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DanteAlighieri

Convivio

TRATTATOI

CapitoloI

        Sì come dice lo Filosofo nel principio de la Prima Filosofiatutti li uomini naturalmente desiderano di sapere. La ragione di chepuote essere ed è che ciascuna cosada providenza di proprianatura impintaè inclinabile a la sua propria perfezione;ondeacciò che la scienza è ultima perfezione de lanostra animane la quale sta la nostra ultima felicitadetuttinaturalmente al suo desiderio semo subietti. Veramente da questanobilissima perfezione molti sono privati per diverse cagionichedentro a l'uomo e di fuori da esso lui rimovono da l'abito discienza. Dentro da l'uomo possono essere due difetti e impedimenti:l'uno da la parte del corpol'altro da la parte de l'anima. Da laparte del corpo è quando le parti sono indebitamente dispostesì che nulla ricevere puòsì come sono sordi emuti e loro simili. Da la parte de l'anima è quando la maliziavince in essasì che si fa seguitatrice di viziosedelettazionine le quali riceve tanto inganno che per quelle ognicosa tiene a vile. Di fuori da l'uomo possono essere similemente duecagioni intesel'una de le quali è induttrice di necessitadel'altra di pigrizia. La prima è la cura familiare e civilelaquale convenevolemente a sé tiene de li uomini lo maggiornumerosì che in ozio di speculazione esser non possono.L'altra è lo difetto del luogo dove la persona è nata enutritache tal ora sarà da ogni studio non solamenteprivatoma da gente studiosa lontano.
        Le due di queste cagionicioè la prima da la parte di dentroe la prima da la parte di fuorinon sono da vituperarema daescusare e di perdono degne; le due altreavvegna che l'una piùsono degne di biasimo e d'abominazione. Manifestamente adunque puòvedere chi bene considerache pochi rimangono quelli che a l'abitoda tutti desiderato possano perveniree innumerevoli quasi sono li'mpediti che di questo cibo sempre vivono affamati. Oh beati quellipochi che seggiono a quella mensa dove lo pane de li angeli simanuca! e miseri quelli che con le pecore hanno comune cibo! Ma peròche ciascuno uomo a ciascuno uomo naturalmente è amicoeciascuno amico si duole del difetto di colui ch'elli amacoloro chea così alta mensa sono cibati non sanza misericordia sonoinver di quelli che in bestiale pastura veggiono erba e ghiande sengire mangiando. E acciò che misericordia è madre dibeneficiosempre liberalmente coloro che sanno porgono de la lorobuona ricchezza a li veri poverie sono quasi fonte vivode la cuiacqua si refrigera la naturale sete che di sopra è nominata. Eio adunqueche non seggio a la beata mensamafuggito de lapastura del vulgoa' piedi di coloro che seggiono ricolgo di quelloche da loro cadee conosco la misera vita di quelli che dietro m'holasciatiper la dolcezza ch'io sento in quello che a poco a pocoricolgomisericordievolmente mossonon me dimenticandoper limiseri alcuna cosa ho riservatala quale a li occhi lorogiàè più tempoho dimostrata; e in ciò li ho fattimaggiormente vogliosi. Per che ora volendo loro apparecchiareintendo fare un generale convivio di ciò ch'i' ho loromostratoe di quello pane ch'è mestiere a così fattavivandasanza lo quale da loro non potrebbe esser mangiata. E questoè quello conviviodi quello pane degnocon tale vivanda qualio intendo indarno non essere ministrata. E però ad esso nons'assetti alcuno male de' suoi organi dispostoperò che nédenti né lingua ha né palato; né alcunosettatore di viziiperché lo stomaco suo è pienod'omori venenosi contrariisì che mai vivanda non terrebbe.Ma vegna qua qualunque è per cura familiare o civile ne laumana fame rimasoe ad una mensa con li altri simili impeditis'assetti; e a li loro piedi si pongano tutti quelli che per pigriziasi sono statiche non sono degni di più alto sedere: e quellie questi prendano la mia vivanda col paneche la farà loro egustare e patire. La vivanda di questo convivio sarà diquattordici maniere ordinatacioè quattordici canzoni sìd'amor come di vertù materiatele quali sanza lo presentepane aveano d'alcuna oscuritade ombrasì che a molti lorobellezza più che loro bontade era in grado. Ma questo panecioè la presente disposizionesarà la luce la qualeogni colore di loro sentenza farà parvente.
        E se ne la presente operala quale è Convivio nominata e vo'che siapiù virilmente si trattasse che ne la Vita Nuovanonintendo però a quella in parte alcuna derogaremamaggiormente giovare per questa quella; veggendo sì comeragionevolmente quella fervida e passionataquesta temperata evirile esser conviene. Ché altro si conviene e dire e operaread una etade che ad altra; perché certi costumi sono idonei elaudabili ad una etade che sono sconci e biasimevoli ad altrasìcome di sottonel quarto io in quella dinanzia l'entrata de la miagioventute parlaie in questa dipoiquella già trapassata. Econ ciò sia cosa che la vera intenzione mia fosse altra chequella che di fuori mostrano le canzoni predetteper allegoricaesposizione quelle intendo mostrareappresso la litterale istoriaragionata; sì che l'una ragione e l'altra darà sapore acoloro che a questa cena sono convitati. Li quali priego tutti che selo convivio non fosse tanto splendido quanto conviene a la sua gridache non al mio volere ma a la mia facultade imputino ogni difetto;però che la mia voglia di compita e cara liberalitate èqui seguace.

CapitoloII

        Nel cominciamento di ciascuno bene ordinato convivio sogliono lisergenti prendere lo pane appositoe quello purgare da ogni macula.Per che ioche ne la presente scrittura tengo luogo di quellidadue macule mondare intendo primieramente questa esposizioneche perpane si conta nel mio corredo. L'unaè che parlare alcuno dise medesimo pare non licito; l'altra èche parlare inesponendo troppo a fondo pare non ragionevole: e lo illicito e 'l nonragionevole lo coltello del mio giudicio purga in questa forma. Nonsi concede per li retorici alcuno di se medesimo sanza necessariacagione parlaree da ciò è l'uomo rimossoperchéparlare d'alcuno non si può che il parladore non lodi o nonbiasimi quelli di cui elli parla; le quali due cagioni rusticamentestannoa far dire di séne la bocca di ciascuno. E perlevare un dubbio che qui surgedico che peggio sta biasimare chelodareavvegna che l'uno e l'altro non sia da fare. La ragione èche qualunque cosa è per sé da biasimareè piùlaida che quella che è per accidente. Dispregiar se medesimo èper sé biasimevoleperò che a l'amico dee l'uomo losuo difetto contare strettamentee nullo è più amicoche l'uomo a sé; onde ne la camera de' suoi pensieri semedesimo riprender dee e piangere li suoi difettie non palese.Ancora: del non potere e del non sapere ben sé menare le piùvolte non è l'uomo vituperatoma del non volere èsempreperché nel volere e nel non volere nostro si giudicala malizia e la bontade; e però chi biasima se medesimoappruova sé conoscere lo suo difettoappruova sé nonessere buono: per cheper séè da lasciare di parlaresé biasimando. Lodare sé è da fuggire sìcome male per accidentein quanto lodare non si puòchequella loda non sia maggiormente vituperio. È loda ne la puntade le paroleè vituperio chi cerca loro nel ventre: chéle parole sono fatte per mostrare quello che non si saonde chi lodasé mostra che non creda essere buono tenuto; che non liincontra sanza maliziata conscienzala qualesé lodandodiscuopre ediscoprendosi biasima.
        E ancora la propria loda e lo proprio biasimo è da fuggire peruna ragione igualmentesì come falsa testimonianza fare; peròche non è uomo che sia di sé vero e giusto misuratoretanto la propria caritate ne 'nganna. Onde avviene che ciascuno hanel suo giudicio le misure del falso mercatanteche compera conl'una e vende con l'altra; e ciascuno con ampia misura cerca lo suomal fare e con piccola cerca lo bene; sì che 'l numero e laquantità e 'l peso del bene li pare più che se congiusta misura fosse saggiatoe quello del male meno. Per cheparlando di sé con loda o col contrarioo dice falso perrispetto a la cosa di che parla; o dice falso per rispetto a la suasentenzac'ha l'una e l'altra falsitate. E peròcon ciòsia cosa che lo consentire è uno confessarevillania fa chiloda o chi biasima dinanzi al viso alcunoperché néconsentire né negare puote lo così estimato sanzacadere in colpa di lodarsi o di biasimare: salva qui la via de ladebita correzioneche essere non può sanza improperio delfallo che correggere s'intende; e salva la via del debito onorare emagnificarela quale passar non si può sanza far menzione del'opere virtuoseo de le dignitadi virtuosamenteacquistate.
        Veramenteal principale intendimento tornandodicocome ètoccato di sopraper necessarie cagioni lo parlare di sé èconceduto: e intra l'altre necessarie cagioni due sono piùmanifeste. L'una è quando sanza ragionare di sé grandeinfamia o pericolo non si può cessare; e allora si concedeper la ragione che de li due sentieri prendere lo men reo èquasi prendere un buono. E questa necessitate mosse Boezio di semedesimo a parlareacciò che sotto pretesto di consolazioneescusasse la perpetuale infamia del suo essiliomostrando quelloessere ingiustopoi che altro escusatore non si levava. L'altra èquandoper ragionare di ségrandissima utilitade ne seguealtrui per via di dottrina; e questa ragione mosse Agustino ne le sueConfessioni a parlare di séché per lo processo de lasua vitalo quale fu di non buono in buonoe di buono in miglioree di migliore in ottimone diede essemplo e dottrinala quale persì vero testimonio ricevere non si potea. Per che se l'una el'altra di queste ragioni mi scusasufficientemente lo pane del mioformento è purgato de la prima sua macula. Movemi timored'infamiae movemi desiderio di dottrina dare la quale altriveramente dare non può. Temo la infamia di tanta passioneavere seguitaquanta concepe chi legge le sopra nominate canzoni inme avere segnoreggiata; la quale infamia si cessaper lo presente dime parlareinteramentelo quale mostra che non passione ma vertùsia stata la movente cagione. Intendo anche mostrare la vera sentenzadi quelleche per alcuno vedere non si può s'io non la contoperché è nascosa sotto figura d'allegoria: e questo nonsolamente darà diletto buono a udirema sottileammaestramento e a così parlare e a così intenderel'altrui scritture.

CapitoloIII

        Degna di molta riprensione è quella cosa cheordinata a torrealcuno difettoper se medesima quello induce; sì come quelliche fosse mandato a partire una rissa eprima che partisse quellane iniziasse un'altra. E però che lo mio pane è purgatoda una parteconvienlomi purgare da l'altraper fuggire questariprensioneche lo mio scrittoche quasi comento dir si puòè ordinato a levar lo difetto de le canzoni sopra detteedesso per sé ha forse in parte alcuna un poco duro. La qualdurezzaper fuggir maggiore difettonon per ignoranzaè quipensata. Ahipiaciuto fosse al dispensatore de l'universo che lacagione de la mia scusa mai non fosse stata! ché néaltri contra me avria fallatoné io sofferto avria penaingiustamentepenadicod'essilio e di povertate. Poi che fupiacere de li cittadini de la bellissima e famosissima figlia diRomaFiorenzadi gittarmi fuori del suo dolce seno - nel quale natoe nutrito fui in fino al colmo de la vita miae nel qualecon buonapace di quelladesidero con tutto lo cuore di riposare l'animostancato e terminare lo tempo che m'è dato -per le partiquasi tutte a le quali questa lingua si stendeperegrinoquasimendicandosono andatomostrando contra mia voglia la piaga de lafortunache suole ingiustamente al piagato molte volte essereimputata. Veramente io sono stato legno sanza vela e sanza governoportato a diversi porti e foci e liti dal vento secco che vapora ladolorosa povertade; e sono apparito a li occhi a molti che forsechéper alcuna fama in altra forma m'aveano imaginatonel conspetto de'quali non solamente mia persona invilìoma di minor pregio sifece ogni operasi già fattacome quella che fosse afare. La ragione per che ciò incontra - non pur in mema intutti - brievemente or qui piace toccare: e primaperché lastima oltre la veritade si sciampia; e poiperché lapresenzia oltre la veritade stringe. La fama buona principalmente ègenerata da la buona operazione ne la mente de l'amicoe da quella èprima partorita; ché la mente del nemicoavvegna che ricevalo semenon concepe. Quella mente che prima la partoriscesìper far più ornato lo suo presentesì per la caritadede l'amico che lo ricevenon si tiene a li termini del veromapassa quelli. E quando per ornare ciò che dice li passacontra conscienza parla; quando inganno di caritade li fa passarenon parla contra essa. La seconda mente che ciò ricevenonsolamente a la dilatazione de la prima sta contentama 'l suoriportamentosì come quasi suo effettoprocura d'adornare; esìche per questo fare e per lo 'nganno che riceve de lacaritade in lei generataquella più ampia fa che a lei nonvienee con concordia e con discordia di conscienza come la prima. Equesto fa la terza ricevitrice e la quartae così in infinitosi dilata. E cosìvolgendo le cagioni sopra dette ne lecontrariesi può vedere la ragione de la infamiachesimigliantemente si fa grande. Per che Virgilio dice nel quarto de loEneida che la Fama vive per essere mobilee acquista grandezza perandare. Apertamente adunque veder può chi vuole che la imagineper sola fama generata sempre è più ampiaquale cheessa siache non è la cosa imaginata nel vero stato.

CapitoloIV

        Mostrata ragione innanzi per che la fama dilata lo bene e lo maleoltre la vera quantitàresta in questo capitolo a mostrarquelle ragioni che fanno vedere perché la presenza ristringeper opposito; e mostrate quellesi verrà lievemente alprincipale propositocioè de la sopra notata scusa.
        Dico adunque che per tre cagioni la presenza fa la persona di menovalore ch'ella non è: l'una de le quali è puerizianondico d'etate ma d'animo; la seconda è invidia- e queste sonone lo giudicatore -; la terza è l'umana impuritadee questa ène lo giudicato. La prima si può brievemente cosìragionare. La maggiore parte de li uomini vivono secondo senso e nonsecondo ragionea guisa di pargoli; e questi cotali non conoscono lecose se non semplicemente di fuorie la loro bontadela quale adebito fine è ordinatanon veggionoper ciò che hannochiusi li occhi de la ragioneli quali passano a veder quello. Ondetosto veggiono tutto ciò che ponnoe giudicano secondo laloro veduta. E però che alcuna oppinione fanno ne l'altruifama per uditada la quale ne la presenza si discorda lo imperfettogiudicio che non secondo ragione ma secondo senso giudica solamentequasi menzogna reputano ciò che prima udito hannoedispregiano la persona prima pregiata. Onde appo costoroche sonoohmèquasi tuttila presenza ristringe l'una e l'altraqualitade. Questi cotali tosto sono vaghi e tosto sono saziispessosono lieti e spesso tristi di brievi dilettazioni e tristizietostoamici e tosto nemici; ogni cosa fanno come pargolisanza uso diragione. La seconda si vede per queste ragioni: che paritade ne liviziosi è cagione d'invidiae invidia è cagione di malgiudicioperò che non lascia la ragione argomentare per lacosa invidiatae la potenza giudicativa è allora quel giudiceche ode pur l'una parte. Onde quando questi cotali veggiono lapersona famosaincontanente sono invidiperò che veggiono asé pari membra e pari potenzae temonoper la eccellenza diquel cotalemeno esser pregiati. E questi non solamente passionatimal giudicanomadiffamandofanno a li altri mal giudicare; perche appo costoro la presenza ristringe lo bene e lo male in ciascunoappresentato: e dico lo maleperché moltidilettandosi ne lemale operazionihanno invidia a' mali operatori. La terza si èl'umana impuritadela quale si prende da la parte di colui ch'ègiudicatoe non è sanza familiaritade e conversazione alcuna.Ad evidenza di questaè da sapere che l'uomo è da piùparti maculatoecome dice Agustinonullo è sanza macula.Quando è l'uomo maculato d'una passionea la quale tal voltanon può resistere; quando è maculato d'alcuno disconciomembro; e quando è maculato d'alcuno colpo di fortuna; equando è maculato d'infamia di parenti o d'alcuno suoprossimo: le quali cose la fama non porta seco ma la presenzaediscuoprele per sua conversazione. E queste macule alcuna ombragittano sopra la chiarezza de la bontadesì che la fannoparere men chiara e men valente. E questo è quello per checiascuno profeta è meno onorato ne la sua patria; questo èquello per che l'uomo buono dee la sua presenza dare a pochi e lafamiliaritade dare a menoacciò che 'l nome suo sia ricevutoma non spregiato. E questa terza cagione può essere cosìnel male come nel benese le cose de la sua ragione si volganociascuna in suo contrario. Per che manifestamente si vede che perimpuritadesanza la quale non è alcunola presenza ristringelo bene e lo male in ciascuno più che 'l vero non vuole.
Ondecon ciò sia cosa checome detto è di sopraio mi siaquasi a tutti li Italici appresentatoper che fatto mi sono piùvile forse che 'l vero non vuole non solamente a quelli a li qualimia fama era già corsama eziandio a li altrionde le miecose sanza dubbio meco sono alleviate; conviemmi che con piùalto stilo deane la presente operaun poco di gravezzaper laquale paia di maggiore autoritade. E questa scusa basti a la fortezzadel mio comento.

CapitoloV

       Poi che purgato è questo pane da le macule accidentalirimanead escusare lui da una sustanzialecioè da l'essere vulgare enon latino; che per similitudine dire si può di biado e non difrumento. E da ciò brievemente lo scusano tre ragionichemossero me ad eleggere innanzi questo che l'altro: l'una si muove dacautela di disconvenevole ordinazione; l'altra da prontezza diliberalitade; la terza da lo naturale amore a propria loquela. Equeste cose per sue ragionia sodisfacimento di ciò cheriprendere si potesse per la notata ragioneintendo per ordineragionare in questa forma.
Quella cosa che più adorna ecommenda l'umana operazionee che più dirittamente a buonfine la menasi è l'abito di quelle disposizioni che sonoordinate a lo inteso fine; sì com'è ordinata al fine dela cavalleria franchezza d'animo e fortezza di corpo. E cosìcolui che è ordinato a l'altrui servigio dee avere quelledisposizioni che sono a quello fine ordinatesì comesubiezioneconoscenza e obedienzasanza le quali è ciascunodisordinato a ben servire; perchés'elli non èsubietto in ciascuna condizionesempre con fatica e con gravezzaprocede nel suo servigio e rade volte quello continua; e se elli nonè conoscente del bisogno del suo signore e a lui non èobedientenon serve mai se non a suo senno e a suo volereche èpiù servigio d'amico che di servo. Dunquea fuggire questadisordinazioneconviene questo comentoche è fatto invece diservo a le 'nfrascritte canzoniesser subietto a quelle in ciascunasua condizioneed essere conoscente del bisogno del suo signore e alui obediente. Le quali disposizioni tutte li mancavanose latino enon volgare fosse statopoi che le canzoni sono volgari. Chéprimamentenon era subietto ma sovranoe per nobilità e pervertù e per bellezza. Per nobilitàperché lolatino è perpetuo e non corruttibilee lo volgare ènon stabile e corruttibile. Onde vedemo ne le scritture antiche de lecomedie e tragedie latineche non si possono transmutarequellomedesimo che oggi avemo; che non avviene del volgarelo quale apiacimento artificiato si transmuta. Onde vedemo ne le cittadid'Italiase bene volemo agguardareda cinquanta anni in qua moltivocabuli essere spenti e nati e variati; onde se 'l picciol tempocosì transmutamolto più transmuta lo maggiore. Sìch'io dicoche se coloro che partiron d'esta vita già sonomille anni tornassero a le loro cittadicrederebbero la loro cittadeessere occupata da gente stranaper la lingua da loro discordante.Di questo si parlerà altrove più compiutamente in unolibello ch'io intendo di fareDio concedentedi VolgareEloquenza.
        Ancoranon era subietto ma sovrano per vertù. Ciascuna cosa èvirtuosa in sua natura che fa quello a che ella è ordinata; equanto meglio lo fa tanto è più virtuosa. Onde dicemouomo virtuoso che vive in vita contemplativa o attivaa le quali èordinato naturalmente; dicemo del cavallo virtuoso che corre forte emoltoa la qual cosa è ordinato; dicemo una spada virtuosache ben taglia le dure cosea che essa è ordinata. Cosìlo sermonelo quale è ordinato a manifestare lo concettoumanoè virtuoso quando quello fae più virtuosoquello che più lo fa; ondecon ciò sia cosa che lolatino molte cose manifesta concepute ne la mente che lo volgare farnon puòsì come sanno quelli che hanno l'uno e l'altrosermonepiù è la vertù sua che quella delvolgare.
         Ancoranon era subietto ma sovrano per bellezza. Quella cosa dice l'uomoessere bella cui le parti debitamente si rispondonoper che de laloro armonia resulta piacimento. Onde pare l'uomo essere belloquando le sue membra debitamente si rispondono; e dicemo bello locantoquando le voci di quellosecondo debito de l'artesono intrasé rispondenti. Dunque quello sermone è piùbello ne lo quale più debitamente si rispondono le parole; epiù debitamente si rispondono in latino che in volgareperòche lo volgare seguita usoe lo latino arte: onde concedesi esserpiù bellopiù virtuoso e più nobile. Per che siconchiude lo principale intendimentocioè che non sarebbestato subietto a le canzonima sovrano.

CapitoloVI

        Mostrato come lo presente comento non sarebbe stato subietto a lecanzoni volgari se fosse stato latinoresta a mostrare come nonsarebbe stato conoscentené obediente a quelle; e poi saràconchiuso come per cessare disconvenevoli disordinazioni fu mestierevolgarmente parlare. Dico che 'l latino non sarebbe stato servoconoscente al signore volgare per cotal ragione. La conoscenza delservo si richiede massimamente a due cose perfettamente conoscere.L'una si è la natura del signore: onde sono signori di sìasinina natura che comandano lo contrario di quello che voglionoealtri che sanza dire vogliono essere intesie altri che non voglionoche 'l servo si muova a fare quello ch'è mestiere se nolcomandano. E perché queste variazioni sono ne li uomini nonintendo al presente mostrareche troppo multiplicherebbe ladigressione; se non in tantoche dico in genere che cotali sonoquasi bestiea li quali la ragione fa poco prode. Ondese 'l servonon conosce la natura del suo signoremanifesto è cheperfettamente servire nol può. L'altra cosa èche siconviene conoscere al servoli amici del suo signorechéaltrimenti non li potrebbe onorare né serviree cosìnon servirebbe perfettamente lo suo signore; con ciò sia cosache li amici siano quasi parti d'un tuttoperò che 'l tuttoloro è uno volere e uno non volere.
        Né lo comento latino avrebbe avuta la conoscenza di questecoseche l'ha 'l volgare medesimo. Che lo latino non sia conoscentedel volgare e de' suoi amicicosì si pruova. Quelli checonosce alcuna cosa in generenon conosce quella perfettamente: sìcomese conosce da lungi uno animalenon conosce quelloperfettamenteperché non sa se s'è cane o lupo obecco. Lo latino conosce lo volgare in generema non distinto: chese esso lo conoscesse distintotutti li volgari conoscerebbeperchénon è ragione che l'uno più che l'altro conoscesse; ecosì in qualunque uomo fosse tutto l'abito del latinosarebbel'abito di conoscenza distinto de lo volgare. Ma questo non è;ché uno abituato di latino non distingues'elli èd'Italialo volgare inghilese da lo tedesco; né lo tedescolo volgare italico dal provenzale. Onde è manifesto che lolatino non è conoscente de lo volgare. Ancoranon èconoscente de' suoi amiciperò ch'è impossibileconoscere li amicinon conoscendo lo principale; ondese nonconosce lo latino lo volgarecome provato è di sopraimpossibile è a lui conoscere li suoi amici. Ancorasanzaconversazione o familiaritade impossibile è a conoscere liuomini: e lo latino non ha conversazione con tanti in alcuna linguacon quanti ha lo volgare di quellaal quale tutti sono amici; e perconsequente non può conoscere li amici del volgare. E non ècontradizione ciò che dire si potrebbeche lo latino purconversa con alquanti amici de lo volgare: ché però nonè familiare di tuttie così non è conoscente deli amici perfettamente; però che si richiede perfettaconoscenzae non difettiva.

CapitoloVII

        Provato che lo comento latino non sarebbe stato servo conoscentedirò come non sarebbe stato obediente. Obediente èquelli che ha la buona disposizione che si chiama obedienza. La veraobedienza conviene avere tre cosesanza le quali essere non può:vuole essere dolcee non amara; e comandata interamentee nonspontanea; e con misurae non dismisurata. Le quali tre cose eraimpossibile ad avere lo latino comentoe però era impossibilead essere obediente. Che a lo latino fosse stato impossibilecomedetto èsi manifesta per cotale ragione. Ciascuna cosa che daperverso ordine procede è laboriosae per consequente èamara e non dolcesì come dormire lo die e vegghiare lanottee andare indietro e non innanzi. Comandare lo subietto a losovrano procede da ordine perverso - ché ordine diritto èlo sovrano a lo subietto comandare -e così è amaroenon dolce. E però che a l'amaro comandamento èimpossibile dolcemente obedireimpossibile èquando losubietto comandala obedienza del sovrano essere dolce. Dunque se lolatino è sovrano del volgarecome di sopra per piùragioni è mostratoe le canzoniche sono in persona dicomandatoresono volgariimpossibile è la sua obedienzaesser dolce.
        Ancora: allora è la obedienza interamente comandata e da nullaparte spontaneaquando quello che fa chi fa obediendo non averebbefatto sanza comandamentoper suo volerené tutto néin parte. E però se a me fosse comandato di portare dueguarnacche in dossoe sanza comandamento io mi portasse l'unadicoche la mia obedienza non è interamente comandatama in partespontanea. E cotale sarebbe stata quella del comento latino; e perconsequente non sarebbe stata obedienza comandata interamente. Chefosse stata cotaleappare per questo: che lo latino sanza locomandamento di questo signore averebbe esposite molte parti de lasua sentenza - ed esponechi cerca bene le scritture latinamentescritte - che non lo fa lo volgare in parte alcuna.
Ancora: èl'obedienza con misurae non dismisurataquando al termine delcomandamento vae non più oltre; sì come la naturaparticulare è obediente a la universalequando fa trentaduedenti a l'uomoe non più né menoe quando fa cinquedita ne la manoe non più né meno; e l'uomo èobediente a la giustizia quando fa pagar lo debito de la penae nonpiù né meno che la giustizia comandaal peccatore. Néquesto averebbe fatto lo latinoma peccato averebbe non pur neldifettoe non pur nel soperchioma in ciascuno; e così nonsarebbe stata la sua obedienza misuratama dismisuratae perconsequente non sarebbe stato obediente. Che non fosse stato lolatino empitore del comandamento del suo signoree che ne fossestato soperchiatoreleggermente si può mostrare. Questosignorecioè queste canzonia le quali questo comento èper servo ordinatocomandano e vogliono essere esposte a tutticoloro a li quali puote venire sì lo loro intellettochequando parlano elle siano intese; e nessuno dubitache s'ellecomandassero a voceche questo non fosse lo loro comandamento. E lolatino non l'averebbe esposte se non a' litteratiché lialtri non l'averebbero inteso. Onde con ciò sia cosa che moltipiù siano quelli che desiderano intendere quelle non litteratiche litteratiseguitasi che non averebbe pieno lo suo comandamentocome 'l volgareche da li litterati e non litterati è inteso.Anchelo latino l'averebbe esposte a gente d'altra linguasìcome a Tedeschi e Inghilesi e altrie qui averebbe passato lo lorocomandamento; ché contra loro volerelargo parlando dicosarebbe essere esposta la loro sentenza colà dov'elle non lapotessero con la loro bellezza portare. E però sappia ciascunoche nulla cosa per legame musaico armonizzata si può de la sualoquela in altra transmutare sanza rompere tutta sua dolcezza earmonia. E questa è la cagione per che Omero non si mutòdi greco in latino come l'altre scritture che avemo da loro. E questaè la cagione per che li versi del Salterio sono sanza dolcezzadi musica e d'armonia; ché essi furono transmutati d'ebreo ingreco e di greco in latinoe ne la prima transmutazione tutta quelladolcezza venne meno. E così è conchiuso ciò chesi promise nel principio del capitolo dinanzi a questoimmediate.

Capitolo VIII

        Quando è mostrato per le suficienti ragioni comeper cessaredisconvenevoli disordinamenticonverrebbea le nominate canzoniaprire e mostrarecomento volgare e non latinomostrare intendocome ancora pronta liberalitate mi fece questo eleggere e l'altrolasciare. Puotesi adunque la pronta liberalitate in tre cose notarele quali seguitano questo volgaree lo latino non averebberoseguitato. La prima è dare a molti; la seconda è dareutili cose; la terza èsanza essere domandato lo donodarequello. Ché dare a uno e giovare a uno è bene; ma darea molti e giovare a molti è pronto benein quanto prendesimiglianza da li benefici di Dioche è universalissimobenefattore. E ancoradare a molti è impossibile sanza dare aunoacciò che uno in molti sia inchiuso; ma dare a uno si puòbenesanza dare a molti. Però chi giova a molti fa l'uno benee l'altro; chi giova a unofa pur un bene: onde vedemo li ponitoride le leggi massimamente pur a li più comuni beni tenereconfissi li occhiquelle componendo. Ancoradare cose non utili alprenditore pure è benein quanto colui che dà mostraalmeno sé essere amico; ma non è perfetto benee cosìnon è pronto: come quando uno cavaliere donasse ad uno medicouno scudoe quando uno medico donasse a uno cavaliere scritti liAphorismi d'Ipocràsovvero li Tegni di Galieno. Per che lisavi dicono che la faccia del dono dee essere simigliante a quelladel ricevitorecioè a dire che si convegna con luie che siautile: e in quello è detta pronta liberalitade di colui checosì dicerne donando. Ma però che li moraliragionamenti sogliono dare desiderio di vedere l'origine lorobrievemente in questo capitolo intendo mostrare quattro ragioni perche di necessitade lo donoacciò che in quello sia prontaliberalitadeconviene essere utile a chi riceve.
        Primamenteperò che la vertù dee essere lietae nontrista in alcuna sua operazione; onde se 'l dono non è lietonel dare e nel riceverenon è in esso perfetta vertùnon è pronta. Questa letizia non può dare altro cheutilitadeche rimane nel datore per lo daree che viene nelricevitore per ricevere. Nel datore adunque dee essere la providenzain far sì che de la sua parte rimagna l'utilitade del'onestatech'è sopra ogni utilitadee far sì che alo ricevitore vada l'utilitade de l'uso de la cosa donata; e cosìsarà l'uno e l'altro lietoe per consequente sarà piùpronta la liberalitade. Secondamenteperò che la vertùdee muovere le cose sempre al migliore. Ché così comesarebbe biasimevole operazione fare una zappa d'una bella spada ofare un bel nappo d'una bella chitarracosì èbiasimevole muover la cosa d'un luogo dove sia utile e portarla inparte dove sia meno utile. E però che biasimevole èinvano adoperarebiasimevole è non solamente a porre la cosain parte dove sia meno utilema eziandio in parte ove sia igualmenteutile. Ondeacciò che sia laudabile lo mutare de le coseconviene sempre essere al miglioreper ciò che deemassimamente essere laudabile: e questo non si può fare neldono se 'l dono per transmutazione non viene più caro; népiù caro può venirese esso non è piùutile ad usare al ricevitore che al datore. Per che si conchiude che'l dono conviene essere utile a chi lo riceveacciò che siain esso pronta liberalitade. Terziamenteperò che laoperazione de la vertù per sé dee essere acquistatriced'amici; con ciò sia cosa che la nostra vita di quelloabbisognie lo fine de la vertù sia la nostra vita esserecontenta. Onde acciò che 'l dono faccia lo ricevitore amicoconviene a lui essere utileperò che l'utilitade sigilla lamemoria de la imagine del donola quale è nutrimento del'amistade; e tanto più fortequanto essa è migliore.Onde suole dire Martino: "Non caderà de la mia mente lodono che mi fece Giovanni". Per cheacciò che nel donosia la sua vertùla quale è liberalitadee che essasia prontaconviene essere utile a chi riceve. Ultimamenteperòche la vertù dee avere atto libero e non sforzato. Atto liberoè quando una persona va volentieri ad alcuna parteche simostra nel tener volto lo viso in quella; atto sforzato èquando contra voglia si vache si mostra in non guardare ne la partedove si va. E allora sì guarda lo dono a quella partequandosi dirizza al bisogno de lo ricevente. E però che dirizzarsiad esso non si può se non sia utileconvieneacciòche sia con atto libero la vertùessere utile lo dono a laparte ov'elli vaech'è lo ricevitore; e per consequenteconviene essere ne lo dono l'utilità de lo ricevitoreacciòche quinci sia pronta liberalitade.
        La terza cosane la quale si può notare la prontaliberalitadesi è dare non domandato: acciò che 'ldomandato è da una parte non vertù ma mercatantiaperòche lo ricevitore comperatutto che 'l datore non venda. Per chedice Seneca che "nulla cosa più cara si compera chequella dove i prieghi si spendono". Onde acciò che neldono sia pronta liberalitade e che essa si possa in esso notareallorase conviene esser netto d'ogni atto di mercatantiaconvieneesser lo dono non domandato. Perché sì caro costaquello che si prieganon intendo qui ragionareperchésufficientemente si ragionerà ne l'ultimo trattato di questolibro.

CapitoloIX

        Da tutte le tre sopra notate condizioniche con vegnono concorrereacciò che sia nel beneficio la pronta liberalitadeera locomento latino lontanoe lo volgare è con quellesìcome si può manifestamente così contare. Non avrebbe lolatino così servito a molti: ché se noi reducemo amemoria quello che di sovra è ragionatoli litterati fuori dilingua italica non averebbono potuto avere questo servigioe quellidi questa linguase noi volemo bene vedere chi sonotroveremo chede' mille l'uno ragionevolmente non sarebbe stato servito; peròche non l'averebbero ricevutotanto sono pronti ad avarizia che daogni nobilitade d'animo li rimuovela quale massimamente desideraquesto cibo. E a vituperio di loro dico che non si deono chiamarelitteratiperò che non acquistano la lettera per lo suo usoma in quanto per quella guadagnano denari o dignitate; sì comenon si dee chiamare citarista chi tiene la cetera in casa perprestarla per prezzoe non per usarla per sonare. Tornando dunque alprincipale propositodico che manifestamente si può vederecome lo latino averebbe a pochi dato lo suo beneficioma lo volgareservirà veramente a molti. Ché la bontà del'animola quale questo servigio attendeè in coloro che permalvagia disusanza del mondo hanno lasciata la litteratura a coloroche l'hanno fatta di donna meretrice; e questi nobili sono principibaronicavalierie molt'altra nobile gentenon solamente maschi mafemmineche sono molti e molte in questa linguavolgari e nonlitterati.
        Ancoranon sarebbe lo latino stato datore d'utile donoche saràlo volgare. Però che nulla cosa è utilese non inquanto è usatané è la sua bontade in potenzache non è essere perfettamente; sì come l'orolemargarite e li altri tesori che sono sotterrati...; però chequelli che sono a mano de l'avaro sono in più basso loco chenon è la terra là dove lo tesoro è nascosto. Lodono veramente di questo comento è la sentenza de le canzoni ale quali fatto èla qual massimamente intende inducere liuomini a scienza e a vertùsì come si vedrà perlo pelago del loro trattato. Questa sentenza non possono non avere inuso quelli ne li quali vera nobilità è seminata per lomodo che si dirà nel quarto trattato; e questi sono quasitutti volgarisì come sono quelli nobili che di soprainquesto capitolosono nominati. E non ha contradizione perchéalcuno litterato sia di quelli; chésì come dice ilmio maestro Aristotile nel primo de l'Etica"una rondine non faprimavera". È adunque manifesto che lo volgare daràcosa utilee lo latino non l'averebbe data.
        Ancoradarà lo volgare dono non dimandatoche non l'averebbedato lo latino: però che darà se medesimo per comentoche mai non fu domandato da persona; e questo non si può direde lo latinoche per comento e per chiose a molte scritture ègià stato domandatosì come ne' loro principii si puòvedere apertamente in molte. E così è manifesto chepronta liberalitade mi mosse al volgare anzi che a lo latino.

CapitoloIX

       Da tutte le tre sopra notate condizioniche con vegnono concorrereacciò che sia nel beneficio la pronta liberalitadeera locomento latino lontanoe lo volgare è con quellesìcome si può manifestamente così contare. Non avrebbe lolatino così servito a molti: ché se noi reducemo amemoria quello che di sovra è ragionatoli litterati fuori dilingua italica non averebbono potuto avere questo servigioe quellidi questa linguase noi volemo bene vedere chi sonotroveremo chede' mille l'uno ragionevolmente non sarebbe stato servito; peròche non l'averebbero ricevutotanto sono pronti ad avarizia che daogni nobilitade d'animo li rimuovela quale massimamente desideraquesto cibo. E a vituperio di loro dico che non si deono chiamarelitteratiperò che non acquistano la lettera per lo suo usoma in quanto per quella guadagnano denari o dignitate; sì comenon si dee chiamare citarista chi tiene la cetera in casa perprestarla per prezzoe non per usarla per sonare. Tornando dunque alprincipale propositodico che manifestamente si può vederecome lo latino averebbe a pochi dato lo suo beneficioma lo volgareservirà veramente a molti. Ché la bontà del'animola quale questo servigio attendeè in coloro che permalvagia disusanza del mondo hanno lasciata la litteratura a coloroche l'hanno fatta di donna meretrice; e questi nobili sono principibaronicavalierie molt'altra nobile gentenon solamente maschi mafemmineche sono molti e molte in questa linguavolgari e nonlitterati.
        Ancoranon sarebbe lo latino stato datore d'utile donoche saràlo volgare. Però che nulla cosa è utilese non inquanto è usatané è la sua bontade in potenzache non è essere perfettamente; sì come l'orolemargarite e li altri tesori che sono sotterrati...; però chequelli che sono a mano de l'avaro sono in più basso loco chenon è la terra là dove lo tesoro è nascosto. Lodono veramente di questo comento è la sentenza de le canzoni ale quali fatto èla qual massimamente intende inducere liuomini a scienza e a vertùsì come si vedrà perlo pelago del loro trattato. Questa sentenza non possono non avere inuso quelli ne li quali vera nobilità è seminata per lomodo che si dirà nel quarto trattato; e questi sono quasitutti volgarisì come sono quelli nobili che di soprainquesto capitolosono nominati. E non ha contradizione perchéalcuno litterato sia di quelli; chésì come dice ilmio maestro Aristotile nel primo de l'Etica"una rondine non faprimavera". È adunque manifesto che lo volgare daràcosa utilee lo latino non l'averebbe data.
        Ancoradarà lo volgare dono non dimandatoche non l'averebbedato lo latino: però che darà se medesimo per comentoche mai non fu domandato da persona; e questo non si può direde lo latinoche per comento e per chiose a molte scritture ègià stato domandatosì come ne' loro principii si puòvedere apertamente in molte. E così è manifesto chepronta liberalitade mi mosse al volgare anzi che a lo latino.

CapitoloX

        Grande vuole essere la scusaquando a così nobile convivioper le sue vivandea così onorevole per li suoi convitatis'appone pane di biado e non di frumento; e vuole essere evidenteragione che partire faccia l'uomo da quello che per li altri èstato servato lungamentesì come di comentare con latino. Eperò vuole essere manifesta la ragioneche de le nuove coselo fine non è certo; acciò che la esperienza non èmai avuta onde le cose usate e servate sono e nel processo e nel finecommisurate. Però si mosse la Ragione a comandare che l'uomoavesse diligente riguardo ad entrare nel nuovo camminodicendo che"ne lo statuire le nuove cose evidente ragione dee essere quellache partire ne faccia da quello che lungamente è usato".Non si maravigli dunque alcuno se lunga è la digressione de lamia scusamasì come necessariala sua lunghezza pazientesostenga. La quale proseguendodico che - poi ch'è manifestocome per cessare disconvenevole disordinazione e come per prontezzadi liberalitade io mi mossi al volgare comento e lasciai lo latino -l'ordine de la intera scusa vuole ch'io mostri come a ciò mimossi per lo naturale amore de la propria loquela; che è laterza e l'ultima ragione che a ciò mi mosse. Dico che lonaturale amore principalmente muove l'amatore a tre cose: l'una si èa magnificare l'amato; l'altra è ad esser geloso di quello;l'altra è a difendere luisì come ciascuno puòvedere continuamente avvenire. E queste tre cose mi fecero prendereluicioè lo nostro volgarelo qual naturalmente eaccidentalmente amo e ho amato. Mossimi prima per magnificare lui. Eche in ciò io lo magnificoper questa ragione vedere si può;avvegna che per molte condizioni di grandezze le cose si possonomagnificarecioè fare grandie nulla fa tanto grande quantola grandezza de la propia bontadela quale è madre econservatrice de l'altre grandezze; onde nulla grandezza puote averel'uomo maggiore che quella de la virtuosa operazioneche èsua propia bontadeper la quale le grandezze de le vere dignitadide li veri onoride le vere potenzede le vere ricchezzede liveri amicide la vera e chiara famae acquistate e conservate sono:e questa grandezza do io a questo amicoin quanto quello elli dibontade avea in podere e occultoio lo fo avere in atto e palese nela sua propria operazioneche è manifestare conceputasentenza.
         Mossimisecondamente per gelosia di lui. La gelosia de l'amico fa l'uomosollicito a lunga provedenza. Onde pensando che lo desideriod'intendere queste canzonia alcuno illitterato avrebbe fatto locomento latino transmutare in volgaree temendo che 'l volgare nonfosse stato posto per alcuno che l'avesse laido fatto parerecomefece quelli che transmutò lo latino de l'Etica - ciò fuTaddeo ipocratista -providi a ponere luifidandomi di me di piùche d'un altro. Mossimi ancora per difendere lui da molti suoiaccusatorili quali dispregiano esso e commendano li altrimassimamente quello di lingua d'ocodicendo che è piùbello e migliore quello che questo; partendose in ciò da laveritade. Ché per questo comento la gran bontade del volgaredi sì si vedrà; però che si vedrà la suavertùsì com'è per esso altissimi e novissimiconcetti convenevolementesufficientemente e acconciamentequasicome per esso latinomanifestare; la quale non si potea benemanifestare ne le cose rimateper le accidentali adornezze che quivisono connessecioè la rima e lo ritimo e lo numero regolato:sì come non si può bene manifestare la bellezza d'unadonnaquando li adornamenti de l'azzimare e de le vestimenta lafanno più ammirare che essa medesima. Onde chi vuole bengiudicare d'una donnaguardi quella quando solo sua naturalebellezza si sta con leida tutto accidentale adornamentodiscompagnata: sì come sarà questo comentonel qualesi vedrà l'agevolezza de le sue sillabele proprietadi de lesue costruzioni e le soavi orazioni che di lui si fanno; le quali chibene agguarderàvedrà essere piene di dolcissima ed'amabilissima bellezza. Ma però che virtuosissimo è nela 'ntenzione mostrare lo difetto e la malizia de lo accusatorediròa confusione di coloro che accusano la italica loquelaperché a ciò fare si muovono; e di ciò faròal presente speziale capitoloperché più notevole siala loro infamia.

CapitoloXI

        A perpetuale infamia e depressione de li malvagi uomini d'Italia checommendano lo volgare altrui e lo loro proprio dispregianodico chela loro mossa viene da cinque abominevoli cagioni. La prima ècechitade di discrezione; la secondamaliziata escusazione; laterzacupidità di vanagloria; la quartaargomento d'invidia;la quinta e ultimaviltà d'animocioè pusillanimità.E ciascuna di queste retadi ha sì grande settache pochi sonoquelli che siano da esse liberi.
        De la prima si può così ragionare. Sì come laparte sensitiva de l'anima ha suoi occhicon li quali apprende ladifferenza de le cose in quanto elle sono di fuori coloratecosìla parte razionale ha suo occhiocon lo quale apprende la differenzade le cose in quanto sono ad alcuno fine ordinate: e questa èla discrezione. E sì come colui che è cieco de li occhisensibili va sempre secondo che li altri il guidanoo male o benecosì colui che è cieco del lume de la discrezionesempre va nel suo giudicio secondo il gridoo diritto o falso; ondequalunque ora lo guidatore è ciecoconviene che esso equelloanche ciecoch'a lui s'appoggia vegnano a mal fine. Peròè scritto che "'l cieco al cieco farà guidaecosì cadranno ambedue ne la fossa". Questa grida èstata lungamente contro a nostro volgareper le ragioni che di sottosi ragionerannoappresso di questa. E li ciechi sopra notatichesono quasi infiniticon la mano in su la spalla a questi mentitorisono caduti ne la fossa de la falsa oppinionede la quale uscire nonsanno. De l'abito di questa luce discretiva massimamente le popularipersone sono orbate; però cheoccupate dal principio de laloro vita ad alcuno mestieredirizzano sì l'animo loro aquello per forza de la necessitateche ad altro non intendono. Eperò che l'abito di vertudesì morale comeintellettualesubitamente avere non si puòma conviene cheper usanza s'acquistied ellino la loro usanza pongono in alcunaarte e a discernere l'altre cose non curanoimpossibile è aloro discrezione avere. Per che incontra che molte volte gridano Vivala loro mortee Muoia la loro vitapur che alcuno cominci; equest'è pericolosissimo difetto ne la loro cechitade. OndeBoezio giudica la populare gloria vanaperché la vede sanzadiscrezione. Questi sono da chiamare pecoree non uomini; chése una pecora si gittasse da una ripa di mille passitutte l'altrel'andrebbero dietro; e se una pecora per alcuna cagione al passared'una strada saltatutte l'altre saltanoeziandio nulla veggendo dasaltare. E io ne vidi già molte in uno pozzo saltare per unache dentro vi saltòforse credendo saltare uno murononostante che 'l pastorepiangendo e gridandocon le braccia e colpetto dinanzi a esse si parava.
        La seconda setta contra nostro volgare si fa per una maliziata scusa.Molti sono che amano più d'essere tenuti maestri che d'esseree per fuggir lo contrariocioè di non esser tenutisempredanno colpa a la materia de l'arte apparecchiatao vero a lostrumento; sì come lo mal fabbro biasima lo ferro appresentatoa luie lo malo citarista biasima la ceteracredendo dare la colpadel mal coltello e del mal sonare al ferro e a la ceterae levarla asé. Così sono alquantie non pochiche vogliono chel'uomo li tegna dicitori; e per scusarsi dal non dire o dal dire maleaccusano e incolpano la materiacioè lo volgare proprioecommendano l'altro lo quale non è loro richesto di fabbricare.E chi vuole vedere come questo ferro è da biasimareguardiche opere ne fanno li buoni arteficie conoscerà la maliziadi costoro chebiasimando luisé credono scusare. Contraquesti cotali grida Tullio nel principio d'un suo libro che si chiamaLibro di Fine de' Beniperò che al suo tempo biasimavano lolatino romano e commendavano la gramatica greca per simiglianticagioni che questi fanno vile lo parlare italico e prezioso quello diProvenza.
         Laterza setta contro nostro volgare si fa per cupiditate di vanagloria.Sono molti che per ritrarre cose poste in altrui lingua e commendarequellacredono più essere ammirati che ritraendo quelle de lasua. E sanza dubbio non è sanza loda d'ingegno apprendere benela lingua strana; ma biasimevole è commendare quella oltre ala veritàper farsi glorioso di tale acquisto.
        La quarta si fa da uno argomento d'invidia. Sì come èdetto di soprala invidia è sempre dove è alcunaparitade. Intra li uomini d'una lingua è la paritade delvolgare; e perché l'uno quella non sa usare come l'altronasce invidia. Lo invidioso poi argomentanon biasimando colui chedice di non saper direma biasima quello che è materia de lasua operaper torredispregiando l'opera da quella partea lui chedice onore e fama; sì come colui che biasimasse lo ferro d'unaspadanon per biasimo dare al ferroma a tutta l'opera delmaestro.
         Laquinta e ultima setta si muove da viltà d'animo. Sempre lomagnanimo si magnifica in suo cuoree così lo pusillanimoper contrariosempre si tiene meno che non è. E perchémagnificare e parvificare sempre hanno rispetto ad alcuna cosa percomparazione a la quale si fa lo magnanimo grande e lo pusillanimopiccoloavviene che 'l magnanimo sempre fa minori li altri che nonsonoe lo pusillanimo sempre maggiori. E però che con quellamisura che l'uomo misura se medesimomisura le sue coseche sonoquasi parte di se medesimoavviene che al magnanimo le sue cosesempre paiono migliori che non sonoe l'altrui men buone: lopusillanimo sempre le sue cose crede valere pocoe l'altrui assai;onde molti per questa viltade dispregiano lo proprio volgareel'altrui pregiano. E tutti questi cotali sono li abominevoli cattivid'Italia che hanno a vile questo prezioso volgarelo quales'èvile in alcuna cosanon è se non in quanto elli suona ne labocca meretrice di questi adulteri; a lo cui condutto vanno li ciechide li quali ne la prima cagione feci menzione.

CapitoloXII

        Se manifestamente per le finestre d'una casa uscisse fiamma di fuocoe alcuno dimandasse se là dentro fosse il fuocoe un altrorispondesse a lui di sìnon saprei bene giudicare qual dicostoro fosse da schernire di più. E non altrimenti sarebbefatta la dimanda e la risposta di colui e di meche mi domandasse seamore a la mia loquela propria è in me e io li rispondesse disìappresso le su proposte ragioni. Ma tuttaviae a mostrareche non solamente amore ma perfettissimo amore di quella è inmee a biasimare ancora li suoi avversarii ciò mostrando achi bene intenderàdirò come a lei fui fatto amicoepoi come l'amistà è confermata. Dico chesìcome vedere si può che scrive Tullio in quello De Amicitianon discordando da la sentenza del Filosofo aperta ne l'ottavo e nelnono de l'Eticanaturalmente la prossimitade e la bontade sonocagioni d'amore generative; lo beneficiolo studio e la consuetudinesono cagioni d'amore accrescitive. E tutte queste cagioni vi sonostate a generare e a confortare l'amore ch'io porto al mio volgaresì come brievemente io mosterrò.
        Tanto è la cosa più prossima quantodi tutte le cosedel suo generealtrui è più unita: onde di tutti liuomini lo figlio è più prossimo al padre; di tuttel'arti la medicina è la più prossima al medicoe lamusica al musicoperò che a loro sono più unite chel'altre; di tutta la terra è più prossima quella dovel'uomo tiene se medesimoperò che è ad esso piùunita. E così lo volgare è più prossimo quanto èpiù unitoche uno e solo è prima ne la mente chealcuno altroe che non solamente per sé è unitomaper accidentein quanto è congiunto con le piùprossime personesì come con li parenti e con li propricittadini e con la propria gente. E questo è lo volgareproprio; lo quale è non prossimoma massimamente prossimo aciascuno. Per chese la prossimitade è seme d'amistàcome detto è di sopramanifesto è ch'ella è dele cagioni stata de l'amore ch'io porto a la mia loquelache èa me prossima più che l'altre. La sopra detta cagionecioèd'essere più unito quello ch'è solo prima in tutta lamentemosse la consuetudine de la genteche fanno li primogenitisuccedere solamentesì come più propinqui e perchépiù propinquipiù amati.
        Ancorala bontade fece me a lei amico. E qui è da sapere cheogni bontade propria in alcuna cosaè amabile in quella: sìcome ne la maschiezza essere ben barbutoe nella femminezza essereben pulita di barba in tutta la faccia; sì come nel braccobene odoraree sì come nel veltro ben correre. E quanto ellaè più propriatanto ancora è piùamabile; ondeavvegna che ciascuna vertù sia amabile nel'uomoquella è più amabile in esso che è piùumanae questa è la giustiziala quale è solamente nela parte razionale o vero intellettualecioè ne la volontade.Questa è tanto amabilechesì come dice lo Filosofonel quinto de l'Eticali suoi nimici l'amanosì come sonoladroni e rubatori; e però vedemo che 'l suo contrariocioèla ingiustiziamassimamente è odiatasì come ètradimentoingratitudinefalsitadefurtorapinainganno e lorosimili. Li quali sono tanto inumani peccatiche ad iscusare séde l'infamia di quellisi concede da lunga usanza che uomo parli disésì come detto è di soprae possa dire séessere fedele e leale. Di questa vertù innanzi diceròpiù pienamente nel quartodecimo trattato; e qui lasciandotorno al proposito. Provato è adunque la bontà de lacosa più propria più essere amabile in quella; per chea mostrare quale in essa è più propriaè davedere quella che più in essa è amata e commendataequella è essa. E noi vedemo che in ciascuna cosa di sermone lobene manifestare del concetto sì è più amato ecommendato: dunque è questa la prima sua bontade. E con ciòsia cosa che questa sia nel nostro volgaresì comemanifestato è di sopra in altro capitolomanifesto èched ella è de le cagioni stata de l'amore ch'io porto adesso; poi chesì come detto èla bontade ècagione d'amore generativa.

CapitoloXIII

        Detto come ne la propria loquela sono quelle due cose per le quali iosono fatto a lei amicocioè prossimitade a me e bontàpropriadirò come per beneficio e concordia di studio e perbenivolenza di lunga consuetudine l'amistà è confermatae fatta grande.
        Dicoprimach'io per me ho da lei ricevuto dono di grandissimibenefici. E però è da sapere che intra tutti i beneficiè maggiore quello che più è prezioso a chiriceve; e nulla cosa è tanto preziosaquanto quella per laquale tutte l'altre si vogliono; e tutte l'altre cose si vogliono perla perfezione di colui che vuole. Onde con ciò sia cosa chedue perfezioni abbia l'uomouna prima e una seconda - la prima lo faesserela seconda lo fa essere buono -se la propria loquela m'èstata cagione e de l'una e de l'altragrandissimo beneficio da leiho ricevuto. E ch'ella sia stata a me d'essere cagionee ancora dibuono essere se per me non stessebrievemente si puòmostrare.
         Non èsecondo lo Filosofo impossibilesì come dice ne la Fisica allibro secondo a una cosa esser più cagioni efficientiavvegnache una sia massima de l'altre; onde lo fuoco e lo martello sonocagioni efficienti de lo coltelloavvegna che massimamente èil fabbro. Questo mio volgare fu congiugnitore de li miei generantiche con esso parlavanosì come 'l fuoco è disponitoredel ferro al fabbro che fa lo coltello; per che manifesto èlui essere concorso a la mia generazionee così essere alcunacagione del mio essere. Ancoraquesto mio volgare fu introduttore dime ne la via di scienzache è ultima perfezionein quantocon esso io entrai ne lo latino e con esso mi fu mostrato: lo qualelatino poi mi fu via a più innanzi andare. E così èpalesee per me conosciutoesso essere stato a me grandissimobenefattore.
        Ancheè stato meco d'uno medesimo studioe ciò possocosì mostrare. Ciascuna cosa studia naturalmente a la suaconservazione: ondese lo volgare per sé studiare potessestudierebbe a quella; e quella sarebbe acconciare sé a piùstabilitadee più stabilitade non potrebbe avere che in legarsé con numero e con rime. E questo medesimo studio èstato miosì come tanto è palese che non dimandatestimonianza. Per che uno medesimo studio è stato lo suo e 'lmio; per che di questa concordia l'amistà è confermatae accresciuta. Anche c'è stata la benivolenza de laconsuetudineché dal principio de la mia vita ho avuta conesso benivolenza e conversazionee usato quello diliberandointerpetrando e questionando. Per chese l'amistà s'accresceper la consuetudinesì come sensibilmente apparemanifesto èche essa in me massimamente è cresciutache sono con essovolgare tutto mio tempo usato. E così si vede essere a questaamistà concorse tutte le cagioni generative e accrescitive del'amistade: per che si conchiude che non solamente amoremaperfettissimo amore sia quello ch'io a lui debbo avere e ho.
        Così rivolgendo li occhi a dietroe raccogliendo le ragioniprenotatepuotesi vedere questo panecol quale si deono mangiare leinfrascritte canzoniessere sufficientemente purgato da le macule eda l'essere di biado; per che tempo è d'intendere a ministrarele vivande. Questo sarà quello pane orzato del quale sisatolleranno migliaiae a me ne soperchieranno le sporte piene.Questo sarà luce nuovasole nuovolo quale surgerà làdove l'usato tramonteràe darà lume a coloro che sonoin tenebre e in oscuritade per lo usato sole che a loro non luce.



<big>TRATTATOII</big>

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CanzonePrima

    Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete
Udite il ragionarch'è nel mio core
Ch'io nol so dire altruisìmi par novo.
El ciel che segue lo vostro valore
Gentilicreature che voi sete
Mi tragge ne lo stato ov'io mitrovo.
Onde 'l parlar de la vita ch'io provo
Par che sidrizzi degnamente a vui:
Però vi priego che lo mi'ntendiate.

    Io vi dirò del cor la novitate
Come l'anima tristapiange in lui
E come un spirto contra lei favella
Chevien pe' raggi de la vostra stella.
Suol esser vita de lo cordolente
Un soave penserche se ne gia
Molte fiate a' pièdel nostro Sire
Ove una donna gloriar vedia
Di cuiparlava me sì dolcemente
Che l'anima dicea: "Iomen vo' gire".

    Or apparisce chi lo fa fuggire
E segnoreggia me di talvirtute
Che 'l cor ne trema che di fuori appare.
Questimi face una donna guardare
E dice: "Chi veder vuol lasalute
Faccia che li occhi d'esta donna miri
Sed e' nonteme angoscia di sospiri".
Trova contraro tal che lodistrugge
L'umil penseroche parlar mi sole

    D'un'angela che 'n cielo è coronata.
L'anima piangesì ancor len dole
E dice: "Oh lassa a mecomesi fugge
Questo piatoso che m'ha consolata!"
De liocchi miei dice questa affannata:
"Qual ora fu che taldonna li vide!
E perché non credeano a me di lei?
Iodicea: "Ben ne li occhi di costei
De' star colui che lemie pari ancide!"

    E non mi valse ch'io ne fossi accorta
Che non mirasser talch'io ne son morta".
"Tu non se' mortama se'ismarrita
Anima nostrache sì ti lamenti"
Diceuno spiritel d'amor gentile;
"Ché quella belladonna che tu senti
Ha transmutata in tanto la tua vita
Chen'hai paurasì se' fatta vile!
Mira quant'ell'èpietosa e umile

    Saggia e cortese ne la sua grandezza
E pensa di chiamarladonnaomai!
Ché se tu non t'ingannitu vedrai
Disì alti miracoli adornezza
Che tu dirai: "Amorsegnor verace
Ecco l'ancella tua; fa che tipiace"".
Canzoneio credo che saranno radi
Colorche tua ragione intendan bene
Tanto la parli faticosa eforte.

    Ondese per ventura elli addivene
Che tu dinanzi da personevadi
Che non ti paian d'essa bene accorte
Allor ti priegoche ti riconforte
Dicendo lordiletta mia novella:
"Ponetemente almen com'io son bella!"

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CapitoloI

        Poi che proemialmente ragionandome ministroè lo mio panene lo precedente trattato con sufficienza preparatolo tempo chiamae domanda la mia nave uscir di porto; per chedirizzato l'artimonede la ragione a l'òra del mio desiderioentro in pelago conisperanza di dolce cammino e di salutevole porto e laudabile ne lafine de la mia cena. Ma però che più profittabile siaquesto mio ciboprima che vegna la prima vivanda voglio mostrarecome mangiare si dee.
        Dico chesì come nel primo capitolo è narratoquestasposizione conviene essere litterale e allegorica. E a ciòdare a intenderesi vuol sapere che le scritture si possonointendere e deonsi esponere massimamente per quattro sensi. L'uno sichiama litteralee questo è quello che non si stende piùoltre che la lettera de le parole fittiziesì come sono lefavole de li poeti. L'altro si chiama allegoricoe questo èquello che si nasconde sotto 'l manto di queste favoleed èuna veritade ascosa sotto bella menzogna: sì come quando diceOvidio che Orfeo facea con la cetera mansuete le fieree li arbori ele pietre a sé muovere; che vuol dire che lo savio uomo con lostrumento de la sua voce faria mansuescere e umiliare li crudelicuorie faria muovere a la sua volontade coloro che non hanno vitadi scienza e d'arte: e coloro che non hanno vita ragionevole alcunasono quasi come pietre. E perché questo nascondimento fossetrovato per li savinel penultimo trattato si mosterrà.Veramente li teologi questo senso prendono altrimenti che li poeti;ma però che mia intenzione è qui lo modo de li poetiseguitareprendo lo senso allegorico secondo che per li poeti èusato.
         Lo terzosenso si chiama moralee questo è quello che li lettori deonointentamente andare appostando per le scritturead utilitade di loroe di loro discenti: sì come appostare si può ne loEvangelioquando Cristo salio lo monte per transfigurarsiche de lidodici Apostoli menò seco li tre; in che moralmente si puòintendere che a le secretissime cose noi dovemo avere pocacompagnia.
         Loquarto senso si chiama anagogicocioè sovrasenso; e questo èquando spiritualmente si spone una scritturala quale ancora siavera eziandio nel senso litteraleper le cose significate significade le superne cose de l'etternal gloriasì come vedere si puòin quello canto del Profeta che dice chene l'uscita del popolod'Israel d'EgittoGiudea è fatta santa e libera. Chéavvegna essere vero secondo la lettera sia manifestonon meno èvero quello che spiritualmente s'intendecioè che ne l'uscitade l'anima dal peccatoessa sia fatta santa e libera in suapotestate. E in dimostrar questosempre lo litterale dee andareinnanzisì come quello ne la cui sentenza li altri sonoinchiusie sanza lo quale sarebbe impossibile ed inrazionaleintendere a li altrie massimamente a lo allegorico. Èimpossibileperò che in ciascuna cosa che ha dentro e difuoriè impossibile venire al dentro se prima non si viene aldi fuori: ondecon ciò sia cosa che ne le scritture lalitterale sentenza sia sempre lo di fuoriimpossibile èvenire a l'altremassimamente a l'allegoricasanza prima venire ala litterale. Ancoraè impossibile però che inciascuna cosanaturale ed artificialeè impossibileprocedere a la formasanza prima essere disposto lo subietto soprache la forma dee stare: sì come impossibile la forma de l'oroè venirese la materiacioè lo suo subiettonon èdigesta e apparecchiata; e la forma de l'arca venirese la materiacioè lo legnonon è prima disposta e apparecchiata.Onde con ciò sia cosa che la litterale sentenza sempre siasubietto e materia de l'altremassimamente de l'allegoricaimpossibile è prima venire a la conoscenza de l'altre che a lasua. Ancoraè impossibile però che in ciascuna cosanaturale ed artificialeè impossibile procederese prima nonè fatto lo fondamentosì come ne la casa e sìcome ne lo studiare: ondecon ciò sia cosa che 'l dimostraresia edificazione di scienzae la litterale dimostrazione siafondamento de l'altremassimamente de l'allegoricaimpossibile èa l'altre venire prima che a quella.
        Ancoraposto che possibile fossesarebbe inrazionalecioèfuori d'ordinee però con molta fatica e con molto errore siprocederebbe. Ondesì come dice lo Filosofo nel primo de laFisicala natura vuole che ordinatamente si proceda ne la nostraconoscenzacioè procedendo da quello che conoscemo meglio inquello che conoscemo non così bene: dico che la natura vuolein quanto questa via di conoscere è in noi naturalmenteinnata. E però se li altri sensi dal litterale sono menointesi - che sonosì come manifestamente pare -inrazionabile sarebbe procedere ad essi dimostrarese prima lolitterale non fosse dimostrato. Io adunqueper queste ragionituttavia sopra ciascuna canzone ragionerò prima la litteralesentenzae appresso di quella ragionerò la sua allegoriacioè la nascosa veritade; e talvolta de li altri sensitoccherò incidentementecome a luogo e a tempo si converrà.

CapitoloII

        Cominciando adunquedico che la stella di Venere due fiate rivoltaera in quello suo cerchio che la fa parere serotina e matutinasecondo diversi tempiappresso lo trapassamento di quella Beatricebeata che vive in cielo con li angeli e in terra con la mia animaquando quella gentile donnacui feci menzione ne la fine de la VitaNuovaparve primamenteaccompagnata d'Amorea li occhi miei eprese luogo alcuno ne la mia mente. E sì come èragionato per me ne lo allegato libellopiù da sua gentilezzache da mia elezione venne ch'io ad essere suo consentisse; chépassionata di tanta misericordia si dimostrava sopra la mia vedovatavitache li spiriti de li occhi miei a lei si fero massimamenteamici. E così fattidentro me lei poi fero taleche lo miobeneplacito fu contento a disposarsi a quella imagine. Ma peròche non subitamente nasce amore e fassi grande e viene perfettomavuole tempo alcuno e nutrimento di pensierimassimamente làdove sono pensieri contrari che lo 'mpediscanoconvenneprima chequesto nuovo amore fosse perfettomolta battaglia intra lo pensierodel suo nutrimento e quello che li era contrarolo quale per quellagloriosa Beatrice tenea ancora la rocca de la mia mente. Peròche l'uno era soccorso de la parte de la vista dinanzi continuamentee l'altro de la parte de la memoria di dietro. E lo soccorso dinanziciascuno die cresceache far non potea l'altrocontro quellochéimpediva in alcuno modo a dare indietro il volto; per che a me parvesì mirabilee anche duro a sofferireche io nol poteisostenere. E quasi esclamandoe per iscusare me de la varietade nela quale parea me avere manco di fortezzadirizzai la voce mia inquella parte onde procedeva la vittoria del nuovo pensieroch'eravirtuosissimo sì come vertù celestiale; e cominciai adire: Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete.
        A lo 'ntendimento de la quale canzone bene imprendereconviene primaconoscere le sue partisì che leggiero sarà poi lo suointendimento a vedere. Acciò che più non sia mestieredi predicere queste parole per le sposizioni de l'altredico chequesto ordineche in questo trattato si prenderàtenereintendo per tutti li altri.
        Adunque dico che la canzone proposta è contenuta da tre partiprincipali. La prima è lo primo verso di quella: ne la quales'inducono a udire ciò che dire intendo certe Intelligenzeovero per più usato modo volemo dire Angelile quali sono a larevoluzione del cielo di Veneresì come movitori di quello.La seconda è li tre versi che appresso del primo sono: ne laquale si manifesta quel che dentro spiritualmente si sentiva intra'diversi pensieri. La terza è lo quinto e l'ultimo verso: ne laquale sì vuole l'uomo parlare a l'opera medesimaquasi aconfortare quella. E queste tutte e tre partiper ordine sonocomeè detto di sopraa dimostrare.

CapitoloIII

        A più latinamente vedere la sentenza litteralea la quale oras'intendede la prima parte sopra divisaè da sapere chi equanti sono costoro che son chiamati a l'audienza miae quale èquesto terzo cielo lo quale dico loro muovere: e prima diròdel cielopoi dirò di loro a cu' io parlo. E avvegna chequelle coseper rispetto de la veritadeassai poco sapere sipossanoquel cotanto che l'umana ragione ne vede ha piùdilettazione che 'l molto e 'l certo de le cose de le quali sigiudica secondo lo sensosecondo la sentenza del Filosofo in quellode li Animali.
        Dico adunqueche del numero de li cieli e del sito diversamente èsentito da moltiavvegna che la veritade a l'ultimo sia trovata.Aristotile credetteseguitando solamente l'antica grossezza de liastrologiche fossero pure otto cielide li quali lo estremoe checontenesse tuttofosse quello dove le stelle fisse sonocioèla spera ottava; e che di fuori da esso non fosse altro alcuno.Ancora credette che lo cielo del Sole fosse immediato con quello dela Lunacioè secondo a noi. E questa sua sentenza cosìerronea può vedere chi vuole nel secondo De Celo et Mundoch'è nel secondo de' libri naturali. Veramente elli di ciòsi scusa nel duodecimo de la Metafisicadove mostra bene séavere seguito pur l'altrui sentenza là dove d'astrologia liconvenne parlare.
        Tolomeo poiaccorgendosi che l'ottava spera si movea per piùmovimentiveggendo lo cerchio suo partire da lo diritto cerchiochevolge tutto da oriente in occidentecostretto da li principii difilosofiache di necessitade vuole uno primo mobile semplicissimopuose un altro cielo essere fuori de lo Stellatolo quale facessequesta revoluzione da oriente in occidente: la quale dico che sicompie quasi in ventiquattro orecioè in ventitrè oree quattordici parti de le quindici d'un'altragrossamenteassegnando. Sì che secondo luisecondo quello che si tiene inastrologia ed in filosofia poi che quelli movimenti furon vedutisono nove cieli mobili; lo sito de li quali è manifesto editerminatosecondo che per un'arte che si chiama perspettivae perarismetrica e geometriasensibilmente e ragionevolmente èvedutoe per altre esperienze sensibili: sì come ne loeclipsi del sole appare sensibilmente la luna essere sotto lo sole esì come per testimonianza d'Aristotileche vide con li occhi(secondo che dice nel secondo De Celo et Mundo) la lunaessendonuovaentrare sotto a Marte da la parte non lucentee Marte starecelato tanto che rapparve da l'altra parte lucente de la lunach'eraverso occidente.
        Ed è l'ordine del sito questoche lo primo che numerano èquello dove è la Luna; lo secondo è quello dov'èMercurio; lo terzo è quello dov'è Venere; lo quarto èquello dove è lo Sole; lo quinto è quello di Marte; losesto è quello di Giove; lo settimo è quello diSaturno; l'ottavo è quello de le Stelle; lo nono èquello che non è sensibile se non per questo movimento che èdetto di sopra; lo quale chiamano molti Cristallinocioèdiafanoo vero tutto trasparente. Veramentefuori di tutti questili cattolici pongono lo cielo Empireoche è a dire cielo difiamma o vero luminoso; e pongono esso essere immobile per avere insésecondo ciascuna parteciò che la sua materiavuole. E questo è cagione al Primo Mobile per averevelocissimo movimento; ché per lo ferventissimo appetito ch'è'n ciascuna parte di quello nono cieloche è immediato aquellod'essere congiunta con ciascuna parte di quello divinissimociel quietoin quello si rivolve con tanto desiderioche la suavelocitade è quasi incomprensibile. E quieto e pacifico èlo luogo di quella somma Deitade che sola sé compiutamentevede. Questo loco è di spiriti beatisecondo che la SantaChiesa vuoleche non può dire menzogna; e Aristotile pare ciòsentirea chi bene lo 'ntendenel primo De Celo et Mundo. Questo èlo soprano edificio del mondonel quale tutto lo mondo s'inchiudeedi fuori dal quale nulla è; ed esso non è in luogo maformato fu solo ne la prima Mentela quale li Greci dicono Protonoè.Questa è quella magnificenza de la quale parlò ilSalmista quando dice a Dio: "Levata è la magnificenza tuasopra li cieli". E così ricogliendo ciò cheragionato èpare che diece cieli sianode li quali quello diVenere sia lo terzodel quale si fa menzione in quella parte chemostrare intendo.
        Ed è da sapere che ciascuno cielo di sotto al Cristallino hadue poli fermiquanto a sé; e lo nono li ha fermi e fissienon mutabili secondo alcuno respetto. E ciascunosì lo nonocome li altrihanno un cerchioche si può chiamare equatoredel suo cielo proprio; lo quale igualmente in ciascuna parte de lasua revoluzione è rimoto da l'uno polo e da l'altrocome puòsensibilmente vedere chi volge un pomoo altra cosa ritonda. Equesto cerchio ha più rattezza nel muovere che alcuna partedel suo cieloin ciascuno cielocome può vedere chi beneconsidera. E ciascuna partequant'ella più è presso adessotanto più rattamente si muove; quanto più n'èremota e più presso al polopiù è tardaperòche la sua revoluzione è minoree conviene essere in unomedesimo tempodi necessitadecon la maggiore. Dico ancorachequanto lo cielo più è presso al cerchio equatore tantoè più nobile per comparazione a li suoi poliperòche ha più movimento e più attualitade e piùvita e più formae più tocca di quello che èsopra sée per consequente più è virtuoso. Ondele stelle del Cielo Stellato sono più piene di vertùtra loro quanto più sono presso a questo cerchio.
        E in sul dosso di questo cerchionel cielo di Veneredel quale alpresente si trattaè una speretta che per se medesima in essocielo si volge; lo cerchio de la quale li astrologi chiamanoepiciclo. E sì come la grande spera due poli volgecosìquesta picciolae così ha questa picciola lo cerchioequatoree così è più nobile quanto èpiù presso di quello; e in su l'arcoo vero dossodi questocerchio è fissa la lucentissima stella di Venere. E avvegnache detto sia essere diece cieli secondo la stretta veritadequestonumero non li comprende tutti; ché questo di cui èfatta menzionecioè l'epiciclo nel quale è fissa lastellaè uno cielo per séo vero sperae non ha unaessenza con quello che 'l portaavvegna che più siaconnaturato ad esso che li altri; e con esso è chiamato unocieloe dinominasi l'uno e l'altro da la stella. Come li altri cielie l'altre stelle sianonon è al presente da trattare: basticiò che detto è de la veritade del terzo cielodelquale al presente intendo e del quale compiutamente è mostratoquello che al presente n'è mestiere.

CapitoloIV

        Poi ch'è mostrato nel precedente capitolo quale èquesto terzo cielo e come in se medesimo è dispostoresta didimostrare chi sono questi che 'l muovono. È adunque da sapereprimamente che li movitori di quelli sono sustanze separate damateriacioè intelligenzele quali la volgare gente chiamanoAngeli. E di queste creaturesì come de li cielidiversidiversamente hanno sentitoavvegna che la veritade sia trovata.Furono certi filosofide' quali pare essere Aristotile ne la suaMetafisica (avvegna che nel primo di Cielo incidentemente paiasentire altrimenti)che credettero solamente essere tante questequante circulazioni fossero ne li cielie non piùdicendoche l'altre sarebbero state etternalmente indarnosanza operazione;ch'era impossibilecon ciò sia cosa che loro essere sia lorooperazione. Altri furonosì come Platouomo eccellentissimoche puosero non solamente tante Intelligenze quanti sono li movimentidel cieloma eziandio quante sono le spezie de le cose (cioèle maniere de le cose): sì come è una spezie tutti liuominie un'altra tutto l'oroe un'altra tutte le larghezzee cosìdi tutte. E volsero che sì come le Intelligenze de li cielisono generatrici di quelliciascuna del suocosì questefossero generatrici de l'altre cose ed essempliciascuna de la suaspezie; e chiamale Plato a "idee"che tanto è adire quanto forme e nature universali. Li gentili le chiamano Dei eDeeavvegna che non così filosoficamente intendessero quellecome Platoe adoravano le loro imaginie faceano loro grandissimitempli: sì come a Giunola quale dissero dea di potenza; sìcome a Pallade o vero Minervala quale dissero dea di sapienza; sìcome a Vulcanolo quale dissero dio del fuocoed a Cererela qualedissero dea de la biada. Le quali cose e oppinioni manifesta latestimonianza de' poetiche ritraggono in parte alcuna lo modo de'gentili e ne li sacrifici e ne la loro fede; e anco si manifesta inmolti nomi antichi rimasi o per nomi o per sopranomi a lochi eantichi edificicome può bene ritrovare chi vuole.
        E avvegna che per ragione umana queste oppinioni di sopra fosserofornitee per esperienza non lievela veritade ancora per loroveduta non fue e per difetto di ragione e per difettod'ammaestramento; ché pur per ragione veder si può inmolto maggiore numero esser le creature sopra detteche non sono lieffetti che da li uomini si possono intendere. E l'una ragione èquesta. Nessuno dubitané filosofo né gentile négiudeo né cristiano né alcuna settach'elle non sianopiene di tutta beatitudineo tutte o la maggior partee che quellebeate non siano in perfettissimo stato. Ondecon ciò sia cosache quella che è qui l'umana natura non pur una beatitudineabbiama duesì com'è quella de la vita civileequella de la contemplativainrazionale sarebbe se noi vedemo quelleavere la beatitudine de la vita attivacioè civilenelgovernare del mondoe non avessero quella de la contemplativalaquale è più eccellente e più divina. E con ciòsia cosa che quella che ha la beatitudine del governare non possal'altra avereperché lo 'ntelletto loro è uno eperpetuoconviene essere altre fuori di questo ministerio chesolamente vivano speculando. E perché questa vita è piùdivinae quanto la cosa è più divina è piùdi Dio simigliantemanifesto è che questa vita è daDio più amata; e se ella è più amatapiùle è la sua beatanza stata larga; e se più l'èstata largapiù viventi le ha dato che a l'altrui. Per che siconchiude che troppo maggior numero sia quello di quelle creature cheli effetti non dimostrano. E non è contra quello che par direAristotile nel decimo de l'Eticache a le sustanze separate convegnapure la speculativa vita. Come pure la speculativa convegna loropure a la speculazione di certe segue la circulazione del cielocheè del mondo governo; lo quale è quasi una ordinatacivilitadeintesa ne la speculazione de li motori.
        L'altra ragione si è che nullo effetto è maggiore de lacagionepoi che la cagione non può dare quello che non ha;ond'ècon ciò sia cosa che lo divino intelletto siacagione di tuttomassimamente de lo 'ntelletto umanoche lo umanoquello non soperchiama da esso è improporzionalmentesoperchiato. Dunque se noiper le ragioni di sopra e per molt'altreintendiamo Iddio aver potuto fare innumerabili quasi creaturespiritualimanifesto è lui questo avere fatto maggiorenumero. Altre ragioni si possono vedere assaima queste bastino alpresente.
         Nési meravigli alcuno se queste e altre ragioni che di ciò averepotemonon sono del tutto dimostrate; che però medesimamentedovemo ammirare loro eccellenza - la quale soverchia gli occhi de lamente umanasì come dice lo Filosofo nel secondo de laMetafisica -e affermar loro essere. Poi che non avendo di loroalcuno senso (dal quale comincia la nostra conoscenza)purerisplende nel nostro intelletto alcuno lume de la vivacissima loroessenzain quanto vedemo le sopra dette ragionie molt'altre; sìcome afferma chi ha li occhi chiusi l'aere essere luminosoper unpoco di splendoreo vero raggiocome passa per le pupille delvispistrello: ché non altrimenti sono chiusi li nostri occhiintellettualimentre che l'anima è legata e incarcerata perli organi del nostro corpo.

CapitoloV

        Detto è che per difetto d'ammaestramento li antichi laveritade non videro de le creature spiritualiavvegna che quellopopolo d'Israel fosse in parte da li suoi profeti ammaestrato"neli qualiper molte maniere di parlare e per molti modiDio avealoro parlato"sì come l'Apostolo dice. Ma noi semo diciò ammaestrati da colui che venne da quelloda colui che lefeceda colui che le conservacioè da lo Imperatore del'universoche è Cristofigliuolo del sovrano Dio efigliuolo di Maria Verginefemmina veramente e figlia di Ioacchino ed'Adamo: uomo verolo quale fu morto da noiper che ci recòvita. "Lo qual fu luce che allumina noi ne le tenebre"sìcome dice Ioanni Evangelistae disse a noi la veritade di quellecose che noi sapere sanza lui non potavamoné vederveramente.
         Laprima cosa e lo primo secreto che ne mostròfu una de lecreature predette: ciò fu quello suo grande legato che venne aMariagiovinetta donzella di tredici annida parte del Sanatorcelestiale. Questo nostro Salvatore con la sua bocca disse che 'lPadre li potea dare molte legioni d'angeli; questi non negòquando detto li fu che 'l Padre avea comandato a li angeli che liministrassero e servissero. Per che manifesto è a noi quellecreature essere in lunghissimo numero; per che la sua sposa esecretaria Santa Ecclesia - de la quale dice Salomone: "Chi èquesta che ascende del disertopiena di quelle cose che dilettanoappoggiata sopra l'amico suo?" - dicecrede e predica quellenobilissime creature quasi innumerabili. E partele per tre gerarchieche è a dire tre principati santi o vero divinie ciascunagerarchia ha tre ordini; sì che nove ordini di creaturespirituali la Chiesa tiene e afferma. Lo primo è quello de liAngelilo secondo de li Arcangelilo terzo de li Troni; e questitre ordini fanno la prima gerarchia: non prima quanto a nobilitadenon a creazione (ché più sono l'altre nobili e tuttefurono insieme create)ma prima quanto al nostro salire a loroaltezza. Poi sono le Dominazioni; appresso le Virtuti; poi liPrincipati: e questi fanno la seconda gerarchia. Sopra questi sono lePotestati e li Cherubinie sopra tutti sono li Serafini: e questifanno la terza gerarchia. Ed è potissima ragione de la lorospeculazione e lo numero in che sono le gerarchie e quello in chesono li ordini. Ché con ciò sia cosa che la Maestàdivina sia in tre personeche hanno una sustanzadi loro si puotetriplicemente contemplare. Ché si può contemplare de lapotenza somma del Padre; la quale mira la prima gerarchiacioèquella che è prima per nobilitade e che ultima noiannoveriamo. E puotesi contemplare la somma sapienza del Figliuolo; equesta mira la seconda gerarchia. E puotesi contemplare la somma eferventissima caritade de lo Spirito Santo; e questa mira l'ultimagerarchiala qualepiù propinquaa noi porge de li doni cheessa riceve. E con ciò sia cosa che ciascuna persona ne ladivina Trinitade triplicemente si possa consideraresono in ciascunagerarchia tre ordini che diversamente contemplano. Puotesiconsiderare lo Padrenon avendo rispetto se non ad esso; e questacontemplazione fanno li Serafiniche veggiono più de la PrimaCagione che nulla angelica natura. Puotesi considerare lo Padresecondo che ha relazione al Figliocioè come da lui si partee come con lui sé unisce; e questo contemplano li Cherubini.Puotesi ancora considerare lo Padre secondo che da lui procede loSpirito Santoe come da lui si parte e come con lui séunisce; e questa contemplazione fanno le Potestadi. E per questo modosi puote speculare del Figlio e de lo Spirito Santo: per checonvengono essere nove maniere di spiriti contemplativia mirare nela luce che sola se medesima vede compiutamente.
        E non è qui da tacere una parola. Dico che di tutti questiordini si perderono alquanti tosto che furono creatiforse in numerode la decima parte; a la quale restaurare fu l'umana natura poicreata. Li numerili ordinile gerarchie narrano li cieli mobiliche sono novee lo decimo annunzia essa unitade e stabilitade diDio. E però dice lo Salmista: "Li cieli narrano la gloriadi Dioe l'opere de le sue mani annunzia lo fermamento". Perche ragionevole è credere che li movitori del cielo de la Lunasiano de l'ordine de li Angelie quelli di Mercurio siano liArcangelie quelli di Venere siano li Troni; li qualinaturati del'amore del Santo Spiritofanno la loro operazioneconnaturale adessicioè lo movimento di quello cielopieno d'amoredalquale prende la forma del detto cielo uno ardore virtuoso per loquale le anime di qua giuso s'accendono ad amoresecondo la lorodisposizione. E perché li antichi s'accorsero che quello cieloera qua giù cagione d'amoredissero Amore essere figlio diVeneresì come testimonia Vergilio nel primo de lo Eneidaove dice Venere ad Amore: "Figliovertù miafiglio delsommo padreche li dardi di Tifeo non curi"; e Ovidionelquinto di Metamorphoseosquando dice che Venere disse ad Amore:"Figlioarmi miepotenzia mia". E sono questi Tronicheal governo di questo cielo sono dispensatiin numero non grandedelo quale per li filosofi e per li astrologi diversamente èsentitosecondo che diversamente sentiro de le sue circulazioni;avvegna che tutti siano accordati in questoche tanti sono quantimovimenti esso fae. Li qualisecondo che nel libro de l'Aggregazionide le Stelle epilogato si truova da la migliore dimostrazione de liastrologisono tre: unosecondo che la stella si muove per lo suoepiciclo; l'altrosecondo che lo epiciclo si muove con tutto ilcielo igualmente con quello del Sole; lo terzosecondo che tuttoquello cielo si muove seguendo lo movimento de la stellata speradaoccidente a orientein cento anni uno grado. Sì che a questitre movimenti sono tre movitori. Ancora si muove tutto questo cielo erivolgesi con lo epiciclo da oriente in occidenteogni dìnaturale una fiata: lo qual movimentose esso è da intellettoalcunoo se esso è da la rapina del Primo MobileDio lo sa;che a me pare presuntuoso a giudicare. Questi movitori muovonosolointendendola circulazione in quello subietto propio che ciascunomuove. La forma nobilissima del cieloche ha in sé principiodi questa natura passivagiratoccata da vertù motrice chequesto intende: e dico toccatanon corporalmenteper tatto di vertùla quale si dirizza in quello. E questi movitori sono quelli a liquali s'intende di parlareed a cui io fo mia dimanda.

CapitoloVI

        Secondo che di sopranel terzo capitolo di questo trattatosidissech'a bene intendere la prima parte de la proposta canzoneconvenia ragionare di quelli cieli e de li loro motorine li treprecedenti capitoli è ragionato. Dico adunque a quelli ch'iomostrai sono movitori del cielo di Venere: O voi che 'ntendendo- cioè con lo intelletto solocome detto è di sopra-lo terzo cielo moveteUdite il ragionare; e non dico uditeperch'elli odano alcuno suonoch'elli non hanno sensoma dicouditecioè con quello udire ch'elli hannoch'èintendere per intelletto. Dico: Udite il ragionar lo quale ènel mio core: cioè dentro da meché ancora non èdi fuori apparito. E da sapere è che in tutta questa canzonesecondo l'uno senso e l'altrolo "core" si prende per losecreto dentroe non per altra spezial parte de l'anima e delcorpo.
         Poi li hochiamati ad udire quello ch'io voglioassegno due ragioni per che ioconvenevolemente deggio loro parlare. L'una si è la novitadede la mia condizionela qualeper non essere da li altri uominiespertanon sarebbe così da loro intesa come da coloro che'ntendono li loro effetti ne la loro operazione; e questa ragionetocco quando dico: Ch'io nol so dire altruisì mi parnovo. L'altra ragione è: quand'uomo riceve beneficioovero ingiuriaprima de' quello retraere a chi liele fase puòche ad altri; acciò che se ello è beneficioesso chelo riceve si mostri conoscente inver lo benefattore; e s'ella èingiuriainduca lo fattore a buona misericordia con le dolci parole.E questa ragione toccoquando dico: El ciel che segue lo vostrovaloreGentili creature che voi seteMi tragge ne lo stato ov'io mitrovo. Ciò è a dire: l'operazione vostracioèla vostra circulazioneè quella che m'ha tratto ne lapresente condizione. Però conchiudo e dico che 'l mio parlarea loro dee esseresì come detto è; e questo dico qui:Onde 'l parlar de la vita ch'io provoPar che si drizzidegnamente a vui. E dopo queste ragioni assegnatepriego loro delo 'ntendere quando dico: Però vi priego che li mi'ntendiate. Ma però che in ciascuna maniera di sermone lodicitore massimamente dee intendere a la persuasionecioè al'abbellirede l'audienzasì come a quella ch'èprincipio di tutte l'altre persuasionicome li rettorici sanno; epotentissima persuasione siaa rendere l'uditore attentoprometteredi dire nuove e grandissime cose; seguito ioa la preghiera fatta del'audienzaquesta persuasionecioèdicoabbellimentoannunziando loro la mia intenzionela quale è di dire nuovecosecioè la divisione ch'è ne la mia animae grandicosecioè lo valore de la loro stella. E questo dico inquelle ultime parole di questa prima parte: Io vi dirò del corla novitateCome l'anima trista piange in luiE come un spirtocontra lei favellaChe vien pe' raggi de la vostra stella.
        E a pieno intendimento di queste paroledico che questo spirito nonè altro che uno frequente pensiero a questa nuova donnacommendare e abbellire; e questa anima non è altro che unaltro pensiero accompagnato di consentimentocherepugnando aquestocommenda e abbellisce la memoria di quella gloriosa Beatrice.Ma però che ancora l'ultima sentenza de la mentecioèlo consentimentosi tenea per questo pensiero che la memoriaaiutavachiamo lui anima e l'altro spirito; sìcome chiamare solemo la cittade quelli che la tengonoe non coloroche la combattonoavvegna che l'uno e l'altro sia cittadino. Dicoanche che questo spirito viene per li raggi de la stella: per chesapere si vuole che li raggi di ciascuno cielo sono la via per laquale discende la loro vertude in queste cose di qua giù. Eperò che li raggi non sono altro che uno lume che viene dalprincipio de la luce per l'aere infino a la cosa illuminatae lucenon sia se non ne la parte de la stellaperò che l'altrocielo è diafanocioè transparentenon dico che vegnaquesto spiritocioè questo pensierodal loro cielo in tuttoma da la loro stella. La quale per la nobilità de li suoimovitori è di tanta vertuteche ne le nostre anime e ne lealtre nostre cose ha grandissima podestadenon ostante che essa cisia lontanaqual volta più c'è pressocento sessantasette volte tanto quanto èe piùal mezzo de laterrache ci ha di spazio tremilia dugento cinquanta miglia. Equesta è la litterale esposizione de la prima parte de lacanzone.



CapitoloVII

        Inteso può essere sofficientementeper le prenarrate parolede la litterale sentenza de la prima parte; per che a la seconda èda intenderene la quale si manifesta quello che dentro io sentia dela battaglia. E questa parte ha due divisioni: che in primacioènel primo versonarro la qualitade di queste diversitadi secondo laloro radicech'erano dentro a me; poi narro quello che dicea l'una el'altra diversitadee peròprimaquello che dicea la parteche perdeacioè nel verso ch'è lo secondo di questaparte e lo terzo de la canzone.
        Ad evidenza dunque de la sentenza de la prima divisioneè dasapere che le cose deono essere denominate da l'ultima nobilitade dela loro forma; sì come l'uomo da la ragionee non dal sensoné d'altro che sia meno nobile. Ondequando si dice l'uomoviveresi dee intendere l'uomo usare la ragioneche è suaspeziale vita e atto de la sua più nobile parte. E peròchi da la ragione si partee usa pur la parte sensitivanon viveuomoma vive bestia; sì come dice quello eccellentissimoBoezio: "Asino vive". Dirittamente dicoperò che lopensiero è propio atto de la ragioneperché le bestienon pensanoche non l'hanno: e non dico pur de le minori bestiemadi quelle che hanno apparenza umana e spirito di pecora o d'altrabestia abominevole. Dico adunque che vita del mio corecioèdel mio dentrosuole essere un pensiero soave ("soave" ètanto quanto "suaso"cioè abbellitodolcepiacente e dilettoso)questo pensieroche se ne gia spesse volte a'piedi del sire di costoro a cu' io parloch'è Iddio: ciòè a direche io pensando contemplava lo regno de' beati. Edico la final cagione incontanente per che là su io salivapensandoquando dico: Ove una donna gloriar vedia; a dare aintendere ch'è perché io era certoe sonoper suagraziosa revelazioneche ella era in cielo. Onde io pensando spessevolte come possibile m'erame n'andava quasi rapito.
        Poi sussequentemente dico l'effetto di questo pensieroa dare aintendere la sua dolcezzala quale era tanta che mi facea disioso dela morteper andare là dov'elli gia; e ciò dico quivi:Di cui parlava me sì dolcementeChe l'anima dicea: Io menvo' gire. E questa è la radice de l'una de le diversitadich'era in me. Ed è da sapereche qui si dice "pensiero"e non "anima"di quello che salia a vedere quella beataperché era spezial pensiero a quello atto. L'anima s'intendecome detto è nel precedente capitoloper lo generale pensierocol consentimento.
        Poi quando dico: Or apparisce chi lo fa fuggirenarro laradice de l'altra diversitadedicendosì come questopensiero di sopra suol esser vita di mecosì un altroapparisce che fa quello cessare. E dico "fuggire"permostrare quello essere contrarioché naturalmente l'unocontrario fugge l'altroe quello che fugge mostra per difetto divertù di fuggire. E dico che questo pensieroche di nuovoapparisceè poderoso in prender me e in vincere l'animatuttadicendo che esso segnoreggia sì che 'l cuorecioèlo mio dentrotriemae lo mio di fuori lo dimostra in alcuna nuovasembianza.
Sussequentemente mostro la potenza di questo pensieronuovo per suo effettodicendo che esso mi fa mirare una donnaedicemi parole di lusinghecioè ragiona dinanzi a li occhi delmio intelligibile affetto per meglio inducermipromettendomi che lavista de li occhi suoi è sua salute. E a meglio fare ciòcredere a l'anima espertadice che non è da guardare ne liocchi di questa donna per persona che tema angoscia di sospiri. Ed èbel modo rettoricoquando di fuori pare la cosa disabbellirsiedentro veramente s'abbellisce. Più non potea questo novopensero d'amore inducere la mia mente a consentireche 'n ragionarede la vertù de li occhi di costei profondamente.

CapitoloVIII

        Ora ch'è mostrato come e perché nasce amoree ladiversitade che mi combatteaprocedere si conviene ad aprire lasentenza di quella parte ne la quale contendono in me diversipensamenti. Dico che prima si conviene dire de la parte de l'animacioè de l'antico pensieroe poi de l'altroper questaragioneche sempre quello che massimamente dire intende lo dicitoresì dee riservare di dietro; però che quello cheultimamente si dicepiù rimane ne l'animo de lo uditore. Ondecon ciò sia cosa che io intenda più a dire e aragionare quello che l'opera di costoro a cu' io parlo fache quelloche essa disfàragionevole fu prima dire e ragionare lacondizione de la parte che si corrompeae poi quella de l'altra chesi generava.
        Veramente qui nasce un dubbiolo qual non è da trapassaresanza dichiarare. Potrebbe dire alcuno: "Con ciò sia cosache amore sia effetto di queste intelligenze a cu' io parloe quellodi prima fosse amore così come questo di poiperché laloro vertù corrompe l'uno e l'altro genera? con ciò siacosa che innanzi dovrebbe quello salvareper la ragione che ciascunacagione ama lo suo effetto eamando quellosalva quell'altro".A questa questione si può leggermente rispondere che loeffetto di costoro è amorecom'è detto; e peròche salvare nol possono se non in quelli subietti che sono sottopostia la loro circulazioneesso transmutano di quella parte che èfuori di loro podestade in quella che v'è dentrocioède l'anima partita d'esta vita in quella ch'è in essa. Sìcome la natura umana transmutane la forma umanala suaconservazione di padre in figlioperché non può inesso padre perpetualmente tal suo effetto conservare. Dico "effetto"in quanto l'anima col corpocongiuntisono effetto di quella; chél'animapoi che è partitaperpetualmente dura in natura piùche umana. E così è soluta la questione.
        Ma però che de la immortalità de l'anima è quitoccatofarò una digressioneragionando di quella; perchédi quella ragionandosarà bello terminare lo parlare diquella viva Beatrice beatade la quale più parlare in questolibro non intendo per proponimento. Dico che intra tutte lebestialitadi quella è stoltissimavilissima e dannosissimachi crede dopo questa vita non essere altra vita; però chesenoi rivolgiamo tutte le scritturesì de' filosofi come de lialtri savi scrittoritutti concordano in questoche in noi siaparte alcuna perpetuale. E questo massimamente par volere Aristotilein quello de l'Anima; questo par volere massimamente ciascuno Stoico;questo par volere Tulliospezialmente in quello libello de laVegliezza; questo par volere ciascuno poeta che secondo la fede de'Gentili hanno parlato; questo vuole ciascuna leggeGiudeiSaraciniTartarie qualunque altri vivono secondo alcuna ragione. Che setutti fossero ingannatiseguiterebbe una impossibilitadeche pure aritraere sarebbe orribile. Ciascuno è certo che la naturaumana è perfettissima di tutte l'altre nature di qua giù;e questo nullo niegae Aristotile l'afferma quando dice nelduodecimo de li Animali che l'uomo è perfettissimo di tutti lianimali. Onde con ciò sia cosa che molti che vivonointeramente siano mortalisì come animali brutie sianosanza questa speranza tutti mentre che vivonocioè d'altravita; se la nostra speranza fosse vanamaggiore sarebbe lo nostrodifetto che di nullo altro animalecon ciò sia cosa che moltigià sono stati che hanno data questa vita per quella; e cosìseguiterebbe che lo perfettissimo animalecioè l'uomofosseimperfettissimo - ch'è impossibile -e che quella partecioèla ragioneche è sua perfezione maggiorefosse a lui cagionedi maggiore difetto - che del tutto diverso pare a dire -. Ancoraseguiterebbe che la natura contra se medesima questa speranza ne lamente umana posta avessepoi che detto è che molti a la mortedel corpo sono corsiper vivere ne l'altra vita; e questo èanche impossibile.
        Ancoravedemo continua esperienza de la nostra immortalitade ne ledivinazioni de' nostri sognile quali essere non potrebbono se innoi alcuna parte immortale non fosse; con ciò sia cosa cheimmortale convegna essere lo rivelanteo corporeo o incorporeo chesiase bene si pensa sottilmente - e dico "corporeo oincorporeo" per le diverse oppinioni ch'io truovo di ciò-e quello ch'è mosso o vero informato da informatoreimmediato debba proporzione avere a lo informatoree da lo mortale alo immortale nulla sia proporzione. Ancoran'accerta la dottrinaveracissima di Cristola quale è viaverità e luce:viaperché per essa sanza impedimento andiamo a la felicitadedi quella immortalitade; veritàperché non sofferaalcuno errore; luceperché allumina noi ne la tenebra de laignoranza mondana. Questa dottrina dico che ne fa certi sopra tuttealtre ragioniperò che quello la n'hae data che la nostraimmortalitade vede e misura. La quale noi non potemo perfettamentevedere mentre che 'l nostro immortale col mortale è mischiato;ma vedemolo per fede perfettamentee per ragione lo vedemo con ombrad'oscuritadela quale incontra per mistura del mortale conl'immortale. E ciò dee essere potentissimo argomento che innoi l'uno e l'altro sia; e io così credocosì affermoe così certo sono ad altra vita migliore dopo questa passarelà dove quella gloriosa donna vive de la quale fu l'anima miainnamorata quando contendeacome nel seguente capitolo si ragionerà.

CapitoloIX

        Tornando al propositodico che in questo verso che comincia: Trovacontraro tal che lo distruggeintendo manifestare quello chedentro a me l'anima mia ragionavacioè l'antico pensierocontra lo nuovo. E prima brievemente manifesto la cagione del suolamentevole parlarequando dico: Trova contraro tal che lodistrugge L'umil penseroche parlar mi sole D'un'angela che 'n cieloè coronata. Questo è quello speziale pensierodelquale detto è di sopra che solea esser vita de lo cordolente. Poi quando dico: L'anima piangesì ancor lendolemanifesto l'anima mia essere ancora da la sua partee contristizia parlare: e dico che dice parole lamentandosiquasi come simaravigliasse de la subita transmutazionedicendo: Oh lassa a mecome si fugge Questo piatoso che m'ha consolata! Ben puòdire "consolata"ché ne la sua grande perditaquesto pensieroche in cielo saliale avea data molta consolazione.Poi appressoad iscusa di sé dico che si volge tutto lo miopensierocioè l'animade la quale dico questa affannatae parla contra gli occhi; e questo si manifesta quivi: De li occhimiei dice questa affannata. E dico ch'ella dice di loro e contraloro tre cose. La prima è che bestemmia l'ora che questa donnali vide. E qui si vuol sapere che avvegna che più cose nel'occhio a un'ora possano venireveramente quella che viene perretta linea ne la punta de la pupillaquella veramente si vedee nela imaginativa si suggella solamente. E questo è peròche 'l nervo per lo quale corre lo spirito visivoè diritto aquella parte; e però veramente l'occhio l'altro occhio non puòguardaresì che esso non sia veduto da lui; chésìcome quello che mira riceve la forma ne la pupilla per retta lineacosì per quella medesima linea la sua forma se ne va in quelloch'ello mira: e molte voltenel dirizzare di questa lineadiscoccal'arco di colui al quale ogni arme è leggiere. Peròquando dico che tal donna li videè tanto a direquanto che li occhi suoi e li miei si guardaro.
        La seconda cosa che dicesi è che riprende la suadisobedienzaquando dice: E perché non credeano a me dilei? Poi procede a la terza cosae dice che non dee sériprendere di provvedimentoma loro di non ubbidire; però chedice che alcuna voltadi questa donna ragionandodicesse: Ne liocchi di costei doverebbe esser virtù sopra mese ella avesseaperta la via di venire; e questo dice quivi: Io dicea: Ben ne liocchi di costei. E ben si dee credere che l'anima mia conoscea lasua disposizione atta a ricevere l'atto di questa donnae peròne temea; ché l'atto de l'agente si prende nel dispostopazientesì come dice lo Filosofo nel secondo de l'Anima. Eperò se la cera avesse spirito da temerepiù temerebbedi venire a lo raggio del sole che non farebbe la pietraperòche la sua disposizione riceve quello per più forteoperazione.
        Ultimamente manifesta l'anima nel suo parlare la presunzione loropericolosa essere stataquando dice: E non mi valse ch'io nefossi accorta Che non mirasser talch'io ne son morta. Non làmirasserdicecolui di cui prima detto avea: Colui che lemie pari ancide. E così termina le sue parolea le qualirisponde lo novo pensierosì come nel seguente capitolo sidichiarerà.

CapitoloX

        Dimostrata è la sentenza di quella parte ne la qual parlal'animacioè l'antico pensiero che si corruppe. Oraseguentemente si dee mostrare la sentenza de la parte ne la qualparla lo pensiero nuovo avverso; e questa parte si contiene tutta nelverso che comincia: Tu non se' morta. La qual partea beneintenderesi vuole in due partire: che ne la prima lo pensieroavverso riprende l'anima di viltade; e appresso comanda quello chefar dee quest'anima ripresacioè ne la seconda partechecomincia: Mira quant'ell'è pietosa.
        Dice adunquecontinuandosi a l'ultime sue parole: Non è veroche tu sie morta; ma la cagione per che morta ti pare esseresi èuno smarrimento nel quale se' caduta vilmente per questa donna che èapparita: - e qui è da notare chesì come dice Boezione la sua Consolazione"ogni subito movimento di cose nonavviene sanza alcuno discorrimento d'animo" -; e questo vuoldire lo riprendere di questo pensiero. Lo quale si chiama "spiritellod'amore" a dare a intendere che lo consentimento mio piegavainver di lui; e così si può questo intenderemaggiormentee conoscere la sua vittoriaquando dice già"anima nostra"facendosi familiare di quella. Poicom'èdettocomanda quello che far dee quest'anima ripresa per venir lei asée lei dice: Mira quant'ell'è pietosa e umile;ché sono proprio rimedio a la temenzade la qual pareal'anima passionatadue cosee sono queste chemassimamentecongiuntefanno de la persona bene speraree massimamente lapietadela quale fa risplendere ogni altra bontade col lume suo. Perche Virgiliod'Enea parlandoin sua maggiore loda pietoso lochiama. E non è pietade quella che crede la volgar gentecioèdolersi de l'altrui maleanzi è questo uno suo spezialeeffettoche si chiama misericordia ed è passione; ma pietadenon è passioneanzi è una nobile disposizione d'animoapparecchiata di ricevere amoremisericordia e altre caritativepassioni.
         Poidice: Mira anco quanto è saggia e cortese ne la suagrandezza. Or dice tre cosele qualisecondo quelle che per noiacquistar si possonomassimamente fanno la persona piacente. Dice"saggia": or che è più bello in donna chesavere? Dice "cortese": nulla cosa sta più bene indonna che cortesia. E non siano li miseri volgari anche di questovocabulo ingannatiche credono che cortesia non sia altro chelarghezza; e larghezza è una spezialee non generalecortesia! Cortesia e onestade è tutt'uno: e però che nele corti anticamente le vertudi e li belli costumi s'usavanosìcome oggi s'usa lo contrariosi tolse quello vocabulo da le cortiefu tanto a dire cortesia quanto uso di corte. Lo qual vocabulo seoggi si togliesse da le cortimassimamente d'Italianon sarebbealtro a dire che turpezza. Dice ne la sua grandezza. Lagrandezza temporalede la quale qui s'intendemassimamente sta beneaccompagnata con le due predette bontadiperò ch'ell'aprelume che mostra lo bene e l'altro de la persona chiaramente. E quantosavere e quanto abito virtuoso non si pare per questo lume non avere!e quanta matteria e quanti vizii si discernono per aver questo lume!Meglio sarebbe a li miseri grandimattistolti e viziosiessere inbasso statoché né in mondo né dopo la vitasarebbero tanto infamati. Veramente per costoro dice Salomone ne loEcclesiaste: "E un'altra infermitade pessima vidi sotto lo solecioè ricchezze conservate in male del loro signore". Poisussequentemente impone a leicioè a l'anima miache chiamiomai costei sua donnapromettendo a lei che di ciò assai sicontenteràquando ella sarà de le sue adornezzeaccorta; e questo dice quivi: Ché se tu non t'ingannituvedrai. Né altro dice infino a la fine di questo verso. Equi termina la sentenza litterale di tutto quello che in questacanzone dicoparlando a quelle intelligenze celestiali.

CapitoloXI

        Ultimamentesecondo che di sopra disse la littera di questo commentoquando partio le parti principali di questa canzoneio mi rivolgocon la faccia del mio sermone a la canzone medesimae a quellaparlo. E acciò che questa parte più pienamente siaintesadico che generalmente si chiama in ciascuna canzone"tornata"però che li dicitori che prima usaro difarlafenno quella perchécantata la canzonecon certaparte del canto ad essa si ritornasse. Ma io rade volte a quellaintenzione la fecieacciò che altri se n'accorgesseradevolte la puosi con l'ordine de la canzonequanto è a lonumero che a la nota è necessario; ma fecila quando alcunacosa in adornamento de la canzone era mestiero a direfuori de lasua sentenzasì come in questa e ne l'altre veder si potrà.E però dico al presente che la bontade e la bellezza diciascuno sermone sono intra loro partite e diverse; ché labontade è ne la sentenzae la bellezza è nel'ornamento de le parole; e l'una e l'altra è con dilettoavvegna che la bontade sia massimamente dilettosa. Onde con ciòsia cosa che la bontade di questa canzone fosse malagevole a sentireper le diverse persone che in essa s'inducono a parlaredove siricheggiono molte distinzionie la bellezza fosse agevole a vedereparvemi mestiero a la canzone che per li altri si ponesse piùmente a la bellezza che a la bontade. E questo è quello chedico in questa parte.
        Ma però che molte fiate avviene che l'ammonire parepresuntuosoper certe condizioni suole lo rettorico indirettamenteparlare altruidirizzando le sue parole non a quello per cui dicema verso un altro. E questo modo si tiene qui veramente; ché ala canzone vanno le parolee a li uomini la 'ntenzione. Dicoadunque: Io credocanzoneche radi sonocioè pochiquelliche intendano te bene. E dico la cagionela quale è doppia.Prima: però che faticosa parli - "faticosa" dico perla cagione che detta è -; poi: però che forte parli -"forte" dico quanto a la novitade de la sentenza -. Oraappresso ammonisco lei e dico: Se per avventura incontra che tu vadilà dove persone siano che dubitare ti paiano ne la tuaragionenon ti smarrirema dì loro: Poi che non vedete lamia bontadeponete mente almeno la mia bellezza. Che non voglio inciò altro diresecondo ch'è detto di soprase non: Ouominiche vedere non potete la sentenza di questa canzonenon larifiutate però; ma ponete mente la sua bellezzach'ègrande sì per construzionela quale si pertiene a ligramaticisì per l'ordine del sermoneche si pertiene a lirettoricisì per lo numero de le sue partiche si pertiene ali musici. Le quali cose in essa si possono belle vedereper chi benguarda. E questa è tutta la litterale sentenza de la primacanzoneche è per prima vivanda intesa innanzi.

CapitoloXII

        Poi che la litterale sentenza è sufficientemente dimostrataèda procedere a la esposizione allegorica e vera. E peròprincipiando ancora da capodico checome per me fu perduto loprimo diletto de la mia animade la quale fatta è menzione disopraio rimasi di tanta tristizia puntoche conforto non mi valevaalcuno. Tuttaviadopo alquanto tempola mia menteche siargomentava di sanareprovidepoi che né 'l mio nél'altrui consolare valearitornare al modo che alcuno sconsolatoavea tenuto a consolarsi; e misimi a leggere quello non conosciuto damolti libro di Boezionel qualecattivo e discacciatoconsolatos'avea. E udendo ancora che Tullio scritto avea un altro libronelqualetrattando de l'Amistadeavea toccate parole de laconsolazione di Leliouomo eccellentissimone la morte di Scipioneamico suomisimi a leggere quello. E avvegna che duro mi fosse ne laprima entrare ne la loro sentenzafinalmente v'entrai tanto entroquanto l'arte di gramatica ch'io avea e un poco di mio ingegno poteafare; per lo quale ingegno molte cosequasi come sognandogiàvedeasì come ne la Vita Nuova si può vedere. E sìcome essere suole che l'uomo va cercando argento e fuori de la'ntenzione truova orolo quale occulta cagione presentanon forsesanza divino imperio; ioche cercava di consolarmetrovai nonsolamente a le mie lagrime rimedioma vocabuli d'autori e di scienzee di libri: li quali considerandogiudicava bene che la filosofiache era donna di questi autoridi queste scienze e di questi librifosse somma cosa. E imaginava lei fatta come una donna gentilee nonla poteva imaginare in atto alcuno se non misericordioso; per che sìvolontieri lo senso di vero la miravache appena lo potea volgere daquella. E da questo imaginare cominciai ad andare là dov'ellasi dimostrava veracementecioè ne le scuole de li religiosi ea le disputazioni de li filosofanti. Sì che in picciol tempoforse di trenta mesicominciai tanto a sentire de la sua dolcezzache lo suo amore cacciava e distruggeva ogni altro pensiero. Per cheiosentendomi levare dal pensiero del primo amore a la virtùdi questoquasi maravigliandomi apersi la bocca nel parlare de laproposta canzonemostrando la mia condizione sotto figura d'altrecose: però che de la donna di cu' io m'innamorava non eradegna rima di volgare alcuna palesemente poetare; né liuditori erano tanto bene dispostiche avessero sì leggiere lenon fittizie parole apprese; né sarebbe data loro fede a lasentenza veracome a la fittiziaperò che di vero si credeadel tutto che disposto fosse a quello amoreche non si credeva diquesto. Cominciai dunque a dire: Voi che 'ntendendo il terzo cielmovete. E perchésì come detto èquestadonna figlia di Dioregina di tuttonobilissima e bellissimaFilosofiaè da vedere chi furono questi movitorie questoterzo cielo. E prima del cielosecondo l'ordine trapassato. E non èqui mestiere di procedere dividendoe a littera esponendo; chévolta la parola fittizia di quello ch'ella suona in quello ch'ella'ntendeper la passata sposizione questa sentenza hasufficientemente palese.

CapitoloXIII

        A vedere quello che per lo terzo cielo s'intendeprima si vuolvedere che per questo solo vocabulo "cielo" io voglio dire;e poi si vedrà come e perché questo terzo cielo ci fumestiere. Dico che per cielo io intendo la scienza e per cieli lescienzeper tre similitudini che li cieli hanno con le scienzemassimamente; e per l'ordine e numero in che paiono conveniresìcome trattando quello vocabulocioè "terzo"sivedrà.
         Laprima similitudine si è la revoluzione de l'uno e de l'altrointorno a uno suo immobile. Ché ciascuno cielo mobile si volgeintorno al suo centrolo qualequanto per lo suo movimentonon simuove; e così ciascuna scienza si muove intorno al suosubiettolo quale essa non muoveperò che nulla scienzadimostra lo proprio subiettoma suppone quello. La secondasimilitudine si è lo illuminare de l'uno e de l'altro; chéciascuno cielo illumina le cose visibilie così ciascunascienza illumina le intelligibili. E la terza similitudine si èlo inducere perfezione ne le disposte cose. De la quale induzionequanto a la prima perfezionecioè de la generazionesustanzialetutti li filosofi concordano che li cieli siano cagioneavvegna che diversamente questo pongano: quali da li motorisìcome PlatoAvicenna e Algazel; quali da esse stellespezialmentel'anime umanesì come Socratee anche Plato e DionisioAcademico; e quali da vertude celestiale che è nel calorenaturale del semesì come Aristotile e li altri Peripatetici.Così de la induzione de la perfezione seconda le scienze sonocagione in noi; per l'abito de le quali potemo la veritade speculareche è ultima perfezione nostrasì come dice loFilosofo nel sesto de l'Eticaquando dice che 'l vero è lobene de lo intelletto. Per questecon altre similitudini moltesipuò la scienza "cielo" chiamare. Ora perché"terzo" cielo si dica è da vedere. A che èmestiere fare considerazione sovra una comparazione che è nel'ordine de li cieli a quello de le scienze. Sì come adunquedi sopra è narratoli sette cieli primi a noi sono quelli deli pianeti; poi sono due cieli sopra questimobilie uno sopratuttiquieto. A li sette primi rispondono le sette scienze delTrivio e del Quadruviocioè GramaticaDialetticaRettoricaArismetricaMusicaGeometria e Astrologia. A l'ottava speracioèa la stellatarisponde la scienza naturaleche Fisica si chiamaela prima scienzache si chiama Metafisica; a la nona spera rispondela scienza morale; ed al cielo quieto risponde la scienza divinacheè Teologia appellata. E ragione per che ciò siabrievemente è da vedere.
        Dico che 'l cielo de la Luna con la Gramatica si somiglia per dueproprietadiper che ad esso si può comparare. Che se la Lunasi guarda benedue cose si veggiono in essa proprieche non siveggiono ne l'altre stelle: l'una sì è l'ombra che èin essala quale non è altro che raritade del suo corpoa laquale non possono terminare li raggi del sole e ripercuotersi cosìcome ne l'altre parti; l'altra si è la variazione de la sualuminositadeche ora luce da uno latoe ora luce da un altrosecondo che lo sole la vede. E queste due proprietadi hae laGramatica: chéper la sua infinitadeli raggi de la ragionein essa non si terminanoin parte spezialmente de li vocabuli; eluce or di qua or di là in tanto quanto certi vocabulicertedeclinazionicerte construzioni sono in uso che già nonfuronoe molte già furono che ancor saranno: sì comedice Orazio nel principio de la Poetria quando dice: "Moltivocabuli rinasceranno che già caddero".
        E lo cielo di Mercurio si può comparare a la Dialettica perdue proprietadi: che Mercurio è la più picciola stelladel cieloché la quantitade del suo diametro non è piùche di dugento trentadue migliasecondo che pone Alfagranoche dicequello essere de le ventotto parti una del diametro de la terraloquale è sei milia cinquecento miglia: l'altra proprietade si èche più va velata de li raggi del Sole che null'altra stella.E queste due proprietadi sono ne la Dialettica: ché laDialettica è minore in suo corpo che null'altra scienzachéperfettamente è compilata e terminata in quello tanto testoche ne l'Arte vecchia e ne la Nuova si truova; e va più velatache nulla scienzain quanto procede con più sofistici eprobabili argomenti più che altra.
        E lo cielo di Venere si può comparare a la Rettorica per dueproprietadi: l'una sì è la chiarezza del suo aspettoche è soavissima a vedere più che altra stella; l'altrasì è la sua apparenzaor da mane or da sera. E questedue proprietadi sono ne la Rettorica: ché la Rettorica èsoavissima di tutte le altre scienzeperò che a ciòprincipalmente intende; e appare da manequando dinanzi al viso del'uditore lo rettorico parlaappare da seracioè retroquando da letteraper la parte remotasi parla per lorettorico.
         E locielo del Sole si può comparare a l'Arismetrica per dueproprietadi: l'una si è che del suo lume tutte l'altre stelles'informano; l'altra si è che l'occhio nol può mirare.E queste due proprietadi sono ne l'Arismetrica: ché del suolume tutte s'illuminano le scienzeperò che li loro subiettisono tutti sotto alcuno numero consideratie ne le considerazioni diquelli sempre con numero si procede. Sì come ne la scienzanaturale è subietto lo corpo mobilelo quale corpo mobile hain sé ragione di continuitadee questa ha in séragione di numero infinito; e la sua considerazione principalissima èconsiderare li principii de le cose naturalili quali sono trecioèmateriaprivazione e formane li quali si vede questo numero. Nonsolamente in tutti insiemema ancora in ciascuno è numerochi ben considera sottilmente; per che Pittagorasecondo che diceAristotile nel primo de la Fisicaponeva li principii de le cosenaturali lo pari e lo dispariconsiderando tutte le cose essernumero. L'altra proprietade del Sole ancor si vede nel numerodelquale è l'Arismetrica: che l'occhio de lo 'ntelletto nol puòmirare; però che 'l numeroquant'è in séconsideratoè infinitoe questo non potemo noiintendere.
         E locielo di Marte si può comparare a la Musica per dueproprietadi: l'una si è la sua più bella relazionechéannumerando li cieli mobilida qualunque si comincia oda l'infimo o dal sommoesso cielo di Marte è lo quintoessoè lo mezzo di tutticioè de li primide li secondide li terzi e de li quarti. L'altra si è che esso Martesìcome dice Tolomeo nel Quadripartitodissecca e arde le coseperchélo suo calore è simile a quello del fuoco; e questo èquello per che esso pare affocato di colorequando più equando menosecondo la spessezza e raritade de li vapori che 'lseguono: li quali per lor medesimi molte volte s'accendonosìcome nel primo de la Metaura è diterminato. E però diceAlbumasar che l'accendimento di questi vapori significa morte di regie transmutamento di regni; però che sono effetti de lasegnoria di Marte. E Seneca dice peròche ne la morted'Augusto imperadore vide in alto una palla di fuoco; e in Fiorenzanel principio de la sua destruzioneveduta fu ne l'aerein figurad'una crocegrande quantità di questi vapori seguaci de lastella di Marte. E queste due proprietadi sono ne la Musicala qualeè tutta relativasì come si vede ne le parolearmonizzate e ne li cantide' quali tanto più dolce armoniaresultaquanto più la relazione è bella: la quale inessa scienza massimamente è bellaperché massimamentein essa s'intende. Ancorala Musica trae a sé li spiritiumaniche quasi sono principalmente vapori del cuoresì chequasi cessano da ogni operazione: sì è l'anima interaquando l'odee la virtù di tutti quasi corre a lo spiritosensibile che riceve lo suono.
        E lo cielo di Giove si può comparare a la Geometria per dueproprietadi: l'una sì è che muove tra due cielirepugnanti a la sua buona temperanzasì come quello di Martee quello di Saturno; onde Tolomeo dicene lo allegato librocheGiove è stella di temperata complessionein mezzo de lafreddura di Saturno e de lo calore di Marte; l'altra sì èche intra tutte le stelle bianca si mostraquasi argentata. E questecose sono ne la scienza de la Geometria. La Geometria si muove intradue repugnanti a essasì come 'l punto e lo cerchio - e dico"cerchio" largamente ogni ritondoo corpo o superficie -;chésì come dice Euclidelo punto è principiodi quellaesecondo che dicelo cerchio è perfettissimafigura in quellache conviene però avere ragione di fine. Sìche tra 'l punto e lo cerchio sì come tra principio e fine simuove la Geometriae questi due a la sua certezza repugnano; chélo punto per la sua indivisibilitade è immensurabilee locerchio per lo suo arco è impossibile a quadrareperfettamentee però è impossibile a misurare a punto.E ancora la Geometria è bianchissimain quanto è sanzamacula d'errore e certissima per sé e per la sua ancellachesi chiama Perspettiva.
        E lo cielo di Saturno hae due proprietadi per le quali si puòcomparare a l'Astrologia: l'una sì è la tardezza delsuo movimento per li dodici segniché ventinove anni e piùsecondo le scritture de li astrologivuole di tempo lo suo cerchio;l'altra sì è che sopra tutti li altri pianeti esso èalto. E queste due proprietadi sono ne l'Astrologia: ché nelsuo cerchio compierecioè ne lo apprendimento di quellavolge grandissimo spazio di temposì per le suedimostrazioniche sono più che d'alcuna de le sopra dettescienzesì per la esperienza che a ben giudicare in essa siconviene. E ancora è altissima di tutte le altreperòchesì come dice Aristotile nel cominciamento de l'Animalascienza è alta di nobilitade per la nobilitade del suosubietto e per la sua certezza; e questa più che alcuna de lesopra dette è nobile e alta per nobile e alto subiettoch'ède lo movimento del cielo; e alta e nobile per la sua certezzalaquale è sanza ogni difettosì come quella che daperfettissimo e regolatissimo principio viene. E se difetto in lei sicrede per alcunonon è da la sua partemasì comedice Tolomeoè per la negligenza nostrae a quella si deeimputare.

CapitoloXIV

        Appresso le comparazioni fatte de li sette primi cieliè daprocedere a li altriche sono trecome più volte s'ènarrato. Dico che lo Cielo stellato si puote comparare a la Fisicaper tre proprietadie a la Metafisica per altre tre: ch'ello cimostra di sé due visibili cosesì come le moltestellee sì come la Galassiacioè quello biancocerchio che lo vulgo chiama la Via di Sa'Iacopo; e mostraci l'uno deli polie l'altro tiene ascoso; e mostraci uno suo movimentodaoriente ad occidentee un altroche fa da occidente ad orientequasi ci tiene ascoso. Per che per ordine è da vedere prima lacomparazione de la Fisicae poi quella de la Metafisica.
        Dico che lo Cielo stellato ci mostra molte stelle: chésecondo che li savi d'Egitto hanno vedutoinfino a l'ultima stellache appare loro in meridiemille ventidue corpora di stelle pongonodi cui io parlo. Ed in questo ha esso grandissima similitudine con laFisicase bene si guardano sottilmente questi tre numericioèdue e venti e mille. Ché per lo due s'intende lo movimentolocalelo quale è da uno punto ad un altro di necessitade. Eper lo venti significa lo movimento de l'alterazione; chéconciò sia cosa chedal diece in sunon si vada se non essodiece alterando con gli altri nove e con se stessoe la piùbella alterazione che esso riceva sia la sua di se medesimoe laprima che riceve sia ventiragionevolemente per questo numero lodetto movimento significa. E per lo mille significa lo movimento delcrescere; ché in nomecioè questo "mille"èlo maggiore numeroe più crescere non si può se nonquesto multiplicando. E questi tre movimenti soli mostra la Fisicasì come nel quinto del primo suo libro èprovato.
         E per laGalassia ha questo cielo similitudine grande con la Metafisica. Perche è da sapere che di quella Galassia li filosofi hanno avutediverse oppinioni. Ché li Pittagorici dissero che 'l Solealcuna fiata errò ne la sua via epassando per altre partinon convenienti al suo fervorearse lo luogo per lo quale passòe rimasevi quella apparenza de l'arsura: e credo che si mossero da lafavola di Fetontela quale narra Ovidio nel principio del secondo diMetamorfoseos. Altri disserosì come fu Anassagora eDemocritoche ciò era lume di sole ripercusso in quellapartee queste oppinioni con ragioni dimostrative riprovaro. Quelloche Aristotile si dicesse non si può bene sapere di ciòperò che la sua sentenza non si truova cotale ne l'unatranslazione come ne l'altra. E credo che fosse lo errore de litranslatori; ché ne la Nuova pare dicere che ciò siauno ragunamento di vapori sotto le stelle di quella parteche sempretraggono quelli: e questo non pare avere ragione vera. Ne la Vecchiadice che la Galassia non è altro che moltitudine di stellefisse in quella partetanto picciole che distinguere di qua giùnon le potemoma di loro apparisce quello alborelo quale noichiamiamo Galassia: e puote essereché lo cielo in quellaparte è più spessoe però ritiene e ripresentaquello lume. E questa oppinione pare averecon AristotileAvicennae Tolomeo. Ondecon ciò sia cosa che la Galassia sia unoeffetto di quelle stelle le quali non potemo vederese non per loeffetto loro intendiamo quelle cosee la Metafisica tratti de leprime sustanziele quali noi non potemo simigliantemente intenderese non per li loro effettimanifesto è che 'l Cielo stellatoha grande similitudine con la Metafisica.
        Ancora: per lo polo che vedemo significa le cose sensibilide lequaliuniversalmente pigliandoletratta la Fisica; e per lo poloche non vedemo significa le cose che sono sanza materiache non sonosensibilide le quali tratta la Metafisica: e però ha lodetto cielo grande similitudine con l'una scienza e con l'altra.Ancora: per li due movimenti significa queste due scienze. Chéper lo movimento ne lo quale ogni die si rivolvee fa novacirculazione di punto a puntosignifica le cose naturalicorruttibiliche cotidianamente compiono loro viae la loro materiasi muta di forma in forma; e di queste tratta la Fisica. E per lomovimento quasi insensibile che fa da occidente in oriente per unogrado in cento annisignifica le cose incorruttibilile qualiebbero da Dio cominciamento di creazione e non averanno fine: e diqueste tratta la Metafisica. Però dice che questo movimentosignifica quelleche essa circulazione cominciò e nonaverebbe fine; ché fine de la circulazione è redire aduno medesimo puntoal quale non tornerà questo cielosecondoquesto movimento. Ché dal cominciamento del mondo poco piùde la sesta parte è volto; e noi siamo già ne l'ultimaetade del secoloe attendemo veracemente la consummazione delcelestiale movimento. E così è manifesto che lo Cielostellatoper molte proprietadisi può comparare a la Fisicae a la Metafisica.
        Lo Cielo cristallinoche per Primo Mobile dinanzi è contatoha comparazione assai manifesta a la Morale Filosofia; chéMorale Filosofiasecondo che dice Tommaso sopra lo secondo del'Eticaordina noi a l'altre scienze. Chésì comedice lo Filosofo nel quinto de l'Etica"la giustizia legaleordina le scienze ad apprenderee comandaperché non sianoabbandonatequelle essere apprese e ammaestrate"; e cosìlo detto cielo ordina col suo movimento la cotidiana revoluzione ditutti li altriper la quale ogni die tutti quelli ricevono e mandanoqua giù la vertude di tutte le loro parti. Che se larevoluzione di questo non ordinasse ciòpoco di loro vertudequa giù verrebbe o di loro vista. Onde ponemo che possibilefosse questo nono cielo non muoverela terza parte del cielostellato sarebbe ancora non veduta in ciascuno luogo de la terra; eSaturno sarebbe quattordici anni e mezzo a ciascuno luogo de la terracelatoe Giove sei anni quasi si celerebbee Marte uno anno quasie lo Sole centottantadue dì e quattordici ore (dico dìcioè tanto tempo quanto misurano cotanti dì)e Veneree Mercurio quasi come lo Sole si celerebbe e mosterrebbee la Lunaper tempo di quattordici dì e mezzo starebbe ascosa ad ognigente. E da vero non sarebbe qua giù generazione névita d'animale o di piante: notte non sarebbe né dienésettimana né mese né annoma tutto l'universo sarebbedisordinatoe lo movimento de li altri sarebbe indarno. E nonaltrimenticessando la Morale Filosofial'altre scienze sarebberocelate alcuno tempoe non sarebbe generazione né vita difelicitadee indarno sarebbero scritte e per antico trovate. Per cheassai è manifestoquesto cielo per sé avere a laMorale Filosofia comparazione.
        Ancora: lo Cielo empireo per la sua pace simiglia la Divina Scienzache piena è di tutta pace; la quale non soffera lite alcunad'oppinioni o di sofistici argomentiper la eccellentissima certezzadel suo subiettolo quale è Dio. E di questa dice esso a lisuoi discepoli: "La pace mia do a voila pace mia lascio avoi"dando e lasciando a loro la sua dottrinache èquesta scienza di cu' io parlo. Di costei dice Salomone: "Sessantasono le reginee ottanta l'amiche concubine; e de le ancilleadolescenti non è numero: una è la colomba mia e laperfetta mia". Tutte scienze chiama regine e drude e ancille; equesta chiama colomba perché è sanza macula di liteequesta chiama perfetta perché perfettamente ne fa il verovedere nel quale si cheta l'anima nostra. E peròragionatacosì la comparazione de li cieli a le scienzevedere si puòche per lo terzo cielo io intendo la Rettoricala quale al terzocielo è simigliatacome di sopra pare.

CapitoloXV

        Per le ragionate similitudini si può vedere chi sono questimovitori a cu' io parloche sono di quello movitorisì comeBoezio e Tullioli quali con la dolcezza di loro sermone inviaronomecome è detto di soprane lo amorecioè ne lostudiodi questa donna gentilissima Filosofiacon li raggi de lastella lorola quale è la scrittura di quella: onde inciascuna scienza la scrittura è stella piena di lucela qualequella scienza dimostra. Emanifesto questovedere si può lavera sentenza del primo verso de la canzone propostaper laesposizione fittizia e litterale. E per questa medesima esposizionesi può lo secondo verso intendere sufficientementeinfino aquella parte dove dice: Questi mi face una donna guardare. Ovesi vuole sapere che questa donna è la Filosofia; la qualeveramente è donna piena di dolcezzaornata d'onestademirabile di saveregloriosa di libertadesì come nel terzotrattatodove la sua nobilitade si tratteràha manifesto. Elà dove dice: Chi veder vuol la saluteFaccia che li occhid'esta donna mirili occhi di questa donna sono le suedemonstrazionile qualidritte ne li occhi de lo 'ntellettoinnamorano l'animaliberata da le contradizioni. O dolcissimi eineffabili sembiantie rubatori subitani de la mente umanache nele mostrazioni de li occhi de la Filosofia apparitequando essa conli suoi drudi ragiona! Veramente in voi è la saluteper laquale si fa beato chi vi guardae salvo da la morte de la ignoranzae da li vizii. Ove si dice: Sed e' non teme angoscia di sospiriqui si vuole intendere "se elli non teme labore di studio e litedi dubitazioni"le quali dal principio de li sguardi di questadonna multiplicatamente surgonoe poicontinuando la sua lucecaggionoquasi come nebulette matutine a la faccia del sole; erimane libero e pieno di certezza lo familiare intellettosìcome l'aere da li raggi meridiani purgato e illustrato.
        Lo terzo verso ancora s'intende per la sposizione litterale infino làdove dice: L'anima piange. Qui si vuole bene attendere adalcuna moralitadela quale in queste parole si può notare:che non dee l'uomoper maggiore amicodimenticare li servigiricevuti dal minore; ma se pur seguire si conviene l'uno e lasciarl'altrolo migliore è da seguirecon alcuna onestalamentanza l'altro abbandonandone la quale dà cagioneaquello che seguedi più amore. Poi dove dice: De li occhimieinon vuole altro direse non che forte fu l'ora che laprima demonstrazione di questa donna entrò ne li occhi de lo'ntelletto miola quale fu cagione di questo innamoramentopropinquissima. E là dove dice: le mie paris'intendel'anime libere de le misere e vili delettazioni e de li vulgaricostumid'ingegno e di memoria dotate. E dice poi: ancide; edice poi: son morta; che pare contro a quello che detto èdi sopra de la salute di questa donna. E però è dasapere che qui parla l'una de le partie là parla l'altra; lequali diversamente litiganosecondo che di sopra è manifesto.Onde non è maraviglia se là dice "sì"e qui dice "no"se bene si guarda chi discende e chisale.
         Poi nelquarto versodove dice: uno spiritel d'amores'intende unopensiero che nasce del mio studio. Onde è da sapere che peramorein questa allegoriasempre s'intende esso studiolo quale èapplicazione de l'animo innamorato de la cosa a quella cosa. Poiquando dice: tu vedrai Di sì alti miracoli adornezzaannunzia che per lei si vedranno li adornamenti de li miracoli: evero diceché li adornamenti de le maraviglie è vederele cagioni di quelle; le quali ella dimostrasì come nelprincipio de la Metafisica pare sentire lo Filosofodicendo cheperquesti adornamenti vederecominciaro li uomini ad innamorare diquesta donna. E di questo vocabulocioè "maraviglia"nel seguente trattato più pienamente si parlerà. Tuttol'altro che segue poi di questa canzonesofficientemente èper l'altra esposizione manifesto. E cosìin fine di questosecondo trattatodico e affermo che la donna di cu' io innamoraiappresso lo primo amore fu la bellissima e onestissima figlia de loImperadore de lo universoa la quale Pittagora pose nome Filosofia.E qui si termina lo secondo trattatoche è ordinato a sponerela canzone che per prima vivanda è messa innanzi.



adornamentivederecominciaro li uomini ad innamorare di questa donna. E diquesto vocabulocioè "maraviglia"nel seguentetrattato più pienamente si parlerà. Tutto l'altro chesegue poi di questa canzonesofficientemente è per l'altraesposizione manifesto. E cosìin fine di questo secondotrattatodico e affermo che la donna di cu' io innamorai appresso loprimo amore fu la bellissima e onestissima figlia de lo Imperadore delo universoa la quale Pittagora pose nome Filosofia. E qui sitermina lo secondo trattatoche è ordinato a sponere lacanzone che per prima vivanda è messa innanzi.

TRATTATOIII

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Canzone

     Amor che ne la mente mi ragiona
De la mia donnadisiosamente
Move cose di lei meco sovente
Che lo'ntelletto sovr'esse disvia.
Lo suo parlar sìdolcemente sona
Che l'anima ch'ascolta e che lo sente
Dice:"Oh me lassa! ch'io non son possente
Di dir quel ch'odode la donna mia!
E certo e' mi conven lasciare in pria

     S'io vo' trattar di quel ch'odo di lei
Ciò che lo miointelletto non comprende;
E di quel che s'intende
Granparteperché dirlo non savrei.
Peròse le mierime avran difetto
Ch'entreran ne la loda di costei
Diciò si biasmi il debole intelletto
E 'l parlar nostroche non ha valore
Di ritrar tutto ciò che dice Amore.

     Non vede il solche tutto 'l mondo gira
Cosa tanto gentilquanto in quell'ora
Che luce ne la parte ove dimora
Ladonna di cui dire Amor mi face.
Ogni Intelletto di làsu la mira
E quella gente che qui s'innamora
Ne' lorpensieri la truovano ancora
Quando Amor fa sentir de la suapace.
Suo esser tanto a Quei che lel dà piace

      Che 'nfonde sempre in lei la sua vertute
Oltre 'l dimando dinostra natura.
La sua anima pura
Che riceve da lui questasalute
Lo manifesta in quel ch'ella conduce:
Ché'n sue bellezze son cose vedute
Che li occhi di colordov'ella luce
Ne mandan messi al cor pien di desiri
Cheprendon aire e diventan sospiri.
In lei discende la virtùdivina

     Sì come face in angelo che 'l vede;
E qual donnagentil questo non crede
Vada con lei e miri li attisui.
Quivi dov'ella parla si dichina
Un spirito da cielche reca fede
Come l'alto valor ch'ella possiede
Èoltre quel che si conviene a nui.
Li atti soavi ch'ellamostra altrui
Vanno chiamando Amor ciascuno a prova

     In quella voce che lo fa sentire.
Di costei si puòdire:
Gentile è in donna ciò che in lei sitrova
E bello è tanto quanto lei simiglia.
Epuossi dir che 'l suo aspetto giova
A consentir ciòche par maraviglia;
Onde la nostra fede èaiutata:
Però fu tal da etterno ordinata.
Coseappariscon ne lo suo aspetto
Che mostran de' piacer diParadiso

     Dico ne li occhi e nel suo dolce riso
Che le vi reca Amorcom'a suo loco.
Elle soverchian lo nostro intelletto
Comeraggio di sole un frale viso:
E perch'io non le posso mirarfiso
Mi conven contentar di dirne poco.
Sua bieltàpiove fiammelle di foco
Animate d'un spirito gentile
Ch'ècreatore d'ogni pensier bono;

     E rompon come trono
Li 'nnati vizii che fanno altruivile.
Però qual donna sente sua bieltate
Biasmarper non parer queta e umile
Miri costei ch'è essemplod'umiltate!
Questa è colei ch'umilia ogniperverso:
Costei pensò chi mosse l'universo.
Canzonee' par che tu parli contraro
Al dir d'una sorella che tu hai;

     Che questa donna che tanto umil fai
Ella la chiama fera edisdegnosa.
Tu sai che 'l ciel sempr'è lucente echiaro
E quanto in sénon si turba giàmai;
Ma li nostri occhi per cagioni assai
Chiaman lastella talor tenebrosa.
Cosìquand'ella la chiamaorgogliosa
Non considera lei secondo il vero
Ma pursecondo quel ch'a lei parea:

     Ché l'anima temea
E teme ancorasì che mi parfero
Quantunqu'io veggio là 'v'ella mi senta.
Cosìti scusase ti fa mestero;
E quando poia lei tirappresenta:
Dirai: "Madonnas'ello v'è agrato
Io parlerò di voi in ciascun lato".

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CapitoloI

        Così come nel precedente trattato si ragionalo mio secondoamore prese cominciamento da la misericordiosa sembianza d'una donna.Lo quale amore poitrovando la mia disposta vita al suo ardoreaguisa di fuocodi picciolo in grande fiamma s'accese; sì chenon solamente vegghiandoma dormendolume di costei ne la mia testaera guidato. E quanto fosse grande lo desiderio che Amore di vederecostei mi davané dire né intendere si potrebbe. E nonsolamente di lei era così disidirosoma di tutte quellepersone che alcuna prossimitade avessero a leio per familiaritade oper parentela alcuna. Oh quante notti furonoche li occhi de l'altrepersone chiusi dormendo si posavanoche li miei ne lo abitaculo delmio amore fisamente miravano! E sì come lo multiplicatoincendio pur vuole di fuori mostrarsiche stare ascoso èimpossibilevolontade mi giunse di parlare d'amorela quale deltutto tenere non potea. E avvegna che poca podestade io potesse averedi mio consigliopure in tantoo per volere d'Amore o per miaprontezzaad esso m'accostai per più fiateche io deliberaie vidi ched'amor parlandopiù bello né piùprofittabile sermone non era che quello nel quale si commendava lapersona che s'amava.
        E a questo deliberamento tre ragioni m'informaro: de le quali l'unafu lo proprio amore di me medesimolo quale è principio ditutti li altrisì come vede ciascuno. Ché piùlicito né più cortese modo di fare a se medesimo altrionore non èche onorare l'amico. Ché con ciòsia cosa che intra dissimili amistà essere non possadovunqueamistà si vede similitudine s'intende; e dovunque similitudines'intende corre comune la loda e lo vituperio. E di questa ragionedue grandi ammaestramenti si possono intendere: l'uno si è dinon volere che alcuno vizioso si mostri amicoperché in ciòsi prende oppinione non buona di colui cui amico si fa; l'altro sìèche nessuno dee l'amico suo biasimare palesementeperòche a se medesimo dà del dito ne l'occhiose ben si mira lapredetta ragione. La seconda ragione fu lo desiderio de la durazionedi questa amistade. Onde è da sapere chesì come dicelo Filosofo nel nono de l'Eticane l'amistade de le personedissimili di stato convienea conservazione di quellaunaproporzione essere intra loro che la dissimilitudine a similitudinequasi reduca. Sì com'è intra lo signore e lo servo:chéavvegna che lo servo non possa simile beneficio rendere alo signore quando da lui è beneficiatodee peròrendere quello che migliore può con tanta sollicitudine diprontezzache quello che è dissimile per sé si facciasimile per lo mostramento de la buona volontade; la quale manifestal'amistade si ferma e si conserva. Per che ioconsiderando me minoreche questa donnae veggendo me beneficiato da leiproposi di leicommendare secondo la mia facultadela qualese non simile èper séalmeno la pronta volontade mostra; chése piùpotessepiù farei: e così si fa simile a quella diquesta gentil donna. La terza ragione fu uno argomento di provedenza;chésì come dice Boezio"non basta di guardarepur quello che è dinanzi a li occhi"cioè lopresentee però n'è data la provedenza che riguardaoltrea quello che può avvenire. Dico che pensai che damoltidi retro da meforse sarei stato ripreso di levezza d'animoudendo me essere dal primo amore mutato; per chea torre via questariprensionenullo migliore argomento era che dire quale era quelladonna che m'avea mutato. Chéper la sua eccellenza manifestaavere si può considerazione de la sua virtude; e per lo'ntendimento de la sua grandissima virtù si può pensareogni stabilitade d'animo essere a quella mutabile e però menon giudicare lieve e non stabile. Impresi dunque a lodare questadonnae se non come si convenissealmeno innanzi quanto io potesse;e cominciai a dire: Amor che ne la mente mi ragiona.
        Questa canzone principalmente ha tre parti. La prima è tuttolo primo versonel quale proemialmente si parla. La seconda sonotutti e tre li versi seguentine li quali si tratta quello che dires'intendecioè la loda di questa gentile; lo primo de liquali comincia: Non vede il solche tutto 'l mondo gira. Laterza parte è lo quinto e l'ultimo versonel qualedirizzando le parole a la canzonepurgo lei d'alcuna dubitanza. E diqueste tre parti per ordine è da ragionare.

CapitoloII

        Faccendomi dunque da la prima parteche proemio di questa canzone fuordinatadico che dividere in tre parti si conviene. Che prima sitocca la ineffabile condizione di questo tema; secondamente si narrala mia insufficienza a questo perfettamente trattare: e cominciaquesta seconda parte: E certo e' mi convien lasciare in pria;ultimamente mi scuso da insufficienzane la quale non si dee porre ame colpa: e questo comincio quando dico: Peròse le mierime avran difetto.
        Dice adunque: Amor che ne la mente mi ragiona; doveprincipalmente è da vedere chi è questo ragionatoreeche è questo loco nel quale dico esso ragionare. Amoreveramente pigliando e sottilmente considerandonon è altroche unimento spirituale de l'anima e de la cosa amata; nel qualeunimento di propia sua natura l'anima corre tosto e tardisecondoche è libera o impedita. E la ragione di questa naturalitadepuò essere questa. Ciascuna forma sustanziale procede da lasua prima cagionela quale è Iddiosì come nel libroDi Cagioni è scrittoe non ricevono diversitade per quellache è semplicissimama per le secondarie cagioni e per lamateria in che discende. Onde nel medesimo libro si scrivetrattandode la infusione de la bontà divina: "E fannosi diverse lebontadi e li doni per lo concorrimento de la cosa che riceve".Ondecon ciò sia cosa che ciascuno effetto ritegna de lanatura de la sua cagione - sì come dice Alpetragio quandoafferma che quello che è causato da corpo circulare ne ha inalcuno modo circulare essere -ciascuna forma ha essere de la divinanatura in alcun modo: non che la divina natura sia divisa ecomunicata in quellema da quelle è participata per lo modoquasi che la natura del sole è participata ne l'altre stelle.E quanto la forma è più nobiletanto più diquesta natura tiene; onde l'anima umanache è formanobilissima di queste che sotto lo cielo sono generatepiùriceve de la natura divina che alcun'altra. E però chenaturalissimo è in Dio volere essere - però chesìcome ne lo allegato libro si legge"prima cosa èl'esseree anzi a quello nulla è" -l'anima umanaessere vuole naturalmente con tutto desiderio; e però che 'lsuo essere dipende da Dio e per quello si conservanaturalmentedisia e vuole essere a Dio unita per lo suo essere fortificare. Eperò che ne le bontadi de la natura e de la ragione si mostrala divinaviene che naturalmente l'anima umana con quelle per viaspirituale si uniscetanto più tosto e più fortequanto quelle più appaiono perfette: lo quale apparimento èfatto secondo che la conoscenza de l'anima è chiara oimpedita. E questo unire è quello che noi dicemo amoreper loquale si può conoscere quale è dentro l'animaveggendodi fuori quelli che ama. Questo amorecioè l'unimento de lamia anima con questa gentil donnane la quale de la divina luceassai mi si mostravaè quello ragionatore del quale io dico;poi che da lui continui pensieri nasceanomiranti e esaminanti lovalore di questa donna che spiritualmente fatta era con la mia animauna cosa.
         Lo loconel quale dico esso ragionare sì è la mente; ma perdire che sia la mentenon si prende di ciò piùintendimento che di primae però è da vedere chequesta mente propriamente significa. Dico adunque che lo Filosofo nelsecondo de l'Animapartendo le potenze di quelladice che l'animaprincipalmente hae tre potenzecioè viveresentire eragionare: e dice anche muovere; ma questa si può col sentirefare unaperò che ogni anima che senteo con tutti i sensi ocon alcuno solosi muove; sì che muovere è una potenzacongiunta col sentire. E secondo che esso diceèmanifestissimo che queste potenze sono intra sé per modo chel'una è fondamento de l'altra; e quella che èfondamento puote per sé essere partitama l'altrache sifonda sopra essanon può da quella essere partita. Onde lapotenza vegetativaper la quale si viveè fondamento sopra'l quale si sentecioè vedeodegustaodora e tocca; equesta vegetativa potenza per sé puote essere animasìcome vedemo ne le piante tutte. La sensitiva sanza quella essere nonpuotee non si truova in alcuna cosa che non viva; e questasensitiva potenza è fondamento de la intellettivacioède la ragione: e però ne le cose animate mortali laragionativa potenza sanza la sensitiva non si truovama la sensitivasi truova sanza questasì come ne le bestiene li uccelline' pesci e in ogni animale bruto vedemo. E quella anima che tuttequeste potenze comprendee è perfettissima di tutte l'altreè l'anima umanala quale con la nobilitade de la potenzaultimacioè ragioneparticipa de la divina natura a guisa disempiterna intelligenzia; però che l'anima è tanto inquella sovrana potenza nobilitata e dinudata da materiache ladivina lucecome in angeloraggia in quella: e però èl'uomo divino animale da li filosofi chiamato. In questa nobilissimaparte de l'anima sono più vertudisì come dice loFilosofo massimamente nel sesto de l'Etica; dove dice che in essa èuna vertù che si chiama scientificae una che si chiamaragionativao vero consigliativa: e con queste sono certe vertudi -sì come in quello medesimo luogo Aristotile dice - sìcome la vertù inventiva e giudicativa. E tutte questenobilissime vertudie l'altre che sono in quella eccellentissimapotenzasì chiama insieme con questo vocabulo del quale sivolea sapere che fossecioè mente. Per che è manifestoche per mente s'intende questa ultima e nobilissima parte del'anima.
         E checiò fosse lo 'ntendimentosi vede: ché solamente del'uomo e de le divine sustanze questa mente si predicasìcome per Boezio si puote apertamente vedereche prima la predica deli uominiove dice a la Filosofia: "Tu e Dioche ne la mentete de li uomini mise"; poi la predica di Dioquando dice a Dio:"Tutte le cose produci da lo superno essemplotubellissimobello mondo ne la mente portante". Né mai d'animale brutopredicata fueanzi di molti uominiche de la parte perfettissimapaiono defettivinon pare potersi né doversi predicare; eperò quelli cotali sono chiamati ne la gramatica "amenti"e "dementi"cioè sanza mente. Onde si puote omaivedere che è mente: che è quella fine e preziosissimaparte de l'anima che è deitade. E questo è il luogodove dico che Amore mi ragiona de la mia donna.

CapitoloIII

       Non sanza cagione dico che questo amore ne la mente mia fa la suaoperazione; ma ragionevolemente ciò si dicea dare aintendere quale amore è questoper lo loco nel quale adopera.Onde è da sapere che ciascuna cosacome detto è disopraper la ragione di sopra mostrata ha 'l suo speziale amore.Come le corpora simplici hanno amore naturato in sé a lo luogoproprioe però la terra sempre discende al centro; lo fuocoha amore a la circunferenza di sopralungo lo cielo de la lunaeperò sempre sale a quello. Le corpora composte primasìcome sono le minerehanno amore a lo luogo dove la loro generazioneè ordinatae in quello crescono e acquistano vigore epotenza; onde vedemo la calamita sempre da la parte de la suagenerazione ricevere vertù. Le pianteche sono prima animatehanno amore a certo luogo più manifestamentesecondo che lacomplessione richiede; e però vedemo certe piante lungol'acque quasi cansarsie certe sopra li gioghi de le montagneecerte ne le piagge e dappiè monti: le quali se si transmutanoo muoiono del tutto o vivono quasi tristesì come cosedisgiunte dal loro amico. Li animali bruti hanno più manifestoamore non solamente a li luoghima l'uno l'altro vedemo amare. Liuomini hanno loro proprio amore a le perfette e oneste cose. E peròche l'uomoavvegna che una sola sustanza sia tutta sua formaper lasua nobilitade ha in sé natura di tutte queste cosetuttiquesti amori puote avere e tutti li ha.
        Ché per la natura del simplice corpoche ne lo subiettosignoreggianaturalmente ama l'andare in giuso; e però quandoin su muove lo suo corpopiù s'affatica. Per la naturasecondadel corpo mistoama lo luogo de la sua generazioneeancora lo tempo; e però ciascuno naturalmente è di piùvirtuoso corpo ne lo luogo dove è generato e nel tempo de lasua generazione che in altro. Onde si legge ne le storie d'Erculeene l'Ovidio Maggiore e in Lucano e in altri poetiche combattendocon lo gigante che si chiamava Anteotutte volte che lo gigante erastancoe elli ponea lo suo corpo sopra la terra disteso o per suavolontà o per forza d'Erculeforza e vigore interamente de laterra in lui resurgeane la quale e de la quale era esso generato.Di che accorgendosi Erculea la fine prese lui; e stringendo quelloe levatolo da la terratanto lo tenne sanza lasciarlo a la terraricongiugnereche lo vinse per soperchio e uccise. E questabattaglia fu in Africasecondo le testimonianze de lescritture.
         E perla natura terzacioè de le pianteha l'uomo amore a certocibonon in quanto è sensibilema in quanto ènotribilee quello cotale cibo fa l'opera di questa naturaperfettissimae l'altro non cosìma falla imperfetta. E peròvedemo certo cibo fare li uomini formosi e membruti e benevivacemente coloratie certi fare lo contrario di questo. E per lanatura quartade li animalicioè sensitivahae l'uomo altroamoreper lo quale ama secondo la sensibile apparenzasìcome bestia; e questo amore ne l'uomo massimamente ha mestiere direttore per la sua soperchievole operazionene lo dilettomassimamente del gusto e del tatto. E per la quinta e ultima naturacioè vera umana omeglio dicendoangelicacioèrazionaleha l'uomo amore a la veritade e a la vertude; e da questoamore nasce la vera e perfetta amistadede l'onesto trattade laquale parla lo Filosofo ne l'ottavo de l'Eticaquando tratta del'amistade.
         Ondeacciò che questa natura si chiama mentecome di sopra èmostratodissi "Amore ragionare ne la mente"per dare adintendere che questo amore era quello che in quella nobilissimanatura nascecioè di veritade e di vertudee per ischiudereogni falsa oppinione da meper la quale fosse sospicato lo mio amoreessere per sensibile dilettazione. Dico poi disiosamenteadare ad intendere la sua continuanza e lo suo fervore. E dico "movesovente cose che fanno disviare lo 'ntelletto". E veramentedico; però che li miei pensieridi costei ragionandomoltefiate voleano cose conchiudere di lei che io non le potea intenderee smarrivamisì che quasi parea di fuori alienato: come chiguarda col viso contra una retta lineaprima vede le cose prossimechiaramente; poiprocedendomeno le vede chiare; poipiùoltredubita; poimassimamente oltre procedendolo viso disgiuntonulla vede.
         Equest'è l'una ineffabilitade di quello che io per tema hopreso; e consequentemente narro l'altraquando dico: Lo suoparlare. E dico che li miei pensieri - che sono parlare d'Amore -"sonan sì dolci"che la mia animacioè lomio affettoarde di potere ciò con la lingua narrare; eperché dire nol possodico che l'anima se ne lamenta dicendo:lassa! ch'io non son possente. E questa è l'altraineffabilitade; cioè che la lingua non è di quello chelo 'ntelletto vede compiutamente seguace. E dico l'animach'ascolta e che lo sente: "ascoltare"quanto a leparolee "sentire"quanto a la dolcezza del suono.

CapitoloIV

        Quando ragionate sono le due ineffabilitadi di questa materaconviensi procedere a ragionare le parole che narrano la miainsufficienza. Dico adunque che la mia insufficienza procededoppiamentesì come doppiamente trascende l'altezza dicosteiper lo modo che detto è. Ché a me convienelasciare per povertà d'intelletto molto di quello che èvero di leie che quasi ne la mia mente raggiala quale come corpodiafano riceve quellonon terminando: e questo dico in quellaseguente particula: E certo e' mi conven lasciare in pria. Poiquando dico: E di quel che s'intendedico che non pur aquello che lo mio intelletto non sostienema eziandio a quello cheio intendo sufficiente non sonoperò che la lingua mia non èdi tanta facundia che dire potesse ciò che nel pensiero mio sene ragiona; per che è da vedere chea rispetto de laveritadepoco fia quello che dirà. E ciò risulta ingrande loda di costeise bene si guardane la quale principalmentes'intende; e quella orazione si può dir bene che vegna da lafabrica del rettoricone la quale ciascuna parte pone mano a loprincipale intento. Poi quando dice: Peròse le mie rimeavran difettoescusomi da una colpa de la quale non deggioessere colpatoveggendo altri le mie parole essere minori che ladignitade di questa; e dico che se difetto fia ne le mie rimecioène le mie parole che a trattare di costei sono ordinatedi ciòè da biasimare la debilitade de lo 'ntelletto e la cortezzadel nostro parlarelo quale per lo pensiero è vintosìche seguire lui non puote a pienomassimamente là dove lopensiero nasce da amoreperché quivi l'anima profondamentepiù che altrove s'ingegna.
        Potrebbe dire alcuno: "tu scusi e accusi te insiememente".Ché argomento di colpa ènon purgamentoin quanto lacolpa si dà a lo 'ntelletto e al parlare che è mio;chésì comes'elli è buonoio deggio di ciòessere lodato in quanto così ècosìs'elli èdefettivodeggio essere biasimato. A ciò si puòbrievemente rispondere che non m'accusoma iscuso veramente. E peròè da saperesecondo la sentenza del Filosofo nel terzo del'Eticache l'uomo è degno di loda e di vituperio solo inquelle cose che sono in sua podestà di fare o di non fare; main quelle ne le quali non ha podestà non merita névituperio né lodaperò che l'uno e l'altro è darendere ad altruiavvegna che le cose siano parte de l'uomomedesimo. Onde noi non dovemo vituperare l'uomo perché sia delcorpo da sua nativitade laidoperò che non fu in sua podestàfarsi bello; ma dovemo vituperare la mala disposizione de la materiaonde esso è fattoche fu principio del peccato de la natura.E così non dovemo lodare l'uomo per biltade che abbia da suanativitade ne lo suo corpoché non fu ello di ciòfattorema dovemo lodare l'arteficecioè la natura umanache tanta bellezza produce ne la sua materia quando impedita da essanon è. E però disse bene lo prete a lo 'mperadorecheridea e schernia la laidezza del suo corpo: "Dio èsegnore: esso fece noi e non essi noi"; e sono queste parole delProfetain uno verso del Saltero scritte né più némeno come ne la risposta del prete. E però veggiano li cattivimalnati che pongono lo studio loro in azzimare la loro personae nonin adornare la loro operazioneche dee essere tutta con onestadeche non è altro a fare che ornare l'opera d'altrui eabbandonare la propria.
        Tornando adunque al propositodico che nostro intellettoperdifetto de la vertù da la quale trae quello ch'el vedeche èvirtù organicacioè la fantasianon puote a certecose salire (però che la fantasia nol puote aiutarechénon ha lo di che)sì come sono le sustanze partite damateria; de le quali se alcuna considerazione di quella avere potemointendere non le potemo né comprendere perfettamente. E di ciònon è l'uomo da biasimareché non essodicofue diquesto difetto fattoreanzi fece ciò la natura universalecioè Iddioche volse in questa vita privare noi da questaluce; cheperché elli lo si facessepresuntuoso sarebbe aragionare. Sì chese la mia considerazione mi transportava inparte dove la fantasia venia meno a lo 'ntellettose io non poteaintendere non sono da biasimare. Ancoraè posto fine alnostro ingegnoa ciascuna sua operazionenon da noi ma dal'universale natura; e però è da sapere che piùampi sono li termini de lo 'ngegno a pensare che a parlaree piùampi a parlare che ad accennare. Dunque se 'l pensiero nostrononsolamente quello che a perfetto intelletto non viene ma eziandioquello che a perfetto intelletto si terminaè vincente delparlarenon semo noi da biasimareperò che non semo di ciòfattori. E però manifesto me veramente scusare quando dico: Diciò si biasimi il debole intelletto E 'l parlar nostrochenon ha valore Di ritrar tutto ciò che dice Amore; chéassai si dee chiaramente vedere la buona volontadea la quale aversi dee rispetto ne li meriti umani. E così omai s'intenda laprima parte principale di questa canzoneche corre mo per mano.





CapitoloV

        Quandoragionando per la prima parteaperta è la sentenza diquellaprocedere si conviene a la seconda; de la quale per megliovederetre parti se ne vogliono faresecondo che in tre versi sicomprende: che ne la prima parte io commendo questa donna interamentee comunementesì ne l'anima come nel corpo; ne la secondadiscendo a laude speziale de l'anima; ne la terza a laude spezialedel corpo. La prima parte comincia: Non vede il solche tutto 'lmondo gira; la seconda comincia: In lei discende la virtùdivina; la terza comincia: Cose appariscon ne lo suo aspetto;e queste parti secondo ordine sono da ragionare.
        Dice adunque: Non vede il solche tutto il mondo gira; dove èda saperea perfetta intelligenza averecome lo mondo dal sole ègirato. Prima dico che per lo mondo io non intendo qui tutto 'l corpode l'universoma solamente questa parte del mare e de la terraseguendo la volgare voceché così s'usa chiamare: ondedice alcuno"quelli hae tutto lo mondo veduto"dicendoparte del mare e della terra. Questo mondo volse Pittagora - e lisuoi seguaci - dicere che fosse una de le stelle e che un'altra a leifosse oppositacosì fattae chiamava quella Anticthona; edicea ch'erano ambe in una spera che si volvea da occidente inorientee per questa revoluzione si girava lo sole intorno a noieora si vedea e ora non si vedea. E dicea che 'l fuoco era nel mezzodi questeponendo quello essere più nobile corpo che l'acquae che la terrae ponendo lo mezzo nobilissimo intra li luoghi de liquattro corpi simplici: e però dicea che 'l fuocoquandoparea saliresecondo lo vero al mezzo discendea. Platone fu poid'altra oppinionee scrisse in uno suo libro che si chiama Timeoche la terra col mare era bene lo mezzo di tuttoma che 'l suo tondotutto si girava a torno al suo centroseguendo lo primo movimentodel cielo; ma tarda molto per la sua grossa matera e per la massimadistanza da quello. Queste oppinioni sono riprovate per false nelsecondo De Celo et Mundo da quello glorioso filosofo al quale lanatura più aperse li suoi segreti; e per lui quivi èprovatoquesto mondocioè la terrastare in séstabile e fissa in sempiterno. E le sue ragioniche Aristotile dicea rompere costoro e affermare la veritadenon è miaintenzione qui narrareperché assai basta a la gente a cu' ioparloper la sua grande autoritade sapere che questa terra èfissa e non si girae che essa col mare è centro delcielo.
         Questocielo si gira intorno a questo centro continuamentesì comenoi vedemo; ne la cui girazione conviene di necessitade essere duepoli fermie uno cerchio equalmente distante da quellichemassimamente giri. Di questi due polil'uno è manifesto quasia tutta la terra discopertacioè questo settentrionale;l'altro è quasi a tutta la discoperta terra celatocioèlo meridionale. Lo cerchio che nel mezzo di questi s'intendesi èquella parte del cielo sotto la quale si gira lo sole quando va conl'Ariete e con la Libra. Onde è da sapereche se una pietrapotesse cadere da questo nostro poloella cadrebbe là oltrenel mare Oceanoa punto in su quel dosso del mare dovese fosse unouomola stella li sarebbe sempre in sul mezzo del capo; - e credoche da Roma a questo luogoandando diritto per tramontanasiaspazio quasi di dumila secento migliao poco dal più al meno-. Imaginando adunqueper meglio vederein questo luogo ch'io dissisia una cittade e abbia nome Mariadico ancora che se da l'altropolocioè meridionalecadesse una pietrach'ella caderebbein su quel dosso del mare Oceano ch'è a punto in questa pallaopposito a Maria; - e credo che da Roma là dove caderebbequesta seconda pietradiritto andando per lo mezzogiornosia spaziodi settemila cinquecento migliao poco dal più al meno -. Equi imaginiamo un'altra cittadeche abbia nome Lucia - ed èspazioda qualunque lato si tira la cordadi diecimila dugentomiglia -: èlitra l'una e l'altramezzo lo cerchio di tuttaquesta pallasì che li cittadini di Maria tengono le piantecontra le piante di quelli di Lucia. Imaginisi anco uno cerchio in suquesta pallache sia in ciascuna parte sua tanto lungi da Mariaquanto da Lucia. Credo che questo cerchio - secondo ch'io comprendoper le sentenze de li astrologie per quella d'Alberto de la Magnanel libro de la Natura de' luoghi e de le proprietadi de li elementie anco per la testimonianza di Lucano nel nono suo libro -dividerebbe questa terra discoperta dal mare Oceanolà nelmezzodiequasi per tutta l'estremità del primo climatedovesono intra l'altre genti li Garamantiche stanno quasi sempre nudi;a li quali venne Catone col popolo di Romala segnoria di Cesarefuggendo.
         Segnatiquesti tre luoghi sopra questa pallaleggiermente si puòvedere come lo sole la gira. Dico adunque che 'l cielo del sole sirivolge da occidente in orientenon dirittamente contra lo movimentodiurnocioè del die e de la nottema tortamente contraquello; sì che 'l suo mezzo cerchioche equalmente è'ntra li suoi polinel quale è lo corpo del solesega in dueparti opposite lo mezzo cerchio de li due primi policioè nelprincipio de l'Ariete e nel principio de la Librae partesi per duearchi da essouno ver settentrione e un altro ver mezzogiorno. Lipunti di mezzo de li quali archi si dilungano equalmente dal primocerchioda ogni parteper ventitrè gradi e uno punto più;e l'uno punto è lo principio del Cancroe l'altro è loprincipio del Capricorno. Però conviene che Maria veggia nelprincipio de l'Arietequando lo sole va sotto lo mezzo cerchio de liprimi poliesso sole girar lo mondo intorno giù a la terraovero al marecome una mola de la quale non paia più che mezzolo corpo suo; e questa veggia venire montando a guisa d'una vitedintornotanto che compia novanta e una rota e poco più. Equando queste rote sono compiutelo suo montare è a Mariaquasi tanto quanto esso monta a noi ne la mezza terraquando 'lgiorno è de la mezza notte iguale; e se uno uomo fosse drittoin Maria e sempre al sole volgesse lo visovederebbesi quello andarever lo braccio destro. Poi per la medesima via par discendere altrenovanta e una rota e poco piùtanto ch'elli gira intorno giùa la terrao vero al maresé non tutto mostrando; e poi sicelae comincialo a vedere Lucialo quale montare e discendereintorno a sé allor vede con altrettante rote quante vedeMaria. E se uno uomo fosse in Lucia drittosempre che volgesse lafaccia in ver lo solevedrebbe quello andarsi nel braccio sinistro.Per che si può vedere che questi luoghi hanno un dìl'anno di sei mesi; e una notte d'altrettanto tempo; e quando l'unoha lo giorno e l'altro ha la notte. Conviene anche che lo cerchiodove sono li Garamanticome detto èin su questa pallaveggia lo sole a punto sopra sé girarenon a modo di molamadi rota; la quale non può in alcuna parte vedere se non mezzaquando va sotto l'Ariete. E poi lo vede partire da sé e venireverso Maria novanta e uno die e poco piùe per altrettanti asé tornare; e poiquando è tornatova sotto la Librae anche si parte e va ver Lucia novanta e uno dì e poco piùe in altrettanti ritorna. E questo luogolo quale tutta la pallacerchiasempre ha lo die iguale con la notteo di qua o di làche 'l sole li vada; e due volte l'anno ha la state grandissima dicaloree due piccioli verni.
        Conviene anche che li due spaziiche sono in mezzo de le due cittadiimaginate e lo cerchio del mezzoveggiano lo sole disvariatamentesecondo che sono remoti e propinqui questi luoghi; sì comeomaiper quello che detto èpuote vedere chi ha nobileingegnoal quale è bello un poco di fatica lasciare. Per chevedere omai si puoteche per lo divino provedimento lo mondo èsi ordinato chevolta la spera del sole e tornata a uno puntoquesta palla dove noi siamo in ciascuna parte di sé ricevetanto tempo di luce quanto di tenebre. O ineffabile sapienza che cosìordinastiquanto è povera la nostra mente a te comprendere! Evoi a cui utilitade e diletto io scrivoin quanta cechitade vivetenon levando li occhi suso a queste cosetenendoli fissi nel fango dela vostra stoltezza!

CapitoloVI

        Nel precedente capitolo è mostrato per che modo lo sole gira;sì che omai si puote procedere a dimostrare la sentenza de laparte a la quale s'intende. Dico adunque che in questa parte primacomincio a commendare questa donna per comparazione a l'altre cose; edico che 'l solegirando lo mondonon vede alcuna cosa cosìgentile come costei: per che segue che questa siasecondo le parolegentilissima di tutte le cose che 'l sole allumina. E dice: inquell'ora; onde è da sapere che "ora" per duemodi si prende da li astrologi. L'uno si èche del die e dela notte fanno ventiquattr'orecioè dodici del die e dodicide la nottequanto che 'l die sia grande o picciolo; e queste ore sifanno picciole e grandi nel dì e ne la nottesecondo che ildì e la notte cresce e menoma. E queste ore usa la Chiesaquando dice PrimaTerzaSesta e Nonae chiamansi ore temporali.L'altro modo si èche faccendo del dì e de la notteventiquattr'oretal volta ha lo die le quindici oree la notte lenove; tal volta ha la notte le sedici e lo die le ottosecondo checresce e menoma lo die e la notte: e chiamansi ore equali. E ne loequinozio sempre queste e quelle che temporali si chiamano sono unacosa; però cheessendo lo dì equale de la notteconviene così avvenire.
        Poi quando dico: Ogni Intelletto di là su la miracommendo leinon avendo rispetto ad altra cosa. E dico che leIntelligenze del cielo la miranoe che la gente di qua giùgentile pensano di costeiquando più hanno di quello che lorodiletta. E qui è da sapere che ciascuno Intelletto di soprasecondo ch'è scritto nel libro de le Cagioniconosce quelloche è sopra sé e quello che è sotto sé.Conosce adunque Iddio sì come sua cagioneconosce quello cheè sotto sé sì come suo effetto; e peròche Dio è universalissima cagione di tutte le coseconoscendoluitutte le cose conosce in sésecondo lo modo de laIntelligenza. Per che tutte le Intelligenze conoscono la forma umanain quanto ella è per intenzione regolata ne la divina mente; emassimamente conoscono quella le Intelligenze motriciperòche sono spezialissime cagioni di quella e d'ogni forma generataeconoscono quella perfettissimatanto quanto essere puotesìcome loro regola ed essemplo. E se essa umana formaessemplata eindividuatanon è perfettanon è manco de lo dettoessemploma de la materia la quale individua. Però quandodico: Ogni Intelletto di là su la miranon voglioaltro dire se non ch'ella è così fatta come l'essemplointenzionale che de la umana essenzia è ne la divina mente eper quellain tutte l'altremassimamente in quelle menti angelicheche fabbricano col cielo queste cose di qua giuso.
        E a questo affermaresoggiungo quando dico: E quella gente chequi s'innamora. Dove è da sapere che ciascuna cosamassimamente desidera la sua perfezionee in quella si queta ognisuo desiderioe per quella ogni cosa è desiderata: e questo èquello desiderio che sempre ne fa parere ogni dilettazione manca; chénulla dilettazione è si grande in questa vita che a l'animanostra possa torre la seteche sempre lo desiderio che detto ènon rimagna nel pensiero. E però che questa è veramentequella perfezionedico che quella gente che qua giù maggiorediletto riceve quando più hanno di paceallora rimane questane' loro pensieriper questadicotanto essere perfetta quantosommamente essere puote l'umana essenzia. Poi quando dico: Suoesser tanto a Quei che lel dà piacemostro che nonsolamente questa donna è perfettissima ne la umanagenerazionema più che perfettissima in quanto riceve de ladivina bontade oltre lo debito umano. Onde ragionevolmente si puotecredere chesì come ciascuno maestro ama più la suaopera ottima che l'altrecosì Dio ama più la personaumana ottima che tutte l'altre; e però che la sua larghezzanon si stringe da necessitade d'alcuno terminenon ha riguardo losuo amore al debito di colui che ricevema soperchia quello in donoe in beneficio di vertù e di grazia. Onde dico qui che essoDioche dà l'essere a costeiper caritade de la suaperfezione infonde in essa de la sua bontade oltre li termini deldebito de la nostra natura.
        Poi quando dico: La sua anima purapruovo ciò chedetto è per sensibile testimonianza. Ove è da saperechesì come dice lo Filosofo nel secondo de l'Animal'animaè atto del corpo: e se ella è suo attoè suacagione; e però chesì come è scritto nel libroallegato de le Cagioniogni cagione infonde nel suo effetto de labontade che riceve da la cagione suainfonde e rende al corpo suo dela bontade de la cagione suach'è Dio. Ondecon ciòsia cosa che in costei si veggianoquanto è da la parte delcorpomaravigliose cosetanto che fanno ogni guardatore disioso diquelle vederemanifesto è che la sua formacioè lasua animache lo conduce sì come cagione propriaricevamiracolosamente la graziosa bontade di Dio. E così si pruovaper questa apparenzache è oltre lo debito de la naturanostra (la quale in lei è perfettissima come detto è disopra) questa donna da Dio beneficiata e fatta nobile cosa. E questaè tutta la sentenza litterale de la prima parte de la secondaparte principale.

CapitoloVII

       Commendata questa donna comunementesì secondo l'anima comesecondo lo corpoio procedo a commendare lei spezialmente secondol'anima; e prima la commendo secondo che 'l suo bene è grandein sépoi la commendo secondo che 'l suo bene è grandein altrui e utile al mondo. E comincia questa parte seconda quandodico: Di costei si può dire. Dunque dico prima: Inlei discende la virtù divina. Ove è da sapere chela divina bontade in tutte le cose discendee altrimenti essere nonpotrebbero; ma avvegna che questa bontade si muova da simplicissimoprincipiodiversamente si ricevesecondo più e menoda lecose riceventi. Onde scritto è nel libro de le Cagioni: "Laprima bontade manda le sue bontadi sopra le cose con unodiscorrimento". Veramente ciascuna cosa riceve da quellodiscorrimento secondo lo modo de la sua vertù e de lo suoessere; e di ciò sensibile essemplo avere potemo dal sole.Vedemo la luce del solela quale è unada uno fontederivatadiversamente da le corpora essere ricevuta; sì comedice Alberto in quello libro che fa de lo Intelletto. Chécerti corpiper molta chiaritade di diafano avere in sémistatosto che 'l sole li vede diventano tanto luminosiche permultiplicamento di luce in quelle e ne lo loro aspettorendono a lialtri di sé grande splendoresì come è l'oro ealcuna pietra. Certi sono cheper esser del tutto diafaninonsolamente ricevono la lucema quella non impedisconoanzi rendonolei del loro colore colorata ne l'altre cose. E certi sono tantovincenti ne la purità del diafanoche divengono sìraggiantiche vincono l'armonia de l'occhioe non si lascianovedere sanza fatica del visosì come sono li specchi. Certialtri sono tanto sanza diafanoche quasi poco de la luce ricevonosi com'è la terra. Così la bontà di Dio èricevuta altrimenti da le sustanze separatecioè da liAngeliche sono sanza grossezza di materiaquasi diafani per lapurità de la loro formae altrimenti da l'anima umanacheavvegna che da una parte sia da materia liberada un'altra èimpeditasì come l'uomo ch'è tutto ne l'acqua fuor delcapodel quale non si può dire che tutto sia ne l'acqua nétutto fuor da quella; e altrimenti da li animalila cui anima tuttain materia è compresama alquanto è nobilitata; ealtrimenti da le piantee altrimenti da le minere; e altrimenti dala terra che da li altri elementiperò che èmaterialissimae però remotissima e improporzionalissima a laprima simplicissima e nobilissima vertudeche sola èintellettualecioè Dio.
        E avvegna che posti siano qui gradi generalinondimeno si possonoporre gradi singulari; cioè che quella ricevede l'animeumanealtrimenti una che un'altra. E però che ne l'ordineintellettuale de l'universo si sale e discende per gradi quasicontinui da la infima forma a l'altissima e da l'altissima a lainfimasì come vedemo ne l'ordine sensibile; e tra l'angelicanaturache è cosa intellettualee l'anima umana non siagrado alcunoma sia quasi l'uno a l'altro continuo per li ordini deli gradie tra l'anima umana e l'anima più perfetta de libruti animali ancor mezzo alcuno non sia; e noi veggiamo molti uominitanto vili e di sì bassa condizioneche quasi non pare esserealtro che bestia; e così è da porre e da crederefermamenteche sia alcuno tanto nobile e di sì altacondizione che quasi non sia altro che angelo: altrimenti non sicontinuerebbe l'umana spezie da ogni parteche esser non può.E questi cotali chiama Aristotilenel settimo de l'Eticadivini; ecotale dico io che è questa donnasì che la divinavirtudea guisa che discende ne l'angelodiscende in lei.
        Poi quando dico: E qual donna gentil questo non credepruovoquesto per la esperienza che aver di lei si può in quelleoperazioni che sono proprie de l'anima razionaledove la divina lucepiù espeditamente raggia; cioè nel parlare e ne li attiche reggimenti e portamenti sogliono essere chiamati. Onde èda sapere che solamente l'uomo intra li animali parlae hareggimenti e atti che si dicono razionali però che solo elliha in sé ragione. E se alcuno volesse dire contradicendo chealcuno uccello parlisì come pare di certimassimamente dela gazza e del pappagalloe che alcuna bestia fa atti o veroreggimentisì come pare de la scimia e d'alcuno altrorispondo che non è vero che parlino né che abbianoreggimentiperò che non hanno ragioneda la quale questecose convegnono procedere; né è in loro lo principio diqueste operazioniné conoscono che sia ciònéintendono per quello alcuna cosa significarema solo quello cheveggiono e odono ripresentare. Ondesecondo la imagine de le corporain alcuno corpo lucido si ripresentasì come ne lo specchioe si la imagine corporale che lo specchio dimostra non è vera;così la imagine de la ragionecioè li atti e loparlare che l'anima bruta ripresentao vero dimostranon èvera.
         Dico che"qual donna gentile non crede quello ch'io dicoche vada conleie miri li suoi atti" - non dico "qual uomo"peròche più onestamente di donna per le donne si prende esperienzache per l'uomo -; e dico quello che di lei colei sentiràdicendo quello che fa lo suo parlaree che fanno li suoi reggimenti.Ché il suo parlareper l'altezza e per la dolcezza suagenera ne la mente di chi l'ode uno pensiero d'amorelo quale iochiamo spirito celestialeperò che là su è loprincipio e di là su viene la sua sentenzasì come disopra è narrato; del qual pensiero si procede in fermaoppinione che questa sia miraculosa donna di vertude. E suoi attiper la loro soavitade e per la loro misurafanno amore disvegliare erisentire là dovunque è de la sua potenza seminata perbuona natura. La quale natural semenza si fa come nel sequentetrattato si mostra.
        Poi quando dico: Di costei si può direintendo narrarecome la bontà e la vertù de la sua anima è a lialtri buona e utile. E primacom'ella è utile a l'altredonnedicendo: Gentile è in donna ciò che in lei sitrovadove manifesto essemplo rendo a le donnenel qualemirando possano sé far parere gentiliquello seguitando.Secondamente narro come ella è utile a tutte le gentidicendoche l'aspetto suo aiuta la nostra fedela quale più che tuttel'altre cose è utile a tutta l'umana generazionesìcome quella per la quale campiamo da etternale morte e acquistiamoetternale vita. E la nostra fede aiuta; però checon ciòsia cosa che principalissimo fondamento de la fede nostra sianomiracoli fatti per colui che fu crucifisso - lo quale creò lanostra ragionee volle che fosse minore del suo potere -e fattipoi nel nome suo per li santi suoi; e molti siano sì ostinatiche di quelli miracoli per alcuna nebbia siano dubbiosie nonpossano credere miracolo alcuno sanza visibilmente avere di ciòesperienza; e questa donna sia una cosa visibilmente miraculosadela quale li occhi de li uomini cotidianamente possono esperienzaavereed a noi faccia possibili li altri; manifesto è chequesta donnacol suo mirabile aspettola nostra fede aiuta. E peròultimamente dico che da etternocioè etternamentefuordinata ne la mente di Dio in testimonio de la fede a coloro chein questo tempo vivono. E così termina la seconda parte de laseconda partesecondo la litterale sentenza.

CapitoloVIII

       Intra li effetti de la divina sapienza l'uomo è mirabilissimoconsiderato come in una forma la divina virtute tre nature congiunsee come sottilmente armoniato conviene esser lo corpo suoa cotalforma essendo organizzato per tutte quasi sue vertudi. Per cheperla molta concordia che 'ntra tanti organi conviene a benerispondersipochi perfetti uomini in tanto numero sono. E se cosìè mirabile questa creaturacerto non pur con le parole èda temere di trattare di sue condizionima eziandio col pensierosecondo quelle parole de lo Ecclesiastico: "La sapienza di Dioprecedente tutte le cosechi cercava?"e quelle altre dovedice: "Più alte cose di te non dimanderai e piùforti cose di te non cercherai; ma quelle cose che Dio ti comandòpensae in più sue opere non sie curioso"cioèsollicito. Io adunqueche in questa terza particola d'alcunacondizione di cotal creatura parlare intendoin quanto nel suocorpoper bontade de l'animasensibile bellezza apparetemorosamente non sicuro cominciointendendoe se non a pienoalmeno alcuna cosa di tanto nodo disnodare. Dico adunque chepoi cheaperta è la sentenza di quella particola ne la quale questadonna è commendata da la parte de l'animada procedere e davedere è comequando dico Cose appariscon ne lo suoaspettoio commendo lei da la parte del corpo. E dico che ne losuo aspetto appariscono cose le quali dimostrano de' piaceri diParadiso. E intra li altri di quelli lo più nobile e quelloche è inizio e fine di tutti li altrisì ècontentarsie questo si è essere beato; e questo piacere èveramenteavvegna che per altro modone l'aspetto di costei. Chéguardando costeila gente si contentatanto dolcemente ciba la suabellezza li occhi de' riguardatori; ma per altro modo che per locontentare in Paradiso che è perpetuoché non puòad alcuno essere questo.
        E però che potrebbe alcuno aver domandato dove questo mirabilepiacere appare in costeidistinguo ne la sua persona due partinele quali l'umana piacenza e dispiacenza più appare. Onde èda sapere che in qualunque parte l'anima più adopera del suoofficioche a quella più fissamente intende ad adornareepiù sottilmente quivi adopera. Onde vedemo che ne la faccia del'uomolà dove fa più del suo officio che in alcunaparte di fuoritanto sottilmente intendecheper sottigliarsiquivi tanto quanto ne la sua materia puotenullo viso ad altro visoè simile; perché l'ultima potenza de la materialaqual è in tutti quasi dissimilequivi si riduce in atto. Eperò che ne la faccia massimamente in due luoghi opera l'anima- però che in quelli due luoghi quasi tutte e tre le nature del'anima hanno giurisdizione - cioè ne li occhi e ne la boccaquelli massimamente adorna e quivi pone lo 'ntento tutto a farebellose puote. E in questi due luoghi dico io che apparisconoquesti piaceri dicendo: ne li occhi e nel suo dolce riso. Liquali due luoghiper bella similitudinesi possono appellarebalconi de la donna che nel dificio del corpo abitacioèl'anima; però che quiviavvegna che quasi velataspessevolte si dimostra. Dimostrasi ne li occhi tanto manifestacheconoscer si può la sua presente passionechi bene làmira. Ondecon ciò sia cosa che sei passioni siano propie del'anima umanade le quali fa menzione lo Filosofo ne la suaRettoricacioè graziazelomisericordiainvidiaamore evergognadi nulla di queste puote l'anima essere passionata che a lafinestra de li occhi non vegna la sembianzase per grande vertùdentro non si chiude. Onde alcuno già si trasse li occhiperché la vergogna d'entro non paresse di fuori; sìcome dice Stazio poeta del tebano Edipoquando dice che "conetterna notte solvette lo suo dannato pudore". Dimostrasi ne laboccaquasi come colore dopo vetro. E che è ridere se non unacorruscazione de la dilettazione de l'animacioè uno lumeapparente di fuori secondo sta dentro? E però si conviene al'uomoa dimostrare la sua anima ne l'allegrezza moderatamoderatamente riderecon onesta severitade e con poco movimento dela sua faccia; sì che donnache allora si dimostra come dettoèpaia modesta e non dissoluta. Onde ciò fare necomanda lo Libro de le quattro vertù cardinali: "Lo tuoriso sia sanza cachinno"cioè sanza schiamazzare comegallina. Ahi mirabile riso de la mia donnadi cui io parloche mainon si sentia se non de l'occhio!
        E dico che Amore le reca queste cose quivisì come a luogosuo; dove si può amore doppiamente considerare. Prima l'amorede l'animaspeziale a questi luoghi; secondamente l'amore universaleche le cose dispone ad amare e ad essere amateche ordina l'anima adadornare queste parti. Poi quando dico: Elle soverchian lo nostrointellettoescuso me di ciòche di tanta eccellenza dibiltade poco pare che io tratti sovrastando a quella; e dico che pocone dico per due ragioni. L'una si è che queste cose che paiononel suo aspetto soverchiano lo 'ntelletto nostrocioè umano:e dico come questo soverchiare è fattoche è fatto perlo modo che soverchia lo sole lo fragile visonon pur lo sano eforte; l'altra si è che fissamente in esse guardare non puòperché quivi s'inebria l'animasì che incontanentedopo di sguardaredisvia in ciascuna sua operazione.
        Poi quando dico: Sua bieltà piove fiammelle di focoricorro a ritrattare del suo effettopoi che di lei trattareinteramente non si può. Onde è da sapere che di tuttequelle cose che lo 'ntelletto nostro vinconosì che non puòvedere quello che sonoconvenevolissimo trattare è per liloro effetti: onde di Dioe de le sustanze separatee de la primamateriacosì trattandopotemo avere alcuna conoscenza. Eperò dico che la biltade di quella piove fiammelle di fococioè ardore d'amore e di caritade; animate d'un spiritogentilecioè informato ardore d'un gentile spiritocioèdiritto appetitoper lo quale e del quale nasce origine di buonopensiero. E non solamente fa questoma disfà e distrugge losuo contrario - de li buoni pensieri -cioè li vizii innatili quali massimamente sono di buoni pensieri nemici. E qui èda sapere che certi vizii sono ne l'uomo a li quali naturalmente elliè disposto - sì come certi per complessione collericasono ad ira disposti -e questi cotali vizii sono innaticioèconnaturali. Altri sono vizii consuetudinariia li quali non hacolpa la complessione ma la consuetudinesì come laintemperanzae massimamente del vino: e questi vizii si fuggono e sivincono per buona consuetudinee fassi l'uomo per essa virtuososanza fatica avere ne la sua moderazionesì come dice loFilosofo nel secondo de l'Etica. Veramente questa differenza èintra le passioni connaturali e le consuetudinarieche leconsuetudinarie per buona consuetudine del tutto vanno via; peròche lo principio lorocioè la mala consuetudineper lo suocontrario si corrompe; ma le connaturalilo principio de le quali èla natura del passionatotutto che molto per buona consuetudine sifacciano lievidel tutto non se ne vanno quanto al primo movimentoma vannosene bene del tutto quanto a durazione; però che laconsuetudine non è equabile a la naturane la quale èlo principio di quelle. E però è più laudabilel'uomo che dirizza sé e regge sé mal naturato contral'impeto de la naturache colui che ben naturato si sostiene inbuono reggimento o disviato si rinvia; sì come è piùlaudabile uno mal cavallo reggere che un altro non reo. Dico adunqueche queste fiammelle che piovono da la sua biltadecome detto èrompono li vizii innaticioè connaturalia dare a intendereche la sua bellezza ha podestade in rinnovare natura in coloro che lamirano; ch'è miracolosa cosa. E questo conferma quello chedetto è di sopra ne l'altro capitoloquando dico ch'ella èaiutatrice de la fede nostra.
        Ultimamente quando dico: Però qual donna sente suabieltateconchiudosotto colore d'ammonire altruilo fine ache fatta fue tanta biltade; e dico che qual donna sente per manco lasua biltade biasimareguardi in questo perfettissimo essemplo. Doves'intende che non pur a migliorare lo bene è fattamaeziandio a fare de la mala cosa buona cosa. E soggiugne in fine:Costei pensò chi mosse l'universocioè Dioperdare a intendere che per divino proponimento la natura cotale effettoprodusse. E così termina tutta la seconda parte principale diquesta canzone.

CapitoloIX

        L'ordine del presente trattato richiede - poi che le due parti diquesta canzone per me sonosecondo che fu la mia intenzioneragionate - che a la terza si procedane la quale io intendo purgarela canzone da una riprensionela quale a lei potrebbe essere istatacontrariae a questo che io parlo. Ché ioprima che a la suacomposizione venisseparendo a me questa donna fatta contra me fierae superba alquantofeci una ballatetta ne la quale chiamai questadonna orgogliosa e dispietata: che pare esser contra quello che quisi ragiona di sopra. E però mi volgo a la canzonee sottocolore d'insegnare a lei come scusare la convienescuso quella: ed èuna figura questaquando a le cose inanimate si parlache si chiamada li rettorici prosopopeia; e usanla molto spesso li poeti. Ecomincia questa parte terza: Canzonee' par che tu parlicontraro. Lo 'ntelletto de la quale a più agevolmente darea intenderemi conviene in tre particole dividere: che prima sipropone a che la scusa fa mestiere; poi si produce con la scusaquando dico: Tu sai che 'l cielo; ultimamente parlo a lacanzone sì come a persona ammaestrata di quello che dee farequando dico: Così ti scusase ti fa mestero.
        Dico dunque in prima: "O canzoneche parli di questa donnacotanta lodae' par che tu sii contraria ad una tua sorella".Per similitudine dico "sorella"; ché sì comesorella è detta quella femmina che da uno medesimo generante ègeneratacosì puote l'uomo dire "sorella" del'opera che da uno medesimo operante è operata; ché lanostra operazione in alcuno modo è generazione. E dico che parche parli contrara a quelladicendo: tu fai costei umilee quellala fa superbacioè fera e disdegnosache tanto vale.Proposta questa accusaprocedo a la scusa per essemplone lo qualealcuna voltala veritade si discorda da l'apparenzaealtraperdiverso rispetto si puote transmutare. Dico: Tu sai che 'l cielsempr'è lucente e chiarocioè sempr'è conchiaritade; ma per alcuna cagione alcuna volta è licito didire quello essere tenebroso. Dove è da sapere chepropriamenteè visibile lo colore e la lucesì comeAristotile vuole nel secondo de l'Animae nel libro del Senso eSensato. Ben è altra cosa visibilema non propriamenteperòche anche altro senso sente quellosi che non si può dire chesia propriamente visibilené propriamente tangibile; sìcome è la figurala grandezzalo numerolo movimento e lostare fermoche sensibili comuni si chiamano: le quali cose con piùsensi comprendiamo. Ma lo colore e la luce sono propriamente; perchésolo col viso comprendiamo ciòe non con altro senso. Questecose visibilisì le proprie come le comuni in quanto sonovisibilivengono dentro a l'occhio - non dico le cosema le formeloro - per lo mezzo diafanonon realmente ma intenzionalmentesìquasi come in vetro transparente. E ne l'acqua ch'è ne lapupilla de l'occhioquesto discorsoche fa la forma visibile per lomezzosì si compieperché quell'acqua èterminata - quasi come specchioche è vetro terminato conpiombo -sì che passar più non puòma quiviamodo d'una pallapercossa si ferma; sì che la formache nelmezzo transparente non parene l'acqua pare lucida e terminata. Equesto è quello per che nel vetro piombato la imagine apparee non in altro. Di questa pupilla lo spirito visivoche si continuada essaa la parte del cerebro dinanzidov'è la sensibilevirtude sì come in principio fontalesubitamente sanza tempola ripresentae cosa vedemo. Per cheacciò che la visionesia veracecioè cotale qual è la cosa visibile in séconviene che lo mezzo per lo quale a l'occhio viene la forma siasanza ogni coloree l'acqua de la pupilla similemente: altrimenti simacolerebbe la forma visibile del color del mezzo e di quello de lapupilla. E però coloro che vogliono far parere le cose ne lospecchio d'alcuno coloreinterpongono di quello colore tra 'l vetroe 'l piombosì che 'l vetro ne rimane compreso. VeramentePlato e altri filosofi dissero che 'l nostro vedere non era perchélo visibile venisse a l'occhioma perché la virtùvisiva andava fuori al visibile: e questa oppinione èriprovata per falsa dal Filosofo in quello del Senso eSensato.
         Vedutoquesto modo de la vistavedere si può leggermente cheavvegna che la stella sempre sia d'un modo chiara e lucentee nonriceva mutazione alcuna se non di movimento localesì come inquello De Celo et Mundo è provatoper più cagionipuote parere non chiara e non lucente. Però puote parere cosìper lo mezzo che continuamente si transmuta. Transmutasi questo mezzodi molta luce in poca lucesì come a la presenza del sole e ala sua assenza; e a la presenza lo mezzoche è diafanoètanto pieno di lume che è vincente de la stellae perònon pare più lucente. Transmutasi anche questo mezzo disottile in grossodi secco in umidoper li vapori de la terra checontinuamente salgono: lo quale mezzocosì transmutatotransmuta la immagine de la stella che viene per essoper lagrossezza in oscuritadee per l'umido e per lo secco in colore. Peròpuote anche parere così per l'organo visivocioèl'occhiolo quale per infertade e per fatica si transmuta in alcunocoloramento e in alcuna debilitade; sì come avviene moltevolte che per essere la tunica de la pupilla sanguinosa moltoperalcuna corruzione d'infertadele cose paiono quasi tutte rubicundee però la stella ne pare colorata. E per essere lo visodebilitatoincontra in esso alcuna disgregazione di spiritosìche le cose non paiono unite ma disgregatequasi a guisa che fa lanostra lettera in su la carta umida: e questo è quello per chemoltiquando vogliono leggeresi dilungano le scritture da liocchiperché la imagine loro vegna dentro piùlievemente e più sottile; e in ciò più rimane lalettera discreta ne la vista. E però puote anche la stellaparere turbata: e io fui esperto di questo l'anno medesimo che nacquequesta canzoneche per affaticare lo viso moltoa studio dileggerein tanto debilitai li spiriti visivi che le stelle mipareano tutte d'alcuno albore ombrate. E per lunga riposanza inluoghi oscuri e freddie con affreddare lo corpo de l'occhio conl'acqua chiarariuni' sì la vertù disgregata chetornai nel primo buono stato de la vista. E così appaionomolte cagioniper le ragioni notateper che la stella puote parerenon com'ella è.





CapitoloX

        Partendomi da questa disgressioneche mestiere è stata avedere la veritaderitorno al proposito e dico che sì come linostri occhi "chiamano"cioè giudicanola stellatalora altrimenti che sia la vera sua condizionecosì quellaballatetta considerò questa donna secondo l'apparenzadiscordante dal vero per infertade de l'animache di troppo disioera passionata. E ciò manifesto quando dico: Chél'anima temeasì che fiero mi parea ciò che vedeane la sua presenza. Dov'è da sapere che quanto l'agente piùal paziente sé uniscetanto più forte è peròla passionesì come per la sentenza del Filosofo in quello DeGeneratione si può comprendere; ondequanto la cosadesiderata più appropinqua al desiderantetanto lo desiderioè maggioree l'animapiù passionatapiù siunisce a la parte concupiscibile e più abbandona la ragione.Sì che allora non giudica come uomo la personama quasi comealtro animale pur secondo l'apparenzanon discernendo la veritade. Equesto è quello per che lo sembianteonesto secondo lo verone pare disdegnoso e fero; e secondo questo cotale sensuale giudicioparlò quella ballatetta. E in ciò s'intende assai chequesta canzone considera questa donna secondo la veritadeper ladiscordanza che ha con quella. E non sanza cagione dico: là'v'ella mi sentae non là dov'io la senta; ma inciò voglio dare a intendere la grande virtù che li suoiocchi aveano sopra me: chécome s'io fosse stato diafanocosì per ogni lato mi passava lo raggio loro. E quivi sipotrebbero ragioni naturali e sovranaturali assegnare; ma basti quitanto avere detto: altrove ragionerò piùconvenevolemente.
        Poi quando dico: Così ti scusase ti fa mesteroimpongo a la canzone come per le ragioni assegnate "séiscusi là dov'è mestiero"cioè làdove alcuno dubitasse di questa contrarietade; che non è altroa dire se non che qualunque dubitasse in ciòche questacanzone da quella ballatetta si discordamiri in questa ragione chedetta è. E questa cotale figura in rettorica è moltolaudabilee anco necessariacioè quando le parole sono a unapersona e la 'ntenzione è a un'altra; però chel'ammonire è sempre laudabile e necessarioe non sempre staconvenevolemente ne la bocca di ciascuno. Ondequando lo figlio èconoscente del vizio del padree quando lo suddito èconoscente del vizio del segnoree quando l'amico conosce chevergogna crescerebbe al suo amico quello ammonendo o menomerebbe suoonoreo conosce l'amico suo non paziente ma iracundo al'ammonizionequesta figura è bellissima e utilissimaepuotesi chiamare "dissimulazione". Ed è simigliantea l'opera di quello savio guerrero che combatte lo castello da unolato per levare la difesa da l'altroche non vanno ad una parte la'ntenzione de l'aiutorio e la battaglia.
        E impongo anche a costei che domandi parola di parlare a questa donnadi lei. Dove si puote intendere che l'uomo non dee essere presuntuosoa lodare altruinon ponendo bene prima mente s'elli è piacerede la persona laudata; perché molte volte credendosi a alcunodar lodasi dà biasimoo per difetto de lo dicitore o perdifetto di quello che ode. Onde molta discrezione in ciò averesi conviene; la qual discrezione è quasi uno domandarelicenziaper lo modo ch'io dico che domandi questa canzone. E cosìtermina tutta la litterale sentenza di questo trattato; per chel'ordine de l'opera domanda a l'allegorica esposizione omaiseguendola veritadeprocedere.

CapitoloXI

       Sì come l'ordine vuole ancora dal principio ritornandodicoche questa donna è quella donna de lo 'ntelletto che Filosofiasi chiama. Ma però che naturalmente le lode danno desiderio diconoscere la persona laudata; e conoscere la cosa sia sapere quelloche ella èin sé considerata e per tutte le sue causesì come dice lo Filosofo nel principio de la Fisica; e ciònon dimostri lo nomeavvegna che ciò significhisìcome dice nel quarto de la Metafisica (dove si dice che ladiffinizione è quella ragione che 'l nome significa)conviensi quiprima che più oltre si proceda per le sue laudemostraredire che è questo che si chiama Filosofiacioèquello che questo nome significa. E poi dimostrata essapiùefficacemente si tratterà la presente allegoria. E prima diròchi questo nome prima diede; poi procederò a la suasignificanza.
        Dico adunque che anticamente in Italiaquasi dal principio de lacostituzione di Romache fu settecento cinquanta anni innanzipocodal più al menoche 'l Salvatore venissesecondo che scrivePaulo Orosionel tempo quasi che Numa Pompiliosecondo re de liRomanivivea uno filosofo nobilissimoche si chiamòPittagora. E che ello fosse in quel tempopare che ne tocchi alcunacosa Tito Livio ne la prima parte del suo volume incidentemente. Edinanzi da costui erano chiamati li seguitatori di scienza nonfilosofi ma sapientisì come furono quelli sette saviantichissimiche la gente ancora nomina per fama: lo primo de liquali ebbe nome Solonlo secondo Chilonlo terzo Periandroloquarto Cleobulolo quinto Lindiolo sesto Biantee lo settimoPrieneo. Questo Pittagoradomandato se egli si riputava sapientenegò a sé questo vocabuloe disse sé essere nonsapientema amatore di sapienza. E quinci nacque poiciascunostudioso in sapienza che fosse "amatore di sapienza"chiamatocioè "filosofo"; ché tanto vale ingreco "philos" com'è a dire "amore" inlatinoe quindi dicemo noi: "philos" quasi amoree"sophos" quasi sapiente. Per che vedere si può chequesti due vocabuli fanno questo nome di "filosofo"chetanto vale a dire quanto "amatore di sapienza": per chenotare si puote che non d'arroganzama d'umilitade èvocabulo. Da questo nasce lo vocabulo del suo proprio attoFilosofiasì come de lo amico nasce lo vocabulo del suoproprio attocioè Amicizia. Onde si può vedereconsiderando la significanza del primo e del secondo vocabulocheFilosofia non è altro che amistanza a sapienzao vero asapere; onde in alcuno modo si può dicere catuno filosofosecondo lo naturale amore che in ciascuno genera lo desiderio disapere.
         Ma peròche l'essenziali passioni sono comuni a tuttinon si ragiona diquelle per vocabulo distinguente alcuno participante quella essenza;onde non diciamo Gianni amico di Martinointendendo solamente lanaturale amistade significare per la quale tutti a tutti semo amicima l'amistà sopra la naturale generatache è propria edistinta in singulari persone. Così non si dice filosofoalcuno per lo comune amore al sapere. Ne la 'ntenzione d'Aristotilene l'ottavo de l'Eticaquelli si dice amico la cui amistà nonè celata a la persona amata e a cui la persona amata èanche amicasì che la benivolenza sia da ogni parte: e questoconviene essere o per utilitadeo per dilettoo per onestade. Ecosìacciò che sia filosofoconviene essere l'amore ala sapienzache fa l'una de le parti benivolente; conviene essere lostudio e la sollicitudineche fa l'altra parte anche benivolente: sìche familiaritade e manifestamento di benivolenza nasce tra loro. Perche sanza amore e sanza studio non si può dire filosofomaconviene che l'uno e l'altro sia. E sì come l'amistàper diletto fattao per utilitadenon è vera amistàma per accidentesì come l'Etica ne dimostracosì lafilosofia per diletto o per utilitade non è vera filosofia maper accidente. Onde non si dee dicere vero filosofo alcuno cheperalcuno dilettocon la sapienza in alcuna sua parte sia amico; sìcome sono molti che si dilettano in intendere canzoni ed istudiare inquellee che si dilettano studiare in Rettorica o in Musicael'altre scienze fuggono e abbandonanoche sono tutte membra disapienza. Né si dee chiamare vero filosofo colui che èamico di sapienza per utilitadesì come sono li legistilimedici e quasi tutti li religiosiche non per sapere studiano ma peracquistare moneta o dignitade; e chi desse loro quello che acquistareintendononon sovrastarebbero a lo studio. E sì come intra lespezie de l'amistà quella che per utilitade èmenoamistà si può dicerecosì questi cotali menoparticipano del nome del filosofo che alcuna altra gente; per chesìcome l'amistà per onestade fatta è vera e perfetta eperpetuacosì la filosofia è vera e perfetta che ègenerata per onestade solamentesanza altro rispettoe per bontadede l'anima amicache è per diritto appetito e per dirittaragione. Sì ch'omai qui si può direcome la veraamistà de li uomini intra sé è che ciascuno amitutto ciascunoche 'l vero filosofo ciascuna parte de la suasapienza amae la sapienza ciascuna parte del filosofoin quantotutto a sé lo riducee nullo suo pensiero ad altre coselascia distendere. Onde essa Sapienza dice ne li Proverbi diSalomone: "Io amo coloro che amano me". E sì come lavera amistadeastratta de l'animosolo in sé consideratahaper subietto la conoscenza de l'operazione buonae per formal'appetito di quella; così la filosofiafuori d'animain séconsiderataha per subietto lo 'ntenderee per forma uno quasidivino amore a lo 'ntelletto. E sì come de la vera amistade ècagione efficiente la vertudecosì de la filosofia ècagione efficiente la veritade. E sì come fine de l'amistadevera è la buona dilezioneche procede dal convivere secondol'umanitade propriamentecioè secondo ragionesì comepare sentire Aristotile nel nono de l'Etica; così fine de laFilosofia è quella eccellentissima dilezione che non patealcuna intermissione o vero difettocioè vera felicitade cheper contemplazione de la veritade s'acquista. E così si puòvedere chi è omai questa mia donnaper tutte le sue cagioni eper la sua ragionee perché Filosofia si chiamae chi èvero filosofoe chi è per accidente.
        Ma però cheper alcuno fervore d'animotalvolta l'uno el'altro termine de li atti e de le passioni si chiamano e per lovocabulo de l'atto medesimo e de la passione (sì come faVirgilio nel secondo de lo Eneidosche chiama Enea a Ettore: "Oluce"ch'è attoe "speranza de' Troiani"cheè passioneché non era esso luce né speranzama era termine onde venia loro la luce del consiglioed era terminein che si posava tutta la speranza de la loro salute; e sìcome dice Stazio nel quinto del Thebaidosquando Isifile dice adArchimoro: "O consolazione de le cose e de la patria perdutaoonore del mio servigio"; sì come cotidianamente dicemomostrando l'amico"vedi l'amistade mia"e 'l padre diceal figlio "amor mio")per lunga consuetudine le scienze nele quali più ferventemente la Filosofia termina la sua vistasono chiamate per lo suo nome; sì come la Scienza NaturalelaMoralee la Metafisicala qualeperché piùnecessariamente in quella termina lo suo viso e con piùfervorePrima Filosofia è chiamata. Onde vedere si puòcome secondamente le scienze sono Filosofia appellate.
        Poi che è veduto come la primaia e vera filosofia è insuo essere - la quale è quella donna di cu' io dico - e comelo suo nobile nome per consuetudine è comunicato a le scienzeprocederò oltre con le sue lode.

CapitoloXII

        Nel primo capitolo di questo trattato è sìcompiutamente ragionata la cagione che mosse me a questa canzonechenon è più mestiere di ragionare; ché assaileggermente a questa esposizione ch'è detta ella si puòriducere. E però secondo le divisioni fatte la litteralesentenza transcorreròper questa volgendo lo senso de lalettera là dove sarà mestiere.
        Dico: Amor che ne la mente mi ragiona. Per Amore intendo lostudio lo quale io mettea per acquistare l'amore di questa donna: ovesi vuole sapere che studio si può qui doppiamente considerare.E uno studio lo quale mena l'uomo a l'abito de l'arte e de lascienza; e un altro studio lo quale ne l'abito acquistato adoperausando quello. E questo primo è quello ch'io chiamo qui Amorelo quale ne la mia mente informava continuenuove e altissimeconsiderazioni di questa donna che di sopra è dimostrata: sìcome suole fare lo studio che si mette in acquistare un'amistadechedi quella amistade grandi cose prima consideradesiderando quella.Questo è quello studio e quella affezione che suole procederene li uomini la generazione de l'amistadequando già da unaparte è nato amoree desiderasi e procurasi che sia dal'altra; chésì come di sopra si diceFilosofia èquando l'anima e la sapienza sono fatte amichesì che l'unasia tutta amata da l'altraper lo modo che detto è di sopra.Né più è mestiere di ragionare per la presenteesposizione questo primo versoche per proemio fu ne la litteraleragionatoperò che per la prima sua ragione assai di leggieroa questa seconda si può volgere lo 'ntendimento.
        Onde al secondo versolo quale è cominciatore del trattatoèda procederelà ove io dico: Non vede il solche tutto 'lmondo gira. Qui è da sapere che sì come trattandodi sensibile cosa per cosa insensibilesi tratta convenevolementecosì di cosa intelligibile per cosa inintelligibile trattaresi conviene. E però sì come ne la litterale si parlavacominciando dal sole corporale e sensibilecosì ora èda ragionare per lo sole spirituale e intelligibileche èIddio. Nullo sensibile in tutto lo mondo è più degno difarsi essemplo di Dio che 'l sole. Lo quale di sensibile luce séprima e poi tutte le corpora celestiali e le elementali allumina:così Dio prima sé con luce intellettuale alluminaepoi le creature celestiali e l'altre intelligibili. Lo sole tutte lecose col suo calore vivificae se alcuna ne corrompenon ède la 'ntenzione de la cagionema è accidentale effetto: cosìIddio tutte le cose vivifica in bontadee se alcuna n'è reanon è de la divina intenzionema conviene quello peraccidente essere ne lo processo de lo inteso effetto. Che se Iddiofece li angeli buoni e li reinon fece l'uno e l'altro perintenzionema solamente li buoni. Seguitò poi fuorid'intenzione la malizia de' reima non sì fuori d'intenzioneche Dio non sapesse dinanzi in sé predire la loro malizia; matanta fu l'affezione a producere la creatura spiritualeche laprescienza d'alquanti che a malo fine doveano venire non dovea népotea Iddio da quella produzione rimuovere. Ché non sarebbe dalaudare la Natura sesappiendo prima che li fiori d'un'arbore incerta parte perdere si dovesseronon producesse in quella fiorieper li vani abbandonasse la produzione de li fruttiferi. Dico adunqueche Iddioche tutto intende (ché suo "girare" èsuo "intendere")non vede tanto gentil cosa quanto ellivede quando mira là dove è questa Filosofia. Chéavvegna che Dioesso medesimo mirandoveggia insiememente tutto; inquanto la distinzione de le cose è in lui per lo modo che loeffetto è ne la cagionevede quelle distinte. Vede adunquequesta nobilissima di tutte assolutamentein quantoperfettissimamente in sé la vede e in sua essenzia. Chése a memoria si reduce ciò che detto è di soprafilosofia è uno amoroso uso di sapienzalo quale massimamenteè in Dioperò che in lui è somma sapienza esommo amore e sommo atto; che non può essere altrovese nonin quanto da esso procede. E` adunque la divina filosofia de ladivina essenzaperò che in esso non può essere cosa ala sua essenzia aggiunta; ed è nobilissimaperò chenobilissima è la essenzia divina; ed è in lui per modoperfetto e veroquasi per etterno matrimonio. Ne l'altreintelligenze è per modo minorequasi come druda de la qualenullo amadore prende compiuta gioiama nel suo aspetto contentan laloro vaghezza. Per che dire si può che Dio non vedecioènon intendecosa alcuna tanto gentile quanto questa: dico cosaalcunain quanto l'altre cose vede e distinguecome detto èveggendosi essere cagione di tutto. Oh nobilissimo ed eccellentissimocuore che ne la sposa de lo Imperadore del cielo s'intendee nonsolamente sposama suora e figlia dilettissima!

CapitoloXIII

        Veduto comenel principio de le laude di costeisottilmente si diceessa essere de la divina sustanzain quanto primieramente siconsiderada procedere e da vedere è come secondamente dicoessa essere ne le causate intelligenze. Dico adunque: OgniIntelletto di là su la mira: dove è da sapere che"di là su" dicofacendo relazione a Dio che dinanziè menzionato; e per questo escludo le Intelligenze che sono inessilio de la superna patriale quali filosofare non possonoperòche amore in loro è del tutto spentoe a filosofarecome giàdetto èè necessario amore. Per che si vede che leinfernali Intelligenze da lo aspetto di questa bellissima sonoprivate. E però che essa è beatitudine de lo'ntellettola sua privazione è amarissima e piena d'ognitristizia.
         Poiquando dico: E quella gente che qui s'innamoradiscendo amostrare come ne l'umana intelligenza essa secondariamente ancoravegna; de la quale filosofia umana seguito poi per lo trattatoessacommendando. Dico adunque che la gente che s'innamora "qui"cioè in questa vitala sente nel suo pensieronon sempremaquando Amore fa de la sua pace sentire. Dove sono da vedere tre coseche in questo testo sono toccate. La prima si è quando sidice: la gente che qui s'innamoraper che pare farsidistinzione ne l'umana generazione. E di necessitate far si convienechésecondo che manifestamente apparee nel seguentetrattato per intenzione si ragioneràgrandissima parte de liuomini vivono più secondo lo senso che secondo ragione; equelli che secondo lo senso vivono di questa innamorare èimpossibileperò che di lei avere non possono alcunaapprensione. La seconda si è quando dice: Quando Amor fasentiredove si par fare distinzione di tempo. La qual cosa ancofar si convienechéavvegna che le intelligenze separatequesta donna mirino continuamentela umana intelligenza ciòfare non può; però che l'umana natura - fuori de laspeculazionede la quale s'appaga lo 'ntelletto e la ragione -abbisogna di molte cose a suo sustentamento: per che la nostrasapienza è talvolta abituale solamentee non attualeche nonincontra ciò ne l'altre intelligenzeche solo di naturaintellettiva sono perfette. Onde quando l'anima nostra non hae attodi speculazionenon si può dire veramente che sia infilosofiase non in quanto ha l'abito di quella e la potenza dipoter lei svegliare; e però tal volta è con quellagente che qui s'innamorae tal volta no. La terza è quandodice l'ora che quella gente è con essacioè quandoAmore de la sua pace fa sentire; che non vuole altro dire se nonquando l'uomo è in ispeculazione attualeperò che dela pace di questa donna non fa lo studio sentire se non ne l'atto dela speculazione. E così si vede come questa è donnaprimamente di Dio e secondariamente de l'altre intelligenze separateper continuo sguardare; e appresso de l'umana intelligenza perriguardare discontinuato. Veramentesempre è l'uomo che hacostei per donna da chiamare filosofonon ostante che tuttavia nonsia ne l'ultimo atto di filosofiaperò che da l'abitomaggiormente è altri da denominare. Onde dicemo alcunovirtuosonon solamente virtute operandoma l'abito de la virtùavendo; e dicemo l'uomo facundo eziandio non parlandoper l'abito dela facundiacioè del bene parlare. E di questa filosofia inquanto da l'umana intelligenza è participatasaranno omai leseguenti commendazionia mostrare come grande parte del suo bene al'umana natura è conceduto.
        Dico dunque appresso: "Suo essere piace tanto a chi liele dà"(dal qualesì come da fonte primosi diriva)"che inlei la sua virtute infonde sempreoltra la capacitade de la nostranatura"la quale fa bella e virtuosa. Ondeavvegna che al'abito di quella per alquanti si vegnanon vi si viene sìper alcunoche propriamente abito dire si possa; però che 'lprimo studiocioè quello per lo quale l'abito si generanonpuote quella perfettamente acquistare. E qui si vede s'umil èsua loda; cheperfetta e imperfettanome di perfezione non perde. Eper questa sua dismisuranza si dice che l'anima de la filosofia lomanifesta in quel ch'ella conducecioè che Iddio mettesempre in lei del suo lume. Dove si vuole a memoria reducere che disopra è detto che amore è forma di Filosofiae peròqui si chiama anima di lei. Lo quale amore manifesto è nelviso de la Sapienzane lo quale esso conduce mirabili bellezzecioècontentamento in ciascuna condizione di tempo e dispregiamento diquelle cose che li altri fanno loro signori. Per che avviene che lialtri miseri che ciò miranoripensando lo loro difettodopolo desiderio de la perfezione caggiono in fatica di sospiri; e questoè quello che dice: Che li occhi di color dov'ella luce Nemandan messi al cor pien di desiriChe prendon aire e diventansospiri.

CapitoloXIV

        Sì come ne la litterale esposizione dopo le generali laude ale speziali si discendeprima da la parte de l'animapoi da laparte del corpocosì ora intende lo testodopo le generalicommendazionia speziali discendere. Sì come detto èdi sopraFilosofia per subietto materiale qui ha la sapienzae performa ha amoree per composto de l'uno e de l'altro l'uso dispeculazione. Onde in questo verso che seguentemente comincia: Inlei discende la virtù divinaio intendo commendarel'amoreche è parte de la filosofia. Ove è da sapereche discender la virtude d'una cosa in altra non è altro cheridurre quella in sua similitudine; sì come ne li agentinaturali vedemo manifestamente chediscendendo la loro virtùne le pazienti coserecano quelle a loro similitudine tanto quantopossibili sono a venire. Onde vedemo lo sole chediscendendo loraggio suo qua giùreduce le cose a sua similitudine di lumequanto esse per loro disposizione possono da la sua virtude lumericevere. Così dico che Dio questo amore a sua similitudinereducequanto esso è possibile a lui assimigliarsi. E ponsila qualitade de la reduzionedicendo: Sì come face inangelo che 'l vede. Ove ancora è da sapere che lo primoagentecioè Diopinge la sua virtù in cose per mododi diritto raggioe in cose per modo di splendore reverberato; ondene le Intelligenze raggia la divina luce sanza mezzone l'altre siripercuote da queste Intelligenze prima illuminate. Ma peròche qui è fatta menzione di luce e di splendorea perfettointendimento mostrerò differenza di questi vocabulisecondoche Avicenna sente. Dico che l'usanza de' filosofi è dichiamare "luce" lo lumein quanto esso è nel suofontale principio; di chiamare "raggio"in quanto esso èper lo mezzodal principio al primo corpo dove si termina; dichiamare "splendore"in quanto esso è in altraparte alluminata ripercosso. Dico adunque che la divina virtùsanza mezzo questo amore tragge a sua similitudine. E ciò sipuò fare manifesto massimamente in ciòche sìcome lo divino amore è tutto etternocosì conviene chesia etterno lo suo obietto di necessitatesì che etterne cosesiano quelle che esso ama; e così face a questo amore amare;ché la sapienzane la quale questo amore fereetterna è.Ond'è scritto di lei: "Dal principio dinanzi da li secolicreata sonoe nel secolo che dee venire non verrò meno";e ne li Proverbi di Salomone essa Sapienza dice: "Etternalmenteordinata sono"; e nel principio di Giovannine l'Evangeliosipuò la sua etternitade apertamente notare. E quinci nasce chelà dovunque questo amore splendetutti li altri amori sifanno oscuri e quasi spentiimperò che lo suo obietto etternoimproporzionalmente li altri obietti vince e soperchia. Per che lifilosofi eccellentissimi ne li loro atti apertamente lo nedimostraroper li quali sapemo essi tutte l'altre cosefuori che lasapienzaavere messe a non calere. Onde Democritode la propriapersona non curandoné barba né capelli néunghie si togliea; Platonede li beni temporali non curandolareale dignitade mise a non calereche figlio di re fue; Aristotiled'altro amico non curandocontra lo suo migliore amicofuori diquellacombatteosì come contra lo nomato Platone. E perchédi questi parliamoquando troviamo li altri che per questi pensierila loro vita disprezzarosì come ZenoSocrateSenecaemolti altri? E però è manifesto che la divina virtùa guisa che in angeloin questo amore ne li uomini discende. E perdare esperienza di ciògrida sussequentemente lo testo: Equal donna gentil questo non credeVada con lei e miri. Perdonna gentile s'intende la nobile anima d'ingegno e libera ne la suapropia potestateche è la ragione. Onde l'altre anime direnon si possono donnema ancilleperò che non per loro sonoma per altrui; e lo Filosofo dicenel secondo de la Metafisicachequella cosa è libera che per sua cagione ènon peraltrui.
         Dice:Vada con lei e miri li atti suicioè accompagnisi diquesto amoree guardi a quello che dentro da lui troverà. Ein parte ne toccadicendo: Quivi dov'ella parlasi dichinacioèdove la filosofia è in attosi dichina uncelestial pensieronel quale si ragiona questa essere più cheumana operazione: e dice "del cielo" a dare a intendere chenon solamente essama li pensieri amici di quella sono astratti dale basse e terrene cose. Poi sussequentemente dice com'ell'avvalora eaccende amore dovunque ella si mostracon la suavitade de li attiché sono tutti li suoi sembianti onestidolci e sanzasoverchio alcuno. E sussequentementea maggiore persuasione de lasua compagnia faredice: Gentile è in donna ciò chein lei si trovaE bello è tanto quanto lei simiglia.Ancora soggiugne: E puossi dir che 'l suo aspetto giova: doveè da sapere che lo sguardo di questa donna fu a noi cosìlargamente ordinatonon pur per la faccia che ella ne dimostravederema per le cose che ne tiene celate desiderare ed acquistare.Ondesì come per lei molto di quello si vede per ragioneeper consequente essere per ragioneche sanza lei pare maravigliacosì per lei si crede ch'ogni miracolo in più altointelletto puote avere ragionee per consequente può essere.Onde la nostra buona fede ha sua origine; da la quale viene lasperanzade lo proveduto desiderare; e per quella nasce l'operazionede la caritade. Per le quali tre virtudi si sale a filosofare aquelle Atene celestialidove gli Stoici e Peripatetici e Epicuriiper la luce de la veritade etternain uno volere concordevolementeconcorrono.

CapitoloXV

        Ne lo precedente capitolo questa gloriosa donna è commendatasecondo l'una de le sue parti componenticioè amore. Ora inquestone lo quale io intendo esponere quel verso che comincia: Coseappariscon ne lo suo aspettosi conviene trattare commendandol'altra parte suacioè sapienza. Dice adunque lo testo "chene la faccia di costei appariscono cose che mostrano de' piaceri diParadiso"; e distingue lo loco dove ciò apparecioène li occhi e ne lo riso. E qui si conviene sapere che li occhi de laSapienza sono le sue demonstrazionicon le quali si vede la veritadecertissimamente; e lo suo riso sono le sue persuasionine le qualisi dimostra la luce interiore de la Sapienza sotto alcuno velamento:e in queste due cose si sente quel piacere altissimo di beatitudinelo quale è massimo bene in Paradiso. Questo piacere in altracosa di qua giù essere non puòse non nel guardare inquesti occhi e in questo riso. E la ragione è questa: checonciò sia cosa che ciascuna cosa naturalmente disia la suaperfezionesanza quella essere non può l'uomo contentoche èessere beato; ché quantunque l'altre cose avessesanza questarimarrebbe in lui desiderio; lo quale essere non può con labeatitudineacciò che la beatitudine sia perfetta cosa e lodesiderio sia cosa defettiva; ché nullo desidera quello chehama quello che non hache è manifesto difetto. E in questosguardo solamente l'umana perfezione s'acquistacioè laperfezione de la ragionede la qualesì come diprincipalissima partetutta la nostra essenza depende; e tuttel'altre nostre operazioni - sentirenutriree tutto - sono perquella solae questa è per sée non per altri; sìcheperfetta sia questaperfetta è quellatanto cioèche l'uomoin quanto ello è uomovede terminato ognidesiderioe così è beato. E però si dice nellibro di Sapienza: "Chi gitta via la sapienza e la dottrinaèinfelice": che è privazione de l'essere felice. Perl'abito de la sapienza seguita che s'acquista essere felice - che èessere contento - secondo la sentenza del Filosofo. Dunque si vedecome ne l'aspetto di costei de le cose di Paradiso appaiono. E peròsi legge nel libro allegato di Sapienzadi lei parlando: "Essaè candore de la etterna luce e specchio sanza macula de lamaestà di Dio".
        Poiquando si dice: Elle soverchian lo nostro intellettoescuso me di ciòche poco parlar posso di quelleper la lorosoperchianza. Dov'è da sapere che in alcuno modo queste cosenostro intelletto abbaglianoin quanto certe cose si affermanoessere che lo intelletto nostro guardare non puòcioèDio e la etternitate e la prima materia; che certissimamente siveggionoe con tutta fede si credono esseree per quello che sonointendere noi non potemo; e nullo se non cose negando si puòappressare a la sua conoscenzae non altrimenti. Veramente puòqui alcuno forte dubitare come ciò siache la sapienza possafare l'uomo beatonon potendo a lui perfettamente certe cosemostrare; con ciò sia cosa che 'l naturale desiderio sia al'uomo di saperee sanza compiere lo desiderio beato essere nonpossa. A ciò si può chiaramente rispondere che lodesiderio naturale in ciascuna cosa è misurato secondo lapossibilitade de la cosa desiderante: altrimenti andrebbe incontrario di se medesimoche impossibile è; e la Natural'avrebbe fatto indarnoche è anche impossibile. In contrarioandrebbe: chédesiderando la sua perfezionedesiderrebbe lasua imperfezione; imperò che desiderrebbe sé sempredesiderare e non compiere mai suo desiderio (e in questo errore cadel'avaro maladettoe non s'accorge che desidera sé sempredesiderareandando dietro al numero impossibile a giugnere).Avrebbelo anco la Natura fatto indarnoperò che non sarebbead alcuno fine ordinato. E però l'umano desiderio èmisurato in questa vita a quella scienza che qui avere si puòe quello punto non passa se non per errorelo quale è difuori di naturale intenzione. E così è misurato ne lanatura angelicae terminato in quanto a quella sapienza che lanatura di ciascuno può apprendere. E questa è laragione per che li Santi non hanno tra loro invidiaperò checiascuno aggiugne lo fine del suo desideriolo quale desiderio ècon la bontà de la natura misurato. Ondecon ciò siacosa che conoscere di Dio e di certe altre cose quello esse sono nonsia possibile a la nostra naturaquello da noi naturalmente non èdesiderato di sapere. E per questo è la dubitazionesoluta.
         Poiquando dice: Sua bieltà piove fiammelle di focodiscende ad un altro piacere di Paradisocioè de lafelicitade secondaria a questa primala quale de la sua biltadeprocede. Dove è da sapere che la moralitade è bellezzade la filosofia; ché così come la bellezza del corporesulta da le membra in quanto sono debitamente ordinatecosìla bellezza de la sapienzache è corpo di Filosofia comedetto èresulta da l'ordine de le virtudi moraliche fannoquella piacere sensibilmente. E però dico che sua biltàcioè moralitadepiove fiammelle di fococioè appetitodirittoche s'ingenera nel piacere de la morale dottrina: lo qualeappetito ne diparte eziandio da li vizii naturalinon che da lialtri. E quinci nasce quella felicitadela quale diffinisceAristotile nel primo de l'Eticadicendo che è operazionesecondo vertù in vita perfetta. E quando dice: Peròqual donna sente sua bieltateprocede in loda di costeigridando a la gente che la seguiti dicendo loro lo suo beneficiocioè che per seguitare lei diviene ciascuno buono. Peròdice: qual donnacioè quale animasente sua biltatebiasimare per non parere quale parere si convienemiri in questoessemplo.
         Ove èda sapere che li costumi sono beltà de l'animacioè levertudi massimamentele quali tal volta per vanitadi o per superbiasi fanno men belle e men graditesì come ne l'ultimo trattatovedere si potrà. E però dico chea fuggire questosiguardi in costeicioè colà dov'ella è essemplod'umiltà; cioè in quella parte di sé che moralefilosofia si chiama. E soggiungo chemirando costei - dico lasapienza - in questa parteogni viziato tornerà diritto ebuono; e però dico: Questa è colei ch'umilia ogniperversocioè volge dolcemente chi fuori di debito ordineè piegato. Ultimamentein massima laude di sapienzadico leiessere di tutto madre e di moto qualunque principiodicendo che conlei Iddio cominciò lo mondo e spezialmente lo movimento delcielolo quale tutte le cose genera e dal quale ogni movimento èprincipiato e mossodicendo: Costei pensò chi mossel'universo. Ciò è a dire che nel divino pensieroch'è esso intellettoessa era quando lo mondo fece; ondeseguita che ella lo facesse. E però disse Salomone in quellode' Proverbi in persona de la Sapienza: "Quando Iddioapparecchiava li cieliio era presente; quando con certa legge e concerto giro vallava li abissiquando suso fermava l'etera esuspendeva le fonti de l'acquequando circuiva lo suo termine almare e poneva legge a l'acque che non passassero li suoi confiniquando elli appendeva li fondamenti de la terracon lui e io eradisponente tutte le cosee dilettavami per ciascuno die".
        O peggio che morti che l'amistà di costei fuggiteaprite liocchi vostri e mirate: cheinnanzi che voi fosteella fu amatricedi voiacconciando e ordinando lo vostro processo; epoi che fattifosteper voi dirizzarein vostra similitudine venne a voi. E setutti al suo conspetto venire non poteteonorate lei ne' suoi amicie seguite li comandamenti lorosì come quelli che nunziano lavolontà di questa etternale imperadrice - non chiudete liorecchi a Salomone che ciò vi dicedicendo che "la viade' giusti è quasi luce splendienteche procede e cresceinfino al die de la beatitudine" -; andando loro dietromirandole loro operazioniche essere debbono a voi luce nel cammino diquesta brevissima vita.
        E qui si può terminare la vera sentenza de la presentecanzone. Veramente l'ultimo versoche per tornata è postoper la litterale esposizione assai leggermente qua si puòridurresalvo in tanto quanto dice che io sì chiamai questadonna fera e disdegnosa. Dove è da sapere che dalprincipio essa filosofia pareva a mequanto da la parte del suocorpocioè sapienzafieraché non mi rideainquanto le sue persuasioni ancora non intendea; e disdegnosachénon mi volgea l'occhiocioè ch'io non potea vedere le suedimostrazioni: e di tutto questo lo difetto era dal mio lato. E perquestoe per quello che ne la sentenza litterale è datoèmanifesta l'allegoria de la tornata; sì che tempo èper più oltre procederedi porre fine a questo trattato.





TRATTATOIV

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Canzone

     Le dolci rime d'amor ch'i' solia
Cercar ne' mieipensieri
Convien ch'io lasci; non perch'io non speri
Ddesse ritornare
Ma perché li atti disdegnosi eferi
Che ne la donna mia
Sono appariti m'han chiusa lavia
De l'usato parlare.
E poi che tempo mi pard'aspettare
Diporrò giù lo mio soavestile
Ch'i' ho tenuto nel trattar d'amore;
E diròdel valore
Per lo qual veramente omo è gentile
Conrima aspr' e sottile;
Riprovando 'l giudicio falso e vile
Diquei che voglion che di gentilezza
Sia principioricchezza.
Ecominciandochiamo quel signore
Ch'a la miadonna ne li occhi dimora
Per ch'ella di se stessas'innamora.

      Tale imperò che gentilezza volse
Secondo 'l suoparere
Che fosse antica possession d'avere
Con reggimentibelli;
E altri fu di più lieve savere
Che taldetto rivolse
E l'ultima particula ne tolse
Chénon l'avea fors'elli!
Di retro da costui van tutti quelli
Chefan gentile per ischiatta altrui
Che lungiamente in granricchezza è stata;
Ed è tanto durata
La cosìfalsa oppinion tra nui
Che l'uom chiama colui
Omo gentilche può dicere: "Io fui
Nepoteo figliodicotal valente"
Benché sia da niente.
Mavilissimo sembraa chi 'l ver guata
Cui è scorto 'lcammino e poscia l'erra
E tocca a talch'è morto eva per terra!

      Chi diffinisce: "Omo è legno animato"
Primadice non vero
Edopo 'l falsoparla non intero;
Ma piùforse non vede.
Similemente fu chi tenne impero
Indiffinire errato
Ché prima puose 'l falso ed'altrolato
Con difetto procede;
Ché le diviziesìcome si crede
Non posson gentilezza dar nétòrre
Però che vili son da lor natura:
Poichi pinge figura
Se non può esser leinon la puòporre
Né la diritta torre
Fa piegar rivo che dalungi corre.
Che siano vili appare ed imperfette
Chéquantunque collette
Non posson quietarma dan piùcura;
Onde l'animo ch'è dritto e verace
Per lordiscorrimento non si sface.

      Né voglion che vil uom gentil divegna
Né divil padre scenda
Nazion che per gentil già mais'intenda;
Questo è da lor confesso:
Onde lorragion par che sé offenda
In tanto quanto assegna
Chetempo a gentilezza si convegna
Diffinendo con esso.
Ancorsegue di ciò che innanzi ho messo
Che siam tuttigentili o ver villani
O che non fosse ad uomcominciamento;
Ma ciò io non consento
Ned ellinoaltressìse son cristiani!
Per che a 'ntellettisani
È manifesto i lor diri esser vani
E io cosìper falsi li riprovo
E da lor mi rimovo;
E dicer voglioomaisì com'io sento
Che cosa è gentilezzaeda che vene
E dirò i segni che 'l gentile uom tene.

      Dico ch'ogni vertù principalmente
Vien da unaradice:
Vertutedicoche fa l'uom felice
In suaoperazione.
Questo èsecondo che l'Etica dice
Unabito eligente
Lo qual dimora in mezzo solamente
E taiparole pone.
Dico che nobiltate in sua ragione
Importasempre ben del suo subietto
Come viltate importa sempremale;
E vertute cotale
Dà sempre altrui di sébuono intelletto;
Per che in medesmo detto
Convegnonoambeduech'en d'uno effetto.
Onde convien da l'altra vegnal'una
O d'un terzo ciascuna;
Ma se l'una val ciòche l'altra vale
E ancor piùda lei verrà piùtosto.
E ciò ch'io dett'ho qui sia per supposto.

      È gentilezza dovunqu'è vertute
Ma non vertuteov'ella;
Sì com'è 'l cielo dovunqu'è lastella
Ma ciò non e converso.
E noi in donna e inetà novella
Vedem questa salute
In quantovergognose son tenute
Ch'è da vertùdiverso.
Dunque verràcome dal nero ilperso
Ciascheduna vertute da costei
O vero il gener lorch'io misi avanti.
Però nessun si vanti
Dicendo:"Per ischiatta io son con lei"
Ch'elli son quasidei
Quei c'han tal grazia fuor di tutti rei;
Chésolo Iddio a l'anima la dona
Che vede in suapersona
perfettamente star: sì ch'ad alquanti
Cheseme di felicità sia costa
Messo da Dio ne l'animaben posta.

      L'anima cui adorna esta bontate
Non la si tiene ascosa
Chédal principio ch'al corpo si sposa
La mostra infin lamorte.
Ubidentesoave e vergognosa
È ne la primaetate
E sua persona adorna di bieltate
Con le sue partiaccorte;
In giovinezzatemperata e forte
Piena d'amore edi cortese lode
E solo in lealtà far si diletta;
Ène la sua senetta
prudente e giustae larghezza se n'ode
E'n se medesma gode
D'udire e ragionar de l'altrui prode;
Poine la quarta parte de la vita
A Dio si rimarita
Contemplandola fine che l'aspetta
E benedice li tempi passati.
Vedeteomai quanti son l'ingannati!

     Contra-li-erranti miatu te n'andrai;
E quando tu sarai
Inparte dove sia la donna nostra
Non le tenere il tuo mestiercoverto:
Tu le puoi dir per certo:
"Io vo parlando del'amica vostra".

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CapitoloI

        Amoresecondo la concordevole sentenza de li savi di lui ragionantie secondo quello che per esperienza continuamente vedemoèche congiunge e unisce l'amante con la persona amata; onde Pittagoradice: "Ne l'amistà si fa uno di più". E peròche le cose congiunte comunicano naturalmente intra sé le loroqualitadiin tanto che talvolta è che l'una torna del tuttone la natura de l'altraincontra che le passioni de la persona amataentrano ne la persona amantesì che l'amore de l'una sicomunica ne l'altrae così l'odio e lo desiderio e ogni altrapassione. Per che li amici de l'uno sono da l'altro amatie linemici odiati; per che in greco proverbio è detto: "De liamici essere deono tutte le cose comuni". Onde iofatto amicodi questa donnadi sopra ne la verace esposizione nominatacominciai ad amare e odiare secondo l'amore e l'odio suo. Cominciaiadunque ad amare li seguitatori de la veritade e odiare liseguitatori de lo errore e de la falsitadecom'ella face. Ma peròche ciascuna cosa per sé è da amaree nulla èda odiare se non per sopravenimento di maliziaragionevole e onestoènon le cosema le malizie de le cose odiare e procurare daesse di partire. E a ciò s'alcuna persona intendela miaeccellentissima donna intende massimamente: a partiredicolamalizia de le cosela qual cagione è d'odio; però chein lei è tutta ragione e in lei è fontalementel'onestade. Iolei seguitando ne l'opera sì come ne lapassione quanto poteali errori de la gente abominava e dispregiavanon per infamia o vituperio de li errantima de li errori; li qualibiasimando credea far dispiacereedispiaciutipartire da coloroche per essi eran da me odiati. Intra li quali errori uno iomassimamente riprendealo quale non solamente è dannoso epericoloso a coloro che in esso stannoma eziandio a li altrichelui riprendanoporta dolore e danno. Questo è l'errore del'umana bontade in quanto in noi è da la natura seminata e che"nobilitade" chiamare si dee; che per mala consuetudine eper poco intelletto era tanto fortificatoche l'oppinionequasi dituttin'era falsificata; e de la falsa oppinione nascevano li falsigiudiciie de' falsi giudicii nascevano le non giuste reverenze evilipensioni; per che li buoni erano in villano dispetto tenutie limalvagi onorati ed essaltati. La qual cosa era pessima confusione delmondo; sì come veder puote chi mira quello che di ciòpuò seguitaresottilmente. Per checon ciò fosse cosache questa mia donna un poco li suoi dolci sembianti transmutasse amemassimamente in quelle parti dove io mirava e cercava se la primamateria de li elementi era da Dio intesa- per la qual cosa un pocodal frequentare lo suo aspetto mi sostenni -quasi ne la suaassenzia dimorandoentrai a riguardare col pensiero lo difetto umanointorno al detto errore. E per fuggire oziositadeche massimamentedi questa donna è nemicae per istinguere questo errorechetanti amici le toglieproposi di gridare a la gente che per malcammino andavanoacciò che per diritto calle si dirizzassero;e cominciai una canzone nel cui principio dissi: Le dolci rimed'amor ch'i' solia. Ne la quale io intendo riducer la gente indiritta via sopra la propia conoscenza de la verace nobilitade; sìcome per la conoscenza del suo testoa la esposizione del quale oras'intendevedere si potrà. E però che in questacanzone s'intese a rimedio così necessarionon era buonosotto alcuna figura parlarema conveniesi per via tostana questamedicinaacciò che fosse tostana la sanitade; la qualecorrottaa così laida morte si correa.
        Non sarà dunque mestiere ne la esposizione di costei alcunaallegoria aprirema solamente la sentenza secondo la letteraragionare. Per mia donna intendo sempre quella che ne la precedenteragione è ragionatacioè quella luce virtuosissimaFilosofiali cui raggi fanno ne li fiori rifronzire e fruttificarela verace de li uomini nobilitadede la quale trattare la propostacanzone pienamente intende.

CapitoloII

        Nel principio de la impresa esposizioneper meglio dare a intenderela sentenza de la proposta canzoneconviensi quella partire prima indue partiche ne la prima parte proemialmente si parlane laseconda si seguita lo trattato; e comincia la seconda parte nelcominciamento del secondo versodove dice: Tale imperò chegentilezza volse. La prima parte ancora in tre membra si puòcomprendere: nel primo si dice perché da lo parlare usato miparto; nel secondo dico quello che è di mia intenzione atrattare; nel terzo domando aiutorio a quella cosa che piùaiutare mi puòcioè a la veritade. Lo secondo membrocomincia: E poi che tempo mi par d'aspettare. Lo terzocomincia: Ecominciandochiamo quel signore.
        Dico adunque che "a me conviene lasciare le dolci rime d'amorele quali solieno cercare li miei pensieri"; e la cagioneassegnoperché dico che ciò non è perintendimento di più non rimare d'amorema però che nela donna mia nuovi sembianti sono appariti li quali m'hanno toltomateria di dire al presente d'amore. Ov'è da sapere che non sidice qui li atti di questa donna essere "disdegnosi e fieri"se non secondo l'apparenza; sì come nel decimo capitolo delprecedente trattato si può vedere come altra volta dico chel'apparenza de la veritade si discordava. E come ciò puòessereche una medesima cosa sia dolce e paia amarao vero siachiara e paia oscuraquivi sufficientemente vedere si può.
        Appressoquando dico: E poi che tempo mi par d'aspettaredicosì come detto èquesto che trattare intendo. Equi non è da trapassare con piede secco ciò che si dicein "tempo aspettare"imperò che potentissimacagione è de la mia mossa; ma da vedere è comeragionevolemente quel tempo in tutte le nostre operazioni si deeattenderee massimamente nel parlare. Lo temposecondo che diceAristotile nel quarto de la Fisicaè "numero dimovimentosecondo prima e poi"; e "numero di movimentocelestiale"lo quale dispone le cose di qua giùdiversamente a ricevere alcuna informazione. Ché altrimenti èdisposta la terra nel principio de la primavera a ricevere in séla informazione de l'erbe e de li fiorie altrimenti lo verno; ealtrimenti è disposta una stagione a ricevere lo seme cheun'altra; e così la nostra mente in quanto ella èfondata sopra la complessione del corpoche a seguitare lacirculazione del cielo altrimenti è disposto un tempo ealtrimenti un altro. Per che le paroleche sono quasi semed'operazionesi deono molto discretamente sostenere e lasciaresìperché bene siano ricevute e fruttifere vegnanosìperché da la loro parte non sia difetto di sterilitade. E peròlo tempo è da provederesì per colui che parla comeper colui che dee udire: ché se 'l parladore è maldispostopiù volte sono le sue parole dannose; e se l'uditoreè mal dispostomal sono quelle ricevute che buone siano. Eperò Salomone dice ne lo Ecclesiaste: "Tempo è daparlaree tempo è da tacere". Per che io sentendo in meturbata disposizioneper la cagione che detta è nelprecedente capitoloa parlare d'Amoreparve a me che fossed'aspettare tempolo quale seco porta lo fine d'ogni desiderioeappresentaquasi come donatorea coloro a cui non incresced'aspettare. Onde dice santo Iacopo apostolo ne la sua Pistola: "Eccolo agricola aspetta lo prezioso frutto de la terrapazientementesostenendo infino che riceva lo temporaneo e lo serotino". Etutte le nostre brighese bene veniamo a cercare li loro principiiprocedono quasi dal non conoscere l'uso del tempo.
        Dico: "poi che da aspettare mi parediporroe"cioèlascierò stare"lo mio stilo"cioè modo"soave" che d'Amore parlando hoe tenuto; e dico di diceredi quello "valore" per lo quale uomo è gentileveracemente. E avvegna che "valore" intendere si possa perpiù modiqui si prende "valore" quasi potenza dinaturao vero bontade da quella datasì come di sotto sivedrà. E prometto di trattare di questa materia con rimaaspr'e sottile. Per che sapere si conviene che "rima"si può doppiamente considerarecioè largamente estrettamente: strettamentes'intende pur per quella concordanza chene l'ultima e penultima sillaba far si suole; quando largamentes'intende per tutto quel parlare che 'n numeri e tempo regolato inrimate consonanze cadee così qui in questo proemio prenderee intendere si vuole. E però dice aspra quanto al suonode lo dittatoche a tanta materia non conviene essere leno; e dicesottile quanto a la sentenza de le paroleche sottilmenteargomentando e disputando procedono. E soggiungo: Riprovando 'lgiudicio falso e vileove si promette ancora di riprovare logiudicio de la gente piena d'errore; falsocioèrimosso da la veritadee vilecioè da viltàd'animo affermato e fortificato. Ed è da guardare a ciòche in questo proemio prima si promette di trattare lo veroe poi diriprovare lo falsoe nel trattato si fa l'opposito; ché primasi ripruova lo falsoe poi si tratta lo vero: che pare non convenirea la promessione. Però è da sapere che tutto che al'uno e a l'altro s'intendaal trattare lo vero s'intendeprincipalmente; a riprovare lo falso s'intende in tanto in quanto laveritade meglio si fa apparire. E qui prima si promette lo trattaredel verosì come principale intentolo quale a l'anima de liauditori porta desiderio d'udire: nel trattato prima si ripruova lofalsoacciò chefugate le male oppinionila veritade poipiù liberamente sia ricevuta. E questo modo tenne lo maestrode l'umana ragioneAristotileche sempre prima combatteo con liavversari de la veritade e poiquelli convintila veritademostroe.
        Ultimamentequando dico: Ecominciandochiamo quel signorechiamo la veritade che sia mecola quale è quello signore chene li occhicioè ne le dimostrazioni de la filosofia dimorae bene è signoreché a lei disposata l'anima èdonnae altrimenti è serva fuori d'ogni libertade. E dice:Per ch'ella di se stessa s'innamoraperò che essafilosofiache èsì come detto è nel precedentetrattatoamoroso uso di sapienzase medesima riguardaquandoapparisce la bellezza de li occhi suoi a lei; che altro non èa direse non che l'anima filosofante non solamente contempla essaveritadema ancora contempla lo suo contemplare medesimo e labellezza di quellorivolgendosi sovra se stessa e di se stessainnamorando per la bellezza del suo primo guardare. E cosìtermina ciò che proemialmente per tre membri porta lo testodel presente trattato.

CapitoloIII

        Veduta la sentenza del proemioè da seguire lo trattato; eper meglio quello mostrarepartire si conviene per le sue partiprincipaliche sono tre: che ne la prima si tratta de la nobilitadesecondo oppinioni d'altri; ne la seconda si tratta di quella secondola propria oppinione; ne la terza si volge lo parlare a la canzonead alcuno adornamento di ciò che detto è. La secondaparte comincia: Dico ch'ogni vertù principalmente. Laterza comincia: Contra-li-erranti miatu te n'andrai. Eappresso queste tre parti generalie altre divisioni fare siconvegnonoa bene prender lo 'ntelletto che mostrare s'intende. Perònullo si maravigli se per molte divisioni si procedecon ciòsia cosa che grande e alta opera sia per le mani al presente e da liautori poco cercatae che lungo convegna essere lo trattato esottilenel quale per me ora s'entraa distrigare lo testoperfettamente secondo la sentenza che esso porta.
        Dunque dico che ora questa prima parte si divide in due: che ne laprima si pongono le oppinioni altruine la seconda si ripruovanoquelle; e comincia questa seconda parte: Chi diffinisce: "Omoè legno animato". Ancora la prima parte che rimane sìha due membri: lo primo è la narrazione de l'oppinione de loimperadore; lo secondo è la narrazione de l'oppinione de lagente volgareche è d'ogni ragione ignuda. E comincia questosecondo membro: E altri fu di più lieve savere. Dicodunque: Tale imperòcioè tale usòl'officio imperiale: dov'è da sapere che Federigo di Soaveultimo imperadore de li Romani - ultimo dico per rispetto al tempopresentenon ostante che Ridolfo e Andolfo e Alberto poi elettisianoappresso la sua morte e de li suoi discendenti -domandatoche fosse gentilezzarispuose ch'era antica ricchezza e bellicostumi. E dico che altri fu di più lieve savere: chepensando e rivolgendo questa diffinizione in ogni partelevòvia l'ultima particulacioè li belli costumie tennesi a laprimacioè a l'antica ricchezza; esecondo che lo testo paredubitareforse per non avere li belli costumi non volendo perdere lonome di gentilezzadiffinio quella secondo che per lui faceacioèpossessione d'antica ricchezza. E dico che questa oppinione èquasi di tuttidicendo che dietro da costui vanno tutti coloro chefanno altrui gentile per essere di progenie lungamente stata riccacon ciò sia cosa che quasi tutti così latrano. Questedue oppinioni - avvegna che l'unacome detto èdel tutto siada non curare - due gravissime ragioni pare che abbiano in aiuto: laprima è che dice lo Filosofo che quello che pare a li piùimpossibile è del tutto essere falso; la seconda ragione èl'autoritade de la diffinizione de lo imperadore. E perchémeglio si veggia poi la vertude de la veritadeche ogni autoritadeconvinceragionare intendo quanto l'una e l'altra di queste ragioniaiutatrice e possente è. Eprimapoi che de la imperialeautoritade sapere non si può se non si ritruovano le sueradicidi quelle per intenzione in capitolo speziale è datrattare.

       Capitolo IV

        Lo fondamento radicale de la imperiale maiestadesecondo lo veroèla necessità de la umana civilitadeche a uno fine èordinatacioè a vita felice; a la quale nullo per sé èsufficiente a venire sanza l'aiutorio d'alcunocon ciò siacosa che l'uomo abbisogna di molte cosea le quali uno solosatisfare non può. E però dice lo Filosofo che l'uomonaturalmente è compagnevole animale. E sì come un uomoa sua sufficienza richiede compagnia dimestica di famigliacosìuna casa a sua sufficienza richiede una vicinanza: altrimenti moltidifetti sosterrebbe che sarebbero impedimento di felicitade. E peròche una vicinanza a sé non può in tutto satisfareconviene a satisfacimento di quella essere la cittade. Ancora lacittade richiede a le sue arti e a le sue difensioni vicenda avere efratellanza con le circavicine cittadi; e però fu fatto loregno. Ondecon ciò sia cosa che l'animo umano in terminatapossessione di terra non si quetima sempre desideri gloriad'acquistaresì come per esperienza vedemodiscordie eguerre conviene surgere intra regno e regnole quali sonotribulazioni de le cittadie per le cittadi de le vicinanzee perle vicinanze de le casee per le case de l'uomo; e cosìs'impedisce la felicitade. Il perchéa queste guerre e leloro cagioni torre viaconviene di necessitade tutta la terraequanto a l'umana generazione a possedere è datoessendoMonarchiacioè uno solo principatoe uno prencipe avere; loqualetutto possedendo e più desiderare non possendoli regitegna contenti ne li termini de li regnisì che pace intraloro siane la quale si posino le cittadie in questa posa levicinanze s'aminoin questo amore le case prendano ogni lorobisognolo qual presol'uomo viva felicemente; che è quelloper che esso è nato. E a queste ragioni si possono reducereparole del Filosofo ch'egli ne la Politica diceche quando piùcose ad uno fine sono ordinateuna di quelle conviene essereregolanteo vero reggentee tutte l'altre rette e regolate. Sìcome vedemo in una naveche diversi offici e diversi fini di quellaa uno solo fine sono ordinaticioè a prendere loro desideratoporto per salutevole via: dovesì come ciascuno officialeordina la propria operazione nel proprio finecosì èuno che tutti questi fini considerae ordina quelli ne l'ultimo ditutti; e questo è lo nocchieroa la cui voce tutti obediredeono. Questo vedemo ne le religionine li essercitiin tuttequelle cose che sonocome detto èa fine ordinate. Per chemanifestamente vedere si può che a perfezione de la universalereligione de la umana spezie conviene essere unoquasi nocchierocheconsiderando le diverse condizioni del mondoa li diversi enecessari offici ordinare abbia del tutto universale e inrepugnabileofficio di comandare. E questo officio per eccellenza Imperio èchiamatosanza nulla addizioneperò che esso è ditutti li altri comandamenti comandamento. E così chi a questoofficio è posto è chiamato Imperadoreperò chedi tutti li comandamenti elli è comandatoree quello che essodice a tutti è leggee per tutti dee essere obedito e ognialtro comandamento da quello di costui prendere vigore e autoritade.E così si manifesta la imperiale maiestade e autoritade esserealtissima ne l'umana compagnia.
        Veramente potrebbe alcuno gavillare dicendo chetutto che al mondoofficio d'imperio si richeggianon fa ciò l'autoritade de loromano principe ragionevolemente sommala quale s'intendedimostrare; però che la romana potenzia non per ragione néper decreto di convento universale fu acquistatama per forzache ala ragione pare esser contraria. A ciò si puòlievemente rispondereche la elezione di questo sommo officialeconvenia primieramente procedere da quello consiglio che per tuttiprovedecioè Dio; altrimenti sarebbe stata la elezione pertutti non iguale; con ciò sia cosa cheanzi l'officialepredettonullo a bene di tutti intendea. E però che piùdolce natura in segnoreggiandoe più forte in sostenendoepiù sottile in acquistando né fu né fia chequella de la gente latina - sì come per esperienza si puòvedere - e massimamente di quello popolo santo nel quale l'altosangue troiano era mischiatocioè RomaDio quello elesse aquello officio. Però checon ciò sia cosa che a quelloottenere non sanza grandissima vertude venire si potessee a quellousare grandissima e umanissima benignitade si richiedessequesto eraquello popolo che a ciò più era disposto. Onde non daforza fu principalmente preso per la romana gentema da divinaprovedenzache è sopra ogni ragione. E in ciòs'accorda Virgilio nel primo de lo Eneidaquando dicein persona diDio parlando: "A costoro - cioè a li Romani - nétermine di cose né di tempo pongo; a loro ho dato imperiosanza fine". La forza dunque non fu cagione moventesìcome credeva chi gavillavama fu cagione instrumentalesìcome sono li colpi del martello cagione del coltelloe l'anima delfabbro è cagione efficiente e movente; e così nonforzama ragionee ancora divinaconviene essere stata principiodel romano imperio. E che ciò siaper due apertissime ragionivedere si puòle quali mostrano quella civitade imperatricee da Dio avere spezial nascimentoe da Dio avere spezial processo.Ma però che in questo capitolo sanza troppa lunghezza ciòtrattare non si potrebbee li lunghi capitoli sono inimici de lamemoriafarò ancora digressione d'altro capitolo per letoccate ragioni mostrare; che non ha sanza utilitade e dilettogrande.

CapitoloV

        Non è maraviglia se la divina provedenzache del tuttol'angelico e lo umano accorgimento soperchiaoccultamente a noimolte volte procedecon ciò sia cosa che spesse volte l'umaneoperazioni a li uomini medesimi ascondono la loro intenzione; ma damaravigliare è fortequando la essecuzione de lo etternoconsiglio tanto manifesto procede con la nostra ragione. E peròio nel cominciamento di questo capitolo posso parlare con la bocca diSalomoneche in persona de la Sapienza dice ne li suoi Proverbi:"Udite: però che di grandi cose io debboparlare".
        Volendo la 'nmensurabile bontà divina l'umana creatura a sériconformareche per lo peccato de la prevaricazione del primo uomoda Dio era partita e disformataeletto fu in quello altissimo econgiuntissimo consistorio de la Trinitadeche 'l Figliuolo di Dioin terra discendesse a fare questa concordia. E però che ne lasua venuta nel mondonon solamente lo cieloma la terra conveniaessere in ottima disposizione; e la ottima disposizione de la terrasia quando ella è monarchiacioè tutta ad unoprincipecome detto è di sopra; ordinato fu per lo divinoprovedimento quello popolo e quella cittade che ciò doveacompierecioè la gloriosa Roma. E però che anchel'albergo dove il celestiale rege intrare dovea convenia esseremondissimo e purissimoordinata fu una progenie santissimade laquale dopo molti meriti nascesse una femmina ottima di tutte l'altrela quale fosse camera del Figliuolo di Dio: e questa progenie fuquella di Daviddel qual nascette la baldezza e l'onore de l'umanagenerazionecioè Maria. E però è scritto inIsaia: "Nascerà virga de la radice di Iessee fiore dela sua radice salirà"; e Iesse fu padre del sopra dettoDavid. E tutto questo fu in uno temporaleche David nacque e nacqueRomacioè che Enea venne di Troia in Italiache fu originede la cittade romanasì come testimoniano le scritture. Perche assai è manifesto la divina elezione del romano imperioper lo nascimento de la santa cittade che fu contemporaneo a laradice de la progenie di Maria. E incidentemente è da toccarechepoi che esso cielo cominciò a girarein miglioredisposizione non fu che allora quando di là su discese Coluiche l'ha fatto e che 'l governa; sì come ancora per virtùdi loro arti li matematici possono ritrovare. Né 'l mondo mainon fu né sarà sì perfettamente disposto comeallora che a la voce d'un soloprincipe del roman popolo ecomandatorefu ordinatosì come testimonia Luca evangelista.E però che pace universale era per tuttoche maipiùnon fu né fiala nave de l'umana compagnia dirittamente perdolce cammino a debito porto correa. Oh ineffabile e incomprensibilesapienza di Dio che a una oraper la tua venutain Siria suso e quain Italia tanto dinanzi ti preparasti! E oh stoltissime evilissime bestiuole che a guisa d'uomo voi pasceteche presummetecontra nostra fede parlare e volete saperefilando e zappandociòche Iddioche con tanta prudenza hae ordinato! Maladetti siate voie la vostra presunzionee chi a voi crede!
        Ecome detto è di sopra nel fine del precedente capitolo delpresente trattatonon solamente speziale nascimentoma spezialeprocesso ebbe da Dio; ché brievementeda Romoloincominciandoche fu di quella primo padreinfino a la suaperfettissima etadecioè al tempo del predetto suoimperadorenon pur per umane ma per divine operazioni andò losuo processo. Che se consideriamo li sette regi che prima lagovernarocioè RomoloNumaTulloAnco e li re Tarquiniche furono quasi baiuli e tutori de la sua puerizianoi trovarepotremo per le scritture de le romane istoriemassimamente per TitoLiviocoloro essere stati di diverse naturesecondo l'opportunitadedel procedente tempo. Se noi consideriamo poi quella per la maggioreadolescenza suapoi che da la reale tutoria fu emancipatada Brutoprimo consolo infino a Cesare primo prencipe sommonoi troveremo leiessaltata non con umani cittadinima con divinine li quali nonamore umanoma divino era inspirato in amare lei. E ciò nonpotea né dovea essere se non per ispeziale fineda Dio intesoin tanta celestiale infusione. E chi dirà che fosse sanzadivina inspirazioneFabrizio infinita quasi moltitudine d'ororifiutareper non volere abbandonare sua patria? Curioda liSanniti tentato di corromperegrandissima quantità d'oro percarità de la patria rifiutaredicendo che li romani cittadininon l'oroma li possessori de l'oro possedere voleano? e Muzio lasua mano propria incendereperché fallato avea lo colpo cheper liberare Roma pensato avea? Chi dirà di Torquatogiudicatore del suo figliuolo a morte per amore del publico benesanza divino aiutorio ciò avere sofferto? e Bruto predettosimilemente? Chi dirà de li Deci e de li Drusiche puosero laloro vita per la patria? Chi dirà del cattivato RegolodaCartagine mandato a Roma per commutare li presi cartaginesi a sée a li altri presi romaniavere contra sé per amore di Romadopo la legazione ritrattaconsigliatosolo da umanae non dadivina natura mosso? Chi dirà di Quinzio Cincinnatofattodittatore e tolto da lo aratroe dopo lo tempo de l'officiospontaneamente quello rifiutando a lo arare essere ritornato? Chidirà di Cammillobandeggiato e cacciato in essilioesserevenuto a liberare Roma contra li suoi nimicie dopo la sualiberazionespontaneamente essere ritornato in essilio per nonoffendere la senatoria autoritadesanza divina istigazione? Osacratissimo petto di Catonechi presummerà di te parlare?Certo maggiormente di te parlare non si può che tacereeseguire Ieronimo quando nel proemio de la Bibbialà dove diPaolo toccadice che meglio è tacere che poco dire. Certo emanifesto esser deerimembrando la vita di costoro e de li altridivini cittadininon sanza alcuna luce de la divina bontadeaggiunta sopra la loro buona naturaessere tante mirabili operazionistate; e manifesto esser deequesti eccellentissimi essere statistrumenti con li quali procedette la divina provedenza ne lo romanoimperiodove più volte parve esse braccia di Dio esserepresenti. E non puose Iddio le mani proprie a la battaglia dove liAlbani con li Romanidal principioper lo capo del regnocombatteroquando uno solo Romano ne le mani ebbe la franchigia diRoma? Non puose Iddio le mani propriequando li FranceschituttaRoma presaprendeano di furto Campidoglio di nottee solamente lavoce d'una oca fé ciò sentire? E non puose Iddio lemaniquandoper la guerra d'Annibale avendo perduti tanti cittadiniche tre moggia d'anella in Africa erano portatili Romani volseroabbandonare la terrase quel benedetto Scipione giovane non avesseimpresa l'andata in Africa per la sua franchezza? E non puose Iddiole mani quando uno nuovo cittadino di picciola condizionecioèTulliocontra tanto cittadino quanto era Catellina la romana libertàdifese? Certo sì. Per che più chiedere non si deeavedere che spezial nascimento e spezial processoda Dio pensato eordinatofosse quello de la santa cittade. Certo di ferma sonooppinione che le pietre che ne le mura sue stanno siano degne direverenziae lo suolo dov'ella siede sia degno oltre quello che perli uomini è predicato e approvato.



CapitoloVI

        Di sopranel terzo capitolo di questo trattatopromesso fue diragionare de l'altezza de la imperiale autoritade e de la filosofica;e peròragionato de la imperialeprocedere oltre si convienela mia digressionea vedere di quella del Filosofosecondo lapromessione fatta. E qui è prima da vedere che questo vocabulovuole direperò che qui è maggiore mestiere di saperloche sopra lo ragionamento de la imperialela quale per la suamaiestade non pare esser dubitata. E` dunque da sapere che"autoritade" non è altro che "atto d'autore".Questo vocabulocioè "autore"sanza quella terzalettera Cpuò discendere da due principii: l'uno si èd'uno verbo molto lasciato da l'uso in gramaticache significa tantoquanto "legare parole"cioè "auieo". Echi ben guarda luine la sua prima voce apertamente vedrà cheelli stesso lo dimostrache solo di legame di parole è fattocioè di sole cinque vocaliche sono anima e legame d'ogniparolee composto d'esse per modo volubilea figurare imagine dilegame. Chécominciando da l'Ane l'U quindi si rivolveeviene diritto per I ne l'Equindi si rivolve e torna ne l'O; sìche veramente imagina questa figura: AEIOUla quale èfigura di legame. E in quanto "autore" viene e discende daquesto verbosi prende solo per li poetiche con l'arte musaica leloro parole hanno legate: e di questa significazione al presente nons'intende. L'altro principioonde "autore" discendesìcome testimonia Uguiccione nel principio de le sue Derivazionièuno vocabulo greco che dice "autentin"che tanto vale inlatino quanto "degno di fede e d'obedienza". E così"autore"quinci derivatosi prende per ogni persona degnad'essere creduta e obedita. E da questo viene questo vocabulo delquale al presente si trattacioè "autoritade"; perche si può vedere che "autoritade" vale tanto quanto"atto degno di fede e d'obedienza". Ondequand'io proviche Aristotile è dignissimo di fede e d'obedienzamanifesto èche le sue parole sono somma e altissima autoritade.
        Che Aristotile sia dignissimo di fede e d'obedienza cosìprovare si può. Intra operarii e artefici di diverse arti eoperazioniordinate a una operazione od arte finalel'artefice overo operatore di quella massimamente dee essere da tutti obedito ecredutosì come colui che solo considera l'ultimo fine ditutti li altri fini. Onde al cavaliere dee credere lo spadaiolofrenaiolo sellaiolo scudaioe tutti quelli mestieri che a l'artedi cavalleria sono ordinati. E però che tutte l'umaneoperazioni domandano uno finecioè quello de l'umana vita alquale l'uomo è ordinato in quanto elli è uomolomaestro e l'artefice che quello ne dimostra e consideramassimamenteobedire e credere si dee. Questi è Aristotile: dunque esso èdignissimo di fede e d'obedienza. E a vedere come Aristotile èmaestro e duca de la ragione umanain quanto intende a la sua finaleoperazionesi conviene sapere che questo nostro fineche ciascunodisia naturalmenteantichissimamente fu per li savi cercato. E peròche li disideratori di quello sono in tanto numero e li appetiti sonoquasi tutti singularmente diversiavvegna che universalmente sianopur unomalagevole fu molto a scernere quello dove dirittamente ogniumano appetito si riposasse. Furono dunque filosofi molto antichideli quali primo e prencipe fu Zenoneche videro e credettero questofine de la vita umana essere solamente la rigida onestade; cioèrigidamentesanza respetto alcunola verità e la giustiziaseguiredi nulla mostrare doloredi nulla mostrare allegrezzadinulla passione avere sentore. E diffiniro così questo onesto:"quello chesanza utilitade e sanza fruttoper sé diragione è da laudare". E costoro e la loro setta chiamatifurono Stoicie fu di loro quello glorioso Catone di cui non fui disopra oso di parlare. Altri filosofi furonoche videro e credetteroaltro che costoro; e di questi fu primo e prencipe uno filosofo chefu chiamato Epicuro; chéveggendo che ciascuno animaletostoche nato èquasi da natura dirizzato nel debito finechefugge dolore e domanda allegrezzaquelli disse questo nostro fineessere voluptade (non dico "voluntade"ma scrivola per P)cioè diletto sanza dolore. E però che tra 'l diletto elo dolore non ponea mezzo alcunodicea che "voluptade" nonera altro che "non dolore"sì come pare Tulliorecitare nel primo di Fine di Beni. E di questiche da Epicuro sonoEpicurei nominatifu Torquatonobile romanodisceso del sangue delglorioso Torquato del quale feci menzione di sopra. Altri furonoecominciamento ebbero da Socrate e poi dal suo successore Platonecheagguardando più sottilmentee veggendo che ne le nostreoperazioni si potea peccare e peccavasi nel troppo e nel pocodissero che la nostra operazione sanza soperchio e sanza difettomisurata col mezzo per nostra elezione presoch'è virtùera quel fine di che al presente si ragiona; e chiamaronlo"operazione con virtù". E questi furono Academicichiamatisì come fue Platone e Speusippo suo nepote: chiamatiper luogo così dove Plato studiavacioè Academia; néda Socrate presero vocabuloperò che ne la sua filosofianulla fu affermato. Veramente Aristotileche Stagirite ebbesopranomee Zenocrate Calcedoniosuo compagnonee per lo studioloroe per lo 'ngegno singulare e quasi divino che la natura inAristotile messo aveaquesto fine conoscendo per lo modo socraticoquasi e academicolimaro e a perfezione la filosofia moraleredusseroe massimamente Aristotile. E però che Aristotilecominciò a disputare andando in qua e in laechiamati furono- luidicoe li suoi compagni - Peripateticiche tanto vale quanto"deambulatori". E però che la perfezione di questamoralitade per Aristotile terminata fuelo nome de li Academici sispensee tutti quelli che a questa setta si presero Peripateticisono chiamati; e tiene questa gente oggi lo reggimento del mondo indottrina per tutte partie puotesi appellare quasi cattolicaoppinione. Per che vedere si puòAristotile essere additatoree conduttore de la gente a questo segno. E questo mostrare sivolea.
         Per chetutto ricogliendoè manifesto lo principale intentocioèche l'autoritade del filosofo sommo di cui s'intende sia piena ditutto vigore. E non repugna a la imperiale autoritade; ma quellasanza questa è pericolosae questa sanza quella èquasi debilenon per séma per la disordinanza de la gente;sì che l'una con l'altra congiunta utilissime e pienissimesono d'ogni vigore. E però si scrive in quello di Sapienza:"Amate lo lume de la sapienzavoi tutti che siete dinanzi a'populi". Ciò è a dire: Congiungasi la filosoficaautoritade con la imperialea bene e perfettamente reggere. Ohmiseri che al presente reggete! e oh miserissimi che retti siete! chénulla filosofica autoritade si congiunge con li vostri reggimenti néper proprio studio né per consigliosì che a tutti sipuò dire quella parola de lo Ecclesiaste: "Guai a teterralo cui re è fanciulloe li cui principi la domanemangiano!"; e a nulla terra si può dire quella cheseguita: "Beata la terra lo cui re è nobile e li cuiprincipi cibo usano in suo tempoa bisogno e non a lussuria!".Ponetevi mentenemici di Dioa' fianchivoi che le verghe de'reggimenti d'Italia prese avete - e dico a voiCarlo e Federigoregie a voi altri principi e tiranni -; e guardate chi a lato visiede per consiglioe annumerate quante volte lo die questo fine del'umana vita per li vostri consiglieri v'è additato! Megliosarebbe a voi come rondine volare bassoche come nibbio altissimerote fare sopra le cose vilissime.

CapitoloVII

        Poi che veduto è quanto è da reverire l'autoritadeimperiale e la filosoficache paiono aiutare le proposte oppinioniè da ritornare al diritto calle de lo inteso processo. Dicodunque che questa ultima oppinione del vulgo è tanto duratache sanza altro respettosanza inquisizione d'alcuna ragionegentile è chiamato ciascuno che figlio sia o nepote d'alcunovalente uomotutto che esso sia da niente. E questo è quelloche dice: Ed è tanto durata La così falsa oppiniontra nuiChe l'uom chiama colui Omo gentil che può dicere: "Iofui nepoteo figliodi cotal valente"Benché sia daniente. Per che è da notare che pericolosissima negligenzaè lasciare la mala oppinione prendere piede; che cosìcome l'erba multiplica nel campo non cultatoe sormontae cuopre laspiga del frumento sì chedisparte agguardandolo frumentonon paree perdesi lo frutto finalmente; così la malaoppinione ne la mentenon gastigata e correttasì cresce emultiplica sì che le spighe de la ragionecioè la veraoppinione si nasconde e quasi sepulta si perde. Oh com'ègrande la mia impresa in questa canzonea volere omai cosìtrifoglioso campo sarchiare come quello de la comune sentenzasìlungamente da questa cultura abbandonato! Certo non del tutto questomondare intendoma solo in quelle parti dove le spighe de la ragionenon sono del tutto sorprese: cioè coloro dirizzare intendo ne'quali alcuno lumetto di ragione per buona loro natura vive ancoraché de li altri tanto è da curare quanto di brutianimali; però che non minore maraviglia mi sembra reducere aragione colui in cui è la luce di ragione del tutto spentache reducere in vita colui che quattro dì è statonelsepulcro.
         Poi chela mala condizione di questa populare oppinione è narratasubitamentequasi come cosa orribilequella percuoto fuori di tuttol'ordine de la riprovagionedicendo: Ma vilissimo sembraa chi'l ver guataa dare a intendere la sua intollerabile maliziadicendo costoro mentire massimamente; però che non solamentecolui è vilecioè non gentileche disceso di buoni èmalvagioma eziandio è vilissimo: e pongo essemplo delcammino mostrato e poscia errato. Dovea ciò mostrarefar miconviene una questionee rispondere a quellain questo modo. Unapianura è con certi sentieri: campo con siepicon fossaticon pietrecon legnamecon tutti quasi impedimentifuori de lisuoi stretti sentieri. Nevato è sìche tutto cuopre laneve e rende una figura in ogni partesì che d'alcunosentiero vestigio non si vede. Viene alcuno da l'una parte de lacampagna e vuole andare a una magione che è da l'altra parte;e per sua industriacioè per accorgimento e per bontaded'ingegnosolo da sé guidatoper lo diritto cammino si va làdove intendelasciando le vestigie de li suoi passi diretro da sé.Viene un altro appresso costuie vuole a questa magione andareenon li è mestiere se non seguire li vestigi lasciati; epersuo difettolo cammino che altri sanza scorta ha saputo tenerequesto scorto errae tortisce per li pruni e per le ruinee a laparte dove dee non va. Quale di costoro si dee dicere valente?Rispondo: quegli che andò dinanzi. Questo altro come sichiamerà? Rispondo: vilissimo. Perché non si chiama nonvalentecioè vile? Rispondo: perché non valentecioèvilesarebbe da chiamare colui chenon avendo alcuna scortanonfosse ben camminato; ma però che questi l'ebbelo suo erroree lo suo difetto non può saliree però è dadire non vilema vilissimo. E così quelli che dal padre od'alcuno suo maggiore buono è disceso ed è malvagionon solamente è vilema vilissimoe degno d'ogni dispetto evituperio più che altro villano. E perché l'uomo daquesta infima viltade si guardicomanda Salomone a colui che 'lvalente antecessore hae avutonel vigesimo secondo capitolo de liProverbi: "Non trapasserai li termini antichi che puosero lipadri tuoi"; e dinanzi dicenel quarto capitolo del dettolibro: "La via de' giusti"cioè de' valenti"quasiluce splendiente procedee quella de li malvagi è oscura.Elli non sanno dove rovinano". Ultimamentequando si dice: Etocca a talch'è morto e va per terraa maggioredetrimento dico questo cotale vilissimo essere mortoparendo vivo.Onde è da sapere che veramente morto lo malvagio uomo dire sipuotee massimamente quelli che da la via del buono suo antecessoresi parte. E ciò si può così mostrare. Sìcome dice Aristotile nel secondo de l'Anima"vivere èl'essere de li viventi"; e per ciò che vivere èper molti modi (sì come ne le piante vegetarene li animalivegetare e sentire e muoverene li uomini vegetaresentiremuoveree ragionareo vero intelligere)e le cose si deono denominare da lapiù nobile partemanifesto è che vivere ne li animaliè sentire - animalidicobruti -vivere ne l'uomo èragione usare. Dunquese 'l vivere è l'essere dei viventi evivere ne l'uomo è ragione usareragione usare èl'essere de l'uomoe così da quello uso partire èpartire da esseree così è essere morto. E non siparte da l'uso del ragionare chi non ragiona lo fine de la sua vita?e non si parte da l'uso de la ragione chi non ragiona il cammino chefare dee? Certo si parte; e ciò si manifesta massimamente concolui che ha le vestigie innanzie non le mira. E però diceSalomone nel quinto capitolo de li Proverbi: "Quelli muore chenon ebbe disciplinae ne la moltitudine de la sua stoltezza saràingannato". Ciò è a dire: Colui è morto chenon si fé discepoloche non segue lo maestro; e questovilissimo è quello. Potrebbe alcuno dicere: Come èmorto e va? Rispondo che è morto uomo e rimaso bestia. Chésì come dice lo Filosofo nel secondo de l'Animale potenze del'anima stanno sopra sé come la figura de lo quadrangulo stasopra lo trianguloe lo pentangulocioè la figura che hacinque cantista sopra lo quadrangulo: e così la sensitivasta sopra la vegetativae la intellettiva sta sopra la sensitiva.Dunquecome levando l'ultimo canto del pentangulo rimane quadranguloe non più pentangulocosì levando l'ultima potenza del'animacioè la ragionenon rimane più uomoma cosacon anima sensitiva solamentecioè animale bruto. E questa èla sentenza del secondo verso de la canzone impresanel quale sipongono l'altrui oppinioni.

CapitoloVIII

       Lo più bello ramo che de la radice razionale consurga si èla discrezione. Chésì come dice Tommaso sopra loprologo de l'Etica"conoscere l'ordine d'una cosa ad altra èproprio atto di ragione"e è questa discrezione. Uno de'più belli e dolci frutti di questo ramo è la reverenzache dee lo minore a lo maggiore. Onde Tullionel primo de li Officiparlando de la bellezza che in su l'onestade risplendedice lareverenza essere di quella; e così come questa èbellezza d'onestadecosì lo suo contrario è turpezza emenomanza de l'onestolo quale contrario inreverenzao verotracotanza dicere in nostro volgare si può. E però essoTullio nel medesimo luogo dice: "Mettere a negghienza di saperequello che li altri sentono di luinon solamente è di personaarrogantema di dissoluta"; che non vuole altro direse nonche arroganza e dissoluzione è se medesimo non conoscerech'èprincipio ed è la misura d'ogni reverenza. Per che io volendocon tutta reverenza e a lo Principe e al Filosofo portandolamalizia d'alquanti de la mente levareper fondarvi poi suso la lucede la veritadeprima che a riprovare le proposte oppinioni procedamostrerò comequelle riprovandoné contra l'imperialemaiestade né contra lo Filosofo si ragiona inreverentemente.Che se in alcuna parte di tutto questo libro inreverente mimostrassenon sarebbe tanto laido quanto in questo trattato; nelqualedi nobilitade trattandome nobile e non villano deggiomostrare. E prima mostrerò me non presummere contra l'autoritàdel Filosofo; poi mostrerò me non presummere contra lamaiestade imperiale.
        Dico adunque che quando lo Filosofo dice: "Quello che pare a lipiùimpossibile è del tutto essere falso"nonintende dicere del parere di fuoricioè sensualema diquello dentrocioè razionale; con ciò sia cosa che 'lsensuale parere secondo la più gentesia molte voltefalsissimomassimamente ne li sensibili comunilà dove losenso spesse volte è ingannato. Onde sapemo che a la piùgente lo sole pare di larghezzanel diametrod'un piedee sìè ciò falsissimo. Chésecondo lo cercamento ela invenzione che ha fatto l'umana ragione con l'altre sue artilodiametro del corpo del sole è cinque volte quanto quello de laterrae anche una mezza volta; ondecon ciò sia cosa che laterra per lo diametro suo sia semilia cinquecento miglialo diametrodel soleche a la sensuale apparenza appare di quantità d'unpiedeè trentacinque milia settecento cinquanta miglia. Perche manifesto è Aristotile non avere inteso de la sensualeapparenza; e peròse io intendo solo a la sensuale apparenzariprovarenon faccio contra la intenzione del Filosofoe peròné la reverenza che a lui si dee non offendo. E che iosensuale apparenza intenda riprovare è manifesto. Chécostoroche così giudicanonon giudicano se non per quelloche sentono di queste cose che la fortuna può dare e torre;che perché veggiono fare le parentele e li alti matrimoniiliedifici mirabilile possessioni larghele signorie grandicredonoquelle essere cagioni di nobilitadeanzi essa nobilitade credonoquelle essere. Che s'elli giudicassero con l'apparenza razionaledicerebbero lo contrariocioè la nobilitade essere cagione diquestosì come di sotto in questo trattato si vedrà.
        E come iosecondo che vedere si puòcontra la reverenza delFilosofo non parlo ciò riprovandocosì non parlocontra la reverenza de lo Imperio: e la ragione mostrare intendo. Maperò chedinanzi da l'avversario se ragionalo rettorico deemolta cautela usare nel suo sermoneacciò che l'avversarioquindi non prenda materia di turbare la veritadeioche al volto ditanti avversarii parlo in questo trattatonon posso brievementeparlare; ondese le mie digressioni sono lunghenullo si maravigli.Dico adunque chea mostrare me non essere inreverente a la maiestadede lo Imperioprima è da vedere che è "reverenza".Dico che reverenza non è altro che confessione di debitasubiezione per manifesto segno. E veduto questoda distinguere èintra loro "inreverente" e "non reverente". Loinreverente dice privazionelo non reverente dice negazione. E peròla inreverenza è disconfessare la debita subiezionepermanifesto segnodicoe la non reverenza è negare la debitasubiezione. Puote l'uomo disdicere la cosa doppiamente: per uno modopuote l'uomo disdicere offendendo a la veritadequando de la debitaconfessione si privae questo propriamente è "disconfessare";per un altro modo puote l'uomo disdicere non offendendo a laveritadequando quello che non è non si confessae questo èproprio "negare": sì come disdicere l'uomo séessere del tutto mortaleè negarepropriamente parlando. Perche se io niego la reverenza de lo Imperionon sono inreverentemasono non reverente: che non è contro a la reverenzacon ciòsia cosa che quella non offenda; sì come lo non vivere nonoffende la vitama offende quella la morteche è di quellaprivazione. Onde altro è morte e altro è non vivere;che non vivere è ne le pietre. E però che morte diceprivazioneche non può essere se non nel subietto de l'abitoe le pietre non sono subietto di vitaper che non "morte"ma "non vivere" dicere si deono; similemente ioche inquesto caso a lo Imperio reverenza avere non debbose la disdicoinreverente non sonoma sono non reverenteche non ètracotanza né cosa da biasimare. Ma tracotanza sarebbel'essere reverente (se reverenza si potesse dicere)però chein maggiore e in vera inreverenza si cadrebbecioè de lanatura e de la veritadesì come di sotto si vedrà. Eda questo fallo si guardò quello maestro de li filosofiAristotilenel principio de l'Etica quando dice: "Se due sonoli amicie l'uno è la veritàa la verità èda consentire". Veramenteperché detto ho ch'i' sono nonreverenteche è la reverenza negarecioè negare ladebita subiezione per manifesto segnoda vedere è come questoè negare e non disconfessarecioè da vedere comeinquesto casoio non sia debitamente a la imperiale maiestàsubietto. E perché lunga conviene essere la ragioneperproprio capitolo immediatamente intendo ciò mostrare.

CapitoloIX

        A vedere come in questo casocioè in riprovando o inapprovando l'oppinione de lo Imperadorea lui non sono tenuto asubiezionereducere a la mente si conviene quello che de loimperiale officio di sopranel quarto capitolo di questo trattatoèragionatocioè che a perfezione de l'umana vita la imperialeautoritade fu trovatae che ella è regolatrice e rettrice ditutte le nostre operazionigiustamente; chepertantooltre quantole nostre operazioni si stendono tanto la maiestade imperiale hagiurisdizionee fuori di quelli termini non si sciampia. Ma sìcome ciascuna arte e officio umano da lo imperiale è a certitermini limitatocosì questo da Dio a certo termine èfinito: e non è da maravigliareché l'officio e l'artede la natura finito in tutte sue operazioni vedemo. Che se prenderevolemo la natura universale di tuttotanto ha giurisdizione quantotutto lo mondodico lo cielo e la terrasi stende; e questo èa certo terminesì come per lo terzo de la Fisica e per loprimo De Celo et Mundo è provato. Dunque la giurisdizione dela natura universale è a certo termine finita - e perconsequente la particulare -; e anche di costei è limitatorecolui che da nulla è limitatocioè la prima bontadeche è Dioche solo con la infinita capacitade infinitocomprende.
         E avedere li termini de le nostre operazioniè da sapere chesolo quelle sono nostre operazioni che subiacciono a la ragione e ala volontade; che se in noi è l'operazione digestivaquestanon è umanama naturale. Ed è da sapere che la nostraragione a quattro maniere d'operazionidiversamente da considerareè ordinata: ché operazioni sono che ella solamenteconsiderae non fa né può fare alcuna di quellesìcome sono le cose naturali e le sopranaturali e le matematice; eoperazioni che essa considera e fa nel proprio atto suole quali sichiamano razionalisì come sono arti di parlare; e operazionisono che ella considera e fa in materia di fuori di sésìcome sono arti meccanice. E queste tutte operazioniavvegna che 'lconsiderare loro subiaccia a la nostra volontadeelle per loro anostra volontade non subiacciono: chéperché noivolessimo che le cose gravi salissero per natura susoe perchénoi volessimo che 'l silogismo con falsi principii conchiudesseveritade dimostrandoe perché noi volessimo che la casasedesse così forte pendente come dirittanon sarebbe; peròche di queste operazioni non fattori propriamentema li trovatorisemo. Altri l'ordinò e fece maggior fattore. Sono ancheoperazioni che la nostra ragione considera ne l'atto de la volontadesì come offendere e giovaresì come star fermo efuggire a la battagliasì come stare casto e lussuriareequeste del tutto soggiacciono a la nostra volontade; e peròsemo detti da loro buoni e rei perch'elle sono proprie nostre deltuttoperchéquanto la nostra volontade ottenere puotetanto le nostre operazioni si stendono. E con ciò sia cosa chein tutte queste volontarie operazioni sia equitade alcuna daconservare e iniquitade da fuggire (la quale equitade per due cagionisi può perdereo per non sapere quale essa si sia o per nonvolere quella seguitare) trovata fu la Ragione scrittae permostrarla e per comandarla. Onde dice Augustino: "Se questa -cioè equitade - li uomini la conoscesseroe conosciutaservasserola Ragione scritta non sarebbe mestiere"; e peròè scritto nel principio del Vecchio Digesto: "La ragionescritta è arte di bene e d'equitade". A questa scriveremostrare e comandareè questo officiale posto di cui siparlacioè lo Imperadoreal quale tanto quanto le nostreoperazioni proprieche dette sonosi stendonosiamo subietti; epiù oltre no. Per questa ragionein ciascuna arte e inciascuno mestiere li artefici e li discenti sonoed esser deonosubietti al prencipe e al maestro di quellein quelli mestieri ed inquella arte; e fuori di quello la subiezione pereperò chepere lo principato. Sì che quasi dire si può de loImperadorevolendo lo suo officio figurare con una imagineche ellisia lo cavalcatore de la umana volontade. Lo quale cavallo come vadasanza lo cavalcatore per lo campo assai è manifestoespezialmente ne la misera Italiache sanza mezzo alcuno a la suagovernazione è rimasa!
        E da considerare è che quanto la cosa è piùpropia de l'arte o del maestrotanto è maggiore in quella lasubiezione; chémultiplicata la cagionemultiplical'effetto. Onde è da sapere che cose sono che sono sìpure artiche la natura è instrumento de l'arte: sìcome vogare con remodove l'arte fa suo instrumento de laimpulsioneche è naturale moto; sì come nel trebbiarelo frumentoche l'arte fa suo instrumento del caldoche ènatural qualitade; e in queste massimamente a lo prencipe e maestrode l'arte esser si dee subietto. E cose sono dove l'arte èinstrumento de la naturae queste sono meno arti; e in esse sonomeno subietti li artefici a loro prencipe; sì com'èdare lo seme a la terra (qui si vuole attendere la volontà dela natura)sì come è uscire di porto (qui si vuoleattendere la naturale disposizione del tempo). E però vedemoin queste cose spesse volte contenzione tra li arteficie domandareconsiglio lo maggiore al minore. Altre cose sono che non sono del'artee paiono avere con quella alcuna parentelae quinci sono liuomini molte volte ingannati; e in queste li discenti a lo arteficeo vero maestrosubietti non sononé credere a lui sonotenuti quanto è per l'arte: sì come pescare pare averparentela col navicaree conoscere la vertù de l'erbe pareaver parentela con l'agricoltura; che non hanno insieme alcunaregolacon ciò sia cosa che 'l pescare sia sotto l'arte de lavenagione e sotto suo comandaree lo conoscere la vertù del'erbe sia sotto la medicina o vero sotto più nobiledottrina.
         Questecose simigliantementeche de l'altre arti sono ragionatevedere sipossono ne l'arte imperiale; ché regole sono in quella chesono pure artisì come sono le leggi de' matrimoniide liservide le miliziede li successori in dignitadee di queste intutto siamo a lo Imperadore subiettisanza dubbio e sospetto alcuno.Altre leggi sono che sono quasi seguitatrici di naturasìcome constituire l'uomo d'etade sofficiente a ministraree di questenon semo in tutto subietti. Altre molte sono che paiono avere alcunaparentela con l'arte imperiale - e qui fu ingannato ed è chicrede che la sentenza imperiale sia in questa parte autentica -: sìcome diffinire giovinezza e gentilezzasovra le quali nulloimperiale giudicio è da consentirein quanto elli èimperadore: peròquello che è di Cesare sia renduto aCesaree quello che è di Dio sia renduto a Dio. Onde non èda credere né da consentire a Nerone imperadoreche disse chegiovinezza era bellezza e fortezza del corpoma a colui che dicesseche giovinezza è colmo de la naturale vitache sarebbefilosofo. E però è manifesto che diffinire digentilezza non è de l'arte imperiale; e se non è del'artetrattando di quellaa lui non siamo subietti; e se non siamosubiettireverire lui in ciò non siamo tenuti: e questo èquello che cercando s'andava. Per che omai con tutta licenza e contutta franchezza d'animo è da ferire nel petto a le usateoppinioniquelle per terra versandoacciò che la veraceperquesta mia vittoriategna lo campo de la mente di coloro per cui faquesta luce avere vigore.

CapitoloX

        Poi che poste sono l'altrui oppinioni di nobilitadee mostrato èquelle riprovare a me esser licitoverrò a quella parteragionare che ciò ripruova; che cominciasì come dettoè di sopra: Chi diffinisce: "Omo è legnoanimato". E però è da sapere che l'oppinionede lo Imperadore - avvegna che con difetto quella ponga - nel'una particulacioè là dove disse belli costumitoccò de li costumi di nobilitadee però in quellaparte riprovare non s'intende. L'altra particulache di natura dinobilitade è del tutto diversas'intende riprovare; la qualedue cose pare dicere quando dice antica ricchezzacioètempo e diviziele quali a nobilitade sono del tutto diversecomedetto è e come di sotto si mostrerà. E peròriprovando si fanno due parti: prima si ripruovano le diviziee poisi ripruova lo tempo essere cagione di nobilitade. La seconda partecomincia: Né voglion che vil uom gentil divegna. E dasapere è cheriprovate le divizieè riprovata nonsolamente l'oppinione de lo Imperadore in quella parte che le divizietoccama eziandio quella del vulgo interamente che solo ne ledivizie si fondava. La prima parte in due si divide: che ne la primageneralmente si dice lo 'mperadore essere stato erroneo ne ladiffinizione di nobilitade; secondamente si mostra ragione perché.E comincia questa seconda parte: Ché le diviziesìcome si crede.
        Dico adunqueChi diffinisce: "Omo è legno animato"che prima dice non verocioè falsoin quanto dice"legno"; e poi parla non interocioè condifettoin quanto dice "animato"non dicendo "razionale"che è differenza per la quale uomo da la bestia si parte. Poidico che per questo modo fu erroneo in diffinire quelli che tenneimpero: non dicendo "imperadore"ma "quelli chetenne imperio"a mostrare (come detto è di sopra) questacosa determinare essere fuori d'imperiale officio. Poi dicosimilemente lui errareche puose de la nobilitade falso subiettocioè "antica ricchezza"e poi procedette a"defettiva forma"o vero differenzacioè "bellicostumi"che non comprendono ogni formalitade di nobilitademamolto picciola partesì come di sotto si mostrerà. Enon è da lasciaretutto che 'l testo si tacciache messerelo Imperadore in questa parte non errò pur ne le parti de ladiffinizionema eziandio nel modo di diffinireavvegna chesecondola fama che di lui gridaelli fosse loico e clerico grande: chéla diffinizione de la nobilitade più degnamente si farebbe dali effetti che da' principiicon ciò sia cosa che essa paiaavere ragione di principioche non si può notificare per coseprimema per posteriori. Poi quando dico: Ché le diviziesì come si credemostro come elle non possono causarenobilitadeperché sono vili; e mostro quelle non poterlatorreperché son disgiunte molto da nobilitade. E pruovoquelle essere vili per uno loro massimo e manifestissimo difetto; equesto fo quando dico: Che siano vili appare. Ultimamenteconchiudoper virtù di quello che detto è di sopral'animo diritto non mutarsi per loro transmutazione; che èpruova di quello che detto è di sopraquelle essere danobilitade disgiunteper non seguire l'effetto de la congiunzione.Ove è da sapere chesì come vuole lo Filosofotuttele cose che fanno alcuna cosaconviene essere prima quelleperfettamente in quello essere; onde dice nel settimo de laMetafisica: "Quando una cosa si genera da un'altragenerasi diquellaessendo in quello essere". Ancora è da sapere cheogni cosa che si corrompesì si corrompeprecedente alcunaalterazionee ogni cosa che è alterata conviene esserecongiunta con l'alterante cagionesì come vuole lo Filosofonel settimo de la Fisica e nel primo De Generatione. Queste cosepropostecosì procedoe dico che le diviziecome altricredeanon possono dare nobilitade; e a mostrare maggiorediversitade avere con quelladico che non la possono torre a chil'ha. Dare non la possonocon ciò sia cosa che naturalmentesiano vilie per la viltade siano contrarie a la nobilitade. E quis'intende viltade per degenerazionela quale a la nobilitades'oppone; con ciò sia cosa che l'uno contrario non sia fattorede l'altro né possa essereper la prenarrata cagione la qualebrevemente s'aggiugne al testodicendo: Poi chi pinge figura.Onde nullo dipintore potrebbe porre alcuna figuraseintenzionalmente non si facesse prima talequale la figura esseredee. Ancora torre non la possonoperò che da lungi sono dinobilitadee per la ragione prenarrata che ciò che altera ocorrompe alcuna cosa convegna essere congiunto con quella. E peròsoggiugne: Né la diritta torre Fa piegar rivo che da lungicorre; che non vuole altro direse non rispondere a ciòche detto è dinanziche le divizie non possono torrenobilitadedicendo quasi quella nobilitade essere torre dirittaele divizie fiume da lungi corrente.

CapitoloXI

       Resta omai solamente a provare come le divizie sono vilie comedisgiunte sono e lontane da nobilitade; e ciò si pruova in dueparticulette del testoa le quali si conviene al presente intendere.E poi quelle espostesarà manifesto ciò che detto hocioè le divizie essere vili e lontane da nobilitade; e perquesto saranno le ragioni di sopra contra le divizie perfettamenteprovate. Dico adunque: Che siano vili appare ed imperfette. Ea manifestare ciò che dire s'intendeè da sapere chela viltade di ciascuna cosa da la imperfezione di quella si prendeecosì la nobilitade da la perfezione: onde tanto quanto la cosaè perfettatanto è in sua natura nobile; quantoimperfettatanto vile. E però se le divizie sono imperfettemanifesto è che siano vili. E che elle siano imperfettebrievemente pruova lo testo quando dice: ChéquantunquecolletteNon posson quietarma dan più cura; in che nonsolamente la loro imperfezione è manifestama la lorocondizione essere imperfettissimae però essere quellevilissime. E ciò testimonia Lucanoquando dicea quelleparlando: "Sanza contenzione periro le leggi; e voi ricchezzevilissima parte de le cosemoveste battaglia". Puotesibrevemente la loro imperfezione in tre cose vedere apertamente: eprimane lo indiscreto loro avvenimento; secondamentenelpericoloso loro accrescimento; terziamentene la dannosa loropossessione. E prima ch'io ciò dimostriè dadichiarare un dubbio che pare consurgere: checon ciò siacosa che l'orole margherite e li campi perfettamente forma e attoabbiano in loro esserenon pare vero dicere che siano imperfette. Eperò si vuole sapere chequanto è per esse in loroconsideratecose perfette sonoe non sono ricchezzema oro emargherite; ma in quanto sono ordinate a la possessione de l'uomosono ricchezzee per questo modo sono piene d'imperfezione. Chénon è inconveniente una cosasecondo diversi rispettiessereperfetta e imperfetta.
        Dico che la loro imperfezione primamente si può notare ne laindiscrezione del loro avvenimentonel quale nulla distributivagiustizia risplendema tutta iniquitade quasi semprela qualeiniquitade è proprio effetto d'imperfezione. Che se siconsiderano li modi per li quali esse vegnonotutti si possono intre maniere ricogliere: ché o vegnono da pura fortunasìcome quando sanza intenzione o speranza vegnono per invenzione alcunanon pensata; o vegnono da fortuna che è da ragione aiutatasìcome per testamenti o per mutua successione; o vegnono da fortunaaiutatrice di ragionesì come quando per licito o perillicito procaccio: licito dicoquando è per arte o permercatantia o per servigio meritante; illicito dicoquando èper furto o per rapina. E in ciascuno di questi tre modi si vedequella iniquitade che io dicoché più volte a limalvagi che a li buoni le celate ricchezze che si truovano o che siritruovano si rappresentano; e questo è sì manifestoche non ha mestiere di pruova. Veramente io vidi lo luogone lecoste d'un monte che si chiama Falteronain Toscanadove lo piùvile villano di tutta la contradazappandopiù d'uno staiodi santalene d'argento finissimo vi trovòche forse piùdi dumilia anni l'aveano aspettato. E per vedere questa iniquitadedisse Aristotile che "quanto l'uomo più subiace a lo'ntellettotanto meno subiace a la fortuna". E dico che piùvolte a li malvagi che a li buoni pervegnono li retaggilegati ecaduti; e di ciò non voglio recare innanzi alcunatestimonianzama ciascuno volga li occhi per la sua vicinanzaevedrà quello che io mi taccio per non abominare alcuno. Cosìfosse piaciuto a Dio che quello che addomandò lo Provenzalefosse statoche chi non è reda de la bontade perdesse loretaggio de l'avere! E dico che più volte a li malvagi che ali buoni pervegnono a punto li procacci; ché li non liciti ali buoni mai non pervegnonoperò che li rifiutano. E qualebuono uomo mai per forza o per fraude procaccerà? Impossibilesarebbe ciòché solo per la elezione de la illicitaimpresa più buono non sarebbe. E li liciti rade voltepervegnono a li buoniperchécon ciò sia cosa chemolta sollicitudine quivi si richeggiae la sollicitudine del buonosia diritta a maggiori coserade volte sofficientemente quivi lobuono è sollicito. Per che è manifesto in ciascuno modoquelle ricchezze iniquamente avvenire; e però Nostro Segnoreinique le chiamòquando disse: "Fatevi amici de lapecunia de la iniquitade"invitando e confortando li uomini aliberalitade di beneficiche sono generatori d'amici. E quanto fabello cambio chi di queste imperfettissime cose dà per avere eper acquistare cose perfettesì come li cuori de' valentiuomini! Lo cambio ogni die si può fare. Certo nuovamercatantia è questa de l'altrechecredendo comperare unouomo per lo beneficiomille e mille ne sono comperati. E cui non èancora nel cuore Alessandro per li suoi reali benefici? Cui non èancora lo buono re di Castellao il Saladinoo il buono Marchese diMonferratoo il buono Conte di Tolosao Beltramo dal BorniooGalasso di Montefeltro? Quando de le loro messioni si fa menzionecerto non solamente quelli che ciò farebbero volentierimaquelli prima morire vorrebbero che ciò fareamore hanno a lamemoria di costoro.

CapitoloXII

        Come detto èla imperfezione de le ricchezze non solamentenel loro avvenimento si può comprenderema eziandio nelpericoloso loro accrescimento; e però che in ciò piùsi può vedere di loro difettosolo di questo fa menzione lotestodicendo quellequantunque collettenon solamente nonquietarema dare più sete e rendere altri piùdefettivo e insufficiente. E qui si vuole sapere che le cosedefettive possono aver li loro difetti per modoche ne la primafaccia non paionoma sotto pretesto di perfezione la imperfezione sinasconde; e possono avere quelli sìche del tutto sonodiscopertisì che apertamente ne la prima faccia si conoscela imperfezione. E quelle cose che prima non mostrano li loro difettisono più pericoloseperò che di loro molte fiateprendere guardia non si può; sì come vedemo neltraditoreche ne la faccia dinanzi si mostra amicosì che fadi sé fede averee sotto pretesto d'amistade chiude lodifetto de la inimistade. E per questo modo le ricchezzepericolosamente nel loro accrescimento sono imperfettechesommettendo ciò che promettonoapportano lo contrario.Promettono le false traditrici semprein certo numero adunaterendere lo raunatore pieno d'ogni appagamento; e con questapromissione conducono l'umana volontade in vizio d'avarizia. E perquesto le chiama Boezioin quello De Consolationepericolosedicendo: "Ohmè! chi fu quel primo che li pesi de l'orocoperto e le pietre che si voleano asconderepreziosi pericolicavoe?". Promettono le false traditricise bene si guardaditorre ogni sete e ogni mancanzae apportare ogni saziamento ebastanza; e questo fanno nel principio a ciascuno uomoquestapromissione in certa quantità di loro accrescimentoaffermando: e poi che quivi sono adunatein loco di saziamento e direfrigerio danno e recano sete di casso febricante intollerabile; ein loco di bastanza recano nuovo terminecioè maggiorequantitade a desiderioecon questapaura grande e sollicitudinesopra l'acquisto. Sì che veramente non quietanoma piùdanno curala qual prima sanza loro non si avea. E però diceTullio in quello De Paradoxoabominando le ricchezze: "Io innullo tempo per fermo né le pecunie di costoroné lemagioni magnifichené le ricchezzené le signorienél'allegrezze de le quali massimamente sono astrettitra cose buone odesiderabili esser dissi; con ciò sia cosa che certo iovedesse li uomini ne l'abondanza di queste cose massimamentedesiderare quelle di che abondano. Però che in nullo tempo sicompie né si sazia la sete de la cupiditate; nésolamente per desiderio d'accrescere quelle cose che hanno sitormentanoma eziandio tormento hanno ne la paura di perderequelle". E queste tutte parole sono di Tullioe cosìgiacciono in quello libro che detto è. E a maggioretestimonianza di questa imperfezioneecco Boezio in quello DeConsolatione dicente: "Se quanta rena volve lo mare turbato dalventose quante stelle riluconola dea de la ricchezza largiscal'umana generazione non cesserà di piangere". E perchépiù testimonianzaa ciò ridurre per pruovasiconvienelascisi stare quanto contra esse Salomone e suo padregrida; quanto contra esse Senecamassimamente a Lucillo scrivendo;quanto Orazioquanto Iuvenale ebrievementequanto ogni scrittoreogni poeta; e quanto la verace Scrittura divina chiama contra questefalse meretricipiene di tutti defetti; e pongasi menteper avereoculata fedepur a la vita di coloro che dietro a esse vannocomevivono sicuri quando di quelle hanno raunatecome s'appaganocomesi riposano. E che altro cotidianamente pericola e uccide le cittadile contradele singulari personetanto quanto lo nuovo raunamentod'avere appo alcuno? Lo quale raunamento nuovi desiderii discuoprealo fine de li quali sanza ingiuria d'alcuno venire non si può.E che altro intende di meditare l'una e l'altra RagioneCanonicadico e Civiletanto quanto a riparare a la cupiditade cheraunandoricchezzecresce? Certo assai lo manifesta e l'una e l'altraRagionese li loro cominciamentidico de la loro scritturasileggono. Oh com'è manifestoanzi manifestissimoquelle inaccrescendo essere del tutto imperfettequando di loro altro cheimperfezione nascere non puòquanto che accolte siano! Equesto è quello che lo testo dice.
        Veramente qui surge in dubbio una questioneda non trapassare sanzafarla e rispondere a quella. Potrebbe dire alcuno calunniatore de laveritade che seper crescere desiderio acquistandole ricchezzesono imperfette e però viliche per questa ragione siaimperfetta e vile la scienzane l'acquisto de la quale sempre crescelo desiderio di quella; onde Seneca dice: "Se l'uno de li piediavesse nel sepulcroapprendere vorrei". Ma non è veroche la scienza sia vile per imperfezione: dunqueper la distruzionedel consequentelo crescere desiderio non è cagione diviltade a le ricchezze. Che sia perfettaè manifesto per loFilosofo nel sesto de l'Eticache dice la scienza essere perfettaragione di certe cose.
        A questa questione brievemente è da rispondere; ma prima èda vedere se ne l'acquisto de la scienza lo desiderio si sciampiacome ne la questione si ponee se sia per ragione. Per che io dicoche non solamente ne l'acquisto de la scienza e de le ricchezzemain ciascuno acquisto l'umano desiderio si sciampiaavvegna che peraltro e altro modo. E la ragione è questa: che lo sommodesiderio di ciascuna cosae prima da la natura datoè loritornare a lo suo principio. E però che Dio èprincipio de le nostre anime e fattore di quelle simili a sé(sì come è scritto: "Facciamo l'uomo ad imagine esimilitudine nostra")essa anima massimamente desidera ditornare a quello. E sì come peregrino che va per una via perla quale mai non fueche ogni casa che da lungi vede crede che sial'albergoe non trovando ciò esseredirizza la credenza al'altrae così di casa in casatanto che a l'albergo viene;così l'anima nostraincontanente che nel nuovo e mai nonfatto cammino di questa vita entradirizza li occhi al termine delsuo sommo benee peròqualunque cosa vede che paia in séavere alcuno benecrede che sia esso. E perché la suaconoscenza prima è imperfettaper non essere esperta nédottrinatapiccioli beni le paiono grandie però da quellicomincia prima a desiderare. Onde vedemo li parvuli desideraremassimamente un pomo; e poipiù procedendodesiderare unoaugellino; e poipiù oltredesiderare bel vestimento; e poilo cavallo; e poi una donna; e poi ricchezza non grandee poigrandee poi più. E questo incontra perché in nulla diqueste cose truova quella che va cercandoe credela trovare piùoltre. Per che vedere si può che l'uno desiderabile stadinanzi a l'altro a li occhi de la nostra anima per modo quasipiramidaleche 'l minimo li cuopre prima tuttied è quasipunta de l'ultimo desiderabileche è Dioquasi base ditutti. Sì chequanto da la punta ver la base più siprocedemaggiori appariscono li desiderabili; e questa è laragione per cheacquistandoli desiderii umani si fanno piùampiil'uno appresso de l'altro. Veramente così questocammino si perde per errore come le strade de la terra. Che sìcome d'una cittade a un'altra di necessitade è una ottima edirittissima viae un'altra che sempre se ne dilunga (cioèquella che va ne l'altra parte)e molte altre quale menoallungandosi e quale meno appressandosicosì ne la vita umanasono diversi camminide li quali uno è veracissimo e un altroè fallacissimoe certi meno fallaci e certi meno veraci. E sìcome vedemo che quello che dirittissimo vae a la cittadee compie lodesiderio e dà posa dopo la faticae quello che va incontrario mai nol compie e mai posa dare non puòcosìne la nostra vita avviene: lo buono camminatore giugne a termine e aposa; lo erroneo mai non l'aggiugnema con molta fatica del suoanimo sempre con li occhi gulosi si mira innanzi. Onde avvegna chequesta ragione del tutto non risponda a la questione mossa di sopraalmeno apre la via a la rispostaché fa vedere non andareogni nostro desiderio dilatandosi per uno modo. Ma perchéquesto capitolo è alquanto produttoin capitolo nuovo a laquestione è da risponderenel quale sia terminata tutta ladisputazione che fare s'intende al presente contra le ricchezze.

CapitoloXIII

        A la questione rispondendodico che propriamente crescere lodesiderio de la scienza dire non si puòavvegna checomedetto èper alcuno modo si dilati. Ché quello chepropriamente crescesempre è uno: lo desiderio de la scienzanon è sempre unoma è moltie finito l'unovienel'altro; sì chepropriamente parlandonon è crescerelo suo dilatarema successione di picciola cosa in grande cosa. Chese io desidero di sapere li principii de le cose naturaliincontanente che io so questiè compiuto e terminato questodesiderio. E se poi io desidero di sapere che cosa e com'èciascuno di questi principiiquesto è un altro desiderionuovoné per l'avvenimento di questo non mi si toglie laperfezione a la quale mi condusse l'altro; e questo cotale dilatarenon è cagione d'imperfezionema di perfezione maggiore.Quello veramente de la ricchezza è propriamente crescerechéè sempre pur unosì che nulla successione quivi sivedee per nullo termine e per nulla perfezione. E se l'avversariovuol dire chesì come è altro desiderio quello disapere li principii de le cose naturali e altro di sapere che ellisonocosì altro desiderio è quello de le cento marchee altro è quello de le millerispondo che non è vero;che 'l cento sì è parte del millee ha ordine ad essocome parte d'una linea a tutta lineasu per la quale si procede peruno moto soloe nulla successione quivi è néperfezione di moto in parte alcuna. Ma conoscere che siano liprincipii de le cose naturalie conoscere quello che siaciaschedunonon è parte l'uno de l'altroe hanno ordineinsieme come diverse lineeper le quali non si procede per uno motomaperfetto lo moto de l'unasuccede lo moto de l'altra. E cosìappare chedal desiderio de la scienzala scienza non è dadire imperfettasì come le ricchezze sono da dire per lolorocome la questione ponea; ché nel desiderare de lascienza successivamente finiscono li desiderii e viensi a perfezionee in quello de la ricchezza no. Sì che la questione èsolutae non ha luogo.
        Ben puote ancora calunniare l'avversario dicendo cheavvegna chemolti desiderii si compiano ne lo acquisto de la scienzamai non siviene a l'ultimo: che è quasi simile a la 'mperfezione diquello che non si termina e che è pur uno. Ancora qui sirispondeche non è vero ciò che si opponecioèche mai non si viene a l'ultimo: ché li nostri desideriinaturalisì come di sopra nel terzo trattato èmostratosono a certo termine discendenti; e quello de la scienza ènaturalesì che certo termine quello compieavvegna chepochiper male camminarecompiano la giornata. E chi intende loCommentatore nel terzo de l'Animaquesto intende da lui. E peròdice Aristotile nel decimo de l'Eticacontra Simonide poetaparlandoche "l'uomo si dee traere a le divine cose quantopuò"; in che mostra che a certo fine bada la nostrapotenza. E nel primo de l'Etica dice che "'l disciplinato chiededi sapere certezza ne le cosesecondo che ne la loro natura dicertezza si riceva"; in che mostra che non solamente da la partede l'uomo desiderantema deesi fine attendere da la parte de loscibile desiderato. E però Paulo dice: "Non piùsapere che sapere si convegnama sapere a misura". Sìcheper qualunque modo lo desiderare de la scienza si prendeogeneralmente o particularmentea perfezione viene. E però lascienza ha perfetta e nobile perfezionee per suo desiderio suaperfezione non perdecome le maladette ricchezze.
        Le quali come ne la loro possessione siano dannosebrievemente èda mostrareche è la terza nota de la loro imperfezione.Puotesi vedere la loro possessione essere dannosa per due ragioni:l'unache è cagione di male; l'altrache è privazionedi bene. Cagione è di maleché fapur vegliandolopossessore timido e odioso. Quanta paura è quella di colui cheappo sé sente ricchezzain camminandoin soggiornandononpur vegliando ma dormendonon pur di perdere l'avere ma la personaper l'avere! Ben lo sanno li miseri mercatanti che per lo mondovannoche le foglie che 'l vento fa menareli fa tremarequandoseco ricchezze portano; e quando sanza esse sonopieni di sicurtadecantando e sollazzando fanno loro cammino più brieve. E peròdice lo Savio: "Se voto camminatore entrasse ne lo camminodinanzi a li ladroni canterebbe". E ciò vuol dire Lucanonel quinto libroquando commenda la povertà di sicuranzadicendo: "Oh sicura facultà de la povera vita! oh strettiabitaculi e masserizie! oh non ancora intese ricchezze de li Iddei! Aquali tempii o a quali muri poteo questo avvenirecioè nontemere con alcuno tumultobussando la mano di Cesare?" E quellodice Lucano quando ritrae come Cesare di notte a la casetta delpescatore Amiclas venneper passare lo mare Adriano. E quanto odio èquello che ciascuno al possessore de la ricchezza portao perinvidia o per desiderio di prendere quella possessione! Certo tantoèche molte volte contra la debita pietade lo figlio a lamorte del padre intende: e di questo grandissime e manifestissimeesperienze possono avere li Latinie da la parte di Po e da la partedi Tevero! E però Boezio nel secondo de la sua Consolazionedice: "Per certo l'avarizia fa li uomini odiosi".
        Anche è privazione di bene la loro possessione. Chépossedendo quellelarghezza non si fache è vertude ne laquale è perfetto bene e la quale fa li uomini splendienti eamati; che non può essere possedendo quellema quellelasciando di possedere. Onde Boezio nel medesimo libro dice: "Alloraè buona la pecuniaquandotransmutata ne li altri per uso dilarghezzapiù non si possiede". Per che assai èmanifesto la loro viltade per tutte le sue note. E però l'uomodi diritto appetito e di vera conoscenza quelle mai non amaenonamandolenon si unisce ad essema quelle sempre di lungi da séessere vuolese non in quanto ad alcuno necessario servigio sonoordinate. Ed è cosa ragionevoleperò che lo perfettocon lo imperfetto non si può congiugnere; onde vedemo che latorta linea con la diritta non si congiunge maie se alcunocongiungimento v'ènon è da linea a lineama da puntoa punto. E però seguita che l'animo che è dirittocioè d'appetitoe veracecioè di conoscenzaper loro perdita non si disface; sì come lo testo pone nelfine di questa parte. E per questo effetto intende di provare lotesto che elle siano fiume corrente di lungi da la diritta torre dela ragioneo vero di nobilitade; e per questoche esse divizie nonpossono torre la nobilitade a chi l'ha. E per questo modo disputasi eripruovasi contra le ricchezze per la presente canzone.

CapitoloXIV

        Riprovato l'altrui errore quanto è in quella parte che a lericchezze s'appoggiavaseguita che si riprovi quanto è inquella parteche tempo diceva essere cagione di nobilitadedicendoantica ricchezza. E questa riprovagione si fa in quella parteche comincia: Né voglion che vil uom gentil divegna. Ein prima si ripruova ciò per una ragione di costoro medesimiche così errano; poia maggiore loro confusionequesta lororagione anche si distrugge: e ciò si fa quando dice: Ancorsegue di ciò che innanzi ho messo. Ultimamente conchiudemanifesto essere lo loro erroree però essere tempod'intendere a la veritade: e ciò si fa quando dice: Perchéa 'ntelletti sani.
        Dico adunque: Né voglion che vil uom gentil divegna.Dove è da sapere che oppinione di questi erranti è cheuomo prima villano mai gentile uomo dicer non si possa; néuomo che figlio sia di villano similemente dicere mai non si possagentile. E ciò rompe la loro sentenza medesimaquando diconoche tempo si richiede a nobilitadeponendo questo vocabulo "antico";però ch'è impossibile per processo di tempo venire a lagenerazione di nobilitade per questa loro ragione che detta èla quale toglie via che villano uomo mai possa esser gentile peropera che facciao per alcuno accidentee toglie via la mutazionedi villano padre in gentile figlio. Che se lo figlio del villano èpur villanoe lo figlio fia pur figlio di villano e così fiaanche villanoe anche suo figlioe così sempree mai nons'avrà a trovare là dove nobilitade per processo ditempo si cominci. E se l'avversariovolendosi difenderedicesse chela nobilitade si comincerà in quel tempo che si dimenticheràlo basso stato de li antecessoririspondo che ciò ha contraloro medesimiche pur di necessitade quivi saràtransmutazione di viltade in gentilezzad'un uomo in altro o dipadre a figlioch'è contra ciò che essipongono.
         E sel'avversario pertinacemente si difendessedicendo che bene voglionoquesta transmutazione potersi fare quando lo basso stato de liantecessori corre in oblivioneavvegna che 'l testo ciò noncuridegno è che la chiosa a ciò risponda. E peròrispondo così: che di ciò che dicono seguitano quattrograndissimi inconvenientisì che buona ragione essere nonpuò. L'uno si è che quanto la natura umana fossemigliore tanto sarebbe più malagevole e più tardagenerazione di gentilezza; che è massimo inconvenienteconciò sia cosacom'ho notatoche la cosa quanto èmigliore tanto è più cagione di bene; e nobilitadeintra li beni sia commemorata. E che ciò fosse così sipruova. Se la gentilezza o ver nobilitadeche per una cosa intendosi generasse per oblivionepiù tosto sarebbe generata lanobilitade quanto li uomini fossero più smemoratichétanto più tosto ogni oblivione verrebbe. Dunquequanto liuomini smemorati più fosseropiù tosto sarebberonobili; e per contrarioquanto con più buona memoriatantopiù tardi nobili si farebbero.
        Lo secondo si èche 'n nulla cosafuori de li uominiquestadistinzione si potrebbe farecioè nobile o vile; che èmolto inconvenientecon ciò sia cosa che in ciascuna speziedi cose veggiamo l'imagine di nobilitade e di viltade: onde spessevolte diciamo uno nobile cavallo e uno vilee uno nobile falcone euno vilee una nobile margherita e una vile. E che non si potessefare questa distinzionecosì si pruova. Se l'oblivione de libassi antecessori è cagione di nobilitadee là ovunquebassezza d'antecessori mai non funon può essere l'oblivionedi quelli - con ciò sia cosa che l'oblivione sia corruzione dimemoriae in questi altri animali e piante e minere bassezza ealtezza non si notiperò che in uno sono naturati solamenteed iguale stato -in loro generazione di nobilitade essere non può;e così né viltadecon ciò sia cosa che l'una el'altra si guardi come abito e privazioneche sono ad uno medesimosubietto possibili; e però in loro de l'una e de l'altra nonpotrebbe essere distinzione. E se l'avversario volesse dicere che nel'altre cose nobilità s'intende per la bontà de lacosama ne li uomini s'intende perché di sua bassa condizionenon è memoriarispondere si vorrebbe non con le parole ma colcoltello a tanta bestialitadequanta è dare a la nobilitadede l'altre cose bontade per cagionee a quella de li uominiprincipio di dimenticanza.
        Lo terzo si è che molte volte verrebbe prima lo generato chelo generante; che è del tutto impossibile; e ciò si puòcosì mostrare. Pognamo che Gherardo da Cammino fosse statonepote del più vile villano che mai bevesse del Sile o delCagnanoe la oblivione ancora non fosse del suo avolo venuta: chisarà oso di dire che Gherardo da Cammino fosse vile uomo? echi non parlerà mecodicendo quello essere stato nobile?Certo nulloquanto vuole sia presuntuosoperò che egli fuefia sempre la sua memoria. E se la oblivione del suo bassoantecessore non fosse venutasì come si supponeed ellofosse grande di nobilitade e la nobilitade in lui si vedesse cosìapertamente come aperta si vedeprima sarebbe stata in lui che 'lgenerante suo fosse stato: e questo è massimamenteimpossibile.
         Loquarto si è che tale uomo sarebbe tenuto nobile morto che nonfu nobile vivo; che più inconveniente essere non potrebbe; eciò così si mostra. Pognamo che ne la etade di Dardanode' suoi antecessori bassi fosse memoriae pognamo che ne la etadedi Laomedonte questa memoria fosse disfattae venuta l'oblivione.Secondo l'oppinione avversaLaomedonte fu gentile e Dardano fuvillano in loro vita. Noia li quali la memoria de li loroanticessoridico di là da Dardanoanche non è rimasadir dovremmo che Dardano vivendo fosse villano e morto sia nobile. Enon è contro a ciòche si dice Dardano esser statofiglio di Gioveché ciò è favolade la qualefilosoficamente disputandocurare non si dee; e pur se volesse a lafavola fermare l'avversariodi certo quello che la favola cuopredisfà tutte le sue ragioni. E così è manifestola ragione che ponea la oblivione causa di nobilitade essere falsa ederronea.

CapitoloXV

        Da poi cheper la loro medesima sentenzala canzone ha riprovatotempo non richiedersi a nobilitadeincontanente seguita a confonderela premessa loro oppinioneacciò che di loro false ragioninulla ruggine rimagna ne la mente che a la verità siadisposta; e questo fa quando dice: Ancorsegue di ciò cheinnanzi ho messo. Ove è da sapere chese uomo non si puòfare di villano gentile o di vile padre non può nasceregentile figliosì come messo è dinanzi per lorooppinioneche de li due inconvenienti l'uno seguire conviene: l'unosì è che nulla nobilitade sia; l'altro sì èche 'l mondo sempre sia stato con più uominisì che dauno solo la umana generazione discesa non sia. E ciò si puòmostrare. Se nobilitade non si genera di nuovosì come piùvolte è detto che la loro oppinione vuole (non generandosi divile uomo in lui medesimoné di vile padre in figlio)sempreè l'uomo tale quale nascee tale nasce quale è lopadre; e così questo processo d'una condizione è venutoinfino dal primo parente: per che tale quale fu lo primo generantecioè Adamoconviene essere tutta l'umana generazionechéda lui a li moderni non si puote trovare per quella ragione alcunatransmutanza. Dunquese esso Adamo fu nobiletutti siamo nobiliese esso fu viletutti siamo vili; che non è altro che torrevia la distinzione di queste condizionie così è torrevia quelle. E questo diceche di quello ch'è messo dinanziseguita che siam tutti gentili o ver villani. E se questo non èe pur alcuna gente è da dire nobile e alcuna è da dirviledi necessitadeda poi che la transmutazione di viltade innobilitade è tolta viaconviene l'umana generazione dadiversi principii essere discesa cioè da uno nobile e da unovile. E ciò dice la canzonequando dice: O che non fossead uom cominciamentocioè uno solo: non dice"cominciamenti". E questo è falsissimo appo loFilosofoappo la nostra Fede che mentire non puoteappo la legge ecredenza antica de li Gentili. Chéavvegna che 'l Filosofonon pogna lo processo da uno primo uomopur vuole una sola essenzaessere in tutti li uominila quale diversi principii avere nonpuote; e Plato vuole che tutti li uomini da una sola Idea dependanoe non da piùche è dare loro uno solo principio. Esanza dubbio forte riderebbe Aristotile udendo fare spezie due del'umana generazionesì come de li cavalli e de li asini; cheperdonimi Aristotileasini ben si possono dire coloro che cosìpensano. Che appo la nostra fedela quale del tutto è daconservaresia falsissimoper Salomone si manifestache làdove distinzione fa di tutti li uomini a li animali brutichiamaquelli tutti figli d'Adamo; e ciò fa quando dice: "Chi sase li spiriti de li figliuoli d'Adamo vadano susoe quelli de lebestie vadano giuso?". E che appo li Gentili falso fosseeccola testimonianza d'Ovidio nel primo del suo Metamorfoseosdovetratta la mondiale constituzione secondo la credenza paganao verode li Gentilidicendo: "Nato è l'uomo" - non disse"li uomini"; disse "nato" e "l'uomo" -"o vero che questo l'artefice de le cose di seme divino feceovero che la recente terradi poco dipartita dal nobile corpo sottilee diafanoli semi del cognato cielo ritenea. La qualemista conl'acqua del fiumelo figlio di Iapetocioè Prometeuscompuose in imagine de li Deiche tutto governano". Dovemanifestamente pone lo primo uomo uno solo essere stato. E peròdice la canzone: Ma ciò io non consentocioèche cominciamento ad uomo non fosse. E soggiugne la canzone: Nedellino altressìse son cristiani: e dice "cristiani"e non "filosofi" o vero "Gentili"de li quali lesentenze anco non sono in controperò che la cristianasentenza è di maggiore vigoreed è rompitrice d'ognicalunnia mercé de la somma luce del cielo che quellaallumina.
         Poiquando dico: Per che a 'ntelletti sani È manifesto i lordiri esser vaniconchiudo lo loro errore essere confusoe dicoche tempo è d'aprire li occhi a la veritade; questo dicequando dico: E dicer voglio omaisì com'io sento. Dicoadunque cheper quello che detto èè manifesto a lisani intelletti che i detti di costoro sono vanicioè sanzamidolla di veritade. E dico sani non sanza cagione. Onde è dasapere che lo nostro intelletto si può dir sano e infermo: edico intelletto per la nobile parte de l'anima nostrache con unovocabulo "mente" si può chiamare. Sano dire si puòquando per malizia d'animo o di corpo impedito non è ne la suaoperazione; che è conoscere quello che le cose sonosìcome vuole Aristotile nel terzo de l'Anima. Chésecondo lamalizia de l'animatre orribili infermitadi ne la mente de li uominiho vedute. L'una è di naturale jattanza causata: chésono molti tanto presuntuosiche si credono tutto saperee perquesto le non certe cose affermano per certe; lo qual vizio Tulliomassimamente abomina nel primo de li Offici e Tommaso nel suoContraliGentili dicendo: "Sono molti tanto di suo ingegnopresuntuosiche credono col suo intelletto poter misurare tutte lecoseestimando tutto vero quello che a loro parefalso quello che aloro non pare". E quinci nasce che mai a dottrina non vegnono;credendo da sé sufficientemente essere dottrinatimai nondomandanomai non ascoltanodisiano essere domandati eanzi ladomandagione compiutamale rispondono. E per costoro dice Salomonene li Proverbii: "Vedesti l'uomo ratto a rispondere? di luistoltezzapiù che correzioneè da sperare".L'altra è di naturale pusillanimitade causata: ché sonomolti tanto vilmente ostinatiche non possono credere che néper loro né per altrui si possano le cose sapere; e questicotali mai per loro non cercano né ragionanomai quello chealtri dice non curano. E contra costoro Aristotile parla nel primo del'Eticadicendo quelli essere insufficienti uditori de la moralefilosofia. Costoro sempre come bestie in grossezza vivonod'ognidottrina disperati. La terza è da levitade di natura causata:ché sono molti di sì lieve fantasia che in tutte leloro ragioni transvannoe anzi che silogizzino hanno conchiusoe diquella conclusione vanno transvolando ne l'altrae pare lorosottilissimamente argomentaree non si muovono da neuno principioenulla cosa veramente veggiono vera nel loro imaginare. E di costorodice lo Filosofo che non è da curare né da avere conessi faccendadicendo nel primo de la Fisicache "contraquelli che niega li principii disputare non si conviene". E diquesti cotali sono molti idioti che non saprebbero l'a.b.c.evorrebbero disputare in geometriain astrologia e infisica.
         E secondomaliziao vero difetto di corpopuò essere la mente nonsana: quando per difetto d'alcuno principio da la nativitadesìcome ne' mentecatti; quando per l'alterazione del cerebrosìcome sono frenetici. E di questa infertade de la mente intende laleggequando lo Inforzato dice: "In colui che fa testamentodiquel tempo nel quale lo testamento fasanitade di mentenon dicorpoè a domandare". Per che a quelli intelletti cheper malizia d'animo o di corpo infermi non sonoliberiespediti esani a la luce de la veritadedico essere manifesto l'oppinione dela genteche detto èessere vanacioè sanzavalore.
         Appressosoggiugneche io così li giudico falsi e vanie cosìli ripruovo; e ciò si fa quando si dice: E io cosìper falsi li riprovo. E appresso dico che da venire è a laveritade mostrare; e dico che mostrare è quellocioèche cosa è gentilezzae come si può conoscere l'uomoin cui essa è. E ciò dico quivi: E dicer voglioomaisì com'io sento.

CapitoloXVI

        "Lo rege si letificherà in Dioe saranno lodati tuttiquelli che giurano in luiperò che serrata è la boccadi coloro che parlano le inique cose". Queste parole posso ioqui veramente proponere; però che ciascuno vero rege deemassimamente amare la veritade. Ond'è scritto nel libro diSapienza: "Amate lo lume di sapienzavoi che siete dinanzi a lipopuli"; e lume di sapienza è essa veritade. Dico adunqueche però si rallegrerà ogni rege che riprovata èla falsissima e dannosissima oppinione de li malvagi e ingannatiuomini che di nobilitade hanno infino a ora iniquamenteparlato.
        Convienesi procedere al trattato de la veritadesecondo la divisionefatta nel terzo capitolo di questo trattato. Questa seconda parteadunqueche comincia: Dico ch'ogni vertù principalmenteintende diterminare d'essa nobilitade secondo la veritade; e partesiquesta parte in due: che ne la prima s'intende mostrare che èquesta nobilitade; ne la seconda s'intende mostrare come conoscere sipuote colui dov'ella è: e comincia questa parte seconda:L'anima cui adorna esta bontate. La prima parte ha due partiancora: che ne la prima si cercano certe cose che sono mestiere aveder la diffinizione di nobilitade; ne la seconda si cerca de la suadiffinizione: e comincia questa seconda parte: È gentilezzadovunqu'è vertute.
        A perfettamente entrare per lo trattato è prima da vedere duecose: l'unache per questo vocabulo "nobilitade"s'intendesolo semplicemente considerato; l'altra è per chevia sia da camminare a cercare la prenominata diffinizione. Dicoadunque chese volemo riguardo avere de la comune consuetudine diparlareper questo vocabulo "nobilitade" s'intendeperfezione di propria natura in ciascuna cosa. Onde non pur de l'uomoè predicatama eziandio di tutte cose - ché l'uomochiama nobile pietranobile piantanobile cavallonobile falcone -qualunque in sua natura si vede essere perfetta. E però diceSalomone ne lo Ecclesiastes: "Beata la terra lo cui re ènobile"che non è altro a direse non lo cui rege èperfettosecondo la perfezione de l'animo e del corpo; e cosìmanifesta per quello che dice dinanzi quando dice: "Guai a teterralo cui rege è pargolo"cioè non perfettouomo: e non è pargolo uomo pur per etadema per costumidisordinati e per difetto di vitasì come n'ammaestra loFilosofo nel primo de l'Etica. Bene sono alquanti folli che credonoche per questo vocabulo "nobile" s'intenda "essere damolti nominato e conosciuto"e dicono che viene da uno verboche sta per conoscerecioè "nosco". E questo èfalsissimo; chése ciò fossequali cose piùfossero nomate e conosciute in loro generepiù sarebbero inloro genere nobili: e così la guglia di San Piero sarebbe lapiù nobile pietra del mondo; e Asdentelo calzolaio da Parmasarebbe più nobile che alcuno suo cittadino; e Albuino de laScala sarebbe più nobile che Guido da Castello di Reggio: checiascuna di queste cose è falsissima. E però èfalsissimo che "nobile" vegna da "conoscere"maviene da "non vile"; onde "nobile" è quasi"non vile". Questa perfezione intende lo Filosofo nelsettimo de la Fisica quando dice: "Ciascuna cosa èmassimamente perfetta quando tocca e aggiugne la sua virtude propriae allora è massimamente secondo sua natura; onde allora locirculo si può dicere perfetto quando veramente ècirculo"cioè quando aggiugne la sua propria virtude; eallora è in tutta sua naturae allora si può direnobile circulo. E questo è quando in esso è uno puntolo quale equalmente distante sia da la circunferenzasua virtuteparticulare; però lo circulo che ha figura d'uovo non ènobilené quello che ha figura di presso che piena lunaperòche non è in quello sua natura perfetta. E cosìmanifestamente vedere si può che generalmente questo vocabulocioè nobilitadedice in tutte cose perfezione di loro natura:e questo è quello che primamente si cercaper meglio entrarenel trattato de la parte che esponere s'intende.
        Secondamente è da vedere come da camminare è a trovarela diffinizione de l'umana nobilitadea la quale intende lo presenteprocesso. Dico adunque checon ciò sia cosa che in quellecose che sono d'una speziesì come sono tutti li uomininonsi può per li principii essenziali la loro ottima perfezionediffinireconviensi quella e diffinire e conoscere per li loroeffetti. E però si legge nel Vangelio di santo Matteo - quandodice Cristo: "Guardatevi da li falsi profeti" -: "A lifrutti loro conoscerete quelli". E per lo cammino diritto èda vederequesta diffinizione che cercando si vaeper li frutti:che sono morali vertù e intellettualide le quali essa nostranobilitade è semesì come ne la sua diffinizione saràpienamente manifesto. E queste sono quelle due cose che vedere siconvenia prima che ad altre si procedessesì come in questocapitolo di sopra si dice.

CapitoloXVII

        Appresso che vedute sono quelle due cose che parevano utili a vedereprima che sopra lo testo si procedessead esso esponere è daprocedere. E dice e comincia adunque: Dico ch'ogni vertùprincipalmente Vien da una radice: Vertutedicoche fa l'uom feliceIn sua operazione. E soggiungo: Questo èsecondo chel'Etica diceUn abito eligenteponendo tutta la diffinizione dela morale virtùsecondo che nel secondo de l'Etica èper lo Filosofo diffinito. In che due cose principalmente s'intende:l'una è che ogni vertù vegna d'uno principio; l'altrasì è che queste ogni vertù siano le vertùmoralidi cui si parla; e ciò si manifesta quando dice:Questo èsecondo che l'Etica dice. Dove è dasapere che propiissimi nostri frutti sono le morali vertudiperòche da ogni canto sono in nostra podestade. E queste diversamente dadiversi filosofi sono distinte e numerate; ma però che inquella parte dove aperse la bocca la divina sentenza d'Aristotile dalasciare mi pare ogni altrui sentenzavolendo dire quali questesonobrevemente secondo la sua sentenza trapasserò di quelleragionando.
        Queste sono undici vertudi dal detto Filosofo nomate. La prima sichiama Fortezzala quale è arme e freno a moderare l'audaciae la timiditate nostrane le cose che sono corruzione de la nostravita. La seconda è Temperanzache è regola e freno dela nostra gulositade e de la nostra soperchievole astinenza ne lecose che conservano la nostra vita. La terza si èLiberalitadela quale è moderatrice del nostro dare e delnostro ricevere le cose temporali. La quarta si èMagnificenzala quale è moderatrice de le grandi spesequelle facendo e sostenendo a certo termine. La quinta si èMagnanimitadela quale è moderatrice e acquistatrice de'grandi onori e fama. La sesta si è Amativa d'onorela quale èmoderatrice e ordina noi a li onori di questo mondo. La settima si èMansuetudinela quale modera la nostra ira e la nostra troppapazienza contra li nostri mali esteriori. L'ottava si èAffabilitadela quale fa noi ben convenire con li altri. La nona siè chiamata Veritadela quale modera noi dal vantare noi oltreche siamo e da lo diminuire noi oltre che siamoin nostro sermone.La decima si è chiamata Eutrapeliala quale modera noi ne lisollazzi facendoquelli usando debitamente. L'undecima si èGiustiziala quale ordina noi ad amare e operare dirittura in tuttecose. E ciascuna di queste vertudi ha due inimici collateralicioèviziiuno in troppo e un altro in poco; e queste tutte sono li mezziintra quellie nascono tutte da uno principiocioè dal'abito de la nostra buona elezione: onde generalmente si puòdicere di tutte che siano abito elettivo consistente nel mezzo. Equeste sono quelle che fanno l'uomo beatoo vero felicene la lorooperazionesì come dice lo Filosofo nel primo de l'Eticaquando diffinisce la Felicitadedicendo che "Felicitade èoperazione secondo virtude in vita perfetta". Bene si ponePrudenzacioè sennoper moltiessere morale virtudemaAristotile dinumera quella intra le intellettuali; avvegna che essasia conduttrice de le morali virtù e mostri la via per ch'ellesi compongono e sanza quella essere non possono.
        Veramente è da sapere che noi potemo avere in questa vita duefelicitadisecondo due diversi camminibuono e ottimoche a ciòne menano: l'una è la vita attivae l'altra la contemplativa;la qualeavvegna che per l'attiva si pervegnacome detto èa buona felicitadene mena ad ottima felicitade e beatitudinesecondo che pruova lo Filosofo nel decimo de l'Etica. E Cristol'afferma con la sua boccanel Vangelio di Lucaparlando a Martaerispondendo a quella: "MartaMartasollicita se' e turbitiintorno a molte cose: certamente una cosa è necessaria"cioè "quello che fai". E soggiugne: "Mariaottima parte ha elettala quale non le sarà tolta". EMariasecondo che dinanzi è scritto a queste parole delVangelioa' piedi di Cristo sedendonulla cura del ministerio de lacasa mostrava; ma solamente le parole del Salvatore ascoltava. Che semoralemente ciò volemo esponerevolse lo nostro Segnore inciò mostrare che la contemplativa vita fosse ottimatutto chebuona fosse l'attiva: ciò è manifesto a chi ben vuoleporre mente a le evangeliche parole. Potrebbe alcuno peròdirecontra me argomentando: "Poiché la felicitade de lavita contemplativa è più eccellente che quella del'attivae l'una e l'altra possa essere e sia frutto e fine dinobilitadeperché non anzi si procedette per la via de levirtù intellettuali che de le morali?" A ciò sipuò brievemente rispondere che in ciascuna dottrina si deeavere rispetto a la facultà del discentee per quella viamenarlo che più a lui sia lieve. Ondeperciò che levirtù morali paiano essere e siano più comuni e piùsapute e più richieste che l'altre e imitate ne lo aspetto difuoriutile e convenevole fu più per quello cammino procedereche per l'altro; ché così bene non si verrebbe a laconoscenza de le api per lo frutto de la cera ragionando come per lofrutto del meletutto che l'uno e l'altro da loro procede.

CapitoloXVIII

        Nel precedente capitolo è diterminato come ogni vertùmorale viene da uno principiocioè buona e abituale elezione;e ciò importa lo testo presente infino a quella parte checomincia: Dico che nobiltate in sua ragione. In questa parteadunque si procede per via probabile a sapere che ogni sopra dettavirtudesingularmente o ver generalmente presaproceda danobilitade sì come effetto da sua cagione. E fondasi sopra unaproposizione filosoficache dice che quando due cose si truovanoconvenire in unache ambo queste si deono riducere ad alcuno terzoo vero l'una a l'altrasì come effetto a cagione; peròche una cosa avuta prima e per sé non può essere se nonda uno: e se quelle non fossero ambedue effetto d'un terzoo verol'una de l'altraambedue avrebbero quella cosa prima e per séch'è impossibile. Dice adunque che nobilitade e vertutecotalecioè moraleconvegnono in questoche l'una el'altra importa loda di colui di cui si dice; e dico ciòquando dice: Per che in medesmo detto Convegnono ambeduech'end'uno effettocioè lodare e rendere pregiato colui cuiesser si dicono. E poi conchiude prendendo la vertude de la sopranotata proposizionee dice che però conviene l'una procedereda l'altrao vero ambe da un terzo; e soggiunge che più tostoè da presummere l'una venire da l'altrache ambe da terzos'elli appare che l'una vaglia quanto l'altrae più ancora; eciò dice: Ma se l'una val ciò che l'altra vale.Ove è da sapere che qui non si procede per necessariadimostrazionesì come sarebbe a direse lo freddo ègenerativo de l'acquae noi vedemo li nuvoli generare acquache lofreddo è generativo de li nuvoli; sì di bella econvenevole induzioneche se in noi sono più cose laudabilie in noi è lo principio de le nostre lodiragionevole èqueste a questo principio riducere; e quello che comprende piùcosepiù ragionevolemente si dee dire principio di quelleche quelle principio di lui. Ché lo piè de l'alberoche tutti li altri rami comprendesi dee principio dire e cagione diquellie non quelli di lui; e così nobilitadeche comprendeogni vertudesì come cagione effetto comprendee molte altrenostre operazioni laudabilisi dee avere per taleche la vertudesia da ridurre ad essa prima che ad altro terzo che in noisia.
         Ultimamentediceche quello ch'è detto (cioèche ogni vertùmorale vegna da una radicee che vertù cotale e nobilitadeconvegnano in una cosacome detto è di sopra; e che peròsi convegna l'una reducere a l'altrao vero ambe ad uno terzo; e chese l'una vale quello che l'altra e piùdi quella questaproceda maggiormente che d'altro terzo)tutto sia per soppostocioè ordito e apparecchiato a quello che per innanzis'intende. E così termina questo verso e questa presenteparte.

CapitoloXIX

        Poi che ne la precedente parte sono pertrattate certe cose editerminatech'erano necessarie a vedere come diffinire si possaquesta buona cosa di che si parlaprocedere si conviene a laseguente parteche comincia: È gentilezza dovunqu'èvertute. E questa si vuole in due parti reducere: ne la prima sipruova certa cosa che dinanzi è toccata e lasciata nonprovata; ne la secondaconchiudendosi truova questa diffinizioneche cercando si va. E comincia questa seconda parte: Dunque verràcome dal nero il perso.
        Ad evidenza de la prima parteda reducere a memoria è che disopra si dice che se nobilitade vale e si stende più chevertutevertute più tosto procederà da essa. La qualcosa ora in questa parte pruovacioè che nobilitade piùsi stenda; e rende essemplo del cielodicendo che dovunque èvertudequivi è nobilitade. E quivi si vuole sapere chesìcome scritto è in Ragione e per regola di Ragione si tieneinquelle cose che per sé sono manifeste non è mestiere dipruova; e nulla n'è più manifesta che nobilitade esseredove è vertudee ciascuna cosa volgarmente vedemoin suanatura virtuosanobile esser chiamata. Dice dunque: Sìcom'è 'l cielo dovunqu'è la stellae non èquesto vero e conversocioè rivoltoche dovunque ècielo sia la stellacosì è nobilitade dovunque èvertudee non vertude dovunque nobilitade: e con bello e convenevoleessemploché veramente è cielo ne lo quale molte ediverse stelle rilucono. Riluce in essa le intellettuali e le moralivirtudi; riluce in essa le buone disposizioni da natura datecioèpietade e religionee le laudabili passionicioè vergogna emisericordia e altre molte; riluce in essa le corporali bontadicioèbellezzafortezza e quasi perpetua valitudine. E tante sono le suestelleche nel cielo si stendonoche certo non è damaravigliare se molti e diversi frutti fanno ne la umana nobilitade;tante sono le nature e le potenze di quellain una sotto unasemplice sustanza comprese e adunatene le quali sì come indiversi rami fruttifica diversamente. Certo da dovvero ardisco a direche la nobilitade umanaquanto è da la parte di molti suoifruttiquella de l'angelo soperchiatutto che l'angelica in suaunitade sia più divina. Di questa nobilitade nostrache intanti e tali frutti fruttificavas'accorse lo Salmistaquando fecequel Salmo che comincia: "Segnore nostro Iddioquanto èammirabile lo nome tuo ne l'universa terra!"là dovecommenda l'uomoquasi maravigliandosi del divino affetto in essaumana creaturadicendo: "Che cosa è l'uomoche tuDiolo visiti? Tu l'hai fatto poco minore che li angelidi gloria ed'onore l'hai coronatoe posto lui sopra l'opere de le mani tue".Veramente dunque bella e convenevole comparazione fu del cielo al'umana nobilitade.
        Poi quando dice: E noi in donna e in età novellapruova ciò che dicomostrando che la nobilitade si stenda inparte dove virtù non sia. E dice poi: vedem questa salute:e tocca nobilitadeche bene è vera saluteessere làdove è vergognacioè tema di disnoranzasìcome è ne le donne e ne li giovanidove la vergogna èbuona e laudabile; la qual vergogna non è virtùmacerta passione buona. E dice: E noi in donna e in etànovellacioè in giovani; però chesecondo chevuole lo Filosofo nel quarto de l'Etica"vergogna non èlaudabile né sta bene ne li vecchi e ne li uomini studiosi"però che a loro si conviene di guardare da quelle cose che avergogna li conducano. A li giovani e a le donne non è tantorichesto di cautelae però in loro è laudabile lapaura del disnore ricevere per la colpa; che da nobilitade vieneenobilitade si puote credere e in loro chiamaresì comeviltade e ignobilitade la sfacciatezza. Onde buono e ottimo segno dinobilitade è ne li pargoli e imperfetti d'etadequando dopolo fallo nel viso loro vergogna si dipingeche è allorafrutto di vera nobilitade.

CapitoloXX

        Quando appresso seguita: Dunque verràcome dal nero ilpersoprocede lo testo a la diffinizione di nobilitadela qualsi cercae per la quale si potrà vedere che è questanobilitade di che tanta gente erroneamente parla. Dice dunqueconchiudendo da quello che dinanzi detto è: dunque ognivertudeo vero il gener lorocioè l'abito elettivoconsistente nel mezzoverrà da questacioènobilitade. E rende essemplo ne li coloridicendo: sì come loperso dal nero discendecosì questacioè vertudediscende da nobilitade. Lo perso è uno colore misto dipurpureo e di neroma vince lo neroe da lui si dinomina; e cosìla vertù è una cosa mista di nobilitade e di passione;ma perché la nobilitade vince in quellaè la vertùdinominata da essae appellata bontade. Poi appresso argomentaperquello che detto èche nessunoper poter dire: "Io sonodi cotale schiatta"non dee credere essere con essase questifrutti non sono in lui. E rende incontanente ragionedicendo chequelli che hanno questa graziacioè questa divinacosasono quasi come dèisanza macula divizio; e ciò dare non può se non Iddio soloappo cuinon è scelta di personesì come le divine Scritturemanifestano. E non paia troppo alto dire ad alcunoquando si dice:Ch'elli son quasi dèi; chésì come disopra nel settimo capitolo del terzo trattato si ragionacosìcome uomini sono vilissimi e bestialicosì uomini sononobilissimi e divinie ciò pruova Aristotile nel settimo del'Etica per lo testo d'Omero poeta. Sì che non dica quelli deli Uberti di Fiorenzané quelli de li Visconti da Melano:"Perch'io sono di cotale schiattaio sono nobile"; ché'l divino seme non cade in ischiattacioè in istirpema cadene le singulari personeesì come di sotto si proveràla stirpe non fa le singulari persone nobilima le singulari personefanno nobile la stirpe.
        Poiquando dice: Ché solo Iddio a l'anima la donaragione è del suscettivocioè del subietto dove questodivino dono discende: ch'è bene divino donosecondo la parolade l'Apostolo: "Ogni ottimo dato e ogni dono perfetto di susovienediscendendo dal Padre de' lumi". Dice adunque che Diosolo porge questa grazia a l'anima di quelli cui vede stareperfettamente ne la sua personaacconcio e disposto a questo divinoatto ricevere. Chésecondo dice lo Filosofo nel secondo del'Anima"le cose convengono essere disposte a li loro agentiea ricevere li loro atti"; onde se l'anima èimperfettamente postanon è disposta a ricevere questabenedetta e divina infusione: sì come se una pietra margaritaè male dispostao vero imperfettala vertù celestialericever non puòsì come disse quel nobile GuidoGuinizzelli in una sua canzoneche comincia: Al cor gentil riparasempre Amore. Puote adunque l'anima stare non bene ne la personaper manco di complessioneo forse per manco di temporale: e inquesta cotale questo raggio divino mai non risplende. E possono direquesti cotalila cui anima è privata di questo lumeche essisiano sì come valli volte ad aquiloneo vero spelunchesotterraneedove la luce del sole mai non discendese nonripercussa da altra parte da quella illuminata.
        Ultimamente conchiudee dice cheper quello che dinanzi detto è(cioè che le vertudi sono frutto di nobilitadee che Dioquesta metta ne l'anima che ben siede)che ad alquanticioèa quelli che hanno intellettoche sono pochiè manifesto chenobilitade umana non sia altro che "seme di felicitade"messo da Dio ne l'anima ben postacioè lo cui corpo èd'ogni parte disposto perfettamente. Ché se le vertudi sonofrutto di nobilitadee felicitade è dolcezza per quellecomparatamanifesto è essa nobilitade essere semente difelicitadecome detto è. E se bene si guardaquestadiffinizione tutte e quattro le cagionicioè materialeformaleefficiente e finalecomprende: materiale in quanto dice: nel'anima ben postache è materia e subietto di nobilitade;formale in quanto dice che è seme; efficiente in quantodice: Messo da Dio ne l'anima; finale in quanto dice: difelicità. E così è diffinita questa nostrabontadela quale in noi similemente discende da somma e spiritualeVirtudecome virtude in pietra da corpo nobilissimo celestiale.



CapitoloXXI

        Acciò che più perfettamente s'abbia conoscenza de laumana bontadesecondo che in noi è principio di tutto benela quale nobilitade si chiamada chiarire è in questospeziale capitolo come questa bontade discende in noi; e prima permodo naturalee poi per modo teologicocioè divino espirituale. In prima è da sapere che l'uomo è compostod'anima e di corpo; ma ne l'anima è quella; sì comedetto è che è a guisa di semente de la virtùdivina. Veramente per diversi filosofi de la differenza de le nostreanime fue diversamente ragionato: ché Avicenna e Algazelvolsero che esse da loro e per loro principio fossero nobili e vili;e Plato e altri volsero che esse procedessero da le stellee fosseronobili e più e meno secondo la nobilitade de la stella.Pittagora volse che tutte fossero d'una nobilitadenon solamente leumane ma con le umane quelle de li animali bruti e de le piantee leforme de le mineree disse che tutta la differenza è de lecorpora e de le forme. Se ciascuno fosse a difendere la suaoppinionepotrebbe essere che la veritade si vedrebbe essere intutte; ma però che ne la prima faccia paiono un poco lontanedal veronon secondo quelle procedere si convienema secondol'oppinione d'Aristotile e de li Peripatetici. E però dico chequando l'umano seme cade nel suo recettaculocioè ne lamatriceesso porta seco la vertù de l'anima generativa e lavertù del cielo e la vertù de li elementi legaticioèla complessione; e matura e dispone la materia a la vertùformativala quale diede l'anima del generante; e la vertùformativa prepara li organi a la vertù celestialeche producede la potenza del seme l'anima in vita. La qualeincontanenteproduttariceve da la vertù del motore del cielo lointelletto possibile; lo quale potenzialmente in sé adducetutte le forme universalisecondo che sono nel suo produttoreetanto meno quanto più dilungato da la prima Intelligenzaè.
         Non simaravigli alcunos'io parlo sì che par forte ad intendere;ché a me medesimo pare maravigliacome cotale produzione sipuò pur conchiudere e con lo intelletto vedere. Non ècosa da manifestare a lingualinguadicoveramente volgare. Perche io voglio dire come l'Apostolo: "O altezza de le divizie dela sapienza di Diocome sono incomprensibili li tuoi giudicii einvestigabili le tue vie!". E però che la complessionedel seme puote essere migliore e men buonae la disposizione delseminante puote essere migliore e men buonae la disposizione delCielo a questo effetto puote essere buonamigliore e ottima (laquale si varia per le constellazioniche continuamente sitransmutano); incontra che de l'umano seme e di queste vertudi piùpura e men pura anima si produce; esecondo la sua puritadediscende in essa la vertude intellettuale possibile che detta èe come detto è. E s'elli avviene cheper la puritade del'anima riceventela intellettuale vertude sia bene astratta eassoluta da ogni ombra corporeala divina bontade in lei multiplicasì come in cosa sufficiente a ricevere quellae quindi sìmultiplica ne l'anima questa intelligenzasecondo che riceverepuote. E questo è quel seme di felicitade del quale alpresente si parla. E ciò è concordevole a la sentenzadi Tullio in quello De Senectutecheparlando in persona di Catonedice: "Imperciò celestiale anima discese in noidel'altissimo abitaculo venuta in loco lo quale a la divina natura e ala etternitade è contrario". E in questa cotale anima èla vertude sua propriae la intellettualee la divinacioèquella influenza che detta è: però è scritto nellibro de le Cagioni: "Ogni anima nobile ha tre operazionicioèanimaleintellettuale e divina". E sono alcuni di taleoppinione che diconose tutte le precedenti vertudi s'accordasserosovra la produzione d'un'anima ne la loro ottima disposizionechetanto discenderebbe in quella de la deitadeche quasi sarebbe unaltro Iddio incarnato. E quasi questo è tutto ciò cheper via naturale dicere si puote.
        Per via teologica si può dire chepoi che la somma deitadecioè Diovede apparecchiata la sua creatura a ricevere delsuo beneficiotanto largamente in quella ne mette quantoapparecchiata è a riceverne. E però che da ineffabilecaritate vegnono questi donie la divina caritate sia appropriata alo Spirito Santoquindi è che chiamati sono doni di SpiritoSanto. Li qualisecondo che li distingue Isaia profetasono settecioè SapienzaIntellettoConsiglioFortezzaScienzaPietade e Timore di Dio. Oh buone biadee buona e ammirabilesementa! e oh ammirabile e benigno seminatoreche non attende se nonche la natura umana li apparecchi la terra a seminare! e beati quelliche tale sementa coltivano come si conviene! Ove è da sapereche 'l primo e lo più nobile rampollo che germogli di questosemeper essere fruttiferosi è l'appetito de l'animoloquale in greco è chiamato "hormen". E se questo nonè bene culto e sostenuto diritto per buona consuetudinepocovale la sementae meglio sarebbe non essere seminato. E peròvuole santo Augustinoe ancora Aristotile nel secondo de l'Eticache l'uomo s'ausi a ben fare e a rifrenare le sue passioniacciòche questo talloche detto èper buona consuetudine indurie rifermisi ne la sua rettitudinesì che possa fruttificaree del suo frutto uscire la dolcezza de l'umana felicitade.

CapitoloXXII

        Comandamento è de li morali filosofi che de li benefici hannoparlatoche l'uomo dee mettere ingegno e sollicitudine in porgere lisuoi benefici quanto puote utili più al ricevitore; onde iovolendo a cotale imperio essere obedienteintendo questo mioConvivio per ciascuna de le sue parti rendere utile quanto piùmi sarà possibile. E però che in questa parte occorre ame di potere alquanto ragionare de l'umana felicitadede la suadolcezza ragionare intendo; ché più utile ragionamentofare non si può a coloro che non la conoscono. Chésìcome dice lo Filosofo nel primo de l'Etica e Tullio in quello delFine de' Benimale tragge al segno quelli che nol vede; e cosìmale può ire a questa dolcezza chi prima non l'avvisa. Ondecon ciò sia cosa che essa sia finale nostro riposoper loquale noi vivemo e operiamo ciò che facemoutilissimo enecessario è questo segno vedereper dirizzare a quellol'arco de la nostra operazione. E massimamente è da gradirequelli che a coloro che non veggiano l'addita.
        Lasciando dunque stare l'oppinione che di quello ebbe Epicurofilosofoe di quello ebbe Zenonevenire intendo sommariamente a laverace oppinione d'Aristotile e de li altri Peripatetici. Sìcome detto è di soprade la divina bontadein noi seminata einfusa dal principio de la nostra generazionenasce uno rampolloche li Greci chiamano "hormen"cioè appetitod'animo naturale. E sì come ne le biade chequando nasconodal principio hanno quasi una similitudine ne l'erba essendoe poisi vengono per processo dissimigliando; così questo naturaleappetitoche de la divina grazia surgedal principio quasi simostra non dissimile a quello che pur da natura nudamente vienemacon essosì come l'erbate quasi di diversi biadisisimiglia. E non pur ne li uominima ne li uomini e ne le bestie hasimilitudine; e 'n questo appareche ogni animalesì comeelli è natorazionale come brutose medesimo amae teme efugge quelle cose che a lui sono contrariee quelle odia. Procedendopoisì come detto ècomincia una dissimilitudine traloronel procedere di questo appetitoché l'uno tiene unocammino e l'altro un altro. Sì come dice l'Apostolo: "Molticorrono al palioma uno è quelli che 'l prende"cosìquesti umani appetiti per diversi calli dal principio se ne vannoeuno solo calle è quello che noi mena a la nostra pace. E peròlasciando stare tutti li altricol trattato è da teneredietro a quello che bene comincia.
        Dico adunque che dal principio se stesso amaavvegna cheindistintamente; poi viene distinguendo quelle cose che a lui sonopiù amabili e menoe più odibili e menoe seguita efugge e più e menosecondo la conoscenza distingue nonsolamente ne l'altre coseche secondamente amama eziandiodistingue in séche ama principalmente. E conoscendo in sédiverse partiquelle che in lui sono più nobilipiùama quelle; e con ciò sia cosa che più nobile parte del'uomo sia l'animo che 'l corpoquello più ama. E cosìamando sé principalmentee per sé l'altre coseeamando di sé la migliore parte piùmanifesto èche più ama l'animo che 'l corpo o che altra cosa: lo qualeanimo naturalmente più che altra cosa dee amare. Dunquese lamente si diletta sempre ne l'uso de la cosa amatache èfrutto d'amoree in quella cosa che massimamente è amata èl'uso massimamente dilettosol'uso del nostro animo èmassimamente dilettoso a noi. E quello che massimamente èdilettoso a noiquello è nostra felicitade e nostrabeatitudineoltre la quale nullo diletto è maggiorenénullo altro pare; sì come veder si puotechi bene riguarda laprecedente ragione.
        E non dicesse alcuno che ogni appetito sia animo; ché quis'intende animo solamente quello che spetta a la parte razionalecioè la volontade e lo intelletto; sì che se volessechiamare animo l'appetito sensitivoqui non ha luogonéinstanza puote avereché nullo dubita che l'appetitorazionale non sia più nobile che 'l sensualee peròpiù amabile: e così è questo di che ora siparla. Veramente l'uso del nostro animo è doppiocioèpratico e speculativo (pratico è tanto quanto operativo)l'uno e l'altro dilettosissimoavvegna che quello del contemplaresia piùsì come di sopra è narrato. Quello delpratico si è operare per noi virtuosamentecioèonestamentecon prudenzacon temperanzacon fortezza e congiustizia; quello de lo speculativo si è non operare per noima considerare l'opere di Dio e de la natura. E questo comequell'altro è nostra beatitudine e somma felicitadesìcome vedere si può; la quale è la dolcezza del sopranotato semesì come omai manifestamente apparea la qualemolte volte cotale seme non perviene per male essere coltivatoe peressere disviata la sua pullulazione. E similemente puote essere permolta correzione e cultura; ché là dove questo seme dalprincipio non cadesi puote inducere nel suo processosì cheperviene a questo frutto; ed è uno modo quasi d'insetarel'altrui natura sopra diversa radice. E però nullo èche possa essere scusato; ché se da sua naturale radice uomonon ha questa sementaben la puote avere per via d'insetazione. Cosìfossero tanti quelli di fatto che s'insetasseroquanti sono quelliche da la buona radice si lasciano disviare!
        Veramente di questi usi l'uno è più pieno dibeatitudine che l'altro; sì come è lo speculativoloquale sanza mistura alcuna è uso de la nostra nobilissimapartela qualeper lo radicale amore che detto èmassimamente è amabilesì com'è lo 'ntelletto.E questa parte in questa vita perfettamente lo suo uso avere nonpuote - lo quale è vedere in sé Iddio ch'è sommointelligibile -se non in quanto considera lui e mira lui per lisuoi effetti. E che noi domandiamo questa beatitudine per sommaenon altracioè quella de la vita attivan'ammaestra loVangelio di Marcose bene quello volemo guardare. Dice Marco cheMaria Maddalena e Maria Iacobi e Maria Salomè andaro pertrovare lo Salvatore al monimentoe quello non trovaro; ma trovarouno giovane vestito di bianco che disse loro: "Voi domandate loSalvatoree io vi dico che non è qui; e però nonabbiate temenzama itee dite a li discepoli suoi e a Piero cheelli li precederà in Galilea; e quivi lo vedretesìcome vi disse". Per queste tre donne si possono intendere le tresette de la vita attivacioè li Epicureili Stoici e liPeripateticiche vanno al monimentocioè al mondo presenteche è recettaculo di corruttibili cosee domandano loSalvatorecioè la beatitudinee non la truovano; ma unogiovane truovano in bianchi vestimentilo qualesecondo latestimonianza di Matteo e anche de li altriera angelo di Dio. Eperò Matteo disse: "L'angelo di Dio discese di cieloevegnendo volse la pietra e sedea sopra essa. E 'l suo aspetto eracome folgoree le sue vestimenta erano come neve". Questoangelo è questa nostra nobilitade che da Dio vienecome dettoèche ne la nostra ragione parlae dice a ciascuna di questesettecioè a qualunque va cercando beatitudine ne la vitaattivache non è qui; ma vadae dicalo a li discepoli e aPierocioè a coloro che 'l vanno cercandoe a coloro chesono sviatisì come Piero che l'avea negatoche in Galileali precederà: cioè che la beatitudine precederànoi in Galileacioè ne la speculazione. Galilea ètanto a dire quanto bianchezza. Bianchezza è uno colore pienodi luce corporale più che nullo altro; e così lacontemplazione è più piena di luce spirituale che altracosa che qua giù sia. E dice: "Elli precederà";e non dice: "Elli sarà con voi": a dare a intendereche ne la nostra contemplazione Dio sempre precedené mai luigiugnere potemo quilo quale è nostra beatitudine somma. Edice: "Quivi lo vedretesì come disse": cioèquivi avrete de la sua dolcezzacioè de la felicitadesìcome a voi è promesso qui; cioèsì comestabilito è che voi avere possiate. E così appare chenostra beatitudine (questa felicitade di cui si parla) prima trovarepotemo quasi imperfetta ne la vita attivacioè ne leoperazioni de le morali virtudie poi perfetta quasi ne leoperazioni de le intellettuali. Le quali due operazioni sono vieespedite e dirittissime a menare a la somma beatitudinela quale quinon si puote averecome appare pur per quello che detto è.

CapitoloXXIII

        Poi che dimostrata sufficientemente pare la diffinizione dinobilitadee quella per le sue particome possibile è statoè dichiaratasì che vedere si puote omai che èlo nobile uomoda procedere pare a la parte del testo che comincia:L'anima cui adorna esta bontate; ne la quale si mostrano lisegni per li quali conoscere si puote il nobile uomo che detto è.E dividesi questa parte in due: che ne la prima s'afferma che questanobilitade luce e risplende per tutta la vita del nobilemanifestamente; ne la seconda si dimostra specificamente ne li suoisplendorie comincia questa seconda parte: Ubidentesoave evergognosa.
        Intorno de la prima è da sapere che questo seme divinodi cuiparlato è di soprane la nostra anima incontanente germogliamettendo e diversificando per ciascuna potenza de l'animasecondo laessigenza di quella. Germoglia dunque per la vegetativaper lasensitiva e per la razionale; e dibrancasi per le vertuti di quelletuttedirizzando quelle tutte a le loro perfezionie in quellesostenendosi sempre infino al punto checon quella parte de lanostra anima che mai non muorea l'altissimo e gloriosissimoseminadore al cielo ritorna. E questo dice per quella prima che dettaè. Poi quando comincia: Ubidentesoave e vergognosamostra quello per che potemo conoscere l'uomo nobile a li segniapparentiche sonodi questa bontade divinaoperazione; e partesiquesta parte in quattrosecondo che per quattro etadi diversamenteadoperasì come per l'adolescenzaper la gioventuteper lasenettute e per lo senio. E comincia la seconda parte: Ingiovinezzatemperata e forte; la terza comincia: E ne la suasenetta; la quarta comincia: Poi ne la quarta parte de lavita. In questo è la sentenza di questa parte in generale.Intorno a la quale si vuole sapere che ciascuno effettoin quantoeffetto èriceve la similitudine de la sua cagionequanto èpiù possibile di ritenere. Ondecon ciò sia cosa chela nostra vitasì come detto èed ancora d'ognivivente qua giùsia causata dal cieloe lo cielo a tuttiquesti cotali effettinon per cerchio compiutoma per parte diquello a loro si scuopra; e così conviene che 'l suo movimentosia sopra essi come uno arco quasie tutte le terrene vite (e dicoterrenesì de li uomini come de li altri viventi)montando evolgendoconvengono essere quasi ad imagine d'arco assimiglianti.Tornando dunque a la nostrasola de la quale al presente s'intendesì dico ch'ella procede a imagine di questo arcomontando ediscendendo.
         Ed èda sapere che questo arco di giùcome l'arco di su sarebbeegualese la materia de la nostra seminale complessione nonimpedisse la regola de la umana natura. Ma però che l'umidoradicale è meno e piùe di migliore qualitade e menbuonae più ha durare in uno che in uno altro effetto - loqual è subietto e nutrimento del caloreche è nostravita -avviene che l'arco de la vita d'un uomo è di minore edi maggiore tesa che quello de l'altro. E alcuna morte èviolentao vero per accidentale infertade affrettata; ma solamentequella che naturale è chiamata dal vulgoe che èèquel termine del quale si dice per lo Salmista: "Ponestiterminelo quale passare non si può". E però chelo maestro de la nostra vita Aristotile s'accorse di questo arco diche ora si diceparve volere che la nostra vita non fosse altro cheuno salire e uno scendere: però dice in quello dove tratta diGiovinezza e di Vecchiezzache giovinezza non è altro se nonaccrescimento di quella. Là dove sia lo punto sommo di questoarcoper quella disaguaglianza che detta è di sopraèforte da sapere; ma ne li più io credo tra il trentesimo equarantesimo annoe io credo che ne li perfettamente naturati essone sia nel trentacinquesimo anno. E muovemi questa ragione: cheottimamente naturato fue lo nostro salvatore Cristolo quale vollemorire nel trentaquattresimo anno de la sua etade; ché non eraconvenevole la divinitade stare in cosa in discrescerené dacredere è ch'elli non volesse dimorare in questa nostra vitaal sommopoi che stato c'era nel basso stato de la puerizia. E ciòmanifesta l'ora del giorno de la sua morteché volle quellaconsimigliare con la vita sua; onde dice Luca che era quasi ora sestaquando morioche è a dire lo colmo del die. Onde si puòcomprendere per quello "quasi" che al trentacinquesimo annodi Cristo era lo colmo de la sua etade.
        Veramente questo arco non pur per mezzo si distingue da le scritture;maseguendo le quattro combinazioni de le contrarie qualitadi chesono ne la nostra composizionea le quali pare essere appropriatadico a ciascunauna parte de la nostra etadein quattro parti sidividee chiamansi quattro etadi. La prima è Adolescenzaches'appropria al caldo e a l'umido; la seconda si è Gioventuteche s'appropria al caldo e al secco; la terza si è Senettuteche s'appropria al freddo e al secco; la quarta si è Senioche s'appropria al freddo e a l'umidosecondo che nel quarto de laMetaura scrive Alberto. E queste parti si fanno simigliantemente nel'annoin primaverain estatein autunno e in inverno; e nel dieciò è infino a la terzae poi infino a la nona(lasciando la sestanel mezzo di questa parteper la ragione che sidiscerne)e poi infino al vespero e dal vespero innanzi. E peròli gentilicioè li paganidiceano che 'l carro del sole aveaquattro cavalli: lo primo chiamavano Eoolo secondo Pirroilo terzoEtonlo quarto Flegonsecondo che scrive Ovidio nel secondo delMetamorfoseos. Intorno a le parti del giorno è brievemente dasapere chesì come detto è di sopra nel sesto delterzo trattatola Chiesa usane la distinzione de le orele oredel dì temporaliche sono in ciascuno die dodicio grandi opiccolesecondo la quantitade del sole; e però che la sestaoracioè lo mezzo dieè la più nobile di tuttolo die e la più virtuosali suoi offici appressa quivi daogni partecioè da prima e di poiquanto puote. E peròl'officio de la prima parte del diecioè la terzasi dice infine di quella; e quello de la terza parte e de la quarta si dice neli principii. E però si dice mezza terzaprima che suoni perquella parte; e mezza nonapoi che per quella parte è sonato;e così mezzo vespero. E però sappia ciascuno chene ladiritta nonasempre dee sonare nel cominciamento de la settima oradel die: e questo basti a la presente digressione.

CapitoloXXIV

        Ritornando al propositodico che la umana vita si parte per quattroetadi. La prima si chiama Adolescenziacioè "accrescimentodi vita"; la seconda si chiama Gioventutecioè "etateche puote giovare"cioè perfezione daree cosìs'intende perfetta - ché nullo puote dare se non quelloch'elli ha -; la terza si chiama Senettute; la quarta si chiamaSeniosì come di sopra detto è.
        De la prima nullo dubitama ciascuno savio s'accorda ch'ella dura infino al venticinquesimo anno; e però che infino a quel tempol'anima nostra intende a lo crescere e a lo abbellire del corpoondemolte e grandi transmutazioni sono ne la personanon puoteperfettamente la razionale parte discernere. Per che la Ragione vuoleche dinanzi a quella etade l'uomo non possa certe cose fare sanzacuratore di perfetta etade.
        De la secondala quale veramente è colmo de la nostra vitadiversamente è preso lo tempo da molti. Malasciando ciòche ne scrivono li filosofi e li medicie tornando a la ragionepropriadico che ne li piùne li quali prendere si puote edee ogni naturale giudicioquella etade è venti anni. E laragione che ciò mi dà si è chese 'l colmo delnostro arco è ne li trentacinquetanto quanto questa etade hadi salita tanto dee avere di scesa; e quella salita e quella scesa èquasi lo tenere de l'arconel quale poco di flessione si discerne.Avemo dunque che la gioventute nel quarantacinquesimo anno si compie.E sì come l'adolescenzia è in venticinque anni cheprecedemontandoa la gioventutecosì lo discenderecioèla senettuteè in altrettanto tempo che succede a lagioventute; e così si termina la senettute nel settantesimoanno. Ma però che l'adolescenza non comincia dal principio dela vitapigliandola per lo modo che detto èma presso a ottoanni dopo quello; e però che la nostra natura si studia disaliree a lo scendere raffrenaperò che lo caldo naturale èmenomatoe puote pocoe l'umido è ingrossato (non peròin quantitadema pur in qualitadesì ch'è menovaporabile e consumabile)avviene che oltre la senettute rimane dela nostra vita forse in quantitade di diece annio poco più opoco meno: e questo tempo si chiama senio. Onde avemo di Platonedelquale ottimamente si può dire che fosse naturato e per la suaperfezione e per la fisonomia che di lui prese Socrate quando primalo videche esso vivette ottantuno annosecondo che testimoniaTullio in quello De Senectute. E io credo che se Cristo fosse statonon crucifissoe fosse vivuto lo spazio che la sua vita potevasecondo natura trapassareelli sarebbe a li ottantuno anno dimortale corpo in etternale transmutato.
        Veramentesì come di sopra detto èqueste etadipossono essere più lunghe e più corte secondo lacomplessione nostra e la composizione; macome elle siano in questaproporzionecome detto èin tutti mi pare da servarecioèdi fare l'etadi in quelli cotali e più lunghe e meno secondola integritade di tutto lo tempo de la naturale vita. Per questetutte etadi questa nobilitadedi cui si parladiversamente mostrali suoi effetti ne l'anima nobilitata; e questo è quello chequesta partesopra la quale al presente si scriveintende adimostrare. Dov'è da sapere che la nostra buona e dirittanatura ragionevolmente procede in noisì come vedemoprocedere la natura de le piante in quelle; e però altricostumi e altri portamenti sono ragionevoli ad una etade piùche ad altrane li quali l'anima nobilitata ordinatamente procedeper una semplice viausando li suoi atti ne li loro tempi ed etadisì come a l'ultimo suo frutto sono ordinati. E Tullio in ciòs'accorda in quello De Senectute. E lasciando lo figurato che diquesto diverso processo de l'etadi tiene Virgilio ne lo Eneidaelasciando stare quello che Egidio eremita ne dice ne la prima partede lo Reggimento de' Principie lasciando stare quello che ne toccaTullio in quello de li Officie seguendo solo quello che la ragioneper sé ne puote vederedico che questa prima etade èporta e via per la quale s'entra ne la nostra buona vita. E questaentrata conviene avere di necessitade certe cosele quali la buonanaturache non viene meno ne le cose necessariene dà; sìcome vedemo che dà a la vite le foglie per difensione delfruttoe li vignuoli con li quali difende e lega la suaimbecillitadesì che sostiene lo peso del suofrutto.
         Dàadunque la buona natura a questa etade quattro cosenecessarie a loentrare ne la cittade del bene vivere. La prima si èobedienza; la seconda soavitade; la terza vergogna; la quartaadornezza corporalesì come dice lo testo ne la primaparticola. E` dunque da sapereche sì come quello che mai nonfosse stato in una cittadenon saprebbe tenere le vie sanzainsegnamento di colui che l'hae usata; così l'adolescentecheentra ne la selva erronea di questa vitanon saprebbe tenere lobuono camminose da li suoi maggiori non li fosse mostrato. Nélo mostrare varrebbese a li loro comandamenti non fosse obediente;e però fu a questa etade necessaria la obedienza. Ben potrebbealcuno dire così: dunque potrà essere detto quelliobediente che crederà li malvagi comandamenticome quelli checrederà li buoni? Rispondo che non ha quella obedienzamatransgressione: ché se lo re comanda una via e lo servo necomanda un'altranon è da obedire lo servo; chésarebbe disobedire lo ree così sarebbe transgressione. Eperò dice Salomonequando intende correggere suo figlio (equesto è lo primo suo comandamento): "Audifiglio miol'ammaestramento del tuo padre". E poi lo rimuove incontanenteda l'altrui reo consiglio e ammaestramentodicendo: "Non tipossano quello fare di lusinghe né di diletto li peccatoriche tu vadi con loro". Ondesì comenatotosto lofiglio a la tetta de la madre s'apprendecosì tostocomealcuno lume d'animo in esso apparesi dee volgere a la correzionedel padree lo padre lui ammaestrare. E guardisi che non li dea disé essemplo ne l'operache sia contrario a le parole de lacorrezione: ché naturalmente vedemo ciascuno figlio piùmirare a le vestigie de li paterni piedi che a l'altre. E peròdice e comanda la Leggeche a ciò provedeche la persona delpadre sempre santa e onesta dee apparere a li suoi figli; e cosìappare che la obedienza fue necessaria in questa etade. E peròscrive Salomone ne li Proverbiche quelli che umilemente eobedientemente sostiene dal correttore le sue correttive riprensioni"sarà glorioso"; e dice "sarà"adare ad intendere che elli parla a lo adolescenteche non puoteesserene la presente etade. E se alcuno calunniasse: "Ciòche detto èè pur del padre e non d'altri"dicoche al padre si dee riducere ogni altra obedienza. Onde dicel'Apostolo a li Colossensi: "Figliuoliobedite a li vostripadri per tutte coseper ciò che questo vuole Iddio". Ese non è in vita lo padreriducere si dee a quelli che per lopadre è ne l'ultima volontade in padre lasciato; e se lo padremuore intestatoriducere si dee a colui cui la Ragione commette losuo governo. E poi deono essere obediti maestri e maggioricui inalcuno modo pare dal padreo da quelli che loco paterno tieneessere commesso. Ma però che lungo è stato lo capitolopresente per le utili digressioni che contieneper l'altro capitolol'altre cose sono da ragionare.

CapitoloXXV

        Non solamente questa anima e natura buona in adolescenza èobedientema eziandio soave; la quale cosa è l'altra ch'ènecessaria in questa etade a bene intrare ne la porta de lagioventute. Necessaria èpoi che noi non potemo perfetta vitaavere sanza amicisì come ne l'ottavo de l'Etica vuoleAristotile; e la maggiore parte de l'amistadi si paiono seminare inquesta etade primaperò che in essa comincia l'uomo ad esseregraziosoo vero lo contrario: la quale grazia s'acquista per soavireggimentiche sono dolce e cortesemente parlaredolce ecortesemente servire e operare. E però dice Salomone a loadolescente figlio: "Li schernidori Dio li scherniscee a limansueti Dio darà grazia". E altrove dice: "Rimuovida te la mala boccae li altri atti villani siano di lungi da te".Per che appareche necessaria sia questa soavitadecome dettoè.
         Anche ènecessaria a questa etade la passione de la vergogna; e peròla buona e nobile natura in questa etade la mostrasì come lotesto dice. E però che la vergogna è apertissimo segnoin adolescenza di nobilitadeperché quivi èmassimamente necessaria al buono fondamento de la nostra vitaa loquale la nobile natura intendedi quella è alquanto condiligenza da parlare. Dico che per vergogna io intendo tre passioninecessarie al fondamento de la nostra vita buona: l'una si èstupore; l'altra si è pudore; la terza si è verecundia;avvegna che la volgare gente questa distinzione non discerna. E tuttee tre queste sono necessarie a questa etade per questa ragione: aquesta etade è necessario d'essere reverente e disidiroso disapere; a questa etade è necessario d'essere rifrenatosìche non transvada; a questa etade è necessario d'esserepenitente del fallosì che non s'ausi a fallare. E tuttequeste cose fanno le passioni sopra detteche vergogna volgarmentesono chiamate. Ché lo stupore è uno stordimento d'animoper grandi e maravigliose cose vedere o udire o per alcuno modosentire: chein quanto paiono grandifanno reverente a séquelli che le sente; in quanto paiono mirabilifanno voglioso disapere di quelle. E però li antichi regi ne le loro magionifaceano magnifici lavorii d'oro e di pietre e d'artificioacciòche quelli che le vedessero divenissero stupidie peròreverentie domandatori de le condizioni onore voli de lo rege. Eperò dice Staziolo dolce poetanel primo de la TebanaIstoriache quando Adrastorege de li Argivide Polinice covertod'un cuoio di leonee vide Tideo coverto d'un cuoio di porcoselvaticoe ricordossi del risponso che Apollo dato avea per le suefiglieche esso divenne stupido; e però più reverentee più disideroso di sapere.
        Lo pudore è uno ritraimento d'animo da laide cosecon pauradi cadere in quelle; sì come vedemo ne le vergini e ne ledonne buone e ne li adolescentiche tanto sono pudiciche nonsolamente là dove richesti o tentati sono di fallarema dovepure alcuna imaginazione di venereo compimento avere si puotetuttisi dipingono ne la faccia di palido o di rosso colore. Onde dice losopra notato poeta ne lo allegato libro primo di Tebeche quandoAcestenutrice d'Argia e di Deifilefiglie d'Adrasto regele menòdinanzi da li occhi del santo padre ne la presenza de li dueperegrinicioè Polinice e Tideole vergini palide erubicunde si feceroe li loro occhi fuggiro da ogni altrui sguardoe solo ne la paterna facciaquasi come sicurisi tennero. Oh quantifalli rifrena esto pudore! quante disoneste cose e dimande fa tacere!quante disoneste cupiditati raffrena! quante male tentazioni non purne la pudica persona diffidama eziandio in quello che la guarda!quante laide parole ritene! Chésì come dice Tullionel primo de li Offici: Nullo atto è laidoche non sia laidoquello nominare; e però lo pudico e nobile uomo mai non parlasìche ad una donna non fossero oneste le sue parole. Ahiquanto sta male a ciascuno nobile uomo che onore vada cercandomenzionare cose che ne la bocca d'ogni donna stean male!
        La verecundia è una paura di disonoranza per fallo commesso; edi questa paura nasce un pentimento del fallolo quale ha in séuna amaritudine che è gastigamento a più non fallire.Onde dice questo medesimo poetain quella medesima parteche quandoPolinice fu domandato da Adrasto rege del suo esserech'elli dubitòprima di dicereper vergogna del fallo che contra lo padre fattoaveae ancora per li falli d'Edippo suo padreché paionorimanere in vergogna del figlio; e non nominò suo padrema liantichi suoi e la terra e la madre. Per che bene apparevergognaessere necessaria in quella etade.
        E non pure obedienzasoavitade e vergogna la nobile natura in questaetade dimostrama dimostra bellezza e snellezza nel corpo; sìcome dice lo testo quando dice: E sua persona adorna. E questo"adorna" è verbo e non nome: verbodicoindicativodel tempo presente in terza persona. Ove è da sapere che ancoè necessaria questa opera a la nostra buona vita; chéla nostra anima conviene grande parte de le sue operazioni operarecon organo corporalee allora opera bene che 'l corpo è beneper le sue parti ordinato e disposto. E quando elli è beneordinato e dispostoallora è bello per tutto e per le parti;ché l'ordine debito de le nostre membra rende uno piacere nonso di che armonia mirabilee la buona disposizionecioè lasanitadegetta sopra quelle uno colore dolce a riguardare. E cosìdicere che la nobile natura lo suo corpo abbellisca e faccia conto eaccortonon è altro a dire se non che l'acconcia a perfezioned'ordineecosì questa come l'altre cose che ragionate sonoappare essere necessarie a l'adolescenza: le quali la nobile animacioè la nobile naturadàe ad esse primamenteintendesì come cosa checome detto èda la divinaprovedenza è seminata.





Capitolo XXVI

        Poi che sopra la prima particola di questa parteche mostra quelloper che potemo conoscere l'uomo nobile a li segni apparentièragionatoda procedere è a la seconda partela qualecomincia: In giovinezzatemperata e forte. Dice adunque chesì come la nobile natura in adolescenza ubidentesoave evergognosae adornatrice de la sua persona si mostracosìne la gioventute si fa temperataforteamorosacortese e leale: lequali cinque cose paionoe sononecessarie a la nostra perfezionein quanto avemo rispetto a noi medesimi. E intorno di ciò sivuole sapere che tutto quanto la nobile natura prepara ne la primaetadeè apparecchiato e ordinato per provedimento di Naturauniversaleche ordina la particulare a sua perfezione. Questaperfezione nostra si può doppiamente considerare. Puotesiconsiderare secondo che ha rispetto a noi medesimi: e questa ne lanostra gioventute si dee avereche è colmo de la nostra vita.Puotesi considerare secondo che ha rispetto ad altri; e peròche prima conviene essere perfettoe poi la sua perfezionecomunicare ad altriconvienesi questa secondaria perfezione avereappresso questa etadecioè ne la senettutesì come disotto si dicerà.
        Qui adunque è da reducere a mente quello che di sopranelventiduesimo capitolo di questo trattatosi ragiona de lo appetitoche in noi dal nostro principio nasce. Questo appetito mai altro nonfa che cacciare e fuggire; e qualunque ora esso caccia quello che equanto si convienee fugge quello che e quanto si convienel'uomo ène li termini de la sua perfezione. Veramente questo appetitoconviene essere cavalcato da la ragione; ché sì comeuno sciolto cavalloquanto ch'ello sia di natura nobileper sésanza lo buono cavalcatorebene non si conducecosì questoappetitoche irascibile e concupiscibile si chiamaquanto ch'ellosia nobilea la ragione obedire convienela quale guida quello confreno e con ispronicome buono cavaliere. Lo freno usa quando ellicacciae chiamasi quello freno temperanzala quale mostra lotermine infino al quale è da cacciare; lo sprone usa quandofuggeper lui tornare a lo loco onde fuggire vuolee questo spronesi chiama fortezzao vero magnanimitatela quale vertute mostra loloco dove è da fermarsi e da pugnare. E così infrenatomostra Virgiliolo maggiore nostro poetache fosse Eneane laparte de lo Eneida ove questa etade si figura; la quale partecomprende lo quartolo quinto e lo sesto libro de lo Eneida. Equanto raffrenare fu quelloquandoavendo ricevuto da Dido tanto dipiacere quanto di sotto nel settimo trattato si diceràeusando con essa tanto di dilettazioneelli si partioper seguireonesta e laudabile via e fruttuosacome nel quarto de l'Eneidascritto è! Quanto spronare fu quelloquando esso Eneasostenette solo con Sibilla a intrare ne lo Inferno a cercare del'anima di suo padre Anchisecontra tanti pericolicome nel sestode la detta istoria si dimostra! Per che appare chene la nostragioventuteessere a nostra perfezione ne convegna "temperati eforti". E questo fa e dimostra la buona naturasì comelo testo dice espressamente.
        Ancora è a questa etadea sua perfezionenecessario d'essereamorosa; però che ad essa si conviene guardare diretro edinanzisì come cosa che è nel meridionale cerchio:conviensi amare li suoi maggiorida li quali ha ricevuto ed essere enutrimento e dottrinasì che esso non paia ingrato; conviensiamare li suoi minoriacciò cheamando quellidea loro de lisuoi beneficiper li quali poi ne la minore prosperitade esso sia daloro sostenuto e onorato. E questo amore mostra che avesse Enea lonomato poeta nel quinto libro sopra dettoquando lasciò livecchi Troiani in Cicilia raccomandati ad Acestee partilli da lefatiche; e quando ammaestrò in questo luogo Ascaniosuofigliuolocon li altri adolescentuli armeggiando. Per che appare aquesta etade necessario essere amarecome lo testo dice.
        Ancora è necessario a questa etade essere cortese; chéavvegna che a ciascuna etade sia bello l'essere di cortesi costumiaquesta è massimamente necessario; però che lievementemerita perdono l'adolescenzase di cortesia manchiper minoranzad'etadee però chenel contrarionon la puote avere lasenettuteper la gravezza sua e per la severitade che a lei sirichiede; e così lo senio maggiormente. E questa cortesiamostra che avesse Enea questo altissimo poetanel sesto sopra dettoquando dice che Enea regeper onorare lo corpo di Miseno mortocheera stato trombatore d'Ettore e poi s'era raccomandato a luis'accinse e prese la scure ad aiutare tagliare le legne per lo fuocoche dovea ardere lo corpo mortocome era di loro costume. Per chebene appare questa essere necessaria a la gioventutee peròla nobile anima in quella la dimostracome detto è.
        Ancora è necessario a questa etade essere leale. Lealtade èseguire e mettere in opera quello che le leggi diconoe ciòmassimamente si conviene a lo giovane: però che loadolescentecome detto èper minoranza d'etade lievementemerita perdono; lo vecchio per più esperienza dee esseregiustoe non essaminatore di leggese non in quanto lo suo dirittogiudicio e la legge è tutto uno quasi equasi sanza leggealcunadee giustamente sé guidare: che non può fare logiovane. E basti che esso seguiti la leggee in quella seguitare sidiletti: sì come dice lo predetto poetanel predetto quintolibroche fece Eneaquando fece li giuochi in Cicilia nel'anniversario del padre; che ciò che promise per le vittorielealmente diede poi a ciascuno vittoriososì come era di lorolunga usanzache era loro legge. Per che è manifesto che aquesta etade lealtadecortesiaamorefortezza e temperanza sianonecessariesì come dice lo testo che al presente èragionato; e però la nobile anima tutte le dimostra.

CapitoloXXVII

        Veduto e ragionato è assai sofficientemente sopra quellaparticola che 'l testo ponemostrando quelle probitadi che a lagioventute presta la nobile anima; per che da intendere pare a laterza parte che comincia: è ne la sua senettane laquale intende lo testo mostrare quelle cose che la nobile naturamostra e dee avere ne la terza etadecioè senettude. E diceche l'anima nobile ne la senetta sì è prudentesì è giustasì è largae allegradi dir bene in prode d'altrui e d'udire quellocioè che èaffabile. E veramente queste quattro vertudi a questa etade sonoconvenientissime. E a ciò vedereè da sapere chesìcome dice Tullio in quello De Senectute"certo corso ha lanostra buona etadee una via semplice è quella de la nostrabuona natura; e a ciascuna parte de la nostra etade è datastagione a certe cose". Onde sì come a l'adolescenza datoècom'è detto di sopraquello per che a perfezione ea maturitade venire possacosì a la gioventute è datala perfezionee a la senettute la maturitade acciò che ladolcezza del suo frutto e a sé e ad altrui sia profittabile;chésì come Aristotile dicel'uomo è animalecivileper che a lui si richiede non pur a sé ma altruiessere utile. Onde si legge di Catone che non a séma a lapatria e a tutto lo mondo nato esser credea. Dunque appresso lapropria perfezionela quale s'acquista ne la gioventuteconvienevenire quella che alluma non pur sé ma li altri; e conviensiaprire l'uomo quasi com'una rosa che più chiusa stare nonpuotee l'odore che dentro generato è spandere: e questoconviene essere in questa terza etadeche per mano corre. Conviensiadunque essere prudentecioè savio: e a ciò essere sirichiede buona memoria de le vedute cosebuona conoscenza de lepresenti e buona provedenza de le future. Esì come dice loFilosofo nel sesto de l'Etica"impossibile è esseresavio chi non è buono"e però non è dadire savio chi con sottratti e con inganni procedema è dachiamare astuto; ché sì come nullo dicerebbe savioquelli che si sapesse bene trarre de la punta d'uno coltello ne lapupilla de l'occhiocosì non è da dire savio quelliche ben sa una malvagia cosa farela quale facendoprima sésempre che altrui offende.
        Se bene si mirada la prudenza vegnono li buoni consiglili qualiconducono sé e altri a buono fine ne le umane cose eoperazioni; e questo è quello dono che Salomoneveggendosi algoverno del populo essere postochiese a Diosì come nelterzo libro de li Regi è scritto. Né questo cotaleprudente non attende chi li domandi "Consigliami"maproveggendo per luisanza richesta colui consiglia; sì comela rosache non pur a quelli che va a lei per lo suo odore rendequelloma eziandio a qualunque appresso lei va. Potrebbe qui direalcuno medico o legista: "Dunque porterò io lo mioconsiglio e darollo eziandio che non mi sia chestoe de la mia artenon averò frutto?" Rispondosì come dice nostroSignore: "A grado ricevestea grado e date". Dico dunquemesser lo legistache quelli consigli che non hanno rispetto a latua arte e che procedono solo da quel buono senno che Dio ti diede(che è prudenzade la quale si parla)tu non li dei venderea li figli di Colui che te l'ha dato: quelli che hanno rispetto al'artela quale hai comperatavendere puoi; ma non sì chenon si convegnano alcuna volta decimare e dare a Diocioè aquelli miseri a cui solo lo grado divino è rimaso. Conviensianche a questa etade essere giustoacciò che li suoi giudiciie la sua autoritade sia un lume e una legge a li altri. E perchéquesta singulare vertùcioè giustiziafue veduta perli antichi filosofi apparire perfetta in questa etadelo reggimentode le cittadi commisero in quelli che in questa etade erano; e peròlo collegio de li rettori fu detto Senato. Oh miseramisera patriamia! quanta pietà mi stringe per tequal volta leggoqualvolta scrivo cosa che a reggimento civile abbia rispetto! Ma peròche di giustizia nel penultimo trattato di questo volume si tratteràbasti qui al presente questo poco avere toccato di quella.
        Conviensi anche a questa etade essere largo; però che allorasi conviene la cosa quando più satisface al debito de la suanaturané mai a lo debito de la larghezza non si puòsatisfacere così come in questa etade. Che se volemo benemirare al processo d'Aristotile nel quarto de l'Eticae a quello diTullio in quello de li Officila larghezza vuole essere a luogo e atempotale che lo largo non noccia a sé né ad altrui.La quale cosa avere non si puote sanza prudenza e sanza giustizia; lequali virtudi anzi a questa etade avere perfette per via naturale èimpossibile. Ahi malestrui e malnatiche disertate vedove e pupilliche rapite a li men possentiche furate e occupate l'altrui ragioni;e di quelle corredate convitidonate cavalli e armerobe e denariportate le mirabili vestimentaedificate li mirabili edificiecredetevi larghezza fare! E che è questo altro a fare chelevare lo drappo di su l'altare e coprire lo ladro la sua mensa? Nonaltrimenti si dee rideretirannide le vostre messioniche delladro che menasse a la sua casa li convitatie la tovaglia furata disu l'altarecon li segni ecclesiastici ancoraponesse in su lamensa e non credesse che altri se n'accorgesse. Uditeostinatichedice Tullio contro a voi nel libro de li Offici: "Sono molticerto desiderosi d'essere apparenti e gloriosiche tolgono a lialtri per dare a li altricredendosi buoni essere tenutise liarricchiscono per qual ragione essere voglia. Ma ciò tanto ècontrario a quello che far si convieneche nulla èpiù".
        Conviensi anche a questa etade essere affabileragionare lo beneequello udire volontieri: imperò che allora è buonoragionare lo benequando esso è ascoltato. E questa etade purha seco un'ombra d'autoritadeper la quale più pare che leil'uomo ascolti che nulla più tostana etadee più bellee buone novelle pare dover savere per la lunga esperienza de la vita.Onde dice Tullio in quello De Senectutein persona di Catonevecchio: "A me è ricresciuto e volontà e dilettodi stare in colloquio più ch'io non solea".
        E che tutte e quattro queste cose convegnono a questa etaden'ammaestra Ovidio nel settimo Metamorfoseosin quella favola dovescrive come Cefalo d'Atene venne ad Eaco re per soccorsone laguerra che Atene ebbe con Creti. Mostra che Eaco vecchio fosseprudentequandoavendo per pestilenza di corrompimento d'aere quasitutto lo popolo perdutoesso saviamente ricorse a Dio e a luidomandò lo ristoro de la morta gente; e per lo suo sennochea pazienza lo tenne e a Dio tornare lo fecelo suo popolo ristoratoli fu maggiore che prima. Mostra che esso fosse giustoquando diceche esso fu partitore a nuovo popolo e distributore de la terradiserta sua. Mostra che fosse largoquando disse a Cefalo dopo ladimanda de lo aiuto: "O Atenenon domandate a me aiutoriomatoglietevelo; e non dite a voi dubitose le forze che ha questa isola.E tutto questo è lo stato de le mie cose: forze non cimenomanoanzi ne sono a noi di soperchio; e lo avversario ègrandee lo tempo da dare èbene avventuroso e sanzaescusa". Ahi quante cose sono da notare in questa risposta! Ma abuono intenditore basti essere posto qui come Ovidio lo pone. Mostrache fosse affabilequando dice e ritrae per lungo sermone a Cefalola istoria de la pestilenza del suo popolo diligentementee loristoramento di quello. Per che assai è manifesto a questaetade essere quattro cose convenienti; per che la nobile natura inessa le mostrasì come lo testo dice. E perché piùmemorabile sia l'essemplo che detto èdice di Eaco re chequesti fu padre di Telamondi Peleus e di Focodel quale Telamonnacque Aiacee di Peleus Achilles.

CapitoloXXVIII

        Appresso de la ragionata particola è da procedere a l'ultimacioè a quella che comincia: Poi ne la quarta parte de lavita; per la quale lo testo intende mostrare quello che fa lanobile anima ne l'ultima etadecioè nel senio. E dice ch'ellafa due cose: l'unache ella ritorna a Diosì come a quelloporto onde ella si partio quando venne ad intrare nel mare di questavita; l'altra si è che ella benedice lo cammino che ha fattoperò che è stato diritto e buono e sanza amaritudine ditempesta. E qui è da sapere chesì come dice Tullio inquello De Senectutela naturale morte è quasi a noi porto dilunga navigazione e riposo. Ed è così: chécomelo buono marinaiocome esso appropinqua al portocala le sue velee soavementecon debile conducimentoentra in quello; cosìnoi dovemo calare le vele de le nostre mondane operazioni e tornare aDio con tutto nostro intendimento e cuoresì che a quelloporto si vegna con tutta soavitade e con tutta pace. E in ciòavemo da la nostra propria natura grande ammaestramento di soavitadeché in essa cotale morte non è dolore né alcunaacerbitatema sì come uno pomo maturo leggiermente e sanzaviolenza si dispicca dal suo ramocosì la nostra anima sanzadoglia si parte dal corpo ov'ella è stata. Onde Aristotile inquello De Iuventute et Senectute dice che "sanza tristizia èla morte ch'è ne la vecchiezza". E sì come a coluiche viene di lungo camminoanzi ch'entri ne la porta de la suacittade li si fanno incontro li cittadini di quellacosì a lanobile anima si fanno incontroe deono farequelli cittadini de laetterna vita; e così fanno per le sue buone operazioni econtemplazioni: chégià essendo a Dio renduta eastrattasi da le mondane cose e cogitazionivedere le pare coloroche appresso di Dio crede che siano. Odi che dice Tullioin personadi Catone vecchio: "A me pare già vedere e levomi ingrandissimo studio di vedere li vostri padriche io amaie non purquelli che io stesso conobbima eziandio quelli di cui udi'parlare". Rendesi dunque a Dio la nobile anima in questa etadee attende lo fine di questa vita con molto desiderio e uscir le parede l'albergo e ritornare ne la propria mansioneuscir le pare dicammino e tornare in cittadeuscir le pare di mare e tornare aporto. O miseri e vili che con le vele alte correte a questo portoelà ove dovereste riposareper lo impeto del vento rompeteeperdete voi medesimi là dove tanto camminato avete! Certo locavaliere Lancelotto non volse entrare con le vele altené lonobilissimo nostro latino Guido montefeltrano. Bene questi nobilicalaro le vele de le mondane operazioniche ne la loro lunga etade areligione si renderoogni mondano diletto e opera disponendo. E nonsi puote alcuno escusare per legame di matrimonioche in lunga etadelo tegna; ché non torna a religione pur quelli che a santoBenedettoa santo Augustinoa santo Francesco e a santo Domenico sifa d'abito e di vita similema eziandio a buona e vera religione sipuò tornare in matrimonio standoché Dio non volsereligioso di noi se non lo cuore. E però dice santo Paulo a liRomani: "Non quelli ch'è manifestamenteè Giudeoné quella ch'è manifesta in carne ècircuncisione; ma quelli ch'è in ascosoè Giudeoe lacircuncisione del cuorein ispirito non in litteraècircuncisione; la loda de la quale è non da li uominima daDio".
         Ebenedice anco la nobile anima in questa etade li tempi passati; ebene li può benedicereperò cheper quelli rivolvendola sua memoriaessa si rimembra de le sue diritte operazionisanzale quali al portoove s'appressavenire non si potea con tantaricchezza né con tanto guadagno. E fa come lo buonomercatantechequando viene presso al suo portoessamina lo suoprocaccio e dice: "Se io non fosse per cotal cammino passatoquesto tesoro non avre'ioe non avrei di ch'io godesse ne la miacittadea la quale io m'appresso"; e però benedice lavia che ha fatta. E che queste due cose convegnano a questa etadenefigura quello grande poeta Lucano nel secondo de la sua Farsaliaquando dice che Marzia tornò a Catone e richiese lui epregollo che la dovesse riprendere guasta: per la quale Marzias'intende la nobile anima. E potemo così ritrarre la figura averitade. Marzia fu verginee in quello stato si significal'adolescenza; poi si maritò a Catonee in quello stato sisignifica la gioventute; fece allora figliper li quali sisignificano le vertudi che di sopra si dicono a li giovani convenire;e partissi da Catonee maritossi ad Ortensioper che si significache si partì la gioventute e venne la senettute; fece figli diquesto ancheper che si significano le vertudi che di sopra sidicono convenire a la senettute. Morì Ortensio; per che sisignifica lo termine de la senettute; e vedova fatta - per lo qualevedovaggio si significa lo senio - tornò Marzia dal principiodel suo vedovaggio a Catoneper che si significa la nobile anima dalprincipio del senio tornare a Dio. E quale uomo terreno piùdegno fu di significare Iddioche Catone? Certo nullo.
        E che dice Marzia a Catone? "Mentre che in me fu lo sangue"cioè la gioventute"mentre che in me fu la maternalevertute"cioè la senettuteche bene è madre del'alte vertudisì come di sopra è mostrato"io"dice Marzia "feci e compiei li tuoi comandamenti"cioèa dire che l'anima stette ferma a le civili operazioni. Dice: "Etolsi due mariti"cioè a due etadi fruttifera sonostata. "Ora" dice Marzia "che 'l mio ventre èlassoe che io sono per li parti votaa te mi ritornonon essendopiù da dare ad altro sposo"; cioè a dire che lanobile animacognoscendosi non avere più ventre da fruttocioè li suoi membri sentendosi a debile stato venutitorna aDiocolui che non ha mestiere de le membra corporali. E dice Marzia:"Dammi li patti de li antichi lettidammi lo nome solo delmaritaggio"; che è a dire che la nobile anima dice a Dio:"DammiSignor mioomai lo riposo di te; dammialmenoche ioin questa tanta vita sia chiamata tua". E dice Marzia: "Dueragioni mi muovono a dire questo: l'una si è che dopo me sidica ch'io sia morta moglie di Catone; l'altrache dopo me si dicache tu non mi scacciastima di buono animo mi maritasti". Perqueste due cagioni si muove la nobile anima; e vuole partire d'estavita sposa di Dioe vuole mostrare che graziosa fosse a Dio la suaoperazione. Oh sventurati e male natiche innanzi volete partirvid'esta vita sotto lo titolo d'Ortensio che di Catone! Nel nome di cuiè bello terminare ciò che de li segni de la nobilitaderagionare si conveniaperò che in lui essa nobilitade tuttili dimostra per tutte etadi.

CapitoloXXIX

        Poi che mostrato ha lo testo quelli segni li quali per ciascuna etadeappaiono nel nobile uomo e per li quali conoscere si puotee sanzali quali essere non puotecome lo sole sanza luce e lo fuoco sanzacaldogrida lo testo a la gentea l'ultimo di ciò che dinobilità è ritrattoe dice: "O voi che uditom'avetevedete quanti sono coloro che sono ingannati!": cioècoloro cheper essere di famose e antiche generazioni e per esserediscesi di padri eccellenticredono essere nobilinobilitade nonavendo in loro. E qui surgono due quistionia le quali ne la fine diquesto trattato è bello intendere. Potrebbe dire ser Manfredida Vico che ora Pretore si chiama e Prefetto: "Come che io misiaio reduco a memoria e rappresento li miei maggioriche per loronobilitade meritaro l'officio de la Prefetturae meritaro di porremano a lo coronamento de lo Imperiomeritaro di ricevere la rosa dalromano Pastore: onore deggio ricevere e reverenza da la gente".E questa è l'una questione. L'altra èche potrebbedire quelli da Santo Nazzaro di Paviae quelli de li Piscitelli daNapoli: "Se la nobilitade è quello che detto ècioè seme divino ne la umana anima graziosamente postoe leprogenieo vero schiattenon hanno animasì come èmanifestonulla progenieo vero schiattanobile dicere sipotrebbe: e questo è contra l'oppinione di coloro che lenostre progenie dicono essere nobilissime in loro cittadi". A laprima questione risponde Giovenale ne l'ottava satiraquandocomincia quasi esclamando: "Che fanno queste onoranze cherimangono da li antichise per colui che di quelle si vuoleammantare male si vive? se per colui che de li suoi antichi ragiona emostra le grandi e mirabili operes'intende a misere e vilioperazioni?" Avvegna che"chi dicerà"diceesso poeta satiro"nobile per la buona generazione quelli chede la buona generazione degno non è? Questo non è altroche chiamare lo nano gigante". Poi appressoa questo cotaledice: "Da te a la statua fatta in memoria del tuo antico non hadissimilitudine altrase non che la sua testa è di marmoela tua vive". E in questocon reverenza lo dicomi discordodal Poetaché la statua di marmodi legno o di metallorimasa per memoria d'alcuno valente uomosi dissimiglia ne loeffetto molto dal malvagio discendente. Però che la statuasempre afferma la buona oppinione in quelli che hanno udito la buonafama di colui cui è la statuae ne li altri genera: lomalestruo figlio o nepote fa tutto lo contrariochél'oppinione di coloro che hanno udito bene de li suoi maggiorifapiù debile; ché dice alcuno loro pensiero: "Nonpuò essere che de li maggiori di costui sia tanto quanto sidicepoi che de la loro semenza sì fatta pianta si vede".Per che non onorema disonore dee ricevere quelli che a li buonimala testimonianza porta. E però dice Tullio che "lofiglio del valente uomo dee procurare di rendere al padre buonatestimonianza". Ondeal mio giudiciocosì come chi unovalente uomo infama è degno d'essere fuggito da la gente e nonascoltatocosì lo malestruo disceso de li buoni maggiori èdegno d'essere da tutti scacciatoe de' si lo buono uomo chiudere liocchi per non vedere quello vituperio vituperante de la bontadechein sola la memoria è rimasa. E questo bastial presentea laprima questione che si movea.
        A la seconda questione si può rispondereche una progenie persé non hae animae ben è vero che nobile si dice ed èper certo modo. Onde è da sapere che ogni tutto si fa de lesue parti. E` alcuno tutto che ha una essenza simplice con le suepartisì come in uno uomo è una essenza di tutto e diciascuna parte sua; e ciò che si dice ne la parteper quellomedesimo modo si dice essere in tutto. Un altro tutto è chenon ha essenza comune con le partisì come una massa digrano; ma è la sua una essenza secondaria che resulta da moltigraniche vera e prima essenza in loro hanno. E in questo tuttocotale si dicono essere le qualitadi de le parti cosìsecondamente come l'essere; onde si dice una bianca massaperchéli grani onde è la massa sono bianchi. Veramente questabianchezza è pur ne li grani primae secondariamente resultain tutta la massae così secondariamente bianca dicere sipuò; e per cotale modo si può dicere nobile unaschiattao vero una progenie. Onde è da sapere chesìcome a fare una bianca massa convegnono vincere li bianchi granicosì a fare una nobile progenie convegnono in essa li nobiliuomini vincere (dico "vincere" essere più che lialtri)sì che la bontade con la sua grida oscuri e celi locontrario che dentro è. E sì come d'una massa bianca digrano si potrebbe levare a grano a grano lo formentoe a grano agrano restituire meliga rossae tutta la massa finalmente cangerebbecolore; così de la nobile progenie potrebbero li buoni morirea uno a uno e nascere in quella li malvagitanto che cangerebbe lonomee non nobile ma vile da dire sarebbe. E così basti a laseconda questione essere risposto.

CapitoloXXX

        Come di sopra nel terzo capitolo di questo trattato si dimostraquesta canzone ha tre parti principali. Per cheragionate le due (dele quali la prima cominciò nel capitolo predettoe la secondanel sestodecimo; sicché la prima per tredici e la seconda perquattordici è determinatasanza lo proemio del trattato de lacanzoneche in due capitoli si comprese)in questo trentesimo eultimo capitolode la terza parte principale brievemente è daragionarela quale per tornata di questa canzone fatta fu ad alcunoadornamentoe comincia: Contra-li-erranti miatu te n'andrai.E qui primamente si vuole sapere che ciascuno buono fabricatorenela fine del suo lavoroquello nobilitare e abbellire dee in quantopuoteacciò che più celebre e più prezioso dalui si parta. E questo intendonon come buono fabricatore ma comeseguitatore di quellofare in questa parte.
        Dico adunque: Contra-li-erranti mia. Questo Contra-li-errantiè tutto una parolae è nome d'esta canzonetolto peressemplo del buono frate Tommaso d'Aquinoche a uno suo librochefece a confusione di tutti quelli che disviano da nostra Fedepuosenome ContraliGentili. Dico adunque che "tu andrai": quasidica: "Tu se' omai perfettae tempo è di non starefermama di gireché la tua impresa è grande"; equando tu sarai In parte dove sia la donna nostradille lo tuomestiere. Ove è da notare chesì come dice nostroSignorenon si deono le margarite gittare innanzi a li porciperòche a loro non è prodee a le margarite è danno; ecome dice Esopo poeta ne la prima Favolapiù è prodeal gallo uno grano che una margaritae però questa lascia equello coglie. E in ciò considerandoa cautela di ciòcomando a la canzone che suo mestiere discuopra là dove questadonnacioè la filosofiasi troverà. Allora si troveràquesta donna nobilissima quando si truova la sua cameracioèl'anima in cui essa alberga. Ed essa filosofia non solamente albergapur ne li sapientima eziandiocome provato è di sopra inaltro trattatoessa è dovunque alberga l'amore di quella. E aquesti cotali dico che manifesti lo suo mestiereperché aloro sarà utile la sua sentenzae da loro ricolta.
        E dico ad essa: Dì a questa donna"Io vo parlando del'amica vostra". Bene è sua amica nobilitate; chétanto l'una con l'altra s'amache nobilitate sempre la dimandaefilosofia non volge lo sguardo suo dolcissimo a l'altra parte. Ohquanto e come bello adornamento è questo che ne l'ultimo diquesta canzone si dà ad essachiamandola amica di quella lacui propria ragione è nel secretissimo de la divina mente!