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Michele Amari
RACCONTOPOPOLARE
DELVESPRO SICILIANO
Dopola cacciata de' Borboni dalle regioni meridionali d'Italia
occorrela prima volta in questo anno una commemorazione secolare
dellaribellione ch'è stata chiamata il Vespro siciliano (Vespro
percaritàa modo nostronon Vesprialla francese)dall'ora nella
qualeil popolo di Palermoodiosamente provocatodié di piglio a'
sassie alle armi. Ognuno comprende pertanto come i siciliani
seguendouna usanza ormai molto estesa in Europavoglian celebrare la
vittoriadel 1282or che loro è lecito di farlo e che quello
avvenimentoper lungo tempo tenuto vendettastrage e nulla più
appariscenella Storia come legittima e profonda rivoluzioneispirata
daun sentimento nazionale comune allora in tutta Italia.
Nessunaltro significato ragionevole si potrebbe dare alla solennità
ches'apparecchia per questoe il più assurdo di tutti sarebbe
supporlanon amichevole manifestazione contro la Franciala quale è
inpace con l'Italia e combatté vittoriosamente con noi e per noinel
1859;oltreché i comuni interessi politici ed economici consigliano
entrambele nazioni a rispettarsi e giovarsi a vicenda ed a comporre
d'amoree d'accordo i litigi minoriche a quando a quando sorgono
inevitabilmentetra popoli vicini. Chi conoscepoii siciliani può
farsimallevadore che sapranno celebrare con dignità quel gran fatto
istoricoguardandosi dall'offendere i sentimenti di ogni popolo
civilee deplorando anco il troppo sangue sparso in una età che
inferocivanelle vendette sì come nelle offese.
S'iodi ciò non fossi convinto mi sarei astenuto dal parteciparealla
commemorazionepubblicando questo mio racconto popolare. Me ne sarei
astenutoper dovere di buon italianoe particolarmente per l'onore
dellaSiciliaed anche per gratitudine personale. Nel 1842
perseguitatoa cagion della mia storia del Vespromi rifuggii in
Franciadove uomini come Augustin ThièrryThiersGuizotVillemain
eparecchi altri statisti e dottim'accolsero cordialmentenon
ostantel'argomento del mio libro; ond'ebbi agevolezze a continuare i
mieistudi in Parigi e quivi mi furon poi dati non comuni onori
accademici.Tutti compresero ch'io avea voluto proporre al mio paese
ungrande esempio di virtù popolare e che se avea mirato acolpire gli
oppressorimoderni tirando sopra le teste degli antichiavea sempre
serbatascrupolosamente e messa in luce la verità istorica.
Orche la mala signoria de' Borboni è morta e sepoltae che igiovani
a'qualiio giovaneparlava fecero il dover loro nel 1848 e nel
1860celebriamo lieti e sereni in quest'anno la riscossa del Vespro.
Ilracconto popolare col quale mi accingo a descriverla come a me par
chefosse avvenutasarà sgombro delle citazioni che eranonecessarie
nelmio primo lavoro e nelle successive edizioniaccresciute mercéle
nuovefonti che via via si sono scoperte. E mi studierò a porrenello
stilequella chiarezza che mancò tal volta nel mio primo lavoro
dettatoad un animo giovanile dalle passioni che bollivano alla
vigiliadel Quarantotto.
Richieggoi miei lettori che nell'orgoglio legittimo con cui
ricorderannol'avvenimento del 1282si soffermino a riflettere quanto
sianostate diverse le sorti di quella generazione e della nostra.
Allorala rivoluzione siciliananon essendo attecchita nella
penisolache pur v'era dispostafruttò alla Sicilia libere
istituzionima non evitò una nuova dominazione stranierané una
lungadecadenza morale e materiale. Al contrario la riscossa de'
nostritempicoordinata al movimento di tutta la nazioneci ha dato
l'Italialibera ed unaRoma sede del Regnouna dinastia nazionale
laciviltà in progressoi commerci ravvivatile industrierinascenti
eil papato ristretto ne' confini dell'autorità spiritualeiquali
essoavea rotti da più di mille annisuscitando guerre civili
invasionistranierescandali sopra scandali e discredito alla stessa
religione.
Romaprimo gennaio 1882
Ilgiogo che la Sicilia spezzò nel 1282 era stato fabbricato acorte
diRoma; così io la chiamerò piuttosto che "Chiesa"la quale
significapropriamente l'universalità dei fedeli; e non diròsempre il
papapoiché l'uomo che tien quel seggio ubbidisce più spessoche non
comandi.La corte di Romadunques'era arrogatonella confusione
giuridicadel medio evol'alto dominio delle regioni meridionali
dellaPenisolacompresavi la Siciliache dié nome al regno.
Pervenutoquesto per eredità all'imperator Federigo Secondocapo di
parteghibellinai papi che fondavano lor potere su parte guelfasi
trovaronoa fronte quel grande ingegnosuperiore al proprio secolo.
Glimossero guerra spietata. Innocenzo Quartouomo da non ceder nella
lottavenne a tale checonvocato un concilio in Lione (1245)
pronunziovvila deposizione di Federigo dall'impero e dal regno di
Sicilia.Pur non era facil cosa eseguir la sentenza.
MortoFederigo a capo di cinque anniInnocenzo riassalì il reamecon
quellearmi materiali ch'ei poté muovere e con la dolce parola di
"libertà"con la quale suscitò i popoli a fare repubblica sotto la
protezionedella Chiesacom'egli dicea; ma non portò altro che una
spaventevoleanarchiainterrotta nel breve regno di Corrado Primo
ricominciatapeggio dopo la costui morte e quella d'Innocenzofinché
Manfredinon prese la corona in Palermo. Tra que' turbamenti era
avvenutoche Napoli si reggesse a comunecome Innocenzo voleva o non
voleva:e la medesima forma di governo apparve in Sicilia per due anni
all'incirca(1255-56) sotto Alessandro Quarto.
Laquale vicenda dobbiam noi notare particolarmenteperché servì
d'esempiodopo un quarto di secolone' primi moti del Vespro.
Alessandromandò da Napoli frati ed epistole a proclamare la
repubblicain Sicilia; dove i popoli gli dettero ascoltoquantunque
avvezzicome lo provano gli scritti del secolo tredicesimoa
distinguerel'autorità spirituale dalla temporalea riverir quella e
diffidardella corte di Romarisguardandola come principato ostile
ingannevoleambizioso e corrotto. Così fatta opinione pubblica de'
sicilianiera sì notache i francesi poi li chiamarono per ingiuria
"Paterini"nome di una delle sette religioseche fin dai tempi
d'Arnaldoda Brescia e molto prima aspirarono alla riforma del clero
inItalia. Le città maggiori della Sicilia si lasciarono sedurre
questavolta dalla corte di Romaperché aveano mal sofferto il
governoduro e fiscale di Federigoperché le allettò l'esempiodelle
cittàdi Lombardia e di Toscanaperchéda un'altra manosapean
bambinodi due anni (1254) il successor di Corrado Primoe vedeano
tantiambiziosi disputarsi la reggenza. "Viva dunque il comune e fuori
ilviceré" gridossi in Palermo; poi in PattiVizziniAidonePiazza
MistrettaPrizziCefalùCaltagironeNicosiaCastrogiovanni: e se
ilmovimentoin questafu represso dalle armi del viceréAidone le
respinge;Messinadov'ei si ritraelo scaccia; fa capitan del popolo
LeonardoAldighieri; poivolendo un podestà d'altra terracom'era
usoin Italiachiama il romano Jacopo da Ponte. Libertà intantonon
significavarispetto dell'altrui libertà: le città grosse voleanolor
seguitodi satelliti. I messinesi prendono e demoliscono Taormina
perchéricusa il dominio loro. Palermo s'insignorisce di Cefalù e
mandaoratori al papaproponendo non sappiam quale assetto di
confederazione.Allor vennevicario pontificio nell'isolaRuffino da
Piacenzadei frati Minori; entrando nelle città trovava le strade
sparsedi rami d'ulivo e di palmeera salutato per ogni luogo dal
popolotripudiante: ritornavano gli esulialcun de' quali ebbe feudi
dalpapa. Coteste allegrezze duraron poco. Prevalendo ormai Manfredi
interrafermale armi sue passarono dalla Calabria in Siciliadove
moltinobili si sollevarono per lui. Resisteano invano PiazzaAidone
Castrogiovanni:Palermo e Messina si sottomessero. L'edifizio
innalzatosull'arena cascò d'un subito; sì che lo scrittore
contemporaneoBartolomeo da Neocastro lo chiamava una bolla di sapone
("republicavanitatis").
Delresto la corte di Roma non vi avea giammai fatto assegnamento.
Innocenzofin dai primi istanti che appellava i regnicoli a libertà
cercòdi venderli a nuovi signori oltramontani; e Alessandro continuò
ildoppio giocomentre mettea su la repubblica siciliana. Lo provano
milledocumenti. La corte di Roma negoziò con Arrigo red'Inghilterra
profferendoil trono di Sicilia ad un suo fratello e poi ad un
figliuolo:e la pratica fu spezzata perché Arrigo non avea danari da
condurreun esercito in Italia. Tentato allora Carloconte di Angiò e
diProvenzafratello di san Luigi re di Franciaripugnava la
coscienzadel re all'ingiusta aggressione contro Manfredi: ma le corti
diRoma e di Francia seppero dileguare ogni scrupolo: la primatira
diquatira di làaccomodossi con lo intraprenditore dellaguerra
circala estensione del territoriola somma del tributo e gli
accessoridel vassallaggio. E così Clemente Quartodi nazione
francesepromulgava a dì 25 febbraio 1265 una bollaper la quale "il
reamedi Sicilia e la terra che si stende tra lo stretto di Messina e
iconfini degli stati della Chiesaeccettuata Benevento" furono
concedutein feudo a Carlo ed ai suoi discendentiper censo di
ottomilaonce d'oro all'anno (da 480.000 lire nostrali in valor del
metallo) e servigio militare al bisognocon molti altri patti intesi
adallargare la potestà ecclesiastica a scapito della potestàcivile
eda prevenire lo ingrandimento del re in Italiae con questa
condizionea favore dei regnicoli: che il re mantenesse le franchigie
goduteda loro ai tempi di Guglielmo il Buono.
Notisicome furono designati i territori costituenti il feudo. Mancava
aquelli un nome geografico comunee la espressa distinzione fatta
trail "reame" e le "altre terre"mostra ladiversità del titolo che
lacorte di Roma vantava su l'uno e su le altre. Nell'undicesimo
secoloRoberto Guiscardo con l'astuzia sua e con la sua spada tolse la
Pugliaed altri stati a principi cristiani; accettò poi dal papa una
investituraqual che si fosse. Il conte Ruggieroall'incontro
conquistòla Sicilia sopra i saraceni; e il suo figliuolo Ruggiero
impadronitosidella vicina terrafermaprese titolo di re di Sicilia
ducadi Pugliaprincipe di Capuae talvolta negli atti suoi
v'aggiunsedi Calabriadi Napolidi Salerno: con titoli così fatti i
papiriconobbero lui ed i suoi successori; ma nessun di questi pagò
maicenso per la Sicilia. Né era nuovo nell'ordine feudale il casoche
unre indipendente prestasse omaggio ad un altro per territori non
appartenentialla propria corona; né la corte di Roma aveva ancora
pretesonell'undicesimo secolo di far vassalli dei re. Nell'atto
dunquedel 1265 la cancelleria pontificia non poté nascondere le
vestigiedel diritto pubblico primitivo. La finzione legale
dell'investituradel ducato di Puglia non potea valere affatto pel
reamedi Siciliapel quale la usurpazione torna più flagrante chepei
ducatie i principati.
Apparecchiandosialla guerrail conte di Provenza tolse denari in
prestitodal re di Franciada' propri vassallida mercanti toscani e
romanida un principe castigliano che facea il condottiere in Tunisi
dalcuoco della sua propria moglieda chiunque gliene desse molto o
pococon pegnicon ipotechecon sicurtà su le decimeecclesiastiche
conceduteglidal papa. Il quale scomunicò di nuovo Manfredi e bandìla
crociatacontro il regnosotto il pretesto che dovea cominciare di lì
chivolesse liberare la Terra Santa. Sappiamo come si giuoca sugli
equivoci.Si volle far credere alle anime timorate di là dai monti
chevi fosse da combattere in carne e in ossa una vanguardia de'
musulmanioccupatori del Santo Sepolcro. Ed ecco i turbanti! Erano i
saracenidi Siciliafiera gentedeportata in Lucera un quarto di
secoloavanti dall'imperator Federigola quale militò per lui e per
Manfredivalorosa e fedeleche non avea da temere scomuniche.
L'equivocode' turbanti riuscì benino nel secolo tredicesimo; uno
scrittorestraniero l'ha ripetuto seriamente trent'anni fa; e non
sareimeravigliato che rifiorisse nelle mani di qualche futuro
compilatoredi storia. Leggiamo nelle croniche guelfe che la mattina
dellabattaglia di BeneventoCarlo d'Angiò abbia rinviati gli
ambasciatoridi Manfredi con queste parole: "Dite al Sultano di Lucera
cheoggi io lo manderò all'Inferno o egli mi manderà inParadiso". Se
nonè vera cosiffatta rispostaesprime il pensiero dominante;prova
quelfanatismo religioso che si mescola volentieri co' più vili
interessimondani. Noi non chiameremo ipocriti dal primo all'ultimo
queitrentamila tra francesifiamminghi e provenzali che vennero in
armicon Carlo d'Angiò; que' guelfi italiani che eseguiron le sue
bandiere;quelle centinaia di migliaia d'uomini e di donne chedi qua
edi là dalle Alpiaiutarono o applaudirono all'impresa. E purquesta
chealtro era se non ladroneccio in grandeaggravato da migliaia
d'omicidi?Qual confessore cristiano avrebbe potuto assolvere chi vi
messele mani?
Carloruppe e ammazzò Manfredi; s'insignorì del reame senzagrave
contrasto:se non cheentro un annoi ghibellini ripigliaron animo
dalleAlpi infino al Lilibeoe possiam dire infino a Tunisidonde
mosseroper pratiche de' ghibellinicirca ottocento tra spagnuoli
tedeschiafricanitoscani e siciliani; i quali sbarcati a Sciacca
(1267)sollevaron quasi tutta l'isolamentre Corradino venia dalla
Bavieracon un forte nodo di cavalli tedeschie perfin la città di
Romasi chiariva per lui. Trionfò nuovamente (1268) il valorefrancese
nellabattaglia detta di Tagliacozzo; fu doma dopo fierissime vicende
laSicilia; i supplizile confiscazionigl'imprigionamentila
cacciaai ribellila gara delle spie e dei traditoriingombrarono i
dominidi re Carlo d'ambo i lati dello stretto. Ei deturpò ancora la
vittoriacon atti di efferata crudeltàdi quelli che i popoli non
dimenticanogiammai. Farò cenno soltanto di tre. Sul campo di
battagliafuron presi de' cittadini romani; il re in persona comanda
ditagliar loro i piedi; ma si ravvedepensa che ritornando a casai
mutilatilo infamerannoluisenatore di Roma; li fa serrar tutti
insiemein un recinto di mura e bruciar vivi. Guglielmo l'Estendart
suocapitanoentra per tradimento in Agostadove si difendeano
valorosamentemille siciliani e dugento toscani: fa ammazzar tutti
allarinfusacombattenti e non combattentid'ogni etàd'ognisesso.
Corradinopoigiovanetto di sedici annifuggito dopo la sconfitta
traditopresoè trattato al supplizio in piazza di Mercato a Napoli.
Erala prima volta che l'Europa cristiana vedea cascare sul palco la
testadi un re: e avvenne per comando di un altro ree connivenza
perlo menod'un vicario di Cristo!
L'unitàricomparsa nella nostra storia con la lega Lombardasvanita a
capodi due secoli per la formazione degli stati di mezzana grandezza
risaltapiù che mai dopo la raccontata vittoria di Carlo d'Angiò
quandoi guelfi ripigliarono lo stato quasi per ogni luogoed egli
ambìscopertamente di prenderlo sopra tuttidove come signore
immediatodove come protettore. Riebbe il governo di Roma per opera
delpapa: fu eletto da lui vicario imperiale in Toscana; la rabbia
delleparti lo chiamò signore in varie città a salto a saltosu per la
penisolainfino al Piemonte; il quale pericolò forteconfinando con
laProvenzadonde i vicari di Carlo ordian trame contro Genova;
mandaronogente a guastar le terre subalpine che ricusassero di
sottomettersi.
Quae làper tutta Italiagià sventolavano le bandiereco' gigli
s'udivanocapitani ed armigeri parlar francesee si vedeano far da
padroni:donde la coscienza della nazionalità italianache avea
prestatasì gran forza a parte guelfa contro i tedeschisi volse
controi francesii quali la offendeano tanto e più allegramente. Il
sentimentonazionale di quel tempo nol fingiam noi nella nostra
immaginativacon le idee del secolo diciannovesimocon gli animi
commossidagli avvenimenti politici tristi e lieti della nostra vita:
loveggiamo scaturire dai fatti della storia; lo leggiamo nelle
cronachecontemporanee e sian pur quelle del frate Salimbene e di Saba
Malaspinasegretario del papa. Che più? Ce l'attestano i nomi delle
due"parzialità"come le dissero"latina" e"gallica"nate nel
collegiodei cardinali: ché i linguisti non aveano per anco inventata
larazza latinané i politici n'avean fatto strumento diambizione.
Ilvero sentimento latino opposto a' nuovi dominatori si manifestò
solennementein un'adunanza tenuta in Cremona il 1269nella quale
convennerodeputatiallora li chiamavano sindichidelle primarie
cittàdel Piemontedella Lombardia e dell'Emiliaper deliberare sul
partitoche tutte riconoscessero signore Carlo d'Angiò. Allora Torino
MilanoBologna ed altre città guelfe dichiararono gradir il re amico
nonsignore; onde non si venne a conchiusione. Né furon alcuniguelfi
soltantoque' che aprirono gli occhi; si mise in guardia la stessa
cortedi Romaquasi ascoltando le mistiche ammonizioni attribuite
erroneamenteall'abate Gioacchino: "Se la Chiesa si appoggia ai
francesiprende per bastone una canna che le bucherà la mano".Indi
GregorioDecimo fece opera a raffrenare la potenza di Carlo; Niccolò
Terzocercò d'abbatterla; i cardinali si divisero come abbiam detto.
Intantonegli stati ecclesiastici confinanti col regno le popolazioni
nonsi acquetavano al predominio francese; i cittadini d'Ascoli Piceno
aiutavanogli usciti a fare scorrerie in Abruzzoad occuparvi delle
castella.Né i romani poteano conciliarsi con chi per troppa superbia
sdegnavaa dissimulare. Si narra che Guglielmo l'Estendartvicario di
Carlonell'uffizio di senatoreabbia una volta parlato chiaro a tal
gentiluomoromano che gli rinfacciava quel suo continuo aizzare i
cittadinil'un contro l'altrodonde non potea nascere che la rovina
dellacittà e quindi grave dispiacere del re. "E che ne sai tuch' ei
sene dorrebbe? - gli replicò Guglielmo. Or benetel dico: einon
bramaaltro che di veder annichilito questo popolo malignoe Roma
divenutauna bicocca". Si era venuto assai prima ad aperta guerra
nell'Italiadi sopradove Genova ed Asti presero le armi; fecero lega
conPavia e con Guglielmo Settimomarchese di Monferratopoc'anzi
partigianodi Carloma ravvedutosi a tempo. Genovaancorché abbia
fattala pace con Carlonon gli divenne amica mai; gli astigiani non
deposeromai le arminé il marchese di Monferrato; il quale anzi
attirònella briga due principi spagnuoli che non avean visto di buona
vogliaCarlo d'Angiò farsi signore della Provenza.
Vogliodire Alfonso re di Castiglia e Pietro d'Aragonai qualiamici
l'undell'altro contro il solito de' vicinisi accostarono per motivi
diversia' ghibellini d'Italia: l'un perché sperava sempre la elezione
adimperator d'Occidente; l'altro perché pretendeva al trono di
Sicilia.Pietro avea sposata (1262) Costanza figliuola di Manfredi;
aveaambita la dignità di senatore di Roma prima che il papa ladesse
aCarlo d'Angiòe salito al trono de' suoi padri dopo la mortedi
Manfredie di Corradinofaceasi innanzi come successore di casa
Sveva.
Carlostesso gli spianò la via. Quasi non rimanessero a vincerealtri
ostacolialla sua dominazione in ItaliaCarlo volle signoreggiare il
bacinoorientale del Mediterraneo: carpì in Palestina i miseri avanzi
delreame di Gerusalemme; in Grecia il principato d'Acaia e di Morea;
tentòl'Albania; disegnò in ultimo di togliere l'impero bizantino a
MichelePaleologocol solito pretesto della religione e il solito
favored'un papa francese. Il quale a dir vero l'aveva creato egli
stessousando violenza in Viterbo al Conclave; poiché temeva non vi
preponderassela parzialità latina. Il Paleologo allora pensò a' casi
suoi.S'accontò con Pier d'Aragonaper mezzocom'e' paredei
genovesiche trafficavano nel suo stato; i quali videro i loro
commercidi Levante minacciati dal vecchio nemico provenzale e da
Veneziache s'era collegata con lui.
Indíun'altra lega della quale io tengo certissimo il fattodubbi
moltiparticolarialtri falsamente supposti ed anche finti
addirittura.Ne ragionerò più largamente a suo luogo: basti fin quial
lettoredi saper che Pietro d'Aragona armava e trattava per messaggi
colPaleologo; che questi gli fornia danari e più ne promettea;che
Sanciodi Castiglia e Pietro e gl'italiani delle provincie meridionali
rifuggitia corte di Aragona tramavano con quanti nemici vecchi e
nuoviavesse Carlo d'Angiò dalle Alpi fino al Tevere: il marchese di
MonferratoCorrado d'Antiochiail conte Guido NovelloGuido da
Montefeltroed altri capi ghibellini; che infine coteste pratiche son
dasupporre estese giù per la terraferma e in Sicilia. Era scopo
comunemuover grossa guerra all'Angioino dove e come si potesse; ma
sembrache il disegno non fosse maturoi luoghi non determinati e le
forzemaggiori non prontequando il popolo di Palermoindegnamente
provocatogridò "Muoiano i francesi!".
Persedici anni i siciliani al par che i regnicoli di terraferma erano
statisenza tregua spogliati e vilipesi. Non s'era parlato mai più
dellefranchigie de' tempi normannistipulate nella concessione di
ClementeQuartodelle quali ognun sapea la più importantequella che
furadice del diritto pubblico in Europa e specialmente in Inghilterra
ein Sicilia dal dodicesimo secolo in giù e ne sono germogliatele
odierneistituzioni rappresentative: che la collettaossia
contribuzionediretta e generalefosse consentita in parlamento dai
baroniprelatie sindichio come oggi si dicedeputati delle
città.Re Carlo non convocò mai parlamenti e levò sempre lacolletta
com'eivollee spesso non unama due volte all'anno; mantenne
accrebbeaggravò ancora con la molestia e durezza della riscossione
lecontribuzioni indirette de' tempi di Federico Secondo: gabelle
d'entratae d'uscita su varie merciprivative di traffichi e
d'industriedazi di produzione; sforzò i ricchi a prestar danari al
fisco;a prendere in appalto le entrate regie e in fitto i poderi
demaniali;a cambiar l'antica moneta d'argento con la moneta nuova di
bassalega ch'ei faceva coniare in Brindisi e in Messina; ad accettar
alvalore edittale i suoi "caroleni" d'orocon minaccia disentirseli
improntarearroventati su la fronte. Gli agricoltori delle campagne
vicineai demani regi ebbero in soccio per forza le greggiperfino i
pollie le api del re; chi non possedeva altro dovea prestargli il
lavorodelle braccia: e tuttociò sotto pena di confiscazionimulte
battitureprigionia. E messo tra parentesi il diritto di proprietà
usavail re di far bandita nelle altrui possessionibandita di caccia
ovverodi pascolo per gli armentich'ei mandava ne' campisenza
badarese incolti fossero o seminati.
Leangherie e i soprusi del demanio regio si rinnovavano poi in
ciascunode' feudi conceduti dal re agli avventurieri che lo seguirono
inItalia. Provvide a costoro con le possessioni confiscate a'
ribelli;ricercò e trovò ribelli per confiscare le terre; altri
spogliòcavillando su i titoli de' feudi e su la validità delle
concessionifatte dagli ultimi monarchi svevi; arrivò a tanto abuso
dellalegge feudaleda vietare i matrimoni delle eredi finché non
isposasseroun francese o non abbandonassero il feudo: della quale
iniquitàsi muove lamento in una rimostranza indirizzata alla corte di
Romadopo la rivoluzione. Per tali modi rinnovando in parte il
baronaggiore Carlo sostituì agli indigeni gli oltramontanii quali
trattavanoi vassalli ad esempio del re e all'usanza de' propri paesi.
Nési dica che gli abusi dei quali allor si fece tanto scalpore
torninosu per giù al sistema feudale. Sistema se si vogliama assai
piùduro e disumano che il diritto della feudalità sicilianala
qualeessendo stata istituita allo scorcio dell'undicesimo secolo
erascevra di molte ingiustizie delle età più barbare chel'avevano
prodottain Francia. Basti accennare a' "villani"infima classedella
popolazionerurale in Siciliai quali godeano diritti ignoti a' servi
dellagleba degli altri paesi. Anche i borghesi siciliani erano
avvezzia franchigie tali che i borghesi di Francia durarono tanta
faticae sparsero tanto sangue per conquistarle.
Tornadel restoassai difficile distinguere le innovazioni del
dirittovero o suppostodagli abusi di fatto. Li inaspriva e rendea
piùintollerabili nel regno l'antagonismo nazionaleil quale v'arse
piùforte che nel resto d'Italiaessendo più diretta e permanentela
soggezioneed assai maggiore il numero degli stranieri che
ingombravanoil paese: officiali d'ogni gradofamigliarifeudatari e
suffeudatarisoldati mercenari ed anche intere coloniepoiché il re
n'aveafatte venir di Provenza ed istituite con particolari privilegi
nellecittà di Lucera e d'Agostaspopolate da lui stesso. Invece di
sforzarsia cancellar la distinzione tra vincitori e vinticome la
giustiziae l'utile suo proprio gli avrebbero consigliatore Carlo la
ribadìnelle legginella quotidiana amministrazione della giustizia
nellaelezione agli uffizinella distribuzione dei favori; la portò
perfinonel Santuario. Quando egli edificò l'abbadia cisterciense di
Scurcolapresso il campo di battaglia dove avea vinto Corradino
prescrissenell'atto di fondazione che non vi si ammettessero frati
senon che sudditi del reame di Franciao delle contee di Provenza e
diForcalquier.
Ondeognun vede che viveano nello stesso suolo due genti in istato
permanentedi guerra. Gli onori e i comodi appartengono a chi ha in
boccail linguaggio straniero; agli indigeni fame e strapazzi; e
peggiose osino lagnarsi. Il re spreme danaro; sfoga la superbia
soprai sospetti di lesa maestà; li serra nelle spelonche di Castel
dell'Uovoa Napoli; incarcera le madrii fratellile sorelle de'
fuggitivi;proibisce i matrimoni alle figliuole de' feudatari o degli
esuliquando non gli è benvisto lo sposo: del resto egli abbandona i
sudditiinoffensivi alla cupidigiaalla libidinead ogni violenza
deglioltramontani: e questo è quello che non gli perdonano gli
scrittoriguelfi contemporanei. Al par che i cronisti di parte
sicilianaessi ci narran cose che sarebbero incredibilise non si
apponesseroad uomini che odiati riodiavanodisprezzavano e non avean
datemere gastighi: entrar a libito nelle casecacciandone i padroni;
prenderele masserizie; togliere senza prezzo le derrate; sforzare de'
borghesia recar pesi in ispallaa servire i signori a mensa;
obbligaregiovanetti nobili a girar lo spiedo in cucina! Peggio di
tuttoil piglio licenzioso verso le donne. Il contemporaneo siciliano
NiccolòSpeciale scrive che ogni cosa avrebbero sopportato i suoi
compatriottise gli stranieri non avessero incominciato a prender
lorole donne: e sembra dalle sue parole che il mal vezzo fosse
oltremodocresciuto negli ultimi tempi. "Lunga pezza- ei dice - i
nostripatirono le estorsionigli esiliile carcerile
deportazionile ingiurie alle proprie persone e mormorarono
sottovoce;ma quando il furore della gelosia cominciò a ferir il cuore
degliamantiborbottò il popolo senza timore: pensò dimandare al re
chilo ragguagliasse di tanta scelleraggine dei suoi. Ma sia occulto
consigliodi Diosia forza del Destinoil re fu sordo com'aspide e
nonsolamente non raffrenò quei malvagima voltossi contro coloroche
esponeanoi richiami; li scacciò con tanti vituperi per loro e tante
minacciedi nuovi mali alla Sicilia".
Leesazioni e le vessazioni del fisco passarono ogni misuraquando re
Carloprese ad armar contro Costantinopoli. Chiamato al servizio
militarechi lo dovea per obbligo feudale e chi nol doveva; arruolati
que'non poteano andare in guerrama avean di che riscattarsi;
sforzaticontro ogni diritto i baroni a fornire le navi. E n'era
mestieriper mettere insieme cento galeedugento usciericome eran
chiamatii barconi pe' cavallie navi grandi quante bastassero a
trasportaredieci mila uomini d'arme e assai più migliaia di fanti.
Pertutti i porti di SiciliaPugliaPrincipatoTerra di Lavoro
Calabriasi allestivano i legni e al dir di Saba Malaspina i valenti
armaiolidi Palermo e di Messinafabbricavano arnesi per cavalli e
numeroinfinito di archibalestresaetteproiettili d'ogni maniera.
Intantoi feudatari e suffeudatari siciliani ascritti alla milizia si
sentianopropriamente strozzaredovendo apparecchiarsi a lor proprie
speseed aspettare che lor fossero pagati tre mesi di stipendio il
giornodella partenza. Allora tra capitale e usura avrebbero consumato
tuttoil danaro: e che cosa lascerebbero alle famiglie in Sicilia?
Parlavanodi abbandonare i benifuggir dal paese. Dicono le croniche
chefurono mandati al papa il vescovo di Patti ed un frate
predicatoreper chiedergli che intercedesse a favor de' siciliani
venutia sì dure strette; che Martino Quarto li respinse; che uscendo
dalpalagio pontificioil vescovo e il frate furono imprigionati
dagliufficiali di Carlorifatto allora senator di Roma. Risaputi
que'richiamiCarlo inviperì; proruppe in minaccie contro i
siciliani;chiunque da Napoli ritornava in Palermo o in Messina
raccontavache il re volesse cominciar la guerra d'Oriente proprio
dallaSiciliacacciarne tutti gli abitatoridar l'isola a
popolazionipiù mansuete. Altri sussurrava che i debitori del fisco
s'avesseroa marchiare in fronte e che i bolli eran belli e fatti. Di
certoil lievito fermentava più forte in Sicilia che in terraferma
siaper la coscienza più profonda della usurpazione di chi avea
concedutoe di chi aveva accettato il regnosia per la natura degli
uominimeno tollerantisia che gli ufficiali trascorressero peggio in
provincielontane. Palermoantica capitalesi rammaricava fors'anco
delperduto splendore della corte; le parea vergogna di ubbidire ad un
giustizieredi provincia: e Giovanni di San Remigioche ultimo tenne
quellouffizionon par sia stato dei meno molesti. Per rispondere
allacrescente mala contentezza del popoloegli avea toccata
duramenteuna corda molto sensibile nel paeseavea vietato ai
cittadinidi portar le spade e le lanciecome si usava per onoranza
"abantico".
Tracosì fatte disposizioni degli animisi celebrò inPalermo la
Pasquadi Risurrezione del 1282. Nella settimana santa era avvenuto
cheaffollandosi la gente nelle chiesei famigliari del fisco vi
cercasserodei debitori latitantiusciti fuori per devozionecon la
speranzache nessuno osasse molestarli in que' giornientro l'asilo
dellechiese. Nol curavano gli agenti fiscali; riconoscendo i
debitorili trascinavan fuorili ammanettavanoli menavano in
prigioneingiuriandoli: "PagatePaterinipagate!" Chi sa quante
voltecoloro che guardavano non
disserotra sé "un giorno s'ha a finire" dissero ancora incompagnia!
Il31 marzomartedì dopo la Pasquasi solea far gran festa fuorle
murameridionali della cittànella chiesa di Santo Spirito. Erastata
questafondatacon un monastero di Cisterciensidall'arcivescovo di
Palermoil 1173e fabbricata in quel bello stile d'architetturadel
qualeammiriam oggi gli avanzi. Vero o falso che sialeggiamo che
quandose ne gittarono le fondamenta si ecclissò il sole; che
scavandovisi trovò un grandissimo tesoro; che nel monastero ebbe
stanzaalcuna volta l'abate Gioacchino Calabresepersonaggio un po'
miticodel dodicesimo secolocelebre per dottrina scritturale e
profezie.Cent'anni or sono il marchese Caracciolouomo culto
imbevutodelle idee della rivoluzione franceseessendo viceré di
Siciliae volendo abolire la trista usanza delle sepolture in città
scelseinfelicemente per cimitero pubblico il prato di quella chiesa
troppovicino all'abitato: e sia ch'egli pensasse al Vespro o no
ch'eine comprendesse il gran momento storico o lo giudicasse
superficialmentedié pretesto ad un'accusa molto sottile: ch'ei
volevagittar lì le ossa de' palermitani per far onta a loro e
vendicarei suoi diletti francesi. Il cholera poi del 1837 riempì le
fossein men d'una settimana; onde si destinò al riposo de' morti
altroluogo che questosantificato da due stragi.
Ilquale era lieto d'erbe e di fiori il 31 marzo 1282: vi traea gran
popolodalla città; entravano in chiesafacean crocchi fuori
passeggiavanoe com'è usanza ne' dì festivianco vi si mangiavasi
beveasi ballava. Il giustiziere mandò i suoi famigliari a mantener
quivila pacecome diceasi in linguaggio d'uffizio. E la sola
presenzaloro bastava a turbarla. Perché non sollazzarsi anch'essi?
Accostansialle brigate; entrano senza preamboli nelle danze; prendon
permano una o un'altra donna; scherzano a modo lorocon parole e
sconcigesti. De' giovani palermitanie secondo un cronista ve n'era
ancodi Gaetastando lì a guardarebrontolavano; alcuno ammonìi
famigliaria lasciar chete le donne. "O come? Questi vili Paterini non
oserebberoparlare se non portasser armi. Frughiamoli!". E si mettono
afrugare addosso alla gente: era anco bella l'occasione di vedere se
lemogli portassero sotto i panni i coltelli de' loro mariti. Andava
allachiesa una giovane avvenente di aspetto signorileco' suoi
parenticon lo sposo. Droettofamigliare del giustizierele si fa
incontroper cercare armi; le caccia la mano in petto: secondo Niccolò
Specialel'insulto fu più sconcio. A tant'oltraggio la donna stette
percascare svenuta; la sostenne lo sposoe in un batter d'occhio un
giovinottostrappata la spada dal fianco a Droettogliel'immerge nel
ventre.Gli astanti urlarono: "Muoiano i francesi" e il gridocome
vocedi Diodice uno scritto d'alloratuonò per tutta lacampagna.
Consassicoltellibastoni si gittano addosso ai francesi. Di questi
improvvisimovimentiquasi scoppio di mina quando vi passa la
scintillaelettricason piene le memorie di Palermo dal decimo secolo
infinoa' nostri giorni. Seguì breve zuffae di dugento francesi non
nescampò un solo.
Corseroin città i sollevatigridando sempre "Muoiano ifrancesi;
muoianoi tartaglioni" e quanti ne vedeano li metteano a morte. La
tradizioneporta che nel dubbio s'alcun fosse stranierolo sforzavano
adir "ciciri"; e chi falliva nella pronuncia era spacciato.Una turba
assalisceil palagio del giustiziereirrompeammazza le guardie: nel
trambustoGiovanni da San Remigio si sottrasse ferito in voltomontò
acavallo col favor della notte; prese la via di Vicariaccompagnato
dadue soli famigliari. Per tutta la città continuavano leuccisioni
lanotte e la dimane: si cercavano a morte gli oltramontani nelle
casene' conventi de' frati Minori e de' Predicatorisotto gli
altari:le vittime sbalordite non si difendeano. Narrasi che alcun
porsela propria spada agli assalitori; un altroscoperto nel
nascondigliosi aprì la stradane uccise tre e cadde con loro. Tra i
vendicatoridella carnificina d'Agosta vi fu chi lavossi proprio le
maninel sangue: scannavan le donneperfino le incinte; spararono il
corpoa donne siciliane per trovar la prole de' francesi e spegnerla
priache venisse alla luce. Perirono duemila francesi in quel primo
impetoné ebbero sepoltura. Poi furono scavate delle fosse qua e là
perchéi morti non appestassero i viventi; alcune delle quali erano
additateancora nel sedicesimo secolo presso la chiesa di san Cosma e
Damiano;il sito d'un'altra fu segnatonon sappiam quandocon un
colonninosormontato di una croce di ferro: il qual rozzo monumento
dalcentro della odierna piazza Valguarnera fu poi tirato in un canto
erimasevi lungo tempo; ma in oggi è stato rimesso a posto conuna
nuovacroce di pietra.
Inmezzo a' raccontati orrori alcuni savii pensarono all'avvenire. La
stessanotte il popolo di Palermoconvocato a parlamentodisdice per
sempreil nome regio; statuisce di reggersi a comune sotto la
protezionedella Chiesacome s'era fatto il 1255; elegge a capitan
delpopolo Ruggiero Mastrangelonobil uomoe gli aggiugne dei
consiglieri.S'innalzò il vessillo dell'aquila palermitana. Raccolto
ungrosso d'armatisi uscì in traccia del viceré.
Ilqualegiunto in sulla mezza notte a Vicarimal potédissimulare
ciòch'era successo in Palermo. Chiamò alle armi i feudatari de'
contorni;talché trovossi tanto o quanto preparatoquando comparvero
ipalermitaniche s'eran messi a inseguirlo e lor s'erano
accompagnatidegli uomini di Caccamo. Gl'intimavano di deporre le armi
eglie i suoioffrendo salva la vita se diritto s'imbarcassero per
Acquamortadi Provenza. Spregiando quegli assalitori disordinatiuscì
ilcavalier francese co' suoi uomini d'armee li metteva in fuga
quandod'un subito si arrestanosi guardano in viso: "Muoiano i
francesi"e li ricacciavano entro il castello. Il viceré allora
ripigliòle pratiche della resaaffacciossi al muro; ma tra proposte
erisposte que' di Caccamo lo trafissero con le saette; scalarono
tuttiquanti il muro e uccisero i francesi ch'eran dentro.
Parmiverosimile che quel giorno o il seguente si fossero sollevate
altreterre; primadi certoCorleonecolonia lombardala quale
aveatesté sofferti aggravi grandissimiper cagione de' contigui
poderidel re. Corleone fu sì pronta alla rivoluzioneche il 3aprile
gliambasciatori suoi non solo erano venuti in Palermoma avevano
formatouna legadella quale ci rimane il testo originale in
pergamenae conferma i particolari che i cronisti più autorevoli ci
dannocirca gli ordinamenti e gli uomini surti in que' primi giorni
dellariscossa.
Leggiamviche Ruggiero MastrangeloArrigo Baverio (Barresi?) Niccolò
d'OrtilevoMiliti e Niccolò d'Ebdemoniatutti e quattro capitani del
popolodi Palermoinsieme col giudice Iacopo Simonide baiuolo della
cittàe coi consiglierich'erano il giudice Tommaso Grilloil
giudiceSimone de FarrasioPerrono di CaltagironeBartolotto de
Militeil notaio Luca de GuidayfoRiccardo Fimetta Milite e Giovanni
deLampostipularono a nome del comune di Palermo unionefedeltàe
fratellanzacol comune di Corleone; scambievole aiuto con arme
personee danari; reciprocità di cittadinanza e di franchigia dalle
gravezze:e Palermo promettea speciale aiuto a Corleone nel
distruggereil vicin castello di Calatamaurodel quale rimangono
ancorale rovine in sito fortissimo. Il popolo di Palermoadunato di
nuovoa parlamentoaveva assentita così fatta legaa propostadegli
oratoridi Corleoneper nome Guglielmo BassoGuillone de Miraldo e
GuglielmoCorto. La giurarono questi sul vangelo insieme co' capitani
delpopolo e coi consiglieri di Palermo nominati dianzie se ne stese
all'usod'allora atto pubblico per man di notaio.
Nelmedesimo tempo i corleonesi avean fatto capitan del popolo un
Bonifaziopatriotta ardentecom'ei sembra alle parole che gli
attribuisceun cronista ed a' fatti che narra di lui: che messosi alla
testadi tremila uomini occupò con molta uccisione le castella
all'intorno;dié il guasto ai poderi demaniali; s'impossessò delle
tormedi cavalli nutriti per la guerra contro i greci; li adoperò
controi francesi e venne ansioso in Palermo a incalzar l'opera che
ferveatanto ed a lui parea tiepida.
Perchémolte popolazioni del Val di Mazara avean dato sì addosso ai
francesicome riseppero il tumulto di Palermoma temean di fare il
secondopasso e disdir l'obbedienza a re Carloe Calatafimi ancorché
vicinamanteneasi fedele al feudatario Guglielmo Porceletch'era
statosempre giusto e benigno coi vassalli. Per ventura non durò a
lungola esitazione: le terre liberatesi dagli oppressori nominarono
aduna ad una i lor capitani di popolo; armarono gentee mandarono
sindichiin Palermo.
Versola metà d'aprileché il giorno per l'appunto non celdice
nessunos'adunarono nell'antica metropoli pressoché tutti i
rappresentantidella Sicilia occidentalee vi si trovò una grande
accoltadelle turbe d'armatile qualidopo aver gridato una qua una
làper due settimane "Morte ai francesi"intonavano or tutteinsieme
lanecessaria variante: "Morte pria che servire a' francesi"e
sepperomantener la seconda parola come la prima. Il parlamento
decretòsenza arringhecredo iola costituzione in repubblica sotto
ilnome della Chiesa; gli rispondea dalla piazza la maschia voce del
popolo:"Evvivalibertà e buono stato!". RuggieroMastrangelo e
Bonifazioda Corleone allora mostrarono al parlamento ch'era uopo
accompagnarnuovi fatti a quelle nuove parole; unir tutta quanta la
Siciliaper amore o per forza; mandare immediatamente eserciti che
corresserol'isola a questo effetto; apparecchiarsi a respingere Carlo
d'Angiòil quale non avrebbe tardato guari ad assalire il paese.
Deliberatounanimemente di far osteil popolo echeggiò: "Andiamo
andiamo!".Si divisero in tre schiereuna delle quali mosse sopra
Cefalùl'altra per Castrogiovannila terza per Calatafimi. Levavano
unainsegna con le chiavi di san Pietro dipinte su i marginie
l'aquiladi Palermocredo ionel campo. Arrivati i palermitani a
CalatafimiPorcelet aprì loro le porte sotto fede di ritornarsene
dirittoin Provenza. Fu onorato e scampò egli e i suoi. Le altre due
schierepercorsa la regione occidentale e la meridionale dell'isola
aiutaronviil movimentoche fu accompagnato per lo più da stragi: i
francesia' quali la sorte concesse di scamparesi rifuggivano in
Messinaspogliati bensì d'ogni cosa. Sperlinga e poche altre castella
tennerofermopoi si arresero alla spicciolata.
Dell'ordinamentopolitico in questo periodo sappiam da Saba Malaspina
chefuron fatti dei capitani: Simon di Calatafimi nei "Monti de'
lombardi";Giovanni de Foresta in Lentini; Santoro di Lentini in Val
Demonee nella pianura di Milazzo; un messer Alamanno in Val di Noto e
moltialtri nobili in altre regioni e terredice il cronista.
Sembranodunque dei capi militarieletti dalle leghe che si formavano
quae là a seconda di circostanze locali tra i borghesi dellecittà e
terrepiù grossele quali chiamarono talvolta al comando uominidelle
famiglienobili per la reputazione loro nelle armi. "Monti de'
lombardi"mi par che in quel tempo significhi una parte degli odierni
circondaridi Piazza Armerina e di Nicosiacon qualche appendice
nellavalle dell'Alcantara e qualche altra sopra ambedue le pendici
dell'Appenninosiculopoiché nei ricordi del secolo precedente erano
appellatilombardi gli uomini di RandazzoCapizziNicosiaManiaci
evanno aggiunti di certo que' di Aidone e di San Fratelloa cagion
delparlare affine al dialetto del Monferratodalla quale provincia
d'Italiamosse già una corrente di emigrazione verso la Sicilia allo
scorciodell'undecimo secolo. Io n'ho discorso più particolarmente
nella"Storia dei Musulmani di Sicilia". Non è uopoavvertire che
Corleonedella quale abbiam detto di soprarimanea fuori de' Monti
de'lombardisendo lontano il sitoe la gente venuta da altre
provinciedell'Alta Italia nella prima metà del secolo decimoterzo. I
documentipoi non suppliscono al silenzio de' cronisti circa questo
primoimperfetto ordinamento o necessario disordine della rivoluzione.
Machi badava a notare i particolari d'un governo provvisorioquando
unsol pensiero preoccupava tutti gli animi: che farà Messina?
Surtaa vista della Terrafermasu quel mirabile porto che dava
ricettoai navigli quasi pronti all'impresa di CostantinopoliMessina
colsuo popolo numerosodedito al marericcovivacerisolutoera
arbitradelle sortinel duello mortale imminente tra la Sicilia e
Carlod'Angiò. Parteggiavano per costui famiglie messinesi potenti
comequella De Riso; sperava Carlo nella rivalità che corse tra
Palermoantica capitale e Messinaor sede del suo vicario nell'isola.
Epar ch'egli abbia cercato di attirarsi altri autorevoli cittadini
nontanto amicipoiché leggiamo che nel dì stesso nelquale si compì
larivoluzione di Messina v'era tornato dalla corte di Napoliinsieme
conMatteo e Baldovino De RisoBartolomeo Mussonemagistrato
principaledella città.
All'incontrola comune avversione allo stranierola comune
afflizionei commerci frequentiravvicinavano gli animi nelle due
cittàmaggiori della Sicilia; molti messinesi che godeano privilegio
dicittadinanza in Palermo vi aveano di certo amici e negozi. E le
pratichetra le due città non tardarono. Ci rimane il testo d'una
letteralatina data il 13 aprile e tutta cucita di frasi biblichela
qualepar sia stata veramente spacciata dai palermitani ai messinesi:
equesti se non la capivan tuttieran tutti convinti da molto tempo
chedicesse il vero e consigliasse il solo partito giusto e savio che
rimanevaa tutti i siciliani. La capì meglio d'ogni altro il popolo
minuto:i popolani grassi che sapean forse il latinovoleano e non
voleanoe non osavano contrastare ad Erberto d'Orleansvicario del
re.
Erbertofece salpare immantinente contro Palermo il prode marinaio
messineseRiccardo De Riso con sette galee della città e quattro
d'Amalfi:l'armatettaarrivata ch'essa fubloccava il porto
osteggiavala città quanto potea; le ciurme gridavano le lodi di re
Carlocon tante minaccie contro i ribelli. E questizittia
innalberarsu le mura la croce messinese allato all'aquila
palermitana.Gli amici poi mandavano a dire agli amici che non si
risponderebbealle ingiurie né ai colpi. "Ma perché venianoaddosso ai
fratellii qualiispirati da Dioaveano impreso a liberar se stessi
edanche loro dalla servitù?". Non mi sembra inverosimileche la
letteralatina fosse stata compilata allora e introdotta di
contrabbandonelle galee messinesipoiché la data del 13 aprile torna
benecol fatto.
Mail dì 15 il municipio di Messinaper compiacerecom'egli è
evidenteal vicerémandava 500 balestrieri in Taormina a difenderla
da'sollevati che s'avanzavanoe la fama ne dicea cose terribili.
Erbertoragunò inoltre in Messina da seicento cavalli tra oltramontani
ecalabresi; ma presto s'avvide che il popolo fremea contro costoro:
ond'eili ritrasse parte in palagioparte nella fortezza di
Matagrifone:e sospettando sempre piùil 27 aprile ne mandò novantaa
Taorminacon ordine di occupare le fortezze. I balestrieri messinesi
comeli veggono cavalcare su per l'erta in assetto di guerrapieni di
baldanzali salutano con un nembo di saette; ne uccidono la metà; si
mettonoa inseguire gli altri e li costringono a rifuggirsi nel
castellodi Scaletta. Entrano i vincitori in Messina con grande
schiamazzovanno spezzando gli stemmi di Carlo d'Angiò; ma nessuno li
segueanzi v'ha chi vuol resistereper amor di parte o timor del
viceré;i più si rammaricano della discordia civile e della imminente
effusionedi sangue.
Ildì appressomartedì 28 aprileun BartolomeoManiscalcoindettato
conaltri popolaniridestava il tumulto con tanto furore che
acquattandosii regii e approvando forse gli irresolutifu disdetta
inpiazza l'ubbidienza al re Carlo e la notte poi fu ucciso qualche
francesede' pochi rimasi in città; ma il Maniscalco che avea guidata
finqui la turbapersuaso dai cittadini più autorevolirendeacosì
diceil Neocastroil governo della città a Baldovino Mussone. Ildì
29convocati in buona formail popolo e gli anziani decretavano di
reggersia comune sotto il nome della Santa Romana Chiesa; eleggevano
ilMussone capitan della città; inauguravano solennemente ilvessillo
municipale;nominavan anco i consiglieri e tutti gli altri officiali
delgoverno. Il dì 30 furono richiamate le galee da Palermo einviati
invecemessaggi di amistà e proposte di confederazione. Nétardava il
novellogoverno a mandare altro legno apposta in Costantinopoli ad
avvisareil Paleologo che Messina s'era ribellata al suo fiero nemico.
Lepratiche poi della famiglia De Riso non approdarono ad altro che ad
unoaccordoper lo quale il viceré e i suoi s'imbarcaronolasciando
armie cavalli e giurando di far vela direttamente per la Provenza; ma
arrivatoin mezzo dello stretto Erberto ruppe la fede; lasciò delle
navia molestar come potessero i messinesi; e sbarcato egli in
Calabriasi dié ad ordinare le altre sue forze ch'erano scampate da
Messinamercé patti consimili. Il quale atto sleale fu espiato con la
mortenon da chi il commisema da' suoi compatriotti che non avendo
potutopartire per cagion del tempo erano rimasi prigioni: contro i
qualie contro i loro partigiani si levò in Messina uno spaventevole
tumultoper convincere anche i più meticolosicome dice il
Neocastroche non era più tempo di tornare indietro.
Nonoccorre dir come papa Martino sdegnoso respingesse l'ambasceria
de'palermitani che cercavano di giustificare la ribellione e
chiedeanola protezione della Chiesa. Il 7 maggio il papa ammoniva i
fedelidell'orbe cattolico che niuno si attentasse a favorir la
sedizionepalermitana; cassava le confederazioni delle città di
Sicilia;dava termine a' ribelli a tornar sotto l'ubbidienza;
minacciavaa' contumaci mille gastighi nell'averenella persona e
nell'anima.E que' non se ne mossero. Corsero alloraed or sono
stampatedelle risposte fattecome diceasida' siciliani al papa;
trale quali una che mi sembra assai notevole sia per gli argomenti
siaper lo stilee però io la pubblicai per lo primosecondo un
codicepariginoancorché scorretta e forse mutila in qualche luogo.
Iltesto potrà essere restituito s'egli avverrà ditrovarne copia in
altriepistolarii manoscritti del tredicesimo secoloché non son
rari.Intanto qual esso èse non ci tramanda proprio le parole conle
qualirisposero i reggitori della Sicilia alla corte di Romava
tenutoschietto documento delle idee e de' ragionamenti de' siciliani
inquel tempopoiché in mezzo ai viluppi della rettoricamedievale
ricordala enormità delle offese e della vendetta; spira l'antagonismo
nazionaleanzi l'odioe mette in luce le opinioni che correvano in
Siciliacontro la corte di Roma. Ma perché a trascriverlo qui voltato
initaliano ci prenderebbe una ventina di paginenon ne daròaltro
chepochi squarci più singolari e il principio il quale èdel tenor
seguente:
"Voivoi appello al giudizioo Padri de' Padri; a voi mi rivolgoo
Principide' Sacerdotivoi chesedendo ne' sacri tribunalidecorate
ifianchi del Sommo principee siccome membri del suo proprio corpo
sietechiamati a partecipare tanto nelle sue curequanto nella
pienezzadella sua potestà. A voi mi rivolgo perché tenete inmano le
bilancedel retto giudizioperché siete vincolati al servigio della
cosapubblicasiccome cittadini di una città (la quale cosìvolesse
Iddioche fosse molto tranquilla!); perché non ubbidite alle vostre
propriepassioniné deliberate secondo l'instabile arbitrio della
volontàma come vi detti un diligente e razionale giudizio. A voi
parloperchéallontanata ogni contemplazion di personavi gittate
sugliomeri la clamide regia; sottentrate alla regia potestà;
rattenetela libertà che non corra per le vie del libito e non
precipitiper malvagi appetiti; a voi che ponderando con equità
rallentateugualmente le redini a' litigati; censurate nello stesso
modoi grandi e i piccoli; ragguagliate gli uni agli altri con giusto
equilibrio.
"Taleil debito dell'uffizio vostro. Or piacesse a Dio che non fosse
zoppoil giudizio vostro verso gli abbandonati regnicoliche non
divergesseahimèdal diritto sentiero!
"Versoi regnicolidicoi quali poc'anzinon aiutati da umano
ingegnonon da braccio mortalema mossi da ispirazione del Cielo e
sostenutidalla man di Diosi sono sottratti appena dalla tirannide
diFaraone e dalla sfrenata ferocità gallicabramosi direspirare un
pochinoe di figurarsi che vivono tranquillied ecco che
inopportunamentee non meno crudelmenteloro si comanda (oh
vergogna!)senza esaminare le giuste cagioni per le quali e' si
riscosserodall'orribile servaggiosenza lor dare né pur promettere
alcunaemenda delle sofferte iniquitàloro si comanda di ritornare
sottola tetra servitù di Egittod'incurvare nuovamente sotto
l'immanepondo di una barbara ferocia i loro colli gonfi ancora ed
esulceratidal primo giogo.
"Eche? S'ingegni pure la romanesca rettorica a inorpellare i vizi di
quellapazza rabbia gallicainfesta a' mortali e odiosa agli
immortalidi quella genia cui può soffrire appena la stessa natura
chela produsse e la stessa sua plaga occidentale orribilmente solcata
da'fulminidi quella genia ch'è flagello e particolare danno del
secolnostro e chepermettendolo Iddio nel suo giudiziosi spinse
finoalle spiagge della Sicilia! Chi mai potrà metterla a frontedella
duplicenobilità del sangue italianodella innata prudenza
dell'anticagravitàde' santi costumi di nostra gentesola al mondo
cheabbia saputo esser madre e padrona delle provincie?". E conmolta
intemperanzadi rettorical'autore fa il confronto delle due genti
esagerala lode dell'unail biasimo dell'altra; dipinge da una parte
ilvolto composto e serenol'indole temperata e le virtùnon
dimenticandoScipionené Virgilioné Lucrezia. Scuro e bizzarro
contrappostofanno dall'altra parte i visi da scimmiale movenze a
scattola ragione saltellantela ghiottonerial'ubbriachezza
permanenteda mattina a sera. E tra non poca borra di frasi l'ignoto
autoreva esclamando: "Chi sosterrebbe le mani di costoro pronte alle
offesee al sanguei truci voltii minacciosi aspettil'arrogante
parlarel'alito puzzolente? O mortesperanza dei tribolatiriposo
ancoraai feliciti sospiravano le anime nostreimpazienti d'esser
tratteal Cielo o all'Infernoper tutto il tempo in cui questi
condannatinostri corpi nulla servirono al ben della patria! Non è
ribellioneo Padri Coscrittiquella che voi mirate; non ingrata fuga
dalgrembo di una madre; ma resistenza legittima secondo ragion e
canonicae civile; ma casto amorezelo della pudiciziasanta difesa
diLibertà. Rivanghiamo la voragine de' nostri mali; traggiamo ariva
l'algacorrotta nel profondo del mare! Ecco le donne sforzate al
cospettode' mariti; viziate le donzelle; accumulate le ingiuriesi
chepar non rimanga luogo ad altre nuove: ecco le verghe che ci fiedon
lespalle; le mani che s'alzano a percuotere una faccia ritraente
l'immaginedel Creatore; ecco gli omicidi; le prigionie; le rapine; il
disprezzo;l'occupazione de' beni delle chiese; la brutal forza che
comanda;il principe fatto solo arbitro de' matrimonii". Ricordando
poiche la corte di Roma non ignoravané poteva ignorare cotesti
malinotissimi alle genti più lontanel'autore continua: "Avvio
PadriCoscrittiun estremo furore della sventurauna forza di
necessitàuna reazione della libertà umana: e allora nessun eccesso
dicrudeltà è tanto immaneche non giovi con l'esempiopoiché vale a
reprimerei malvagi. Fu squarciato il corpo alle donne; furono uccisi
ibambini anzi che nati: la storia lo narrerà ai secoli piùlontani; e
cosìperiscano i vizi prima di venire alla lucesi dissipi il veleno
conla prole de' serpenti!". A coteste empie parole non manca la
sublimitàdella disperazione. "A voiripiglia lo scrittolasciando i
cardinalie addentando il papa- a voi si volge ora il sermone; su voi
voteròil calice. Non soffre l'Italiao Santo Padrenon soffre
dominazionistraniere! Fremono d'ogni intorno le guerre; i nemici
minacciano;tremano le nazionilacerate dalle guerre civili e dalle
estranee:sono questi o Padrei frutti delle opere vostre!". E qui
toccala connivenza alla sommossa di Viterboe tutti gli abusi di re
Carloin Roma; e ritrova mille torti a Martino; e gli ricorda che
seguendogli intenti partigiani s'indebolisce l'autorità del
pontificato;che i misfatti permessi perché piacciono portan poi i
misfattiche spiacciono; ch'egli non dovea promuovere i suoi cagnotti
etrascurare i veri interessi della Chiesa; che i disordini consuman
sestessi: "La scure è alzata; accenna di percuotere; fate
d'impugnarlavoi stesso pria che tronchi l'albero alla radice!". Con
questee molte altre parole è esortato papa Martino a mutar viase
glipreme la sua propria salvazione. Alle ideeal linguaggioalla
erudizionescolasticabiblica e latinaal furor della passione
questodocumento è genuino prodotto vulcanico del paese e del tempo:
fermataquella eruzione non si potea contraffare.
Mentrecosì pensavano e scriveano provvidero i siciliani alla cosa
pubblica;ma le parole sono pervenute infino a noidegli atti si è
dileguataquasi la memoriaché presto li ecclissò quell'eroica
resistenzadi Messina e l'opera efficace della monarchia ristorata da
Pierd'Aragona. Par che sia stato istituito un comando generale della
miliziapoiché Saba Malaspina ci dice che messer Alamannocapitano
delVal di Notolo fu "infine di tutta la Sicilia". Rimase la
sovranitànominale alla corte di Romanon ostante il suo rifiuto;
rimasela sovranità vera ai comunicome cel mostrano alcuni atti
relativiai beni demanialie la intitolazione di un atto pubblico di
Messina:"Al tempo del dominio della Sacrosanta Romana Chiesa e della
felicerepubblical'anno primo". Provvide allora ai bisogni comuni
dell'isolaun parlamentoil quale non si ritrae che sia stato
permanente;né v'ha altra traccia di quel che or diremmo potere
esecutivofederale; né sembra che in quell'adunanza fossero
intervenutide' prelatiné de' baroni come avvenne prima e appresso
ne'parlamenti della monarchiama soltanto de' sindichi di
municipalitàeletti dalle adunanze popolari che si chiamavano
parlamentoanch'esse. Del resto ci mancano gli atti genuini e perfino
letradizioni immediate delle adunanze del 1282. Bartolomeo da
Neocastronel testo che noi n'abbiamonon dice di parlamento
generaleconvocato pria dell'assedio di Messina; ma il diligente
Suritanegli "Annali d'Aragona" (libro quartocapitolo 18)afferma
averletto in una istoria in versi del medesimo autoreoggi forse
perdutae di certo ineditache per vero il parlamento generale fu
tenutoallora in Messinache in quello tutti giurarono di ubbidire
allaChiesa Romana e di non accettare alcun re stranieroe che
nominaronootto capitani e governatori preposti alla difesa
dell'Isola.Da un'altra mano Saba Malaspinail quale non era allora
inSicilia ma potea saperlo meglio che ogni altro uom de' suoi tempi
scrissequell'anno medesimo o poco appresso che un parlamento de'
Nunziie Ambasciatori di tutte le Università di Sicilia deliberava di
munireMessina con vettovaglie per due anni e con rinforzi di arcieri
ebalestrieri dei luoghi dentro terra; che somiglianti aiuti di gente
furonodecretati per le principali città marittime più esposteagli
assaltidel nemico: e il cronistamettendo il consiglio di così fatti
provvedimentiin bocca ad alcuni oratori del parlamento e
particolareggiandole città da muniredice: "CataniaAgosta
Siracusae da questa nostra parte MilazzoPattiCefalù" dallequali
parolesi vede chiaro chesecondo l'autoresedea quell'adunanza in
Palermo.Sul futuro assetto politico nulla si conchiuse ne' primi
parlamenti;ma ognuno se ne preoccupava e chi volea stringer con nuove
preghierela corte di Romachi aspettandosi sempre il rifiuto
pensavadi chiamare alcun principe che recasse forze ausiliari ed
unitàdi comandosia il re d'Aragonasia quel di Castigliacontinua
SabaMalaspinacollimando con le notizie che abbiamo noi da altre
fonticirca le pratiche di que' due principi spagnuoli coi ghibellini.
Noipensiamo che sian da ammettere le testimonianzediverse e pur non
contrariedi due scrittori sì autorevoli entrambie ritenghiamo che
veramenteinnanzi il mese di luglio siasi fatta in Messina un'adunanza
didelegati de' comuni dipendenti o vicinied un'altra assai più
largain Palermoe che il partito della sovranità sia rimastosospeso
finchél'estremo pericolo non trasse anche i partigiani della
repubblicaa chiamar Pietro d'Aragona.
Mentrecosì la Sicilia si preparavarisoluta alla difesama senza
unitàdi comandoné certezza di ciò che avesse a far inavvenire
Carloavea chiesto aiuti d'uomini e di denaro a Filippo l'Ardito; il
papasi sbracciava a soccorrerlo; mandava in Sicilia con uffizio di
legatoil cardinal Gherardo da Parmaarmato di blandimenti e di
censure;le città guelfe di Lombardia e di Toscanavedendo risorgere
laparte avversaaffrettavansi a fornire fanti e cavalli ausiliari;
avventurieriveneziani armaron galee; ne detteper non poter fare
altrimentio per condotta di privatiPisa ghibellinaGenova ostile;
quelledi Provenza e dell'Italia meridionale veniano ai comandi del
re;e mille saraceni di Lucera con le macchine da guerra ch'essi soli
parsapessero maneggiareerano tratti a combatter contro la patria
de'padri lorosotto le insegne benedette dal papa. Si adunavano su
lerive settentrionali dello strettoventiduemila cavalli
sessantamilafantiun centinaio di legni da guerra: oste ed armata di
tantaforza che sembrerebbe non di quelloma del nostro secoloe
parveincredibile al Muratori; ma le fonti appurate dalla critica
modernanon permettono ormai di metterla in forse.
Duròl'immenso armamento a raccogliersi in faccia a Messinatutto il
giugnoe gran pezza del luglionel qual tempo fu combattuta una
scaramuccianavale con avvantaggio de' messinesied una grossa
fazionedi vanguardia con loro sconfittama servì d'insegnamento.
Perocchévisto navigare alla volta della Sicilia il dì 24 giugno una
sessantinadi navi che portavano cinquecento cavalli e un migliaio di
fantie veniano ad occupare il castello di Milazzo e ad intercettare
levettovaglie che di lì si recassero per terra in MessinaBaldovin
Mussoneuscì disordinatamente con grandi frotte di cittadini a piéed
acavallo: e mentre sparpagliati facean essi la lunga via che corre
lungoil marei nemici sbarcarono raccolti; li sbaragliarono; ucciser
loromille uomini e fecero molti prigioni. Ritornato a mala pena in
cittàil Mussone grida tradimento; il popolo fa in pezzi Baldovino e
MatteoDe Riso; consegna al carnefice un Giacomo dello stesso casato:
sfogatala prima rabbiadepone dall'uffizio il Mussone; grida capitan
delpopolo il valoroso vecchio Alaimo di Lentininobil uomo e ricco
ilquale era stato sotto Carlo d'Angiò giustiziere in Principatoe poi
segretoo come oggi diremmointendente di finanza in Sicilia. Il
qualeda savio capitano ordinò meglio la difesa; esercitò ilpopolo
allamilizia. Ancorché breve fosse il tempo e non compiuti ilavori
Messinasi trovò pronta a ributtare il nemico dalla cerchia de' suoi
casamenti:chiusa la bocca del porto con catene di ferro e travi
galleggiantie con forti ridotti sul braccio di San Ranieri; risarcite
lemura che correano soltanto dal palagio reale sul porto infino al
colledella Capperrina; afforzato con barrate di legname il rimanente
ambitodella città che non avea mura; rispianata la campagna a
settentrionela quale era già piantata a vigne e sparsa di case
rustiche.Furon poste guardie ai luoghi opportuni; pattuglie di donne
giravanoa vegliare su tutti i posti; le donne prestavan mano ai
lavoridelle fortificazioni: onde corse in Italia la canzone della
qualeGiovanni Villani reca questi pochi versi:
"Dehcom egli è gran pietate
Delledonne di Messina
Veggendolescapigliate
Portandopietre e calcina.
Iddiogli dia briga e travaglia
Achi Messina vuol guastareeccetera".
Adì 25 luglio sbarcava re Carlo alla badia di Roccamadoredistante 4
migliaa mezzogiorno della città; a dì 28 si appressava finoal
torrentedi Porta de' Legnisì che l'arido letto divise gli assediati
dagliassedianti; ma Carlo esitò a dare l'assalto. Sentia dunque
rimorsodel sangue sparso in 16 anni di tirannide; temea di affrontare
connuove stragi il biasimo dell'Italia e del mondo; o s'appongono al
veroi contemporanei quando dicon che lo vinse avariziae che volle
taglieggiarela città egli soloanziché lasciarla saccheggiare da'
suoi?Si raccontava tra' guelfi che al primo annunzio della strage di
PalermoCarlo si fosse volto al cielo pregando: "Sire Iddio dappoi t'è
piaciutodi farmi avversa la mia fortunapiacciati che il mio calare
siaa petitti passi". Trasparisce anco lo sgomento da una letterache
egliscrivea il 9 maggio a Filippo l'Arditola quale è serbatanegli
archividi Francia: e se di lui si narrano altresì degli atti
d'incompostarabbia a' quali proruppe in quel tempoconfermano che
l'animosuo fu percosso dalla catastrofe che gli troncava il maggior
disegnodella sua vita; gli rivelava la potenza dell'umana vendetta
eperché no? della divina. Egli è verosimile dunque chealternandosi
nell'animosuo l'abbattimento e il furoresiasi appigliato al partito
piùfacilech'è il differire. D'altronde non v'era il cardinal
Gherardoper indurre i cittadini; e come dubitare che circondati da
ottantamilauomini non s'arrendessero e non dessero esempio a tutta
l'isola?
Differìdunque. Fece assalire il 6 agosto da proponderanti forze il
monasterodel Salvatorechiave del porto; ma i cento uomini del
presidiocapitanati da Alaimo ributtarono i francesi. Due giorni
appressola schiera di francesi e fiorentini che stringeva il monte
dellaCapperrinaa libeccio della cittàs'accorge che un rovesciodi
pioggiae di gragnuola ha allontanate le guardie; rompe le barratesi
mettea salire il colle; ma Alaimo n'ha avvisoripiglia il postoe
cadutagià la nottefa risarcire i ripari a lumi di fiaccole.Intanto
ilnemico si avvicina ai ripari della Capperrina da altro lato; li
scavalca;si avanza e imbattesi in una squadra di donne. L'istoria ha
serbatii nomi delle due che furon prime a gridare allarme. Dinache
priadi gridare scagliò a' nemici de' sassi; Chiarenzache corse a
suonarea stormo; onde i cittadini trassero con Alaimo al posto
minacciato;buttaron giù dal riparo que' fanti e inseguironli fino al
padiglionedi Carloancorché fossero spalleggiati da cavalli. Intanto
siracconciavano meglio le fortificazioni sotto i colpi degli arcieri
nemici;si avvezzava il popolo alla disciplina degli stanziali. La
espugnazionea viva forza si rendea più difficile ogni dì piùche
l'altro;né crescea col tempo la speranza di ridurre Messina per fame
perocchéoltre gli approvvigionamentivenivano sempre sussidii di
vettovaglienon essendo per anco investita la città da ogni banda.
Mosseallora dal campo degli assedianti il cardinal Gherardo da Parma
ilquale fu accolto in Messina a grande onore come legato dal papa e
vicariodel sovrano nominale; ma dopo qualche giorno di pratiche
ritornossidond'era venutolasciando dietro le spalle intimazioni e
scomuniche;poiché i cittadini non avean voluto a niun patto aprir le
porteai francesie il legato avea dovuto persistere affinchéMessina
ritornassesenza patti sotto Carlo e sotto i francesi. Sparsa la nuova
nell'ostei soldatinon aspettato il comandoassalivano di qua e di
làed erano respinti: altre fazioni più ordinate fallirono lostesso.
Carlorichiamata la schiera che occupava Milazzola mette a campo
nelborgo di San Giovanni a mezzogiornoper intercettare gli aiuti di
vettovaglia:poi fa tentare con grossi assalti il 15 agosto la
Capperrinail 2 settembre le mura settentrionali: e sempre invano. Ma
giàPier d'Aragonasalutato re di Sicilia in Palermosi apprestava a
venirsopra gli assedianti e mandava a Carlo un'ambasceria
intimandoglidi sgombrare dalla sua terra. Quando gli ambasciatoriil
12settembrechiesto un salvo condotto si presentarono al campo
l'Angioinolor fe' dire che aspettasseroe il dì 14 comandòl'assalto
generale.
All'albala città si vide accerchiata di cavalieridi fantidi
possentimacchineda tutto l'esercito angioino: l'armatasotto un
ventogagliardo di tramontanacorrea contro la bocca del porto
precedendolaun gran galeone guernito di cuoio contro i fuochipieno
d'uominie di macchineil quale dovea spezzar la catena. E si
impiglianelle grosse reti tese sott'acqua per ismorzare l'urto; dal
ridottodi legname che difendeva il capo della catenascoppia una
tempestadi sassidardifuochi; dietro la catena quattordici galee
tramezzateda sei navi con macchinerispingono la fila dei legni
nemiciche tenta di aprirsi il passo. Alfine il galeone con le vele
squarciatei fianchi sdruciti e le ciurme gran parte feriteessendo
anchegirato il vento a ostrosi ritiròseguendolo il rimanente
dell'armata.Corse allora il grosso dei difensori dal porto alle mura
cheil nemico battea coi gatti; le scalzava; vi si approcciava con le
cicogne;v'appoggiava le scalementre i balestrieri facean prova a
tenerindietro i difensori. E questi a rispondere con freccie e sassi;
agittar su le scale massi e pece e fuoco greco: chi riusciva a salire
diqua e di là era spacciato da petto a petto: le donne giravanoin
mezzoai tiri a incoraggiare con la vocea somministrare proiettili
amescer acqua e vino ai combattenti: Alaimo sopravvedeacomandava
simostrava dovunque fosse maggior uopo. La disciplina né ilvalore
nonvalsero contro l'ostinata difesa: verso sera si ritrassero i
nemicilasciando sanguinosa corona di cadaveri; più i francesi chegli
italianicontro le cui bandiere i cittadini tiravano di radodice il
Neocastroe chi sa se quelle assalivano con la stessa rabbia che le
straniere?Uscirono i messinesi ad inseguire i nemici; ne uccisero fin
sottogli occhi del reil quale per poco non lasciò la vita sotto
Messinaper un tiro di mangano che sfracellò due cavalieri francesi
dinanzia lui. L'assalto generale non fu tentato mai più; ma occupate
piùfortemente le uscite della città; dato il guasto peggio chemai
allacampagna. In questo tempo entrarono in Messina pei sentieri della
montagnaNiccolò Palizzi e Andrea di Procida con cinquecento
balestrieridelle isole Baleari e con la nuova che Pietro s'era venuto
aporre con l'esercito in Randazzo e avea mandate alla volta di
Messinale galee sottili dei catalani e dei siciliani.
Ilche risaputo nel campo angioinosi parlò di levare l'assedio.
S'avvicinaval'ottobre; i legni non eran più sicuri di tenere lo
strettocontro le procelle autunnali e l'armata nemica; umori di
ribellionesi manifestavano con ciò in Calabria; le milizie feudali
compiutoil tempo del servigioritornavano alle case lorolasciando
nelloesercito i soli mercenarii quali non bastavano a circondare
Messinasì che fosse ridotta per fame. Tentando di chiuder la via per
laquale erano entrati il Palizzi e il Procidare Carlo fece occupare
ilpalagio dell'arcivescovo fuor le mura della città: ma la nottedel
24settembre un Leucio messinese con uomini risoluti assalìimprovviso
ilpalagio e trucidò quanti v'eran dentro. Il dì 26cominciò l'oste a
ripassarelo strettoabbandonando molta robaperdendo anche molta
gente.Pietro d'Aragona intanto costringeva alla resa il presidio
francesedi Milazzo; ond'egli è da supporreche lasciato il grosso
dell'esercitosiciliano a Randazzo e valicata con poca gente l'alta
giogaiadell'Appennino siculosia andato a ritrovare l'armata sulla
costierasettentrionale. Continuata la strada per la marinaarrivò in
Messinail 2 ottobre.
Nonpuò finir qui il nostro lavoro. A scoprir la parte ch'ebbe ilre
Pietronella rivoluzione siciliana convien tornare un po' addietroed
esaminarela prima cosagli andamenti suoi dal 31 marzo alla entrata
inMessina; poiché le passioni di parte guelfavolontariamente ono
confuseroed alterarono per l'appunto i fatti di que' sei mesie però
lasommossa palermitana ci è pervenuta con due tradizioni bendiverse
dellequali una la dimostra subita esplosione di vendetta; l'altra la
rappresentaeffetto di lunga e sottilissima trama. Per ventura noi
abbiamotestimonianze di scrittori contemporanei e documenti da poter
quasicompilare il diario di Pier d'Aragona in quel breve periodo.
Nelgran personaggio storico di Pier d'Aragona l'uomo vale mille volte
piùche il re. Il re portava l'antica corona d'Aragona e della contea
diBarcellonaai quali Stati s'aggiunseroper novelli conquisti su i
morii reami di Valenzae di Majorca; ma egli governava senza
regnaresugli orgogliosi prelatisu i baroni indocili e guerrierie
sualcune potenti cittài rappresentanti delle qualisedendocon gli
ottimatiecclesiastici e militari nelle "Cortes"prestavano perbocca
dell'inviolabile"Justiza" il giuramento di fedeltà in questitermini:
"Essiche valeano ciascuno quanto il retutti insieme più di luigli
ubbidirebberose mantenesse loro franchigie; ese nono". Ma
valorosifatti di guerraindomabile costanzamente e cuore d'uomo di
Statoavean fruttato a Pietro la riputazione che seduce e vince gli
animiese non amoreispira fiducia nell'esito d'una impresa. Con
gliaiuti di Castiglia e i danari di Costantinopoli egli allestiva
pianpiano l'armata in Catalognaquand'ebbe principio la rivoluzione
siciliana.Contro chi egli armava? Contro Carlo d'Angiòne siam certi
anchenoi; pur lo scopo immediato dell'impresa era il reame di Tunis
comeaffermano i cronisti contemporanei spagnuoli e italianie come
loprovano i fatti. Noi sappiam da due scrittori catalani e dagli
annalistiarabi d'Affricacon poco divario ne' particolariche
Pietroda un anno all'incirca macchinava di occupare lo stato di
Tunisper tradimento dei mercenari spagnuoli al servigio di quel re e
peropera d'un Ibn Wazîrgovernatore di Costantinail quale s'era
accordatocon Pietro di prendere per sé alcune provincie e lasciar a
luile altre: ritraggiamo inoltre che Ibn Wazîrcaduto in sospettoa'
governantidi Tunis e quindi necessitato a chiarirsi apertamente
ribellene' primi di aprileavea sollecitati ansiosamente gli aiuti
d'Aragona.Che nel medesimo tempo siano arrivati a Pietro degli avvisi
diSicilia ci sembra molto verosimileancorché nessuno cel dica;
neppurei narratori della congiura del Procidaperché costoro
falsamentesuppongono che Pietro già aspettasse con l'armata in
Affricaed uno di essi più coraggioso degli altri afferma che non
aspettòavvisoma partì per l'appunto lo stesso giorno 31 marzo. Alle
nuovepervenutegli dall'Affrica e dalla Siciliail re d'Aragona
affrettavai preparamenti: l'opera d'un mese dice Ramondo Muntanersi
fornivain otto giorni; tanto che il 20 maggio Pietro fece la rassegna
de'cavalieridei fanti e dell'armata a Portfangospresso Tortosa.
Quelgiorno stesso gli si appresentavanocome si ritrae da un
documentoserbato negli archivi d'Aragonadue ambasciatori di Filippo
l'Arditoad augurargli vittoria s'egli andasse contro saracenie dir
chese rivolgesse le armi contro re Carlo o il principe di Salernoil
redi Francia se l'avrebbe come offesa recata alla propria persona. Il
dettodocumento è quello che nella diplomazia moderna si chiamerebbe
notaverbale lasciata dall'ambasciatoredi fatti esso comincia: "Ce
soitremembrance de ce que li missatge"eccetera (1). Principe poidi
Salernos'intenda Carlo figliuolo del re di Siciliail quale l'avea
mandatoin Provenza appunto perché gli armamenti di Catalogna avean
destoil timore di assalti in quella contea. Agli ambasciatori Pietro
risposecome si legge ne' documenti del reame di Francia: "Il mio
propositoè tuttavia quel ch'è statoe farò sempre quelche ho fatto
conintendimento di servire Iddio". (2) Dunque né egli dissedi andar
controi saraceni per burlare il re di Francia e cavargli danaricome
scrivonoalcuni cronisti guelfi; né dié le risposte furbesche
inventateda altri: che si strapperebbe la lingua anzi che svelare il
segretoovvero che con una mano si taglierebbe l'altra se questa lo
rivelasse.
InPortfangos erano anco pervenuti a Pietro l'arcivescovo di Sardegna
Iporcinoda Lodi (?) e Benedetto Zaccaria da Genovaambasciatori del
Paleologo;i quali doveano passare indi in Castiglia con qual missione
nonsi ritraema sappiam che a Pietro premea poco la rispostapoiché
nonla fece se non che in Palermo e con una lettera molto freddail
22settembre. Affrettossi bene a dare assetto alle cose dello Stato e
allapropria casa; a far testamentochiamando erede del trono il suo
primogenitoAlfonso; ad ultimare il costui matrimonio con una
figliuoladel re d'Inghilterracome si ritrae da un diploma del primo
giugnoche leggiamo nella raccolta del Rymer. Pietro salpò da
Portfangosil 3 giugno senza che alcun sapesse dove si andava. In alto
marefe' volgere a Majorca; aspettò pochi dì in Porto Maone;poi
sciolsele vele alla volta dell'Affrica e il 28 giugno arrivòcon una
ventinadi galeeuna diecina di altri naviglipoche centinaia di
cavallie dieci migliaia di fanti ad Alcoll in provincia di
Costantina.(3) Ma durante il viaggio Ibn Wazîr era stato assediato in
Costantinastessa dal principe reale di Tunisi e morto dai suoi propri
seguaci.Alcoll dov'egli dovea aspettare Pier di Aragona era
abbandonata;l'esercito di Tunisritornato a Bugia l'8 luglio
cominciavaa mandare torme di cavalli contro gli aragonesii quali
parecchievolte li ributtarono con grande strage; ma non poteano
avanzarenel paese; appena lor veniva fatto di correre i dintorni per
vettovagliarsi.
Quest'impresaera dunque fallita; né il re di Aragona se ne potea
rammaricaredi molto. Saba Malaspinach'allor viveva in corte di
Romascrive che Pietroconsigliato da Ruggier Loria e da altri
uscitiitalianichiamò a consiglio i principali dell'esercitoai
qualipropose d'inviare oratori al papaper chieder i favori soliti
nelleguerre di crociata: cioè il bando della croce; le decime
ecclesiastichegià raccolte; la protezione della Chiesa su i
possedimentidel re e de' suoi baroni in Ispagna e un legato
ecclesiasticoall'oste. Lodaron tutti il partitoe il re lo mandò ad
effettofacendo imbarcare subito su due galee Guglielmo di Castelnou
ePietro De Gueralt. I quali seppero sbagliare la via. Il papa era a
Montefiasconeed essiin vece di tirar dritto per Orbetello o
Cornetoapprodarono in Palermo.
Senessun cronista ci raccontasse che Pietro avea ricevuti in Affrica
messaggide' sicilianicrederemmo pur sempre il fattoe però diamo
moltovalore all'attestato di Bartolomeo da Neocastroallor
consiglierdel magistrato sovrano di Messina: che i palermitani
dubitandomolto di loro sorte quando Messina non si era per anco
ribellatafurono persuasi da un Ugone Talach a chiamar Pietro di
Aragona;che gli spacciarono a dì 27 aprile un Niccolò Coppolail
qualepervenuto in otto giorni alle Baleari fu poi spinto da fortuna
dimare su le spiaggie d'Affricadove ritrovò Pietro ch'erapartito
diSpagna il 17 maggio. Aggiunge il cronista che Pietro non volle
prometternulla senza saper se piacesse a' messinesie che mandò suoi
oratoria intender l'animo loro. Esitai io già ad accettar questa
tradizionesì per la erronea data della partenza di Pietro da
Portfangose sì perché la dubbiezza del re mi parve finzione
patriotticadello scrittore. Riflettendo or megliogiudico la
rispostadel re molto verosimile perché saviae penso che l'ultima
dataerroneapotendo provenir da copie od anche da informazioni poco
esattenon è da tanto da inforsare un fatto molto probabile.
Lostesso cronista poisenza notare particolarmente la data
riferisceche preso già in tutta l'Isola il reggimento a comunei
messinesiinviavano in Palermo tre loro nobili uominiGiovanni
Guerciomiliteil giudice Francesco Longobardoprofessore di
dirittocivilee il giudice Rinaldo de Limogiiscon mandato
d'offrireil regno di Sicilia a Pier d'Aragona e che costoro trovatisi
nellastessa città quando provvidenzialmente vi approdarono duegalee
catalanecon gli ambasciatori che Pietro spediva apposta a Messina
fecerosapere al re il voto di que' cittadini.
Daun altro canto si ricordi quel che abbiam testé detto della
testimonianzaautorevole di Saba Malaspinacheaspettandosi in
Siciliada un dì all'altro gli assalti di re Carloe non fidando
nessunonella implorata protezione di papa Martinosi parlò di
chiamareal trono di Sicilia alcun potentato stranierosia il re di
Castigliasia quel di Aragona o alcun de' suoi figliuoli.
NiccolòSpeciale alla sua volta ci narra che durante l'assedio di
Messinai nobili e savii siciliani adunati a consiglioincerti
pendeanosul partito da prenderequando un vecchio ispirato dal Cielo
proposela esaltazione del re d'Aragonae tutti assentirono; il qual
fattonon esiterà nessuno ad accettaresol che alla ispirazione di
lassùsi sostituisca quella di Pier d'Aragona.
Unacronica anonimainfinepubblicata dal Gregorioporta che il De
Gueraltvenendo da Alcolltrovò il popolo di Palermo adunato nella
chiesadi Santa Maria dell'Ammiraglio e costernato per l'assedio di
Messina;che a dirittura ei propose di chiamar Pietro; che tutti
accettarono;e che immantinente furono inviati ad Alcoll Niccolò
Coppolamilitedi Palermo e Pain Porcella catalanoe che Pietro
accoltilibene lor promesse risposta.
Datutti i lati dunque ci tornasalvo le reticenze e le finzioni de'
cronistiche tra il luglio e l'agosto 1282 Pietro aveva ultimate le
praticheco' capi della rivoluzione siciliana e ch'era arrivato a
farsichiamare al trono. Rimaneva a persuadere gli aragonesi e i
catalaniche lo seguissero all'impresa; ed a ciò era forza aspettare
laindubitabile ricusa del papa. Ma compiuta da un solo oratore
aragoneseo da lui insieme con De Gueralt stessol'ambasceria presso
MartinoQuartoritornarono entrambi in Alcoll a dir che il papa
lodavama non aiutava. Pietro usò allora il malcontento che tal
ripulsadestava ne' suoi; usò il rammarico della impresa fallita e
degliacquisti perduti e la speranza di rifarsene in altro paese.
Messedunque il partito di andare in Siciliae chi volesse lo
seguissechi notornassene a casa. Lo seguirono i più; ond'egli con
ventiduegaleeuna navepoche centinaia di cavalieri e poche
migliaiadi fanti leggierisalpò alla volta della Sicilia. Arrivato a
Trapanidopo cinque giorni di viaggioil di 30 agosto; accolto
splendidamenteda Palmiero Abate e dal popolocavalcò il 4 settembre
allavolta di Palermo. S'adunava a dì 7 il parlamento de' baroni
cavalierie sindichi delle cittàdinanzi al quale Pietro promettea le
franchigiede' tempi di Guglielmo il Buonoe gli adunati gli
giuravanofedeltà.
Assodatocosìcon quanta certezza può dare la storiail fattoche
Pietrod'Aragona non era né vicino alla Siciliané pronto ildì 31
marzoesaminiamo le due tradizioni su la causa immediata della
sommossapalermitana. Noi troviamo identica la causa nelle sorgenti
antichee più autorevoli.
Laprima delle quali è la "Cronica" di Saba Malaspinaromanodecano
diMaltasegretario del papa Martino Quartoardente guelfo che
vorrebbemantener la potenza di Carlo d'Angiòma gli ribolle il
sangueitaliano contro la prepotenza dei francesi. Egli scrissecaldo
caldonegli anni 1284 e 1285mentre la corte di Roma era proprio il
comandogenerale del campo nemicoil centro d'azione degli angioini
controla Sicilia e la casa d'Aragonae però il punto al quale
recapitavanotutte le notizietutti i documentie passavano forse
perle mani dello scrittore.
Dopoil segretario del papa metterò l'istoriografo della Repubblicadi
GenovaGiacomo d'Auriail quale scrisse gli "Annali Genovesi" dal
1280al 1293e stava in un posto nel quale si lavorò di moltocontro
Carlod'Angiò; in un posto nel quale convergeano le notizie del
Mediterraneo;nella patria di quel Benedetto Zaccaria che fu
intermediarioprincipalesecondo Marino Sanudotra Michele Paleologo
ePier d'Aragona.
Contemporaneialtresì i due scrittori catalani Bernardo d'Esclot e
RamondoMuntanerdei quali il primo è notevole per diligenza nel
raccontofrequente citazione di documenti e cognizione degli ordini
politicie scrisse il 1300. Il secondo militò da giovane con Piero
d'Aragonae poi andò co' suoi figliuoli in Sicilia. Buon soldato
scrittorevivaceun po' credulovantatore di sua gente e dei suoi
reegli messe in carta le avventure del proprio tempo verso la metà
delquattordicesimo secoloquand'ei ritorno vecchio in patria.
Perla schiettezza e vivacità del racconto supera i due cronistior or
citatiil Salimbenifrate francescanonato il 1221guelfo quanto il
Malaspinae sdegnato più di lui contro i francesi.
De'siciliani abbiamo la "Cronaca" di Bartolomeo da Neocastro
cittadinodi Messinagiureconsultouno de' consiglieri della città
elettinel 1282e ambasciatore di Giacomore di Siciliaa papa
Onorionel 1286.
Dopoil Neocastro un altr'uomo di lettere e di Stato scrisse gli
avvenimenticontemporaneiil siciliano Niccolò Specialeambasciatore
delre Federigo di Sicilia a Benedetto Dodicesimo nel 1334più
giovaneperciò del Neocastroma natocom'ei pareavanti il Vespro.
Ortutti questi scrittori raccontano l'origine della sommossa su per
giùcom'io l'ho descrittae parecchi altriche non occorre citar qui
perch'essinon iscendono a' particolarila attribuiscono senza altro
allareazione dei siciliani contro le intollerabili gravezzeangherie
edingiurie degli oltramontanil'ultima delle quali passò ogni
misura.
Vengoadesso ad altre autoritàper le qualicome per quelle già
notatemi riferisco alle citazioni ch'io feci nella mia "Guerra del
Vesprosiciliano"edizione del 1876e che non si trovan tutte nelle
edizioniprecedentiperché mano mano ho aggiunto o corretto secondo
lenuove fonti alle quali mi è avvenuto di attingeresianodocumenti
ocronichesiano manoscritti ovvero nuove pubblicazioni succedutesi
dal1842 a questa parte.
Dellenuove pubblicazioni importantissima è quella di Marino Sanudo
perchéallato al racconto comune della sommossa ce ne presenta un
altroche già correva al suo tempo e cominciava ad assegnarle una
causapiù riposta che non fosse l'impeto subitaneo della vendetta.
MarinoSanudoautore del famoso libro de' "Secreta Crucis"che
proponevai mezzi di distruggere la gran potenza musulmana di quel
tempoil regno dei Mamluki d'Egittoscrisse in latinoil 1333una
Storiadel regno di Romaniadella quale ci avanza soltanto un'antica
traduzioneitalianadata alla luce dall'Hopf nelle sue "Chroniques
grèco-romaines"Berlino1873. Quel sagace statista veneziano
adolescentequando il Vespro attraversava i disegni della sua patria e
diCarlo d'Angiò contro il Paleologoebbe riputazione a corte di
Roma;conobbe alcuni suoi parenti che avean militato sotto Carlo
nell'assediodi Messina; conversò coll'ammiraglio Ruggier Loria già
ribellatosida Federigo re di Sicilia e combattente contro la causa
ch'egliavea propugnata in quattordici anni di vittorie. Or Marino
Sanudomette il suggello alla lega tra il Paleologo e Pietro di
Aragonanarrando essergli stato detto dall'ammiraglio ch'egli andò a
dareil guasto alle isole di Romania (1292)perché il Paleologonon
aveasoddisfatto ai figliuoli di Pietro il sussidio annuale pattuito
pertutta la durata della guerra contro Carlo d'Angiò. Ma prima di
riferirquesta prova dell'accordo tra Aragona e Costantinopoliil
Sanudoaccennando a quello firmato il 1281 tra re Carlo e i veneziani
a'danni del Paleologocontinua così: "Ma avvenne chedurante questa
confederazionela Scicilia ribellò ad esso re Carlo; e fu per
"trattato"come ho trovato scritto in corte romana (in?) una cronica
delvescovo di Torsellodell'imperator predetto de Greci e deli
uominidel regno di Scicilia che detto imperator avea presso di lui e
massimeper industria de Miser Zuan de Posita e de Miser Zaccaria
genovesee altri suoi seguaci" (pag. 132 della edizione di Hopf).
Dettopoi della guerra tra i veneziani e il Paleologodelle pratiche
perla riconciliazione della Chiesa greca con la latinadi Carlo
d'Angiòe di tutti i potentati d'Europae de' due fratelli Benedetto
eManuele Zaccariache stanziavano in Romaniaintraprenditori in
grandedi miniere d'allume e d'un'altra industria meno innocente
quellacioèdi corseggiare contro i pirati dell'Arcipelago ed
appropriarsenele spoglieMarino Sanudo ritorna (pag. 147) al nostro
argomentocon queste parole:
"L'isoladi Scicilia ribellò al re Carlo come ho detto e fu per
trattatodell'imperator sior Michiel e suoi seguaci e fu l'anno 1277
(corr.1282) circa il mese di aprilee "si dice" che seguìin questo
modo.Furono scolpite in la città di Palermo alcune bolle per bollar
animali;ma la fama si divulgò che ciascun che non pagasse la coletta
suaallora impostasarebbe bollato di dette bolle. Avvenne che una
festasolenne li deputati che regevano la città per il re Carlofecero
cercara tutte le persone le arme e li ministri indiscrettamente
cercarononon solamente li uomini ma ancora le donnedelle quali
moltevanno coperte al modo saracinesco; per il che il popolo di
Palermoacceso di sdegno di questa indignitàsollevossi e cominciòa
gridar"Sian mortisian morti li Tartaglioni"che cosìchiamavano li
Francesiper dispregio; sì che quanti allora ne furono incontrati e
trovatifurono crudelmente morti. Quelli di Curion (Corleone) che son
ivinativi di Lombardia ad esempio de' Sciciliani sollevatisi fecero
ilsimile. Da Palermo passò il furore per tutta l'isolaeccetera".
Daciò si vede che il Sanudo avea sotto gli occhi due tradizioni:le
trattativedel Paleologo col re Pietrodelle quali avea letto nella
storiadi fra Tolomeo da Luccavescovo di Torcelloed egli era
indottoa prestarvi fede dalle rivelazioni di Ruggier Loria; e la
sommossacagionata dal cercar arme addosso alle donnementre il
popolodi Palermo per oltraggi vecchi e nuovi era arrivato al punto
chenon ne potea più. Il Sanudo riferì l'una e l'altratradizione
senzaimpacciarsi a trovare in che modo l'accordo tra due potentati di
Levantee di Ponente avesse prodotto il caso della sommossa. Quel che
premevaallo storico della Romania era il fatto che impedì un nuovo
conquistoa Carlo d'Angiò.
Nésciogliea quel nodo il vescovo di Torcello con l'affermazione di
averevisto il "trattato". Noi possiamo consultare la fonteimmediata
delSanudo. Fra Tolomeo da Lucca vescovo di Torcellobibliotecario
dellaVaticana (natocome si vuoleil 1237morto il 1327) tocca il
fattodel Vespro in due compilazioni diverse. Possiam lasciar da canto
quellaintitolata soltanto "Annali" e scrittacome si credeavanti
il1307nella quale si dice troppo brevementeche i siciliani si
ribellaronoper le ingiurie e le violenze de' francesi col favore di
rePietro e per cagione del Paleologo. Nell'"IstoriaEcclesiastica"
ultimatacome pensano gli erudititra il 1312 e il 1317(lib.
ventiquattresimocap. 345presso Muratori"Rer. Italic.
Script".undicesimo1186 seg.)egli narra che il Paleologo
sentendosigià addosso Carlo d'Angiòappiccò una pratica
("tractatum")con Pietro d'Aragonaper mezzo di Benedetto Zaccaria da
Genovadi altri genovesi e principalmente di Giovanni di Procida.
Egliafferma aver visto quel trattato; il quale vocabolo mi par che
quisignifichi racconto di una praticanegoziazione o similiperché
iltrattato come or l'intendiamoil patto stipulato tra i due rese
purfosse venuto per caso stranissimo nelle mani del cronistanon gli
avrebbemostrate le fila della congiura in Siciliama soltanto gli
accorditra Aragona e Costantinopoli. Che che ne sia di ciòil
compilatoreaggiugne che Pietro allestì l'armata coi sussidi del
Paleologoe ripiglia: ""Dicono le istorie"che papa Martinoabbia
domandatoa Pietro" contro chi egli facesse que' suoi armamenti e che
n'abbiaavuta una risposta oscura. Poi narra il tumulto di Palermo
"incominciatoper le molte ingiurie de' francesi"col favor di re
Pietro.Nello stesso tempo"" ei continuaPietro va a Bona; di lìad
Alcolle indi in Sicilia. Dunque altra cosa era il "trattato"altra
le"istorie". Inoltre nel ritratto delle "istorie"la transizione
rettorica:"Nello stesso tempo" è un errore o un artifizio cheben
s'accoppiaall'equivoco del favore. Favorir si può una ribellione
primao dopo che sia scoppiata; e nello stesso tempo può significarlo
stessogiornola stessa settimana o lo stesso anno; ma trattandosi
dellaparte presa dal re di Aragona nella sommossanon si poteva dire
onestamentedi uno spazio di quattro mesiquanti ne passarono dal 31
marzoallo sbarco di Pietro d'Aragona in Alcoll. Dalle parole dunque
delvescovo di Torcello mi par si possano conchiudere due cose: che a
cortedi Roma prevalea sempre piùal principio del quattordicesimo
secolola tendenza a presentar la sommossa del Vespro come effetto
immediatod'una congiurae che a Roma e in tutta l'Italia guelfa
correvaallora un "trattato"una narrazione speciale dellacongiura
allaquale chi prestava piena fede e chi poca. E il vescovo di
Torcellopar che fosse di questi ultimipoiché ne dà appenaquel
cennosì ambiguo.
Troviamoancora la citazione del "trattato" nel "Fioretto diCroniche
degliimperatori"il cui autore anonimo ha anch'egli la doppia
tradizione:attribuisce la sommossa palermitana ad una zuffa ""ed alle
ingiurieche la gente del re Carlo facea""e buttando lì cheil re di
Aragonaavea per moglie una figliuola di Manfredicontinua: ""sìche
iCiciliani si dierono a lui". E a questo trattato s'adoperòmolto
messereGiovanni di Procida lo quale era savio e grande uomo; e fece
tantoquesto messere Giovanni che 'l Paglialoco porse mano di moneta
allore Pietro di Ragona a torre la Cicilia. E questo abbiamo detto
brievesenza contare ogni "trattato" che lunga storia sarebbe eperciò
abbreviandov'abbiamo detto pure la sustanza". In questo Anonimo
l'occasionedella rissa è diversa: in una festa fuori città un
terrazzanoportava una bandiera; i famigliari del giustiziere gliela
volevanotogliere; "ma gli fu gittato un sasso e "tutto il popolo
fece"il simigliante"; il quale episodio è raccontato con pocodivario
dalmercatante fiorentino Paolino di Pieriingenuo ed elegante
scrittorein lingua volgare.
Il"trattato" ricomparisce nella cronaca di frate FrancescoPipino
contemporaneodi Tolomeo da Luccaed anche qui cammina parallelo al
raccontodella sommossa improvvisa; se non che il frate Pipino dà le
pratichemolto più particolareggiate e le termina in modo piùlogico
arischio di cascare in un fatto impossibile: la strage di tutti i
francesiper tutta l'isola in un sol giorno! Francesco Pipino scrisse
comecredono gli erudititra il 1317 e il 1320cioè pochi annidopo
Tolomeoda Lucca; al quale ei resta molto di sotto per gravità di
dettatoe saviezza di criticaamando le tradizioni più meravigliose
senzaponderare se pur fossero verosimili. Dapprima nel libro terzo
capitolo10intitolato "Di re Carlo il vecchio re di Siciliasecondo
lecroniche"egli scrive che i sicilianistanchi delleoppressioni e
violenze"e ispirati da Dio" (Domino animante) uccisero tutti i
francesich'erano nell'isola e chiamarono al trono Pier d'Aragonail
qualesi trovava a oste in Affricae soggiugne: "Si dice essere stata
"trattata"e procacciata questa novitàcon molti pericolisudori e
dispendiidal sagace e perspicace dottore ("magister") Giovanni di
Procidagià segretariomedico e cancelliere del re Manfredi".
Ammirandol'uomo ch'è stato capace di tanta impresail compilatore
promettedi "dare in compendio la serie di questo "trattato"".E così
egliprincipia il capitolo 11con la intitolazione: "Come Pietroebbe
ilregno di Sicilia per trattato di Giovanni di Procida"; nel qual
capitoloe nei due seguenti la somma del "trattato" o pratica o
cospirazioneche vogliam direè questa:
Isiciliani per le gravezze e ingiurie che lor faceano i francesie
inparticolare per gli oltraggi alle donneerano malcontenti e
bramavanonovità.
Indii maggiori baroni e gli impazienti vanno a trovare Giovanni di
Procidaper chiedergli consiglio ed aiuto; onde hanno parecchi ritrovi
occulticon esso.
Discorrendoi modi di togliersi d'addosso quella tirannide e
prevedendogli ostacolitemeano soprattutto lo sdegno del papa.
IlProcida sapea che Niccolò Terzo fosse di mal animo contro ilreil
qualeavea ricusato di dare un suo nipote ad una nipote del papa; onde
fidossidi persuaderlo a favorire la trama.
Vasegretamente a trovare Niccolòal quale propone di mutar loStato
inSicilia.
Niccolòrisponde lo farebbese gli si provasse la volontà dei
siciliani.
Tornadunque il Procida in Sicilia ad abboccarsi coi baronii quali
promettonodi sostenere la ribellione fino alla mortee gli danno
commissioniscritte di propria mano e convalidate coi loro suggelli.
Eil Procida reca questi documenti al papa. - Che ci vuole adesso? -
glidomanda Niccolò. - Tre cose - risponde il Procida- il tuo
assentimentodanari e soldati. Dammi il primo e penserò io al resto.
Ilpapa gli dà lo assentimento scritto.
Egliva a presentarlo a Pietro ed a proporgli l'impresa contro Carlo
d'Angiò.Pietro accetta. Procida gli dice di preparare le forze; al
danaropenserà lui.
Econ lettere di Pietro d'Aragona va a Costantinopoli. S'abbocca
segretamentecol Paleologoil quale promette il danaro.
Ritornodel Procida in Aragona. Pietro comincia ad armaredando voce
diandare in Affrica.
NiccolòTerzo allora gli manda una somma di danari.
Glienemanda ancora il Paleologo. Pietro sbarca in Affricadove
cominciaa guerreggiare contro i saraceni.
IlProcida dal suo canto ritorna in Sicilia e "in luoghigiorni ed
oreopportuni" confabula con varii congiurati.
Stabilisconoil giorno e l'ora che s'ha ad ammazzare i francesi: il
Procidapromette che lo stesso giorno verrà Pietro con l'armatae va
inAffrica ad avvertirnelo.
"Quelgiorno per l'appunto i cospiratoriprese le armi nelle cittàe
terredella Siciliacon loro seguaci e fautori compiono la strage."
Quelgiorno stesso Pietro parte per Messina con l'armata.
S'impadroniscedel regnoed è coronato re"nei giorni di Pasqua"del
1282.
Cosiffattatradizione a capo di molti anni ricomparisce in altri
scrittidel quattordicesimo secolo con sembianze parte simili a parte
essenzialmentediverse: simili sono le pratiche del Procida col
Paleologocon Pietro d'Aragona e co' baroni di Siciliama recate in
ordinediverso e con circostanze diverse; diametralmente poi contrario
loscioglimento della tragediaperocché i congiuratiinvece di
prenderele armi simultaneamente in tutta l'isolasi trovano presenti
inPalermo al caso d'una donna insultata da' francesied assistono
nonsi sa bene se da testimoni ovvero da istigatorialla vendetta
popolare.Questo ramo di tradizione che esclude la strage simultanea
sibipartisce alla sua voltadandoci da una mano la narrazione di
GiovanniVillaniil noto cronista fiorentino; dall'altra parte un
raccontoanonimo più minuto e sceneggiato con episodiidialoghi e
descrizionidi luoghidel quale ci avanzano tre testi quasi
paralellisalvo qualche aggiunta e qualche mancanza. Essi portano tre
intitolazionidiverse: l'uno "Ribellamentu di Sicilia eccetera"
l'altro"Liber Jani de Procita"e il terzo "Leggenda diMesser Gianni
diProcida". Gli ultimi duescritti in lingua più o menoconforme
all'italianoillustresembrano versione del primoch'è in siciliano
confrase toscana.
Delguelfo Giovanni Villani sappiamo ch'egli cominciò a mettere in
cartala sua cronica verso il 1330. Gli autori anonimi dell'altra
compilazionesi ignora quando abbiano scritto: soltanto del capofila
ch'èil Sicilianoabbiamoun codice che sembra dello scorcio del
quattordicesimosecolo. Avvertasi che costui non biasima il Procida né
isiciliani. Al contrarioi due seguaci o traduttori suoida buoni
guelfichiamano scellerato il motore della congiurané risparmiano i
ribelli.Ecco ora la differenza sostanziale de' fatti ne' diversi rami
dellatradizione.
IlProcidail quale secondo Francesco Pipino dimorava in Sicilia
versoil 1279ossia al tempo de' primi preparamenti di Carlo d'Angiò
controil Paleologosi trovava parimenti in Sicilia secondo l'Anonimo
sicilianoe i suoi seguaci; ma il Villani lo fa esulesenza dire
dov'eifosse rifuggito; esule volontario perché i francesi gli aveano
presala moglie ed una figlia e ucciso il figliuolo che le difendea.
L'Anonimosiciliano accenna soltanto alla figliuola oltraggiata ed
allapunizione degli offensori dinegata dal re. Nulla di tutto ciò
pressoi due seguacii quali non hanno voglia di addurre circostanze
attenuantia favor del cospiratore.
Invece d'incominciare la pratica presso Niccolò Terzo come narrail
fratePipinoil Procidasecondo il Villani e i tre Anonimiva
dirittodalla Sicilia a Costantinopoliper proporre la trama al
Paleologo.Espone ciò in brevi parole il cronista fiorentino. Gli
Anonimivi aggiungono misteriosi andamenti e discorsi del cospiratore
efanno parlare l'astuto greco come un fanciullosimile in ciòa
queglialtri due semplicioni che furono al mondo Niccolò Terzo e Pier
d'Aragona.
Sedottoalfineil Paleologo accetta il partito e manda in Sicilia
colProcidauomini suoi ad abboccarsi con Alaimo di LentiniPalmiero
Abatee Gualtiero da Caltagirone; i quali promettono di far la
ribellionee ne danno guarentigie scritte. Così il Villanied assai
piùlargamentecol solito dialogo da scenai tre Anonimi.
Sidiparte dagli Anonimi il Villaniquando aggiugne che il Procida
corruppeNiccolò Terzo ed un suo parente col danaro e co' gioielli
datiglia ciò dal Paleologo; ma il Siciliano e i due seguaci
peninsularimostrano titubante il papail quale alfinevinto dal
Procidapromette con lettere segrete di concedere il regno a Pier
d'Aragona.
Dopominuti particolari del viaggio del Procida dall'Italia alla corte
dire Pietroi quali son taciuti dal Villanie dopo una nuova scena
diPier d'Aragona tirato a rimorchio dal Procidagli Anonimi si
ricongiungonoal Villani dicendo che Pietro accettò.
IlVillani poi fa ritornare il Procida a Costantinopoli per
sollecitarela spedizione del danaro con che doveasi mettere in punto
l'armatae la gente. Gli Anonimi lo fanno ripassar prima dalla corte
delpapa e da Trapanidov'egli era aspettato dai baroni. Secondo gli
Anonimiil Paleologo promette a Pietro 100000 once d'oro e ferma col
Procidadi dar fuoco alla ribellione il 1282.
Accordansii quattro narratori nel dir il Procida ripartito da
Costantinopoliper la Catalogna con 30000 once d'oro e con altre
letterede' baroni siciliani; se non che gli Anonimi lo fanno
incontrarin mare da un legno pisano che gli dà nuova della morte di
NiccolòTerzo: lo fanno consultare un'altra volta co' baroni siciliani
aTrapani e poi anco in Malta. Sbigottiti dalla morte del papa i
baronitentennano un pezzofinché trasportati al solito dal geniodel
Procidaassentonoe il gran cospiratore ritorna in Catalogna.
Aquesto punto si congiungono per un istante tutti i racconti della
congiuracon la narrazione storica che noi abbiamo cavata da'
contemporaneie dai diplomisi congiungonoio diconotando i
sospettiche destarono gli armamenti di Pier d'Aragona nelle corti di
Franciae di Roma: se non che i narratori della congiura fanno uno
anacronismopiccolo in séun mese o duema essenzialissimoperché
inquest'intervallo occorre nientemeno che il 31 marzoil quale
divideil prima dal poi. Prima del Vesprofacea specie un po'
quell'attivitànon ordinaria ne' porti orientali della Spagna; dopo il
Vesprosi vedea chiaro il motivo di quella "opera di un mese compiuta
inotto giorni" come scrive il Muntanere compiuta mentre ferveala
ribellionein Sicilia. La storia ci ha detto che gli ambasciatori di
Franciaebbero una risposta ambigua da re Pietro il 3 giugno: ed ecco
laleggenda chesecondo il Villanifa beccar da Pietro 40000 lire
tornesial re di Francia per sussidiocom'egli è evidentedi una
impresacontro Infedeli; ecco la leggenda chesecondo frate Pipino
dicei danari beccati a papa Martino Quarto. Ma arrivati quasi alla
vigiliadella sommossai narratori della congiura prendono tre strade
diverse.Il frate Pipino fa aspettar Pietro in Affrica e i cospiratori
sicilianialle case lorofino al dì 31 marzo; i tre Anonimi dicono
chedi gennaio 1282 il Procidaritornato in Siciliasi era abboccato
dinuovo coi cospiratori in Trapani; e il Villanicondotte fin qui le
filadella congiurafa nuovo capitolo per rannodare a quellemolto
grossolanamenteil racconto storico della donna ingiuriata. Daremo le
proprieparole del cronista fiorentino:
Librosettimocapitolo 61(o secondo altre edizioni 60) "Come e per
chemodo si ribellò l'isola di Cicilia al re Carlo".
"Neglianni di Cristo 1282il lunedì di Pasqua di Risorresso che fua
dì30 di marzosiccome per messer Gianni di Procida era ordinato
tuttii baroni e' caporali che teneano mano al tradimento furono nella
cittàdi Palermo a pasquare. E andandosi per gli Palermitaniuomini e
femmineper comune a cavallo ed a piéalla festa di Monreale fuori
dellacittà per tre miglia (e come vi andavano quelli di Palermocosì
viandavano i Franceschi e il capitano del re Carlo a diletto)
avvennecome s'adoperò per lo nimico di Dioche uno Francesco per
suoorgoglio prese una donna di Palermo per farle villania: ella
cominciandoa gridare e la gente era tenera e già tutto il popolo
commossocontra i Franceschiper i famigliari de' baroni dell'isola
sicominciò a difendere la donna; onde nacque grande battagliatra
Franceschie' Ciciliani e furonne morti e fediti assai d'una parte e
d'altra;ma il peggiore n'ebbero quegli di Palermo. Incontanente tutta
lagente si ritrassono fuggendo alla cittàe gli uomini adarmarsi
gridando:"muoiano i Franceschi". Si raunarono in su la piazza
com'eraordinato per gli caporali del tradimento e combattendo al
castelloeccetera".
L'Anonimosiciliano con lo stesso andamento di narrazione ed anche con
frasiidentichema con circostanze mutate a disegno e alcunecome a
mesembracorrettedà il fatto in questo tenore:
"Eccuchi fu vinutu lu misi di aprili l'annu di li milli ducentu
ottantaduilu martidi di la Pasqua di la Resurrectionieccu chi
MisserPalmeri Abbati e Misser Alaimu di Lintini e Misser Gualteri di
Calatagirunie tutti li altri Baruni di Siciliatutti accurdati da un
vuliriper loru discetu consigliu vinniru in Palermu per fari la
ribellioni;d'undi in quillu iornu predittu si soli fari una gran
festafora di la gitati di Palermu in un locu lu quali si chiama Santu
Spiritu;d'undi unu franciscu si prisi una fimmina tuccandula cu li
manudisonestamenti comu ià eranu usati di fari: di chi la fimmina
gridauet homini di Palermu cursiru in quilla fimmina e riprisursi in
brigaet in quilla briga intisiru quisti Baruni preditti et incalzaru
labriga contru li Franchiski et livaru a rimuri e foru a li armi li
Franchiskicu li Palermitani et li homini a rimuri di petri e di armi
gridandu"moranu li Franzisi"intraru intra la gitati cu grandi
rimuriet foru per li plazi et quanti Franchiski trovavanututti li
auchidianu.Infra quistu rimuri lu capitanu eccetera".
Mal'autore della "Leggenda di Messer Gianni"che suol esseresì
fedeleall'Anonimo sicilianoqui si accosta più da vicino alVillani.
"Venne- egli dice - nel tempo del mese di marzoil secondo dì della
Pasquadello Risorresso: era in Palermo mess. Palmieri Abati e mess.
Alamoe mess. Gualteri e tutti gli altri Baroni di Cicilia e andavano
aduna festa ch'era fuori della terra tutti quelli di Palermoe per
quellavia si andavano molti Franceschi. Venne uno Francesco e prese
unafemmina di Palermo per usare con lei villanamentee quella
cominciòa gridare e la gente trassero là; e uno frate (correggasi
"fante")di questi baroni cominciò a battere quello Francesco che
sforzavala fante (sic). Allora gli altri Franceschi trassero e quivi
s'incominciòuna grande battaglia; sicché e' Palermitani ne stettero
aldi sotto. Tornaro in Palermo e cominciaro a gridare "muoiano i
Franceschi"e fuoro in su la piazza tutti armati e assagliro il
capitaneoche v'era per lo re Carlo; sicché quelli vedendo questo
fuggionella mastra fortezza e li Franceschi ch'erano per la terra
fuorotutti mortieccetera".
L'autoredel "Liber Jani" prende anch'egli la data dal Villanianziché
dall'Anonimosiciliano e fa trovare in Palermo i cospiratori; ma vi
traeanche Giovanni di Procidacontro la tradizione di tutti gli
altrinarratori della congiura: e contro la stessa tradizione mette la
causaoccasionale del ricercare le armisecondo la narrazione
storica:"Venne il tempo - egli dice- del mese di marzoil secondo
diedala pasqua de resoreso. Et era in palermo messer Giani e messer
Palmierie messer alamo e messer Gualtieri e tuti gli altri baroni di
ciciliaandavano ad una festa tuta la gente di Palermo per quella via.
Ellifrancieschi andavano cercando per le arme. E quegli ke li
avevanole davano a le femine. Venne uno franciesco ke vide una
feminanascondere lo coltello e presella e tolseglele vilanamente. E
quellacomintio a gridare e la genti di Palermo trassero lay. Ed un
fantedi quelli baroni comintio a batere quello franciescho si come
ordinatoeraallora gli altri francieschi trassero. E qui si comincio
unagrande bataglasie che palermitani ne stetero perdenti. E tornaro
inPalermo e cominciaro a gridare muoyanomuoyano y francieschi. E
furonoin su la piaza tuti armati. Et salirono lo capitano che vi era
perlo Re carlo. E quegli veddendo questo fuggiro nella fortezza
eccetera".
Dopoi fatti rappresentati nella narrazione della congiura
esamineremoi personaggi: e poiché di Pietro d'Aragonadi Niccolò
Terzoe del Paleologo abbiam già discorsodiremo dei cospiratorinon
coronati.
Undi costoro è Gualtiero da Caltagirone il quale secondo lacronaca
contemporaneadi Bartolomeo da Neocastrodopo aver dati forti
sospettidi congiurare con gli angioini si ribellò apertamente contro
rePietro nel 1283; onde lasciò la testa sul palco.
Glista allato il grande Alaimo di Lentiniil qualecom'abbiam detto
disopraerao era stato Segreto di Sicilia sotto re Carloe
parecchianni innanzi avea parteggiato per luiavea consegnato a'
carneficidell'Angioino il prò Corrado Capecevenuto a sollevar la
Siciliaper Corradino. Alaimo di certo non fu dei primi a prendere le
armicontro i francesi; anzi la sua moglie li difese dal furor
popolarein Catania nell'aprile 1282come si ricava da un altro luogo
diBartolomeo da Neocastro. Dopo l'arrivo di Pietro e gli onori da lui
fattiad Alaimola moglie lo spinse a praticare contro il re nel
1284;ond'egli fu portato via in Ispagnapoi imbarcato sopra una
galeacatalana che ritornava in Sicilia e buttato in mare con una
mazzeraal colloa vista dell'isola.
RimanePalmiero Abate da Trapaniil quale nella storia genuina si
vedeper la prima volta allo sbarco di Pier di Aragona in Trapanie
poiin tutta la guerra di venti anni combatte valorosamente per la
independenzadella patria; finché nella battaglia navale di Ponza
(1300)Ruggier Loriache gli era stato compagno d'armi in Sicilia
fattosicampione degli angioiniruppe l'armata sicilianae Palmiero
presocon la spada alla manotutto lacero e sanguinosogittato in un
carcerepoi tramutato in fondo d'una galealasciato senza cura
morivadi sue ferite col nome della Sicilia su le labbra.
Lariputazione di Palmiero era viva dunque ne' principii del
quattordicesimosecoloquando nacquecome a me parela narrazione
dellacongiura; onde non è maraviglia ch'ei vi sia stato cacciato
dentroinsieme con gli altri due sventurati nobili sicilianiche i
partigianidi casa d'Angiò ricordavano come baroni molto possenti su i
qualiessi avevano fondate le speranze d'una controrivoluzione in
Siciliaed or li voleano far passare per vittime della ingratitudine
aragonese.
Narrazioneho dettoe posso oramai chiamarla Leggendadi Giovanni di
Procidacome porta il titolo di uno degli scritti citati dianzi;
poichéil Procida degli scrittori contemporanei e dei documenti
somigliapoco a quello della cospirazione. Compendierò qui la sua
biografiaper la quale mi riferisco a ciò che ne scrissi nella mia
"Storiadella Guerra del Vespro" e in particolare nella citata
edizionedel 1876poiché dal 1842 a quel tempo erano stati
successivamentepubblicati altri documenti relativi al Procida; era
statoimpugnato il mio giudizio poco favorevole ad esso; ed io
sostenendotutti i fatti narratiaveva abbandonatoper cagione di
nuovidocumentiuna mia conghiettura su la insolita misericordia che
usòil governo angioino verso la moglie del Procida. Brevemente
ricorderòche quell'uomomolto dotto secondo i tempisagace e
destronacque in Salerno; possedette beni allodiali in Salerno stessa
ein Napoli e inoltre i feudi di Procida e Celano; ebbe alto stato
sottol'imperator Federigo e Manfredi; fu medico reputatato e tradusse
dalgrecoo compilò in latinocerte massime di filosofia morale
degliantichi sapienti. Dopo la sconfitta e la morte di Manfrediegli
sitrovò nella Marca d'Ancona; curò Clemente Quarto di unainfermità
allegambe; e il papatra il marzo e il luglio 1266raccomandollo a
Carlod'Angiòcom'uomo che implorasse la sua clemente benevolenza.
Abbiamoil testo della lettera pontificia e sappiamo che allora il
Procidaritornò da buon suddito ne' domini dell'Angioino. Chiaritosi
pocoappresso a favore di Corradinolo veggiamo (26 settembre 1268)
fuggitivoe perseguitato nelle vicinanze di Roma dopo la battaglia di
Tagliacozzo;e il 1270 già comparisce rifuggito a corte di Aragona;
neglianni 1277 e 1278dopo la esaltazione di Pietro a quel tronoè
fattoconsigliere del re e feudatario di tre castelli nei suoi
dominii.Nei disegni di Pietro egli ebbe di certo gran partepoiché
SabaMalaspina dianzi lodatoaccennando agli armamenti del re
d'Aragonaed al sospetto di re Carlo che fossero volti contro la
Provenzariflette che Carlo avrebbe dovuto temere piuttosto pe' suoi
Statiitaliani"perocché gli esuli del regnomassime Giovannidi
Procidaed un certo Ruggiero di Lauria nutrito in Aragona"lavoravano
insiemecon la regina Costanza a spingere Pietro alla conquista del
regno.Quelle parole "un certo Ruggiero di Lauria" stanno lìproprio
comeuna dataattestando che furono scritte innanzi il giugno 1284
quandoRuggiero nella battaglia del golfo di Napoli si rivelò primo
ammiragliode' suoi tempi. Usando il privilegio della storiaSaba
Malaspinamette in bocca di quei rifuggiti le ragioni ch'ei supponeva
suggeriteda loro a re Pietroil qualesia detto tra parentesinon
aveabisogno di consigli: e quelle erano il diritto della Costanzai
popolinaturalmente disposti a favore della dinastia legittima
disperatisotto la tirannide de' francesionde basterebbe mostrar lui
armatoe pronto per provocare la ribellione in molte terre del regno.
Andreadi Procidanon sappiamo se fratello o figliuolo di Giovanni
ovveroparente in grado più lontanoera scudiero del re di Aragona
ilquale nel 1281 lo avea mandato alla corte di Castiglia per varie
faccendetra le quali "il racquisto del reame di Sicilia"e lo
rinviavaa quella corte nel gennaio 1282 insieme col nobil uomo
FrancescoTroisitesté arrivato con una missione del marchese di
Monferratoe di altri ghibellini appo le corti di Castiglia e
d'Aragona.
Giovannieletto da re Pietro il 30 gennaio 1283 cancelliere del reame
diSicilias'imbarca per l'isola nell'aprileinsieme con la regina
Costanzaquando Pietro dovea partire per Bordeaux a fin di combattere
controCarlo d'Angiò il famoso duello che poi non ebbe effetto. Alla
partenzadel re la Costanza rimase reggente; il Procida fu suo
principaleconsigliere; trattò gli affari dello Stato direttamente col
ree condusse pratiche con baroni e cittadini di Napolicome si
ritraeda una lettera scrittagli da Pietro nel luglio del medesimo
anno.Poi lo veggiamo concorrere saviamente al governo della Sicilia;
andarelegato di re Giacomo di Sicilia a papa Niccolò Quinto nel1290
mentrei reali d'Aragona pensavan già di far accordo con gliangioini.
Infinequando Giacomo salito al trono aragonese si apprestava a
combattereil fratello Federigo re di Sicilia per rendere l'isola al
papaed a Carlo Secondo di Angiòil Procida insieme con Ruggiero
Loriaprestò omaggio di fedeltà agli angioini; si feceribenedire dal
papae morì nonagenario in Romanelle ultime settimane del 1298 o
nelleprime del 1299.
Comeognun vedele schiette fonti della storia distruggono il
cominciamentoromanzescochesotto forme diverseha la vita
politicadel Procida nella cronica del frate Pipinonella cronica del
Villanie nei tre Anonimi. Scartandoper la grossolana
inverosimiglianzai supposti dialoghi del Procida con quanti mettean
manoal disegno contro Carlo d'Angiòcerto egli è che queldotto e
saviouom di Statofedele a casa Svevanemico degli intrusi angioini
econsigliere necessario di Pietro d'Aragona nelle cose d'Italiaebbe
partenelle pratiche; ma quanta parte ei v'abbia avuta lo ignoriamo;
népossiamo accettare episodiipossibili sìma non tuttiprobabili
dachi ce ne dà tanti altri di cattiva lega. Tale mi sembra la
concessionesegreta del regno a Pietro d'Aragonao almeno la promessa
scrittadi concessione che sarebbe stata fatta da Niccolò Terzo se si
avessea prestar fede ai narratori della congiura. E' da dubitare
perfinodei frequenti e misteriosi viaggi del Procida da
Costantinopoliper la Sicilia e per la spiaggia romana infino a' porti
dellaSpagna. Allora egli doveva essere più vicino agli ottanta cheai
settant'anni.
Ladata della morte di Procida coincide col tempo in cui spunta la sua
leggenda;poiché questa correva già in Roma quando scrissero idue
fratiTolomeo da Lucca e Francesco Pipinocioè nel primo e secondo
decenniodel quattordicesimo secolo. Ci conducono allo stesso periodo
ditempo i documenti officiali della corte di Roma e della casa di
Angiòi quali prima d'allora non fanno parola di congiura in Sicilia
masoltanto accagionano Pietro di vaghe macchinazioni e sopratutto di
averpresa la corona dalle mani de' ribelli. Il primo cenno a
cospirazionein Sicilia si vede in una lettera di re Roberto di Napoli
are Federigo di Siciliadata il 2 settembre 1314alla quale
Federigoa botta e risposta replicò il 3dichiarando espressamente
falsal'accusa.
Laguerra degli angioini contro la Sicilia era finita nel 1302 per
istanchezzadi quella dinastia e della corte di Roma; duravano bensì
inItalia gli effetti della rivoluzione che arrestò ilconquistatore
nell'augedi sua fortuna. I guelfi pensarono con rammarico al sostegno
cheavean perduto: scissa era in due la monarchia angioina; la parte
continentaleesausta e pur incaponita a ripigliare l'Isolapiuttosto
cheaccattar brighe a settentrione del Garigliano. E perocché le
necessitàpresenti fanno dimenticare i travagli passati ed anche i
pericolicorsii guelfi tornavano a immedesimare la causa loro con
quelladegli angioini e ad invocar ne' loro pettegolezzi domestici il
fortebraccio de' francesi. Perché no? In Italia i francesi del
trecentonon erano più quei tracotanti seguaci di Carlo d'Angiòche
spadroneggiaronodalla impresa di Corradino fino all'assedio di
Messina.All'entrare dunque del quattordicesimo secolo la rivoluzione
sicilianadivenne era nefasta presso i guelfi: e però non dissero col
Grandecoetaneo loro che Palermo era stata mossa a gridar mora mora
dallamala signoria che sempre accora i popoli soggetti: ma cercarono
aquell'"opera divina o diabolica"come la chiama ilcontemporaneo
fiorentinoPaolino Di Pieriuna cagione diabolica al pari: un
imperatoreun papa ed un resuscitati dall'ardente odio
dall'ingegnoe dall'astuzia di un povero esule. La stagione era
propriaa far germogliare la leggenda. Quel gran colpevole testé era
mortoma prima avea chiesto perdono de' suoi misfatti al sommo
pontefice;avea fatto ammenda agli angioinipassando nel campo loro:
ipartigiani poteano ritrarlo a piacer loro con le corna di Satanasso
ocon l'aureola della Maddalena. E chi sa se Giovannivecchio e
pentitonei pochi anni di vita ch'ei trasse in Romanon parlò dei
suoicasi; non si vantò delle prodezze passate; non pretese di"aver
fattalui" la rivoluzione di Sicilia? Quantidal 1860 in qua non han
dettoaver loro fatta l'Italia; i quali con l'ingegno e col braccio ci
hannomessa l'opera loroma hanno dimenticata l'opera di tutti gli
altri!Se Procida non si vantòné disse bugiesi prestaronoal
caritatevoleuffizio i parentigli amicigli amici de' primi e de'
secondii zelantiche non mancano maiquando non s'ha a far altro
checiarlare. Tutti costoro tramandarono di bocca in bocca i mirabili
casidel gran cospiratorecon aggiuntecorrezionicommenti e
illustrazionicom'è uso costanteanzi necessità irresistibiledella
naturaumana. Non possiam noi sapere in quale stadio del suo corso sia
stataper la prima volta messa in carta l'Odissea del Procidae così
siadivenuta "Tractatus"; ma temo che la forma d'allora siastata poco
verosimileperché i primi compilatori non l'accettarono addirittura
ladettero con la riserva del
"MettendoloTurpinl'ho messo anch'io";
lanarrarono accanto all'altra tradizioneche portava la sommossa
improvvisa.E così il frate Pipino presenta la congiura nella forma
piùodiosa e più rozzache mena alla uccisione de' francesi agiorno
fisso;cosìpoco prima di luifra Tolomeoche non le bevea tanto
grossevi accenna con un "si dice"senza addentrarsi nei
particolari.Coll'andar del tempoi compilatori più accorticome il
Villanisi provarono a cucire insieme la congiura del Procida con la
reazionepopolare di Santo Spiritoalterandole entrambe il manco che
fossepossibile; e per troppa cura di non guastarleil Villani cucì
l'unaall'altra col refe biancocome suol dirsifacendovenire i
congiuratiin Palermo "a pasquare". L'Anonimo sicilianoall'incontro
raccattòla tradizionenon per inserirla in una estesa compilazione
difatti storicima per farne un opuscolo dassèun romanzostorico
comeoggi si direbbedettato in quello che a lui parea parlare
sicilianoa fine di farlo gustare in Sicilia a' malcontenti del
governoaragoneseche già ve n'era di molti. Egli corresse però
alcuniparticolariper esempio il luogo di Santo Spiritosostituito
alMonreale del Villanie qualche errore vi aggiunse del suo. Degli
altridue testi analoghiho detto che sono identici al siciliano
nellasostanzasalvo le frasi attaccate qua e làper soddisfazione
deibuoni guelfie salvo le varianti de' copisti.
Siaccorgerà di leggieri il lettore ch'io trascuro tutte le
complicazionipiù moderne del gran fatto del Vesproincominciando da
quelledel Petrarca e del Boccacciole quali provanodel restoche
larappresentazione guelfa del fatto era viva e commoveva ancora gli
animiin Toscana alla metà del quattordicesimo secolo. Né iocito le
complicazionifrancesiuna delle qualimolto anticaarriva a dire
chei cospiratori segnarono di notte gli usci delle case de' francesi
intutta la Sicilia e la dimana irruppero in tutte quelle segnate; né
citole tradizioni popolari sicilianecome quella ch'io sentiva
raccontarenella mia fanciullezza ed è riferita anco dal Fazzello:
Giovannidi Procidainfintosi matto e messosi a girare per tanti anni
laSicilia con una cerbottana di cannadicendo parole inconcludenti
aifrancesied assegnando a' siciliani il giorno e l'ora che li
avesseroad ammazzar tutti.
Hoesposto quel che credo carattere generale della leggenda; i
particolarilo replicomi sembrano la più parte immaginarii; ma di
quelliche rimangono pur probabilinon oso dire: accetto questoe
quest'altrono.
Spessochi scrive la storia è costretto a indovinare il passato;
spessoegli deequasi giudice in causa penalecavar il vero dalla
boccadi colpevoli astutidi testimoni renitenti o menzogneri; dee
rigettareuna scrittura falsao legger nero dove bugiardamente si è
messoil bianco. Ora è mestieri che la coscienza lo trattenga atempo
ech'egli non fili troppo le deduzioni per voluttà di parere piùfurbo
deglialtri. Mache parlo di coscienzaquando si tratta soltanto di
serietà;si tratta di scansare le fanciullaggini nelle quali cascavano
untempo gli eruditie ve n'ha parecchi che ci cascano ancoraper
vanitàmunicipaleper amor di patria mal intesoper curialesco
sfarzodi sostenere quel che si è detto una voltao di far comparire
biancoil nero e nero il biancoa forza di sofismi?
Nonmi sembra mai troppo il replicarlocerto com'io sono delle
pratichedi Pietro d'Aragona con tutti gli altri che ho nominatiio
nonvoglio almanaccare quanti passi avessero fatti i partigiani del re
d'Aragonain Siciliainfino al 31 marzo 1282poiché mi torna chiara
nellamente la verità storica che la congiurase avea messa radicein
Sicilianon fu causa immediata della sommossa palermitana. Si
potrebbedomandare per vero dov'erano i "baroni e' caporali venuti a
pasquarein Palermo"dov'era AlaimoGualtierodi Caltagirone
PalmieroAbatela notte del 31 marzoquando il tumulto trionfante
bandivala repubblica sotto la protezione della Chiesa? E sì che noi
abbiamonel diploma del 3 aprile i nomi de' capitani di popolo e de'
consiglierieletti lì in mezzo alla strage; abbiamo i nomi de' primi
sollevatidi Corleone. Nessuno di costoro per caso era noto a chi
rivelòpoi sì minutamente la trama?
Maggioredifficoltà è da proporre: perché i vincitori nonpensano al
lorocapo e complice coronato; perché non salutano re di SiciliaPier
diAragonach'essi doveano sostener erede di Manfredi e ch'era pronto
adaiutarli? E perché mai il capo della congiura avrebbe dato il
segnaledella rivoluzione quand'egli non era prontocome sappiam di
certoche non erané fu prima del 3 giugno? E perché allorainvece
dimetter le prore diritto su la Siciliaegli andò aguerreggiare ad
Alcoll?Per burlare Martino Quarto era troppo tardi. Si dirà che lo
feceper costringere i suoi indocili compagni di arme a cercar nuova
predapoiché la prima caccia era fallita. Ma in tale supposto il
giocosarebbe stato troppo pericoloso. Mentr'egli facea la scena della
Crociatain AffricaCarlo d'Angiò avrebbe potuto prender Messina.
Ilperché vero si può trovaresenza far il profeta delpassato
quandosi consideri che nei principii il movimento di Sicilia fu
meramentepopolare e repubblicanoe che i baroniAlaimo per cagion
d'esempionon furono chiamati se non quando l'esercito di Carlo
raccoltosu le coste settentrionali dello strettofece sentir più
vivoalle popolazioni il bisogno della esperienza militare de' nobili.
Hogià accennato alla testimonianza indiretta di Bartolomeo da
Neocastro:che Messina per lungo tempo dissentì dal proposito di
offrireil trono a Pier d'Aragonacome i palermitani pensavan di fare
nellaseconda metà di aprile. Ancorché ci manchi il testo di
quell'operapossiamo prestar fede all'attestato col quale coincidono
tuttii provvedimenti presi prima dell'assedio di Messinae vi
accennachiaramente Saba Malaspina.
Piuttostoè da supporre che il disegno di Pier d'Aragonadel quale
eranopartecipi Procida e Loria e gli altri uscitioltre il Paleologo
eSancio di Castigliafosse di andare ad occupare alcun porto del
reamedi Tunisimercé l'accordo con Ibn Wazîr e di lìriscaldare le
pratichein Siciliae quando poi il movimento fosse ben preparato
sbarcareimprovvisamente nell'isolacome avean fatto nel 1267 i
ghibellinicon aiuti spagnuoli e affricani. Quando ecco la scellerata
provocazionedi un bargello in mezzo al manesco popolo di Palermo e
l'impetogeneroso d'un giovane tagliarono il nodo che i politici
studiavansia sciogliere! E non fece così il balilla a Genova cinque
secoliappresso? Ammettiamo ancora che nel primo furore abbiam prese
learmi e istigata la plebe que' pochi che potean sapere di trame con
Aragonae di speranze da quella parte. Scoppiata la rivoluzione
costorosenza dubbiosollecitarono Pietro a venire; i partigiani si
accrebberoin tutta l'isola col timore della vendetta nemicacol
malcontentofors'anco de' baroni contro gli uomini nuovi che reggeano
lacosa pubblica. La congiurase tale può chiamarsimi par sifosse
propagatanell'estate del 1282piuttosto che dal gennaio al marzoe
cheabbia operato nel parlamento della chiesa dell'Ammiraglionon già
sulprato di Santo Spirito. Pier d'Aragona nel giugno non avea mutato
nullaal disegno: soltanto lo eseguiva assai più presto ed assai più
agevolmentenon dovendo spingere i siciliani al pericolo d'una
ribellionema persuaderli a sostituire lui alla repubblica. Ed ora
dopoquarant'anni che si è disputato su l'argomentoe che si sono
pubblicatitanti documenti novelli degli archivi di Napolidi Parigi
edi Barcellonami sia lecito conchiudere con le stesse parole che
terminanoil capitolo sesto della prima edizione del mio libronel
tenoreche segue:
"AProcidaalla congiuracome nel capitol dinanzi accennammodavano
alcunecronache l'onore di questa nobil riscossa; e le han seguito i
piùtalché istorie e tragedie e romanzi e ragionari d'altro non
suonanoormai. Io sì il credeafinché addentrandomi nellericerche di
questeistoriemi accorsi dell'errore. Degli autori primi d'esso
pochisono contemporaneigli altri qual più qual meno posteriori
tuttisospetti da studio di partee vizio manifesto in alcuni fatti.
Mai contemporanei di testimonianza più gravee siciliani e
straniericandidissimo alcunosegnalato tra tutti Saba Malaspina
chepur marcio guelfoe segretario di papa Martinoe informato
meglioche niun altro de' casi di Siciliadicono al più di vaghi
disegnidi Pietro; della cospirazione con siciliani non fan motto;
moltomanco de' congiurati raccolti in Palermo: e portan come
gl'insultide' francesi in quel dì e più la "mala signoriache sempre
accorai popoli soggettimosser Palermo": che è la sentenza del
sovrumanointelletto d'Italiacontemporaneodispensatore severissimo
dibiasimo ai partigiani suoi stessi. Né le scomuniche e iprocessi
deipapiné gli atti diplomatici susseguenti contengon l'accusadella
congiuramotrice immediata del Vespro; ma biasman Pietro d'aver preso
ilregno dalle mani de' ribellie averli sollecitati per messaggi
dopola rivoluzione. Concorre con l'autorità istorica la evidenza
dellecagioni necessarie d'altri fatti che son certi: Pietro non
essereuscito di Spagnané prontoallo scoppio della rivoluzione;in
questanessuno scrittore fa menzione del Procida; niuno de' maggiori
feudatariprimeggiar ne' tumultio nei governi che ne nacquero; la
repubblicanon il regno di Pietrogridarsie per cinque mesi
mantenersi;popolani tutti gli umori; Pietro passar dopo tre mesie
nonin Siciliama in Affrica; allorastringendo i periglii baroni
impadronitisidell'autoritàchiamarlo alfine al regno. Da questi e da
tuttigli altri particolarisi scorge essere stata la rivoluzione del
Vesproun movimento non preparatoe d'indole popolanasingolare
nellemonarchie dei secoli di mezzo. Se nobaroni che congiurano con
unree gridan repubblica; cospiratori che senza essere sforzati da
pericolodanno il segno quando non hanno in punto le forze; fazione
chevincee abbandona lo Stato ad uomini d'un ordine inferiore
sarebberoanomalie inesplicabilicontrarie alla natura umananon
visteal mondo giammai. Le varie narrazioni degli istoricie i
ricordidiplomatici leggonsi nell'appendice in fin di questo volume. A
mepar se ne raccolga: che Pietro macchinava: che i baroni indettati
conesso aizzavano forse il popoloma forti non si sentivano per
ancoe bilanciando e maturando forse non avrian mai fatto ciò chela
moltitudinesenza rifletterci compì. Il popol sapea che rimedio a'
suoimali ce n'era un solo; il popol era esarcerbato da' novelli
aggraviper l'impresa di Greciada' novelli vilipendi della settimana
innanzipasqua; Droetto colmò la tazza della vendetta; l'ignoto
uccisordi Droetto la riversò. Prontissimo il popol di Palermo di mano
ed'ingegnosi lanciò in un attimo a quell'esempioperchétutti
voleanoa un mododa parer congiura a mediocre conoscitoreche non
pensicome sendo disposti gli animiogni fortuito caso accende sì
egualeche trama od arte nol può. Que' che si fecer capi del popolo
allorapreser lo stato; ordinaronlo a comunecome gli umori loro
portavano;per la riputazione del successo il tennerofinché la
influenzade' baroni lentamente spiegossie il pericolo si fe'
maggiore.Allora la monarchia ristoravasi; allora esaltavan re Pietro;
alloraio dicooperava la congiuranel Vespro non già. Al
meravigliosoavvenimento poi tutto il mondo cercò una cagione
meravigliosadel pari: dopo breve tempoil fatto del Vespro e quel
dellavenuta di Pietro si rappiccarono: scorsi alquanti più anni
trapelavaqualche pratica anteriore: alcuno forse l'accrebbe
vantandosi.E nel reame di Napolie nell'Italia guelfae in Francia
conmaggiore studio si propalò quella voce della congiura; parendo
gittarbiasimo su i sicilianie all'angioino reggimento scemarne.
Cosìvia corrompendosi il fattosi passò dalla congiura di Procida
contre potentati a quelle strane favole della uccisione di tutti i
francesiin Sicilia in un dìanzi in un'ora; della cospirazione di
unaintera nazione per molti anni: non che non vereimpossibili cose.
L'ignoranzale difficili comunicazionila rarità delle cronachegli
animiinchinati sempre più al meraviglioso che al verodiffuseroanco
l'errorecome nei tempi nostriin condizioni materiali che son tutto
ilcontrarioavviene ancora. Gli istorici successivi copiaronsi l'un
altro;molti riferironosenza dar giudiziole due opinioni della
congiurae della sommossa spontanea. Tacendo qui gli altrinoterò
comeGibbon dubitòe solo perché fu ingannato da unanacronismo;
Voltairedella congiura si rise. Non è baldanza dunque se affidato in
tuttequeste ragioni e autoritàla espressata opinione iosostengo".