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GiovanniBoccaccio

Trattatelloin laude di Dante

 

Deorigine vitastudiis et moribus
viri clarissimi
dantisaligerii
florentinipoete illustris
et deoperibus compositis ab eodem
incipit feliciter.



I
Proposizione

       Soloneil cui petto uno umano tempio di divina sapienzia fu reputatoe lecui sacratissime leggi sono ancora alli presenti uomini chiaratestimonianza dell'antica giustiziaerasecondo che dicono alcunispesse volte usato di dire ogni republicasì come noiandaree stare sopra due piedi; de’ qualicon matura gravitàaffermava essere il destro il non lasciare alcuno difetto commessoimpunitoe il sinistro ogni ben fatto remunerare; aggiugnendo chequalunque delle due cose già dette per vizio o per nigligenziasi sottraevao meno che bene si servavasenza niuno dubbio quellarepublicache 'l facevaconvenire andare sciancata: e se perisciagura si peccasse in amenduequasi certissimo aveaquella nonpotere stare in alcun modo.
       Mossiadunque più così egregii come antichi popoli da questalaudevole sentenzia e apertissimamente veraalcuna volta di deitàaltra di marmorea statuae sovente di celebre sepulturae tal fiatadi triunfale arcoe quando di laurea corona secondo i meritiprecedenti onoravano i valorosi; le peneper oppositoa’colpevoli date non curo di raccontare. Per li quali onori epurgazioni la assiriala macedonicala greca e ultimamente laromana republica aumentatecon l'opere le fini della terrae con lafama toccaron le stelle. Le vestigie de’ quali in cosìalti esemplinon solamente da’ successori presentiemassimamente da’ miei Fiorentinisono male seguitema intantos'è disviato da esseche ogni premio di virtù possiedel'ambizione; per chesì come e io e ciascun altro che a ciòcon occhio ragionevole vuole guardarenon senza grandissimaafflizione d'animo possiamo vedere li malvagi e perversi uomini a’luoghi eccelsi e a’ sommi oficii e guiderdoni elevaree libuoni scacciaredeprimere e abbassare. Alle quali cose qual fineserbi il giudicio di Diocoloro il veggiano che il timone governanodi questa nave: perciò che noipiù bassa turbasiamotrasportati dal fiottodella Fortunama non della colpa partecipi.Ecome che con infinite ingratitudini e dissolute perdonanzeapparenti si potessero le predette cose verificareper meno scoprireli nostri difetti e per pervenire al mio principale intentouna solami fia assai avere raccontata (né questa fia poco o picciola)ricordando l'esilio del chiarissimo uomo Dante Alighieri. Il qualeantico cittadino né d'oscuri parenti natoquanto per vertùe per scienzia e per buone operazioni meritasseassai il mostrano emostreranno le cose che da lui fatte appaiono: le qualise in unarepublica giusta fossero state operateniuno dubbio ci è cheesse non gli avessero altissimi meriti apparecchiati.
       Ohscellerato pensierooh disonesta operaoh miserabile esemplo e difutura ruina manifesto argomento! In luogo di quegliingiusta efuriosa dannazioneperpetuo sbandimentoalienazione de’paterni beniese fare si fosse potutomaculazione dellagloriosissima famacon false colpe gli fur donate. Delle quali cosele recenti orme della sua fuga e l'ossa nelle altrui terre sepulte ela sparta prole per l'altrui casealquanto ancora ne fanno chiare.Se a tutte l'altre iniquità fiorentine fosse possibile ilnascondersi agli occhl di Dioche veggono tuttonon dovrebbe questauna bastare a provocare sopra sé la sua ira? Certo sì.Chi in contrario sia esaltatogiudico che sia onesto il tacere. Sìchebene ragguardandonon solamente è il presente mondo delsentiero uscito del primodel quale di sopra toccaima ha del tuttonel contrario vòlti i piedi. Per che assai manifesto apparechese noi e gli altri che in simile modo vivonocontro la sopratoccata sentenzia di Solonesanza cadere stiamo in piedeniunaaltra cosa essere di ciò cagionese non che o per lungausanza la natura delle cose è mutatacome sovente veggiamoavvenireo è speziale miracolonel qualeper li meritid'alcuno nostro passatoDio contra ogni umano avvedimento nesostieneo è la sua pazienziala quale forse il nostroriconoscimento attende; il quale se a lungo andare non seguiràniuno dubiti che la sua irala quale con lento passo procede allavendettanon ci serbi tanto più grave tormentoche appienosupplisca la sua tardità. Maperciò checome cheimpunite ci paiono le mal fatte cosequelle non solamente dobbiamofuggirema ancorabene operandod'ammendarle ingegnarci;conoscendo io me essere di quella medesima cittàavvegna chepicciola partedella qualeconsiderati li meritila nobiltàe la vertùDante Alighieri fu grandissimae per questosìcome ciascun altro cittadinoa’ suoi onori sia in solidoobbligato come che io a tanta cosa non sia sofficientenondimenosecondo la mia picciola facultàquello che essa dovea versolui magnificamente farenon avendolo fattom'ingegnerò difar io; non con istatua o con egregia sepolturadelle quali èoggi appo noi spenta l'usanzané basterebbono a ciò lemie forzema con lettere povere a tanta impresa. Di queste hoe diqueste daròacciò che igualmentee in tutto e inpartenon si possa dire fra le nazioni straneverso cotanto poetala sua patria essere stata ingrata. E scriverò in istilo assaiumile e leggieropero che più alto nol mi presta lo 'ngegnoe nel nostro fiorentino idiomaacciò che da quelloche egliusò nella maggior parte delle sue operenon discordiquellecose le quali esso di sé onestamente tacette: cioè lanobiltà della sua originela vitagli studii costumi;raccogliendo appresso in uno l'opere da lui fattenelle quali essosé sì chiaro ha renduto a’ futuriche forse nonmeno tenebre che splendore gli daranno le lettere miecome che ciònon sia di mio intendimento né di volere; contento sempreein questo e in ciascun'altra cosada ciascun più saviolàdove io difettuosamente parlassiessere corretto. Il che acciòche non avvengaumilmente priego Colui che lui trasse per sìalta scala a vedersicome sappiamoche al presente aiuti e guidi lo'ngegno mio e la debole mano.



II
Patriae maggiori di Dante

       Fiorenzaintra l'altre città italiane più nobilesecondo chel'antiche istorie e la comune oppinione de’ presenti pare chevoglianoebbe inizio da’ Romani; la quale in processo di tempoaumentatae di popolo e di chiari uomini pienanon solamente cittàma potente cominciò a ciascun circustante ad apparere. Ma qualsi fosseo contraria fortuna o avverso cielo o li loro meritiaglialti inizii di mutamento cagioneci è incerto; ma certissimoabbiamoessa non dopo molti secoli da Attilacrudelissimo re de’Vandali e generale guastatore quasi di tutta Italiauccisi prima edispersi o tutti o la maggior parte di quegli cittadiniche [in]quella erano o per nobiltà di sangue o per qualunque altrostato d'alcuna famain cenere la ridusse e in ruine: e in cotalemaniera oltre al trecentesimo anno si crede che dimorasse. Dopo ilquale termineessendo non senza cagione di Grecia il romano imperioin Gallia translatatoe alla imperiale altezza elevato Carlo Magnoallora clementissimo re de’ Franceschipiù fatichepassatecredo da divino spirito mossoalla reedificazione delladesolata città lo 'mperiale animo dirizzò; da queglimedesimi che prima conditori n'erano staticome che in picciolcerchio di mura la riducessein quanto potésimile a Roma lafe’ reedificare e abitare; raccogliendovi nondimeno dentroquelle poche reliquieche si trovaronode’ discendenti degliantichi scacciati.
       Maintra gli altri novelli abitatoriforse ordinatore dellareedificazionepartitore delle abitazioni e delle stradee datoreal nuovo popolo delle leggi opportunesecondo che testimonia lafamavi venne da Roma un nobilissimo giovane per ischiatta de’Frangiapanie nominato da tutti Eliseo; il quale per avventurapoich'ebbe la principale cosaper la quale venuto v'erafornitaodall'amore della città nuovamente da lui ordinatao dalpiacere del sitoal quale forse vide nel futuro dovere essere ilcielo favorevoleo da altra cagione che si fossetrattoin quelladivenne perpetuo cittadinoe dietro a sé di figliuoli e didiscendenti lasciò non picciola né poco laudevoleschiatta: li qualil'antico sopranome de’ loro maggioriabbandonatoper sopranome presero il nome di colui che quivi loroaveva dato cominciamentoe tutti insieme si chiamâr gliElisei. De’ quali di tempo in tempoe d'uno in altrodiscendendotra gli altri nacque e visse uno cavaliere per arme eper senno ragguardevole e valorosoil cui nome fu Cacciaguida; alquale nella sua giovanezza fu data da’ suoi maggior per isposauna donzella nata degli Aldighieri di Ferraracosì perbellezza e per costumicome per nobiltà di sangue pregiatacon la quale più anni vissee di lei generò piùfigliuoli. E come ché gli altri nominati si fosseroin unosì come le donne sogliono esser vaghe di farele piacque dirinnovare il nome de’ suoi passatie nominollo Aldighieri; comeche il vocabolo poiper sottrazione di questa lettera "d"corrottorimanesse Alighieri. Il valore di costui fu cagione aquegli che discesero di luidi lasciare il titolo degli Eliseie dicognominarsi degli Alighieri; il che ancora dura infino a questogiorno. Del qualecome che alquanti figliuoli e nepoti e de’nepoti figliuoli discendesseroregnante Federico secondo imperadoreuno ne nacqueil cui nome fu Alighieriil quale più per lafutura prole che per sé doveva esser chiaro; la cui donnagravidanon guari lontana al tempo del partorireper sogno videquale doveva essere il frutto del ventre suo; come che ciò nonfosse allora da lei conosciuto né da altruie oggiper loeffetto seguìtosia manifestissimo a tutti.
       Parevaalla gentil donna nel suo sonno essere sotto uno altissimo allorosopra uno verde pratoallato ad una chiarissima fontee quivi sisentia partorire unofigliuoloil quale in brevissimo temponutricandosi solo delle orbachele quali dello alloro cadevanoedelle onde della chiara fontele parea che divenisse un pastorees'ingegnasse a suo potere d'avere delle fronde dell'alberoil cuifrutto l'avea nudrito; ea ciò sforzandosile parea vederlocaderee nel rilevarsi non uomo piùma uno paone il vedeadivenuto. Della qual cosa tanta ammirazione le giunseche ruppe ilsonno; né guari di tempo passò che il termine debito alsuo parto vennee partorì uno figliuoloil quale di comuneconsentimento col padre di lui per nome chiamaron Dante: emeritamenteperciò che ottimamentesì come si vedràprocedendoseguì al nome l'effetto.

       Questifu quel Dantedel quale è il presente sermone; questi fu quelDante che a’ nostri seculi fu conceduto di speziale grazia daDio; questi fu quel Danteil qual primo doveva al ritorno delleMusesbandite d'Italiaaprir la via. Per costui la chiarezza delfiorentino idioma è dimostrata; per costui ogni bellezza divolgar parlare sotto debiti numeri è regolata; per costui lamorta poesì meritamente si può dir suscitata: le qualicosedebitamente guardatelui niuno altro nome che Dante poterdegnamente avere avuto dimostreranno.



III
Suoistudi

       Nacquequesto singulare splendore italico nella nostra cittàvacanteil romano imperio per la morte di Federigo già dettoneglianni della salutifera incarnazione del Re dell'universo MCCLXVsedente Urbano papa IV nella cattedra di san Pieroricevuto nellapaterna casa da assai lieta fortuna: lieta dicosecondo la qualitàdel mondo che allora correa. Maquale che ella si fosselasciandostare il ragionare della sua infanzianella quale assai segniapparirono della futura gloria del suo ingegnodico che dalprincipio della sua pueriziaavendo gia li primi elementi dellelettere impresinonsecondo il costume de’ nobili odiernisidiede alle fanciullesche lascivie e agli oziinel grembo della madreimpigrendoma nella propia patria tutta la sua puerizia con istudiocontinuo diede alle liberali artie in quelle mirabilmente divenneesperto. E crescendo insieme con gli anni l'animo e lo 'ngegnonona’ lucrativi studi alli quali generalmente oggi corre ciascunosi disposema da una laudevole vaghezza di perpetua fama [tratto]sprezzando le transitorie ricchezzeliberamente si diede a volereavere piena notizia delle fizioni poetiche e dell'artificiosodimostramento di quelle. Nel quale esercizio familiarissimo divennedi Virgiliod'Oraziod'Ovidiodi Stazio e di ciascuno altro poetafamoso; non solamente avendo caro il conoscerglima ancoraaltamente cantandos'ìngegnò d'imitarlicome le sueopere mostranodelle quali appresso a suo tempo favelleremo. Eavvedendosi le poetiche opere non essere vane o semplici favole omaravigliecome molti stolti estimanoma sotto sé dolcissimifrutti di verità istoriografe o filosofiche avere nascosti;per la quale cosa pienamentesanza le istorie e la morale e naturalefilosofiale poetiche intenzioni avere non si potevano intere;partendo i tempi debitamentele istorie da sée la filosofiasotto diversi dottori s'argomentònon sanza lungo studio eaffannod'intendere. Epreso dalla dolcezza del conoscere il verodelle cose racchiuse dal cieloniuna altra più cara chequesta trovandone in questa vitalasciando del tutto ogni altratemporale sollecitudinetutto a questa sola si diede. Eacciòche niuna parte di filosofia non veduta da lui rimanessenelleprofondità altissime della teologia con acuto ingegno si mise.Né fu dalla intenzione l'effetto lontanoperciò chenon curando né caldi né freddi[né] vigilie nédigiuniné alcun altro corporale disagiocon assiduo studiopervenne a conoscere della divina essenzia e dell'altre separateintelligenzie quello che per umano ingegno qui se ne puòcomprendere. E così come in varie etadi varie scienze furonoda lui conosciute studiandocosì in vari studi sotto variidottori le comprese.
       Eglili primi inizisì come di sopra è dichiaratopresenella propia patria e di quellasì come a luogo piùfertile di tal cibon'andò a Bologna; e già vicinoalla sua vecchiezza n'andò a Parigidovecon tanta gloria disédisputandopiù volte mostrò l'altezza delsuo ingegnoche ancoranarrandosise ne maravigliano gli uditori.E di tanti e sì fatti studii non ingiustamente meritòaltissimi titoli: perciò che alcuni il chiamarono sempre"poeta"altri "filosofo"e molti "teologo"mentre visse. Maperciò che tanto è la vittoria piùgloriosa al vincitorequanto le forze del vinto sono state maggiorigiudico esser convenevole dimostraredi come fluttuoso e tempestosomare costuigittato ora in qua ora in làvincendo l'ondeparimenti e’ venti contrariipervenisse al salutevole porto de’chiarissimi titoli già narrati.



IV
Impedimentiavuti da Dante agli studi

       Glistudi generalmente sogliono solitudine e rimozione di sollecitudine etranquillità d'animo disideraree massimamente glispeculativia’ quali il nostro Dantesì come mostratoèsi diede tutto. In luogo della quale rimozione e quietequasi dallo inizio della sua vita infino all'ultimo della morteDante ebbe fierissima e importabile passione d'amoremogliecurafamiliare e publicaesilio e povertà; l'altre lasciando piùparticulari [noie]le quali di necessità queste si traggondietro: le qualiacciò che più appaia della lorogravezzapartitamente convenevole giudico di spiegarle.



V
Amoreper Beatrice

       Neltempo nel quale la dolcezza del cielo riveste de’ suoi ornamentila terrae tutta per la varietà de’ fiori mescolati frale verdi frondi la fa ridenteera usanza della nostra cittàe degli uomini e delle donnenelle loro contrade ciascuno indistinte compagnie festeggiare; per la qual cosainfra gli altri peravventuraFolco Portinariuomo assai orrevole in que’ tempitra’ cittadiniil primo dì di maggio aveva i circustantivicini raccolti nella propia casa a festeggiareinfra li quali erail già nominato Alighieri. Al qualesì come ifanciulli piccolie spezialmente a’ luoghi festevolisoglionoli padri seguireDanteil cui nono anno non era ancora finitoseguìto avea; e quivi mescolato tra gli altri della sua etàde’ quali così maschi come femine erano molti nella casadel festeggianteservite le prime mensedi ciò che la suapicciola età poteva operarepuerilmente si diede con glialtri a trastullare.
       Eraintra la turba de’ giovinetti una figliuola del sopradettoFolcoil cui nome era Bice come che egli sempre dal suo primitivocioè Beatricela nominassela cui età era forsed'otto annileggiadretta assai secondo la sua fanciullezzae ne’suoi atti gentilesca e piacevole moltocon costumi e con paroleassai più gravi e modeste che il suo picciolo tempo nonrichiedea; eoltre a questoaveva le fattezze del viso dilicatemolto e ottimamente dispostee pieneoltre alla bellezzadi tantaonesta vaghezzache quasi una angioletta era reputata da molti.Costei adunquetale quale io la disegnoo forse assai piùbellaapparve in questa festanon credo primamentema primapossente ad innamorareagli occhi del nostro Dante: il qualeancorache fanciul fossecon tanta affezione la bella imagine di leiricevette nel cuoreche da quel giorno innanzimaimentre vissenon se ne dipartì. Quale oraquesta si fosseniuno il sa; mao conformità di complessioni o di costumi o spezialeinfluenzia del cielo che in ciò operasseosì comenoi per esperienza veggiamo nelle festeper la dolcezza de’suoniper la generale allegrezzaper la dilicatezza de’ cibi ede’ vinigli animi eziandio degli uomini maturinon che de’giovinettiampliarsi e divenire atti a poter essere leggiermentepresi da qualunque cosa che piace; è certo questo essernedivenutocioè Dante nella sua pargoletta età fattod'amore ferventissimo servidore.Malasciando stare il ragionare de’puerili accidentidico che con l'età multiplicarono l'amorosefiammeintanto che niuna altra cosa gli era piacere o riposo oconfortose non il vedere costei. Per la qual cosaogni altroaffare lasciandonesollecitissimo andava là dovunque credevapotere vederlaquasi del viso e degli occhi di lei dovesse attignereogni suo bene e intera consolazione.
Oh insensato giudicio degliamanti! chi altri che essi estimerebbe per aggiugnimento di stipafare le fiamme minori? Quanti e quali fossero li pensierilisospirile lagrime e l'altre passioni gravissime poi in piùprovetta età da lui sostenute per questo amoreegli medesimoin parte il dimostra nella sua Vita novae però piùdistesamente non curo di raccontarle. Tanto solamente non voglio chenon detto trapassicioè chesecondo che egli scrive e cheper altruia cui fu noto il suo disiosi ragionaonestissimo fuquesto amorené mai apparveo per isguardo o per parola oper cennoalcuno libidinoso appetito né nello amante nénella cosa amata: non picciola maraviglia al mondo presentedelquale è sì fuggito ogni onesto piaceree abituatosil'avere prima la cosa che piace conformata alla sua lascivia chediliberato d'amarlache in miracolo è divenutosìcome cosa rarissimachi amasse altramente. Se tanto amore e sìlungo poté il ciboi sonni e ciascun'altra quiete impedirequanto si dee potere estimare lui essere stato avversario agli sacristudi e allo 'ngegno? Certo non poco; come che molti vogliano luiessere stato incitatore di quelloargomento a ciò prendendodalle cose leggiadramente nel fiorentino idioma e in rimain laudedella donna amatae acciò che li suoi ardori e amorosiconcetti esprimessegià fatte da lui; ma certo io nolconsentose io non volessi già affermare l'ornato parlareessere sommissima parte d'ogni scienza; che non è vero.



VI
Doloredi Dante per la morte di Beatrice

       Comeciascuno puote evidentemente conoscereniuna cosa è stabilein questo mondo; ese niuna leggiermente ha mutamentola nostravita è quella. Un poco di soperchio freddo o di caldo che noiabbiamolasciando stare gli altri infiniti accidenti e possibilidaessere a non essere sanza difficultà ci conduce; né daquesto gentilezzaricchezzagiovanezzané altra mondanadignità è privilegiata; della quale comune legge lagravità convenne a Dante prima per l'altrui morte provare cheper la sua. Era quasi nel fine del suo vigesimoquarto anno labellissima Beatricequandosì come piacque a Colui che tuttopuoteessalasciando di questo mondo l'angoscen'andò aquella gloria che li suoi meriti l'avevano apparecchiata. Della qualpartenza Dante in tanto dolorein tanta afflizionein tante lagrimerimaseche molti de’ suoi più congiunti e parenti edamici niuna fine a quelle credettero altra che solamente la morte; equesta estimarono dovere essere in brievevedendo lui a niunoconfortoa niuna consolazione pòrtagli dare orecchie. Gligiorni erano alle notte iguali e agli giorni le notti; delle qualiniuna ora si trapassava senza guaisenza sospiri e senza copiosaquantità di lagrime; e parevano li suoi occhi dueabbondantissime fontane d'acqua surgenteintanto che i più simaravigliarono donde tanto umore egli avesse che al suo piantobastasse. Masi come noi veggiamoper lunga usanza le passionidivenire agevoli a comportaree similmente nel tempo ogni cosadiminuire e perire; avvenne che Dante infra alquanti mesi apparòa ricordarsi senza lagrime Beatrice esser mortae con piùdritto giudiciodando alquanto il dolore luogo alla ragioneaconoscere li pianti e li sospiri non potergliné ancoraalcuna altra cosarendere la perduta donna. Per la qual cosa con piùpazienza s'acconciò a sostenere l'avere perduta la suapresenzia; né guari di spazio passò chedopo lelasciate lagrimeli sospirili quali già erano alla lorofine vicinicominciarono in gran parte a partirsi sanza tornare.
       Egli erasì perlo lagrimaresì per l'afflizione che il cuore sentiva dentroe sì per lo non avere di sé alcuna curadi fuoridivenuto quasi una cosa salvatica a riguardare: magrobarbuto equasi tutto trasformato da quello che avanti esser solea; intanto che'l suo aspettonon che negli amicima eziandio in ciascun altro cheil vedeaa forza di sé metteva compassione; come che eglipocomentre questa vita così lagrimosa duròaltruiche ad amici veder si lasciasse.
       Questacompassione e dubitanza di peggio facevano li suoi parenti stareattenti a’ suoi conforti; li qualicome alquanto videro lelagrime cessate e conobbero li cocenti sospiri alquanto dare sosta alfaticato pettocon le consolazioni lungamente perduterincominciarono a sollecitare lo sconsolato; il qualecome cheinfino a quella ora avesse a tutte ostinatamente tenute le orecchiechiusealquanto le cominciò non solamente ad aprirema adascoltare volentieri ciò che intorno al suo conforto gli fossedetto. La qual cosa veggendo i suoi parentiacciò che deltutto non solamente de’ dolori il traessero ma il recassero inallegrezzaragionarono insieme di volergli dar moglie; acciòchecome la perduta donna gli era stata di tristizia cagionecosìdi letizia gli fosse la nuovamente acquistata. Etrovata unagiovanequale alla sua condizione era decevolecon quelle ragioniche più loro parvero induttivela loro intenzione gliscoprirono. Eacciò che io particularmente non tocchiciascuna cosadopo lunga tencionesenza mettere guari di tempo inmezzoal ragionamento seguì l'effetto: e fu sposato.





VII
Digressionesul matrimonio

       Ohmenti ciecheoh tenebrosi intellettioh argomenti vani di moltimortaliquanto sono le riuscite in assai cose contrarie a’vostri avvisie non sanza ragion le più volte! Chi sarebbecolui che del dolce aere d'Italiaper soperchio caldomenassealcuno nelle cucenti arene di Libia a rinfrescarsio dell'isola diCipriper riscaldarsinelle eterne ombre de’ monti Rodopei?qual medico s'ingegnerà di cacciare l'aguta febbre col fuocoo il freddo delle medolla dell'ossa col ghiaccio o con la neve? Certoniuno altrose non colui che con nuova moglie crederàl'amorose tribulazion mitigare. Non conoscono quegliche ciòcredono farela natura d'amorené quanto ogni altra sienole quali per sé possano l'amorose fatiche fare obliare.
       Che avrà fattoperò chiper trarmi d'uno pensiero noiosomi metteràin mille molto maggiori e di più noia? Certo niuna altra cosase non che per giunta del male che m'avrà fattomi faràdisiderare di tornare in quello onde m'ha tratto; il che assai spessoveggiamo addivenire a’ piùli quali o per uscire o peressere tratti d'alcune faticheciecamente o s'ammogliano o sono daaltrui ammogliati; né prima s'avveggionod'uno viluppouscitiessere intrati in milleche la pruovasanza poterepentendosiindietro tornaren'ha data esperienza. Dierono gliparenti e gli amici moglie a Danteperché le lagrimecessassero di Beatrice. Non so se per questo. Come che le lagrimepassasseroanzi forse eran passatesì passò l'amorosafiamma: ché nol credo; maconceduto che si spegnessenuovecose e assai poterono più faticose sopravenire. Egliusato divegghiare ne’ santi studiiquante volte a grado gli eracongl'imperadorico’ re e con qualunque altri altissimi prencipiragionava; disputava co’ filosofie co’ piacevolissimipoeti si dilettava; e l'altrui angosce ascoltandomitigava le sue.Oraquanto alla nuova donna piaceè con costoro; e queltempoch'ella vuole tolto da così celebre compagniagliconviene ascoltare i femminili ragionamentie queglise non vuolcrescer la noiacontra il suo piacere non solamente acconsentirmalodare. Eglicostumatoquante volte la volgar turba glirincrescevadi ritrarsi in alcuna solitaria parte equivispeculandovedere quale spirito muove il cieloonde venga la vitaagli animali che sono in terraquali sieno le cagioni delle coseopremeditare alcune invenzioni peregrine o alcune cose comporrelequali appo li futuri facessero lui morto viver per fama; ora nonsolamente dalle contemplazioni dolci è tolto quante voltevoglia ne viene alla nuova donnama gli conviene essere accompagnatodi compagnia male a così fatte cose disposta. Egliusatoliberamente di rideredi piagneredi cantare o di sospiraresecondo che le passioni dolci o amare il pungevanoora o non osaogli conviene non che delle maggiori cosema d'ogni picciol sospirorendere alla donna ragionemostrando che 'l mossedonde venne edove andò; la letizia cagione dell'altrui amorela tristiziaesser del suo odio estimando.
       Ohfatica inestimabileavere con così sospettoso animale aviverea conversaree ultimamente a invecchiare o a morire! Iovoglio lasciare stare la sollecitudine nuova e gravissimala qualesi conviene avere a’ non usati (e massimamente nella nostracittà)cioè onde vengano i vestimentigli ornamenti ele camere piene di superflue dilicatezzele quali le donne si fannoa credere essere al ben vivere opportune; onde vengano li servileservele nutricile cameriere; onde vengano i convitii doniipresenti che fare si convengono a’ parenti delle novelle sposea quegli che vogliono che esse credano da loro essere amate; eappresso questealtre cose assai prima non conosciute da’liberi uomini; e venire a cose che fuggir non si possono. Chi dubitache della sua donnache ella sia bella o non bellanon caggia ilgiudicio nel vulgo? Se bella fia reputatachi dubita che essasubitamente non abbia molti amadoride’ quali alcuno con la suabellezzaaltri con la sua nobiltàe tale con maraviglioselusinghee chi con donie quale con piacevolezza infestissimamentecombatterà il non stabile animo? E quelche molti disideranomalagevolmente da alcuno si difende. E alla pudicizia delle donne nonbisogna d'essere presa più che una voltaa fare séinfame e i mariti dolorosi in perpetuo. Se per isciagura di chi acasa la si menafia sozzaassai aperto veggiamo le bellissimespesse volte e tosto rincrescere; che dunque dell'altre possiamopensarese non chenon che essema ancora ogni luogo nel qualeesse sieno credute trovare da coloroa’ quali sempre leconviene aver per loroè avuto in odio? Onde le loro irenascononé alcuna fiera è più né tantocrudele quanto la femmina adiratané può viver sicurodi sé chi sé commette ad alcunaalla quale paia conragione esser crucciata; che pare a tutte.
       Chedirò de’ loro costumi? Se io vorrò mostrare come equanto essi sieno tutti contrari alla pace e al riposo degli uominiio tirerò in troppo lungo sermone il mio ragionare; e peròuno soloquasi a tutte generalebasti averne detto. Esse immaginanoil bene operare ogni menomo servo ritener nella casae il contrariofargli cacciare; per che estimanose ben fannonon altra sorteesser la lor che d'un servo: per che allora par solamente loro esserdonnequandomale adoperandonon vengono al fine che’ fantifanno. Per che voglio io andare dimostrando particularmente quelloche gli più sanno? Io giudico che sia meglio il tacersi chedispiacereparlandoalle vaghe donne. Chi non sa che tutte l'altrecose si pruovanoprima che coluidi cui debbono esserecomperatele prendase non la moglieaccio che prima non dispiaccia che siamenata? A ciascuno che la prendela conviene avere non tale qualeegli la vorrebbema quale la Fortuna gliele concede. E se le coseche di sopra son dette son vere (che il sa chi provate l'ha)possiamo pensare quanti dolori nascondano le camereli quali difuorida chi non ha occhi la cui perspicacità trapassi lemurasono reputati diletti. Certo io non affermo queste cose a Danteessere avvenuteché nol so; come che vero sia cheo similicose a questeo altre che ne fosser cagioneegliuna volta da leipartitosiche per consolazione de’ suoi affanni gli era statadatamai né dove ella fosse volle venirené sofferseche là dove egli fosse ella venisse giammai; con tutto che dipiù figliuoli egli insieme con lei fosse parente. Nécreda alcuno che io per le su dette cose voglia conchiudere gliuomini non dover tôrre moglie; anzi il lodo moltoma non aciascuno. Lascino i filosofanti lo sposarsi a’ ricchi stoltia’signori e a’ lavoratorie essi con la filosofia si dilettinomolto migliore sposa che alcuna altra.



VIII
Oppostevicende della vita pubblica di Dante

       Naturagenerale è delle cose temporalil'una l'altra tirarsi didietro. La familiar cura trasse Dante alla publicanella quale tantol'avvilupparono li vani onori che alli publici ofici congiunti sonochesenza guardare donde s'era partito e dove andava con abbandonateredinequasi tutto al governo di quella si diede; e fugli tanto inciò la Fortuna secondache niuna legazion s'ascoltavaaniuna si rispondeaniuna legge si fermavaniuna se ne abrogavaniuna pace si facevaniuna guerra publica s'imprendevaebrievemente niuna diliberazionela quale alcuno pondo portassesipigliavas'egli in ciò non dicesse prima la sua sentenzia. Inlui tutta la publica fedein lui ogni speranzain lui sommariamentele divine cose e l'umane parevano esser fermate. Ma la Fortunavolgitrice de’ nostri consigli e inimica d'ogni umano statocome che per alquanti anni nel colmo della sua rota gloriosamentereggendoil tenesseassai diverso fine al principio recò aluiin lei fidantesi di soperchio



IX
Comela lotta delle parti lo coinvolse

       Eraal tempo di costui la fiorentina cittadinanza in due partiperversissimamente divisaecon l'operazioni di sagacissimi eavveduti prencipi di quelleera ciascuna assai possente; intanto chealcuna volta l'una e alcuna l'altra reggeva oltre al piacere dellasottoposta. A volere riducere a unità il partito corpo dellasua republicapose Dante ogni suo ingegnoogni arteogni studiomostrando a’ cittadini più savi come le gran cose per ladiscordia in brieve tempo tornano al nientee le picciole per laconcordia crescere in infinito. Mapoi che vide essere vana la suafaticae conobbe gli animi degli uditori ostinaticredendologiudicio di Dioprima propose di lasciar del tutto ogni publicooficio e vivere seco privatamente; poidalla dolcezza della gloriatirato e dal vano favor popolesco e ancora dalle persuasioni de’maggioricredendosioltre a questose tempo gli occorressemoltopiù di bene potere operare per la sua cittàse nellecose publiche fosse grandeche a sé privato e da quelle deltutto rimosso (oh stolta vaghezza degli umani splendoriquanto sonole tue forze maggioriche creder non può chi provati non gliha!); il maturo uomo e nel santo seno della filosofia allevatonutricato e ammaestratoal quale erano davanti dagli occhi icadimenti de’ re antichi e de’ modernile desolazioni de’regnidelle province e delle città e li furiosi impeti dellaFortunaniuno altro cercanti che l'alte cosenon si seppe o non sipoté dalla tua dolcezza guardare.
       Fermossiadunque Dante a volere seguire gli onori caduchi e la vana pompa de’publici ofici; eveggendo che per se medesimo non potea una terzaparte tenerela qualegiustissimala ingiustizia dell'altre dueabbattessetornandole ad unitàcon quella s'accostònella qualesecondo il suo giudicioera più di ragione e digiustiziaoperando continuamente ciò che salutevole alla suapatria e a’ cittadini conoscea. Ma gli umani consigli le piùdelle volte rimangon vinti dalle forze del cielo. Gli odii el'animosità preseancora che sanza giusta cagione natifossorodi giorno in giorno divenivan maggioriintanto chenonsenza grandissima confusione de’ cittadinipiù volte sivenne all'arme con intendimento di por fine alla lor lite col fuoco ecol ferro: sì accecati dall'irache non vedevano sécon quella miseramente perire. Mapoi che ciascuna delle parti ebbepiù volte fatta pruova delle sue forze con vicendevoli dannidell'una e dell'altra; venuto il tempo che gli occulti consigli dellaminacciante Fortuna si doveano scoprirela famaparimente del veroe del falso rapportatricenunziando gli avversarii della parte presada Dante di maravigliosi e d'astuti consigli esser forte e digrandissima moltitudine d'armatisì gli prencipi de’collegati di Dante spaventòche ogni consiglioogniavvedimento e ogni argomento cacciò da lorose non il cercarecon fuga la loro salute; co’ quali insieme Dantein un momentoprostrato della sommità del reggimento della sua cittànon solamente gittato in terra si videma cacciato di quella. Dopoquesta cacciata non molti dìessendo già stato dalpopolazzo corso alle case de’ cacciatie furiosamente votate erubatepoi che i vittoriosi ebbero la città riformata secondoil loro giudiciofurono tutti i prencipi de’ loro avversariecon loronon come de’ minori ma quasi principaleDantesìcome capitali nemici della republica dannati a perpetuo esilioe liloro stabili beni o in publico furon ridottio alienati a’vincitori.



X
Simaledice all'ingiusta condanna d'esilio

       Questomerito riportò Dante del tenero amore avuto alla sua patria!questo merito riportò Dante dell'affanno avuto in voler tôrrevia le discordie cittadine! questo merito riportò Dantedell'avere con ogni sollecitudine cercato il benela pace e latranquillità de’ suoi cittadini! Per che assaimanifestamente appare quanto sieno vòti di verità ifavori de’ popolie quanta fidanza si possa in essi avere.Coluinel guale poco avanti pareva ogni publica speranza esserpostaogni affezione cittadinaogni rifugio populare; subitamentesenza cagione legittimasenza offesasenza peccatoda quel romoreil quale per addietro s'era molte volte udito le sue laude portareinfino alle stelleè furiosamente mandato in inrevocabileesilio. Questa fu la marmorea statua fattagli ad etterna memoriadella sua virtù! con queste lettere fu il suo nome tra queglide’ padri della patria scritto in tavole d'oro! con cosìfavorevole romore gli furono rendute grazie de’ suoi benefici!Chi sarà dunque colui chea queste cose guardandonon dicala nostra republica da questo piè non andare sciancata?
       Oh vana fidanza de’mortalida quanti esempli altissimi se’ tu continuamenteripresaammonita e gastigata! Deh! se CammilloRutilioCoriolanoe l'uno e l'altro Scipionee gli altri antichi valenti uomini per lalunghezza del tempo interposto ti sono della memoria cadutiquestoricente caso ti faccia con più temperate redine correr ne’tuoi piaceri. Niuna cosa ci ha meno stabilita che la popolescagrazia; niuna più pazza speranzaniuno più folleconsiglio che quello che a crederle conforta nessuno. Levinsi adunquegli animi al cielonella cui perpetua leggenelli cui eternisplendorinella cui vera bellezza si potrà senza alcunaoscurità conoscere la stabilità di Colui che lui e lealtre cose con ragione muove; acciò chesì come intermine fissolasciando le transitorie cosein lui si fermi ogninostra speranzase trovare non ci vogliamo ingannati.



XI
Lavita del poeta esule sino alla venuta in Italia di Arrigo VII

       Uscitoadunque in cotal maniera Dante di quella cittàdella qualeegli non solamente era cittadino ma n'erano li suoi maggiori statireedificatorie lasciatavi la sua donnainsieme con l'altrafamigliamale per picciola età alla fuga dispostadi leisicuroperciò che di consanguinità la sapeva ad alcunode’ prencipi della parte avversa congiuntadi se medesimo orqua or là incertoandava vagando per Toscana. Era alcunaparticella delle sue possessioni dalla donna col titolo della suadote dalla cittadina rabbia stata con fatica difesade’ fruttidella quale essa sé e i piccioli figliuoli di lui assaisottilmente reggeva; per la qual cosa poverocon industria disusatagli convenia il sostentamento di se medesimo procacciare. Oh quantionesti sdegni gli convenne posporrepiù duri a lui che mortea trapassarepromettendogli la speranza questi dover esser brievieprossima la tornata! Eglioltre al suo stimareparecchi annitornato da Verona (dove nel primo fuggire a messer Alberto dellaScala n'era itodal quale benignamente era stato ricevuto)quandocol conte Salvatico in Casentinoquando col marchese MorruelloMalespina in Lunigianaquando con quegli della Faggiuola ne’monti vicini ad Orbinoassai convenevolmentesecondo il tempo esecondo la loro possibilitàonorato si stette. Quindi poi sen'andò a Bolognadove poco stato n'andò a Padovaequindi da capo si ritornò a Verona. Ma poi ch'egli vide daogni parte chiudersi la via alla tornatae di dì in dìpiù divenire vana la sua speranzanon solamente Toscanamatutta Italia abbandonatapassati i monti che quella dividono dallaprovincia di Galliacome potése n'andò a Parigi; equivi tutto si diede allo studio e della filosofia e della teologiaritornando ancora in sé dell'altre scienzie ciò cheforse per gli altri impedimenti avuti se ne era partito. E in ciòil tempo studiosamente spendendoavvenne che oltre al suo avvisoArrigoconte di Luzimborgocon volontà e mandato di Clementepapa Vil quale allora sedeafu eletto in re de’ Romanieappresso coronato imperadore. Il quale sentendo Dante della Magnapartirsi per soggiogarsi Italiaalla sua maestà in parterebellee già con potentissimo braccio tenere Bresciaassediataavvisando lui per molte ragioni dovere essere vincitoreprese speranza con la sua forza e dalla sua giustizia di potere inFiorenza tornarecome che a lui la sentisse contraria. Per cheripassate l'Alpicon molti nemici di Fiorentini e di lor partecongiuntosie con ambascerie e con lettere s'ingegnarono di tirarelo 'mperadore da l'assedio di Bresciaacciò che a Fiorenza ilponessesì come a principale membro de’ suoi nemici;mostrandogli chesuperata quellaniuna fatica gli restavaopiccolaad avere libera ed espedita la possessione e il dominio ditutta Italia. E come che a lui e agli altri a ciò tenentivenisse fatto il trarlocinon ebbe perciò la sua venuta ilfine da loro avvisato: le resistenze furono grandissimee assaimaggiori che da loro avvisate non erano; per chesenza avere niunanotevole cosa operatalo 'mperadorepartitosi quasi disperatoverso Roma drizzò il suo cammino. E come che in una parte e inaltra più cose facesseassai ne ordinasse e molte di farneproponesseogni cosa ruppe la troppo avacciata morte di lui: per laqual morte generalmente ciascuno che a lui attendea disperatosiemassimamente Dantesanza andare di suo ritorno più avanticercandopassate l'alpi d'Appenninose ne andò in Romagnalà dove l'ultimo suo dìe che alle sue fatiche dovevapor finel'aspettava.



XII
Danteospite di Guido Novel da Polenta

       Erain que’ tempi signore di Ravennafamosa e antica cittàdi Romagnauno nobile cavaliereil cui nome era Guido Novel daPolenta; il qualene’ liberali studii ammaestratosommamente ivalorosi uomini onoravae massimamente quegli che per iscienza glialtri avanzavano. Alle cui orecchie venuto Dantefuori d'ognisperanzaessere in Romagnaavendo egli lungo tempo avanti per famaconosciuto il suo valorein tanta disperazionesi dispose diriceverlo e d'onorarlo. Né aspettò di ciò da luiessere richiestoma con liberale animoconsiderata qual sia a’valorosi la vergogna del domandaree con profertegli si fecedavantirichiedendo di spezial grazia a Dante quello ch'egli sapevache Dante a lui dovea dimandare: cioè che seco li piacesse didover essere. Concorrendo adunque i due voleri ad un medesimo fineedel domandato e del domandatoree piacendo sommamente a Dante laliberalità del nobile cavalieree d'altra parte il bisognostrignendolosenza aspettare più inviti che 'l primosen'andò a Ravennadove onorevolmente dal signore di quellaricevutoe con piacevoli conforti risuscitata la caduta speranzacopiosamente le cose opportune donandogliin quella seco per piùanni il tenneanzi infino a l'ultimo della vita di lui.



XIII
Suaperseveranza al lavoro

       Nonpoterono gli amorosi disiriné le dolenti lagrimenéla sollecitudine casalingané la lusinghevole gloria de’publici oficiné il miserabile esilioné laintollerabile povertà giammai con le lor forze rimuovere ilnostro Dante dal principale intentocioè da’ sacristudii; perciò chesì come si vederà doveappresso partitamente dell'opere da lui fatte si faràmenzioneeglinel mezzo di qualunque fu più fiera dellepassioni sopra dettesi troverà componendo essersiesercitato. E seostanti cotanti e così fatti avversariiquanti e quali di sopra sono stati mostratiegli per forza d'ingegnoe di perseveranza riuscì chiaro qual noi veggiamoche si puòsperare che esso fosse divenutoavendo avuti altrettanti aiutatorio almeno niuno contrarioo pochissimicome hanno molti? Certoionon so; ma se licito fosse a direio direi ch'egli fosse in terradivenuto uno Iddio.

 

XIV
Grandezzadel poeta volgare - Sua morte

       Abitòadunque Dante in Ravennatolta via ogni speranza di ritornare mai inFirenze(come che tolto non fosse il disio)più anni sottola protezione del grazioso signore; e quivi con le sue dimostrazionifece più scolari in poesia e massimamente nella volgare; laqualesecondo il mio giudicioegli primo non altramenti fra noiItalici esaltò e recò in pregioche la sua Omero tra’Greci o Virgilio tra’ Latini. Davanti a costuicome che perpoco spazio d'anni si creda che innanzi trovata fosseniuno fu cheardire o sentimento avessedal numero delle sillabe e dallaconsonanza delle parti estreme in fuoridi farla essere strumentod'alcuna artificiosa materia; anzi solamente in leggerissime cosed'amore con essa s'esercitavano. Costui mostrò con effetto conessa ogni alta materia potersi trattaree glorioso sopra ogni altrofece il volgar nostro.
       Mapoi che la sua ora venne segnata a ciaschedunoessendo egli giànel mezzo o presso del cinquantesimo sesto suo anno infermatoesecondo la cristiana religione ogni ecclesiastico sacramentoumilmente e con divozione ricevutoe a Dio per contrizione d'ognicosa commessa da lui contra al suo piaceresì come da uomoriconciliatosi; del mese di settembre negli anni di Cristo MCCCXXInel dì che la esaltazione della santa Croce si celebra dallaChiesanon sanza grandissimo dolore del sopra detto Guidoegeneralmente di tutti gli altri cittadini ravignanial suo Creatorerendé il faticato spirito; il quale non dubito che ricevutonon fosse nelle braccia della sua nobilissima Beatricecon la qualenel cospetto di Colui ch'è sommo benelasciate le miseriedella presente vitaora lietissimamente vive in quellaalla cuifelicità fine giammai non s'aspetta.

 

XV
Sepolturae onori funebri

       Feceil magnanimo cavaliere il morto corpo di Dante d'ornamenti poeticisopra uno funebre letto adornare; e quello fatto portare sopra gliomeri de’ suoi cittadini più solenni infino al luogo de’frati minori in Ravennacon quello onore che a sì fatto corpodegno estimavainfino quivi quasi con publico pianto seguitoloinuna arca lapideanella quale ancora giaceil fece porre. Etornatoalla casa nella quale Dante era prima abitatosecondo il ravignanocostumeesso medesimosì a commendazione dell'alta scienziae della vertù del defuntoe sì a consolazione de’suoi amicili quali egli avea in amarissima vita lasciatifece unoornato e lungo sermone; dispostose lo stato e la vita fosseroduratidi sì egregia sepoltura onorarlochese mai alcunoaltro suo merito non l'avesse memorevole renduto a’ futuriquella l'avrebbe fatto.

 

XVI
Garadi poeti per l'epitafio di Dante

       Questolaudevole proponimento infra brieve spazio di tempo fu manifesto adalquantili quali in quel tempo erano in poesì solennissimiin Romagna; per che ciascuno sì per mostrare la suasofficienziasì per rendere testimonianza della portatabenivolenzia da loro al morto poetasì per cattare la graziae l'amore del signoreil quale ciò sapevano disiderareciascuno per sé fece versili qualiposti per epitafio allafutura sepulturacon debite lode facessero la posterità certachi dentro da essa giacesse; e al magnifico signore gli mandarono. Ilquale con gran peccato della Fortunanon dopo molto tempotoltoglilo Statosi morì a Bologna; per la qual cosa e il fare ilsepolcro e il porvi li mandati versi si rimase. Li quali versi statia me mostrati poi più tempo appressoe veggendo loro [non]avere avuto luogo per lo caso già dimostratopensando lepresenti cose per me scrittecome che sepoltura non sieno corporalema sienosì come quella sarebbe stataperpetue conservatricidella colui memoria; imaginai non essere sconvenevole quegliaggiugnere a queste cose. Maperciò che più che quegliche l'uno di coloro avesse fatti (che furon più) non sisarebbero ne’ marmi intagliaticosì solamente queglid'uno qui estimai che fosser da scrivere; per chetutti mecoesaminatigliper arte e per intendimento più degni estimaiche fossero quattordici fattine da maestro Giovanni del Virgiliobologneseallora famosissimo e gran poetae di Dante statosingularissimo amico; li quali sono questi appresso scritti:

 

XVII



Epitafio

TheologusDantesnullius dogmatis expers
quod foveat claro philosophyasinu:
gloria musarumvulgo gratissimus auctor
hic iacetetfama pulsat utrumque polum:
qui loca defunctis gladiis regnumquegemellis
distribuitlaycis rhetoricisque modis.
PascuaPyeriis demum resonabat avenis;
Amtropos heu letum livida rupitopus.
Huic ingrata tulit tristem Florentia fructum
exiliumvati patria cruda suo.
Quem pia Guidonis gremio Ravenna Novelli
gaudet honorati continuisse ducis
mille trecentenis terseptem Numinis annis
ad sua septembris ydibus astral redit.





XVIII
Rimproveroai fiorentini

       Ohingrata patriaquale demenziaqual trascutaggine ti tenevaquandotu il tuo carissimo cittadinoil tuo benefattore precipuoil tuounico poeta con crudeltà disusata mettesti in fugao posciatenuta t'ha? Se forse per la comune furia di quel tempo malconsigliata ti scusi; chétornatacessate l'irelatranquillità dell'animoripentùtati del fattonolrivocasti? Deh! non ti rincresca lo stare con mecoche tuo figliuolsonoalquanto a ragionee quello che giusta indegnazione mi fadirecome da uomo che ti rammendi disidera e non che tu sii punitapiglierai. Parti egli essere gloriosa di tanti titoli e di talichetu quello uno del quale non hai vicina città che di simile sipossa esaltaretu abbi voluto da te cacciare? Deh! dimmi: di qua’vittoriedi qua’ triunfidi quali eccellenziedi qualivalorosi cittadini se’ tu splendente? Le tue ricchezzecosamobile e incertale tue bellezzecosa fragile e caducale tuedilicatezzecosa vituperevole e feminileti fanno nota nel falsogiudicio de’ popoliil quale più ad apparenza che adesistenza sempre riguarda. Deh! gloriera'ti tu dè’ tuoimercatanti e de’ molti artistidonde tu se’ piena?Scioccamente farai: l'uno fucontinuamente l'avarizia operandolomestiere servile; l'artela quale un tempo nobilitata fudagl'ingegniintanto che una seconda natura la fecerodall'avariziamedesima è oggi corrottae niente vale. Gloriera'ti tu dellaviltà e ignavia di coloro li qualiperciò che di moltiloro avoli si ricordanovogliono dentro da te della nobiltàottenere il principatosempre con ruberie e con tradimenti e confalsità contra quella operanti? Vana gloria sarà latuae da colorole cui sentenzie hanno fondamento debito e stabilefermezzaschernita. Ahi! misera madreapri gli occhi e guarda conalcuno rimordimento a quello che tu facesti; e vergógnatialmenoessendo reputata savia come tu se'd'avere avuta ne’falli tuoi falsa elezione! Deh! se tu da te non avevi tantoconsiglioperché non imitavi tu gli atti di quelle cittàle quali ancora per le loro laudevoli opere son famose? Atenelaquale fu l'uno degli occhi di Greciaallora che in quella era lamonarcia del mondoper iscienziaper eloquenzia e per miliziasplendida parimente; Argosancora pomposa per li titoli de’suoi re; Smirna a noi reverenda in perpetuo per Niccolaio suopastore; Pilosnotissima per lo vecchio Nestore; ChimiChios eColofoncittà splendidissime per addietrotutte insiemequalora più gloriose furononon si vergognarono nédubitarono d'avere agra quistione della origine del divino poetaOmeroaffermando ciascuna lui di sé averla tratta; e sìciascuna fece con argomenti forte la sua intenzioneche ancora laquistion vive; né è certo donde si fosseperchéparimente di cotal cittadino così l'una come l'altra ancor sigloria. E Mantovanostra vicinadi quale altra cosa l'è piùalcuna fama rimasache l'essere stato Virgilio mantovano? il cuinome hanno ancora in tanta reverenziae sì è appotutti accettevoleche non solamente ne’ publici luoghimaancora in molti privati si vede la sua imagine effigiata; mostrandoin ciò chenon ostante che il padre di lui fosse lutifigoloesso di tutti loro sia stato nobilitatore. Sulmona d'OvidioVenosad'OrazioAquino di Iovenalee altre molteciascuna si gloria delsuoe della loro sufficienzia fanno quistione. L'esemplo di questenon t'era vergogna di seguitare; le quali non è verisimilesanza cagione essere state e vaghe e tènere di cittadini cosìfatti. Esse conobbero quello che tu medesima potevi conoscere e puoi:cioè che le costoro perpetue operazioni sarebbero ancora dopola lor ruina ritenitrici eterne del nome loro: così come alpresente divulgate per tutto il mondo le fanno conoscere a coloro chenon le vider giammai. Tu solanon so da qual cechitàadombratahai voluto tenere altro camminoequasi molto da telucentedi questo splendore non hai curato: tu solaquasi iCamillii Publicolii Torquatii Fabrizii Catonii Fabii e gliScipioni con le loro magnifiche opere ti facessero famosa e in tefosseronon solamenteavendoti lasciato l'antico tuo cittadinoClaudiano cadere de le maninon hai avuto del presente poeta cura;ma l'hai da te cacciatosbandito e privatolose tu avessi potutodel tuo sopranome. Io non posso fuggire di vergognarmene in tuoservigio. Ma ecco: non la Fortunama il corso della natura dellecose è stato al tuo disonesto appetito favorevole in tantoinquanto quello che tu volentieribestialmente bramosaavresti fattose nelle mani ti fosse venutocioè uccisoloegli con la suaetterna legge l'ha operato. Morto è il tuo Dante Alighieri inquello esilio che tu ingiustamentedel suo valore invidiosaglidesti. Oh peccato da non ricordareche la madre alle virtùd'alcuno suo figliuolo porti livore! Ora adunque se’ disollicitudine liberaora per la morte di lui vivi ne’ tuoidifetti sicurae puoi alle tue lunghe e ingiuste persecuzioni porrefine. Egli non ti può farmortoquello che maivivendonont'avria fatto; egli giace sotto altro cielo che sotto il tuonépiù dèi aspettar di vederlo giammaise non quel dìnel quale tutti li tuoi cittadini veder potraie le lor colpe dagiusto giudice esaminate e punite.
       Adunquese gli odiil'ire e le inimicizie cessano per la morte di qualunqueè che muoiacome si credecomincia a tornare in te medesimae nel tuo diritto conoscimento; comincia a vergognarti d'avere fattocontra la tua antica umanità; comincia a volere apparire madree non più inimica; concedi le debite lagrime al tuo figliuolo;concedigli la materna pietà; e coluiil quale tu rifiutastianzi cacciasti vivo sì come sospettodisidera almeno diriaverlo morto; rendi la tua cittadinanzail tuo senola tua graziaalla sua memoria. In veritàquantunque tu a lui ingrata eproterva fossiegli sempre come figliuolo ebbe te in reverenzanémai di quello onore che per le sue opere seguire ti doveavolleprivarticome tu lui della tua cittadinanza privasti. Semprefiorentinoquantunque l'esilio fosse lungosi nominò e volleessere nominatosempre ad ogni altra ti preposesempre t'amò.Che dunque farai? starai sempre nella tua iniquità ostinata?sarà in te meno d'umanità che ne’ barbariliquali troviamo non solamente aver li corpi delli loro mortiraddomandatima per riavergli essersi virilmente disposti a morire?Tu vuogli che 'l mondo creda te essere nepote della famosa Troia efigliuola di Roma: certoi figliuoli deono essere a’ padri eagli avoli simiglianti. Priamo nella sua miseria non solamenteraddomandò il corpo del morto Ettorema quello conaltrettanto oro ricomperò. Li Romanisecondo che alcuni pareche credanofeciono da Miturna venire l'ossa del primo Scipionedalui a loro con ragione nella sua morte vietate. E come che Ettorefosse con la sua prodezza lunga difesa de’ Troianie Scipioneliberatore non solamente di Romama di tutta Italia (delle quali duecose forse così propiamente niuna si può dire diDante)egli non è perciò da posporre; niuna volta fumai che l'armi non dessero luogo alla scienzia. Se tu primieramentee dove più si sarìa convenutol'esemplo e l'operedelle savie città non imitastiammenda al presenteseguendole. Niuna delle sette predette fu che o vera o fittiziasepultura non facesse ad Omero. E chi dubita che i Mantovaniliquali ancora in Piettola onorano la povera casetta e i campi che fûrdi Virgilionon avessero a lui fatta onorevole sepolturaseOttaviano Augustoil quale da Brandizio a Napoli le sue ossa aveatrasportatenon avesse comandato quello luogo dove poste l'aveavolere loro essere perpetua requie? Sermona niuna altra cosa pianselungamentese non che l'isola di Ponto tenga in incerto luogo il suoOvidio; e così di Cassio Parma si rallegra tenendolo. Cerca tuadunque di volere essere del tuo Dante guardiana; raddomandalo;mostra questa umanitàpresupposto che tu non abbi voglia diriaverlo; togli a te medesima con questa fizione parte del biasimoper addietro acquistato: raddomandalo. Io son certo ch'egli non tifia renduto; e ad una ora ti sarai mostrata pietosae goderainonriavendolodella tua innata crudeltà. Ma a che ti confortoio? Appena che io credase i corpi morti possono alcuna cosasentireche quello di Dante si potesse partire di là dove èper dovere a te tornare. Egli giace con compagnia troppo piùlaudevole che quella che tu gli potessi dare. Egli giace in Ravennamolto più per età veneranda di te; e come che la suavecchiezza alquanto la renda deformeella fu nella sua giovanezzatroppo più florida che tu non se'. Ella è quasi ungenerale sepolcro di santissimi corpiné niuna parte in essasi calcadove su per reverendissime ceneri non si vada. Chi dunquedisidererebbe di tornare a te per dovere giacere fra le tuele qualisi può credere che ancora servino la rabbia e l'iniquitànella vita avutee male concorde insieme si fuggano l'una dal'altranon altramenti che facessero le fiamme de’ due Tebani?E come che Ravenna già quasi tutta del prezioso sangue dimolti martiri si bagnassee oggi con reverenzia servi le lororeliquiee similmente i corpi di molti magnifici imperadori ed'altri uomini chiarissimi e per antichi avoli e per opere virtuoseella non si rallegra poco d'esserle stato da Diooltre a l'altre suedoteconceduto d'essere perpetua guardiana di così fattotesorocome è il corpo di coluile cui opere tengono inammirazione tutto il mondoe del quale tu non ti se’ saputa fardegna. Ma certo egli non è tanta l'allegrezza d'averloquantala invidia ch'ella ti porta che tu t'intitoli della sua originequasi sdegnando che dove ella sia per l'ultimo dì di luiricordatatu allato a lei sii nominata per lo primo. E perciòcon la tua ingratitudine ti rimanie Ravenna de’ tuoi onorilieta si glorii tra’ futuri.





XIX
Brevericapitolazione

       Cotalequale di sopra è dimostratafu a Dante la fine della vitafaticata da’ vari studii; eperciò che assaiconvenevolmente le sue fiammela familiare e la publicasollecitudine e il miserabile esilio e la fine di lui mi pare averesecondo la mia promessa mostrategiudico sia da pervenire a mostraredella statura del corpodell'abitoe generalmente de’ piùnotabili modi servati nella sua vita da lui; da quegli poiimmediatamente vegnendo all'opere degne di notacompilate da essonel tempo suoinfestato da tanta turbine quanta di sopra brievementeè dichiarata.



XX
Fattezzee costumi di Dante

       Fuadunque questo nostro poeta di mediocre staturaepoi che allamatura età fu pervenutoandò alquanto curvettoe erail suo andare grave e mansuetod'onestissimi panni sempre vestito inquell'abito che era alla sua maturità convenevole. Il suovolto fu lungoe il naso aquilinoe gli occhi anzi grossi chepicciolile mascelle grandie dal labbro di sotto era quel di sopraavanzato; e il colore era brunoe i capelli e la barba spessinerie crespie sempre nella faccia malinconico e pensoso. Per la qualcosa avvenne un giorno in Veronaessendo già divulgatapertutto la fama delle sue operee massimamente quella parte dellasua Comediala quale egli intitola Infernoe esso conosciuto damolti e uomini e donnechepassando egli davanti a una porta dovepiù donne sedevanouna di quelle pianamentenon peròtanto che bene da lui e da chi con lui era non fosse uditadisseall'altre: "Donnevedete colui che va nell'infernoe tornaquando gli piacee qua su reca novelle di coloro che là giùsono?" Alla quale una dell'altre rispose semplicemente: "Inverità tu dèi dir vero: non vedi tu com'egli ha labarba crespa e il color bruno per lo caldo e per lo fummo che èlà giù?". Le quali parole udendo egli dir dietro asée conoscendo che da pura credenza delle donne venivanopiacendoglie quasi contento ch'esse in cotale oppinione fosserosorridendo alquantopassò avanti.
       Ne’costumi domestici e publici mirabilemente fu ordinato e compostoein tutti più che alcuno altro cortese e civile.
       Nelcibo e nel poto fu modestissimosì in prenderlo all'oreordinate e sì in non trapassare il segno della necessitàquel prendendo; né alcuna curiosità ebbe mai piùin uno che in uno altro: li dilicati lodavae il più sipasceva di grossioltre modo biasimando coloroli quali gran partedel loro studio pongono e in avere le cose elette e quelle fare consomma diligenzia apparare; affermando questi cotali non mangiare perviverema più tosto vivere per mangiare.
       Niunoaltro fu più vigilante di lui e negli studii e in qualunquealtra sollecitudine il pugnesse; intanto che più volte e lasua famiglia e la donna se ne dolfonoprima chea’ suoicostumi adusateciò mettessero in non calere .
       Radevoltese non domandatoparlavae quelle pesatamente e con voceconveniente alla materia di che diceva; non pertantolà dovesi richiedevaeloquentissimo fu e facundoe con ottima e prontaprolazione.
       Sommamentesi dilettò in suoni e in canti nella sua giovanezzae aciascuno che a que’ tempi era ottimo cantatore o sonatore fuamico e ebbe sua usanza; e assai coseda questo diletto tiratocomposele quali di piacevole e maestrevole nota a questi cotalifacea rivestire.
       Quantoferventemente esso fosse ad amor sottopostoassai chiaro ègià mostrato. Questo amore è ferma credenza di tuttiche fosse movitore del suo ingegno a dovereprima imitandodivenirdicitore in volgare; poiper vaghezza di più solennementemostrare le sue passioniedi gloriasollecitamente esercitandosi inquellanon solamente passò ciascuno suo contemporaneomaintanto la dilucidò e fece bellache molti allora e poi didietro a sé n'ha fatti e farà vaghi d'essereesperti.
       Dilettossisimilemente d'essere solitario e rimoto dalle gentiacciò chele sue contemplazioni non gli fossero interrotte; e se pure alcunache molto piaciuta gli fosse ne gli venivaessendo esso tra gentequantunque d'alcuna cosa fosse stato addomandatogiammai infino atanto che egli o fermata o dannata la sua imaginazione avessenonavrebbe risposto al dimandante: il che molte volteessendo egli allamensae essendo in cammino con compagnie in altre partidomandatogli avvenne.
       Ne’suoi studi fu assiduissimoquanto è quel tempo che ad essi sidisponeaintanto che niuna novità che s'udisse da quegli ilpoteva rimuovere. Esecondo che alcuni degni di fede raccontano diquesto darsi tutto a cosa che gli piacesseegliessendo una voltatra l'altre in Sienae avvenutosi per accidente alla stazzone d'unospezialee quivi statogli recato uno libretto davanti promessoglietra’ valenti uomini molto famosoné da lui stato giammaivedutonon avendo per avventura spazio di portarlo in altra partesopra la panca che davanti allo speziale erasi pose col pettoemessosi il libretto davantiquello cupidissimamente cominciòa vedere. E come che poco appresso in quella contrada stessaedinanzi da luiper alcuna general festa de’ Sanesis’incominciasse da gentili giovani e facesse una grande armeggiataecon quella grandissimi romori da’ circustanti (sì come incotali casi con istrumenti varii e con voci applaudenti suol farsi)e altre cose assai v'avvenissero da dover tirare altrui a vedersisìcome balli di vaghe donne e giuochi molti di giovani; mai non fualcuno che muovere quindi il vedessené alcuna volta levaregli occhi dal libro: anzipostovisi quasi ad ora di nonaprima fupassato vesproe tutto l'ebbe veduto e quasi sommariamente compresoche egli da ciò si levasse; affermando poi ad alcuniche ildomandavano come s'era potuto tenere di riguardare a cosìbella festa come davanti a lui s'era fattasé niente avernesentito: per che alla prima maraviglia non indebitamente la secondas'aggiunse a’ dimandanti.
       Fuancora questo poeta di maravigliosa capacità e di memoriafermissima e di perspicace intellettointanto cheessendo egli aParigie quivi sostenendo in una disputazione de quolibet che nellescuole della teologia si faceaquattordici quistioni da diversivalenti uomini e di diverse materiecon gli loro argomenti pro econtra fatti dagli opponentisenza mettere in mezzo raccolseeordinatamentecome poste erano staterecitò; quelle poiseguendo quello medesimo ordinesottilmente solvendo e rispondendoagli argomenti contrari. La qual cosa quasi miracolo da tutti icircustanti fu reputata.
       D'altissimoingegno e di sottile invenzione fu similmentesì come le sueopere troppo più manifestano agl'intendenti che non potrebbonofare le mie lettere.
       Vaghissimofu e d'onore e di pompa per avventura più che alla sua inclitavirtù non si sarebbe richiesto. Ma che? qual vita ètanto umileche dalla dolcezza della gloria non sia tocca? E perquesta vaghezza credo che oltre ad ogni altro studio amasse lapoesiaveggendocome che la filosofia ogni altra trapassi dinobiltàla eccellenzia di quella con pochi potersicomunicaree esserne per lo mondo molti famosi; e la poesia piùessere apparente e dilettevole a ciascunoe li poeti rarissimi. Eperciòsperando per la poesì allo inusitato e pomposoonore della coronazione dell'alloro poter perveniretutto a lei sidiede e istudiando e componendo. E certo il suo disiderio venivainterose tanto gli fosse stata la Fortuna graziosache egli fossegiammai potuto tornare in Firenzenella quale sola sopra le fonti diSan Giovanni s'era disposto di coronare; acciò che quividoveper lo battesimo aveva preso il primo nomequivi medesimo per lacoronazione prendesse il secondo. Ma così andò chequantunque la sua sufficienza fosse moltae per quella in ogniparteove piaciuto gli fosseavesse potuto l'onore della laureapigliare (la quale non iscienzia accrescema èdell'acquistata certissimo testimonio e ornamento); purquellatornatache mai non doveva essereaspettandoaltrove pigliar nonla volle; e cosisenza il molto disiderato onore averesi morì.Mapercio che spessa quistione si fa tra le gentie che cosa sia lapoesì e che il poetae donde sia questo nome venuto e perchédi lauro sieno coronati i poetie da pochi pare essere statomostrato; mi piace qui di fare alcuna transgressionenella quale ioquesto alquanto dichiaritornandocome più tosto potròal proposito.



XXI
Disgressionesu''origine della poesia

       Laprima gente ne’ primi secolicome che rozzissima e incultafosseardentissima fu di conoscere il vero con istudiosìcome noi veggiamo ancora naturalmente disiderare a ciascuno. La qualeveggendo il cielo muoversi con ordinata legge continuoe le coseterrene avere certo ordine e diverse operazioni in diversi tempipensarono di necessità dovere essere alcuna cosadalla qualetutte queste cose procedesseroe che tutte l'altre ordinassesìcome superiore potenzia da niun'altra potenziata. Equestainvestigazione seco diligentemente avutas'immaginarono quellalaquale "divinità" ovvero "deità"nominaronocon ogni cultivazionecon ogni onore e con piùche umano servigio esser da venerare. E perciò ordinaronoareverenza del nome di questa suprema potenziaampissime ed egregiecasele quali ancora estimarono fossero da separare così dinomecome di forma separate eranoda quelle che generalmente pergli uomini si abitavano; e nominaronle "templi". Esimilmente avvisarono doversi ministrili quali fossero sacri edaogni altra mondana sollecitudine rimotisolamente a’ diviniservigi vacasseroper maturitàper età e per abitopiù che gli altri uominireverendi; gli quali appellarono"sacerdoti". E oltre a questoin rappresentamento dellaimmaginata essenzia divinafecero in varie forme magnifiche statuee a’ servigi di quella vasellamenti d'oro e mense marmoree epurpurei vestimenti e altri apparati assai pertinenti a’sacrificii per loro istabiliti. Eacciò che a questa cotalepotenzia tacito onore o quasi mutolo non si facesseparve loro checon parole d'alto suono essa fosse da umiliare e alle loro necessitàrendere propizia. E così come essi estimavano questa eccedereciascuna altra cosa di nobilitàcosì vollono chedilungi da ogni plebeio o publico stilo di parlaresi trovasseroparole degne di ragionare dinanzi alla divinitànelle qualile si porgessero sacrate lusinghe. E oltre a questoacciò chequeste parole paressero avere più d'efficaciavollero chefossero sotto legge di certi numeri composteper li quali alcunadolcezza si sentissee cacciassesi il rincrescimento e la noia. Ecertoquesto non in volgar forma o usitatama con artificiosa edesquisita e nuova convenne che si facesse. La qual forma li greciappellano poetes; laonde nacqueche quello che in cotale forma fattofosse s'appellasse poesis; e quegliche ciò facessero ocotale modo di parlare usassonosi chiamassero"poeti".
       Questaadunque fu la prima origine del nome della poesiae per consequentede’ poeticome che altri n'assegnino altre ragioniforsebuone: ma questa mi piace più.
       Questabuona e laudevole intenzione della rozza età mosse molti adiverse invenzioni nel mondo multiplicante per apparere; e dove iprimi una sola deità onoravanomostrarono i seguenti molteessernecome che quella una dicessono oltre ad ogni altra ottenereil principato; le quali molte vollero che fossero il Solela LunaSaturnoIove e ciascuno degli altri de’ sette pianetidagliloro effetti dando argomento alla loro deità; e da questivennero a mostrare ogni cosa utile agli uominiquantunque terrenafossedeità esseresì come il fuocol'acqualaterra e simiglianti. Alle quali tutte e versi e onori e sacrificiis'ordinarono. E poi susseguentemente cominciarono diversi in diversiluoghichi con uno ingegnochi con un altroa farsi sopra lamoltitudine indòtta della sua contrada maggiori; diffinendo lerozze quistioninon secondo scritta leggeché non l'aveanoancorama secondo alcuna naturale equità della quale piùuno che un altro era dotato; dando alla loro vita e alli loro costumiordinedalla natura medesima più illuminati; resistendo conle loro corporali forze alle cose avverse possibili ad avvenire; e achiamarsi <<re>>e mostrarsi alla plebe e con servi econ ornamenti non usati infino a que’ tèmpi dagli uomini;a farsi ubbidire; e ultimamente a farsi adorare. Il chesolo chefosse chi 'l presumessesanza troppa difflcultà avvenia:perciò che a’ rozzi popoli parevanocosìvedendoglinon uomini ma iddii. Questi cotalinon fidandosi tantodelle lor forzecominciarono ad aumentare le religionie con lafede di quelle ad impaurire i suggetti e a strignere con sacramentialla loro obbedienza quegli li quali non vi si sarebbono potuti conforza costrignere. E oltre a questo diedono opera a deificare li lorpadrili loro avoli e li loro maggioriacciò che piùfossero e temuti e avuti in reverenzia dal vulgo. Le quali cose nonsi poterono comodamente fare senza l'oficio de’ poetili qualisì per ampliare la loro famasì per compiacere a’prencipisì per dilettare i sudditie sì perpersuadere il virtuosamente operarea ciascuno-quello che con apertoparlare saria suto della loro intenzione contrario- con fizioni variee maestrevolimale da’ grossi oggi non che a quel tempo intesefacevano credere quello che li prencipi volevan che si credesse;servando negli nuovi iddii e negli uominigli quali degl'iddii natifingevanoquello medesimo stile che nel vero Iddio solamente e nelsuo lusingarlo avevan gli primi usato. Da questo si venne alloadequare i fatti de’ forti uomini a quegli degl'iddii; dondenacque il cantare con eccelso verso le battaglie e gli altri notabilifatti degli uomini mescolatamente con quegli degl'iddii; il quale efu ed è oggiinsieme con l'altre cose di sopra detteuficioed esercizio di ciascuno poeta. E perciò che molti nonintendenti credono la poesia niuna altra cosa essere che solamente unfabuloso parlareoltre al promesso mi piace brievemente quellaessere teologia dimostrareprima ch'io vegna a dire perché dilauro si coronino i poeti.



XXII
Difesadella poesia

       Senoi vorremo por giù gli animi e con ragion riguardareio micredo che assai leggiermente potremo vedere gli antichi poeti avereimitatetanto quanto a lo 'ngegno umano è possibilelevestigie dello Spirito Santo; il qualesì come noi nelladivina Scrittura veggiamoper la bocca di molti i suoi altissimisecreti revelò a’ futurifacendo loro sotto velameparlare ciò che a debito tempo per operasenza alcuno velointendeva di dimostrare. Imperciò che essise noiragguarderemo ben le loro opereacciò che lo imitatore nonparesse diverso dallo imitatosotto coperta d'alcune fizioniquelloche stato erao che fosse al loro tempo presenteo che disideravanoo che presummevano che nel futuro dovesse avvenirediscrissono; perchecome che ad uno fine l'una scrittura e l'altra non riguardassema solo al modo del trattareal che più guarda al presentel'animo mioad amendune si potrebbe dare una medesima laudeusandodi Gregorio le parole. Il quale della sacra Scrittura dice ciòche ancora della poetica dir si puote: cioè che essa in unomedesimo sermonenarrandoapre il testo e il misterio a quelsottoposto; e così ad un'ora coll'uno gli savi esercita e conl'altro gli semplici riconfortae ha in publico donde li pargolettinutrichie in occulto serva quello onde essa le menti de’sublimi intenditori con ammirazione tenga sospese. Perciò chepare essere un fiumeacciò che io così dicapiano eprofondonel quale il piccioletto agnello con gli piè vadaeil grande elefante ampissimamente nuoti. Ma da procedere è alverificare delle cose proposte.
       Intendela divina Scritturala qual noi "teologia" appelliamoquando con figura d'alcuna istoriaquando col senso d'alcunavisionequando con lo 'ntendimento d'alcun lamentoe in altremaniere assaimostrarci l'alto misterio della incarnazione del Verbodivinola vita di quellole cose occorse nella sua mortee laresurrezione vittoriosae la mirabile ascensionee ogni altro suoattoper lo quale noi ammaestratipossiamo a quella gloriapervenirela quale Egli e morendo e resurgendo ci aperselungamentestata serrata a noi per la colpa del primiero uomo. Così lipoeti nelle loro operele quali noi chiamiamo "poesia"quando con fizioni di vari iddiiquando con trasmutazioni d'uominiin varie formee quando con leggiadre persuasionine mostrano lecagioni delle cosegli effetti delle virtù e de’ vizieche fuggire dobbiamo e che seguireacciò che pervenirepossiamo virtuosamente operandoa quel fineil quale essiche ilvero Iddio debitamente non conosceanosomma salute credevano. Vollelo Spirito Santo mostrare nel rubo verdissimonel quale Moisèvidequasi come una fiamma ardenteIddiola verginità diColei che più che altra creatura fu purae che dovea essereabitazione e ricetto del Signore della naturanon doversiper laconcezione né per lo parto del Verbo del Padrecontaminare.Volleper la visione veduta da Nabucodonosornella statua di piùmetalli abbattuta da una pietra convertita in montemostrare tuttele preterite età dalla dottrina di Cristoil quale fu ed èviva pietradovere summergersi; e la cristiana religionenata diquesta pietradivenire una cosa immobile e perpetuasì comegli monti veggiamo. Volle nelle lamentazioni di Ieremial'eccidiofuturo di Ierusalem dichiarare.
       Similmenteli nostri poetifingendo Saturno avere molti figliuolie queglifuori che quattrodivorar tuttiniuna altra cosa vollono per talefizione farci sentirese non per Saturno il temponel quale ognicosa si producee come ella in esso è prodottacosì èesso di tutte corrompitoree tutte le riduce a niente. I quattrosuoi figliuoli non divorati da luiè l'uno Iovecioèl'elemento del fuoco; il secondo è Iunonesposa e sorella diIovecioè l'aeremediante la quale il fuoco quaggiùopera li suoi effetti: il terzo è Nettunnoiddio del marecioè l'elemento dell'acqua; e il quarto e ultimo èPlutoneiddio del ninfernocioè la terrapiù bassache alcuno altro elemento. Similemente fingono li nostri poeti Erculed'uomo essere in dio trasformatoe Licaone in lupo. Moralmentevolendo mostrarci chevirtuosamente operandocome fece Erculel'uomo diventa iddio per participazione in cielo; eviziosamenteoperandocome Licaone fecequantunque egli paia uomonel vero sipuò dire quella bestiala quale da ciascuno si conosce pereffetto più simile al suo difetto: sì come Licaone perrapacità e per avariziale quali a lupo sono molto conformisi finge in lupo esser mutato. Similemente fingono li nostri poeti labellezza de’ Campi elisiiper la quale intendo la dolcezza delparadiso; e la oscurità di Diteper la quale prendol'amaritudine dello 'nferno; acciò che noitratti dal piaceredell'unoe dalla noia dell'altro spaventatiseguitiamo le virtùche in Eliso ci menerannoe i vizi fuggiamo che in Dite ci farienotrarupare. Io lascio il tritare con più particulariesposizioni queste coseperciò chese quanto si converrebbee potrebbe le volessi chiarirecome che elle più piacevoli nedivenissero e più facessero forte il mio argomentodubito nonmi tirassero più oltre molto che la principale materia nonrichiede e che io non voglio andare. E certose più non se nedicesse che quello ch'è dettoassai si dovrebbe comprenderela teologia e la poesia convenirsi quanto nella forma dell'operarema nel suggetto dico quelle non solamente molto essere diversemaancora avverse in alcuna parte: perciò che il suggetto dellasacra teologia è la divina veritàquello dell'anticapoesì sono gl'iddii de’ Gentili e gli uomini. Avversesonoin quanto la teologia niuna cosa presuppone se non vera; lapoesia ne suppone alcune per verele quali sono falsissime ederronee e contra la cristiana religione. Maperciò che alcunidisensati si levano contra li poetidicendo loro sconce favole emale a niuna verità consonanti avere compostee che in altraforma che con favole dovevano la loro sofficienzia mostrare e a’mondani dare la loro dottrina; voglio ancora alquanto piùoltre procedere col presente ragionamento.
       Guardinoadunque questi cotali le visioni di Danièlloquelle d'Isaiaquelle d'Ezechiele degli altri del Vecchio Testamento con divinapenna discrittee da Colui mostrate al quale non fu principio nésarà fine. Guardinsi ancora nel Nuovo le visioni delloevangelistapiene agl'intendenti di mirabile verità; eseniuna poetica favola si truova tanto di lungi dal vero o dalverisimilequanto nella corteccia appaiono queste in molte particoncedasi che solamente i poeti abbiano dette favole da non poteredare diletto né frutto. Senza dire alcuna cosa allariprensione che fanno de’ poetiin quanto la loro dottrina infavole ovvero sotto favole hanno mostratami potrei passare;conoscendo chementre che essi mattamente gli poeti riprendono diciòincautamente caggiono in biasimare quello Spiritoilquale nulla altra cosa è che viavita e verità; mapure alquanto intendo di soddisfargli.
       Manifestacosa è che ogni cosache con fatica s'acquistaaverealquanto più di dolcezza che quella che vien senza affanno. Laverità pianaperciò ch'è tosto compresa conpiccole forzediletta e passa nella memoria. Adunqueacciòche con fatica acquistata fosse più gratae perciòmeglio si conservasseli poeti sotto cose molto ad essa contrarieapparentila nascosero; e perciò favole feceropiùche altra copertaperché la bellezza di quelle attraessecoloroli quali né le dimostrazion filosofichené lepersuasioni avevano potuto a sé tirare. Che dunque direm de’poeti? terremo ch'essi sieno stati uomini insensaticome li presentidissensatiparlando e non sappiendo chegli giudicano? Certo no;anzi furono nelle loro operazioni di profondissimo sentimentoquantoè nel frutto nascosoe d'eccellentissima e d'ornataeloquenzia nelle cortecce e nelle frondi apparenti. Ma torniamo dovelasciammo.
       Dico che lateologia e la poesia quasi una cosa si possono diredove unomedesimo sia il suggetto; anzi dico più: che la teologianiun'altra cosa è che una poesia di Dio. E che altra cosa èche poetica fizionenella Scritturadire Cristo essere ora leone eora agnello e ora verminee quando drago e quando pietrae in altremaniere moltele quali voler tutte raccontare sarebbe lunghissimo?che altro suonano le parole del Salvatore nello evangeliose non unosermone da’ sensi alieno? il quale parlare noi con piùusato vocabolo chiamiamo "allegoria". Dunque bene apparenon solamente la poesì essere teologiama ancora la teologiaessere poesia. E certose le mie parole meritano poca fede in sìgran cosaio non me ne turberò; ma credasi ad Aristotiledegnissimo testimonio ad ogni gran cosail quale afferma séaver trovato li poeti essere stati li primi teologizzanti. E questobasti quanto a questa parte; e torniamo a mostrare perché a’poeti solamentetra gli scienziatil'onore della corona dell'alloroconceduto fosse.



XXIII
Dell'alloroconceduto ai poeti

       Tral'altre nazionile quali sopra il circuito della terra son molteliGreci si crede che sieno quegli alli quali primieramente la filosofiasé e li suoi segreti aprisse; de’ tesori della quale essitrassero la dottrina militarela vita politica e altre care coseassaiper le quali essi oltre a ogni altra nazione divennero famosie reverendi. Ma intra l'altretratte del costei tesoro da lorofula santissima sentenzia di Solone nel principio posta di questaoperetta; e acciò che la loro republicala quale piùche altra allora fiorivadiritta e andasse e stesse sopra due piedie le pene a’ nocenti e i meriti a’ valorosi magnificamenteordinarono e osservarono. Maintra gli altri meriti stabiliti daloro a chi bene adoperassefu questo il precipuo: di coronare inpublicoe con publico consentimentodi frondi d'alloro li poetidopo la vittoria delle loro fatichee gl'imperadorili qualivittoriosamente avessero la republica aumentata; giudicando che igualgloria si convenisse a colui per la cui virtù le cose umaneerano e servate e aumentateche a colui da cui le divine erantrattate. E come che di questo onore li Greci fossero inventoriessopoi trapassò a’ Latiniquando la gloria e l'armeparimente di tutto il mondo diedero luogo al romano nome; e ancoraalmeno nelle coronazioni de’ poeticome che rarissimamenteavvengavi dura. Maperché a tale coronazione più illauro che altra fronda eletto sianon dovrà essere a vederrincrescevole.



XXIV
Originedi questa usanza

       Sonoalcuni li quali credonoperciò che sanno Danne amata da Feboe in lauro convertitaessendo Febo e il primo auttore e fautore de’poeti stato e similmente triunfatoreper amore a quelle frondiportatodi quelle le sue cetere e i triunfi aver coronati; e quinciessere stato preso esemplo dagli uominie per conseguente esserequelloche da Febo fu prima fattocagione di tale coronazione e ditai frondi infino a questo giorno a’ poeti e agl'imperadori. Ecerto tale oppinione non mi spiacené nego così poteressere stato; ma tuttavia me muove altra ragionela quale èquesta. Secondo che vogliono coloroli quali le virtù dellepiante ovvero la loro natura investigaronoil lauro tra l'altre piùsue proprietà n'ha tre laudevoli e notevoli molto. La prima siècome noi veggiamoche mai egli non perde néverdezzané fronda; la seconda si è che non si truovaquesto àlbore mai essere stato fulminatoil che di niunoaltro leggiamo essere avvenuto; la terzache egli è odoriferomoltosì come noi sentiamo: le quali tre proprietàestimarono gli antichi inventori di questo onore convenirsi con levirtuose opere de’ poeti e de’ vittoriosi imperadori. Eprimieramente la perpetua viridità di queste frondi dissonodimostrare la fama delle costoro operecioè di coloro ched'esse si coronavano o coronerebbono nel futurosempre dovere starein vita. Appresso estimarono l'opere di questi cotali essere di tantapotenziache né il fuoco della invidiané la folgoredella lunghezza del tempola quale ogni cosa consumadovesse maiqueste potere fulminarese non come quello albero fulminava laceleste folgore. E oltre a questo diceano queste opere de’ giàdetti per lunghezza di tempo mai dover divenire meno piacevoli egraziose a chi l'udisse o le leggessema sempre dovere essereaccettevoli e odorose. Laonde meritamente si confaceva la corona dicotai frondipiù ch'altraa cotali uominigli cui effettiin tanto quanto vedere possiamoerano a lei conformi. Per che nonsenza cagione il nostro Dante era ardentissimo disideratore di taleonore ovvero di cotale testimonia di tanta vertùquale questaè a coloro li quali degni si fanno di doversene ornare letempie. Ma tempo è di tornare là ondeintrando inquesto ci dipartimmo.





XXV
Caratteredi Dante

       Fuil nostro poetaoltre alle cose predetted'animo alto e disdegnosomolto; tanto checercandosi per alcun suo amicoil quale adistanzia de’ suoi prieghi il faceache egli potesse ritornarein Fiorenzail che egli oltre ad ogni altra cosa sommamentedisideravané trovandosi a ciò alcuno modo con coloroli quali il governo della republica allora aveano nelle manise nonunoil quale era questo: che egli per certo spazio stesse inprigionee dopo quello in alcuna solennità publica fossemisericordievolmente alla nostra principale ecclesia offertoe perconseguente libero e fuori d'ogni condennagione per addietro fatta dilui; la qual cosa parendogli convenirsi e usarsi in qualunque       Molto simigliantementepresunse di séné gli parve meno valeresecondo che isuoi contemporanei rapportanoche el valesse; la qual cosatral'altre volteapparve una notabilmentementre che egli era con lasua setta nel colmo del reggimento della republica. Chéconciò fosse cosa che per coloro li quali erano depressi fossechiamatomediante Bonifazio papa VIIIa ridirizzare lo stato dellanostra cittàuno fratello ovvero congiunto di Filippo allorare di Franciail cui nome fu Carlosi ragunarono ad uno consiglioper provedere a questo fatto tutti li prencipi della setta con laquale esso tenea; e quivi tra l'altre cose providero che ambasceriasi dovesse mandare al papail quale allora era a Romaper la quales'inducesse il detto papa a dovere ostare alla venuta del dettoCarloovvero luicon concordia della settala quale reggevafarvenire. E venuto al diliberare chi dovesse esser prencipe di cotalelegazionefu per tutti detto che Dante fosse desso. Alla qualerichiesta Dantealquanto sopra sé statodisse: "Se iovochi rimane? se io rimangochi va?"quasi esso solo fossecolui che tra tutti valessee per cui tutti gli altri valessero.Questa parola fu intesa e raccoltama quello che di ciòseguisse non fa al presente propositoe peròpassandoavantiil lascio stare.
       Oltrea queste cosefu questo valente uomo in tutte le sue avversitàfortissimo: solo in una cosa non so se io mi dica fu impaziente oanimosocioè in opera pertenente a partepoi che in esiliofutroppo più che alla sua sufficienzia non apparteneaech'egli non volea che di lui per altrui si credesse. E acciòche a qual parte fosse così animoso e pertinace appaiamipare sia da procedere alquanto più oltre scrivendo.
       Iocredo che giusta ira di Dio permettessegià è grantempoquasi tutta Toscana e Lombardia in due parti dividersi; dellequalionde cotali nomi s'avesseronon so; ma l'una si chiamòe chiama "parte guelfa"e l'altra fu "ghibellina"chiamata. E di tanta efficacia e reverenzia furono negli stolti animidi molti questi due nomicheper difendere quello che alcuno avesseeletto per suo contra il contrarionon gli era di perdere gli suoibeni e ultimamente la vitase bisogno fosse fattomalagevole. Esotto questi titoli molte volte le città italiche sostennerodi gravissime pressure e mutamenti; e intra l'altre la nostra cittàquasi capo e dell'uno nome e dell'altrosecondo il mutamento de’cittadini; intanto che gli maggiori di Dante per guelfi da’ghibellini furono due volte cacciati di casa loroe eglisimilementesotto il titolo di guelfotenne i freni della republicain Firenze. Della quale cacciatocome mostrato ènon da’ghibellini ma da’ guelfie veggendo sé non potereritornarein tanto mutò l'animoche niuno più fieroghibellino e a’ guelfi avversario fu come lui; e quello di cheio più mi vergogno in servigio della sua memoria è chepublichissima cosa è in Romagnalui ogni feminellaognipiccol fanciullo ragionante di parte e dannante la ghibellinal'avrebbe a tanta insania mossoche a gittare le pietre l'avrebbecondottonon avendo taciuto. E con questa animosità si visseinfino alla morte.
       Certoio mi vergogno dovere con alcuno difetto maculare la fama di cotantouomo; ma il cominciato ordine delle cose in alcuna parte il richiede;perciò chese nelle cose meno che laudevoli in lui mi taceròio torrò molta fede alle laudevoli già mostrate. A luimedesimo adunque mi scusoil quale per avventura me scrivente conisdegnoso occhio d'alta parte del cielo ragguarda.
       Tracotanta virtùtra cotanta scienziaquanta dimostrato èdi sopra essere stata in questo mirifico poetatrovòampissimo luogo la lussuriae non solamente ne’ giovani annima ancora ne’ maturi. Il quale viziocome che naturale e comunee quasi necessario sianel vero non che commendarema scusare nonsi può degnamente. Ma chi sarà tra’ mortali giustogiudice a condennarlo? Non io. Oh poca fermezzaoh bestiale appetitodegli uominiche cosa non possono le femmine in nois'ellevoglionocheeziandio non volendoposson gran cose? Esse hanno lavaghezzala bellezza e il naturale appetito e altre cose assaicontinuamente per loro ne’ cuori degli uomini procuranti; e chequesto sia verolasciamo stare quello che Giove per Europao Erculeper Ioleo Paris per Elena facesserochéperciò chepoetiche cose sonomolti di poco sentimento le dirien favole; mamostrisi per le cose non convenevoli ad alcuno di negare. Era ancoranel mondo più che una femina quando il nostro primo padrelasciato il comandamento fattogli dalla propia bocca di Dios'accostò alle persuasioni di lei? Certo no. E Davidnonostante che molte n'avessesolamente veduta Bersabè per leidimenticò Iddioil suo regnosé e la sua onestàe adultero prima e poi omicida divenne: che si dee credere che egliavesse fattose ella alcuna cosa avesse comandato? E Salomone al cuisenno niunodal figliuolo di Dio in fuoriaggiunse mainonabbandonò colui che savio l'aveva fattoe per piacere a unafemmina s'inginocchiò e adorò Baalim? Che fece Erode?che altri moltida niuna altra cosa tirati che dal piacer loro?Adunque tra tanti e tali non iscusatomaaccusato con assai menocurva fronte che solopuò passare il nostro poeta. E questobasti al presente de’ suoi costumi più notabili averecontato.



XXVI
Delleopere composte da Dante

Composequesto glorioso poeta più opere ne’ suoi giornidellequali fare ordinata memoria credo che sia convenevoleacciòche né alcuno delle sue s'intitolassené a lui fosseroper avventura intitolate l'altrui. Egli primieramenteduranti ancorale lagrime della morte della sua Beatricequasi nel suoventesimosesto anno compose in un volumettoil quale egli intitolòVita novacerte operettesì come sonetti e canzoniindiversi tempi davanti in rima fatte da luimaravigliosamente belle;di sopra da ciascuna partitamente e ordinatamente scrivendo lecagioni che a quelle fare l'avea[n] mossoe di dietro ponendo ledivisioni delle precedenti opere. E come che egli d'avere questolibretto fattonegli anni più maturi si vergognasse moltonondimenoconsiderata la sua etàè egli assai bello epiacevolee massimamente a’ volgari.
       Appressoquesta compilazione più anniragguardando egli della sommitàdel governo della republicasopra la quale stavae veggendo ingrandissima partesì come di così fatti luoghi sivedequal fosse la vita degli uominie quali fossero gli errori delvulgoe come fossero pochi i disvianti da quelloe di quanto onoredegni fosseroe quegliche a quello s'accostasserodi quantaconfusionedannando gli studii di questi cotali e molto piùli suoi commendandogli venne nell'animo uno alto pensieroper loquale ad una oracioè in una medesima operaproposemostrando la sua sofficienziadi mordere con gravissime pene iviziosie con altissimi premii li valorosi onoraree a séperpetua gloria apparecchiare. Eperciò checome giàè mostratoegli aveva a ogni studio preposta la poesiapoetica opera estimò di comporre. Eavendo molto davantipremeditato quello che fare dovessenel suo trentacinquesimo anno sicominciò a dare al mandare ad effetto ciò che davantipremeditato aveacioè a volere secondo i meriti e mordere epremiaresecondo la sua diversitàla vita degli uomini. Laqualeperciò che conobbe essere di tre manierecioèviziosao da’ vizii partentesi e andante alla vertùovirtuosaquella in tre libridal mordere la viziosa cominciando efinendo nel premiare la virtuosamirabilmente distinse in un volumeil quale tutto intitolò Comedia. De’ quali tre libri egliciascuno distinse per canti e i canti per rittimisì comechiaro si vede; e quello in rima volgare compose con tanta arteconsì mirablle ordine e con sì belloche niuno fu ancorache giustamente quello potesse in alcuno atto riprendere. Quantosottilmente egli in esso poetasse pertuttocoloroalli quali ètanto ingegno prestato che 'ntendanoil possono vedere. Masìcome noi veggiamo le gran cose non potersi in brieve tempocomprenderee per questo conoscer dobbiamo così altacosìgrandecosì escogitata impresacome fu tutti gli atti degliuomini e i loro meriti poeticamente volere sotto versi volgari erimati racchiuderenon essere stato possibile in picciolo spazioavere al suo fine recatae massimamente da uomoil quale da molti evarii casi della Fortunapieni tutti d'angoscia e d'amaritudinevenenatisia stato agitato (come di sopra mostrato è che fuDante): per che dall'ora che di sopra è detta che egli a cosialto lavorio si diede infino allo stremo della sua vitacome chealtre operecome apparirànon ostante questacomponesse inquesto mezzogli fu fatica continua. Né fia di soperchio inparte toccare d'alcuni accidenti intorno al principio e alla fine diquella avvenuti.
       Dicochementre che egli era più attento al glorioso lavoroe giàdella prima parte di quellola quale intitola Infernoavevacomposti sette cantimirabilmente fingendoe non miga come gentilema come cristianissimo poetandocosa sotto questo titolo mai avantinon fattasopravvenne il gravoso accidente della sua cacciataofuga che chiamar si convegnaper lo quale egli e quella e ogni altracosa abbandonataincerto di se medesimopiù anni con diversiamici e signori andò vagando. Macome noi dovemocertissimamente credere a quello che Iddio dispone niuna cosacontraria la Fortuna potere operareper la qualese forse vi puòporre indugioistôrla possa dal debito fineavvenne chealcuno per alcuna sua scrittura forse a lui opportunacercando fracose di Dante in certi forzieri state fuggite subitamente in luoghisacrinel tempo che tumultuosamente la ingrata e disordinata plebegli erapiù vaga di preda che di giusta vendettacorsa allacasatrovò li detti sette canti stati da Dante compostigliquali con ammirazionenon sappiendo che si fosserolesseepiacendogli sommamentee con ingegno sottrattigli del luogo doveeranogli portò ad un nostro cittadinoil cui nome fu Dinodi messer Lambertuccioin quegli tempi famosissimo dicitore per rimain Firenzee mostrogliele. Li quali veggendo Dinouomo d'altointellettonon meno che colui che portati gliele aveasi maravigliòsì per lo bello e pulito e ornato stile del diresìper la profondità del sensoil quale sotto la bella cortecciadelle parole gli pareva sentire nascoso: per le quali coseagevolmente insieme col portatore di queglie sì ancora perlo luogo onde tratti gli aveaestimò quegli esserecomeeranoopera stata di Dante. Edolendosi quella essere imperfettarimasacome che essi non potessero seco presummere a qual fine fosseil termine suofra loro diliberarono di sentire dove Dante fosseequelloche trovato avevan mandargliacciò chese possibilefossea tanto principio desse lo 'mmaginato fine. Esentendo dopoalcuna investigazione lui essere appresso il marchese Morruellonona luima al marchese scrissono il loro disiderioe mandarono lisette canti; gli quali poi che il marcheseuomo assai intendenteebbe veduti e molto seco lodatigligli mostrò a Dantedomandandolo se esso sapea cui opera stati fossero; li quali Dantericonosciuti subitorispose che sua. Allora il pregò ilmarchese che gli piacesse di non lasciare senza debito fine sìalto principio. "Certo" disse Dante "io mi credeanella ruina delle mie cose questi con molti altri miei libri avereperdutie perciòsì per questa credenza e sìper la moltitudine dell'altre fatiche per lo mio esilio sopravvenutedel tutto avea l'alta fantasiasopra quest'opera presaabbandonata;mapoi che la Fortuna inopinatamente me gli ha ripinti dinanzie avoi aggradaio cercherò di ritornarmi a memoria il primopropositoe procederò secondo che data mi fia la grazia".E reassunta non sanza faticadopo alquanto tempo la fantasialasciataseguì: "Io dicoseguitandoch'assai prima"etc.; dove assai manifestamentechi ben riguardapuò laricongiunzione dell'opera intermessa conoscere.
       Ricominciataadunque da Dante la magnifica operanonforse secondo che moltiestimerebbonosenza più interromperla la perdusse alla fine;anzi più voltesecondo che la gravità de’ casisopravvegnenti richiedeaquando mesi e quando annisenza potervioperare alcuna cosamise in mezzo; né tanto si potéavacciareche prima nol sopraggiugnesse la morteche egli tuttapublicare la potesse. Egli era suo costumequale ora sei o otto opiù o meno canti fatti n'aveaquegliprima che alcuna altrogli vedessedonde che egli fossemandare a messer Cane della Scalail quale egli oltre a ogni altro uomo avea in reverenza; epoi cheda lui eran vedutine facea copia a chi la ne volea. E in cosìfatta maniera avendogliele tutti fuori che gli ultimi tredici cantimandatie quegii avendo fattiné ancora mandatigli; avvenneche eglisenza avere alcuna memoria di lasciarglisi morì.Ecercato da que’ che rimaseroe figliuoli e discepolipiùvolte e in più mesifra ogni sua scritturase alla sua operaavesse fatta alcuna finené trovandosi per alcun modo licanti residuiessendone generalmente ogni suo amico crucciosocheIddio non l'aveva almeno tanto prestato al mondo ch'egli il picciolorimanente della sua opera avesse potuto compieredal piùcercarenon trovandoglis'eranodisperatirimasi.
       EransiIacopo e Pierofigliuoli di Dantede’ quali ciascuno eradicitore in rimaper persuasioni d'alcuni loro amicimessi avolerein quanto per loro si potessesupplire la paterna operaacciò che imperfetta non procedesse; quando a Iacopoil qualein ciò era molto più che l'altro ferventeapparve unamirabile visionela quale non solamente dalla stolta presunzione iltolsema gli mostrò dove fossero li tredici cantili qualialla divina Comedia mancavanoe da loro non saputitrovare.
       Raccontava unovalente uomo ravignanoil cui nome fu Piero Giardinolungamentediscepolo stato di Dantechedopo l'ottavo mese della morte del suomaestroera una nottevicino all'ora che noi chiamiamo "matutino"venuto a casa sua il predetto Iacopoe dettogli sé quellanottepoco avanti a quell'oraavere nel sonno veduto Dante suopadrevestito di candidissimi vestimenti e d'una luce non usatarisplendente nel visovenire a lui; il quale gli parea domandares'egli viveae udire da lui per risposta di sìma della veravitanon della nostra; per cheoltre a questogli pareva ancoradomandarese egli avea compiuta la sua opera anzi il suo passarealla vera vitaese compiuta l'aveadove fosse quello che vimancavada loro giammai non potuto trovare. A questo gli parea laseconda volta udire per risposta: "Sìio la compie'";e quinci gli parea che 'l prendesse per mano e menasselo in quellacamera dove era uso di dormire quando in questa vita vivea; etoccando una parte di quelladicea: "Egli è qui quelloche voi tanto avete cercato". E questa parola dettaad una orail sonno e Dante gli parve che si partissono. Per la qual cosaaffermava sé non avesse potuto stare senza venirgli asignificare ciò che veduto aveaacciò che insiemeandassero a cercare nel luogo mostrato a luiil quale egliottimamente nella memoria aveva segnatoa vedere se vero spirito ofalsa delusione questo gli avesse disegnato. Per la quale cosarestando ancora gran pezzo di nottemossisi insiemevennero almostrato luogoe quivi trovarono una stuoiaal muro confittalaquale leggiermente levatanevidero nel muro una finestrettadaniuno di loro mai più vedutané saputo ch'ella vifossee in quella trovarono alquante scrittetutte per l'umiditàdel muro muffate e vicine al corrompersi se guari più state vifossero; e quelle pianamente dalla muffa purgateleggendoleviderocontenere li tredici canti tanto da loro cercati. Per la qual cosalietissimiquegli riscrittisecondo l'usanza dell'autore prima glimandarono a messer Canee poi alla imperfetta opera ricongiunsonocome si convenia. In cotale maniera l'operain molti anni compilatasi vide finita.
       Muovonomoltie intra essi alcuni savi uominigeneralmente una quistionecosì fatta: che con ciò fosse cosa Dante fosse iniscienzia solennissimo uomoperché a comporre cosìgrandedi sì alta materia e sì notabile librocome èquesta sua Comedianel fiorentino idioma si disponesse; perchénon più tosto in versi latinicome gli altri poeti precedentihanno fatto. A così fatta domanda risponderetra molteragionidue a l'altre principali me ne occorrono. Delle quali laprima è per fare utilità più comune a’ suoicittadini e agli altri Italiani: conoscendo chese metricamente inlatinocome gli altri poeti passatiavesse scrittosolamente a’letterati avrebbe fatto utile; scrivendo in volgare fece opera maipiù non fattae non tolse il non potere esser inteso da’letteratie mostrando la bellezza del nostro idioma e la suaeccellente arte in quelloe diletto e intendimento di sédiede agl'idiotiabbandonati per addietro da ciascheduno. La secondaragioneche a questo il mossefu questa. Vedendo egli li liberalistudii del tutto abbandonatie massimamente da’ prencipi edagli altri grandi uominia’ quali si soleano le poetichefatiche intitolaree per questo e le divine opere di Virgilio edegli altri solenni poeti non solamente essere in poco pregiodivenutema quasi da’ più disprezzate; avendo egliincominciatosecondo che l'altezza della materia richiedeainquesta guisa:



Ultimaregna canamfluido contermina mundu
spiritibus quae lata patentquae premia solvunt
pro meritis cuicumque suisetc.



ilasciò istare; eimmaginando invano le croste del pane porsialla bocca di coloro che ancora il latte sugganoin istile atto a’moderni sensi ricominciò la sua opera e perseguilla involgare.
       Questo librodella Comediasecondo il ragionare d'alcunointitolò egli atre solennissimi uomini italianisecondo la sua triplice divisionea ciascuno la suain questa guisa: la prima partecioè lo'Nfernointitolò a Uguiccione della Faggiuolail qualeallora in Toscana signore di Pisa era mirabilmente glorioso; laseconda partecioè il Purgatorointitolò al marcheseMoruello Malespina; la terza partecioè il ParadisoaFederigo III re di Cicilia. Alcuni vogliono dire lui averlointitolato tutto a messer Cane della Scala; maquale si sia diqueste due la veritàniuna cosa altra n'abbiamo che solamenteil volontario ragionare di diversi; né egli è sìgran fatto che solenne investigazione ne bisogni.
       Similementequesto egregio autore nella venuta d'Arrigo VII imperadore fece unlibro in latina prosail cui titolo è Monarchiail qualesecondo tre quistioni le quali in esso diterminain tre libridivise. Nel primo loicalmente disputandopruova che a ben essere delmondo sia di necessità essere imperio: la quale è laprima quistione. Nel secondoper argomenti istoriografi procedendomostra Roma di ragione ottenere il titolo dello imperio: ch'èla seconda quistione. Nel terzoper argomenti teologi pruoval'autorità dello 'mperio immediatamente procedere da Dioenon mediante alcuno suo vicariocome li chierici pare che vogliano;ch'è la terza quistione.
       Questolibro più anni dopo la morte dell'auttore fu dannato da messerBeltrando cardinale del Poggetto e legato di papa nelle parti diLombardiasedente Giovanni papa XXII. E la cagione fu perciòche Lodovicoduca di Bavieradagli elettori della Magna eletto inre de’ Romanie venendo per la sua coronazione a Romacontrail piacere del detto Giovanni papa essendo in Romafececontra gliordinamenti ecclesiasticiuno frate minorechiamato frate Pietrodella Corvarapapae molti cardinali e vescovi; e quivi a questopapa si fece coronare. Enata poi in molti casi della sua auttoritàquistioneegli e’ suoi seguacitrovato questo libroadifensione di quella e di sé molti degli argomenti in essoposti cominciarono a usare; per la qual cosa il libroil qualeinfino allora appena era saputodivenne molto famoso. Ma poitornatosi il detto Lodovico nella Magnae li suoi seguaciemassimamente i chericivenuti al dichino e dispersiil dettocardinalenon essendo chi a ciò s'opponesseavuto ilsoprascritto libroquello in publicosì come cose eretichecontenentedannò al fuoco. E il simigliante si sforzava difare dell'ossa dell'auttore a etterna infamia e confusione della suamemoriase a ciò non si fosse opposto un valoroso e nobilecavaliere fiorentinoil cui nome fu Pino della Tosail quale alloraa Bolognadove ciò si trattavasi trovòe con luimesser Ostagio da Polentapotente ciascuno assai nel cospetto delcardinale di sopra detto.
       Oltrea questi compose il detto Dante due egloge assai bellele qualifurono intitolate e mandate da luiper risposta di certi versimandatiglia maestro Giovanni del Virgiliodel quale di sopra altravolta è fatta menzione.
       Compuoseancora uno comento in prosa in fiorentino volgare sopra tre delle suecanzoni distesecome che egli appaia lui avere avuto intendimentoquando il cominciòdi commentarle tuttebene che poio permutamento di proposito o per mancarnento di tempo che avvenissepiùcommentate non se ne truovano da lui; e questo intitolòConvivioassai bella e laudevole operetta.
       Appressogià vicino alla sua mortecompuose uno libretto in prosalatinail quale egli intitolò De vulgari eloquentiadoveintendea di dare dottrinaa chi imprendere la volessedel dire inrima; e come che per lo detto libretto apparisca lui avere in animodi dovere in ciò comporre quattro librio che più nonne facesse dalla morte soprapresoo che perduti sieno gli altripiùnon appariscono che due solamente.
       Feceancora questo valoroso poeta molte pístole prosaice in latinodelle quali ancora appariscono assai. Compuose molte canzoni distesesonetti e ballate assai e d'amore e moralioltre a quelle che nellasua Vita nova appariscono: delle quali cose non curo di fare spezialemenzione al presente.
       Incosì fatte cosequali di sopra sono dimostrateconsumòil chiarissimo uomo quella parte del suo tempola quale egli agliamorosi sospirialle pietose lacrimealle sollecitudini private epubblice e a’ varii fluttuamenti della iniqua Fortuna potéimbolare: opere troppo più a Dio e agli uomini accettevoli chegl'ingannile fraudile menzognele rapine e’ tradimentiliquali la maggior parte degli uomini usano oggicercando per diversevie uno medesimo terminecioè il divenire riccoquasi inquelle ogni beneogni onoreogni beatitudine stea. O mentiscioccheuna brieve particella d'una ora separarà dal caducocorpo lo spiritoe tutte queste vituperevoli fatiche annulleràe il temponel quale ogni cosa suol consumarsio annulleràprestamente la memoria del riccoo quella per alcuno spazio con granvergogna di lui serverà! Che del nostro poeta certo nonavverrà; anzisì come noi veggiamo degli strumentibellici addivenireche per l'usargli diventan più chiaricosì avverrà del suo nome: egliper esserestropicciato dal temposempre diventerà più lucente. Eperciò fatichi chi vuole nelle sue vanitàe bastiglil'esser lasciato faresenza volerecon riprensione da se medesimonon intesal'altrui virtuoso operare andar mordendo.



XXVII
Ricapitolazione

       Mostratoè sommariamente qual fosse l'originegli studi e la vita e’costumie quali sieno l'opere state dello splendido uomo DanteAlighieripoeta chiarissimoe con esse alcuna altra cosafacendotransgressionesecondo che conceduto m'ha Colui che d'ogni grazia èdonatore. Ben so: per molti altri molto meglio e piùdiscretamente si saria potuto mostrare; ma chi fa quel che sapiùnon gli è richiesto. Il mio avere scritto come io ho saputonon toglie il poter dire ad uno altroche meglio ciò creda discrivere che io non ho fatto; anzi forsese io in parte alcuna hoerratodarò materia altrui di scrivereper dire il verodelnostro Danteove infino a qui niuno truovo averlo fatto. Ma la miafatica non è ancora alla sua fine. Una particellanelprocesso promessa di questa operettami resta a dichiararecioèil sogno della madre del nostro poetaquando in lui era gravidaveduto da lei; del quale ioquanto più brievemente sapròe potròintendo di dilivrarmie porre fine al ragionare.



XXVIII
Ancorail sogno della madre di Dante

       Videla gentil donna nella sua gravidezza sé a piè d'unoaltissimo alloroallato a una chiara fontanapartorire unofigliuoloil quale di sopra altra volta narraiin brieve tempopascendosi delle bache di quello alloro cadenti e dell'onde dellafontanadivenire un gran pastore e vago molto delle frondi di quelloalloro sotto il quale era; a le quali avere mentre che egli sisforzavale parea che egli cadesse; e subitamente non luima di luiuno bellissimo paone le parea vedere. Dalla quale maraviglia lagentil donna commossaruppesenza vedere di lui più avantiil dolce sonno.



XXIX
Spiegazionedel sogno

       Ladivina bontàla quale ab ecternosì come presenteogni cosa futura previdesuoleda sua propia benignitàmossaquale ora la naturasua generale ministraè perproducere alcuno inusitato effetto infra’ mortalidi quello conalcuna dimostrazione o in segno o in sogno o in altra maniera farciavvedutiacciò che dalla predimostrazione argomento prendiamoogni conoscenza consistere nel Signore della natura producente ognicosa; la quale predimostrazionese bene si riguardane fece nellavenuta del poetadel quale tanto di sopra è parlatonelmondo. E a quale persona la poteva egli fare che con tanta affezionee veduta e servata l'avessequanto colei che della cosa mostratadoveva essere madreanzi già era? Certo a niuna. Mostrollodunque a leie quello che egli a lei mostrasse ci è giàmanifesto per la scrittura di sopra; ma quello che egli intendessecon più aguto occhio è da vedere. Parve adunque alladonna partorire un figliuoloe certo così fece ella infrapicciolo termine dalla veduta visione. Ma che vuole significarel'alto alloro sotto il quale il partorisceè da vedere.
       Oppinione èdegli astrologi e di molti naturali filosofiper la vertù einfluenzia de’ corpi superiori gl'inferiori e producersi enutricarsiese potentissima ragione da divina grazia illuminatanon resisteguidarsi. Per la qual cosaveduto quale corpo superioresia più possente nel grado che sopra l'orizzonte sale inquella ora che alcun nascesecondo quello cotale corpo piùpossenteanzi secondo le sue qualitàdicono del tutto ilnato disporsi . Per che per lo allorosotto il quale alla donnapareva il nostro Dante dare al mondomi pare che sia da intendere ladisposizione del cielo la quale fu nella sua nativitàmostrante sé essere tale che magnanimità e eloquenziapoetica dimostrava; le quali due cose significa l'alloroàlboredi Feboe delle cui frondi li poeti sono usi di coronarsicome disopra è già mostrato assai.
       Lebachedelle quali nutrimento prendeva il fanciullo natogli effettida così fatta disposizione di cieloquale èdimostratagià procedutiintendo; li quali sono i libripoetici e le loro dottrineda’ quali libri e dottrine fualtissimamente nutricatocioè ammaestrato il nostroDante.
       Il fontechiarissimode la cui acqua le parea che questi bevesseniuna altracosa giudico che sia da intendere se non l'ubertà dellafilosofica dottrina morale e naturale; la quale si come dalla ubertànascosa nel ventre della terra procedecosì e queste dottrinedalle copiose ragioni dimostrativeche terrena ubertà sipossono direprendono essenza e cagione; senza le qualicosìcome il cibo non può bene disporsisenza berenegli stomacidi chi 'l prendenon si può alcuna scienzia benenegl'intelletti adattare di nessunose dalli filosoficidimostramenti non v'è ordinata e disposta. Per che ottimamentepossiamo direlui con le chiare ondecioè con la filosofiadisporre nel suo stomacocioè nel suo intellettole bachedelle quali si pascecioè la poesiala qualecome giàè dettocon tutta la sua sollecitudine studiava.
       Ildivenire subitamente pastore ne mostra la eccellenzia del suoingegnoin quanto subitamente; il quale fu tanto e taleche inbrieve spazio di tempo comprese per istudio quello che opportuno eraa divenire pastorecioè datore di pastura agli altri ingegnidi ciò bisognosi. E sì come assai leggermente ciascunopuò comprenderedue maniere sono di pastori: l'una sonopastori corporalil'altra spirituali. Li corporali pastori sono didue manieredelle quali la prima è quella di coloro chevolgarmente da tutti sono appellati "pastori"cioèi guardatori delle pecore o de’ buoi o di qualunque altroanimale; la seconda maniera sono i padri delle famigliedallasollecitudine de’ quali convegnono essere e pasciuti e guardatie governati la gregge de’ figliuoli e de’ servidori e deglialtri suggetti di quegli. Li spirituali pastori similmente si possonodire di due manieredelle quali l'una è quella di coloro liquali pascono l'anime de’ viventi della parola di Dlo; e questisono li prelatii predicatori e’ sacerdotinella cui custodiasono commesse l'anime labili di qualunque sotto il governo a ciascunoordinato dimora; l'altra è quella di coloro li qualid'ottimadottrinao leggendo quello che gli passati hanno scrittooscrivendo di nuovo ciò che loro pare o non tanto chiaromostrato o omessoinformano e l'anime e gl'intelletti degliascoltanti o de’ leggentili quali generalmente dottoriinqual che facultà si siasono appellati. Di questa maniera dipastori subitamentecioè in poco tempodivenne il nostropoeta. E che ciò sia verolasciando stare l'altre operecompilate da luiriguardisi la sua Commediala quale con ladolcezza e bellezza del testo pasce non solamente gli uominima ifanciulli e le femine; e con mirabile soavità de’profondissimi sensi sotto quella nascosipoi che alquanto gli hatenuti sospesiricrea e pasce gli solenni intelletti.
       Losforzarsi ad avere di quelle frondiil frutto delle quali l'hanutricatoniuna altra cosa ne mostra che l'ardente disiderio avutoda luicome di sopra si dicedella corona laurea; la quale pernulla altro si disiderase non per dare testimonianza del frutto. Lequali frondi mentre che egli più ardentemente disideravaluidice che vide cadere; il quale cadere niuna altra cosa fu se nonquello cadimento che tutti facciamo senza levarcicioè ilmorire; il qualese bene si ricorda di ciò che di sopra èdettogli avvenne quando più la sua laureazione disiava.
       Seguentemente dice chedi pastore subitamente il vide divenuto un paone: per lo qualmutamento assai bene la sua posterità comprendere possiamolaqualecome che nell'altre sue opere steasommamente vive nella suaCommediala qualesecondo il mio giudicioottimamente èconforme al paonese le propietà de l'uno e de l'altra siguarderanno. Il paone tra l'altre sue propietà per quello cheappaian'ha quattro notabili. La prima si è ch'egli si hapenna angelicae in quella ha cento occhi; la seconda si èche egli ha sozzi piedi e tacita andatura; la terza si èch'egli ha voce molto orribile a udire; la quarta e ultima si èche la sua carne è odorifera e incorruttibile. Queste quattrocose pienamente ha in sé la Comedia del nostro poeta; maperciò che acconciamente l'ordine posto di quelle non si puòseguirecome verranno più in concio or l'una ora l'altra leverrò adattandoe comincerommi da l'ultima.
       Dicoche il senso della nostra Comedia è simigliante alla carne delpaoneperciò che essoo morale o teologo che tu il dèia quale parte più del libro ti piaceè semplice eimmutabile veritàla quale non solamente corruzione non puòriceverema quanto più si ricercamaggiore odore della suaincorruttibile soavità porge a’ riguardanti. E di ciòleggiermente molti esempli si mostrerebberose la presente materiail sostenesse; e peròsenza porne alcunolascio il cercarneagl'intendenti.
       Angelicapenna dissi che copria questa carne; e dico "angelica"nonperché io sappia se così fatte o altramenti gli angelin'abbiano alcunamacongetturando a guisa de’ mortaliudendoche gli angeli volinoavviso loro dovere avere penne; enonsappiendone alcuna fra questi nostri uccelli più bellanépiù peregrinané così come quella del paoneimagino loro così doverle avere fatte; e però nonquelle da questema queste da quelle dinomino perché piùnobile uccello è l'angelo che 'l paone. Per le quali penneonde questo corpo si cuopreintendo la bellezza della peregrinaistoriache nella superficie della lettera della Comedia suona: sìcome l'essere disceso in inferno e veduto l'abito del luogo e levarie condizioni degli abitanti; essere ito su per la montagna delpurgatorioudite le lagrime e i lamenti di coloro che speranod'essere santi; e quindi salito in paradiso e la ineffabile gloriade’ beati veduta. Istoria tanto bella e tanto peregrinaquantomai da alcuno più non fu pensata non che uditadistinta incento cantisì come alcuni vogliono il paone avere nella codacento occhi. Li quali canti così provvedutamente distinguonole varietà del trattato opportunecome gli occhi distinguonoi colori o la diversità delle cose obiette. Dunque bene èd'angelica penna coperta la carne del nostro paone.
       Sonosimilmente a questo paone li piè sozzi e l'andatura queta: lequali cose ottimumente alla Comedia del nostro auttore si confannoperciò chesì come sopra i piedi pare che tutto ilcorpo si sostengacosì prima facie pare che sopra il modo delparlare ogni opera in iscrittura composta si sostenga; e il parlarevolgarenel quale e sopra il quale ogni giuntura della Comedia sisostienea rispetto dell'alto e maestrevole stilo letterale che usaciascun altro poetaè sozzocome che egli sia più chegli altri belli agli odierni ingegni conforme. L'andar quetosignifica l'umiltà dello stiloil quale nelle commedie dinecessità si richiedecome color sanno che intendono chevuole dire "comedia".
       Ultimamentedico che la voce del paone è orribile: la qualecome che lasoavità delle parole del nostro poeta sia molta quanto allaprima apparenzasanza niuno fallo a chi bene le medolle dentroragguarderàottimamente a lui si confà. Chi piùorribilmente grida di luiquando con invenzione acerbissima morde lecolpe di molti viventie quelle de’ preteriti gastiga? Qualvoce è più orrida che quella del gastigante a coluich'è disposto a peccare? Certo niuna. Egli ad una ora collesue dimostrazioni spaventa i buoni e contrista i malvagi; per la qualcosa quanto in questo adoperatanto veramente orrida voce si puòdire avere. Per la qual cosae per l'altre di sopra toccateassaiapparecoluiche fu vivendo pastoredopo la morte essere divenutopaonesì come credere si puote essere stato per divinaspirazione nel sonno mostrato alla cara madre.
       Questaesposizione del sogno della madre del nostro poeta conosco essereassai superficialmente per me fatta; e questo per più cagioni.Primieramenteperché forse la sufficienziache a tanta cosasi richiederebbenon c'era; appressoposto che stata ci fosselaprincipale intenzione nol patia; ultimamentequando e lasufficienzia ci fosse stata e la materia l'avesse patitoera benfatto da me non essere più detto che detto siaacciòche ad altrui più di me sofficiente e più vago alcunoluogo si lasciasse di dire. E perciò quelloche per me detton'èquanto a me dee convenevolmente bastare; e quelchemancarimanga nella sollecitudine di chi segue.



XXX
Conclusione

       Lamia piccioletta barca è pervenuta al portoal quale elladirizzò la proda partendosi dallo opposito lito: e come che ilpeleggio sia stato piccioloe il mareil quale ella ha solcatobasso e tranquillonondimenodi ciò che senza impedimento èvenutane sono da rendere grazie a Colui che felice vento haprestato alle sue vele. Al quale con quella umiltàcon quelladivozionecon quella affezione che io posso maggiorenon quellenécosì grandi come si converrienoma quelle che io possorendobenedicendo in etterno il suo nome e 'l suo valore.

DEORIGINEVITASTUDIIS ET MORIBUS
CLARISSIMI VIRI DANTIS ALIGERIIFIORENTINI
POETE ILLUSTRIS
ET DE OPERIBUS COMPOSITIS ABEODEM
EXPLICIT