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PietroBembo

A MONSIGNOR MESSER GIULIOCARDINALE DE' MEDICI

DELLAVOLGAR LINGUA



PRIMO LIBRO



Se la naturaMonsignormesser Giuliodelle mondane cose producitrice e de' suoi doni sopraesse dispensatricesí come ha la voce agli uomini e ladisposizione a parlar datacosí ancora data loro avessenecessità di parlare d'una maniera medesima in tuttiellasenza dubbio di molta fatica scemati ci avrebbe e alleviatiche cisoprastà. Con ciò sia cosa che a quelli che ad altreregioni e ad altre genti passar cercanoche sono sempre e in ogniparte moltinon converrebbe cheper intendere essi gli altri e peressere da loro intesicon lungo studio nuove lingue apprendessero.Anzi sí come la voce è a ciascun popolo quella stessacosí ancora le paroleche la voce formaquelle medesime intutti essendoagevole sarebbe a ciascuno lo usar con le stranierenazioni; il che le piú voltepiú per la varietàdel parlare che per altroè faticoso e malagevole come sivede. Perciò che qual bisogno particolare e domesticoo qualcivile commodità della vita può essere a colui prestache sporre non la sa a coloro da cui esso la dee riceverein guisache sia da lor conosciuto quello che esso ricerca? Senza che non soloil poter mostrare ad altrui ciò che tu addomandit'èdi mestiero affine che tu il conseguama oltre acciò ancorail poterlo acconciamente e con bello e grazioso parlar mostrarequante volte è cagione che un uomo da un altr'uomoo ancorada molti uominiottien quello che non s'otterrebbe altramente?Perciò che tra tutte le cose acconce a commuovere gli umanianimiche liberi sonoè grande la forza delle umane parole.

Nésolamente questa faticache io dicodel parlarema un'altra ancoravie di questa maggiore sarebbe da noi lontanase piú che unalingua non fosse a tutti gli uominie ciò è quelladelle scritture; la quale perciò che a piú largo e piúdurevole fine si piglia per noiè di mestiero che da noi sifaccia eziandio piú perfettamentecon ciò sia cosa checiascun che scrived'esser letto disidera dalle gentinon pur chevivonoma ancora che viverannodove il parlare da picciola loroparte e solo per ispazio brevissimo si riceve; il qual parlare assaiagevolmente alle carte si manderebbese niuna differenza v'avesse inlui. Ora chequalunque si sia di ciò la cagioneessere ilvediamo cosí diversoche non solamente in ogni generalprovincia propriamente e partitamente dall'altre generali provinciesi favellama ancora in ciascuna provincia si favella diversamentee oltre acciò esse stesse favelle cosí diversealterando si vanno e mutando di giorno in giornomaravigliosa cosa èa sentire quanta variazione è oggi nella volgar lingua pursolamentecon la qual noi e gli altri Italiani parliamoe quanto èmalagevole lo eleggere e trarne quello essempiocol quale piútosto formar si debbano e fuori mandarne le scritture. Il che avieneperciòche quantunque di trecento anni e piú peradietro infino a questo tempoe in verso e in prosamolte cosesiano state in questa lingua scritte da molti scrittorisínon si vede ancora chi delle leggi e regole dello scrivere abbiascritto bastevolmente. E pure è ciò cosaa cuidoverebbono i dotti uomini sopra noi stati avere inteso; con ciòsia cosa che altro non è lo scrivere che parlare pensatamenteil qual parlarecome s'è dettoquesto eziandio ha di piúche egli e ad infinita moltitudine d'uomini ne vae lungamente puòbastare. E perciò che gli uomini in questa parte massimamentesono dagli altri animali differentiche essi parlanoquale piúbella cosa può alcun uomo avereche in quella parte per laquale gli uomini agli altri animali grandemente soprastannoessoagli altri uomini essere soprastantee spezialmente di quellamaniera che piú perfetta si vede che è e piúgentile?

Perla qual cosa ho pensato di poter giovare agli studiosi di questalinguai quali sento oggimai essere senza numerod'un ragionamentoricordandomi da Giuliano de' Medicifratel cugin vostroche èora Duca di Nemorsoe da messer Federico Fregosoil quale pochianni appresso fu da Giulio papa secondo arcivescovo di Salernocreatoe da messer Ercole Strozza di Ferrarae da meser Carlo miofratello in Vinegia fattoalquanti anni adietroin tre giornateeda esso mio fratello a meche in Padova a quelli dí mi trovaiesserepoco appresso raccontatoe quello alla sua veritàpiú somigliantemente che io possoin iscrittura recandovinel quale per aventura di quanto acciò fa mestiero si disputòe si disse. Il che a voiMonsignorecome io stimonon fia discarosí perché non solo le latine cosema ancora le scrittein questa lingua vi piacciono e dilettano grandementee tra legrandi cure checon la vostra incomparabile prudenza e bontàle bisogne di santa Chiesa trattandovi pigliate continuolalezione delle toscane prose tramettetee gli orecchi date a'fiorentini poeti alcuna fiata (e potete ciò avere dal buonLorenzoche vostro zio fuper succession presodi cui molti vaghie ingeniosi componimenti in molte maniere di rime e alcuni in prosasi leggono) e sí ancora per questoche della vostra cittàdi Firenze e de' suoi scrittoripiú che d'altrosi famemoria in questo ragionamentodalla quale e da' quali hanno leleggi della lingua che si cercae principio e accrescimento eperfezione avuta.



Perciò che essendo inVinegia non guari prima venuto Giulianoil qualecome sapeteaquel tempo Magnifico per sopranome era chiamato da tuttinel tempoche voi et egli e Pietro e il cardinale de' Medici suoi fratelliperla venuta in Italia e in Firenze di Carlo ottavo Re di Francia dipochi anni statafuori della patria vostra dimoravate (il qualcardinalela Dio mercéora papa Leon decimo e Signor mioavoi ha l'ufficio e il nome suo lasciato) e i due che io dissimesserFederigoche il piú giovane erae messer Ercoleritrovandovisi per loro bisogne altresímio fartello adesinare gl'invitò seco; sí come quegli uominii qualie per cagion di meche amico e dell'uno di lor fui e degli altriancor sonoe perché il valevanoegli amava e onorava sopragli altri. Era per aventura quel dí il giorno del natal suoche a' dieci dí di dicembre veniva; né ad esso dovevaritornar piúse non in quanto infermo e con poca vita ilritrovasseperciò che egli si morí a' trenta dídel dicembre che seguí appresso.

Oraavendo questi tre con mio fratello desinatosí come egli miraccontavae ardendo tuttavia nella camera nella quale essi eranoalquanto dallor discostoun buon fuocodisse messer Ercoleilquale per accidente d'infermità sciancato e debole era dellapersona: - IoSignoricon licenza di voial fuoco m'accosterònon perché io freddo abbiama acciò che io nonl'abbia. - Come a voi piace - rispose a messer Ercole mio fratello; eagli altri due rivoltosiseguitò: - Anzi fie bene che ancornoi vi ci accostiamo. - Accostiamvici - disse Giuliano - chéquesto rovaioche tutta mattina ha soffiatoacciò fare ciconforta. - Perché levatisie messer Federigo altresíe avvicinativisie recatovi da' famigliari le sedieessi a sederevi si posero al dintorno; il che fattodisse messer Ercole aGiuliano: - Io non ho altra fiata cotesta voce udito ricordarechevoiMagnificorovajo avetedettoe per aventura se io udita l'avessiintesa non l'avereisela stagione non la mi avesse fatta intenderecome ora fa; perciòche io stimo che rovajosia vento di tramontanail cui fiato si sente rimbombare tuttavia. -A che rispostogli da Giuliano che cosí era; e di questa voced'una cosa in altra passandovenuti a dire della volgar linguaconla quale non solamente ragioniamo tuttodíma ancorascriviamo; e ciascuno degli altri onoratamente parlandonee inquesto tra sé convenendoche bene era lo scrivere volgarmentea questi tempi; messer Ercoleil quale solo della latina vagoequella cosí lodevolmentecome s'è vedutoin moltemaniere di versi usandoquest'altra sempre sí come vile epovera e disonorata schernivadisse: - Io non so per me quello chevoi in questa lingua vi troviateperché si debba cosílodarla e usarla nello scriverecome dite. Ben vorrei e sarebbemicaroche o voi aveste me a quello di lei credere persuaso che voi vicredetein maniera che voglia mi venisse di scrivere alle voltevolgarmentecome voi scriveteo io voi svolgere da cotesta credenzapotessi enella mia openione traendoviesser cagione che voi altroche latinamente non scriveste. E sopra tuttomesser Carlovorre' iociò potere con messer Pietro vostro fratellodel qualesicuramente m'incresceche essendo egli nella latina lingua giàavezzoegli la tralasci e trametta cosí spessocome egli faper iscrivere volgarmente -. E cosí dettosi tacque.



Allora mio fratellovedendogli altri star cheticosí rispose: - Io mi credo che aciascuno di noi che qui siamosarebbe vie piú agevole infavore di questo lodare e usare la volgar lingua che noi soventefacciamola quale voi parimente e schifate e vituperate semprerecarvi tante ragioni che voi in tutto mutaste sentenzache a voipossibile in alcuna parte della nostra openione levar noi. Nondimenomesser Ercoleio non mi maraviglio moltonon avendo voi ancoradolcezza veruna gustata dello scrivere e comporre volgarmentesícome colui chedi tutte quelle della latina lingua ripienoa questeprendere non vi sete volto giamaise v'incresce che messer Pietromio fratello tempo alcuno e opera vi spenda e consumidellatinamente scrivere tralasciandosi come dite. Anzi ho io degli altriancoradotti e scienziati solamente nelle latine letteregiàuditi allui medesimo dannare questo stesso e rimproverarglielea'quali egli brievemente suole rispondere e dir loroche a séaltrettanto incresce di loro allo 'ncontroi quali molta cura emolto studio nelle altrui favelle ponendo e in quelle maestrevolmenteessercitandosinon curano se essi ragionar non sanno nella loroaquegli uomini rassomigliandogliche in alcuna lontana e solingacontrada palagi grandissimi di molta spesaa marmi e ad oro lavoratie risplendentiprocacciano di fabricarsie nella loro cittàabitano in vilissime case. - E come- disse messer Ercole - stimaegli messer Pietro che il latino parlare ci sia lontano? - Certo síche egli lo stima- rispose mio fratello - non da sé solopostoma bene in rispetto e in comperazione del volgareil quale èa noi piú vicino; quando si vede che nel volgare tutti noitutta la vita dimoriamoil che non aviene del latino. Sí comea' romani uomini era ne' buoni tempi piú vicina la latinafavella che la grecacon ciò sia cosa che nella latina essitutti nascevano e quella insieme col latte dalle nutrici loro beeanoe in essa dimoravano tutti gli anni loro comunementedove la grecaessi apprendevano per lo piú già grandi e usavanla radevolte e molti di loro per aventura né l'usavano nél'apprendevano giamai. Il che a noi aviene della latinache nondalle nutrici nelle cullema da' maestri nelle scuolee non tuttianzi pochi l'apprendiamoe presanon a ciascuna ora la usiamomadi rado e alcuna volta non mai -. Quivi seguitando le parole di miofratello: - Cosí è - disse il Magnifico - senza falloalcunomesser Ercolecome il Bembo dice; e questo ancora piúoltreche a noi la volgar lingua non solamente vicina si dee direche ella siama natía e propriae la latina straniera. Chesí come i Romani due lingue aveanouna propria e naturaleequesta era la latinal'altra stranierae quella era la grecacosínoi due favelle possediamo altresíl'una propria e naturale edomesticache è la volgareistrana e non naturale l'altrache è la latina. Vedete oraquale di voi due in ciò èpiú tosto da biasimare e da riprendereo messer Pietroilquale usando la favella sua natía non perciò lascia didare opera e tempo alla stranierao voiche quella schernendo erifiutando che natía vostra èlodate e seguitate lastrana -.



- Io son contento diconcedervimesser Carlo e Giuliano- disse lo Strozza - che lavolgare favella piú a noi vicina sia o ancora piúnaturale e propriache la latina non si vede esserein quella guisamedesima che a' Romani era la latina piú vicina e piúnaturale della greca; pure che mi concediate ancor voiquello chenegare per niun modo non mi si puòche sí come a queltempo e in que' dotti secoli era ne' romani uomini di molta maggiordignità e stima la greca lingua che la latinacosí tranoi oggi molto piú in prezzo sia e in onore e riverenza lalatina avuta che la volgare. Il che se mi si conciedecome si potràdire che ad alcun popoloavente due linguel'una piú degnadell'altra e piú onorataegli non si convenga vie piúlo scrivere nella piú lodata che nella meno? Oltra che se èvero quello che io ho udito dire alcuna voltache la nostra volgarfavella stata sia eziandio favella medesimamente volgare a' Romani;con la quale tra essi popolarescamente si sia ragionato come ora siragiona tra noituttavolta senza passar con lei nello scriverealquale noi piú arditi e meno consigliati passiamonoi nonsolamente la meno pregiata favella e men degna da' Romani riputatama ancora la rifiutata e del tutto per vile scacciata dalle loroscritturearemmo a quella prepostaa cui essi tutto il grido etutto l'onore dato hannola volgar lingua alla latina ne' nostricomponimenti preponendo. Laonde e di molta presonzione potremmoessere dannatiposcia che noi nelle lettere quello che i romaniuomini hanno schifatoseguitiamoe di poca considerazioneinquantopotendo noi a bastanza col loro essempio della latina linguacontentarcicaricare ci siamo voluti di soverchio pesodisonoratafatica e biasimevole procacciando -.



Alle cui parole il Magnificosenza dimora cosí rispose: - Egli vi sarà benemesserErcoleda me e da messer Carlo conceduto e da messer Federigoancorai quali tutti in questa contesa parimente contra voisentiamoche ne' primi buoni tempi da' romani uomini fosse la grecalingua in piú dignità avuta che la latinae alpresente alla latina altresí piú onore si dia che allavolgare; il che può aveniresí perchénaturalmente maggiore onore e riverenza pare che si debba per noialle antiche cose portare che alle nuovee sí ancora perciòche e allora la greca lingua piú degni e riverendi scrittoriavea e in maggior numeroche non avea la latinae ora la latinamedesimamente molti piú avere se ne vede di gran lunga e piúonoratiche non ha la volgare. Ma non per tutto ciò vi siconcederàche sempre nella piú degna lingua si debbascrivere piú tosto che nella meno. Perciò che se aquesta regola dovessero gli antichi uomini considerazione e risguardoavere avutoné i Romani avrebbono giamai scritto nella latinafavellama nella greca; né i Greci altresí sisarebbono al comporre nella loro cosí bella e cosírotonda lingua datima in quella de' loro maestri Fenici; e questiin quella d'Egittoo in alcun'altra; e a questo mododi gente ingente a quella favella ritornando nella quale primieramente le cartee gl'inchiostri si trovaronobisognerà dire che male ha fattoqualunque popolo e qualunque nazione scrivere ha voluto in altramanierae male sia per fare qualunque altramente scriverà; esaremo a credere constretti che di tante e cosí differentiguise e tra sé diverse e lontane di parlariquante sono peradietro state e saranno per innanzi fra tutti gli uominiquella unaformaquell'un modo solo di linguacon la quale primieramente sonostate tessute le scritturesia nel mondo da lodare e da usaree nonaltra; il che è troppo piú fuori del convenevole dettoche mestier faccia che se ne questioni. È dunque benemesserErcoleconfessare che non le piú degne e piú onoratefavelle siano da usare tra gli uomini nello scriverema le proprieloroquando sono di qualità che ricever possanoquando chesiaancora esse dignità e grandezza; sí come era lalatina ne' buoni tempialla quale Ciceroneperciò che tuttaquella riputazione non l'era ancor datache ad esso parea che le siconvenisse daresentendola capevole a tanta ricevernequanta elladapoi ha per sua e per altrui opera ricevutos'ingegna accrescereautorità in molte delle sue composizioni lodandolaeconsigliando i romani uomini e invitandogli allo scrivere romanamentee a fare abondevole e ricca la loro lingua piú che l'altrui.

Questomedesimo della nostra volgare messer Cino e Dante e il Petrarca e ilBoccaccio e degli altri di lontano prevedendoe con essa molte cosee nel verso e nella prosa componendole hanno tanta autoritàacquistata e dignitàquanta ad essi è bastato perdivenire famosi e illustrinon quanta per aventura si può insommo allei dare e accrescere scrivendo. Perché non solamentesenza pietà e crudeli doveremmo essere dalle genti riputatidallei nelle nostre memorie partendoci e ad altre lingue passandoquasi come se noi dal sostentamento della nostra madre ci ritraessimoper nutrire una donna lontanama ancora di poco giudicio; con ciòsia cosa cheperciò che questa lingua non si vede ancoraessere molto ricca e ripiena di scrittorichiunque ora volgarmentescriveràpotrà sperare di meritar buona parte diquella grazia che a' primi ritrovatori si dà delle belle elaudevoli coselà dovescrivendo latinamenteallui si potràdire quello che a' Romani si solea direi quali allo scriver grecosi davanoche essi si faticavano di portare alberi alla selva. Chedove ditemesser Ercoleche la nostra volgar lingua era eziandiolingua a' Romani negli antichi tempiio stimo che voi ci tentiate;ché non posso credere che voi il vi crediatené niunoaltresí credo io essere che il si creda -.



Allora messer Federicoilqualegli altri ascoltandobuona pezza s'era taciutodisse: - Ionon so già quello che io della credenza di messer Ercole midebba credereil quale io sempreGiulianoper uomo giudiciosissimoho conosciuto. Tanto vi posso io ben direche io questo che essodiceho già udito dire a degli altrie sopratutto ad unoche noi tutti amiamo grandemente e onoriamo e il quale di buonissimogiudicio suole essere in tutte le cosecome che egli in questa senzadubbio niuno prenda errore. - E perché - disse lo Strozza -prende egli cosí errore costuimesser Federigocome voidite? - Per questo- rispose messer Federigo - che se ella statafosse lingua a quelle stagionise ne vederebbe alcuna memoria negliantichi edifici e nelle sepolturesí come se ne vedono moltedella latina e della greca. Chécome ciascuno di noi sainfiniti sassi sono in Romaserbati dal tempo infino a questo díscritti con latine voci e alquanti con grechema con volgari nonniuno; e mostranvisi a' riguardanti in ogni parte e in ogni viatitoli di vilissime personein pietre senza niuna dignitàscrittie con voci nelle regole della lingua e della scritturapeccantisí come il volgo alle voltequando parla e quandoscrivefa: nondimeno tutti o greci o latini. Che se la volgar linguaa que' tempi stata fosseposto che ella fosse stata piú nelvolgocome que' tali diconoche nel senato o ne' grandi uominiimpossibile tuttavia pure sarebbeche almeno tra queste basse e vilimemorie che io dico non se ne vedesse qualche segno. Oltra che ne'libri ancora si sarebbe ella come che sia trapelata e passata infinoa noi; che non è lingua alcunain alcuna parte del mondo dovelo scrivere sia in usanzacon la quale o versi o prosa non sicomponganoe molto o poco non si scrivasolo che ella acconcia siaalla scritturacome si vede che è questa. Perché sipuò conchiudereche sí come noi ora due lingue abbiamoad usanzauna moderna che è la volgarel'altra anticache èla latinacosí aveano i romani uomini di quelli tempie nonpiú: e queste sono la latinache era loro modernae lagrecache era loro antica; ma che essi una terza n'avessero che lorofosse meno in prezzo che la latinaniunoche dirittamente giudichiestimerà giamai. E se noi al presente la greca lingua eziandioappariamoil che s'è fatto con piú cura e studio inquesta nostra età che nelle altre piú sopramercéin buona parteGiulianodel vostro singolare e venerando e non maia bastanza lodato e onorato padreil quale a giovare in ciòancora le genti del nostro secolo e ad agevolar loro lo asseguimentodelle greche letteremaestri e libri di tutta l'Europa e di tuttal'Asia cercando e investigando e scuole fondando e ingegnisollevandos'è molt'anni con molta diligenza faticato; ma senoidicoquesta lingua appariamociò solamente ad utilitàdella latina si fala qualedalla greca dirivandonon pare checompiutamente apprendere e tenere e posseder tutta si possa senzaquellae non perché pensiamo di scrivere e comporregrecamenteche niuno è che a questo fare ponga operase nonper giuoco -.



Tacevasidetto fin quimesserFederigoe gli altri affermavano che egli dicea beneciascun diloro a queste ragioni altre prove e altri argomenti aggiugnendoquando messer Ercole: - Ben veggo io - disse - che troppo duraimpresa ho pigliataa solo e debole con tre contendere cosípronti guerrieri e cosí spediti. Pure perciò che piúd'onore mi può essere lo avere avuto ardire di contrapormiche di vergogna se averrà che io vinto e abbattuto ne siaioseguirò tuttaviapiú tosto per intendere da voi dellecose che io non soche per contendere. Elasciando le altri partida cantose la nostra volgar lingua non era a que' tempi natane'quali la latina fioríquando e in che modo nacque ella? - Ilquando - rispose messer Federigo - sapere appuntoche io mi credanon si puòse non si dice che ella cominciamento pigliasseinfino da quel temponel quale incominciarono i Barbari ad entrarenella Italia e ad occuparlae secondo che essi vi dimorarono etenner piècosí ella crescesse e venisse in istato.Del comenon si può errare a dire cheessendo la romanalingua e quelle de' Barbari tra sé lontanissimeessi a poco apoco della nostra ora une ora altre vocie queste troncamente eimperfettamente pigliandoe noi apprendendo similmente delle lorose ne formasse in processo di tempo e nascessene una nuovala qualealcuno odore e dell'una e dell'altra ritenesseche questa volgare èche ora usiamo. La quale se piú somiglianza ha con la romanache con le barbare avere non si vedeè perciò che laforza del natío cielo sempre è moltae in ogni terrameglio mettono le piante che naturalmente vi nasconoche quelle chevi sono di lontan paese portate. Senza che i Barbariche a noipassati sononon sono stati sempre di nazione quegli medesimianzidiversi; e ora questi Barbari la loro lingua ci hanno recataoraquegli altriin maniera che ad alcuna delle loro grandementerassomigliarsi la nuova nata lingua non ha potuto. Con ciò siacosa che e Francesi e Borgognoni e Tedeschi e Vandali e Alani eUngheri e Mori e Turchi e altri popoli venuti ci sonoe molti diquesti piú voltee Goti altresíi quali una voltafrall'altre settanta anni continui ci dimorarono. Successero a' Gotii Longobardi; e questi primieramente da Narsete sollecitatisícome potete nelle istorie aver letto ciascuno di voie fatta unagrande e maravigliosa ostecon le mogli e co' figliuoli e con tuttele loro piú care cose vi passarono e occuparonla e furonne perpiú di dugento anni posseditori. Presi adunque e costumi eleggiquando da questi Barbari e quando da quegli altrie piúda quelle nazioni che posseduta l'hanno piú lungamentelanostra bella e misera Italia cangiòinsieme con la realemaestà dell'aspettoeziandio la gravità delle parolee a favellare cominciò con servile voce; la qualedi stagionein stagione a' nepoti di que' primi passandoancor duratanto piúvaga e gentile ora che nel primiero incominciamento suo non fuquanto ella di servaggio liberandosi ha potuto intendere a ragionaredonnescamente.

-Deh voglia Idio- a queste parole traponendosi disse subitamente ilMagnifico - che ellamesser Federigoa piú che maiservilmente ragionare non si ritorni; al che farese il cielo non cisi adoperanon mostra che ella sia per indugiarsi lungo tempoinmaniera e alla Francia e alle Spagne bella e buona parte de' nostridolci campi donandoe alla compagnia del governo invitandolece nespogliamo volontariamente a poco a poco noi stessi; mercé delguasto mondochel'antico valore dimenticatomentre ciascuno difar sua la parte del compagno procaccia e quella negli agi e nellepiume disidera di godersichiama in aiuto di sécontra ilsuo sangue medesimole straniere nazionie la eredità a sélasciata dirittamente in quistion mette per obliqua via. - Cosínon fosse egli vero cotestoGiulianoche voi ditecome egli è- rispose messer Ercole - che noi ne staremmo vie meglio che noi nonistiamo. Ma lasciando le doglianze adietroche sono per lo piúsenza fruttose la volgar lingua ebbi incominciamento ne' tempimesser Federigoe nella maniera che detto aveteil che a meverisimile si fa moltoil verseggiare con essa e il rimare a qualtempo incominciòe da quale nazione si prese egli? Con ciòsia cosa che io ho udito dire piú volte che gl'italiani uominiapparata hanno questa artepiú tosto che ritrovata. - Néquesto ancora sapere minutamente si può - rispose messerFederigo. - È il veroche in quanto appartiene al temposopra quel secoloal quale successe quello di Dantenon si sa chesi componessené a noi di questo fatto memoria piúantica è passata; ma dello essersi preso da altribene tra sésono di ciò in piato due nazioni: la Ciciliana e laProvenzale. Tuttavolta de' Ciciliani poco altro testimonio ci hachea noi rimaso siase none il grido; ché poeti antichiche chese ne sia la cagioneessi non possono gran fatto mostrarcise nonsono cotali cose sciocche e di niun prezzoche oggimai poco sileggono. Il qual grido nacque perciòche trovandosi la cortede' napoletani re a quelli tempi in Ciciliail volgarenel quale siscrivevaquantunque italiano fossee italiani altresífossero per la maggior parte quelli scrittoriesso nondimeno sichiamava cicilianoe ciciliano scrivere era detto a quella stagionelo scrivere volgarmentee cosí infino al tempo di Dante sidisse. De' Provenzali non si può dire cosí; anzi se neleggonoper chi vuolemoltida' quali si vede che hanno apparate etolte molte cose gli antichi Toscaniche fra tutti gl'italianipopoli a dare opera alle rime sono senza dubbio stati primieridellaqual cosa vi posso io buona testimonianza dareche alquanti annidella mia fanciullezza ho fatti nella Provenzae posso dire che iocresciuto mi sono in quella contrada. Perché errare non si puòa credere che il rimare primieramente per noi da quella nazionepiúche da altrasi sia preso -.



Avea cosí detto messerFederigoe tacendo mostrava d'avere la sua risposta fornita; laondeil Magnificoincontanente seguendocosí disse: - Se a messerCarlo e a messer Ercole non è gravea me sarebbemesserFederigocarissimoche voi ci diceste quali sono quelle cose che itoscani rimatori hanno da' Provenzali pigliate -. Allora miofratello: - A me - disse - essere grave non puòGiulianoudir cosa che a voi sia in grado che si ragioni; oltra che il sentiremesser Federigo ragionarci della provenzale favella mi saràsopra modo caro; per me adunque segua. - E per me altresí-disse messer Ercole - che non so come non cosí ora soverchi mipaionocome già far soleanoquesti ragionamenti. Ma io mimaraviglio forte come la provenzale favelladella qualeche iosappiapoco si sente oggi ragionare per conto di poesiapossaessere tale statache dallei molte cose siano state tolte da' poetidella Toscanache pure hanno alcun grido. - Io dirò-rispose a costor tutti messer Federigo - poscia che voi cosívoletepure che vi sia chiaroche dapoi che io a queste contradepassaiho del tutto tramessa la lezione delle oltramontane coseonde pochissima parte di molteche già essere mi soleanofamigliarissimem'è alla memoria rimasada poter recare cosíora sprovedutamente in pruova di ciò che io dissi. E affineche a messer Ercole non paia nuovo quellodi che egli forte simaravigliada questa parte brievemente incominciandopasseròalle mie promesse.

Eraper tutto il Ponente la favella provenzale ne' tempine' quali ellafioríin prezzo e in istima moltae tra tutti gli altriidiomi di quelle parti di gran lunga primiera; con ciò siacosa che ciascunoo Francese o Fiamingo o Guascone o Borgognone oaltramente di quelle nazioni che egli si fosseil quale benescrivere e specialmente verseggiar volessequantunque egliProvenzale non fosselo faceva provenzalmente. Anzi ella tanto oltrepassò in riputazione e famache non solamente Catalanichevicinissimi sono alla Franciao pure Spagniuoli piú adentrotra' quali fu uno il Re Alfonso d'Aragonafigliuolo di RamondoBeringhierima oltre acciò eziandio alquanti Italiani sitruova che scrissero e poetarono provenzalmente; e tra questitre nefurono della patria miadi ciascuno de' quali ho io già lettocanzoni: Lanfranco Cicala e messer Bonifazio Calvo equello chedolcissimo poeta fu e forse non meno che alcuno degli altri di quellalingua piacevolissimoFolchettoquantunque egli di Marsigliachiamato fosseil che avenne non perché egli avesse origineda quella cittàche fu di padre genovese figliuoloma perchévi dimorò gran tempo. Né solamente la mia patria dièa questa lingua poeticome io dicoma la vostra eziandiomesserCarlole ne diè unoche messer Bartolomeo Giorgio ebbe nomegentile uomo della vostra città; e Mantova un altroche fuSordello; e la Toscana un altroe questi fu di Lunigianauno de'marchesi Malespininomato Alberto. Fu adunque la provenzale favellaestimata e operata grandementesí come tuttavia veder si puòché piú di cento suoi poeti ancora si leggonoe hogligià letti ioche non ne ho altrettanti letti de' nostri. Néè da maravigliarseneperciò che non patendo quellegenti molti discorrimenti d'altre nazionie per lo piú lungae tranquilla pace godendo e allegra vita menandocome fanno tuttenaturalmenteavendovi oltre acciò molti signori piúche non v'ha ora e molte cortiagevole cosa fu che tra esse inispazio di lungo tempo lo scrivere venisse in prezzoe che vi sitrovasse primieramente il rimaresí come io stimo; quando sivede che piú antiche rime delle provenzali altra lingua nonhada quelle poche in fuori che si leggono nella latinagiàcaduta del suo stato e perduta. Il che se mi si conciedenon saràda dubitare che la fiorentina lingua da' provenzali poetipiúche da altrile rime pigliate s'abbiaet essi avuti per maestri;quando medesimamente si vede che al presente piú antiche rimedelle toscane altra lingua gran fatto non halevatone la provenzale.



Senza che molte cosecome iodissihanno i suoi poeti prese da quellisí come soglionofar sempre i discepoli da' loro maestriche possono essere di ciòche io dico argomentotra le quali sono primieramente molte manieredi canzoniche hanno i Fiorentinidalla Provenza pigliandolerecate in Toscana: sí come si può dire delle sestinedelle quali mostra che fosse il ritrovatore Arnaldo Danielloche unane fe'senza piú; o come sono dell'altre canzoniche hannole rime tutte delle medesime vocisí come ha quella di Dante:


Amortu vedi ben che questa donna

latua virtú non cura in alcun tempo;


ilquale uso infino da Pietro Ruggiero incominciò; o come sonoancora quelle canzoninelle quali le rime solamente di stanza instanza si rispondonoe tante volte ha luogo ciascuna rimaquantesono le stanzené piú né meno: nella qualmaniera il medesimo Arnaldo tutte le sue canzoni composecome cheegli in alcuna canzone traponesse eziandio le rime ne' mezzi versiil che fecero assai sovente ancora degli altri poeti di quellalinguae sopra tutti Giraldo Brunelloe imitaronocon piúdiligenza che mestiero non era loroi Toscani. Oltra cheritrovamento provenzale è stato lo usare i versi rotti; laquale usanzaperciò che molto varia in quelli poeti fuchealcuna volta di tre sillabe gli feceroalcuna altra di quattro e oradi cinque e d'otto e molto spesso di noveoltra quelle di sette ed'undiciavenne che i piú antichi Toscani piú manieredi versi rotti usarono ne' loro poemi ancora essiche loro piúvicini erano e piú nuovi nella imitazionee meno i menoantichi; i quali da questa usanza si discostaronosecondo che eglinosi vennero da loro lontanandoin tanto che il Petrarca verso rottoniuno altro che di sette sillabe non fece.



Presero oltre acciòmedesimamente molte voci i fiorentini uomini da questie la lorolinguaancora e rozza e poveraiscaltrirono e arricchironodell'altrui. Con ciò sia cosa che PoggiareObliareRimembrareAssembrareBadareDonnearedagliantichi Toscani dettae Ripararequando vuol dire staree albergaree Gioiresono provenzalie Calerealtresí; dintorno alla qual voce essi aveano in usanzafamigliarissimavolendo dire che alcuno non curasse di che che siadire che egli lo poneva in non calereo veramente a non caleo ancora a non calente:della qual cosa sono nelle loro rime moltissimi essempidalle qualipresero non solamente altri scrittori della Toscanae Danteche enelle prose e nel verso se ne ricordòma il Petrarcamedesimoquando e' disse:


Peruna donna ho messo

egualmentein non cale ogni pensiero.


Sonoancora provenzali Guiderdonee Arnese e Soggiornoe Orgoglio e Arringoe Guisa e Uopo- Come Uopo? - dissemesser Ercole - non è egli Uopovoce latina? - È- rispose messer Federigo - tuttavolta moltoprima da' Provenzali usatache si sappiache da' Toscaniperchéda loro si dee credere che si pigliasse; e tanto piú ancoramaggiormentequanto avendo i Toscani in uso quest'altra voceBisognoche quellostesso puòdi questo Uoponon facea loro uopo altramente. Sí come è da credereche si pigliasse Cheroquantunque egli latina voce siaessendo eziandio toscana voce Cercoperciò che molto prima da' Provenzali fu questa voce ad usarpresache da' Toscani; la qual poi torcendodissero Chereree Cheriree Caendomolto anticamentee Chesta.Quantunque Uopo s'èalcuna volta ancora piú provenzalmente dettache si fe' Uo'in vece di Uoporecandola in voce d'una sillabasí come la recò Danteil quale nel suo Inferno disse:


Piúnon t'è uo' ch'aprirmi 'l tu' talento.


Èmedesimamente Quadrello voceprovenzalee Onta eProde e Talentoe Tenzona e Gaioe Isnello e Guarie Sovente e Altresíe Dottare e Dottanzache si disse eziandio Dotta;sí come la disse il medesimo Dante in quei versi pure del suoInferno:


Allortemetti piú che mai la morte

enon v'era mestier piú che la dotta

s'i'non avessi viste le ritorte.


Ènondimeno piú in uso Dottanzasí come voce di quel fine che amato era molto dalla Provenzail qual fine piacendo per imitazione altresí a' toscaniePietanza e Pesanzae Beninanza eMalenanza e Allegranzae Dilettanza ePiacenza e Valenzae Fallenza e moltealtre voci di questa maniera in Guido Guinicelli si leggonoin GuidoCavalcantiin messer Cinoin messer Onestoin Buonagiuntainmesser Piero dalle Vignee in altri e poeti e prosatori di quellaetà. Passò questo uso di fine a Dantee al Boccaccioaltresí: tuttavia e all'uno e all'altro pervenne oggimaistanco. Quantunque Dante molto vago si sia dimostrato di portarenella Toscana le provenzali voci: sí come è Arandache vale quanto appenae Bozzoche èbastardo e nonlegittimoe Gaggiocome che egli di questa non fosse il primo che in Toscana la siportassee sí come è Landae Miraglio e Smagareche è trarre di sentimentoe quasi dalla primiera immaginee ponsi ancora semplicemente per affannarela qual voce et esso usò molto spessoe gli altri poetieziandio usaronoe il Boccacciooltre ad essialcuna fiata la posenelle sue prose. Al Petrarca parve durae leggesi usata da luisolamente una volta; tuttavia in quelli sonettiche egli levòdagli altri del canzonier suosí come non degni della lorocompagnia:


Cheda se stesso non sa far cotanto

che'l sanguinoso corso del suo lago

restiperch'io dolendo tutto smago.


Néqueste voci sole furò Dante da' Provenzalima dell'altreancorasí come è Drudoe Marca e VengiareGiuggiareApprocciareInveggiare eScoscendereche èromperee Biecoe Croio e Forsennatoe Tracotanza eOltracotanzache ètrascuraggineeTrascotato; la qualvoce usarono parimente degli altri Toscanie il Boccaccio moltospesso. Anzi ho io un libro veduto delle sue Novellebuono e anticonel quale sempre si legge scritta cosí Trascutatovoce del tutto provenzalequella che negli altri ha trascurato.Pigliasi eziandio alle volte Trascotatoper uomo trapassante il diritto e il doveree Tracotanzaper cosí fatto trapassamento. Fu in queste imitazionicome iodicomolto meno ardito il Petrarca. Pure usò Gaioe Lassato e Sevraree Gramare e Oprireche è aprirevoce famigliarissima della Provenzala qualepassando a quel tempoforse in Toscanapassò eziandio a Romae ancora dell'unluogo e dell'altro non s'è partita; usò Ligioche in tutti i provenzali libri si legge; usò Tantoo quantoche posero iprovenzali in vece di dire pur un pocoin quel verso


Costeinon è chi tanto o quanto stringa;


eusollo piú d'una volta. Senza che egli alquante vociprovenzaliche sono dalle toscane in alcuna loro parte differentiusò piú volentieri e piú spesso secondo laprovenzal forma che la toscana; perciò che e Almadisse piú sovente che Animae Fora che Sariae Ancidere cheUccideree Augelloche Uccelloe piúvolentieri pose Primieroquando e' potéche Primosí come aveano tuttavia in parte fatto ancora degli altriprima di lui. Anzi egli Conquisoche è voce provenzaleusò molte volte; ma Conquistatoche è toscananon giamai. Oltra che il direAvíaSolíaCredíache egli usò alle voltee usò medesimamenteprovenzale.



Usò eziandio il PetrarcaHain vece di sonoquando e' disse:


Fuortutti i nostri lidi

nel'isole famose di Fortuna

duefonti ha


eancora:


Ches'al contar non errooggi ha sett'anni

chesospirando vo di riva in riva;


pureda' Provenzalicome io dicotogliendoloi quali non solamente Hain vece d'è edi sono ponevanoanziancora Avea in veced'era e d'eranoet Ebbe in vece di fue di furono dicevanoe cosí per gli altri tempi tutti e guise di quel verbodiscorrendofacevano molto spesso. Il quale uso imitarono deglialtri e poeti e prosatori di questa linguae sopra tutti ilBoccaccioil qual disseNon ha lungo tempoe Quanti sensali ha in Firenzee Quante donne v'aveache ve n'avea moltee Nella qualecome che oggi ve n'abbia di ricchi uominive n'ebbe già unoetEbbevi di quelliealtri simili termininon una volta dissema molte. Et è ciònondimeno medesimamente presente uso della Cicilia. E per dire delPetrarcaavenne alle volte che egli delle italiche voci medesime usòcol provenzale sentimento; il che si vede nella voce Onde.Perciò che era Onprovenzale voceusata da quella nazione in moltissime guise oltra ilsentimento suo latino e proprio. Ciò imitandousolla alquantevolte licenziosamente il Petrarcae tra le altre questa:


Ala manond'io scrivoè fatta amica


nelqual luogo egli pose Ondeinvece di dire con la quale;e quest'altra:


Orquei begli occhiond'io mai non mi pento

dele mie pene


doveOnde può altrettantoquanto per cagion de' quali;il chequantunque paia arditamente e licenziosamente dettoènondimeno con molta grazia dettosí come si vede essereancora in molti altri luoghi del medesimo poetapure dalla Provenzatoltocome io dissi. Sonooltre a tutto questole provenzaliscritture piene d'un cotal modo di ragionareche dicevano: Ioamo meglioin vece di dire iovoglio piú tosto. Il qualmodopiacendo al Boccaccioegli il seminò molto spesso perle composizioni sue: Io amo molto meglio di dispiacere aqueste mie carnichefacendo loro agioio facessi cosa che potesseessere perdizione dell'anima mia;e altrove: Amando meglio il figliuolo vivo con moglie nonconvenevole alluiche morto senza alcuna.Senza che uso de' Provenzali per aventura ha stato lo aggiugnere la Inel principio di moltissime voci (come che essi la Evi ponessero in quella vecelettera piú acconcia alla lorlingua in tale ufficioche alla toscana) sí come sono IstareIschifareIspessoIstesso e dell'altreche dalla Sa cuialcun'altra consonante stia dietrocomincianocome fanno queste. Ilche tuttavia non si fa sempre; ma fassi per lo piú quando lavoceche dinanzi a queste cotali voci stain consonante finisceper ischifare in quella guisa l'asprezzache ne uscirebbe se ciònon si facesse; sí come fuggí Danteche disse:


Nonisperate mai veder lo cielo;


eil Petrarcache disse:


Periscolpirlo imaginando in parte.


Ecome che il dire in Ispagnapaia dal latino esser dettoegli non è cosíperciòche quando questa voce alcuna vocale dinanzi da sé haSpagnale piú volte e non Ispagnasi dice. Il qual uso tanto innanzi procedetteche ancora in molte diquelle vocile quali comunalmente parlandosi hanno la Edinanzi la detta Squella E pure nella Isi cangiò bene spesso: IstimareIstrano e somiglianti.Oltra che alla voce Nudos'aggiunse non solamente la Ima la G ancoraefecesene Ignudononmutandovisi perciò il sentimento di lei in parte alcunailquale in quest'altra voce Ignavosi muta nel contrario di quello della primiera sua voceche nellatino solamente è ad usanzala qual voce nondimeno italianaè piú tostosí come dal latino toltachetoscana. Né solamente molte vocicome si vedeo purealquanti modi del dire presero dalla Provenza i Toscani; anzi essiancora molte figure del parlaremolte sentenzemolti argomenti dicanzonimolti versi medesimi le furaronoe piú ne furaronquelliche maggiori stati sono e miglior poeti riputati. Il cheagevolmente vederà chiunque le provenzali rime piglieràfatica di leggeresenza che ioa cui sovenire di ciascuno essempionon puòtutti e tre voi gravi ora recitandolevi. Per le qualicosequello estimar si puòche iomesser Ercolerispondendo vi dissiche il verseggiare e rimare da quella nazionepiú che da altra s'è preso. Ma sí come latoscana linguada quelle stagioni a pigliar riputazioneincominciandocrebbe in onore e in prezzo quanto s'è vedutodi giorno in giornocosí la provenzale è ita mancandoe perdendo di secolo in secolo in tantoche ora non che poeti sitruovino che scrivano provenzalmentema la lingua medesima èpoco meno che sparita e dileguatasi della contrada. Perciò chein gran parte altramente parlano quelle genti e scrivono a questo díche non facevano a quel tempo; né senza molta cura e diligenzae fatica si possono ora bene intendere le loro antiche scritture.Senza che eglino a nessuna qualità di studio meno intendonoche al rimare e alla poesiae altri popoli che scrivano in quellalingua essi non hanno; i qualise sono oltramontani o poco o nullascrivono o lo fanno francesementese sono Italiani nella loro linguapiú tosto a scrivere si mettonoagevole e usatache nellafaticosa e disusata altrui. Perché non è anco damaravigliarsimesser Ercolese ellache già riguardevole fue celebrataè oracome dicestedi poco grido -.



Avea messer Federigo al suoragionamento posto finequando il Magnifico e mio fratellodopoalquante parole dell'uno e dell'altro fatte sopra le dette coses'avidero che messer Ercoletacendo e gli occhi in una parte fermi efissi tenendonon gli ascoltavama pensava ad altro. Il qualepocoappresso riscossosiad essi rivolto disse: - Voi avete detto non socheche ioda nuovo pensamento soprapresonon ho udito. Vaglia aridirese io di troppo non vi gravo. - Di nulla ci gravate-rispose il Magnifico - ma noi ragionavamo in onore di messerFederigolodando la sua diligenza posta nel vedere i provenzalicomponimentida molti non bisognevole e soverchia riputata. Ma voidi che pensavate cosí fissamente? - Io pensava- diss'egli -che se io oradalle cose che per messer Federigo e per voi dellavolgar lingua dette si sono persuasoa scrivere volgarmente midisponessisicuramente a molto strano partito mi crederei esserenésaperei come spedirmenesenza far perdita da qualche canto; il chequando io latinamente penso di scriverenon m'aviene. Perciòche la latina lingua altro che una lingua non èd'una solaqualità e d'una formacon la quale tutte le italiane genti edell'altre che italiane non sono parimente scrivonosenza differenzaavere e dissomiglianza in parte alcuna questa da quellacon ciòsia cosa che tale è in Napoli la latina linguaquale ella èin Roma e in Firenze e in Melano e in questa città e inciascuna altradove ella sia in uso o molto o pocoché intutte medesimamente è il parlar latino d'una regola e d'unamaniera; onde io a latinamente scrivere mettendominon potrei errarenello appigliarmi. Ma la volgare sta altramente. Perciò cheancora che le genti tuttele quali dentro a' termini della Italiasono compresefavellino e ragionino volgarmentenondimeno ad unmodo volgarmente favellano i napoletani uominiad un altro ragionanoi lombardiad un altro i toscanie cosí per ogni popolodiscorrendoparlano tra sé diversamente tutti gli altri. E sícome le contradequantunque italiche sieno medesimamente tuttehanno nondimeno tra sé diverso e differente sito ciascunacosí le favellecome che tutte volgari si chiaminopure traesse molta differenza si vede esseree molto sono dissomigliantil'una dall'altra. Per la qual cosacome io dissiimpacciato mitrovereiche non sapereivolendo scrivere volgarmentetra tanteforme e quasi facie di volgari ragionamentia quale appigliarmi -.



Allora mio fratellosorridendo: - Egli si par bene - disse - che voi non abbiate un librovedutoche il Calmeta composto ha della volgar poesianel qualeegliaffine che le genti della Italia non istiano in contesa tralorodà sentenza sopra questo dubbiodi qualità cheniuna se ne può dolere. - Voi di poco potete erraremesserCarlo- rispose lo Strozza - a dire che io libro alcuno del Calmetanon ho vedutoil qualecome sapetescritture che volgari siano ecomponimenti di questa linguapiglio in mano rade volte o non mai.Ma pure che sentenza è quella sua cosí maravigliosa chevoi dite? - È - rispose mio fratello - questache egligiudica e termina in favore della cortigiana linguae questa nonsolamente alla pugliese e alla marchigiana o pure alla melanesepreponema ancora con tutte l'altre della Italia a quella dellaToscana medesima ne la mette sopraaffermando a' nostri uominichenello scrivere e comporre volgarmente niuna lingua si dee seguireniuna apprenderese non questa -. A cui il Magnifico: - E qualedomine lingua cortigiana chiama costui? con ciò sia cosa cheparlare cortigiano è quello che s'usa nelle cortie le cortisono molte: perciò che e in Ferrara è cortee inMantova e in Urbinoe in Ispagna e in Francia e in Lamagna sonocortie in molti altri luoghi. Laonde lingua cortigiana chiamare sipuò in ogni parte del mondo quella che nella corte s'usa dellacontradaa differenza di quell'altra che rimane in bocca del popoloe non suole essere cosí tersa e cosí gentile. - Chiama- rispose mio fratello - cortigiana lingua quella della romana corteil nostro Calmetae dice cheperciò che facendosi in Italiamenzione di corte ogniuno dee credere che di quella di Roma siragionicome tra tutte primieralingua cortigiana esso vuole chesia quella che s'usa in Romanon mica da' romani uominima daquelli della corte che in Roma fanno dimora. - E in Roma - disse ilMagnifico - fanno dimora medesimamente diversissime genti pure dicorte. Perciò che sí come ciascuno di noi samolticardinali vi sonoquale spagniuoloquale francesequale tedescoquale lombardoquale toscanoquale viniziano; e di molti signori vistanno al continuo che sono ancora essa membri della cortedi stranenazioni bene spessoe molto tra sé differenti e lontane. E ilPapa medesimoche di tutta la corte è capoquando èvalenzianocome veggiamo essere oraquando genovese e quando d'unluogo e quando d'altro. Perchése lingua cortigiana èquella che costoro usanoet essi sono tra sé cosídifferenticome si vede che sononé quelli medesimi semprenon so io ancor vedere quale il nostro Calmeta lingua cortigiana sichiami. - Chiamadicoquella lingua- disse da capo mio fratello -che in corte di Roma è in usanza; non la spagniuola o lafrancese o la melanese o la napoletana da sé solaoalcun'altrama quella che del mescolamento di tutte queste ènatae ora è tra le genti della corte quasi parimente aciascuna comune. Alla qual partedicendogli non ha guari messerTrifone Gabriele nostroa cui eglisí come ad uomo che uditoavea molte volte ricordare essere dottissimo e sopra tuttointendentissimo delle volgari cosequesta nuova openion sua làdove io era isponeacome ciò potesse essereche tra cosídiverse maniere di favella ne uscisse forma alcuna propriache sipotesse e insegnare e apprendere con certa e ferma regola síche se ne valessino gli scrittoriesso gli rispondeache sícome i Greci quattro lingue hanno alquanto tra sé differenti eseparatedelle quali tutte una ne traggonoche niuna di queste èma bene ha in sé molte parti e molte qualità diciascunacosí di quelle che in Romaper la varietàdelle genti che sí come fiumi al mare vi corrono e allaganvid'ogni partesono senza fallo infinitese ne genera et escenequesta che io dicola quale altresícome quella greca sivede averesue regolesue leggi hasuoi terminisuoi confinine'quali contenendosi valere se ne può chiunque scrive. - Buonasomiglianza - disse il Magnifico seguendo le parole di mio fratello -e bene paragonata; ma che rispose messer Trifone a questa parte? -Rispose - disse mio fratello - che oltra che le lingue della Greciaeran quattrocome esso diceae quelle di Roma tante che non sinumererebbono di leggieredelle quali tutte formare e comporne unaterminata e regolata non si potea come di quattro s'era potutolequattro greche nella loro propria maniera s'erano conservatecontinuoil che avea fatto agevole agli uomini di quei tempi darealla quinta certa qualità e certa forma. Ma le romane simutavano secondo il mutamento de' signori che facevano la corteondequella una che se ne generavanon istava fermaanzia guisa dimarina ondache ora per un vento a quella parte si gonfiaora aquesta si china per un altrocosí ellache pochi anniadietro era stata tutta nostraora s'era mutata e divenuta in buonaparte straniera. Perciò che poi che le Spagne a servire illoro pontefice a Roma i loro popoli mandati aveanoe Valenza ilcolle Vaticano occupato aveaa' nostri uomini e alle nostre donneoggimai altre vocialtri accenti avere in bocca non piacevachespagniuoli. Cosí quinci a pocose il cristiano pastoreche aquello d'oggi venisse appressofosse franceseil parlare dellaFrancia passerebbe a Roma insieme con quelle gentie la cortigianalinguache s'era oggimai cotanto inispagnuolitaincontanentes'infranceserebbee altrettanto di nuova forma piglierebbeognivolta che le chiavi di S. Pietro venissero a mano di posseditorediverso di nazione dal passato. Oraallo 'ncontromolte cose recòil Calmeta in difesa della sua nuova linguapoco sustanzievoli nelvero e a quelle somiglianti che udito avetevolendo a messer Trifonepersuadereche il parlare della romana corte era gravedolcevagolimatopuroil che diceva dell'altre lingue non avenirenépure della toscana cosí apieno. Ma egli nulla di ciògli credettené gliele fece buono in parte alcuna; onde eglio per la fatica del ragionareo pure perciò che messerTrifone non accettava le sue ragionitutto cruccioso e caldo sidipartí -.



- Bene e ragionevolmentesícome egli sempre farispose messer Trifone al Calmeta- disse ilMagnifico - in ciò che raccontato ci avete. Ma egli l'arebbeper aventura potuto strignere con piú forte nodoe arebbelfatto: se non l'avessesí come io stimola sua grande enaturale modestia ritenuto. - E quale è questo nodo piúforteGiuliano- disse lo Strozza - che voi dite? - È -diss'egli - che quella lingua che esso all'altre tutte preponenonsolamente non è di qualità da preporre ad alcunama ionon so ancora se dire si puòche ella sia veramente lingua. -Comeche ella non sia lingua? - disse messer Ercole - non si parla eragiona egli in corte di Roma a modo niuno? - Parlavisi - rispose ilMagnifico - e ragionavisi medesimamente come negli altri luoghi; maquesto ragionare per aventura e questo favellare tuttavia non èlinguaperciò che non si può dire che sia veramentelingua alcuna favella che non ha scrittore. Già non si dissealcuna delle cinque greche lingue esser lingua per altrose nonperciò che si trovavano in quella maniera di lingua moltiscrittori. Né la latina lingua chiamiamo noi linguasolo cheper cagion di Plautodi Terenziodi Virgiliodi VarronediCicerone e degli altri chescrivendohanno fatto che ella èlinguacome si vede. Il Calmeta scrittore alcuno non ha damostrarcidella lingua che egli cotanto loda agli scrittori. Oltreacciò ogni lingua alcuna qualità ha in séperla quale essa è lingua o povera o abondevole o tersa o rozza opiacevole o severao altre parti ha a queste simili che io dico; ilche dimostrare con altro testimonio non si può che di coloroche hanno in quella lingua scritto. Perciò che se io volessidire che la fiorentina lingua piú regolata si vede esserepiúvagapiú pura che la provenzalei miei due Toschi vi porreidinanziil Boccaccio e il Petrarca senza piúcome che moltive n'avesse degli altrii quali due tale fatta l'hannoqualeessendo non ha da pentirsi. Il Calmeta quale auttore ci recheràper dimostrarci che la sua lingua queste o quelle parti haper lequali ella sia da preporre alla mia? sicuramente non niunoche dinessuno si sa che nella cortigiana lingua scritto abbia infino aquesto giorno -. Quivi tramettendosi messer Ercole: - A questo modo -disse - si potranno per aventura le parole di messer Carlo far vereche non essendo lingua quella che il Calmeta per lingua a tutte leitaliane lingue preponeniun popolo della Italia dolere si potràdella sua sentenza. Ma io non per questo saròGiulianofuoridel dubbio che io vi proposi. - Sí sarete sí- risposeil Magnifico - se voi per aventura seguitar quegli altri non volestei quali perciò che non sanno essi ragionar toscanamentesifanno a credere che ben fatto sia quelli biasimare che cosíragionano; per la qual cosa essi la costoro diligenza schernendosenza legge alcuna scrivonosenza avertimentoe comunque gli portala folle e vana licenzache essi da sé s'hanno presacosíne vanno ogni voce di qualunque popoloogni modo scioccoognistemperata maniera di dire ne' loro ragionamenti portandoe in essiaffermando che cosí si dee fare; o pure se voi al Bembo vifarete direperché èche messer Pietro suo fratello isuoi Asolani libri piú tosto in lingua fiorentina dettati hache in quella della città sua -. Allora mio fratellosenzaaltro priego di messer Ercole aspettaredisse: - Hallo fatto perquella cagioneper la quale molti Greciquantunque Ateniesi nonfosseropure piú volentieri i loro componimenti in linguaattica distendeano che in altrasí come in quella che ènel vero piú vaga e piú gentile -.



- È adunque lafiorentina lingua - disse lo Strozza - piú gentile e piúvagamesser Carlodella vostra? - È senza dubbio alcuno-rispose egli - né mi ritrarrò iomesser Ercolediconfessare a voi quello che mio fratello a ciascuno ha confessatoinquella lingua piú tosto che in questa dettando e commentando.- Ma perché è- rispose lo Strozza - che quella linguapiú gentile sia che la vostra? - Allora disse mio fratello: -Egli si potrebbe dire in questa sentenzamesser Ercolemolte cose;perciò che primieramente si veggono le toscane voci migliorsuono avereche non hanno le vinizianepiú dolcepiúvagopiú ispeditopiú vivo; né elle tronche sivede che sieno e mancanticome si può di buona parte dellenostre vederele quali niuna lettera raddoppiano giamai. Oltre aquestohanno il loro cominciamento piú propriohanno ilmezzo piú ordinatohanno piú soave e piúdilicato il finené sono cosí scioltecosílanguide; alle regole hanno piú risguardoa' tempia'numeriagli articolialle persone. Molte guise del dire usano itoscani uominipiene di giudiciopiene di vaghezzamolte grate edolci figure che non usiam noile quali cose quanto adornanononbisogna che venga in quistione. Ma io non voglio dire orase nonquesto: che la nostra linguascrittor di prosa che si legga e tengaper mano ordinatamentenon ha ella alcuno; di versosenza fallomolti pochi; uno de' quali piú in pregio è stato a'suoi tempio pure a' nostriper le maniere del cantocol qualeegli mandò fuori le sue canzoniche per quella dellascritturale quali canzoni dal sopranome di lui sono poi state dettee ora si dicono le Giustiniane -. E se il Cosmico è statoletto giàe ora si leggeè forse perciò cheegli non ha in tutto composto vinizianamenteanzi s'è eglidal suo natío parlare piú che mezzanamente discostato.La qual povertà e mancamento di scrittoriistimo essereavenuto perciò che nello scrivere la lingua non sodisfàpostadiconelle carte tale quale ella è nel popoloragionando e favellandoe pigliarla dalle scritture non si puòché degni e accettati scrittori noicome io dissinonabbiamo. Là dove la toscana e nel parlare è vaga enelle scritture si legge ordinatissimacon ciò sia cosa cheellada molti suoi scrittori di tempo in tempo indirizzataèora in guisa e regolata e gentileche oggimai poco disiderare si puòpiú oltramassimamente veggendosi quelloche non èmeno che altro da disiderare che vi siae ciò è cheallei copia e ampiezza non mancano. La qual cosa scorgere si puòper questoche ellae alle quantunque alte e gravi materie dàbastevolmente voci che le spongononiente meno che si dia la latinae alle basse e leggiere altresí; a' quali due stremi quando sisodisfànon è da dubitare che al mezzano stato simanchi. Anzi alcuna volta eziandio piú abondevole si potrebbeper aventura dire che ella fosse. Perciò che rivolgendo ognicosacon qual voce i latini dicano quello che da' toscani moltousatamente valore èdettonon troverete. E perciò che tanto sono le lingue bellee buone piú e meno l'una dell'altraquanto elle piú omeno hanno illustri e onorati scrittorisicuramente dire si puòmesser Ercolela fiorentina lingua essere non solamente della miache senza contesa la si mette innanzima ancora di tutte l'altrevolgariche a nostro conoscimento pervengonodi gran lungaprimiera. - Bella e piena loda è questaGiulianodel vostroparlare- disse lo Strozza - ecome io stimoancor verapoi cheella da istrano e da giudicioso uomo gli è data. Ma voimesser Federigoche ne dite? parvi egli che cosí sia? - Parmisenza dubbio alcuno- rispose messer Federigo - e dicone quellostesso che messer Carlo ne dice; il che si può credere ancoraper questoche non solamente i viniziani compositori di rime con lafiorentina lingua scrivonose letti vogliono essere dalle gentimatutti gli altri italiani ancora. Di prosa non pare giàcheancor si vegganooltra i toscanimolti scrittori. E di ciòanco non è maravigliacon ciò sia cosa che la prosamolto piú tardi è stata ricevuta dall'altre nazioni cheil verso. Perché voi vi potete tener per contentoGiulianoal quale ha fatto il cielo natío e proprio quel parlarechegli altri Italiani uomini per elezione seguonoet è loroistrano -.



Allora mio fratello: - Egli parbene da una parte- disse - messer Federigoche per contento tenerse ne debba Giulianoperciò che egli ha senza sua faticaquella lingua nella culla e nelle fascie apparatache noi dagliauttori il piú delle volte con l'ossa dure disagiosamenteappariamo. Ma d'altra non so io benesenza fallo alcunoche dirmi;e viemmi talora in openione di credereche l'essere a questi tempinato fiorentinoa ben volere fiorentino scriverenon sia di moltovantaggio. Perciò cheoltre che naturalmente suole avenireche le cose delle quali abondiamo sono da noi men care avuteondevoi toschidel vostro parlare abondevolimeno stima ne fate che noinon facciamosí aviene egli ancora cheperciò che voici nascete e crescetea voi pare di saperlo abastanzaper la qualcosa non ne cercate altramente gli scrittoria quello delpopolaresco uso tenendovisenza passar piú avantiil qualenel vero non è mai cosí gentilecosí vagocomesono le buone scritture. Ma gli altriche toscani non sonoda'buoni libri la lingua apprendendol'apprendono vaga e gentile. Cosíne viene per aventura quello che io ho udito dire piú volteche a questi tempi non cosí propriamente né cosíriguardevolmente scrivete nella vostra medesima lingua voifiorentiniGiulianocome si vede che scrivono degli altri. Il chepuò avenire eziandio per questoche quando bene ancora voiper meglio sapere scrivereabbiate con diligenza cerchi e ricerchi ivostri auttoripure poiquando la penna pigliate in manoperocculta forza della lunga usanzache nel parlare avete fatta delpopolomolte di quelle voci e molte di quelle maniere del dire vi siparanomal grado vostrodinanziche offendono e quasi macchiano lescritturee queste tutte fuggire e schifare non si possono il piúdelle volte il che non aviene di coloroche lo scrivere nella linguavostra dalle buone composizioni vostre solamentee non altrondehanno appreso. Né dico già io ciòperchénon ce ne possa alcuno esserein cui questo non abbia luogo: sícome non haGiulianoin voiil qualeda fanciullo nelle buonelezioni avezzocosí ragionate oracome quelli scrisserode'quali s'è detto. Ma dicolo per la maggior parteo forse pergli altriche io non so se alcuno altro s'è de' vostrichequesto in ciò possa che voi potete -.



- Iomesser Carlo- ripreseil Magnifico - lasciando da parte quello che di me avete dettoa cheio rispondere non voglionon vi niego già che egli non possaessere che messer Pietro vostro fratelloe degli altrichefiorentini non sonola lingua de' nostri antichi scrittori conmaggiore diligenza non seguanoe piú segnatamente con essaper aventura non scrivano di quello che scriviam noi; e voglio ioripormi tra gli altrida' quali voiper vostra cortesiatoltom'avete. Ma io non so se egli si debba per questo dire che il vostroscrivere in quella guisa piú sia da lodare che il nostro.Perciò checome si vede chiaramente in ogni regione e in ognipopolo avenireil parlare e le favelle non sempre durano in unomedesimo statoanzi elle si vanno o poco o molto cangiandosícome si cangia il vestireil guerreggiaree gli altri costumi emaniere del viverecome che sia. Perché le scritturesícome anco le veste e le armeaccostare si debbono e adagiare conl'uso de' tempine' quali si scrivecon ciò sia cosa cheesse dagli uominiche vivonohanno ad esser lette e intesee nonda quelli che son già passati. Era il nostro parlare negliantichi tempi rozzo e grosso e materialee molto piú oliva dicontado che di città. Per la qual cosa Guido CavalcantiFarinata degli UbertiGuittonee molt'altrile parole del lorosecolo usandolasciarono le rime loro piene di materiali e grossevoci altresí; perciò che e Blasmoe Placere e Meoe Deo dissero assaisoventee Bellore eFallore e Lucoree Amanza e Saccentee Coralmentesenzarisguardo e senza considerazione alcuna avervi soprasí comequelli che ancora udite non aveano di piú vaghe. Néstette guariche la lingua lasciò in gran parte la prima duracorteccia del pedal suo. Laonde Dantee nella Vita Nuova e nelConvito e nelle Canzoni e nella Comedia suamolto si vede mutato edifferente da quelli primieri che io dicoe tra queste suecomposizioni piú si vede lontano da loro in quelle alle qualiegli pose mano piú attempatoche nelle altre; il cheargomento è che secondo il mutamento della lingua si mutavaegliaffine di poter piacere alle genti di quella stagionenellaquale esso scrivea. Furono pochi anni appresso il Boccaccio e ilPetrarcai qualitrovando medesimamente il parlare della patrialoro altrettanto o piú ancora cangiato da quello che trovòDantecangiarono in parte altresí i loro componimenti. Ora vidicoche sí come al Petrarca e al Boccaccio non sarebbe statodicevole che eglino si fossero dati allo scrivere nella lingua diquegli antichi lasciando la loroquantunque essi l'avessero e potutoe saputo farecosí né piú né meno pareche a noi si disconvengalasciando questa del nostro secoloilmetterci a comporre in quella del loroché si potrebbe diremesser Carloche noi scriver volessimo a' morti piú che a'vivi. Le bocche acconcie a parlare ha la natura date agli uominiaffine che ciò sia loro de' loro animiche vederecompiutamente in altro specchio non si possonosegno edimostramento; e questo parlare d'una maniera si sente nella Italiae in Lamagna si vede essere d'un'altrae cosí da questidiverso negli altri luoghi. Perchésí come voi e iosaremmo da riprenderese noi a' nostri figliuoli facessimo iltedesco linguaggio imprenderepiú tosto che il nostrocosímedesimamente si potrebbe per aventura direche biasimo meritassecoluiil quale vuole innanzi con la lingua degli altri secoliscrivereche con quella del suo -.



Tacevasidette queste paroleil Magnificoe gli altri medesimamente si tacevanoaspettandoquello che mio fratello recasse allo 'ncontroil quale incontanentein questa guisa rispose: - Debole e arenoso fondamento avete allevostre ragioni datose io non m'ingannoGiulianodicendocheperché le favelle si mutanoegli si dee sempre a quelparlareche è in bocca delle gentiquando altri si mette ascrivereappressare e avicinare i componimenticon ciò siacosa che d'esser letto e inteso dagli uomini che vivono si debbacercare e procacciare per ciascuno. Perciò che se questo fosseverone seguirebbe che a coloro che popolarescamente scrivonomaggior loda si convenisse dare che a quegli che le scritture lorodettano e compongono piú figurate e piú gentili; eVirgilio meno sarebbe stato pregiatoche molti dicitori di piazza edi volgo per aventura non furonocon ciò sia cosa che egliassai sovente ne' suoi poemi usa modi del dire in tutto lontanidall'usanze del popoloe costoro non vi si discostano giamai. Lalingua delle scrittureGiulianonon dee a quella del popoloaccostarsise non in quantoaccostandovisinon perde gravitànon perde grandezza; che altramente ella discostare se ne dee edilungarequanto le basta a mantenersi in vago e in gentile stato.Il che aviene per ciòche appunto non debbono gli scrittoripor cura di piacere alle genti solamenteche sono in vita quandoessi scrivonocome voi ditema a quelle ancorae per aventuramolto piúche sono a vivere dopo loro: con ciò siacosa che ciascuno la eternità alle sue fatiche piú amache un brieve tempo. E perciò che non si può per noicompiutamente sapere quale abbia ad essere l'usanza delle favelle diquegli uominiche nel secolo nasceranno che appresso il nostroverràe molto meno di quegli altrii quali appresso noialquanti secoli nasceranno; è da vedere che alle nostrecomposizioni tale forma e tale stato si diache elle piacer possanoin ciascuna etàe ad ogni secoload ogni stagione essercare; sí come diedero nella latina lingua a' loro componimentiVirgilioCicerone e degli altrie nella greca OmeroDemostene e dimolt'altri ai loro; i quali tuttinon mica secondo il parlarecheera in uso e in bocca del volgo della loro etàscriveanomasecondo che parea loro che bene lor mettesse a poter piacere piúlungamente. Credete voi che se il Petrarca avesse le sue canzoni conla favella composte de' suoi popolaniche elle cosí vaghecosí belle fossero come sonocosí carecosígentili? Male credetese ciò credete. Né il Boccaccioaltresí con la bocca del popolo ragionò; quantunquealle prose ella molto meno si disconvengache al verso. Che come cheegli alcuna voltamassimamente nelle novellesecondo le propostemateriepersone di volgo a ragionare traponendos'ingegnasse difarle parlare con le voci con le quali il volgo parlavanondimenoegli si vede che in tutto 'l corpo delle composizioni sue esso ècosí di belle figuredi vaghi modi e dal popolo non usatiripienoche meraviglia non è se egli ancora viveelunghissimi secoli viverà. Il somigliante hanno fatto nellealtre lingue quegli scrittoria' quali è stato bisognoperconto delle materie delle quali essi scriveanole voci del popoloalle volte porre nel campo delle loro scritture; sí come sonostati oratori e compositori di comedie o pure di cose che al popolodirittamente si ragionanose essi tuttavia buoni maestri delle loroopere sono stati. Quale altro giamai fuche al popolo ragionasse piúdi quello che fe' Cicerone? Nondimeno il suo ragionare in tanto silevò dal popoloche egli sempre solosempre unicosempresenza compagnia è stato. Simigliantemente avenne di Demostenetra' Greci; e poco meno in quell'altra maniera di scrivered'Aristofane e di Terenzio tra loro e tra noi. Per la qual cosa diredi loro si puòche essi bene hanno ragionato col popolo inmodo che sono stati dal popolo intesima non in quella guisa nellaquale il popolo ha ragionato con loro. Perchése volete direGiulianoche agli scrittori stia bene ragionare in manierache essidal popolo siano intesiio il vi potrò concedere non intuttima in alquanti scrittori tuttavia; ma che essi ragionardebbanocome ragiona il popoloquesto in niuno vi si concederàgiamai. Sono in questa città moltie credo io che ne sianonella vostra ancorai qualiorando come si fa dinanzi alle coronede' giudicio altramente agli orecchi della moltitudine consigliandocome che siatruovano e usano molte voci nuove e per adietro dalpopolo non uditeo ne dicono molte usatema tuttavia le pongono connuovo sentimentoo ancora da altre lingue ne piglianoper fare illoro parlare piú riguardevole e piú vagole qualituttavia sono dal popolo inteseo perché essi le dirivano daalcuna usatao perché la catena delle vocitra le quali elleson postele fa palesi. Usano eziandio molti modi e molte figure deldire similmente nuove al volgoe nondimeno per quelle cagionimedesime da esso intese. Il chese nel ragionare osservato accrescedignità e graziaquanto si dee egli osservare maggiormentenelle scritture? Oltra che infiniti scrittori sonoa' quali non famestiero essere intesi dal volgo; anzi essi lo rifiutano e scaccianodai loro componimentisolamente ad essi i dotti e gli scienziatiuomini ammettendo. Né questo solamente fanno nellecomposizioniche essi agli scienziati scrivonoma in quelle ancoramolte volte che dettano e indirizzano a' non dotti. Scrive dellebisogne del contado il mantovano Virgilioe scrive a contadiniinvitandogli ad apparar le cose di che egli ragiona loro; tuttavoltascrive in modo che non che contadino alcunoma niuno uomo piúche di cittàse non dotto grandemente e letteratopuòbene e compiutamente intendere ciò che egli scrive. Potrassiegli per questo dire che i libri dell'opere della villa di Virgilionon siano lo specchio e il lume e la gloria de' latini componimenti?Non è la moltitudineGiulianoquella che alle composizionid'alcun secolo dona grido e auttoritàma sono pochissimiuomini di ciascun secoloal giudicio de' qualiperciò chesono essi piú dotti degli altri riputatidanno poi le genti ela moltitudine fedeche per sé sola giudicare non sadirittamentee a quella parte si piega con le sue vocia cui ellaque' pochi uominiche io dicosente piegare. E i dotti nongiudicano che alcuno bene scrivaperché egli alla moltitudinee al popolo possa piacere del secolo nel quale esso scrive; magiudica a' dotti di qualunque secolo tanto ciascuno dover piacerequanto egli scrive bene; ché del popolo non fanno caso. Èadunque da scriver bene piú che si puòperciòche le buone scrittureprima a' dotti e poi al popolo del lorosecolo piacendopiacciono altresí e a' dotti e al popolodegli altri secoli parimente.



Ora mi potreste dire: cotestotuo scriver bene onde si ritra' eglie da cui si cerca? Hass'eglisempre ad imprendere dagli scrittori antichi e passati? Non piaccia aDio sempreGiulianoma sí bene ogni volta che migliore e piúlodato è il parlare nelle scritture de' passati uominichequello che è o in bocca o nelle scritture de' vivi. Non doveaCicerone o Virgiliolasciando il parlare della loro etàragionare con quello d'Ennio o di quegli altriche furono piúantichi ancora di luiperciò che essi avrebbono oropurissimoche delle preziose vene del loro fertile e fiorito secolosi traevacol piombo della rozza età di coloro cangiato; sícome diceste che non doveano il Petrarca e il Boccaccio col parlaredi Dantee molto meno con quello di Guido Guinicelli e di Farinata edei nati a quegli anni ragionare. Ma quante volte aviene che lamaniera della lingua delle passate stagioni è migliore chequella della presente non ètante volte si dee per noi con lostile delle passate stagioni scrivereGiulianoe non con quello delnostro tempo. Perché molto meglio e piú lodevolmenteavrebbono e prosato e verseggiatoe Seneca e Tranquillo e Lucano eClaudiano e tutti quegli scrittoriche dopo 'l secolo di GiulioCesare e d'Augusto e dopo quella monda e felice età stati sonoinfino a noise essi nella guisa di que' loro antichidi Virgiliodico e di Ciceronescritto avesseroche non hanno fatto scrivendonella loro; e molto meglio faremo noi altresíse con lo stiledel Boccaccio e del Petrarca ragioneremo nelle nostre carteche nonfaremo a ragionare col nostroperciò che senza fallo alcunomolto meglio ragionarono essi che non ragioniamo noi. Né fieper questo che dire si possache noi ragioniamo e scriviamo a' mortipiú che a' vivi. A' morti scrivono colorole scritture de'quali non sono da persona lette giamaio se pure alcuno le leggesono que' tali uomini di volgoche non hanno giudicio e cosíle malvagie cose leggono come le buoneperché essi morti sipossono alle scritture dirittamente chiamaree quelle scritturealtresíle quali in ogni modo muoiono con le prime carte. Lalatina linguasí come si disse pur dianziera agli antichinatíae in quel grado medesimo che è ora la volgare anoiche cosí l'apprendevano essi tutti e cosí lausavanocome noi apprendiamo questa e usiamoné piúné meno. Non perciò ne vieneche quale ora latinamentescrivea' morti si debba dire che egli scriva piú che a'viviperciò che gli uominide' quali ella era linguaoranon vivonoanzi sono già molti secoli stati per lo adietro.Ma io sono forse troppo arditoGiulianoche di queste cose con voicosí affermatamente ragiono e quasi come legittimo giudicevoglio speditamente darne sentenza. Egli si potrà posciaquando a voi piaceràaltra volta meglio vederese quello cheio dico è vero; e messer Federigo alcuna cosa vi ci recheràancora egli. - Io per me niuna cosa saprei recare sopra quelle che sison dette- disse a questo messer Federigo - forse perciò cheaggiugnere non si può sopra 'l vero. Ma io m'aveggo che il díè basso; se Giuliano piú oltra non fa pensiero di direeglisarà per aventura ben fatto che noi pensiamo didipartirci. - Né io altresí voglio dire piúoltra- rispose il Magnifico - poscia cheo la nuova fiorentinalingua o l'antica che si lodi maggiormentel'onore in ogni modo neva alla patria mia. Il dipartire adunquemesser Federigosia quandoa voi piacese messer Ercole nondimeno s'è de' suoi dubbirisoluto a bastanza -.



Allora lo Strozzache buonapezza assai intentamente quello che s'era ragionato ascoltandoniente parlato aveadisse: - Lo avermi voi tutti oggi fatto chiarod'alquante cose sopra la volgar linguadelle quali io niuna contezzaaveam'ha posto in disio di dimandarvi d'alquante altree fare'lovolentieri se l'ora non fosse tardacome messer Federigo dice e comeio veggo che ella èe se noi non avessimo pur troppolungamente occupato messer Carloil quale fie bene che noi lasciamo.- Me non avete voi occupato di nulla- riprese mio fratello - ilquale non potea questo dí meglio spendere che io me l'abbiaspeso. Voimesser Ercolee questi altri posso io bene avereoccupati e disagiati soverchioil che se è statodellavostra molta cortesia ringraziandoviche avete con isconcio di voiil mio natale dí della vostra presenza onoratovi chieggo diciò perdono. Non per tanto io non mi pento d'avervi datoquesto sinistro: e chi sase io ne ho a fare piú alcunoaltro? Malasciando questo da partese io credessi che voifattochiaro di quelle cose delle quali dite che ci addimanderestevolentieripensaste di scrivere alcuna volta con quella lingua conla quale ragionate sempreio direi che noio qui o in altro luogodove a voi piacesseinsieme ci ritrovassimo medesimamente domani aquesto fine. Ma io non lo speroin maniera v'ho io conosciuto inogni tempo lontano da questo consiglio. - Sicuramente - disse loStrozza - cosí è stato di me come voi diteinfino aquesto giornoche non ho mai potuto volger l'animo allo scrivere inquesta favella. Non perciò dovete voi di ragionarne mecorimanerviche egli potrebbe bene avenire che io muterei sentenzaudendo le vostre ragioni. E domani che possiamo noi meglio faremassimamente niuna cosa affare avendocome non abbiamo? se costordue tuttavolta maggiore opera non hanno a fornireche m'abbia io -.I quali rispondendo che essi niuna ne aveanoe quando n'avessermolte avuteessi non sapeano che cosa si potesse per loro farecheloro piú piacesse che si facesse di questa- Dunque- dissemio fratello - poscia che voi il fate possibileper me non vogliogià io che rimangache non vi sia ogni occasion datamesserErcoledella vostra falsa openione di dipartirvi -. E cosíconchiuso per ciascuno che il seguente giorno appresso desinare purea casa mio fratello si venisseessi da sedere si levaronoe presoda tutti il passo verso le scaleche alquanto lontane erano dallapartenella quale dimorando ragionato aveanodisse lo Strozza: - Sedi questo dubbio voi mi potetemesser Carlocosí caminandofar chiaroditemi: quando alcun fosseil quale nello scriverenéa quella antica toscana linguané a questa nuova in tuttotenendosidelle quali disputato avetema dell'una e dell'altra lemigliori parti pigliandoamendue le mescolasse e facessene una suanon lo lodereste voi piú che se egli non le mescolasse? - Io -disse mio fratello - il lodereiquando egli tuttavia facesse in modoche la sua mescolata lingua fosse miglioreche non è lasemplice antica. Ma ciò sarebbe piú malagevole affareche altri per aventura non istima; con ciò sia cosa che il menbuono aggiunto al migliore non lo può miglior fare di quelloche egli èmen buono sí il fa egli sempre; chéil pane del grano non si fa miglior pane per mescolarvi la saggina.Perché io per me non saprei lodaremesser Ercolequestomescolamento -. Cosí dettoe scese le scalee alle porteche dal canto dell'acqua eranopervenutimio fratello si rimaseegli trein una delle nostre barchette salitisi dipartirono.




SECONDOLIBRO


Due sonomonsignor messerGiulioper comune giudicio di ciascun saviodella vita degli uominile vie; per le quali si puòcaminandoa molta loda di sécon molta utilità d'altrui pervenire. L'una è il farele belle e le laudevoli cose; l'altra è il considerare e ilcontemplarenon pur le cose che gli uomini far possonoma quelleancora che Dio fatte hae le cause e gli effetti loro e il loroordinee sopra tutte esso facitor di loro e disponitore econservator Dio. Perciò che e con le buone operee in pace ein guerrasi fa in diversi modi e alle private persone e allecomunanze de' popoli e alle nazioni giovamentoe per lacontemplazione diviene l'uom saggio e prudente e può gli altridi molta virtú abondevoli fare similmenteloro le cose da sétrovate e considerate dimostrando. E in tanto furono l'una e l'altraper sé di queste vie dagli antichi filosofi lodatache ancorala quistion pendequale di loro preporre all'altra si debba e siamigliore. Ora se alle buone opere e alle belle contemplazioni lapenna mancassené si trovasse chi le scrivesseelle cosígiovevoli non sarebbono di gran lungacome sono. Con ciò siacosa che essendo lor tolto il modo del poter essere da tutte gentieper molti secoliconosciuteesse né con l'essempiogioverebbono né con l'insegnamentose non in picciola emenomissima parte a rispetto di quel tantoche far possono con lamemoria e col testimonio degl'inchiostri; a' qualiquando elle statesono raccomandate con vaga e leggiadra manieranon solo gran fruttorendonoma ancora maraviglioso diletto apportano alle umane mentivaghe naturalmente sempre d'intendere e di sapere. Per la qual cosaprimieramente da quelli d'Egitto infinite cose si scrisseroinfiniteposcia da' Fenicidagli Assiriida' Caldei e da altre nazioni sopraessi; infinite sopra tutto da' Greciche di tutte le scienze e lediscipline e di tutti i modi dello scrivere stati sono grandi ediligenti maestri; infinite ultimatamente da' Romanii quali co'Greci garreggiarono della maggioranza delle scrittureistimando peraventurasí come nelle arti della cavalleria e delsignoreggiare fatto aveanodi vincernegli cosí in questanella quale tanto oltre andarono; che la latina lingua n'èdivenuta talechente la vediamo.



È oramonsignor messerGiulioe a questi ultimi secoli successa alla latina lingua lavolgare; et è successa cosí felicementeche giàin essanon pur moltima ancora eccellenti scrittori si leggonoenel verso e nella prosa. Perciò che da quel secoloche sopraDante infino ad esso fucominciandomolti rimatori incontanentesurseronon solamente della vostra città e di tutta Toscanama eziandio altronde; sí come furono messer Piero dalle VigneBuonagiunta da LuccaGuitton d'Arezzomesser Rinaldo d'AcquinoLapo GianniFrancesco IsmeraForese DonatiGianni AlfaniSerBrunettoNotaio Jacomo da LentinoMazzeo e Guido Giudice messinesiil re Enzolo 'mperador Federigomesser Onesto e messer Semprebeneda Bolognamesser Guido Guinicelli bolognese anch'eglimolto daDante lodatoLupo degli Ubertiche assai dolce dicitor fu perquella età senza fallo alcunoGuido OrlandiGuidoCavalcantide' quali tutti si leggono ora componimenti; e GuidoGhisilieri e Fabrizio bolognesi e Gallo pisano e Gotto mantovanocheebbe Dante ascoltatore delle sue canzonie Nino sanese e deglialtride' quali non cosí ora componimentiche io sappiasileggono. Venne appresso a questi e in parte con questiDantegrandee magnifico poetail quale di grandissimo spazio tutti adietro glisi lasciò. Vennero appresso a Danteanzi pure con esso luima allui sopravisseromesser Cinovago e gentil poeta e sopra tuttoamoroso e dolcema nel vero di molto minore spiritoe DinoFrescobaldipoeta a quel tempo assai famoso ancora eglie IacopoAlaghierifigliuol di Dantemoltonon solamente del padremaancora di costui minore e men chiaro. Seguí a costoro ilPetrarcanel quale uno tutte le grazie della volgar poesia raccolte.Furono altresí molti prosatori tra quelli tempide' qualitutti Giovan Villaniche al tempo di Dante fu e la istoriafiorentina scrissenon è da sprezzare; e molto meno PietroCrescenzo bolognesedi costui piú anticoa nome del qualedodici libri delle bisogne del contadoin volgare fiorentinoscrittiper mano si tengono. E alcuni di quelli ancora che in versoscrisseromedesimamente scrissero in prosasí come fu GuidoGiudice di Messinae Dante istesso e degli altri. Ma ciascun di lorovinto e superato fu dal Boccaccioe questi medesimo da séstesso; con ciò sia cosa che tra molte composizioni sue tantociascuna fu migliorequanto ella nacque dalla fanciullezza di luipiú lontana. Il qual Boccacciocome che in verso altresímolte cose componessenondimeno assai apertamente si conosce cheegli solamente nacque alle prose. Sono dopo questi statinell'unafacultà e nell'altramolti scrittori. Vedesi tuttavolta cheil grande crescere della lingua a questi dueal Petrarca e alBoccacciosolamente pervenne; da indi innanzinon che passar piúoltrema pure a questi termini giugnere ancora niuno s'èveduto. Il che senza dubbio a vergogna del nostro secolo si trarrà;nel qualeessendosi la latina lingua in tanto purgata dalla rugginedegl'indotti secoli per adietro statiche ella oggimai l'antico suosplendore e vaghezza ha ripresanon pare che ragionevolmente questalinguala quale a comperazione di quella di poco nata dire si puòcosí tosto si debba essere fermataper non ir piúinnanzi. Per la qual cosa io per me conforto i nostri uominiche sidiano allo scrivere volgarmenteposcia che ella nostra lingua èsí come nelle raccontate cosenel primo libro raccoltesidisse. Perciò che con quale lingua scrivere piúconvenevolmente si può e piú agevolmenteche conquella con la quale ragioniamo? Al che fareacciò chemaggiore agevolezza sia lor dataio a spor loro verròinquesto secondo libroil ragionamento del secondo giornotra quellimedesimi fattode' quali nel primo si disse.



Perciò che ritornati glitredesinato che essi ebberoa casa mio fratellosí comeordinato aveanoe facendo freddo per lo vento di tramontanacheancor traevad'intorno al fuoco raccoltisipreso prima da ciascundi loro un buon caldoessi a seder si poseroe mio fratello conesso loro altresí. Il che fatto e cosí un pocodimoraticominciò Giuliano verso gli altri cosí adire: - Io non sose la gran voglia che io hoche messer Ercole sidisponga allo scrivere e comporre volgarmenteha fatto che io hoquesta notte un sogno vedutoche io raccontar vi voglio; o se purealcuna virtú de' cieli o forse delle nostre animela qualealle volte per questa via le cose che a venir sonoprima cheavenganosí come avenute usi agli uomini far vederese l'haoperato; il che a me giova di credere piú tosto. Ma come chesiaa me pareadormendo io questa notte come io dicoessere soprauna bellissima riva d'Arnoombrosa per molti allori e tutta d'erbe edi fiori coperta infino all'acquache purissima e altaconpiacevole lentezza correndola bagnava. E per tutto il fiumequantoio gli occhi potea stenderemi parea che bianchissimi cignis'andassero sollazzando; e quale compagnia di loroche erano in ogniparte moltiincontro al fiume le palme de' piedi a guisa di remosovente adoperando montava; quale col corso delle belle acqueaccordatasi si lasciava da loro portarepoco movendosi; e altri nelmezzo del fiume o accanto le verdi ripeil soleche purissimo gliferíaricevendosi diportavano; da' quali tutti uscire sídolci canti si sentivano e sí piacevole armoniache il fiumee le ripe e l'aere tutto e ogni cosa d'intornod'infinito dilettoparea ripieno. E mentre che io gli occhi e gli orecchi di quellavista e di quel concento pascevaun candidissimo cigno e grandemoltoche per l'aria da mano manca venivachinando a poco a poco ilsuo voloin mezzo il fiume soavemente si riposeeripostovisiacantare incominciò ancora eglistrana e dolce melodiarendendo. A questo uccello molto onore parea che rendessero tutti glialtriallegrezza della sua venuta dimostrando e larga corona delleloro schiere facendogli. Della qual cosa maravigliandomi ioe lacagione cercandonem'era non so da cui dettoche quel cignoche iovedeaera già stato bellissimo giovanedel Po figliuoloequegli altri similmente erano uomini staticome io era. Ma questi ingrembo del padre cangiata formae nel Tevere a volo passandoaveale ripe di quel fiume buon tempo fatte risonare delle sue vocie oraad Arno venutovolea quivi dimorarsi altrettanto; di che facevanomaravigliosa festa quegli altriche sapevano tutti quanto egli eracanoro e gentile. Lasciommi appresso a questo il sonno; laonde iosopra le vedute cose pensandoe al presente stato di messer Ercoleper gli ragionamenti fatti ieritraendolenepiglio speranza cheegli da noi persuasoabbia in brieve a rivolgere alla volgar linguail suo studioe con essa ancora tante cose e cosíperfettamente a scriverechenti e quali egli ha per adietro scrittenella latina. Di che io per me son acconcio a niuna cosa tacergliche io sappiadella quale esso m'addomandicome ci disse ieri divoler fare. E medesimamente conforto voimesser Federigo e messerCarloche facciate; e cosí insieme tutti e tre ognidiligenzache tornare a suo profitto ci possausiamo. - Usiamo-disse incontanente messer Federigo - né vi si manchi da verunlato per noi; il che fare tanto piú volentieri ci si doveràquanto ce ne invita il sogno di Giulianoil quale io per me piglioin luogo d'arrae parmi già vedere messer Ercoledalleromane alle fiorentine Muse passandoquasi cigno divenutonuovicanti mandar fuorie spargere per l'aere in disusata manierasoavissimi concenti e dolcezze -. Allora disse mio fratello: - Seallo scrivere volgarmente si darà lo Strozza giamaiil che iovoglio crederemesser Federigoche possa essere agevolmente altresícome voi credeteché non do men fede al sogno di Giuliano chediate voisicuramente egli non pur cigno ci parrà che siamaancora fenicein maniera per lo cielo ne 'l porterà quel suorarissimo e felicissimo ingegno. Perché io il sapereiconfortareche egli a sé stesso non mancasse; e ioquantoappartiene a mene lo agevolerò volentierise saperòcome o quando il poter fare. - Voi di troppo piú m'onorate-disse a queste parole lo Strozza - che io non ardisco di disiderarenon che io stimi che mi si convenga. E il sogno di Giulianoveramente sogno è in tutte le altre sue partiin questa solapotrebbe egli forse essere visioneche io sia per iscriverevolgarmente a qualche tempose io averò vita; perciòcheda poca ora in quatanto disio me ne sento per le vostrepersuasioni esser natoche non fia maraviglia se io procaccieròquando che siadi trarmene alcuna voglia. Ma tornando alle nostrequistion d'ieriper le quali fornire oggi ci siamo qui venutiiovorreimesser Carloda voi sapereposcia che detto ci avete cheegli si dee sempre nello scrivere a quella maniera che èmigliore appigliarsio antica e de' passati uomini che ella siaomoderna e nostrain che modo e con qual regola hass'egli a farequesto giudicioe a quale segno si conoscono le buone volgariscritture dalle non buone etra due buonequella che piú èmigliore e quella che menoe in fine di questa medesima forma dicomponimentidella quale si ragionò ieride' presentitoscani uominie voi dite non essere cosí buona come èquella con la quale scrisse il Boccaccio e il Petrarcaperchési dee credere e istimare che cosí sia. - Per questose io vivoglio brievemente rispondere- disse mio fratello - che ella cosílodati scrittori non ha come ha quella. Che perciò checomesapetetanto ciascuno scrittore è lodatoquanto egli èbuonone viene che dalla fama fare si può spedito argomentodella bontà. Ché sí come tra' greci scrittoriné poeta niuno si vede essere né oratore di tantogridodi chente Omero e Demostene sono; né tra' Latini èalcunoal quale cosí piena loda sia datacome a Virgilio sidà e a Cicerone; per la qual cosa dire si può che essimigliori scrittori sianosí come sonodi tutti gli altri;cosí medesimamente dicomesser Ercoledel nostro volgareavenire. Che perciò chetra tutti i toscani rimatori eprosatoriniuno è la cui maniera dello scrivere di loda e digrido avanzi o pure agguagli quella di costor due che voi dite ocredere si dee che le guise delle loro scritture migliori sieno cheniune altre. Oltra che se alcuno eziandio volessesenza por mentealla fama degli scrittoripure da' loro scritti pigliarne ilgiudicio e darne sentenzasí si può questo fare perchi diligentemente considera le parti tutte delle scritte cosechesono in quistionee cosí facendosipiú certa e piúsicura sperienza se ne piglierebbeche in altra maniera. Con ciòsia cosa che egli può bene avenire che alcuno vivail qualemiglior poeta sia o migliore oratoreche niuno degli antichienondimeno egli non abbia tanto grido e tanta fama raccolta dallegentiquanta hanno essi; perciò che il grido non viene cosísubitamente a ciascunoe pochissimi sono quelli chevivendotanton'abbianoquanto si convien loro.



- Ora le partimesser Carloche voi dite che da considerar sarebbono- disse lo Strozza - perchi volesse trarne questo giudicioquali sono? - Elle sono in granparte quelle medesime- disse mio fratello - che si consideranoeziandio ne' latini componimenti; e queste non fa mestiero che io viraccogliaa cui elle vie piú conte sono e piúmanifeste che a me. Delle altreche non sono perciò moltesipotrà vederese pure a voi piacerà che se ne cerchi. -Io non voglio che voi guardiatemesser Carlo- disse lo Strozza -quello che della latina lingua mi sia chiaro o non chiaroche io nepotrei far perdita; e trovarestemi in ciò di gran lunga menointendenteche per aventura non istimate. Né voglio ancorache separiate quelle parti della volgare favellache cadonomedesimamente nella latinada quelle che non vi cadonochéegli si potrebbe agevolmente piú penare a far questa scieltache a sporre tutta la somma. Ma io cercoe di ciò vi stringoe gravoche senza rispetto avere alcuno alle latine cosemi diciatequali sono quelle parti tutteper le quali si possa sopra laquistioneche io dicoquel giudicio fare e quella sentenza trarneche voi dite. - Io non so giàmesser Ercole- rispose miofratello - se io cosí ora le potessi tutte raccogliereinteramentele quali sono senza fallo molteparticolarmente eminutamente considerate. Ma le generali possono esser queste: lamateria o suggettoche dire vogliamodel quale si scrivee laforma o apparenzache a quella materia si dàe ciò èla scrittura. Ma perciò che non della materiadintorno allaquale alcuno scrivema del modo col quale si scrives'èragionato ieri e ragionasi oggi tra noidi questa seconda partefavellandodico ogni maniera di scrivere comporsi medesimamente didue parti: l'una delle quali è la elezionel'altra èla disposizione delle voci. Perciò che primieramente èda vederecon quali voci si possa piú acconciamente scriverequello che a scrivere prendiamo; e appresso fa di mestieroconsiderarecon quale ordine di loro e componimento e armoniaquelle medesime voci meglio rispondano che in altra maniera. Con ciòsia cosa che né ogni voce di moltecon le quali una cosasegnar si puòè grave o pura o dolce ugualmente; néogni componimento di quelle medesime voci uno stesso adornamento hao piace e diletta ad un modo. Da sciegliere adunque sono le vocisedi materia grande si ragionagravialtesonantiapparentiluminose; se di bassa e volgarelievipianedimessepopolarichete; se di mezzana tra queste duemedesimamente con voci mezzane etemperatee le quali meno all'uno e all'altro pieghino di questi dueterminiche si può. È di mestiero nondimeno in questemedesime regole servar modoe schifare sopra tutto la sazietàvariando alle volte e le voci gravi con alcuna temperatae letemperate con alcuna leggerae cosí allo 'ncontro queste conalcuna di quellee quelle con alcuna dell'altre né piúné meno. Tuttafiata generalissima e universale regola èin ciascuna di queste maniere e stilile piú purele piúmondele piú chiare semprele piú belle e piúgrate voci sciegliere e recare alle nostre composizioniche sipossa. La qual cosa come si faccialungo sarebbe il ragionarvi; conciò sia cosa che le voci medesime o sono proprie delle cosedelle quali si favellae paiono quasi nate insieme con esseo sonotratte per somiglianza da altre cosea cui esse sono proprieeposte a quelle di cui ragioniamoo sono di nuovo fatte e formate danoi; e queste voci posciacosí divise e partitealtre partihanno e altre divisioni sotto esseche tutte da saper sono. Ma voipotete da quelli scrittori ciò imprendereche ne scrivonolatinamente.



E se pure aviene alcuna voltache quello che noi di scrivere ci proponiamoisprimere non si possacon acconcie vocima bisogni recarvi le vili o le dure o ledispettoseil che appena mi si lascia credere che avenir possatante vie e tanti modi ci sono da ragionare e tanto variabile eacconcia a pigliar diverse forme e diversi sembianti e quasi colori èla umana favellama se pure ciò avienedico che da tacere èquel tantoche sporre non si può acconciamentepiútosto chesponendolomacchiarne l'altra scrittura; massimamentedove la necessità non istringa e non isforzi lo scrittoredalla qual necessità i poetisopra gli altrisono lontani. Eil vostro DanteGiulianoquando volle far comperazione degliscabbiosimeglio avrebbe fatto ad aver del tutto quelle comperazionitaciuteche a scriverle nella maniera che egli fece:


Enon vidi giamai menare stregghia

aragazzo aspettato da signorso;


epoco appresso:


Esi traevan giú l'unghie la scabbia

comecoltel di scardova le scaglie.


Comeche molte altre cose di questa maniera si sarebbono potute tralasciardallui senza biasimoché nessuna necessità lo strigneapiú a scriverle che a non scriverle; là dove non senzabiasimo si son dette. Il qual poeta non solamente se taciuto avessequello che dire acconciamente non si poteameglio avrebbe fatto e inquesto e in molti altri luoghi delle composizioni suema ancora seegli avesse voluto pigliar fatica di dire con piú vaghe e piúonorate voci quello che dire si sarebbe potutochi pensato v'avesseet egli detto ha con rozze e disonoratesí sarebbe egli dimolto maggior loda e gridoche egli non è; come che eglinondimeno sia di molto. Che quando e' disse:


Biscazzae fonde la sua facultate


Consumao Disperde avrebbedettonon Biscazzavoce del tutto dura e spiacevole; oltra che ella non è voceusatae forse ancora non mai tocca dagli scrittori. Non fece cosíil Petrarcail qualelasciamo stare che non togliesse a dire di ciòche dire non si potesse acconciamentematra le cose dette benesealcuna minuta voce erache potesse meglio dirsiegli la mutava erimutavainfino attanto che dire meglio non si potesse a modo alcuno-.



Quivi trapostosi Giulianoverso lo Strozza rivoltodisse: - O quanto è veromesserErcoleciò che il Bembo ci ragiona del Petrarca in questaparte. Perciò che venendominon ha guarivedute alcune cartescritte di mano medesima del poetanelle quali erano alquante dellesue rimeche in que' fogli mostrava che eglisecondo che esso leveniva componendoavesse notatequale interaquale troncaqualein molte parti cassa e mutata piú volteio lessi tra glialtri questi due versi primieramente scritti a questo modo:


Voich'ascoltate in rime sparse il suono

diquei sospirde' quai nutriva il core.


Poicome quegli che dovette pensareche il dire De' quai nutriva ilcore non era ben pienoma vimancava la sua personaoltra che la vicinanza di quell'altra voceDi queitoglieva aquestaDe' quaigraziamutò e fecene Di ch'io nutriva il core.Ultimamente sovenutogli di quella voceOndeessendo ella voce piú rotonda e piú sonora per le dueconsonanti che vi sonoe piú piena; aggiuntovi che il direSospiripiúcompiuta voce èe piú dolceche Sospir;cosí volle dire piú tostocome si leggeche a quelmodo. Ma voimesser Carlonondimeno seguite -. Il quale i suoiragionamenti cosí riprese: - Molte altre parti possono le vociavereche scemano loro grazia. Perciò che e sciolte elanguide possono talora essereoltra il convenevoleo dense eriserrate; pinguiaride; morbideruvide; mutolestrepitanti; etarde e rattee impedite e sdrucciolosee quando vecchie oltramodoe quando nuove. Da questi diffetti adunquee da similichipiú si guarderàa' buoni avertimenti dando maggioreoperacolui si potrà dire che nello sciegliere delle vociuna delle partiche io dissigenerali dello scriveremigliorecompositor sia o di prosa o di versoe piú loda meriti checoloro che lo fanno menoquando per la comperazione loro si troveràche cosí sia.



Altrettante coseanzi piúmolte ancora si possonomesser Ercolenella disposizioneconsiderare delle vocisí come di parte molto piúlarga che la primiera. Con ciò sia cosa che lo sciegliere sifauna voce semplicemente con un'altra voceo con duele piúvolte comparando; dovea dispor benenon solamente bisogna una vocespesse fiate comparare a molte vocianzi molte guise di voci ancoracon molte altre guise di voci comporre e agguagliare fa mestiero ilpiú delle volte. Dico adunqueche sí come sogliono imaestri delle naviche vedute potete avere in piú parti diquesta città fabricarsii quali tre cose fanno principali;perciò che primieramente risguardano quale legnoo qualeferroo quale funea quale legno o ferro o fune componganociòè con quale ordine gli accozzino e congiungano tra loro;appresso considerano quello medesimo legnoche essi a un altro legnoo ferro o fune hanno a comporrein quale guisa comporre il possanoche bene stiao per lo lungo o attraverso o chinato o stante o tortoo diritto o come che sia in altra maniera; ultimamente queste funi oquesti ferri o questi legnise sono troppi lunghiessi gliaccorzanose sono cortigli allunganoe cosí o gli'ngrossano o gli ristringonoo in altre guise levandone egiugnendonegli vanno rassettando in maniera che la nave se necompone giusta e bellacome vedete; cosí medesimamente gliscrittori tre parti hanno altresí nel disporre i lorocomponimenti. Perciò che primiera loro cura è vedernel'ordinee quale voce con quale voce accozzataciò èquale verbo a quale nomeo qual nome a qual verboo pure quale diquesteo quale altra partecon quale di queste o delle altre partidel parlarecongiunta e composta bene stia. È bisogno dopoquestoche per loro si consideri queste parti medesime in qualeguisa standomigliore e piú bella giacitura truovinoche inaltra maniera; ciò è quella voceche nome ha adesserecome e per che via ella essere possa piú vagao nelnumero del piú o in quello del menonella forma del maschio odella feminanel diritto o negli obliqui casi; medesimamente quelloche ha ad esser verbose presente o futurose attivamente opassivamente o in altra guisa postomeglio suona; a questo modomedesimo per le altre membra tutte de' nostri parlariin quanto sipuò e lo pate la loro qualità discorrendo. Rimane perultima loro fatica poiquando alcuna di queste partio brieve olunga o altrimenti dispostaviene loro parendo senza vaghezzasenzaarmoniaaggiugnervi o scemar di loroo mutare e trasporrecome chesiao poco o moltoo dal capo o nel mezzo o nel fine. E se io oramesser Ercolevi vo' le minute cosee piú tosto agli orecchidi nuovo scolare che di dottissimo poeta convenevoli ad ascoltareegià da voimentre eravate fanciullone' latini sgrossamentiuditeraccontandodatene di ciò a voi stesso la colpa cheavete cosí voluto -. Quivi: - E se a voi non grava di ciò- rispose lo Strozza - che io a voi do fatica di raccontarci questecosí minute cosemesser Carlocome voi ditedi me non vicaglia; il quale come che in niune non sia maestropure in questesono veramente discepolo. E nondimeno fa mestieroa chiunqueapprendere alcuna scienza disideraincominciare da' suoi principjche sono per lo piú deboli tutti e leggieri. E se io alcunaparte di queste medesime coseche si son dette o sono a direhoaltra voltadando alla latina lingua le prime opereuditociòbene mi metterà in questoche piú agevole mi si faràlo apprendere e ritenere la volgarese io giamai d'usarla faròpensiero. Perchédi graziaseguiteniuna cosa in niunaparte per niun rispetto tacendoci -.



Poca fatica piglierei per voi- rispose mio fratello - e di pocomesser Ercolevi potreste valerdi mese io questa volentieri non pigliassi. Dunque seguasi; e acciòche meglio quello che io dico vi si faccia chiaroragioniamo peratto d'essempio cosí. Potea il Petrarca dire in questo modo ilprimo verso della canzoneche ci allegò Giuliano: Voich'in rime ascoltate. Maconsiderando egli che questa voce Ascoltateper la moltitudine delle consonanti che vi sono e ancora per laqualità delle vocali e numero delle sillabeè vocemolto alta e apparentedove Rimeper li contrari rispettiè voce dimessa e poco dimostrantesivide che se egli diceva Voi ch'in rimeil verso troppo lungamente stava chinato e cadentedovedicendo Voich'ascoltateegli subitamentelo inalzavail che gli accresceva dignità. Oltra che Rimeperciò che è voce leggiera e snellaposta tra questedueAscoltate eSparseche sonoamendue piene e graviè quasi dell'una e dell'altratemperamento. E aviene ancora che in tutte queste voci dette erecitate cosíVoi ch'ascoltate in rime sparseet esse piú ordinatamente ne vannoe fanno oltre acciòle vocali piú dolce varietà e piú soave che inquel modo. Perché meglio fu il direcome egli fe'che seegli avesse detto altramente. Il che potrà essere avertimentodell'ordineprima delle tre parti che io dissi. Poteva eziandio ilPetrarcaquell'altro verso della medesima canzone dire cosí:Fra la vana speranza e 'l van dolore.Ma perciò che la continuazione della vocale Atoglieva graziae la variazione della Etrapostavi la riponevamutò il numero del meno in quello delpiúe fecene Fra le vane speranze;e fece beneche quantunque il mutamento sia poconon èperciò poca la differenza della vaghezzachi vi pensa econsidera sottilmente. E cade questo nel secondo modo del disporredetto di sopra. Perciò che nel terzoche è togliendoalle voci alcuna loro parteo aggiugnendo o pure tramutando come chesiacade quest'altro:


Quand'erain parte altr'uom da quel ch'i sono;


equest'altro:


Maben veggi'orsí come al popol tutto

favolafui gran tempo.


EranoUomo e Popolole intere vocidalle quali egli levò la vocale loro ultima;la quale se egli levata non avesseelle sarebbono state vocialquanto languide e cascantiche ora sono leggiadrette e gentili.Cadono altresí di molt'altri; sí come è: Chem'hanno congiurato a torto incontra;dove Incontra disse ilmedesimo poetapiú tosto che Contra.E Sface molte volteusòe Sevrialcuna fiata e Adivienee Dipartíopiútosto che Disface eSepari e Avienee DipartíeDiemme e Aprilladovendo dire dirittamente Mi dièe La aprí. Eperché io v'abbiadi questi modi del disporrele somiglianzerecate dal versonon è che essi non cadano eziandio nellaprosaperciò che essi vi cadono. È il vero che questamanieraultima delle trepiú di rado vi cade che le altre;con ciò sia cosa che alla prosaperciò che ella allaregola delle rime o delle sillabe non sottogiace e può vagaree spaziare a suo modomolto meno d'ardire e di licenza si dàin questa parteche al verso. Orasí come e nelle sillabe enelle sole voci queste figure entranocosí dico io che elleentrano parimente negli stesi parlarie per aventura molto piú.Perciò che oltra che non ogni parte che si chiuda con alquantevocis'acconviene con ogni partee meglio giacerà postaprima che poio allo 'ncontro; e quella medesima parte non in ogniguisa posta riesce parimente graziosa; e toltone o aggiuntone omutatone alcuna vocepiú di vaghezza dimostrerà senzacomperazione alcuna che altramente; sí aviene egli ancora cheil lungo ragionaree di quelle medesime figure molto piúcapevole esser puòche una sola voce non èeoltre aquestoegli è di molte altre figure capevoledelle quali nonè capevole alcuna sola voce; sí come ne' libri dicoloro palese si vedeche dell'arte del parlare scrivonopartitamente. A queste cose tutte adunquemesser Ercolechirisguarderàquando egli delle maniere di due scrittorio diprosa o di versopiglierà a dar sentenzaegli potràper aventura non ingannarsicome che io non v'abbia tuttavia ogniminuta parte raccoltadi quelle che c'insegnano questo giudizio -.



Allora messer Federigoversomio fratello guardando: - Io volea or ora - disse - a messer Ercolerivolgermi e dirgli che voi fuggivate faticaperciò che moltedell'altre cose potevate recare ancora che sono con questecongiuntissime e mescolatissime; se voi medesimo confessato nonl'aveste. - E quali sono coteste cosemesser Federigo- disse loStrozza - che voi dite che messer Carlo avrebbe ancora potutorecarci? - Egli le vi dirà- rispose messer Federigo - se voine 'l dimandereteche ha le altre detteche avete udito. - Iosicuramente non so se io me ne ricordassi oracercandone- risposemio fratello - che sapete come io malagevolmente mi ramemoro letralasciate cosesí come son queste; posto che io il purevolessi fareil che vorreise a messer Ercole sodisfare altramentenon si potesse. Ma voiil quale non sete meno di tenace memoriachesiate di capevole ingegnoné leggeste giamai o udiste dircosa che non la vi ricordiate (e in ciò ben si parechemonsignor lo duca Guido vostro zio vi sia maggiore) sete senza fallodisubedienteposcia che a messer Ercolequesto da voi chiedentenon sodisfate; non voglio dire poco amorevoleche non volete mecoessere alla parte di questo peso -. Perché instando con messerErcole mio fratelloche egli a messer Federigo facesse dire ilrimanenteet esso stringendone luie il Magnifico parimentechediceva che mio fratello aveva detto assaiegli dopo una brievecontesapiú per non torre a mio fratello il fornire loincominciato ragionamento fatta che per altrolietamente a dire sidisposee cominciò: - Io pure nella mia rete altro preso nonarò che me stesso. E bene mi staposcia che io tacere quantosi conveniva non ho potutoche io di quello favelli che men vorrei.Né crediate che io questo dicaperché in ciò lafatica mi sia gravosache non èdove io a qualunque s'èl'uno di voi piaccianon che a tutti e tre. Ma dicolo perciòche le coseche dire si convengonosono di qualitàchemalagevolmente per la loro disusanza cadono sotto regolain modo chepago e sodisfatto se ne tenga chi l'ascolta. Ma come che siavenendoal fattodico che egli si potrebbe considerarequanto alcunacomposizione meriti loda o non meritiancora per questa via: cheperciò che due parti sono quelle che fanno bella ogniscritturala gravità e la piacevolezza; e le cose poicheempiono e compiono queste due partison treil suonoil numerolavariazionedico che di queste tre cose aver si dee risguardopartitamenteciascuna delle quali all'una e all'altra giova delledue primiere che io dissi. E affine che voi meglio queste duemedesime parti conosciatecome e quanto sono differenti tra lorosotto la gravità ripongo l'onestàla dignitàla maestàla magnificenzala grandezzae le lorosomiglianti; sotto la piacevolezza ristringo la graziala soavitàla vaghezzala dolcezzagli scherzii giuochie se altro èdi questa maniera. Perciò che egli può molto benealcuna composizione essere piacevole e non gravee allo 'ncontroalcuna altra potrà grave esseresenza piacevolezza; sícome aviene delle composizioni di messer Cino e di Dantechétra quelle di Dante molte son gravisenza piacevolezzae tra quelledi messer Cino molte sono piacevolisenza gravità. Non dicogià tuttavoltache in quelle medesime che io gravi chiamonon vi sia qualche voce ancora piacevolee in quelle che dico esserepiacevolialcun'altra non se ne legga scritta gravementema dicoper la gran parte. Sí come se io dicessi eziandio che inalcune parti delle composizioni loro né gravità népiacevolezza vi si vede alcunadirei ciò avenire per lo piúe non perché in quelle medesime parti niuna voce o grave opiacevole non si leggesse. Dove il Petrarca l'una e l'altra di questeparti empié maravigliosamentein maniera che scegliere non sipuòin quale delle due egli fosse maggior maestro.



Ma venendo alle tre cosegeneranti queste due parti che io dissiè suono quel concentoe quella armoniache nelle prose dal componimento si genera dellevocinel verso oltre acciò dal componimento eziandio dellerime. Ora perciò che il concentoche dal componimento nascedi molte vocida ciascuna voce ha originee ciascuna voce dallelettereche in lei sonoriceve qualità e formaè dimestiero saperequale suono rendono queste lettereo separate oaccompagnateciascuna. Separate adunque rendono suono quelle cinquesenza le quali niuna voceniuna sillaba può aver luogo. E diqueste tutte miglior suono rende la A;con ciò sia cosa che ella piú di spirito manda fuoriperciò che con piú aperte labbra ne 'l manda e piúal cielo ne va esso spirito. Migliore dell'altre poi la Ein quanto ella piú a queste parti s'avicina della primiera chenon fanno le tre seguenti. Buonoappresso questiè il suonodella O; allo spiritodella quale mandar fuorile labbra alquanto in fuori si sporgono ein cerchioil che ritondo e sonoro ne 'l fa uscire. Debole eleggiero e chinato e tuttavia dolce spiritodopo questoèrichiesto alla I;perché il suono di lei men buono è che di quelle che sison dettesoave nondimeno alquanto. Viene ultimamente la U;e questaperciò che con le labbra in cerchiomolto piúche nella O ristrettodilungate si generail che toglie alla bocca e allo spirito dignitàcosí nella qualità del suono come nell'ordine èsezzaia. E queste tutte molto migliore spirito rendonoquando lasillaba loro è lungache quando ella è brieve; perciòche con piú spazioso spirito escono in quella guisa e piúpienoche in questa. Senza che la Oquando è in vece della Olatinain parte eziandio il mutale piú volte piúalto rendendolo e piú sonoroche quando ella è in vecedella U; sícome si vede nel dire Ortoe Popolonelle qualila prima O con piúaperte labbra si forma chell'altree nel dire Oprain cui medesimamente la Opiú aperta e piú spaziosa se n'esceche nel dire Ombrae Soprae con piúampio cerchio. Quantunque ancor della Equesto medesimamente si può dire: perciò che nelle vociGenteArdenteLeggeMietee somigliantila prima Ealquanto piú alta esce che non fa la seconda; sí comequella che dalla Elatina ne vien sempredove le rimanenti vengono dalla Ile piú volte. Il che piú manifestamente apparisce inqueste parole del Boccaccio: Se tu di Costantinopoli se'.Dove si vede che nel primo Seperciò che esso ne viene dal Silatinola E piúchinata esce che non fa quella dell'altro Seil quale seconda voce è del verbo Esseree ha la E nel latino enon la Isícome sapete. Accompagnated'altra parterendono suono tutte quellelettere che rimangono oltre a questetra le quali assai pienaenondimeno riposatae perciò di buonissimo spirito è laZla qual sola delletre doppieche i Greci usanohanno nella loro lingua ricevuta iToscani; quantunque ella appo loro non rimane doppiaanzi èsemplicecome l'altre; se non quando essi raddoppiare la voglionoraddoppiando la forza del suonosí come raddoppiano il Pe il Te dell'altre.Perciò che nel direZafiroZenobioAlzatoInzelosito e similiella è semplicenon solo per questo che nel principio dellevocio nel mezzo di loro in compagnia d'altra consonanteniunaconsonante porre si può seguentemente due voltema ancora perciò che lo spirito di lei è la metà pieno espesso di quello che egli si vede poscia essere nel dire BellezzaDolcezza. Perchédire si può che ella sia piú tosto un segno di letteracon la quale essi cosí scrivono quello cotale spiritoche lalettera che usano i Greci; quando si vede che niuna lettera di naturasua doppia è in uso di questa lingua; la quale non solamentein vece della X usa diporre la Sraddoppiataquando ella non sia in principio delle vocidove nonpossonocome s'è dettodue consonanti d'una qualitàaver luogoo ancor quando nel mezzo la compagnia d'altra lettera nonvocale non gliele vietine' quali due luoghi la Ssemplice sodisfa; ma ancora tutte quelle voci che i Latini scrivonoper Psella pure perdue S medesimamentescrive sempre. E questa Squantunque non sia di purissimo suonoma piú tosto di spessonon pare tuttavolta essere di cosí schifo e rifiutato nelnostro idiomacome ella solea essere anticamente nel greco; nelquale furono già scrittoriche per questo alcuna volta delleloro composizioni fornirono senza essa. E se il Petrarca si vedeavere la lettera Xusata nelle sue canzoninelle quali egli pose ExpertoExtremoe altresimili vociciò fece egli per uscire in questo dell'usanzadella fiorentina linguaaffine di potere alquanto piúinalzare i suoi versi in quella maniera; sí come egli feceeziandio in molte altre cosele quali tutti si concedono al versoche non si concederebbono alla prosa. Oltre a questemolle edilicata e piacevolissima è la Le di tutte le sue compagne lettere dolcissima. Allo 'ncontro la Raspera ma di generoso spirito. Di mezzano poi tra queste due la Me la Nil suono dellequali si sente quasi lunato e cornuto nelle parole. Alquanto spesso epieno suono appresso rende la F.Spesso medesimamente e pienoma piú pronto il G.Di quella medesima e spessezza e prontezza è il Cma piú impedito di quest'altri. Puri e snelli e ispediti poisono il B e il D.Snellissimi e purissimi il Pe il Te insiemeispeditissimi. Di povero e morto suonosopra gli altri tuttiultimamente è il Q;e in tanto piú ancora maggiormenteche eglisenza la Uche 'l sostenganon può aver luogo. La Hperciò che non è letteraper sé medesima nientepuò; ma giugne solamente pienezza e quasi polpa alla letteraa cui ella in guisa di servente sta accanto. Conosciute ora questeforze tutte delle letteretorno a direche secondamente checiascuna voce le ha in sécosí ella è oragraveora leggieraquando asperaquando mollequando d'una guisae quando d'altra; e quali sono poi le guise delle vociche fannoalcuna scritturatale e il suonoche del mescolamento di loro esceo nella prosa o nel versoe talora gravità genera e talorapiacevolezza.



È il vero che egli nelverso piglia eziandio qualità dalle rime; le quali rimegraziosissimo ritrovamento si vede che fuper dare al verso volgarearmonia e leggiadriache in vece di quella fossela quale al latinosi dà per conto de' piediche nel volgare cosíregolati non sono. Ad esse adunque passandodico che sono le rimecomunemente di tre maniere: regolatelibere e mescolate. Regolatesono quelle che si stendono in terzetticosí detti perciòche ogni rima si pon tre volteo perché sempre con quellomedesimo ordine di tre in tre versi la rima nuova incominciandosichiude e compie la incominciata. E perciò che questi terzettiper un modo insieme tutti si tengonoquasi anella pendenti l'unodall'altrotale maniera di rime chiamarono alcuni Catena; dellequali poté per aventura essere il ritrovator Danteche nescrisse il suo poema; con ciò sia cosa che sopra lui non sitruova chi le sapesse. Sono regolate altresí quelleche noiOttava rima chiamiamo per questoche continuamente in otto versi illoro componimento si rinchiude; e queste si crede che fossero da'Ciciliani ritrovatecome che essi non usassero di comporle con piúche due rimeperciò che lo aggiugnervi la terzache ne' dueversi ultimi ebbe luogofu opera de' Toscani. Sono medesimamenteregolate le sestineingenioso ritrovamento de' provenzalicompositori. Libere poi sono quell'altreche non hanno alcuna leggeo nel numero de' versi o nella maniera del rimarglima ciascunosícome ad esso piacecosí le forma; e queste universalmentesono tutte madriali chiamateo perciò che da prima cosemateriali e grosse si cantassero in quella maniera di rimesciolta emateriale altresí; o pure perché cosípiúche in altro modopastorali amori e altri loro boscarecci avenimentiragionassero quelle gentinella guisa che i Latini e i Greciragionano nelle egloghe loroil nome delle canzoni formando epigliando dalle mandre; quantunque alcuna qualità di madrialisi pur truovache non cosí tutta sciolta e libera ècome io dico mescolate ultimamente sono qualunque rime e in partelegge hanno e d'altra parte sono licenziosesí come de'sonetti e di quelle rimeche comunemente sono canzoni chiamatesivede che dire si può. Con ciò sia cosa che a' sonettiil numero de' versi è datoe di parte delle rime; nell'ordinedelle rime poie in parte di loro nel numeronon s'usa piúcerta regola che il piacerein quanto capevoli ne sono quei pochiversi; il qual piacere di tanto innanzi andò con la licenzache gli antichi fecero talora sonetti di due rime solamentetalorain amenda di ciònon bastando loro le rime che s'usanoquelle medesime ancora trametteano ne' mezzi versi. Taccio qui cheDante una sua canzone nella Vita nuova sonetto nominasse; perciòche egli piú volte poie in quella opera e altrovenomòsonetti quelli che ora cosí si chiamano. E nelle canzonipuossi prendere quale numero e guisa di versi e di rime a ciascuno èpiú a gradoe compor di loro la prima stanza; mapresi cheessi sonoè di mestiero seguirgli nell'altre con quelle leggiche il compositor medesimolicenziosamente componendos'ha prese.Il medesimo di quelle canzoniche ballate si chiamanosi puòdirele quali quando erano di piú d'una stanzavestite sichiamavanoe non vestite quando erano d'una sola; sí come sene leggono alquante nel Petrarcafatte e all'una guisa e all'altra.



Di queste tre guise adunque dirimee di tutte quelle rime che in queste guise sono compresechepossono senza fallo esser moltepiú grave suono rendonoquelle rime che sono tra sé piú lontane; piúpiacevole quell'altre che piú vicine sono. Lontane chiamoquelle rime che di lungo spazio si rispondonoaltre rime tra esse ealtri versi traposti avendo; vicineallo 'ncontroquell'altre chepochi versi d'altre rime hanno tra esse; piú vicine ancoraquando esse non ve n'hanno niunoma finiscono in una medesima rimadue versi; vicinissime poscia quell'altreche in due versi rottifiniscono; e tanto piú vicine ancora e quelle e questequantoesse in piú versi interi e in piú rotti finisconosenza tramissione d'altra rima. Quantunquenon contenti de' versirottigli antichi uomini eziandio ne' mezzi versi le trametteanoealle volte piú d'una ne traponevano in un verso. Ritorno adirvi che piú grave suono rendono le rime piú lontane.Perché gravissimo suono da questa parte è quello dellesestinein quanto maravigliosa gravità porge il dimorare asentirsi che alle rime si risponda primieramente per li sei versiprimieripoi quando per alcun meno e quando per alcun piúordinatissimamente la legge e la natura della canzone variandonegli.Senza che il fornire le rime sempre con quelle medesime voci generadignità e grandezza; quasi pensiamosdegnando la mendicazionedelle rime in altre vocicon quelle vociche una volta prese sisono per noialteramente perseverando lo incominciato lavoro menarea fine. Le quali parti di gravitàperché fossero conalcuna piacevolezza mescolateordinò colui che primieramentea questa maniera di versi diede formache dove le stanze si toccanonella fine dell'una e incominciamento dell'altrala rima fossevicina in due versi. Ma questa medesima piacevolezza tuttavia ègrave; in quanto il riposo che alla fine di ciascuna stanza èrichiestoprima che all'altra si passiframette tra la continuatarima alquanto spazioe men vicina ne la fa essereche se ella inuna stanza medesima si continuasse. Rendono adunquecome io dissile piú lontane rime il suono e l'armonia piú graveposto nondimeno tuttavolta che convenevole tempo alla ripetizionedelle rime si dia. Che se voleste voimesser Ercoleper questoconto comporre una canzoneche avesse le sue rime di moltissimiversi lontanevoi sciogliereste di lei ogni armonia da questo cantonon che voi la rendeste migliore. A servare ora questa convenevolezzadi tempol'orecchio piú tostodi ciascun che scriveèbisogno che sia giudiceche io assegnare alcuna ferma regola vi cipossa. Nondimeno egli si può dire che non sia benegeneralmente framettere piú che treo quattroo ancoracinque versi tra le rime; ma questi tuttavia rade volte. Il che sivede che osservò il Petrarca; il qual poetase in quellacanzoneche incomincia Verdipannitrapassò questoordinedove ciascuna rima è dalla sua compagna rima per setteversi lontanasí l'osservò egli maravigliosamente intutte le altre; e questa medesima è da credere che eglicomponesse cosípiú per lasciarne una fatta allaguisacome io vi dissimolto usata da' provenzali rimatoriche peraltro. Né dirò io che egli non l'osservasse in tutte lealtreperciò che nella canzone Qual piúdiversa e nova si vegga una solarima piú lontanache per quattro o ancora per cinque versi.Anzi dirò ioche e in tutta Verdi panniessere uscito di questo ordinee di questa in una sola rimagiugnegrazia a questo medesimo ordinediligentissimamente dallui osservatoin tutte le altre canzoni sue; trattone tuttavolta le ballatedettecosí perché si cantavano a ballonelle qualiperciòche l'ultima delle due rime de' primi versiche da tutta la coronasi cantavanoi quali due o tre o il piú quattro esseresoleanosi ripeteva nell'ultimo di quelli che si cantavano da unsoloaffine che si cadesse nel medesimo suonoavere non si dee quelrisguardoche io dico; e trattone le sestinele quali stare nondebbono sotto questa leggecon ciò sia cosa che perciòche le rime in loro sempre si rispondono con quelle medesime vociseelle piú vicine fosserosenza fallo genererebbono fastidioquanto ora fanno dignità e grandezza.



Dico medesimamentedall'altraparteche la vicinità delle rime rende piacevolezza tantomaggiorequanto piú vicine sono tra sé esse rime. Ondeaviene che le canzoniche molti versi rotti hannoora piúvago e graziosoora piú dolce e piú soave suonorendonoche quelle che n'hanno pochi; perciò che le rime piúvicine possono ne' versi rotti essere che negl'interi. Sono di moltiversi rotti alquante canzoni del Petrarcatra le quali due ne sonodi piú chell'altre. Ponete ora mente quanta vaghezzaquantadolcezzaein sommaquanta piacevolezza è in questa:


Chiarefresche e dolci acque

ovele belle membra

posecoleiche sola a me par donna;

gentilramoove piacque

(consospir mi rimembra)

alei di far al bel fianco colonna;

erbae fiorche la gonna

leggiadraricoverse

conl'angelico seno;

aersacro sereno

ov'Amorco' begli occhi il cor m'aperse;

dateudienzia inseme

ale dolenti mie parole extreme.


D'unverso rotto piú in quello medesimo e numero e ordine di versiè la sorella di questa canzonenata con lei ad un corpo.Veggiamo orase maggior dolcezza porge il verso rotto dell'unachedell'altra lo intero:


Se'l pensier che mi strugge

com'èpungente e saldo

cosívestisse d'un color conforme

forsetal m'arde e fugge

ch'avriaparte del caldo

edesteriasi Amor là dove or dorme;

mensolitarie l'orme

fôrande' miei piè lassi

percampagne e per colli

mengli occhi ad ognior molli

ardendoleiche come un ghiaccio stassi

enon lascia in me dramma

chenon sia foco e fiamma.


Èdolce suonosí come voi vedetemesser Ercolequello diquesta rima posta in due vicini versil'uno rotto e l'altro intero:


Dateudienzia inseme

ale dolenti mie parole extreme.


Mapiú dolce in ogni modo è il suono di quest'altradellaquale amendue i versi son rotti:


Enon lascia in me dramma

chenon sia foco e fiamma.


Ilche aviene per questoche ogni indugio e ogni dimora nelle cose ènaturalmente di gravità indizio; la qual dimoraperciòche è maggiore nel verso interoche nel rottoalquanto piúgrave rendendolomen piacevole il lascia essere di quell'altro. Equesto ultimo termine è della piacevolezzache dal suonodelle rime può venire; se non in quanto piú che dueversi porre vicini si possono d'una medesima rima. Ma di pocotuttavia e rade volte passare si può questo segnoche lapiacevolezza non avilisca. Dissi ultimo termine; perciò chenon che piú dolcezza porgano i versiche le rime hanno piúvicinesí come sono quelli che le hanno nel mezzo di loro; maessi sono oltre acciò duri e asperisí perchéponendosi lo scrittore sotto cosí ristretta regola di rimenon può fare o la scielta o la disposizione delle voci a suomodoma conviengli bene spesso servire al bisogno e alla necessitàdella rimae sí ancora perciò che quello cosíspesso ripigliamento di rime genera strepito piú tosto chesuono; sí come dalla canzone di Guido Cavalcanti si puòcomprendereche incomincia cosí:


Donnami pregaperch'io voglio dire

d'unaccidenteche sovente è fero

etè sí alteroche si chiama Amore.


Ilqual modo e maniera di rime prese Guido e presero gli altri Toschida' Provenzalicome ieri si disseche l'usarono assai sovente.Fuggilla del tutto il Petrarca; dicoin quanto egli non pose giamaidue vicine rime nel mezzo d'alcun suo verso. Posene alle volte una; equesta unaquanto egli la pose piú di rado nelle sue canzonitanto egli a quelle canzoni giunse piú di grazia; e meno nediede a quell'altrenelle quali ella si vede essere piúsovente; sí come si vede in quell'altra:


Mainon vo' piú cantarcom'io solea.


Laqual canzone chi chiamasse per questa cagione alquanto duraforsenon errerebbe soverchio. Ma egli tale la fe'acciòtraendonelo la qualità della canzonela quale egli propostos'avea di tessere tutta di proverbisí come s'usò difare a quel tempo; i quali proverbipostivi in moltitudine e cosía mischionon possono non generare alcuna durezza e asprezza. Matornando alle due canzoniche io dissidel Petrarcasí comeelle sono per gli detti rispetti piacevolissimecosí per gliloro contrari è quell'altra del medesimo poeta gravissima. Laqualequando io il leggomi suole parere fuori dell'altrequasidonna tra molte fanciulleo pure come reina tra molte donnenonsolo d'onestà e di dignità abondevolema ancora digrandezza e di magnificenza e di maestà; la qual canzone tuttii suoi versida uno per istanza in fuoriha interie le stanzesono lunghe piú che d'alcuna altra:


Neldolce tempo de la prima etade

chenascer vide et ancor quasi in erba

lafera vogliache per mio mal crebbe.


Esenza fallo alcunochiunque di questa canzone con quelle duecomperazione faràegli scorgerà agevolmente quantopossano a dar piacevolezza le rime de' versi rottie quelledegl'interi ad accrescere gravità. E detto fin qui vi sia delsuono.



Ora a dire del numero passiamofacitore ancora esso di queste partiin quanto per lui si puòche non è poco; il qual numero altro non è che il tempoche alle sillabe si dào lungo o brieveora per opera dellelettere che fanno le sillabeora per cagione degli accenti che sidanno alle parolee tale volta e per l'un conto e per l'altro. Eprima ragionando degli accentidire di loro non voglio quellecotante cose che ne dicono i Grecipiú alla loro linguarichieste che alla nostra. Ma dico solamente questoche nel nostrovolgare in ciascuna voce è lunga sempre quella sillabaa cuiessi stanno soprae brievi tutte quellealle quali essi precedonose sono nella loro intera qualità e forma lasciati; il che nonavien loro o nel greco idioma o nel latino. Onde nasceche la lorogiacitura piú in un luogo che in un altromolto pone e moltoleva o di gravità o di piacevolezzae nella prosa e nelverso. La qual giacituraperciò che ella uno di tre luoghisuole avere nelle vocie questi sono l'ultima sillaba o la penultimao quella che sta alla penultima innanzicon ciò sia cosa chepiú che tre sillabe non istanno sott'uno accento comunementequando si pone sopra le sillabeche alle penultime sono precedentiella porge alle voci leggerezzaperciò checome io dissilievi sempre sono le due sillabe a cui ella è dinanzionde lavoce di necessità ne diviene sdrucciolosa. Quando cadenell'ultima sillabaella acquista loro peso allo 'ncontro; perciòche giunto che all'accento e il suonoegli quivi si fermae come secaduto vi fossenon se ne rileva altramente. E intanto sono questegiaciturel'una leggiera e l'altra ponderosache qual volta elletengono gli ultimi loro luoghi nel versoil verso della primieracresce dagli altri d'una sillabaet è di dodici semprechéle ultime due sillabeper la giacitura dell'accentosono síleggiereche dire si può che in luogo d'una giusta siricevano:


Giànon compié di tal consiglio rendere;


equello dell'altrad'altro cantod'una sillaba minore degli regolatiè sempree piú che dieci avere non ne puòilche è segno che il peso della sillabaa cui egli soprastàè tantoche ella basta e si piglia per due:


Conesso un colpo per la man d'Artú.


Temperatagiaciturae di questi due stremi liberao piú tosto mezzanatra essiè poscia quella che alle penultime si pon sopra; etalora gravità dona alle vociquando elle di vocali e diconsonantia ciò fare acconciesono ripiene; e talorapiacevolezzaquando e di consonanti e di vocali o sono ignude epovere moltoo di quelle di loroche alla piacevolezza servonoabastanza coperte e vestite. Questaper lo detto temperamento suoancora che ella molte volte una appresso altra si ponga e usisinonper ciò saziaquando tuttavolta altri non abbia le cartepreso a scrivere et empiere di questa sola maniera d'accentoe nond'altra; là dove le due dell'ultima e dell'innanzi penultimasillabaagevolmente fastidiscono e sazievoli sono moltoe il piúdelle volte levano e togliono e di piacevolezza e di gravitàse poste non sono con risguardo. E ciò dico per questocheesse medesimequanto si conviene consideratee poste massimamentel'una di loro tra molte voci gravie questa è lasdrucciolosae l'altra tra molte voci piacevolipossono accrescerealcuna volta quello che elle sogliono naturalmente scemare. Che sícome le medicinequantunque elle veneno sianopurea tempo e conmisura dategiovanodovealtramente presenuocono e spessouccidono altruie molti piú sono i tempine' quali ellenocive essere si ritroverebbonose si pigliasseroche gli altri;cosí queste due giaciture degli accentiancora che di loronatura elle molto piú acconcie sieno a levar profittoche adarnenondimeno alcuna volta nella loro stagione usatee dannogravità e accrescono piacevolezza. Ponderosioltre a questosempre sono gli accenti che cuoprono le voci d'una sillaba; il che daquesta parte si può vedereche essiposti nella fine delversoquello adoperanoche io dissiche fanno gli accenti postinell'ultima sillaba della vocequando la voce nella fine del versosi staciò è che bastano e servono per due sillabe:


Quantoposso mi spetroe sol mi sto.


Ese in Dante si legge questo versoche ha l'ultima voce d'unasillabae nondimeno il verso è d'undici sillabe:


Epiú d'un mezzo di traverso non ci ha


èciò per questo che non si dà l'accento all'ultimasillabaanzi se le togliee lasciasi lei all'accento dellapenultima; e cosí si mandan fuori queste tre voci Non cihacome se elle fossero unasola voceo come si mandan fuori Onciae Sconciache sono lealtre due compagne voci di questa rima. Sono tuttavolta questiaccenti piú e meno ponderosisecondo che piú o menolettere fanno le loro vocie piú in sé piene o nonpienee a questa guisa poste o a quell'altra.




Raccolte ora queste maniere digiacituraveggiamo se nel vero cosí è come io dico. Madelle due prima detteciò è della giaciturache sopraquella sillaba stache alla penultima è dinanzie di quellache sta sopra l'ultimae ancora di quell'altra che alle voci d'unasillaba si pon soprabastevole essempio dannosí come iodissiquelli versi che noi sdruccioli per questo rispetto chiamiamoe quegli altria' quali danno fine queste due maniere di giacituraposte nell'ultima sillabao nelle voci di piú sillabeo inquelle d'una solai quali non sono giamai di piú che di diecisillabeper lo peso che accresce loro l'accentocome s'èdetto. Ragioniamo adunque di quell'altrache alle penultime stasopra. Volle il Boccaccio servar gravità in questocominciamento delle sue novelle: Umana cosa è l'averecompassione agli afflitti;perché egli prese voci di qualitàche avessero gliaccenti nella penultima per lo piúla qual cosa fece il dettoprincipio tutto grave e riposato. Che se egli avesse preso voci cheavessero gli accenti nella innanzi penultimasí come sarebbestato il dire: Debita cosa è l'esserecompassionevole a' miseriilnumero di quella sentenza tutta sarebbe stato men gravee nonavrebbe compiutamente quello adoperatoche si cercava. E se vorremmoancorasenza levar via alcuna vocemutar di loro solamentel'ordineil quale mutatoconviene che si muti l'ordine degliaccenti altresíe dove dicono: Umana cosa èl'avere compassione agli afflittidire cosí: L'avere compassione agli afflitti umanacosa èancora piúchiaro si vedrà quanto mutamento fanno pochissimi accentipiúad una via posti che ad altra nelle scritture. Volle il medesimocompositore versar dolcezza in queste parole di Gismondasopra 'lcuore del suo morto Guiscardo ragionate: O molto amatocuoreogni mio ufficio verso te è fornito; né piúaltro mi resta a farese non di venire con la mia anima a fare allatua compagnia; perchéegli prese medesimamente voci che nelle penultime loro sillabe gliaccenti avessero per la gran partee quelle ordinò nellamanierache piú giovar potesse a trarne quello effetto che adesso mettea bene che si traesse. Le quali voci se in voci d'altriaccenti si muterannoe dove esso dice: O molto amatocuoreogni mio ufficionoidiremo: O sventuratissimo cuoreciascun dover nostro;o pure se si muterà di loro solamente l'ordinee farassicosí: Ogni ufficio mioo cuore molto amatoèfornito verso te; né altro mi resta a fare piúse nondi venire a fare compagnia con la mia all'anima tuatanta differenza potranno per aventura queste voci dolci pigliarequanta quelle gravi per lo mutamentoche io dissihanno pigliata.Ne' quali mutamentibenché dire si possa che la disposizionedelle voci ancoraper altra cagione che per quella degli accenticonsiderataalquanto vaglia a generar la disparutezza che essere sivede nel cosí porgere e pronunciare esse vocinondimeno èda sapere chea comperazione di quello degli accentiogni altrorispetto è poco: con ciò sia cosa che essi danno ilconcento a tutte le vocie l'armoniail che a dire è tantoquanto sarebbe dare a' corpi lo spirito e l'anima. La qual cosa senelle prose tanto puòquanto si vede poteremolto piúè da dire che ella possa nel verso; nel qual verso il suono el'armonia vie piú naturale e proprio e conveniente luogo hannosempreche nelle prose. Perciò che le prosecome che ellemeglio stiano a questa guisa ordinateche a quellaella tuttavoltaprose sono; dove nel verso puossi gli accenti porre di modo che eglinon rimane piú versoma divien prosae muta in tutto la suanaturadi regolato in dissoluto cangiandosi; come sarebbese alcundicesse: Voich'in rime sparse ascoltate il suono;e Per far una sua leggiadra vendetta;o veramente Che s'addita per cosa mirabilee somiglianti. Ne' quali mutamentirimanendo le voci e il numerodelle sillabe interonon rimane per tutto ciò né formané odore alcuno di verso. E questo per niuna altra cagioneadivienese non per lo essere un solo accento levato del suo luogoin essi versie ciò è della quarta o della sestasillaba in quellie della decima in questo. Checon ciò siacosa che a formare il verso necessariamente si richiegga che nellaquarta o nella sesta e nella decima sillaba siano sempre gli accentiogni volta che qualunque s'è l'una di queste due positure nongli haquello non è piú versocomunque poi si stianole altre sillabe. E questo detto sia non meno del verso rottochedello interoin quanto egli capevole ne può essere. Sonoadunquemesser Ercolequesti risguardi non solo a graziama ancoraa necessità del verso. A grazia potranno appresso essere tuttiquegli altride' quali s'è ragionato sopra le prosedallequali pigliandogliquando vi fia mestierovalere ve ne potrete. Mapassiamo oggimai a dire del tempoche le lettere generanooralungoora brieve nelle sillabe; il che agevolmente si potràfare -.



Allora disse lo Strozza: - Dehse egli non v'è gravemesser Federigoprima che a dired'altro valichiatefatemi chiaro come ciò siache dettoaveteche comunemente non istanno sott'uno accento piú chetre sillabe. Non istanno elleno sott'un solo accento quattro sillabein queste vociAlitanoGerminanoTerminanoConsideranoe insimili? - Stanno- rispose messer Federigo - ma non comunemente. Noicomunemente osserviamo altresícome osservano i Greci eLatiniil non porre piú che tre sillabe sotto 'l governo d'unsolo accento. È il vero cheperciò che gli accentiappo noi non possono sopra sillabache brieve siaesser posticomepossono appo loro; e se posti vi sono la fanno lungacome fecero inquel verso del Paradiso: Devoto quanto posso a te supplíco;e come fecero nella voce Piétaquasi da tutti i buoni antichi poeti alcuna volta cosí dettain vece di Pietà;videro i nostri uomini che molto men male era ordinareche in questevoci che voi ricordatee nelle loro somigliantici concedesse chequattro sillabe dovessero d'uno accento contentarsiche non era unasillaba naturalissimamente brieve mutare in lungacome sarebbe adire Alítano eTermínano; ilche fare bisognerebbe. Né solamente quattro sillabema cinqueancora pare alle volte che state siano paghe d'un solo accento; sícome in questa voceSíamivenee in quest'altraPortàndosenelache disse il Boccaccio: E se egli questo negassesicuramente gli diteche io sia stata quella che questo v'abbiadettoe síamivenedoluta; e altrove: Perchéportàndosenela il luposenza fallo strangolata l'avrebbe.Ma ciò aviene di rado. Vada adunquemesser Ercolel'unalicenza e l'una agevolezza per l'altrae l'una per l'altrastrettezza e regola altresí. A' Greci e a' Latini èconceduto porre i loro accenti sopra lunghe e sopra brievi sillabeil che a noi e vietato; sia dunque a noi conceduto da quest'altrocanto quello che loro si vieta: il poter commettere piú chetre sillabe al governo d'un solo accento. Bastiche non se necommette alcuna lungafuori solamente quellaa cui egli sta sopra.- E come- disse messer Ercole - non se ne commette alcuna lunga?Quando io dicoUccídonsiFerísconsinonsono lunghe in queste voci delle sillabea cui gli accenti sonodinanzi e non istanno sopra? - Sonomesser Ercole- rispose messerFederigo - ma per nostra cagionenon per loro natura: con ciòsia cosa che naturalmente si dovrebbe dire UccídonosiFerísconosi; ilche perciò che dicendo non si peccaha voluto l'usanza chenon si pecchi ancora no 'l dicendopigliando come brieve quellasillabache nel vero è brieve quando la voce ènaturale e intera. La quale usanza tanto ha potutoche ancora quandoun'altra sillaba s'aggiugne a queste vociUccídonseneFerísconseneella cosí si piglia per brievecome fa quando sono taliquali voi avete ricordato.



Oravenendo al tempo che lelettere danno alle vociè da sapere che tanto maggioregravità rendono le sillabequanto elle piú lungo tempohanno in sé per questo conto; il che aviene qualora piúvocali o piú consonanti entrano in ciascuna sillaba; tutto chela moltitudine delle vocali meno spaziosa sia che quella delleconsonantie oltre acciò poco ricevuta dalle prose. Del versoè ella propria e domestichissimae stavvi ora per via dimescolamentoora di divertimento; sí come nelle due primesillabe si vede stare di questo versodetto da noi altre volte:


Voich'ascoltate;


equando per l'un modo e per l'altro; il che nella sesta di quest'altroha luogo:


Diquei Sospiriond'io nutriva il core;


làdove la moltitudine delle consonanti et è spaziosissimaetentraoltre acciònon meno nelle prose che nel verso. Perchévolendo il Boccaccio render gravequanto si potea il piúquel principio delle sue novelleche io testé vi recitaiposcia che egli per alquante voci ebbe la gravità con gliaccenti e con la maniera delle vocali solamente cercata: Umanacosa è l'avere; síla cercò egli per alquante altre eziandiocon le consonantiriempiendo e rinforzando le sillabe: Compassione agliafflitti. Il che fecemedesimamente il Petrarcapure nel medesimo principio delle canzoniVoi ch'ascoltatenonsolamente con altre vocalima ancora con quantità di vocali edi consonantiacquistando alle voci gravità e grandezza. Equesto medesimo acquisto tanto piú adoperaquanto leconsonantiche empiono le sillabesono e in numero piúspesse e in spirito piú piene; perciò che piúgrave suono ha in sé questa voce Destroche quest'altra Vetroe piú magnifico lo rende il dire Campoche o Caldo o Cassodicendosinon si renderà. E cosí delle altre parti sipotrà dire della gravitàper le altre posse tuttedelle consonanti discorrendo e avertendo. Dissi in che modo il numerodivien grave per cagione del tempo che le lettere danno alle sillabe;e prima detto avea in qual modo egli grave diveniva; per cagione diquel tempo che gli accenti danno alle voci. Ora dico che somma eultima gravità èquando ciascuna sillaba ha in sél'una e l'altra di queste parti; il che si vede essere per alquantesillabe in molti luoghima troppo piú in questo versoche inalcuno altro che io leggessi giamai:


Fior'frond'erb'ombr'antr'ond'aure soavi.


Eper dire ancora di questo medesimo acquisto di gravità piúinnanzidico che come che egli molto adoperi e nelle prose e nellealtre parti del versopure egli molto piú adopera e puònelle rime; le quali maravigliosa gravità accrescono al poemaquando hanno la prima sillaba di piú consonanti ripienacomehanno in questi versi:


Mentreche 'l cor dagli amorosi vermi

fuconsumatoe 'n fiamma amorosa arse

divaga fera le vestigia sparse

cercaiper poggi solitari et ermi

etebbi ardircantandodi dolermi

d'amordi leiche sí dura m'apparse;

mal'ingegno e le rime erano scarse

inquella etate a pensier novi e 'nfermi.

Quelfoco è spentoe 'l copre un picciol marmo.

Chese col tempo fosse ito avanzando

comegià in altriinfino a la vecchiezza

dirime armatoond'oggi mi disarmo

constil canuto avrei fattoparlando

romperle pietree pianger di dolcezza.


Nonpossono cosí le vocali; quantunque ancora di loro dire si puòche elle non istanno perciò del tutto senza opera nelle rime:con ciò sia cosa che alquanto piú in ogni modo piena sisente essere questa voce Suoinella rimache quest'altra Poie Mieiche Leie cosí dell'altre. Resterebbemi oramesser Ercoledetto ches'è dell'una parte abastanzadirvi medesimamente dell'altrae mostrarviche sí come la spessezza delle lettere accrescealle voci gravitàcosí la rarità porge loropiacevolezza; se io non istimassiche voi dalle dette cosesenzaaltro ragionarne soprail comprendeste abastanza; scemando conquelle medesime regole a questo finecon le quali si giugne e crescea quell'altro; il che chiude e compie tutta la forza e valore delnumero.



Dirò adunque della terzacausagenerante ancor lei in comune le dette due parti richiesteallo scriver bene; e ciò è la variazione non per altroritrovatase non per fuggire la sazietàdella quale ciavertí dianzi messer Carlo che ci fa non solamente le non reecoseo pure le buonema ancora le buonissime verso di sé edilettevolissime spesse volte essere a fastidioe allo 'ncontro lenon buone alcuna fiata e le sprezzate venire in grado. Per la qualcosae nel cercare la gravitàdopo molte voci di piene ed'alte lettereè da porne alcuna di basse e sottili; eappresso molte rime tra sé lontaneuna vicina megliorisponderàche altre di quella medesima guisa non faranno; etra molti accenti che giacciano nelle penultime sillabesi deevedere di recarne alcunoche all'ultima e alla innanzi penultimastia sopra; e in mezzo di molte sillabe lunghissimeframetternealquante corte giugne grazia e adornamento. E cosíd'altrocanto; nel cercare la piacevolezzanon è bene tutte le partiche la ci rappresentanogirsi per noi sempresenza alcun brievemescolamento dell'altrecercando e affettando. Perciò che làdove al lettore con la nostra fatica diletto procacciamosottentrando per la continuazioneor una volta or altrala sazietàne nasce a poco a poco e allignavisi il fastidioeffetto contrariodel nostro disio. Né pure in queste cose che io ragionatev'homa in quelle ancora che ci ragionò il Bemboè daschifare la sazietà il piú che si può e ilfastidio. Perciò che e nella scielta delle vocitra quelle diloro isquisitissimamente cercate vederne una tolta di mezzo ilpopoloe tra le popolari un'altra recatavi quasi da' seggi de' reetra le nostre una stranierae una antica tra le moderneo nuova trale usatenon si può dire quanto risvegli alcuna volta esodisfaccia l'animo di chi legge; e cosí un'altra un pocoaspera tra molte dilicatee tra le molte risonanti una chetao allo'ncontro. E nel disporre medesimamente delle vociniuna delle ottoparti del parlareniuno ordine di loroniuna maniera e figura deldire usare perpetuamente si conviene e in ogni canto; ma oraisprimere alcuna cosa per le sue proprie vociora per alcun giro diparolefa luogo; e questi medesimi o altri giriora di molte membracomporreora di pochee queste membraora veloci formareoratardeora lungheora brievie in tanto in ciascuna maniera dicomponimenti fuggir si dee la sazietàche questo medesimofuggimento è da vedere che non saziie nell'usare varietànon s'usi continuazione. Oltra che sono eziandio di quelle cose lequali variare non si possono; sí come sono alcune maniere dipoemi di quelle rime compostiche io regolate chiamai; con ciòsia cosa che non poteva Dante fuggire la continuazione delle sueterze rimesí come non possono i Latinii quali eroicamentescrivonofuggire che di sei piedi non siano tutti i loro versiugualmente. Ma queste cose tuttavolta sono poche; dove quelle che sipossono e debbono variaresono infinite. Per la qual cosa nédi tutte quelledelle quali è capevole il versoné diquelle tutteche nelle prose truovano luogorecar si puòparticolare testimonianzachi tutto dí ragionare di nullaaltro non volesse. Bene si può questo dire che di quellelavariazione delle quali nelle prose può caperegran maestrofua fuggirne la sazietàil Boccaccio nelle sue novelleilqualeavendo a far loro cento proemiin modo tutti gli variòche grazioso diletto danno a chi gli ascolta; senza che in tantifinimenti e rientramenti di ragionaritra dieci persone fattischifare il fastidio non fu poco. Ma della varietà che puòentrar nel versoquanto ne sia stato diligente il Petrarcaestimarepiú tosto si puòche isprimere bastevolmente; il qualed'un solo suggetto e materia tante canzoni componendoora con unamaniera di rimarleora con altrae versi ora interi e quando rottie rime quando vicine e quando lontanee in mille altri modi divarietàtanto fece e tanto adoperòchenon chesazietà ne nascama egli non è in tutte loro partealcunala quale con disio e con avidità di leggere ancora piúoltra non ci lasci. La qual cosa maggiormente apparisce in quelleparti delle sue canzoninelle quali egli piú canzoni composed'alcuna particella e articolo del suo suggetto; il che egli fece piúvoltené pure con le piú corte canzonianzi ancoracon le lunghissime; sí come sono quelle tre degli occhilequali egli variando andò in cosí maravigliosi modichequanto piú si legge di loro e si rileggetanto altri piúdi leggerle e di rileggerle divien vago; e come sono quelle duepiacevolissimedelle quali poca ora fa vi ragionaiperciòche estimando egli che la loro piacevolezzaraccolta per gli moltiversi rottipotesse avilireegli alquante stanze seguentisicon lerime acconcie a generar gravitàdiè alla primieraequesta medesima gravitàaffine che non fosse troppatemperòcon un'altra stanzatutta di rime piacevoli tessuta allo 'ncontro.Nel rimanente poi di questa canzonee in tutta l'altrae all'unerime e all'altre per ciascuna stanza dando partefuggí nonsolamente la troppa piacevolezza o la troppa gravitàmaancora la troppa diligenza del fuggirle. Somigliante cura pose moltevolte eziandio in un solo versosí come pose in quello che ioper gravissimo vi recitai:


Fior'frondierbeombreantriondeaure soavi.


Conciò sia cosa che conoscendo egli che se il verso tutto siforniva con vocie per conto delle vocalie per conto delleconsonantie per conto degli accenti pieno di gravitànellaguisa nella quale esso era piú che mezzo tessutopoteva lagravità venire altrui parendo troppo cercata e affettata egenerarsene la sazietàegli lo forní con questa voceSoavipiena senza fallo dipiacevolezzae veramente talequale di lei è il sentimentoe a questa piacevolezza tuttavolta passò con un'altra voce inparte grave e in parte piacevoleper non passar dall'uno all'altrostremo senza mezzo. I quali avertimenticome che paiano avuti sopraleggiere e minute cosepure sono tali cheraccoltimoltoadoperanosí come vedete.



Potrebbesi a queste tre partimesser Ercoleche io trascorse v'hopiú tosto cheraccontateal suonoal numeroalla variazionegeneranti le duedico la gravità e la piacevolezzache empiono il benescrivereaggiugnerne ancora dell'altre acconcie a questo medesimofinesí come sono il decoro e la persuasione. Con ciòsia cosa che da servare è il decoro degli stilioconvenevolezza che piú ci piaccia di nomare questa virtúmentre d'essere o gravi o piacevoli cerchiamo nelle scrittureo peraventura l'uno e l'altro; quando si vede che agevolmente procacciandola gravitàpassare si può piú oltra entrandonell'austerità dello stile; il che nasceingannandoci lavicinità e la somiglianza che avere sogliono i principj delvizio con gli stremi della virtúpigliando quelle voci peroneste che sono rozzee per grandi le ignavee ripiene di dignitàle severee per magnifiche le pompose. Ed'altra partecercando lapiacevolezzapuossi trascorrere e scendere al dissoluto; credendoquelle voci graziose essereche ridicule sonoe le imbellettatevaghee le insiepide dolcie le stridevoli soavi. Le quali pecchetuttee le altre che aggiugnere a queste si puòfuggire sidebbonoe tanto piú ancora diligentementequanto piúelleno sotto spezie di virtú ci si parano dinanziedigiovarci promettendoci nuocono maggiormenteassalendocisproveduti. Né è la persuasionemeno che questodecoroda disiderare e da procacciare agli scrittorisenza la qualepossono bene aver luogo e la gravità e la piacevolezza; conciò sia cosa che molte scritture si veggonoche non mancanodi queste partile quali non hanno poscia quella forza e quellavirtú che persuade; ma elle sono poco meno che vanee indarnos'adoperanose ancora questa rapitrice degli animi di chi ascoltaesse non hanno dal lor canto. La quale a dissegnarvi e a dimostrarvibene e compiutamentequale e chente ella èbisognerebbetutte quelle cose raccogliere che dell'arte dell'orare si scrivonoche sonocome sapetemoltissimeperciò che tutta quellaarte altro non c'insegnae ad altro fine non s'adoperache apersuadere. Ma io non dico ora persuasione in generale e in universo;ma dico quella occulta virtúchein ogni voce dimorandocommuove altrui ad assentire a ciò che egli leggeprocacciatapiú tosto dal giudicio dello scrittore che dall'artificio de'maestri. Con ciò sia cosa che non sempre hacolui che scrivela regola dell'arte insieme con la penna in mano. Né famestiero altresí in ciascuna voce fermarsia considerare sela riceve l'arte o non ricevee specialmente nelle proseil campodelle quali molto piú largo e spazioso e libero èchequello del verso. Oltra che se ne ritarderebbe e intiepidirebbe ilcalore del componenteil quale spesse volte non pate dimora. Ma benepuò sempree ad ogni minuta partelo scrittore adoperare ilgiudicioe sentiretuttavia scrivendo e componendose quella voceo quell'altrae quello o quell'altro membro della scritturavale apersuadere ciò che egli scrive. Questa forza e questa virtúparticolare di persuaderedicomesser Ercoleche ègrandemente richiesta e alle gravi e alle piacevoli scritture; népuò alcuna veramente graveo veramente piacevole esseresenza essa. Perchérecando le molte parole in unaquando sifarà per noi a dar giudicio di due scrittoriquale di loropiú vaglia e quale menoconsiderando a parte a parte ilsuonoil numerola variazioneil decoroe ultimamente lapersuasione di ciascun di loroe quanta piacevolezza e quantagravità abbiano generata e sparsa per gli loro componimentiecon le partiche ci raccolse messer Carlodello sciegliere e deldisporreprima da noi medesimamente considerateponendolepotremosicuramente conoscere e trarne la differenza. E perciò chetutte queste parti sono piú abondevoli nel Boccaccio e nelPetrarcache in alcuno degli altri scrittori di questa linguaaggiuntovi ancora quello che messer Carlo primieramente ci dissechevaleva a trarne il giudicioche essi sono i piú lodati e dimaggior gridoconchiudere vi può messer Carlo da capocheniuno altro cosí buono o prosatore o rimatore èmesserErcolecome sono essi. Che quantunque del Boccaccio si possa direche egli nel vero alcuna volta molto prudente scrittore stato nonsia; con ciò sia cosa che egli mancasse talora di giudicionello scriverenon pure delle altre operema nel Decamerone ancoranondimeno quelle parti del detto librole quali egli pocogiudiciosamente prese a scriverequelle medesime egli pure con buonoe con leggiadro stile scrisse tutte; il che è quello che noicerchiamo. Dico adunque di costor due un'altra voltache essibuonissimi scrittori sono sopra tutti gli altrie insieme che lamaniera dello scrivere de' presenti toscani uomini cosí buonanon è come è quella nella quale scrisser questi; e cosísi vederà essere infino attanto che venga scrittoreche piúdi loro abbia ne' suoi componimenti seminate e sparse le ragionatecose -.



Tacevasi messer Federigo dopoqueste paroleavendo il suo ragionamento fornitoe insieme con essolui tacevano tutti gli altri; se non che il Magnificoveggendoognuno starsi chetodisse: - Se a queste cose tutteche messerFederigo e il Bembo v'hanno raccolterisguardo avessero coloro chevoglionomesser Ercolesopra Dante e sopra il Petrarca dargiudicioquale è di lor miglior poetaessi non sarebbono traloro discordanti sí come sono. Ché quantunque infinitasia la moltitudine di quellida' quali molto piú èlodato messer Francesconondimeno non sono pochi quegli altria'quali Dante piú sodisfàtratticome io stimodallagrandezza e varietà del suggettopiú che da altro.Nella qual cosa essi s'ingannano; perciò che il suggetto èben quello che fa il poemao puollo almen fareo alto o umile omezzano di stilema buono in sé o non buono non giamai. Conciò sia cosa che può alcuno d'altissimo suggettopigliare a scriveree tuttavolta scrivere in modoche lacomposizione si dirà esser rea e sazievole; e un altro potràmateria umilissima proponendosicomporre il poema di maniera che daogniuno buonissimo e vaghissimo sarà riputato; sí comefu riputato quello del ciciliano Teocritoil qualedi materiapastorale e bassissima scrivendoè nondimeno molto piúin prezzo e in riputazione sempre stato tra' Greciche non fa giamaiLucano tra' Latinitutto che egli suggetto reale e altissimo siponesse innanzi. Non dico già tuttaviache un suggettopiúche un altronon possa piacere. Ma questo rispetto non è dinecessitàdove quegli altride' quali s'è oggi dettosono moltie ciascuno per sé necessariissimo a doverne essereil componente lodato e pregiato compiutamente. Onde io torno a direche se gli uomini con le regole del Bembo e di messer Federigoessaminassero gli scrittoriessi sarebbono d'un parere tutti e d'unaopenione in questo giudicio -. Allora disse messer Ercole: - Se ioquesti poetiGiulianoavessi veduticome voi avetemi credereipotere ancor io dire affermatamente cosí esser vero come voidite. Ma perciò che io di loro per adietro niuna sperienza hopresatanto solo diròche io mi credo che cosí siapersuadendomi che errare non si possaper chiunque con tanti e taliavertimenti giudicachenti son questi che si son detti. Co' qualimesser Carlostimo io che giudicasse messer Pietro vostro fratellodel quale mi soviene orache essendo egli e messer Paolo CanaledaRoma ritornando e per Ferrara passandoscavalcati alle mie caseeda me per alcun dí a ristorare la fatica del caminosopratenutiviun giorno tra gli altri venne a me il Cosmicoche inFerraracome sapetedimorae tutti e tre nel giardino trovaticiche lentamente spaziando e di cose dilettevoli ragionando cidiportavamodopo i primi raccoglimenti fatti tra loroegli e messerPietronon so comenel processo del parlare a dire di Dante e delPetrarca pervennero; nel quale ragionamento mostrava messer Pietromaravigliarsi come ciò fosseche il Cosmicoin uno de' suoisonettial Petrarca il secondo luogo avesse dato nella volgarpoesia. Nella qual materia molte cose furono da lor dette e da messerPaolo ancorache io non mi ricordo; se non in quanto il Cosmicomolto parea che si fondasse sopra la magnificenza e ampiezza delsuggettodelle quali ora Giuliano dicevae sopra lo aver Dantemolta piú dottrina e molte piú scienze per lo suo poemasparseche non ha messer Francesco. - Queste cose appunto sonquelle- disse allora mio fratello - sopra le quali principalmentesi fermanomesser Ercoletutti quelli che di questa openion sono.Ma se dire il vero si dee tra noiche non so quello che io mifacessi fuor di quiquanto sarebbe stato piú lodevole cheegli di meno alta e di meno ampia materia posto si fosse a scriveree quella sempre nel suo mediocre stato avessescrivendocontenutache non è statocosí larga e cosí magnificapigliandolalasciarsi cadere molto spesso a scrivere le bassissime ele vilissime cose; e quanto ancora sarebbe egli miglior poeta che nonèse altro che poeta parere agli uomini voluto non avessenelle sue rime. Che mentre che egli di ciascuna delle sette arti edella filosofia eoltre acciòdi tutte le cristiane cosemaestro ha voluto mostrar d'essere nel suo poemaegli men sommo emeno perfetto è stato nella poesia. Con ciò sia cosache affine di poter di qualunque cosa scrivereche ad animo glivenivaquantunque poco acconcia e malagevole a caper nel versoeglimolto spesso ora le latine vociora le straniereche non sono statedalla Toscana ricevuteora le vecchie del tutto e tralasciateorale non usate e rozzeora le immonde e brutteora le durissimeusandoe allo 'ncontro le pure e gentili alcuna volta mutando eguastandoe talorasenza alcuna scielta o regolada séformandone e fingendoneha in maniera operatoche si può lasua Comedia giustamente rassomigliare ad un bello e spazioso campo digranoche sia tutto d'avene e di logli e d'erbe sterili e dannosemescolatoo ad alcuna non potata vite al suo tempola quale si vedeessere poscia la state sí di foglie e di pampini e di viticciripienache se ne offendono le belle uve -.



Iosenza dubbio alcuno - disselo Strozza - mi persuadomesser Carloche cosí siacome voidite; poscia che io tutti e tre vi veggo in ciò essere d'unasentenza. E pure dianzi quando messer Federigo ci recò le duecomperazioni degli scabbiosioltre che elle parute m'erano alquantoessere disonoratamente dettesí mi parea egli ancora che vifosse una voce delle vostredico di questa cittàlàin quel verso:


Daragazzo aspettato da signor so


nelqualeSopare detto in vecedi Suoforse piúlicenziosamente che a grave e moderato poeta non s'appartiene -. Allequali parole traponendosi il Magnifico: - Egli è ben vero -disse - che delle voci di questa città sparse Dante e seminòin piú luoghi della sua Comedia che io non arei volutosícome sono Fantin eFantolinche eglidisse piú voltee Frain vece di FrateeCain vece di Casae Poloe somiglianti.Ma questa voce Signorsoche voi credetemesser Ercoleche sian dueella altro che una vocenon èeoltre a questoè toscana tutta e nonviniziana in parte alcuna; quantunque ella bassissima voce sia e perpoco solamente dal volgo usatae per ciò non meritevoled'aver luogo negli eroici componimenti. - Come una voce- dissemesser Ercole - o in qual modo? - Dirollovi - rispose il Magnificoeseguitò in questa maniera: - Voi dovetemesser Ercolesapereusanza della Toscana essere con alquante cosí fattevoci congiugnere questi possessivi MioTuoSuoin modo che se ne fa uno interotraendone tuttavia la lettera delmezzociò è la Ie la Uin questaguisa: SignòrsoSignortoin luogo diSignor suo e Signortuo; e Fratèlmoin luogo di Fratel mio;e Pàtremo eMàtremainluogo di Patre mio eMatre mia; e Mògliemae Mòglietaealcuna volta Figliuòltoe cosí d'alcune altre; alle quali voci tutte non si dàl'articoloma si levache non diciamo Dal Signorsoo Della MoglietamaDi Moglieta e DaSignorso; sí come disseDante in quel versoe come si legge nelle novelle del Boccaccionelle quali egli e Signortoe Moglieta pose piúd'una voltae Fratelmo ancora. E dicovi piúche queste vocis'usanoragionando tuttodínon solo nella Toscanama ancorain alcuna delle vicinanze sueche da noi prese l'hannoe in Romaaltresí; e messer Federigo le dee aver udite ad Urbino inbocca di quelle genti molte volte. - Cosí èGiuliano- disse incontanente messer Federigo. - Né pure queste vocisolamente s'usano tra que' monticome diteche vostre sianomadell'altre medesimamentetra le quali una ve n'è loro cosíin usanzache io ho alle volte creduto che ella non sia vostra. Equesta è Avaccioche si dice in vece di Tosto;con ciò sia cosa che in Firenzesí come io odoellaoggimai niente piú s'usao poco -. Alle quali parole ilMagnifico cosí rispose: - Egli non è dubbiomesserFederigoche Avacciovoce nostranon sia tratta da Avacciareche è Affrettaremolto antica e dalle antiche toscane prose ricordata molto spesso odalle quali pigliare l'hanno Dante e il Boccaccio potutacheAvacciarein luogod'Affrettarepiúvolte dissero.


Dalqual verbo si fe' Avacciovoce molto piú del verso che della prosala quale usòil medesimo Boccaccio nelle sue ottave rimese io non sono erratoalquante voltee Dante medesimo per la sua Comedia la seminòalquante altre. Né l'una di queste voci né l'altra sivede che abbia voluto usare il Petrarcama in luogo d'Avacciareche ad uopo gli venivadisse Avanzarefuggendo la bassezza del vocabolocome io stimoe in questo modoinalzandolo:


Sívedrem chiaro poicome sovente

perle cose dubbiose altri s'avanza;


opure ancora:


Eben che 'l primo colpo aspro e mortale

fosseda séper avanzar sua impresa

unasaetta di pietate ha presa.


Laqual voce usò la Toscana assai spesso in questo sentimento dimandare innanzi e far maggiorenon guari dal sentimento d'Avacciarescostandola; con ciò sia cosa che chiunque s'avanzaperquesto s'avanzache egli s'affretta e si sollecita piú volte.Matornando alla prima voce Avaccioella poco s'usa oggi nella patria mia come voi ditedivenuta vilesí come sogliono il piú delle coseper la suavecchiezza. Usasi vie piú ne' suoi dintornie spezialmente inquel di Perugiadove le levano tuttavia la prima letterae diconoVaccio -.



Avea cosí detto ilMagnifico e tacevasiquando lo Strozzache attentamente ascoltatol'aveadisse: - Dehse il cieloGiulianoin riputazione e stimala vostra lingua avanzi di giorno in giornoe voglio io incominciarea ragionar toscanamente da questa voceche buono augurio mi dàe in speranza mi mette di nuovo acquistonon fate sosta cosítosto nel raccontarci delle vostre vocima ditecene ancoraesponetecene dell'altre; che io non vi potrei direquanto diletto iopiglio di questi ragionamenti. - E che volete voiche io vi raccontipiú oltra? - rispose il Magnifico. - Non avete voi oggi damesser Carlo e da messer Federigo udite molte cose? - Sí divero- rispose lo Strozza - che io ne ho molte uditele quali mipotranno ancora di molta utilità essere o nel giudicare glialtrui componimentise io ne leggeròo nel misurare i mieise io me ne travaglierò giamai. Ma quelle cose nondimeno sonoavertimenti generaliche vagliono piú a ben volere usare emettere in opera la vostra linguaa chi appresa l'ha e intendelache ad appararla: il che a me convien farese debbo valermenechésono in essa nuovocome vedete. Per la qual cosa a me sarebbe sopramodo caro che voiper le parti del vostro idioma discorrendoleparticolari voci di ciascunale quali fa luogo a dover saperepensaste di ramemorarvie di raccontarlemi. - Io volentieri ciòfareiin quanto si potesse per me fare- rispose il Magnifico - sepiú di spazio a quest'opera mi fosse datoche non è;chécome potete vedereil dí oggimai è stancoe piú tosto gli 'nteri giorni sarebbono a tale ragionamentorichiestiche le brievi ore. - Per questo non dee egli rimanere-disse mio fratelloa queste parole traponendosi - che a messerErcole non si sodisfaccia. E poscia che egli fu da noi ieri alloscrivere volgarmente invitatoconvenevole cosa èGiulianoche noi niuna faticache a questo fine portirifuggiamo. Vengasidomani ancor quie tanto sopra ciò si ragioniquanto ad essogioverà e sarà in grado. - Vengasi pure- disse ilMagnifico - e ragionisise ad esso cosí piace; tuttavolta conquesta condizione che voimesser Carlo e messer Federigom'aiutate;ché io non voglio dire altramente -. A queste parolerispondendo i dueche essi erano contenti di cosí farequantunque sapessero che allui di loro aiuto non facea mestieroemesser Ercole aggiugnendo che esso ne sarebbe loro tenutograndementetutti e tre insiemesí come il dí dinanzifatto aveanodipartendosilasciarono mio fratello.





TERZOLIBRO



Questa cittàla qualeper le sue molte e riverende reliquieinfino a questo dí anoi dalla ingiuria delle nimiche nazioni e del temponon leggiernimicolasciatepiú che per li sette collisopra i qualiancor siedesé Roma essere subitamente dimostra a chi lamiravede tutto il giorno a sé venire molti artefici divicine e di lontane partii quali le belle antiche figure di marmo etalor di rameche o sparse per tutta lei qua e là giacciono osono publicamente e privatamente guardate e tenute caree gli archie le terme e i teatri e gli altri diversi edificiiche in alcunaloro parte sono in piècon istudio cercandonel picciolospazio delle loro carte o cere la forma di quelli rapportanoeposciaquando a fare essi alcuna nuova opera intendonomirano inquegli essempie di rassomigliarli col loro artificio procacciandotanto piú sé dovere essere della loro fatica lodati sicredonoquanto essi piú alle antiche cose fanno persomiglianza ravicinare le loro nuove; perciò che sanno eveggono che quelle antiche piú alla perfezion dell'artes'accostanoche le fatte da indi innanzi. Questo hanno fatto piúche altrimonsignore messer Giulioi vostri Michele Agnolofiorentino e Rafaello da Urbinol'uno dipintore e scultore earchitetto parimentel'altro e dipintore e architetto altresí;e hannolo sí diligentemente fattoche amendue sono ora cosíeccellenti e cosí chiariche piú agevole è adire quanto essi agli antichi buoni maestri sieno prossimanichequale di loro sia dell'altro maggiore e miglior maestro. La qualeusanza e studiosein queste arti molto minori postoe come sivede giovevole e profittevole grandementequanto si dee dire cheegli maggiormente porre si debba nello scrivereche è operacosí leggiadra e cosí gentileche niuna arte puòbella e chiara compiutamente essere senza essa. Con ciò siacosa che e Mirone e Fidia e Apelle e Vitruvioo pure il vostro LeonBattista Albertie tanti altri pellegrini artefici per adietrostatiora dal mondo conosciuti non sarebbonose gli altrui o ancorai loro inchiostri celebrati non gli avesserodi maniera che vie piúsi leggesserodella loro creta o scarpello o pennello o archipenzolole opereche si vedessero. Quantunque non pur gli arteficima tuttigli altri uomini ancora di qualunque statoessere lungo tempo chiarie illustri non possono altramente. Anzi eglino tanto piúchiari sono e illustri ciascunoquanto piú unoche altroleggiadri scrittori ha de' fatti e della virtú sua. Perchéragionevolmente Alessandro il Magnoquando alla sepoltura d'Achillepervennefortunato il chiamòcosí alto e famosolodatore avendo avuto delle sue prodezze; quasi dir volessecheeglise bene molto maggiori cose facessenon andrebbe cosílodato per la successione degli uominicome già vedeva essereito Achilleper lo non avere egli Omero che di sé scrivessecome era avenuto d'avere allui. Il che se cosí ècheessere per certo si vedefacciamo ancor noii quali agli studidelle lettere donati ci siamo e in essi ci trastulliamoquellostesso che far veggiamo agli artefici che io dissie per le imaginie formeche gli antichi uomini ci hanno de' loro animi e del lorvalore lasciateciò sono le scritturevie piú chetutte le altre opere bastevolidiligentemente cercandoa saper noibene e leggiadramente scrivere appariamo; non dico nella latinalinguala quale è in maniera di libri ripiena che oggimai visoprabondanoma nella nostra volgarela quale oltra che piúagevolezza allo scrivere ci presteràeziandio ne ha piúbisogno. Con ciò sia cosa che quantunque dal suo cominciamentoinfino a questo giorno non pochi siano stati quelli che v'hannoscrittopochi nondimeno si vedeche sono di loro e in verso e inprosa i buoni scrittori.



E ioacciò che glialtri piú volentieri a questa opera si mettanoveggendo essida principio tutta la strada per la quale a camminare hannoche peradietro non s'è vedutadicoche essendosi il terzo giornomedesimamente a casa mio fratello raunati gli trede' quali neglialtri libri si disseper fornire il ragionamentoad utilitàdi messer Ercole due dí tra loro avutoe già d'intornoal fuoco a seder postisidisse messer Federigo al Magnifico: - IoveggoGiulianoche voi piú aventurato sete oggidi quelloche messer Carlo e io questi due dí stati non siamoperciòche il ventoche infino a stamane cosí forte ha soffiatoorasi tace e niuno strepito faquasi egli a voi piú cheta e piúriposata udienza dar vogliache a noi non ha data -. A cui ilMagnifico cosí rispose: - Voi dite il veromesser Federigoche ora nessun vento fiede; di cheio testé venendo qui conmesser Ercoleamendue ne ragionavamo nella mia barchettache piúagevolmente oggiche ieri e l'altr'ieri non fececi portava oltreper queste liquide vie. Ma io sicuramente di ciò mestieroaveaa cui dire convien di cose sí poco per sépiacentiche se romor niuno si sentisseappena che io mi creda chevoi udir mi potestenon che voi badaste ad apprendere ciò cheio dicessi. Come che tutto quello che io diròa messer Ercolefia dettoa cui fa luogo queste cose intenderenon a voi o a messerCarloche ne sete maestri. Anzi voglio ioche la condizione ieri dame postavi e da voi accettatavoi la mi osserviated'aiutarmi doveio mancassi; affine che per noi a messer Ercole non si manchiilquale di ciò cosí disiderosamente ci ha richiesti epregati -. Il che detto e dagli due consentitopiú perchéil Magnifico di dire non si rimanesse se essi il ricusasserocheperché lo stimassero a niun bisognoesso cosí cominciòa parlare:



- Quelloche io a dirvi hopresoèmesser Ercolese io dirittamente stimolaparticolare forma e stato della fiorentina linguae di ciòche a voiche italiano sietea parlar toscanamente fa mestiero; laqual sommaperciò che nelle altre lingue in piú partisi suole divideredi loro in questapartitamente e anco nonpartitamentesí come ad uopo mi verràvi ragionerò.E per incominciar dal Nomedico chesí come nella maggiorparte delle altre lingue della Italiacosí eziandio in quelladella città miai nomi in alcuna delle vocali terminano efiniscono sempre; sí come naturalmente fanno ancora tutte letoscane vocida alcune pochissime in fuori. E questi nomi altro chedi due generi non sono: del maschio e della femina. Quello che da'Latini neutro è dettoella partitamente non ha; sícome non hanno eziandio le altre volgarie come si vede la linguadegli Ebrei non averee come si legge che non avea quella de'Cartaginesi negli antichi tempi altresí. Usa tuttavia gli duenella guisa che poi si diràe di loro se ne serve in quellavece. Ne' maschi il numero del meno piú fini suole avere.Perciò che egli e nella Oterminache è nondimeno comunemente fine delle altre linguevolgarie nella Iche proprio fine è della toscana in alquante di quelle vociche nomi propriamente si chiamanoNeri Geri Rinierie simili. Perciò che quelli delle famiglie che cosífinisconoElisei Cavalcanti Buondelmontisono tolti dal numero del piú e non da quello del meno.Termina eziandio nella Enella qualetra gli altri generalmente hanno fine que' nomiche omaschi o di femina o pure neutri che essi sianonel secondo lorocaso d'una sillaba crescono nel latinoAmore Onore VergineMargine e questoche io Generenovellamente chiamoe somiglianti. Il qual finequantunqueragionevolmente cosí terminiperciò che usandosivolgarmente una sola forma e qualità per tutti i casimegliofu il pigliar quel fine che a piú casi serve nel latinochequello che serve a menonientedimanco hanno gli scrittori alcunavolta usato eziandio il fine del primo caso; sí come fe' Danteche disse Grandoe ilPetrarca che disse Pondoe altree il Boccaccio che Spirante turbodisse. Oltra che s'è alcuna volta detto Imagoe Image da' miglioripoeti. Ma tornando alle voci del maschioegli termina nella Eancora molto toscanamente in molti di que' nomili quali comunementeparlandosi nella OfinisconoPensiere Sentiere Destriere Cavaliere CinghiareScolare e somiglianti. Terminaultimatamente ancora nella Ache tuttaviafuori solamente alcuni pochissimiè fine dinomi piú tosto d'uffici o d'arti o di famiglieo per altroaccidente soprapostiche altro. Quantunque a questo nome d'ufficioche si dice Podestàdiede il Boccaccio l'articolo della feminaquando e' disse: Giudicedella Podésta di Forlimpopolisí come gli aveano altri toscani prosatori dato avanti allui;e posegli oltre acciò l'accento sopra la sillaba del mezzoimitando in questo non pure altri scrittorima Dante ancorache fe'nel suo Inferno:


Quandoverrà lor nemica podésta.


NellaU niuno toscano nome terminafuori che Tu e Gru;la qual voce cosí si dice nel numero del piúcome inquello del menola Gru le Gru.La Virtú e leVirtúche si diconoedell'altrenon sono voci compiute. Ma tuttavoltain qualunque dellevocali cada il numero del meno nelle voci del maschioquello del piúsempre in I cade -.



Detto che cosí ebbe ilMagnificoper picciolo spazio fermatosi e poscia passare ad altrovolendomio fratello cosí prese a dire: - Egli non si pareche cosí siaGiulianocome voi diteche nella Itutti i nomi del maschio forniscanoi quali nel numero del piúsi mandan fuorialmeno ne' poeti; con ciò sia cosa che silegga:


Togliendogli anima'che sono in terra;


eancora


Chev'eran di lacciuo' forme sí nove;


dovesi vede che Anima' e Lacciuo'sono voci del numero del piúe nondimeno nella Inon forniscono. E similmente in ogni poeta ve ne sono dell'altreein questi medesimi altresí. Dunque affine che messer Ercoleaquesti versi o ad altri a questi simili avenendosinon isteasospesoscioglietegli questo picciol dubbio e fategliele chiaro -.Perché il Magnificoa queste parole rispondendocosídisse: - Queste vocimesser Ercoleche ora il Bembo da Dante e dalPetrarca ci recavoci intere non sonoanzi son fatte tali dallalicenza de' poeti. La quale da questa parte nondimeno èleggiera; ché il tor via di loro le due ultime lettere niunadisparutezza si vede che generae per aventura direbbe alcunochevi si giugne e accresce vaghezza cosí facendo. E io viragionava delle interechein queste dueAnimalie Lacciuoli sonodelle quali le due ultime lettere sono sí deboliche pocoperdonose pure non acquistanole dette voci da questo canto. Esono tuttavia di quelli che nella scrittura niente vogliono che silievi di loroanzi si lascino intere; quantunque poscialeggendo ilversocosí le mandan fuoricome voi fatto avete. Il che sifa medesimamente in quelle vociche con tre vocali finisconolequali tutte interamente si scrivonoe nondimeno alle volte sileggono e proferiscono non intere:


Nonera vinto ancora Montemalo

dalnostro Uccellatoio; che com'è vinto

nelmontar sucosí sarà nel calo


eancora


Lascialatalche di qui a mill'anni

nelo stato primaio non si rinselva.


Nésolo Dantema gli altri toscani poeti ancora questa licenza sipresero in altre cosí fatte voci. - Niuna licenza- disseallora acciò framettendosi messer Federigo - che nuova fossesi presero i vostri poetiGiulianonel cosí fare come avetedetto; perciò che vie di lor prima i Provenzali cosífacevanoche Gioia Noia essisenza la vocale ultima scriveanoe d'una sillaba essere la nefacevano. E ciò usavano in quelle vociche da noi con le trevocalinella detta guisa favellandosi mandan fuori. Il che da essitogliendosí come da loro maestridisse Lupo degli Uberti inun verso rotto delle sue canzoni cosí:


Ch'altragioia non m'è cara;


eil re Enzo in un altro:


Permeo servir non veggio

chegioia mi se n'accresca;


eil Boccaccio in uno intero delle sue ballate medesimamente cosí:


Onde'l viver m'è noiané so morire.


Edell'altre voci ancora dissero i nostri poeti di questa maniera:


EccoCin da PistoiaGuitton d'Arezzo


esimili -. E questo dettosi tacque.



Di che il Magnificodopo altreparole sopra ciò dallui e da mio fratello detteche il diredi messer Federigo raffermavanonel suo ragionar si rimisecosídicendo: - Nelle voci della feminail numero del meno nella Ao nella Equello delpiú nella E onella I suole fornirecon una cotal regolache porta che tutte le voci finienti in Anel numero del menoin Efiniscano in quello del piúe le finienti in Ein quello del menoin Ipoi finiscano nell'altro; levandone tuttavolta la Manoe le Maniche fine dimaschio ha nell'un numero e nell'altroe alquante vociche sottoregola non istannotolte cosí da altre lingueDidoSaffo e simili. E sein questavoce Frondail numerodel piú ora la Ee quando la I aver sivede per fineè perciò che ellain quello del menoidue fini dettivi della Ae della E hamedesimamente; perciò che Frondenon meno che Frondasi legge nel primier numero. E a tal condizione sono alcune altrevociAla Arma Loda Frodaperciò che e Alee Arme e Lodee Frode si sonoeziandio nel numero del meno dette. In maniera che dire si puòterminatamente cosíche tutte quelle voci di feminache inalcuno de' due numeri due di questi fini aver si veggonodinecessità i due altri hanno eziandio nell'altrocome che nonciascuno di questi fini sia in uso ugualmente o nella prosa o nelverso; levandone tuttavia quelle vociche per accorciamentodell'ultima sillaba che si gittacosí nel numero del piúcome in quello del meno si dicono nelle prose: la Cittàle Cittàdi cui sono idirittila Cittate le Cittatiche dire si sogliono alle volte nel verso. Nel qual verso ancoramutano i poeti le piú volte la Tconsonante loro ultimanella DCittade e Cittadidicendo. Il che tutto adiviene medesimamente in moltissime altre vocidi questa manierae in alquante ancorache di questa maniera nonsonoe sono cosí del maschio come della feminaMatrePatreche Madree Padre si disseroePiè in vece diPiede e di Piedie altre.



Le voci poiche sono delneutro nel latinoe io dissi nel volgare non aver proprio luogol'articolo e il fine di quelle del maschio servano nel numero delmeno. In quello del piúusano con l'articolo della femina unproprio e particolare loro fineche è in Asempree altramente non giamai. Con la qual regola si vede che parlòil Boccaccioquando e' disse: Messo il capo per la boccadel doglioche molto grande non eraeoltre a quellol'uno dellebraccia con tutta la spalla; enon disse l'una delle bracciao altramente. Né dico io ciòperché tuttiquelli nomiche sono nel latino neutriusino di sempre cosífare nel toscanoche no 'l fanno; con ciò sia cosa chemoltissimi di loro la terminazione e l'articolo delle voci delmaschio ritengono in amendue i numerisí come sono ilRegnoil Segnoil TormentoilSospiroil Beneil MaleilLumeil Fiumee i RegniiSegnii Tormentii SospiriiBenii Malii LumiiFiumi. Ma dicolo perciòche qualunque voce si dice neutralmente nel numero del piúnella nostra linguaella quel tanto a differenza dell'altre usa eserva continuoche io dissi: le Filale CiglialeGinocchiale Membrale FatalePeccatae quella che una voltausò il Petrarca neutralmente nel sonettoche ieri messerFederigo ci recitò


Divaga fera le vestigia sparse.


Ilche aviene ancora di molte di quelle vociche maschiamente si dicononel latinole DitaleLettale Risae simili; come che elle vie piú tosto della prosa sianochedel verso. Di queste e di quelle vocise molte eziandio maschiamentesi diconoi LettiiDitii Vestigii Peccatièciò piú tosto da altre lingue toltoche egli natíaforma sia di quella della mia città; il che da questo veder sipuòche egli è piú tosto uso del verso chedella prosae degli ultimi poeti che de' primieri: e ultimo chiamoil Petrarcadopo 'l quale non si vede gran fatto che sia veruno buonpoeta stato infino a' nostri tempi. Quantunque gli antichi Toscani unaltro fine ancora nel numero del piúin segno del loroneutroassai sovente usarono nelle prosee alcuna volta nel verso;sí come sono Arcora Ortora Luogora Borgora GradoraPratora e altri. Nésolamente i piú antichio pure Danteche disse Corporae Ramoradalla qualvoce s'è detto Ramoruto;ma il Boccaccio ancorache nelle sue novelle e Latorae Biadora e Temporadisse.



E questo che fin qui s'èdettopuòcome io avisoessere a bastanza detto di que'nomii qualicol verbo postiin piè soli star possono ereggonsi da sé senza altro. Di quelli appressoche con questisi pongononé stato hanno altramentedire si può chele voci del maschio due fini solamente hanno: la Oe la E nel numero delmenoAlto Puro Dolce Lievee la I in quello delpiúAlti Lievi;e quelle della femina due altri: la Ae la medesima Echead amendue questi generi è comuneAlta Pura DolceLievenel numero del menoe laE e la Iin quello del piúPure Lievi;levandone la voce Pariche cosí in ciascun genere e in ciascun caso e in ciascunnumero si dissecome che Paresi sia alcuna volta detto da' poeti nel numero del meno; e quelleancora con le quali si numerai Dueche Duo si disse piúspesso e piú leggiadramente nel versoe le Duee Tre e Seie Dieciche Diecepiú anticamente si dissee Trentae Cento e gli altriiquali non si torcono; come che Dante torcesse la voce Tree Trei ne facesse nelsuo Inferno. Et è sovente che nelle voci del maschio si lasciala O e la Enel numero del menoin que' nomi che la Rv'hanno per loro ultima consonantePensier Primiere Amar e Durche una volta disse il PetrarcaMiglior Piggior;o in quelli che per consonante loro ultima v'hanno la NVan Stran Pien Buoniquali tutti eziandio nel numero del piú si son detti. Èil veroche Fier invece di FieroeLeggier in vece diLeggierie Signorin vece di Signoriopure ancora Peregrinin vece di Peregriniche disse Dante:


Manoi sem peregrin come voi sete


nonsi direbbon cosí spesso nelle prose come nel verso. Non si facosí nelle voci della feminache la Avi si lasci medesimamenteperciò che ella non vi si lasciagiamai. Lasciavisi alle volte la Ein quelle che v'hanno la Le dicesi Debil vistaSottil fiammanelnumero del meno; e la Ialcune poche volte in quello del piú: il Petrarca


Convoce allor di sí mirabil tempre.


Etè poiche si lascia in quello del piú eziandio la Lnelle voci del maschio e della femina; sí come la lasciòil medesimo Petrarca:


Qua'figli maiqua' donne

furonmateria a sí giusto disdegno?


eancora


Data' due luci è l'intelletto offeso;


eil Boccaccioche disse:


Conle tue armi e co' crude' roncigli


eancora


Ne'padri e ne' figliuo'


invece di dire Crudeli eFigliuoli. Népure la medesima Odicui sopra si dissema ancora tutta intera la sillaba si lascia inquesta voceSantomaschilemente dettae in quest'altreProde Grande;e piú ancora che la intera sillaba in questeBellie Quellivi silasciae in Cavallila lasciò il Boccaccioche disse Cava'nella sua Teseide. Come che la voce Grandetroncamente dettanon piú al maschio si dà che allafemina. Nullaallo 'ncontrosi lascia di quelle vociche con piúconsonanti empiono la loro ultima sillabaDestro SilvestroFerrigno Sanguignoesomiglianti. Mutasi alcuna volta della voce Gravela vocal primierae fassene Grevenel verso.



Dànnosi oltre acciòper chi vuolein compagne di tutte queste e simili vociquelleancora che da' verbi della prima maniera si formano; sí comesi forma Impiegato Disagiato Ingombratoalquante delle quali usarono gli scrittori d'accorciare nelle rimeun altro fine dando loro. Perciò chein vece di questaIngombrato che iodissi e Sgombrato chesi diceessi alle volte dissero Ingombro Sgombro;e in vece di MaceratoMacero; e di DubbiosoDubbio; e di CercatoCerco; e di SeparatoSevrosí comequelli che Severare invece di Separaredicevanoe nelle prose altresíe Scieveraree Discieverare ancorapiú anticamente; e di InchinatoInchinoe peraventura dell'altre; e i prosatori parimenteche ancora essi Cercoe Desto e Usoe Vendico e Dimenticoe Diliberoin vece diCercato e Destatoe Usato e Vendicatoe Dimenticato eDiliberatodissero.Il che fecero gli antichi Toscani alle volte ancora nelle voci che dasé si reggonoSantàe Infertà invece di Sanitàe Infermitàdicendo. Lasso eFranco e Stancoe per aventura dell'altrein vece delle compiutesono cosíin usanzache piú tosto propriamente dette paiono chealtramente. Usarono nondimeno i detti antichi alcune di queste vocipure in luogo di voci che da sé si reggono; sí comeCaro in vece diCaristiache dissero:Nel detto anno in Firenze ebbe grandissimo caro;e somigliantemente dissero: Scarso di vittovagliain vece di Scarsità;e Faccendo molesto alla cittàquando crescieae Che infino a que' tempi stavano in molte dilizie emorbidezze e tranquilloin vecedi dire Molestia eTranquillità;equello che pare piú nuovoPer lunga durain vece di Per lunga durataalcuna volta si disse. Usarono eziandio alquante di queste vociinluogo di quelle particelleche a' nomi si danno e per casi o pernumeri o per generi non si torconosí come si vede non solone' poetiche dissero:


Quivid'io gentepiú ch'altrovetroppa


invece di diretroppo piú che altrove;e ancora


Quellache giva intornoera piú molta


invece di dire molto piú;ma ne' prosatori ancora: Giovan VillaniPer la qual cosa iLucchesi furono molti ristretti e afflitti;e il BoccaccioMa veggendosi molti menoche gliassalitoricominciarono a fuggire;il che orapopolarescamente ragionandosi fa tutto giorno. Némancò ancora che essi non ponessero alle volte di queste vocicol fine del maschiodandole nondimeno a reggere a voci di femina;sí come pose il Boccaccioche disse: E subitamentefu ogni cosa di romore e di pianto ripienoe altroveEssendo freddi grandissimie ogni cosa pieno dineve e di ghiaccio. Dove sivedeche quella voce Ogni cosasi piglia in vece di Tuttoe perciò cosí si disse Ogni cosa pienocome se detto si fosse Tutto pieno-.



Avea queste cose ragionato ilMagnifico e tacevasiforse pensando a quello che dire appressodovea; a cui messer Federigoveggendolo star chetodisse: - Io nonso giàse voiGiulianoparte de' nomi essere vi credetequellache chiamaste ieri articolidel Signorsoragionandoci di cui si disseIl La Li Lee gli altri; con ciò sia cosa che essi senza i nomi avereluogo non possono in modo alcunoné i nomi per la maggiorparte in piè si reggono senza essi. Ma come che ciòsiache poco nondimeno importavoi non potete de' nomi avere abastanza dettose degli articoli eziandio non ci ragionate quelloche dire se ne può e bene è che messer Ercole intenda.Né solamente degli articolima ancora di quelliche segnisono d'alcuni casie alle volte senza gli articoli si pongonoetalora insieme con essi: Di PietroA PietroDaPietro; Del fiumeAl fiumeDalfiume; de' quali alcunisenzadubbioproponimenti mostra che siano piú tostoche segni dicaso. Il che comunque si prendache medesimamente di moltaimportanza non può esseregli usi nondimeno di loro e ledifferenze non sono per aventura da essere adietro lasciate di questiragionamenti. - Dunque non si lascino- disse il Magnifico - separemesser Federigocosí a voiil che pare eziandio a me -eun poco fermatosiseguitò: - È l'articolo delmaschio nel numero del menoquando la vocea cui esso si dàincomincia da lettera che consonante siaquello che voi dicesteIl;e quando da vocaleLo;il quale nondimeno si vede alcuna volta usato eziandio dinanzi alleconsonantie piú spesso da' piu antichi che da' meno. Suoletuttafiata questo articolo dinanzi alle vocali lasciare sempreadietro la vocal suaL'ardore L'erroresí come quello altresí la sua dopo le vocaliDa'l cielo Co 'l mondo Su 'l fiume Inverso 'l monte.Usa eziandio l'articolo della feminache è quell'unoche voidiceste Lanel numerodel meno medesimamente lasciare adietro la vocal suaquando laseguente voce incomincia da vocale: L'onda L'erbae simili. E aviene alle volte cheessendo questi due articoli delmaschio e della femina dinanzi a vocal postiessi ora ne mandanfuori la detta vocaleLo 'nganno Lo 'nvito La 'ngiuria La'nvidiaora oltre acciòne mandan fuori ancor la loroe in vece delle due scacciate nepigliano una di fuorila qual nondimeno è sempre la E:L'envio L'envoglia nelversoin vece di dire La invoglia Lo invio.Nel numero del piú è l'articolo del maschio Idinanzi a consonanteI buoni I reie alcuna volta Liusato solamente da' poetie da' miglior poeti piú rade volte.Dinanzi a vocale è il detto articolo Gli:Gli uomini Gli animali.È il vero che quando la voce incomincia dalla Sdinanzi ad alcun'altra consonante posta pure dinanzi la Vche in vece di consonante vi stiacosí né piúné meno si scrivecome se ella da vocale incominciasse Glisbanditi Gli sciocchi Gli scherani Gli sgannati Gli sventurati.Nelle quali vocimedesimamente al numero del meno Loe non Il èrichiestocosí nel verso come nelle prose; che non si diràIl spirito Il stormentoma Lo spirito Lo stormentoe cosí gli altri. Questo stessonell'un numero e nell'altroè stato ricevuto ad usarsi dopo la particella PerPer lo petto Per li fianchi.Usasi l'uno ancora dopo la voce Messereche si dice Messer lo frate Messer lo giudice.Et è da sapere che questo medesimo Lodinanzi ad altre consonanti che alla Saccompagnata come si disseil Petrarca non diede mai se non a vocid'una sillaba. Di quello poi della feminache è questo Leniente altro si mutase non che dinanzi alle vociche da vocalehanno principionon sempre si lascia di lei adietro la vocal suacome io dissi che nel numero del meno si faceva. Ma tale volta silasciae ciò è nel verso bene spessoe tale altra nonsi lasciail che si fa per lo piú nelle prose.



È tuttavia da saperechenelle medesime prosela consonante di questi due articoli s'èraddoppiata da gli antichi quasi sempre e ora si raddoppia da'moderninell'un numero e nell'altroquando essi hanno dinanzi a séil segno del secondo casoDell'uomoDella donna Delli uomini Delle donne;quantunque l'usanza abbia poscia voluto che Degli uominisi dicapiú tosto che Delli uomini;o quando essi v'hanno le particelle Ae Dao ancora la Nequando ella stanza e luogo dimostrao pure alcuna volta eziandio laparticella Condi cuinondimeno la consonante ultima nella Lche si pigliasi muta. Tutto che la particella Ache Ad eziandio sidiceè cagione che ancora ad altre vocie non pur agliarticolila consonante molte volte si raddoppiaa cui ella stadinanzi; sí come è Luiche Allui si diceeCiòAcciòe Assée questo ultimo piú si legge nelle antiche che nelle nuovescritturee dell'altre; e Affrettaree Allettare e simili.Ma questeche ne' verbi si raddoppiano o nelle voci nate da loroancora ne' versi hanno luogo. Usasi ciò fare eziandio con laparticella RachéRaccogliere Raddoppiare Rafforzare Rappellaree degli altri si leggono. E questo non per altro si fase non perchéalla particella Adquando ella a verbi si dàAccogliere AddoppiareAfforzare Appellaresi giugnela Re fansene ledette voci; onde ne vieneche quando si dice Ricoglierela C non si raddoppiacon ciò sia cosa che alla voce Coglierela particella Ri sidàche dalla Relatina si togliee non alla voce Accogliere;la qual R tuttavia siprende da questa medesima Rie tanto è a dire Raccoglierequanto sarebbe Riaccoglieree cosí l'altre.



Altri articoli che del maschioe della femina la volgar lingua non si vede avere. Di questi articoliquello del maschionel numero del piú e nel versoassai silascia sovente nella penna; ma nelle prose quasi per lo continuo; egittasi o pure sottentra nella vocale che dinanzi gli staquandoquelliche voimesser Federigodiceste essere o proponimenti osegni di casisi danno alle vocie le voci incominciano daconsonanti: A piède' colli cioè Dei colliDe' buoni A'buoni Da' buoni e ancora Ne'miei danni Co' miei figliuoliin vece di dire De i buoni A i buoni Da i buoni Ne i mieidanni Con i miei figliuoli;gittandosi tuttavia in questa voce non solamente la vocaledell'articoloma ancora la sua consonantesenza in altra cangiarla.Il che medesimamente in quest'altra particella si fadi cui sidisseche si suole alle volte molto toscanamente dir cosí:Pel mio potere Pe' fatti lorociò è Per lo mio poteree Per li fatti loro. Equesto vi può essere a bastanza dettomesser Ercoledegliarticoli; e de' segni de' casi vi potrà quest'altroche alsegno del secondo casoquando alla voce non si dà l'articoloqualunque ella si siadiciate Die cosí usiate continuo: Io ho disio di beneTu ti puoi credere uno di noiLe donne sono use di piagnere;quando e' si dà l'articolo o conviene che si diadiciatesempre Deealtramente non mai: Del pubblicoDella cittàDegli abitantiDellecastellaDel vivereDel morire; e ancoraDe' malvagiDe'rei; il che si fa perabbreviamento di queste vociDe i malvagiDe i reilevandonel'una vocaleche vi sta oziosamente. Oltra che alcuna volta eziandioil segno medesimo si leva via di questo secondo caso; sí comelevò il Boccaccioil quale nelle sue prose disse: Alcolei gridoPer locolui consiglioPerlo costoro amoree altre; eDante che nelle sue canzoni fe':


Che'l tuo valorper la costei beltate

mifa sentir nel cor troppa gravezza;


eil Petrarcache disse medesimamente nelle sue:


Il manco piede

giovinettopos'io nel costui regno.


Ilche s'usa di fare con questa voce Altruiassai sovente: Nell'altrui forzaNelle altrui contrade;ma molto piú con quest'altre dueCuie Loroche con alcunaaltra: Il cui valoreI cui amoriOndefosti e cui figliuoloDelpadre loroAlle lordonneCo' loro amici.Quantunque non solamente in queste vociche in luogo di nomi sipongonoColui Costui Loro Coloro Cui Altruie somigliantiè ita innanzi questa usanza di levar loro ilsegno del secondo caso; ma eziandio ne' nomi medesimi alcuna fiata;sí come si pare in queste parole del Boccaccio: Acasa le buone femineIncasa questi usuraiin luogo didire: A casa delle buone femminee di questi usurai; eNon che la Dio mercé ancora non mi bisogna cosífaree altrove: Pocoprezzo mi parrebbe la mia vita a dover dareper la metàdiletto di quello che con Guiscardo ebbe Gismondain vece di dire: La mercé di Dioe la metàdi diletto; e come orane'nostri ragionamentitutto dí si vede che diciamo. Népure il segno solo del secondo caso si toglie sovente a quella voceLorocome io dissi;ma quello del terzo ancora: Diede lor credereFece lor bene; e aquell'altra Altrui: Iostimoche egli sia gran senno a pigliarsi del benequandoDomeneddio ne manda altrui;della qual licenza e uso tutte le rime si veggono e tutte le proseripiene.



Potreioltre a questod'unaltro uso ancora della mia lingua d'intorno al medesimo articoloquando egli al secondo caso si dànon piú del maschioche della feminaragionarvi; il quale è che alle volte si pondetto articolo con alquante vocie con alquante altre non si pone:Il mortaio dellapietraLa coronadello alloroLecolonne del porfidoe d'altraparte: Ad ora di mangiareet Essendo arche grandi di marmoet Essi eran tutti di fronda di quercia inghirlandatiche disse il Boccaccio; e dirvi sopra essoperché èche egli all'une voci si diae all'altre non si diae come saper sipossa questa distinzion fare ne' nostri ragionamenti. Ma ella èassai agevole a scorgere; e per aventura non fa mestiero di porla inquistione. - Anzisí fa- disse incontanente mio fratello -e puovisi errar di leggieree dicovi piúche radissimi sonoquelli che non vi pecchino a questi tempi. Perciò che assaipare a molti verisimileche cosí si possa dire ilmortaio di pietracome dellapietrae Ad ora delmangiarecome di mangiaree cosí gli altri. Perciòacciò che messerErcole non vi possa error prenderesponetegliele in ogni modo -. Alquale il Magnifico rispose senza dimorache volentierie disse: -La ragione della differenzamesser Ercolebrievemente èquesta; che quando alla voceche dinanzi a queste voci del secondocaso si sta o dee staredelle quali essa è vocesi danno gliarticolidiate eziandio gli articoli ad esse voci; quando poi alleigli articoli non si dannoe voi a queste voci non gli diate altresí;sí come in quegli essempi si diedero e non si diederoche sison dettie parimente in quest'altri: Nel vestimento delcuoioNella casadella pagliae Con lascienza del maestro Gherardo Nerboneseche disse il Boccaccioe A la miseria del maestro Adamoche disse Dantee Tra le chiome de l'orche disse il Petrarca; e Guido Giudice ancor disse piú volteIl vello dell'oromaIl vello d'oro nonmai; e cosí ancoraBionde come fila d'oroe In caso di morteeMe uom d'armee Cheella n'è divenuta femina di mondoe molte altre voci di questa maniera. E perciò All'oradel mangiare e Ad oradi mangiareLeimagini della cera e Unaimagine di cera nel medesimoBoccaccio si leggonoe infinite altre cose cosí si disseroda' buoni e regolati scrittori di que' secoliche rade volteuscirono di queste leggi. Le quali tuttavia da' poeti non si servanocosí minutamenteanzi si tralasciano senza risguardo; e oltreacciò non hanno luogo nelle voci de' nomiche propriamente sidiconoe di quelli che a' luoghi si danno altresí. Quantunquenon solamente nelle voci del secondo casoma eziandio in altre vocie altramente detteciò che io dissi si fece assai sovente;ché si disse: Come la neve al solee Come ghiaccio a sole.Il che piú spesso ancora si vede avenire di questo secondomodonel quale non si pon l'articolo; e spezialmente quando leparticelle Da e Inmovimento dimostrantisi danno alle voci: Che venir possafuoco da cieloche tutte v'ardae Recatosi suo sacco in colloe somiglianti. Nelle quali parole ancora questo medesimo direRecatosi suo saccopiú tosto che Il suo saccopare che abbia piú di leggiadria in séche di regolache dare vi se ne potesse. Il che si vedeche parve eziandio alPetrarcaquando e' disse:


I'dicea fra mio cor: perché paventi?


piútosto che Fra 'l mio core. Malasciando ciò da parteavieneoltra le dette cosechequando alle parti del corpo o pure al corpole dette particelle oancora la particella Disi dannoeziandio che l'articolo si dia alla voce dinanzi ad essepostaegli poi non si dà alle dette partianzi si toglie ilpiú delle volte: Gittatogli il braccio in colloLe mise la mano in senoLevatasi la laurea di capoEgli mi trarrà l'anima mia di corpoEssendo allui il calendario caduto da cintola;e qui disse il Boccaccio Da cintolasí come si direbbe Da lato.



Ma passiamo a dire di quellevociche in vece di nomi si pongonoIo Tue gli altri. De' quali questi duenel numero del meno e negli altriloro casiperciò che a questa guisa detti sono nel primocome che Io eziandioI' si disse nel versoogni volta che eglino dinanzi al verbo si pongonovicini e congiuntiad essoné segno di caso o proponimento hanno seco alcunoessi cosí si scrivonoMi diedeTi dissefinientinella I; se dopo 'lverbomedesimamente cosíDiedemiDíssetiAmarmiOnorarti.Il che si fa eziandioqualora le voci che in vece di Luie di Lei e di Lorosi pongonodelle quali si dirà poigiacciono tra 'l verbo eloroDarlomiFarlotiDarallemiFarolleti. Perciòche qualunque volta elle giacciono dopo essieglino nella Ese n'escon sempreDarmeloFartelo e Sasselchi n'è cagionche disseil Petrarcae Tengasel bene a mentee Facciasegli buoni essoe somiglianti. Dopo 'l verbo dissie quando essi sotto l'accento delverbo si ristringononé altra voce sotto quello accentomedesimo si sta dopo essi. Con ciò sia cosa che quando essialtramente vi stannosi scrive cosí e fannosi terminare nellaE: Me ladièTe glitolse


Ferirme di saetta in quello stato


Conchiusete essere solo coluinel quale la sua salute riposta sia


Vommenein guisa d'orbo senza luce


Ioci torneròe darottene tanteche io ti farò tristo.

Quivitraponendosi messer Federigo: - E perché - disse - èegliGiulianoche in quel verso del Petrarcache voi allegato ciaveteFerir me di saettasiconvenga piú tosto il dire Ferir meche Ferir mi? - Perquesto - rispose il Magnifico - che io dissi che il Meha l'accento sopra esso e non si regge da quello del verboe inFerirmi il Minon l'hama da quello del verbo si regge. - Ora perché èegli - disse messer Federigo - che l'uno ha l'accento e l'altro nonl'hacome voi dite? - È perciò - rispose il Magnifico- che qualora ciò avieneche si dica il Meo il Te di maniera cherispetto s'abbia ad altruidi cui eziandio convenga dirsieglis'usa di por l'accento sopra essi in questa guisadal verbo un pocoscostandogli e aspettandone quello che seguesí come avienenel detto verso:


Ferirme di saetta in quello stato.


Perciòche rispetto s'ha al Voi cheseguee s'aspetta ad udire:


Avoi armata non mostrar pur l'arco.


Chese ciò non avesse avuto a dirsiFerirmie non Ferir me sisarebbe detto. Sí come eziandio dal medesimo Petrarca inquesti versi:


Ditischietti soavi a tempo ignudi

consenteor voiper arricchir me Amore


s'èrispetto avuto al Voi con lavoce Me; e peròe' disse Per arricchir mee non Arricchirmi -.



E questo dettoe ciascuntacendosiegli nel suo ragionar rientrò e disse: - Cade sottole dette regole eziandio il il quale non solo nel numero del meno come questima ancora inquello del piú medesimamente ha luogo. È il vero cheegli primo caso non ha come hanno questi; anzi tanta somiglianzahanno queste tre voci tra loroMe Te Séche ancoraqualunque volta qualunque s'è l'una delle dueprimiere o dinanzi o dopo 'l verbo si truovaposta con l'altra o conquesta terza tra 'l verbo e leicosí si scrive quella che piúlontana è dal verbo come l'altra: Io mi ti do inpredaElla ti si fe'incontroIo soncontento di darmiti prigioneIlsuono incomincia a farmisi sentire.Dartimi o Farsiminon si diconoma diconsi i detti in quella vece: Tu se'contento di darmiti prigioneesimili. Dissi tra 'l verbo e lei; perciò che qualunque voltatra lei e il verbo altro v'hala Sinella Se si mutarimanendo nondimeno la dinanzi alleisenza mutamento fare alcuno perquesto; sí come si muta nel Boccaccioche disse: Equesto chi che ti se l'abbia mostratoo come tu il sappiio no 'lniego. Usasi medesimamente ciòfaree servasi la regola già dettaeziandio con queste duevoci che luogo dimostranoVi Ci:Le acque mi ti paion dolciQueste ombre ti ci debbono essere a bisogno la statee Paionmivi dolci etEssertici a bisognoaltresí. Matornando alla somiglianza delle tre vocidicoche in essa tuttavia una dissomiglianza v'hala quale èquesta; che quando essi dopo 'l verbo si pongono e sotto l'accento diluisenza da sé avernedimoranoil primiero e il terzo diloro nelle rime e in Ie in E si son dettieveggonsi all'una guisa e all'altra posti ne' buoni antichi scrittori;ma il secondo a una guisa solacioè finiente in Ima in E non giamai.Perciò che DolermiConsolarmeDuolmiValmeDolersiCelarseStassiFassesi leggono nelPetrarcail che non si fa del secondoche lo hanno sempreet essoe gli altri antichiposto come io dicoConsolartiSalutartie nonaltramente. Il che pare a dir nuovo; ché se mi si conciede ildire Onorarmeperchénon debbo io poter dire eziandio Onorarte?Nondimeno l'opera stacome voi udite; dico appo gli antichichéda' moderni s'è pure usato alcuna volta per alcunoil porloeziandio in quella maniera. È ancora da avertireche quandoil terzo predetto si pone finiente in Esi ponga solo nel numero del meno; perciò che in quello delpiú la I gli siconvien sempreDansiFansie non Danseo Fanseche sarebbevizio; solo che quando esso si ponesse dopo 'l verboe avessenondimeno l'accento da sésí come del Mee del Te dissiinquesta guisa: Essi fecero sé e gli altri arricchire.



Dissi delle due primiere vociche in vece di nomi si pongononel numero del meno; ora dico cheellein quello del piúquando sono intere niuna varietàfannoma cosí si diconoNoiVoiper tutti i casi. Maqualora esse la lettera del mezzo lasciano adietrola prima ad unmodo si scrive sempre cosíNeo ne' versi che ella entri o nelle prose; la seconda medesimamente adun modo cosíViin tutti gli altri luoghi; solo che o nella rimaquando ella sottol'accento si sta del verboche si ponga senza termineInel qual luogosecondo che alla rima mette benee Vie Ve parimente dire sipuòFarviDarve; o pure quandoella si pon con questa particella Neperciò che in quel caso ella medesimamente in Efinisce continuo: Mi ve ne dolsi:Mi ve ne sia doluta.La qual particella tanto ha di forzache ancora con le altre giàdette voci postain Ele fa finire similmente: Me ne rendo sicuroTe ne do licenziaVise ne conviene. A volere oraintenderequando le intere di queste voci usar si debbano e quandole non intereoltra quello che detto s'èaltro sapere non vibisogna; se non che a qualunque guisa Ioe Tue a qualunqueguisa Me e Teaventi sopra sé gli accentisi pongonoponiate Voie Noi medesimamente; aquelle maniere poscia del direalle quali Mie Ti si dannoo pureMe e Teche da altri accenti si regganocome io dissidiate le non intere.È oltre acciòche si vede la Ciin vece della Necomunemente usarsi da' prosatori: Noi ci siamo aveduti cheella ogni dí tiene la cotal manierae altrove: Egli non sarà alcuno cheveggendocinonci faccia luogo e lascici andare.Da' poeti ella non cosí comunemente si vede usataanzi dirado e sopra tutti dal Petrarcail qual nondimeno la pose ne' suoiversi alcuna volta. Questa Cituttavia muta la sua vocale nella Ea quella guisa medesima che del Vivegnente dal Voisidisse: Tu non ce ne potresti far piúe somiglianti.



Ora il nostro ragionamentoripigliandodico che sono degli altriche in vece di nome sipongono sí come si pone Elliche è tale nel primo casocome che Elloalle volte si legga dagli antichi posto in quella vece e nel Petrarcaaltresíe ha Luinegli altrinel numero del meno; la qual voce s'è in vece diColui alle voltedettae da' poetisí come si disse dal Petrarca:


Mortebiasmateanzi laudate lui

chelega e scioglie


opure:


Poipiacque a luiche mi produsse in vita;


eda' prosatorisí come si vede nel Boccaccioil qual disse:Ma egli fa Adamo maschio et Eva femina; e allui medesimochevolle per la salute della umana generazione sopra la croce morirequando con un chiovo e quando con due i piè gli conficca inquella. Né solamentenegli altri casima ancora nel primo caso pose il Boccaccio questavoce in luogo di Coluiquando e' disse: Si vergognò di fare al monacoquelloche eglisí come luiavea meritato.Con ciò sia cosa che quando alla particella Comesi dà alcun casoquel caso se le dàche ha la vocecon cui la comperazione si fa; sí come si diede qui: Donnemie carevoi potetesí come iomolte volte avere udito;il che tuttavia è cosí chiaroche non facea bisognorecarvene testimonianza. Anzise altro caso si vede che dato alcunavolta le siaciò si dee dire che per inavertenza sia statodettopiú che per altro. Posela eziandio Dante nel primo casoin quella vecequando e' disse nel suo Convito: Dunque seesso Adamo fu nobiletutti siamo nobilie se lui fu viletuttisiamo vili. Nel numero del piúegli serba la primiera sua voce per aventura in tutti i casidalterzo in fuori. E questo numero non entra nelle prose se non di radocon ciò sia cosa che le prose usano il dire Essinel primier casoe negli altri Loroin quella vece; ma è del verso. Le quali prose nondimenoaccrescendonelo d'una sillaba negli antichi scrittoril'hanno allevolte usato nel primo caso cosíEllino.E queste vociche al maschio tuttavia si dannoi meno antichidissero Egli et Eglinopiú sovente. Ellaapresso et Ellechesi danno alla feminaet Ellenomedesimamentenon si sono mutate altramente. Sono nondimenocomunalmente oraEglinoet Ellenoin boccadel popolo piú che nelle scritturecome che Dante ne ponessel'una nelle sue canzoni. Quellinoeziandio disse una volta Giovan Villani nella sua istoriain vece diQuelli. Ma lasciandoda parte quelle del maschioha Ellache voce del primo caso èsimilmente Leinegli altri casi sempresolo che dove alcuna volta Leiin vece di Coleis'èposta altresícome Luiin vece di Coluicomeio dissi; et Elle haLoro. Dico nelleprosenelle quali questa regola si serva continuo; ma nel verso sísi leggono Ella nelnumero del meno et Ellein quello del piúmolte volte poste in tutti gli altri casidal terzo in fuori; e massimamente nel sesto casooperandolo lalicenza de' poeti piú che ragione alcuna che addurre vi sipossa -.



Di poco avea cosí dettoil Magnificoquando messer Federigoad esso rivoltosidisse: -Egli si par beneGiulianoche la natura di queste voci porti cheElla solamente al primo casosi diae Lei aglialtricome diceste usarsi nelle prose; ma sí come si vedeevoi diceste ancorache nei poeti si truova alle volte Ellaposta negli altri casicosí pare che si truovi eziandio Leinel primo caso postaappo il Petrarcaquando e' disse:


E ciò che non è lei

giàper antica usanza odia e disprezza.


Conciò sia cosa che al verbo Èsolo il primo caso si dàe dinanzi e dopocome diede ilBoccaccioche disse: Io non ci fu' ioe ancoraE soche tu fosti desso tu;o pure io non intendocome queste regole si stiano -. Alle qualiparole il Magnifico cosí rispose: - Lo avere il Petrarca postoquesta voce Lei colverbo Ènonfamesser Federigoche ella sia voce del primo caso; perciòche è alle volteche la lingua a quel verbo il quarto casoappunto dàe non il primo; il qual primo caso non mostra chela maniera della toscana favella porti che gli si dia; sí comenon gliele diede il medesimo Boccaccioil quale nella novella diLodovico disse: Credendo egli che io fossi tee non disseche io fossi tuche la lingua no 'l porta; e altrove: Maravigliossi forteTebaldoche alcuno intanto il somigliasseche fosse creduto luie non disseche fosse creduto egli.Tra le quali parole se bene v'è il verbo Credutoegli nondimeno vi sta nel medesimo modo. Né vi muovano que'luoghiche voi dicesteIo non ci fu' ioe So che tu fosti desso tu;perciò che in essi solamente la voce che fasi replica edicesi due volteniente del sentimento mutandosinel qualeprimieramente si pone: Io non ci fu' ioe Tu fosti desso tu; ecome si replica eziandio in questo verso delle sue ballate:


Qualdonna canteràs'io non cant'io.


Làdove in questiCredendo egli che io fossi tee Che alcuno fosse creduto luie Ciò che non è leiil sentimento della voce che fasi muta in altro; ché Ioe Tu non sono una cosamedesimané Alcunoet EgliCiòet Ella altresí.Oltre che in questo modo di direCiò che non èleiil verbo èha quella medesima forza che avrebbe Contieneo Ha in séoDimostra osomiglianti. E tanto è a direCredendoche iofossi tequanto cheio fossi in te; e tanto chefosse creduto lui quanto chefosse creduto esser lui. E primache io di queste due voci Luie Lei fornisca diragionarvinon voglio quello tacerneil che si vede che s'usa nellamia linguae ciò èche elle si pongono alle volte invece di questa voce di cui dianzi si disse; sí come si pose dal Boccaccio inquesto ragionamento: Essendosi accortache costui usavamolto con un religiosoil quale quantunque fosse tondo e grossonondimenoperciò che di santissima vita eraquasi da tuttiavea di valentissimo uomo famaestimò costui dovere essereottimo mezzano tra lei e 'l suo amante.Nel qual ragionamento si vede che Tra lei e 'l suo amantein vece di dire Tra sé e 'l suo amantes'è detto. Il che s'usa di fare ancora nel numero del Piúalcuna fiatasí come si fece qui: Voglio che domanesi dica delle beffele quali o per amore o per salvamento di lorole donne hanno già fatte a' lor mariti.



Ma tornando alla voce Ellidico che sí comeaggiugnendovi due letterela fecero gliantichi d'una sillaba maggiore e dissero Ellino;cosí essilevandone le due consonanti del mezzola fecerod'una sillaba minoree dissero primieramente Eiristrignendola ad essere solamente d'una sillabae poscia Èlevandole ancora la vocale ultimaper farne questa stessa sillabapiú leggiera. Il che è usatissimo di farsi e nelleprose e nel verso; dico nel numero del meno; quantunque ancora inquello del piú ella s'è pur detta alcuna volta dalBoccaccio: E appresso questomenati i gentili uomini nelgiardinocortesemente gli dimandò chi e' fosseroe ancoraCome potrei io star cheto? e se io favelloe' miconosceranno. Èssieziandio detto Ei nelnumero del piúsolamente da' poeti; la quale usanza tuttaviasi vede essere ne' migliori poeti piú di rado. RestamesserErcoled'intorno acciòche io d'una cosa v'avertisca; e ciòèche questa voce Eglinon sempre in vece di nome si pone; con ciò sia cosa che ellasi pon molto spesso per un cominciamento di parlareil quale nientealtro adoperase non che si dà con quella voce principio enascimento alle parole che seguono; come diede il Boccaccio: Egliera in questo castello una donna vedovae altroveEgli non erano ancora quattro ore compiute.Ponsi medesimamente molto spesso ne' mezzi parlaricome pose ilmedesimo Boccaccio: Vedendo la donna queste coseconobbeche egli erano dell'altre saviecome ella fossee il Petrarcache disse:


Orquando egli arde il cielo.


Dovesi vede che il cosí porlapoco altro adopera che un cotalequasi legamento leggiadro e gentile di quelle paroleche senzagrazia si leggerebbonose si leggessero senza essa. E come chequesta voce ad ogni parlare servanon si può perciòben dire quale parte di parlare ella siase non che si dàsempre al verboet è piú tosto per adornamentotrovatache per necessità. Tuttavolta lo adornamento ètalee cosí l'ha la lingua ricevuta per adietro e usata nelleproseche ella è ora voce molto necessaria a ben volerragionare toscanamente. Non la usa molto il versocosíinteramente detta; usala tronca piú soventepigliando di leisolamente la prima lettera E;sí come alle volte si pigliaquando in vece di nome si ponecome io dissi:


E'non si vide mai cervoné damma;


eancora


Orsoe' non furon mai fiuminé stagni.


Ilche non è che alle volte non si dica ancora nelle prose: E'mi dà il cuoreesimilmente.



Oraun poco adietro a dirviancora di queste due vociche in vece di nomi si pongonoEllio per aventura Ello etEllaritornandoèda sapere che elle si ristringono e fannosi piú leggiere e piúbrievi eziandio ad un'altra guisa in alcuni casi; ciò sono ilterzo e il quarto caso nel numero del menoe il quarto in quello delpiú. Con ciò sia cosa che in vece di Luis'è preso a dire Lie Le in vece di Leinel detto terzo casoe Loe La nel quartoaltresínel numero del meno; e cosí Lie Le in vece di Loronel quarto casoin quello del piu. E questo Lidell'uno e dell'altro numero parimente Glis'è detto: Diedelie Diedegliin vece didire Diede alluieDiedelein vece didire Diede alleiePreselo e Presela;e cosí le altre che assai agevoli a saper sonoo posposte cheelle siano al verbo o preposte: Gli diedeLo preseesomiglianti. È il vero che questa voce del maschio del quartocaso nel numero del meno si dice parimente Il:


Cieconon giàma faretrato il veggo.


Èoltre acciò che a queste vociIle La e Losi leva loro bene spesso la vocalequando hanno altre vocali innanzio dopo la loro: S'i' 'l dissi maiin vece di dire Se io il dissi;e Amor l'inspiriinvece di dire La inspiri;e O chi l'affreniinvece di dire Lo affreni;


Né mostrerolti

semille volte in su 'l capo mi tomi


chedisse Dante; e


Che'l cor m'avinsee proprio albergo felse


chedisse il Petrarca; e Diroltie Dicolti e Vedetelvivoiche disse il Boccaccio -.Volea il Magnificodetto questopassare a dire altro; e miofratello con queste parole a' suoi ragionamenti si trapose: - Equeste voci medesimequando elle si mescolano con le primiere tresí come si mescola questaVedetelvie le altrein qual modo si mescolano elleche meglio stiano? Perciòche e all'una guisa e all'altra dire si può; che cosísi può direVedetevel voie Io te la recheròe Tu la mi recherai eIo gli vi donerò volentierie Io ve gli doneròe Se le fecero allo 'ncontroe Le si fecero. Questoconoscimentoe questa regolaGiulianocome si fa ella? O purepuoss'egli dire a qual maniera l'uom vuole medesimamenteche niunadifferenza o regola non vi sia? - Differenza v'è egli senzadubbio alcunoe tale volta molta- rispose il Magnifico - chémolto piú di vaghezza averà questa voceposta d'unmodo in un luogoche ad un altro. Ma regola e legge che porre vi sipossaaltra che il giudicio degli orecchiio recare non vi sapreise non questa: che il direTal la mi trovo al pettoè propriamente uso della patria mia; là doveTalme la trovoitaliano sarebbepiú tosto che toscanoe in ogni modo meno di piacevolezzapare che abia in sé che il nostroe per questo è egliper aventura men richiesto alle prosele quali partire dallanaturale toscana usanza di poco si debbono -.



Io - tornò qui a diremio fratello - tanto credo esser veroquanto voi dite d'intorno aquesta voce; ma egli mi risorge da un'altra parte di lei un altrodubbioil quale è questo che egli si truova ne' poeti allevolte dupplicata di lei la prima letteraquando ella èconsonanteAprilla Dipartillein vece di dire La apríe Le dipartí.Questo perché si fa? O quando s'ha egli a fare piú inun luogo che in altro? - Fassi - disse il Magnifico - ogni volta cheelladopo 'l verbo in vocale finiente postadall'accento di lui sireggee il verbo ha l'accento sopra l'ultima sillaba. Perciòchesí come ci ragionò ieri messer Federigol'accentoposto sopra l'ultima sillaba della vocemolto di forza sivede che hain tanto che egli ne' versi di dieci sillabenella finedel verso postoopera che la sillabasopra cui esso giacevi stain vece di due sillabe e basta per quella che al verso mancanaturalmente. Perchésí come egli da questa partedimostra la sua forzabastando per una sillaba che non v'ècosí da quest'altraquando alcuna di queste voci vis'aggiugnela dimostra egli medesimamenteraddoppiando sempre laconsonante di leicome dicesteperché la sillaba ne divengapiú piena: Dàlle Sortillee somiglianti. Né solamente in queste voci ciò avieneche si raddoppia in quel caso sempre la lettera consonante loro nelverso; anzi in quelle altre ancora che si son detteMi TiSie Nein vece di Noi dettaora nel verso e quando nella prosa questo stesso si vede avenire.Perciò che né piú né menonel versoFammi Mostrommi Stassi Vedrassivi si dice sempreet Etti Faratti Dinnee Dienne nelle prose.Né solo la consonante di queste tali voci si raddoppiamaancora la vocal loro primiera quando ella in forza di consonante visi pone; come si pon nel Voiche si dice Vi: FavviSovvi Puovvi Dievviesomiglianti; tuttavia solamente nelle proseché nelle rimeciò non ha luogo. Raddoppiavisi medesimamente la consonante diqueste due particelle del parlareVi Cio pure la vocale che in vece di consonante vi sta: et evvioltre acciòl'aere piú frescoe Porrovvi suso alcun letticelloe Hacci Vacci e simili-. Appena avea cosí detto il Magnificoche messer Federigocosí disse: - Egli è il vero che quelle consonantichevoi detto avetesi raddoppianoGiulianoa quelle voci donatechesi son dette. Ma io mi sono aveduto che in alquante altre voci ellenon si raddoppiano; il che si pare non solo in Danteil quale eQuetami e Levamidissema ancora nel nostro medesimo Boccaccioche disse: Faraneun soffione alla tua serventeealtroveTu hai avuto da me ciò che disiderato haie hami straziata quanto t'è piaciuto;e ciò si vede in molti altri luoghi delle sue prose. E purequi la medesima ragione v'è dell'accento che è inquelle. - E cosí dettosi tacque. Di che il Magnificorincominciò in questa maniera: - Egli v'è beneinquelle voci che voi detto avete e in altre somigliantil'accento cheio dissima egli non v'è in quel modo. Con ciò siacosa che egli in queste voci non vi stasí come in ultimaloro sillabaanzi sí come in penultima; perciò cheQuetàimi eLevàimi eFaràine eHàimisono lecompiute voci. Là dove in quelledelle quali vi recai gliessempielle vi stannosí come in compiute. E perciòche compiendolecome io ora foe fuori mandandolenele consonantiraggiunte loro non si raddoppianoché non si potrebbe direQuetaímmi Ricorderaíttie l'altreché bisognerebbe levarne l'accento del suo luogovuole l'usanza della lingua che elleno vi rimangano sole e semplicinon altramente che se le voci si dicesser compiute. Il che si famedesimamente della vocedi cui si ragionava; perciò chequando la vocea cui ella si dàè compiutalaconsonante di lei si raddopiacome si dice. Vedesi in questi versi:


Comeal nome di Tisbe aperse il ciglio

Piramoin su la mortee riguardolla.


Quandopoi la voce non è compiutaniente di lei si raddoppiama silascia tale quale ella è naturalmente. Vedesi in quest'altrodelle canzoni del medesimo poeta:


Es'altro avesser detto a voidirelo.


Ne'quali due luoghi si vedeche perciò che Riguardòè voce compiutasi disse Riguardolla;allo 'ncontroperciò che Dire'non è compiuta vocema troncaché la compiuta èDireifu di mestieroche si dicesse Direloné altramente si sarebbe potuto dire -.



Di tanto mostrandosi pagomesser Federigocosí rientrò il Magnifico ne' suoiragionari: - Io posso oltre acciòmesser Ercoledi questoavertirviche usanza della mia lingua è il porre questamedesima voce di manierache ella ad alcuno per aventura parerpotrebbe di soverchio posta; sí come può parere nonsolo nel Boccaccioche disse: Dio il sache dolore io sentodove assai bastava che si fosse dettoDio sache doloreio sento; eQuelcuoreil quale la lieta fortuna di Girolamo non aveva potuto aprirela misera l'aperseeMoltotosto l'avete voi trangugiata questa cenao pureCome al Re di Francia per una nascenzache avutaavea nel pettoet era male stata curatagli era rimasa una fistola;o pure in quest'altre parolenelle quali questa voce due volte vi sipare soverchiamente detta: Il che come voi il facciavatevoi il vi sapetee somiglianti;ma ancora nel Petrarcail qual disse:


Equal è la mia vitaella sel vede;


dovemedesimamentese egli detto avesse Ella si vedesí si pare che egli avrebbe a bastanza detto ciò che didire intendevasenza altro. Tuttavia egli non è cosí;ché quantunque ciò che in questi luoghi si dicedireeziandio senza quella voce si potessedico in quanto al sentimentodegli scrittorinondimenoquanto poi all'ornamento e alla vaghezzadel parlaremanifestamente veder si può che ella non v'èdi soverchio postaanzi vi sta di manierache non poco di grazia vis'arrogecosí dicendo. E questo nelle altre vociMie Ti e Viparimente si faché si disse: Io mi rimarrògiudeocome io mi sonoe Dehche non cenise tu ti vuoi cenaree Io non so se voi vi conosceste Talano;e sopra tutte nella Sicon la qual si disse: Io sono stato piú volte giàlà dove io ho vedute merendarsi le donnee Io non so qual mala ventura si facesse a sapere che ilmarito mio andasse iermattina a Genovao ancora: O se io avessi avuto pure un pensieruzzo di farequalunque s'è l'una di queste cose.Il quale usopassato parimente nel versofe' che Dante in molti de'suoi versi disse come in questi:


Bastavasine' secoli recenti


e


Maella s'è beatae ciò non ode;


ilche imitandoil Petrarca medesimamente disse:


Beatas'è che può beare altrui


ealtrove


Néso che spazio mi si desse il cielo


esomiglianti.



Né pure in queste vocisolamentema ancora nelle particelle Ciche Ce eziandio sidissee nella Vialcuna voltae nella Nemolto spesso cosí si fece dal medesimo Boccaccioche disse:Natural ragione è di ciascuno che ci nascela suavitaquanto puòaiutare;e ancora: Dehse vi cal di mefate che noi ce ne meniamouna colà su di queste papere;e medesimamente: In tanto che né in torneinéin giostrené in qualunque altro atto d'arme niuno v'eranell'isola che quello valesse che egli;e parimente ancora: Avisando che questi accorto non se nefosse che egli fosse stato dallui veduto.Perché fie bene che voimesser Ercoleeziandio a questi modidi ragionari poniate mentee oltre questi ad un altro ancora soprala medesima voceche in vece di Luie di Lei e di Lorosi ponemolto usato dalla mia linguache può parere peraventura piú nuovoil quale è questo: che quando aporre avete due volte seguentemente la detta voce dinanzi o dopo 'lverbo a qualunque persona si danno esse vocisolamente che piúche ad una non si dianoe in qualunque numero esse a por s'hanno odi qualunque generesempre nelle prose diciate a questa manieraGlielee altramentenon mai. Il che si vede in questi ragionamenti del Boccaccio: Anzimi pregò il castaldo loroquando io me ne venniche se ion'avessi alcuno alle mani che fosse da ciòche io glielemandassie io gliele promisi; ealtrove: Paganino da Monaco ruba la moglie a M. Ricciardodi Chinzicail qualesappiendo dove ella èva e diventaamico di Paganino; raddomandaglieleet eglidove ella vogliagliele conciede; e altrove:Avenne ivi a non guari tempoche questo catalano con unsuo carico navicò in Alessandriae portò certi falconipellegrini al Soldanoe presentógliele.Ma perché vi vo io di questo scrittore essempi sopra ciòraccogliendo? Egli ne sono tutte le sue prose sí abondevoliche mestier non fa il piú ragionarne. Ma come che io v'abbiagli essempi di questa usanza solo dal Boccaccio recatinon ètuttavia per questo che ella incominciamento dallui avuto abbiaperciò che egli la trovò già vecchia. Con ciòsia cosa che non pur Dante la ponesse nelle sue proseo ancoraGiovan Villanima eziandio Pietro Crescenzo per tutti i libri delsuo Coltivamento della villae Guido Giudice di Messina per tutta lasua istoria della guerra di Troia la si spargessero. Il qual GuidoGiudicecome che ciciliano fossescrisse nondimeno toscanamentesícome in quella età che sopra Dante funella quale esso vissesi potea. Fassi in parte questo medesimoquando dopo la voce Glisi pon la Nechési dice Gliene diediGliene portaronoesomigliantemente.



Orapiú oltre passandodico che sono in vece di nomi ancor Quelliche si disse medesimamente Queinel versoe Questiassai toscanamente cosí detti nel numero del menoe solamentenel primo caso; come che Queieziandio in quello del piú si dica e in ciascun caso assaisovente da' poetie alcuna volta ancor Questima tuttavia di radoche poi si disse piú spesso nelle prose.Piú di rado si truova detto Quellinel numero del piú di esse prose. È Coluiche in ogni caso del numero del meno si dicee Costuialtresí; e servonoin luogo degli altri casia Queglie a Questi che sonopur del primocome io dissi. Et è Cotestituttavia non molto usatoche si disse alcuna rara volta Cotestuiquantunque Cotesti sidica ancora nel numero del piú; e sono tutte voci del maschioche altramente non forniscono; sí come Quelloe Questo e Cotestosono voci del neutroche anco non forniscono altramente. E dassiquesta voce ultimaCotestie Cotestosolamente acoloro e alle coseche sono dal lato di colui che ascolta. Ma Quellosi dice alle volte Ciò:Fammi ciò che tu vuoie Questo altresí:Oltre acciò Sopra ciò;la qual voce non pure neutralmentema ancora maschilemente efeminilementee cosí nel numero del piú come in quellodel menos'è molto spesso detta dagli antichiche dicevano:Ciò fu il fortissimo Ettoreche disse Guido Giudicee Ciò erano vaghissimegiovaniche disse il Boccaccioe


Ciòfuron li vostr'occhi pien d'amore


cheGuido Guinicelli disse. Ma tornando alle voci Colui Costuiè alcuna volta che elle si danno alle insensibili cosee Luialtresí; sí come si diè in Pietro Crescenzoilqualeragionando di linodisse: Nella costui seminazionela terra assai dimagrarsi e offendersi si crede;e in Danteche di rena parlandodisse:


Nond'altra foggia fattache colei

chefu da' piè di Caton già sopressa;


enel Boccaccioche disse: Lei d'una testa morta novellando.Perché meno è da maravigliarsise Questie Quegli medesimamentesi dà loro. Et è oltre acciò alcuna voltachein luogo di Questo sidice Esto da' poeti; eultimamente nella voce di feminaStain vece di Questanonsolo da' poetima ancora da' prosatorigiunto tuttavia e posto conqueste tre voci e non con altre: StanotteStamaneStasera.Perciò che quando si diceIsta notteIsta maneIstaseraciò si fa peraggiunta della Ichea queste cotali voci suole daresí come l'altr'ieri messerFederigo ci disse. Come che eziandio Stamattinadicesse il Boccaccio: Di questo di stamattina saròio tenuto a voi -.

Quivimesser Ercoleche attentamente ciò ascoltavavolendo ilMagnifico seguir piú oltredisse: - Deh a voi non graviGiulianoche io un poco v'addomandicome ciò siache voidetto avete che QuelloQuestoCotestovoci del neutro sono. Quando e' si dice: Quel caneQuell'uomoe Questofanciulloe Cotestouccello e somigliantinon sonoelleno voci del maschio eziandio queste tutte che io dico? - Sono-rispose il Magnifico - ma sono congiunte con altre vocie da sénon istanno. E io di quelle che da sé stanno vi ragionavadelle quali propriamente dire si può che in vece di nomi sipongono; il che non si può cosí propriamente dire diquelle che l'hanno accanto. Sí come sta da sé soloQuesti nel Petrarca:


Questim'ha fatto men amare Dio


nelqual luogo non si potrebbe dir Questo;e chi ciò dicesseintenderebbesi Questa cosae non Amoreil cheegli vuole che vi s'intenda; sí come in quella medesimacanzone s'intende Questoin luogo di Questa cosaquando e' disse:


Ancore questo è quel che tutto avanza

davolar sopra 'l ciel gli avea dat'ali


dovenon si potrebbe dir Questiché non ne uscirebbe il sentimento del poetama altro assaida esso lontano -.



Stette di tanto contento e pagomesser Ercole; laonde Giuliano seguitando cosí disse: - Sonomedesimamente nel numero del piú Costoroe Coloro e Loro;la qual voce in vece di Coloroe di Quelli e d'Essiusa di por la mia lingua in tutti i casifuori solamente il primo. Ecome che Costoro paiavoce che si dia al maschionondimeno si vede che ella s'èdata eziandio alla femina. Di queste voci tutte quelleche allafemina comunalmente si dannosono sí sempliciche mestiernon fa che se ne ragioni altramente; sí come sono Costeie Colei che a tutti icasi ugualmente si dannoné si mutano giamai. Resta che visia chiaro che Lei invece di Coleisícome Lui in vece diColuidel qual sidisses'è alcuna volta detto da' nostri scrittori. Èancora Essovoce diquesta medesima qualitàla qualecome che regolarmente simuti e ne' generi e ne' numeriché Essoet EssaEssiet Esse si diceniente di meno è alle volte; che il primiero ad ogni genere ead ogni numero servequando con altra voce di queste o ancor d'altrevoci si ponee ponsi innanzi; perciò che e Con essolui e Con esso leie Con esso loro eSovr'esso noi e Conesso le mani e Lungh'essola camera; medesimamente sidicetoscanamente parlando; come che Essa leieziandio si legga alcuna volta nelle buone scritture. Dicesi ancorDesso e Dessaper voce piú ispressae nelle prose e nel verso. Èappresso quest'altra voce Stessoche dopo alcuna di quelle che in vece di nomi si pongonocome chesiasi pon sempre e altramente non si regge. E quantunque usino iToscani di dire Egli stessipiú tosto che Egli stessonon perciò si dirà ancora cosí Essostessima Essostesso; forse per la diversitàde' finiche è in quelle voci e non è in queste. ÈAltri nel primo casodel numero del meno e di quello del piúe ha Altruinegli altri dell'un numero e dell'altro; e diconsi amendue in voce dimaschio semprecome che in sentimento possono darsisotto voce dimaschioeziandio alla femina. È Alcunoche alcuna volta s'è detto Verunoet è Niuno eNulloche vaglionospesse volte quanto quellenon solo nelle proseche l'hanno perloro domestiche e famigliari moltoma alle volte ancora nel versonel quale piú volentieri Nessunoche Niunosícome voce piú pienav'ha luogo. Vedesi ciò in questoverso medesimodi cui vi dissi:


Idí miei piú leggierche nessun cervo

fuggîrcom'ombra.


Etè Qualche quellostessoe questa in ogni genere e in ogni numero ugualmente ha luogo.



È ultimamente Ilqualevoce che si rende aciascuna delle altre già detteche in vece di nome sipongonoe ancora ad altre; la qual voce si dice eziandio Chein ogni genere medesimamente e in ogni numero. E questa Cheneutralmente postasi disse alcuna volta Il chedal Boccaccio: Di che la donna contenta molto si dispose avolere tentarecome quello potesse osservareil che promesso avea;e ancora: Vi farei goder di quellosenza il che per certoniuna festa compiutamente è lieta.È appresso Chinel primo caso e ha Cuinegli altri; le quali voci a ciascun numero e a ciascun genereservono. Dissi ciascun genereciò è del maschio edella femina; perciò che in quella del neutroChesi dice in amendue i numeri. Quantunque è alcuna voltamatuttavia molto di radoche si truova Chiposto negli obliqui casisí come si vede nel Petrarcachedisse:


Framagnanimi pochia chi 'l ben piace


eancora


Comechi 'l perder face accorto e saggio;


enel Boccaccioil qual medesimamente disse: O ritornavi mai chimuore? Disse il monaco: síchi Dio vuole;e altrove: Come il meglio si potéper la villaallogata tutta la sua famigliachi qua e chi làe quello che segue. Ora queste tre vociquando richiedendo sidiconohanno semplice e brieve sentimento: Chi ti diede?Cui sentisti? Che ti fece?Quando poi si dicono senza richiestaelle si sciolgonociascuna persétale volta in due cotaliColui il quale:


Chiè fermato di menar sua vita

super l'onde fallaci;


oColei la quale:


Sechi tra bella e onesta

qualfu piú lasciò in dubbio;


oColui al quale: Permostrare che anche gli uomini sanno beffarechi crede lorocomeessida cui elli credonosono beffati;o pure Quello che: Fache ti piacein vece di dire:Fa quello che ti piace;e tale altra si sciolgono in questa solaAlcuno:Chi fa benee chi fa malecioè Alcuno fa benee alcun male;e tale altra in queste dueAlcuno il quale:È chi fa beneet è chi fa male;o pure in quest'altre dueCiascuno il quale:


Chivuol veder quantunque può natura.


Equesto Ciascunoche si diceancora Ciaschedunoanticamente Catuno sidisse. Ma queste due ultime un'altra volta si ristringono in unasolala quale ora è Chiunquee ora Qualunque; trale quali questa differenza ci hache Chiunquesi dà al numero solamente degli uomini e da sé siregge:


Chiunquealberga tra Garonna e 'l monte;


eQualunque si dà allaqualità delle cosedelle quali si ragionae posta sola nonsi reggema conviene che seco abbia la voce di quello di che si fail ragionamento: A qualunque animale alberga in terra;o se non l'havi s'intenda. E come Chiunquemaschilemente e feminilemente si dicecosí Cheunqueneutrale sentimento ha in quella medesima formae tutte cosínel numero del piú come in quello del meno si dicono.



È appresso Talee Qualenon quandocomparazione fannoma quando fanno partigione; l'una delle quali sidice alle volte in vece di Chisí come la disse il Boccaccio: Laonde fatto chiamareil siniscalcoe domandato qual gridasseciò è Chigridasse; sí come allo 'ncontro Chisi dice alle voltein vece di dir Quale:il medesimo Boccaccio: La novella di Dioneo era finita; eassai le donnechi d'una parte e chi d'altra tirandochi biasimandouna cosachi un'altra intorno ad essa lodandonen'avevan ragionato.È ancora che l'una e l'altra si pon neutralmentee vaglionoquanto Alcuna cosa equanto Qual cosa; sícome vale l'una appo il Petrarca:


Talpar gran meravigliae poi si sprezza;


el'altra appo il Boccaccio: E come il vide andato viacominciòa pensare qual far volesse piú tosto.Viene eziandio a dir Talealcuna voltaquanto Tale statoe Tal condizione osomigliante cosasí come a dir viene pur nel Petrarca:


Eor siam giunte a tale

checostei batte l'ale

pertornar a l'antico suo ricetto;


enel Boccaccio ancora: Anzi sono ioper quello che infino a qui hofattoa tal venutoche io non posso fare né poco némolto. Et è altra voltaquando l'articolo vi s'aggiugneche Talepuò quanto Coluie gli Tali quantoColoroe gliAltretali quantoQuegli altri. Et èCotaleche val quantoTalepiúispressamente detta. Sí come si dice Cotantopiú ispressamente che Tanto:Oimèmisera mea cui ho io cotanti anni portatocotanto amore!. Ma la voceCotale s'è allevolte posta in vece della particella Cosídal Boccaccio: Né fu perciòquantunque cotalmezzo di nascoso si dicessela donna riputata sciocca.Levasi a tutte queste voci che si son detteche in vece di nome sipongonole quali hanno la Lnell'ultima loro sillabao sola o raddoppiatanon solamente lavocale loro ultima o ancora una delle due Lcomunemente da tutti gli scrittoriquando vogliono o bene lor mettedi levarleTal Qual Quele similinel numero del meno; ma eziandio alle volte tutta intera lasillaba in quello del piú; e ancora piú che intera lasillaba da' poetiche Ta'in vece di TalieQua' in vece di Qualie Que' in vece diQuellidissero; comeche questa ultima sia stata medesimamente detta da' prosatori.



Ma passisi a dire del verbonel quale la licenza de' poeti e la libertà medesima dellalingua v'hanno piú di malagevolezza portatache mestier nonfa a doverlovi in poche parole far chiaro. Il qual verbotutto chedi quattro maniere si veda essere cosí nella nostra linguacome egli è nella latinacon ciò sia cosa che egli inalquante voci cosí termina come quello faché AmareValere Leggere Sentire da noimedesimamente si dicenon perciò usa sempre una medesimaregola con esso lui. Anzi egliin queste altre vocidue vocalisolamente ha ne' suoi finiAma Vale Legge Sentedove il latino ne ha trecome sapete. Di questo verbola primieravoce nessun mutamento fase non in quanto Seggoeziandio Seggio s'èdetto alcuna volta da' poetii quali da altre lingue piútosto l'hanno cosí preso che dalla miae LeggoLeggio; e VeggoVeggiotraponendovila Ie Deggioaltresíla qual voce dirittamente non Deggoma Debbo si diceeVegno e Tegnonelle quali Vengo eTengo sono dellaToscana. Levaronne i poeti alcuna voltain contrario di quellilavocale che propriamente vi sta; quantunque ellanon come vocalemacome consonante vi stia; e di Seguofecero Segocome fe'il Petrarca. E tale volta ne levarono la consonante medesimada cuipiglia regola tutto il verbo; sí come fecero messer Pierodalle Vigne e Guittone nelle lor canzonii quali Creoe Veoin vece diCredo e di Vedodisseroe messer Semprebene da Bologna oltre a questiche Crioin vece di Credodisse. Né solamente di questa vocela vocale o la consonanteche io dissima ancora tutta intera l'ultima sillaba essi levaronoin questo verboVo'in vece di Vogliodicendo; il che imitarono e fecero i prosatori altresí alcunafiata. Vedo Siedononsono voci della Toscana. Nella prima voce poi del numero del piúè da vedere che sempre vi s'aggiunga la Iquando ella da sé non vi sta. Ché non AmamoValemo Leggemoma AmiamoValiamo Leggiamo si dee dire.Semo e Avemoche disse il Petrarcanon sono della linguacome che Avemoeziandio nelle prose del Boccaccio si legga alcuna fiatanelle qualisi potrà dire che ellanon come natíama comestraniera già naturatav'abbia luogo. Quando poscia la Inaturalmente vi stasí come sta ne' verbi della quartamanieraè di mestiero aggiugnervi la Ain quella veceperciò che Sentiamoe non Sentimo si dice.



Nella seconda voce del numerodel menoè solamente da sapere che ella sempre nella Iterminase non quando i poeti la fanno alcuna voltane' verbi dellaprima manieraterminare eziandio nella E;sí come fe' il Petrarcache disse:


Ahicrudo Amorma tu allor piú m'informe

aseguir d'una ferache mi strugge

lavocei passi e l'orme.


Etè oltre acciò da avertire chein quelli della secondamanieranon mostra che questa voce si formi e generi dalla primamada sé; con ciò sia cosa che in Doglio Tengoe similinon Dogli Tenghima Duoli Tieni sidice. Nella qual voceoltre acciò che il fine non ha con leisomiglianzaaviene ancor questoche vi s'aggiugne di nuovo unavocaleper empierlane di piú quel tanto: DoglioDuoliVoglio VuoliSoglio SuoliTengoTieniSeggo SiediPosso Puoie altri;come che Vuoli piúè del verso che delle prosele quali hanno Vuoie piú anticamente Vuoglisí come anco Suogli;le quali due vocipiú che le altrefanno ritratto pure dallaprimiera. Di che altra regola dare non vi si puòse nonquesta: che altre vocali che la Ie la U non hanno inciò luogo; e quest'altra: che nelle vocinelle quali la Agiace nella penultima sillabanon entran di nuovo queste vocali néveruna altra; ché Vaglioe simili non crescono da questa parte. Passa questo uso nella terzavoce del numero del meno medesimamente continuoma piú oltrenon si stende; se non si stende in questo verbo Siedenel quale Siedonoeziandio si leggecome che Seggonopiú toscanamente sia detta. Passa altresí nella quartamanierama solamenteche io mi credain questi verbi: Vengoche Vieni e Vienefae Feriscoche faFiere e Fiedee Cheroche faChierequantunqueeglinon pur come verbo della quarta manieraanzi ancora come dellasecondaCherire eCherere ha per vocisenza terminesí come l'altr'ieri si disse. Pongoche della terza maniera ètra l'una e tra l'altra si sta diqueste regoleperciò che egli né Ponghiha né Puoni perseconda sua voceanzi ha Ponivoce nel vero temperata e gentile. Traggod'altra parte due voci haTraggie Trai detta piútoscanamentee ciò serba egli in buona parte delle voci ditutto 'l verbo; come che egli nondimeno nelle vocinelle quali entrala lettera R nellaseconda loro sillabaraddoppiandonelal'una e l'altra adietrolascia di queste forme. Muoiodue voci ha di questa forma: la seconda di questo numero Muoie la terza di quello del piú Muoiono;dalle quali tre voci ne vengono tre altre: Muoiae Muoii e Muoiano;le rimanenti di tutto 'l verbo da Moroche toscana voce non èhanno forma. Di questa seconda vocedi cui si parlalevò il Boccaccio la vocale ultimaquando e'disse: Haiti tu sentito stamane cosa niuna? tu non mi pardesso; e poco dapoiTupar mezzo morto. La qual vocenon da Pajochetoscana èma da Paroche è stranierasi forma. E il Petrarca non solamente ladetta vocal ne levòVien'in vece di Vieni eTien' in vece di Tienie Sostien' in vece diSostienima ancoratalor quasi intera e talor tutta intera l'ultima sillabaTôiin vece di Togli eCre' in vece di Credie Suo' in vece diSuoliponendo.Quantunque Tôieziandio dal medesimo Boccaccio si disse nelle novelle: Dunquetôi tu ricordanza dal sere?Levarono altresí della terza i miei Toscani la vocale ultimaspesse voltequando ella dopo la Lo dopo la N si poneela voceche la seguitasi regge dall'accento medesimo del verbo.Non dico già ne' verbi della prima manierane' quali la Ache è la vocale loro ultimanon se ne leva giamai; ma dico inquelli della seconda o ancora della quartaDuolmi SuoltiVuolsi Vuolvi e Tiemmie Viemmi esomiglianti. Come che alcuna volta eziandioquando la vocecheseguenon si regge dall'accento del verbociò si vede cheusarono i poetiFierin vece di Fiere eChier in vece diChiere dicendo; e iprosatori altresíche Pare Pon e Vienin vece di Pare e Ponee Viene dissero.Levarono in Puote itoscani prosatoriche la intera voce ètutta la sezzaiasillaba e Puòne feceropiú al verso lasciandolane che serbandola a séil qual verso nondimeno usò parimente e l'una e l'altra.Aggiunsonvene allo 'ncontro un'altra i poeti bene spesso in questoverbo Hae fecerneHaveper aventura da'Napoletani pigliandolache l'hanno in bocca continuo. Fallae Falleche si leggeparimente in questa vocenon sono d'un verbo medesimoanzi di due;l'uno de' quali della prima maniera si vede che èFallaree tanto vale quanto Mancaree Non bastare; l'altroè della quartaFalliree pigliasi per Fare errore e inganno e peccada cui ne viene il Fallo.Cosí forma da sé ciascuno la sua terza voceda quelladell'altro separata e nella terminazione e nel sentimento. Quantunquesí pure s'è egli per alcuni posto Fallirein sentimento di Mancarema Fallare insentimento di Peccaree d'Errare non mai.Pungo Ungo e di questaforma degli altridue fini hanno e nella seconda e nella terza vocedi questo numerosecondo che essi o prepongono o pospongono la Nalla Gche vi sono:Pungi e PugniUngi e UgniPunge e PugneUnge e Ugnesimilmente; delle quali quelleche l'hanno pospostasono piútoscane. E a questa condizione è Stringoe degli altriche con le due consonantiche io dissile dette vocichiudono. Esce di regola la terza voce del verbo Sofferirela quale è Soffera.



Semplice e regolata èposcia in tutto la seconda voce del numero del piú. E sarebbealtresí la terzala quale serba la Anella penultima sillaba ne' verbi della prima maniera e la Oin quegli dell'altre e ha sempre somiglianza con la prima voce delnumero del menoPongo Pongono;se non che ella è alle volte per questo in picciola parte disé di due manieresí come in Saglioe Doglio e Toglioché Sagliono Dogliono Toglionoe Salgono Dolgono Tolgonos'è detto; e queste ancora piú toscanamenteperciòche e Salgo e Dolgoe Tolgo nelle primeloro vocis'è altresí piú toscanamente detto.Quantunque Sagliendo tuttavia il sole piú altoe Sagliente su per le scaleche disse il Boccacciopiú toscane voci sienoche Salendoe Salente non sono.Ponno; che in vece diPossono disse alcunavolta il Petrarcanon è nostra vocema straniera. Èpiú nostra voce Deonoche in vece di Debbonoalle volte si disse. Il che può aver ricevuto forma dallaprima voce del numero del menoche alcuna volta Deodagli antichi rimatori toscani s'è dettasí come inGuittone si vede. Da questa primiera voce Deola quale in uso non è della linguas'è per aventuradato forma alla terza di quello stesso numero Deeche è in usoe De'medesimamente in quella vece; quantunque De'eziandio nella seconda vocein luogo di Deis'è parimente detto: De' mi tu far sempremai morirea questo modo?. Debbeche la diritta voce èdalle prose rifiutatasolo nel versoha luogoe Devealtresí. Dansi Fansiper accorciamento dettee similisono pure in uso del versosolamente e non delle prose.



Seguitaappresso questelaprima voce del numero del menodi quelle che pendentemente sidiconoAmavaValeva Leggeva Sentivachemedesimamente si dice nella terza; nella quale Proferevache si legge nelle prosenon da Proferirema da Proferereche èeziandio della linguasi forma. In queste due voci nondimenofuorisolamente quelle della prima manieras'è usato di lasciarespesse volte adietro la Ve dirsiVolea Leggea Sentia;come che il Petrarca in questa voce Feadetta in vece di Faceapiú che una vocal ne levasse. Il quale uso non è statodato alle voci del numero del piúse non in parte; con ciòsia cosa che bene si lascia indifferentementeper chi vuoleadietrola V nella terza vocee dicesi Soleano Leggeano Sentianoma Soleamo Leggeamo Sentiamonon giamai. Et è di tanto ita innanzi questa licenzacheancora s'è la Ache necessariamente pare che sia richiesta a queste vocicangiatanella Eet èssicosí anticamente e toscanamente nelle prose detta: AviènoMorièno Servièno eContenièno ePonièno equelche disse il Petrarca


Comeveniéno i miei spirti mancando


eancora


Mascampar non potiémmi ale né piume


invece di dire Potiènomie degli altri; sí come Avie Udie Sentiein vece di Avea Udia Sentianel numero del meno si disse. Al qual tornandodico che è dilui la seconda voce questaAmavi Valevi Leggevi Sentivi;della quale eziandio in alcun verbo s'è da' poeti gittata viala medesima Vet èssidetto Potei Solei Volgeiin vece di Potevi Solevi Volgevi;il che non è stato ricevuto dalle prosené s'ètuttavolta ciò detto nel verso medesimose non di rado.Resterebbenelle pendenti vocia dirsi della seconda del numero delpiúche è questaAmavate Valevate LeggevateUdivate; ma ella altra mutazionenon fa se non questache la vocalela quale innanzi alla penultimasi stasi mutava dagli antichidi quella che ella dee esserenellaAVedavateLeggiavate Venavatequasi perlo continuo; come che essi alle volte ciò facevano ancoranella prima voce di questo numeroLeggiavamo Venavamoe similmente dicendo.



Nelle voci poi che si danno alpassatola prima di lorone' verbi della prima manierain duevocali sempre termina cosíAmai Portai;fuori solamente questeche son di due sillabeStettiDiedi Feciche Feieziandio si disse nel verso; nella qual licenza è nondimenorimasa in piè la Iche par fine molto richiesto a questa voce. Non la lasciò inpiè il Petrarcaquando e' disse:


I'die' in guardia a san Pietro


ealtrove


Ch'i'li die' per colonna

dela sua frale vita


doveDie'in vece di Diedisi legge. Né pure il Petrarca nelle rime cosí fecemail Boccaccio ancora cosí ci ragionò nelle proseilqual disse: Ma io mi posi in cuore di darti quello che tuandavi cercandoe dietelo; ealtrove: Signorquesta donna è quello leale e fedelservodel quale io poco avanti vi fe' la dimanda.Levasi tuttavia la detta vocal nelle prose piú spessoquandoalcun'altra voce le si dà che dall'accento di lei si reggaeDilibera'mi in vece diDiliberaimie cotalialtre senza risparmio si dicono toscanamente. Non cosísemplicemente dire si puòche quella della seconda e dellaterza maniera ne mandi il fin suo; tra le quali alquanta piúdi varietà si vede essere. Perciò che quantunque ellanella I sempreterminisí come fa in tuttevi termina nondimeno nell'una enell'altra maniera in diversi modicon ciò sia cosa che nellaseconda piú fini v'han luogo. Perciò che in que' verbiche la C per loronaturale consonante v'hannoGiacere Tacereella con esso lei C econ la Q apressoterminaGiacqui Tacqui.In quelli che v'hanno la Lessa v'aggiugne la Se Valsi Dolsi ne fache Dolfi eziandio sidisse. Solamente Vollila sua consonante raddoppiacome che pure nel verso egli alle voltefa come quelli. Raddoppiano medesimamente quegli altriche dellealtre consonanti v'hanno naturalmenteCaddi Tenni SeppiEbbi Bevvie quest'altriSedetti Temetti Dovettiche ha eziandio Doveinel versoi quali oltre acciò una sillaba di piúv'aggiunsero. Dissi Bevviperciò che quantunque Beretoscanamente si dicaegli pure da Beveren'uscíla qual voce e qui e in altre parti della Italia èad usanza. Escono di questa regola Godei Capei Poteie Vidi e Providiche ha nondimeno Provedettinelle prosee Parviche Parsimedesimamente nel verso hae Offersiche da Offerere sigenera.



Hanno piú fini luogomedesimamente nella terza manieraa' quali tuttiche molti ediversi sonoconoscereuna cotal regola daremesser Ercolevi sipuò: che alla voce di lorola quale di verbo e di nome purenel passato tempo partecipariguardandoogni volta che cosíuscire Renduto Perduto Compiutone la troveretediate alla vocedi cui si ragionaquesto fineRendei Perdei Compiei.Dissi Compiutoperciòche Compitoche piúleggiadramente si dice nel versonon è della lingua. Fuorisolamente queste: Vivutoche ha Vissiperciòche Visso della linguanon ècome che ella altresí piú vagamente cosísi dica nel versoe Concedutoche ha Concedetticonciò sia cosa che Concessoche alcuna volta si leggealtresí della lingua non èet è solo del verso; e Credutoche Credetti haquantunque messer Piero dalle VigneCrettiin vece di Credettidicesse nella canzonache cosí comincia:


Assaicretti celare

ciòche mi convien dire.


Efuori ancora alquante altre poche vociposte alcuna volta dagliantichi a questa guisacome che elle vengano da' verbi della quartamaniera; sí come è Smarrutoin vece di Smarritoche disse Bonagiunta e messer Cino nelle loro canzoni; e Vestutain vece di Vestitache pose Dante nelle rime della sua Vita Nuova; e Ferutoin vece di FeritoeFerutaper voce cheda sé si reggedetta non solo da altrima dal Petrarcaancora; e Pentutachedisse il Boccaccio nelle sue Novelle alcuna fiata; e Venutosempre e da ciascuno cosí detta. Ogni altra volta che lascorgerete di quest'altro modo Letto Scrittoe similiche se n'escono con le due Te voi quest'altro fine delle due Sle dareteLessi Scrissie somiglianti. Quando poscia ve ne fia un altro di questa manieraPianto Spento Fintoparimente Piansi Spensi Finsinella detta voce saperete di dover dire. E cosí né piúné meno Risi Offesi Arsi Tolsi Mossiquandunque volta Riso Offeso Arso Tolto Mossonelle participanti loro voci sarannocome s'è detto; nellequali Spartoin vecedi Sparsoche alcunavolta si leggesolamente è del verso. Escono nondimeno diquest'ordini Dissiche ha DettoeStrinsiche haStrettoe Conobbiche ha ConosciutoeNocquiche haNociutoe Misiche ha Messo per voceche partecipae Posiche ha Posto altresí.E se Mordei eziandioMorsi si disseèperciò che Mordutoe Morso eglimedesimamente ha per voci che partecipanocome che Mordutopiú rade volte si truovi detta e solamente nelle prose.



Semplice e regolato èultimamente nella quarta maniera di questa voce il fineil qualsempre con la natía consonante del verbodinanzi la Ipostatermina e con l'accento sopra esseUdíSentí; se non in quantoha tale volta l'uso della lingua nelle prose la medesima IraddoppiataUdíi Sentíi;come che Dante le recasse nel verso. Allo 'ncontro delle qualilevarono d'alcun verbo non solamente della prima manieracom'iodissima delle altre ancorai poeti alle volte la medesima Iche di necessità star vi suolee Compie'in vece di Compieidissero. Non cosí lungamente fa bisogno che si ragioni dellaseconda voce di questo tempoessendo ella solamente una in tutti iverbidalla terza loro semplice voce del presente tempo per lo piúformandosi in questa guisache vi si giugne una sillaba di trelettere cotali STI;fuori che queste due Stache Destie Stesti formano.Dissi semplicein differenza di quelle che v'aggiungono la Io veramente la Ucomes'è detto; perciò che queste due vocali raggiunte nonentrano giamai in questa voce: Ama AmastiTiene TenestiDuole DolestiLegge Leggesti. Edissi ancora per lo piúin quanto non cosí in tutto siformano le voci della quarta manieraché non Sentestie OdestianziSentisti e Udistisi dice. Come che in Udistie in tutte le altre voci di questo verboche in qualunque guisa sidanno al passato tempo e a quello che a venire èeziandio simuta di lui la prima letterache è la vocale Oe fassene U: UdíUdisti Udirono e Uditoe Udirò e lealtre. Di questa seconda voce è alle volte che se ne levano ledue ultime letterenon solo nel verso:


Comenon vedestú negli occhi suoi

quelche vedi ora


ealtrove


Giànon fostú nodrita in piume al rezzo;


maancora nelle prose: Ove fostú stamane poco avanti al giornoe Odistú in quella cosa niuna della quale tu dubiti.



Non avien cosí dellaterza voce del detto numero del menoperciò che ella tre finihacon ciò sia cosa che e nella Oe nella E e nella Itermina. Ma nella Ohanno fine le voci de' verbiche sono della prima manieraAmòLevò Pigliò Lasciò.Nella E finisconoquelle delle due seguentiVolse Tolse Perdé;e della prima altresíquando i verbinella lor prima vocesono d'una sillaba e non piúDiede Fecede' quali Do e Fosono le prime voci. Delle quali voci tutte dire si puòche aquelle di loro solamente l'accento sopra l'ultima sillaba siarichiestole quali nella prima voce due vocali hanno per loro fineAmai AmòPoteiPotéPerdeiPerdée non altre. Allaquarta maniera poscia si dà la Ie l'accento medesimamente sopra essaUdí SentíDipartí; fuori solamenteil verbo Venirecheha Venni nella prima eVenne nella terza vocedel numero del meno e Venneroin quella del piúe il verbo Aprireche Apersi e Apersehae il verbo Coprire;le quali voci sotto regola non istannocome che Apríin vece d'AperseeCoprí in vecedi Copersesi legganel verso. Dissi che si dà l'accento sopra essaforse perciòche le intere voci erano primieramente questeUdíoSentío Dipartío;le quali nondimeno in ogni stagione si sono alle volte dette e ne'versi e nelle prose; uso per aventura preso da' Cicilianichel'hanno in bocca moltocome che essi usino ciò farenon solone' verbi della quarta manierama ancora in quegli dell'altre. Ilche tuttavia non è stato ricevuto dalla Toscanase non inpoca parte e da' suoi piú antichisí come furonomesser Semprebene e messer Piero dalle Vignei quali PassaoMostrao Cangiao Toccao Domandaodissero ne' loro versi; quantunque il Boccaccio ancorache cosíantico non fuDiscerneodicesse ne' suoi. Di queste voci della quarta maniera levandosicomeio dicol'ultima loro sillabache è la Ol'accento pure nel suo luogo rimase. Feooltre a questis'è alle volte da' toscani poeti dettoePoteo e per aventuraPerdeo. Né Feoqui si prende come voce di verbo della prima manierama della terza;perciò che quantunque Faresí come Amaresi dicanon si formano perciò da questa le altre voci di luianzi da quest'altra Facereche in uso della mia lingua non ènon altramente che se ellain uso fosse. È oltre acciò alcuna voltache questavoce ha parimente due finisí come ha la prima di cui sidisseperciò che e Vollee Volse e Dolsee Dolfe si dice. Diquesti nondimeno piú nuovo pare a dire Dolfecon ciò sia cosa che la Fnon sia lettera di questo verboné in alcuna altra parte dilui abbia luogose non in questo temponel quale Dolfie Dolfero eziandioalcuna volta dagli antichi s'è detto. Beoancora egli due fini pare che abbia in questa voceperciò chee Bebbe e Bevvesi legge nelle buone scritture; il che è piú tosto dadire che un fine siaper la somiglianza che hanno verso di séqueste due lettere B eVdi maniera cheSpesse volte si piglia una per altra. Formasi nondimeno Bevveda questa voce Beveche tuttavia toscana non èraddoppiandovisi la Vsí come da PiovePiovve in questamedesima guisa si forma. Ha due fini medesimamente in questi verbima in altra guisaDiedee Die'Fecee Fe'non solo ne'poetima ancora alle volte nelle prose. Dette CadetteTacette Seguette e altre similiche posero e Dante e il Boccaccio ne' loro versio esse della linguapropriamente non sonoo sono della molto antica e di quellache piúdi ruvidezza in sé ha che di leggiadria. E se Pentée Converté nelmedesimo Dante si leggonoè perciò che elle da Penteree da Convertereverbidella terza manierasi formanoe Penteie Convertei hannooalmeno aver debbonoper loro prime voci di questo tempo.



La primiera voce appresso delnumero del piú ha in sé una necessità e regola enon piú; che ella sempre raddoppia la Mnell'ultima sillabaAmammo Valemmo Leggemmo Sentimmoné altramente può aver stato. La seconda medesimamentene ha un'altrache ella in Esi vede sempre fornire in questa guisaAmaste ValesteLegeste Sentistee nonaltramente. La terza non cosí d'una regola si contenta; perciòche ne' verbi della prima maniera ella in questa guisa terminaAmarono PortaronolaA nell'avantipenultima loro sillaba sempre avendo; e la Iin quelli della quartaUdirono Sentirono.Nelle altre due maniere ella termina poscia cosíVolseroLessero e similialla terzaloro voce del numero del meno la sillabache voi uditesempregiugnendoper questa del piú formarecome vedete. Névi muova ciòche Dissenella terza voce del numero del menoe Disseroin quella del piú medesimamente si dicecome che Direpaia voce della quarta maniera; perciò che tutto il verbo perlo piú da Dicerela qual voce non è in uso della fiorentina linguae non daDire si forma; sícome Fecero da Fecee questa da Faceredel qual si dissee non Farealtresí. Diederoe Stetterosenzaavere onde formarsi altro che da Daree da Starefuoridella detta regola solamente esconoche io mi credae non altri. Èoltre acciò che si leva spesso di queste voci la vocale loroultimae nel verso e nelle proseDieder Disser;e alle volte ancora si gitta tutta intera l'ultima sillabaAndaroPassaro Accordaro e Partiroe Sentiro e Assaliroe dell'altreche Giovan Villani disse. Né mancò poiche eziandio due sillabe non si siano via tolte di queste vocinonsolo nel versoche usa Furinvece di Furonomaancora nelle prose; sí come si vede nel Boccaccioil qualdisse: Fer vela e Dierde' remi in acqua e andar viaeciò fece egli in altre voci ancoraComperarDomandar Diliberarin vecedelle compiute ponendo; e Giovan Villani altresí. Dieronoche è la compiuta voce di Diere Diedonooltre atutti questisi truova che si son dette toscanamentee Uccisonoe Rimasono e peraventura in questa guisa dell'altre. Dennoe Fenno e Piacquene Mossenche disse ilPetrarcanon sono toscane.



Dànnosi al passatotempocome io dissiqueste voci. A quello posciache nel pendentepare che stia del passatonon si danno voci semplici e particolaridel verboanzi generali e mescolate in questa guisache pigliandosisempre le voce del pendente di questo verbo Averesi giugne e compone con esso loro una sola voce del passato tempo diquel verbodel quale s'ha a fornire il sentimento: Io aveafattoTu avevi dettoGiovanni aveva scrittoe simili; e cosí si va facendo nel numero del piú. Èil vero che la voce del verbodel quale il sentimento si formasimutaper chi vuoleora in quella della feminaora nell'un numero equando nell'altro: Io aveva posta ogni mia forzae Tu avevi ben consigliati i tuoi cittadinie somiglianti. E questo uso di congiugnere una voce del verbo Averecon un'altra di quel verbocon cui si forma il sentimentononsolamente in ciòma ancora nel traccorso tempodi cui s'ègià dettoha luogo; perciò che medesimamente si dice:Io ho amatoTuhai godutoGiovanniha piantoColorohanno sentito e le altre; eAmata e Godutee Pianti altresí.Ho vistoche disse ilPetrarcain vece di Ho vedutonon è della Toscana. Né solo con questo verbo Averema con quest'altro Essereciò ancora si fain que' verbi dicoche il portano: Ladonna s'è dolutaVoivi sete ramaricatiColorosi sono ingegnatiesomiglianti. E questi verbi sono tutti quellide' quali le voci chefannoin sé ritornano quello che si fa; sí comeritornano in questi essempi che si son detti. E di tanto è itoa usanza il dare a questa voce del passato il fineche si tiradietro la persona che faLa donna s'è dolutaVoi vi sete ramaricati;che ancora alcuna volta s'è ciò fattoessendo ilragionare in altra forma dispostosí come qui: Ilche molto a grado l'era; sí come a coleialla quale parecchiannia guisa quasi di sorda e di mutolaera convenuta vivereperlo non aver persona inteso. DoveAlla quale era convenuta viveredisse il Boccaccioin vece di dire Era convenuto.Ora tra queste due usanze di direIo fecie Io ho fattoaltradifferenza non mostra che vi siase non questa: che l'una piúpropriamente si dà al passato di lungo tempoe questa èIo fecie l'altra alpassato di poco. Ché se io volessi dire d'aver scritti alcunifogliche io testé avessi forniti di scrivereio direi Iogli ho scrittie non direi Iogli scrissi. E se io questovolessi dire d'altriche io di lungo tempo avessi scrittidirei Iogli scrissi diece anni sonoenon direi Io gli ho scritti-.



Cosí diceva ilMagnificoquando mio fratello il ritennecosí dicendo: - Voim'avete con questi due modi di passato tempoGiulianoa memoriafatto tornare un altro modo ancora di questo medesimo tempoche lavostra linguanon cosí continuousa nondimeno assai soventee ciò è questo: EbbidettoEbbe fattoEbber pensatoe lealtre voci similmente. Laondese egli non vi gravaditeci chedifferenza il cosí dire abbia da quegli altriacciòche a messer Ercole e questo ancora si faccia chiaro -. A cui ilMagnifico cosí rispose: - Io m'aveggo che rade volte altri puòdi tutto ciòche uopo gli faramemorarsi; perciò chequantunque ioposcia che io jersera vi lasciaisopra le cosecheio oggi a dire aveaquesta notte alquanta ora pensato v'abbianondimeno egli non mi soveniva testé di ragionarvi di cotestomodo di passato tempo; del qualepoiché voimesser Carlopiú di me avedutola differenzache tra esso e gli altri èrichiedendomene mi ricordatee io la vi dirò. La qualenondimeno è pocaet è tuttavia questa: che gli altridue passati tempi soli e per sé star possono ne' ragionamentiIo scrissiGiovanniha parlatoma questo non mai;perciò che non si può cosí direIoebbi scrittoGiovanniebbe parlatose altro o non s'èprima detto o poi non si dice. Anzio veramente sempre alcuna delleparticelle gli si dàche si danno al tempoPoiPrima Guari e simili: Poiche la donna s'ebbe assai fatta pregaree Né prima veduta l'ebbee Né ebbe guari cavatodopo le quali parolealtre parole fa bisogno che seguano a fornireil sentimento; o veramente questo modo di dire si pon dopoalcun'altra cosa dettada cui esso pende e senza la quale star nonpuò; sí come non può in queste parole: Equesto dettoalzata alquanto la lanternaebber veduto il cattiveld'Andreuccionelle quali Ebberveduto si pone dopo Equesto detto e Alzatala lanterna; o in quest'altre:Il famigliareragionando co' gentili uomini di diversecoseper certe strade gli trasviòe a casa del suo signorecondotti gli ebbedove Condottigli ebbe si dicedapoi che s'èdettoGli trasviò;o pure in quest'altre del Petrarca:


Nonvolendomi Amor perder ancora

ebbeun altro lacciuol fra l'erba teso


nellequali medesimamente veder si puòche poscia che non l'havoluto Amor perdereEbbe tesosi dice. E finalmentecome che questo modo di passato tempo si dica;egli sempre in compagnia si pon d'altro verbocome io dissi; dovegli altri due si diconosenza necessità di cosí fare-.



Di che rimanendo mio fratello egli altri sodisfatti di questa rispostaGiulianoil suo ragionarseguendodisse: - Nel tempo che è a venirela primiera vocedel numero del meno una necessità porta secoe ciò èd'aver l'accento sempre sopra l'ultima sillabaAmeròDolerò Leggerò Udiròe la terza altresíAmerà Doleràe l'altre. Era di necessità eziandio chein tutti i verbidella prima manierala Asi ponesse nella penultima sillaba; sí come in quegli dellaseconda e della terza la Ee in quegli della quarta la Inecessariamente si pongono. Ma l'usanza della lingua ha portato chevi si pone la E inquella vecee dicesi Amerò Porterò.Il che si serba nelle altre voci tutte di questo tempole qualivocisí come quelle de' tempi già dettida questaprima pigliandosiagevolmente si formano. Solo è da sapereche nella terza del numero del piúsempre si raddoppia la Nconsonante di necessità richiesta a queste terze voci e allamaggior parte dell'altre del numero del piú di tutti i verbi.Usasi ancora spesse volte ne' verbiche hanno il Dnella penultima sillaba della prima voce di questo tempolevarsi viala vocal loro e dirsi cosíVedrò Udròe l'altrema solamente nel verso; come che Potròin vece di Poteròe Potrai in vece diPoterai e le rimanentia questeancora nelle prose hanno luogoanzi non si dicono giamaialtramente. Usasi eziandio in alquanti verbi levarsene la dettasillabaraddoppiando in quella vece la Rche è lettera di necessità richiesta a questo tempoDorrò Corrò Porrò Verrò Sarròe Merrò e Perròe Sofferrò invece di Dolerò Coglierò Ponerò VeniròSalirò e Meneròe Penerò eSofferiròedegli altri; e ciò è in usonon solo del versomaancora delle prosee fassi parimente in tutte le altre voci diquesto tempo. Et è alcuna voltache non si dice giamaialtramente; sí come si fa in questo verbo Voglioche non si dice Voglieròma Vorrò; e ilsomigliante si fa di questo tempo in tutte le altre sue vocianzipure in tutte le altre voci di questo verbonelle quali entra lalettera Rda due infuori che son queste: Voleree Volessero. Èoltre a tutto questoche gli antichi Toscani hanno fatto uscire laprima voce di questo tempo alcuna volta cosí: AncideraggioServiraggioin vece di direAnciderò eServiròcheposero messer Onesto da Bologna e Buonagiunta da Lucca nelle lorocanzonie messer Cino Falliraggio Avraggio MorraggioSaraggio altresídaaltre lingue tuttavia pigliandolesie Risapraggioe Diraggioche poseil Boccaccio nelle sue; e ciò vi siamesser Ercoledetto piútosto perché il sappiateche l'usiate. Et è ancorastatoche ella è uscita alcuna volta cosíTorrabboin vece di Torrò;il che tuttavia schifar si devesí come duro e orrido espiacevole fine.



Possono dopo queste seguitar levoci chequando altri commanda e ordina che che siasi dicono percolui; le quali non sono altre che due in tutti i verbie questesono la seconda del numero del meno e la seconda medesima del numerodel piúcon ciò sia cosa che commandare a chi presentenon èpropriamente non si puòe a' presenti altrevoci non si dannoper chi ordinache queste. Ora queste due vociordinanti e commandanticome io diconel tempo che corre mentrel'uom parlasono quelle medesimeche noi poco fa veramente secondedicemmo essere di tutti i verbi; fuori solamente quellache secondaè del numero del meno della prima manierala quale in questomodo di ragionari non nella Ima nella A terminal'una nell'altra vocale tramutando cosí: Ama PortaVola. E aviene ancora che inalcuni verbi di questa maniera non si muta la Inella Acome io dicoma solamente si leva via; ne' quali nondimeno la Avi rimaneche vi sta naturalmenteFa Dàe simili. Saperetuttavia fuori si sta di questa regolache ha Sappie Avere che fa Abbitolte per aventura da altra guisa di voci e poste in questaeSofferire altresíche ha Soffera eSoffrache talora s'èdetta nel verso. Levasi di queste voci alle volte la Iche necessariamente vi stae dicesi Vien Sostien Pon Muorin vece di Vieni eSostieni e Ponie Muoriil che si fanon solo nel versoma ancora nelle prose. Co'e Racco'che da'presenti nostri uominiin vece di Coglie Raccogliperabbreviamento si diconoe Te'in vece di Toglichepare ancora piú nuovoe dicesi nella guisa che si dice Ve'in vece di Vediènondimeno uso antico. Leggesi in Danteche disse:


Dimandaltuche piú te li avicini

edolcementesí che parliaccolo


invece di dire AccoglilocioèRaccoglilo e Ricevilo;e nel Boccaccioche disse nelle novelle: Te'facompiutamente quello che il tuo e mio signore t'ha imposto;e nel suo Filocolo: Te' la presente letterala quale èsecretissima guardiana delle mie doglie;che To' piúgravemente disse il Petrarca:


To'di me quel che tu pòi:


invece di Togli. Èoltrea questoche si piglia la prima voce di quelle che senza termine sidiconoe dassi a questa seconda voce del numero del menoogni voltache la particellacon cui si niegale si pon davanti: Nonfar cosíNondire in quel modoe come disseil BoccaccioOr non far vista di maravigliartinéperder parole in negarlo. Neltempo poiche a venire èsono le dette due voci quellemedesimedelle quali dicemmoAmerai Ameretele quali questo modo di ragionare piglia da quellosenza mutazionealcuna farvi. Chi poi eziandio volesse le terze voci formare egiugnere a questesí potrebbe egli farloda quelli due modidi ragionare pigliandoledell'uno de' quali si ragiona tuttaviadell'altro si ragionerà poi.



Le voci che senza termine sidiconosono pur quelle le quali noi poco fa raccogliemmoAmareVolere Leggere Udiredallequali piú tosto si reggono e formano tutte l'altre di tutto 'lverboche elle sieno da alcuna di loro rette e formate. Le qualituttenon solamente senza la vocale loro ultima si mandan fuoricomunementeo ancora senza l'una delle due consonanticiò èdelle due Rquandoesse ve l'hannosí come hanno in Torreche si disse Tor viain vece di Torre viae simili; ma è alle volte che elle mutano la consonante loroultimarichiesta necessariamente a questa vocenella consonantedella vocein vece di nome postache vi stia appresso edall'accento si regga di lei; sí come la mutarono nelPetrarcache disse:


Echi noi crede venga egli a vedella.


Eoltre a questoè ancora alcuna fiata avenutoche s'èlevata via la vocale Epenultimache necessariamente esser vi dee; sí come levòil medesimo Petrarca in questi versi:


Cheporia questa 'l Renqualor piú agghiaccia

ardercon gli occhie rompre ogni aspro scoglio


invece di Rompere; e ilBoccaccioil quale Credrein vece di Crederenelle sue terze rime disse. Ponsi questa voce del verboquando ellada altro verbo non si reggesempre col primo caso: Io hovivendo tante ingiurie fatte a Domenedioche per farnegli io una orasulla mia mortené piú né meno ne farà;e ancoraUna giovane ciciliana bellissimama disposta perpicciol preggio a compiacere a qualunque uomosenza vederla eglipassò appresso di lui. Eaviene che questa voce senza termine si pone in vece di nome benespesso nel numero del meno: il Boccaccio: Signor mioilvolere io le mie poche forze sottoporre a gravissimi pesim'èdi questa infermità stata cagione.Come che il Petrarca la ponesse eziandio nel numero del piúnelle sue rime:


Quantoin sembiantie ne' tuo' dir mostrasti;


eancora


Ivostri dipartir non son sí duri.


Ilche non si concederebbe per aventura agevolmente nelle prose.


Èancora da sapereche questa medesima voce senza termine si ponealcuna volta in luogo di quelleche altramente stanno nel verbo sícome si pose dal Boccaccio: Ma questa mattina niuna cosatrovandosidi che poter onorar la donnaper amor della quale egligià infiniti uomini onorati aveail fe' ravederein luogo di dire Di che potesse onorar la donna;e altroveE quivi di fargli onore e festa non si potevanoveder sazie spezialmente la donnache sapeva a cui farlosiin vece di dire A cui il si faceva;o ancoraQui è questa cenae non saria chimangiarlaciò èChi la mangiasse; ealtroveE se ci fosse chi fargliper tutto dolorosipianti udiremmodove Chifargli medesimamente disseciòè Chi gli facesse;o pure ancoraCoteste son cose da farle gli scherani e irei uominiil che tanto a dirvienequanto Che fanno gli scherani.



Ora queste voci tutte al temposi dannoche corre quando altri parla. A quello che già ètraccorsonon si dà voce sola e propriama compongonseneduein quella guisa che già dicemmoe pigliasi questo verboAveree ponsi con quellodel quale noi ragionare intendiamocosí:Avere amato Aver voluto Aver letto Avere uditoe Udita e Uditimedesimamente. Et è ancorache la lingua usa di pigliare allevolte quest'altro verbo Esserein quella voce: Se io fossi voluto andar dietro a' sogniio non ci sarei venutoesimili. Il che si fa ogni volta che il verboche si pon senzaterminepuò sciogliersi nella voceche partecipa di verbo edi nomesí come si può sciogliere in quella voceAndareche si puòdire Se io fossi andato.Là dove se si dicesse Se io avessi voluto andardietro a' sogninon si potrebbeposcia sciogliere e dire Se io avessi andato dietro a'sogniperciò che questevoci cosí dette non tengono. Fassi questo medesimo co' verbiVoluto e Potutoche si dice Son voluto venireSon potuto andare.Perciò che Son venutoe Sono andato siscioglielà dove Ho venutoe Ho andato non siscioglie. Credutomedesimamente sta sotto questa legge anch'egli; al quale tuttavia sigiugne la voceche in vece di nome si ponedico il Mio il Ti o pure il Si:Io mi son credutoecosí gli altri. Quantunque alcune rade volte è avenutoche s'è pur detto Essere volutoin vece semplicemente di dire Aver voluto;sí come disse il medesimo Boccaccio: E quando ellasi sarebbe voluta dormireo forse scherzar con luiet egli leraccontava la vita di Cristo. Altempoche a venire èsi danno medesimamente le compostevocisí come tuttavia dico: Essere a venireo Essere a pentirsi esomiglianti -.



Mentre il Magnifico queste cosídicevai famigliari di mio fratelloveduto che già la seravenutaco' lumi accesi nella camera entrarono equelli sopra letavole lasciatisi dipartirono. Il che vedendo il Magnificoche giàs'era del suo ragionar ritenutodisse: - IoSignoridalla catenade' nostri parlari tiratonon m'avedea che il dí lasciati ciavessecome ha. - Né io m'era di ciò aveduto- disselo Strozza- ma tuttavia questo che importa? Le notti sonolunghissimee potremo una parte di questache ci sopravenedonarGiulianoal vostro ragionamentoche rimane a dirsi. - Bene avetepensatomesser Ercole - disse apresso messer Federigo. - Noi potremoinfino all'ora della cena qui dimorarcie certo sono che messerCarlo l'averà in grado. - Anzi ve ne priego io grandemente-rispose loro tutti mio fratello - né si vuole per niente cheil dire di Giuliano s'impedisca: ottimamente fate -. E cosídettoe chiamato uno de' suoi famigliarie ordinato con lui quelloche a fare avesse e rimandatolnee già ciascuno tacendosiGiuliano in questa guisa riprese a dire:



- Detto s'era del verboinquanto con lui semplicemente e senza condizione si ragiona. Ora sidica di lui in quella partenella quale si parla condizionalmente:Io vorrei che tum'amassi e Tu amerestimese io volessi ecome disseil BoccaccioChe ciò che tu facessifaresti aforzail che tanto è adirequanto Se tu facessi cosa niunatu la faresti aforza. Ne' quali modi diragionaripiú ricca mostra che sia la nostra volgar linguache la latina; con ciò sia cosa che ella una sola guisa diproferimento ha in questa partee noi n'abbiam due. Perciòche Vorrei e Volessinon è una medesima guisa di direma due; e Amassie Amerestie Facessie Faresti altresí.Nelle quali due guise una differenza v'hae ciò è chein quellala quale primieramente ha stato e da cui la particella Chepiglia nascimento e formao ancora la quale dalla condizione sigenera e per cagion di lei adivienela Rpropriamente vi staAmerei Vorrei Leggerei Sentirei;come che alcuna volta Amere'in vece d'Amerei s'èdettoe Sare' in vecedi Sareie Potre'in vece di Potreiedell'altre. E alcun'altra volta è avenutoche i poeti nehanno levata la E delmezzoil che s'è d'altre voci ancor dettosí comelevò messer Cinoil quale disse:


Echi conosce morteod ha riguardo

dellabeltà? ch'ancor non men' guardrei

ioche ne porto ne lo core un dardo.


inquell'altra posciache dalla particella Cheincomincia o pure che la condizione in sé contienela SraddoppiataAmassi Valessi Leggessi Sentissiv'ha luogo. Della primaè la seconda voce del numero del menoquestaAmeresti Vorrestie l'altree la terza quest'altrache con la Braddoppiata sempre termina toscanamente parlandosiAmerebbeVorrebbe e Abitrebbeche disse il Petrarca in vece di Abiterebbee gli altri. È il vero che ella termina eziandio cosíAmeria Vorriama nontoscanamente e solo nel versocome che Sariasi legga alcuna volta eziandio nelle prose. Poriaposciache disse il Petrarca in vece di Potriaè ancora maggiormente dalla mia lingua lontano. Nel qual versoancora cosí termina alle volte la prima voce IoAmeria Io Vorriain veced'Amerei e di Vorreie cosí quelle degli altri. Da questa terza voce del numero delmeno la terza del numero del piú formandosiserba similmentequesti due finigenerale l'uno e questo è AmerebbonoVorrebbonoparticolare l'altroAmeriano Vorrianoesolo del verso. La qual vocese pure è stata usurpata dalleproseil che nondimeno è avenuto alcuna fiataella duealterazioni v'ha seco recate. L'una è lo avere la vocale Ache nella penultima sillaba necessariamente ha statocangiata nellaEe l'altralo averel'accentoche sopra la Idell'antipenultima sempre suole giaceregittato sopra la Eche penultimamente vi sta; et èssi cosí detto AvriénoSariéno in vece diAvriano SarianoeGuarderiéno eGitteriéno eper aventura degli altri. Raddoppia medesimamente la prima voce delnumero del piú la lettera MAmeremmo Vorremmo el'altredel qual numero la seconda appresso cosí fornisceAmereste Vorreste.Nelle quali voci tutte; aviene alcuna volta quello che si disse cheaveniva nelle voci del tempo che è a venireciò èche se ne leva l'una sillabaraddoppiandovisi in quella vece lalettera Rchenecessariamente vi staSosterrei e Diliberereie Disiderreiparimentein vece di Sostenireie Dilibererei eDisiderereidicendosi; e quello che disse Dante:


Chi volesse

salirdi nottefôra egli impedito

d'altruio non sarriache non potesse


invece di Saliria. Il cheparimente in ciascuna persona e in ciascun numero di questi e d'altriverbi si fane' quali può questo aver luogo. Vedreiposcia e Udreimedesimamente nel verso si dissee Potreisi disse e nel verso e nelle prosee ciascuna dell'altre loro vocimedesimamente si dissero di questo tempo. E ciò basti con laprima guisa aver detto di questi parlari.



Della seconda si puòdireche in tutte le sue voci conviene che si ponga la Sraddoppiatasolo che nella seconda voce del numero del piú.Perciò che nella prima e nella seconda voce del numero delmenoad un modo solo si dice cosí: Amassi VolessiLeggessi Sentissi. Nella terzain differenza di questesolo la Isi muta nella Eedicesi Amasse Volessee cosí gli altri. Di questa seconda voce levò ilPetrarca la sillaba del mezzoFessiin vece di Facessiel'ultimaAves in vecedi Avessi e Fosin vece di Fossidicendo:


Ch'unfoco di pietà fessi sentire

alduro cor ch'a mezza state gela;


ealtrove


Cosíavestú riposti

de'be' vestigi sparsi

ancortra fiori e l'erba;


ealtrove


Ch'orfostú vivocom'io non son morta.


Ilche si truova usato eziandio dalle prosenella prima guisa di questiparlari: Sí potrestú avere covellenon che nulla.E la terza voce mandò fuori il medesimo poeta con la Idella seconda:


Nécredo già ch'Amor in Cipro avessi

oin altra riva sí soavi nidi.


Laqual cosa nel vero è fuori d'ogni regola e licenziosamentedettama nondimeno tante volte usata da Danteche non èmaraviglia se questo cosí mondo e schifo poeta una volta la siricevesse tra le sue rime. Nella prima voce del numero del piúcosí si diceAmassimo Volessimoe l'altre. La terza due fini haraddoppiando nondimeno sempre la Snella penultima sillaba: con la Rl'unoe ciò è proprio della linguaAmassero;con la N l'altroAmassonoil che nonpare che sia cosí proprio né è per niente cosíusato. Andassen Temprassen Addolcissen Fossin Avessinche nel Petrarca si leggonosono voci ancora piú fuori dellatoscana usanza. Dovrebbe essereper la regola che la Ssi raddoppia in tutte queste vocicome s'è dettoche ancoranella seconda del numero del piúdella quale rimane a dirsiella si raddopiasse e formassesi cosíAmessateVolessate Leggessate Sentissateil che è in uso in quello di Romache cosí viragionano quelle genti. Ma la mia lingua non lo portaforse perciòche è paruta voce troppo languida il cosí diree perquesto Amaste Volestene fae cosí l'altre.



Parlasi condizionalmenteeziandio in un'altra guisala quale è questa: Io voglioche tu ti pieghiTucerchi che io mi dogliaEllanon teme che 'l marito la colgaColoro stimano che noi non gli udiamoe simili. Nella qual guisa questa regola dar vi posso: che tutte levoci del numero del meno sono quelle medesime in ciascuna manieraIoami Tu ami Colui amiIomi doglia Tu ti doglia Colui si dogliaIo leggaIoodae cosí le seguenti.E quest'altra ancora: che tutti i verbi della prima maniera questetre voci nelle prose cosí terminanocome s'è dettonella Ima nel versoe nella I e nella Eelle escono e finiscono parimente. Quelle poi delle altre tre manieread un modo tutte escono nella AIo voglia Tu legga Quegli odae il medesimo appresso fanno le rimanenti a queste. Solo il verboSofferire esce diquesta regola che ha Sofferi.Doglia e Togliae SciogliaDolgae Tolga e Sciolgasi son dette parimente da' poetie le altre loro voci di questaguisaTolgano Dolganoe simili. Né è rimaso che alcuna di queste non si siaalle volte detta nelle prosenelle quali non solo ne' verbi s'èciò fattoma eziandio in alcun nomesí come di Pugnache è la battagliala quale s'è detta Pungamolte volte; perché meno è da maravigliarsi che Dantela ponesse nel verso. - Cosí avea detto il Magnificoetacevasi quasi come a che che sia pensandoe in tal guisa per buonospazio era statoquando mio fratello cosí disse: - Eglisicuramente pare che cosí debba essereGiulianocome voidetto avetea chi questo modo di ragionare dirittamente considera.Ma e' si vede che i buoni scrittori non hanno cotesta regolaseguitata. Perciò che non solo negli altri poetima ancoranel Petrarca medesimosi leggono altramente dette queste voci:


Opoverella miacome se' rozza;

credoche tel conoschi


doveConoschi disse e non Conosca;e ancora


Priache rendi

suodritto al mar


doveRendiin vece di Rendamedesimamente e' disse; e ciò fece eglise io non sonoerratoeziandio in altri luoghi. Il Boccaccio appresso molto spessofa il somigliante: E tu non par che mi riconoschie Guardando bene che tu veduto non siie Acciò che tu di questa infermità non muoiene' versi medesimi suoi


Dehio ti pregoSignorche tu vogli


ein molte altre parti delle sue scrittureper le quali egli si pareche cotesta regola non abbia in ciò luogo -. E cosídetto si tacque. Laonde il Magnifico appresso cosí rispose: -Egli si paree cosí nel vero èmesser Carloche inquella partedella quale detto avetela regolache io vi recainon tenga. E a questo medesimo pensava io testée voleadirviche solo nella seconda voce del numero del menodella qualesono gli essempi tutti che voi raccolti ci avetealtramente si vedeche s'è usato per gli scrittoriperciò che non solonella Ama ancora nella Iessi la fanno parimente uscirecome avete detto. Né io in ciòsaprei accusarechi a qualunque s'è l'uno di questi due modinello scrivere la usasse; ma bene loderei piúchiunque sottola detta regola piú tosto si rimanesse -.



Di tanto parve che sodisfattosi tenesse mio fratello. Perché il Magnifico seguitò: -È appresso la prima voce del numero del piú di tutti iverbi quella medesimadella quale da prima dicemmoAmiamoVogliamo e l'altre. Sarebbealtresí la seconda voce quella medesima con la seconda dellaprima guisa che noi dicemmose non fosse che vi si giugne la Inel mezzoe dicesi Amiatene' verbi della prima manierae in quegli della quarta si giugne laA similmenteUdiate.Quelle appresso dell'altre due manieredalla terza loro voce delnumero del meno formar si possonogiugnendo loro questa sillaba TE:Voglia VogliateToglia Togliate; dicoin que' verbine' quali la Ida sé vi stacome sta in questi. Che dove ella non vi staconviene che ella vi si portiperciò che è letteranecessariamente richiesta a questa voceLegga LeggiateSegga Seggiate; comeche Sediate e Sediamopiú siano in uso della linguavoci nel vero piúgraziose e piú soavi. La terza ultimamente di questo numerodalla medesima terza del numero del meno trarre si puòquestasillaba NO in tutte lemaniere de' verbi giugnendovi. Le quali amendue terze voci a coloroservir possonoa quali giova chealla guisa delle voci checomandanosi diano eziandio le terze voci che dianzi vi dissi. Eperciò che in questi due verbi Stiae DiaSteae Dea s'è dettoquasi per lo continuo dagli antichiStianoe Diano medesimamenteSteano e Deanoper loro si disse; come che Deieziandiooltre a questenella seconda del numero del menoin vecedi Dia o pure Diisi truova dal Boccaccio detta. È nondimeno da saperecheintutte le voci di questa guisala consonante Po la B o la Cche semplicemente e senza alcuno mescolamento di consonanti sta nelverbovi si raddoppia; ché non Sapiasí come Sapela qual tuttavia non è nostra voceo Capiase come Capechenostra voce èma Sappiae Cappia si dicee lealtre altresíe cosí Abbia Debbia FacciaTacciaAbbiamoDebbiamo Facciamo Tacciamo edell'altre. Il quale uso e regola pare che venga per rispetto della Iche alle dette consonanti si pon dietrola quale abbia diraddoppiarnele virtú e forza. E perciò si dee direchenon solo in questa guisama in quelle ancora che si son detteanzipiú tosto in ciascuna voce di qualunque verbonel quale ciòavienesi raddoppino le consonanti che io dico; sí come inAbbiamoche mentoscanamente Avemo s'èdettoe in Taccio TaccionoPiaccio Piacciono;e ancora la Gcon ciòsia cosa che Deggio Veggioe dell'altre eziandio si son dette ne' versi. Onde ne nacqueche inquesta voceche ora si dice Sapendodisser gli antichi Sappiendoquasi per lo continuoe Abbiendoin vece di dire Avendomolto spessoe Dobbiendoin vece di dire Dovendoalcuna fiata.



Ora sí come vocecondizionata del presente è questa Ioamicosí è delpassato di questa medesima qualità Io abbia amatoe del futuro Io abbia ad amareovero Io sia per amare.E sí come è altresí condizionata quest'altrapure del presente tempo Io amereicosí è del passato Io averei amatoe del futuro Io averei ad amareo Io sarei per amare.E ancora sí come è del medesimo presente condizionatavoce Io amassicosíè del passato Io avessi amatoe del futuro Io avessi ad amareo pure Io fossi per amare;e queste voci tutte parimente si torcono per le persone e pe' numericome le loro presenti fannodelle quali s'è già detto.È oltre acciò un'altra condizionata voce del tempo chea venire èe insieme parimente di quello che èpassatociò è che nel futuro il passato dimostra inquesto modoIo averò desinato;al qual modo di dire la condizione si dàché si dice:Io averò desinatoquando tu ti leverai.E questa voce tuttaviase si pone alle volte senza la condizion secoaverenon vi si pon perciò maise non di modo che ella vis'intendesí come è a dire Allora io averòdesinato o A queltempo io averò fornito il mio viaggioo somigliantemente; ne' quali modi di dire quella voce Allorao quell'altre A quel tempoche si diconoo simili che si dicesseroci ritornano o ciritornerebbono in su la condizionedi cui conviene che si siadavanti detto o si dica poi.



Sono oltre a tutte le dettemedesimamente voci di verbo questeAmandoTenendo Leggendo Partendolequali dalla terza voce del numero del meno di ciascun verboAmaTiene Legge Partesi formanoquella sillaba e quelle lettereche voi vedeteciascuna parimentegiugnendovi. È il vero che si lascia di loro adietro quellavocale che nella prima voce non istàma si piglia dopo leisí come si piglia in Tienee Puote e similicheTengo e Possoavere non si veggono. Anzi se ella ancora nella prima voce avesseluogosí come ha in questi verbi Nuoto Scuotoe in altriella medesimamente ne la scacciae NotandoScotendo ne fa in quella vece.Piglia nondimeno la vocale Uin questo verbo Odoin vece dello Oedicesi Udendo. Laquale O tuttavia inaltre che nelle tre prime voci del numero del meno e nella terza delnumero del piú delle medesime prime voci e di quelle ancorache si dicono condizionalmenteOdo Odi Ode Odono OdaOdanonon ha luogo. Ètuttavia da sapereche ferma regola è di questa maniera didireche sempre il primo caso se le dàParlandoioOperandol tu;ché Parlando mee Operandol te daniuno si disse giamai. Né voglio io a questa volta chel'essempio da Dante mi si rechiche disse:


Latrandolui con gli occhi in giú raccolti


nelqual luogo Luiin vece diColuinon puòesser detto. Perciò che egli niuna regola osservòchebene di trascendere gli mettessené ha di lui buono e puro efedel poeta la mia linguada trarne le leggi che noi cerchiamo. E seil Petrarcache osservantissimo fu di tuttenon solamente leregolema ancora le leggiadrie della linguadisse:


Ardendoleiche come ghiaccio stassi


èperciòche egli pose Leiin vece di Coleiinquesto luogo; sí come l'avea posta Dante prima in quest'altroil quale in ciò non uscí del diritto:


Maperché leiche dí e notte fila

nongli avea tratta ancora la conocchia.


Ilche si fa piú chiaro per la voce Cheche seguita nell'un luogo e nell'altro; perciò che tanto èa dire Lei checomesarebbe a dire Colei la quale.



E questo tanto potràforse bastare ad essersi detto che del verboin quanto con attivaforma si ragiona di lui. In quanto poi passivamente si possa con essoformar la scritturaegli nuova faccia non hasí come ha lalatina lingua. Nella qual cosa vie piú spedita si vede esserela nostrache tante forme non ammettealle quali appresso piúdi regole e piú d'avertimenti faccia mestiero. Ha nondimenoquesto di particolare e di proprio; che pigliandosi di ciascun verbouna sola vocela quale è quella che io dissi che al passatosi dà in questo modo AmatoTenuto Scritto Feritoe conessa il verbo Esseregiugnendosiper tutte le sue voci discorrendosi forma il passivodi questa lingua; volgendosiper chi vuolela detta voce AmatoTenuto e le altrenella voceora di femina e ora di maschioe quando nel numero del menopigliandola e quando in quello del piúsecondo che altrui ola convenenza o la necessità trae e porta della scrittura. Ènondimeno da sapere chenelle voci senza terminesuole la linguabene spesso pigliar quelleche attivamente si diconoe dar loro ilsentimento della passiva forma: La Reina conoscendo il finedella sua signoria esser venutoin piè levatasie trattasila coronaquella in capo mise a Panfiloil quale solo di cosífatto onore restava ad onorarenel qual luogo Ad onoraresi dissein vece di dire Ad essere onoratoe poco appresso: La vostra virtúe degli altri mieisudditi farà síche iocome gli altri sono statisarò da lodarein vecedi dire Sarò da essere lodato. Vassi Stassi CaminasiLeggesi e similisono appressoverbiche si dicono senza voce alcuna seco avereche o nome sia oin vece di nome si ponga altresícome si dicono nel latinoetorconsi come gli altri per li tempi e per le guise lorotuttavianella terza voce solamente del numero del menodove ella puòaver luogo. De' quali non fa uopo che si ragioni altramentese nonsi diceche quando essi sono d'una sillabacome son questi VaStasempre si raddoppia la Sche vi si pone appressoVassi Stassi.E ciò aviene per cagion dell'accentoche rinforza la sillaba;il che non aviene in quegli altri.



Ragionare oltre a questo de'verbiche sotto regola non istannonon fa lungo mestiero; con ciòsia cosa che essi son pochie di poco escono; sí come esceVoche Ire e Andareha per voce senza termine parimentee del quale le voci tutte deltempoche corre mentre l'uom parlaa questo modo si diconoVaVada. Le altre tutteda questache io dissi Andareformandosicosí ne vannoAndava Andai Anderòe piú toscanamente Andròe Andrei. Giree Gía e Gíoe Girei e Gitoe simili sono voci del versoquantunque Dante sparse l'abbia per lesue prose. Esce ancor Sonoche Son e So'alle volte s'è detto e nel verso e nelle prosee Se'in vece di Sei nellaseconda sua vocedel quale è la voce senza termine questaEssereche con niunadelle altre non s'avienese non s'avien con questa Essendoche si dice eziandio Sendoalcuna volta nel verso. Il qual verbo ha nel passato Fuie Sono stato e Sutoche vale quanto Stato;e nella terza voce del numero del piú Furonoche Fur s'èdetto troncamentee Furoche non cosí troncamente disse il Petrarca. Quantunque Statoè oltre acciò la voce del passatoche di verbo e dinome partecipae torcesi per li generi e per li numeri. Fueche disse il medesimo Petrarcain vece di Fuvoce pure del versoma non sí che ella non sia eziandio allevolte delle proseè con quella licenza dettocon la qualemolti degli altri poeti a molte altre voci giunsero la medesima Eper cagione della rimaTue Piue Sue Giue Dae Stae UdieUsciee alla terza voce ancoradi questo stesso verboEeche disse Dantee Meee ad infinite somiglianti. Dalla quale troppa licenza nondimeno sirattenne il medesimo Petrarcail qualeoltre a questa voce Fuealtro che Diein vecedi nondisse di questa maniera; e fu egli in ciò piú guardingone' suoi versiche Giovan Villani non è stato nelle sueprosecon ciò sia cosa che in esse Haee Vae e Seguiee Cosie si leggono.Quantunque Die s'èdetto anticamente alcuna volta eziandio nelle proseperciòche dicevano Nel die giudicioin vece di dire Nel dí del giudicio.Di questo verbo pose il Boccaccio la terza voce del numero del meno Ècon quello del piú ne' nomiGià èmolt'anni dicendo. Le terze vocidi luiche si danno al tempo che è a venirein due modi sidiconoSarà eFia e Sarannoe Fiano; e poi neltempo che correcondizionalmente ragionandosiSiae Siano e Foravoce del verbodi cui l'altr'ieri si disseche vale quanto Sarebbee Saria quello stessoche si disse spesse volte Sarienelle prose; delle quali sono parimente voci Fiee FienoSiee Sienoin vece dellegià dette. Ha il detto verbo quelloche di niuno altro dir sipuòe ciò èche la prima voce sua del numerodel meno e la terza di quello del piú sono quelle stesse. EsceHo anch'egliinquanto da Avere nonpare che si possa ragionevolmente formare cosí questa voce.Piú dirittamente ne viene Abboche disse Dantee degli altri antichi; ma ella è voce moltodurae perciò ora in tutto rifiutata e da' rimatori e da'prosatori parimente. Non è cosí rifiutata Aggioche ne viene men dirittamentesí come voce non cosírozza e salvaticae per questo detta dal Petrarca nelle sue canzonitolta nondimeno da' piú antichiche la usarono senzarisguardo; dalla quale si formò Aggiae Aggiateche ilmedesimo poeta nelle medesime canzoni disse piú d'una volta.Dalla Hoprima vocedel presente tempo molto usataformò messer Cino la primaaltresí del passato Eiquando e' disse:


Orfoss'io mortoquando la mirai

chenon ei poise non dolore e pianto

ecerto son ch'io non avrò giamai.



Esce Soche alcuna volta si disse Sacciosí come si disse dal Boccaccio in persona di Mico da Siena:Temo moriree già non saccio l'orala qual voce tuttavia non è della patria mia; e che ha nellaterza voce Saealcuna volta Sapedicui si disseper terza vocee Sapereper voce senza termine. Del qual verbo piú sono ad usanzaSaprò e Sapreiche Saperò eSaperei non sono. Equesto parimente dire si può di tutte l'altre voci di questitempi. Esce Foche sidisse ancora Faccioda' poetisí come la disse messer Cinodi cui ne viene Facepoetica voce ancora essadella qual dicemmoe Facessi;le quali tutte da Faceredi cui si dissevoce senza termine usata nondimeno in alcuna partedella Italiapiú tosto è da dire che si formino.Escono Riedi e Riededa' poeti solamente dettese Dante l'una non avesse recata nelle sueprosee in tanto ancora escono maggiormentein quanto elle soleche in uso sianocosí escono senza altra. È il veroche 'l medesimo Dante nella sua Comediae messer Cino nelle suecanzonie il Boccaccio nelle sue terze rimeRedirealcuna volta dissero; ma questa pose Dante eziandio nelle sue prosee Pietro Crescenzo altresíe oltre acciò Rediroin vece di Tornarononell'istoria di Giovan Villanie Redíin vece di Tornòin piú antiche prose ancora di queste si leggono. TengoPongo Vengo e similinon si puòben dire che escanocome che essinella voce senza termine e nellamaggior parte dell'altrela Gnon ricevano. Escono per aventura degli altride' qualiperciòche sono piú agevolinon ha uopo che si ragioni. E sono diquelli ancorache poche voci hannosí come è Caleche altre voci gran fatto non hase non Calse CagliaCalesse Calere e alcuna voltaCaluto e radissimevolte Calea e Caleràe antichissimamente Carrebbein vece di Calerebbe.



Sonooltre a questiancoraverbi della quarta manierache escono in alquante loro vocie tuttiugualmenteArdiscoNutrisco Impallidisco e deglialtri; con ciò sia cosa che con la loro voce senza termineArdire Nutrire Impallidirequesta voce non ha somiglianza. Escono tuttavia nelle loro treprimiere voci del numero del menoe nell'ultima di quello del piúArdisco Ardischi Ardisce Ardisconoe nelle tre del numero del menodi quelle che all'uno de' due modicondizionalmente si diconoche sono nondimeno tutte una solaArdiscao pur dueperciò che la seconda fa eziandio cosíArdischicome si disse; e nella terza parimente del piúArdiscano.Quantunque i poeti hanno eziandio regolatamente alle volte usatoalcune di queste medesime voci; perciò che Fieredissero in vece di Feriscee Pato e Patein vece di Patisco ePatiscee Peroe Pere e Perae Nutre e Languee per aventura dell'altre.



Deesiperciò che dettos'è del verbo e per adietro detto s'era del nomedireappresso di quelle voci che dell'uno e dell'altro col loro sentimentopartecipanoe nondimeno separata forma hanno da ciascun di questicome che ella piú vicina sia del nome che del verbo. Ma eglipoco a dire ci hacon ciò sia cosa che due sole guise diqueste voci ha la lingua e non piú. Perciò che bene sidice AmanteTenente Leggente Ubidiente eAmato Tenuto Letto Ubiditoma altramente non si può dire; perciò che questa voceFuturoche la linguausas'è cosí tolta dal latinosenza da sé averforma. Formasi l'una di queste voci da quella voce del verboche sidice Amando Tenendodi cui dicemmo; l'altra è quella stessa voce del passato diciascun verbola quale col verbo Avereo col verbo Essere simanda fuoridi cui medesimamente dicemmo. Di queste due vocicomeche l'una paia voceche sempre al tempo dare si debbache corrementre l'uom parlaAmante Tenentee l'altrache è Amato Tenutomedesimamente sempre al tempo che è passatonondimeno eglinon è cosí. Perciò che elle sono amendue vociche a quel tempo si dannodel quale è il verbo che regge ilsentimento: La donna rimase dolente oltra misurail che tanto è a dire quanto La donna si dolseperciò che Rimaseè voce del passato. E La donna rimarràdolente se tu ti partiraidoverimarrà dolentevale come se dicesse Si dorràperciò che Rimarràdel tempo che è a venireè voce. E ancoraLadonna amata dal marito non può di ciò dolersinel qual luogo Amatatanto èquanto a dire La quale il marito amae cosí fia del presenteperciò che è delpresente voce Può dolersi.O pure La donna amata dal marito non poteva di ciòdolersinel qual dire Amataè in vece di dire La quale il marito amavaperciò che Potevaè voce del pendente altresí. E cosí per glialtri tempi discorrendosi vede che aviene di questa qualitàdi vocile quali possono darsi parimente a tutti i tempi.



È oltre acciò dasapere quello che tuttavia mi sovien ragionando della detta voce delpassatoRestituitoMesso e somigliantila qualealle volte si dà alla feminaquantunque si mandi fuori nellaguisa che si dà al maschioeposta nel numero del menodassi a quello del piú similmente. Il che si fece nonsolamente da' poetiche dissero:


Passatoè quelladi ch'io piansi e scrissi


ealtrove


Chepochi ho visto in questo viver breve


esomigliantemente assai spesso; ma da' prosatori ancorae dalBoccaccio in moltissimi luoghi etra gli altriin questo: Igentili uominimiratola e commendatola moltoe al cavaliereaffermando che cara la doveva averela cominciarono a riguardaree in quest'altro: E cosí dettoad un'ora messosi lemani ne' capellie rabbuffatigli e stracciatigli tuttie appressonel petto stracciandosi i vestimenticominciò a gridar forte.Nel qual modo di ragionare si vede ancor questoche si dice Miratolae commendatolain vece di direAvendola mirata e commendatae cosí Messosi le mani ne' capelliin vece di dire Avendosi le mani ne' capelli messe.La qual guisa e maniera di diresí come vaga e brieve egraziosa moltofu da' buoni scrittori della mia lingua usata nonmeno che altrae dal medesimo Boccaccio sopra tutti. Il quale ancorapiú oltre passò di questa guisa di direperciòche egli disse eziandio cosínella novella di Ghino di Taccoassai leggiadramenteConcedutogliele il Papain vece di dire Avendogliele il Papa conceduto.Né oltre a questo fie per aventura soverchio il dirvimesserErcoleche quando la detta voce del passato si pone assolutamentecon alcun nomeal nome sempre l'ultimo caso si diasí comesi dà latinamente favellandoCaduto lui Desto lui;come diede Giovan Villaniche disse: Incontanenteluimortosi partirono gli Aretinie altroveAvuto lui Milano e Chermonapiú grandisignori della Magna e di Francia il vennero a servire;e come diede il medesimo Boccaccioche disse: Voi dovetesapereche general passione è di ciascun che viveil vederevarie cose nel sonno; le qualiquantunque a colui che dormedormendo tutte paian verissimee desto luialcune verealcuneverisimili. Fassi parimente ciòeziandio nella voce del presente di questa maniera: E nonpotendo comprendere costei in questa cosa aver operata malizia néesser colpevolevolle lei presente vedere il morto corpo-.



Avea tutte queste cose dette ilMagnifico; e messer Federigoudendo che egli si taceadisse: - Voim'avete col dir dianzi di quella parte del verboche si dice AmandoLeggendouna usanza dellaprovenzale favella a memoria tornata di questa manierae ciòèche essi danno e prepongono a questo modo di dire laparticella Inefannone In andando In leggendodella quale usanza si vede che si ricordò Dante in questoverso:


Peròpur vae in andando ascolta;


eil Petrarca in quest'altro:


E se l'ardor fallace

duròmolt'anni in aspettando un giorno.


Ilche si truova alcuna volta eziandio negli antichi prosatorisícome in Pietro Crescenzoil qual disseparlando di letame: Ma ilvecchio l'ha tutto perduto in amministrando e dando il suo umore innutrimentoe in Giovan Villaniche disse: E fatto il detto sermonevenne innanzi ilVescovoche fu di Vinegia; e gridò tre volte al popolosevoleano per Papa il detto frate Pietro: e con tutto che 'l popoloassai se ne turbassecredendosi avere Papa romanoper temarisposono in gridando che síe in Dante medesimoche nel suo Convito disse: Quantapaura è quella di coluiche appresso sé sentericchezzain camminandoin soggiornando.Quantunque non contenti gli antichi di dare a questa parte del verbola particella Inessiancora le diedero la Con;sí come diede il medesimo Giovan Villaniil qual disse: Conlevando ogni dí grandissime predein vece di dire Levando.Ma voi tuttavia non vi ritenete per questo -.



Laonde il Magnificocosía ragionare rientrandodisse: - Resterebbeoltra le dette coseadirsi della particella del parlareche a' verbi si dà in piúmaniere di vociQuiLí Poi Dinanzi e similio delle altre particelle ancorache si dicono ragionando come chesia. Ma elle sono agevoli a conosceree messer Ercole da séapparare le si potrà senza altro. - Non dite cosí-rispose incontanente messer Ercole- ché ad uno del tuttonuovocome sono io in questa linguad'ogni minuta cosa fa mestieroche alcuno avertimento gli sia datoe quasi lume che il camino glidimostriper lo quale egli a caminare hanon v'essendo statogiamai. - Cosí è - disse appresso messer FederigonelMagnifico risguardando che si tacea - e messer Ercole dice il vero.Di che voi farete cortesementea fornir quello che cosí beneaveteGiulianotanto oltre portato col vostro ragionamento;massimamente picciola parte a dire restandose alle già dettesi risguarderà -. Per la qual cosa il Magnificodisposto asodisfargliseguitò e disse: - Sono voci da tutte le giàdette separateche quale a' verbi e quale a' nomi si dannoe qualeall'uno e all'altroe quale ancora a' membri medesimi del parlarecome che sia si dàpiú tosto che ad una semplice partedi lui e ad una voce. Delle quali io cosícome elle mi sipareranno dinanzialcuna cosa vi ragioneròposcia che cosívolete. Sono adunquedi queste voci che io dicoQuie Quache ora stanzae ora movimento dimostranoe dannosi al luogonel quale ècolui che parla; et è Costíche sempre stanzae Costàche quando stanza dimostra e quando movimentoe a quel luogo sidannonel quale è colui con cui si parla; e Incostà detta pure in segnodi movimento; et è che si dà al luogonel quale né quegli che parla èné quegli che ascoltae talora stanza segna e taloramovimentoche poscia sí come Quinon si disse se non da' poeti. La qual particella nondimeno s'èalle volte posta da' medesimi poeti in vece di Costà:


Purlà su non alberga ira né sdegno.


Dissesieziandio Colàcioèin quel luogo e aquel luogo. Et è Quiviche vale quel medesimoe Ividal latino e in sentimento e in voce toltala Bnella V mutandovisi. Ètuttaviache alle volte Ivisi dà al tempoe dicesi Ivia pochi giorni; sí come anco Quiche s'è detto Infino a quie come ancora Colàche s'è detto Colà un poco dopo l'avemariae Colà di dicembree somiglianti. Ma queste dueQuie Ivieziandio siristrinseroché l'una Cie l'altra Vi si disseVenirci Andarvi e Tuci verrai Io v'andrò. Èancor da sapere chequando queste particelle Quae insieme sipongononon si dice Quima dicesi Quaper nonfare l'una dall'altra dissomigliante: Chi qua con unaechi là con un'altra cominciarono a fuggire.Se non quando la Quidopo l'altra si dicesse: Senza che tu diventerai moltomigliore e piú costumato e piú da bene làchequi non farestie ancora:Pensache tali sono là i prelatiquali tu gli haiqui potuti vedere. Fassi ilsomigliante nella Di quaquando con la Di làè posta: Acciò che io di là vantar mipossache io di qua amato sia dalla piú bella donnache maiformata fosse dalla natura. Chésenza essa parlandosiDi quie non Di qua si dice:Di qui alle porte di ParigiVilla assai vicina di qui;e dassi alle volte al tempo: Donnaio ho avuto dallui cheegli non ci può essere di qui domanee simili. Fassi ancora nella Costàquando con la Qua sipone: Né possa costà una solapiú chequa molte. È il vero chequal volta si dice Di quaper dire Di questo mondonon si dice giamai Di quiancora che ella non s'accompagni con la Di làoaccompagnandovisia lei si posponga; ma dicesi Di qua:Per quelli di quaeSe di làcome di qua s'ama;e similmente quando è sola nel mezzo del parlare: Aguisache quelle sonoche le donne qua chiamano rose.Dicesi eziandio In quasempresí come sempre Infino a quie dicesi Qua giúQua súQuaentroe Di quaentroe parimente Costà súCostà giúe Di costàsícome Di colàeColà súe Colà giú.



Sono Ovee Doveche alcunavolta s'è detto U'da' poetie vagliono quello stesso; se non che Dovealle volte vale quanto val Quandoposta in vece di condizione e di patto: Madonna Francescadice che è presta di volere ogni tuo piacer faredove tu alei facci un gran servigioilche è tuttavia molto usato dalla lingua. Sono medesimamenteOndedi cuil'altr'ieri messer Federigo ci ragionòe Dondeche poetica voce è piú che delle prosee vaglionoquanto si sae alcuna volta quanto Per la qual cosasí come vale anco Di chevoce assai usata dalle prose; come che il Petrarca eziandio laponesse nelle sue rime:


Dich'io son fatto a molta gente exempio


e


Dich'io veggio 'l mio bene parte duolmi.


Daonde e Da oveche Dante dissesono piú tosto licenziosamente detteche bendette. È D'altrondeche è D'altra parte;et è Laondeche alcuna volta s'è detto in vece di dire Ondesí come si disse dal Boccaccio: La donna lo'ncominciò a pregare per l'amor di Dio che piacer gli dovessed'aprirleperciò che ella non veniva laonde s'avisavae alcun'altra volta in vece di dire Per la qual cosa:Il quale lui in tutti i suoi beni e in ogni suo onorerimesso avealaonde egli era in grande e buono stato.Sí come Là dovein vece di Dovemedesimamente s'è detto: Perché la Giannettaciò sentendouscí d'una camera e quivi vennelàdove era il Conte. Il chemedesimamente nel Petrarca piú d'una volta si leggee Dantemedesimamente disse:


Malà dove fortuna la balestra

quivigermogliacome gran di spelta


Lequali due particelle tuttavia sono state alle volte da' poetiristrette ad essere solamente di due sillabeche Là 'vein vece di Là ovee Là 'nde invece di Laondedissero; come che questa non si disse giamaise non insieme con laprima personacosí: Là 'nd'io.Sono Indi e Quindiche quel medesimo portanociò è Di làe ancora DapoieQuinciDiqua e Da questoe LinciDilàche a questa guisamedesima formò Dante. Dissersi eziandio Di quincie Di quindiche ancoDi quivi alcuna voltasi disse. Come che Indialcuna volta appo il Petrarca valequanto Per di là:


Peròche dí e notte indi m'invita

eio contra sua voglia altronde 'l meno;


sícome vale questa medesima Altrondenon quanto Da altra partesí come suole per lo piú valerema quanto Peraltra parte. E questa medesimaIndiche vale quantoPer di làdisse Dante Per indinel suo Infernoe Per quindiil Boccaccio nelle sue novelle. Sono Quincisúe Quindigiú eQuincentroche tantoalcuna volta vale quanto Per qua entro;sí come la fe' valerenon solo Dante nelle terze rime sue piúvoltema ancora il Boccaccio nelle sue novelle quando e' disse: Ioson certoche ella è ancora quincentroe risguarda i luoghide' suoi diletti. Dalla dettamaniera di voci formò per aventura Dante la voce Costinciciò è Di costàquando e' disse:


Ditelcostincise non l'arco tiro.


Laqual voce si potrebbe nondimeno senza biasimo alcuno usar nelleprose.



È Intornola quale alcuna volta si partíe fecesene In queltornoin vece di dire Intornoa quelloet è Dintornoe Dattorno ilmedesimo. Differente sentimento poi alquanto da queste ha la Attornoche vale quanto Per le contrade e luoghi circonstanti;se non che Dattorno èalcune volte che vale questo stessoe pongonsi oltre acciòuna per altra. Dissesi eziandio alcuna volta Per attorno.Sono In e Nequel medesimo; ma l'una si dicequando la voce a cui ella si dànon ha l'articoloIn terra In cielo;l'altra quando ella ve l'haNell'acqua Nel fuocoo pure quando ella ve 'l dee avereNe' miei bisogniin vece di dire Ne i miei bisogni.Il che non solamente si servacome altra volta detto s'èquasi continuo nelle prosema deesi fare parimente nel verso; sícome si vede sempre fatto e osservato dal Petrarcanel qualese silegge:


Maben ti pregoche 'n la terza spera

Guittonsalutie messer Cinoe Dante


eancora


Saiche 'n mille trecento quarantotto

idí sesto d'aprile in l'ora prima


èincorrettamente scrittoperciò che deesi cosí leggere:


Maben ti pregone la terza spera

Guittonsaluti


eancoraIl dí sesto d'aprile a l'ora prima.



Sono Poie Poscia e Dapoiche quel medesimo vagliono e dànnosi al tempo; e Dopoche al luogo si dàe ancora all'ordinee alcuna voltaeziandio al tempo; contraria di cui è Dinanzi.E come chea quelle trepaia che sempre la particella Chestia dietro in questo modo di ragionare: Poi che cosívi piacePoscia cheio la vidiDapoi chesotto 'l cielo; non ètuttaviache alcuna volta non si parli ancora senza essa:


Mapoi vostro destino a voi pur vieta

l'esseraltrove;


eChe poi a grado non ti fuche io tacitamente e di nascoso conGuiscardo vivessi. Et èoltre acciò avenutoche in questa voce Dapoisi sono tramutate le sillabe et èssi detto Poi da;sí come le tramutò il Boccaccioche disse: Eda che diavol siam noi poi da che noi siam vecchie.Et è alcuna volta statoche s'è lasciato a dietro lavoce Poi et èssidetto Da chein vecedi dire Dapoi chenonsolo nel verso:


Conlei foss'io da che si parte il sole


maancora nelle prose: Da chenon avendomi ancora quella contessavedutoella s'è innamorata di me.È oltre acciò da sapereche gli antichi poeti poserola detta particella Poie la seconda voce del verbo Possoin una medesima rima con tutte queste voci Cui Lui CostuiColui Altrui Fui; sí comesi legge nelle canzoni di Guido Cavalcanti e di Dino Frescobaldi e diDantelasciando da parte le terze rime sueche sonovie piúche non si convienpiene di libertà e d'ardire. QuantunqueBrunetto Latiniche fu a Dante maestropiú licenziosamenteancora che quelli non feceroo pure piú rozzamenteLunae PersonaCagionee ComuneMottoe TuttoUsoe GraziosoSaperee Veniree dell'altredi questa maniera ponesse eziandio per rime nel suo Tesoretto; ilquale nel vero tale non fuche il suo discepolofurandoglielesene fosse potuto arricchire.



Ma lasciando ciò daparteè Appressochevale quanto Dapoioltra l'altro sentimento suoche è alle volte Vicinoe Accanto; e si disseancor Presso.Contraria di cui è Da lungee Da lungiche sonodel versoe Di lungie Dalla lungichesono delle prose. È ultimamente Poco dapoiche si disse piú toscanamente Pocostante.È la Dinanziche io dissie Innanzie Davanti e Avantialtresí; tra le qualicome che paia che molta differenza videbba potere esseresí come è che Dinanzie Davanti si ponganocon la voceche da loro si regge: Dinanzi al SoldanoDavanti la casa A me si para dinanzi Allo Stradico andòdavantie Innanzie Avanti senza essa:Avendo un grembiule di bucato innanzi sempree Co' torchi avanti; esí come è ancora che la Dinanzial luogo si dia: Se noi dinanzi non gliele leviamoe le altre si diano al tempo: Innanzi tratto Il dídavanti Avanti che otto giorni passino;egli nondimeno non è regolatamente cosí. Perciòche elle si pigliano una per altra molto spesso; se non che laDavanti rade volte sidicesenza la voce che da lei si reggee la Innanzie la Avanti vaglionoancora quanto Sopra eOltre o simil cosa:Caro innanzi ad ogni altroe Da niuna altra cosa essere piú avantie oltre acciò si pongono in vece di Piútostoil che non aviene dellealtre. Come che ancora in questo sentimento si dica alcuna voltaAnzi: Che mipare anzi che noche voi ci stiate a pigione.La quale Anzi si diceparimente in luogo di Prima:Anzi che venir fatto le potessee tale volta in luogo di Avanti:Anzi la morte; senzaquest'altroche è il piú usato sentimento suo: Checaldo fa egli? anzi non fa egli caldo veruno.E avenne ancora che Avantis'è presain luogo di dire In animoovero in luogo di dire Trovato Pensatoo somigliante cosa: Aguzzato lo 'ngegnogli venneprestamente avanti quello che dir dovesse.Ante e Avantee Davanteche alcunavolta si disserosono solamente del verso. Oltra le quali particelletutte è la Dianzila qual vale a segnar tempo che di poco passato siae la Perinnanziche si dà altempo che è a venirecontraria di cui è Peradietroche al passato si dà;e dissersi ancora Per lo innanzie Per lo adietro. Et èDa quinci innanzi e Daindi innanzila qual si dissealcuna volta Da indi in avantima tuttavia di rado. È Testéche tanto vale quanto Orache si disse ancora Testesoalcuna volta molto anticamentee da Dante che piú d'una voltala pose nelle sue terze rimee dal Boccaccioche non solamente lapose ne' suoi sonettima ancora nelle sue prose: Io nonsotesteso mi diceva Nelloche io gli pareva tutto cambiatoe altrove: Tu non sentivi quello che ioquando tu mitiravi testeso i capellieancora: Egli dee venir qui testeso unoche ha pegno il miofarsetto. Sono Tostoe alcuna volta Tostamentee Ratto quel medesimo;se non in quanto alle volte Tostovale quanto val Subitoe dicesi Tosto che invece di Subito che; ilche di Ratto non sifaquantunque il Petrarca dicesse:


Rattocome imbrunir veggio la sera

sospirdel pettoe degli occhi escon onde.


Etè Prestamente quellostessoche si disse alcuna volta eziandio Rattamentee Spacciatamente e Infretta. Et è Immantenentee Incontanentealtresí; ma quella è piú del versoe questa èdelle proseche in loro si disse ancora Tantosto.Prestoche alcunimoderni pigliano in questo sentimentovale quanto Prontoe Apparecchiatoet ènome e non mai altrodal quale si forma Apprestaree Apprestoche èApparecchiare eApparecchiamento. Èoltre a questeRepentesolamente del verso. Sono Da manee Da sera e Dimeriggeche pare dal latinodettala D in due Gmutandovisisí come si muta in Oggiper l'uso cosí fatto della lingua; il quale uso in molte altrevoci ha luogo. Dicesi ancora Di meriggioe Di meriggianachedisse il Boccaccio: Se alcun volesse o dormire o giacersidi meriggiana.



Sono Unquae Mai quello stesso;le quali non nieganose non si dà loro la particella acconciaa ciò fare. Anzi è alle volte che due particelle invece d'una se ne le dannopiú per un cotal modo di direcheper altro; sí come diede il Boccaccio: Négiamai non m'avenneche io perciò altro che bene albergassi.Et è Oggimai eOramaivoci solamentedelle prosee Omaidelle prose e del verso altresí; le quali si danno parimente atutti i tempi. È Unqueche si dice eziandio Unquanel verso; et è Unquancoche di queste due voci Unquae Anco ècompostoe vale quanto Ancor maie altro che al passato e alle rime non si dàe con laparticellache niegasi pon sempre. Sono Ancorae la detta Anco; l'unadelle quali si dà al tempol'altrache alcuna volta s'èdetta Anchevalequanto Eziandio.Nondimeno elle si pigliano spesse volte una per altra; se non inquanto la Anco e Anchesi danno al tempo solamente nel verso. È il vero che l'una diloro si pon le piú volte quando alcuna consonante la segueAncor tu Ancor leiel'altra quando la segue alcuna vocaleAnch'io Anch'ella.Unquemai dire non sidovrebbeche è un dire quel medesimo due volte; come che eDante e messer Cino le ponessero nelle loro canzoni. Quandunqueche vuole propriamente dire Quando maioltra che si legge nelle terze rime di Danteesso ancora e messerCino medesimo la posero nelle loro canzonie il Boccaccio nelle sueprose. Ondunqueoltrea questemedesimamente si legge alcuna fiatae Dovunquemolto spesso. È oltre acciò Quantunquela qual voce alle volte s'è presa in luogo di questo nomeQuantonon solo ne'poetima ancora nelle prosee cosí nell'un genere comenell'altro; et èssi detto Quantunque voltee Quantunque gradi vuolche giú sia messa.Prendesi ancora in vece di Quanto si voglia;sí come si prende in questo verso del Petrarca:


Traquantunque leggiadre donne e belle


ciòè Tra donne quanto si voglia belle e leggiadree in quest'altro:


Dopoquantunque offese a mercé vene:


Dopoquante offese si voglia viene a mercé.Prendesi eziandio in vece di Tutto quello che:il Boccaccio: Al qual pareva pienamente aver vedutoquantunque disiderava della pazienza della sua donnae altrove: Pur seco propose di voler tentare quantunque inciò far se ne potesse;quasi dicesse quanto mai disiderato avea e quanto mai farse ne potesse. E cosí fiadi sentimento piú somigliante alla formazion suae piúin ogni modo alle volte opereràche se Quantosemplicemente si dicesse. L'altro sentimento suoche vale quantoBenchéassai èa ciascuno per sé chiaroet è solamente delle prose. Èancora Comunquechein vece di Come assaisovente s'è detta; è Comunquementequello stessoma detta tuttavia di rado.



Leggesi Soventeche è Spesso:di cui Guido Guinicelli ne fece nomee Soventi oredisse in questi versi:


Chesoventi ore mi fa varïare

dighiaccio in focoe d'ardente geloso;


eGuido Cavalcanti in quest'altri:


Chesoventi ore mi dà pena tale

chepoca parte lo cor vita sente.


Sícome di Spesso feceroSpess'ore comunementequasi tutti quegli antichi; alla cui somiglianza disse Atutt'ore il Petrarca. Dicesialcuna volta eziandio Soventemente;sí come si disse da Pietro Crescenzo: E questofaccia soventemente che puotein vece di dire quanto spesso puote;sí come egli ancorain vece di dir Secondodisse Secondamentemolte volte. È Al tempoche vale quanto Al bisognoet è del verso. Et è In tempodelle proseche si dice piú toscanamente A badacioè A lunghezzae a perdimento di tempo:dalla qual voce s'è detto Badareche è Aspettaree alcuna volta Avere attenzionee Por mente. Et èPer tempoche vuoldire A buona ora. ÈDa capoche valecomunalmente quanto Un'altra volta;truovasi nondimeno detta ancora in luogo di dire Daprincipio. Et è Acapoche vale quanto Afine. È Dasezzoche è Daultimoa cui si dàalcuna volta l'articolo e fassene Al da sezzo;da queste si forma il nome Sezzaio.Et è Alla fineche medesimamente si disse dagli antichi Alla perfinee alcuna volta Alla finita.



È Del tantoche vuol dire quanto Per altrettantocioè Per altrettanta cosaquanta è quella di che si parlache si disse ancora in formadi nomeAltrotaleeAltrotali nel numerodel piú. Et è Cotantoche vale quanto val Tantose non che ella dimostra maggiormente quello di che si parla; ondedir si puòche ella piú tosto vaglia quanto vale Cosígrandemente: MadonnaFrancesca ti manda dicendoche ora è venuto il tempoche tupuoi avere il suo amoreil quale tu hai cotanto desiderato.Et è Duecotantoe Trecotantoche sonoDue volte tanto e Trevolte tanto; e fassene allevolte nomie diconsi nel numero del piúe sono voci delleprose: Io avea tre cotanti genti di luicioè Tre volte piú gente di lui.Ultimamente è Alquanto;della qual voce Guido Guinicelli ne fece nomee disse:


Evoce alquantache parla dolore;


eil Boccaccio ancorache disse: Ma io intendo di farvi averealquanta compassionee Alquantaavendo della loro lingua apparataGuarimoltousata dagli antichiche vale quanto val Molto;la quale vocecome che si ponga quasi per lo continuo con laparticella che niegaNon ha guari Non istette guarinon è tuttaviache alcuna fiata ella non si truovi ancoraposta senza essama è ciò sí di radocheappena dire si può che faccia numero. Sono Piúe Menoparticelleassai chiare e conte a ciascuno; le quali nondimeno alcuna voltainluogo di questi nomi Maggioree Minore si piglianosí come si presero dal Boccaccioquando e' disse: Dellapiú bellezza e della meno delle raccontate novelle disputando.Dall'una delle quali ne viene Almenoe ancora Nondimeno Nientedimeno Nulladimenoche son tutte tre quello stessodelle quali tuttavia la primiera èla piú usatae la ultima la meno. Vale quel medesimo ancorala Nonpertanto; vedesinel Boccaccio: Nonpertanto quantunque molto di ciòsi maravigliassein altro non volle prender cagione di doverlamettere in parole. È Perpocoche s'è postaalcuna voltain vece di Quasidal medesimo Boccaccio: La quale ogni cosa cosíparticolarmente de' fatti d'Andreuccio le dissecome avrebbe perpoco detto egli stessoealtroveLaonde egli cominciò sí dolcementesonandoa cantare questo suonoche quanti nella real sala n'eranoparevano uomini aombrati: sí tutti stavano taciti e sospesi adascoltare; e il re per poco piú che gli altriTalein vecedi Talmente detta allevolte da' poeti; e Qualein vece di Qualmentema detta tuttavia piú di rado:


Qualsogliono i campion far nudi e unti

avisandolor presa e lor vantaggio.



È Perciò chedelle prosee alcuna volta Imperciò che;et è Però chedel versoe alle volte ancora Perchédi quel medesimo sentimento:


Nonperch'io non m'aveggia

quantomia laude è ingiuriosa a voi;


laqual voce tuttavia è ancora delle prose: Coluiche andòtrovò il famigliare stato da messer Amerigo mandatocheavendole il coltello e 'l veleno posto innanziperché ellacosí tosto non eleggevale diceva villania.Et è oltre acciò Chela quale da' poeti molto spesso in luogo di Perciòcheda' prosatori non cosíspessoanzi rade volte si truova detta; sí come dalBoccaccioche disse: Che per certo in questa casa nonistarai tu mai piú. Equesta medesima Che èancorache si pose dal Petrarcain vece di Acciòche:


Unconforto m'è datoch'io non pera:


acciòche io non pera. E dal medesimoBoccaccio: Se egli è cosí tuo come tu di'ché non ti fai tu insegnare quello incantesimoche tu possafare cavalla di mee fare i fatti tuoi con l'asino e con la cavalla?ciò è acciò che tu possa.Dove si vede che la detta Cheeziandio in vece di Perchés'usa di dire comunemente: Ché non ti fai tuinsegnare quello incantesimo? Sícome allo 'ncontro si dice la Perchéin luogo di Che alcunafiata: Che vi fa egliperché ella sopra quel veronsi dorma? E poco da poi: Eoltre acciò maravigliatevi voiperché egli le sia inpiacere l'udir cantar l'usignuolo?Et è alle volte che la medesima Chesi legge in vece di Sí cheo In modo che: ilmedesimo Boccaccio: E seco nella sua cella la menòche niuna persona se n'accorse.E ancora in vece di Nel qualeassai nuovamente il pose una volta il Petrarca:


Questavita terrena è quasi un prato

che'l serpente tra fiori e l'erba giace.


ÈIl perché delle proseusato tuttavia rade voltein vece di dire Per la qualcosa: il Boccaccio: Ilperché comprender si puòalla sua potenza essere ognicosa suggetta; e ancorain vecedi dire Perché ciò siao pure La cagione di ciò:il medesimo Boccaccio: Universalmente le femine sono piúmobilie il perché si potrebbe per molte ragioni naturalidimostrare. Sono Benchée Comechéquello stesso; ma questa sarebbe per aventura solamente delle prosese Dante nel verso recata non l'avesse. Et è la detta Perchéche si prende alle volte in quel medesimo sentimento et è delversoe alle volteanzi pure molto piú spessosi piglia invece di Per la qual cosao Per le quali cosenelle prose; sí come si piglia ancora Di chedella qual dicemmoe alcuna volta Sí che: Io intesiche vostro marito non c'erasí che io mi sono venuto a starealquanto con essovoi. Et èNonchélaqualeoltra il comune sentimento suovale quello stesso anch'ellama rade volte cosí si prende. Prendesi nel Boccaccio: Nonche la Dio mercé ancora non mi bisognain vece di dire BenchéPurchéche vale quanto Solamente che;et è Tuttochéche pur vale il medesimo di quell'altredetta dalle proseenondimeno ricevuta da Dante piú d'una volta nel verso. Laquale si disse ancora cosíTuttosenza giugnervi la particella Che:Giovan Villani: I campati di morte della battagliatuttofossono pochisi ridussono ov'è oggi la città diPistoiae altroveEtutto fosse per questa cagione uomo di sanguesí fece buonafine. Dove si vede che allevolte la particella vale quanto Nondimeno:Sí fece buona fineciò è Nondimeno fece buona fine.Né solo Giovan Villani usò il dire Tuttoin vece di Tuttochéma degli altri antichi prosatori ancorasí come fu GuidoGiudicedi cui dicemmo. Dissesi oltre acciò in quellosentimento medesimo Avegnadiochédagli antichie Avegnachéancorae ultimamente Avegnadal Petrarca:


Amoravegna mi sia tardi accorto

vòlche tra duo contrari mi distempre.


Èoltre acciòche alcuna volta Tuttochéaltro sentimento ha e molto da questo lontanosí come ha nelBoccaccioche nella novella di Madonna Francesca disse: Ecosí dicendofu tutto che tornato in casa;e poco dapoiDa' quali tutto che rattenuto fu;il che tanto portaquanto è a dire: Poco meno chetornato in casa e Pocomeno che rattenuto fu. Altrosentimento ancorae diverso alquanto dal detto di soprahanno levoci Perché ePurchéinquanto elle tanto vaglionoquanto Eziandio che:il medesimo Boccaccio: Che perché egli pur volesseegli no 'l potrebbené saprebbe ridire;e Dante:


EperòDonne miepur ch'io volessi

nonvi sapre' io dir ben quel ch'i' sono.


Somigliantementediverso sentimento da' già detti ha talora la particella Che.Con ciò sia cosa che ella si pone alle volte invece di Piúchequasi lasciandovisi la Piúnella penna e nondimeno intendendolavi: Giovan Villani: Peròche allora la città di Firenze non avea che due ponti;e il Boccaccio: Il quale in tutto lo spazio della sua vitanon ebbe che una sola figliuola.



Èoltre a questeMentreche vale quantoInfino e quanto Infinchee ciò èsecondo che a lei o si dà e giugne la particella Cheo si lascia; il che si fa parimente. Et è Parteche vale quello stessodetta nondimeno rade volte in questosentimento: il Boccaccio: Parte che lo scolare questodicevala misera donna piagneva continuo;e altrove: Parte che il lume teneva a Brunoche labattaglia de' topi e delle gatte dipigneva.Ponsi nondimeno comunalmente Partedai poetiin vece di dire In parteIn quellache vuol dire In quel mezzoo pure In quel punto:messer Cino:


Stanel piacer della mia donna Amore

comenel sol lo raggioe 'n ciel la stella

chenel mover degli occhi porge al core

sích'ogni spirto si smarrisce in quella;


eDante:


Qualè quel toroche si slaccia in quella

c'haricevuto già 'l colpo mortale;


eil Boccaccioil quale non pure ne' sonetti cosí disse:


Ecom'io veggio lei piú presso farsi

levomiper pigliarlae per tenerla

e'l vento fuggeet ella spare in quella;


maancora nelle novelle: O marito miodisse la donnae' gli vennedianzi di subito uno sfinimento ch'io mi credetti ch'e' fosse mortoe non sapea né che mi far né che mi direse non chefrate Rinaldo nostro compare ci venne in quella.Il che imitando disse piú vagamente il Petrarca:


Inquesta passa 'l tempo;


eancora


Etin questa trapasso sospirando.


Equesto sentimento ispresse egli e disse eziandio con quest'altra voceIn tanto.



È Controe Contrache si disseparimenti Incontro eIncontra; maquest'ultima è solo dei poetide' quali è Al'incontra altresí. Et èRimpetto e Arimpetto e Di rimpettosolamente delle prose; e vagliononon quello che vale Al'incontrama quello che valeDi rincontro e Periscontroe Affrontecontraria di cui è Di dietro.Et è Per mezzoalle volte poco da queste lontana e alle volte molto; con ciòsia cosa che non riscontroma entramento dimostra:


Permezzo i boschi inospiti e selvaggi.


Laqual si disse Per lo mezzoqualora ella non ha dopo sé voce che da lei si regga: Emisesi con le sue genti a passare l'oste de' nimici per lo mezzo.Ma questa voce Per mezzosi disse toscanamente ancora cosí Per meitroncamente e tramutevolmente pigliandosicome udite. Quantunque Meisi disse eziandio in vece di Meglioper abbreviamento dagli antichi; sí come la disse Buonagiunta:


Perchéla gente mei me lo credesse;


emesser Cino:


Dunquesarebbe mei ch'i' fossi morto.


Laqual poi si disse Me'nonsolo dagli altri poetima dal Petrarca ancora:


Me'v'era che da noi fosse 'l diffetto.


SonoA lato e A pettoche quello stesso vaglionociò è Acomperazione; l'una delle qualisolamente è delle prose. Come che A latoalle volte porti e vaglia quello che ella dimostra; sí come faAccanto che vale allevolte quanto questee alle volte quanto ella dimostra. Lontana dacui piú di sentimento che di scrittura è Dacantociò è Daparte. Et è Versoche usò il Boccaccioe valeoltra il proprio sentimento suoquanto A comperazione: E se li re cristiani son cosífatti re verso di séchente costui è cavaliere; versodi sédisseciòè a comperazion di sé.Nel qual luogo si vedeche la voce Chentevalenon solamente quello che val Quantosí come la fe' valere il medesimo Boccaccio in moltissimiluoghima ancora quello che val Quale;il che si vede eziandio in altre parti delle sue prose. Anzi lapresero i piú antichi quasi sempre a questo sentimento. ÈAdietrola qualestanza piú tosto dimostra che movimento e Indietroe Allo 'ndietro e Aldi dietroche movimentodimostrano; e dissersi altramente A ritrosodal latino togliendosidalla quale s'è formato il nome etèssi detto Ritroso callee Ritrosa viacomesarebbe quella de' fiumise essi secondo la favola ritornassero allelor fonti; da cui si tolse a dire Ritrosa donnae Ritrosía ilvizio.



Leggesi Al tuttoche i piú antichi dissero Al postuttoforse volendo dire Al possibile tutto.Leggesi NientecheNeente anticamente sidissee Né micao pure Non micaeNulla quello stesso;come che Non mica sisia eziandio separatamente dettaElli non hanno mica buonasperanza; e Migaaltresíe Nientealle volte si ponga in vece d'Alcuna cosa:Né alcuna altra rendita erache di niente glirispondessedove diniente disse il Boccaccioinvece di dire d'alcuna cosa.Leggesi Punto in vecedi Nientee Cavellevoce ora del tutto romagnuolache Covellesi dice. Quantunque Puntoalcuna volta eziandioinvece di Momentosi prenda; che si disse ancora Mottosí come si vede in Brunetto Latini:


Enon sai tanto fare

chenon perdi in un motto

logià acquistato tutto.


Leggesieziandio Fiorela qualparticella posero i molto antichi e nelle prose e nel verso in vecedi Punto. LeggesiMeglio e Ilmeglio; ma l'una si pon quandola segue la particella Chealla quale la comperazione si fa: Sí facciam noimeglio che tutti gli altri uomini.Il meglio poi si dicequando ella non la segue: E vuolvi il meglio del mondo.Dissesi questa eziandio cosí: Il migliore.È oltre acciò che Megliovale quanto val Piúo ancora Piú tosto;il quale uso messer Federigo ci disse che s'era preso da' Provenzali.Leggesi Molto e Assaiche quello stesso vagliono; ciascuna delle quali si piglia in vece dinome molto spesso. Leggesi Altresíla qual vale comunemente quanto Ancora;ma vale alcuna volta eziandio quanto Cosí:E potrebbe sí andare la cosache io uccidereialtresí tosto luicome egli me.Leggesi La Dio mercé La vostra mercénelle prosee Vostra mercée Sua mercé nelverso. Quantunque Gianni Alfanirimator molto anticoa quel modo laponesse in questi versi d'una delle sue canzoni:


Ch'amorla sua mercé mi dicech'io

nolletema mostrare

quellaferitadond'io vò dolente;


eil Boccaccio in quest'altri d'una altresí delle sue ballate:


Equel che 'n questo m'è sommo piacere

èch'io gli piaccio quanto egli a me piace

amorla tua mercede.



Leggesi Malgrado vostroMalgrado di lui Mal suo grado eA grado Di grado.Leggesi Verin vecedi Versone' poetiVer me Ver lui; che sidisse ancora Inversoda' prosatori. Quantunque nel Boccaccio si legga eziandio cosí:Il dí seguentemutatosi il ventole coccheverponente vegnendofer vela. ESot e Sorin vece di Sotto e diSopra; ma questetuttavia congiunte con altre vocisí come sono SotterraSommettere SoppostoeSoppidiano e Soppannoche disse il BoccaccioSoscritto Sostenuto Sospintoe Sormontare Soggiornarequasi giorno sopra giorno menarenelle prose; e SorprendereSorvenireSovrempiereSorviziato Sorbondatochedissero gli antichi rimatorie Sorgozzoneche disse il Boccaccio nelle novelleil che è percossa dimano che sopra il gozzo si dia; et è Gozzola golaonde ne viene il verbo Sgozzareche è Tagliare il gozzoe Ingozzaree altre.Come che Lapo Gianni ponesse Sorda sé sola in questo verso:


Chem'ha sor tutti amanti meritato;


elo 'mperador Federigo in quest'altri:


Sorl'altre donne avete piú valore:

valorsor l'altre avete;


edegli altri scrittori antichi ancora la posero nelle lor prose.Leggesi Fuor e Foree Fora e Fuorile quali tutte sono del versoma la prima e l'ultima sono ancoradelle prose; leggesidicoquesta particella che pare che sempreabbia dopo sé il segno o del secondo casoFuord'affanniFuor ditempoalle volte ancora senzaessosí come si legge in quel verso del Petrarca:


Fuortutti i nostri lidi


chelo poté per aventura pigliar da Guido Orlandi il qual disse:


eamor for misura è gran follore;


eda Francesco Ismera che disse:


Pensandoche 'l partir fu for mia colpa;


oancora da messer Cinoil quale cosí disse:


Uomoson for misura

tant'èl'anima mia smarrita omai.


Etè alle volteche in vece del detto segno se le dà laparticella Checome diede ilBoccaccio: Il quale in ogni cosa era santissimofuori chenell'opera delle femine; e allevolte non se le dàsí come non gliele diede ilmedesimo Boccaccio: Egli entrò co' suo' compagni inuna casae quella trovò di roba piena esser dagli abitantiabandonatafuor solamente da questa fanciulla.La qual particella si disse eziandio In fuorie dissesi in questa maniera: La quale io amoda Dio infuorisopra ogni altra cosa.Ponsi anch'ella con questa voce Sennoe formasene Forsennatovoce antica e non piú del verso che delle prosedi cui ancoraci ricordò l'altr'ieri messer Federigo dicendoci che era toltada' Provenzalie con quest'altra Viae formasene Forviarevoce solamente delle proseantica nondimeno anch'ella e oltre acciòpoco usata.



Leggesi Comenon solo per voceche comperazione fain risposta di quest'altraCosí; ma ancorain vece di Che: Cheper certose possibile fosse ad averlaprocaccerebbe come l'avesse;dove come l'avesse sidissein vece di dire che l'avesse.Leggesi ancorain vece di Poichéo di Quando: Ilqual come alquanto fu fatto oscurolà se ne andòeCome costoro ebbero udito questonon bisognò piúavanti. È oltre acciòalcuna voltache ella si legge in vece di In qualunquemodo: E disse acostuidove voleva essere condottoe come il menasseera contentociò è in qualunque modo il menasseeracontento; e ancora in vece diMentre: Ecome io il volea domandare chi fossee che avesseet ecco M.Lambertuccio; né meno silegge in vece di Quanto:Oimè lassoin come picciol tempo ho io perdutocinquecento fiorin d'oro e una sorella!.Nel qual sentimentoella s'è detta eziandio troncamente damolti degli antichi in questa guisa Come dal Petrarca altresíche disse:


Onostra vita ch'è sí bella in vista

comperde agevolmente in un mattino

quelche 'n molt'anni a gran pena s'acquista;


ealtrove:


Macom piú me n'allungoe piú m'appresso.



Leggesi la voce Oimèche ora si dissenon solo in persona di colui che parlasícome in quel luogo del BoccaccioOimè lasso;ma ancora in quella di cui si parlaOisè;sí come si legge nel medesimo Boccaccio: Oisèdolente sèche 'l porco gli era stato imbolato.Dissesi oltre acciò la Oianticamentein vece della Ahiche poi s'è detta e ora si dice: Oi mondo erranteeuomini sconoscenti di poca cortesia.Leggesi la particella Onon solo per voce che si dice chiamando che che sia; o per quellachedi due o piú cose ragionandosiin dubbio o in elezion lepone degli ascoltanticome quiche io in dubbio oin elezion dissila quale OOvero eziandio sidisse; o pure per quell'altra che è di doglianza principio: Oquanto è oggi cotal vita mal conosciuta;o ancora per quella che è segno d'alcun disioe suolsi con laparticella Se il piúdelle volte mandar fuori:


Ose questa temenza

nontemprasse l'arsura che m'incende

beatovenir men.


Mandasituttavia alcuna volta eziandio senza essa:


Eo pur non molesto

lesia 'l mio ingegnoe 'l mio lodar non sprezze.


Maleggesi oltre acciò per un cotal modo di parlareche allevolte contiene in sé maraviglia piú tosto che altro;alle volte non la contiene; ora con richiesta postosí comela pose il BoccaccioO mangiano i morti?e ora senza essa. Et èssi detta ancora cosíOrae Or: Ora leparole furono assaie il ramarichío della donna grandee poco davantiOr non son iomalvagio uomocosíbella come sia la moglie di Ricciardo?.Nella qual guisa ella si dice sempre nel verso:


Ofido sguardoor che volei tu dirme?.


Matornando alla Oche in veced'Overo si diceèda sapere che le danno i poeti spesse volte la Dquando la segue alcuna vocaleper empiere la sillaba; sí comediede Lapo Gianniche disse:


Néspero dilettanza

négioia aver compita

se'l tempo non m'aita

odamor non mi reca altra speranza;


ecome diede il Petrarcadicendo:


Pomm'incielood in terraod in abisso.


Quantunquenon solo alla O diedero ipoeti la Dma oltreacciò ancora alla particella Se;sí come fece Danteche disse nelle sue canzoni:


Diche domandi amorsed egli è vero;


ealla sícome diede il Petrarcail qual disse:


Nedella a me per tutto 'l suo disdegno

torràgiamai;


eoltre a questoalla voce Chesí come si vede in Gianni degli Alfaniil qual disse:


Ese vedrà 'l dolore

che'l distruggei' mi vanto

chede' ne sospirrà di pietà alquanto


enel Boccaccioche in nome del dianzi detto Micodisse:


Chevadi a luie donigli membranza

delgiornoched io il vidi a scudo e lanza.


Comeche ciò si legga non solo ne' versima ancora nelle prose: Eperciò poi ched e' vi pure piaceio il faròe altroveFu da' medici consigliatoched egli andasse a'bagni di Sienae guarrebbe senza fallo.Sono ancor di quelli che dicono che eziandio alla particella Eche congiugne le vocisi dà alle volte la Din vece della Tchelatinamente parlandosi sta seco; sí come affermano che diedeil Petrarcaquando e' disse:


S'avessedato a l'opera gentile

conla figura voce ed intelletto;


conciò sia cosa che piú alquanto empie la sillaba e fallapiú graziosa la Dchela T.



Dicesi Nonla voce che niega; contraria di cui è che afferma; come che ella eziandioin vece di Cosísi ponga per chi vuole. La qual Cosísi disse ancora Cosifattamentenelle prose. Né solo in vece di Cosíma ancora in vece di Chela pose il Boccaccio piú volteper un cotal modo di parlareche altro non è che vago e gentile: Il fante diRinaldoveggendolo assaliresí come cattivoniuna cosa alsuo aiuto adoperò; mavolto il cavallo sopra il quale eranon si ritenne di correresí fu a Castel Guiglielmoin luogo di dire: non si ritenne di correreche fu aCastel Guiglielmo; e ancoraEgli è la fantasimadella quale io ho avuta aqueste notti la maggior paura che mai si avesse tale; chécome io sentita l'hoio ho messo il capo sottoné mai hoavuto ardir di trarlo fuorisí è stato díchiaro. Nella qual manieraDante medesimamente piú volte nelle sue rime la posee altriantichi scrittori ancora nelle loro prose. E oltre acciò chela detta particella si pone ad un altro sentimentocondizionalmenteparlandosiin questa maniera: Se ti piacesí tipiaccia; se nonsí te ne stadove si pare che ella adoperi quasi per un giugner forza alragionamento; e ancora non condizionalmentesí come la poseGiovan Villani: Ma per seguire suoi diletti massimamente incacciasí non disponea le sue virtú al reggimento delreame; e il Boccaccio che disse:Che se mio marito ti sentissepogniamo che altro male nonne seguissesí ne seguirebbeche mai in pace né inriposo con lui viver potrei.Dicesi eziandio alcuna volta in atto di sdegno e di disprezzoe di tutto il contrario di quelloche noi diciamo: Sítu mi credi con tue carezzeinfinte lusingare.



Matornando alla particellaNonaviene ancora che ella si dice bene spesso soverchiamente; e pure ètoscanamente cosí detta: il medesimo Boccaccio: Laqual sapeache da altruiche dalleirimaso non era che moglie diNastagio stata non fossedovendosi per lo diritto piú tosto dire: che mogliedi Nastagio stata fosse; ealtrove: Io temo forte che Lidia con consiglio e volere dilui questo non facciain vecedi dire: questo faccia.La qual particella eziandio si dice Noquando con lei si fornisce e chiude il sentimentoIo noQuesti nochéaltramente dicendosisi direbbe Non io Non questi;o quando ella si pon dopo 'l verbo:


Maromper no l'imagine aspra e cruda;


oancora quando si pon due volte: Non farnetico noMadonnae Non son mio noe A'quali dir di no non si puoteesimili; o quando ella si pon col :


Ch'orsí or no s'intendon le parole.


Dicesiancora No ogni voltachedopo lei si pon l'articolo Ile nelle prose e nel verso. Nel qual verso è alcun'altra voltache ella cosí si dice quando la segue alcuna vocaleper lomedesimo divertimento della Nultimache vi si fa:


Né chi lo scorga

v'èse no amorche mai no 'l lascia un passo.


Èoltre a questoche la Non sipone in una maniera che vi s'intendono piú parole a fornire ilsentimento; sí come si vede appo 'l Boccaccio: Nonne dovessi io di certo morireche io non me ne metta a far ciòche promesso l'hoe come altriparlaragionando tuttaviamassimamente tra sé stesso; Perciòche tanto è a dire in quel modocome se si dicesse: Nonrimarràse io ne dovessi di certo morireche io non mi mettaa far ciòche promesso l'ho. poicheancor niegae quasi sempre si pone in compagnia di sé stessao d'altra voce che pur nieghiè alle volte cheposta da'prosatori in un luogoha forza di negare ancora in altro luogodinanzidove ella non è posta; cosí: Ecomandolle che piú parole né romor facessee ancoraAcciò che egli senza eredené essisenza signore rimanessero. Et èalcune altre volteche da' poeti si pone in vece di questaparticella Overochesi dice parimente Ocome s'è detto:


Ondequant'io di lei parlai né scrissi;


eancora


Segli occhi suoi ti fur dolci né cari.


Ètuttaviache questa particella s'è posta da' medesimi poetisenza niun sentimento avere in séma solo per aggiunta equasi finimento ad altra voceforse affine di dar modo piúagevole alla rima; sí come si vede in Dantenon solo nel suopoemanel quale egli licenziosissimo fuma ancora nelle canzoniche hanno cosí:


Lanemica figurache rimane

vittoriosae fera

esignoreggia la virtú che vole

vagadi sé medesma andar mi fane

colàdov'ella è vera;


ecome si vede in quelle di messer Cinoche cosí hanno:


Edicelassache sarà di mene?


Ilche si vede medesimamente nelle ottave rime del Boccaccioposto edetto dallui piú volte.



Leggesi la particella Senonche si ponecondizionalmente: Se ti piaceio ne son contento: se nonti piacee' m'incresce. Et èspesse volteche si dice Se nonin vece di dire Eccetto;nel qual modo alcuna volta ella s'è mandata fuori con unasillaba di piú; et èssi detto Se non see Se non si:


Senon se alquanti c'hanno in odio il sole.


Comeche la Se non si si posesempre col verbo Essere:Se non si furono i tali.Tuttavia è particella checosí pienamente dettaradevolte si vede usata e nell'un modo e nell'altro. Dicesi eziandioalcuna volta Se nonin luogo di dire Solamente:Io non sentiva alcun suono di qualunque instrumentoquantunque io sapessi lui se non d'uno essere ammaestratoche congli orecchi levati io non cercassi di sapere chi fosse il sonatore.

Matornando alla Secondizionaledico che ellaposta col verbo Fossesi lasciò alcuna volta e tacquesi dagli antichiin un cotalmodo di parlarenel quale ella nondimeno vi s'intende; sícome si tacque alcuna volta eziandio da' latini poeti. Il qual modoappo noinon solamente ne' poeti si leggesí come furonoBuonagiunta da Luccache parlando alla sua donna del cuore di luiche con lei stavadisse:


Etanto gli agradisce il vostro regno

chemai da voi partir non potrebb'ello

nonfosse da la morte a voi furato


ciòè se non fosse; e LapoGianniche disse:


Amorpoiché tu se' del tutto ignudo

nonfossi alatomorresti di freddo


ciòè se non fossi; o comefu Francesco Ismerache disse:


Nonfosse colpanon saria perdono;


ocome fu ancora il Petrarcail qual disse:


Solamentequel nodo

ch'amorcirconda a la mia linguaquando

l'umanavista il troppo lume avanza

fossediscioltoi' prenderei baldanza;


maoltre acciòsi legge eziandio nell'istoria di Giovan Villaniil qual disse: E poco vi fosse piú durato all'assedioerastancatoin vece di dire: Ese poco piú durato vi fosse.È alcun'altra volta ancorache ella da' poeti si pone in vecedi Cosía cuisi rende la particella Chein vece di Comeinquesta maniera:


S'ioesca vivo de' dubbiosi scogli

earrive il mio exilio ad un bel fine

ch'i'sarei vago di voltar la vela


ciòèCosí esca io vivo delli scoglicome io sareivago di voltar la vela.



Sono Intrae Infra quello stessoche per abreviamento Trae Fra si dissero.Delle quali le due vagliono molto spesso quanto val Dentro:Infra li termini d'una picciola cellaAndarono infra mare eFra sé stesso cominciò a direSi mise tanto fra la selva;e la Intra alcunavolta altresí: Entrato in tra le ruine.Quantunque la Fra siastata presa talora eziandio in un altro sentimentoche si disse dalmedesimo Boccaccio: Fra qui ad otto díin vece di dire: Di qui ad otto dí;quasi dicesse: Fra otto dí.Ma la particella Trala quale s'è alle volte posta latinamenteInterrompereInterdetto nel verso eIntervenuto Interponendosinelle proseè tale volta che vale quanto vale In:Giovan Villani: I quali mandarono in Lombardia millecavalieri tra due volte; e ilBoccaccio: Sí come coluiche da lei tra una volta ealtra aveva avuto quello che valeva ben trenta fiorin d'oro.Tuttavia ella si ponein quel primo sentimentoeziandio molte voltecon piú d'una voce: Tra te e meGran pezza stette tra pietoso e pauroso.Ponsi nondimeno con piú d'una voce ancoradi modo che ella unaltro sentimento ha: Sí che tra per l'una cosa e perl'altra io non volli star piú;e altrove: E già tra per lo gridare e per lopiagnere e per la paura e per lo lungo digiuno era sí vintoche piú avanti non potea.La qual particella pare che vaglia quanto suol valere la due volte o piú dettasí come sarebbe a dire: Síper questo e sí per quello.Dissesi oltre acciò da' molto antichi alcuna volta eziandio invece della Ocondizionalmente posta: E que' mi domandaro per la veritàdi cavalleriach'io dicessi qual fosse migliore cavaliere tra 'lbuon re Meliaduso 'l Cavaliere senza paura;e altrove: Li Romani tennero consiglio qual era meglio trache gli uomini avessero due moglio le donne duo mariti.Il che si vede eziandio in Danteche disse:


Lamia sorellache tra bella e buona

nonso qual fosse piú.


Etè ancora che Tra sidice alcun'altra voltain luogo di dir Tutto;sí come si disse dal Boccaccio: E in brievetra ciòche v'eranon valeva altro che dugento fiorini;ciò è tutto ciò che v'era.Questa medesima particella tuttaviaquando col verbo si congiugneella ora dalla Intrache la intera èsi toglieTraporre Tramettereche parimente Intrametteresi disse; ora dalla Translatinaa cui sempre si leva la NTrasporre Trasportare Trasformare Trasandareperciò che Translatoche disse il Petrarcaè latinamentenon toscanamente dettoe alcuna volta eziandio la STraboccare Trapelare Travagliarequando propriamente si diceTrafiggere.



Dassi al verbo alcuna voltaeziandio la Frache dalla Infra sitogliee fassene Frastornaree ciò è Adietro alcuna cosa tornarecon ciò sia cosa che ella non al verbo Tornaresi giugneanzi al verbo Stornareche quello stesso varrebbe se s'usasse a dire; sí come s'usaSgannare Sdebitare Scigneree molti nomi ancoraSmemorato Scostumato Spietatoe infiniti altrine' quali la lettera Smolto adopera in quanto al sentimento. Come che altri verbi e altrevoci sononelle quali la Snulla puòma giugnevisi e lasciavisi secondo che altrui giovadi fare: Traviare Trasviarel'una delle quali piú è del verso e l'altra piúdelle proseGuardo Sguardo;nella qual voce veder si può quanto diligente consideratoreeziandio delle minute cosestato sia il Petrarcaperciò cheogni volta che dinanzi ad essa nel verso avenivache esser vidovesse alcuna vocaleegli s'aggiugneva la Se diceva Sguardoperempiere di quel piú la sillaba:


Se'l dolce sguardo di costei m'ancide;


ognialtra volta che vera alcuna consonanteegli allo 'ncontro glieletoglievaaffine di levarne l'asprezza e far piú dolce lamedesima sillabae Guardodiceva continuo:


Fach'io riveggia il bel guardoch'un sole

fusopra 'l ghiaccioond'io solea gir carco.


Eciò medesimamente fece di Pintoe Spintoper quellerade volte che gli avenne di porle nelle sue canzonie d'altre. Sonopoi altre vocialle quali la Sche io dico raggiuntané quel molto né questo nulla sivede che può in loro. Puovvi nondimeno alquanto; sícome sono Spuntare Stendere Scorrere Sportatoe Sportoche disse ilBoccaccio e Sprovatoche in sentimento di Ben provatoGiovan Villani disse. E haccene eziandio alcunain cui la Sad un altro modo adopera. Con ciò sia cosa che molto diversosentimento hanno Pendee SpendeMortoe Smortola qual voceda Smorire si formache è Impallidireanticamente detto; e nel versoPaventareè aver paura e Spaventareè farla; la qual poi nelle prose vale quanto l'uno e l'altro eformasi dal nome Spaventolà dove Paventarenon par che abbia di che formarsiché Paventoper Paurasícome Spaventonon sipuò dire. Dassi a' verbi e ad altre vocioltre a questenonsolamente la Dischequello stesso opera che la Squando ella molto adoperae fassene Disama DisfaceDispregio Disonore e infinitealtre; ma ancora la Mische diminuimento e manchezza dimostrae formasene Misfareche è Peccare ecommettere alcun malecon ciò sia cosa che quando si fa menche benesi peccae Misagioche è Disagioda Giovan Villani dette; e Mispattoaltresí e Mislealee Miscredenza dettedal Boccaccio; e alcuna di queste da altri ancora piú antichie per aventura dell'altre.



Dicesi Quandoche sia Come che sia Che che siae vaglionol'una quanto vale A qualche tempoe l'altra quanto vale A qualche modoe dissesi alcuna volta ancora cosí: In che che modosi sia; la terza tanto èa direquanto Ciò che si vogliache si disse eziandio Che vuoledal Boccaccio nelle sue ballate:


Eche vuol se n'avenga.


Valeancora molto spesso quanto Alcuna cosa.Leggesioltre a questeuna cotal maniera di voci: Carponequello dimostranteche è l'andare co' piedi e con le manisícome sogliono fare i bambini che ancora non si reggonoformata dalloandar la terra carpendocioè prendendodal Petrarca detta; eBoccone e Rovescioneche sono l'una il cadere innanzidetta dallo andare a bocca chinaopure lo stare con la bocca in giúl'altra il cadere o starerovescio e supino; e Tentoneche è l'andare con le mani innanzi a guisa di ciecoo comeaviene quando altri è nel buiodetta dal tentare che si faper non percuotere in che che sia; e Brancoloneche è l'andare con le mani chinateabbracciando e pigliando;e Frugonefrugando estimolando; e Cavalcioneche è lo star sopra uomo o sopra altroalla guisa che si fasopra cavallo; e Ginocchioneche quello che ella vale assai per sé fa palese. Èoltre a queste Supinche disse Dante nel suo Infernoin vece di dire Supinamente:


Supingiaceva in terra alcuna gente.



Dicesi Forseche cosí si pose sempre dagli antichi. Forsiche poi s'è detta alcuna volta da quelli del nostro secolonon dissero essi giamai. E dicesi Per aventuraquello stesso. Gnaffeche disse il Boccaccio nelle sue novelleè parola del popoloné vale per altroche per un cominciamento di risposta e pervoce che dà principio e via alle altre. Sono alcune altrevocile qualiperciò che sono similmente voci in tutto delpopolorade volte si son dette dagli scrittori; sí come èMaiche disse ilBoccaccio: Mai frate il diavol ti ci reca;che tanto vale quanto Per Dioforse dal greco presa e per abbreviamento cosí dettae ponsipiú spesso col e col No che conaltropiú per uno uso cosí fattoche per voler direPer Dio sí oPer Dio nocome chela voce il vaglia. Altro vale la Maiche disse Dante piú voltesempre ponendoia con la Che:


Iovedea lei; ma non vedea in essa

maiche le bolleche 'l bollor levava


ealtrove:


Laspada di qua su non taglia in fretta

nétardomai ch'al parer di colui

chedesiando o temendo l'aspetta;


perciòche queste due particelle Mai chele quali dal medesimo poeta si dissero alcuna volta Ma'chevagliono come vale Salvoche o Se nono simil cosa. E sí come è Fadallui similmente una volta posta in queste medesime prose: Fatruova la borsavoce d'invito eda sollecitare altrui a fare alcuna cosache ora si dice Supiú comunemente. Quantunque ella alcuna volta vale altroconciò sia cosa che Fatti con Diotanto a dire è quanto Rimanti con Dio.È oltre acciò Bacovoce che si dice a bambini per far loro paurapure dal Boccaccionella novella di messer Torello detta: Veggiamchi t'hafatto baco e ancora nel suoCorbaccio: Quivisecondo che tu puoi aver vedutocon suomantel nero in capoe secondo che ella vuole che si creda per onestàmolto davanti agli occhi tiratova facendo baco baco a chi lascontra.



Sono oltre acciò alcunevociche si dicono compiutamente due voltesí come si dice Apena a pena e A puntoa puntoche poco altro vale chequel medesimole quali si son dette poeticamente e provenzalmenteperciò che io a messer Federigo do intera fedeancora cosíA randa a randanonsolo da Dantema da altri Toscani ancora; e come A mano amanoche vale quanto Appressoe quanto Incontanentee similiquasi ella cosí congiunta quello di che si parlacome se egli con mano si toccasseo al tempo o al luogo che si diaquesta voceet è non meno del verso che delle prose; e comeVia viache valequello stessodico detta due volte; perciò che dettasolamente una volta cosíViaella vale quanto val Moltoparticella assai famigliare e del verso e delle prose; ma quested'una lettera la mutaronoViedicendolane. Vale ancora spessoquanto Fuori;o ponsi in segno di allontanamentoe in questo sentimento Viasi dice continuo; e alcuna volta quanto Avantio quanto Da o similecosasí come la fe' valere il Boccaccio che disse: Infinvie l'altr'iericiò èInfino avanti o Infindall'altr'ieri; e alcun'altra sipone in luogo di concessionee tanto a dir viene quanto Su:il medesimo Boccaccio: Via faccialevisi un letto talequale egli vi cape; eOrvia diangli di quello che va cercando;il che si dice medesimamenteOr Oltra Oltre.Ponsi ancoraoltre a tutto ciòViain vece di Fiate; ilche è ora in usanza del popolotra quelli che al numerare eal moltiplicare danno opera nel far delle ragioni. Quantunque Guittond'Arezzo in una sua canzone la ponesseSpesse viain luogo di Spesse fiatedicendo. E come Ad ora ad orache vale quanto Alle volteet è del versoe dicesi alcuna volta A otta a ottanelle prosenelle quali non mancò che ella ancora cosíOtta per vicendanonsi sia detta. E come è ancora Tratto trattoche vale anche ella quanto A mano a manoo vero quanto Ogni trattoe Ogni puntochedisse il Boccaccio: E parevagliTratto tratto che Scannadio si dovesse levar rittoe quiviscannar lui. E altre voci sonoche due volte si dicono per maggiore ispression del loro sentimentoe l'una volta si dicono mezze o tronchee l'altra intere; sícome Ben beneche èdelle prosee Pian pianoche pose il Petrarca nelle sue canzonie Tututtoin vece di Tutto tuttoche pose il Boccaccio nelle sue ballatein questi versi:


Ede' miei occhi tututto s'accese


eancora


Ecom'io socosí l'anima mia

tututtagli aproe ciò che 'l cuor desia;


ein altri suoi versi medesimamentee sopra tutto nella Teseide. Nésolo la pose ne' versima ancora nelle prose: I vicinicominciarono tututti a riprender Tofanoe a dare la colpa allui.Né cominciò tuttavia dal Boccaccio a dirsi Tuin vece di Tuttoperciò che cosí si dicea da' piú antichi; sícome si vede in Giovan Villaniche disse: La nottevegnente la Tussantiin vece didire la Tutti Santiciò è la solennità di tutti i Santi; voce usataa dirsi nella Franciae per aventura presa dallei. Et èquesta voce stata da loro dettasí come ora da' nostri uominisi dice Popoco; avegnache la voce Tututtosia piú tosto nome che altra particella del parlaresícome son l'altredelle quali io ora vi ragiono; anzi pure dellequali v'ho ragionatoperciò che a me non soviene ora piúin ciò che dirvi -.



Con le quali parole avendoGiuliano dato fine al suo ragionamentoegli da seder si levò;appresso al quale gli altri due parimente si levaronopartirvolendo. Ma mio fratelloche pensato avea di tenerli seco a cenaeaveala già fatta apparecchiarepartire non gli lasciòpregandogli a rimanervi. Onde essisenza molte disdettedi fare ciòche esso volea si contentarono. E messe le tavolee data l'acquaalle manitutti insieme lietamente cenarono. E poscia al fuoco peralquanto spazio dimoratisopra le ragionate cose per lo piúfavellandoe spezialmente messer Ercoleil quale agli altripromettea di volere al tutto far pruova se fatto gli venisse di saperscrivere volgarmenteessendo già buona parte della lunganotte passatagli tremio fratello lasciandonesi tornarono alleloro case.