anch'ioalmeno per guadagnar tanto da ritornare a casa.- E cosìa poco a pocoriuscì quasi a persuadere suopadre. Suo padre lo stimavasapeva che aveva giudizio ecoraggioche era assuefatto alle privazioni e ai sacrificie chetutte queste buone qualità avrebbero preso doppia forzanel suo cuore per quel santo scopo di trovar sua madrech'egliadorava. Si aggiunse pure che un Comandante di piroscafoamicod'un suo conoscenteavendo inteso parlar della cosas'impegnòdi fargli aver gratis un biglietto di terza classe perl'Argentina. E alloradopo un altro pò di esitazioneilpadre acconsentìil viaggio fu deciso. Gli empirono unasacca di pannigli misero in tasca qualche scudoglidiedero l'indirizzo del cuginoe una bella sera del mese di aprilelo imbarcarono. - FigliuoloMarco mio- gli disse il padredandogli l'ultimo baciocon le lacrime agli occhisopra la scaladel piroscafo che stava per partire: - fatti coraggio. Parti per unsanto fine e Dio t'aiuterà.

Povero Marco! Egli aveva il cuor forte e preparato alle piùdure prove per quel viaggio; ma quando vide sparire all'orizzontela sua bella Genovae si trovò in alto maresu quelgrande piroscafo affollato di contadini emigrantisolononconosciuto da alcunocon quella piccola sacca che racchiudeva tuttala sua fortunaun improvviso scoraggiamento lo assalì.Per due giorni stette accucciato come un cane a pruanonmangiando quasioppresso da un gran bisogno di piangere. Ognisorta di tristi pensieri gli passava per la mentee il piùtristeil più terribile era il più ostinato atornare: il pensiero che sua madre fosse morta. Nei suoi sognirotti e pensosi egli vedeva sempre la faccia d'uno sconosciutoche lo guardava in aria di compassione e poi gli dicevaall'orecchio: - Tua madre è morta. - E allora si svegliavasoffocando un grido. Nondimenopassato lo stretto diGibilterraalla prima vista dell'Oceano Atlanticoriprese unpoco d'animo e di speranza. Ma fu un breve sollievo. Quell'immensomare sempre egualeil calore crescentela tristezza di tuttaquella povera gente che lo circondavail sentimento della propriasolitudine tornarono a buttarlo giù. I giorniche sisuccedevano vuoti e monotonigli si confondevano nella memoriacome accade ai malati. Gli parve d'esser in mare da un anno. E ognimattinasvegliandosiprovava un nuovo stupore di esser làsoloin mezzo a quell'immensità d'acquain viaggio perl'America. I bei pesci volanti che venivano ogni tanto acascare sul bastimentoquei meravigliosi tramonti dei tropicicon quelle enormi nuvole color di bragia e di sanguee quellefosforescenze notturne che fanno parer l'Oceano tutto acceso comeun mare di lavanon gli facevan l'effetto di cose realima diprodigi veduti in sogno. Ebbe delle giornate di cattivo tempodurante le quali restò chiuso continuamente nel dormitoriodove tutto ballava e rovinavain mezzo a un coro spaventevole dilamenti e d'imprecazioni; e credette che fosse giunta la suaultima ora. Ebbe altre giornate di mare quieto e giallastrodicaldura insopportabiledi noia infinita; ore interminabili esinistredurante le quali i passeggeri spossatidistesiimmobili sulle tavoleparevan tutti morti. E il viaggio non finivamai: mare e cielocielo e mareoggi come ieridomani come oggi- ancora- sempreeternamente. Ed egli per lunghe ore stavaappoggiato al parapetto a guardar quel mare senza finesbalorditopensando vagamente a sua madrefin che gli occhi glisi chiudevano e il capo gli cascava dal sonno; e allora rivedevaquella faccia sconosciuta che lo guardava in aria di pietàe gli ripeteva all'orecchio: - Tua madre è morta! - e aquella voce si risvegliava in sussultoper ricominciare asognare a occhi aperti e a guardar l'orizzonte immutato.

Ventisette giorni durò il viaggio! Ma gli ultimi furono imigliori. Il tempo era bello e l'aria fresca. Egli aveva fattoconoscenza con un buon vecchio lombardoche andava in Americaa trovare il figliuolocoltivatore di terra vicino alla cittàdi Rosario; gli aveva detto tutto di casa suae il vecchio gliripeteva ogni tantobattendogli una mano sulla nuca: - Coraggio.bagai.tu troverai tua madre sana e contenta. - Quella compagnialo riconfortavai suoi presentimenti s'erano fatti di tristilieti. Seduto a pruaaccanto al vecchio contadino che fumava lapipasotto un bel cielo stellatoin mezzo a gruppi d'emigrantiche cantavanoegli si rappresentava cento volte al pensiero il suoarrivo a Buenos Airessi vedeva in quella certa stradatrovavala bottegasi lanciava incontro al cugino: - Come sta mia madre?Dov'è? Andiamo subito! - Andiamo subito; - correvanoinsiemesalivano una scalas'apriva una porta... E qui il suosoliloquio muto s'arrestavala sua immaginazione si perdeva in unsentimento d'inesprimibile tenerezzache gli faceva tirar fuori dinascosto una piccola medaglia che portava al colloe mormorarebaciandolale sue orazioni.

Il ventisettesimo giorno dopo quello della partenzaarrivarono.Era una bella aurora rossa di maggio quando il piroscafo gittaval'àncora nell'immenso fiume della Platasopra una riva delquale si stende la vasta città di Buenos Airescapitaledella Repubblica Argentina. Quel tempo splendido gli parve di buonaugurio. Era fuor di sé dalla gioia e dall'impazienza. Suamadre era a poche miglia di distanza da lui! Tra poche orel'avrebbe veduta! Ed egli si trovava in Americanel nuovo mondoe aveva avuto l'ardimento di venirci so]o! Tutto quel lunghissimoviaggio gli pareva allora che fosse passato in un nulla. Gli parevad'aver volatosognandoe di essersi svegliato in quel punto. Edera così feliceche quasi non si stupì nési afflissequando si frugò nelle taschee non ci trovòpiù uno dei due gruzzoli in cui aveva diviso il suopiccolo tesoroper esser più sicuro di non perdere tutto.Gliel'avevan rubatonon gli restavan più che poche lire; mache gli importavaora ch'era vicino a sua madre. Con la sua saccaalla mano scese insieme a molti altri italiani in un vaporino cheli portò fino a poca distanza dalla rivacalò dalvaporino in una barca che portava il nome di .Andrea Doria.fusbarcato al molosalutò il suo vecchio amico lombardoes'avviò a lunghi passi verso la città.

Arrivatoall'imboccatura della prima via fermò un uomo che passava elo pregò di indicargli da che parte dovesse prendere perandar in via de .los Artes..

Avevafermato per l'appunto un operaio italiano. Questi lo guardòcon curiosità e gli domandò se sapeva leggere. Ilragazzo accennò di sì. - Ebbene- gli dissel'operaioindicandogli la via da cui egli usciva; - va susempre dirittoleggendo i nomi delle vie a tutte le cantonate;finirai con trovare la tua. - Il ragazzo lo ringraziò einfilò la via che gli s'apriva davanti.

Erauna via diritta e sterminatama stretta; fiancheggiata da casebasse e biancheche pareva tanti villini; piena di gentedicarrozzedi grandi carriche facevano uno strepito assordante;e qua e là spenzolavano enormi bandiere di vari coloricon su scritto a grossi caratteri l'annunzio di partenze dipiroscafi per città sconosciute. A ogni tratto dicamminovoltandosi a destra e a sinistraegli vedeva duealtre vie che fuggivano diritte a perdita d'occhiofiancheggiatepure da case basse e bianchee piene di gente e di carrietagliate in fondo dalla linea diritta della sconfinata pianuraamericanasimile all'orizzonte del mare. La città gli parevainfinita; gli pareva che si potesse camminar per giornate e persettimane vedendo sempre di qua e di là altre vie comequellee che tutta l'America ne dovesse esser coperta. Guardavaattentamente i nomi delle vie: dei nomi strani che stentava aleggere. A ogni nuova viasi sentiva battere il cuorepensandoche fosse la sua. Guardava tutte le donne con l'idea di incontraresua madre. Ne vide una davanti a séche gli diede unascossa al sangue: la raggiunsela guardò: era una negra. Eandavaandavaaffrettando il passo. Arrivò a uncrocicchiolessee restò come inchiodato sul marciapiedeEra la vita delle Arti. Svoltòvide il numero 117 dovettefermarsi per riprender respiro. E disse tra sé: - O madremia! madre mia! è proprio vero che ti vedrò amomenti! - Corse innanziarrivò a una piccola bottega dimerciaio. Era quella. S'affacciò. Vide una donna coicapelli grigi e gli occhiali.

-Che voleteragazzo? - gli domandò quellain spagnuolo.

-Non è questa- dissestentando a metter fuori la voce- la bottega di Francesco Merelli?

-Francesco Merelli è morto- rispose la donna in italiano.

Ilragazzo ebbe l'impressione d'una percossa nel petto.

-Quando morto?

-Ehda un pezzo- rispose la donna; - da mesi. Fece cattivi affariscappò.

Diconoche sia andato a Bahia Blancamolto lontano di qui. E morìappena arrivato. La bottega è mia.

Ilragazzo impallidì.

Poidisse rapidamente: - Merelli conosceva mia madremia madre eraqua a servire dal signor Mequinez. Egli solo poteva dirmi dov'era.Io sono venuto in America a cercar mia madre. Merelli le mandava lelettere. Io ho bisogno di trovar mia madre.

-Povero figliuolo- rispose la donna- io non so. Posso domandare alragazzo del cortile. Egli conosceva il giovane che facevacommissioni per Merelli. Può darsi che sappia dir qualchecosa.

Andòin fondo alla bottega e chiamò il ragazzoche venne subito.- Dimmi un poco- gli domandò la bottegaia; - tiricordi che il giovane di Merelli andasse qualche volta a portardelle lettere a una donna di servizioin casa di .figli delpaese.?

-Dal signor Mequinez- rispose il ragazzosì signoraqualche volta. In fondo a via delle Arti.

-Ahsignoragrazie! - gridò Marco. - Mi dica il numero...non lo sa? Mi faccia accompagnare- accompagnami tu subitoragazzo; - io ho ancora dei soldi.

Edisse questo con tanto caloreche senz'aspettar la preghiera delladonnail ragazzo rispose: - andiamo; - e uscì pel primo apassi lesti.

Quasicorrendosenza dire una parolaandarono fino in fondo allavia lunghissimainfilarono l'andito d'entrata d'una piccolacasa biancae si fermarono davanti a un bel cancello di ferrodacui si vedeva un cortilettopieno di vasi di fiori. Marco diedeuna strappata al campanello.

Comparveuna signorina.

-Qui sta la famiglia Mequineznon è vero? - domandòansiosamente il ragazzo.

-Ci stava- rispose la signorinapronunziando l'italiano allaspagnuola. - Ora ci stiamo noiZeballos.

-E dove sono andati i Mequinez? - domandò Marcocolbatticuore.

-Sono andati a Cordova.

-Cordova! - esclamò Marco. - Dov'è Cordova? E lapersona di servizio che avevano? la donnamia madre! Ladonna di servizio era mia madre! Hanno condotto via anche miamadre?

Lasignorina lo guardò e disse: - Non so. Lo saprà forsemio padreche li ha conosciuti quando partirono. Aspettate unmomento.

Scappòe tornò poco dopo con suo padreun signore altocon labarba grigia.

Questiguardò fisso un momento quel tipo simpatico di piccolomarinaio genovesecoi capelli biondi e il naso aquilinoegli domandò in cattivo italiano: - Tua madre ègenovese?

Marcorispose di sì.

-Ebbene la donna di servizio genovese è andata con lorolo sodi certo.

-Dove sono andati?

-A Cordovauna città.

Ilragazzo mise un sospiro; poi disse con rassegnazione: - Allora...andrò a Cordova.

-Ah pobre Nino!. - esclamò il signoreguardandolo in aria dipietà. - Povero ragazzo! è a centinaia di miglia diquaCordova.

Marcodiventò pallido come un mortoe s'appoggiò con unamano alla cancellata.

-Vediamovediamo- disse allora il signoremosso a compassioneaprendo la porta- vieni dentro un momentovediamo un pò sesi può far qualche cosa. - Sedettegli diè dasederegli fece raccontar la sua storialo stette a sentiremolto attentorimase un pezzo pensieroso; poi gli disserisolutamente:

-Tu non hai denarinon è vero?

-Ho ancora... poco- rispose Marco.

Ilsignore pensò altri cinque minutipoi si mise a un tavolinoscrisse una letterala chiusee porgendola al ragazzoglidisse: - Senti.italianito..

Vàcon questa lettera alla Boca. è una piccola città mezzagenovesea due ore di strada di qua. Tutti ti sapranno indicare ilcammino. Và là e cerca di questo signorea cuiè diretta la letterae che è conosciuto da tutti.

Portagliquesta lettera. Egli ti farà partire domani per la cittàdi Rosarioe ti raccomanderà a qualcuno lassùchepenserà a farti proseguire il viaggio fino a Cordovadovetroverai la famiglia Mequinez e tua madre. Intantopiglia questo.- E gli mise in mano qualche lira. - Vàe fatti coraggio; quihai da per tutto dei compaesaninon rimarrai abbandonato. .Adios..

Ilragazzo gli disse: - Grazie- senza trovar altre paroleuscìcon la sua saccae congedatosi dalla sua piccola guidasimise lentamente in cammino verso la Bocapieno di tristezza e distuporea traverso alla grande città rumorosa.

Tuttoquello che gli accadde da quel momento fino alla sera del giornoappresso gli rimase poi nella memoria confuso ed incerto comeuna fantasticheria di febbricitantetanto egli era stancosconturbatoavvilito. E il giorno appressoall'imbruniredopo aver dormito la notte in una stanzuccia d'una casa dellaBocaaccanto a un facchino del porto- dopo aver passata quasitutta la giornataseduto sopra un mucchio di travie cometrasognatoin faccia a migliaia di bastimentidi barconi e divaporini- si trovava a poppa d'una grossa barca a velacarica difrutteche partiva per la città di Rosariocondottada tre robusti genovesi abbronzati dal sole; la voce dei qualie il dialetto amato che parlavano gli rimise un pò diconforto nel cuore.

Partironoe il viaggio durò tre giorni e quattro nottie fu uno stupore continuo per il piccolo viaggiatore. Tre giorni equattro notti su per quel meraviglioso fiume Paranàrispetto al quale il nostro grande Po non è che un rigagnoloe la lunghezza dell'Italiaquadruplicatanon raggiunge quella delsuo corso. Il barcone andava lentamente a ritroso di quellamassa d'acqua smisurata. Passava in mezzo a lunghe isolegiànidi di serpenti e di tigricoperte d'aranci e di salicisimili a boschi galleggianti; e ora infilava stretti canalida cuipareva che non potesse più uscire; ora sboccava in vastedistese d'acquedell'aspetto di grandi laghi tranquilli; poidaccapo fra le isoleper i canali intricati d'un arcipelagoin mezzo a mucchi enormi di vegetazione. Regnava un silenzioprofondo. Per lunghi trattile rive e le acque solitarie evastissime davan l'immagine d'un fiume sconosciutoin cui quellapovera vela fosse la prima al mondo ad avventurarsi. Quantopiù s'avanzavanoe tanto più quel mostruoso fiume losgomentava. Egli immaginava che sua madre si trovasse allesorgentie che la navigazione dovesse durare degli anni. Duevolte al giorno mangiava un pò di pane e di carne salata coibarcaiolii qualivedendolo tristenon gli rivolgevan mai laparola. La notte dormiva sopra copertae si svegliava ogni tantobruscamentestupito della luce limpidissima della luna cheimbiancava le acque immense e le rive lontane; e allora ilcuore gli si serrava. - Cordova! - Egli ripeteva quel nome: -Cordova! - come il nome d'una di quelle città misteriosedelle quali aveva inteso parlare nelle favole. Ma poi pensava: -Mia madre è passata di quiha visto queste isolequellerive- e allora non gli parevan più tanto strani e solitariquei luoghi in cui lo sguardo di sua madre s'era posato... La notteuno dei barcaiuoli cantava. Quella voce gli rammentava le canzoni disua madrequando l'addormentava bambino. L'ultima notteall'udir quel cantosinghiozzò. Il barcaiuolos'interruppe. Poi gli gridò: - Animoanimofigioeu!.Che diavolo! Un genovese che piange perché è lontanoda casa! I genovesi girano il mondo gloriosi e trionfanti! - E aquelle parole egli si riscossesentì la voce del sanguegenovesee rialzò la fronte con alterezzabattendo il pugnosul timone. - Ebbenesi - disse tra sé- dovessi anch'iogirare tutto il mondoviaggiare ancora per anni e annie fare dellecentinaia di miglia a piediio andrò avantifin che troveròmia madre. Dovessi arrivare moribondoe cascar morto ai suoipiedi! Pur che io la riveda una volta!

Coraggio!- E con quest'animo arrivò allo spuntar d'un mattino rosato efreddo di fronte alla città di Rosarioposta sulla rivaalta del Paranàdove si specchiavan nelle acque le antenneimbandierate di cento bastimenti d'ogni paese.

Poco dopo sbarcatosalì alla cittàcon la suasacca alla manoa cercare un signore argentino per cui il suoprotettore della Boca gli aveva rimesso un biglietto di visitacon qualche parola di raccomandazione. Entrando in Rosario gliparve d'entrare in una città già conosciuta.Erano quelle vie interminabilidirittefiancheggiate di casebasse e biancheattraversate in tutte le direzionial disopra deitettida grandi fasci di fili telegrafici e telefonicicheparevano enormi ragnateli; e un gran trepestio di gentedicavallidi carri. La testa gli si confondeva: credette quasi dirientrare a Buenos Airese di dover cercare un'altra volta ilcugino. Andò attorno per quasi un'orasvoltando erisvoltandoe sembrandogli sempre di tornar nella medesima via; ea furia di domandaretrovò la casa del suo nuovo protettore.

Tiròil campanello. S'affacciò alla porta un grosso uomo biondoarcignoche aveva l'aria d'un fattoree che gli domandòsgarbatamentecon pronunzia straniera:

-Che vuoi?

Ilragazzo disse il nome del padrone.

-Il padrone- rispose il fattore- è partito ieri sera perBuenos Aires con tutta la sua famiglia.

Ilragazzo restò senza parola.

Poibalbettò: - Ma io... non ho nessuno qui! Sono solo! - E porseil biglietto.

Ilfattore lo preselo lesse e disse burberamente: - Non so che farci.Glielo darò fra un mesequando ritornerà.

-Ma ioio son solo! io ho bisogno! - esclamò ilragazzocon voce di preghiera.

-Eh! andiamo- disse l'altro; - non ce n'è ancora abbastanzadella gramigna del tuo paese a Rosario! Vattene un pò amendicare in Italia. - E gli chiuse il cancello sulla faccia.

Ilragazzo restò là come impietrato.

Poiriprese lentamente la sua saccaed uscìcol cuoreangosciatocon la mente in tumultoassalito a un tratto damille pensieri affannosi. Che fare?

doveandare? Da Rosario a Cordova c'era una giornata di strada ferrata.Egli non aveva più che poche lire. Levato quello che glioccorreva di spendere quel giornonon gli sarebbe rimasto quasinulla. Dove trovare i denari per pagarsi il viaggio? Potevalavorare. Ma comea chi domandar lavoro? Chiederl'elemosina! Ah! noessere respintoinsultatoumiliato comepoc'anzinomaimai piùpiuttosto morire! - E aquell'ideae al riveder davanti a sé la lunghissima via chesi perdeva lontano nella pianura sconfinatasi sentìfuggire un'altra volta il coraggiogettò la sacca sulmarciapiedevi sedette su con le spalle al muroe chinò ilviso tra le manisenza piantoin un atteggiamento desolato.

Lagente l'urtava coi piedi passando; i carri empivan la via di rumore;alcuni ragazzi si fermarono a guardarlo. Egli rimase un pezzo così.

Quandofu scosso da una voce che gli disse tra in italiano e in lombardo: -Che cos'hairagazzetto?

Alzòil viso a quelle parolee subito balzò in piedi gettandoun'esclamazione di meraviglia: - Voi qui!

Erail vecchio contadino lombardocol quale aveva fatto amicizia nelviaggio.

Lameraviglia del contadino non fu minore della sua. Ma il ragazzonon gli lasciò il tempo d'interrogarloe gli raccontòrapidamente i casi suoi. - Ora son senza soldiecco; bisogna chelavori; trovatemi voi del lavoro da poter mettere insieme qualchelira; io faccio qualunque cosa; porto robaspazzo le stradeposso far commissionianche lavorare in campagna; mi contentodi campare di pan nero; ma che possa partir prestoche possatrovare una volta mia madrefatemi questa caritàdellavorotrovatemi voi del lavoroper amor di Dioche non ne possopiù!

-Diaminediamine- disse il contadinoguardandosi attorno egrattandosi il mento. - Che storia è questa!... Lavorare...è presto detto. Vediamo un pò.

Chenon ci sia mezzo di trovar trenta lire fra tanti .patriotti.?

Ilragazzo lo guardavaconfortato da un raggio di speranza.

-Vieni con me- gli disse il contadino.

-Dove? - domandò il ragazzoripigliando la sacca.

-Vieni con me.

Ilcontadino si mosseMarco lo seguìfecero un lungotratto di strada insiemesenza parlare. Il contadino si fermòalla porta d'un'osteria che aveva per insegna una stella e scrittosotto: - La estrella de Italia.; - mise il viso dentro evoltandosi verso il ragazzo disse allegramente: - Arriviamo in buonpunto. - Entrarono in uno stanzonedov'eran varie tavolee moltiuomini sedutiche bevevanoparlando forte. Il vecchio lombardos'avvicinò alla prima tavolae dal modo come salutòi sei avventori che ci stavano intornosi capiva ch'era stato inloro compagnia fino a poco innanzi. Erano rossi in viso e facevansonare bicchierivociando e ridendo.

-Camerati- disse senz'altro il lombardorestando in piediepresentando Marco; - c'è qui un povero ragazzo nostro.patriotta.che è venuto solo da Genova a Buenos Airesa cercare sua madre. A Buenos Aires gli dissero: - Qui non c'èè a Cordova. - Viene in barca a Rosariotre dì e trenotticon due righe di raccomandazione; presenta la carta: glifanno una figuraccia. Non ha la croce d'un centesimo. è quisolo come un disperato. è un .bagai. pieno di cuore.Vediamo un poco. Non ha da trovar tanto da pagare il bigliettoper andare a Cordova a trovar sua madre? L'abbiamo da lasciar quicome un cane?

-Mai al mondoperdio! - Mai non sarà detto questo! - gridaronotutti insiemebattendo il pugno sul tavolo. - Un .patriotta.nostro! - Vieni quapiccolino.

-Ci siamo noigli emigranti! - Guarda che bel monello. - Fuori deiquattrinicamerati. - Bravo! Venuto solo! Hai del fegato! - Bevi unsorso.patriotta.. - Ti manderemo da tua madrenon pensare. -E uno gli dava un pizzicotto alla guanciaun altro gli batteva lamano sulla spallaun terzo lo liberava dalla sacca; altriemigranti s'alzarono dalle tavole vicine e s'avvicinarono; lastoria del ragazzo fece il giro dell'osteria; accorsero dallastanza accanto tre avventori argentini; e in meno di dieciminuti il contadino lombardo che porgeva il cappelloci ebbedentro quarantadue lire. - Hai Visto- disse alloravoltandosi verso il ragazzo- come si fa presto in America? - Bevi- gli gridò un altroporgendogli un bicchiere di vino: -Alla salute di tua madre! - Tutti alzarono i bicchieri. - EMarco ripeté: - Alla salute di mia...

-Ma un singhiozzo di gioia gli chiuse la golae rimesso ilbicchiere sulla tavolasi gettò al collo del suo vecchio.

Lamattina seguenteallo spuntare del giornoegli era giàpartito per Cordovaardito e ridentepieno di presentimentifelici. Ma non c'è allegrezza che regga a lungo davanti acerti aspetti sinistri della natura. Il tempo era chiuso e grigio;il trenopresso che vuotocorreva a traverso a un'immensapianura priva d'ogni segno d'abitazione. Egli si trovava solo inun vagone lunghissimoche somigliava a quelli dei treni per iferiti. Guardava a destraguardava a sinistrae non vedeva cheuna solitudine senza finesparsa di piccoli alberi deformidaitronchi e dai rami scontortiin atteggiamenti non mai vedutiquasi d'ira e d'angoscia; una vegetazione scurarada e tristechedava alla pianura l'apparenza d'uno sterminato cimitero. Sonnecchiavamezz'oratornava a guardare: era sempre lo stesso spettacolo. Lestazioni della strada ferrata eran solitariecome case di eremiti;e quando il treno si fermavanon si sentiva una voce; gli parevadi trovarsi solo in un trenoperdutoabbandonato in mezzoa un deserto. Gli sembrava che ogni stazione dovesse esserel'ultimae che s'entrasse dopo quella nelle terre misteriosee spaurevoli dei selvaggi. Una brezza gelata gli mordeva il viso.Imbarcandolo a Genova sul finir d'aprilei suoi non avevanpensato che in America egli avrebbe trovato l'invernoel'avevan vestito da estate. Dopo alcune oreincominciò asoffrire il freddoe col freddola stanchezza dei giornipassatipieni di commozioni violentee delle notti insonni etravagliate. Si addormentòdormì lungo temposisvegliò intirizzito; si sentiva male. E allora gliprese un vago terrore di cader malato e di morir per viaggioed'esser buttato là in mezzo a quella pianura desolatadoveil suo cadavere sarebbe stato dilaniato dai cani e dagli uccellidi rapinacome certi corpi di cavalli e di vacche che vedevatratto tratto accanto alla stradae da cui torceva lo sguardo conribrezzo. In quel malessere inquietoin mezzo a quel silenziotetro della naturala sua immaginazione s'eccitava e volgeva alnero.

Erapoi ben sicuro di trovarlaa Cordovasua madre? E se non ci fossestata?

Sequel signore di via delle Arti avesse sbagliato? E se fosse morta? Inquesti pensieri si riaddormentòsognò d'essere aCordova di nottee di sentirsi gridare da tutte le porte e datutte le finestre: - Non c'è! Non c'è! Non c'è!

-si risvegliò di sobbalzoatterritoe vide in fondo alvagone tre uomini barbutiravvolti in scialli di vari coloriche lo guardavanoparlando basso tra di loro; e gli balenòil sospetto che fossero assassini e lo volessero uccidereperrubargli la sacca. Al freddoal malessere gli s'aggiunse lapaura; la fantasia già turbata gli si stravolse; - i treuomini lo fissavano sempre- uno di essi mosse verso di lui; -allora egli smarrì la ragionee correndogli incontro con lebraccia apertegridò: - Non ho nulla. Sono un poveroragazzo. Vengo dall'Italia vo a cercar mia madreson solo; non mifate del male! - Quelli capirono subiton'ebbero pietàlo carezzarono e lo racquetaronodicendogli molte parole chenon intendeva; e vedendo che batteva i denti dal freddogli miseroaddosso uno dei loro sciallie lo fecero risedere perchédormisse. E si riaddormentòche imbruniva. Quando losvegliaronoera a Cordova.

Ah! che buon respiro tiròe con che impeto si cacciòfuori del vagone! Domandò a un impiegato della stazione dovestesse di casa l'ingegner Mequinez: quegli disse il nome d'unachiesa: - la casa era accanto alla chiesa; - il ragazzo scappòvia. Era notte. Entrò in città. E gli parved'entrare in Rosario un'altra voltaal veder quelle stradedirittefiancheggiate di piccole case bianchee tagliate da altrestrade diritte e lunghissime. Ma c'era poca gentee al chiarore deirari lampioni incontrava delle facce straned'un coloresconosciutotra nerastro e verdognoloe alzando il viso a quandoa quandovedeva delle chiese d'architettura bizzarra che sidisegnavano enormi e nere sul firmamento. La città eraoscura e silenziosa; ma dopo aver attraversato quell'immensodesertogli pareva allegra. Interrogò un pretetrovòpresto la chiesa e la casatirò il campanello con unamano tremantee si premette l'altra sul petto per comprimere ibattiti del cuoreche gli saltava alla gola.

Unavecchia venne ad aprirecon un lume in mano. Il ragazzo non potéparlar subito.

-Chi cerchi? - domandò quellain spagnuolo.

-L'ingegnere Mequinez- disse Marco.

Lavecchia fece l'atto d'incrociar le braccia sul senoe risposedondolando il capo. - Anche tudunquel'hai con l'ingegnereMequinez! E mi pare che sarebbe tempo di finirla. Son tre mesioramaiche ci seccano. Non basta che l'abbiano detto i giornali.Bisognerà farlo stampare sulle cantonate che il signorMequinez è andato a stare a Tucuman!

Ilragazzo fece un gesto di disperazione. Poi diede in uno scoppio dirabbia. - è una maledizione dunque! Io dovrò morireper la strada senza trovare mia madre! Io divento mattom'ammazzo! Dio mio! Come si chiama quel paese? Dov'è?

Ache distanza è?

-Ehpovero ragazzo- rispose la vecchiaimpietosita- unabagattella!

Sarannoquattrocento o cinquecento migliaa metter poco.

Ilragazzo si coprì il viso con le mani; poi domandòcon un singhiozzo: - E ora... come faccio?

-Che vuoi che ti dicapovero figliuolo- rispose la donna; - io nonso.

Masubito le balenò un'idea e soggiunse in fretta: - Sentiorache ci penso.

Fauna cosa. Svolta a destra per la viatroverai alla terza parte uncortile; c'è un .capataz.un commercianteche partedomattina per Tucuman con le suecarretas. e i suoi bovi; va avedere se ti vuol prendereoffrendogli i tuoi servizi; ti daràforse un posto sur un carro; và subito.

Ilragazzo afferrò la saccaringraziò scappandoe dopodue minuti si trovò in un vasto cortile rischiarato dalanternedove vari uomini lavoravano a caricar sacchi di frumentosopra certi carri enormisimili a case mobili disaltimbanchicol tetto rotondo e le ruote altissime; ed unuomo alto e baffutoravvolto in una specie di mantello a quadrettibianchi e nericon due grandi stivalidirigeva il lavoro. Ilragazzo s'avvicinò a questoe gli fece timidamente la suadomandadicendo che veniva dall'Italia e che andava a cercaresua madre.

Il.capataz.che vuol dir capo (il capo conduttore di quelconvoglio di carri)gli diede un'occhiata da capo a piedierispose seccamente: - Non ci ho posto.

-Io ho quindici lire- rispose il ragazzosupplichevole- dole mie quindici lire. Per viaggio lavorerò. Andrò apigliar l'acqua e la biada per le bestiefarò tutti iservizi. Un poco di pane mi basta. Mi faccia un pò dipostosignore!

Il.capataz. tornò a guardarloe rispose con miglior garbo: -Non c'è posto...

epoi... noi non andiamo a Tucumanandiamo a un'altra cittàSantiago dell'Estero. A un certo punto ti dovremmo lasciareeavresti ancora un gran tratto da far a piedi.

-Ah! io ne farei il doppio! - esclamò Marco; - io camminerònon ci pensi; arriverò in ogni manierami faccia un pòdi postosignoreper caritàper carità non milasci qui solo!

-Bada che è un viaggio di venti giorni!

-Non importa.

-è un viaggio duro!

-Sopporterò tutto - Dovrai viaggiar solo!

-Non ho paura di nulla. Purché ritrovi mia madre. Abbiacompassione!

Ilcapataz gli accostò al viso una lanterna e lo guardò.Poi disse: - Sta bene.

Ilragazzo gli baciò la mano.

-Stanotte dormirai in un carro- soggiunse il capatazlasciandolo; - domattina alle quattro ti sveglierò. .Buenasnoches..

Lamattina alle quattroal lume delle stellela lunga fila dei carriSi mise in movimento con grande strepitio: ciascun carro tirato dasei boviseguiti tutti da un gran numero di animali di ricambio.Il ragazzosvegliato e messo dentro a un dei carrisui sacchisiraddormentò subitoprofondamente. Quando si svegliòil convoglio era fermo in un luogo solitariosotto il soleetutti gli uomini - i .peones. - stavan seduti in cerchio intorno a unquarto di vitelloche arrostiva all'aria apertainfilato inuna specie di spadone piantato in terraaccanto a un gran focoagitato dal vento. Mangiarono tutti insiemedormirono e poiripartirono; e così il viaggio continuòregolato comeuna marcia di soldati. Ogni mattina si mettevano in cammino allecinquesi fermavano alle noveripartivano alle cinque dellaseratornavano a fermarsi alle dieci. Ipeones. andavano acavallo e stimolavano i buoi con lunghe canne. Il ragazzo accendevail fuoco per l'arrostodava da mangiare alle bestieripulivale lanterneportava l'acqua da bere. Il paese gli passavadavanti come una visione indistinta: vasti boschi di piccolialberi bruni; villaggi di poche case sparsecon le facciaterosse e merlate; vastissimi spaziforse antichi letti di grandilaghi salatibiancheggianti di sale fin dove arrivava la vista;e da ogni parte e semprepianurasolitudinesilenzio.Rarissimamente incontravano due o tre viaggiatori a cavalloseguitida un branco di cavalli scioltiche passavano di galoppocome unturbine. I giorni eran tutti egualicome sul mare; uggiosi einterminabili. Ma il tempo era bello. Senonché ipeones.come se il ragazzo fosse stato il loro servitore obbligatodiventavano di giorno in giorno più esigenti: alcuni lotrattavano brutalmentecon minacce; tutti si facevan servire senzariguardi; gli facevan portare carichi enormi di foraggi; lomandavan a pigliar acqua a grandi distanze; ed eglirottodalla faticanon poteva neanche dormire la nottescossocontinuamente dai sobbalzi violenti del carro e dalloscricchiolìo assordante delle ruote e delle sale dilegno. E per giuntaessendosi levato il ventouna terra finarossiccia e grassache avvolgeva ogni cosapenetrava nel carrogli entrava sotto i pannigli empiva gli occhi e la boccaglitoglieva la vista e il respirocontinuaopprimenteinsopportabile. Sfinito dalle fatiche e dall'insonniaridottolacero e sudiciorimbrottato e malmenato dalla mattina allaserail povero ragazzo s'avviliva ogni giorno di piùe sisarebbe perduto d'animo affatto se ilcapataz. non gli avesserivolto di tratto in tratto qualche buona parola.

Spessoin un cantuccio del carronon vedutopiangeva col viso contro lasua saccala quale non conteneva più che dei cenci. Ognimattina si levava più debole e più scoraggiatoeguardando la campagnavedendo sempre quella pianura sconfinatae implacabilecome un oceano di terradiceva tra sé: - Oh!

finoa questa sera non arrivofino a questa sera non arrivo! Quest'oggimuoio per la strada! - E le fatiche crescevanoi mali trattamentiraddoppiavano. Una mattinaperché aveva tardato a portarl'acquain assenza del .capataz.uno degli uomini lo percosse.E allora cominciarono a farlo per vezzoquando gli davano unordinea misurargli uno scapaccionedicendo: - Insacca questovagabondo! - Porta questo a tua madre! - Il cuore gli scoppiava;ammalò; - stette tre giorni nel carrocon una copertaaddossobattendo la febbree non vedendo nessunofuori che il.capataz.che veniva a dargli da bere e a toccargli il polso.E allora Si credette perdutoe invocava disperatamente sua madrechiamandola cento volte per nome: - Oh mia madre! madre mia!Aiutami!

Vienmiincontro che muoio! Oh povera madre miache non ti vedròmai più!

Poveramadre miache mi troverai morto per la strada! - E giungeva le manisul petto e pregava. Poi migliorograzie alle cure del .capataz.e guarì; ma con la guarigione sopraggiunse il giorno piùterribile del suo viaggioil giorno in cui doveva rimaner solo.Da più di due settimane erano in cammino. Quando arrivaronoal punto dove dalla strada di Tucuman si stacca quella che va aSantiago dell'Esteroil .capataz. gli annunciò chedovevano separarsi. Gli diede qualche indicazione intorno alcamminogli legò la sacca sulle spalle in modo che non glidesse noia a camminaree tagliando cortocome se temesse dicommuoversilo salutò. Il ragazzo fece appena in tempo abaciargli un braccio.

Anchegli altri uominiche lo avevano maltrattato così duramenteparve che provassero un pò di pietà a vederlo rimanercosì soloe gli fecero un cenno d'addioallontanandosi.Ed egli restituì il saluto con la manostette a guardaril convoglio fin che si perdette nel polverìo rosso dellacampagnae poi si mise in camminotristamente.

Una cosaper altrolo riconfortò un pocofin da principio.Dopo tanti giorni di viaggio a traverso a quella pianurasterminata e sempre eguale egli vedeva davanti a sé unacatena di montagne altissimeazzurrecon le cime bianchechegli rammentavano le Alpie gli davan come un senso diravvicinamento al suo paese. Erano le Andela spina dorsale delcontinente Americanola catena immensa che si stende dallaTerra del fuoco fino al mare glaciale del polo artico per cento edieci gradi di latitudine. Ed anche lo confortava il sentire chel'aria si veniva facendo sempre più calda; e questoavveniva perchérisalendo verso settentrioneegli siandava avvicinando alle regioni tropicali. A grandi distanzetrovava dei piccoli gruppi di casecon una botteguccia; ecomprava qualche cosa da mangiare. Incontrava degli uomini acavallo; vedeva ogni tanto delle donne e dei ragazzi seduti in terraimmobili e gravidelle faccie nuove affatto per luicolor diterracon gli occhi obbliquicon l'ossa delle guance sporgenti; iquali lo guardavano fissoe lo accompagnavano con lo sguardogirando il capo lentamentecome automi. Erano Indiani. Il primogiorno camminò fin che gli ressero le forzee dormìsotto un albero. Il secondo giorno camminò assai menoecon minor animo. Aveva le scarpe rottei piedi spellatilostomaco indebolito dalla cattiva nutrizione.

Versosera s'incominciava a impaurire. Aveva inteso dire in Italia che inquei paesi c'eran dei serpenti: credeva di sentirlistrisciares'arrestavapigliava la corsagli correvan deibrividi nelle ossa. A volte lo prendeva una grande compassione disée piangeva in silenziocamminando. Poi pensava: - Ohquanto soffrirebbe mia madre se sapesse che ho tanta paura! - equesto pensiero gli ridava coraggio. Poiper distrarsi dallapaurapensava a tante cose di leisi richiamava alla mente lesue parole di quand'era partita da Genovae l'atto con cuisoleva accomodargli le coperte sotto il mentoquando era a lettoe quando era bambinoche alle volte se lo pigliava fra lebracciadicendogli: - Stà un pò qui con me- estava così molto tempocol capo appoggiato sul suopensandopensando. E le diceva tra sé: - Ti rivedròun giornocara madre? Arriverò alla fine del mioviaggiomadre mia? - E camminavacamminavain mezzo ad alberisconosciutia vaste piantagioni di canne da zuccheroapraterie senza finesempre con quelle grandi montagne azzurredavantiche tagliavano il cielo sereno coi loro altissimiconi.

Quattrogiorni - cinque - una settimana passò. Le forze gli andavanrapidamente scemandoi piedi gli sanguinavano. Finalmenteuna seraal cader del solegli dissero: - Tucuman è a cinque migliadi qui. - Egli gittò un grido di gioiae affrettò ilpassocome se avesse riacquistato in un punto tutto il vigoreperduto. Ma fu una breve illusione. Le forze lo abbandonarono a untrattoe cadde sull'orlo d'un fossosfinito. Ma il cuore glibatteva dalla contentezza.

Ilcielofitto di stelle splendidissimenon gli era mai parso cosìbello.

Eglile contemplavaadagiato sull'erba per dormiree pensava che forsenello stesso tempo anche sua madre le guardava. E diceva: - O madremiadove sei?

checosa fai in questo momento? Pensi al tuo figliuolo? Pensi al tuoMarcoche ti è tanto vicino?

PoveroMarcos'egli avesse potuto vedere in quale stato si trovava suamadre in quel puntoavrebbe fatto uno sforzo sovrumano percamminare ancorae arrivar da lei qualche ora prima. Era malataa lettoin una camera a terreno d'una casetta signoriledoveabitava tutta la famiglia Mequinez; la quale le aveva posto moltoaffetto e le faceva grande assistenza. La povera donna era giàmalaticcia quando l'ingegnere Mequinez aveva dovuto partireimprovvisamente da Buenos Airese non s'era punto rimessa collabuon'aria di Cordova. Ma poiil non aver più ricevutorisposta alle sue lettere né dal marito né dal cuginoil presentimento sempre vivo di qualche grande disgrazial'ansietàcontinua in cui era vissutaincerta tra il partire e il restareaspettando ogni giorno una notizia funestal'avevano fattapeggiorare fuor di modo. Da ultimole s'era manifestata unamalattia gravissima: un'ernia intestinale strozzata. Da quindicigiorni non s'alzava da letto. Era necessaria un'operazionechirurgica per salvarle la vita. E in quel momento appuntomentre il suo Marco la invocavastavano accanto al suo letto ilpadrone e la padrona di casaa ragionarla con molta dolcezzaperché si lasciasse operareed essa persisteva nel rifiutopiangendo. Un bravo medico di Tucuman era già venuto lasettimana primainutilmente. - Nocari signori - essa diceva-non mette conto; non ho più forza di resistere; morireisotto i ferri del chirurgo. è meglio che mi lascino morircosì. Non ci tengo più alla vita oramai. Tutto èfinito per me. è meglio che muoia prima di sapere cos'èaccaduto alla mia famiglia. - E i padroni a dirle di nochesi facesse coraggioche alle ultime lettere mandate a Genovadirettamente avrebbe ricevuto rispostache si lasciasse operareche lo facesse per i suoi figliuoli. Ma quel pensiero dei suoifigliuoli non faceva che aggravare di maggior ansia loscoraggiamento profondo che la prostrava da lungo tempo. A quelleparole scoppiava in un pianto. - Ohi miei figliuoli! i mieifigliuoli! - esclamavagiungendo le mani; - forse non ci sonopiù! è meglio che muoia anch'io. Li ringraziobuoni signorili ringrazio di cuore.

Maè meglio che muoia. Tanto non guarirei neanche conl'operazionene sono sicura. Grazie di tante curebuoni signori.è inutile che dopo domani torni il medico. Voglio morire. èdestino ch'io muoia qui. Ho deciso. - E quelli ancora a consolarlaa ripeterle: - Nonon dite questo; - e a pigliarla per le mani e apregarla. Ma essa allora chiudeva gli occhisfinitae cadevain un assopimentoche pareva morta. E i padroni restavano lìun pò di tempoalla luce fioca d'un lumicinoa guardarecon grande pietà quella madre ammirabileche per salvare lasua famiglia era venuta a morire a sei mila miglia dalla sua patriaa morire dopo aver tanto penatopovera donnacosì onestacosì buonacosì sventurata.

Ilgiorno dopodi buon mattinocon la sua sacca sulle spallecurvo e zoppicantema pieno d'animoMarco entrava nella cittàdi Tucumanuna delle più giovani e delle più floridecittà della Repubblica Argentina. Gli parve di rivedereCordovaRosarioBuenos Aires: erano quelle stesse vie dirittee lunghissimee quelle case basse e bianche; ma da ogni parteuna vegetazione nuova e magnificaun'aria profumatauna lucemeravigliosaun cielo limpido e profondocome egli non l'aveva maivistoneppure in Italia. Andando innanzi per le vieriprovòl'agitazione febbrile che lo aveva preso a Buenos Aires; guardava lefinestre e le porte di tutte le case; guardava tutte le donne chepassavanocon una speranza affannosa di incontrar sua madre;avrebbe voluto interrogar tuttie non osava fermar nessuno. Tuttidi sugli uscisi voltavano a guardar quel povero ragazzo stracciatoe polverosoche mostrava di venir di tanto lontano. Ed eglicercava fra la gente un viso che gl'ispirasse fiduciaperrivolgergli quella tremenda domandaquando gli caddero gli occhisopra un insegna di bottegasu cui era scritto un nome italiano.C'era dentro un uomo con gli occhiali e due donne. Egli s'avvicinòlentamente alla portae fatto un animo risolutodomandò: -Mi saprebbe diresignoredove sta la famiglia Mequinez?

-Dell'.ingeniero. Mequinez? - domandò il bottegaio alla suavolta.

-Dell'ingegnere Mequinez- rispose il ragazzocon un fil di voce.

-La famiglia Mequinez- disse il bottegaio- non è a Tucuman.

Ungrido di disperato dolorecome d'una persona pugnalatafece eco aquelle parole.

Ilbottegaio e le donne s'alzaronoalcuni vicini accorsero. - Chec'è? che hairagazzo? - disse il bottegaiotirandolo nellabottega e facendolo sedere; - non c'è da disperarsichediavolo! I Mequinez non sono quima poco lontanoa poche ore daTucuman!

-Dove? dove? - gridò Marcosaltando su come un resuscitato.

-A una quindicina di miglia di qua- continuò l'uomo- inriva al Saladilloin un luogo dove stanno costruendo una grandefabbrica da zuccheroun gruppo di casec'è la casa delsignor Mequineztutti lo sannoci arriverai in poche ore.

-Ci son stato io un mese fa- disse un giovane che era accorso algrido.

Marcolo guardò con gli occhi grandi e gli domandòprecipitosamenteimpallidendo: - Avete visto la donna diservizio del signor Mequinezl'italiana?

-La .jenovesa.? L'ho vista.

Marcoruppe in un singhiozzo convulsotra di riso e di pianto. Poi conun impeto di risoluzione violenta: - Dove si passaprestolastradaparto subitoinsegnatemi la strada!

-Ma c'è una giornata di marcia- gli dissero tutti insieme- sei stancodevi riposarepartirai domattina.

-Impossibile! Impossibile! - rispose il ragazzo. - Ditemi dove sipassanon aspetto più un momentoparto subitodovessimorire per via!

Vistoloirremovibilenon s'opposero più. - Dio t'accompagni- glidissero. - Bada alla via per la foresta. - Buonviaggioitalianito.. - Un uomo l'accompagnò fuori di cittàgli indicò il camminogli diede qualche consiglio e stette avederlo partire. In capo a pochi minutiil ragazzo scomparvezoppicandocon la sua sacca sulle spalledietro agli alberifolti che fiancheggiavan la strada.

Quella notte fu tremenda per la povera inferma. Essa aveva deidolori atroci che le strappavan degli urli da rompersi le venee le davan dei momenti di delirio. Le donne che l'assistevanoperdevan la testa. La padrona accorreva di tratto in trattosgomentata. Tutti cominciarono a temere chese anche si fossedecisa a lasciarsi operareil medico che doveva venire la mattinadoposarebbe arrivato troppo tardi. Nei momenti che non deliravaperòsi capiva che il suo più terribile strazio nonerano i dolori del corpoma il pensiero della famiglia lontana.Smortadisfattacol viso mutatosi cacciava le mani nei capellicon un atto di disperazione che passava l'animae gridava: - Diomio! Dio mio! Morire tanto lontanamorire senza rivederli! Imiei poveri figliuoliche rimangono senza madrele mie creatureil povero sangue mio! Il mio Marcoche è ancora cosìpiccoloalto cosìtanto buono e affettuoso! Voi non sapeteche ragazzo era! Signorase sapesse! Non me lo potevo staccare dalcollo quando son partitasinghiozzava da far compassionesinghiozzava; pareva che lo sapesse che non avrebbe mai piùrivisto sua madrepovero Marcopovero bambino mio! Credevo chemi scoppiasse il cuore! Ah se fossi morta alloramorta mentremi diceva addio! morta fulminata fossi! Senza madrepoverobambinolui che m'amava tantoche aveva tanto bisogno di mesenza madrenella miseriadovrà andare accattandoluiMarcoMarco mioche tenderà la manoaffamato! Oh! Dioeterno! No! Non voglio morire! Il medico! Chiamatelo subito!Vengami taglimi squarci il senomi faccia impazzirema misalvi la vita! Voglio guarirevoglio viverepartirefuggiredomanisubito! Il medico! Aiuto! Aiuto! - E le donne leafferavan le manila palpavanopregandola facevano tornare insé a poco a pocoe le parlavan di Dio e di speranza. Eallora essa ricadeva in un abbattimento mortalepiangevacon lemani nei capelli grigigemeva come una bambinamettendoun lamento prolungatoe mormorando di tratto in tratto: - Oh lamia Genova! La mia casa!

Tuttoquel mare!... Oh Marco mioil mio povero Marco! Dove saràorala povera creatura mia!

Era mezzanotte; e il suo povero Marcodopo aver passato molte oresulla sponda d'un fossostremato di forzecamminava alloraattraverso a una foresta vastissima di alberi giganteschimostri della vegetazionedai fusti smisuratisimili apilastri di cattedraliche intrecciavano a un'altezzameravigliosa le loro enormi chiome inargentate dalla luna. Vagamentein quella mezza oscuritàegli vedeva miriadi ditronchi di tutte le formerittiinclinatiscontortiincrociati in atteggiamenti strani di minaccia e di lotta;alcuni rovesciati a terracome torri cadute tutte d'un pezzoecoperti d'una vegetazione fitta e confusache pareva unafolla furente che se li disputasse a palmo a palmo; altri raccoltiin grandi gruppiverticali e serrati come fasci di lancietitanichedi cui la punta toccasse le nubi; una grandezzasuperbaun disordine prodigioso di forme colossalilo spettacolopiù maestosamente terribile che gli avesse mai offerto lanatura vegetale. A momenti lo prendeva un grande stupore. Masubito l'anima sua si rilanciava verso sua madre. Ed erasfinitocoi piedi che facevan sanguesolo in mezzo a quellaformidabile forestadove non vedeva che a lunghi intervallidelle piccole abitazioni umaneche ai piedi di queglialberi parevan nidi di formichee qualche bufalo addormentatolungo la via; era sfinitoma non sentiva la stanchezza; erasoloe non aveva paura. La grandezza della foresta ingrandival'anima sua; la vicinanza di sua madre gli dava la forza e labaldanza d'un uomo; la ricordanza dell'oceanodegli sgomentidei dolori sofferti e vintidelle fatiche duratedella ferreacostanza spiegatagli faceaalzare la fronte; tutto il suoforte e nobile sangue genovese gli rifluiva al cuore in un'ondaardente d'alterezza e d'audacia. E una cosa nuova seguiva in lui:che mentre fino allora aveva portata nella mente un'immagine dellamadre oscurata e sbiadita un poco da quei due anni di lontananzainquei momenti quell'immagine gli si chiariva; egli rivedeva il suoviso intero e netto come da lungo tempo non l'aveva vistopiù; lo rivedeva vicinoilluminatoparlante; rivedevai movimenti più sfuggevoli dei suoi occhi e delle suelabbratutti i suoi atteggiamentitutti i suoi gestitutte leombre dei suoi pensieri; e sospinto da quei ricordi incalzantiaffrettava il passo; e un nuovo affettouna tenerezza indicibilegli crescevagli cresceva nel cuorefacendogli correre giùpel viso delle lacrime dolci e quiete; e andando avanti nelletenebrele parlavale diceva le parole che le avrebbe mormorateall'orecchio tra poco: - Son quimadre miaeccomi quinon tilascerò mai più; torneremo a casa insiemee io tistarò sempre accanto sul bastimentostretto a tee nessunomi staccherà mai più da tenessunomai piùfin che avrai vita! - E non s'accorgeva intanto che sulle cimedegli alberi giganteschi andava morendo la luce argentina della lunanella bianchezza delicata dell'alba.

Alle otto di quella mattina il medico di Tucuman- un giovaneargentino - era già al letto della malatain compagnia d'unassistentea tentare per l'ultima volta di persuaderla alasciarsi operare; e con lui ripetevano le più calde istanzel'ingegnere Mequinez e la sua signora. Ma tutto era inutile. Ladonnasentendosi esausta di forzenon aveva più fedenell'operazione; essa era certissima o di morire sull'atto o di nonsopravvivere che poche oredopo d'aver sofferto invano deidolori più atroci di quelli che la dovevano ucciderenaturalmente. Il medico badava a ridirle: - Ma l'operazione èsicurama la vostra salvezza è certapurché cimettiate un pò di coraggio! Ed è egualmente certa lavostra morte se vi rifiutate! - Eran parole buttate via. - No-essa rispondevacon la voce fioca- ho ancora coraggio permorire; ma non ne ho più per soffrire inutilmente. Graziesignor dottore. è destinato così. Mi lasci morirtranquilla. - Il medicoscoraggiatodesistette. Nessuno parlòpiù. Allora la donna voltò il viso verso la padronae le fece con voce di moribonda le sue ultime preghiere. -Carabuona signora- disse a gran faticasinghiozzando- leimanderà quei pochi denari e le mie povere robe alla miafamiglia... per mezzo del signor Console. Io spero che sian tuttivivi. Il cuore mi predice bene in questi ultimi momenti. Mi faràla grazia di scrivere... che ho sempre pensato a loroche hosempre lavorato per loro...

peri miei figliuoli... e che il mio solo dolore fu di non rivederlipiù... ma che son morta con coraggio... rassegnata...benedicendoli; e che raccomando a mio marito... e al mio figliuolomaggiore... il più piccoloil mio povero Marco... chel'ho avuto in cuore fino all'ultimo momento... - Ed esaltandositutt'a un trattogridò giungendo le mani: - Il mio Marco! Ilmio bambino! La vita mia!... - Ma girando gli occhi pieni dipiantovide che la padrona non c'era più: eran venuti achiamarla furtivamente. Cercò il padrone: era sparito.

Nonrestavan più che le due infermiere e l'assistente. Si sentivanella stanza vicina un rumore affrettato di passiun mormorio divoci rapide e sommessee d'esclamazioni rattenute. La malatafissò sull'uscio gli occhi velatiaspettando. Dopoalcuni minuti vide comparire il medicocon un viso insolito; poi lapadrona e il padroneanch'essi col viso alterato. Tutti e trela guardarono con un'espressione singolaree si scambiarono alcuneparole a bassa voce. Le parve che il medico dicesse alla signora: -Meglio subito. - La malata non capiva.

-Josefa- le disse la padrona con la voce tremante. - Ho una buonanotizia da darvi. Preparate il cuore a una buona notizia.

Ladonna la guardò attentamente.

-Una notizia- continuò la signorasempre piùagitata- che vi darà una grande gioia.

Lamalata dilatò gli occhi.

-Preparatevi- proseguì la padrona- a vedere unapersona... a cui volete molto bene.

Ladonna alzò il capo con un scatto vigorosoe cominciò aguardare rapidamente ora la signora ora l'usciocon gli occhisfolgoranti.

-Una persona- soggiunse la signoraimpallidendo- arrivataor ora...

inaspettatamente.

-Chi è? - gridò la donna con una voce strozzata estranacome di persona spaventata.

Unistante dopo gittò un grido altissimobalzando a sedere sullettoe rimase immobilecon gli occhi spalancati e con le manialle tempiecome davanti a un'apparizione sovrumana.

Marcolacero e polverosoera là ritto sulla sogliatrattenuto perun braccio dal dottore.

Ladonna urlò tre volte: - Dio! Dio! Dio mio!

Marcosi slanciò avantiessa protese le braccia scarneeserrandolo al seno con la forza d'una tigrescoppiò inun riso violentorotto da profondi singhiozzi senza lagrimechela fecero ricader soffocata sul cuscino.

Masi riprese subito e gridò pazza di gioiatempestandogli ilcapo di baci: - Come sei qui? Perché? Sei tu? Come seicresciuto! Chi t'ha condotto? Sei solo?

Nonsei malato? Sei tuMarco! Non è un sogno! Dio mio!Parlami! - Poi cambiando tono improvvisamente: - No! Taci!Aspetta! - E voltandosi verso il medicoa precipizio: - Prestosubitodottore. Voglio guarire. Son pronta.

Nonperda un momento. Conducete via Marco che non senta. Marco mionon è nulla. Mi racconterai. Ancora un bacio. Va. Eccomi quidottore.

Marcofu portato via. I padroni e le donne uscirono in fretta; rimaseroil chirurgo e l'assistenteche chiusero la porta.

Ilsignor Mequinez tentò di tirar Marco in una stanzalontana; ma fu impossibile; egli parea inchiodato al pavimento.

-Cosa c'è? - domandò. - Cos'ha mia madre? Cosa le fanno?

Eallora il Mequinezpianotentando sempre di condurlo via: - Ecco.Senti.

Orati dirò. Tua madre è malatabisogna farle unapiccola operazioneti spiegherò tuttovieni con me.

-No- rispose il ragazzoimpuntandosi- voglio star qui. Mi spieghiqui.

L'ingegnereammontava parole su paroletirandolo: il ragazzo cominciava aspaventarsi e a tremare.

Aun tratto un grido acutissimocome il grido d'un ferito a morterisonò in tutta la casa.

Ilragazzo rispose con un altro grido disperato: - Mia madre èmorta!

Ilmedico comparve sull'uscio e disse: - Tua madre è salva.

Ilragazzo lo guardò un momento e poi si gettò ai suoipiedi singhiozzando: - Grazie dottore!

Mail dottore lo rialzò d'un gestodicendo: - Levati!...Sei tueroico fanciulloche hai salvato tua madre.



Estate

24mercoledì


Marco il genovese è il penultimo piccolo eroe di cuifacciamo conoscenza quest'anno: non ne resta che uno per il mese digiugno. Non ci son più che due esami mensiliventiseigiorni di lezionesei giovedì e cinque domeniche. Si sentegià l'aria della fine dell'anno. Gli alberi del giardinofronzuti e fioritifanno una bell'ombra sugli attrezzi dellaginnastica. Gli scolari son già vestiti da estate. èbello ora veder l'uscita delle classicom'è tutto diversodai mesi scorsi. Le capigliature che toccavan le spalle sonoandate giù: tutte le teste sono rapate; si vedono gambe nudee colli nudi; cappellini di paglia d'ogni formacon dei nastri chescendon fin sulle schiene; camicie e cravattine di tutti i colori;tutti i più piccoli con qualche cosa addosso di rosso od'azzurrouna mostraun orlouna nappinaun cencino di colorvivo appiccicato pur che sia dalla mammaperché facciafiguraanche i più poverie molti vengono alla scuolasenza cappellocome scappati di casa. Alcuni portano il vestitobianco della ginnastica. C'è un ragazzo della maestraDelcati che è tutto rosso da capo a piedicome un gamberocotto. Parecchi sono vestiti da marinai. Ma il piùbello è il muratorino che ha messo su un cappellone dipagliache gli dà l'aria d'una mezza candela col paralume;ed è un ridere a vedergli fare il muso di lepre làsotto. Coretti anche ha smesso il suo berretto di pel di gattoe porta un vecchio berretto di seta grigia da viaggiatore. Votini hauna specie di vestimento alla scozzesetutto attillato; Crossimostra il petto nudo; Precossi sguazza dentro a un camiciottoturchino da fabbro ferraio. E Garoffi? Ora che ha dovuto lasciareil mantelloneche nascondeva il suo commerciogli rimangonoscoperte bene tutte le tasche gonfie d'ogni sorta di carabattole darigattieree gli spuntan fuori le liste delle lotterie. Oratutti lascian vedere quello che portano: dei ventagli fatti conmezza gazzettadei bocciuoli di cannadelle freccie da tirareagli uccellidell'erbadei maggiolini che sbucano fuor delletasche e vanno su pian piano per le giacchette. Molti di queipiccoli portano dei mazzetti di fiori alle maestre. Anche lemaestre son tutte vestite da estatedi colori allegri; fuorchéla monachina che è sempre nerae la maestrina della pennarossa ha sempre la sua penna rossae un nodo di nastri rosa alcollotutti sgualciti dalle zampette dei suoi scolariche lafanno sempre ridere e correre. è la stagione delleciliegiedelle farfalledelle musiche sui viali e dellepasseggiate in campagna; molti di quarta scappano già abagnarsi nel Po; tutti hanno già il cuore alle vacanze;ogni giorno si esce dalla scuola più impazienti econtenti del giorno innanzi. Soltanto mi fa pena di veder Garronecol luttoe la mia povera maestra di prima che è semprepiù smunta e più bianca e tosse sempre piùforte. Cammina curva orae mi fa un saluto così triste!



Poesia

26venerdì


Tucominci a comprendere la poesia della scuolaEnrico; ma lascuolaper oranon la vedi che di dentro: ti parrà moltopiù bella e più poetica fra trent'anniquandoci verrai a accompagnare i tuoi figliuolie la vedrai di fuoricome io la vedo. Aspettando l'uscitaio giro per le stradesilenzioseintorno all'edifizioe porgo l'orecchio alle finestredel pian terrenochiuse dalle persiane. Da una finestra sento lavoce d'una maestra che dice - Ah! quel taglio dit.! Non vafigliuol mio. Che ne direbbe tuo padre?... - Alla finestra vicinaè la grossa voce d'un maestro che detta lentamente. -Comperò cinquanta metri di stoffa... a lire quattro ecinquanta il metro... li rivendette... - Più in là èla maestrina della penna rossa che legge ad alta voce: - AlloraPietro Micca con la miccia accesa... - Dalla classe vicina escecome un cinguettio di cento uccelliche vuol dir che il maestro èandato fuori un momento. Vo innanzie alla svoltata del canto sentouno scolaro che piangee la voce della maestra che lo rimprovera olo consola. Da altre finestre vengono fuori dei versideinomi d'uomini grandi e buonidei frammenti di sentenze checonsiglian la virtùl'amor di patriail coraggio. Poiseguono dei momenti di silenzioin cui si direbbe che l'edifizioè vuotoe non par possibile che ci sian dentro settecentoragazzipoi si senton degli scoppi rumorosi d'ilaritàprovocati dallo scherzo d'un maestro di buon umore... E la gente chepassa si sofferma a ascoltaree tutti rivolgono uno sguardo disimpatia a quell'edificio gentileche racchiude tantagiovinezza e tante speranze. Poi si ode un improvviso strepitosordoun batter di libri e di cartelleuno stropiccio dipiediun ronzìo che si propaga di classe in classe e dalbasso all'altocome al diffondersi improvviso d'una buona notizia:è il bidello che gira ad annunziare il .finis.. E a quelrumore una folla di donned'uominidi ragazze e di giovanettisistringono di qua e di là dalla portaa aspettare ifigliuolii fratellii nipotinomentre dagli usci delle classischizzan fuori come zampillando nel camerone i ragazzi piccolia pigliar cappottini e cappellifacendone un arruffìosul pavimentoe ballettando tutt'in girofin che il bidello liricaccia dentro a uno a uno. E finalmente esconoin lunghe filebattendo i piedi. E allora da tutti i parenti comincia la pioggiadelle domande: - Hai saputo la lezione? Quanto t'ha dato del lavoro?

Checos'avete per domani? Quand'è l'esame mensile? - E anche lepovere madri che non sanno leggereaprono i quaderniguardanoi problemidomandano i punti: - Solamente otto? - Dieci con lode?- Nove di lezione? - E s'inquietano e si rallegrano e interrogano imaestri e parlan di programmi e d'esami. Com'è bello tuttoquestocom'è grandee che immensa promessa è pelmondo!.

Tuo padre



Lasordomuta

28domenica


Non potevo finirlo meglio che con la visita di questa mattinail mese di maggio. Udiamo una scampanellatacorriamo tutti.Sento mio padre che dice in tuono di meraviglia: - Voi quiGiorgio?- Era Giorgioil nostro giardiniere di Chieriche ora ha lafamiglia a Condovearrivato allora allora da Genovadov'erasbarcato il giorno avantidi ritorno dalla Greciadopo tre anniche lavorava alle strade ferrate. Aveva un grosso fagotto fra lebraccia. è un pò invecchiatoma sempre rosso in visoe gioviale.

Miopadre voleva che entrasse; ma egli disse di noe domandòsubitofacendo il viso serio: - Come va la mia famiglia? Come staGigia?

-Bene fino a pochi giorni fa- rispose mia madre.

Giorgiotirò un gran sospiro: - Oh! Sia lodato Iddio! Non avevo ilcoraggio di presentarmi ai Sordomuti senz'aver notizie da lei. Iolascio qui il fagotto e scappo a pigliarla. Tre anni che non lavedo la mia povera figliuola! Tre anni che non vedo nessuno deimiei!

Miopadre mi disse: - Accompagnalo.

-Ancora una parolami scusi- disse il giardiniere sul pianerottolo.

Mamio padre l'interruppe: - E gli affari?

-Bene- rispose- grazie a Dio. Qualche soldo l'ho portato. Mavolevo domandare. Come va l'istruzione della mutinadica un pò.Io l'ho lasciata che era come un povero animalettopovera creatura.Io ci credo pocogiàa questi collegi. Ha imparato a farei segni? Mia moglie mi scriveva bene: - Impara a parlarefaprogressi. - Madicevo ioche cosa vale che impari a parlare leise io i segni non li so fare? Come faremo a intendercipoverapiccina? Quello è buono per capirsi fra loroun disgraziatocon l'altro. Come vadunque? Come va?

Miopadre sorrisee rispose: - Non vi dico nulla; vedrete voi; andateandate; non le rubate un minuto di più.

Uscimmo;l'istituto è vicino. Strada facendoa grandi passiilgiardiniere mi parlavarattristandosi. - Ah! la mia poveraGigia! Nascere con quella disgrazia! Dire che non mi son maisentito chiamar .padre. da leiche lei non s'è mai sentitachiamar .figliuola. da meche mai non ha detto né intesouna parola al mondo! E grazia che s'è trovato un signorecaritatevole che ha fatto le spese dell'istituto. Ma tanto...prima degli otto anni non c'è potuta andare. Son treanni che non è in casa. Va per gli undiciadesso. ècresciutami dica un pòè cresciuta? è dibuon umore?

-Ora vedreteora vedrete- gli risposi affrettando il passo.

-Ma dov'è quest'istituto? - domandò. - Mia moglie cel'accompagnò ch'ero già partito. Mi pare che debbaessere da queste parti.

Eravamoappunto arrivati. Entrammo subito nel parlatorio. Ci venne incontroun custode. - Sono il padre di Gigia Voggidisse ilgiardiniere; - la mia figliuola subito subito. - Sono inricreazione- rispose il custode- vado a avvertir la maestra. -E scappò.

Ilgiardiniere non poteva più né parlarené starfermo; guardava i quadri alle paretisenza veder nulla.

Laporta s'aperse: entrò una maestravestita di neroconuna ragazza per mano.

Padree figliuola si guardarono un momento e poi si slanciarono l'unonelle braccia dell'altromettendo un grido.

Laragazza era vestita di rigatino bianco e rossicciocon un grembialegrigio.

èpiù alta di me. Piangeva e teneva suo padre stretto al collocon tutt'e due le braccia.

Suopadre si svincolòe si mise a guardarla da capo a piedicoi lucciconi agli occhiansando come se avesse fatto una grancorsa; e sclamò: - Ah! com'è cresciuta! come s'èfatta bella! Oh la mia carala mia povera Gigia! La mia poveramutina! è leisignorala maestra? Le dica un pò chemi faccia pure i suoi segniche qualche cosa capiròe poiimparerò a poco a poco. Le dica che mi faccia capire qualchecosacoi gesti.

Lamaestra sorrise e disse a bassa voce alla ragazza: - Chi èquest'uomo che t'è venuto a trovare?

Ela ragazzacon una voce grossastranastuonata come quella d'unselvaggio che parlasse per la prima volta la nostra linguamapronunciando chiaroe sorridendorispose: - è mi-o pa-dre.

Ilgiardiniere diede un passo indietro e gridò come un matto: -Parla! Ma è possibile! Ma è possibile! Parla? Matu parlibambina miaparli? dimmi un poco: parli? - E di nuovol'abbracciò e la baciò sulla fronte tre volte. - Manon è coi gesti che parlanosignora maestranon ècon le ditacosì? Ma cosa è questo?

-Nosignor Voggi- rispose la maestra- non è coi gesti.Quello era il metodo antico. Qui s'insegna col metodo nuovocolmetodo orale. Come non lo sapevate?

-Ma io non sapevo niente! - rispose il giardinieretrasecolato. -Tre anni che son fuori! O me l'avranno scritto e non l'hocapito. Sono una testa di legnoio. O figliuola miatu micapiscidunque? Senti la mia voce? Rispondi un poco: mi senti?Senti quello che ti dico?

-Ma nobuon uomo- disse la maestra- la voce non la senteperchéè sorda.

Essacapisce dai movimenti della vostra bocca quali sono le paroleche voi dite; ecco la cosa; ma non sente le vostre parole eneppure quello che essa dice a voi; le pronuncia perché leabbiamo insegnatolettera per letteracome deve atteggiar lelabbra e muover la linguae che sforzo deve far col petto e con lagolaper metter fuori la voce.

Ilgiardiniere non capìe stette a bocca aperta. Non ci credevaancora.

-DimmiGigia- domandò alla figliuolaparlandoleall'orecchio- sei contenta che tuo padre sia ritornato? - Erialzato il visostette a aspettar la risposta.

Laragazza lo guardòpensierosae non disse nulla.

Ilpadre rimase turbato.

Lamaestra rise. Poi disse: - Buon uomonon vi risponde perchénon ha visto i movimenti delle vostre labbra: le avete parlatoall'orecchio! Ripetete la domanda tenendo bene il vostro visodavanti al suo.

Ilpadreguardandola bene in facciaripeté: - Sei contenta chetuo padre sia ritornato? che non se ne vada più via?

Laragazzache gli aveva guardato attenta le labbracercandoanche di vedergli dentro alla boccarispose francamente:

-Sìso-no contentache sei tor-na-toche non vai via... maipiù.

Ilpadre l'abbracciò impetuosamentee poi in fretta e in furiaper accertarsi megliola affollò di domande.

-Come si chiama la mamma?

-An-tonia.

-Come si chiama la tua sorella piccola?

-A-de-laide.

-Come si chiama questo collegio?

-Dei sor-do-muti.

-Quanto fa due volte dieci?

-Venti.

Mentrecredevamo che ridesse di gioiatutt'a un tratto si mise a piangere.Ma era gioia anche quella.

-Animo- gli disse la maestra- avete motivo di rallegrarvinon di piangere. Vedete che fate piangere anche la vostrafigliuola. Siete contentodunque?

Ilgiardiniere afferrò la mano alla maestra e gliela baciòdue o tre volte dicendo: - Graziegraziecento volte graziemillevolte graziecara signora maestra! E mi perdoni che non le so diraltro!

-Ma non solo parla- gli disse la maestra; - la vostra figliuola sascrivere.

Safar di conto. Conosce il nome di tutti gli oggetti usuali. Sa unpoco di storia e di geografia. Ora è nella classe normale.Quando avrà fatte le altre due classisaprà moltomolto di più. Uscirà di qui che sarà in gradodi prendere una professione. Ci abbiamo già deisordomuti che stanno nelle botteghe a servir gli avventorie fannoi loro affari come gli altri.

Ilgiardiniere rimase stupito daccapo. Pareva che gli si confondesserole idee un'altra volta. Guardò la figliuola e sigrattò la fronte. Il suo viso domandava ancora unaspiegazione.

Allorala maestra si voltò al custode e gli disse:

-Chiamatemi una bimba della classe preparatoria.

Ilcustode tornò poco dopo con una sordomuta di otto o noveannientrata da pochi giorni nell'istituto.

-Questa- disse la maestra- è una di quelle a cuiinsegniamo i primi elementi. Ecco come si fa. Voglio farle dire .e..State attento. - La maestra aperse la boccacome si apre perpronunciare la vocale .e.e accennò alla bimba che aprissela bocca nella stessa maniera. La bimba obbedì. Allora lamaestra le fece cenno che mettesse fuori la voce. Quella mise fuorila vocema invece di .e.pronunziò .o.. - No- disse lamaestra- non è questo. - E pigliate le due mani dellabimbase ne mise una aperta sulla gola e l'altra sul pettoeripeté: - .e.. - La bimbasentito con le mani il movimentodella gola e del petto della maestrariaperse la bocca comeprimae pronunziò benissimo: - .e.. - Nello stesso modo lamaestra le fece dire .c. e .d.sempre tenendosi le due piccolemani sul petto e sulla gola. - Avete capito ora? - domandò.

Ilpadre aveva capito; ma pareva più meravigliato di quando noncapiva. - E insegnano a parlare in quella maniera? -domandòdopo un minuto di riflessioneguardando lamaestra. - Hanno la pazienza d'insegnare a parlare a quellamanieraa poco a pocoa tutti quanti? a uno a uno?... per annie anni?... Ma loro sono santisono! Ma loro sono angeli delparadiso! Ma non c'è al mondo una ricompensaper loro! Checosa ho da dire?... Ah! mi lascino un poco con la mia figliuolaora. Me la lascino cinque minuti per me solo.

Etiratala a sedere in disparte cominciò a interrogarlaequella a rispondereed egli rideva con gli occhi lustribattendosi i pugni sulle ginocchiae pigliava la figliuola con lemaniguardandolafuor di sé dalla contentezza a sentirlacome se fosse una voce che venisse dal cielo; poi domandòalla maestra: - Il signor Direttoresarebbe permesso diringraziarlo?

-Il Direttore non c'è- rispose la maestra. - Ma c'èun'altra persona che dovreste ringraziare. Qui ogni ragazzapiccola è data in cura a una compagna più grandechele fa da sorellada madre. La vostra è affidata a unasordomuta di diciassette annifigliuola d'un fornaioche èbuona e le vuol bene molto: da due anni va a aiutarla a vestirsiogni mattinala pettinale insegna a cucirele accomoda larobale tien buona compagnia. Luigiacome si chiama la tua mammadell'istituto?

Laragazza sorrise e rispose: - Cate-rina Gior-dano. - Poi disse a suopadre: - Mol-tomol-to buona.

Ilcustodeuscito a un cenno della maestraritornò quasisubito con una sordomuta biondarobusta di viso allegrovestita anch'essa di rigatino rossiccio col grembiale grigio; laquale si arrestò sull'uscio e arrossì; poi chinòla testaridendo. Aveva il corpo d'una donnae pareva una bambina.

Lafigliuola di Giorgio le corse subito incontrola prese per unbraccio come una bimba e la tirò davanti a suo padredicendo con la sua grossa voce: - Ca-te-rina Gior-dano.

-Ah! la brava ragazza! - esclamò il padree allungòla mano per carezzarlama la tirò indietroe ripeté:- Ah! la buona ragazzache Dio la benedicache le dia tutte lefortunetutte le consolazioniche la faccia sempre felice lei etutti i suoiuna buona ragazza cosìpovera la miaGigiaè un onesto operaioun povero padre di famiglia cheglielo augura di tutto cuore!

Laragazza grande accarezzava la piccolasempre tenendo il visobasso e sorridendo; e il giardiniere continuava a guardarlacomeuna madonna.

-Oggi vi potete pigliar con voi la vostra figliuola- disse lamaestra.

-Se me la piglio! - rispose il giardiniere. - Me la conduco aCondove e la riporto domani mattina. Si figuri un pò se nonme la piglio! - La figliuola scappò a vestirsi. - Dopo treanni che non la vedo! - riprese il giardiniere. - Ora che parla! ACondove subito me la porto. Ma prima voglio far un giro per Torinocon la mia mutina a braccettoche tutti la vedanoe condurla dallemie quattro conoscenzeche la sentano! Ah! la bella giornata!Questa si chiama una consolazione.! Qua il braccio a tuo padreGigia mia! - La ragazzach'era tornata con una mantellina e unacuffiettagli diede il braccio.

-E grazie a tutti! - disse il padre di sull'uscio. - Grazie a tutticon tutta l'anima mia! Tornerò ancora una volta a ringraziartutti!

Rimaseun momento sopra pensieropoi si staccò bruscamente dallaragazzatornò indietro frugandosi con una mano nellasottovestee gridò come un furioso: - Ebbenesono unpovero diavoloma ecco quilascio venti lire per l'istitutounmarengo d'oro bell'e nuovo.

Edando un gran colpo sul tavolinovi lasciò il marengo.

-Nonobrav'uomo- disse la maestra commossa. - Ripigliateviil vostro denaro. Io non lo posso accettare. Ripigliatevelo. Nontocca a me. Verrete quando ci sarà il Direttore. Ma nonaccetterà nemmeno luistatene sicuro.

Avetefaticato troppo per guadagnarvelipover'uomo. Vi saremo tuttigrati lo stesso.

-Noio lo lascio- rispose il giardiniereintestato; - e poi... sivedrà.

Mala maestra gli rimise la moneta in tasca senza lasciargli iltempo di respingerla.

Eallora egli si rassegnòcrollando il capo; e poirapidamentemandato un bacio con la mano alla maestra e allaragazza grandee ripreso il braccio della sua figliuolasislanciò con lei fuor della porta dicendo: - Vienivienifigliuola miapovera mutina miamio tesoro!

Ela figliuola esclamò con la sua voce grossa: -Oh-che-bel-sole!.







GIUGNO


Garibaldi.

3sabato. Domani è la festa nazionale.


Oggiè un lutto nazionale. Ieri sera è morto Garibaldi. Saichi era? è quello che affrancò dieci milionid'Italiani dalla tirannia dei Borboni. è morto asettantacinque anni. Era nato a Nizzafigliuolo d'un capitano dibastimento. A otto anni salvò la vita a una donnaatredicitirò a salvamento una barca piena di compagniche naufragavanoa ventisettetrasse dall'acque di Marsigliaun giovanetto che s'annegavaa quarant'uno scampò unbastimento dall'incendio sull'Oceano. Egli combatté diecianni in America per la libertà d'un popolo stranierocombatté in tre guerre contro gli Austriaci per laliberazione della Lombardia e del Trentino difese Roma dai Francesinel 1849liberò Palermo e Napoli nel 1860ricombattéper Roma nel '67lottò nel 1870 contro i Tedeschi in difesadella Francia. Egli aveva la fiamma dell'eroismo e il genio dellaguerra. Combatté in quaranta combattimenti e ne vinsetrentasette. Quando non combattélavorò per vivereo si chiuse in un'isola solitaria a coltivare la terra. Egli fumaestro marinaiooperaionegoziantesoldatogeneraledittatore.Era grandesemplice e buono. Odiava tutti gli oppressori; amavatutti i popoli; proteggeva tutti i deboli; non aveva altraaspirazione che il benerifiutava gli onori; disprezzava lamorteadorava l'Italia. Quando gettava un grido di guerralegioni di valorosi accorrevano a lui da ogni parte. signorilasciavano i palazzi; operai le officinegiovanetti le scuole perandar a combattere al sole della sua gloria. In guerra portavauna camicia rossa. Era fortebiondobello. Sui campi dibattaglia era un fulminenegli affetti un fanciullonei doloriun santo. Mille Italiani son morti per la patriafelicimorendo di vederlo passar di lontano vittorioso migliaia sisarebbero fatti uccidere per lui; milioni lo benedissero e lobenediranno. è morto. Il mondo intero lo piange. Tu non locomprendi per ora.

Maleggerai le sue gestaudrai parlar di lui continuamente nella vita;e via via che cresceraila sua immagine crescerà puredavanti a te; quando sarai un uomolo vedrai gigantee quandonon sarai più al mondo tuquando non vivranno piùi figli dei tuoi figlie quelli che saran nati da loroancora legenerazioni vedranno in alto la sua testa luminosa di rendentoredi popoli coronata dai nomi delle sue vittorie come da un cerchio distellee ad ogni italiano risplenderà la fronte e l'animapronunziando il suo nome..

Tuo padre



L'esercito

11domenica. Festa nazionale. Ritardata di sette giorni per lamorte di Garibaldi.


Siamo andati in piazza Castello a veder la rassegna dei soldatiche sfilarono davanti al Comandante del Corpo d'esercitoinmezzo a due grandi ali di popolo. Via via che sfilavanoal suonodelle fanfare e delle bandemio padre mi accennava i Corpi ele glorie delle bandiere. Primi gli allievi dell'Accademiaquelli che saranno ufficiali del Genio e dell'Artiglieriacircatrecentovestiti di neropassaronocon una eleganza ardita esciolta di soldati e di studenti. Dopo di loro sfilò lafanteria: la brigata Aosta che combatté a Goito e a SanMartinoe la brigata Bergamo che combatté aCastelfidardoquattro reggimenticompagnie dietro compagniemigliaia di nappine rosseche parevan tante doppie ghirlandelunghissime di fiori color di sanguetese e scosse pei due capie portate a traverso alla folla. Dopo la fanteria s'avanzarono isoldati del Geniogli operai della guerracoi pennacchi dicrini neri e i galloni cremisini; e mentre questi sfilavanosivedevano venire innanzi dietro di loro centinaia di lunghe pennediritteche sorpassavano le teste degli spettatori: erano glialpinii difensori delle porte d'Italiatutti altirosei eforticoi capelli alla calabrese e le mostre di un bel verdevivocolor dell'erba delle loro montagne. Sfilavano ancor glialpiniche corse un fremito nella follae i bersaglieril'anticododicesimo battaglionei primi che entrarono in Roma per labreccia di Porta Piabrunilestivivicoi pennacchisventolantipassarono come un'ondata d'un torrente nerofacendoecheggiare la piazza di squilli acuti di tromba che sembravan gridad'allegrezza. Ma la loro fanfara fu coperta da uno strepito rottoe cupo che annunziò l'artiglieria di campagna; e allorapassarono superbamenteseduti sugli alti cassonitirati datrecento coppie di cavalli impetuosi i bei soldati dai cordonigialli e i lunghi cannoni di bronzo e d'acciaioscintillantisugli affusti leggieriche saltavano e risonavanoe ne tremava laterra. E poi venne su lentagravebella nella sua apparenzafaticosa e rudecoi suoi grandi soldaticoi suoi muli potentil'artiglieria di montagnache porta lo sgomento e la morte fin dovesale il piede dell'uomo.

Einfine passò di galoppocon gli elmi al sole con le lancieerettecon le bandiere al ventosfavillando d'argento e d'oroempiendo l'aria di tintinni e di nitritiil bel reggimento .Genovacavalleria.che turbinò su dieci campi di battagliadaSanta Lucia a Villafranca. - Come è bello! - io esclamai. Mamio padre mi fece quasi un rimprovero di quella parolae midisse: - Non considerare l'esercito come un bello spettacolo. Tuttiquesti giovani pieni di forza e di speranze possono da un giornoall'altro esser chiamati a difendere il nostro paesee in pocheore cader sfracellati tutti dalle palle e dalla mitraglia. Ognivolta che senti gridare in una festa: Viva l'esercitovival'Italiaraffiguratidi là dai reggimenti che passanounacampagna coperta di cadaveri e allagata di sanguee alloral'evviva all'esercito t'escirà più dal profondo delcuoree l'immagine dell'Italia t'apparirà più severae più grande.



Italia

14martedì


Salutalacosì la patrianei giorni delle sue feste: - Italiapatria mianobile e cara terradove mio padre e mia madrenacquero e saranno sepoltidove io spero di vivere e di moriredove i miei figli cresceranno e morranno; bella Italiagrande egloriosa da molti secoli; unita e libera da pochi anni; chespargesti tanta luce d'intelletti divini sul mondoe per cuitanti valorosi moriron sui campi e tanti eroi sui patiboli; madreaugusta di trecento città e di trenta milioni di figliiofanciulloche ancora non ti comprendo e non ti conosco interaio ti venero e t'amo con tutta l'anima miae sono altero d'essernato da tee di chiamarmi figliuol tuo. Amo i tuoi marisplendidi e le tue Alpi sublimiamo i tuoi monumenti solenni e letue memorie immortali; amo la tua gloria e la tua bellezza; t'amoe ti venero tutta come quella parte diletta di tedove per laprima volta vidi il sole e intesi il tuo nome. V'amo tutte di unsolo affetto e con pari gratitudineTorino valorosaGenovasuperbadotta BolognaVenezia incantevoleMilano possente; v'amocon egual reverenza di figlioFirenze gentile e Palermoterribile.

Napoliimmensa e bellaRoma meravigliosa ed eterna. T'amopatria sacra! Eti giuro che amerò tutti i figli tuoi come fratelli; cheonorerò sempre in cuor mio i tuoi grandi vivi e i tuoigrandi morti; che sarò un cittadino operoso ed onestointeso costantemente a nobilitarmiper rendermi degno di teper giovare con le mie minime forze a far sì chespariscano un giorno dalla tua faccia la miserial'ignoranzal'ingiustiziail delittoe che tu possa vivere ed espandertitranquilla nella maestà del tuo diritto e della tua forza.

Giuroche ti serviròcome mi sarà concessocon l'ingegnocol bracciocol cuoreumilmente e arditamente; e che se verràgiorno in cui dovrò dare per te il mio sangue e la mia vitadarò il mio sangue e morrògridando al cielo il tuosanto nome e mandando l'ultimo mio bacio alla tua bandierabenedetta..

Tuo padre



32gradi

16Venerdì


In cinque giorni che passarono dalla festa nazionale il caldo ècresciuto di tre gradi. Ora siamo in piena estatetutticominciano a essere stanchihanno tutti perduto i bei colorirosati della primavera; i colli e le gambe s'assottiglianole teste ciondolano e gli occhi si chiudono. Il povero Nellichepatisce molto il caldo e ha fatto un viso di ceras'addormentaqualche volta profondamentecol capo sul quaderno; ma Garronesta sempre attento a mettergli davanti un libro aperto e rittoperché il maestro non lo veda. Crossi appoggia la sua zuccarossa sul banco in un certo modoche par distaccata dal busto emessa lì. Nobis si lamenta che ci siamo troppi e che gliguastiamo l'aria. Ah! che forza bisogna farsi ora per istudiare! Ioguardo dalle finestre di casa quei begli alberi che fanno un'ombracosì scuradove andrei a correre tanto volentierie mivien tristezza e rabbia di dovermi andar a chiudere tra i banchi.Ma poi mi fo animo a veder la mia buona madre che mi guarda semprequando esco dalla scuola per veder se son pallido; e mi dice a ognipagina di lavoro: - Ti senti ancora? - e ogni mattina alle seisvegliandomi per la lezione: - Coraggio! Non ci son piùche tanti giorni: poi sarai libero e riposeraiandrai all'ombradei viali. - Sìessa ha ben ragione a rammentarmi iragazzi che lavoran nei campi sotto la sferza del soleo tra leghiaie bianche dei fiumiche accecano e scottanoe quelli dellefabbriche di vetroche stanno tutto il giorno immobilicol visochinato sopra una fiamma di gas; e si levan tutti più prestodi noie non hanno vacanze. Coraggiodunque! E anche in questoè il primo di tutti Derossiche non soffre né caldoné sonnovivo sempreallegro coi suoi riccioli biondicom'era d'invernoe studia senza faticae tien desti tuttiintorno a sécome se rinfrescasse l'aria con la sua voce. Eci sono due altri puresempre svegli e attenti: quel cocciuto diStardiche si punge il muso per non addormentarsie quanto piùè stanco e fa caldoe tanto più stringe i denti espalanca gli occhiche par che si voglia mangiare il maestro;e quel trafficone di Garoffi tutto affaccendato a fabbricareventagli di carta rossa ornati con figurine di scatole difiammiferiche vende a due centesimi l'uno. Ma il più bravoè Coretti; povero Coretti che si leva alle cinque per aiutaresuo padre a portar legna! Alle undicinella scuolanon puòpiù tenere gli occhi apertie gli casca il capo sul petto. Enondimeno si riscuotesi dà delle manate nella nucadomanda il permesso d'uscire per lavarsi il visosi fascrollare e pizzicottare dai vicini. Ma tanto questa mattina nonpoté reggere e s'addormentò d'un sonno di piombo. Ilmaestro lo chiamò forte: - Coretti! - Egli non sentì.Il maestroirritatoripeté: - Coretti! - Allora ilfigliuolo del carbonaio che gli sta accanto di casas'alzòe disse: - Ha lavorato dalle cinque alle sette a portar fascine. -Il maestro lo lasciò dormiree continuò a farlezione per una mezz'ora. Poi andò al banco da Coretti epiano pianosoffiandogli nel visolo svegliò. A vedersidavanti il maestrosi fece indietro impaurito. Ma il maestrogli prese il capo fra le mani e gli disse baciandolo sui capelli: -Non ti rimproverofigliuol mio. Non è mica il sonno dellapigrizia il tuo; è il sonno della fatica.



Miopadre

17Sabato


Noncerto il tuo compagno Corettiné Garronerisponderebberomai al loro padre come tu hai risposto al tuo questa sera.Enrico! Come è possibile? Tu mi devi giurare che questo nonaccadrà mai piùfin ch'io viva. Ogni volta che a unrimprovero di tuo padre ti correrà una cattiva risposta allelabbrapensa a quel giornoche verrà immancabilmentequando egli ti chiamerà al suo letto per dirti - Enricoioti lascio. - O figliuol mioquando sentirai la sua voce perl'ultima voltae anche molto tempo dopoquando piangerai solonella sua stanza abbandonatain mezzo a quei libri ch'egli nonaprirà mai piùalloraricordandoti d'averglimancato qualche volta di rispettoti domanderai tu pure: -Com'è possibile? - Allora capirai che egli èsempre stato il tuo migliore amicoche quando era costretto apunirtine soffriva più di tee che non t'ha mai fattopiangere che per farti del bene; e allora ti pentiraie bacieraipiangendo quel tavolino su cui ha tanto lavoratosu cui s'èlogorata la vita per i suoi figliuoli. Ora non capisci: egli tinasconde tutto di sé fuorché la sua bontàe il suo amore. Tu non lo sai che qualche volta egli è cosìaffranto dalla fatica che crede di non aver più che pochigiorni da viveree che in quei momenti non parla che di tenon ha altro affanno in cuore che quello di lasciarti povero esenza protezione! E quante voltepensando a questoentranella tua camera mentre dormi; e sta là col lume in mano aguardartie poi fa uno sforzoe stanco e triste com'ètorna al lavoro! E neppure sai che spesso egli ti cerca esta con teperché ha un'amarezza nel cuoredei dispiaceriche a tutti gli uomini toccano nel mondoe cerca te come un amicoper confortarsi e dimenticaree ha bisogno di rifugiarsi neltuo affettoper ritrovare la serenità e il coraggio.Pensa dunque che dolore dev'esser per lui quando invece di trovaraffetto in tetrova freddezza e irriverenza! Non macchiartimai più di questa orribile ingratitudine! Pensa che seanche fossi buono come un santonon potresti mai compensarloabbastanza di quello che ha fatto e fa continuamente per te. Epensa anche: sulla vita non si può contare: una disgrazia tipotrebbe toglier tuo padre mentre sei ancora ragazzofra dueannifra tre mesi; domani. Ah!

poveroEnrico miocome vedresti cambiar tutto intorno a tealloracometi parrebbe vuotadesolata la casacon la tua povera madre vestitadi nero! Vàfigliuolo; và da tuo padre: egli ènella sua stanza che lavora: và in punta di piediche non tisenta entrarevà a metter la fronte sulle sue ginocchia e adirgli che ti perdoni e ti benedica..

Tua madre



Incampagna

19lunedì


Il mio buon padre mi perdonòanche questa voltae milasciò andare alla scampagnata che si era combinata mercoledìcol padre di Corettiil rivenditor di legna. Ne avevamo tuttibisogno d'una boccata d'aria di collina. Fu una festa. Ci trovammoieri alle due in piazza dello StatutoDerossiGarroneGaroffiPrecossipadre e figlio Corettied iocon le nostre provvistedi fruttedi salsicciotti e d'ova sode: avevamo anche dellebarchette di cuoio e dei bicchieri di latta: Garrone portava unazucca con dentro del vino bianco; Corettila fiaschetta da soldatodi suo padrepiena di vino nero; e il piccolo Precossicolsuo camiciotto di fabbro ferraioteneva sotto il braccio unapagnotta di due chilogrammi. S'andò in omnibus fino alla GranMadre di Dioe poi sualla lestaper i colli. C'era unverdeun'ombraun fresco!

Andavamorivoltoloni nell'erbamettevamo il viso nei rigagnolisaltavamoa traverso alle siepi. Coretti padre ci seguitava di lontanoconla giacchetta sulle spallefumando con la sua pipa di gessoedi tanto in tanto ci minacciava con la manoche non cifacessimo delle buche nei calzoni. Precossi zufolavanon l'avevomai sentito zufolare. Coretti figlio faceva di tuttostradafacendo; sa far di tuttoquell'ometto lìcol suocoltelluccio a criccolungo un dito: delle rotine da mulinodelle forchettedegli schizzatoi; e voleva portar la robadegli altriera carico che grondava sudore; ma sempre svelto comeun capriolo. Derossi si fermava ogni momento a dirci i nomi dellepiante e degli insetti: io non so come faccia a saper tante cose. EGarrone mangiava del panein silenzio; ma non ci attacca mica piùquei morsi allegri d'una voltapovero Garronedopo che haperduto sua madre. è sempre luiperòbuono comeil pane: quando uno di noi pigliava la rincorsa per saltare unfossoegli correva dall'altra parte e tendergli le mani; eperché Precossi aveva paura delle vaccheché dapiccolo è stato cozzatoogni volta che ne passava unaGarrone gli si parava davanti. Andammo su fino a SantaMargheritae poi giù per le chine a saltia rotoloniascortica...

mele.Precossiinciampando in un cespugliosi fece uno strappo alcamiciottoe restò lì vergognoso col suo brindellociondoloni; ma Garoffi che ha sempre degli spilli nellagiacchettaglielo appuntò che non si vedevamentre queglibadava a dirgli: - Scusamiscusami; - e poi ricominciò acorrere. Garoffi non perdeva il suo tempoper via: coglieva delleerbe da insalatadelle lumachee ogni pietra che luccicasse un pòse la metteva in tascapensando che ci fosse dentro dell'oroo dell'argento. E avanti a correrea ruzzolarea rampicarsiall'ombra e al solesu e giù per tutti i rialti e lescorciatoiefin che arrivammo scalmanati e sfiatati sulla cimad'una collinadove ci sedemmo a far merendasull'erba. Sivedeva una pianura immensae tutte le Alpi azzurre con le cimebianche. Morivamo tutti di fameil pane pareva che fondesse.Coretti padre ci porgeva le porzioni di salsicciotto su delle fogliedi zucca. E allora cominciammo a parlare tutti insiemedeimaestridei compagni che non avevan potuto veniree degli esami.Precossi si vergognava un poco a mangiare e Garrone gli ficcava inbocca il meglio della sua partedi viva forza. Coretti eraseduto accanto a suo padrecon le gambe incrociate:

parevanpiuttosto due fratelliche padre e figlioa vederli cosìvicinitutti e due rossi e sorridenticon quei denti bianchi.Il padre trincava con gustovuotava anche le barchette e ibicchieri che noi lasciavamo ammezzatie diceva: - A voi altri chestudiateil vino vi fa male; sono i rivenditori di legna chen'han bisogno! - Poi pigliava e scoteva per il naso il figliuolodicendoci: - Ragazzivogliate bene a questo quiche è unfior di galantuomoson io che ve lo dico! - E tutti ridevanofuorché Garrone. Ed egli seguitavatrincando: - Peccatoeh! Ora siete tutti insiemeda bravi camerati; e fra qualcheannochi saEnrico e Derossi saranno avvocati e professorio cheso ioe voi altri quattro in bottega o a un mestiereo chi sadiavolo dove. E allora buona nottecamerati. - Che! - risposeDerossi- per meGarrone sarà sempre GarronePrecossisarà sempre Precossie gli altri lo stessodiventassi imperatore delle Russie; dove saranno loroandròio. - Benedetto! - esclamò Coretti padrealzando lafiaschetta; - così si parlasagrestia!

Toccatequa! Viva i bravi compagnie viva anche la scuolache vi fa unasola famigliaquelli che ne hanno e quelli che non ne hanno! Noitoccammo tutti la sua fiaschetta con le barchette e i bicchieriebevemmo l'ultima volta. E lui:

-Viva il quadrato del '49! gridòlevandosi in piediecacciando giù l'ultimo sorso; - e se avrete da far deiquadrati anche voibadate di tener duro come noi altriragazzi!- Era già tardi: scendemmo correndo e cantandoecamminando per lunghi tratti tutti a braccettoe arrivammosul Po che imbrunivae volavano migliaia di lucciole. E non ciseparammo che in piazza dello Statutodopo aver combinato ditrovarci tutti insieme domenica per andare al VittorioEmanuelea veder la distribuzione dei premi agli alunni dellescuole serali. Che bella giornata! Come sarei rientrato in casacontento se non avessi incontrato la mia povera maestra! Laincontrai che scendeva le scale di casa nostraquasi al buioeappena mi riconobbe mi prese per tutt'e due le mani e mi disseall'orecchio: - AddioEnricoricordati di me! - M'accorsi chepiangeva. Saliie lo dissi a mia madre: - Ho incontrato la miamaestra. Andava a mettersi a letto- rispose mia madreche aveagli occhi rossi. E poi soggiunse con grande tristezzaguardandomifisso: - La tua povera maestra... sta molto male.



Ladistribuzione dei premi agli operai

25domenica


Come avevano convenutoandammo tutti insieme al Teatro VittorioEmanuelea veder la distribuzione dei premi agli operai. Ilteatro era addobbato come il 14 marzoe affollatoma quasi tuttodi famiglie d'operaie la platea occupata dagli allievi edalle allieve della scuola di canto corale; i quali cantarono uninno ai soldati morti in Crimeacosì belloche quando fufinito tutti s'alzarono battendo le mani e gridandoe lo dovetterocantare da capo. E subito dopo cominciarono a sfilare i premiatidavanti al sindacoal prefetto e a molti altriche davano librilibretti della cassa di risparmiodiplomi e medaglie. In un cantodella platea vidi il muratorinoseduto accanto a sua madreeda un'altra parte c'era il Direttoree dietro di lui la testa rossadel mio maestro di seconda. Sfilarono pei primi gli alunni dellescuole serali di disegnooreficiscalpellinilitografieanche dei falegnami e dei muratori; poi quelli della scuola dicommercio; poi quelli del Liceo musicalefra cui parecchieragazzedelle operaietutte vestite in galache furonosalutate con un grande applausoe ridevano. Infine vennero glialunni delle scuole serali elementarie allora cominciò aesser bello a vedere. Di tutte le età ne passavanodi tuttii mestierie vestiti in tutti i modi; uomini coi capelli grigiragazzi degli opificioperai con grandi barbe nere. I piccolieran disinvoltigli uomini un pò imbarazzati; la gentebatteva le mani ai più vecchi e ai più giovani. Manessuno rideva tra gli spettatoricome facevano alla nostra festa:si vedevano tutti i visi attenti e seri. Molti dei premiati avevanla moglie e i figliuoli in plateae c'eran dei bambini chequando vedevan passare il padre sul palco scenicolo chiamavan pernome ad alta voce e lo segnavan con la manoridendo forte.Passarono dei contadinidei facchini: questi erano dellascuola Buoncompagni. Della scuola della Cittadellapassòun lustrascarpeche mio padre conoscee il Prefetto gli diedeun diploma. Dopo di lui vedo venire un uomo grande come un giganteche mi pareva d'aver già veduto altre volte... Era ilpadre del muratorinoche prendeva il secondo premio! Mi ricordaidi quando l'avevo visto nella soffittaal letto del figliuolomalatoe cercai subito il figliuolo in platea: povero muratorino!Egli guardava sua padre cogli occhi luccicantie per nasconder lacommozionefaceva il muso di lepre. In quel momento sentiiuno scoppio d'applausiguardai sul palco: c'era un piccolospazzacaminocol viso lavatoma coi suoi panni da lavoroe ilSindaco gli parlava tenendolo per una mano.

Dopolo spazzacamino venne un cuoco. Poi passò a prender lamedaglia uno spazzino municipaledella scuola Raineri. Io misentivo non so che cosa nel cuorecome un grande affetto e ungrande rispettoa pensare quanto eran costati quei premi a tuttiquei lavoratoripadri di famigliapieni di pensieriquantefatiche aggiunte alle loro fatichequante ore tolte al sonnodicui hanno tanto bisognoe anche quanti sforzidell'intelligenza non abituata allo studio e delle mani grosseintozzite dal lavoro! Passò un ragazzo d'officinaacui si vedeva che suo padre aveva imprestata la giacchettaper quell'occasionee gli spenzolavan le manichetanto che se ledovette rimboccare lì sul palco per poter prendere il suopremio; e molti risero; ma il riso fu subito soffocato daibattimani. Dopo venne un vecchio con la testa calva e la barbabianca. Passarono dei soldati d'artiglieriadi quelli chevenivano alla scuola serale nella nostra Sezione; poi delle guardiedaziariedelle guardie municipalidi quelle che fan la guardiaalle nostre scuole. Infine gli allievi della scuola seralecantarono ancora l'inno ai morti in Crimeama con tanto slancioquesta voltacon una forza d'affetto che veniva cosìschietta dal cuoreche la gente non applaudì quasi piùe usciron tutti commossilentamente e senza far chiasso. Inpochi momenti tutta la via fu affollata. Davanti alla porta delTeatro c'era lo spazzacaminocol suo libro di premio legato inrossoe tutt'intorno dei signori che gli parlavano.

Moltisi salutavano da una parte all'altra della stradaoperairagazziguardiemaestri. Il mio maestro di seconda uscìin mezzo a due soldati d'artiglieria. E si vedevano delle moglid'operai coi bambini in braccioi quali tenevano nelle manineil diploma del padree lo mostravano alla gentesuperbi.



Lamia maestra morta

27Martedì


Mentre noi eravamo al Teatro Vittorio Emanuelela mia poveramaestra moriva. è morta alle duesette giorni dopo ch'erastata a trovar mia madre. Il Direttore venne ieri mattina a darcenel'annunzio nella scuola. E disse: - Quelli di voi che furono suoialunnisanno quanto era buonacome voleva bene ai ragazzi:

erauna madreper loro. Ora non c'è più. Una malattiaterribile la consumava da molto tempo. Se non avesse avuto dalavorare per guadagnarsi il paneavrebbe potuto curarsie forseguarire; si sarebbe almeno prolungata la vita di qualche mesese avesse preso un congedo. Ma essa volle stare fra i suoi ragazzifino all'ultimo giorno. La sera di sabato17s'accomiatò dalorocon la certezza di non rivederli piùdiede ancora deibuoni consiglili baciò tuttie se n'andòsinghiozzando. Ora nessuno la rivedrà mai più.Ricordatevi di leifigliuoli. - Il piccolo Precossiche era statosuo scolaro nella prima superiorechinò la testa sul banco esi mise a piangere.

Ieriseradopo la scuolaandammo tutti insieme alla casa della mortaper accompagnarla alla chiesa. C'era già nella strada uncarro mortuario con due cavallie molta gente che aspettavaparlando a bassa voce. C'era il Direttoretutti i maestri ele maestre della nostra scuolae anche d'altre sezionidove essaaveva insegnato anni addietro; c'erano quasi tutti i bambini dellasua classecondotti per mano dalle madriche portavan letorcie; e moltissimi d'altre classie una cinquantina d'alunnedella sezione Barettichi con corone in manochi con mazzetti dirose. Molti mazzi di fiori li avevan già messi sulcarroal quale era appesa una corona grande di gaggìe con suscritto in caratteri neri: -Alla loro maestra le antichealunne di quarta.. E sotto la corona grandece n'era appesa unapiccolache avevan portata i suoi bambini. Si vedevano trala folla molte donne di serviziomandate dalle padronecon lecandelee anche due servitori in livreacon una torcia accesa; eun signore riccopadre d'uno scolaro della maestraaveva fattovenire la sua carrozzafoderata di seta azzurra. Tuttis'accalcavano davanti alla porta. C'eran parecchie ragazze ches'asciugavan le lacrime.

Aspettammoun pezzoin silenzio. Finalmente portaron giù la cassa.Quando videro infilar la cassa dentro al carroalcuni bambini simisero a pianger fortee uno cominciò a gridarecomese capisse soltanto allora che la sua maestra era mortae gliprese un singhiozzo così convulsoche dovetteroportarlo via. La processione si mise in ordine lentamentee simosse. Andavan prime le figlie del Ritiro della Concezionevestitedi verde; poi le figlie di Mariatutte bianchecon un nastroazzurro poi i preti; e dietro al carro i maestri e le maestregliscolaretti della la superioree tutti gli altrie in fine lafolla. La gente s'affacciava alle finestre e sugli uscie a vederetutti quei ragazzi e la coronadicevano: - è unamaestra. - Anche delle signore che accompagnavano i piùpiccolice n'erano alcune che piangevano.

Arrivatiche furono alla chiesalevaron la cassa dal carro e la portaronoin mezzo alla navatadavanti all'altar maggiore: le maestre cimisero su le coronei bambini la copersero di fiorie lagente tutt'intornocon le candele accesecominciò acantare le preghierenella chiesa grande e oscura.

Poitutt'a un tratto quando il prete disse l'ultimo .Amen.lecandele si spensero e tutti uscirono in fretta e la maestra rimasesola. Povera maestratanto buona con meche aveva tantapazienzache aveva faticato per tanti anni! Essa ha lasciato isuoi pochi libri ai suoi scolaria uno un calamaioa un altro unquadernettotutto quello che possedeva; e due giorni prima dimorire disse al Direttore che non ci lasciasse andare i piùpiccoli al suo accompagnamentoperché non voleva chepiangessero. Ha fatto del beneha soffertoè morta.Povera maestrarimasta sola nella chiesa oscura! Addio!

Addioper sempremia buona amicadolce e triste ricordo della miainfanzia!



Grazie

28mercoledì


Ha voluto finire il suo anno di scuola la mia povera maestra: se n'èandata tre soli giorni prima che terminassero le lezioni. Dopodomani andremo ancora una volta in classe a sentir leggerel'ultimo racconto mensile: .Naufragio.e poi... finito. Sabatoprimo di lugliogli esami. Un altro anno dunqueil quartoèpassato! E se non fosse morta la mia maestrasarebbe passato bene. -Io ripenso a quello che sapevo l'ottobre scorsoe mi par disapere assai di più: ci ho tante cose nuove nella mente;riesco a dire e a scrivere meglio d'allora quello che penso;potrei anche fare di conto per molti grandi che non sannoeaiutarli nei loro affari: e capisco molto di piùcapiscoquasi tutto quello che leggo. Sono contento... Ma quantim'hanno spinto e aiutato a impararechi in un modo chi in unaltroa casaalla scuolaper la stradada per tutto dovesono andato e dove ho visto qualche cosa! Ed io ringrazio tuttiora. Ringrazio te per il primomio buon maestroche sei statocosì indulgente e affettuoso con mee per cui fu unafatica ogni cognizione nuova di cui ora mi rallegro e mi vanto.Ringrazio teDerossimio ammirabile compagnoche con le tuespiegazioni pronte e gentili m'hai fatto capire tante volte dellecose difficili e superare degli intoppi agli esami; e te pureStardibravo e forteche m'hai mostrato come una volontàdi ferro riesca a tuttoe teGarronebuono e generosoche faigenerosi e buoni tutti quelli che ti conoscono e anche voiPrecossi e Corettiche m'avete sempre dato l'esempio del coraggionei pentimenti e della serenità nel lavoro; dico grazie avoidico grazie a tutti gli altri. Ma sopra tutti ringrazio tepadre miote mio primo maestromio primo amicoche m'hai datotanti buoni consigli e insegnato tante cosementre lavoraviper menascondendomi sempre le tue tristezzee cercando in tuttele maniere di rendermi lo studio facile e la vita bella; e tedolce madre miaangelo custode amato e benedettoche hai godutodi tutte le mie gioie e sofferto di tutte le mie amarezzechehai studiatofaticatopianto con mecarezzandomi con unamano la fronte e coll'altra indicandomi il cielo. Io m'inginocchiodavanti a voicome quando ero bambinoe vi ringrazioviringrazio con tutta la tenerezza che mi avete messo nell'anima indodici anni di sacrificio e d'amore.



Naufragio

Ultimoracconto mensile


Parecchi anni or sonouna mattina del mese di dicembresalpavadal porto di Liverpool un grande bastimento a vaporeche portavaa bordo più di duecento personefra le quali settanta uominid'equipaggio. Il capitano e quasi tutti i marinai erano inglesi.Fra i passeggeri si trovavano vari italiani: tre signoreunpreteuna compagnia di suonatori. Il bastimento doveva andareall'isola di Malta. Il tempo era oscuro.

Inmezzo ai viaggiatori della terza classea pruac'era un ragazzoitaliano d'una dozzina d'annipiccolo per l'età suama robusto; un bel viso ardimentoso e severo di siciliano. Sene stava solo vicino all'albero di trinchettoseduto sopra unmucchio di cordeaccanto a una valigia logorache conteneva lasua robae su cui teneva una mano. Aveva il viso bruno e icapelli neri e ondulati che gli scendevan quasi sulle spalle.Era vestito meschinamentecon una coperta lacera sopra lespalle e una vecchia borsa di cuoio a tracolla. Guardava intornoa sépensierosoi passeggieriil bastimentoimarinai che passavan correndoe il mare inquieto. Avea l'aspettod'un ragazzo uscito di fresco da una grande disgrazia di famiglia: ilviso d'un fanciullol'espressione d'un uomo.

Pocodopo la partenzauno dei marinai del bastimentoun italianocoicapelli grigicomparve a prua conducendo per mano una ragazzinae fermatosi davanti al piccolo sicilianogli disse: - Eccoti unacompagna di viaggioMario.

Poise n'andò.

Laragazza sedette sul mucchio di cordeaccanto al ragazzo.

Siguardarono.

-Dove vai? - le domandò il siciliano.

Laragazza rispose: - A Maltaper Napoli.

Poisoggiunse: - Vado a ritrovar mio padre e mia madreche m'aspettano.Io mi chiamo Giulietta Faggiani.

Ilragazzo non disse nulla.

Dopoalcuni minuti tirò fuori dalla borsa del pane e delle fruttesecche; la ragazza aveva dei biscotti; mangiarono - Allegri! -gridò il marinaio italiano passando rapidamente. - Ora sicomincia un balletto!

Ilvento andava crescendoil bastimento rullava fortemente. Ma i dueragazziche non pativano il mal di marenon ci badavano. Laragazzina sorrideva. Aveva presso a poco l'età del suocompagnoma era assai più alta: bruna di visosottileunpò patitae vestita più che modestamente. Avevai capelli tagliati corti e ricciutiun fazzoletto rossointorno al capo e due cerchiolini d'argento alle orecchie.

Mangiandosi raccontarono i fatti loro. Il ragazzo non aveva più népadre né madre. Il padreoperaiogli era morto a Liverpoolpochi dì primalasciandolo soloe il console italianoaveva rimandato lui al suo paesea Palermodove gli restavan deiparenti lontani. La ragazzina era stata condotta a Londral'anno avantida una zia vedovache l'amava moltoe a cui i suoiparenti- poveri- l'avevan concessa per qualche tempofidando nella promessa d'un'eredità; ma pochi mesi dopola zia era morta schiacciata da un omnibussenza lasciare uncentesimo; e allora anch'essa era ricorsa al Consolechel'aveva imbarcata per l'Italia. Tutti e due erano statiraccomandati al marinaio italiano. - Così- concluse labambina- mio padre e mia madre credevano che ritornassiriccae invece ritorno povera. Ma tanto mi voglion bene lostesso. E i miei fratelli pure. Quattro ne hotutti piccoli. Io sonla prima di casa. Li vesto. Faranno molta festa a vedermi.Entrerò in punta di piedi... Il mare è brutto.

Poidomandò al ragazzo: - E tu vai a stare coi tuoi parenti?

-Sì... se mi vorranno- rispose.

-Non ti vogliono bene?

-Non lo so.

-Io compisco tredici anni a Natale- disse la ragazza.

Dopocominciarono a discorrere del mare e della gente che avevano intorno.Per tutta la giornata stettero vicinibarattando tratto trattoqualche parola. I passeggierili credevano fratello e sorella.La bambina faceva la calzail ragazzo pensavail mare andavasempre ingrossando. La seraal momento di separarsi per andara dormirela bambina disse a Mario: - Dormi bene. - Nessunodormirà benepoveri figliuoli - esclamò il marinaioitaliano passando di corsachiamando il capitano. Il ragazzostava per rispondere alla sua amica: - Buona notte- quando unospruzzo d'acqua inaspettato lo investì con violenza e losbatté contro un sedile. - Mamma miache fa sangue! - gridòla ragazza gettandosi sopra di lui. I passeggieri che scappavanosottonon ci badarono. La bimba s'inginocchiò accanto aMarioch'era rimasto sbalordito dal colpogli pulì lafronte che sanguinavae levatosi il fazzoletto rosso dai capelliglie lo girò intorno al capopoi si strinse il capo sulpetto per annodare le cocchee così si fece una macchiadi sangue sul vestito giallosopra la cintura. Mario si riscossesi rialzò. - Ti senti meglio? - domandò la ragazza. -Non ho più nulla- rispose. - Dormi benedisse Giulietta. -Buona notte - rispose Mario. - E discesero per due scalettevicine nei loro dormitori.

Ilmarinaio aveva predetto giusto. Non erano ancora addormentatiche si scatenò una tempesta spaventosa. Fu come unassalto improvviso di cavalloni furiosi che in pochi momentispezzarono un alberoe portaron via come foglie tre delle barchesospese alle gru e quattro bovi ch'erano a prua. Nell'interno delbastimento nacque una confusione e uno spaventoun rovinìoun frastuono di gridadi pianti e di preghiereda far rizzare icapelli. La tempesta andò crescendo di furia tutta la notte.Allo spuntar del giorno crebbe ancora. Le onde formidabiliflagellando il piroscafo per traversoirrompevano sopra copertae sfracellavanospazzavanotravolgevano nel mare ogni cosa.La piattaforma che copriva la macchina fu sfondatae l'acquaprecipitò dentro con un fracasso terribilei fuochi sispenseroi macchinisti fuggirono; grossi rigagnoli impetuosipenetrarono da ogni parte. Una voce tonante gridò: - Allepompe! - Era la voce del capitano. I marinai si slanciarono allepompe. Ma un colpo di mare subitaneopercotendo il bastimentoper di dietrosfasciò parapetti e portellie cacciòdentro un torrente.

Tuttii passeggieripiù morti che vivis'erano rifugiati nellasala grande.

Aun certo punto comparve il capitano.

-Capitano! Capitano! - gridarono tutti insieme. - Che si fa? Comestiamo? C'è speranza? Ci salvi!

Ilcapitano aspettò che tutti tacesseroe disse freddamente: -Rassegniamoci.

Unasola donna gettò un grido: - Pietà! - Nessun altropoté metter fuori la voce. Il terrore li avevaagghiacciati tutti. Molto tempo passò cosìin unsilenzio di sepolcro. Tutti si guardavanocoi visi bianchi. Il mareinfuriava sempreorrendo. Il bastimento rullava pesantemente.A un dato momento il capitano tentò di lanciare in mare unabarca di salvamento: cinque marinai v'entraronola barcacalò; ma l'onda la travolsee due dei marinais'annegaronofra i quali l'italiano: gli altri a stentoriuscirono a riafferrarsi alle corde e a risalire.

Dopoquesto i marinai medesimi perdettero ogni coraggio. Due oredopoil bastimento era già immerso nell'acqua finoall'altezza dei parasartie.

Unospettacolo tremendo si presentava intanto sopra coperta. Lemadri si stringevano disperatamente al seno i figliuoligli amicisi abbracciavano e si dicevano addio: alcuni scendevan sotto nellecabineper morire senza vedere il mare. Un viaggiatore si tiròun colpo di pistola al capoe stramazzò bocconi sulla scaladel dormitoriodove spirò. Molti s'avvinghiavanofreneticamente gli uni agli altridelle donne siscontorcevano in convulsioni orrende.

Parecchistavano inginocchiati intorno al prete. S'udiva un coro disinghiozzidi lamenti infantilidi voci acute e stranee sivedevan qua e là delle persone immobili come statueistupiditecon gli occhi dilatati e senza sguardodelle faccedi cadaveri e di pazzi. I due ragazziMario e Giuliettaavviticchiati a un albero del bastimentoguardavano il mare congli occhi fissicome insensati.

Ilmare s'era quetato un poco; ma il bastimento continuava aaffondarelentamente. Non rimanevan più che pochi minuti.

-La scialuppa a mare! - gridò il capitano.

Unascialuppal'ultima che restavafu gettata all'acquaequattordici marinaicon tre passeggierivi scesero.

Ilcapitano rimase a bordo.

-Discenda con noi! - gridarono di sotto.

-Io debbo morire al mio posto- rispose il capitano.

-Incontreremo un bastimento- gli gridarono i marinai- cisalveremo.

Discenda.Lei è perduto.

-Io rimango.

-C'è ancora un posto! - gridarono allora i marinairivolgendosi agli altri passeggieri. - Una donna!

Unadonna s'avanzòsorretta dal capitano; ma vista ladistanza a cui si trovava la scialuppanon si sentì ilcoraggio di spiccare il saltoe ricadde sopra coperta. Le altredonne eran quasi tutte già svenute e come moribonde.

-Un ragazzo! - gridarono i marinai.

Aquel gridoil ragazzo siciliano e la sua compagnach'eranrimasti fino allora come pietrificati da uno stupore sovrumanoridestati improvvisamente dal violento istinto della vitasistaccarono a un punto solo dall'albero e si slanciarono all'orlo delbastimentourlando a una voce: - A me! - e cercando di cacciarsiindietro a vicendacome due belve furiose.

-Il più piccolo! - gridarono i marinai. - La barca èsopraccarica! Il più piccolo!

All'udirquella parolala ragazzacome fulminatalasciò cascare lebracciae rimase immobileguardando Mario con gli occhi morti.

Marioguardò lei un momento- le vide la macchia di sangue sulpetto- si ricordò- il lampo di un'idea divina gli passòsul viso.

-Il più piccolo! - gridarono in coro i marinaicon imperiosaimpazienza. - Noi partiamo!

Eallora Mariocon una voce che non parea più la suagridò: - Lei è più leggiera. A teGiulietta!Tu hai padre e madre! Io son solo! Ti do il mio posto! Va giù!

-Gettala in mare! - gridarono i marinai.

Marioafferrò Giulietta alla vita e la gettò in mare.

Laragazza mise un grido e fece un tonfo; un marinaio l'afferròper un braccio e la tirò su nella barca.

Ilragazzo rimase ritto sull'orlo del bastimentocon la frontealtacoi capelli al ventoimmobiletranquillosublime.

Labarca si mossee fece appena in tempo a scampare dal movimentovorticoso delle acque prodotto dal bastimento che andava sottoe che minacciò di travolgerla.

Allorala ragazzarimasta fino a quel momento quasi fuori di sensoalzògli occhi verso il fanciullo e diede in uno scroscio di pianto.

-AddioMario! - gli gridò fra i singhiozzicon le bracciatese verso di lui.

-Addio! Addio! Addio!

-Addio! - rispose il ragazzolevando la mano in alto.

Labarca s'allontanava velocemente sopra il mare agitatosotto il cielotetro.

Nessunogridava più sul bastimento. L'acqua lambiva già gliorli della coperta.

Aun tratto il ragazzo cadde in ginocchio con le mani giunte e cogliocchi al cielo.

Laragazza si coperse il viso.

Quandorialzò il capogirò uno sguardo sul mare: ilbastimento non c'era più.





LUGLIO


L'ultimapagina di mia madre

1sabato


L'annoè finito dunqueEnricoed è bello che tirimanga come ricordo dell'ultimo giorno l'immagine del fanciullosublimeche diede la vita per la sua amica. Ora tu stai persepararti dai tuoi maestri e dai tuoi compagni; e io debbo darti unanotizia triste. La separazione non durerà soltanto tre mesima sempre. Tuo padreper ragioni della sua professionedeve andarvia da Torinoe noi tutti con lui. Ce n'andremo il prossimoautunno. Dovrai entrare in una scuola nuova. Questo ti rincrescenon è vero? perché son certa che tu l'ami la tuavecchia scuoladove per quattro anni; due volte al giornohaiprovato la gioia d'aver lavoratodove hai visto per tanto tempoa quelle date oregli stessi ragazzi; gli stessi maestriglistessi parentie tuo padre o tua madre che t'aspettavanosorridendola tua vecchia scuoladove ti s'è apertol'ingegnodove hai trovato tanti buoni compagnidove ogniparola che hai inteso dire aveva per iscopo il tuo benee non haiprovato un dispiacere che non ti sia stato utile! Porta dunquequest'affetto con tee dà un addio dal cuore a tutti queiragazzi. Alcuni avranno delle disgrazieperderanno presto ilpadre e la madre; altri moriranno giovani; altri forse verserannonobilmente il loro sangue nelle battagliemolti saranno bravi eonesti operaipadri di famiglie operose e oneste come loroe chisa che non ce ne sia qualcuno pureche renderà dei grandiservigi al suo paese e farà il suo nome glorioso.

Separatidunque da loro affettuosamente: lasciaci un poco dell'anima tuain quella grande famiglianella quale sei entrato bambinoe da cui esci giovinettoe che tuo padre e tua madre amano tantoperché tu ci fosti tanto amato. La scuola è unamadreEnrico mio: essa ti levò dalle mie braccia cheparlavi appenae ora mi ti rende grandefortebuonostudioso: sia benedettae tu non dimenticarla mai piùfigliuolo. Oh! è impossibile che tu la dimentichi. Ti faraiuomogirerai il mondovedrai delle città immense e deimonumenti maravigliosi; e ti scorderai anche di molti fra questi;ma quel modesto edifizio biancocon quelle persiane chiuseequel piccolo giardinodove sbocciò il primo fiore dellatua intelligenzatu lo vedrai fino all'ultimo giorno della tuavita come io vedrò la casa in cui sentii la tua voce perla prima volta..

Tua madre



Gliesami

4martedì


Eccoci finalmente agli esami. Per le vie intorno alla scuolanon si sente parlar d'altroda ragazzida padrida madriperfino dalle governanti:

esamipuntitemamediarimandatopromosso tutti dicono le stesseparole.

Ierimattina ci fu la composizionequesta mattina l'aritmetica. Eracommovente veder tutti i parenti che conducevano i ragazzi allascuoladando gli ultimi consigli per la stradae molte madriche accompagnavano i figliuoli fin nei banchiper guardare se c'erainchiostro nel calamaio e per provare la pennae si voltavanoancora di sull'uscio a dire: - Coraggio! Attenzione! Miraccomando! - Il nostro maestro assistente era Coattiquello con labarbaccia nerache fa la voce del leonee non castiga mai nessuno.C'erano dei ragazzi bianchi dalla paura. Quando il maestrodissuggellò la lettera del Municipioe tirò fuori ilproblemanon si sentiva un respiro. Dettò il problemaforteguardandoci ora l'uno ora l'altro con certi occhi terribili;ma si capiva che se avesse potuto dettare anche la soluzioneperfarci promovere tuttici avrebbe avuto un grande piacere. Dopoun'ora di lavoromolti cominciavano a affannarsi perché ilproblema era difficile. Uno piangeva. Crossi si dava dei pugni nelcapo. E non ci hanno mica colpa moltidi non saperepoveri ragazziche non hanno avuto molto tempo da studiaree son statitrascurati dai parenti. Ma c'era la provvidenza. Bisognava vedereDerossi che moto si dava per aiutarlicome s'ingegnava per farpassare una cifra e per suggerire un'operazionesenza farsiscorgerepremuroso per tuttiche pareva lui il nostro maestro.Anche Garroneche è forte in aritmeticaaiutava chi potevae aiutò perfin Nobische trovandosi negli imbroglieratutto gentile. Stardi stette per più d'un'ora immobilecon gli occhi sul problema e coi pugni alle tempiee poi fecetutto in cinque minuti. Il maestro girava tra i banchi dicendo:- Calma! Calma! Vi raccomando la calma! - E quando vedevaqualcuno scoraggiatoper farlo rideree mettergli animospalancava la bocca come per divorarloimitando il leone. Versole undiciguardando giù a traverso alle persianevidimolti parenti che andavano e venivano per la stradaimpazienti;c'era il padre di Precossicol suo camiciotto turchinoscappato allora dall'officinaancora tutto nero nel viso.C'era la madre di Crossil'erbaiola; la madre di Nellivestitadi neroche non poteva star ferma. Poco prima di mezzogiorno arrivòmio padre e alzò gli occhi alla mia finestra: caro padremio! A mezzo giorno tutti avevamo finito. E fu uno spettacoloall'uscita.

Tuttiincontro ai ragazzi a domandarea sfogliare i quaderniaconfrontare coi lavori dei compagni. - Quante operazioni? - Cos'èil totale? - E la sottrazione? - E la risposta? - E lavirgola dei decimali? - Tutti i maestri andavano qua e làchiamati da cento parti. Mio padre mi levò di mano subito labrutta copiaguardò e disse: - Va bene. - Accanto a noic'era il fabbro Precossi che guardava pure il lavoro del suofigliuoloun pò inquietoe non si raccapezzava. Si rivolsea mio padre: - Mi vorrebbe favorire il totale? Mio padre lesse lacifra. Quegli guardò: combinava. - Bravopiccino! -esclamòtutto contento; e mio padre e lui si guardaronoun momentocon un buon sorrisocome due amici; mio padregli tese la manoegli la strinse. E si separarono dicendo: - Alverbale. - Al verbale. - Fatti pochi passiudimmo una voce infalsetto che ci fece voltare il capo: era il fabbro ferraioche cantava.



L'ultimo esame

7venerdì


Questa mattina ci diedero gli esami verbali. Alle otto eravamo tuttiin classee alle otto e un quarto cominciarono a chiamarciquattro alla volta nel cameronedove c'era un gran tavolo copertod'un tappeto verdee intorno il Direttore e quattro maestrifra i quali il nostro. Io fui uno dei primi chiamati. Poveromaestro! Come m'accorsi che ci vuol bene davveroquestamattina. Mentre c'interrogavano gli altriegli non aveva occhi cheper noi; Si turbava quando eravamo incerti a risponderesirasserenava quando davamo una bella rispostasentiva tuttoe cifaceva mille cenni con le mani e col capo per dire: - bene- no- sta attento- più adagio- coraggio. - Ci avrebbesuggerito ogni cosa se avesse potuto parlare. Se al posto suo cifossero stati l'un dopo l'altro i padri di tutti gli alunninonavrebbero fatto di più. Gli avrei gridato: - Grazie! - diecivoltein faccia a tutti. E quando gli altri maestri mi dissero:- Sta bene; va pure- gli scintillarono gli occhi dallacontentezza. Io tornai subito in classe ad aspettare mio padre.C'erano ancora quasi tutti. Mi sedetti accanto a Garrone. Non eroallegropunto. Pensavo che era l'ultima volta che stavamo un'oravicini! Non glielo avevo ancor detto a Garrone che non avreipiù fatta la quarta con luiche dovevo andar via da Torinocon mio padre: egli non sapeva nulla. E se ne stava lìpiegato in duecon la sua grossa testa china sul bancoafare degli ornati intorno a una fotografia di suo padrevestito damacchinistache è un uomo grande e grossocon un collo ditoroe ha un'aria seria e onestacome lui. E mentre stava cosìcurvocon la camicia un poco aperta davantiio gli vedevo sul pettonudo e robusto la crocina d'oro che gli regalò la madre diNelliquando seppe che proteggeva il suo figliuolo. Ma bisognavapure che glielo dicessi una volta che dovevo andar via. Glielodissi: - Garronequest'autunno mio padre andrà via daTorinoper sempre. - Egli mi domandò se andavo via anch'io;gli risposi di sì.

-Non farai più la quarta con noi? - mi disse. Risposi di no.E allora egli stette un pò senza parlarecontinuandoil suo disegno. Poi domandò senz'alzare il capo: - Tiricorderai poi dei tuoi compagni di terza? - Sì- glidissi- di tutti; ma di te... più che di tutti. Chi si puòscordare di te?

-Egli mi guardò fisso e serio con uno sguardo che dicevamille cose; e non disse nullasolo mi porse la mano sinistrafingendo di continuare a disegnare con l'altraed io la strinsitra le miequella mano forte e leale. In quel momento entròin fretta il maestro col viso rossoe disse a bassa voce eprestocon la voce allegra: - Bravifinora va tutto benetirinoavanti così quelli che restano; braviragazzi! Coraggio!Sono molto contento. - E per mostrarci la sua contentezza edesilararciuscendo in frettafece mostra d'inciampare e ditrattenersi al muro per non cadere: luiche non l'avevamo maivisto ridere! La cosa parve così stranache invece dirideretutti rimasero stupiti; tutti sorriseronessuno rise.Ebbenenon somi fece pena e tenerezza insieme quell'atto diallegrezza da fanciullo. Era tutto il suo premio quel momentod'allegrezzaera il compenso di nove mesi di bontàdipazienza ed anche di dispiaceri! Per quello aveva faticato tantotempoed era venuto tante volte a far lezione malatopoveromaestro! Quelloe non altroegli domandava a noi in ricambiodi tanto affetto e di tante cure! E ora mi pare che lo rivedròsempre così in quell'attoquando mi ricorderò di luiper molti anni; e se quando sarò un uomoegli vivràancorae c'incontreremoglielo diròdi quell'atto che mitoccò il cuore; e gli darò un bacio sulla testa.



Addio

10lunedì


Al tocco ci ritrovammo tutti per l'ultima volta alla scuolaa sentire i risultati degli esami e a pigliare i libretti dipromozione. La strada era affollata di parentiche avevanoinvaso anche il cameronee molti erano entrati nelle classipigiandosi fino accanto al tavolino del maestro: nella nostrariempivano tutto lo spazio fra il muro e i primi banchi. C'era ilpadre di Garronela madre di Derossiil fabbro PrecossiCorettila signora Nellil'erbaiolail padre del muratorinoil padre diStardimolti altri che non avevo mai visti; e si sentiva da tuttele parti un bisbiglioun brulichìoche pareva d'essere inuna piazza. Entrò il maestro: si fece un grande silenzio.

Avevain mano l'elencoe cominciò a leggere subito. - Abatuccipromossosessanta settantesimiArchinipromossocinquantacinque settantesimi. Il muratorino promossoCrossipromosso. Poi lesse forte: - Derossi Ernesto promossosettanta settantesimie il primo premio. - Tutti i parenti ch'eranlìche lo conoscevan tuttidissero: - BravobravoDerossi!- ed egli diede una scrollata ai suoi riccioli biondicol suosorriso disinvolto e belloguardando sua madreche gli fece unsaluto con la mano. GaroffiGarroneil calabresepromossi.Poi tre o quattro di seguito rimandatie uno si mise a piangereperché suo padre ch'era sull'usciogli fece un gesto diminaccia. Ma il maestro disse al padre: - Nosignoremiscusi; non è sempre colpaè sfortuna molte volte.E questo è il caso. - Poi lesse: - Nellipromossosessantadue settantesimi. - Sua madre gli mandò un bacio colventaglio. Stardi promosso con sessantasette settantesimi; ma asentire quel bel votoegli non sorrise neppuree non staccòi pugni dalle tempie. L'ultimo fu Votiniche era venuto tutto benvestito e pettinato: promosso. Letto l'ultimoil maestro si alzòe disse: - Ragazziquesta è l'ultima volta che ci troviamoriuniti. Siamo stati insieme un annoe ora ci lasciamo buoni amicinon è vero? Mi rincresce di separarmi da voicarifigliuoli. - S'interruppe; poi ripigliò: - Se qualche voltam'è scappata la pazienzase qualche voltasenza volerlosono stato ingiustotroppo severoscusatemi. - Nono-dissero i parenti e molti scolari- nosignor maestromai. -Scusatemi- ripeté il maestro- e vogliatemi bene.L'anno venturo non sarete più con mema vi rivedròe rimarrete sempre nel mio cuore. A rivederciragazzi! - Dettoquestovenne avanti in mezzo a noie tutti gli tesero le manirizzandosi sui banchilo presero per le braccia e per lefalde del vestito; molti lo baciaronocinquanta voci insiemedissero: - A rivederlomaestro! - Graziesignor maestro! -Stia bene! - Si ricordi di noi! - Quando uscìpareva oppressodalla commozione. Uscimmo tuttialla rinfusa. Da tutte le altreclassi uscivan pure.

Eraun rimescolamentoun gran chiasso di ragazzi e di parenti chedicevano addio ai maestri e alle maestre e si salutavan fra loro. Lamaestra della penna rossa aveva quattro o cinque bambini addosso euna ventina attornoche le legavano il fiato; e allamonachina avevan mezzo strappato il cappelloe ficcato una dozzinadi mazzetti tra i bottoni del vestito nero e nelle tasche.

Moltifacevano festa a Robetti che proprio quel giorno aveva smessoper la prima volta le stampelle. Si sentiva dire da tutte le parti.- Al nuovo anno! - Ai venti d'ottobre! - A rivederci ai Santi! - Noipure ci salutammo. Ah! come si dimenticavano tutti i dissaporiin quel momento! Votiniche era sempre stato così gelosodi Derossifu il primo a gettarglisi incontro con le bracciaaperte. Io salutai il muratorino e lo baciai proprio nel momento chemi faceva il suo ultimo muso di leprecaro ragazzo! SalutaiPrecossisalutai Garoffiche mi annunziò la vincita allasua ultima lotteria e mi diede un piccolo calcafogli dimaiolicarotto da un cantodissi addio a tutti gli altri. Fubello vedere il povero Nellicome s'avviticchiò a Garroneche non lo potevan più staccare. Tutti s'affollarono intornoa Garronee addio Garroneaddioa rivedercie lì atoccarloa stringerloa fargli festaa quel bravosantoragazzo; e c'era suo padre tutto meravigliatoche guardava esorrideva.

Garronefu l'ultimo che abbracciainella stradae soffocai unsinghiozzo contro il suo petto: egli mi baciò sulla fronte.Poi corsi da mio padre e da mia madre. Mio padre mi domandò:- Hai salutati tutti i tuoi compagni? - Dissi di sì. - Sec'è qualcuno a cui tu abbia fatto un tortovagli a dire cheti perdoni e che lo dimentichi. C'è nessuno? - Nessuno-risposi. - E allora addio! - disse mio padrecon la vocecommossadando un ultimo sguardo alla scuola. E mia madre ripeté:- addio! - E io non potei dir nulla.