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GiulioCesare Croce

Bertoldino

Lepiacevoli e ridicolose semplicità di Bertoldino

Figliuolodel già astuto e accorto Bertoldo
con le sottili e argutesentenze della Marcolfa
sua madre e moglie del giàBertoldo.



Operatanto piena di moralità quanto di spasso.


Proemio.

Ognipiantaogni albero e ogni radice suole produrre il frutto suosecondo la sua speciené mai prevaricare di quanto gli haordinato la gran madre naturamaestra di tutte le cose. Solo lapianta dell'uomo è quella che varia e mancaonde molte voltesi vede che d'un padre di bella presenza nasce un bruttoanzimostruoso figlioe d'un dotto un ignorante e goffo. La causa di ciòlascio disputare a chi sapoiché io non son scolastico nécattedrantema un uomo dozzinale e che ha poca cognizione di similcose; però non starò quivi a rendere la ragione diquanto o di tantoné dove si derivi simil varietàmasolo io m'accingo per spiegarvi in queste carte la vita di Bertoldinofigliuolo del quondamBertoldola cui natura tanto fu differente dal padrequanto èil piombo dall'oro e il vetro dal cristalloessendo esso Bertoldopieno di tanta vivacità e di tanto ingegnoe la madre suaparimente di tanto alto e chiaro intellettoed esso (un) esseretanto semplice che mai non fu così il figliuolo di Midgoneilqualecome scrivono moltidispensava tutto il giorno a numerarel'onde del mareo di quell'altro che si levava di tre ore inanzigiorno per vedere crescere un fico ch'egli aveva nell'orto. Insommaqui udirete la vita d'un sempliceanzi d'un balordose non intuttoalmeno in partema avventurosissimoessendo la fortuna statasempre fautrice di questi talicome bene disse il gentilissimoAriostoquandodescrivendo le pazzie d'Orlandodisse: "Ma laFortunache de' pazzi ha cura"e via discorrendo; e moltevolte si mostra nemica agli uomini savi e sapienticome chiaramentesi vede di giorno in giorno. Or dunquementre io mi vado preparandoper descriverecome ho dettole simplicità di questo galanteumoree voi intanto venite preparando l'orecchie vostre a udirleperché ne trarrete utile e spasso a un tempo istesso. Statesaniaddio.



IlRe Alboino manda attorno gente per vedere se si trova alcuno dellarazza di Bertoldo.

Dopola morte dell'astutissimo Bertoldo essendo restato il Re Alboinoprivo di così grand'uomodalla cui bocca scaturivano dettitanto sentenziosi e che con la prudenza sua aveva scampato moltistrani pericoli nella sua cortegli parea di non poter vivere senzaqualcheduno il qualeoltre che gli desse consiglio e aviso nelle suedifferenzecome facea già il detto Bertoldogli facesseancora con qualche piacevolezza passare tal volta l'umore; e purs'andava imaginando che della razza di esso Bertoldo vi fusse rimastoqualchedun altroil qualse bene non fusse stato così astutoe accorto come il dettoavesse almeno avuto alquanto di quel genio edi quella sembianzaper tenerlo appresso di sécome facevala buona memoria di esso Bertoldo. E così stando nell'istessopensiero si venne a ricordare come nel suo testamento Bertoldoaveaffatto menzione di sua moglie e di Bertoldino suo figliuoloelasciatolo erede universale di tutto il suo averema però nonavea specificato dove né in qual luogo essi dimorasseroperesser forse più tosto gente da boschi e da montagne che dacittàessendo persone rozze e lontane da ogni civiltà;onde si pensò d'espedire gente attorno per quei monti e perquei villaggich'andassero a cercare dove si trovavano costorosepur erano al mondo; efatta tal disposizionechiamò a séuno de' suoi più famigliari di corteaddimandato Erminioegli commise che senz'altro indugio esso montasse a cavallo e siponesse in viacon altri compagni con esso luie che cercassero lamoglie di Bertoldo e il figliuolose erano vivie gli conducesseroa luie di ciò gli fece grandissima instanzaper l'amorgrande che esso portava al detto Bertoldo.

Gliuomini del Re si partono per andare a essequire il suo commandamento.

Uditoil commandamento del ReErminio (che così si chiamava quelcavalierocome ho detto) fattogli la debita riverenza non stette aindugiar puntomapreso con essolui alquanti gentiluominimontarono a cavallo e si posero in viaggioe cercarono tutti queivillaggi attornoaddimandando a ognuno che trovavano se gli sapevanodar notizia di queste gentiné mai poterono trovare uomo chegliene sapesse dar novella; onde erano quasi disperati per lostrettissimo precetto il quale gli aveaffatto il Re lor signorecioèch'essi non tornassero a lui senza condurgli costoro. Alfinedopomolto girare attornocapitarono sopra un monte molto aspro eselvaggiodove non pareva loro vi potesse abitare altro che animaliindomiti e fierinon vi essendo altro che boschi e ruinose rupiesi pentirono più fiate di essere saliti colà sùe tosto voltarono i lor cavalli a dietro per tornare a bassoe nelcalare al piano giunsero suso un sentieroil quale guidava allavolta d'un boscoe aviatisi per quelloessendo assai battuto dallapesta degli uomini e delle bestieandarono tanto innanzich'essigionsero in mezzo al detto boscoil quale dalla parte disettentrione era cinto e adombrato d'altissime querce e damezzogiorno alquanto apertoma circondato da sassi grandissimiiquali venivano a servire quasi per fortezza del loco cosìformato dalla naturae nel mezzo del detto bosco vi si stava un vilcappanuccio fatto di frasche e di terra e coperto di tegoleeinnanzi all'uscio di quello vi sedeva una donna di aspetto moltodifformela quale con la conocchia a lato filava alla spera delsole; quale vedendo queste genti giongere là sutostolevatasi da sedere se ne entrò nel suo cappanno e serròl'usciocome quella che rare volte o non mai era usa a vedere similpersonaggi in tal locoe appoggiatogli il manico del badile sifortificò dentrotemendo fossero genti che gli volessero farequalche oltraggio; e questa era la moglie di Bertoldola quale conil suo figliuolo Bertoldino (che così si chiamava) dimorava suquelle briccolee il detto doveva avere quattordici o quindici anniin circaed era gito a pascere le capre per quei boschied ella sichiamava Marcolfa.

Erminio.chiama la Marcolfa e la prega aprirgli l'uscio.

VedendoErminio che quella femina s'era fortificata in casaancora che conun pugno esso avesse potuto battere giù l'uscionondimeno nonvolse però usarle atto alcuno d'inciviltàmachiamandola amorevolmente la cominciò a pregare ch'ella glivolesse aprire in cortesiaattento ch'essi non erano lì perfargli danno alcunoma solo per giovargli; ond'ellaaffacciatasi auna picciola fenestruccia della detta capannacosì disse:

Marcolfa.Che cosa cercate voi qua su per queste biche?

Erminio.Aprite l'usciomadonnache noi non siamo venuti qua se non perfarvi beneficio.

Marcolfa.Non può fare beneficio di gran rilievo ad altri chi èfuora di casa sua.

Erminio.Se ben noi siamo fuora di casa nostravi potiamo però fareassai giovamento. Venite alquanto fuorache vi vogliamo parlare.

Marcolfa.Chi cerca di cavarmi fuor di casa mia cerca più tosto nocermiche di giovarmi; però gite alla via vostrache questo saràil maggior giovamento che voi potiate farmi.

Erminio.Ditemadonna miaavete voi marito?

Marcolfa.Chi cerca di sapere i fatti altrui mostra di curare poco i suoi.

Erminio.Buono per miaffé; ma ditemiper cortesiase voi avete maritoo no.

Marcolfa.Io l'averei se esso non avesse mangiato.

Erminio.Odi questase va a proposito. E come l'avereste voise esso nonavesse mangiato?

Marcolfa.Se esso non avesse mangiato pavonipernicifagianitortore e altricibi delicatii quali erano contro la sua naturama avesse atteso amangiare delle castagnecome era usato primaesso sarebbe vivocheora egli è morto.

Erminio.Buona proposizione affé; maditemichi era questo vostromaritose vi piace?

Marcolfa.Il più bello e il più garbat'uomo che si potesse vederal mondo.

Erminio.Come si chiamava esso per nome?

Marcolfa.Poiché bramate saperloio ve lo diròe si chiamavaBertoldo.

Erminio.Bertoldo dunque era vostro marito?

Marcolfa.Signor sì.

Erminio.O buona nuova per noi! E quello era il più bell'uomo delmondo?

Marcolfa.Maidesìanzi agli occhi miei esso parea un Narcisoperchéa una donna onesta deve sempre più piacere il suo maritochetutti gli altri.

Erminio.E voi piacevate ad esso.

Marcolfa.Non solo esso mi amavama di me avea una gelosiache creppava.

Erminio.Orsùdi qui chiaro si vede che ogni simile apetisce il suosimilee in vero esso avea grandissima ragione d'esser gelosoperché certamente voi eravate una copia d'amanti moltolascivi.

Marcolfa.La bellezza sta nel voltosìma molto più nelle virtùe nelle belle qualità dell'animoe però si suol direper proverbio che non è bello chi è belloma bello chipiace; perché ancora vi sono degli uomini bellii quali poihanno delle qualità dispiacevolie degli bruttiall'incontroi quali hanno in essi certe grazie date dal Cielolequali gli fanno amabili e graziosi a chi gli pratticasì comeparticolarmente parea che regnassero in Bertoldo mio consorte.

Erminio.Voi dite la verità. Ma ditemidi graziaavete voi alcunfigliuolo di lui?

Marcolfa.Io n'ho unoma non l'ho.

Erminio.Come l'avetese non l'avete?

Marcolfa.Quando esso è in casa posso dire che io l'abbia; ma ora cheegli è fuoraposso dire di non averlo altrimenti.

Erminio.E dove si ritrova ora questo vostro figliuolo?

Marcolfa.Domandatelo alle sue scarpele quali vanno seco per tutto.

Erminio.Per donna di montagna voi siete molto arguta.

Marcolfa.Egli è segnale ch'io sono stata sotto un buon maestro.

Erminio.Sìcerto. Orsùmadonna miaio vi faccio intenderecome il Re nostro signore ci manda a cercarvi ambiduechéper la gran benivolenza ch'esso portava a Bertoldo vostro maritoesso vuole tenervi appresso e far vostro figliuolo uno de' primidella sua corte; però venite fuora sicuramenteche vi potiamoparlare con più commodità.

Marcolfa.Eccomiche cosa volete voi dirmi?

Erminio.Che cosa avete voi di buono da pransare?

Marcolfa.Chi cerca saper quello che bolle nelle pentole altruiha leccate lesue.

Erminio.Voi siete una maliziosa femina.

Marcolfa.Quest'aere sottile porge così. Ma poiché bramate saperequello che io mi trovo da mangiareio ve lo dirò: io tengo inquesta pentoletta quattro erbe selvatiche senza sale.

Erminio.Quattro erbe senza saleohimèor come potete voi mangiarle?

Marcolfa.L'appetito è condimento delle vivandee però la nostramensa viene a esser più lauta e sontuosa assai che quella delRe vostroperché sopra questi alpestri monti la fame sempreprecede alla digestionee l'esercizio provoca la detta famee ildigiuno fa i cibi saporiti e buonie la sete fa l'acque dolcissime edelicate.

Erminio.Veramente a questo vostro parlare si vede che siete stata discepoladi esso Bertoldodalla cui bocca mai non uscì fuori parolache non fosse piena di sentenze. Maditemicome faremo noi a vederequesto vostro figliuolo?

Marcolfa.Aprite gli occhi come esso vienee lo vedretese non siete ciechi.

Erminio.Orsùtanto faremo; ma intanto che noi l'aspettiamocifareste un piacere menarci un poco nella vostra cantina a berechédapoi che cavalchiamo costà su questi montimai non abbiamobevuto.

Marcolfa.Di graziai miei signorivenite pure con essa meco.

LaMarcolfa mena i detti sopra un limpido ruscello d'acqua equivigiuntadice a loro:

Marcolfa.Eccovionorati signorila cantina mia e del mio figlioalla qualeveniamo ogni dì a trarci la sete con tutto il nostro bestiame.Beete ora quanto vi parepoiché le nostre botti stanno semprepienee tanto le lasciamo aperte la notte quanto il giorno. Beva chivuolee se bevesti tre giorni continui di questo chiaro liquore nonv'alteraresti puntoné vi sarebbe pericolo né sospettodi goccia né di paralisiacome spesse volte suole accadere amolti di quelli i quali caricano l'orcia di quei vini grandi epossentisenza meta né misura alcunai quali similmentelevano l'intelletto e sono causa di mille strani inconvenientiperchécome l'uomo ha riscaldato il cervellofacilmente sipiega a far delle cose indegne e di poca lodeonde esso dà daridere bene spesso al volgo e fa piangere quei di casa; ma chi bevedi questa sta sempre in tono e sempre ha il suo cervello a segno.

Erminio.Veramentemadonnache questa vostra cantina è molto nobile enon v'è sospettocome dite voiche niuno vi spini le botti.Ma non avete voi almeno un qualche vaso da poterne attingere un pocotanto che noi beviamo?

Marcolfa.Qua su non vi capitano mai boccalari né pentolarie perònoi non abbiamo bicchierené scodella; ma in tal occasione ciserviamo della tazza la quale ci ha dato la madre naturacioèle manisì come ancora converrà che facciate voi orase vorrete bere.

Erminio.Orsùancor noi ci accomodaremo secondo l'ocasione. Ma chi èquestoche viene in qua con quelle capre?

Marcolfa.Questo è Bertoldinofigliuolo di Bertoldo e mio.

Erminio.O buona nuova affé. Vieni ben innanziBertoldino.

Bertoldinosi maraviglia di quelle genti a cavalloche mai più non neavea vedutoe dice:

Bertoldino.Che genti e che bestie attaccati insieme sono questemia madrecheparlano qua con essa voi?

Erminio.Costui ci ha dato delle bestie sulle prime.

Marcolfa.È signale che vi ha conosciuti da discosto. Orsùvienipur innanziche questi gentiluomini ti vogliono parlare.

Bertoldino.I gentiluomini sono dunque mezzo uomini e mezzo cavalli?

Erminio.Bèccati su quest'altraquasi che voglia dire che siamo mezzouomini e tutto il resto cavalli.

Marcolfa.Non vuol dir così altrimentima dice questo perché vivede sopra quei cavallicosa ch'esso non ha veduto fin ora in questiluoghie si è pensato che voi e le bestie dove sedete susosiate tutti una cosa.

Erminio.Orsùquesto non ci dà fastidio; fatelo pur venireinnanzi.

Bertoldino.O quante gambe hanno costoroe n'hanno sei per uno! O quanto devonocorrere forte!

Marcolfa.Quelle quattro che toccano terra sono quelle del cavalloe le duache pendono dai lati sono le sue di loro.

Bertoldino.Questi animaliche mangiano il ferrodeono aver le budelle dipiombo.

Erminio.Sìe' l'hanno di stagno. O quest'è il bel barbagiannie non vuol già somigliarsi al padrech'esso era accortissimoe d'acuto ingegnoe costui fin ad ora mostra di essere una dellegran pecore che vadino in beccaria. O quanto spasso vuole aver il Redi questo cucco dispennatose lo potiamo condurre a lui! OrsùBertoldinoponiti all'ordineche bisogna che tu vegni con essi noi.

Bertoldino.E dove mi volete voi menare?

Erminio.Alla corte del Re nostro signore.

Bertoldino.A che fare? A stare per gentiluomo con un servitore?

Erminio.Sì beneah ah ah! Oh che dolce sempliciotto è questo!

Bertoldino.E quella corte è maschia o femina; sta ella a terrenoo atassello?

Erminio.Ella starà dove vorrai tu. Vientene pur via allegramentechete felice se saprai conoscere la tua buona ventura.

Bertoldino.Di che panni va ella vestita questa buona venturaacciò cheio la possa conoscere come io la veggio? Ditemelo un poco.

Erminio.Ella va vestita d'oro e d'argento e pietre preciosedelle quali tuancora sarai riccamente vestitoe praticherai fra dame e cavalierida' quali sarai onorato e riverito come gentiluomo principale delnostro Re.

Bertoldino.Potrò io poi menare le mie capre nella sala del Re quando miparerà?

Erminio.Sìsìvien pur viané dubitare di nulla; evoimadonnach'io non so il vostro nome.

Marcolfa.Marcolfa mi chiamo.

Erminio.Madonna Marcolfase volete venire ponetevi ancor voi all'ordinequanto primae aviamoci.

Marcolfa.Tanto è ordine ch'io lasci mai questo tugurioancor ch'essosia di pali e di terraquant'è ordine che i villani lascinomai le malizie loro; anzi bramo che quanto prima voi ve n'andiate diquaperché l'aria de' monti non si confà con quelladel piano; e ancora vi prego a non volermi privare di questo figlioattento ch'egli senza di me non camparebbe al mondo quattro giorniessendo composto di materia grossa e leggiero di cervelloa talech'egli sarebbe il babuino di cortee si sa che nelle corti non vivoglion simili garzottima genti astute e accorteche sappino beneil fatto loro.

Erminio.Quello che lui non saprà se gli insegnaràné vimancheranno maestri che lo disciplinaranno e che gli daranno le buonecreanze. Lasciate pur che venghi con noie non vi dubitate di nulla.

Marcolfa.Che diciBertoldinoci vuoi tu andareo no?

Bertoldino.Se venite ancor voi io mi vi lascierò ridurrealtramente ionon voglio partirmi di qua su.

LaMarcolfa si risolve d'andare con Bertoldino alla città.

Marcolfa.Orsùio mi risolvo di venire ancor io tecoacciò chetu possi far benee che tu non perda tanta ventura. Ma innanzi ch'iomi parta io voglio raccomandare la casa nostra a questa vicina quiappressola quale n'abbi custodia fin al nostro ritornose mai piùtornaremo qua su.

Bertoldino.E io a chi lascierò le mie capre?

Marcolfa.A lei ancora le lascierai.

Bertoldino.Nonoio me le voglio condurre innanzi con il mio bastone.

Erminio.Non occorre che tu meni la giù capre né becchichéve ne son in abbondanza.

Bertoldino.Vi son delle mandre di vacche ancora colà giù?

Erminio.Sìti dicoe assai più copia di qua su. Vieni pur viaallegramente.

Bertoldino.Eccomi dunque pronto a lasciar questepoiché la giùnon ne mancano dell'altre. Orsùmia madrerinunciate le miecapre ancora alla nostra vicinae sbrighiamoci in un tratto.

Marcolfa.Adesso adesso sarò alla via.

Cosìla Marcolfa raccomandò la casa alla sua vicinache ne tenessecura fin al suo ritornoe messe un poco di stoppa e quattro fuse edue ciavatte in una sportae tolto la gatta e una gallinach'ellaaveal'una in una sachetta e l'altra in grembos'inviò co'detti gentiluomini alla volta della città; i qualivolendometter Bertoldino a cavallonon poterono mai fargli aprirle gambeonde gli convenne porlo così a traverso della sella come unsacco di granoe così cavalcando di buon passolasciando laMarcolfa venire a sua commoditàgionsero alla cittàdove cheandato la nuova al Re di tal venutasubito gli uscìincontro con tutta la sua cortee vedendo costui a traverso di quelcavallo incominciò fortemente a rideree poi disse adErminio:

Re.Che fagotto è quello che tu hai a traverso di quel cavallo?

Erminio.serenissimo Signorequesto è Bertoldinofigliuolo diBertoldoil quale avemo trovato sopra questi alpestri montiin unluogo aspro e selvaggioe vien con esso la madre di lui ancoraesarà qua prestoperché ella camina di buonissimopasso.

Re.Perché non avete voi messo costui a cavallo come si fanno glialtri?

Erminio.Perché mai non v'è stato possibilecon tutto ciòche noi abbiamo fatto ogni sforzo per metterlo in sellach'esso maiabbia voluto aprir le gambeonde s'abbiamo voluto condurlohabisognato metterlo così a traversocome fanno i macellai ivitelli che vanno a torre in villae credo che la Corona vostraavrebbe fatto ben a lasciarlo star a casa suach'è piùgrosso dell'acqua de' macheroni e se gli darebbe a creder che gliasini volasseroe volea al dispetto del mondo condurre le sue caprequa giùe avemo durato fatica grande a levarlo dalle castagnee dalle ghiande.

Re.Orsùnon importatoglietelo giù di quel cavallochegli devono essere venute le budelle in boccae fate destramentechevoi non gli fate male. Veramente all'effigie non può negare dinon esser figliuolo di Bertoldo; e come dite voi ch'ei si chiama pernome?

Erminio.Bertoldino è il nome suoe la madre Marcolfala quale èquesta che viene in quaed è donna molto accorta e d'assaisottile ingegno; ma costui è bene il rovescio della medagliasì del padre come della madre ancora.

LaMarcolfa saluta il Re.

Marcolfa.Il Cielo ti salvi e mantengao serenissimo Ree ti accreschi ognorapiù stato e grandezza.

Re.E a voi ogni sorte di consolazionemadonna Marcolfa. Siete voistanca?

Marcolfa.Stanca sarei io s'io non avessi caminato.

Re.Comestanca se voi non avesti caminato? Questo è un granparadosso; ditemelo più chiaro.

Marcolfa.Ve lo diròSignore. Colui che camina per obedire al suosuperiorecome ho fatto ionon si stanca maima sì bene chivolontieri non lo serve si stancaanco che vada pianoanzise beneei non si muoveperché ha già stanco il pensiero e lavoglia d'aggradirlo innanzi che si ponga in camino.

Re.Questo è il più chiaro segno che voi mi potiate dare diesser stata moglie del mio caro Bertoldopoiché a pena quigiunta avete sputato fuori una sentenza così nobile. Orsùche gli sia preparato il loro appartamento e che siano vestitinobilmente secondo l'uso della nostra cortee che siano condottidalla Regina.

Marcolfa.Di graziaserenissimoconcedimi un favoreti prego.

Re.Volontieri; comandate pure che cosa volete sicuramente.

Marcolfa.Non ci far levare d'intorno questi nostri pannii quali ètanto tempo che noi siamo usi portareperciocché chi spoglial'arbore della sua antica vestenon solo esso non fa piùfruttima si secca affatto; voglio riferire chese tu ci faiadornare di panni d'oro e d'argentonoi potressimomirandocitalmente addobbati e con quelle spoglie così ricche e di granpregio intornodarci ad intendere d'esser di qualche gran lignaggioscordandoci in tutto la bassezza nostramontar in superbia e inambizione e voler farci temere a questo e quelloe insommainasinirci affattopoiché non si trova al mondo la piùinsolente bestia quanto il villano il quale si trova posto in altostato dalla fortuna; però lassaci i nostri pannicome hodettoperché mirando quelli staremo ognora umili e bassiessendo nati per esser servi e non padroni.

Re.Gran parole sono questeche tu dicie degne da notarsi; e mostri invero la sincerità dell'animo tuoe conosco chiaramente che ilCielo dispensa le grazie sue tanto ne' luoghi ruvidi e alpestriquanto nelle popolate cittàdove sono le scuole delle scienzee degli studi; e perciò tanto più voglio che tu siiadornata di ricchi vestimenti e che tu sia servita quanto la Reginaistessa.

Marcolfa.Ascoltao serenissimo Reti pregoprima una filateria piacevolema che torna a proposito nostrola quale mi disse una sera la buonamemoria di Bertoldo mio maritomentre stavamo presso al fuoco amondare delle castagne.

Re.Volontieri v'ascolto; dite pur su.

Marcolfa.Mi disse ch'egli avea udito raccontare a suo avoloche fu una voltalà nelle parti della Trabisondadove si sbarcano le scorzedell'anguille affumicateun asinaccio grande e alto di gambequant'ogni gran cavalloil quale vedendo un dì certi corsiericon le selle guarnite d'oro e di perle riccamente ornatee labriglia e il freno con borchie e rosette d'oroe valdrappe riccamatesuperbissimamentegli entrò nel capo (o che bestiazza) diesser anch'esso adobbato in tal manierae ne fece motto al suopadronepregandolo per quanto egli avea cara la sua pelle come eramortoa voler fargli fare una sellabriglia e valdrappa dellamaniera ch'avevano quei corsieriadducendo per ragione ch'esso nonera manco nobile del cavalloessendo anch'esso stato creato contutto l'altro bestiame in un istesso giornoonde per antichitànon cedeva a nessun'altra bestia che si fusse.

Allecui parole il padrone così rispose: "Messer asino miocaronon v'accorgete voi che dite una gran baccaleria? Perchéquando furono create le bestiecome voi ditea ciascuna di essefurono dispensati i loro ufficicioè il bue all'aratroilcane al pagliaioil gatto a prender i toppiil mulo al bastoilcavallo alla sellae l'asino qual siete voi alla soma e allebastonate. Però voi non farete nullaperchése benevoi avesti attorno tutto l'oro di Midasempre sarete conosciuto perun asinoe poi avete le orecchie tanto lunghe che non potrete mainegare di non esser un asinaccio da legnatecome siete". A cuirispose messer l'asino: "Se l'orecchie longhe ch'io tengo mihanno da scoprire per un asinoa questo tosto si trovaràrimedio con il farmele ascortare atteso la testache poi allora ioparerò un bertonedove checome sarò guarnito con lavaldrappa lunga e gli altri fornimentichi sarà quello che miscorga per un asino? Fate pur venire or ora il marescalcoe quantoprima mi tagli l'orecchie" (mira che bestiale ambizione d'unasinaccio). Così il padrone per compiacerlo gli fece tagliartutte due l'orecchie presso alla zucca e l'abertonògalantementee poi lo fece guarnire nobilissimamente e lo pose fra isuoi corsieri; il qual per esser sì grandecom'ho dettofutolto su le prime per un corsiero di molta stima. Ma perché lanatura supera l'accidenteil misero animalacciovedendo passarun'asina per stradasubito si discavallò e s'inasinìdi nuovo elasciando i cavalliincominciò a correre dietro aquell'asina raggiandoe gettò in terra la valdrappa e lasella e ruppe la briglia e fece mille maliscoprendosi in tutto eper tutto un vile asino com'egli era; onde coloro che fin alloral'avevano tolto per un cavalloscorgendolo al raggiare e all'altreasinesche creanze ch'egli era un asinotosto lo presero e lomenarono nella stallae ivi gli dierono una buona prebenda dibastonate e lo ritornarono sotto la soma secondo ch'egli era usatoprima. Quest'esempioo serenissimo Repuò servire a noichese tu ci farai vestire riccamentee mettendoci co' principali dellatua corteognuno ci mirerà e ammirerà finchéstaremo cheti; macome poi ci udiranno parlareci scorgeranno perdue goffi e rustici montanari edove prima ci avevano in pregio estimasi faranno beffe di noi e forse ancora ci faranno qualchescherzo. Sicché o lasciaci questi panni bigi che noi abbiamoose pur vuoi farci vestirefacci vestir moderatamentesenza oroné setaperch'io ti so dire che noi non siamo per riusciretroppo bene in questa cortee massime questo mio figliuolaccioilqual è più goffo che lungo e ogni giorno faràqualche disproposito da far ridere la gentee forse ancora piangere.

Re.Questa favola che tu m'hai narrata è molto esemplarema nonho dubbio che tu faccia scappateperché fin ad ora m'hai datochiaro segno del tuo raro intellettoe non ti tengo per donnaruvidase bene i panni e la vil scorza lo dimostranoma sìbene per un oracolo; e se bene Bertoldino alcuna volta parlasse ofacesse qualche cosa fuora di propositocome tu dicisaràsempre per iscusato per esser egli giovane e non ancora esperto nellecittàe ogni dì praticando con questi cortegianipiglierà senno e ingegno. Tu dunqueErminiomenali agli loroappartamenti e falli vestire di buon panno fino e provedigli diquello che gli occorreecome son posaticonduceli dalla Reginach'io so che li vedrà molto volontieri.

Erminio.Tanto faròSignore. Orsùvenite con esso meco.

Bertoldino.E dove ci volete voi menare?

Erminio.Venite pur meco e non vi dubitatech'io vi voglio menarnell'alloggiamento di vostro padre.

Bertoldino.Mio padre alloggia sotto terraluie però voi ci voleteseppellire con esso lui. O mia madretorniancene a casa nostra.

Marcolfa.Ei vuol dire nelle stanze dove alloggiava tuo padre quando egli eravivobalordo che tu sei.

Bertoldino.Faceva dunque osteria mio padre?

Marcolfa.Perché osteria?

Bertoldino.Ma s'ei dice dove alloggiava mio padreforza è ben ch'eglifosse oste.

Marcolfa.Ei vuol dir dov'egli abitavacioè le stanze dove stava.Ohimèben lo diss'ioch'io sarei impacciata qua giùcon questo bestiolo. Ofoss'io restata a casa miavolesselo ilCielo!

Erminio.Orsùvenite pur meco e non vi sgomentiateché questonon è nulla.

CosìErminio li condusse in una bellissima stanza tutta adobbata di pannid'arazzi e spalliere d'oroco' due letti ornati di padiglioni dibroccato e cupola d'oroe coperte di seta con bellissimi ricami ealtre cose di grandissimo valoree dopo fece venire lo sartore delRe a vestirli alla civile; dove chestringendo esso alquanto ilgiuppone alla gola a Bertoldinocome a quello ch'era usato a portarei panni larghicredendo che il detto sartore lo volesse affocareincominciò a dire gridando:

Bertoldino.Perché mi fa impiccare il Re? o strangolarmi qui?

Sartore.Perché impiccare o strangolare? Che cosa dici tu?

Bertoldino.Non sei tu il boia?

Sartore.Io non sono il boia altramentema sì bene il sartore del Re.

Bertoldino.L'hai tu mai impiccato lui?

Sartore.Perché vuoi tu ch'io l'impicchis'egli è mio Signore?

Bertoldino.Perché impicchi tu me adunquese mai non l'hai appiccato lui?

Sartore.Comeche io t'impicco? e che cosa ti faccio io da impiccarti?

Bertoldino.Tu mi stringi tanto la gola ch'io non posso avere il fiato.

Sartore.Egli è il vestimentoche va così assettato alla golae per questo a te pare che io t'affochi nell'accomodarlo.

Bertoldino.Se tu vai stringendo un poco piùio non terrò saldoperché sento che mi vien suso un castagnaccio ch'io homangiato poco fa. Guarda che il viene; non te lo diss'ioch'io nonterrei saldo?

Bertoldinoimpronta il mostaccio al Sartore con un castagnaccioed esso tuttocolerico dice:

Sartore.O ti venga il cancaroporcaccio! Mira come tu m'hai concio ilmostaccio! Ohibòpossi tu creppare!

Bertoldino.Non te l'ho io detto primach'io non starei al segnoperchétu mi stringevi troppo la gola? Lasciami pur un poco i miei pannivecchi a mech'io non voglio che tu mi ficchi in quelle sacchettech'io mi vi affogherei dentro.

Sartore.Orsùinsomma il villanoo alla città o alla villach'egli si siasempre conviene ch'esso mostri la sua villaniaperché mai non si cavarebbe la rana del pantano. Piglia glituoi panni e vestiti a tuo modochéa voler vestir tenobilmenteè proprio un volere mettere la sella a un porco; equi ti lasso con il malanno che ti piglich'io voglio andare alavarmi il mostaccio.

Cosìil sartorecol grugno tutto impiastrato di pasta di castagnesen'andò a casa borbottando a lavarsi il volto; poi fece larelazione al Re di quanto gli era avvenuto. Il qual udendo ciòfu quasi per iscoppiare di rideree poi gli mandò un altrosartoreil qual gli fece un abito alquanto più largoe allaMarcolfa fece fare medesimamente una zimarra di buon panno finoepoi così vestiti gli fece condurre dalla Reginala qualemirando quei due mostacci contrafatti non poté fare che nondesse nelle risa; la qual cosa vedendo la Marcolfadopo averglifatto una riverenza così alla grossolanae salutatolaall'usanza di montagnadisse queste parole:

Favolaesemplare narrata dalla Marcolfa alla Regina a proposito di chi ègoffo e vuol abitare in corte.

Marcolfa.serenissima Reginaio udii una volta raccontare a una certa vecchiadi là su nel nostro comune che già le cornacchiesoleano parlare come facciamo noie diceva questa buona vecchialaquale dovea avere cento e vent'anniche a questi animali sempre èpiacciuto di alloggiare sui campanili (come ancora in questi tempi) edice ch'elle andarono una volta ad abitare sopra la Torre diBabilonia e chestando elle colassùnotavano i fatti ditutte le gentie vedevano che l'uno ingannava l'altrovedevano gliartegiani la più parte bugiardii padroni sconoscentiiservitori infedelile serve inobedientile madri poco modestelefigliuole scapestratei padri dissolutii figliuoli viziosilevedove scandalosei cortegiani ambiziosii parasiti adulatoriibuffoni sfacciatigli osti lusinghierile meretrici falsissimeiruffiani malvaggi e sceleratie insomma vedevano tutto il mondoavviluppatodove che notando i fatti d'ognunocome ho dettogliandavano appalesando a tutto il mondoa tale che l'uno piùnon si fidava dell'altroe tutti i negozi andavano a male e ognicosa alla peggio; ondeessendosi scoperto che questi uccellaccierano cagione di tanta ruinafurono citati dinanzi al tribunaledella regina delli uccelli e ivi accusati della loro loquacitàsiccomeandando scoprendo i vizi di questo e di quelloil mondo nonfaceva più facende; onde la detta regina gli fece un precettosotto pena di essergli pelato il capo con acqua bollenteche mai piùelle non dovessero parlaree le privò in tutto della favella.Pure stanno ancor con speranza di riaverla un giorno per poterscoprire i vizi di questi tempii quali più che mai son incolmoe di continuo van gridando cràcràcioè di dì in dì stanno aspettando che gli siaconcessa la grazia di poter parlare. Maprima ch'elle il perdesserodisse la buona vecchia ch'ella gli udì raccontar questa ch'ioora ti dirò se mi fai grazia d'ascoltarmie tutto torna aprofitto nostro.

Regina.Dite pur suche queste vostre parole fin ad ora m'hanno datograndissimo contentoné mai mi stancarei di stare a udirvi.

Favolade i schiratoli e i topi dai fichi secchi.

Marcolfa.Dissero dunque questi uccelli chenel tempo che le lumache tessevanodelle pelliccesi trovarono nella città delle sanguettolealcuni topii quali faceano mercanzia di fichi secchi e teneanofornite tutte le città lor vicineonde si partirono alcunimercanti dell'India Pastinaca con alquanti sacchi di noci moscate pervenirle a barattare in tanti barili di fichi secchi; e un giornoessendo alquanto stanchi pel lungo viaggiosi posero all'ombra d'unaquerce antica e frondosa moltoqual era in mezzo a un verdeggiantepratoe quivi s'addormentarono; e mentre essi dormivano giunse ungran stuolo di porci cinghiali eaccostatisi a quei sacchiglidierono dentro de' grugni e mangiarono tutte le dette nocima neportarono tutti la mala penaperchéessendo usi a mangiardelle ghiandesùbito ch'essi ebbero quelle noci in corposegli mosse un tal garbuglio nelle budelleche non solo furonoastretti a vomitarema ciò ch'essi tenevano nel corpo ancorae si espedirono tutti in poco d'ora; onde di qui nacque il proverbioche le noci moscate non sono fatte per i porci cinghiali. Svegliatiche furono i detti mercantie trovando i sacchi loro tuttistracciati e mangiata la lor mercanzia da' detti porcirestaronomolto dolenti; pur non volsero restar di non gire innanzitrovandosialcune pelli di donnola da donar al re delle tinche fritteal qualenel passar che fecero in detta città gliele appresentaronoedesso in iscambio di quelle fece far loro un bellissimo presenteilquale parte fu tartuffiparte sorbe secchee così con detterobbe passarono nella città delle sanguettolee fu proprioquell'anno che si segarono i pratied essendo giunti quivibarattarono quei tartuffi e quelle sorbe in tanti barili di fichisecchidandogli giunta alquanti funghi salatii quali si trovavanoavere in un bussolotto di terra creta cotta al sole. Così coni detti barili s'imbarcarono nel porto delle salamandre e dopoalquanti dì arrivarono nel porto de' scarafaggi e trovandositravagliati dal mare si rissolsero di sbarcarsi in detta cittàe ivi riposarsi alquanti giorniefatto portare i detti barili indoanagli fecero sgabellare; ma i poverettifidandosi troppo de'gabellinifurono traditi da essipoichéavendo queiscarafaggi anasato i barili de' detti fichitosto s'imaginarono unafrodela qual fu questacioè di votargli que' barili difichi ed empirli di tante di quelle pallottole di sterco di bue (conriverenza) ch'essi son usi di fare l'estate nelle careggiate dellestrade. Pensatosi dunque quest'ingannotosto lo posero in esecuzionee votarono tutti i barilicavandone i fichie gli riempirono diquella mercanzia che già vi ho detto ebollati i detti barilie fatto loro passaporto e segnata la bolletta e presa la fede dellasanitàsi partirono di là e in pochi dìgionsero nelle lor contradedove tutta la città corse arallegrarsi seco dell'essere essi tornati sani e salvi alla patria; eperché ognuno avea gran desiderio di veder la mercanziach'essi aveano condottafurono pregati a voler aprire i barili.

Nonfu mai tanta furia quando si dà la fava il dì de' mortialle porte de' ricchiné tanta calca di villani il sabato acomprar del salequanto era la furia e la calca di coloro chevolevano comprare de' detti fichie quelli che non potevanoavicinarsi gli gettavano i fazzoletti co' danari come si fa a quelliche cantano in bancopregandogli con la beretta in mano ch'essigliene dessero chi una libbrachi duechi piùchi manco; edera tanta la moltitudine di quelli ch'essi aveano intornocheandarono a pericolo più volte d'esser soffocati. Pur Alfineapersero i detti barilidove in iscambio di trovarvi i fichi secchidentrovi trovarono tante pallottole di sterco di bueonderestarono talmente confusi e scornatiche non sapevano che si dire;e quelli i quali gli aveano dato i lor danari se gli fecero rendereindietroe se gli levò un schiamazzo dietro di batter demanie di zufolareche i poverelli furono quasi per andarsi aimpiccare per la mala vergognavedendosi esser stati burlati aquella foggiae vedersi similmente far dietro il ciambello da quellii quali aspettavano i fichi secchie vedere loro appresentarsi dellesudette pallottole; né furono mai più arditi dicomparire sulla pubblica piazzama si ritirarono alla villadovechepensando a simil casoin pochi giorni morirono disperati.

Questafavola mi narrava la detta vecchiala quale torna tanto a propositonostroche non si può dir di piùpoiché il Reha mandato a pigliarci di là su pensando che noi siamo dolci edomestici nel conversare e nelle creanzee riusciremo tante diquelle pallottole impastate là per le strade dai scarafaggicioè da' costumi rozzi e villania tale che chi ci ha guidatiqua giù avrà spesso delle rampogne da tutta la corteavendo condottiin iscambio di due barili di fichi dolci e saporitidue barili d'una mercanzia stomacosa come siamo noiche in pocotempo verremo a nausea a tuttie già questo mio fantacciottoha cominciato a dare segno delle sue balorderiele quali ogni dìpiù anderanno crescendo; onde era meglio assai per il Relassarci stare a casa nostrache farci venire qua giù aessere babuini di corte. Ma chi così vuole così abbia;io ho mostrato fin ad ora che io sono pronta per sempre ad ubidireall'una e l'altra Maestà.

LaRegina si stupisce dell'eloquenza della Marcolfa e dice:

Regina.Madonna Marcolfaio non posso credere all'eloquenza vostra e a'belli essempi che voi m'avete addotti che voi siate altramente natasui montima sì bene alla città fra i studi e lescienzepoiché io non so qual oratore si trovasse fra noiilquale sapesse con tal facondia di parole e con più ornato modoesplicare il suo concetto improvisamentecome avete fatto voi. E seil marito vostromentre visse fra noifece già stupirequesta corte con tante sue sottili astuzie e dotte sentenze cheuscirono dalla sua boccae voi fin a quest'ora non solo fatestupirema trasecolare chi vi sente; ondeper mostrarvi un poco disegno di gratitudineecco ch'io vi dono questo ricco anello.Pigliàtelo e ponetevelo in ditoe portatelo per amor mio.

Marcolfa.Non deve la donna vedova portare altro anello in ditoche quello ilquale gli fu posto dal suo maritoe però a me basta questaverghetta d'argentoqual è l'anello matrimonialecioèquello che mi fu messo in dito quando fui sposata.

Regina.Che posso io dunque darviche sia a proposito vostro?

Marcolfa.Non avete cosa per meche più non bisogna per voi.

Regina.Di qual cosa ho io bisognoche sono regina di tutta l'Italiae ditesori e ricchezze non cedo ad altra donna che sia in terra?

Marcolfa.Ohvi mancano pur tante coseserenissima Signora.

Regina.Che cosa mi manca? Ditemelovi prego.

Marcolfa.Io non mi partirò di questa cortech'io vi faròconfessare di propria bocca ch'avete bisogno di mille cose; e perchéil bisogno viene dalla povertàvoi venite a essere molto piùpovera che non son ioe avrete più bisogno di mech'io nonavrò di voi.

Regina.Quando mi farete vedere questosarete una gran donna. Orsùconduceteli alle stanze loroe tuBertoldinovieni a visitarmispesso.

Bertoldino.Che cosa vuol dire visitare?

Marcolfa.Vuol dire lassarsi vedere da lei spesso.

Bertoldino.Son io forse un setaccioche sia chiaro e spesso?

Marcolfa.Non vi diss'ioserenissima Reginache noi saressimo la mercanziadelle pallottole? Udite questo balordocome ha bene inteso.

Regina.Questo non importaanzi che le corti non sono belle se non vi sonodi tutti gli umori. Orsùandatevi pur a posare.

Ragionamentodi Bertoldino e sua madre nelle lor stanze.

Cosìfurono menati in una bellissima stanzae dato loro tutto quello chegli facea bisognoe stando ivi tutti duaBertoldino incominciòa dire a sua madre:

Bertoldino.Mia madreio ho udito dire che la Regina vuol star sopra tutte lealtre donne; però sarebbe ben fatto che quanto prima noi ce netornassimo a casa nostraperché s'ella vi monta adosso unavoltaella vi farà saltare le budelle fuor del corpoch'ell'è grande e grossa più che non è la nostravacca; però leviamoci di quainnanzi ch'ella vi facciacreppare.

Marcolfa.Quel dire di stare sopra le altre donne non vuol dire ch'ella vogliamontargli adossogoffo che tu sei; ma come signora e padrona vuolessere maggiore di tutte l'altre ed essere onorata e riverita daquelle come il giusto vuole.

Bertoldino.Sìsìvoi vederete benes'ella vi monta addosso unasol voltas'ella vi farà ridere o piangere.

Marcolfa.Orsùio t'intendo benissimo; tu sei un balordoun maccaronee non so come si possa stare che d'un uomo di tanto acuto e raroingegnocom'era tuo padresia uscito un cedrone di questa fatta.

Bertoldino.Ditemi un pocochi nacque prima: ioo mio padre?

Marcolfa.Odi quest'altras'ella sa di sale! O ignorantone che tu seivuoi tuessere nato prima di tuo padre? O meschina menon fuss'io mai venutaqua giù con questo guffo!

Bertoldino.Al Re se gli dà del messereo del maestro?

Marcolfa.Io credo che tutto quello che uscirà fuora dalla bocca tuasarà tutto buonoperchéin ogni modo quando tuvolessi dir megliosempre dirai peggio; peròse vuoi esseretenuto per uomo che parli benenon aprir mai la bocca.

Bertoldino.E se a sorte m'occorresse a sbadagliarenon volete voi ch'io apra labocca?

Marcolfa.Orsùapri quello che ti pare; in ogni modo io credo che finoa quest'ora la corte t'abbia scorto per un buffalaccioe giàgli hai cominciato a dar da ridere e gliene darai ogn'ora più.

Bertoldino.Le corti ridono dunque esse ancora? Ma dove hanno elle la bocca?

Marcolfa.Ohimètaciche pare che io senta venire gente. Ohegli èil Re in personache viene diritto alle nostre stanze.

Bertoldino.Che vuole egli da noiquesto bel messere?

Marcolfa.Ohimèserra la bocca e non dir niente.

Bertoldino.Io la serroguardate mo' s'io l'ho ben serrata.

Marcolfa.Sìsì. Orsùtienela così stretta finch'io ti dico che tu l'apri.

IlRe dona un podere fuora della città a Bertoldino e a suamadre.

Mentreessi ragionavano insiemeBertoldino e sua madreil Rech'aveaavuto assai solazzotanto della pecoraggine di lui quantodell'acutezza dell'ingegno di leili fece montare con esso suso unacarroccia econduttogli fuor della città due tratti di manogli diede in dono un bellissimo poderecon un nobile palazzo e unameno giardino con peschiera e fontaneboschettivigne e altre cosedeliciosedicendo alla Marcolfa:

Re.Perchéessendo voi usati alla vostra libertàvi pareforse di essere imprigionati qua dentro la cittàecco io vifaccio libero dono di questo bel palazzo che vedetecon questopoderegiardinopeschierafontana e quanto si contiene sotto dilui; con patto però che tuBertoldinoti lasci vedere ognigiorno una volta da me. Entrate dunque in questo palazzoil qual èfornito di quanto occorreese nulla vi mancheràio vi faròfare provisione di tutto.

Marcolfa.Per mille volte io ringrazio la tua gran magnanimitàobenignissimo Ree conosco certo che ciò non viene per meritoalcuno che sia in noipoiché iocome femina nata e allevatain paese ruvido e selvaggionon mi trovo aver qualità alcunain me la quale sia da praticare in questi luochi regima sìbene fra montuose rupi e scoscese ruineove non albergano nécreanzené virtù alcuna. Parimente questo miobamboccioil quale non so s'egli sia di stucco over di sambucotanto è goffo e balordoch'io non so a quello ch'ei si possaservire se non far ridere il volgoaltro da lui non credo si possaaspettare; perché d'un'acqua così dolce è uscitoun pesce così amarocioè che d'un padre tanto accortoe di sottile ingegnocome era Bertoldosia uscito un figliuolacciotanto stupido com'è questoil qualequando si vuol levare lamattinanon sa se si metta giù del letto i piedi primao latesta.

Re.È vero questoBertoldino? Tu non rispondi. Olàtutieni sì stretta la bocca.

Marcolfa.Io gli ho fatto precetto che la tenghi così serrata.

Re.Per che causa volete ch'ei la tenga così?

Marcolfa.Perché esso mi ha addimandato se a vostra Maestà si dàdel messere o del maestroe io gli ho detto ch'egli dirà benogni cosa se mai non aprirà la boccaperché sempreparla alla riversa.

Re.Io mi credevo ch'esso avesse fatto qualche gran falloma questo nonè errore alcunoanzi a me piacciono altro tantoe piùqueste sorti d'umori semplici prodotti dalla naturache quelli chefanno i semplici e i goffi artificiosamenteanzi pur maliziosamenteper così dire. OrsùparlaBertoldinoch'io ti dolicenza che dici. Apri la bocca.

Bertoldino.Mia madre vuole ch'io la tenghi serrata.

Marcolfa.Orsù parla pur such'io ti do licenza; ma guarda dire delletue. Che dirai qui al nostro Re? Di' su.

Bertoldino.Io vorrei quanto prima ch'ei si partisse di qua.

Marcolfa.Ahribaldoqueste son cose da dire a un nostro Signoreil qual cihaffatto tanti benefici? E perché vuoi tu ch'ei se ne vada?

Bertoldino.Perché mentre egli sta qui io non posso andar a merenda.

Marcolfa.Udite che bella creanzaSignore. Vi pare che questo sia per riuscirebuon cortegiano? Oh zucconaccio da sementein iscambio di rendergrazie a vostra Maestà del gran dono ch'ella ci haffattoeibrama che gite via per andare a merenda.

Re.Egli ha molto ben ragione; io non l'ho mica per balordo in questofatto. Orsùio me ne vado. Restate in pacee ricordati divenire ogni giorno una volta a vedermi: hai tu inteso?

Bertoldino.Signor messer maestro sì. Maditemichi è piùlungo: il giorno della cittào quello della villa?

Re.Tanto uno quanto l'altro; vieni pur via allegramente.

Marcolfa.Odi quest'altra: s'è più lungo il giorno della villache quello della città. Oh cavallaccio che sei! Orsùnon dubitateSignoreche io lo mandarò ogni giorno da lei.

Re.Orsù mi raccomandoBertoldino. A rivedersimadonna Marcolfa.

Marcolfa.Gite in paceserenissimo Signoreche il Cielo vi dia ciò chedesiderate.

Simplicitàdi Bertoldino ridicolosa con le rane della peschiera.

Partitoche fu il Rela Marcolfa e Bertoldino restarono al podere donatoglida luiil quale era fornito di tutto quello che a loro facevabisognosì per il vivere quanto per ogn'altra commodità;e in mezzo al detto giardino vi era una bella peschiera piena divarie sorti di pescie vi erano ancora delle ranele quali raneungiorno che esso Bertoldino stava sopra la detta peschiera a mirarequei pescii quali givano per l'acqua guizzandocantavano forte; eperché nel linguaggio loro pare ch'elle dicano quattroquattroBertoldinocredendo ch'elle dicessero che il Re non gli avesse dato altro chequattro scudiavendone egli dato più di millesaltato incolera subito corse a casa epreso un coffanetto dove erano i dettiscudilo portò sopra la peschiera epigliandone fin a centoin un pugnogli gettò colà dove le dette rane facevanomaggior strepitodicendo a loro: "Toglietebestie del diavolo;numerate se sono quattroovero cento". Ma non per questo lerane s'acchettavanoanzi parea ch'elle raddoppiassero il gracchiarloro; onde essopigliatone altrettantiglieli gettò a bassodicendo: "Ahcanagliaio vi farò ben vedere ch'egli cen'ha dato più di millanta". E così fece piùvoltetanto ch'egli gettò quei mille scudi nella peschierané potendole far racchettaretutto pieno d'ira e di sdegnogli trasse dietro il coffanetto dove essi erano dentro edicendoloro un mare di villaniese ne tornò a casa tutto imbestiato;onde la madrevedendolo così in furia e riscaldato dallacolera e dalla smaniagli disse:

Marcolfa.Che cosa haiBertoldinoche tu sei così riscaldato?

Bertoldino.Io sono in colera con le rane della nostra peschiera.

Marcolfa.Per che causa? Che oltraggio t'hanno elle fatto?

Bertoldino.Lo sapranno ben esse.

Marcolfa.Ti hanno elle interrotto il sonno con il loro rappellare?

Bertoldino.Peggio mi hanno fatto.

Marcolfa.Pisciato sulle scarpe?

Bertoldino.Mille volte peggio.

Marcolfa.Che cosa ti possono elle aver fatto? Di' su.

Bertoldino.Il Re non ci ha egli donato quel coffanetto pien di scudi?

Marcolfa.Sìha. Perché?

Bertoldino.Perché quelle maladette bestie dicevano ch'esso non ce n'aveadonato più di quattro; onde io gliene ho gettato un buonpugnoed elle pur andavano dicendo quattroquattroe io glieneho gettato un altro pugnoe poi un altroe un altroa tale ch'ioglieli ho gettati tuttied elle ognora più forte gridavanoquattroquattro;ondevedendole ostinate in quest'umoretutto pieno di colera gli hogettato a basso il coffanetto ancoraacciò che numerandoli sichiariscono quanti scudi ci ha donati il Ree che poi gli torninonel coffanettoch'io l'andarò poi a pigliare e lo portaròa casa con i detti scudi dentro. Or che ne ditemia madre? Non ho iofatto da galantuomo a chiarir quelle bestie?

Marcolfa.Tu hai gettati tutti i scudi nella peschiera?

Bertoldino.Se dicevano che essi non erano più di quattronon ho io fattobene a fargli vedere che sono più di millantaquattro?

Marcolfa.O poverina meo tapina Marcolfa! O sìche questa è dacontare! O pazzomattobismatto e senza cervello che seich'io nonso che mi tenghi ch'io non t'affochi.

Chevuoi tu che dica il Re di questa tua pazziaquando la saprà?Questa è la volta ch'egli ci espedirà per tante bestiee ci caccerà alle forchee meritamentesolamente per le tuegran balordagginile quali sono tanto grandiche un pazzo affattonon ne farebbe di più.

Bertoldino.Dica pur Sua Maestranza ciò che gli pare e piaceessodovrebbe accostumare le sue raneche non volessero saper quantiscudi egli dona via. Il peggio sarà ches'elle vanno dietrogracchiando a quel modoe ch'elle mi faccino montare in coleraun'altra voltaio gettarò nella peschiera tutto il mobile dicasae lo vedreteche elle non mi stiano un poco a intonare ilcapoch'io gl'insegnarò di farmi dietro il chiassoch'iosono più bestia di loro.

Marcolfa.Questo si sané mai dicesti più vero d'adesso; anzipiù bestia di tutte l'altre bestie.

Bertoldino.Udite fin da star qui s'elle son ostinate e s'elle fanno piùschiamazzo che mai. Non mi tenetech'io gli voglio andare a gettarequesta cassa sulla testa.

Marcolfa.Férmatiférmati! O poverina melascia stare lìquella cassa.

Bertoldino.Fate dunque voi ch'elle stiano chete.

Marcolfa.Io lo faròmafférmatich'io le farò pigliar aquesti pescatori da rane con il bocconesì ch'elle non tidaranno più fastidio. Aspettami quich'io voglio andare allacittà a veder se a sorte io gli posso trovaree farle venirea prender tuttepoiché la tua balordaggine vuol così.Non ti partir di qui attorno alla casache non ci sia levato qualchecosa.

Bertoldinofa in bocconi tutto il pane che si trova in casa e lo getta nellapeschiera.

Partitache fu la MarcolfaBertoldino fece un'altra balorderiaanzi duelequali furono questech'avendo egli udito dire a sua madre che lerane si pigliano col bocconeudendole cantare ad alta vocenonpotendole più comportareandò tutto instizzato allacassa del pane epigliatolo tuttolo fece in bocconi e ne empìun sacco; poi andò sopra la peschiera e gettòveglitutti dentrodove che al percotere dell'acqua tutte le ranescamparono in fondo della peschierae i pescia tanta copia dipanecorsero tutti equivi urtandosi l'uno contro l'altroparevache facessero fra di loro una crudel battagliae in poco d'ora glidierono spedizione; onde Bertoldinovedendo questomontò intanta colerache si dispose di volere accecare tutto quel pesceperché avea mangiato tutti i bocconi del pane ch'egli aveagettati nell'acquasì che le rane non avevano potuto avernepur un minimo bocconema tutte s'erano tuffate nel fondo dellapeschieracome ho dettoper il gran movimento dell'acqua chefacevano fare quei pesci mentre si toglievano il pane di bocca l'unoall'altroe andato in casa prese un sacco di farina per gettarlanegli occhi al detto pesce e accecarlo etornato sopra la peschierasecondo ch'esso vedeva il detto pesce venire al sommo dell'acquaedegli con una pala gli gettava adosso di quella farinapensando pureil povero sempliciottodi cavargli gli occhi; ma quelloguizzandosotto l'acquapoco curandosi di simil fattocosì gettòtutto quel sacco di farina nella peschiera e pensando di aver cavatogli occhi a quel pesceritornò a casa tutto contentocredendosi di aver fatte le sue vendette.



Bertoldinoentra nel cesto dell'oca a covare in cambio di lei.

FattoBertoldino questa bella galanteria torna a casa e vede l'oca che stain un cesto grande a covare l'ovae la fece levar sued esso entrònel detto cesto in atto di covaree alla prima ruppe tutte le ovecon il podiceed erano oramai per nascere i pavarini. E cosìstando nel detto cestogiunse la Marcolfala quale non aveaaltrimenti cercato pescatori da ranesapendo ella che non erapossibile a pigliarle tuttema era stata dalla Regina a darlealquanto di trattenimentoe ancora per passare un poco d'affannoch'ella avea delle gran balorderie di costui; e giunta a casa (comevi dico) batté all'uscio chiamando Bertoldinoche gliaprissedicendo:

Marcolfa.Bertoldinoo Bertoldinovieniaprimi l'uscio.

Bertoldino.Io non posso venire.

Marcolfa.Perché non puoi venire? Dove sei tu?

Bertoldino.Io sono nel cesto dell'oca.

Marcolfa.E che fai tu in quel cestoribaldo?

Bertoldino.Io covo i pavarini.

Marcolfa.Tu covi i pavarini? O meschina metu averai rotte tutte le ove.Vieni aprir quest'uscioin tua mal'ora.

Bertoldino.Io non posso veniredicoperché cominciano a nascerech'ione sento uno che mi dà del becco nelle natiche.

Marcolfa.O povera sventurata meche debbo io fare con costui? Non fosse iomai venuta qua giù con questa bestia. BertoldinoohBertoldino!

Bertoldino.Zittozittomia madreche l'oca mi guarda.

Marcolfa.E vieni aprirmi quest'uscio in tua buon'ora.

Bertoldino.Orsù aspettatech'io vengo.

CosìBertoldino esce fuora del cesto e apre l'uscio a sua madrela qualevedendolo così impegolato di dietro di quei tuorli d'ovach'esso avea rotti nel cesto con le natichetutta disperataincominciò a dire:

Marcolfa.O traditoreo assassino!

Bertoldino.Che cosa avete voi?

Marcolfa.Che cosa io ho? Ahmanigoldo che seimira qua la bell'opera che tuhai fattosporcobestia! Orsùio voglio insomma andare apigliarmi licenza dal Re di tornar sulle montagneperché noinon siamo degni di tanto bene. Oquanto bene avevaffatto tuo padre anon appalesare al René a niunoch'egli avesse figliuoliperché aveva previsto che tu non saresti stato buono daniente. Guarda quibestiacciaquello che tu hai fattoche tu mihai rotto tutte le ova e hai soffocato tutti i pavarinii qualicominciavano già a nasceree ti sei sporcato tutte le calciedi dietro. E che dirai tu al Re quando ei ti chiederà che cosaè stato quello che t'ha sporcato così di dietro?

Bertoldino.Dirò ch'io ho fatto una frittata alle mie natiche.

Marcolfa.O gentil risposta da giovane discreto! Orsùcàvatiquelle calciech'io te le voglio lavaree mettiti queste e vieniche mangiamo un bocconeché bisogna che tutti due andiamoalla città.

Bertoldino.E che volete voi mangiarese non v'è pane in casa?

Marcolfa.Comeche non v'è pane in casa? Non ve n'era un mezzo sacco?

Bertoldino.Sìche v'era.

Marcolfa.Ma dov'è andato?

Bertoldino.Non dicesti voi che le rane si pigliavano con i bocconi?

Marcolfa.Sìti disse. E beneche vuoi tu dire?

Bertoldino.Io ho sminuzzato tutto il pane quale era in casa in bocconie l'hogettato nella peschieraperch'io volevo pigliar tutte quelle ranecon quei bocconi; ma quei maladetti pesci sono corsi e se l'hannotranguggiato tuttoa tale ch'elle non hanno potuto averne pur unpicciolo bocconcino. Ma lasciatech'io gli ho fatto una burlach'iovoglio che voi ridiate un pezzo. Cominciate pur a rideremo' ridetecancaro!

Marcolfa.Ch'io rida? Ahtraditorequest'è un bel principio da farmirideresìda farmi piangere. E che burla è questa chetu gli hai fatto? Di' sumanigoldoch'io m'aspetto un'altra pazziamaggior di questa.

Bertoldino.Sapete il sacco dalla farina?

Marcolfa.Sìch'io lo so. Sta' pur a udire.

Bertoldino.Io ero tanto instizzato contra quel pesceperché egli avevamangiato il pane a quelle raneche io ho preso quel sacco di farinae gliela ho gettata tutta negli occhi.

Marcolfa.E perché hai tu fatto questo?

Bertoldino.Perché io glieli voleva cavaree credo di averne accecati purassaiperché io gliene gettavo sulla testa le palate pieneecredo che non vedano più lume.

Marcolfa.O balordoo pazzoo mentecato che sei! Perché non tisoffocai io nelle fasce subito che fusti nato? O Bertoldochediresti se tu fussi vivotu che eri un fonte di sentenzee udire legran balorderie di questo pecorone? Orsù prepàraticheio voglio che noi andiamo fino alla cittàche il Re e laRegina ti vuol vedere.

Bertoldino.Perché non vengono essi quase mi vogliono vedere?

Marcolfa.Signor sìtoccherà a loro a venire da voiche sieteun gran personaggioaffé. Orsù serra lì quellaboccae non l'aprire più fino che non siamo tornati a casache tu non facci come l'altra voltache pur volesti aprirla ancorchéio t'avessi commesso espressamente che tu la tenessi serrata.

Bertoldino.E se il Re mi domandarà qualche cosachi volete che glirisponda per meil mio taffanario?

Marcolfa.Parlerò ben iotaci pur tubestiae lascia la cura a me diquesto.

Bertoldino.Orsùio la serro. L'ho io ben serrata?

Marcolfa.Orsù tienla cosìné l'aprir fin ch'io non te lodicose non vuoi ch'io ti ricami il vestito con un bastonetornàtiche siamo a casa.

Cosìla Marcolfa e Bertoldino un'altra volta andorno alla città egiunti che essi furono dal Reesso gli fece molte carezzeeinterrogando Bertoldino come stavaesso tenendo la bocca stretta nonrispondeva nullaonde il Re voltatosi alla Marcolfa disse:

Re.Per che causa non mi risponde costui? Ha perduto forse la favellaogli è venuto qualche strano accidentech'ei non possaparlare?

Marcolfa.Meglio per luich'ei non avesse mai parlatoperch'egli dice tuttoalla riversae peggio è che ne fa ancorae adesso nuovamenten'haffatto una molto bruttamentre io sono stata fuora di casa.

Re.Che cosa ha egli fatto di brutto? Ha forse pisciato nel letto?

Marcolfa.PeggioSignore.

Re.Vi ha egli caccato?

Marcolfa.Peggio mille volte.

Re.Che domine può aver fatto costui? Io non so che si possino farcose più brutte o sporche di queste.

Marcolfa.Quando ve lo diròSignoreso che v'alteraretee con giustaragionee meglio sarebbe stato che voi ci avesti lasciati stare làsu nelle nostre briccoleche farci condurre qua giù a farciscorgere per due pecore balordecome in vero noi siamo.

Re.E che cosa d'importanza haffatto costui ditelo ormaiche io gliperdonoe sia che grave errore esser si voglia.

Cosìla Marcolfa narra al Re tutto quello che haffatto Bertoldinocioèdi gettare i scudi nella peschiera alle ranee il panee la farinaper accecare il pescee in ultimo il covazzo dell'ocae insommatutte le balorderie ch'egli avea fatte; onde il Rein iscambio difarli qualche gran riprensionecome meritavaincominciò aridere di maniera tale che fu forza a gettarsi sul lettoe dopoalquanto di spazio levatosi supur tuttavia ridendo disse:

Re.Sono queste dunque le gran cose che voi mi volevate dire? Io mipensava ch'egli avesse fatto qualche gran misfatto; ma questo ènullaanzi egli haffatto molto bene a insegnare di procedere aquelle bestie. Orsùquesto non importanon vi mancherannodanariné panené farinae quello che vi occorrerà:state pur allegri.

Marcolfa.Poiché così vi piaceSignoreio non dico piùnullapoiché già ho fatte le mie proteste che costuinon ha tutto quel senno che se gli dovrebbe; anziperché ioso che mai esso non dice cosa a propositogli ho fatto commandamentoch'egli non apra la bocca ancora questa volta sin che non siamotornati a casaperché temo sempre ch'esso non dica qualchegran stravaganteria.

Re.E io di nuovo gli do licenza ch'egli apra la boccae che parli.Conducetelo dunque dalla Reginache ella abbia un poco di spasso; etu Bertoldinocome sei fra quelle damedi' alla libera tutto quelloche ti paree senza rispetto alcuno. Andate.

Bertoldinoviene alle mani con una donzella della Reginachiamata Libera.

Cosìandarono la Marcolfa e Bertoldino dalla Reginala quale gli fecemolte carezzee perché il Re aveva detto a Bertoldino cheegli dicesse quello che gli pareva alla liberaessendo nella dettastanza una donzella della Regina nominata Liberae udendola essochiamare per nomecredendo che il Re gli avesse detto che eglidicesse a colei quello che gli pareala incominciòvillanescamente a motteggiaredicendo:

Bertoldino.AddioLiberache pagaresti a essere bastonata?

Libera.Perché bastonata? Le bastonate si danno agli asini pari tuoie villani come sei tu.

Bertoldino.Io sarei un asino s'io fussi tuo maritoche proprio tu hai cierad'un'asinaccia vecchia.

Libera.Se io mi cavo una pianellate la butterò sul capobestiavillanoporco che sei. Mira chi si vuole domesticare con una parmia! Va'guarda le capremontanaraccio che sei.

Bertoldino.Io non veggio la più bella capra che teioche tu faiproprio le calcolecome fa una capra.

Libera.Aspettache io ti voglio battere questo zoccolo su quel grugno diporco.

Bertoldino.Se tu mi romperai il grugno di porcoe io ti ammaccarò quelnaso di civetta con questa scarpa.

Regina.Orsùfermatevi un pocoe dimmi tuBertoldinochi ti hadetto che tu dica quelle parolacce a questa mia donzella.

Bertoldino.Il Re me l'ha dettoe domandatelo qui a mia madre.

Regina.È vero questomadonna Marcolfa?

Marcolfa.serenissima Reginaio ho già fatto tutti i miei protesticome parimente ho detto al Re che costui non darà gusto niunoessendo alquanto scemo di cervello; anziperché oggi ei nondicesse qualche balorderia innanzi a lui e a voiio gli avevo fattocommandamento ch'esso tenesse la bocca serrata fin che noi fussimotornati a casa; ma il Re vostro consorte non solo gli ha dato licenzadi parlaremadi piùche egli possa dire alla libera ciòche gli pare. E perché costui intende per l'orecchiecomefanno le pentole per il manicoavendo udito nominare questa vostradonzella che si chiama Liberaha pensatoil balordoche il Re gliabbia detto ch'ei dica a questa Libera qui tutto quello che gli paree piacee però egli ha usato questa bellissima creanza cheavete visto.

LaRegina ride di questo caso e il Re. dona di nuovo cinquecento scudi aBertoldino.

Quandola Regina ebbe udita simil baiasi pose a ridere di tal manierachebisognò slacciarla da tutte due le bandee in quell'istantegiunse il Ree chiedendo la causa di ciò gli fu narrato iltutto; onde di nuovo si raddoppiarono le risae il Re poi fecedonare (mira che fortuna d'un villano indiscretoche meritavacinquanta bastonate più tosto che altro) a costui cinquecentoscudi d'oroe così gli licenziò che tornassero allalor abitazione; mainnanzi che si partisserola Regina disse aBertoldino che per l'avvenire non si domesticasse più con lesue damema che si attaccasse alla modestiaché quella èla vera creanza di quelli che pratticano nelle corti; ed essofattoun bello inchino all'usanza di montagnapromise di ciò faree così si partiro e tornaro al lor podere.

Bertoldinoper le parole della Reginas'attacca ai panni della mogliedell'ortolano chiamata Modestae se la tira dietro per tutta lavilla.

Giuntich'essi furono alla lor magioneBertoldinoil qual avea promessoalla Regina di attaccarsi alla modestiaintendendo ogni cosa allaroversasecondo il suo goffo intellettosi incontrò nellamoglie dell'ortolanoche si chiamava Modestae pensando ch'ellaavesse detto a quella Modestasubito senza altro dire se gli attaccòai pannie cominciò a tirarsela dietrocome tira il lupo lapecorae con tanta la nobil destrezzache quasi gli roversòi panni in capoe se non fusse stato ch'ella si andava aiutando alpiù ch'ella potevaella avrebbe mostrato il più bellodi Roma; e vedendosi così strascinare a questo pazzo (che cosìmi pare di dirgli ora) incominciò a gridare talmentech'ellafu udita dal suo maritoil quale subito corse a quel rumore con ungrosso palo in mano evedendo costui tirare sua moglie a quellafoggiafu per tirargli di quel legno sulla testama restò difarlo per il rispetto grande che bisognava portargli per comandamentodel Ree gliela levò dalle mani con fatica grandedicendo:

Ortolano.Chi t'ha insegnatobestiad'usare questi atti villani alle moglied'altri?

Bertoldino.La Regina.

Ortolano.Perché la Regina? Che cosa haffatto mia moglie alla Reginadafarla strascinare a questa foggia?

Bertoldino.Vaglielo domanda a leiche saprai il tuttoe ispedissiti quantoprima se non vuoi che io torni a fare qualche cosa di mia testaperché io sono un mal bestionese tu non lo sai.

Ortolano.Purtroppo lo so. Orsùio mi voglio andar a chiarire or ora.

Bertoldino.Or va'e torna prestoche io possa finire d'imparare la creanzache m'ha detto ch'io studila Regina.

L'ortolanova alla città per chiarirsi dalla Regina della causa di similfatto.

Cosìl'ortolanotutto pieno di colerasenza indugiare punto corse allacittà eandato dalla Reginagli narrò questo negoziodomandando a lei s'era vero ch'essa avesse commesso a Bertoldino chesi tirasse sua moglie dietro per la villae che gli rovesciasse ipanni in capo e gli facesse simil insolenza. La Regina si stupìdi tal fatto e rispose ch'ella non gli avea commesso tal cosaanziche essa l'aveva ammonitose egli voleva apprendere la creanza dellacortech'ei si attaccasse alla modestia e tirasse dietro a quellastradache si sarebbe ben creato e imparerebbe il procedere civile;"e non gli ho detto altramenteche egli s'attacchi ai panni ditua mogliené d'altra donna della villa".

Ortolano.OhimèSignoramia moglie ha nome Modesta.

Regina.Tua moglie ha nome Modesta?

Ortolano.Signora sì.

Regina.Orsùio t'ho inteso. Costui haffatto giusto con tua mogliequello che haffatto qui con la Libera mia camerierache il Re mioconsorte gli aveva detto ch'egli dicesse quello che gli pareva viaalla libera; eavendo il goffo pensato che dicesse a questa Liberaavendola sentita chiamare così per nomevi è stato ungran che fare a poterglielo levare d'intorno.

Ortolano.Orsùquesta è stata un'altra babionata a questafoggiache il nome di mia moglie ha causato questo disordine; peròcon sua buona graziaio me ne tornerò a casache questobestionaccio non ne facesse di peggio.

Regina.Orsù vattenee di' alla Marcolfa che quanto prima venghi dameche io ho grandissimo bisogno di lei.

Ortolano.Tanto faròserenissima Signora.

Cosìl'ortolano tornò a casa e narrò il tutto alla mogliequale se ne era fuggita a casa e serratasi in una stanzaperchéancora aveva sospetto di colui; e con bel modo poi lo placornosìche esso non gli fece più nessun oltraggio. Poi l'ortolanodisse alla Marcolfa che andasse quanto prima dalla Reginala qualeavea grandissimo bisogno di lei; ed ella senza dimora tornòalla città egiunta innanzi alla Reginagli fece la debitariverenzaed essaamorevolmente e con benigna faccia accogliendolala fece sedere appresso di leie poi gli disse:

Regina.Io avevo grandissimo bisogno di voimadonna Marcolfa; io dico tantobisognoch'io non so se mai ebbi bisogno di nessuna altra persona almondo quant'io avevo ed ho di voi ora.

Marcolfa.Il bisogno viene da necessitàe la necessità dallapovertàe la povertà da non avere quella cosa dellaquale s'ha carestia. Peròavendo voi bisogno ora di mevenite a essere povera più di me in questo fattoche non hobisogno di voiné di nulla del vostro; ed ecco che io vi hoprovato che ognunoper grande e quanto potente si vogliaha bisognodi qualche cosa.

Regina.Voi dite la veritàe con chiara ragione mi avete provatoquestoonde io non dirò più ch'io sia felice e ch'ionon abbia bisogno di nullaperchécome voi avete dettoavendo io ora bisogno di voivengo a esser più povera di voinon avendo voi bisogno di me. Orsùlasciamo andare un pocoquesto da parte per ora. Il bisogno ch'io ho di voi adesso ve lodiròe bisogna che voi mi aiutate in una cosa.

Marcolfa.Pur ch'io sia buonamia Signorason qui pronta per servirla.

Regina.Se non fusti buona non vi averei fatta venir qua giù con tantainstanza. Voi dovete dunque sapere come questa notte passatal'abbiamo spesa tutta in cantiin suoni e ballie nell'ultimo poi èstato proposto da questi cavalieri e dame di fare un gioco da metteresuso de' pegnie così ciascuno aveva messo suso un pegnodove che per riscuotergli si comandava varie cosefacendo chirecitare delle ottavechi de' madrigalichi come poner lettereamorosechi una cosachi un'altrasecondo il voler di chi avea ilpegno in manoonde a mech'avevo posto suso un ricco diamante perpegno mi fu dato un quesito da esplicarese io lo voleva riscuotere;il quale quesito fu questonotatelo bene: "Non ho acqua e bevoacquae s'io avessi acqua berrei del vino". E io mai non lopotei indovinaree mi sono lambiccato il cervello dietroe quantopiù ci vado pensandotanto più mi avviluppo; e quelcavaliero che tiene il detto diamante non me lo vuol dare per finch'io non gli spiano il detto quesito. Ora il bisogno ch'io tengo divoi è questoch'io so che siete di sottile e acutointellettoche voi mi dicesti quello che vuol dire questo quesitoperché mi pare molto intricato da dichiararlodicendo che viè uno che non si trova aver acquae pur beve dell'acquaeche s'egli avesse dell'acqua ch'esso berrebbe del vino. Indovinala tugrillo. Sì che bisogna qui che strologate un poco per meacciò io possa chiarire il detto enimma e riscuotere il miopegno.

Marcolfa.Altro bisogno non v'è che questo per conto mio? Oquesta èuna cosa che la sanno tutti i nostri pecorari là su.

Regina.È possibil questo? Io la tengo per una cosa molto intricata.

Marcolfa.Orsùio ve la voglio dizziferare or ora.

Regina.Ciò mi sarà di grandissimo contentoe vi restaròobligata.

Marcolfa.Il quesito dunqueche voi diteè un monaioil qual sta inun molino di quelli che non hanno mai acqua se non quando piove;ondenon avendo acqua da poter macinarenon può guadagnartanto che si compri del vinoonde esso e la sua famiglia convienebere dell'acquache s'egli avesse dell'acqua in abbondanzada potermacinaresi potrebbe comprar del vino e non sarebbe necessitato abere dell'acqua: e questa è la vera e reale interpretazionedell'enimma a voi proposto. Avetelo voi bene inteso?

Regina.Benissimo l'ho intesoe veramente conosco che la sua interpretazionesta così giustamente; ma io mai non avrei saputo indovinarloe vi ringrazio infinitamente e con questo io voglio riscuotere il miopegno. Madi graziaandate dietro così ragionando di qualchecosache le vostre parole mi levaranno un poco l'umore.

Marcolfa.Mala cosa è quando il fiume esce fuora del suo lettomapeggio assai quando viene l'umore all'uomo o alla donna potente.

Regina.Perché?

Marcolfa.Perché il fiume spaventa i campi a lui vicini solamentemal'uomo potentequando si trova un fantastico umore nel capospaventa tutto il suo stato e i suoi sudditi insieme.

Regina.Sìquando l'umore procedesse da qualche strano pensiero diricevuto oltraggioe aspirare alla vendetta o a qualche suo grandissegnoe non lo poter essequire; ma l'umor mio non procede danessuna di queste coseanzi non vi saprei dire io stessa da che sivegnabasta ch'io sento che io ho l'umore.

Marcolfa.Chi ha umore non ha sapore.

Regina.Io non v'intendo.

Marcolfa.Dirò in modo che m'intenderete. L'acqua perché sichiama umida?

Regina.Perché ella è umore che bagna e rende umido e molle pertutto ov'ella passa.

Marcolfa.Voi dite benissimoe quando la bevete di che sapore vi sa ella?

Regina.Di nienteanzi è insipida e di poco gusto.

Marcolfa.Eccovidunqueche chi è umorista non ha amore nésaporee dà poco gusto a chi lo pratticaanzi viene a nauseaa tutti. Ben è vero che vi sono degli umori di piùsorteperché ve ne sono degli allegride' malenconicide'pazzide' bestialide' piacevolide' fastidiosidegli umori falsie deglì umori leggieri e semplicianzi balordi affattocomeora si trova essere questo mio bambocciaccio di figliuoloil qualeper esser sempliciotto e goffotiene fra tutti gli altri il primoloco.

Regina.Non viene ch'egli sia pazzoma viene ch'egli è alquantoottuso di cervello. Ma come può essere che di Bertoldo e voiche siete stati l'istessa accortezzasia uscito un figliuolo di cosìpoco giudicio?

Marcolfa.Io vi diròSignora. Voi sapete chequando noi donne siamogravideci viene volontà di cose stravagantie ve ne sonostate di quelle che gli è venuto voglia fin di sterco di buedi milzedi teste di lepredi magonie insomma chi d'una cosachid'un'altrasecondo ch'elle avranno veduto o imaginato. Onde a mementre ero gravida di costuivenne voglia d'un cervello d'ocae mitoccai il capoe per questo costui è nasciuto con un cervellod'ocala qual è un animale il più balordo che sitrovi; e che sia la veritàl'oca è tanto privad'intellettoche mai la sera non sa trovar la stanza ov'ella suoldormiree si dura più fatica a guidar un'oca la sera alpollaioche non si fa tutto l'altro bestiame. E questa è lacausa che costui è così simpliciaccio e balordo.

Regina.Orsùmadonna Marcolfabisogna aver pazienza. Ve ne sonodegli altri che sono peggio di lui. Per questoegli non fa cose chenon si possino tolerarema tutte sono cose burlevoli e da spasso. Orvoi menatela un poco a merenda.

Marcolfa.Io non voglio far nullama me ne voglio tornare a casaperchéio mi stimo di trovare qualche cosa di nuovosecondo il solito. IlCielo da male vi guardi.

Regina.Andate in pacee tomate spesso da meche sempre vi vedròvolontieri.

Bertoldinoviene portato in aria dalle grue e tratto nella peschiera.

Mentrela Marcolfa stava a ragionare con la ReginaBertoldinoil quale erarestato a casastando egli nel cortile vidde volare sopra la dettacasa più volte un gran stormo di gruee subito s'imaginòdi volerle prendere; e perché elle tal volta calavano a terralì d'intornovenendo a bere a un albuolo fatto a uso di dareda bere ai porcisi pensò di volerle imbriacaree subitoandò in cantina dov'era un barillo di luiatico della buonafattail quale gli aveva mandato a donare il Ree pigliato il dettobarillo in spalla lo portò di sopra e roversò tuttoquel luiatico nel detto albuolopoi si ritirò in un cantodella casa per vedere quello che facevano quelle grue. Le quali noncosì tosto sentirono l'odore di quel buonissimo liquorechecalarono attorno al detto albuolo e incominciarono a cacciarvi dentroil beccoe gustando quella delicata bevanda ne bevettero tanta lagran quantitàche Alfine s'embriacarono tuttenépotendo elle sostenersi in piedi per il gran fumo che gli andòal capocaderono chi qua chi làa tale che parea che fosseromorte. La qual cosa vedendo Bertoldinocorse con grande allegrezza ele prese tuttee ponendosele con le teste sotto la centura si mosseper venire a incontrare la madre con le dette grue cosìattaccate attorno attornoche pareva una cosa stravagante da vedere.Or mentre con allegrezza così caminavaecco le gruele qualiavevano già digerito il vinosi vennero a risentire etrovandosi con il capo stretto a quella foggiache a pena poteanorespiraresubito per uscire di quel laccio cominciarono a dibatterel'ali di maniera tale chelevandosi in altoportarono seco in ariail povero Bertoldino e lo levarono tanto in suche la Marcolfalaqual tornava dalla cittàlo viddené sapendo la causadi tal cosatutta tremando e piena d'affanno incominciò agridar dicendo:

Marcolfa.O poverina meche cosa veggio io? O Bertoldinoche cosa vuol dirquesto? Ohimèdove vai?

Bertoldino.Io vado a cena con le grue; state chetache ben io torneròpresto a casa.

Marcolfa.Tu tornerai prestoeh? Oh misera me! Bertoldinoo Bertoldino!

Bertoldino.Io non son più Bertoldinoch'io sono una grue.

Marcolfa.O povera Marcolfale grue mi portano via costui. OhimèDiosa che non lo portino in qualche parte che io non lo veda mai più.Or che debb'io più fare in questo mondo? Dehmortelevami ditanti guaiti prego.

Legrue portano Bertoldino sopra la peschierae vi casca dentro.

Intanto che la Marcolfa si lamenta di simil cosale grueche avevanoportato Bertoldino un pezzo discostorivoltarono il volo verso lacasa dove elle aveano bevuto epassando a caso sopra la peschieravolse la mala disgrazia che la centura dov'elle avevano fitto il caposi ruppe; dove che il meschinoa guisa del misero Icarocol capo ingiù e i piedi in altovenne a basso e diede tanto la granpercossa nella peschieracheper il peso del gran tuono che fecenell'acquatutto il pesce che vi era dentro saltò sulla riva;e perché la fortuna ha cura de' pazzieccodopo essersituffato due o tre volte sotto l'acquaAlfine uscì fuora senzamale alcunoe intanto giunse la Marcolfa evedendolo tutto mollegli addimandò come era stata questa cosa dicendo:

Marcolfa.Dimmi un pocopoveracciocome ti hanno portato queste grue cosìin aria.

Bertoldino.Io le ho embriacate con quel barillo di luiatico che n'ha mandato adonare il Re.

Marcolfa.O poveretta mee come hai tu fattotraditore?

Bertoldino.Io l'ho messo tutto nell'albuolo de' porcie quelle grue sono calateall'odore di quello e l'hanno bevuto tuttoe così ebrie sonocascate come morte in terrae io me le son poste con la testa sottola centura per portarle a casae quando io sono stato vicino allaporta elle si sono risentite e hanno incominciato a battere l'alidimaniera ch'elle m'hanno portato un pezzo in su ese la centura nonsi rompevaio volevo ch'elle mi portassero a casa della luna ecomeio ero stato là suio volevo ch'elle mi portassero inCalecutche dicono che vi è un paese dove tutte le donne sonofemine.

Marcolfa.Nole saranno maschie. O povero panea chi ti lasci tu mangiare?Orsù andiamo a casach'io ti leva quei panni molli che haiattornoe ch'io te ne metta degli asciutti. Insommaun pazzo nonpiglia fastidio alcuno al mondose ben cascassero le stelle. Miracostuiil qual è stato in un pericolo sì grandee siprende ogni cosa per gioco. Ma che debbo far io con questo pazzoumoreil quale ogni dì più va facendo dellebalorderie? Orsùva' là in casa.

Bertoldino.Io non voglio venire ancoraperché io mi asciugarò alsole. Andate pur voi a portarmi un cestoch'io voglio andar acogliere un cesto di quel pescequal è saltato fuora dellapeschiera quando vi sono caduto dentroch'io voglio farne unpresente al Rech'io so ch'egli l'averà molto caroe tantopiù quando egli intenderà la maniera ch'io ho tenuta inprenderlo. Ohquanto ha egli da ridere di questo nuovo modo dipescare.

Marcolfa.Sì certoch'ell'è da ridereo goffo che sei. Nont'accorgi tu che non hai punto di cervelloe che tu sei balordoaffatto?

Bertoldino.N'avesti così voi e tutte l'altre persone del mondoche lecose passariano molto meglio ch'elle non fanno. Ma ditemidi graziaquando voi mi faceste vi ero io presente?

Marcolfa.E non mi stare più a rompere il capo con queste goffarieeva' là in casa una voltati dico.

Bertoldino.Io dico ch'io voglio andare a cogliere quel pescee che m'andate aportare una cestaaltramente io me lo porrò nelle braghesse elo portarò al Re. M'avete voi inteso?

Marcolfa.Ohimècostui farà pur troppo quanto egli diceperchéin esso non è dritto né roverso. Orsù aspettamich'io vado a prendere la cesta e i pannie sarò quivi adessoadesso.

Bertoldinofa una gran battaglia con le mosche.

Intantoche la Marcolfa va a pigliare la cesta e i pannicome ho dettoBertoldino si spoglia nudo e mette i panni a sciugare al sole; eperché era sul mezzogiornonel più estremo caldo chesia il mese di lugliole mosche incominciarono a dargli beccate dilibraora su una spalla ora sull'altraora su un braccio ora sulcolloora da un lato ora dall'altrodandogli un aspro e crudeleassalto attorno; per la qual cosa eglimontato in colera da doverotolse alquanti rami di salice efattone due manelle a guisa d'unoscoppatoreincominciò a sfidare quelle mosche alla battaglia;esecondo ch'esso menava da un latoelle volavano dall'altroecosì ei s'andava scopando da sua postané potendosiinsomma difendere da tanta noiaincominciò a chiamare suamadreche lo venisse ad aiutaredicendo alle dette mosche:"Aspettateaspettateche adesso mia madre vi chiarirà.Corretecorretemia madreche le mosche mi vogliono mangiare!"A questa voce la Marcolfa saltò fuora di casatemendo diqualche gran cosa che gli fosse intravenutae vede questo poveracciocon quelle manelle di stroppe in mano che si flagellavaetoltogliele dalle manisubito gli pose indosso una camiscia asciuttae lo fece entrare in letto. E perché la caduta della peschierae lo star così nudo nell'occhio del sole parea che alquantol'avesse travagliatoe che gli facesse doler la vitala Marcolfas'inviò verso la città per gire a pigliar conseglio daun medico di quanto se gli dovea fare in simile occasione. E giuntainnanzi alla Regina riverentemente la salutòed ellarendendogli cortesemente il saluto la incominciò a interrogaredi quello ch'ella era andata a fare da quell'ora (ch'era un caldoeccessivo) alla cittàdicendo:

Regina.Che buona ventura vi guida da quest'orache è cosìgran caldoa venire alla città?

Marcolfa.Buona ventura non èma sì bene mala ventura mi ci haguidata.

Regina.Ohimèche cosa v'è incontrato? È morto forseBertoldinoche voi parete così angustiata?

Marcolfa.Buona ventura sarebbe per mela mia Signoras'egli fosse morto.

Regina.Perché? Che cosa v'ha egli fattoche vi dia tanto travaglio?

LaMarcolfa narra alla Regina tutto quello il qual è successo aBertoldino; la qualedopo aver riso un pezzocosì dice:

Regina.Veramentemadonna Marcolfaio vi do gran ragione e mi dispiace deivostri affanni. Ma dove l'avete lasciato quando vi partisti di casa?

Marcolfa.Io lo lasciai in letto alquanto pesto eper quanto possocomprenderecon un poco di febreperchévolendosi difenderedalle moschesi è dato una frustata della mal fatta.

Regina.Bisognarebbe dunque mandarglì il medicoil quale gliordinasse quanto bisognaperchéessendo egli nello stato cheditebisognarebbe che gli fossero poste le ventose o cavato sangueo fatto altro rimedio secondo il male. Suche si vadi a chiamare ilmedico di corteil quale or ora monti sulla mula e vadi a vederequel tanto che si conviene di fare per la salute di Bertoldino.Andate innanzi voimadonna Marcolfache fra poco d'ora il medicosarà da voie tutto quello che occorrerà vi simanderà; né vi state a mettere affanno di questoch'elle sono tutte burlee quando il Re lo saprà n'averàgrandissimo piacere.

Marcolfa.Io so che i pazzi danno piacere e spasso a tuttieccetto a quelli dicasa. Orsùio vado; ma dubito ch'egli non voglia che ilmedico gli vadi intornoperché egli è un cervello cosìbalordoche pensarà ch'esso gli voglia fare qualchedispiacere. Nondimeno egli non manchi di venireperchéquando egli avrà visto quanto occorreordinarà a mequel tanto che si deve faree io poi con destrezza vederò dieseguire quel tanto che mi si ordinarà. Restate alla buon'ora.

Regina.Andate in pace.

Ilmedico va a vedere Bertoldino e vi è assai da fare fra diloro.

Partitala Marcolfa dalla città e arrivata a casaentrò nellastanza ov'era Bertoldino e trovò ch'egli dormivae aprendo ibalconi andò al letto di lui e lo chiamò piùvolte; ma esso era tanto soffocato nel sonnoche non rispondevanépoteva aprire gli occhi. Intanto arrivò il medico eapressatosi al lettolo scoperse un poco per vedere come stavaetrovandolo assai pesto per la cadutae ancora per essersi datoquelle stroppacciatedisse alla Marcolfa:

Medico.Guardatemadonnase lo potete far svegliareacciò che io lopossi ben vedere per tuttoche poi vi ordinarò quel tanto chevoi avrete a fare.

Marcolfa.Bertoldinoo Bertoldinonon odi? Svégliati!

Bertoldino.Io non mi posso svegliare.

Marcolfa.Perché non puoi?

Bertoldino.Non vedete s'io dormo?

Marcolfa.E svégliati in tua buon'ora; se noch'io ti tirerò giùdel letto.

Bertoldino.E andate un poco a filaree non mi date impaccio. O questa saràbella: se io dormo quant'io possovolete che io mi desti?

Medico.Ahahah! O questa è ben da ridere. Ei parla e dice chedorme. O questo sìche è un cervel bislacco.

Bertoldino.Chi è questo barbone ch'è qui con voi? È egli uncastratore? Afféme non castraretemessere. Andate pure afare i fatti vostri e ringraziate il Cielo ch'io dormochés'io non dormessi mi levarei su e vi darei tante bastonate che io vifiaccherei; ma buon per voi che io non son svegliato.

Medico.Questo sarebbe a punto quello ch'io vado cercando. Fratelloorsùattendi pur dunque a dormire come tu faiche buon per me che tu nonsei svegliato. Orsùmadonnaio ho visto tutto quello cheoccorrecosì di grosso; e però io vi mandaròcinque pilloleche gli scarichino la testae perché non glipotresti fare un serviziale gli porrete una cura e gli darete un pocodi cassia in bocconi per tre mattinee tutte le dette cose sarannoqui fra mez'ora; né dubitateche non avrà male.Restate in pacea Dio.

Marcolfa.Andateche il Cielo v'accompagnie vi ringrazio per infinite voltee direi di darvi da berema le grue ci hanno bevuto il vino.

Medico.Non ho bisogno di nulla. Restate sana e lasciatelo dormire come fa.

Cosìil medico si partìridendo della gran semplicità dicostuiche ragionava tuttavia e diceva che dormiva; egiunto allaReginagli narrò questa babionata: la quale rise tantochevi mancò poco che non se gli aprisse il pettoe cosìfece il Re. Poi ordinarono che gli fusse mandate le dette robbe ecosì fu fattoe tosto che la Marcolfa ebbe in mano le dettemedicine andò al letto da Bertoldinodicendo:

Marcolfa.Dormi tu piùbarbagianni?

Bertoldino.E s'io non dormessiche vorresti voi da me?

Marcolfa.Io ti voglio dare una medicina che ha ordinato il medico che io tidiache subito guarirai.

Bertoldino.Io dormoio dormo. Pigliatela voi per me.

Marcolfa.Orsù lèvati a sedereché bisogna che tu pigliun poco di cassiae poi t'ungerò le spalle con un poco diunto di dialteae non averai mal nessuno.

Bertoldino.Ch'io mangi una cassa? O che la mangi luis'egli ha fame.

Marcolfa.Dico della cassia in bocconio pure la vorrai pigliare cosìin cannache nell'uno o nell'altro modo ti farà giovamento.

Bertoldino.Come vuol egli ch'io tranguggi delle casse e delle cannequell'animalaccio? Perché non ha ordinato che mi fate unadecina di castagnacci? Ohegli deve esser il bello ignorante.

Marcolfa.Io ti farò poi i castagnacciquando tu avrai tolti questirimedi; ese non vuoi questa cassiapiglia queste quattro pillole;poi ti metterò questa curaché queste ti scaricarannodi sopra e quest'altra di sottoe non avrai più male.

Bertoldino.Orsùio mi contento di far quello che voi voletema fatemipoi i castagnacci.

Marcolfa.Non ti dubitar di questolascia pur fare a me. Orsùecco quale pillolee questa è la cura. Tranguggia queste pallottineprimae poi io ti metterò la cura.

Bertoldino.Datemi ogni cosa in mano a me.

Marcolfa.Pigliae sfòrzati di mandarle giù. Sufa' buon animo.

Bertoldinosi caccia la cura in gola e le pillole per dissottoe la Marcolfadice:

Marcolfa.Ohimèche fai tubestia? Férmatiche elle non vannotolte a quella foggia. O meschina me! Quello che va di sottotu lometti al contrario.

Bertoldino.E lasciate fare a chi sa. Credete voi ch'io sia pazzo? Siete voichenon avete ben inteso il medico. Volete ch'io mi cacci di dietroquesta cosa qual è tutta coperta di mèle? Oio sareiil bel balordo. Ella va tolta per boccae queste pallotte giùa basso; ho ben cervello ancor io.

Cosìla Marcolfa ben puote gridare a sua postache il sempliciottotranguggiò quella cura e si pose le pillole nel taffanario; maquasi se ne pentìperché quella cura cosìmelata gli s'impastò nella golané voleva andar nésu né giùonde fu quasi per affogarsie voltava gliocchi come uno spiritato; onde la Marcolfavedendolo a tal partitosubito mandò a chiamare il medicoil qualevenuto percommandamento della Reginagli diede non so che a bereche gli fecesaltar fuora della gola quella cosa con tanta furiache il poveromedico non potendosi schivare a tempoella gli venne a dare in unocchio un colpo tale che fu per cavarglieloe gli impiastròtutta la barba con altra robba che gli venne dietro; a tale che ilmeschino durò fatica a nettarsicon tutto ciò che silavasse assai voltee se ne tornò a casa tutto colericomaledicendo i pazzi e ancora chi gli aveva inviato quella bestia.

LaMarcolfa domanda a Bertoldino come staed esso dice voler de'castagnacci.

Marcolfa.E benecome ti sentiBertoldino?

Bertoldino.Benissimoe starò molto meglio quando voi m'averete fatto icastagnacci ch'io vi domandai.

Marcolfa.Sìafféche te gli sei guadagnati con le tue bellevirtù. Tu hai pure quasi accecato quel povero medico conquella curache tu t'eri cacciata nella gola.

Bertoldino.Suo danno. Io non l'avea chiamato qua.

Marcolfa.So che non ve l'hai chiamatoperché ti era chiusa la stradaal parlare.

Bertoldino.Anzimentre che io avevo quel boccone nella gola non vi era pericoloch'io moressi di famecome faccio ora; peròse mi voletevivofatemi venticinque castagnacciché io sento che sonotanto debolech'io (non) posso a pena star in piedi.

Marcolfa.Adesso adesso vado a servirtipoiché così vuole la miabuona fortuna.

Bertoldino.Andate ben via prestoe ispeditevi.

LaMarcolfa fa venticinque castagnacci a Bertoldino ed esso gli mangiatutti; poi va a corcarsi sotto un olmo e vi dorme tutto un giornoeil Re lo manda a torre in carroccia ecome l'ha innanzigli dice:

Re.Come staiBertoldino?

Bertoldino.Io sto qui ritto.

Re.Io lo veggioma voglio dire: come ti senti?

Bertoldino.Io sento sonar le campane.

Re.Dico se ti senti maleo bene.

Bertoldino.Se io sento sonar le campanenon sento io bene?

Re.Dove staiBernardo? Io vado alla fiera. O che gentil umore èquesto! Pare a te ch'egli risponda a coppe? Orsùconduceteloun poco dalla Regina.

Bertoldino.Conducetela qui lei da me.

Re.Nono; va' pur con costoroe non temere di nulla.

Cosìlo condussero dalla Reginala qualetosto ch'ella lo vidderidendodisse:

Regina.Oecco qua messer Bertoldino nostro. Che si famesser Bertoldino?

Bertoldino.Le vacche che sono pregne fanno ellee non iosignora madonnamaestra Regina.

Regina.Voglio dire se ti senti più aggravato dal malech'io intendoche sei stato infermo un poco.

Bertoldino.Io non mi sono mai partito da casa se non ora: guardate voi se iosono stato a Fermoné manco so dove si siae che cosa èquesto Fermo? un pagliaroo pur una colombara?

Regina.Sìsìè una colombara. Orsùdimmi ch'èdi tua madre.

Bertoldino.Quand'io la lasciai ella dava da bere ai figliuoli della nostrachiocciache n'haffatto fin a trenta.

Regina.La tua chioccia ha dunque fatto figliuoli?

Bertoldino.Del certoche ne fa. E perché non ne fate ancor voi? Nonavete forse buon gallo?

Regina.Son io una gallinabalordoch'abbia bisogno di gallo?

Bertoldino.Ma mia madre dice che se le nostre galline non avessero buon galloch'elle non fariano mai figliuolie le galline non sono esse ancorfemine come voi? Peròse volete dei figliuolicercate averebuon galloe noi vi prestaremo il nostro se lo vorretee io ve loportarò.

Regina.Non mi occorre gallonoio ti ringrazio. Orsùmenatelo unpoco a merenda.

Bertoldino.Fatemi pur un poco prima menare a fare i miei bisogniche questom'importa più.

Regina.Tu hai molto ben ragione. Dove seiFilandro?

Filandro.Son quiserenissima Signora.

Regina.Conduci costui dove ti diràe andate via quanto prima.

Filandro.Dove vuoi ch'io ti meni?

Bertoldino.A fare i miei servizi.

Filandro.Costui si vuol vuotare innanzi ch'ei vada a empirsi. Orsùvieni via. O che nuovo pesce è questo? Io non so che gusto siabbiano i prìncipi di questi buffoni e di queste zucche malsalateche più li apprezzano che non fanno ogni granletteratoe ogni giorno gli donano vestimenti d'oro e di seta edanari in quantità grandee all'incontro poi hanno millevirtuosi e uomini sapienti nella corte invecchiati ne' suoi serviginé hanno mai avuto da essi un minimo guiderdone delle faticheloroe i miseri si vanno pascendo di fumo e d'ombra e di speranzavanafra i quali vengo a essere io uno di quelliil quale hoservito in questa corte tanti e tanti annicon tanta fedeltàcon tanto amore a questi signoriné mai ho scorto in essi unminimo segno di recognizioneanziper più mio scornosonridotto ora a menare un villano a cacare.

Ormira se questa è una degna mercedee se io sono nel fine dimia vita ridotto a fare un nobile officio. O povero Filandro! Orsùvien viache possi tu caccare le budelleporco che sei.

Bertoldino.Dove mi vuoi tu menare?

Filandro.Io ti voglio menare al cantaro.

Bertoldino.Io non voglio cantare adesso. Non t'ho io detto quello ch'io vogliofare? Menami in un campoe poi lascia fare a me.

Filandro.Orsù vieniche io ti condurrò dove tu vuoipoichémia buona ventura vuol così; ma per questa volta mi citrappolerai.

CosìFilandro lo condusse in capo al giardinoov'era un fossoe ivi fecequanto gli occorse; poi lo menò nella salvarobba delle cosemangiative e gli diede del panedel buon salamo e del buon vino dabere; e finito di merenda tornò dalla Reginala qualevedendolo disse:

Regina.Hai tu merendato bene?

Bertoldino.Signora madonna sì.

Regina.Che t'hanno essi dato di buono?

Bertoldinoin cinque volte non sa dir salamo.

Bertoldino.Del lassamoe del pane.

Regina.Di che?

Bertoldino.Del samallo.

Regina.Io non t'intendo.

Bertoldino.Del malasso.

Regina.Peggio che peggio.

Bertoldino.Dico ch'io ho mangiato del lamassoio parlo pur ancora schiettoetorno a dire che io ho mangiato del massallo: voi m'avete pur intesoa questa volta.

Regina.Che nomi sono questi di lassamosamallomalassolamasso emassallo? Io non capisco quello che si voglia dir costuinécredo che l'intendesse il bene intendi.

Filandro.Esso vuol dire del salamoserenissima Signora. Miri vostra Maestàse questo è un zuccon da friggere della buona fattaa nonpoter dire in cinque volte salamo. Se la Regina rise di simil fattolo lascio pensare; e intanto giunse il Re einteso la causa di ciòsi diede a rider di tal sorteche alle risa di lui rideva tutta lacortee durò tal ridere tutto quel giornoe talmente glientrò in bocca quelle parole di lassamodi samallodimalassodi lamasso e massalloche quando volevano del salamo essiancorapareva che non sapessero più dire se non lassamo esamallo e malassolamasso e massalloe durò parecchi giornisimil cosa. Fece poi il Re condurre Bertoldino a casa in carroccia;dove arrivatola Marcolfa disse:

Marcolfa.Che cosa hai veduto nella cittàBertoldinoche più tipiaccia?

Bertoldino.La pentola della cucina del Re.

Marcolfa.Perché la pentola della cucina del Re?

Bertoldino.Perché ella deve tenere più di cento minestretanto haella larga la pancia.

Marcolfa.Sempre tu pensi al mangiare.

Bertoldino.Chi non pensa al mangiare non pensa a viveree io sose nonmangiassiche io morirei.

Marcolfa.Orsùtu dici la verità; madimmi un pocoche haiimparato di bello in corte?

Bertoldino.Io ho imparato di andare su e giù per le scale del palazzo delRe da mia posta.

Marcolfa.Sei stato un grand'uomo certoe mostri avere un gran cervello.

Bertoldino.Ditemimia madrele anitre sono elle oche?

Marcolfa.Sìsì. Orsùva' purdormi un sonnoche apunto tu dài alle oche con questa tua pecoraggine.

Bertoldino.Io vi volevo domandare una cosa ancorae me l'era quasi scordata.

Marcolfa.Che cosa è questache mi vuoi dimandare? Di' su.

Bertoldino.Quando voi mi facestici eravate voi?

Marcolfa.Ohimènon mi rompere più il capoch'io son tantofastidita del fatto tuoche io non posso sentirti.

Bertoldino.O state a sentire se questa è bella. Mentre che io stava incamera della Reginaio mi son accorto ch'ella non ha più chedue gambee la nostra vacca ne ha quattro. Or che ne dite voi?

Marcolfa.Che vuoi tu ch'io dica? Io dico che quando ti feci avrei fatto meglioa fare una buona torta.

Bertoldino.Fuss'egli pure stato veroche n'avresti dato un pezzo a me ancora.

Cosìcon questi ragionamenti venne la serae se n'andarono a letto; poila mattina si levaronoe la Marcolfa disse voler andare alla cittàa comperar del sale e altre cose necessarie per la casae sopra iltutto raccomandò i pulcini a Bertoldinoche ne avesse curaaccioché il nibbio non gli furasse. Partita la MarcolfaBertoldino prese tutti i detti polli e gli legò per un piedeciascheduno di loroe fattone una lunga filza ne pose un bianco incapo di tuttipoi gli mise in mezzo l'araed esso ritiratosi sottoil portico stava poi a veder quello che ne doveva succedere. Ed eccoil nibbioche comincia a girare attorno alla casa e a fare il varcocalando a poco a poco sopra i detti pulcinie vedendo quel biancoche faceva più bella vista delli altrisi calò adossoa quello edandogli di beccolo levò in aria con tutti glialtri che vi erano attaccati; e Bertoldino ridendo forte gridava:"Tira il biancotira il biancoche tu averai quelli altriancora!" Così il nibbio si portò via tutti ipulcinietornata che fu la Marcolfa dalla cittàBertoldinogli andò incontro ridendoed ella disse:

Marcolfa.Che cosa haiche tu ridi? Vi è qualche cosa di nuovo?

Bertoldino.O mia madreio ho pur avuto il bel piaceree quando voi saperete ilperchériderete ancor voi.

Marcolfa.Orsùquesta sarà stata una delle tue. E che piacere èstato questo tuo?

Bertoldino.O il bel piacereo il bel piacere! Mia madredi graziacominciatea ridere.

Marcolfa.Di che vuoi ch'io ridadi'buffalose io non so quello che tudica?

Bertoldino.Sapete i nostri polli?

Marcolfa.Sìch'io lo so.

Bertoldino.Io ho fatto una burla al nibbio.

Marcolfa.Ohil Cielo mi aiuti! E che burla è stata questa?

Bertoldino.Io li ho legati l'uno con l'altro in una lunga filzaed èvenuto il nibbioe gli ha portati via tutti in una bottache hadurato una fatica la maggior del mondoe io tenevo gridato: "Tirail biancotira il biancoche tu averai tutti gli altri ancora!"perché io avevo messo quel bianco in capo della filzae sevoi gli avesti veduti saresti creppata dalle risaa vederequell'uccellaccioche a pena poteva portar via tanta brigata in unavolta. Or che ne dite voi? Non ci ho fatto io starequell'uccellaccio?

Marcolfa.Uccellaccio sei tubestiabalordo. Dunque tu hai lasciato portarvia i polli al nibbio? Io non so che mi tenghi ch'io non ti pigli pelcollo e ch'io non t'affochi. O re Alboinotu mostri bene di esserebalordo affattoa compiacerti d'un pazzo com'è questo. Or quichiaramente si vede che non giova aver virtùnécreanzama sorte sola. Miradi graziaquanta stima fa questo pazzodi re (che pur dirò così) di questo cavallaccio dapistrino. Insommaognuno ha qualche ramo di pazziae io son piùche sicura che quando il Re saprà questa castronaggineche iniscambio di fargli qualche riprensionee anco di farlo bastonarech'esso ne averà grandissimo piacere e gli manderà adonare qualche bel presente. O vatti mo' consuma sui libripoverofilosofoche ne trarrai una bella mercedepoiché si vede chein questa corte più vien stimato e premiato un sciocco ebalordo montanaroche cento uomini dotti e sapienti. Orsùilmondo va così adesso. Ma dimmi dov'è la chioccia?

Bertoldino.Ella è serrata nel pollaioperché non impedisca ilnibbio che possa portar via i pulcinicom'haffatto. Credete voich'io sia balordo?

Marcolfa.Orsù (pur pazienza) va' là in casache in vero tu seiun astuto giovine; ma se questa cosa va all'orecchie del Rechepensi tu che egli diràbalordo mentecato che tu sei?

Bertoldino.E chi volete voi che glielo dica?

Marcolfa.Forse che non sono qui intorno delle orecchie che ci odono?

Bertoldino.Io non veggio altro che l'asino dell'ortolanoio; il quale appuntopare che ci stia ascoltare. Vedete come egli tiene l'orecchie tese?Ma gli provederò ben io adesso adesso.

Bertoldinotaglia l'orecchie all'asino dell'ortolano.

Marcolfa.Fèrmatio làche cosa vuoi tu fare?

Bertoldino.Io voglio tagliar l'orecchie a questo asinaccio che ci sta ascoltare.

Marcolfa.O meschina me! Egli ha tagliato l'orecchie all'asino dell'ortolano.Or che dirà egli? Ohquesta è ben la volta che il Reci manda a far i fatti nostri; e avrà ragioneo ribaldootraditore!

Bertoldino.Ribaldo e traditore è quest'asinoche vuol udire i fattinostri. Ma tu non gli udirai già piùche tu non hail'orecchie.

Marcolfa.Or ecco l'ortolano che viene in qua. Tu l'udirai bene dire il fattosuoe avrà gran ragionee converrà che tu gli paghiil suo asinoche gliel'hai abbertonato.

Ortolano.Chi ha tagliato l'orecchie al mio asino?

Bertoldino.Son stato io.

Ortolano.Per che causa?

Bertoldino.Perché egli stava a udire tutti i fatti nostri.

Ortolano.Orsùqui non v'è bisogno di buffoni. Io voglio che tumi paghi il mio asinoe adesso adesso vado a darti una querelainnanzi al Re.

Marcolfa.Uditeortolanonon state a dare altramente querelache io visodisfarò. State chetoe lasciate far a me.

Ortolano.Nono. Io voglio che il Re sappia ogni cosaperché costuil'altro giorno ancora si misse attorno a mia mogliee vi fu da farea levargliela dalle mani; e non vorrei che un giorno gli saltassel'umore e che me ne facesse una che mi pelasse più che alcunadi queste. Alla cittàalla città!

L'ortolanova a dare la querela a Bertoldino innanzi al Ree il Re manda perluied esso comparisce con le orecchie dell'asino in senoe il Redice:

Re.Vien quiBertoldino.

Bertoldino.Son quimaestrissimo Signore.

Re.Fàtti innanzi tu ancoraortolano.

Ortolano.Eccomiserenissimo Re.

Re.Che contesa è la vostra?

Ortolano.Costui mi ha abbertonato il mio asinoe io dimando giustizia.

Re.È vero questoBertoldino?

Bertoldino.È vero; ma l'asinomessere...

Re.L'asino pur sei tu. Orsùva' dietro.

Bertoldino.Ei stava con l'orecchie tese ad ascoltare quello che io dicevo conmia madre; e ioperché esso non stia più a udire ifatti altruigli ho tagliato tutte dua l'orecchie. Maperch'ei nonsi pensasse ch'io volessi mangiarmi l'orecchie del suo asinoeccolequach'io le ho portate meco. Piglialee fagliele attaccar dinuovoche mia madre pagherà il magnano che le appunterà.

Aqueste parole il Re si pose a ridere di maniera che a pena potevarespirareeritornato in sédisse:

Re.Orsùortolanotu vedi che Bertoldino è galant'uomoese ti ha abbertonato il tuo asinonon però vuole nulla deltuo: ecco che esso ti rende l'orecchie di quello. E però lasentenza mia è questa: che mi pare cheper condegno castigodi tal delittoesso debbia montare sul tuo asinoe che tu loconduca a casa sopra di quello. Ti piace questa sentenza?

Ortolano.Questo è un castigo che viene sopra l'asino e ioe non a lui.Signoreio domando che mi sia pagato il mio asinoe poi cavalchilochi vuole.

Re.Orsùquanto vuoi tu ch'egli ti dia del tuo somaro?

Ortolano.Ei mi costò otto ducati l'anno passatoe faccio conto di nonvolere perdervi nulla.

Re.Orsù tu hai ragione. Vien quaErminio; dove sei?

Erminio.Eccomiserenissimo Signore.

Re.Da' un poco otto ducati qui all'ortolano; e tuBertoldinopigliaquell'asinoche io te lo donomontavi susoe andate a casainsiemee siate buoni vicini.

Ortolano.Tanto faremoSignore. Orsùmonta suBertoldinoe andiamo.Arrità sta'! Che diavolo fai tu! Tu sei caduto dall'altrabanda.

Bertoldino.E' mi pesa più la testa che non fa il taffanarioe per questosono traboccato dall'altro lato. Ma tienlo saldo. Tà sta'trùtrùArri là! O lassami mo' la cavezza a me. Arriva'là! Addiomessere.

L'asinotra' giù Bertoldino e gli ammacca una costolae la Marcolfava alla città econ una bella comparazione fatta al Re e allaReginaottiene grazia di tornare alla sua abitazione di dove eravenuta.

Giuntala Marcolfa alla cittàandò dov'era il Re e la Reginain una stanzai quali ancora ridevano delle solenni simplicitàdi Bertoldinoefatto lor la debita riverenzadisse a lei il Re:

Re.Che buone nuove ci apportate voimadonna Marcolfa?

Marcolfa.Non ho nuovaSignoreche buona sia.

Re.Perché? Che v'è incontrato?

Marcolfa.Bertoldino è caduto giù dell'asino e s'è tuttoamaccato da un latoe io son venuta a pigliare un poco d'unguento daungerlo e ancora per narrarvi una novellala quale torna a propositomiopur che da voi mi sia dato udienza.

Re.Dite pur sumadonna Marcolfache molto ci sarà gratod'udirlasì come ci sono grate tutte l'altre cose vostre.

Marcolfa.Nel tempo che i formiconi di sorbo andavano a cacciare le cimicigravidetrovavasi nella città delle penne di struzzo unamosca vedovaalla quale era stato ucciso il maritopochi giornieranoda un lombricciocon un partegianone di quelli che portaronogià in Italia i parpaglioni dall'ali doratequali passaronoall'impresa della mostarda cremonesequell'anno che si viddero tanticremonesi in Cremona. Onde avvenne chepassando dritto la casa delladetta uno di quei ragnacci dalle zampe lungheegli la viddeaffacciata al balconee perché era sabato ella s'avea lavatoil capo quel giornodi modo che lei pareva molto più belladel solitoonde costuidato una balestrata d'occhi alla finestraov'ella stavasubito restò preso d'amore per le bellezze diquella gentil signorané così tosto fu tocco dallesaette di messer Cupidoch'esso incominciò a passeggiareinnanzi e indietroe levandosi sulle punte dei piedi caminava moltogentilmente; onde la vezzosetta vedovellaaccortasi di ciòtirandosi alquanto dentro dalla finestracome fanno le vedovemodesteora affacciandosi un pocofacendo anch'essa alquantodell'occhietto e tal ora un poco di ghignetto per burlarlofece sìche il poveraccio restò cotto del tuttoné potendosiastenere dal gran calore che sentiva nel petto gli venne volontàdi rampegarsi su per la muragliae andare dentro per la finestrapensandosi ch'ella fusse di quelle ch'io voglio dire. E cosìincominciò a grapparsi con le ungie e a caminar in su verso ildetto balconeavendo fatto disegnodopo il piacere ch'egli speravadi avere con leitornare poi giù attaccato al suo filo. Cosìandando su allegramenteellache vidde questa sfacciataggineparendogli un amante un poco troppo presontuosotosto corse apigliare una caldaia di lescivach'ella aveva al fuocola qualevoleva oprare a fare una bollita a un par di brache d'un pidocchioopilato il quale ella teneva in casa a camera locanda; né cosìtosto costui trasse le zatte al balcone per saltar dentroche ellagli roversò quella lesciva adosso per pelarlo. Ma eglich'eradestrissimoaccorgendosi presto di quell'attoavendo in capo unguscio di lupino per zucchettotosto che sentì pioversiadosso quella lescivaabbandonato la muraglia si lasciòcadere giù all'indietroebenché gli cogliesse unpoco sulla testanon però l'offese moltoper il zucchettoche ho dettoil quale lo difese da quella.

Mail peggio fu checadendo giùil zucchetto andò aspassoed egli venne a percuotere con il capo suso un osso dipersicoe tutto il cervello ch'egli avea gli corse nel podicee daquell'ora fin al tempo d'adesso i ragni hanno portato sempre il lorcervello di dietroe sempre cercano far vendetta con le mosche pertale oltraggiotendendogli le reti per tuttocome gli uccellatorie tosto che ne hanno preso una te gli spiccano la testae poi lalasciano andare. Così credo intravenisse a questo miofantoccio di stuccoil quale una voltaseguendo una capra dietroun'alta rupenel salire su per quell'erta cadde addietro e venendogiù percosse con il capo sopra un tronco d'un sambucoe cosìtutto il cervello gli corse nelle natichee gli restòleggiera la testa come il sambucoe sempre uccella a moscheagrillia farfalle e parpaglionie non restòcome si suoldirené rana né barbastrelloné mai èper aver più senno di quello ch'ei s'abbia avuto fin ad ora; eperò vostre Maestà farebbono un'opera lodatissima alasciarci tornare alle nostre briccoleperchése ben hointeso le sentenze di Bertoldo mio maritobuona memoriaei disseche chi è uso alla zappa non pigli la lanciae chi èuso alle cipolle non vada ai pastizzi; e tutto questo cade aproposito nostroch'essendo natiin luochi ermi e selvagginonsiamo genti da praticare nelle città.

Re.Molto bene avete dettomadonna Marcolfa; ma chi ha bevuto il marepuò ancora bevere il Po. Peròse fin ad ora abbiamocompatito le simplicità di Bertoldinoanzi ne abbiamo avutosommo piaceretanto faremo per l'avveniree forse che con la lungaconversazione di questa corte egli potrebbe pigliar piùingegno che non ha; per questo la cura non è in tuttodisperata.

Marcolfa.Chi nasce pazzo non guarisce mai.

Re.Chi mal ballaben solazza.

Marcolfa.Chi ha un vizio per naturafin alla fossa dura.

Re.Chi non ha cervello abbi gambe.

Marcolfa.Al mal mortale né medico né medicina non vale.

Re.Meglio è aver un passerino in senoche dieci nella siepe.

Marcolfa.Meglio è essere uccello di campagnache di gabbia.

Re.Ogni dritto ha il suo roverso.

Marcolfa.Ogni testa ha il suo capelloma non il suo cervello.

Re.Ogni cosa si sa comportareeccetto il buon tempo.

Marcolfa.Ognuno dà panema non come mama.

Re.Che volete voi inferire per questo?

Marcolfa.Io voglio inferire che non si fece mai bucatoche non piovesse.

Re.Un'ora di buon sole asciuga mille bugate.

Marcolfa.Chi ben non torce i panninon si asciugano in tre giorni.

Re.Parlate un poco più chiaroch'io non intendo bene questevostre ziffere.

Marcolfa.Non è il peggior sordo di quello che non vuol intendere.

Re.Orsùecco ch'io v'ascolto: ingegnatevicon un'altra bellacomparazione a proposito vostrodi persuadermi a lasciarvi andarech'io do la parolada quello ch'io sonodi non farvi resistenzaalcunabenché di ciò io ne senta doglia al cuoremadi lasciarvi gire a voglia vostrae ancora farvi tai presentichesarete gentiluomini là su.

LaMarcolfa narra un'altra bella favola.

Marcolfa.Orsùle vostre Maestà ascoltino dunque. Quando lelucciole faceano mercanzia di lanternefu un lumacotto di quelli daquattro cornail quale prese per moglie una di quelle lumachinevergate di giallo e di rosso molto galanteche vengono fuora dellesiepi quando cadono quelle belle ruggiadine il mese d'aprile. Equella sera che esso la menò a casasi fece un sontuosissimobanchettoal quale invitò tutti gli suoi parenti e amicievi furono un gran numero di virtuosifra i quali v'erano quattrogambari di canale che sonavano eccellentissimamente di viole da gambae un calabroneche sonava di arpicordo gentilissimamente; e cosìfinito che fu la cenauna parpaglia cantò nel chitarronealcune belle aerema per essere un poco affreddata non potédar quella sodisfazione ch'era suo desiderio; onde si fecero levarele tavole e sgombrare la salaaccioché si potesse ballarecommodamentee poi si diede in un tratto negli stromenti es'incominciò a fare chiaranzane e ballettidove che uncalabrone e una farfalla ferono una barriera insieme molto galanteeun grillo bianco e una zenzalaballarono un spagnuoletto con tantaleggiadriache fu un gran stupore. Poiquando furono stanchi diballaresi posero a fare dei giuochi e dierono quell'assunto a unpulicequal era assai burlevoleche fusse il maestro del giuoco; ilquale senza farsi troppo pregare accettò l'impresa e fecemolti bei giuochi da mettere suso dei pegnie ivi s'udirono di beimotti e di nobilissime sentenze e sottilissimi quesiticon risposteargutissimee insomma la veglia passò molto galantemal'imperfezione della cosa fu che il giuoco andò tanto allalungache ognuno si stufò e molti s'addormentarono per iltedio che ne sentivano. E così siamo ancora noiserenissimiSignoriche fino a questa ora pare che la nostra veglia sia passataassai benema il giuoco va un poco troppo in lungoe sempre stiamosu l'istesso tenore; però parmi che sia ben fatto a mutarealquanto aria. Forse che quella di là su lo faràalquanto più svegliatobenché io non lo posso credere;pureperché ogni uccello canta meglio nel suo nido che inquelli degli altribramo di tornar ancor io costui al suo nidonatìoe poi faccia che verso egli vuole; sicché vipregoserenissimi Signoria darci buona licenzapoiché inogni modo da alcun di noi non siete per trarre construtto alcuno cheprofittevole sia per voi.

Re.Orsùmadonna Marcolfanoi vi vogliamo contentareperchécon tante nobili comparazioni ci siete venuta innanzie veramentevoi non siete donna selvaggia e alpestrema un oracoloemeritamente fosti accoppiata con un uomo di valore come era Bertoldole quali sentenze ho fatto scolpire in oro sopra la porta del miostudio a perpetua memoria di un tanto elevato ingegnoe me ne vadoservendo secondo l'occasione. Ora chiamisi un poco Erminio. Ma eccoloqua. O Erminiova' in camera mia e piglia quel coffanetto di vellutonerodove sono duemila scudi d'oroe portalo qua a madonnaMarcolfa. Poi va' al mio mercatante da panno e fàtti darequattro pezze di panno fino e ducento braccia di tela da lenzuoli eda camiciee fa' mettere all'ordine la lettiga (mira che personaggida lettiga) e che essi siano condotti all'albergo loroe che se glimandino sino a dieci sacchi di farina e dieci botti di vinoeinsomma tutto quello che gli fa bisogno tanto per il viaggio come pervivere a casa sua. Orsùmadonna Marcolfala grazia vi èconcessa di poter andare e tornare a vostro beneplacitoancorchécome ho già dettoio e la Regina sentiamo molto dolore diquesta vostra partita; pure noi non vogliamo se non quello che voletevoi.

LaMarcolfa ringrazia il Re e la Regina de' benefici ricevuti da essi.

Marcolfa.Non ho linguané pettoné cuore a bastanzaoserenissime Maestàda potervi rendere le debite grazie deitanti beneficigrazie e favori ch'indegnamente ho ricevuti daquelle; madove mancherò iosupplirà Quello che reggeil tuttoil quale mai non cesserò di pregarlo a rendervi ilguiderdone per mee che vi conceda grazia di conservare il vostroregno in pace e felicitàdandovi forze e valore contra inemici vostrie vi guardi da insidie e tradimentie insomma ch'eivi conceda ogni vostro desiderio e diavi ogni contento; e all'una eall'altra Corona qui genuflessa chiedo perdono se per sorte fussitrascorsa in qualche erroreo con parole o con fatti o con altrooin qualunque modo io avessi usato poco rispetto e riverenzadomandonuovamente perdono; e con buona grazia delle loro serenissime Maestàio anderò a preparare le mie poche masseriziee in questapartita me gli raccordo umilissima serva.

Alleparole della Marcolfa il Re e la Regina non poterono contenersi dallelagrime e dandogli buona licenza si ritirarono nelle camere lorodove stettero alquanti giorni con gran malenconia per la partita dilei. E così la detta Marcolfa si partì con il suoBertoldinocarica di scudi e altri donie furono condotti inlettiga fin al tugurio loro; dove a tal arrivo corsero tutti i vicinia rallegrarsi con essi loroe si fecero feste e bagordi rusticaliper alquanti giorni per quei montie abbrucciarono due o tre boschiper allegrezza. E ivi si goderono il resto della loro vita lieta etranquillae Bertoldino faceva poi colà su il dottoree fecedi belle burlema perché non vi era là su chi sapessescriverenon se ne fa menzione. Ben vi fu un montanaro che di lìa poco tempo venne al piano e disse chequando costui giunse all'etàdi trent'anniche egli divenne savio e accorto; ma in quanto a meduro fatica a crederlo. Pur ogni cosa può esserema so beneche vi sono tre cose che sono difficilissime da guarirsile qualisono queste: la pazziai debiti e il cancaro. E con questo vilascioaddio.