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PietroBembo



RIME





Sonetto I


Piansi e cantai lo strazio e l'aspra guerra

Ch'i'ebbi a sostener molti e molti anni

Ela cagion di così lunghi affanni

Coseprima non mai vedute in terra.


Diveper cui s'apre Elicona e serra

Usefar a la morte illustri inganni

Dateallo stilche nacque de' miei danni

Viverquand'io sarò spento e sotterra.


Che potranno talor gli amanti accorti

Questerime leggendoal van desio

Ritoglierl'alme col mio duro exempio


E quella stradach'a buon fine porti

Scorgerda l'altree quanto adorar Dio

Solosi dee nel mondoch'è suo tempio.



Sonetto II


Ioche già vago e sciolto avea pensato

Viverquest'annie sì di ghiaccio armarme

Chefiamma non potesse omai scaldarme

Avampotutto e son preso e legato.


Giva solo per viaquando da lato

Donnascesa dal ciel vidi passarme

Eper mirarlaa pie mi cadder l'arme

Chetenendosarei forse campato.


Nacque ne l'alma insieme un fiero ardore

Chela consumae bella mano avinse

Cateneal collo adamantine e salde.


Tal per te sonoe non men pento

Amorepurché tu leiche sì m'accese e strinse

QualchepocoSignorleghi e riscalde.



Sonetto III


Sì come suolpoi che 'l verno aspro e rio

Partee dà loco a le stagion migliori

Giovenecervo uscir col giorno fuori

Delsolingo suo bosco almo natio


Et or su per un colleor lungo un rio

Girlontano da case e da pastori

Erbepascendo rugiadose e fiori

Ovunquepiù ne 'l porta il suo desio;


Né teme di saetta o d'altro inganno

Senon quand'egli è colto in mezzo 'l fianco

Dabuon arcierche di nascosto scocchi;


Tal io senza temer vicino affanno

Moss'ilpiede quel dìche i be' vostr'occhi

Me'mpiagarDonnatutto 'l lato manco.



Sonetto IV


Picciol cantorch'al mio verde soggiorno

Nontogli ancor le tue note dolenti

Benriconosco in te gli usati accenti

maioqual me n'andailassonon torno.


Alta virtute e bel sembiante adorno

Dierlo mio debil legno a fieri venti:

Tostoavrai tuchi suoi novi lamenti

Giungaagli antichi tuoi la notte e 'l giorno.


Già m'hai veduto a questo fido orrore

Venirco' miei pensieri amici appresso

Elietoet io di me vivea signore.


Or mi vedrai col mio nimico expresso

Efar de la mia pena cibo al core

Delciglio altrui sproni e freno a me stesso.



Sonetto V


Crin d'oro crespo e d'ambra tersa e pura

Ch'all'aurasu la neve ondeggi e vole

Occhisoavi e più chiari che 'l sole

Dafar giorno seren la notte oscura


Risoch'acqueta ogni aspra pena e dura

Rubinie perleond'escono parole

Sìdolcich'altro ben l'alma non vòle

Mand'avorioche i cor distringe e fura


Cantarche sembra d'armonia divina

Sennomaturo a la più verde etade

Leggiadrianon veduta unqua fra noi


Giunta a somma beltà somma onestade

Furl'esca del mio focoe sono in voi

Graziech'a poche il ciel largo destina.


Sonetto VI


Moderati desiriimmenso ardore

Spemevocecolor cangiati spesso

Vederove si miriun volto impresso

Eviver pur del ciboonde si more


Mostrar a duo begli occhi aperto il core

Farde le voglie altrui legge a se stesso

Conla lingua e lo stil lunge e da presso

Girprocacciando a la sua donna onore


Sdegni di vetroadamantina fede

Sofferenzalo schermo e di pensieri alti

Lostral e 'l segno opra divina


E meritar e non chieder mercede

Fanno'l mio statoe son cagion ch'io speri

Graziech'a pochi il ciel largo destina.



Sonetto VII


Poi ch'ogni ardir mi circonscrisse Amore

Queldìch'io posi nel suo regno il piede

Tantoch'altruinon pur chieder mercede

Mascoprir sol non oso il mio dolore


Avess'io almen d'un bel cristallo il core

Chequel ch'i' taccio e Madonna non vede

Del'interno mio malsenza altra fede

A'suoi begli occhi tralucesse fore;


Ch'io spererei de la pietate ancora

Vedertinta la neve di quel volto

Che'l mio sì spesso bagna e discolora.


Or che questo non hoquello m'è tolto

Temonon voglia il mio Signorch'io mora:

Lamedicina è pocail languir molto.



Sonetto VIII


Ch'io scriva di costeiben m'hai tu detto

PiùvolteAmor; ma ciòlassoche vale?

Nonho né spero aver da salir ale

Terrenoincarco a sì celeste obietto.


- Ella ti scorgerách'ogni imperfetto

Destaa virtutee di stil fosco e frale

Potràper grazia far chiaro immortale

Dandogliforma da sì bel suggetto.


Forse non degna me di tanto onore;

Anzinessun; pur se ti fidi in noi;

Esserpuòch'arco in van sempre non scocchi.


Ma che diròSignorprima? che poi?

Quelch'io t'ho già di lei scritto nel core;

Equelche leggerai ne' suoi begli occhi.


Sonetto IX


Di que' bei crinche tanto più sempre amo

Quantomaggior rnio mal nasce da loro

Scioltoera il nodoche del bel tesoro

M'ascondequelch'io più di mirar bramo;


E 'l corche 'ndarno or lasso a me richiamo

Volòsubitamente in quel dolce oro

Efe' come augellin tra verde alloro

Ch'asuo diletto va di ramo in ramo.


Quando ecco due man belle oltra misura

Raccogliendole treccie al collo sparse

strinservidentro luiche v'era involto.


Gridai ben ioma le voci fe' scarse

Ilsangueche gelò per la paura:

Intantoil cor mi fu legato e tolto.



Sonetto X


Usato di mirar forma terrena

Quest'anniadietro e torbido splendore

Vidila frontedi celeste onore

Segnatae più che sol puro serena.


Corsemi un caldo allor di vena in vena

Dolceet acerbo e passò dentro al core

Delqual poi vissicome volle Amore

Ch'orpace e gioiaor mi dà guerra e pena.


La pena è solama la gioia mista

D'alcuntormento sempree quella pace

Pocosecuraonde mia vita è trista.


E 'l divin chiaro sguardo sì mi piace

Ch'ioritorno a perir de la sua vista

Comefarfallaal lume che la sface.



Sonetto XI


Ove romita e stanca si sedea

Quellain cui sparse ogni suo don natura

GuidommiAmore fu ben mia ventura

Chepiù felice farmi non potea.


Raccolta in séco' suoi pensier parea

Ch'ellaparlasse; ond'ioche tema e cura

Nonho mai d'altroa guisa d'uomi che fura

Dipaura e di speme tutto ardea.


E tanto in quel sembiante ella mi piacque

Chepoi per meraviglia oltre pensando

Infinitadolcezza al cor mi nacque;


E crebbe allor che 'l bel fianco girando

Mividee tinse il visoe poi non tacque

Tupur qui se'ch'io non so comeo quando.



Sonetto XII


Amorche meco in quest'ombre ti stavi

Mirandonel bel viso di costei

Queldì che volentier detto l'avrei

Lemie ragionma tu mi spaventavi


Ecco l'erbettae i fior lieti e soavi

Chepreser nel passar vigor da lei

E'l cielch'acceser que' begli occhi rei

Chetengon del mio petto ambe le chiavi.


Ecco ove giunse prima e poi s'assise

Ovene scorseove chinò le ciglia

Oveparlò Madonnaove sorrise.


Qui come suoichi se stesso consiglia

Stettepensosa: o sue belle divise

Comem'avete pien di meraviglia!



Sonetto XIII


Occhi leggiadrionde sovente Amore

Movelo stralche la mia vita impiaga

Crespodorato crinche fai sì vaga

L'altruibellezza e 'l mio foco maggiore


E voiman preste a distenermi 'l core

Epiù profonda far la mortal piaga

Sedel vedervi sol l'alma s'appaga

Perchésì rado vi mostrate fore?


Non ti doler di noiche ne convene

Seguirle voglie de la donna nostra:

Dìquesto a leiche 'n tal guisa ne tene.


Pur potess'io; ma con la vista vostra

M'abbagliasìch'a forza le mie pene

Obliotutteov'ella mi si mostra.


SonettoXIV


Portose 'l valor vostro arme e perigli

Guerreggiandopiegâr né mica unquanco

EMarte v'ha tra' suoi più cari figli

Difendervid'Amor non potrete anco.


Non vaiperch'uom di ferro il petto e 'l fianco

Sicoprae spada in mano o lancia pigli

Conluiche spesso Giove e tutto stanco

Ha'l cielnon ch'ei qua giù turbe e scompigli.


Più gioverà mostrarvi umile e piano

evolontariamente preso andarne

com'hofatt'ioche contrastar in vano.


Anzi pregatepoi ch'egli ha in sua mano

Nostravitané pote altro salvarne

Vidoni a cor non da pietà lontano.



Canzone I (XV)


Tutto quel che felice et infelice

Viveròper inanzia voi si scriva

Delmio bene e mal sola radice

Fonteonde 'l mio stato si deriva:

Chetante cose Amor di voi mi dice

Tantene leggon le mie fide scorte

Negliocchiond'è la face sua più viva;

Ch'i'voglio anzi per voi tormento e morte

Cheviver e gioir in altra sorte.



Canzone II: (XVI)


La mia leggiadra e candida angioletta

Cantandoa par de le Sirene antiche

Conaltre d'onestade e pregio amiche

Sedersia l'ombra in grembo de l'erbetta

Vid'iopien di spavento:

Perch'essermi parea pur su nel cielo

Taldi dolcezza velo

Avoltoavea quel punto agli occhi miei.

Egià dicev'io meco: o stelleo dei

Osoave concento!

Quand'im'accorsi ch'ell'eran donzelle

Lietesecure e belle.

Amoreio non mi pento

D'esserferito de la tua saetta

S'untuo sì picciol ben tanto diletta.



Canzone III (XVII)


Or che non s'odon per le fronde i venti

Nési vede altro che le stelle e 'l cielo

Poiche scampo non ho dal mio bel sole

Senon quest'undel suo celeste lume

Convench'io parlie come foco e ghiaccio

Fadi me spesso fuor d'usanza e tempo.


Forse fia questo aventuroso tempo

Ale mie vocie gli amorosi venti

Ch'iomovo di sospiri al duro ghiaccio

Farandel mio languir pietate al cielo:

AMadonna non giàche tanto lume

Ale tenebre mie non porta il sole.


Or dico che di mesì come il sole

Mutagirando le stagioni e 'l tempo

Fal'altero fatal mio vivo lume:

Ch'orprovo in me serenoor nubeor venti

Orpioggiee spesso nel più freddo cielo

Sonfoco e nel più caldo neve e ghiaccio.


Foco son di desiodi tema ghiaccio

Qualorsi mostra agli occhi miei quel sole

Ch'abbagliapiù che l'altroch'è su in cielo:

Serenla pace e nubiloso tempo

Sonl'ire e 'l pianto pioggiai sospir venti

Chemove spesso in me l'amato lume.


Così sol per virtù di questo lume

Vivendoho già passato il caldo e 'l ghiaccio

Senzatemer che forza d'altri venti

Turbasseun raggio mai di sì bel sole

Perchinar pioggia o menar fosco tempo

Graziae mercé del mio benigno cielo.


E prima fia di stelle ignudo il cielo

E'l giorno andrà senza l'usato lume

Ch'iomuti stile o volontà per tempo;

Néspero già scaldar quel cor di ghiaccio

Perprovar tantoai raggi del mio sole

Focogeloserennubeacque e venti.


Quanto soffiano i venti e volge il cielo

Nonvide il sol giamai si chiaro lume

Purche 'l ghiaccio scacciasse un caldo tempo.



Canzone IV (XVIII)


Amor la tua virtute

Nonè dal mondo e dalla gente intesa:

Cheda viltate offesa

Seguesuo dannoe fugge sua salute.

Mase fosser tra noi ben conosciute

L'opretuecome là dove risplende

Piùdel tuo raggio puro;

Cammindiritto e securo

Prenderianostra vitache no 'l prende

Etornerian con la prima beltade

Glianni dell'oroe la felice etade.



Canzone V (XIX).


Come si converriade' vostri onori

S'ionon cantoMadonnae non ragiono

Benme ne dee venir da voi perdono:

Cheda la chiara e gran virtute vostra

Ch'èquasi un solch'ogni altro lume adombra

Eda quella celeste alma beltade

Cuipar non vide o questa od altra etade

Quand'iovo per ritrarle

Taldilettoe sì novo a me si mostra

Chel'alma in tanto resta vinta e sgombra

Disapere lo stil non può formarle

Ch'alver non sian pur come sogno et ombra;

Senon in quanto a voi fan puro dono

Dela mia fede e testimon ne sono.



SonettoXV (XX)


O imagine mia celeste e pura

Chesplendi più che 'l sole agli occhi miei

Emi rassembri 'l volto di colei

Chescolpita ho nel cor con maggior cura


Credo che 'l mio Bellin con la figura

T'abbiadato il costume anco di lei

Chem'ardis'io ti miroe per te sei

Freddosmaltoa cui giunse alta ventura.


E come donna in vista dolceumile

Benmostri tu pietà del mio tormento;

Poise mercè ten pregonon rispondi.


In questo hai tu di lei men fero stile

Néspargi sì le mie speranze al vento

Ch'almenquand'io ti cerconon t'ascondi.



SonettoXVI ( XXI)


Son questi quei begli occhiin cui mirando

senzadifesa far perdei me stesso?

Èquesto quel bel ciglioa cui sì spesso

invandel mio languir mercé dimando?


Son queste quelle chiomeche legando

vannoil mio corsì ch'ei ne more espresso?

Ovoltoche mi stai ne l'alma impresso

perch'ioviva di me mai sempre in bando


parmi veder ne la tua fronte Amore

tenersuo maggior seggioe d'una parte

volarspemepiacertema e dolore;


da l'altraquasi stelle in ciel consparte

quincie quindi apparir sennovalore

bellezzaleggiadrianatura ed arte.



SonettoXVII (XXII)


Gravesaggiocortesealto signore

Lumedi questa nostra oscura etate

Chedesti 'l mondo e 'l chiami in libertate

Daservitutee nel suo antico onore


Solo refugio in così lungo errore

Dele nove sorelle abandonate

Figliuoldi Gioveamico d'onestate

Percui 'l ben vive e 'l mal si strugge e more


O Ercoleche travagliando vai

Perlo nostro riposoe 'n terra fama

E'n ciel fra gli altri Dei t'acquisti loco


Sgombra da te le gravi cure omai

Equa ne venove a diletto e gioco

L'erbail fiumegli augeil'aura ti chiama.



SonettoXVIII (XXIII)


Re degli altrisuperbo e sacro monte

Ch'Italiatutta imperioso parti

Eper mille contrade e più comparti

Lespalleil fianco e l'una e l'altra fronte;


De le mie voglie mal per me sì pronte

Vorisecando le non sane parti

Eraccogliendo i miei pensieri sparti

Sullitoa cui vicin cadeo Fetonte:


Per appoggiarli al tuo sinistro corno

Làdove bagna il bel Metauro e dove

Valore cortesia fanno soggiorno;


E s'a prego mortal Febo si move

Tusarai 'l mio Parnasoe 'l crine intorno

Ancormi cingerai d'edere nove.



Sonetto XIX (XXIV)


Del ciboonde Lucrezia e l'altre han vita

Incui vera onestà mai non morio

L'unpasca il digiun vostro lungo e rio

Donnapiù che mortalsaggia e gradita.


L'altro la faccia bianca e sbigottita

Daltuonche qui sì grande si sentio

Depingacol liquor d'un alto oblio

Evi ritorni vaga e colorita.


E 'l terzo vi stia inanzi a tutte l'ore

Es'aven che Medusa a voi si mostri

Schermovi siache non s'impetre il core.


Per me si desti tanto il mio Signore

Ch'iotrovi loco in grembo a' pensier vostri

Talche 'nvidia non basti a trarmen fore.



Sonetto XX (XXV)


Tommasoi venniove l'un duce mauro

fecedel sangue suo vermiglio il piano

dimolti danni al buon popol romano

cuil'altro afflitto aveaprimo restauro.


Qui miro col piè vago il bel Metauro

girfra le piaggie or disdegnoso or piano

permille rivi giù di mano in mano

portandoal mar più ricco il suo tesauro.


Talor m'assido in su la verde riva

ementre di Madonna parlo o scrivo

adogni altro penser m'involo spesso.


Così con l'alma solitaria e schiva

assaitranquillo e riposato vivo

sprezzando'l mondoe molto più me stesso.



Canzone VI (XXVI).


Felice stella il mio viver sognava

Queldìch'inanzi a voi mi scorse Amore

Mostrandoa me di fore

Ilbenche dentro agli altri si celava

Intanto che 'l parlar fede non trova.

Maperché ragionando si rinova

L'altopiaceri dico che 'l mio core

Presoal primo apparir del vostro lume

L'anticosuo costume

Lasciandoincontro al dolce almo splendore

Simise vago a gir di raggio in raggio

Egiunse ove la luce terminava

Chegli diè albergo in mezzo al vivo ardore.

Manon si tenne pago a quel viaggio

L'arditoe fortunato peregrino;

Anziseguì tant'oltre il suo destino

Ch'ancorcercando più conforme stato

Ala primiera vitain ch'era usato

Passòper gli occhi dentro a poco a poco

Neldolce locoove 'l vostro si stava.


E queicome dicesse: io men vo

Giredritto colàdonde questi si parte;

Chéstando in altra parte

Quelinnocente ne potria perire;

Senvenne a me stranier cortese e fido.

Daindi in quacome in lor proprio nido

Spirandovita pur a l'altrui parte

Mecoil cor vostro e 'l mio con voi dimora.

Néloco mai né ora

Chegli altri amanti si spesso diparte

Edi vera pietade li depinge.

Pònoi un sol momento dipartire;

Contal ingegno Amorcon sì nov'arte

Fèla catenache ne lega e stringe.

Equanto in duo si sprezza o si desia

Èbisogno che sia

Sprezzatoe desiato parimente;

Chel'un per l'altro a se stesso consente.

Cosìsi prova in questa frale vita

Gioiainfinita senza alcun martire.



Canzone VII (XXVII)


Preso al primo apparir del vostro raggio

Ilcorche infin quel dì nulla mi tolse

Dame partendo a seguir voi si volse;

Ecome queiche trova in suo viaggio

Disusatopiacernon si ritenne

Chefu negli occhionde la luce uscia

Gridandoa queste parti Amor m'invia.

Inditanta baldanza appo voi prese

L'arditofuggitivo a poco a poco

Ch'ancorper suo destin lasciò quel loco

Dentropassando; e più oltra si stese

Che'n quello stato a lui non si convenne:

Finchèpoi giuntoov'era il vostro core

Secos'assisee più non parve fore.


Ma queicome 'l movesse un bel desire

Dinon star con altrui del regno a parte

Ofosse 'l cielche lo scorgesse in parte

Ov'altroSignor mai non devea gire;

Làonde mosse il miolieto sen venne:

Cosìcangiaro albergoe da quell'ora

Meco'l cor vostroe 'l mio con voi dimora.



Sonetto XXI (XXVIII)


De la gran querciache 'l bel Tebro adombra

Esceun ramoed ha tanto i cieli amici

Chegli onorati sette colli aprici

Etutto 'l fiume di vaghezza ingombra.


Questi m'è talche pur la sua dolce ombra

Farpote i giorni miei lieti e felici:

Edha sì nel mio cor le sue radici

Chené forza né tempo indi lo sgombra.


Pianta gentilne le cui sacre fronde

S'annidala mia speme e i miei desiri;

Tenon offenda mai caldo né gelo:


E tanto umor ti dian la terra e l'onde

El'aura intorno sì soave spiri

Chet'ergan sovr'ogni altra infino al cielo.



Sonetto XXII (XXIX)


Io ardodissie la risposta invano

Come'l gioco chiedealassocercai;

Ondetutto quel giorno e l'altro andai

Qualuomch'è fatto per gran doglia insano.


Poi che s'avidech'io potea lontano

Esserda quel penserpiù pia che mai

Verme volgendo de' begli occhi i rai

Miporse ignuda la sua bella mano.


Fredda era più che neve; né 'n quel punto

Scorsiil mio maltal di dolcezza velo

M'aveadinanzi ordito il mio desire.


Or ben mi trovo a duro passo giunto

Ches'i non erroin quella guisa dire

VolleMadonna a mecom'era un gelo.



Sonetto XXIII (XXX)


Viva mia nevee caro e dolce foco

Vedetecom'io agghiaccio e com'io avampo

Mentrequal ceraad or ad or mi stampo

Delvostro segnoe voi di ciò cal poco.


Se gite disdegnosatremoe loco

Nontrovo che m'ascondae non ho scampo

Dalgelo interno; se benigno lampo

Degliocchi vostri ha seco pace e gioco


Surge la spemee per le vene un caldo

Micorre al core sì forte l'infiamma

Comes'ei fosse pur di solfo e d'esca.


Né per questi contrari una sol dramma

Scemadel penser mio tenace e saldo

C'haben poi tantoonde s'avanzi e cresca.


Sonetto XXIV (XXXI)


Bella guerriera miaperché sì spesso

V'armateincontro a me d'ira e d'orgoglio;

Chein atti ed in parole a voi mi soglio

Portarsì reverente e sì dimesso?


Se picciol pro del mio gran danno espresso

Avoi torna o piacer del mio cordoglio

Nédi languir né di morir mi doglio

Ch'iovo solo per voi caro a me stesso.


Ma se con l'opreond'io mai non mi sazio

Esservi pò d'onor questa mia vita;

Dilei vi caglia e non ne fate strazio.


L'istoria vostra col mio stame ordita

Senon mi si darà più lungo spazio

Quasinel cominciar sarà finita.


Sonetto XXV (XXXII)


A questa fredda temaa questo ardente

Sperara questo tuo diletto e gioco

Aquesta pena Amorperché dai loco

Nelmio cor ad un tempoe sì sovente?


Ond'èch'un'alma fai lieta e dolente

Insiemespessoe tutta gelo e foco?

Staticontrari e tempreera a te poco

Seseparatamente uom prova e sente?


Risponde: - Voi non durereste in vita

Tantoè 'l mio amaroe 'l mio dolce mortale

Sen'aveste sol questao quella parte.


Confusimentre l'un con l'altro male

Contendee scemal di sua forza in parte

Quelche v'ancideria per sev'aita.


Sonetto XXVI (XXXIII)


Nei vostri sdegniaspra mia morte e viva

S'iopiango e sfogo in voci alte e dolenti;

Talvoi risguardo avete a' miei lamenti

Qualrapido torrente a letto o riva.


S'io taccio; l'almad'ogni speme priva

Bramache 'l nodo suo tosto s'allenti

Certache allor di voi le nostre genti

Ancisoil suo fedel mentre e' fioriva


Diranno; e già non sete voi si vostra

Com'ioda che primier vi scorsi e dissi:

Questaè lo specchio e 'l sol de l'età nostra.


E 'n tante carte poi lo sparsi e scrissi

Ches'a mia voglia ancor poco si mostra

Pursaprà ognunch'io mori' vostro e vissi.


Sonetto XXVII (XXXIV)


Sì come quando il ciel nube non ave

El'aura in poppa con soave forza spira

Senzaalternar di poggia e d'orza

Tuttalieta sen va spalmata nave;


E come poi che 'l tempestoso e grave

Velaremigovernoancore sforza

El'arte manca e 'l mar poggia e rinforza

Sentedubbio il suo stato e del fin pave


Tal ioda speme onesta e pura scorto

Assaimi tenni fortunato un tempo

Mentrenon m'ebbe la mia donna in ira;


E talor che mi sdegna a sì gran torto

L'almaoffesa da lei piagne e sospira

Chegir si vede a morte anzi 'l suo tempo.


Sonetto XXVIII (XXXV)


La mia fatal nemica è bella e cruda

COLAné so qual piùma cruda e bella

Quantoil sol caldo e chiaroe ben tal ella

Nelcor mi siedeche n'agghiacciae suda.


Già bella solo: or di pietà sì nuda

Insiemelassoe sì d'amor rubella

Chevedete tenor di fera stella

Temonon morte le mie luci chiuda


Prima ch'io scorga in quel bel viso un segno

Nondico di mercéma che le 'ncresca

Pursolamente del miostrazio indegno.


Felice voi già preso a più dolce esca

Cuimicidial di lei vaghezzao sdegno

Geloe foco ne l'alma non rinfresca.


Sonetto XXIX (XXXVI)


Mostrommi Amor da l'una parteov'era

Quantanon fu giamai fra noi né fia

Bellezzain sé raccolta e leggiadria

Epiano orgoglio ed umiltate altera:


Bramach'ogni viltà languisca e pera

Efiorisca onestate e cortesia:

Donnain opre crudelin vista pia;

Chedi nulla qua giù si fida o spera:


Da l'altra speme al ventoe tema invano

Fugaceallegrezzae fermi guai

Esimulato risoe pianti veri;


E scorno in su la frontee danno in mano:

Poidisse a me: seguacequei guerrieri

Equesto guiderdon tu meco avrai.


Canzone VIII (XXXVII)


Sì rubella d'amornè sì fugace

Nonpresse erba col piede;

Nèmosse fronda mai Ninfa con mano;

Nètreccia di fin oro aperse al vento;

Nèin drappo schietto care membra accolse

Donnasì vaga e bella; come questa

Dolcenemica mia.


Quelche nel mondoe più ch'altro mi spiace

Radevolte si vede

Fannoin costei pur sovra il corpo umano

Bellezzae castità dolce concento:

L'unami prese il corcome Amor volse;

L'altral'impiaga sì leggiadra e presta;

Ch'eila sua doglia oblia.


Sola in disparteov'ogni oltraggio ha pace

Rosao giglio non siede;

Chel'almanon gli assembri a mano a mano

Avvezzanel desioch'i serro dentro

Quelvago fiorcui par uom mai non colse:

Cosìl'appagae parte la molesta

Securalegiadria .


Caro Armellinch'innocente si giace

Vedendoal cor mi riede

Quelladel suo penser gentile e strano.

Bianchezzain cui mirar mai non mi pento:

Sìnovamente me da me disciolse

Lavera maga miache di rubesta

Cangiaogni voglia in pia.


Bel fiumeallor ch'ogni ghiaccio si sface

Tantafalda non diede

Quantaspande dal ciglio altero e piano

Dolcezzache può far altrui contento

Ese dal dritto corso unqua non tolse:

Nèmai s'inlaga mar senza tempesta

Chesì tranquillo sia.


Come si spegne poco accesa face

Segran vento la fiede;

Similementeogni piacer men sano

Vaghezzain lei sol d'onestate ha spento.

Ofortunato il veloin cui s'avvolse

L'animasagae leich'ogni altra vesta

Menle si convenia.


Questa vita per altro a me non piace

Cheper leisua mercede;

Percui sola dal vulgo m'allontano;

Ch'avvezzal'alma a gir là 'v'io la sento;

Sìch'ella altrove mai orma non volse;

Epiù s'invagaquanto men s'arresta

Perla solinga via.


Dolce delfinche così gir la face:

Dolcidei mio cor prede;

Ch'altruisì prestoa me '1 fan sì lontano

Asprezzadolcemio dolce tormento:

Dolcemiracolche vedcr non suolse:

Dolceogni piagache per voi mi resta

Beatacompagnia.


Quanto Amor vagapar beltate onesta

Nonfu giammainè fia.


Capitolo I (XXXVIII)


Amor èdonne careun vano e fello

Cercandonel suo danno util soggiorno

Altruifedelea sé farsi rubello:

Un desiarch'in aspettando un giorno

Neporta gli anni e poi fugge com'ombra;

Nélascia altro di seche doglia e scorno;

Un falso imaginarche sì ne ingombra

Ordi tema or di speme e strugge e pasce

Chedel vero saper l'alma ne sgombra:

Un benche le più volte more in fasce;

Unmalche vive sempre ese per sorte

TAllorl'ancidipiù grave rinasce:

Un agli amici suoi chiuder le porte

Delcorfidando al nemico la chiave

Efar i sensi a la ragione scorte;

Un cibo amaroe sostegno aspro e grave;

Undigiun dolcee peso molle e leve

Ungioir duroe tormentar soave:

Un dinanzi al suo foco esser di neve

Etutto in fiamma andar sendo in disparte;

Epensar lungoe parlar tronco e breve;

Un consumarsi dentro a parte a parte

Mostrandoaltrui di for diletto e gioia

Erider fintoe lagrimar senz'arte;

Unperché mille volte il dì si moia

Noncercar altra sorte e gir contento

Ala sua ferma e disperata noia:

Un cacciar tigri a passo infermo e lento

Edar semi a l'arenae pur col mare

Pratirigare nutrir fiori al vento:

Le guerre spesse averle paci rare

Lavittoria dubbiosail perder certo;

Lalibertate a ville pregion care;

L'entrar precipitosoe l'uscir erto

Pigroil patti servarpronto il fallire

Dipoco mel molto assenzio coperto

E 'n altrui vivoin se stesso morire.


Canzone IX (XXXIX)


Quanto alma è più gentile

Donnad'Amor e miatanto raccoglie

Piùlietamente onesto servo umile.

Perché se 'l Toscoche di Laura scrisse

Venreverente a far con voi soggiorno

Dolcevi prove piùche non provo io.

Forseleggendo come sempre e' visse

Piùfermo in amar lei di giorno in giorno

Direte:ben è tale il fedel mio.

Basso pensero o vile

Nonscorgerete in luima sante voglie

Sparsein leggiadro ed onorato stile.


Sonetto XXX (XL.)


Siccome sola scalda la gran luce

Eveste 'l mondo e sola in lui risplende;

Cosìnel penser mio sola riluce

Madonnae sol di se l'orna e raccende.


E qual il veloche la notte stende

Feboripiega e seco il dì conduce;

Talellai mali che la vita adduce

Sgombrandoal cor con ogni ben si rende.


Tanta grazia del ciel chi vede altrove?

Rivolgetescrittor famosi e saggi

Tuttein lodar costei le vostre prove.


Ma tuche vibri sì felici raggi

Miobel Pianetaonor di chi ti move

Nontôrre a l'alma i tuoi dolci viaggi.


Sonetto XXXI (XLI)


L'alta cagionche da principio diede

Ale cose create ordine e stato

Disposech'io v'amassie dielmi in fato

Perfar di se col mondo esempio e fede.


Che siccome virtù da lei procede

Che'l tempra e reggee come è sol beato

Acui per grazia il contemplarla è dato

Edessa è d'ogni affanno ampia mercede:


Così 'l sostegno mio da voi mi vene

Odin atti cortesi od in parole;

Esol felice sonquand'io vi miro.


Né maggior guiderdon de le mie pene

Possoaver di voi stessa: ond'io mi giro

Pursempre a voicome Elitropio al Sole.


Sonetto XXXII (XLII)


Verdeggi all'Appennin la fronte e 'l petto

D'odoratefelici Arabe fronde

Corralatte il Metauro; e le sue sponde

Copransmeraldie rena d'oro il letto.


Al desiato novo parto eletto

Dela lor donnaa cui foran seconde

Quanteprime fur maila terra e l'onde

Simostrin nel più vago e lieto aspetto.


Taccian per l'aere i ventie caldo o gelo

Comepriano 'l distempree tutti i lumi

Cheportan pace a noiraccenda il cielo.


D'alti pensierioneste e pure voglie

Lodatearticortesi e bei costumi

Sivesta il mondoe mai non se ne spoglie.


Sonetto XXXIII (XLIII)


O ben nato e feliceo primo frutto

Dele due nostre al ciel sì care piante:

Overgaal cui fiorirl'opere sante

Terrannoil mondo e 'l nostro secol tutto:


Queta l'antica temae 'l pianto asciutto

N'haitu nascendo per molt'anni avante;

Poiquando già potrai fermar le piante

Quelch'or non piacesarà spento in tutto.


Mira le genti stranee la raccolta

Schierade' tuoich'a prova onor ti fanno

Edel gran padre tuo le lode ascolta:


Che per tornar Italia in libertade

Sostienne l'arme grave e lungo affanno

Piend'un leggiadro sdegno e di pietade.


Sonetto XXXIV (XLIV)


Donnech'avete in man l'alto governo

Delcolle di Parnaso e de le valli

Checo' lor puri e liquidi cristalli

RigaIppocrene e 'l bel Permesso eterno;


Se mai non tolga a voi state né verno

Poterguidar cari amorosi balli;

Scrivetequesto su duri metalli

Chela vecchiezza e 'l tempo abbiano a scherno:


Nel mille cinquecento e dieci avea

Portatoa Marte il ventesimo giorno

Feboe de l'altro dì l'alba surgea


Quando al Signor de l'universo piacque

Fardi sì dolce pegno il mondo adorno

E'l chiaro FEDERICO a noi rinacque.


Sonetto XXXV (XLV)


Se dal più scaltro accorger delle genti

Portarcelato l'amoroso ardore

Inparte non rileva il tristo core

Néscema un sol di mille miei tormenti;


Sapess'io almen con sì pietosi accenti quel

Chedentro si chiudeaprir di fore;

Ch'undì vedessi in voi novo colore

Coprirle guancie al suon de' miei lamenti.


Ma si m'abbaglia il vostro altero lume

Ch'inanzia voi non so formar parola

Esto qual uom di spirto ignudo e casso.


Parlo poi mecoe gridoe largo fiume

Versoper gli occhi in qualche parte sola

Edolorche devria romper un sasso.


Sonetto XXXVI (XLVI)


Lasso meche ad un tempo e taccio e grido

Etemo e speroe mi rallegro e doglio:

Mestesso ad un Signor dono e ritoglio:

De'miei danni egualmente piango e rido.


Volo senz'ale e la mia scorta guido:

Nonho venti contrarie rompo in scoglio

Nemicod'umiltà non amo orgoglio:

Néd'altrui né di me molto mi fido.


Cerco fermar il Solearder la neve:

Ebramo libertatee corro al giogo

Difuor mi coproe son dentro percosso.


Caggioquand'io non ho chi mi rileve:

Quandonon giovale mie doglie sfogo:

Eper più non poter fo quant'io posso.


Sonetto XXXVII (XLVII)


Lassoch'i piangoe 'l mio gran duol non move

Tantopresente malquanto futuro;

Chese 'l tuo calleAmorè così duro

Chefia di meche non so gir altrove?


Poichè non valse alle tue fiamme nove

Ilghiaccioond'io credea viver securo;

Seil mio debile stato ben misuro

Certoi cadrò nelle seconde prove.


Che son sì stancoe tu più forte giungi:

Ondeassai temo di lasciar tra via

Questaancor verdee già lacera scorza.


Sostien molta virtù noiosa e ria

SortetAllor; ma frale e vinta forza

Nonpuò grave martir portar da lungi.


Sonetto XXXVIII (XLVIII)


Cantai un tempoe se fu dolce il canto

Questomi taceròch'altri il sentiva;

Orè ben giunto ogni mia festa a riva;

Etogni mio piacer rivolto in pianto.


O fortunatochi raffrena in tanto

Ilsuo desioche riposato viva;

Diriposo e di pace il mio mi priva:

Cosìvach' in altrui pon fede tanto.


Miseroche sperava esser in via

Perdar amando assai felice esempio

Amilleche venisser dopo noi.


Or non lo spero; e quanto è grave ed empio

Ilmio dolorsaprallo il mondoe voi

Dipietate e d'amor nemica e mia.


Sonetto XXXIX (XLIX)


Correte fiumi alle vostre alte fonti:

Ondeal soffiar de' venti or vi fermate:

Abetie faggi il mar profondo amate:

Umidipesci e voi gli alpestri monti.


Né si porti depinta ne le fronti

Almapensieri e voglie inamorate:

Ardendo'l vernoagghiacci omai la state:

E'l Sol là oltreond'alzainchini e smonti.


Cosa non vada piùcome solea:

Poiche quel nodo è scioltoond'io fui preso:

Ch'altroche morte scioglier non devea.


Dolce mio statochi mi t'ha conteso?

Com'esserpuò quel ch'esser non potea?

Ocieloo terra! e so ch'io sono inteso.


Sonetto XL. (L.)


Or c'ho le mie fatiche tantee gli anni

Spesiin gradir Madonnae lei perduto

Senzamia colpae non m'hanno potuto

Levardi vita gli amorosi affanni;


Perché vaghezza tua più non m'inganni

Mondovano e fallaceio ti rifiuto

Pentitoassai d'averti unqua creduto

De'tuoi guadagni sazioe de' tuoi danni.


Che poi che di quel ben son privo e casso

Chesol vollie pregiai più che me stesso

Ognialtro bene in te dispregio e lasso.


Col monte e col suo bosco ombroso e spesso

CeleràCatria questo corpo lasso

Infin ch'uscir di lui mi sia concesso.


Sonetto XLI (LI)


Solingo augellose piangendo vai

Latua perduta dolce compagnia;

Mecone venche piango anco la mia:

Insemepotrem fare i nostri lai.


Ma tu la tua forse oggi troverai:

Iola mia quando? e tu pur tuttavia

Tistai nel verde; i fuggo indiove sia

Chimi conforte ad altroch'a trar guai.


Privo in tutto son io d'ogni mio bene

Enudo e grave e solo e peregrino

Vomisurando i campi e le mie pene.


Gli occhi bagnati portoe 'l viso chino

E'l cor in dogliae l'alma fuor di spene

Néd'aver cerco men fero destino.


Sonetto XLII (LII)


Dura strada a fornir ebbi dinanzi

Quandoda prima in voi le luci apersi:

Tantisol una vistae sì diversi

Esì gravi martir vien che m'avanzi.


Vissi quel dì per più non viveranzi

Permorir ciascun giornoe gli occhi fersi

Duofontie s'io dettai rime ne' versi

Tristinon lieti furcom'eran dianzi.


Nega un parlarun atto dolce umile

Ecorre al velo sìcome a siepe angue

Perorgoglio tAllor donna gentile.


Mirar sempre a diletto almache langue

Nullagià mai gradir servo non vile

Questoè le mani aver tinte di sangue.


Sonetto XLIII (LIII)


O per cui tante invan lagrime e 'nchiostro

Tantial vento sospiri e lode spargo

Nonch'Apollo mi sia cortese e largo

Diquelonde s'eterni il nome vostro;


Ma dicoche non oroo gemmeod ostro

Fercol pastor Ideo la donna d'Argo;

Nécon Giove e Giunone e gli occhi d'Argo;

Iofamosapassar al secol nostro;


E se mercé de' lor fidi scrittori

L'unasen va col pregio di beltade

L'altraebbe là sul Nilo altari e tempio;


Voi perché no' alcun segno di pietade

DarmitAllorch'io vinca il duro scempio

Equesta pennacome puòv'onori?


Sonetto XLIV (LIV)


Se vuoi ch'io torni sotto 'l fascio antico

Chetu legastiAmorforza disciolse

Esparso in parte un desir poi raccolse

Piùdi constanzia che di pace amico;


Rendimi il ricco sguardoonde mendico

Fuigran tempo: e qual pria ver me si volse

Madonnae 'l mio cor timido raccolse

Ingrembo al suo penser saggio e pudico;


Mirando a la sua fede ferma e pura

Ala mia grave e travagliata sorte

Dilor certa e pietosa or ne raccoglia.


Ma non la cange poi chiara od oscura

Vistadel cielche 'n sofferir gran doglia

Nonsarei piùSignorcome giàforte.


Sonetto XLV (LV)


Con la ragion nel suo bel vero involta

L'arditomio voler combatte spesso

Dispeme armato: e muovono con esso

Falsipensieri a larga schiera e folta.


Ivi se la vittoria erra tal volta

Nelprimo incontroe non si ferma espresso;

Hanper lo più gli assalti un fine stesso

Chela miglior si torna in fuga volta:


Allor senza sospetto il vano e folle

Dime trionfa a pieno arbitrioe parte

S'avanzain far le sue brame contente.


Ma tosto il cor doglioso e 'l petto molle

Glimostranquant'è il peggio assai sovente

Diquelche piaceaver alcuna parte.


Sonetto XLVI (LVI)


Questo infiammato e sospiroso core

Diduol traboccae gli occhi ognor più desti

Sonoal pianger: e l'alma i più molesti

Messiintroducee scaccia i lieti fore.


Antifonteche orando alto dolore

Neiturbati sedar già promettesti;

Vedendoor la mia penaben diresti

Chel'arte tua di lei fosse minore.


Ma tu sanavi queich'avean desire

Dilor salute; e molte afflitte menti

Forsequetò la tua leggiadra lingua.


Io son del mio mal vagoe del morire

Sarei:se non ch'i' temo a' miei tormenti

Apportifinee 'l grave incendio estingua.


Sonetto XLVII (LVII)


Spemeche gli occhi nostri veli e fasci

Sfrenie sferzi le voglie e l'ardimento;

Coted'amordi cure e di tormento

Ministra;che quetar mai non ne lasci;


Perché nel fondo del mio cor rinasci

S'iote n'ho svelta? e poi ch'io mi ripento

D'avera te creduto e 'l mio mal sento;

Perchédi tue promesse ancor mi pasci?


Vattene ai lieti e fortunati amanti:

Elor lusingaa lor porgi conforto

S'hanqualche dolci noie e dolci pianti.


Meco: e ben ha di ciò Madonna il torto:

Lelagrime son talie i dolor tanti

Ch'alpiù misero e tristo invidia porto.


Canzone X (LVIII)


Ben ho da maledir l'empio Signore

Ched'ogni mio penser vi fece obietto;

Equante voci in procurarvi onore

M'uscirda indi in qua giamai del petto;

Ei passisparsi voi seguendoe l'ore

Spesea vostr'uso più che a mio diletto;

E'l laccioond'io fui stretto

Quando'l ciel non potea d'altro legarme:

Poiche di tanta e così lunga fede

Ognior più grave oltraggio è la mercede.


Ahi quanto aven di quelloonde si dice:

Chisolca in litoperde l'opra e 'l tempo.

Ognifrutto si trae da la radice;

Manon aprono i fior tutti ad un tempo.

Giàfuch'io m'ebbi caroe gir felice

Speraisolo per voi tutto 'l mio tempo.

Nègiammai si per tempo

Aripensar di voi seppi destarme

NèFebo i suoi destrier si lento mosse

Che'l giorno al desir mio corto non fosse.


Or veggoe dirol chiaro in ciascun loco;

Oronon ogni cosa èche risplende.

Unparlar fintoun guardoun risoun gioco

Spessosenz'altro molti cori accende.

Malfachi tra duo parte onesto foco

Eme del vezzo suo nota e riprende:

Echi l'amico offende

Coprendosé con l'altrui scudo ed arme:

Echi per inalzar falso e protervo

Metteal fondo cortese e leal servo.


Alcun èche de' suoi più colti campi

Nonmiete altro che pruniassenso e tosco

Egente armataond'a gran pena scampi:

Altrisi perde in raro e picciol bosco:

Adaltrui vench'ad ogni tempo avvampi

Ealtri ha sempre il ciel turbato e fosco.

Nonsia del tutto losco

Chid'esser Argo a diveder vol darme.

Malsi conosce non provato amico:

Emal si cura morbo interno antico.


Ma sia che può: dopo 'l gelo ritorna

Larondinettae i brevi dì sen vanno;

Inogni selva egualmente soggiorna

Liberoaugello: e tal par grave danno

Chepoi via maggiormente a pro ne torna.

Ègran parte di gioia uscir d'affanno.

Piùche dorato scanno

Puòla stanchezza un bel cespo levarme:

Nèdi diletto i poggi e la verd'ombra

Menche logge e teatro il cor m'ingombra.


Poichè 'l suon taceè tolto a gran vergogna

Perbreve spazio ancora essere in danza.

Ebbigià per ben dire agra rampogna:

Oraltri in mal oprar se stesso avanza.

Odesidi lontano alta sampogna:

Enulla temechi non ha speranza.

Fuggirè buona usanza

S'uomnon è magoo non sa il forte carme;

Ferach'a rimirar dolce e soave

Lospirto e 'l dente ha venenoso e grave.


Di nessun danno mio molto mi doglio.

Godola buona sorte: e se la ria

M'assalei desir miei sparsi raccoglio;

Eme ricovro a la virtute mia.

Névostra pace piùné vostro orgoglio

Dalsuo dritto camin l'alma desvia.

Chivole in mar si stia

E'l legno suo di speme non disarme:

Ch'iodel mal posto tempo e studio accorto

Fuggoda l'onde ingratee prendo il porto.


Canzone XI (LIX)


O rossigniuolche 'n queste verdi fronde

Sovra'l fugace rio fermar ti suoli;

Eforse a qualche noia ora t'involi

Dolcecantando al suon de le roche onde;

Alternateco in note alte e profonde

Latua compagnae par che ti consoli.

Ameperch'io mi struggae pianto e duoli

Versiad ogni ornessun giamai risponde:

Nèdi mio danno si sospirao geme;

Ete s'un dolor preme

Puòristorar un altro piacer vivo:

Maio d'ogni mio ben son casso e privo.


Casso e privo son io d'ogni mio bene

Chese 'l portò lo mio avaro destino;

Ecome vedinudo e peregrino

Vomisurando i poggie le mie pene.

Bensaiche poche dolci ore serene

Veduteho nell'oscuro aspro cammino

Delviver mio; di cui fosse vicino

Ilfinche per mio mal unqua non vene;

Emi riserva a tenebre più nove.

Mase pietà ti move

Volatu làdove questo si vole;

Esciogli la tua lingua in tai parole:


A piè dell'alpiche parton Lamagna

Dalcampoch'ad Antenor non dispiacque;

Conle feree con gli arborie con l'acque

Adalta voce un uom d'amor si lagna.

Doloreil cibae di lagrime bagna

L'erbae le piaggiee da che pria li piacque

Penserdi voiquanto mai disse o tacque

Varimembrando: e 'n tanto ogni campagna

Empiedi gridiu' pur che 'l piè lo porte:

Esol desio di morte

Mostranegli occhi e 'n bocca ha 'l vostro nome

Giovaneancor al volto ed alle chiome.


Che parlio sventurato?

Acui ragioni? a che così ti sfaci?

Eperchè non più tosto piangie taci ?


Canzone XII (LX)


Quand'io penso al martire

Amorche tu mi dai gravoso e forte;

Corroper gire a morte

Cosìsperando i miei danni finire.


Ma poi ch'i' giungo al passo

Ch'ioporto in questo mar d'ogni tormento;

Tantopiacer ne sento

Chel'alma si rinforzaond'io no 'l passo.


Così 'l viver m'ancide:

Cosìla morte mi ritorna in vita:

Omiseria infinita

Chel'uno apportae l'altra non recide!


CANZONEXIII. (LXI.)


Che ti val saettarmis'io già fore

Escodi vitao niquitoso arcero?

Diquesta impresa tuapoi ch'io ne pero

Ate non pò venir più largo onore.

Tum'hai piagato il core

Amorferendo in guisa a parte a parte

Cheloco a nova piaga non può darte

Nèdi tuo stral sentir fresco dolore.

Chevuoi tu più da me? ripon giù l'arme:

Vedich'io moro: omai che puoi tu farme?


Canzone XIV (LXII)


Voi mi poneste in foco

Perfarmi anz'il mio dìdonna perire:

Eperchè questo mal vi parea poco

Colpianto raddoppiaste il mio languire.

Orio vi vo' ben dire;

Levatel'un martire:

Chedi due morti i non posso morire.


Perocchè dall'ardore

L'umorche ven dagli occhimi difende:

Eche 'l gran pianto non distempre il core

Facela fiammache l'asciuga e 'ncende.

Cosìquanto si prende

L'unmall'altro mi rende;

Egiova quello stessoche m'offende.


Che se tanto a voi piace

Vederin polve questa carne ardita

Chevostro e mio mal grado è sì vivace;

Perchèdarle giammai quelche l'aita?

Vostravoglia infinita

Sanala sua ferita:

Ond'iorimango in dolorosa vita.


E di voi non mi doglio

Quantod'Amorche questo vi comporte;

Anzidi mech'ancor non mi discioglio.

Mache poss'io? con leggi inique e torte

Amorregge sua corte.

Chivide mai tal sorte

Tenersiin vita un uom con doppia morte?


Sonetto XLVIII (LXIII)


Se 'l foco mio questa nevosa bruma

Nontempra; onde verràche sperar possa

Refrigerioal bollorche mi disossa

Nècal di ciò chi m'arde e mi consuma?


L'antica forzache qual leve piuma

SoprapposeOssa a PelioOlimpo ad Ossa

Nonfu d'amor e di pietà sì scossa:

Emarquando più freme irato e spuma


Non cura men le dolorose strida

Dela misera turbache si vede

Perirnel frale e già sdruscito legno


Ched ella i prieghi miei; dura mercede.

Macosì vachi per sua luce e guida

Prendebel ciglio e non cortese ingegno.


Sonetto XLIX (LXIV)


Se deste a la mia lingua tanta fede

Madonnaquanta al cor doglia e martiri;

Nongirian tutti al vento i miei sospiri

Nèsempre indarno chiederei mercede.


Ma 'l vostro duro orgoglioche non crede

Almio malperch'io parli ancora e spiri

Cagionsaràch'i miei brevi desiri

FiniscaMorteche già m'ode e vede.


E io ne prego lei e chi mi strinse

Nelforte nodoallor che prima in noi

Unsol piacer ben mille ragion vinse;


Che potrà sempre il mondo dir di voi:

Questafera e crudele a morte spinse

Unche l'amò via più che gli occhi suoi.


Sonetto L. (LXV)


Rime leggiadreche novellamente

Portastenel mio cor dolce veneno

Etu stil d'armoniadi grazia pieno

Com'ellache ti fa puro e lucente;


Vedetequanto in me veracemente

L'incendiocrescee la ragion ven meno:

Ese nel volto no 'l dimostro a pieno

Dentroè 'l mio mal più che di fuor possente.


Sappia ognunch'io vorrei ben farvi onore:

Talme ne spronae si devea per certo;

Lassoma che può far unche si more?


Era 'l sentier da se gravoso ed erto

Adir di voi: or tiemmi il gran dolore

D'ognialtro schivoe di me stesso incerto.


Sonetto LI (LXVI)


Coleiche guerra a' miei pensieri indice

Eio pur pace e null'altro le cheggio;

Rinforzandola spemeond'io vaneggio

Dolcemia vaga angelica beatrice;


Or in forma di Cignoor di Fenice

S'ioparloscrivopensovadoo seggio

M'èsempre inanzi; e lei sì bella veggio

Chepiacer d'altra vista non m'allice.


Per la viache 'l gran Tosco amando corse

Dicenon ir: che 'ndarno oggi si brama

Lavenache del suo bel lauro sorse.


Ma chi poria tacerquand'altri il chiama

Sìdolcemente? Amor mi spinse e torse:

Durose pungee durose richiama.


Sonetto LII (LXVII)


Se ne' monti Rifei sempre non piove;

Nèciascun giorno è 'l mar Egeo turbato;

Nèl'Ebro o l'Istro o la Tana gelato;

NèBorea i faggi ognior sferza e commove:


Voi perché pur mai sempre di più nove

Lagrimeavete il bel volto bagnato?

Nèparteo torna Solche l'ostinato

Piantocon voi non lasci e non ritrove?


Il Signorche piangete e morte ha tolto

Ridedel mondo e dice: or di me vive

Ilmeglioe 'l piùche dianzi era sepolto.


Ma tu di pace a che per me ti prive

Omia Fedelche 'n pace alta raccolto

Godofra l'alme benedette e dive?


Sonetto LIII (LXVIII)


Certo ben mi poss'io dir pago ornai

D'ognituo oltraggioAmor: e s'a colparte

Distretto'l verso o le prose consparte

Hopur talora; or me ne pento assai.


Che le noteonde tu ricco mi fai

Diquellache dal vulgo mi diparte

Ancormai non veduta; e scorge in parte

Ovetu scorto pochio nessun hai;


Son taliche quetar ben mille offesi

Possonoe di mille alme scacciar fora

Desirvilie 'ngombrar d'alti e cortesi.


Pensar quinci si puòqual fia quell'ora

Ch'i'vedrò gli occhich'or mi son contesi

Ela voce udiròche Brescia onora.


Sonetto LIV (LXIX)


O d'ogni mio penser ultimo segno

Vergineveramente unica e sola

Dicui più caro e prezioso pegno

Amornon haquanto saetta e vola;


Di quella chiara fronteche m'invola

Giàpur pensandoe 'n parte è 'l mio sostegno;

Diquel bel ragionar pien d'alto ingegno

Vedròmai raggioudirò mai parola?


Quando ebbe più tal mostro umana vita;

Bellezzenon vedute arder un core

E'mpiagarlo armonia non anco udita?


Lassonon so; ma poi che 'l face Amore

Là'nd'i ho già l'alma accesaonde ferita

Pongapietàquanto ha 'l ciel posto onore.


Stanza (LXX)


Qual meravigliase repente sorse

DelVolgar nostro in te si largo fonte

Strozzamio caro; a cui del Latin forse

Venapar non bagnava il sacro monte?

Sìrara donna in vita al cor ti corse

Pertrarne fuor rime leggiadre e conte

Cheporia delle nevi accender foco

Edi Stige versar diletto e gioco.




Sonetto LV (LXXI)


LIETA e chiusa contradaov'io m'involo

Alvulgoe meco vivo e meco albergo

Chimi t'invidiaor ch'i Gemelli a tergo

Lasciandoscalda Febo il nostro polo?


Rade volte in te sento iranè duolo

Nègli occhi al ciel sì spesso e le voglie ergo;

Nètante carte altrove aduno e vergo

Perlevarmi talors'io possoa volo.


Quanto sia dolce un solitario stato

Tum'insegnastie quanto aver la mente

Dicure scarcae di sospetti sgombra.


O cara selva e fiumicello amato

Cangiarpotess'io il mar e 'l lito ardente

Conle vostre fredd'acque e la verd'ombra.


Sonetto LVI (LXXII)


NE' tigre se vedendo orbata e sola

Corresì leve dietro al caro pegno;

Nèd'arco stral va sì veloce al segno

Comela nostra vita al suo fin vola.


Ma poiGASPARRO mioche pur s'invola

Talora morte un pellegrino ingegno;

Fatesia contra lei vostro ritegno

Quelch'Amor v'insegnò ne la sua scola;


Spiegando in rime nove antico foco

Ei doni di coleicelesti e rari

Chetemprò con piacer le vostre doglie;


Tal che poi sempre ogni abitato loco

Parlid'ambo duo voinè gli anni avari

Sene portin giamai più che le spoglie.


Sonetto LVII (LXXIII)


Almase stata fossi a pieno accorta

Quandocademmo a l'amorosa impresa

Nonti saresti così tosto resa

Aque' begli occhie crudiche t'han morta.


Io fui dal novo e gran diletto scorta

Eda la luce inusitata offesa;

Manon erano già la tua difesa

Sospirie guancia sbigottita e smorta.


Altro non si poteafuor che piangendo

Chiedermercé: questo fec'io dappoi

Sempre;nè men però languisco ed ardo.


Gir devevi lontan dai guerrier tuoi

Stoltoe non sofferir più d'uno sguardo:

Chenon si vince Amorse non fuggendo.


Sonetto LVIII (LXXIV)


Colamentre voi sete in fresca parte

Adove il chiaro e gran Benaco stagna;

Quidentro m'ardee spesso di fuor bagna

Amorche mai da me non si diparte:


E la mia donnach'ogni studio ed arte

Hadi natura in sésì mi scompagna

D'ognialtro obiettoche talor si lagna

Delsonno il corche sol da se la parte.


Così conven ch'io pensie parlie scriva

Quelch'un bel viso ad or ad or m'insegna:

E'n focoe 'n piantoe come ei vuolmi viva:


Perché veggiate in mesiccome avegna

Diquelche Roma ne' teatri udiva

Cheragion e consiglio Amor non degna.


Sonetto LIX (LXXV)


Poichè 'l vostr'alto ingegnoe quel celeste

Ragionare tacer pudico e saggio

Dafar cortese un uom fero e selvaggio

Ei leggiadri attie l'accoglienze oneste


Vi rendon tanto spazio sopra queste

Formeumane escellentich'io non aggio

Stileda colorir ben picciol raggio

Dele virtuti al vostro animo preste;


Se vi s'arroge il corpoin cui beltade

Poserquanta pon darbenigne stelle;

Conquali rime assai potrò lodarvi?


O de le meraviglie a nostra etade

Lamaggior di gran lungain onorarvi

Sistancherian le tre lingue più belle.


Sonetto LX (LXXVI)


Se 'n dir la vostra angelica bellezza

Neveorperlerubindue stelleun Sole

Subbiettoabondae mancano parole

Achi sua fama e veritate apprezza;


Quai versi agguaglieran l'alta dolcezza

Ch'ogniavaro intelletto appagar sole

Dichi v'ascoltae l'altre tante e sole

Dotide l'almae sua tanta ricchezza?


Coluiche nacque in su la riva d'Arno

Efece a Laura onor con la sua penna

Direbbea se: tu qui giugner non puoi.


Perché se questo stile solo accenna

Noncompie l'opra e ne fa pruova indarno

Ilmio difetto venDonnada voi.


Canzone XV (LXXVII)


Non si vedrà giammai stancanè sazia

Questamia penaAmore

DirendertiSignore

Deltuo cotanto onore alcuna grazia:

Acui pensando volentier si spazia

Perla memoria il core

Evede 'l tuo valore:

Ond'eiprende vigoree te ringrazia.


Amor da te conosco quelch'io sono

Tuprimo mi levasti

Daterrae 'n cielo alzasti;

Eal mio dir donasti un dolce suono:

Etu coleidi ch'io sempre ragiono

Agliocchi miei mostrasti;

Edentro al cor mandasti

Pensierleggiadri e castialtero dono.


Tu se' la tua mercè cagion ch'io viva

Indolce foco ardendo;

Dalquale ogni ben prendo

Dispeme il cor pascendo onesta e viva:

Ese giammai verràch'io giunga a riva

Là've 'l mio volo stendo;

Quantopiacer n'attendo

Piùtosto no 'l comprendoch'io lo scriva.


Vita gioiosa e cara

Chida te non l'imparaAmornon ave.


Canzone XVI (LXXVIII)


Gioia m'abbonda al cor tanta e sì pura

Tostoche la mia donna scorgo e miro

Che'n un momento ad ogni aspro martiro

Inch'ei giacesselo ritoglie e fura:

Es'io potessi un dì per mia ventura

Questedue luci desiose in lei

Fermarquant'io vorrei;

Sunel ciel non è spirto sì beato

Conch'io cangiassi il mio felice stato.


Dall'altra parte un suo ben leve sdegno

Disì duri pensier mi copre e 'ngombra

Chese durassepoca polve ed ombra

Fariadi menè poria umano ingegno

Trovaral viver mio scampoo ritegno:

Esel trovassenon si prova e sente

Penagiù nel dolente

Cerchiodi Stigee 'n quello eterno foco

Cheposta col mio mal non fosse un gioco.


Nè fia per tutto ciòche quella voglia

Checon sì forte laccio il cor mi strinse

Quandoprimieramente Amor lo vinse

Rallentiil nodo suonon pur discioglia;

Mentrein piè si terrà questa mia spoglia:

Chela radiceonde 'l mio dolor nasce

Inguisa nutre e pasce

L'animache di lui mai non mi pento:

Anzison di languir sempre contento.


Canzone vo' ben dir cotanto avanti;

Fratutti i lieti amanti

Quantodolce in mill'anni Amor comparte

Delmio amaro non vai la minor parte.


Canzone XVII (LXXIX)


A quai sembianze Amor Madonna agguaglia

Diròsenza mentire;

Purch'altri non s'adire

O'n mercede appo lei questo mi vaglia.

Unsasso è forte sìche non s'intaglia;

Altroper sua natura

Empiee giamai non sazia occhioche 'l miri.

Cosìcontenti lascia i miei desiri

Sazinon giàdi quella petra dura

Ched'ogni oltraggio uman vive secura

Ladolce vista angelica beatrice

Dela mia vitae d'ogni ben radice.


Là dove 'l sol più tardo a noi s'adombra

Unvento si diparte

Loqual in ogni parte

Iboschi al suo spirar di fronde ingombra

Chela fredda stagion dai rami sgombra.

Cosìdello mio core

Ch'èselva di pensieri ombrosa e folta

Quand'ognipaceogni dolcezza è tolta

Peròche sempre non consente Amore

Ch'unuom per ben servir mieta dolore;

Delsuo dolce parlar lo spirto e l'aura

Subitamenteogni mio mal restaura.


Nasce bella sovente in ciascun loco

Unapianta gentile

Cheper antico stile

Sempresi volge in ver l'eterno foco.

Orpoi che mia ventura a poco a poco

Tantoinnanzi mi chiama;

Faròquasi fanciulche teme e vole:

Comequel verde si rivolge al sole

Elui sol cercae riverisceed ama;

S'iopotessi adempir l'antica brama

Similementeed io sempre ameria

L'altosplendorla dolce fiamma mia.


CXVIII (LXXX)ANZONE


Se 'l pensierche m'ingombra

Com'èdolce e soave

Nelcorcosì venisse in quelle rime;

L'animasaria sgombra

Delpesoond'ella è grave

Edesse ultime vanch'anderian prime:

Amorpiù forti lime

Useriasovra 'l fianco

Dichi n'udisce il suono:

Ioche fra gli altri sono

Quasiaugello di selva oscuro umile

Andreicigno gentile

Poggiandoper lo ciel canoro e bianco:

Efora il mio bel nido

Dipiù famoso ed onorato grido.


Ma non eran le stelle

Quandoa solcar quest'onda

Primierentraidisposte a tanto alzarme

Cheperchè Amor favelle

EMadonna risponda

Làdove piú non puote altro passarme:

S'iovoglio poi sfogarme;

Sìdolce è quel concento

Chela lingua nol segue

Epar che sì dilegue

Locor nel cominciar delle parole:

Nègiammai neve a Sole

Sparvecosìcom'io strugger mi sento

Talch'io rimango spesso

Com'uomche vive in dubbio di se stesso.


Legge proterva e dura

S'adir mi sferza e punge

Quelond'io vivo; or chi mi tene a freno?

Es'ella oltra mia cura

Dalmondo mi disgiunge

Chimi dà poi lo stil pigro e terreno?

Benposson venir meno

Torrifondate e salde:

Mach'io non cerchi e brami

Dipascer le gran fami

Che'n sì lungo digiuno Amor mi dai;

Certonon farà mai:

Sìfur le tue saette acute e calde

Diche 'l m io cor piagasti

Ovenegli occhi suoi nascosto entrasti.


Quanto sarebbe il meglio

Etuo piú largo onore

Ch'i'avessi in ragionar di lei qualch'arte:

Esiccome di speglio

Unriposto colore

Saglietalore luce in altra parte;

Cosìdi queste carte

Rilucessead altrui

Lamia celata gioia:

Eperchè poi si moia

Nonci togliesse il gir solinghi a volo

Dall'unoall'altro polo;

Làdove or taccio a tuo danno; con cui

S'ione parlassiaria

Vocenel mondo ancor la fiamma mia.


E forse avvenirebbe

Ch'ognitua infamia antica

Emille alte querele acqueteresti:

Ch'unotalor direbbe

Coppiafedele amica

Quantidolci pensier vivendo avesti:

Altriben strinse questi

Nodocaro e felice

Chesciolto a noi dà pace.

Orpoich'a lui non piace

Ricoglietevoi piagge i miei desiri

Etu sassoche spiri

Dolcezzae versi amor d'ogni pendice

Daldìche la mia donna

Erròper voi secura in treccia e 'n gonna.


E fe gli onesti preghi

Qualchemercede han teco

Faggiodel mio piacer compagna eterna:

Pietàti stringae pieghi

Adarne segno or meco:

Emova dalla tua virtute interna.

Che'l mio danno discerna:

Sìche s'altro mi sforza

Edi valor mi spoglia;

S'adempiauna mia voglia

Dopotanteche 'l vento ode e disperde:

Cosìmai chioma verde

Nonmanchi alla tua piantae nella scorza

Qualchebel verso viva

Esempre all'ombra tua si leggao scriva.


Già fai tu bensiccome

Faceanquì vago il cielo

Delledue chiare stelle i santi ardori:

Ele dorate chiome

Scopertedal bel velo

Spargendodi lontan soavi odori

Empieanl'erba di fiori:

Esai come al suo canto

Correano'nverso 'l fonte

L'acquenel fiumee 'l monte

Spogliardel bosco intorno si vedea

Ch'adascoltar scendea:

Ele fere seguir dietroe da canto:

Egli augelletti inermi

Sovrain su l'ali star attenti e fermi.


Riva frondosa e fosca

Sonantie gelide acque

Verdivaghifioritie lieti campi

Chifiach'odae conosca

Quantodi lei vi piacque

Emeco d'un incendio non avvampi?

Chiverrà maiche stampi

L'andarsoave e caro

Colbel dolce costume

Equel celeste lume

Chegiunse quasi un Sole a mezzo 'l die

Sovrale notti mie?

Lumenel cui splendor mirando imparo

Asprezzar il destino

Edi salir al ciel scorgo il cammino.


Quando giunte in un loco

Dicortesia vedeste

D'onestàdi valor sì care forme?

Quandoa sì dolce foco

Disì begli occhi ardeste?

Esoch'Amor in voi sempre non dorme

Ochi m'insegna l'orme

Che'l piè leggiadro impresse?

Ochi mi pon tra l'erba

Ch'ancorvestigio serba

Diquella bianca manche tese il laccio

Ondeuscir non procaccio

Edel bel fiancoe delle braccia stesse

Chestringon la mia vita

Sìche io ne peroe non ne cheggio aita?


Gentia cui porge il rio

Quinci'l piè torto e molle

Equindi l'alpe il dritto orrido corno;

Dehor tra voi foss'io

Pastordi quel bel colle

Oguardian di queste selve intorno:

Quantoriluce il giorno

Delmio sostegno andrei

Ogniparte cercando

Reverenteinchinando

Là've più fosse il ciel sereno e queto

E'l seggio ombroso e lieto.

Ividel lungo error m'appagherei

Ebaciando l'erbetta

Dimille miei sospir farei vendetta.

Tunon mi fai quetarnè io t'incolpo:

Purchètra queste frondi

Canzonmiadalla gente ti nascondi.


Sonetto LXI (LXXXI)


Frisioche già da questa gente a quella

Passandovagoe fama in ciascun lato

Mercandohai poco men cerco e girato

Quantoriscalda la diurna stella;


Ed or per render l'alma pura e bella

Alcielquando 'l tuo dì ti fia segnato

Neltuo ancor verde e più felice stato

Tichiudi in sacra e solitaria cella


Eletto ben hai tu la miglior parte

Chenon ti si torrà: fossi anch'io a tale

Nèmi torcesse empia vaghezza i passi:


Contra la qual poi ch'altro non mi vale;

Prega'l Signor per me tuche mi lassi

Senzate frale e sconsolata parte.


Sonetto LXII (LXXXII)


Se la via da curar gl'infermi hai mostro

Almondoche giacea pien d'alto errore

TuFeboallor quando 'l secol migliore

Lasciòle genti al duro viver nostro;


Al buon Lombardoil cui lodato inchiostro

Rendeal moderno stil l'antico onore

Soccorriche già presso a l'ultime ore

Vedela mesta ripa e 'l nero chiostro.


Sì dirà poisanatoad ora ad ora

ComeDelo fermasti vagae come

Pitonmorio mercé del tuo forte arco:


E tutto quelperché de le tue chiome

Èl'arbor sempre verde amico incarco

Spiegheràin versie lodera'l tu ancora.


Sonetto LXIII (LXXXIII)


Ben devria farvi onor d'eterno esempio

Napolivostra; e 'n mezzo al suo bel monte

Scolpirviin lieta e coronata fronte

Girtrionfandoe dar i voti al tempio:


Poi che l'avete a l'orgoglioso ed empio

Stuoloritoltae pareggiate l'onte;

Orch'avea più la voglia e le man pronte

Afar d'Italia tutta acerbo scempio.


Torceste 'l voiSignordal corso ardito:

Efoste talch'ancora esser vorrebbe

Apor di qua da l'alpe nostra il piede.


L'onda Tirrena del suo sangue crebbe;

Edi tronchi restò coperto il lito:

Egli augelli ne fer secure prede.


Canzone XIX (LXXXIV)


Se lo stil non s'accorda col desio

Ched'onorarvi ad or ad or m'invoglia;

Eiprestoardentee quel freddo e restio

Nonsia per ciòSignorchi me ne toglia:

Chenon è questo suo difetto o mio.

Ma'l gran splendor de la virtute vostra

Chepiù m'abbagliaquanto più la miro

Ovunqu'iovadoagli occhi miei si mostra

Talche d'ogni suo ardir l'anima spoglia

Ecol primo penser un altro giostra:

Ond'ioper tema indietro il passo giro

Econ la mia speranza ne sospiro.


Sonetto LXIV (LXXXV)


Animache da' bei stellanti chiostri

Cintade' raggi sì del vero amore

Scendestiin terrache fuor d'ogni errore

Tenvai secura degli affetti nostri;


Con altre voci omaicon altri inchiostri

Moveròpiù sovente a farti onore

Poiche se' giuntaove fia 'l tuo valore

Inaltro pregioche le perle e gli ostri.


Dirò di leich'a quella gelosia

OndeRoma miglior cadderassembra:

Ovendetta di Diochi te ne oblia?


Poi seguiròche se ben ti rimembra

D'Ercolee di Giasonquesta é la via

Digir al ciel ne le terrene membra.


Sonetto LXV (LXXXVI)


Tosto che 'l dolce sguardo Amor m'impetra

Forseperch'io più volentier sospiri

Parmelindi vederche l'arco tiri

Espenda tutta in me la sua faretra.


Ma se Madonna mai tanto si spetra

Chetinta di pietà ver me si giri;

Signormio caro allorpur ch'io la miri

Fame d'uom vivo una gelata pietra.


Poi com'io torni a la prima figura

Iono 'l sento per me: sassel Amore

Checome veltro mi sta sempre al fianco.


Ma 'l sangue accolto in sé dalla paura

Siritien dentroe teme apparir fore:

Peròson io così pallido e bianco.


Sonetto LXVI (LXXXVII)


Già vagoor sovr'ogni altro orrido colle;

Poiche 'l bel visoin cui volse mostrarsi

Quantoben qui fra noi potea trovarsi

Lucead altro paesea te si tolle;


Dura quell'acqua e questa selce molle

Fiaprima ch'io non senta al cor girarsi

Lamemoria del dìquando alsi ed arsi

Nelbel soggiorno tuocome 'l ciel volle.


Por si può ben nemica e dura sorte

Franoi talorae 'l nostro vital lume;

Romperno a l'alma il penser vivo e forte;


Che sperio temao godao si consume

Tornasempre a quel giorno; e le sue scorte

Sonodue stellee gran desio le piume.


Sonetto LXVII (LXXXVIII)


Mostrommi entro a lo spazio d'un bel volto

Esotto un ragionar corteseumile

Perfarmi ogni altro caro esser a vile

Amorquanto può darne il cielraccolto.


Da indi in qua con l'alma al suo ben volto

Lungevicin già per antico stile

Scorgoi bei lumi e odo quel gentile

Spirtoe d'altro giamai non mi cal molto.


Fortunache sì spesso indi mi svia

Tolgaagli occhiagli orecchi il proprio obietto

E'n parte le dolcezze mie distempre:


Al cor non torrà mai l'alto diletto

Ch'eiprova di veder la donna mia

Ovunqueio vadoe d'ascoltarla sempre.


Sonetto LXVIII (LXXXIX)


Caro sguardo serenoin cui sfavilla

Quantanon vide altrove uom mai bellezza;

Parlarsaggiosoaveonde dolcezza

Nonusata fra noi deriva e stilla


Solo di voi pensando si tranquilla

Inme la tempestosa mente avvezza

Mirarviudirvie ciò più ch'altro apprezza

LodandoAmorche col suo strale aprilla.


Amor la punse: e poi scolpio l'adorna

Frontee i begli occhie scrisse le parole

Dentronel cor via più che 'n petra salde:


Perch'ellacom'augelch'a parte vole

Ond'hasuo ciboa lor sempre ritorna

Conl'ali del desio veloci e calde.


Canzone XX (XC.)


Se non fosse il penserch'a la mia donna

Pertanta via mi porta

Sìlunge non avrei la vita scorta.


I' miro ad or ad or nel suo bel viso

Com'iole fossi presso:

Eveggo lampeggiar quel dolce riso

Chemi furò a me stesso:

Ciòne le lontananzeche sì spesso

Fanla mia gioia corta

Amorte mi sottragge e riconforta.


Nè mendove ch'io vadaodo ed intendo

Lesue sante parole:

E'n tanto acqueto i miei tormentie prendo

Vigorsiccome suole

Chiusofioretto in sul mattin dal Sole:

Fidade l'alma scorta

Efreno al duolch'a morte mi trasporta.


Canzone XXI (XCI)


Perchè 'l piacer a ragionar m'invoglia

Edi sua propria man mi detta Amore

Nèdall'unnè dall'altro ardisco aitarmi;

Sgombrimisidel petto ogni altra voglia

Esol questa mercede appaghi il core

Tantoch'io dicae possa contentarmi.

Ch'averdinanzi sì bel viso parmi

Sìpure vocie tanto alti pensieri

Cheperch'io mai non speri

Perforza di mio ingegnoo per altr'arte

Coseleggiadre e nove

Che'n mill'anni volgendo il ciel non piove

Qualio e sento al cor stender in carte;

Purle mie ferme stelle

Portanad or ad orch'io ne favelle.


Era nella stagionche 'l ghiaccio perde

Dalleviolee 'l Sol cangiando stile

Lafaccia oscura alle campagne ha tolta

Quandotra 'l bel cristalloe 'l dolce verde

Micorse al cor la mia donna gentile

Checorrer vi dovea sol una volta.

Miaventura in quel punto avea disciolta

Latreccia d'oro: e quel soave sguardo

Lietocortese e tardo

Armavansì felici e cari lumi;

Chequant'io vidi poi

Vagoamoroso e pellegrin fra noi

Rimembrandodi lortenni ombre e fumi:

Edicea fra me stefsso

Amorsenz'alcun dubbio è qui da presso.


Ben diss'io 'l ver: che come 'l dì col Sole

Cosìcon la mia donna Amor ven sempre

Cheda' begli occhi mai non s'allontana.

Poisentì ragionando dir parole

Erisonar in sì soavi tempre

Chegià non mi sembrar di lingua umana.

Correada parte una bella fontana

Chevide l'acque sue quel dì più vive

Avanzarper le rive:

E'n contro i raggi delle luci sante

Ogniramo inchinarsi

Delbosco intornoe più frondoso farsi:

Efiorir l'erbe sotto le sue piante:

Equetar tutti i venti

Alsuon de' prirni suoi beati accenti.


Quante dolcezze con amanti unquanco

Noneran state certo infin quel giorno

Tuttefur mecoe non le scorsi a pena.

Vinceala neve il vestir puro e bianco

Dalcollo a'piedi: e 'l bel lembo d'intorno

Aveavirtù da far l'aria serena.

L'andartoglieva l'alme alla lor pena

Eristorava ogni passato oltraggio.

Ma'l parlar dolce e saggio

Chem'avea gú da me stesso diviso

Ei begli occhie le chiome

Chefur legami alle mie care some

Dellecose parean di paradiso

Scesequaggiuso in terra

Perdar al mondo pacee torli guerra.


Deh se per mio destin voci mortali

Eson di donna pur queste bellezze

Beatochi l'ascoltae chi la mira

Mase non son chi mi darà tante ali

Ch'iosegua leis'avven ch'ella non prezze

Distarlà 've si piagne e si sospira?

Cosìpensava: e 'n quanto occhio si gira

Vidiunche 'l dolce volto dipingea

Partee parte scrivea

Nell'almadentro le parole e 'l suono

Dicendo:queste omai

Penneda gir con lei tu sempre arai.

Allormi scossie qual io qui mi sono

Talla mia donna bella

M'eranel pettoin vifoed in favella.


Rimanti quiCanzonpoichè dell'alto

Miotesoro infinito

Cosìpoveramente t'hai vestito.


Canzone XXII (XCII)


Se nella prima voglia mi rinvesca

L'animadesiosae pur un poco

Perlevarmi da lei l'ale non stende;

Meraviglianon è: di sì dolc'esca

Movonole favillee nasce il foco

Ch'aragionar di voiDonnam'accende

Voisete dentro: e ciò che fuor risplende

Esseraltro non puòche vostro raggio.

Maperch'io poi non aggio

Inritrarlo ad altrui le rime accorte

Benha da voi radice

Tuttoquelche per me se ne ridice

Male parole son debili e corte:

Chese fosser bastanti

Ne'nvaghirei mille cortesi amanti.


Però che da quel dìch'io feci in prima

Seggioa voi nel mio coraltro che gioia

Tuttoquesto mio viver non é stato.

Ese per lunghe prove il ver s'estima

Quantunquech'io mi vivao ch'io mi moia

Nonspero d'esser mai se non beato:

Sìfermo è 'l pié del mio felice stato.

Ecerto sotto 'l cerchio della luna

Sortegoiosa alcuna

Edun ben quanto 'l mio non si ritrova.

Ches'altri è lieto alquanto

Immantenentepoi l'assale il pianto:

Maio non ho dolorche mi rimova

Dallamia festa pura

VostramercèMadonnae mia ventura.


E se duro destin a ferir viemmi

Conpiù forza talordi là non passa

Dallaspogliaond'io vo caduco e frale.

Che'l piacerdi che Amor armato tiemmi

Sostienil colpoe gir oltra no 'l lassa

Là've sedete voiche 'l fate tale.

Peròs'io vivo a tempoche mortale

Foraad altruinon è per proprio ingegno.

Ioper me nacqui un segno

Adogni stral delle sventure umane:

Mavoi sete il mio schermo:

Eperch'i fia di mia natura infermo

Sotto'l caso di me poco rimane.

Lassoma chi può dire

Letante guise poi del mio gioire?


Che spesso un giro sol degli occhi vostri

Unasol voce in allentar lo spirto

Milassa in mezzo 'l cor tanta dolcezza

Chenol porian contar linguanè inchiostri.

Nècosì 'l verde serva lauroo mirto

Com'eile forme d'ogni sua vaghezza.

Edho sì l'alma a questo cibo avvezza

Ch'alei piacer non puònè la desvia

Cosache voi non sia

Oco 'l vostro penser non s'accompagne;

Equando il giorno breve

Coprele rive e le piagge di neve

Equando 'l lungo infiamma le campagne

Equando aprono i fiori

Equando i rami poi tornan minori.


Giglicaltavioleacantoe rose

Erubinie zaffirie perleed oro

Scopros'io miro nel bel vostro volto

Dolcearmonia delle più care cose

Sentoper l'aere andare dolce coro

Dispiriti celestis'io n'ascolto

Tuttoquelche dilettainseme accolto

Eposso col piacerche mi trastulla

Sedi voi pensoè nulla:

Nègiurereich'Amor tanto s'avanzi

Perch'hala face e l'arco

Quantoper voi mio prezioso incarco:

Edor mel par vederch'a voi dinanzi

Volisuperboe dica:

Tantoson ioquanto m'è questa amica.


Nè tu per girCanzonad altro albergo

Delmio ti partirai

Sequanto rozza feiconoscerai.


Canzone XXIII (XCIII)


Da poich'Amor in tanto non si stanca

Dettarmiquelond'io sempre ragioni

E'l piacer più che mai dentro mi punge;

Ancordiròma se del vero manca

Lavoce mia; Madonna il mi perdoni

Che'n tutto dal nostr'uso si disgiunge.

Ecome salireidov'ella aggiunge

Iobasso e graveed ella alta e leggera?

Bastimattino e sera

L'almainchinarlequanto si convene:

Equalche pura scorza

Segnarallor che 'l gran desio mi sforza

Delsuo bel nomee le più fide arene;

Acciòche 'l mar la chiami

Edogni selva la conosca ed ami


Questo faccia 'l desir in parte sazio

Chevorria alzarsi a dir della mia donna;

Matema di cader lo tene a freno.

Ese per le sue lode unqua mi spazio

Ch'èben d'alto valor ferma colonna

Nonè peròch'io creda dirne a pieno.

Maperch'altrui lo mio stato sereno

Cercomostrarche sol da lei deriva;

Forzaè talorch'io scriva

Com'ognimio penser indi si miete:

Odi quella soave

Aurache del mio cor volge la chiave:

Opur di voi che 'l mio sostegno sete

Stellelucenti e care

Senon quando di voi mi sete avare.


Voi date al viver mio l'un fido porto:

Checome il Sol di luce il mondo ingombra

Ela nebbia sparisce innanzi al vento;

Cosìmi vien da voi gioia e conforto;

Ecosì d'ogni parte si disgombra

Perlo vostro apparir noia e tormento.

L'altroèquando parlar Madonna sento

Ched'ogni bassa impresa mi ritoglie

Equel laccio discioglie

Chegli animi stringendo a terra inclina:

Talch'io mi fido ancora

Quandisarò di questo carcer fora

Fardi me stesso alla morte rapina:

E'n più leggidra forma

Rimanerdegli amanti esempio e norma.


Il terzo è 'l mio solingo alto pensero

Colqual entro a mirarlae cercoe giro

Suoitanti onorche sol un non ne lasso:

Escorgo il bel semblante umile altero

E'l risoche fa dolce ogni martiro

E'l cantarche potria mollir un sasso.

Oquante cose qui tacendo passo

Chemi stan chiuse al cor sì dolcemente.

Poiraffermo la mente

Inun giardin di nuovi fiori eterno:

Edodo dir nell'erba

Allatua donna questo si riserba:

Ellapotrà qui far la fiate e 'l verno.

Dicota' viste vago

Pascomisempree d'altro non m'appago


E chi non saquanto si gode in cielo

VedendoDio per l'anime beate

Proviquesto piacerdi ch'io li parlo.

Daquel dì innanzi mai caldonè gelo

Nontemerànè altra indignitate

Ardiràdella vita unque appressarlo:

Epurch'un poco mova a salutarlo

Madonnail dolce e grazioso ciglio;

Piùdi nostro consiglio

Nonavrà uopoe vincerà il destino:

Chequelle vaghe luci

Asalir sopra 'l ciel gli saran duci

Emostreranli il più diritto cammino:

Epotrà gir volando

Ognicofa mortal sotto lasciando.


Ove ne vaiCanzons'ancora è meco

L'unacompagna e l'altra?

Giànon sei tu di lor più riccao scaltra.


Sonetto LXIX (XCIV)


Felice imperadorch'avanzi gli anni

Conla virtutee rendi a questi giorni

L'anticoonor di Martee 'n pregio il torni

Eper noi riposar te stesso affanni;


Per cui spera saldar tanti suoi danni

Romae fra più che mai lieti soggiorni

Sentirancor sette suoi colli adorni

Dituoi trionfie 'l mondo senza inganni:


Mira 'l SettentrionSignor gentile;

Voceudiraiche 'n fin di là ti chiama

Perfarti sopra 'l ciel volando ir chiaro.


Sì vedrem poi del nostro ferro vile

Farsecol d'oroe viver dolce e caro:

Questofia nostrotuo 'l pregio e la fama.


Sonetto LXX (XCV)


Amormia voglia e 'l vostro altero sguardo

Ch'ancornon volse a me vista serena:

Midannolassoognor sì grave pena

Ch'iotemono 'l soccorso giunga tardo.


Al foco de' vostr'occhi qual esca ardo

Acui l'ingordo mio voler mi mena:

Ese ragion alcun tempo l'affrena

Amorpoi 'l fa più leve e più gagliardo.


Così mi struggo e purs'io non m'inganno

Setesol voi cagionch'io mi consume

Emia voglia ed Amor lor dritto fanno:


Che potreste mutar l'aspro costume

Dele luciond'io vo per minor danno

Amortecome al mar veloce fiume.


Sonetto LXXI (XCVI)


Quando 'l mio soldel qual invidia prende

L'altroche spesso si nasconde e fugge

Levandoogni ombrache 'l mio bene adugge

Vagosereno agli occhi miei risplende;


Sì co' suoi vivi raggi il cor m'accende

Chedolcemente ei si consuma e strugge:

Ecome fiorche 'l troppo caldo sugge

Potriamancarche nulla nel difende.


Se non ch'al suo sparir m'agghiaccioe poi

Convista d'uomche piange sua ventura

Passoin una marmorea figura.


Medusas'egli è verche tu di noi

Facevipetraassai fosti men dura

Ditalche m'ardestruggeagghiaccia e indura.


Sonetto LXXII (XCVII)


O superba e crudeleo di bellezza

Ed'ogni don del ciel ricca e possente

Quandole chiome d'or caro e lucente

Sarannoargentoche si copre e sprezza;


E de la frontea darmi pene avvezza

L'avoriocrespo e le faville spente;

Edel sol de' begli occhi vago ardente

Scematoin voi l'onor e la dolcezza;


E nello specchio mirerete un'altra:

Diretesospirandoeh lassaquale

Oggimeco penser? perché l'adorna


Mia giovenezza ancor non l'ebbe tale?

Aquesta mente o 'l sen fresco non torna?

Ornon son bella: allora non fui scaltra.


Sonetto LXXIII (XCVIII)

Sognoche dolcemente m'hai furato

Amortee del mio mal posto in oblio

Daqual porta del ciel cortese e pio

Scendestia rallegrar un dolorato?


Qual angel hai là su di me spirato

Chesì movesti al gran bisogno mio?

Scampoa lo stato faticoso e rio

Altroche 'n te non ho lasso trovato.


Beato sech'altrui beato fai:

Senon ch'usi troppo ale al dipartire

E'n poca ora mi toi quelche mi dai.


Almen ritornae già che 'l camin sai

Fammitalor di quel piacer sentire

Chesenza te non spero sentir mai.


Sonetto LXXIV (XCIX)


Se 'l viver men che pria m'è duro e vile

Nèpiù d'Amor mi pento esser suggetto

Nèson di duolcome io solearicetto;

Tuttoquesto è tuo donsogno gentile.


Madonna più che mai tranquilla umile

Contai parole e 'n sì cortese affetto

Misi mostravae tanto altro diletto

Ch'asseguirno 'l poria lingua nè stile.


Perchédiceala tua vita consume?

Perchépur del signor nostro ti lagni?

Frenai lamenti omaifrena 'l dolore;


E più cose altre: quando il primo lume

Delgiorno sparse i miei dolci guadagni

Apertigli occhie traviato il core.


Sonetto LXXV (C.)


Giaceami stanco'l fin de la mia vita

Venianè potea molto esser lontano

Quandopietosain atto onesto e piano

Madonnaapparve a l'almae diemmi aita.


Non fu sì cara voce unquanco udita

Nètoccadicev'iosì bella mano

Quant'orda me; nè per sostegno umano

Tantadolcezza in cor grave sentita.


E già negli occhi miei feriva il giorno

Nemicodegli amantie la mia speme

Pareaqual Sol velarsi che s'adombre.


Gissene appresso il sonno: ed ella inseme

Co'miei dilettie con la notte intorno

Quasinebbia sparì che 'l vento sgombre.


Sonetto LXXVI (CI)


Mentre 'l fero destin mi togliee vieta

VederMadonnae tiemmi in altra parte;

Labella imagin sua veduta in parte

Ildigiun pascee i miei sospiri acqueta.


Però s'a l'apparir del bel pianeta

Chetal non torna maiqual si diparte

Ebbiconforto all'alma dentroe parte

Ristettiin vista desiosa e lieta;


Fuperch'io 'l miro in vece ed in sembianza

Dela mia donnache men freddao ria

Ofugace di lui non mi si mostra:


E più ne avròse piacer vostro fia

Che'l sonno de la vitache gli avanza

Sitenga Endimion la Luna vostra.


Sonetto LXXVII (CII)


Perché sia forse a la futura gente

Com'iofui vostro ancoraeterno segno

Questerimedevotoe questo ingegno

Visacroe questa mano e questa mente.


E se non più per tempoo del presente

Secolospemee mio fido sostegno

Acosì riverirvie darvi pegno

Delmio verace amor divenni ardente;


Farò qual peregrindesto a gran giorno

Che'l sonno accusae raddoppiando i passi

Tutto'l perduto del cammin racquista.


Ma o pur non da voi si prenda a scorno

Ilmio dir rocoe i versi incolti e bassi;

Ioper mirar nel Sol perda la vista.


Sonetto LXXVIII (CIII)


Questa del nostro lito antica sponda

CheteVenezia miacopre e difende;

Ementre il corso al mar frena e suspende

Lafer mai sempree la percote l'onda;


Rassembra me: che se 'l dì breve sfronda

Iboschi o se le piagge il lungo accende;

Mibagna rivache dagli occhi scende

Rivach'aperse Amor larga e profonda.


Ma non perviene a la mia donna il pianto

Ched'intorno al mio cor ferve e ristagna

Pernon turbar la sua fronte serena.


La qual vedesse sol un giornoquanto

Perlei dolor dì e notte m'accompagna;

Assaifora men grave ogni mia pena.


Sonetto LXXIX (CIV)


La serache scolpita nel cor tengo:

Cosìl'avess'io viva entro le braccia:

Fuggìsì levech'io perdei la traccia

Nèfreno il corsonè la sete spengo.


Anzi così tra due vivo e sostengo

L'animaforsennatache procaccia

Fard'una tigre sciolta preda in caccia

Traendomeche seguir lei convengo.


E so ch'io movo indarnoo penser casso

Eperdo inutilmente il dolce tempo

Dela mia vitache giammai non torna.


Ben devrei ricovrarmior ch'i m'attempo

Edho forse vicin l'ultimo passo:

Mapiè mosso dal ciel nulla distorna.


Sonetto LXXX (CV)


Mentre di me la verde abile scorza

Copriaquel dentropien di speme e caldo;

Vissia te servoAmorsì lieto e saldo

Chenon ti fu a tenermi uopo usar forza.


Or che 'l volger del ciel mi stemprae sforza

Congli anni e più non sono ardito e baldo

Com'iosoleanè sento al cor quel caldo

Chescemato giammai non si rinforza;


Stendi l'arco per mese vuoich'io viva

Nèti dispiace aver chi l'alte prove

Dela tua certa man racconti e scriva.


Non ho sangue e vigor da piaghe nove

Sofferirdi tuo strale: omai l'oliva

Midonae spendi le saette altrove.


Sonetto LXXXI (CVI)


Se tutti i miei prim'anni a parte a parte

TidiediAmornè mai fuor del tuo regno

Posiormao vissi un giorno; era ben degno

Ch'iopotessi attempato omai lasciarte:


E da' tuoi scogli a più secura parte

Girarla vela del mio stanco legno:

Evolger questi studi e questo ingegno

Adonorata impresaa miglior arte.


Non sonse ben me stessoe te risguardo

Piùda gir teco; i gravee tu leggero;

Tufanciullo e velocei vecchio e tardo:


Arsi al tuo focoe dissi: altro non chero.

Mentrefui verde e forte: or non pur ardo

Seccogià e fralma incenerisco e pero.


Canzone XXIV (CVII sestina)


I più soavi e riposati giorni

Nonebbe uom mainè le più chiare notti

Diquel ch'ebb'io; nè 'l più felice stato

Allorch'io cominciai l'amato stile

Ordircon altro purche doglia e pianto

Daprima entrando all'amorosa vita.


Or è mutato il corso alla mia vita

Evolto il gaio tempo e i lieti giorni

Chenon sapeanche cosa fosse un pianto

Ingravi travagliate e fosche notti:

Co'1 bel suggetto suo cangiar lo stile

Econ le mie venture ogni mio stato.


Lasso non mi credea di sì alto stato

Giammaicader in così bassavita

Nèdi sì piano in così duro stile.

Nè'l Sol non mena mai sì puri giorni

Chenon sian dietro poi tante altre notti:

Cosìvicino al rifo è sempre il pianto.


Ben ebbi al riso mio vicino il pianto

Edio non mel sapea: che 'n quello stato

Cosìcantandoe 'n quelle dolci notti

Forseavrei posto fine alla mia vita

Pernon tardar al fel di questi giorni

Chem'ha sì inacerbito e petto e stile.


Amar tuche porgel dianzi allo stile

Lietoargomentoor gl'insegni irae pianto:

Ache son giunti i miei graditi giorni?

Qualvento nel fiorir svelse il mio stato

Ese fortuna alla tranquilla vita

Entrogli scogli alle più lunghe notti?


U' son le prime mie vegghiate notti

Sìdolcemente? u 'l mio ridente stile

Chepotea rallegrar ben mesta vita?

Echi sì tosto l'ha converso in pianto?

Ch'orfoss'io mortoallor quando il mio stato

Tinsein oscuro i suoi candidi giorni.


Sparito è 'l Sol de' miei sereni giorni

Eraddoppiata l'ombra alle mie notti

Chelucean più che i dì d'ogni altro stato.

Cantaiun tempoe 'n vago e lieto stile

Spiegaimie rimeed or le spiego in pianto

C'hafatto amara di sì dolce vita.


Così sapesse ognunqual è mia vita

Daindi in quache i miei festosi giorni

Chisola il potea farrivolse in pianto;

Chepago mi terrei di queste notti

Senzacolmar de' miei danni lo stile:

Manon ho tanto bene in questo stato.


Che quella ferache al mio verde stato

Diededi morsoe quasi alla mia vita

Orfugge al suon del mi' angoscioso stile:

Nèmai per rimembrarle i primi giorni

Oraccontar delle presenti notti

Volsea pieta del mio sì largo pianto.


Ecco sola m ascoltae col mio pianto

Agguagliando'l suo duro antico stato

Mecosi duol di sì penose notti:

Ese 'l fin si prevede dalla vita

Aduna meta van questi e quei giorni

Ela mia nuda voce fia il mio stile.


Amantii ebbi già tra voi lo stile

Sìvagoche acquetava ogni altrui pianto:

Orme non queta un sol di questi giorni:

Cosìvachi in suo molto allegro stato

Noncrede mai provar noiosa vita

Nèpenfa 'l dì delle future notti.


Ma chi vuolsi rallegri alle mie notti:

Com'ancoquellache mi fa lo stile

Tornara vilee 'n odio esser la vita

Ch'inon spero giammai d'uscir di pianto.

Ellase 'l fache di sì lieto stato

Tostomi pose in così tristi giorni


Ite giorni gioiosie care notti:

Che'l bel mio stato ha preso un altro stile

Perpascer sol di pianto la mia vita.


Sonetto LXXXII (CVIII)


Già donnaor deanel cui verginal chiostro

Scendendoin terra a sentir caldo e gelo

S'armòper liberarneil Re del cielo

Dal'empie man dell'avversario nostro


I pensier tuttie l'uno e l'altro inchiostro

Cangiatavestee con la mente il pelo

Ate rivolgoe quelch'agli altri celo

L'internepiaghe mie ti scopro e mostro.


Sanaleche puoi farloe dammi aita

Asalvar l'alma da l'eterno danno:

Laqual se dal cammin dritto impedita


Le Sirene gran tempo schernit'hanno

Nontardar tu; ch'omai della mia vita

Sivolge il terzo e cinquantesimo anno.


Sonetto LXXXIII (CIX)


In poca libertà con molti affanni

Dilà 'v'io fui gran tempoal dolce piano

Checesse in parte al buon seme Troiano

Vennigià grave di pensieri e d'anni:


E posimi dal fastoe dagl'inganni

Edagli occhi del vulgo assai lontano:

Mache mi valseAmors'a mano a mano

Tupur a lagrimar mi ricondanni?


Qui tra le selvei campie l'erbee l'acque

Allorquand'i credea viver sicuro

Piùferoce che pria m'assali e pungi.


Lassoben veggio omaisì come è duro

Fuggirquelche di noi su nel ciel piacque:

Nèpote uom dal suo fato esser mai lungi.


Sonetto LXXXIV (CX)


I chiari giorni miei passar volando

Chefur sì pochie tosto aperser l'ale:

Poipiacque al cielcui contrastar non vale

Pormidi pacee di me stesso in bando.


Così molt'anni ho già varcato: e quando

Mancardevea la fiamma del tuo strale

Amorche questo incarco stanco e frale

Tuttodentro e di fuor si va lentando;


Sento un novo piacer possente e forte

Giugnerne l'alma al grave antico foco

Talch'adoppio ardoe par che non m'incresca.


Lasso ben son vicino alla mia morte:

Chépuote omai l'infermo durar poco

Incui scema virtùfebbre rinfresca.



IN MORTE

DI MESSER CARLO SUO FRATELLO

E di molte altre persone



Canzone XXVIII ( CLVI)


Alma corteseche dal mondo errante

Partendone la tua più verde etade

Haime lasciato eternamente in doglia

Dale sempre beate alme contrade

Ov'ordimori cara a quello amante

Chepiù temer non puoiche ti si toglia

Risguardain terrae mira u' la tua spoglia

Chiudeun bel sasso: e meche 'l marmo asciutto

Vedraibagnar te richiamandoascolta.

Peròche sparsa e tolta

L'altapura dolcezzae rotto in tutto

Fu'l più fido sostegno al viver mio

Fratequel dìche te n'andasti a volo:

Daindi in qua nè lietonè securo

Nonebbi un giorno mainè d'aver curo;

Anzimi pento esser rimaso solo

Cheson venuto senza te in obblio

Dime medesmoe per te solo er'io

Caroa me stesso: or teco ogni mia gioia

Èspentae non so giàperch'io non moia.


Raro pungente stral di ria fortuna

Fèsì profonda e sì mortal ferita

Quantoquestoonde 'l ciel volle piagarme.

Rimedioalcun da rallegrar la vita

Nonchiude tutto 'l cerchio de la luna

Chedel mio duol bastasse a consolarme.

Sìcome non potea grave appressarme

Alorch'io partia teco i miei pensieri

Tuttie tu meco i tuoi sì dolcemente;

Cosìnon ho dolente

Aquesto tempoin che mi fidio speri

Ch'unsol piacer m'apporte in tanti affanni.

Enon si vide mai perduta nave

Fraduri scogli a mezza notte il verno

Spintadal vento errar senza governo

Chenon sia la mia vita ancor più grave;

Es'ella non si tronca a mezzo gli anni

Forseaverràperch'io pianga i miei danni

Piùlungamentee siano in mille carte

Imiei lamenti e le tue lode sparte.


Dinanzi a te partiva ira e tormento

Comeparte ombra a l'apparir del Sole:

Quelmi tornava in dolce ogni atto amaro

Opur con l'aura delle tue parole

Sgombravid'ogni nebbia in un momento

Locorcui dopo te nulla fu caro;

Nèmai volli al suo scampo altro riparo

Mentreaver si poteoche la tua fronte

El'amicofedelsaggio consiglio.

Persobiancoo vermiglio

Colornon mostrò mai vetro; nè fonte

Cosìpuro il suo vago erboso fondo

Com'ionegli occhi tuoi leggeva espressa

Ognimia voglia sempreogni sospetto:

Consì dolci sospirsì caro affetto

Dele mie forme la tua guancia impressa

Portavianzi pur l'alma e 'l cor profondo.

Orquanto a menon ha più un bene al mondo:

Etutto quel di luiche giova e piace

Adun col tuo mortal sotterra giace.


Quasi stella del polo chiara e ferma

Nellefortune mie sì gravie 'l porto

Fostidell'alma travagliata e stanca:

Lamia sola difesa e 'l mio conforto

Contrale noie della vita inferma

Ch'amezzo il corso assai spesso ne manca:

Equando 'l verno le campagne imbianca

Equando il maggior dì fende 'l terreno

Inogni riscoin ogni dubbia via

Fidatacompagnia

Tenestiil viver mio lieto e sereno:

Chemesto e tenebroso fora stato

EsaràFratesenza te mai sempre.

Odisavventurosa acerba sorte!

Odispietata intempestiva morte!

Omie cangiate e dolorose tempre!

Qualfu giàlassoe qual ora è 'l mio stato?

Tu'l sai; che poi ch'a me ti sei celato

Nèdi qui rivederti ho più speranza;

Altroche pianto e duol nulla m'avanza.


Tu m'hai lasciato senza sole i giorni

Lenotti senza stellee grave ed egro

Tuttoquestoond'io parloond'io respiro:

Laterra scossae 'l ciel turbato e negro

Epien di mille oltraggi e mille scorni

Misembra in ogni partequant'io miro.

Valore cortesia si dipartiro

Neltuo partire 'l mondo infermo giacque

Evirtù spense i suoi più chiari lumi:

Ele fontane ai fiumi

Negarla vena antica e l'usate acque:

Egli augelletti abandonaro il canto:

El'erbe e i fior lasciar nude le piaggie:

Nèpiù di fronde il bosco si consperse.

Parnasoun nembo eterno ricoperse

Ei lauri diventar quercie selvaggie:

E'l cantar de le Deegià lieto tanto

Uscìdoglioso e lamentevol pianto:

Efu più volte in voce mesta udito

Ditutto 'l colle: o BEMBOove se' ito?


Sovra 'l tuo sacro ed onorato busto

Caddegrave a se stesso il padre antico

Laceroil pettoe pien di morte il volto:

Edisse: ahi sordo e di pietà nemico

Destinpredace e reodestino ingiusto

Destina impoverirmi in tutto volto

Perchépiù tosto me non hai disciolto

Daquesto grave mio tenace incarco

Piùche non lece e più ch'io non vorrei

Dandoa lui gli anni miei

Chedel suo leve inanzi tempo hai scarco?

Lassoallor potev'io morir felice:

Orvivo sol per dare al mondo esempio

Quant'è'l peggio far qui più lungo indugio

S'uomde' perdere in breve il suo refugio

Dolcee poi rimanere a pena e scempio:

Ovecchiezza ostinata ed infelice

Ache mi serbi ancor nuda radice

Se'l troncoin cui fioriva la mia speme

èseccoe gelo eterno il cigne e preme?


Qual pianser già le triste e pie sorelle

Cuile treccie in su 'l Po tenera fronde

El'altre membra un duro legno avvolse

Talcon gli scoglie con l'auree con l'onde

Miserae con le gentie con le stelle

Deltuo ratto fuggir la tua si dolse.

Perduol Timavo indietro si rivolse:

Evider Manto i boschi e le campagne

Errarcon gli occhi rugiadosi e molli:

Adriale rive e i colli

Pertuttoove 'l suo mar sospira e piagne

Percossein vista oltra l'usato offesa

Talch'a noia e disdegno ebbi me stesso:

Ese non fosseche maggior paura

Frenòl'ardir; con morte acerba e dura

Allaqual fui molte fiate presso

D'uscird'affanno arei corta via presa.

Orchiamoe non so far altra difesa

Purluiche l'ombra sua lasciando meco

Dime la viva e miglior parte ha seco.


Che con l'altra restai morto in quel punto

Ch'iosenti' morir luiche fu 'l suo core:

Nèson buon d'altroche da tragger guai.

Treguanon voglio aver col mio dolore

Infinch'io sia dal giorno ultimo giunto.

Etanto il piangeròquant'io l'amai.

Dehperché innanzi a lui non mi spogliai

Lamortal gonnas'io men vestì prima?

S'alviver fui veloceperché tardo

Sonoal morir? un dardo

Almenavesse ed una stessa lima

Parimenteambo noi trafitto e roso:

Chesiccome un voler sempre ne tenne

Vivendocosì spenti ancor n'avesse

Un'oraed un sepolcro ne chiudesse.

Ese questo al suo tempo o quel non venne

Nèspero degli affanni alcun riposo;

Aprasiper men danno a l'angoscioso

Carceremio rinchiuso omai la porta

Edegli a l'uscir fuor sia la mia scorta.


E guidemi per manche sa 'l cammino

Digir al ciel; e nella terza spera

M'impetridal Signor appo se loco.

Ivinon corre il dì verso la sera

Nèle notti sen' van contra 'l mattino;

Ivi'l caso non può molto nè poco:

Ditema gelo maidi disir foco

Glianimi non raffreddae non riscalda

Nètormenta dolornè versa inganno:

Ciascunoin quello scanno

Vivee pasce di gioia pura e salda

Ineternofuor d'ira e d'ogni oltraggio

Chepreparato gli ha la sua virtute.

Chimi dà il grembo pien di rose e mirto

Sìch'io sparga la tomba? o sacro spirto

Chequal a' tuoi più fosti o di salute

Odi trastullo; agli altri o buono saggio

Nonsaprei dir: ma chiaro e dolce raggio

Giugnestiin questa fosca etate acerba

Chetutti i frutti suoi consuma in erba.


Secome già ti calseora ti cale

Dime; pon dal ciel mentecom'io vivo

Dopo'l tu' occasoin tenebre e 'n martiri.

Tela tua morte più che pria fè vivo

Anzieri mortoor sei fatto immortale:

Medi lagrime albergo e di sospiri

Fala mia vitae tutti i miei desiri

Sonodi mortee sol quanto m'incresce

Èch'io non vo più tosto al fin ch'io bramo.

Nonsostien verde ramo

De'nostri campi augelloe non han pesce

Tuttequeste limose e torte rive:

Nèpressoo lunge a sì celato scoglio

Filod'alga percote onda marina:

Nèsì riposta fronda il vento inclina

Chenon sia testimon del mio cordoglio.

TuRe del cielcui nulla circonscrive

Mandaalcun de le schiere elette e dive

Disu da quei splendori giù in quest'ombre

Chedi sì dura vita omai mi sgombre.


Canzonqui vedi un tempio a canto al mare

Egenti in lunga pompae gemme ed ostro

Ecerchie metee cento palme d'oro:

Aluich'io in terra amavain cielo adoro

Dirai:così v'onora il secol nostro.

Mentreudirà querele oscure e chiare

Morte;Amor fiamme arà dolci ed amare;

Mentrespiegherà il Sol dorate chiome;

Sempresarà lodato il vostro nome.


A leiche l'Appennin superbo affrena

Là've parte le piagge il bel Metauro;

Dicui non vive dal mar Indo al Mauro

Dal'Orse a l'Austrosimil nè seconda

Vaprima: ella ti mostreo ti nasconda.


SonettoCXXVII (CLVII)


Adunque m'hai tu purin su 'l fiorire

Morendosenza teFratelasciato;

Perché'l mio dianzi chiaro e lieto stato

Orasi volga in tenebre e 'n martire?


Gran giustizia erae mio sommo desire

Dame lo stral avesse incominciato:

Ecome al venir qui son primo stato

Ancorastato fossi al dipartire.


Ché non arei veduto il mio gran danno

Dime stesso sparir la miglior parte;

Esarei teco fuor di questo affanno.


Or ch'io non ho potuto innanzi andarte

Piacciaal Signora cui non piace inganno

Ch'iopossa in breve e scarco seguitarte.


SonettoCXXVIII (CLVIII)


Leonicoche 'n terra al ver sì spesso

Gliocchi levavi e 'l penser dotto e santo;

Etor nel cielo il guiderdon promesso

Ricevial tuo di lui studio cotanto;


A te non si conven doglianè pianto:

Ch'omaipien d'annie pago di te stesso

Chiudiil tuo chiaro dì; ma festa e canto

Delgrande a la tua vita onor concesso.


Qual dalla mensa uom temperato e sazio

Tidiparti dal mondoe torni a lui

Chet'ha per nostro ben tardo ritolto.


Conviensi a meche non ho piùcon cui

Sìsecuro fornir quel poco o molto

Chede la dubbia via m'avanzaspazio.


SonettoCXXIX (CLIX)


Navager mioch'a terra strana volto

Pergiovar a la patria il mondo lassi

Tepiango: e piangon meco i litii sassi

El'erbeche per te crebber già molto.


Tu le palme latine hai di man tolto

Ainostri tuttecon sì fermi passi

Salisti'l colle: or quando più vedrassi

Tantovalor in un petto raccolto?


Grave duol certo; pur io mi consolo

Ch'orti diporti con quell'alme antiche

Chetanto amastie teco è 'l buono e saggio


SAVORGNANche contese alle nemiche

Schiereil suo montee fu d'alto coraggio

Epoco inannzi a te prese il suo volo.


SonettoCXXX (CLX)


Animetra cui spazia or la grande ombra

Deldotto NAVAGERper sorte acerba

Diquesto secol reoche miete in erba

Tuttii suoi fruttio li dispiega in ombra


Qual gioia voi della sua vista ingombra

Talnoi preme dolor: poi sì superba

èstata mortech'i men degni serba

Edel maggior valor prima ne sgombra.


Piacciavi dirquando il nostro emispero

Diedeagli Elisi più sì chiaro spirto;

Edegli qual da voi riceve onore


Raro dopo gli antichi: a questo Omero

Basciòla fronte e cinsela di mirto:

Virgilioparte seco i passi e l'ore.


SonettoCXXXI (CLXI)


Portoche 'l piacer mio teco ne porti

Lavita e noi sì tosto abbandonando

Chefarò qui senza te lasso? e quando

Udiròcosa piùche mi conforti?


Invidio teche vedi i nostri torti

Daltuo dritto sentiergià posti in bando

Gliumani affetti; e vo pur te chiamando

Beatoe vivoe noi miseri e morti.


Deh che non mena il Sole omai quel giorno

Ch'iorenda la mia guardiae torni al cielo

Ditanti lumi in sì poche ore adorno?


Nel quallasciato in terra il suo bel velo

Facon l'eterno Re colei soggiorno

Ondeho la piagach'ancor amo e celo.


SonettoCXXXII (CLXII)

Or hai de la sua gloria scosso Amore

Omorte acerba: or delle donne hai spento

L'altoSol di virtute e d'ornamento

Enoi rivolti in tenebroso orrore.


Deh perchè sì repente ogni valore

Ognibellezza inseme hai sparso al vento?

Benpotei tu de l'altre ancider cento

Elei non torre a più maturo onore.


Fornito haibella donnail tuo viaggio:

Etorni al ciel con giovenetto piede

Lasciandoin terra la tua spoglia verde.


Ben si può dir omaiche poca fede

Neserva il mondoe come straleo raggio

Apena spunta un benche si disperde.


SonettoCXXXIII (CLXIII)


Ov'èmia bellae carae fida scorta

L'usatatua pietàche sol mi lassi

Alcammin duroai perigliosi passi

Dame cotanto dilungata e torta?


Vedi l'almache trema e si sconforta

Perlo tuo dipartiree 'n prova stassi

D'abbandonarmi;e sfida i membri lassi

Perseguir tequal vivaor così morta.


Ben le dice mio corchi t'assecura?

Eforse a lei sua pace turberai

Chedi nostra salute in cielo ha cura .


Ellache fo più qui? risponde: mai

Sostegnotalee ben tantoe ventura

Perdènull'altra: e tu misero il sai.


SonettoCXXXIV (CLXIV)


L'alto mio dal Signor tesoro eletto

De'suoi gemmai più ricchie con più cura

Quellache nè giudicionè misura

Usanel torm'ha toltoond'io l'aspetto.


Che sì mendica e piena di sospetto

Èrimasa quest'alma e 'n così dura

Vitach'assai le fora a gran ventura

Cenerefarsi omai del suo ricetto:


Tal che leggera e di quel nodo sciolta

Potessetanto in su levarsi a volo

Chesi posasse a piè de la sua donna.


O per me chiaroe lietoe dolce solo

Queldìnè può tardars'ella m'ascolta

Chesquarcerà questa povera gonna.


SonettoCXXXV (CLXV)


Quandoforse per dar loco a le stelle

IlSol si partee 'l nostro cielo imbruna

Spargendosidi lorch'ad una ad una

Adiecea cento escon fuor chiare e belle;


I penso e parlo mecoin qual di quelle

Orasplende coleicui par alcuna

Nonfu mai sotto 'l cerchio della Luna;

Benchédi Laura il mondo assai favelle?


In questa piangoe poi ch'al mio riposo

Tornopiù largo fiume gli occhi miei

El'imagine sua l'alma riempie


Trista: la qual mirando fiso in lei

Ledice quelch'io poi ridir non oso:

Onotti amareo Parche ingiuste ed empie!


SonettoCXXXVI (CLXVI)


Tosto che la bell'alba solo e mesto

Titonlasciando a noi conduce il giorno;

Ech'io mi sveglioe rimirando intorno

Nonveggo 'l Solche suol tenermi desto;


Di dolore di panni mi rivesto:

Esospirando il bel dolce soggiorno

Che'l ciel m'ha toltoa lagrimar ritorno:

Laluce ingratae 'l viver m'è molesto.


Talor vengo agl'inchiostrie parte noto

Lemie sventure; ma 'l più celo e serbo

Nelcor: che nullo stile è che le spieghi.


Talor pien d'ira e di speranze voto

Chiamochi del mortal mi scinga e sleghi:

Ogiorni tenebrosio fato acerbo!


SonettoCXXXVII (CLXVII)


S'al vostro amor ben fermo non s'appoggia

Miocorche ad ogni obbietto par che adombre

Pregateleiche ne' begli occhi alloggia

Chedi sì dura vita omai mi sgombre.


Non sempre alto dolorche l'alma ingombre

Scemaper consolarma talor poggia:

Comelumi del ciel per notturne ombre:

Comedi foco in calce esca per pioggia.


Morte m'ha tolto a la mia dolce usanza:

Orho tutt'altro e più me stesso a noia

Anzia disdegnoe sol pianger m'avanza.


COSMOchi visse un tempo in pace e 'n gioia

Poivive in guerra e 'n penee più speranza

Nonha di ritornarqual fu; si moia.


SonettoCXXXVIII (CLXVIII)


Ben devrebbe Madonna a sé chiamarmi

Sunel beato e lieto asilo eterno;

E'n questo pien di noia e pene inferno

Vitamortale omai più non lasciarmi:


Ché non è sotto 'l Sol ben da quetarmi

Sìgli ho tutti col mondo inseme a scherno:

Nèpuò conforto al grave affanno interno

Sendodi fuor chiusa ogni viapassarmi.


Ma s'ella il nodo a l'alma non discioglie

Vedendome di tacito e contento

Voltoa sì triste e lamentose tempre;


E per sé non m'ancidee quinci toglie

Ilduolche del suo ratto sparir sento;

Soranzoi piangoe son per pianger sempre.


SonettoCXXXIX (CLXIX)


Donnache fosti oriental Fenice

Tral'altre donnementre il mondo t'ebbe

Epoi che d'abitar fra noi t'increbbe

Angelsalisti al ciel novo e felice;


L'alta beltà del nostro amor radice

Colsennoond'ei tanto si stese e crebbe

Ventofatal sì tosto non devrebbe

Averdiveltal'un penser mi dice


Per cui d'amaro pianto il cor si bagna;

Mal'altro ad or ad or con tai parole

Provaquetarmi; a che ti struggio cieco?


Non era degno di sì chiaro Sole

Occhiodi mortal vista; or Dio l'ha seco

Dalcui voler uom pio non si scompagna.


SonettoCXL. (CLXX)


Dehperché inanzi a me te ne se' gita

Setanto dopo me fra noi venisti?

Odio non me n'andaiquando partisti

Teco?e tempo era ben d'uscir di vita.


Porgimi almen or tu dal cielo aita

Ch'iochiuda questi dì sì neri e tristi

Mostrandomila viaper cui salisti

Alben nato conciglioalma e gradita.


Mentre i duo poli e 'l lucido Orione

Tistai mirandoche tra lor si spazia

Piùgiù quidov'io piangoe me risguarda:


E per Giesùch'al mondo oggi fe' grazia

Dise nascendoa trarmi di pregione

Eguidar costa sunon esser tarda.


SonettoCXLI (CLXXI)


S'Amor m'avesse detto: ohimèda morte

Fienoi begli occhi prima di te spenti;

Avreidi lor con disusati accenti

Rimedettatoe più spesse e più scorte


Per mio sostegno in questa dura sorte

Eperché le ben chiare ed apparenti

Noterendesser le lontane genti

Del'alma lor divina luce accorte:


Ché già sarebbe oltre l'Iberoe 'l Gange

LaTanae 'l Nilo intesae divulgato

Com'iosolfo a quei raggi ed esca fui.


Orpoi ch'altro che pianger non m'è dato

Piangopur sempree son; tanto duol m'ange;

Nèdi me stesso ad uoponè d'altrui.


SonettoCXLII (CLXXII)


Un anno intero s'è girato a punto

Che'l mondo cadde del suo primo onore

Mortaleich'era il fior d'ogni valore

Colfior d'ogni bellezza inseme aggiunto.


Come a sì mesto e lagrimoso punto

Nonti divelli e schiantiafflitto core

Seti rimembrach'a le tredici ore

Delsesto dì d'agosto il Sole è giunto?


In questa uscìo de la sua bella spoglia

Nelmille cinquecento e trentacinque

L'animasaggiaed io cangiando il pelo


Non so però cangiar pensieri e voglia

Ch'omais'affretti l'altra e s'appropinque

Ch'ioparta quincie la rivegga in cielo.


SonettoCXLIII (CLXXIII)


Quella per cui chiaramente alsi ed arsi

Undicied undici annial ciel salita

Hame lasciato in angosciosa vita:

Oguadagni del mondo incerti e scarsi!


Che s'uom sotto le stelle ha da lagnarsi

Disuo gran dannoe di mortal ferita;

Ison coluich'a morte cheggio aita;

Nèfine altronde al mio dolor può darsi.


Ben la scorgo io sin di là su talora

D'amore di pietate accesa il ciglio

Dirmi:tu pur qui sarai meco ancora:


Ond'io mi riconfortoed in quell'ora

Divolger l'alma al ciel prendo consiglio:

Poitorna il pianto tristoche m'accora.


SonettoCXLIV (CLXXIV)


Era Madonna al cerchio di sua vita

Trigesimoed ottavoquando morte

Laspogliò del bel velo eletto in sorte

Avestir alma sì dal ciel gradita.


Perchécrudeli Parcheancora unita

Mentea trar me del mio non foste accorte?

Cosanon hoch'altro che duol m'apporte:

Colsuo piè freddo ogni mia festa è gita.


Qual alga in marche quinci e quindi l'onde

Sospinganvivo; o qual abete in cima

D'altissim'alpeall'austroal borea segno.


Se quei pur vivech'assai lieto in prima

Perdepoi la sua guida e 'l suo sostegno

Esempre chiamae nessun mai risponde.


SonettoCXLV (CLXXV)


Che mi giova mirar donne e donzelle

Eprati e selve e rivie 'l bel governo

Chefa del mondo il buon motore eterno

Marterracieloe vagheo ferme stelle?


Spenta coleich'un sol fu tra le belle

Etra le saggeor è mio nembo interno:

Formed'orror mi sembra quant'io scerno:

Essercieco vorrei per non vedelle.


Ch'i' non so volger gli occhi a parteov'io

Nonscorga lei fra molte mesteo lasso

Chiudermorendo le sue luci sante.


Ond'io viver non curoanzi desio

Digirle dietro con veloce passo:

Edera me'ch'i' le fossi ito avante.


Canzone XXIX (CLXXVI)


Donnade' cui begli occhi alto diletto

Trasseri miei gran tempoe lieto vissi

Mentrea te non dispiacque esser fra noi

Sevediche quant'io parlai nè scrissi

Nonè stato se non doglia e sospetto

Dopoil quinci sparir dei raggi tuoi

Impetradal Signornon più ne' suoi

Laccimi stringa il mondoe possa l'alma

Chedevea gir inanziomai seguirti.

Tugodiassisa tra' beati spirti

Dellatua gran virtutee chiara ed alma

Sentie felice dirti:

Iosenza te rimaso in questo inferno

Sembronave in gran mar senza governo:

Evò là dove il callee 'l piè m'invita

Latua morte piangendoe la mia vita.


Sì come più di me nessuno in terra

Vissede' suoi pensier pago e contento

Tequi tenendo la divina cura;

Cosìcordoglio equale a quelch'io sento

Nonènè credo ch'esser possa: e guerra

Nonfè giamai sì dispietata e dura

Laspadache suoi colpi non misura

Quantoor a meche 'n un sol chiuder d'occhi

Lemie vive speranze ha tutte estinto:

Ond'ioson ben in guisa oppresso e vinto

Chepur che 'l cor di lagrime trabocchi

Mentred'intorno cinto

Saròde la caduca e frale spoglia

Altronon cerco: o quando fia che voglia

Divita il Re celeste e pio levarmi?

Prega'l tuSantae così poi quetarmi.


Avea per sua vaghezza teso Amore

Un'altarete a mezzo del mio corso

D'oroe di perlee di rubin contesta

Cheveduta al più fero e rigid'orso

Umiliavae 'nteneriva il core

Equetava ogni nemboogni tempesta;

Questalieto mi presee poscia in festa

Tennemolt'anni: or l'ha sparsa e disciolta

Perfar me sempre tristoacerba sorte.

Ahiciecasordaavarainvida morte;

Dunquehai di me la parte maggior tolta

El'altra sprezzi? O forte

Tenordi stelleo già mia spemequanto

Megliom'era il morirche 'l viver tanto!

Dehnon mi lasciar qui più lungo spazio;

Ch'ioson di sostenermi stanco e sazio.


Sovra le notti mie fur chiaro lume

Enel dubbio sentier fidata scorta

Ituoi begli occhie le dolci parole.

Orlassoche ti se' oscurata e torta

Tantoda meconvien ch'io mi consume

Senzai soavi accenti e 'l puro Sole:

Nèso cosa mirarche mi console

Ovoce udirche 'l cor dolente appaghi

Nèmica in questo lamentoso albergo

Loqual dì e nottepur di pianto aspergo

Chiedendoche si volga e me rimpiaghi

Mortenè più da tergo

Lascie m'ancida col suo stral secondo;

Poichècol primo ha impoverito il mondo

Toltaneteper cui la nostra etade

Sìricca fu di senno e di beltade.


Avess'io almen penna più fermao stile

Possenteagli altri secoli di mille

Dele tue lode farne passar una;

Chegià di leggiadrissime faville

S'accenderebbeogni anima gentile:

Eio mi dorrei men di mia fortuna

Emen di mortein aspettando alcuna

Vendettacontra lei da le mie rime.

Eper chieder ancorao se 'l mio inchiostro

Mantovae Smirnas'avanzasse al vostro

Tantoche non pur lei la più sublime

Inquesto basso chiostro

Matal là su facesse oprache 'l cielo

Lasforzasse a tornar nel suo bel velo:

Perchénon fosse uom poi così beato

Conch'io cangiassi il mio gioioso stato.


Se tu stessaCanzone

Diquel vedermi lieto mai non credi

Chepiù vo desiando; a pianger riedi

Edìdel pianto molleovunque arrive

Madonnaè mortae quel misero vive.


SonettoCXLVI (CLXXVII)


O Soldi cui questo bel sole è raggio

Solper lo qual visibilmente splendi

Sesovra l'opre tue qua giù ti stendi;

Rilucia meche speme altra non aggio.


Da l'almach'a te fa verace omaggio

Dopotanti e sì gravi suoi dispendi

Sgombral'antiche nebbiee tal la rendi

Chepiù dal mondo non riceva oltraggio.


Omai la scorga il tuo celeste lume:

Ese già mortal fiammae poca l'arse;

All'eternaed immensa or si consume


Tantoche le sue colpe in caldo fiume

Dipianto lavie mondada levarse

Erivolar a te vesta le piume.


SonettoCXLVII (CLXXVIII)


Se già ne l'età mia più verde e calda

Offesite ben mille e mille volte

Ele sue doti l'alma ardita e balda

Date donateha contra te rivolte;


Or che m'ha 'l verno in fredda e bianca falda

Dineve il mento e queste chiome involte

Midonaond'io con piena fede e salda

Padret'onorie le tue voci ascolte.


Non membrar le mie colpee poi ch'addietro

Tornarnon ponno i mal passati tempi

Reggitu del cammin quelche m'avanza:


E sì 'l mio cor del tuo desio riempi

Chequellache 'n te sempre ebbisperanza

Quantunquepeccatornon sia di vetro.


Canzone XXX (CLXXIX)


Signorquella pietàche ti constrinse

Morendofar del nostro fallo ammenda

Dal'ira tua ne copra e ne difenda.


VediPadre cortese

L'altovisco mondan com'è tenace

Ele retiche tese

Neson dall'avversario empio e fallace

Quantohanno intorno a se di quel che piace.

Peròs'avenche spesso uom se ne prenda

Questotalor pietoso a noi ti renda.


Non si negaSignore

Che'l peccar nostro senza fin non sia.

Mase non fosse errore;

Campoda usar la tua pietà natia

Nonavresti: la qual perché non stia

Inoscuroe quanta è fra nois'intenda

Mengrave esser ti deech'altri t'offenda.


TuPadrene mandasti

Inquesto mare tu ne scorgi a porto:

Ese molto ne amasti

Allorche 'l mondo t'ebbe vivo e morto;

Amanea questo tempo: e 'l nostro torto

Latua pietosa man non ne sospenda;

Magrazia sopra noi larga discenda.


Canzone XXVIII ( CLVI)


Alma corteseche dal mondo errante

Partendone la tua più verde etade

Haime lasciato eternamente in doglia

Dale sempre beate alme contrade

Ov'ordimori cara a quello amante

Chepiù temer non puoiche ti si toglia

Risguardain terrae mira u' la tua spoglia

Chiudeun bel sasso: e meche 'l marmo asciutto

Vedraibagnar te richiamandoascolta.

Peròche sparsa e tolta

L'altapura dolcezzae rotto in tutto

Fu'l più fido sostegno al viver mio

Fratequel dìche te n'andasti a volo:

Daindi in qua nè lietonè securo

Nonebbi un giorno mainè d'aver curo;

Anzimi pento esser rimaso solo

Cheson venuto senza te in obblio

Dime medesmoe per te solo er'io

Caroa me stesso: or teco ogni mia gioia

Èspentae non so giàperch'io non moia.


Raro pungente stral di ria fortuna

Fèsì profonda e sì mortal ferita

Quantoquestoonde 'l ciel volle piagarme.

Rimedioalcun da rallegrar la vita

Nonchiude tutto 'l cerchio de la luna

Chedel mio duol bastasse a consolarme.

Sìcome non potea grave appressarme

Alorch'io partia teco i miei pensieri

Tuttie tu meco i tuoi sì dolcemente;

Cosìnon ho dolente

Aquesto tempoin che mi fidio speri

Ch'unsol piacer m'apporte in tanti affanni.

Enon si vide mai perduta nave

Fraduri scogli a mezza notte il verno

Spintadal vento errar senza governo

Chenon sia la mia vita ancor più grave;

Es'ella non si tronca a mezzo gli anni

Forseaverràperch'io pianga i miei danni

Piùlungamentee siano in mille carte

Imiei lamenti e le tue lode sparte.


Dinanzi a te partiva ira e tormento

Comeparte ombra a l'apparir del Sole:

Quelmi tornava in dolce ogni atto amaro

Opur con l'aura delle tue parole

Sgombravid'ogni nebbia in un momento

Locorcui dopo te nulla fu caro;

Nèmai volli al suo scampo altro riparo

Mentreaver si poteoche la tua fronte

El'amicofedelsaggio consiglio.

Persobiancoo vermiglio

Colornon mostrò mai vetro; nè fonte

Cosìpuro il suo vago erboso fondo

Com'ionegli occhi tuoi leggeva espressa

Ognimia voglia sempreogni sospetto:

Consì dolci sospirsì caro affetto

Dele mie forme la tua guancia impressa

Portavianzi pur l'alma e 'l cor profondo.

Orquanto a menon ha più un bene al mondo:

Etutto quel di luiche giova e piace

Adun col tuo mortal sotterra giace.


Quasi stella del polo chiara e ferma

Nellefortune mie sì gravie 'l porto

Fostidell'alma travagliata e stanca:

Lamia sola difesa e 'l mio conforto

Contrale noie della vita inferma

Ch'amezzo il corso assai spesso ne manca:

Equando 'l verno le campagne imbianca

Equando il maggior dì fende 'l terreno

Inogni riscoin ogni dubbia via

Fidatacompagnia

Tenestiil viver mio lieto e sereno:

Chemesto e tenebroso fora stato

EsaràFratesenza te mai sempre.

Odisavventurosa acerba sorte!

Odispietata intempestiva morte!

Omie cangiate e dolorose tempre!

Qualfu giàlassoe qual ora è 'l mio stato?

Tu'l sai; che poi ch'a me ti sei celato

Nèdi qui rivederti ho più speranza;

Altroche pianto e duol nulla m'avanza.


Tu m'hai lasciato senza sole i giorni

Lenotti senza stellee grave ed egro

Tuttoquestoond'io parloond'io respiro:

Laterra scossae 'l ciel turbato e negro

Epien di mille oltraggi e mille scorni

Misembra in ogni partequant'io miro.

Valore cortesia si dipartiro

Neltuo partire 'l mondo infermo giacque

Evirtù spense i suoi più chiari lumi:

Ele fontane ai fiumi

Negarla vena antica e l'usate acque:

Egli augelletti abandonaro il canto:

El'erbe e i fior lasciar nude le piaggie:

Nèpiù di fronde il bosco si consperse.

Parnasoun nembo eterno ricoperse

Ei lauri diventar quercie selvaggie:

E'l cantar de le Deegià lieto tanto

Uscìdoglioso e lamentevol pianto:

Efu più volte in voce mesta udito

Ditutto 'l colle: o BEMBOove se' ito?


Sovra 'l tuo sacro ed onorato busto

Caddegrave a se stesso il padre antico

Laceroil pettoe pien di morte il volto:

Edisse: ahi sordo e di pietà nemico

Destinpredace e reodestino ingiusto

Destina impoverirmi in tutto volto

Perchépiù tosto me non hai disciolto

Daquesto grave mio tenace incarco

Piùche non lece e più ch'io non vorrei

Dandoa lui gli anni miei

Chedel suo leve inanzi tempo hai scarco?

Lassoallor potev'io morir felice:

Orvivo sol per dare al mondo esempio

Quant'è'l peggio far qui più lungo indugio

S'uomde' perdere in breve il suo refugio

Dolcee poi rimanere a pena e scempio:

Ovecchiezza ostinata ed infelice

Ache mi serbi ancor nuda radice

Se'l troncoin cui fioriva la mia speme

èseccoe gelo eterno il cigne e preme?


Qual pianser già le triste e pie sorelle

Cuile treccie in su 'l Po tenera fronde

El'altre membra un duro legno avvolse

Talcon gli scoglie con l'auree con l'onde

Miserae con le gentie con le stelle

Deltuo ratto fuggir la tua si dolse.

Perduol Timavo indietro si rivolse:

Evider Manto i boschi e le campagne

Errarcon gli occhi rugiadosi e molli:

Adriale rive e i colli

Pertuttoove 'l suo mar sospira e piagne

Percossein vista oltra l'usato offesa

Talch'a noia e disdegno ebbi me stesso:

Ese non fosseche maggior paura

Frenòl'ardir; con morte acerba e dura

Allaqual fui molte fiate presso

D'uscird'affanno arei corta via presa.

Orchiamoe non so far altra difesa

Purluiche l'ombra sua lasciando meco

Dime la viva e miglior parte ha seco.


Che con l'altra restai morto in quel punto

Ch'iosenti' morir luiche fu 'l suo core:

Nèson buon d'altroche da tragger guai.

Treguanon voglio aver col mio dolore

Infinch'io sia dal giorno ultimo giunto.

Etanto il piangeròquant'io l'amai.

Dehperché innanzi a lui non mi spogliai

Lamortal gonnas'io men vestì prima?

S'alviver fui veloceperché tardo

Sonoal morir? un dardo

Almenavesse ed una stessa lima

Parimenteambo noi trafitto e roso:

Chesiccome un voler sempre ne tenne

Vivendocosì spenti ancor n'avesse

Un'oraed un sepolcro ne chiudesse.

Ese questo al suo tempo o quel non venne

Nèspero degli affanni alcun riposo;

Aprasiper men danno a l'angoscioso

Carceremio rinchiuso omai la porta

Edegli a l'uscir fuor sia la mia scorta.


E guidemi per manche sa 'l cammino

Digir al ciel; e nella terza spera

M'impetridal Signor appo se loco.

Ivinon corre il dì verso la sera

Nèle notti sen' van contra 'l mattino;

Ivi'l caso non può molto nè poco:

Ditema gelo maidi disir foco

Glianimi non raffreddae non riscalda

Nètormenta dolornè versa inganno:

Ciascunoin quello scanno

Vivee pasce di gioia pura e salda

Ineternofuor d'ira e d'ogni oltraggio

Chepreparato gli ha la sua virtute.

Chimi dà il grembo pien di rose e mirto

Sìch'io sparga la tomba? o sacro spirto

Chequal a' tuoi più fosti o di salute

Odi trastullo; agli altri o buono saggio

Nonsaprei dir: ma chiaro e dolce raggio

Giugnestiin questa fosca etate acerba

Chetutti i frutti suoi consuma in erba.


Secome già ti calseora ti cale

Dime; pon dal ciel mentecom'io vivo

Dopo'l tu' occasoin tenebre e 'n martiri.

Tela tua morte più che pria fè vivo

Anzieri mortoor sei fatto immortale:

Medi lagrime albergo e di sospiri

Fala mia vitae tutti i miei desiri

Sonodi mortee sol quanto m'incresce

Èch'io non vo più tosto al fin ch'io bramo.

Nonsostien verde ramo

De'nostri campi augelloe non han pesce

Tuttequeste limose e torte rive:

Nèpressoo lunge a sì celato scoglio

Filod'alga percote onda marina:

Nèsì riposta fronda il vento inclina

Chenon sia testimon del mio cordoglio.

TuRe del cielcui nulla circonscrive

Mandaalcun de le schiere elette e dive

Disu da quei splendori giù in quest'ombre

Chedi sì dura vita omai mi sgombre.


Canzonqui vedi un tempio a canto al mare

Egenti in lunga pompae gemme ed ostro

Ecerchie metee cento palme d'oro:

Aluich'io in terra amavain cielo adoro

Dirai:così v'onora il secol nostro.

Mentreudirà querele oscure e chiare

Morte;Amor fiamme arà dolci ed amare;

Mentrespiegherà il Sol dorate chiome;

Sempresarà lodato il vostro nome.


A leiche l'Appennin superbo affrena

Là've parte le piagge il bel Metauro;

Dicui non vive dal mar Indo al Mauro

Dal'Orse a l'Austrosimil nè seconda

Vaprima: ella ti mostreo ti nasconda.


SonettoCXXVII (CLVII)


Adunque m'hai tu purin su 'l fiorire

Morendosenza teFratelasciato;

Perché'l mio dianzi chiaro e lieto stato

Orasi volga in tenebre e 'n martire?


Gran giustizia erae mio sommo desire

Dame lo stral avesse incominciato:

Ecome al venir qui son primo stato

Ancorastato fossi al dipartire.


Ché non arei veduto il mio gran danno

Dime stesso sparir la miglior parte;

Esarei teco fuor di questo affanno.


Or ch'io non ho potuto innanzi andarte

Piacciaal Signora cui non piace inganno

Ch'iopossa in breve e scarco seguitarte.


SonettoCXXVIII (CLVIII)


Leonicoche 'n terra al ver sì spesso

Gliocchi levavi e 'l penser dotto e santo;

Etor nel cielo il guiderdon promesso

Ricevial tuo di lui studio cotanto;


A te non si conven doglianè pianto:

Ch'omaipien d'annie pago di te stesso

Chiudiil tuo chiaro dì; ma festa e canto

Delgrande a la tua vita onor concesso.


Qual dalla mensa uom temperato e sazio

Tidiparti dal mondoe torni a lui

Chet'ha per nostro ben tardo ritolto.


Conviensi a meche non ho piùcon cui

Sìsecuro fornir quel poco o molto

Chede la dubbia via m'avanzaspazio.


SonettoCXXIX (CLIX)


Navager mioch'a terra strana volto

Pergiovar a la patria il mondo lassi

Tepiango: e piangon meco i litii sassi

El'erbeche per te crebber già molto.


Tu le palme latine hai di man tolto

Ainostri tuttecon sì fermi passi

Salisti'l colle: or quando più vedrassi

Tantovalor in un petto raccolto?


Grave duol certo; pur io mi consolo

Ch'orti diporti con quell'alme antiche

Chetanto amastie teco è 'l buono e saggio


SAVORGNANche contese alle nemiche

Schiereil suo montee fu d'alto coraggio

Epoco inannzi a te prese il suo volo.


SonettoCXXX (CLX)


Animetra cui spazia or la grande ombra

Deldotto NAVAGERper sorte acerba

Diquesto secol reoche miete in erba

Tuttii suoi fruttio li dispiega in ombra


Qual gioia voi della sua vista ingombra

Talnoi preme dolor: poi sì superba

èstata mortech'i men degni serba

Edel maggior valor prima ne sgombra.


Piacciavi dirquando il nostro emispero

Diedeagli Elisi più sì chiaro spirto;

Edegli qual da voi riceve onore


Raro dopo gli antichi: a questo Omero

Basciòla fronte e cinsela di mirto:

Virgilioparte seco i passi e l'ore.


SonettoCXXXI (CLXI)


Portoche 'l piacer mio teco ne porti

Lavita e noi sì tosto abbandonando

Chefarò qui senza te lasso? e quando

Udiròcosa piùche mi conforti?


Invidio teche vedi i nostri torti

Daltuo dritto sentiergià posti in bando

Gliumani affetti; e vo pur te chiamando

Beatoe vivoe noi miseri e morti.


Deh che non mena il Sole omai quel giorno

Ch'iorenda la mia guardiae torni al cielo

Ditanti lumi in sì poche ore adorno?


Nel quallasciato in terra il suo bel velo

Facon l'eterno Re colei soggiorno

Ondeho la piagach'ancor amo e celo.


SonettoCXXXII (CLXII)


Or hai de la sua gloria scosso Amore

Omorte acerba: or delle donne hai spento

L'altoSol di virtute e d'ornamento

Enoi rivolti in tenebroso orrore.


Deh perchè sì repente ogni valore

Ognibellezza inseme hai sparso al vento?

Benpotei tu de l'altre ancider cento

Elei non torre a più maturo onore.


Fornito haibella donnail tuo viaggio:

Etorni al ciel con giovenetto piede

Lasciandoin terra la tua spoglia verde.


Ben si può dir omaiche poca fede

Neserva il mondoe come straleo raggio

Apena spunta un benche si disperde.


SonettoCXXXIII (CLXIII)


Ov'èmia bellae carae fida scorta

L'usatatua pietàche sol mi lassi

Alcammin duroai perigliosi passi

Dame cotanto dilungata e torta?


Vedi l'almache trema e si sconforta

Perlo tuo dipartiree 'n prova stassi

D'abbandonarmi;e sfida i membri lassi

Perseguir tequal vivaor così morta.


Ben le dice mio corchi t'assecura?

Eforse a lei sua pace turberai

Chedi nostra salute in cielo ha cura .


Ellache fo più qui? risponde: mai

Sostegnotalee ben tantoe ventura

Perdènull'altra: e tu misero il sai.


SonettoCXXXIV (CLXIV)


L'alto mio dal Signor tesoro eletto

De'suoi gemmai più ricchie con più cura

Quellache nè giudicionè misura

Usanel torm'ha toltoond'io l'aspetto.


Che sì mendica e piena di sospetto

Èrimasa quest'alma e 'n così dura

Vitach'assai le fora a gran ventura

Cenerefarsi omai del suo ricetto:


Tal che leggera e di quel nodo sciolta

Potessetanto in su levarsi a volo

Chesi posasse a piè de la sua donna.


O per me chiaroe lietoe dolce solo

Queldìnè può tardars'ella m'ascolta

Chesquarcerà questa povera gonna.


SonettoCXXXV (CLXV)

Quandoforse per dar loco a le stelle

IlSol si partee 'l nostro cielo imbruna

Spargendosidi lorch'ad una ad una

Adiecea cento escon fuor chiare e belle;


I penso e parlo mecoin qual di quelle

Orasplende coleicui par alcuna

Nonfu mai sotto 'l cerchio della Luna;

Benchédi Laura il mondo assai favelle?


In questa piangoe poi ch'al mio riposo

Tornopiù largo fiume gli occhi miei

El'imagine sua l'alma riempie


Trista: la qual mirando fiso in lei

Ledice quelch'io poi ridir non oso:

Onotti amareo Parche ingiuste ed empie!


SonettoCXXXVI (CLXVI)


Tosto che la bell'alba solo e mesto

Titonlasciando a noi conduce il giorno;

Ech'io mi sveglioe rimirando intorno

Nonveggo 'l Solche suol tenermi desto;


Di dolore di panni mi rivesto:

Esospirando il bel dolce soggiorno

Che'l ciel m'ha toltoa lagrimar ritorno:

Laluce ingratae 'l viver m'è molesto.


Talor vengo agl'inchiostrie parte noto

Lemie sventure; ma 'l più celo e serbo

Nelcor: che nullo stile è che le spieghi.


Talor pien d'ira e di speranze voto

Chiamochi del mortal mi scinga e sleghi:

Ogiorni tenebrosio fato acerbo!


SonettoCXXXVII (CLXVII)


S'al vostro amor ben fermo non s'appoggia

Miocorche ad ogni obbietto par che adombre

Pregateleiche ne' begli occhi alloggia

Chedi sì dura vita omai mi sgombre.


Non sempre alto dolorche l'alma ingombre

Scemaper consolarma talor poggia:

Comelumi del ciel per notturne ombre:

Comedi foco in calce esca per pioggia.


Morte m'ha tolto a la mia dolce usanza:

Orho tutt'altro e più me stesso a noia

Anzia disdegnoe sol pianger m'avanza.


COSMOchi visse un tempo in pace e 'n gioia

Poivive in guerra e 'n penee più speranza

Nonha di ritornarqual fu; si moia.


SonettoCXXXVIII (CLXVIII)


Ben devrebbe Madonna a sé chiamarmi

Sunel beato e lieto asilo eterno;

E'n questo pien di noia e pene inferno

Vitamortale omai più non lasciarmi:


Ché non è sotto 'l Sol ben da quetarmi

Sìgli ho tutti col mondo inseme a scherno:

Nèpuò conforto al grave affanno interno

Sendodi fuor chiusa ogni viapassarmi.


Ma s'ella il nodo a l'alma non discioglie

Vedendome di tacito e contento

Voltoa sì triste e lamentose tempre;


E per sé non m'ancidee quinci toglie

Ilduolche del suo ratto sparir sento;

Soranzoi piangoe son per pianger sempre.


SonettoCXXXIX (CLXIX)


Donnache fosti oriental Fenice

Tral'altre donnementre il mondo t'ebbe

Epoi che d'abitar fra noi t'increbbe

Angelsalisti al ciel novo e felice;


L'alta beltà del nostro amor radice

Colsennoond'ei tanto si stese e crebbe

Ventofatal sì tosto non devrebbe

Averdiveltal'un penser mi dice


Per cui d'amaro pianto il cor si bagna;

Mal'altro ad or ad or con tai parole

Provaquetarmi; a che ti struggio cieco?


Non era degno di sì chiaro Sole

Occhiodi mortal vista; or Dio l'ha seco

Dalcui voler uom pio non si scompagna


SonettoCXL. (CLXX)


Dehperché inanzi a me te ne se' gita

Setanto dopo me fra noi venisti?

Odio non me n'andaiquando partisti

Teco?e tempo era ben d'uscir di vita.


Porgimi almen or tu dal cielo aita

Ch'iochiuda questi dì sì neri e tristi

Mostrandomila viaper cui salisti

Alben nato conciglioalma e gradita.


Mentre i duo poli e 'l lucido Orione

Tistai mirandoche tra lor si spazia

Piùgiù quidov'io piangoe me risguarda:


E per Giesùch'al mondo oggi fe' grazia

Dise nascendoa trarmi di pregione

Eguidar costa sunon esser tarda.


SonettoCXLI (CLXXI)


S'Amor m'avesse detto: ohimèda morte

Fienoi begli occhi prima di te spenti;

Avreidi lor con disusati accenti

Rimedettatoe più spesse e più scorte


Per mio sostegno in questa dura sorte

Eperché le ben chiare ed apparenti

Noterendesser le lontane genti

Del'alma lor divina luce accorte:


Ché già sarebbe oltre l'Iberoe 'l Gange

LaTanae 'l Nilo intesae divulgato

Com'iosolfo a quei raggi ed esca fui.


Orpoi ch'altro che pianger non m'è dato

Piangopur sempree son; tanto duol m'ange;

Nèdi me stesso ad uoponè d'altrui.


SonettoCXLII (CLXXII)


Un anno intero s'è girato a punto

Che'l mondo cadde del suo primo onore

Mortaleich'era il fior d'ogni valore

Colfior d'ogni bellezza inseme aggiunto.


Come a sì mesto e lagrimoso punto

Nonti divelli e schiantiafflitto core

Seti rimembrach'a le tredici ore

Delsesto dì d'agosto il Sole è giunto?


In questa uscìo de la sua bella spoglia

Nelmille cinquecento e trentacinque

L'animasaggiaed io cangiando il pelo


Non so però cangiar pensieri e voglia

Ch'omais'affretti l'altra e s'appropinque

Ch'ioparta quincie la rivegga in cielo.


SonettoCXLIII (CLXXIII)


Quella per cui chiaramente alsi ed arsi

Undicied undici annial ciel salita

Hame lasciato in angosciosa vita:

Oguadagni del mondo incerti e scarsi!


Che s'uom sotto le stelle ha da lagnarsi

Disuo gran dannoe di mortal ferita;

Ison coluich'a morte cheggio aita;

Nèfine altronde al mio dolor può darsi.


Ben la scorgo io sin di là su talora

D'amore di pietate accesa il ciglio

Dirmi:tu pur qui sarai meco ancora:


Ond'io mi riconfortoed in quell'ora

Divolger l'alma al ciel prendo consiglio:

Poitorna il pianto tristoche m'accora.


SonettoCXLIV (CLXXIV)


Era Madonna al cerchio di sua vita

Trigesimoed ottavoquando morte

Laspogliò del bel velo eletto in sorte

Avestir alma sì dal ciel gradita.


Perchécrudeli Parcheancora unita

Mentea trar me del mio non foste accorte?

Cosanon hoch'altro che duol m'apporte:

Colsuo piè freddo ogni mia festa è gita.


Qual alga in marche quinci e quindi l'onde

Sospinganvivo; o qual abete in cima

D'altissim'alpeall'austroal borea segno.


Se quei pur vivech'assai lieto in prima

Perdepoi la sua guida e 'l suo sostegno

Esempre chiamae nessun mai risponde.


SonettoCXLV (CLXXV)


Che mi giova mirar donne e donzelle

Eprati e selve e rivie 'l bel governo

Chefa del mondo il buon motore eterno

Marterracieloe vagheo ferme stelle?


Spenta coleich'un sol fu tra le belle

Etra le saggeor è mio nembo interno:

Formed'orror mi sembra quant'io scerno:

Essercieco vorrei per non vedelle.


Ch'i' non so volger gli occhi a parteov'io

Nonscorga lei fra molte mesteo lasso

Chiudermorendo le sue luci sante.


Ond'io viver non curoanzi desio

Digirle dietro con veloce passo:

Edera me'ch'i' le fossi ito avante.


Canzone XXIX (CLXXVI)


Donnade' cui begli occhi alto diletto

Trasseri miei gran tempoe lieto vissi

Mentrea te non dispiacque esser fra noi

Sevediche quant'io parlai nè scrissi

Nonè stato se non doglia e sospetto

Dopoil quinci sparir dei raggi tuoi

Impetradal Signornon più ne' suoi

Laccimi stringa il mondoe possa l'alma

Chedevea gir inanziomai seguirti.

Tugodiassisa tra' beati spirti

Dellatua gran virtutee chiara ed alma

Sentie felice dirti:

Iosenza te rimaso in questo inferno

Sembronave in gran mar senza governo:

Evò là dove il callee 'l piè m'invita

Latua morte piangendoe la mia vita.


Sì come più di me nessuno in terra

Vissede' suoi pensier pago e contento

Tequi tenendo la divina cura;

Cosìcordoglio equale a quelch'io sento

Nonènè credo ch'esser possa: e guerra

Nonfè giamai sì dispietata e dura

Laspadache suoi colpi non misura

Quantoor a meche 'n un sol chiuder d'occhi

Lemie vive speranze ha tutte estinto:

Ond'ioson ben in guisa oppresso e vinto

Chepur che 'l cor di lagrime trabocchi

Mentred'intorno cinto

Saròde la caduca e frale spoglia

Altronon cerco: o quando fia che voglia

Divita il Re celeste e pio levarmi?

Prega'l tuSantae così poi quetarmi.


Avea per sua vaghezza teso Amore

Un'altarete a mezzo del mio corso

D'oroe di perlee di rubin contesta

Cheveduta al più fero e rigid'orso

Umiliavae 'nteneriva il core

Equetava ogni nemboogni tempesta;

Questalieto mi presee poscia in festa

Tennemolt'anni: or l'ha sparsa e disciolta

Perfar me sempre tristoacerba sorte.

Ahiciecasordaavarainvida morte;

Dunquehai di me la parte maggior tolta

El'altra sprezzi? O forte

Tenordi stelleo già mia spemequanto

Megliom'era il morirche 'l viver tanto!

Dehnon mi lasciar qui più lungo spazio;

Ch'ioson di sostenermi stanco e sazio.


Sovra le notti mie fur chiaro lume

Enel dubbio sentier fidata scorta

Ituoi begli occhie le dolci parole.

Orlassoche ti se' oscurata e torta

Tantoda meconvien ch'io mi consume

Senzai soavi accenti e 'l puro Sole:

Nèso cosa mirarche mi console

Ovoce udirche 'l cor dolente appaghi

Nèmica in questo lamentoso albergo

Loqual dì e nottepur di pianto aspergo

Chiedendoche si volga e me rimpiaghi

Mortenè più da tergo

Lascie m'ancida col suo stral secondo;

Poichècol primo ha impoverito il mondo

Toltaneteper cui la nostra etade

Sìricca fu di senno e di beltade.


Avess'io almen penna più fermao stile

Possenteagli altri secoli di mille

Dele tue lode farne passar una;

Chegià di leggiadrissime faville

S'accenderebbeogni anima gentile:

Eio mi dorrei men di mia fortuna

Emen di mortein aspettando alcuna

Vendettacontra lei da le mie rime.

Eper chieder ancorao se 'l mio inchiostro

Mantovae Smirnas'avanzasse al vostro

Tantoche non pur lei la più sublime

Inquesto basso chiostro

Matal là su facesse oprache 'l cielo

Lasforzasse a tornar nel suo bel velo:

Perchénon fosse uom poi così beato

Conch'io cangiassi il mio gioioso stato.


Se tu stessaCanzone

Diquel vedermi lieto mai non credi

Chepiù vo desiando; a pianger riedi

Edìdel pianto molleovunque arrive

Madonnaè mortae quel misero vive.


SONETTO CXLVI. (CLXXVII.)


O Soldi cui questo bel sole è raggio

Solper lo qual visibilmente splendi

Sesovra l'opre tue qua giù ti stendi;

Rilucia meche speme altra non aggio.


Da l'almach'a te fa verace omaggio

Dopotanti e sì gravi suoi dispendi

Sgombral'antiche nebbiee tal la rendi

Chepiù dal mondo non riceva oltraggio.


Omai la scorga il tuo celeste lume:

Ese già mortal fiammae poca l'arse;

All'eternaed immensa or si consume


Tantoche le sue colpe in caldo fiume

Dipianto lavie mondada levarse

Erivolar a te vesta le piume.


SonettoCXLVII (CLXXVIII)


Se già ne l'età mia più verde e calda

Offesite ben mille e mille volte

Ele sue doti l'alma ardita e balda

Date donateha contra te rivolte;


Or che m'ha 'l verno in fredda e bianca falda

Dineve il mento e queste chiome involte

Midonaond'io con piena fede e salda

Padret'onorie le tue voci ascolte.


Non membrar le mie colpee poi ch'addietro

Tornarnon ponno i mal passati tempi

Reggitu del cammin quelche m'avanza:


E sì 'l mio cor del tuo desio riempi

Chequellache 'n te sempre ebbisperanza

Quantunquepeccatornon sia di vetro.


Canzone XXX (CLXXIX)


Signorquella pietàche ti constrinse

Morendofar del nostro fallo ammenda

Dal'ira tua ne copra e ne difenda.


VediPadre cortese

L'altovisco mondan com'è tenace

Ele retiche tese

Neson dall'avversario empio e fallace

Quantohanno intorno a se di quel che piace.

Peròs'avenche spesso uom se ne prenda

Questotalor pietoso a noi ti renda.


Non si negaSignore

Che'l peccar nostro senza fin non sia.

Mase non fosse errore;

Campoda usar la tua pietà natia

Nonavresti: la qual perché non stia

Inoscuroe quanta è fra nois'intenda

Mengrave esser ti deech'altri t'offenda.


TuPadrene mandasti

Inquesto mare tu ne scorgi a porto:

Ese molto ne amasti

Allorche 'l mondo t'ebbe vivo e morto;

Amanea questo tempo: e 'l nostro torto

Latua pietosa man non ne sospenda;

Magrazia sopra noi larga discenda.



Sonetto LXXXV (CXI)


Sento l'odor da lungee 'l fresco e l'ora

Deiverdi campiove colei soggiorna

Checo' begli occhi suoi le selve adorna

Difrondee con le piante l'erba infiora.


Sorgi dall'onde avanti all'usat'ora

Dimaneo Solee ratto a noi ritorna

Ch'iopossa il Solche le mie notti aggiorna

Vederpiù tostoe tu medesmo ancora.


Ché sai tra quanto scaldi e quanto giri

Beltadee leggiadria sì nova e tanta

Perdonimiqualunque altranon miri.


E se qual alma quel bel velo amanta

Ancorsapessie quanto alti desiri;

L'inchineresticome cosa santa.


Canzone XXV (CXII)


Nè le dolci aure estive

Nè'l vago mormorar d'onda marina

Nètra fiorite rive

Donnapassar leggiadra e pellegrina

Furgiammai medicina

Chesanase pensero infernio e grave;

Ch'ionon gli aggiaper nulla

Diquel piacerche dentro mi trastulla

L'animadi cui tene Amor la chiave:

Sìè dolce e oave.


SonettoLXXXVI (CXIII)


Ombrein cui spesso il mio Sol vibra e spiega

Suoiraggie talor parlae talor ride;

Edolcemente me da me divide;

Ei vaghi e lievi spirti prende e lega;


Mentre venir tra voi non mi si niega

NoncuroAmor se m'ardeo se m'ancide:

Che'n queste chiuse valli e sole e fide

Ognimia penae morte ben s impiega.


Sento una voce fuor dei verdi rami

Dirsì leggiadra donnae sì gentile

Essernon puòche non gradisca ed ami.


Onde 'l superno Re devoto umile

Pregonon tosto in ciel la si richiami:

Ch'iofarei ciecoe 'l mondo oscuro e vile.


SonettoLXXXVII (CXIV)


Fiumeonde armato il mio buon vicin bebbe

Quandodel gorgo e de la destra riva

Fugòlo stuol di Spartache veniva

Diquel cercandoche trovar gl'increbbe;


Qual ti fè dono e quant'onor t'accrebbe

Queldìche 'l corso tuo leggiadra e schiva

VinceaMadonnae 'n contro a te saliva

Co'l Solch'a lei mirando invidia n'ebbe:


E d'un oscuro nembo ricoperse

Laricca navicella d'ogn'intorno

Chedi ventosa pioggia la consperse.


Ma poicome temesse infamia e scorno

Dital vendettail ciel turbato aperse

Rendendoa Teti chiaro e puro il giorno.


SonettoLXXXVIII (CXV)


Se voi sapeteche 'l morir ne doglia

Peròche da noi stessi ne diparte

Sapeteond'èchequand'io sto in disparte

DiMadonnami preme ultima doglia.


Ella è l'alma di mech'ogni sua voglia

Nefasiccome donna in serva parte:

Ioche lei seguoin altro non ho parte

Che'n questa gravee fralee nuda spoglia.


E poi che non pote uom senza lo spirto

Tenersiin vitaognor ch'io le son lunge

Mortem'assaleond'i' m'agghiaccio e torpo.


Vero èch'un crin di lei negletto ed irto

Ch'iomirio l'ombra pur del suo bel corpo

Trifonmio caroa me mi ricongiunge.


SonettoLXXXIX (CXVI)


Molzache fa la donna tuache tanto

Tipiacque oltra misura? e fu ben degno

Poiche sì chiaro e sì felice ingegno

Vestedi sì leggiadro e sì bel manto.


Tienti ella per costume in doglia e pianto

Maisempreonde ti sia la vita a sdegno?

Opur talor ti mostra un picciol segno

Chele 'ncresca del tuo languir cotanto?


Che detta il mio Collegail qual n'ha mostro

Colsuo dir grave e pien d'antica usanza

Sìcome a quel d'Arpin si può gir presso?


Che scrivi tudel cui purgato inchiostro

Giàl'uno e l'altro stil molto s'avanza?

Starneghittoso a te non è concesso.


SonettoXC. (CXVII)


Se la più dura querciache l'Alpe aggia

V'avessepartoritae le più infeste

TigriIrcane nodrita; anco devreste

Nonessermi sì fera e sì selvaggia.


Lassoben fu poco avveduta e saggia

L'almache di riposo in sì moleste

Curesi posee le mie vele preste

Giròdal porto a tempestosa piaggia.


Altro da indi in quache pene e guai

Nonfu meco un sol giornoed onta e strazio

Elagrimeche 'l cor profondo invia.


Nè sarà per innanzie se pur fia

Nonfia per tempo: ch'i sonDonnaomai

Divivernon che d'altrostanco e sazio.


SonettoXCI (CXVIII)


Per far tosto di me polvere ed ombra

Nonv'hann'uopo erbeDonnain Ponto colte:

Tenetepur le luci in se raccolte

Mostrandovid'amor e pietà sgombra.


L'almacui grave duol dì e notte ingombra

Nonpar omaiche più conforto ascolte

Misera:e le speranze vane e stolte

Delcor già stanco in aspettando sgombra.


Breve spazioche dure il vostro orgoglio

Avràfin la mia vita: e non men pento:

Nonviver priache sempre languir voglio.


Morteche tronca lungo aspro tormento

Èriposoe chiunque a suo cordoglio

Sitoglie per morirmoia contento.


SonettoXCII (CXIX)


Sì levemente in ramo alpino fronda

Nonè mossa dal ventoo spica molle

Incolto e verde poggioo nebbia in colle

Ovaga nel ciel nubee nel mar onda;


Come sotto bel velo e treccia bionda

Inpicciol tempo un cor si dona e tolle;

Edisvorrà quel che più ch'altro volle:

Edi speranze e di sospetti abonda.


Gelasudachier pacee move guerra:

NostrapenaSignorche noi legasti

Acosì grave e duro giogo in terra.


Se non che sofferenza ne donasti:

Conla qual chi le porte al dolor serra

Purvivee par che prova altra non basti.


SonettoXCIII (CXX)


Tanto è ch'assenzo e fele e rodo e suggo

Ch'omaidi lor mi pasco e mi nodrisco

Eson sì avezzo al focoond'io mi struggo

Chevolontariamente ardo e languisco.


E se del carcer tuo pur talor fuggo

Perfuggir da la mortee tanto ardisco

Tostone piango ed a pregion rifuggo

Amorpiù durain pena del mio risco.


E fo come augellinche si fatica

Peruscir della reteov'egli è colto;

Maquanto più si scuotee più s'intrica.


Tal fu mia stella il dìche nel bel volto

Miraiprimier dell'aspra mia nemica

Ch'ame tutt'altroe più me stesso ha tolto.


Canzone XXVI (CXXI)


Poscia che 'l mio destin fallace ed empio

Neidolci lumi dell'altrui pietade

Lemie speranze acerbamente ha spento;

Dipena in penae d'uno in altro scempio

Menandoi giornie per aspre contrade

Mortechiamando a passo infermo e lento

Nebbiae polvere al vento

Sonfattoe sotto 'l Sol falda di neve;

Ch'unvolto segue l'almaov'ella il fugge;

Eun penser la strugge

Cocentesìch'ogni altro danno è leve:

Egli occhiche già fur di mirar vaghi

Piangonoe questo sol par che gli appaghi.


Or che mia stella più non m'assicura

Scorgole membra via di passo in passo

Percammin duro e 'n penser tristo e rio:

Ch'iodico pien d'error e di paura

Ovene vodolente? e che pur lasso?

Chimi t'invidiao mio sommo desio?.

Cosìdicendo un rio

Versodal cor di dolorosa pioggia

Chepuò far lacrimar le petre istesse;

Eperché sian più spesse

L'angosciemiecon disusata foggia

U'che 'l piè movou' che la vista giro

Altroche la mia donna unqua non miro.


Co 'l piè pur mecoe co 'l cor con altrui

Vocamminandoe dell'eterna riva

Bagnandofor per gli occhi ogni sentero

Alorch'i penso: ohimèche sonche fui?

Delmio caro tesoro or chi mi priva;

Escorge in parteonde tornar non spero?

Dehperché qui non pero

Primach'io ne divenga più mendico?

Dehchi sì tosto di piacer mi spoglia

Pervestirmi di doglia

Eternamente?ahi mondoahi mio nemico

Destina che mi traiperché non sia

Vitadura mortalquanto la mia?


Ove men porta il calle o 'l piede errante

Cercosbramar piangendoanzi ch'io moia

Leluciche desio d'altro non hanno:

Egridoo disaventuroso amante

Orse' tu al fin della tua breve gioia

Enel principio del tuo lungo affanno.

Egli occhiche mi stanno

Comedue stelle fissi in mezzo a l'alma;

E'l visoche pur dianzi era 'l mio Sole;

Egli atti e le parole

Chemi sgombrâr del petto ogni altra salma;

Fandi pensieri al cor sì dura schiera

Chemeraviglia è bencom'io non pera.


Non pero giàma non rimango vivo;

Anzipur vivo al dannoalla speranza

Viapiù che morto d'ogni mia mercede.

Mortoal dilettoa le mie pene vivo;

Emanco del gioirnel duol s'avanza

Locorch'ognor più largo a pianger riede:

Epensa e ode e vede

Purleiche l'arse già sì dolcemente

Eor in tanto amaro lo distilla:

Nésol d'una favilla

Scema'l gran foco de l'accesa mente:

Eme fa gir gridando: o destin forte

Comem'hai tu ben posto in dura sorte!


Canzonomai lo tronco ne ven meno

Manon la doglia che mi strugge e sforza;

Ond'ione vergherò quest'altra scorza.


Canzone XXVII (CXXII)


Lassoch'i fuggo e per fuggir non scampo

Nè'n parte levo la mia stanca vita

Delgiogoche la preme ovunque i vada:

Ela memoriadi ch'io tutto avvampo

Araddoppiar i miei dolor m'invita

Etestimon lasciarne ogni contrada.

Amorse ciò t'aggrada

Almenfa con Madonnach'ella il senta:

Elà ne porta queste voci estreme

Dovel'alta mia speme

Fuviva un tempoed or caduta e spenta

Tantofa questo esilio acerbo e grave

Quantolo stato fu dolce e soave.


S'in alpe odo passar l'aura fra 'l verde

Sospiroe piangoe per pietà le cheggio

Chefaccia fede al ciel del mio dolore.

Sefonte in valleo rio per cammin verde

Sentocadercon gli occhi miei vaneggio

Afarne un del mio pianto via maggiore.

S'iomiro in fronda o 'n fiore

Veggiounche dice: o tristo peregrino

Lotuo viver fiorito è secco e morto.

Epur nel pensier porto

Leiche mi diè lo mio acerbo destino:

Maquanto più pensando io ne vo seco

Tantopiù tormentando Amor ven meco.


Ove raggio di Sol l'erba non tocchi

Spessom'assidoe più mi sono amici

D'ombrosaselva i più riposti orrori:

Ch'iofermo 'l penser vago in que' begli occhi

Chesolean far miei dì lieti e felici

Orgli empion di miserie e di dolori:

Eperché più m'accori

L'ingordoerrora dir de' miei martiri

Vengolorcom'io gli ho di giorno in giorno.

Poiquando a me ritorno

Trovomisì lontan da' miei desiri

Ch'iorestoahi lassoquasi ombra sott'ombra;

Disì vera pietate Amor m'ingombra.


Qualor due fiere in solitaria piaggia

Girsenpascendo simplicette e snelle

Perl'erba verde scorgo di lontano;

Piangendoa lor comincio: o lieta e saggia

Vitad'amantia voi nemiche stelle

Nonfan vostro sperar fallace e vano:

Unboscoun monteun piano

Unpiacerun desio sempre vi tene.

Ioda la donna mia quanto son lunge?

Dehse pietà vi punge

Dateudienzia inseme a le mie pene.

E'n tanto mi riscuoto e veggio espresso

Cheper cercar altrui perdo me stesso.


D'erma rivera i più deserti lidi

M'insegnaAmorlo mio avversario antico:

Chepiù s'allegradov'io più mi doglio.

Ivi'l cor pregno in dolorosi stridi

Sfogocon l'ondeed or d'un ombilico

Edell'arena li fo penna e foglio.

Indiper più cordoglio

Tornoal bel visocome pesce ad esca:

Econ la mente in esso rimirando

Temendoe desiando

Pregosovente che di me gl'incresca.

Poimi risentoe dico: O penser casso

Dov'èMadonna? e 'n questa piango e passo.


Canzontu viverai con questo faggio

Appressoall'altrae rimarrai con lei:

Emeco ne verranno i dolor miei.


SonettoXCIV (CXXIII)


La nostra e di Giesù nemica gente

Ch'orlietacome fosse un picciol varco

L'Istropassandoin parte ha l'odio scarco

Sovraqueiche la fer già sì dolente;


Di cui trema il Tedescoe 'n van si pente

Ch'alferro corse pigroa l'oro parco;

Evede incontro a sé riteso l'arco

C'haRodo e l'Ungheria piagate e spente;


Tuche ne sembri Dioraffrena e doma

L'empiofuror con la tua santa spada

Sgombrando'l mondo di sì grave oltraggio


E noi di temache non pera e cada

Sopraqueste LamagnaItaliae Roma:

Edirenti Clemente e forte e saggio.


SonettoXCV (CXXIV)


Da torvi agli occhi miei s'a voi diede ale

Fortunariacui del mio bene increbbe;

Dilevarmi al penser forza non ebbe

Ch'ècon voi sempreal volar vostro equale.


Questi vi miraquanto sete e quale:

Ese 'l poteste udirvi conterebbe

Dimedegli altri vostri: e ne devrebbe

Valerse vero amor suo pregio vale.


Che poi che Pisa n'ha disciolti e privi

Divostra compagniasem fatti quasi

Selvesenz'ombrao senza corso rivi.


Pochi degli onor tuoi ti son rimasi

Padovamia: che i più son translati ivi

Colbuon Ridolfo nostroonde fiorivi.


SonettoXCVI (CXXV)


Pon Febo mano a la tua nobil arte

Aisughiall'erbe: e quel dolce soggiorno

De'miei pensiercui piove entro e d'intorno

Quantabeltà fra mille il ciel comparte


Ch'or langue e va mancando a parte a parte

Risanae serba: a te fia grave scorno

Secosì cara donna anz'il suo giorno

Dalmondoch'ella onorasi diparte.


Torna co 'l chiaro sguardoch'è 'l mio Sole

Laguanciache l'affanno ha scolorita

Afar serenqual priadelle vostre ugge.


E sì darai tu scampo alla mia vita

Chesi consuma in leinè meco vvle

Solun dì sovrastars'ella sen fugge.


SonettoXCVII (CXXVI)


Tenace e saldoe non parche m'aggrave

è'l nodoonde mi strinse a voi la Parca

Chefila il viver nostro; e ben è parca

Tuttolo stame far chiaro e soave.


Che qual avinta dietro a ricca nave

Solcatalor la sua picciola barca

L'Egeoturbatoe di par seco il varca

Eprocella sostien noiosa e grave;


Tal io; mentre fra via l'onde avvolgendo

Vipercosse repente aspra tempesta

Passaiquel mar con travagliato legno;


Ma poi fortuna più non v'è molesta

Corrosedato voi lieta seguendo

Fatalee prezioso mio ritegno.


SonettoXCVIII (CXXVII)


Mentre navie cavallie schiere armate

Che'l ministro di Dio sì giustamente

Movea ripor la misera e dolente

Italiae la sua Roma in libertate


Son cura de la vostra alta pietate

IovoSignorpensando assai sovente

Coseond'io queti un desiderio ardente

Difarmi conto a più d'un'altra etate.


Dal vulgo intanto m'allontanoe celo

Làdov'io leggo e scrivoe 'n bel soggiorno

Partendol'ore fo picciol guadagno.


Peso grave non ho dentro o d'intorno:

Cercopiacer a Luiche regge il cielo:

Diduo mi lodoe di nessun mi lagno.


SonettoXCIX (CXXVIII)


ArsiBernardoin foco chiaro e lento

Molt'anniassai felice: e se 'l turbato

Regnod'Amor non ha felice stato

Tennimialmen di lui pago e contento.


Poi per dar le mie vele a miglior vento

Quandolume del ciel mi s'è mostrato

Scintomidel bel viso in sen portato

Sparsico 'l piè la fiammae non men pento.


Ma l'imamgine sua dolente e schiva

M'èsempre innanzie preme il cor sì forte

Ch'ioson di Lete omai presso a la riva.


S'io 'l varcherò; farai tuche si scriva

Sovra'l mio sassocom'io venni a morte

Togliendomiad Amormentr'io fuggiva.


SonettoC (CXXIX)


Se delle mie ricchezze care e tante

Esì guardateond'io buon tempo vissi

Dimia sorte contentoe meco dissi:

-Nessun vive di me più lieto amante;


Io stesso mi disarmo: e queste piante

Avezzea gir per làdov'io scoprissi

Quegliocchi vaghie l'armonia sentissi

Delleparole sì soavi e sante


Lungi da lei di mio voler sen vanno

Lassochi mi daràBernardoaita?

Ochi m'acqueteràquand'io m'affanno?


Morrommi; e tu diraimia fine udita:

Questiper non veder il suo gran danno

Lasciatala sua donnauscìo di vita.


SonettoCI (CXXX)


Signorche parti e tempri gli elementi

E'l Sole e l'altre stelle e 'l mondo reggi

Edor col freno tuo santo correggi

Illungo error de le mie voglie ardenti;


Non lasciar la mia guardiae non s'allenti

Latua pietà; perch'io tolto alle leggi

M'abbiad'Amore disturbato i seggi

Inch'ei di me regnavaalti e lucenti.


Chécome audace lupo suol degli agni

Strettinel chiuso lorcosì costui

Ritentafar di me l'usata preda.


Acciò pur dunque in danno i miei guadagni

Nontornie 'l lume tuo spegner si creda;

Confermo piè dipartirmi da lui.


SonettoCII (CXXXI)


Che gioverà da l'alma avere scosso

Contanta pena il giogoche la presse

Lungastagions'Amor con quelle stesse

Funiil rilegaed io fuggir non posso?


Meglio era che lo straleonde percosso

Fuida' begli occhiancor morto m'avesse:

Chefosse il braccio tuoch'allor mi resse

Damesuperno Padreunqua rimosso.


Ma poi ch'errante e cieco mi guidasti

Tusentiero e Tu luce; ora ti degna

Volerche ciò far vano altri non basti:


E lei sì del tuo foco incendi e segna

Chepoggiando in desir leggiadri e casti

Rivolia tequando 'l suo dì ne vegna.


SonettoCIII (CXXXII)


Signorche per giovar sei Giove detto

Esempre offeso giammai non offendi

Daquel folle tiranno or mi difendi

Delqual fui cotant'anni sì suggetto.


Se per donarmi a te chiaro disdetto

Hofatto a luisovra 'l mio scampo intendi:

Eperché 'l fallo mio tutto s'ammendi

Co'l tuo favor tranquilla il mio sospetto.


Di riaprirsi Amor questo rinchiuso

Fiancoe raccender la sua fiamma spenta

Cerca:tu dammiond'ei resti deluso.


Ché l'ardir suo conosco e l'antico uso:

Eso come scacciato al cor s'avventa:

Edentro v'èquando ne pare escluso.


SonettoCIV (CXXXIII)


Uscito fuor de la prigion trilustre

Edeposto de l'alma il grave incarco

Salirgià mi pareaspedito e scarco

Perla strada d'onor montana illustre:


Quand'ecco Amorch'al suo calle palustre

Mirichiamae lusingae mostra il varco

Nèdi pregarnè di turbar è parco

Perrimenarmi alle lasciate lustre.


Ond'ioPadre celestea te mi volgo:

Tul'alta via m'apristie tu la sgombra

Dele costui contra 'l mio gir insidie.


Mentre da questa carne non mi sciolgo

Scacciada me sì col tuo Sole ogni ombra

Che'l bel preso cammin nulla m'invidie.


SonettoCV (CXXXIV)


Signor del ciels'alcun prego ti move

Volgia me gli occhiquesto soloe poi

S'ioil vaglioper pietà coi raggi tuoi

Porgisoccorso a l'alma e forze nove:


Tal ch'Amor questa volta indarno prove

Tornarmiai già disciolti lacci suoi:

Iochiamo tech'assecurar mi puoi:

Soloin te speme aver posta mi giove.


Gran tempo fui sott'esso preso e morto:

Orpocoo molto a te libero viva

Etu mi guida al fin tardio per tempo.


Se m'ha falso piacer in mare scorto

Verodi ciò dolor mi fermi a riva:

Nonè da vaneggiar omai più tempo.


SonettoCVI (CXXXV)


O pria sì cara al ciel del mondo parte

Chel'acqua cignee 'l sasso orrido serra:

Olieta sovra ogni altrae dolce terra

Che'l superbo Appennin segna e diparte;


Che giova omaise 'l buon popol di Marte

Tilasciò del mar donnae de la terra?

Legenti a te già serve or ti fan guerra

Epongon man ne le tue trecce sparte.


Lassonè manca de' tuoi figli ancora

Chile più strane a te chiamando inseme

Laspada sua nel tuo bel corpo adopre.


Or son queste simili all'antiche opre?

Opur così pietatee Dio s'onora?

Ahisecol duroahi tralignato seme!


SonettoCVII (CXXXVI)


Trifonche 'n vece di ministri e servi

Diloggie e marmie d'oro intesto e d'ostro

Amateintorno elci frondosee chiostro

Dilieti collierbe e ruscei vedervi


Ben deve il mondo in riverenza avervi

Mirandoal puro e franco animo vostro

Contentopur di quelche solo il nostro

Semplicestato e natural conservi.


O almain cui riluce il casto e saggio

Secoloquando Giove ancor non s'era

Contaminatodel paterno oltraggio;


Scendesti a far qua giù matino e sera:

Perchénon sia tra noi spento ogni raggio

Dibel costumee cortesia non pera.


SonettoCVIII (CXXXVII)


Quel dolce suonper cui chiaro s'intende

Quantoraggio del ciel in voi riluce

Nellaccioin ch'io già fuimi riconduce

Dopotant'annie preso a voi mi rende.


Sento la bella manche 'l nodo prende

Estrigne sìche 'l fin de la mia luce

Mis'avvicina: e chi di fuor traluce

Nèrifugge da leinè si difende:


Ch'ogni pena per voi gli sembra gioco

E'l morir vita: ond'io ringrazio Amore

Chem'ebbe poco men fin dalle fasce


E 'l vostro ingegnoa cui lodar son roco

El'antico desioche nel mio core

Qualfior di primaveraapre e rinasce.


SonettoCIX (CXXXVIII)


Così mi renda il cor pago e contento

Diquel desioch'in lui più caldo porto

Ecolmi voi di speme e di conforto

Locielquetando il vostro alto lamento:


Com'io poco m'apprezzoe talor pento

Dele fatiche mieche 'l dolce e scorto

Vostrostil tanto onorae sommi accorto

Ch'Amorin voi dritto giudicio ha spento.


Ben son degni d'onor gl'inchiostri tutti

Ondescrivetee per le genti nostre

Neva 'l grido maggiorche suon di squille.


Però s'avven che 'n voi percota e giostre

L'empiafortuna; i sospir vostri e i lutti

Sìraro don di Clio scemi e tranquille.


SonettoCX (CXXXIX)


Cingi le costei tempie dell'amato

Date già in volto umano arboscelpoi

Ch'ellasorvola i più leggiadri tuoi

Poeticol suo verso alto e purgato:


E se 'n donna valorbel petto armato

D'onestàreal sangue onorar vuoi;

Onoraleicui parFebonon puoi

Vederqua giùtanto dal ciel l'è dato.


Felice luich'è sol conforme obietto

All'ampiostilee dal beato regno

VedeAmor santo quanto pote e vale;


E lei ben natache sì chiaro segno

Stampadel marital suo casto affetto

Econ gran passi a vera gloria sale.


SonettoCXI (CXL.)


Alta Colonnae ferma alle tempeste

Delciel turbatoa cui chiaro onor fanno

Leggiadremembra avvolte in nero panno

Epensier santie ragionar celeste


E rime sì soavie sì conteste

Ch'all'etàdopo noi solinghe andranno

Escherniransi del millesim'anno

Giàdolci e lieteora pietose e meste:


Quanti vi dier le stelle doni a prova

Forseestimar si puòma lingua o stile

Nelgran pelago lor guado non trova.


Solo a sprezzar la vitaalma gentile

Desiodi luiche sparvenon vi muova:

Nèvi sia lo star nosco ingrato e vile.


SonettoCXII (CXLI)


Caro e sovran de l'età nostra onore

Donnad'ogni virtute intero esempio

Nelcui bel pettocome in sacro tempio

Ardela fiamma del pudico amore;


Se 'n ragionar del vostro alto valore

Scemoi suoi pregie 'l dever mio non empio;

Scusimiquelch'in lui scorgo e contempio

Novitatee miracol via maggiore


Che da spiegar lo stile in versi o 'n rime;

Senon quel uncol quale al Signor vostro

Spentotessete eterne lode e prime.


Rara pietàcon carte e con inchiostro

Sepolcrofarche 'l tempo mai non lime

Lasua Fedele al grande Avalo nostro.


SonettoCXIII (CXLII)


Carlodunque venite a le mie rime

Vagodi celebrar la donna vostra

Ch'almondo cieco quasi un Sol si mostra

Dibeltàdi valor chiaro e sublime?


E non le vostre prose elette e prime

Comegemma s'indorao seta inostra

Distendetea fregiarla: onde la nostra

Eciascun'altra età più l'ami e stime?


A tal opra in disparte ora son volto

Cheper condurla più spedito a riva

Ognialtro a me lavoro ho di man tolto.


Voicui non arde il cor fiamma più viva

Devetediromai di sì bel volto

D'almasì saggiaè ben ragionch'io scriva.


SonettoCXIV (CXLIII)


Girolamose 'l vostro alto Quirino

CuiRoma spense i chiari e santi giorni

Cercatepareggiarsì che ne torni

Mengrave quel protervo aspro destino;


Perché la nobil turbaonde vicino

Misetea gradir voi lenta soggiorni

Nèv'apra a i desiati seggi adorni

Allecivili palme anco il cammino


Non sospirate: il meritar gli onori

èvera gloriache non pate oltraggio:

Glialtri son falsi e torbidi splendori


Del men buon più soventee del men saggio

Chesembran quasi al vento aperti fiori

Ofresca neve d'un bel Sole al raggio.


SonettoCXV (CXLIV)


Se col liquor che versanon pur stilla

Sìlargo ingegnospegner non potete

Lanova dogliaonde pietoso ardete

Perchév'infiammi usata empia favilla;


Sperate nel Signorche può tranquilla

Fard'ogni alma turbata: indi chiedete;

Tostoaverràche lieto renderete

Graziecampato di Cariddi e Scilla.


Tacquimi già molt'anni; e diedi al tempio

Lamal cerata mia stridevol canna

Evolsi a l'oprache lodateil core.


Così fanche 'l desir vostro non empio

Obliode l'artee queiche più m'affanna

Ch'adorneluidel mio bel nido Amore.


SonettoCXVI (CXLV)


Varchile vostre pure cartee belle

Chevergate talor per onorarmi

Piùche metalli di Mironee marmi

DiFidia mi son caree stil d'Apelle.


Ché se già non potranno e queste e quelle

Mieprosecura di molt'annio carmi

Neltempoche verràlontano farmi

Eternafama spero aver con elle.


Ma dove drizzan ora i caldi rai

Dell'ardentedottrinae studio loro

Iduo migliorVittorio e Ruscellai?


Questie 'l vostro Ugolincui debbo assai

Misalutate: o fortunato coro

Fiorenzae tuche nel bel cerchio l'hai.


SonettoCXVII (CXLVI)


Donnacui nulla è par bella nè saggia

Nèsaràcredoe non fu certo avante;

Degnach'ogni alto stil vi lodi e cante

E'l mondo tutto in reverenzia v'aggia;


Voi per questa vital fallace piaggia

Peregrinandoa passo non errante

Coidolci lumi e con le voci sante

Fategentil d'ogni anima selvaggia.


Grazie del cielvia più ch'altri non crede

Pioverin terrascopre chi vi mira

Eferma al suon de le parole il piede.


Tra quanto il Sol riscalda e quanto gira

Miracolomaggior non s'ode e vede:

Ofortunato chi per voi sospira!


SonettoCXVIII (CXLVII)


Se stata foste voi nel colle Ideo

Trale Diveche Pari a mirar ebbe

Veneregita lieta non sarebbe

Delpregioper cui Troia arse e cadeo.


E se 'l mondo v'avea con queiche feo

L'opraleggiadraond'Arno e Sorga crebbe

Etegli a voi lo stil girato avrebbe

Ch'eternavita dar altrui poteo.


Or sete giunta tardo alle mie rime

Poveravena e suono umilea lato

Beltàsì riccae 'ngegno sì sublime.


Tacer devrei: ma chi nel manco lato

Mistala man sì dolce al core imprime

Cheper membrar del vostro obblio 'l mio stato.


SonettoCXIX (CXLVIII)


Sì divina beltà Madonna onora

Ch'avanzaogni ventura il veder lei:

Benè tre volte fortunatoe sei

Cuiquel Sol vivo abbaglia e discolora.


E s'io potessi in lui mirarqual ora

Dirivederlo braman gli occhi miei

Perpoco solnon pur quant'io vorrei

Questamia vita a pien beata fora.


Ché da ciascun suo raggio in un momento

Sìpura gioia per le luci passa

Nelcor profondoe con sì dolce affetto


Ch'a parole contarsi altrui non lassa:

Nèposso anco ben dirquanto diletto

Solin pensar de la mia donna sento.


SonettoCXX (CXLIX)


Se mai ti piacqueApollonon indegno

Deltuo divin soccorso in tempo farmi;

Dettaora sì felici e lieti carmi

Sìdolci rime a questo stanco ingegno;


Che 'n ragionar del caro almo sostegno

Dellafral vita mia possa quetarmi:

Lecui lodee scemar del vero parmi

Foranal Mantovan troppo alto segno:


La donnache qual sia tra saggia e bella

Maggiornon può ben dirsie sola agguaglia

Quantifur del ciel doni unqua fra noi:


Ch'io tanto onorar bramo; e se forse ella

Nonave onde gradirmi; almen mi vaglia

Ch'iovivo pur del Sol degli occhi suoi.


SonettoCXXI (CL.)


Se in meQuirinada lodar in carte

Vostrovalor e vostra alma bellezza

Fosserpari al desio l'ingegno e l'arte;

Sormontereiqual più nel dir s'apprezza:


E Smirnae Tebee i duoch'ebber vaghezza

Dicantar Mecenateminor parte

Avriandel grido: e fora in quella altezza

Lostil mioch'è in voi l'una e l'altra parte.


Nè sì viva riluce all'età nostra

LaGalla espressa dal suo nobil Tosco

Talche sen duol Lucrezia e l'altre prime;


Che non più chiara assaiper entro 'l fosco

Dela futura etàcon le mie rime

Gissela vera e dolce immagin vostra.


SonettoCXXII (CLI)


Quellache co' begli occhi parche 'nvoglie

Amordi vili affettie penser casso

Efa me spesso quasi freddo sasso

Mentrelo spirto in care voci scioglie;


Del cui ciglio in governo le mie voglie

Aduna ad unae la mia vita lasso

Lavia di gir al ciel con fermo passo

M'insegnae 'n tutto al vulgo mi ritoglie.


Legga le dotte ed onorate carte

Chiciò brama: e per farsi al poggiar ale

Conlungo studio apprenda ogni bell'arte.


Ch'io spero alzarmiove uom per se non sale

Scortodai dolci amati lumie parte

Dalsuono a l'armonie celesti equale.


SonettoCXXIII (CLII)


Giovioche i tempi e l'opre raccogliete

Delfaticoso e duro secol nostro

Incosì puro e sì lodato inchiostro

Chechiaro eternamente viverete;


Perché lo stile omai non rivolgete

Aquestanovo in terrae dolce mostro

Donnagentilche non di perle e d'ostro

Masol d'onor e di virtute ha sete?


Questa risplenderàcome bel Sole

Fragli altri lumi de le vostre carte

Ele rendrà via più gradite e sole.


Quest'una ha insemequanto a parte a parte

Dara mille ben nate a pena suole

Dibeltàdi valornatura ed arte.


SonettoCXXIV (CLIII)


Signorpoi che fortuna in adorarvi

Quant'ellapossachiaramente ha mostro

Vogliateal poggio del valor col vostro

Giovenettopensero e studio alzarvi.


Ratto ogni linguase ciò fialodarvi

Udretee sacreravvi il secol nostro

Tutto'l suo puro e non caduco inchiostro

Peronorato e sempiterno farvi.


Ambe le chiavi del celeste regno

Volgel'avolo vostroe Roma affrena

Conla sua gran virtùche ne 'l fè degno.


La vita più gradita e più serena

Nedà virtutecaro del ciel pegno:

Divile e di turbato ogni altra è piena.


SonettoCXXV (CLIV)


Se qual è dentro in mechi lodar brama

Signormio caroil vostro alto valore

Talpotesse mostrarsi a voi di fore

Quandoa rime dettarvi Amore il chiama


Ovunque vero pregio e virtù s'ama

S'inchinerebbeil mondo a farvi onore

Securodall'oblio delle tarde ore

Seposson dar gl'inchiostri eterna fama.


Nè men di quelche santamente adopra

Ilmaggior padre vostroandrei cantando;

Mapoi mi nega il ciel sì leggiadra opra.


S'appagherà tacendo ed adorando

Miocorinfin che terra il suo vel copra:

Nonpoca parte uom di se dona amando.


SonettoCXXVI (CLV)


Casain cui le virtuti han chiaro albergo

Epura fede e vera cortesia

Elo stilche d'Arpin sì dolce uscia

Risorgee i dopo sorti lascia a tergo;


S'io movo per lodarvie carte vergo

Presontuosoil mio penser non sia:

Chémentre e' viene a voi per tanta via

Nelvostro gran valor m'affino e tergo.


E forse ancora un amoroso ingegno

Ciòleggendodirà: più felici alme

Diqueste il tempo lor certo non ebbe.


Due Città senza parie belle ed alme

Ledier al mondoe Roma tenne e crebbe:

Qualpuò coppia sperar destin più degno?



RIME DI M. PIETRO BEMBO

DA LUI MEDESIMO RIFIUTATE

Ma poste poi fra l'altre sue per soddisfazione de'nobili ingegni


Capitolo I


Io stava in guisa d'uomche pensa e pave

Campatoda la mortee sente orrore

Delmal passatoe pargli ancor ir grave;

E per memoria de l'antico ardore

Acui sovente e volentier m'involo

D'unfreddo smalto m'avea cinto il core.

Quando io fui sopraggiunto inerme e solo

Damolte belle vaghe donne armate

Chemovean contra me tutto lor stuolo.

Le prime eran bellezza ed onestate

Possentiimperatricie con lor gìa

Virtùcanutae giovenile etate.

E dopo questa gran torma venia

D'altreelette gentilch'avean per scorta

Altointellettoe somma cortesia.

Come non soma quella gente accorta

Conforte nodo già m'avea legato

Ch'eradi speme con piacer attorta.

Mentr'io pensava al mio novello stato

Riserdi tanto inver la lor Reina;

India leicosi presofui donato:

E sentì dir: a questa ora t'inchina;

Ecaro esser ti puote; a questa Donna

Il ciel per tua ventura ti destina.

Aquesta di valor ferma colonna

S'appoggeràlo tuo stanco pensero;

Per questa cangierai costumi e gonna.

Piùti vo' dire ancorae siati vero

Quandoche siae tosto potrai dire;

Ma tu n'andresti forse tropp'altero.

Unbeneun maleuna spemeun desire

Sìfarà d'ambo voi; nè tempoo loco

Potrà da l'un giammai l'altro partire.

Piùsoavetranquilloe dolce foco

Induo cor giovenil non arse ancora;

E quel ch'io parloa quel ch'io sentoè poco.

Diquanto ti son stati infin ad ora

Chesai ch'è moltoAmor e 'l ciel avversi

Di tanto t'è secondae più quest'ora.

Ituoi sospir di lagrime conspersi

Rivolgeraiver questa alto cantando

Inmille prose vago e 'n mille versi.

E benché ella sia talch'assai poggiando

Silevi per se stessa oltra ogni segno

Purnon le spiaceràche cerchi amando

Lasciar del suo bel nome eterno pegno.


Capitolo II


Fiumeche del mio pianto abbondi e cresci

Econ le tue gelate e lucide onde

Lemie sì calde e sì torbide mesci;

Pinich'avete a le soavi sponde

Sìcome io d'altri a mefatto corona

Dele vostre alte e sempre verdi fronde;

Valleove 'l ciel de' miei sospir risuona;

Ov'ogniaugelloov'ogni fera omai

Esterpo e sasso del mio mal ragiona;

Aurach'ad or ad or furando vai

Al'erbe 'l frescoai fior soavi odori

Ame concenti ed angosciosi lai;

E voiche forse a più felici amori

Sareteancora albergoo verde riva

Foltoseggioombre fideamici orrori;

Quando saranno i miei pensieri a riva?

Quandoavrò queto e riposato il core?

Quandofia maiche senza pena io viva?

Vaghi pastorch'al mio novo colore

Millefiato già fermaste il piede

Consegno di pietade e di dolore

Vedete bened altri anco se 'l vede

Quantoè mia sorte dispietata e dura:

Questom'avanza di cotanta fede.

Ahi crudo Amor e mia fera ventura

Perchédate ad un cor ogni tormento?

Avoi che ven dalla mia vita oscura?

Da poi ch'io nacquie foss'io in quel dì spento

Nonebbi un giorno lietoe la mia nave

Semprefu spinta da contrario vento.

Or ch'io sperava un fin dolce e soave

Ditante guerree di si lungo affanno

Viapiù mi trovo in stato acerbo e grave.

Ma così vada; e poi che del mio danno

Oquanto avvien di quelche non si spera

Madonnail mondoil ciel lor prò si fanno

Per me non mostri un fior la primavera

Nè'l Sol un raggioe sia pallido verno

Quantunqueio miroe notte orrenda e nera

E 'l mio malse non èdiventi eterno.


Capitolo III


Dolce maldolce guerrae dolce inganno

Dolcerete d'Amor e dolce offesa

Dolcelanguire pien di dolce affanno.

Dolce vendetta in dolce foco accesa

Didolce onorche par giammai non ave

Principiodella mia sì dolce impresa.

Dolci segnich'io seguoe dolce nave

Cheporti la mia speme a dolce lido

Perl'onda del penser dolce e soave.

Dolce infido sostegnoe cader fido:

Dolcelungo dubbiare saper corto:

Dolcechiaro silenzioe roco grido.

Dolce bramar giustiziae chieder torto:

Dolceandar procacciando i danni suoi:

Dolcedel suo dolor farsi conforto.

E dolce stralche 'l cor d'ambeduo noi

Ferendointrasti làdove altro mai

Nonpassò prima e non passerà poi.

Dolce del proprio ben sempre trar guai

Egir poi del suo mal alto cantando:

Dolciiredolci piantie dolci lai.

Dolce tacendoamandoe desiando

Romperun sassoe raccender un gelo

Pregandosospirandoo lagrimando.

Dolce dinanzi agli occhi ordirsi un velo

Chenon lasci vederperché si miri

Frondain selvaacqua in maro stella in cielo.

Dolce portar in fronte i suoi desiri

Edentro aver il focoe d'ogn'intorno

Mandarda lunge 'l suon de' suoi martiri.

Dolce via più temer di giorno in giorno

Edardir menoe sol d'una figura

Al'alma specchio far la notte e 'l giorno.

Dolce aver più d'altrui che di sé cura

Egovernar due voglie con un freno

E'n comune recar ogni ventura.

Dolce non esser mai beato a pieno

Nèdel tutto infelicee dolce spesso

Sentirsiinnanzi tempo venir meno:

E per cercar altrui perder se stesso.


SonettoI (IV)


Amorche vedi i più chiusi pensieri

Edodi quelch'ad ogn'altro si tace

Quandofiache pietà m'impetri pace

Contanti al danno mio pronti guerrieri?


Lassoche non so più quelch'io ne speri:

Chequanto meno alla mia Donna piace

Ilmio languirtu più tanto fallace

Armiver me folti nemici e feri.


Ma s'ella m'assecurae tu spaventi

Lentandoorgoglioe rinforzando inganno

Nonavran più fine i miei tormenti.


O dubbiosa mercedeo certo affanno!

Ofosser già questi due lumi spenti

Poich'altro maiche lacrimar non fanno.


SonettoII (V)


Ben è quel caldo voler voich'io prenda

PIETROa lodar la donna vostraindarno

Qualfora a dirche 'l Taroil Sileo l'Arno

Piùricco l'Oceano e maggior renda.


E poi convenqual io mi siach'intenda

Adaltra curae 'n ciò mi stempro e scarno;

Nèquanto posso il vivo esempio incarno

Chenon adombran treccieo copre benda.


Chi vede il bel lavoro ultimo vostro

Altolevandiràle costui rime

Lasua SIRENAonor del secol nostro.


La quale oggi risplende tra le prime

Pervoisiccome novo e dolce mostro

Dibeltàdi valor chiaro e sublime.


SonettoIII (VI)


Nè securo ricetto ad uomche pave

Scorgendoda vicin nemica fronte;

Nèdopo lunga sete un vivo fonte;

Nèpace dopo guerra iniqua e grave;


Nè prender porto a travagliata nave;

Nèdir parole amando ornate e pronte;

Nèveder casa in solitario monte

Aperegrin smarrito è si soave;


Quant'è quel giorno a me felice e caro

Chemi rende la dolce amata vista

Dicui m'è 'l ciel più che Madonna avaro.


Nèperch'io parta poil'alma s'attrista:

Tantain quel punto dal bel lume chiaro

Virtùsennovalorgrazia s'acquista.


SonettoIV (VII)


Ben puoi tu via portartene la spoglia

Grevee stanca di mevago destrero:

Malo spirto al suo ben pronto e leggero

Tornasoventecom'Amor le 'nvoglia.


Nè temech'altrui forza unqua li toglia

Queldi gir insin làdolce sentero;

Ond'ioper questo acerbo anco non pero

Colsuo gioir temprando la mia doglia.


E certo sonse non m'inganna Amore

Chescorgendo Madonna i suoi desiri

Diràquesti ne ven da fedel core:


Lo qualperché lontan da me si giri

Nonfia che sempre non mi renda onore

Eme sol bramie sol per me sospiri.


Canzone I (VIII)


Amorperché m'insegni andare al foco

Dove'l mio cor si strugge

Seguendochi mi fugge

Pregandochi 'l mio duol si torna in gioco?


Credea trovar ne l'amorosa tresca

Piùdolce ogni fatica:

Ahidel mio ben nemica:

Che'l piacer mancae 'l tormento rinfresca.


Donneche non sentiste ancor d'Amore

Quantobeate sete

Sevoi non v'accorgete

Miratequanto è grave il mio dolore.


Canzone II (IX)


Io vissi pargoletta in festa e 'n gioco

De'miei penfierdi mia sorte contenta:

Orsì m'affligge Amor e mi tormenta

Ch'omai di tormentar gli avanza poco.


Credettilassaaver gioiosa vita

Daprima entrandoAmoralla tua corte;

Egià n'aspetto dolorosa morte:

Omia credenza come m'hai fallita!


Mentre ad Amor non si commise ancora

VideColco Medea lieta e secura:

Poich'arse per Jasonacerba e dura

Fula sua vita infin all'ultim'ora.


Canzone III (X)


Amor d'ogni mia pena io ti ringrazio

Sìdolce è 'l tuo martire:

Ognid'altro gioire

Signorè dogliae festa ogni tuo strazio.


Ben mi credetti giàche grave peso

FosseAmorla tua salma:

Orveggoe ten chier l'alma

Mercéche tu da me non eri inteso.


Giurereidonne amantiall'alta e fina

Miagioia ripensando

Ch'unaancilletta amando

Lostato agguagli d'ogni gran Reina.


Canzone IV (XI)


Io vissi pargoletta in doglia e 'n pianto

Dellemie scortee di me stessa in ira:

Orsì dolci penfier Amor mi spira

Ch'altromeco non sta che riso e canto.


Arei giuratoAmorch'a te gir dietro

Fosseproprio un andar con nave a scoglio:

Cosìla 'nd'io temea danno e cordoglio

Utilescampo alle mie pene impetro.


In fin quel dìche pria la vinse Amore

Andromedaebbe sempre affanno e noia:

Poich'a Perseo si dièdiletto e gioia

Seguillavivae morta eterno onore.


Canzone V (XII)


È cosa natural fuggir da morte;

Equanto può ciascun tenersi in vita.

Ahi crudo Amorma io cercando morte

Vosempree pur così mi serbo in vita.

Che perché 'l mio dolor passa ogni morte

Corroa por giù questa gravosa vita.

Poiquand'io son già ben presso a la morte

Esento dal mio cor partir la vita

Tanto diletto prendo della morte

Ch'aforza quel gioir mi torna in vita.


Canzone VI (XIII)


Quand'io penso al martire

Arnorche tu mi dai gravoso e forte;

Corroper gir a morte

Cosìsperando i miei danni finire.


Ma poi ch'i giungo al passo

Ch'èporto in questo mar d'ogni tormento

Tantopiacer ne sento

Chel'alma si rinforzaond'io no 'l passo.


Così 'l viver rn'ancide:

Cosìla morte mi ritorna in vita.

Omiseria infinita;

Chel'uno apportae l'altra non recide.


Canzone VII (XIV)


Chi rompe nell'Egeose poi vi riede

Ègran ragionche senza pro si doglia.

Chi torna al ceppoche gli offese il piede

Conviensich'indi mai non si discioglia.

Chi prova Amor un tempoe poi li crede

Altroche pianto è benche non ne coglia.

O miei pensieri imaginati e folli

Voiche speraste? o pur lo che ne volli?


Canzone VIII (XV)


Città con piú sudor postae cresciuta

Piùgrato rende il fioche se ne coglie.

Vittoria con maggior perigli avuta

Piùcare sa le rapportate spoglie.

E nave più da' venti combattuta

Conmaggior festa in porto si raccoglie.

Così quanto ebbe più d'amaro il fiore

Tantoè più dolce poi nel frutto Amore.


Canzone IX (XVI)


Quel che sì grave mi parea pur dianzi

Orm'è sì leveche vago ne sono

Emenzogna parràs'io ne ragiono.


Tu mi furasti il core

Amorcon gli occhi vaghi di costei;

Mentr'ionel lor splendore

Teneamirando intenti i spirti miei.

Lassoche poi non fei

Perriaverloe di mia vita in forsi

Nonstar senz'esso sìcom'io credea

Lomio fero destin sempre colpando?

Perqual poggio non corsi

Evalle e riva pur di lui cercando?

Lagrimee preghi a qual Ninfa non porsi?

Evalse al fin: che s'io l'andai chiamando

Ungiornoallor che men speme n'avea

Alsuon di quel lamento si rivolse.

Mache frutto sen tolse?

Chem'è giovato il mio lungo dolore?

Oquanto in van si spargon molti pianti:

Ocorso pien d'errore:

Osenza legge stato degli amanti!

Chetosto ch'io m'accorsi

Cheviver senza l'alma si potea;

Abegli occhi ne fei cortese dono

Edel mio folle error chiesi perdono.


Canzone X (XVII)


Occhi miei lassiomai ch'altrove è volto

IlSolche facea luce a la mia vita

Purde' suo santi raggi il cor pascendo;

Accompagnateil gran dolor accolto

Ch'alamentarsi trae l'alma schernita

Ilvostro errore 'l suo danno piangendo.

Chese le sue ragioni chiaro intendo

Dovestea miglior tempo esser accorti.

Orche son da partir le vostre pene

Avoi pianger convene

Chefoste dal piacer sì tosto scorti

Dolersia leiche nutrì falsa spene.


Ma io che debbo far? chi m'assicura

Senzal'usato mio dolce conforto

Rimasonudoe 'n solitaria parte?

Seguirno 'l possoahi mia fera ventura!

Equì son men che mezzo; e quello è morto:

Cheseco andò la viva e maggior parte.

Nèmai da corpo un'anima si parte

Nele primiere sue più felici ore

Chese ne doglia talqual io mi doglio.

Oche grave cordoglio!

Madonnaè itaed ha seco 'l mio core;

Etio sto qui pur contra quelch'io voglio.


Come nave in gran marse nube asconde

Lestelleche reggeano il suo cammino

Rimanerrando in dubbio di suo stato;

Cosìson io tra queste orribil onde

D'Amorove mi spinse il mio destino

Rimasolasso con la morte a lato:

Poiche 'l mio nubiloso acerbo fato

M'invidiaque' due cari onesti lumi

Chemi fidaro al periglioso corso.

.. .

.. .

.. .


STANZE


Le seguenti stanze del Bembo recitate per giuoco da luie dalSignor Ottavio Fregoso mascherati a guisa di due

Ambasciatori della Dea Venere mandati a Madonna Elisabetta GonzagaDuchessa d'Urbinoe Madonna Emilia Pia

sedenti tra molte Nobili Donne e Signoriche nel palagio delladetta Città danzando festeggiavano la sera del

Carnassale 1507. Ma M. Giovanbatista Lapini Fisicoso (pedantendr.) intronato compose a compiacimento di

Madonna Laura Piccolomini de' Turchi le Stanze della Pudicizia acontrapposizione di quelle del Bembo. Le quali

Stanze del Lapini furono prima impresse sotto il nome del CardinalEgidio nel Tomo I. delle Rime sceltenel Tomo I.

delle Stanze di diversiraccolte da Lodovico Dolcee nel Tom. VI.delle Rime di molti eccellentissimi Autori. Ma

Agostino Ferentilli nella sua Raccolta delle Stanze di diversiAutori Toscani le restituì al suo vero Autoree afferma

essere state compostecome s'è dettoaistanza della Piccolomini.


I


Nell'odorato e lucido Oriente

Làsotto 'l puro e temperato cielo

Dela felice Arabiache non sente

Sìche l'offenda maicaldonè gelo

Viveuna riposata e lieta gente

Tuttadi bene amar accesa in zelo

Comevuol sua venturae come piacque

Ala cortese Deache nel mar nacque.


II


A cui più ch'altri mai servi e devoti

Questifelici (e son nel ver ben tali)

Hanposto più d'un tempioe fan lor voti

Sopral'offese de' suoi dolci strali:

Emille a prova eletti Sacerdoti

Curanle cose sante e spiritali

Edhanno in guardia lor tutta la legge

Chele belle contrade amica e regge.


III


La qual in somma è questa: ch'ogni uom viva

Intutti i suoi pensier seguendo Amore.

Peròquando alma se ne rende schiva

Lemostran quanto grave è questo errore;

Eche del vero ben colui si priva

Ch'alnatural diletto indura il core;

Esopra ogn'altro come gran peccato

Commettechi non ama essendo amato.


IV


A questo confortando il popol tutto

Onoranla lor Dea con pura fede:

Equanto essa ne trae maggiore il frutto

Netorna lor più dolce la mercede:

Edhan già la bell'opra a tal condutto

Chesenza question farne ogniun le crede:

Ond'ellaalquanto pria che 'l dì s'aprisse

Aduo di lor nel tempio apparvee disse:


V


Fedeli mieiche sotto l'Euro avere


A questo confortando il popol tutto

Onoranla lor Dea con pura fede:

Equanto essa ne trae maggiore il frutto

Netorna lor più dolce la mercede:

Edhan già la bell'opra a tal condutto

Chesenza question farne ogniun le crede:

Ond'ellaalquanto pria che 'l dì s'aprisse

Aduo di lor nel tempio apparvee disse:


V


Fedeli mieiche sotto l'Euro avete

Lagloria miaquanto pote irealzata;

Sìcome non bisogna veltro o rete

Aferache già sia presa e legata;

Cosìvoi d'uopo qui più non mi sete:

Tantoci son temuta e venerata.

Quelche far si deveatutto è fornito:

Daindi in qua si porta arena al lito.


VI


E se pur fiache le mie insegne sante

Lasciandoalcun da me cerchi partire

Del'altre schiere mieche son cotante

Saràtrionfoe non sen potrà gire.

Pervoi conven che 'l mio valor si cante

Inaltre partisì che 'l possa udire

Lagenteche non l'ave udito ancora

Eper usanza mai non s'innamora.


VII


Siccome là dove 'l mio buon Romano

Cassodi vita fè l'un duce Mauro:

Ecol piè vago discorrendo al piano

Partele verdi piaggie il bel Metauro;

Ivison donneche fan via più vano

Lostral d'Amorche quel di Giove il lauro;

Solper cagion di dueche la mia stella

Ardirprime chiamar bugiarda e fella.


VIII


L'una ha 'l governo in man delle contrade

L'altraè d'onor e sangue a lei compagna.

Questenon pur a me chiudon le strade

Deipetti lorche pianto altrui non bagna;

Ch'ancorvorrian di pari crudeltade

Dall'Orsea l'Austroe dall'Indo a la Spagna

Tutteinasprir le donne e i cavalieri:

Tantohanno i cori adamantini e feri.


IX


E vanno argomentandoche si deve

Castitatepregiar più che la vita

Mostrandoch'a Lucrezia non fu greve

Morirper questaonde ne fu gradita:

Talche la gloria miacome al Sol neve

Siva struggendo: e se la vostra aita

Nonmi riten quel regno a questo tempo;

Tuttoil mi vedrò torre in piciol tempo.


X


Però vorrei ch'andaste a quelle fere

Solover melà ov'elle fan soggiorno:

Ele traeste a le mie dolci schiere

Primache faccia notteov'ora è giorno;

Rottigli schermiond'elle vanno altere

Emille volte a me fer danno e scorno;

Dandolor a vederquanto s'inganni

Chinon mi dona il fior de' suoi verdi anni.


XI


Accingetevi dunque all'alta impresa:

Iov'agevolerò la lunga via.

Nonvi sarà la terra al gir contesa;

Chéinfino a lor per tutto ho signoria.

Eperché 'l mar non possa farvi offesa;

Lovarcherete ne la conca mia:

Oprendete i miei cignie 'l mio figliuolo

Cheregga il carroe sì ven gite a volo.


XII


Così detto disparvee le sue chiome

Spirarnel suo sparir soavi odori:

Etutto il cielcantando il suo bel nome

Sparserdi rose i pargoletti Amori.

Strinsersiintanto i sacerdotie come

Fu'l sol de l'Oceano Indico fuori

Senzadimora giù per cammin dritto

Presalor via n'andar verso l'Egitto.


XIII.


Le piramidi e Menfi poi lasciate

Stoltache 'l bue d'altari e tempio cinse;

Viderle mura da colui nomate

Chegiovenetto il mondo corse e vinse;

ERodoe Creta; e queste anco varcate

Eteche da l'Italia il mar distinse;

Epiù che mezzo corso l'Appennino

Entrârnel vostro vago e lieto Urbino.


XIV


E son or questich'io v'addito e mostro

L'unoe l'altro di laude e d'onor degno.

Eperch'essi non sanno il parlar nostro

Perinterprete lor seco ne vegno:

E'n lor vece diròcome che al vostro

Divinconspetto uom sia di dire indegno:

Ese cosa udireteche non s'usi

Udirtra voi; la Dea strana mi scusi.


XV


O Donna in questa etade al mondo sola

Anzia cui par non fu giammainè fia;

Lacui fama immortal sopra 'l ciel vola

Dibeltàdi valordi cortesia

Tantoche a tutte l'altre il pregio invola;

Evoiche sete in un crudele e pia

Almagentil dignissima d'impero

Eche di sola voi cantasse Omero:


XVI


Qual credenza d'aver senz'Amor pace

Senzacui lieta un'ora uom mai non ave

Lesante leggi sue fuggir vi face

Comecosa mortal si fugge e pave?

Eluich'a tutti gli altri giova e piace

Solevoi riputar dannoso e grave?

Edi Signor mansueto e fedele

Tirannodisleal farloe crudele?


XVII


Amor è graziosa e dolce voglia

Chei più selvaggi e più feroci affrena:

Amord'ogni viltà l'anime spoglia

Ele scorge a diletto e trae di pena:

Amorle cose umili ir alto invoglia:

Lebrevi e fosche eterna e rasserena;

Amorè seme d'ogni ben fecondo

Equelch'informae reggee serva il mondo.


XVIII


Però che non la terra solo e 'l mare

El'aere e 'l foco e gli animali e l'erbe

Equanto sta nascostoe quanto appare

Diquesto globoAmortu guardi e serbe;

Egenerando fai tutto bastare

Conle tue fiamme dolcemente acerbe:

Ch'ancorla bella machina superna

Altriche tu non volve e non governa.


XIX


Anzi non pur Amor le vaghe stelle

E'l ciel di cerchio in cerchio tempra e move;

Mal'altre creature via più belle

Chesenza madre già nacquer di Giove

Lietecarefelicipure e snelle

Virtùche sol d'Amor descende e piove

Creòda prima ed or le nutre e pasce

Onde'l principio d'ogni vita nasce.


XX


Questa per vie sovra 'l penser divine

Scendendopura giù ne le nostre alme

Talche state sarian dentro al confine

Dele lor membra quasi gravi salme

Fattoha poggiando altere e pellegrine

Girper lo cielo; e gloriose ed alme

Piùche pria rimaner dopo la morte

Illor destin vincendo e la lor sorte.


XXI


Questa fè dolce ragionar Catullo

DiLesbiae di Corinna il Sulmonese:

Edar a Cinzia nomea noi trastullo

Unoa cui patria fu questo paese:

Eper Delia e per Nemesi Tibullo

Cantar:e Galloche se stesso offese

Viacon le penne de la fama impigre

PortarLicori dal Timavo al Tigre.


XXII


Questa fe' Cino poi lodar Selvaggia

D'altralingua maestroe d'altri versi:

EDanteacciòcchè Bice onor ne traggia

Stilitrovar di maggior lumi aspersi:

Eperché 'l mondo in reverenzia l'aggia

Sìcome ebb'ei; di sì leggiadri e tersi

Concentiil maggior Tosco addolcir l'aura

Chesempre s'udirà risonar Laura.


XXIII


La qual or cinta di silenzio eterno

Forasiccome pianta secca in erba;

S'aluich'arse per lei la state e 'l verno

Comefu dolcefosse stata acerba;

Enon men l'altre illustrich'io vi scerno;

Equal si mostrò mai dura e superba

Versoqueiche potea sovra 'l suo nido

Alzarlaa voloe darle vita e grido.


XXIV


Questa novellamente ai padri vostri

Spiròdesio; di cuicome a Dio piacque

Peradornarne il mondoe gli occhi nostri

Bearde la sua vistain terra nacque

L'almavostra beltà; nè lingueo 'nchiostri

Contarporiannè vanno in mar tant'acque

QuantaAmor da' bei cigli alta e diversa

Gioiapacedolcezzae grazia versa.


XXV


Cosa dinanzi a voi non può fermarsi

Ched'ogni indegnità non sia lontana:

Ch'alprimo incontro vostro suol destarsi

Penserche fa gentil d'alma villana:

Ese potesse in voi fiso mirarsi

Sormonteriasioltra l'usanza umana:

Tuttoquelche gli amanti arde e trastulla

Alato ad un saluto vostro è nulla.


XXVI


Quanto in mill'anni il ciel devea mostrarne

Divago e dolcein voi spiegò e ripose

Volendoa suo diletto esempio darne

Dele più care sue bellezze ascose.

Chinon sacome Amor soglia predarne

Opur di non amar seco propose

Fermine' be' vostr'occhi un solo sguardo;

Efugga poise puòveloceo tardo.


XXVII


Rose bianche e vermiglie ambe le gote

Sembrancolte pur ora in paradiso;

Careperle e rubiniond'escon note

Dafar ogni uom da se stesso diviso:

Lavista un Solche scalda entro e percote;

Evaga primavera il dolce riso.

Mal'accoglienzail sennoe la virtute

Potrebbondare al mondo ogni salute;


XXVIII


Se non fosse il penser crudele ed empio

Chev'arma incontro Amor di ghiaccio il petto

Efa d'altrui sì doloroso scempio;

Epriva del maggior vostro diletto

Voicon l'altrea cui noce il vostro esempio;

Sìcome noce al gregge simplicetto

Lascorta suaquand'ella esce di strada;

Chetutto errando poi convenche vada.


XXIX


Così più d'un error versa dal fonte

Delvostro largo e cupo e lento orgoglio:

Es'io avessi parole al voler pronte

Piangerfarei ben aspro e duro scoglio.

Chenon si dolse al caso di Fetonte

Feboquant'io per voiDonnemi doglio.

Purmi consolachequal io mi sono

Amormi dettaquanto a voi ragiono.


XXX


E per bocca di lui chiaro vi dico

Nonchiudete l'entrata ai piacer suoi:

Se'l ciel vi si girò largo ed amico

Nonvi gite nemiche e scarse voi:

Nonbasta il campo aver lieto ed aprico

Senon s'arae sementae miete poi:

Giardinnon colto in breve divien selva

Efassi lustro ad ogni augello e belva.


XXXI


È la vostra bellezza quasi un orto;

Glianni teneri vostri aprile e maggio:

Alorvi va per gioia e per diporto

IlSignorquando puòsed egli è saggio:

Mapoi che 'l Sole ogni fioretto ha morto

O'l ghiaccio a le campagne ha fatto oltraggio;

No'l curae stando in qualche fresco loco

Passail gran caldoo tempra il verno al foco.


XXXII


Ahi poco degno è ben d'alta fortuna

Chiha gran doni e carie schifa usarli.

Ache spalmar i legnise la bruna

Ondadel porto dee poi macerarli?

QuestoSolche riluceo questa Luna

Lucessein vannon si devria pregiarli.

Giovenezzae beltàche non s'adopre

Valquanto gemmache s'asconda e copre.


XXXIII


Qual fora un uomse l'una e l'altra luce

Disuo voler in nessun tempo aprisse;

E'l senso de le vocia l'alma duce

Tenessechiuso sìche nulla udisse;

E'l pièche 'l fral di noi porta e conduce

Maid'orma non movessee mai non gisse;

Talè proprio coleiche bella e verde

Neghittosatra voi siede e si perde.


XXXIV


Non vi mandò qua giù l'eterna cura

Afin che senz'Amor tra noi viveste:

Nèvi diè sì piacevole figura

Perchéin tormento altrui la possedeste:

Sestata fosse ad ogni priego dura

Ciascunamadreor voi dove sareste?

Ilmondo tuttoin quanto a se distrugge

Chile paci amorose adombra e fugge.


XXXV


Comea cui vi donate voidisdice

Sedegli a voi di se si rende avaro;

Cosìvoidonnea queiche v'hanno in vice

Disole alla lor vita dolce e chiaro

Mostrarviacerbe e torbide non lice;

Equelle mencui più l'onesto è caro:

Ches'io sostenni tementre cadevi

Debbocadendo aver chi mi rilevi.


XXXVI


Il pregio d'onestate amato e colto

Daquelle antiche poste in prosa e 'n rima;

Ele vociche 'l vulgo errante e stolto

Dipeccato e disnor sì gravi estima;

Equel lungo rimbombo indi raccolto

Ches'ode risonar per ogni clima;

Sonfole di romanzie sogno ed ombra

Chel'alme simplicette preme e 'ngombra.


XXXVII


Non è gran meraviglias'unao due

Sciocchedonne alcun secol vide ed ebbe

Acui sentir d'amor caro non fue;

E'ndarno viver gli anni poco increbbe:

Comela Grecach'a le tele sue

Scemòla nottequanto 'l giorno accrebbe

Miserach'a se stessa ogni ben tolse

Mentreattender un uom vent'anni volse.


XXXVIII


Il qual errando in questa e 'n quella parte

Solcandotutto 'l mar di seno in seno

Amolte donne del suo Amor fè parte

Elieto si raccolse loro in seno:

Cheben sapeaquanto dal ver si parte

Coluich'al legno suo non spiega il seno

Mentr'egliha 'l porto a man sinistra e destra

El'aura della vita ancor gli è destra.


XXXIX


Come avrian posto al nostro nascimento

Necessitàd'Amor naturae Dio;

Sequel soave suo dolce concento

Chepiace sìfosse malvagio e rio?

Seper girar il Soleir vago il vento

Insu la fiammaal chin correre il rio

Nonsi pecca da lor; nè voi peccate

Quando'l piacerper cui si nasceamate.


XL


Mirate quando Febo a noi ritorna

Efa le piaggie verdi e colorite;

Sedove avolger possa le sue corna

Esé fermarnon ha ciascuna vite;

Essagiacee 'l giardin non se n'adorna;

Nè'l frutto suonè l'ombre son gradite:

Maquando ad olmo od oppio alta s'appoggia

Crescefeconda e per Sole e per pioggia.


XLI


Pasce la pecorella i verdi campi

Esente il suo monton cozzar vicino:

Ondeggiae par ch'in mezzo l'acque avvampi

Conla sua amata il veloce Delfino:

Pertuttoove 'l terren d'ombra si stampi

Sostendue rondinelle un faggioun pino.

Evoi pur piace in disusate tempre

Viversolinghe e scompagnate sempre.


XLII


Che giova posseder cittadi e regni;

Epalagi abitar d'alto lavoro;

Eservi intorno aver d'imperio degni;

El'arche gravi per molto tesoro;

Essercantate da sublimi ingegni;

Diporpora vestirmangiar in oro;

Edi bellezza pareggiar il Sole;

Giacendopoi nel letto fredde e sole?


XLIII


Ma che non giova aver fedeli amanti

Econ loro partire ogni pensero

Idesirle paurei risii pianti

El'ira e la speranzae 'l falsoe 'l vero:

Edor con opre careor con sembianti

Ilgrave de la vita far leggero;

Ese di rozze in atto e 'n pensier vili

Sovral'uso mondan scorte e gentili?


XLIV


Quanto esser vi dee caro un uomche brami

Lavostra molto più che la sua gioia?

Ch'altroche 'l nome vostro unqua non chiami?

Chesol pensando in voi tempri ogni noia?

Chepiù che 'l mondo in un vi tema ed ami?

Chespesso in voi si vivain se si moia?

Chele vostre tranquille e pure luci

Delsuo corso mortal segua per duci?


XLV


O quanto è dolceperch'Amor lo stringa

Talorsentirsi un'alma venir meno:

Sapercome duo volti un sol depinga

Color:come due voglie regga un freno:

Comeun bel ghiaccio ad arder si constringa:

Comeun torbido ciel torni sereno:

Ecome non so che si bea con gli occhi

Perchésempre di gioia il cor trabocchi.


XLVI


Puossi morta chiamar quelladi cui

Faced'Amor nessun pensero accende:

Nèdice: che son io lassa? che fui?

Nègiova al mondoe se medesma offende:

Nèsi ten caranè vuol darsi a lui

Chegià molt'anni sol un giorno attende:

Nèsacon l'alma nella fronte espressa

Altruicercare ritrovar se stessa.


XLVII


Però che voi non sete cosa integra

Nènoima è ciascun del tutto il mezzo:

Amorè quello poiche ne rintegra

Elega e strignecome chiodo al mezzo:

Ondeogni parte in tanto si rallegra

Chesuoi diletti e gioie non han mezzo:

Es'uom durasse molto in tale stato

Compitamentediverria beato.


XLVIII


Così voi vi trovate altrui cercando:

Efate nel trovar paghe e felici.

Dunqueperché di voi ponete in bando

Amorse son di tanto ben radici

Lesue quadrella? or danno in guerreggiando

Qualmaggior posson farvi alti nemici

Chetorvi il regno? e questo assai più vale:

Evoi lo vi toglietee non vi cale.


XLIX


Ond'io vi do sano e fedel consiglio;

Nonvi torca dal ver falsa vaghezza.

Senon si cogliecome rosao giglio

Cadeda se la vostra alma bellezza.

Vienpoi canuta il crinsevera il ciglio

Lafaticosa e debile vecchiezza.

Evi dimostra per acerba prova

Che'l pentirsi da sezzo nulla giova.



L


Ancor direi: ma temonon tal volta

Vigravi il lungo udire; oltra ch'io vedo

Questaselva d'Amor farsi più folta

Quant'ioparlando più sfrondar la credo.

Dunquevostra mercèche sempre è molta

Dareteagli oratori omai congedo.

L'altroch'a dir rimaneessi diranno

Quandola lingua vostra appresa aranno.



Rime aggiunte

(all'edizione del 1753)


Canzone DI MADONNA VIRGINIA SALVI

Sanese.


Mentre che 'l mio pensier dai santi lumi

Prendeafido riposo

Bennon vid'ioche al mio ben fosse eguale.

Orche 'l ciel vuolch'in pace i mi consumi

Ea forza tenga ascoso

Iltroppo acerbo e doloroso male

Piacciavidarme l'ale

Cosìveloce a ritrovarvi poi

Chesempre vivo in voi

Ene piglio cotanta e tal dolcezza

Che'l mio cor lasso ogn'altra vista sprezza.


M'è a noiaove ch'io mirose sembianza

Divoiben mionon veggio:

Ese di chiari spirti ho sempre intorno

Vagodrappell'acerba lontananza

Fache col duol vaneggio.

Nègioianè piacer fa in me soggiorno

Talchèa voi sempre torno

Ch'iviè la mia ricchezzae 'l mio tesoro

Ivile gemme e l'oro

Sonche cotanto l'alma onora e prezza

Che'l mio cor lasso ogn'altra vista sprezza.


Movo talor le pianteove 'l bel piede

Premendose ne gìa

Letenerelle erbettee i vaghi fiori

Perveders'orma almen di quei si vede;

Mal'alta speme mia

Nullaritrova fuorchè i suoi dolori:

Ese Ninfeo Pastori

Veggiodimando purse del Sol mio

Sannullae mentre un rio

Fangli occhi mestie sono a tale avvezza

Che'l mio cor lasso ogn'altra vista sprezza


Ma che spero io trovare in altri mai

Divoi sembianza vera

Sel'alma bellae 'l valoroso velo

Fesenz'eguale il ciel per più mei guai?

Chedunque 'l cor piú spera

Temprarsenza voi stesso il caldo e 'l gelo

Checon grave duol celo

Frafinto risoe simulato volto?

Nonpotendo veder vostra bellezza

Ilmio cor lasso ogn'altra vista sprezza.


Se pur altro defio di eterno onore

Dipiù lodate imprese

Viface star da mecor miolontano;

Benchèmi dogliopur sento 'l valore

Vostrocon l'ale stesse

Girsen'poggíando ognor per monte e piano;

Veggiola bella mano

Farcon la spada al reo nimico danno

Econ tema ed affanno

Farlocattivoonde sua forza spezza

E'l mio cor lasso ogn'altra vista sprezza


Canzon mia passa i monti

Eratta vanne al chiaro mio bel Sole;

Edì queste parole.

CINZIAvive a te lungi in tanta asprezza

Che'l suo cor lasso ogn'altra vista sprezza.


RISPOSTAALLA Canzone DI M. VIRGINIA SALVI

Canzone XI (XVIII)


Almo mio Solei cui fulgenti lumi

Fanchiaro e luminoso

Quant'oggimirar può vista mortale

Perchèpiù lagrimando ti consumi?

Quantunqueil volto ascoso

Tifiaqual chiami in terra senza eguale

Nonfaiche i vanni e l'ale

Hail bel pensiere li viaggi suoi

ACINZIA sonoe poi

Netragge una sì estrema e gran dolcezza

Cheil mio cor lasso ogn'altra vista sprezza.


Non pur quella benigna alta sembianza

Qualcon la mente veggio

Edin mezzo dell'alma fa soggiorno

Amareggiarl'acerba lontananza

Chel'onorato seggio

Hacosì bella immago al core intorno

Ilbel sembiante adorno

Ela rara beltàche in terra adoro

Incui sol vivo e moro

Gode'l penser lontane sì l'apprezza

Che'l mio cor lasso ogn'altra vista sprezza.


Quantunque in altro clima io giri il piede

Nonperò mi disvia

Amorsì li desirche i primi ardori

Smorzie la data mia sincera fede:

Laviva speme mia

Sempreha sostegno di tempi migliori:

MuseNinfee Pastori

Cantanlodando il degno alto disio;

Ementre il pensier mio

Fermocon l'alma al dolce oggetto avvezza

Ilmio cor lasso ogn'altra vista sprezza.


Però se di lontan gli amati rai

Ela bellezza altera

Sela gentil sembianza e 'l chiaro velo

Scorgel'occhio mental più dolce assai

Chela presenza vera

Perchèpiù ti distempra il caldo o 'l gelo?

Poich'èbenigno il cielo

Qualgiunge l'almerafferena il volto

Qualfia più grato molto

L'aspettatoritorno alla bellezza

Che'l mio cor lasso ogn'altra vista sprezza?


Non mi scompagna un volontario errore

Maun desio d'alte imprese

Chea te deve aggradirmi fa lontano

Viver;ma vivo in te vive 'l mio core

Ele mie voglie accese

Passanmarialti montie largo piano

Edal bel viso umano

Millee più volte 'l duol torno fanno

Tempradunque ogni affanno

CINZIAmia dolcee 'l duol già rompi e spezza

Che'l mio cor lasso ogn'altra vista sprezza.


Canzon ripassa i monti

Edì pietosamente al mio bel Sole

Questequattro parole:

ViviCINZIA gentilfuor d'ogni asprezza

Che'l mio cor lasso ogn'altra vista sprezza.


Canzone XII (XIX)


Quel vivo Solche alla mia vita oscura

Soleafar chiaro giorno

Echetar le tempeste del mio core

Volgei suoi raggi altrovee più non cura

Sealle tenebre torno:

Omia venturaove m'hai giunto Amore!

Perdoglia non si muore

Chivide al mondo mai sì dura sorte?

Solho disio di morte

Nèmorir possoe tempo é di morire

Ecresce la mia vita col desire.


Viverò dunqueed altri indegnamente

Inun punto beato

Vivedel nutrimento di mia vita?

Nonviverònè fia mai sì possente

L'empiocrudel mio fato

Chenon discioglia l'anima smarrita

Questapena infinita;

Oprinsua forza le maligne stelle

D'ognimio ben rubelle;

Chese 'l dolor di vita non mi priva

Nonfia già maiche al mio dispetto i viva.


O fiera rimembranza del mio bene

Delmio tempo felice

Chesì tosto passòch'appena il vidi!

Iovidi già fiorir l'alta mia spene:

Poicon svelta radice

Inuno istante morta la rividi.

Miseroin cui ti fidi

Ioson cadutoch'era al ciel vicino.

Nonso per qual destino

Orvo piangendoor vo traendo guai

Nonper mia colpama che troppo amai.


Donna leggiadrae più chiara che 'l Sole

Chel'età rasserena

Quandosorridee quando un sguardo move

MostrommiAmore femmi udir parole

D'addolcirogni pena

Eveder atti da far arder Giove;

Fiammanon vista altrove

Subitom'arse 'l coreed in costei

Girandogli occhi miei

Divenniciecoe sì da me diviso

Ch'ionon vidi mai morte nel bel viso.


A poco a poco poi sentì legarmi

Dicosì dolcemente

Ch'ebbi in odio la cara libertade:

mecostava Amor per consolarmi

Mostrandomisovente

Duivaghi lumi accesi di pietade;

E'n la maggior beltade

Unpuro e nobil cor pien di mercede

Piendi fermezza e fede;

Poimi giurò sull'arco e sulla face

Sullafaretra darmi eterna pace.


Quanto la tua promessaAmormi piacque

Tantovalor non sento

Ch'iobasti a immaginarlo col pensiero:

Smisurataallegrezza al cor mi nacque;

IlSol il più contento

Nonvide in l'unonè 'n altro Emispero:

Ond'iodivenni altero

Dellasperanza; che se 'l ver mi esalto

Allormontai tant'alto

Chepien di meraviglia fra me stesso

Diceamirando; sono al cielo appresso.


Io caddi poipoichè fui presso al cielo

Caddida tanta altezza

Chela ruina mia non giunse al fine.

Einnanzi agli occhi mi fu posto un velo

Talchèper la chiarezza

Nonvidi delle due luci divine

Lerose in sulle spine:

Ognimia pace mi fu volta in guerra.

Edallor vidi in terra

L'avarafe caduta e cortesia

Epietà morta della Donna mia.


Canzonnon so se alcun cerca la doglia

Chesì a morir m'invoglia;

Rispondiil gran desio senza speranza

Èdel perduto ben la rimembranza .


SonettoV (XX)


APOLLOquando a noi si mostran fuore

L'almelucie le chiome crespe e bionde

Dehperchè sì veloce in mezzo l'onde

Tiattuffie privi noi di sì dolci ore?


Forse paventi in te novello amore

Qualgià sentisti in quellach'or ti asconde

Ladata scorza e l'onorata fronde

Chesprezza Giove irato e 'l suo furore?


Stolto deh non fuggir quelch'altri brama;

Nonschivar quelche tanto piace altrui;

Restaa veder la bella donna meco:


E se naturao 'l ciel pur ti richiama

Inaltra partemostra lorper cui

Fermastiil corsoe fermeransi teco.


Canzone XIII (XXI)


Del procelloso mar rabbuffa l'onde

Orl'austroor boreae freddi ghiacci e nevi

Copronoi montie sono oscuri e brevi

Igiorniperchè Apol suoi raggi asconde;

Nèpotendo aver io sentiero altronde

Cheson senz'ale e piume

Alvivo e chiaro lume

Allerare bellezze alme e gioconde

Alleman biancheal volto unico e divo

CINZIAmia illustreperò tardi arrivo.


Canzone XIV (XXII)


Solingo e vago augello

Ch'haisben sparsi i tuoi soavi accenti

Orodi i miei lamenti:

Iovissi in gioiaor sol del pianger vivo

Chenon già d'altra lasso il cor si appaga.

Equellaond'io fiorivo

Invece dei mio bendel pianto è vaga

Dehguarda alla mia piaga

Dolceaugellinoe se pietà ti piega

L'aliamorose spiega

Eva innanzi al mio Sole

Edolce canterai queste parole:

Dateda Amorda tua beltà infinita

Chiedeun misero Amante o morteo vita.


Capitolo IV (XXIII)


Dolce e amaro destinche mi sospinse

Làdove prima Amor senza contese

Ildolce e amaro nodo al cor m'accinse

Dolce e amaro desirche al cor discese

Trovandoin gli occhi incauti aperta via

Edolce e amaro il focoche m'accese

Dolce e amaro fulgorche vivo uscia

Dalsguardo micidialche speme porse

Alladolce ed amara impresa mia.

Dolce amaro sperarche mi soccorse

Neidolci amari guai; tal che già morto

Deldolce amaro mio mai non m'accorse.

Dolci e amare paroleche conforto

Diederoalle mie dolci e amare pene

Chescritte nella fronte e nel cor porto.

Dolce amaro sembianteche mantiene

Ondela dolce amara piaga antica

Ch'ador ad or via più crescendo viene.

Dolce amaro pensierche mi nodrica

Soldi dolce memoria d'un bel viso

Mad'una dolce amara mia nemica.

Dolci amari contenti in breve riso

Dolcioccchi amari pien di fidi inganni

Chelusingando m'han da me diviso

Dolce e amaro timor d'uscir d'affanni

Dolceamaro sperarnon trovar pace

Dolcee amaro bramar tutti i miei danni.

Dolce e amaro fuggir quelche sol piace

Dolcee amaro chiedendo altrui mercede

Congli occhi dir quelche la lingua tace.

Dolce e amaro ad altrui troppo gran fede

Avere agli occhi suoi negar il vero

Ea se stesso giurar quelche non crede.

Dolce e amaro volerche 'l suo pensiero

Inlibertà d'altrui servo sia messo

Nèal sue spoglie aver alcun impero.

Dolce e amaro d'altruidolersi spesso

Eveggendosi a torto esser offeso

Pernon odiar chi offende odiar se stesso.

Dolce e amaro tacendo esser inteso

Edopo lungo affanno aspro dolore

Aconseguir pietà vedersi acceso.

Dolce e amaro timor d'un predatore

Eavaro del suo ben tener silenzio;

Ondesi vedeche 'l stato d'amore

È qual il mel temprato coll'assenzio.


Canzone XV (XXIV)


Se come quila fronte onesta e grave

Delsacro almo Poeta

Ched'un bel lauro colse eterna palma

Cosìvedessi ancor lo spirto e l'alma;

Stellasì chiara e lieta

Diresticerto il cielcerto non ave.

Tu che vieni a mirar l'onesta e grave

Sembianzadel divin nostro Poeta

Pensas'in questa il tuo desir s'acqueta

Quantofu il veder lui dolce e soave.


Da quellache nel cor scolpita porto

Viritrasse il Pittore

Mentreper gli occhi fuore

Qualsiete dentroagevolmente ha scorto.


SonettoVI (XXV)


Poich'AmoreMadonnae la mia sorte

ognorpiù grave contra a me la fanno

Edor con chiusoor con aperto inganno

Amal cammino han le mie voglie scorte;


Svegliati in tua balìa possente e forte

Midice l'almae pon mente al tuo danno;

Ditanto strazioe di sì lungo affanno

Chet'avanz'altroche vergogna e morte?


Io come uomch'errae dell'error si accorge

Vorreitornar alla smarrita strada

Mal'uso antico pur oltra mi scorge.


Allor una pietade assale il core

Chementre i vonè sodove mi vada

Passanogli annie non passa il dolore.


SonettoVII (XXVI)


Ne' bei vostr'occhi mai non drizzo 'l guardo

Che'l mio corso fatal tutto non miri:

Veggioallorcome attenda i miei desiri

Unfallace sperarper cui sempr'ardo.


E per sprezzar un ghiaccio aspro e gagliardo

Indarnoinfiammi i miei caldi sospiri

Comea troppa mercede indegno aspiri

Equal pigro animal segua il fier pardo.


Ma 'l vostro lume abbaglia indi sì forte

Chemi fa non veder quelche m'è aperto

Ecercar vita in una espressa morte.


E più per scusar me (se scusa merto)

Vostrabellezza incolpoe la mia sorte

Checreder non mi fa quelche m'è certo.


SonettoVIII (XXVII)


Vivo in un dolcee sì cocente foco

Ch'Amorm'ha fatto Salamandra ed esca;

Edun vital venen tanto m'adesca

Ch'iomoroe morte in me non ave loco.


Seguo sì crudo e dilettoso gioco

Chenel proprio martir sempre m'invesca:

ilcolpo è anticoe la ferita è fresca

Echi m'uccidea mio soccorso invoco.


Voglio quelche voler non mi è concesso

Ei miei pensier sì spesso inganna Amore

Cheincredulo omai son fatto a me stesso.


O quante volte m'ha pregato il core

Cheil sleghie quando a farlo mi son messo

Sestesso involvee corre al primo errore.


Canzone XVI (XXVIII)


Luce in amor tant'alto il vostro volto

Donnasola d'amor fidato nido

Chesegno e porto fido

Solsiete alle fortune degli amanti:

Equal s'attrova in mar d'acerbi pianti

Ocinto di martiri

Purchègli occhi a voi giri

Ristorarsente ogni passato danno

Opace eterna impetra al grave affanno.


Quanto il mar cingeo quanto gira il Sole

Parea vostre bellezze non si vede

Chefan tra noi qui fede

Quant'eccellenzasia nel paradiso

poich'unsol vostro sguardoe un vostro riso

Acquetaogni tempesta;

Eda virtù si desta

Chifiso in voi luce benigna mira:

Beatodunque chi per voi sospira.


Stanza I (XXIX)


Donnase vi diletta ogni mia gioia

Sonpiùch'ogn'altro amanteora felice;

Signorse non vi aggrava ogni mia noia

Sonpiùch'ogn'altramisera e infelice;

Debb'iodunque speraranzi ch'io rnoia

Quellodi voiche delle più si dice?

Statepur Signor mio costante e forte

Cheme non cangerà temponè morte.


Canzone XVII (XXX)


Se in pegno del mio amor vi diedi il core

Madonnail dìche a voi prima mi volsi;

Se'n lui mia fe scorgete a tutte l'ore

E'l duolond'io mi struggo i nervi e i polsi;

Sela vostra beltàvostro valore

Sonli saldi lacciuoiche all'alma avvolsi

E'l fin de' miei pensieri altieri e casti;

Dipoca fede perchè dubitasti.


Sì leggiadre cagioni al mio languire

Scorgos'oso mirar ne' bei vostri occhi

Chesoave mi fanno ogni martire

Percui tanto piacer nel petto fiocchi:

Dolcimi son di voi gli sdegni e l'ire:

Dolceche 'n me le sue quadrella scocchi

Amorsì dolci fiamme al cor mandasti:

Dipoca fede perchè dubitasti?


Fermo son di soffrir ogni aspra doglia

Ch'Amorm'affida all'amorosa impresa.

[Mancail resto del M.S.]


SonettoIX (XXXI)


Paolo v'invita quiSignor mio caro

Agoder seco un bello e dolce loco

Epoi con lui vi prego anch'io non poco

Nonci siate di voi stesso avaro.


Il sito sopra ogni altro ameno e raro

Ela dimora d'infinito gioco

N'accendondi vedervi un dolce foco

Perfar con voi questo giorno più chiaro.


Logge alte adombran peregrini chiostri

Percui passando l'aura dolce estiva

Porgediletto a' spirti afflitti nostri.


Dolce mormorio di fontana viva

Pardir: chiamate qui gli amici vostri

PeròconvenSignorch'io ve ne scriva.


Capitolo V (XXXI)


Tornava la stagionche discolora

Perl'Oriente le più basse stelle

DestandoFebo al mover dell'Aurora?

Allor che scosso fuor delle gonnelle

Buonantico nocchier si leva e mira

Sevede nube in cieloo in mar procelle;

E se vento fecondo non gli aspira

Dolentee sonnacchioso all'agio riede

Econ Nettuno e con Eolo s'adira.

Quando 'l pensierch'allor dee trovar fede

Perchè'l corpoche 'l turbagli è men grave

Sedormendo giammai vero si vede

M'aperse il cor con dilettosa chiave

Etrassel fuor del suo carcer terreno

Chetenea chiuso un sonno alto e soave.

E per far ben quel dì lieto e sereno

Comefussenol soma giunse teco

Opetto di valor e grazia pieno.

Parta la stanza nostra un largo speco

Rinchiusoe freddo assaima pien di fiori

Chequando il dì tramontacaggion seco.

Dentro per un usciuolche all'uscir fuori

Mostravafaticoso giù nel basso

Scorgeva'l Sol i suoi raggi minori.

Quivi nel mezzo ignudiad un gran sasso

M'appoggiav'io;e tu sedevi in erba

Ipien di noiae tu pensoso e lasso.

Ma ria fortuna ogni dolcezza acerba

Checosì ragionammo varie cose

Ela memoria or lasso non le serba.

Pur dirò quelch'a me non si nascose

Dopoche 'l vidie qui Talia m'aiuti

Sed'aiutarmi unquanco mai dispose.

Qual uomche parlied in un punto ammuti

Perpoca novitàche poi si cuoce

D'aversì presto i suoi sensi perduti;

Tal mi fec'ioallor che dalla foce

Fugiù nel dirimpetto un'ombra scorta

Checol pensier m'interruppe la voce.

Ma poichè volsi gli occhi in ver la porta

Eccouna donna a noi queta venire

Conlento passoe con maniera accorta.

I volea per vergogna indi fuggire

Sentendomicosì scoperto e nudo

Econ un cenno tu mi desti ardire.

Pur feci a me ver lei del sasso scudo

Gridando:non venirse sei amica

Conparole e con viso altero e crudo.

Fermossi ella sull'uscioe molto antica

Miparve in vistae di pensieri onesti

Mavile a' pannied all'andar mendica.

Chinò giù gli occhi rugiadosi e mesti

Soavementee seco stette alquanto

Dicendoomai convienche tu ti desti.

Poi cominciò: s'io non tenessi il pianto

Fareiper la pietà degli occhi un fiume

Cosìm'addoglia il vostro inganno tanto.

Qual forzaqual vaghezzao qual costume

V'hadi voi stessi sì posti in obblio

Chenon vogliate un tratto veder lume?

Che si fa quì tra così van desio

OFigli ciechi? a che tanta tristizia?

Chegiova al proprio ben farsi restio?

Ad ozio vano darsied a pigrizia

Chealtro è se non odiar fe stesso

Quandoda lor ogni danno s'inizia?

Mirate gli anni vostriche sì spesso

Cangianstato dal ghiaccio alle viole

U'foste sempree sete pur quel stesso.

Tra quanto bagna 'l mare scalda il Sole

Eccedel'uom ogni cosa creata

Sesottopor a se se stesso vuole.

L'aer sospesoe la terra fermata

Esparse furon l'acque sol per lui

Ciòche si volasi calcae si nata.

Ben è del tutto misero colui

Chenon cura di senè del suo stato

Nèpensache faròche sonche fui.

E l'intellettoche dal ciel gli è dato

Lasciche caschi pur senza far frutto

Comevi foglia in selvao fiore in prato.

Or voi del viver vostro che costrutto

Trovatee di voi stessi in questo fondo

Doveogni riso si converte in lutto?

Il gran pianetae 'l bel lume fecondo

Dellasorellae l'altre luci erranti

Chesan parer sì vago il vostro mondo;

E gli animali sì diversi e tanti

Lecontrade vicine e le lontane

E'l variar di lingue e di sembianti.

Sassiselveerbemarfiumie fontane

Eciò che nascee muore insiemeè nulla

Achi spende il suo tempo in cose vane

Colui muor nelle fasce e nella culla

Chevive vaneggiando ogni sua etate

Epur di vento sempre si trastulla.

Vengavi di voi stessi al cor pietate

Innanziche sen vadi Primavera;

Checosì ne può andar anche la State.

Non fatecome suol la maggior schiera

Chesenza sapercome già son vecchi

Menano'l dì pur da mattina a sera:

Aprite a' buon consigli ambo gli orecchi

Comesi deveanzi spronate il core

Priache ragion sotto al senso s'invecchi.

Che penitenza tardi e van dolore

Vitorneranno un dolce in mille amari

Seindurerete in così falso errore.

Uscite fuor del fango de' Volgari

Oveogni netto e candido Armellino

Convienper forza ch'a giugner impari.

Venite mecoche assai bel destino

Parche vi chiamie guiderovvi in parte

Oveun altro èche ha già fatto il cammino.

Queich'ebber fama delle antiche carte

Miseguir tuttionde poi le lor lode

Furcolle mie per ogni loco sparte.

Or dorme in mezzo 'l vizioe così gode

L'umanaindustriaed ha sì grave il sonno

Cheper gridar che facci ella non ode.

Quando primieramente si fondonno

Nelmondo ancor non suo le belle mura

Chepoi crescendo fin al ciel s'alzonno

Non di marcir in ozio ogni lor cura

Posergli antichi buon primi Romani

Ch'oggitanto si cerca e si procura;

Ma di tener tra studi onesti e sani

Unviver quetoe senza magistero

Utilie parchinon fastosi e vani.

Non ardiva sperar sì largo impero

IlTevre ancore fuor delle sue rive

Nolvedea Roma andar superbo e fiero.

Nè si faceano ancor le genti schive

Diseder sopra un cespoe ragionarsi.

Lungoun bel mormorar dell'acque vive.

Dalle foglie e dal fien solea levarsi

ISenatore gir dietro all'aratro

Poidi corna e d'ulive contentarsi.

Era il lor operoso e bel teatro

L'erbettaverdee le fere i lor greggi:

Loggiealte un quercoun pin frondoso ed atro

Che sciolti da' giudizi e dalle leggi

Ch'apoco a poco hann'or tanti argomenti

Epar che'1 mondo ancor non fi correggi

Viveano insieme al ben cornune intenti

Nonmeno che al privato oggi si soglia

Epotean di suo stato andar contenti.

Or non sa che si faccio che si voglia

Lagente sciocca e ciecae vive in fallo;

Nèdi sì grave danno è chi si doglia.

Che contra al buon costume han fatto callo

Gliuomini infermie del suo ben nemichi

Fattisiservi di Sardanapallo.

Non badate voi dunqueo cari amichi

Moveteandatee camminate drieto

Perl'orme impresse da' buon Padri antichi.

Che 'l tempo se ne va veloce e queto

Co'vostri giornianzi correanzi vola

Degl'ingannidel mondo altero e lieto.

O felice quell'almache s'invola

Priache la serao la notte l'aggiungi

Fuordi questa volgar misera scuola.

Dove s'imparacome l'uom s'allungi

Dalpregio veroe non chini la testa

Percercar stradache a buon porto aggiungi.

Qui tacquee come suolse in gran tempesta

Dormenocchierche dormendo non sente

Dolordella ruina manifesta:

Ma poichè nelle angoscie si risente

Evede il gran periglioe trema e duolsi;

Equesto è men ficuro e più dolente;

Così mi fè tremar le vene e i polsi

Verapaura delle cose conte

Poichè'n me stesso alquanto mi raccolsi.

Ella mirommie scorse per la fronte

Ilmio pensiersiccome gemma cara

Chesplendi sotto un vetroo fuor d'un fonte.

Poi disse sorridendo: assai m'è cara

Lacoscienzache così ti punge

Onde'l tuo buon voler mi si dichiara.

E se 'n cor giovanil valor s'aggiunge

Nonti smarrirfigliuol mioche ancor forse

Levostre voci s'udiran da lunge;

Questiche con un cenno ti soccorse

Nelmio venirquando la mente offesa

Tristavergogna di se stesso morse

Fia il tuo fido Piritoo: all'alta impresa

Movipur tu; che a luis'io non m'inganno

Piùdi te giàche di se stesso pesa.

Sicuri seco i tuoi giorni faranno

Felicii suoi con quella Ippodamia

CheMinerva e Diana cessa gli hanno.

Così dettoellae 'l sonno fuggir via.


SonettoX (XXXII)


Dunque son pur que' duo begli occhi spenti

Laddovepose ogni sua face Amore

Ondemosse lo straleonde l'ardore

Ch'arsee piagò tante anime dolenti.


Dunque a' più chiari e preziosi accenti

Chemai s'udiroalla beltàal valore

Postoè silenzioe fine in sì brev'ore

Allegrazieal costumiagli ornamenti.


Le Ninfe d'Adriain cui più non si mostra

Leggiadroeffetto senza la lor Dea

Sonquasi prato senza fiori ed erba;


E dicon: ben puoi gir morte superba

Chein un sol punto hai spento quanto avea

Dibello e di gentil la patria nostra .


SonettoXI (XXXIII)


Per tor in tutto agl'immortali il vanto

D'ognibeltàd'ogni real costume

Efar la terra omai senza il gran lume

Ciecapiena d'orrorcolma di pianto;


Con quel fuo negro e spaventoso manto

Ch'ognicosa mortal copre e rassume

Velòa Madonna l'uno e l'altro lume

Quellacrudelche 'l mondo teme tanto.


Così è mancato ogni tuo ricco fregio

Patriagentile del tuo grave danno

Fattaè compagna ogni lontana parte.


E quando fiache scarca dall'affanno

Tiveggia mai? che sì felice pregio

E'donche raro il ciel quaggiù comparte.


SonettoXII (XXXIV)


Se le sorelleche ne vider prima

Nascendolietevi dan fama e onore

Nonvi avesser disdetto quel liquore

Diche 'l mondo oggi fa sì poca stima;


Dato v'arei con qualche ornata rima

Piùspesso pegno del mio caldo Amore;

Mase io taccioè suonon mio l'errore

Ch'elledel mio poter son poste in cima.


Però fe pur talor avviench'io scriva

FalloAmornon Apolloche m'insegna

Com'anconel suo foco e lauro viva.


Qui i vedrete voi benche fera insegna

Seguechi amae già fu ch'io sentiva:

Oraal suo proprio mal l'alma s'ingegna.


Canzone XVIII (XXXV)


Una leggiadra e candida Angioletta

Cantara par delle Sirene antiche;

Altrepoi d'onestate e pregio amiche

Sederall'ombra in grembo dell'erbetta

Vid'iopien di spavento

Perch'essermi parea pur su nel Cielo

Taldi dolcezza velo

Avvolseil bel piacer agli occhi miei:

Egià voleva dir: sentite o Dei

Semprequelch'ora i sento

Quandom'accorsich'elle eran donzelle;

Tacciol'oneste parolette schive

Dafar innamorar un uom selvaggio;

Taccioquel presto e saggio

Sfavillardi due vaghe e chiare stelle

El'accorte novelle

E'l ballar prontoleggiadretto e nuovo

Delcui pensier pur sol lieto mi truovo.

Mal'atto dolce e strano

D'unapietosa mano

Inaltri fogli ancor convien ch'i scrive.

Amorcosì si vive;

Cosìaggrada il ferir di tua faetta;

Matroppo è breve ohimè quelche diletta.


Canzone XIX (XXXVI)


Come poss'io celato

TenerMadonnail focose l'umore

Ch'usciaper gli occhi foreè già mancato

Enon è chi difesa faccia al core?

Ches'egli avviench'Amore

Rinforziin me l'ardore

Morròvivendoe eterno fia 'l dolore.


Io non so giàche forte

Midesse il cielo allorquand'a soffrire

Pervoi venni in quest'aspra ed empia morte

Che'n vita provoe raddoppia il martire:

Almenpotessi io dire

Senzaperder l'ardire

S'avoi dispiaceo piace il mio morire .


Che seDonnae' vi spiace

Vederdel proprio albergo l'alma fora

Dalcor levate il foco aspro e tenace:

Ese vi piaceche mia vita ancora

Finiscainnanzi l'ora

fatech'io tosto mora:

Che'in doglia star non lice unche v'adora.


SonettoXIII (XXXVII)


Quel dolce avventuroso e chiaro giorno

Che'l mio lungo desio condusse a riva

Diriveder la mia terrestre diva

Chefa di se il ciel lietoe 'l mondo adorno:


Amorose faville all'alma intorno

Accendesìche 'n dubbio ès'ella viva

Mentrech'Amor di se vuol purch' io scriva

Orach'a lui così col pensier torno.


Però s'alcuna volta innanzi a lei

M'abbaglianquelle doi sue luci sante

Nèmi lascian ben dir quelch' i' vorrei;


Non maraviglia: che pur troppo avante

Ardisceallor; ma ella i pensier miei

Dase fa tuttie le mie ragion tante.


SonettoXIV (XXXVIII)


Guidommi Amor in parteond'io vedea

Quellache sol veder sempre vorrei

Specchiarsilietache dagli occhi miei

Efuor d'ogn'altra vista esser credea.


I' son pur bellaa se stessa parea

Soventedirper quel ch'io scorsi in lei:

Poique' suoi crini a me sì dolci e rei

Che'l vento sparsein bei modi accogliea.


Io che son troppo di tal vista ingordo

Lassocome non sopur mi scopersi

Ond'ellasi ritrasse vergognando.


Così in un punto ogni mio ben dispersi

Nè'l trovaiper andarlo ricercando:

Etremo ancorqualor me ne ricordo.



Canzone XX XXXIX)


Quel dìche gli occhi apersi

Permia fera ventura

Donnea mirar vostre bellezze in prima

El'ora ch'io soffersi -

Nècofa era più dura

D'ognimia libertate porvi in cima;

Poteaben morte con l'acuta lima

Romperdegli anni miei

Ilfilche gli attorcea

Nèpur torcer dovea

Pernon lasciarmi a dì sì oscuri e rei

Nèa sì penosa vita

Ch'ioardo sempree indarno chieggio aita.


Lassoben sapevo io

Cheperigliosa usanza

Eraad uom porre in donna ogni sua fede;

Maal cor già pien d'obblio

Porsetanta speranza

Ilvostro sguardoove mia mente siede

Cherattocome quelche troppo crede

Incontroal mio mal corsi;

Efu tanto l'inganno

Cheper maggior mio danno

Pocodi quel pensier vostro m'accorsi;

Nèposso ormai dar volta

Ch'ogniarbitrio e ragion m'avete tolta


Son al fin dei mio giorno

Ch'Amorvi fece accorta

Delstato mioche da voi sola pende

Festial cor vostro intorno

Dipietà fredda e morta

Unghiaccioche a' miei prieghi non si rende

Perchèal desioch'assai per se s'accende

Consì pietosi guardi

Giugnestiaperto foco;

Oarti! o fero gioco!

L'accorgermior del vostro inganno è tardi

Ch'Amor gli usati schermi

Toltom' ha tuttie lasciato il dolermi.


Nè però ch'io mi dogli

Quetaquel fero ardore

Ch'èin mequanto in orgoglio e scema e cresce;

Anzipar che raccogli

Nelcor per nuovo errore

Piùfiamma allorche più lamento n'esce;

Eperchè del mio mal nulla gl'incresce

Delvostro duro affetto

Conviench'io mi lamenti

Ondeperciò che i venti

Nonportanlassosempre ogni mio detto;

Tantapena ne sento

Cheper dolermi doppia il mio lamento:


Nè perch'io non m'avveggia

Oror del mio fallire

Volgola lingua a ragionar di voi;

Mal'almache vaneggia

Colpossente desire

Mispinge a quelch'è tutto suo mal poi;

Qual'erbeo arti maghe han forza in noi

Taccinl'antiche carte

Ch'ioson pur quale io soglio;

Econtro a quelch'io voglio

Conqua' voci non sonè con qual arte

Ase mi tira e mena

Questadel lito mio nuova Sirena.


E pur che 'n lei talora

De'miei lunghi martiri

Pietàscaldasse il fuo freddo pensiero

Nontorrei d'esser fuora

Degliusati sospiri

Pertrovar al mio corso altro sentiero;

Masdegno sotto suo concetto altiero

M'affliggein modo sempre

Ch'orbestemmio mia sorte

Orvo chiedendo morte

Chele mie acerbe voglie omai distempre;

Ellaparche non m'oda

Macon Madonna del mal nostro goda.


Canzonse fie persona

Cheper pietà t'ascolte

Diraiben quante volte

Ipiango quelche per te si ragiona.



Canzone XXI (XL.)


Debb'io mai sempre Amore

Viverlontan da quella

Ne'cui begli occhi impenni e spieghi l'ali?

Devràmai sempre il core

Lontandalla sua stella

Esseralbergo d'infiniti mali?

Sopurche molto vali

Quandoil fier arco tendi;

Peròse mai ti cale

Dimenè prego valse

Rendialla vista il vago obbiettorendi

Acciocch'iopoffa 'l viso

Mirarcui senzason da me diviso.


Che senza l'alma vista

Ioson come terreno

Ovenon scaldi il Solnegletto e incolto;

Ela mia vita trista

Sentovenirsi meno

Tantaè la dogliaov'io mi trovo involto;

Nèa me lo mondo tolto

Sìmi dorreicom'io

Viverlontan mi doglio

Daquellaper cui soglio

D'ogn'altravista aver eterno obblio:

Ch'unsuo bel sguardo solo

Diterra può levarmi in cielo a volo.


Deh dimmi Amorche fora

Senzalei la tua forza

L'arcogli sralie le facelle ardenti?

Le.tue quadrelle indora

Ilsuo chiar raggioe sforza

Seguirtile più sagge e salde menti:

Glisguardi suoi cocenti

Tidanno eterno impero

Sovra'mortalie puoi

Oprarciòche tu vuoi;

Talè virtù fra 'l vivo bianco e nero.

Fammidunque sentire

Comedinanzi a lei si suol gioire.


Fin qui son stato in vita

Sperandopur un giorno

SulMincio ritrovarmi alle grat'onde.

Orla mia speme è gita?

Chetroppo ahimè soggiorno

Eparch'eterna notte omai m'adombre;

Poitemo non si sgombre

Dalbianco e casto petto

Quellamemoriach'ivi

Talortu mi scolpivi

Quand'eraappresso al sommo mio diletto;

Chepria morir vorrei

Chedi me fusse obblioAmorin lei.


PeròSignorse brami

Ch'iosegua il tuo vessillo

Cuida culla seguir fui destinato;

Fache quest'occhi grami

Illimpido e tranquillo

Lumeconfortiche mi fa beato.

Chedico (ahi sfortunato)

Tantosperar non oso.

Maprego solche sia

Dinanzia lei la mia

Fedescolpitae 'l stato mio penoso;

Sequesto amor mi dai

Qualdolcezza pareggia li miei guai?


Questo bastar mi de' Canzon mia rozza

Sedel fervir mi fido

Nanzia begli occhi Amor compone un nido.


Canzone XXII (XLI)


Or che solingo sono

Fraquerceolmied abeti

Oved'Insubria il piano il Lambro inonda;

Benpotrò il roco suono

De'miei martir segreti

Scoprircol piantoche negli occhi abbonda;

SolEcho mi risponda

E'l fin de' mesti accenti

Sottoquest'ombre chiuda

Che'l cor mi trema e suda

Ch'altrinon oda i duri miei lamenti

Esia scoperto al mondo

L'altromio duol profondo.


Fuggite dunque augelli

Cheper le fronde andate

Ivostri dolci amor cantando ogn' ora.

Fuggitepesci snelli

Che'n questo gorgo state

Ebelle schiere di periglio fora

Che'l mio tormento fora

Forsecagion di darvi

Frale chiare acque pena

Ela vostra serena

Pacepotrei col mio gridar turbarvi;

Chel'aspro mio martire

Chil'odefa languire.


Dicoche poichè quella

Lasciaidi cui la vista

Quandos'innalzaal Sol i raggi adombra

Parmiche mi si svella

Delpetto il core trista

Siala mia vitatanto duol l'ingombra.

Nèmai da me si sgombra

L'altomartirche 'l giorno

Ebbial partirch'io fei

Quandosalir vedei

Negliocchi il piantoe mesto il viso adorno

Farsie così pietoso

Cheripensar non l'oso.


Che 'n mezzo a que' begli occhi

Cheson del mondo il Sole

Restaipartendo eternamente preso.

Chedove avvienche tocchi

Ilvago lumesuole

Legarogn'alma in vivo foco acceso;

Mapoi che m'è conteso

Queldolce fguardo umile

Nèvivo sonnè morto

Privod'ogni conforto

El'alma ha tolto di lagnarsi un stile

Cheper l'acerbe pene

Viepiù crudel diviene.


Di lagrimar mai sempre

Dunquecagion avemo

Almapiù non veggendo il nostro obbietto.

Peròfin che mi stempre

Mortenel giorno estremo

Umidigli occhi siane molle il petto:

Che'l sommo mio diletto

Èstar in pianto e doglia

Talche 'l giorno e la notte

Lelagrime interrotte

Mainon mi dianma sempre il cor si doglia

Ela penosa vita

Piùnon ritrovi aita.


Ahi lassos'io sapea

Senzai begli occhi suoi

Moriril dìche 'l Mincio abbandonai

Ildìche mi tenea

Gliocchi negli occhie poi

Sospirandioasciugava i dolci rai;

Ionon moria giammai

Otal fentiva gioia

Quivimorendo il core

Chel'alma a uscir di fore

Sentirnon mi lasciava alcuna noia;

Ch'innanzial suo bel viso

Nonmor chi 'l mira fiso.

Maperchè sempre stanzi

Novoduol mecoond'io

Nonfperi aver mai più tranquillo stato

Nonpote a lei dinanzi

Partiril spirto mio

Ch'allorpartendo si partia beato;

Orlasso travagliato

Sonodal Mincio lunge

Nèdi vederla spero:

Cosìmi molce Amorcosì mi punge;

Estommi travagliando

Temendoardendoamando.


Mesta Canzonch'in ripa al Lambro fosti

Tralagrime raccolta

Quiresterai sepolta.