|
![]() |
by
![]() |
![]() ![]() |
Leon Battista Alberti
DEIFIRA
PROLOGUS
Leggetemiamantie riconoscendo qui meco i vostri erroridiventerete o più
dotti ad amare o molto più prudenti a fuggire amore. E se leggendo forse
qualche sospiro o lacrima vi tienesiavi conforto poi che altrui ancora
pruova quel che voi leggete. Né sia chi stimi conoscere amorese può tutto
leggermi senza qualche poco sospirare; ancora sarà chi me leggerà lacrimando.
Ma provateamantie meco scorgete quanto in voi possa amore. E credo
imparerete qualche utilità a vivere amati e pregiati da' vostri cittadini.
DEIFIRA
PALLIMACRO. E quanto stimi tu sedere dentro a me grave quel doloreel quale
ancora tanto prema chi da lungi il mira? Quello incendio certo conviene sia
pur grandissimoil quale dentro a più muri inchiuso ancora nuoce a' prossimi
edifici. E non volereFilarco mioda me ora quello che la fortuna mia tanto
iniqua mi vieta ch'io possa. A me conviene avvezzare me stessi a quello in che
omaimentre che io vivasarà necessario continuo essercitarmiacciò che
questo uso in me renda meno aspro quel che ora troppo m'è acerbo. Fuggono i
sospiri miei altrove che ivi sempre essere ove in me arde il mio dolore; e le
mie lacrime cadendo pel seno tornano onde furono premute al cuore. E questo
mio dolore come cosa feroce e troppo mordacequanto più dentro al mio petto
starà rinchiuso e in oscuro nascosotanto forse dismetterà suo impeto e
rabbia.
FILARCO. Iovedendo te così solo errare fra queste selve tanto afflittonon
poteaPallimacro mionon maravigliarmi moltodisiderando sapere onde in
questo fronte tuosempre in altro tempo lietissimoora subito così fosse
tanto indizio di superchio dolore. Tu giovinebelloriccogentiledestro
virtuosoe più che qualunque altro di tua età e fortuna amato da tutti e
riverito; cognoscoti prudentestudiosoe in ogni laude e gentilezza tale
che io in me mai saprei desiderare felicità altra che questaquale a te ave o
la fortuna o la virtù tua concesso e acquistato. So quanto me stimi fra tuoi
fidatissimi amici. Per questo a me parse o debito o licito richiedere da te
che tu a mecome ad amicoimponessi parte di questi tuoi incarchiquali
così te atterrano in tristezza e miseria. Ed emmi teco intervenuto qual suole
chi appresso il fabro ben dubitava quel ferro fussi incesoma per più
certificarsi il prese e molto si cosse la mano. Così a me: ove io pure stimava
in te essere qualche non piccola molestia e ardentissima cura d'animoora io
la sento in questa tua risposta tale ch'ella troppo mi cuocee quanto ella
sia maggioretanto più a te desidero levarla. Non è solo utilema più virtù
levarsi dall'animo le cose moleste; e dove il dolore superchi le nostre forze
se gli vuol cederepoiché così solo il dolore si vince fuggendo. E tu stima
quanto giovi non tenere il corso a quella ruotasotto la quale stia il piede
tuo premuto. Ma poiché a te mai fu cosa sì cara della quale negassi me
essernequanto io volessiparticipequise questo tuo dolore a te pare
carofannequal suoglia mecome ad amicoparte. E se t'è molestonon
dubitare che forse noi due insieme potremo quello che tu solo non puoi. Per
certo io ti sarò in aiuto o a consiglio da qualche parte utile a vincere
l'avversità o a sofferirla.
PALLIMACRO. OhimèFilarco! Né oro né gemme né qual si sia grandissima
ricchezza possono a' mortali rilevare il dolore. E restaFilarcoresta meco
fare come a chi cade l'anello di mano in quello pelagoquale quanto più si
trassinapiù si intorbida e meno si scorge a ritrovarlo. Quanto più cercherai
conoscere le mie profonde miserietanto più a me rimescolerai l'animoe meno
da me le potrai discernere. Né cercare qui essermi utile in altro che in
aiutarmi piangerepoiché la fortuna così di me dispone.
FILARCO. OhimèPallimacro! Non piangere più. Rammentati in quanti modi tu hai
altrove vinta la fortuna con animo virile e fortissimo. E che giova tanto
dolersi de' casi avversise non ad aggravare e fare maggiore quel che troppo
ti spiace? Lascia questo officio alle femminele quali solo sanno fingere e
lacrimare. Vedi una minima ferita non governata quanto non rado diventi
mortalee qual si sia ferita profonda con aiuto e studio altrui spesso si
sani. Io sento in sue avversità gli altriper onestare il dolore suo e non
parere d'animo enervato o femminileaccusare o la iniquità di suoi nimicio
la perfidia di chi si siao la ingiuria della fortunae molto avere caro che
più e più persone sappino quanto e' sieno indegni di tanta calamitàe in quel
modo sfogano le fiamme della sua incesa ira e cocente dolore. Tu ora da chi ti
chiami tu offeso? Quale ingiuria ti sta qui tanto molesta? Quale stimolo te
tanto punge ad urtare te stesso con sì ostinato dispiacere e acerbità d'animo?
PALLIMACRO. Misero me! Misero me! Quanto i miei pensieri in me sono gravi
tanto più stanno profondi e meno li posso risollevare. L'onda che surge fuori
del sassodiscopre e muove le piccole petroline; le grandi stannoe quanto
maggiore onda sopraggiugnetanto più si coprono di minuta ghiaia. Tu con
questo argumentarequanto maggiore fiume d'eloquenza effunderaitanto più mi
darai materia da ricoprire quello ch'io né voglio né posso discoprirti.
FILARCO. E qual sarà in te cosa da non poterla comunicare con chi t'ama? E
quale segreto sarà sì dubbio che non si debbi aprire all'amico? Abbi ch'io
potrò riputarti non amicose tu mosterrai poco fidarti di me. Chi non si fida
teme essere ingannatoné si può amare colui in cui tu tema essere perfidia. E
chi non ama per certo non può essere amato. Il seme dell'amicizia sempre fu
amareonde poi si prende frutto quando pari te senti essere amato. E chi
conosce séquanto da me ti sentimolto amatoper certo erra non si porgendo
amico e aperto a chi l'ama. L'amicizia vuole fede e merito. Non manchi in te
fedetu mai da me arai che desiderare cosa quale io per te possa. Sempre me
arai pronto a meritare da te benivolenza e grazia. Ora o piacciati o
dispiacciatiio voglio sapere che doglia ti prema. Benché all'infermo
dispiaccia quello che lo sanapure si vuole prima sodisfare alla ragione che
al suo giudicio e falso gusto.
PALLIMACRO. Io amoFilarco. Io ardoFilarco. Io spasimo amando.
FILARCO. Ora bene in tutto scorgo io vero quel che si diceche uomo si trova
mai tanto felicein cui non sia molta e molta parte di miseria. In te ogni
cosa concorre a molto adornarti di felicità: patriaparentiamici
ricchezzegraziae fra queste vedi in che modo la fortuna immetta quel che
disturbi ogni tua dolce vita e riposo d'animoe fa in te un minimo pensiere
tanto essere grave e molestoche soprapesané lascia te gustare parte alcuna
della tua grande felicità. E quale errore ti teneva a non volere ch'io sapessi
quello che ora gioverà avermi detto? Ma sempre fu il primo comune errorein
quale peccano tutti gli amanti poco prudentiche quello che e' cercano più
occultarequel medesimo con loro guardi e sospiri a tutti discoprono sempre
ove non giovae dove gioverebbe discoprirsiivi fuggono fidarsi di chi loro
può essere molto utile. Né so come a chi ama tacendo pare dolce il suo dolore.
L'amore in uno giovane non si biasima. Anzi come a' nostri corpi umani sono
vaiuolirosolie e simili mali comuni tanto e dovutiche quasi troverai niuno
invecchiato sanza averli in sé provaticosì pare a me sia all'animo destinata
questa una infermità gravissima certo e molestissimaquale possa niuno quando
che sia non sentire. E beato chi pruova le forze d'amore in età giovinile
sanza perdere le sue magnifiche imprese e ottimi principiati studi. Beato chi
ne' teneri anni provando impara fuggire amore. Sogliono e' vaiuoli più nuocere
agli occhi annosi che a' fanciulleschi. Così per lo amore più pare s'accechino
le menti ferme e virili che le puerili e leggieri. Una medesima fiamma incende
un tronco annosoquale a pena abronza uno ramo verzoso. E si vuole in questa
età amando discoprirsi onesto amantepoiché amore mai fu chi potesse tenere
ascoso. Né si truova chi cerchi sapere le cose palesi. Veroma ciascuno quasi
da natura disidera più investigare quello che sia occulto. Né giova in sé
d'ogni minima cosa sospettareperò che alle grandi imprese poco nuoceno i
piccoli impacci. E benché forse da qualche parte sia da sospettaremai però
si vuole mostrarsi sospettosoperò che il tuo sospetto insegna sospettare
altrui. Sempre fu il sospetto indizio di mala mente. Mostrare d'amare dolce e
onesto mai fu nocivo e mai dispiacquema mostrarsi vinto da troppo amore
sempre fu dannosonon tanto appresso gli altri suoiquanto appresso di chi
tu ami. Questo costume troverai in ogni femminache mai amerà chi troppo ami
lei. Stimano le femmine servonon amantechi troppo loro stia suggettoe
godono non della molta affezione di chi loro sia troppo ubidientema del
servigioe per non perdere il servigiomai sofferano lo infelice amante esca
di tormento. Anzi per bene averlo suggettoogni dì porgono nuovo dolore. Ma
dimmiquesta quale tu amimerita ella essere amata da teperò che sarebbe
troppo biasimo amare persona di che tu avessi arrossirti quand'ella ti fussi
in presenza lodata?
PALLIMACRO. Oh felice chi può amare e non amare a sua posta! Io né potei fare
ch'io non amassiné posso restare di dolermi amando. NonDeifira mianon
Deifiranon meriti essere amata da me. Tu bellatu gentiletu leggiadra
sìma troppo sdegnosatroppo ostinatatroppo sospettosapoco pietosa. Uno
piccolo ghiaccio in una preziosissima gemma la 'nviliscee un atto sdegnoso
disonesta ogni bel volto. E benché tu così mi sia inimicaoh Deifira miatu
pure mi se' cara. E bench'io mi dolga esserti con mie lacrime giocopur mi
piace contentarti d'ogni mio male. Tu così vuoie io tanto posso sofferire
dolore quanto a te piace. Così amore m'ha insegnato offerirmi a qualunque
oltraggio. Quando che siapiangerai tuDeifira miaquando che sia
piangerai avere straziato mein chi tu conoscerai fede e amore più che in
persona qual mai fossiqual siaqual mai possi essere. Mai fuDeifira mia
mai fumai sarà chi tanto e con sì ferma fede ami quanto io amo tee
amerotti certo mentre ch'io viva; ancora e morto ti seguirò amando. Ma tu
tardi piangerai esser tanto tempo indarno da me stata amata. Ohimècon quante
lacrime desidererai il dolce perduto tempo e sollazzo!
FILARCO. E questo altro errore mi pare non piccolo in chi amache mai restano
tra se stessi pregarelodare e dolersi a chi non l'odee poi in presenza
dimenticano se stessistupefannodiventano mutio solo dicono cose di che
poi s'adolorano averle dette. E si vuole fra sé prima pensare che attiche
guardiche parolein che modo ogni minima cosa sia meglio e più utile a te e
più accetto a chi tu amie mai esserli in cosa alcuna ben minima se non grato
e giocondo: tacere non troppoparlare non superbochiedere gentile
ascoltare graziosorimirare dolcemotteggiare festivosollazzare vezzosoe
in ogni cosa usare facilitàcostume e leggiadra manierae piacerli in
qualunque virtù di te possi mostrarliprofferirteli tale ch'ella non ti
sdegnipartirsi tale ch'ella ti disideriritornare ch'ella s'allegri
vedertiudirtie rimirartisempre lasciarli che pensare di te cosa pur
lieta e amorosae così sempre seguire pascendo amore di dolci e giocondi
ragionamenti. Ma dimmiPallimacroin che modo cadesti tu in questo amore?
Cercasti tu il male tuocom'io vedo fanno moltiche per tutto porgono gli
occhi a qualche nuova ferita?
PALLIMACRO. Io né cercava né mi piaceva intrare sotto questa servitùquale
ora pruovo e prima da te avea udito troppo era grandissima. Ma certo i nostri
animi qualche volta non sono nostrie qualche volta ci conviene volere cosa
che ci duole. Quanto ioaffermo questoche sforzato mi convenne amare. Amai
contro a mia volontàvolli quello che mi dispiaceae dispiacevami quello che
al continuo pronto facea e dicea. Né però io restava di seguire dove la
fortuna mia me conduceva in tanta miseria in quanta ora mi truovo. Qui m'ha
condotto la fortuna mia. Ma quale uomo fussi sì duroil quale non amassi
sentendo sé essere amatoquanto certo io in molti modi conobbi me molto
essere amato?
FILARCO. E qui ancora peccano i giovanii quali stimandosi degni d'essere
amatisubito giudicano ogni minimo sguardo venire da grande amore. Sono e'
segni di vero amore cangiare colorerimirare fiso cadendo col sguardo dolce a
terraraccorsi sospirando.
PALLIMACRO. Molto più che questi erano certi segni d'amore quegli e' quali mi
vinsero ad amare. Oh Deifira miaa te ogni mio attoogni parolaogni cosa
mia piaceva. Tu fra le genti con gli occhi mi ricercavi da lungi; tu mai eri
sazia di lodarmi a tutti e proferirmi; tuquanto io era dove tu fussimai ti
pareva se non poco guardarmi in fronte ridendo e ragionarti meco. E quanto
spessotristo mevidi te rimanere addolorataove io da te mi dipartia. E
quante cagioni non raro fingesti per ritrovarti dove io fossi. E quanto
sospirando spesso accusasti meche sì tardo fussi ad amarti. E iomisero me
misero menon so quale allora presagio di miei ch'ora soffero mali
m'impaurivaonde forse giudicasti che io fuggissi teDeifira miail quale
ora ti seguo piangendo. Oh infelice me! Io dandoti più scuseDeifira mia
così t'insegnai quanto ora sai troppo straziarmi. Oh Pallimacro sfortunato!
Che sciagura fu la tua fabbricare e porre in mano l'arme a questa spiatata
con che ora ella mai si senta sazia d'accorarti! Questi qual sofferotutti
sono miei colpi; queste piaghe mortali sono in me da' primi miei errori.
Imparateamanti: non ubidite amore men che vi chiegga. Più che gli altri
piace quel destriere qual corre sanza troppe spronate. E chi fa quel che non
vuolesoffera due mali: quanto s'afaticae quanto gli dispiace. Ma tu
Deifira miasai bene ch'io da te merito se non pietate. Io mai fuggii
d'amarti; anzi cercai che l'amore nostro durassi sanza averci a pentire di
cosa alcuna.
FILARCO. Certo questi erano segni di vero amoreed era villania la tua
vedendoti amarese non accettavi aperto quel che tanto a te era proferto. Ma
sempre parenon in amare solo ma in ogni cosache i doni troppo proferiti
fastidianoe i dinegati diletti sollecitano a farsi disiderare. Amandoa me
né molto piacerebbe chi mi saziassi; e certo arei in odio chi mi si porgessi
troppo acerba.
PALLIMACRO. AhimèFilarco! Beato chi può d'ogni suo pensiero avere ragione.
Stima che grande cagione in questo mi facea così essere restio. Quel medesimo
solequale tu fiso miravi stamani quando e' surgevaora fra 'l dì in alto
cresciuto abaglia chi lo guarda. Così io da primo scorsi il mio male quando e'
nascevaquale medesimo fatto grande acceca ogni mia ragione e consiglio. Né
mi ritenni salire quella ertaonde ora stracco posso né scendere né
affermarmi.
FILARCO. E che adunque non fuggivi tu in tutto quel che tu tanto prevedevi
essere dannoso?
PALLIMACRO. PrevidisìDeifira miatutto conobbitutto da lungi scorsie
in parte prima ne feci te certa di quel che poi m'è teco intervenuto. Ma se
tuFilarco miohai di me oraquanto certo haicompassione vedendomi
perché io ami altruisì penosocome potevo io non avere piatà di chi amando
me ardeva?
FILARCO. Sempre fu debito d'umanità amare chi ami te. Ma dicesi officio ancora
di prudenza in ogni cosa aversi tale che a nulla sia troppo.
PALLIMACRO. Sai tu come uno grande e grave sasso con più fatica e tardezza si
volgema poi che comincia a rotolare alla china fracassandoa nulla si
ritiene. Uno piccolo e leggiero sassettopoca cosa lo muove e poco cespuglio
il ferma. Così gli animi nostriquanto più sono grandi e gravitantobenché
tardi mossimeno si possono in suo corso contenere. Non però rimase da me con
ogni astuzia e argumento storli dall'animo quello furore qualeio provonon
è in nostra libertà potere se non ubidirli. E poiché io al tutto provai ogni
mia industria ivi essere perdutaDeifira mai tu saiquant'io conosceatanto
m'ingegnava che tu amassi con modo e ragione. Ohimèche ancora io non sapea
quanto amando mai si possa in sé tenere ragione alcuna. E come il nocchiero
se mai vento superchio lo urteggiaper non correre con quello impeto in
qualche scogliosuole accomandare a poppa qualche pesoquale trainato
ritenga il troppo furioso corso della navecosì io a teDeifira mianon per
dartiqual mi dolea così dartiaffannoma per raffrenare il tuo disciolto
amoreora con metterti uno e un altro pure utile sospettoora con mostrarti
uno e un altro pericoloritardava il troppo ardito tuo correre ad amarmi. Tu
vedi ch'io soffero il mio male sanza tuo sconcioma del sinistro tuo caso
troppo mi sarebbe doluto. E per rendere in te meno ardente quelle fiammele
quali ora consumano meio ti profersi fare e direquanto poi sempre feci
qualunque cosa a te piacessi.
FILARCO. Oh pazzo Pallimacro! Tu adunque sì poco stimasti la libertà tua? Tu
stolto così te facesti servo d'una femmina? Tu in tutto sì matto stimasti
pietà fare a te uno umile servo essere signore? Non è pietà così nuocere a sé
per compiacere altrui. Non sapevi tu che le cose promesse non sono più di chi
le promise? Non dando quello che tu promettiacquisti odio; e dove il dai
non però a te cresce grazia. Tu adunque in un tratto perdesti quello di che
più volte a te ne sarebbedonandolostata referita grazia.
PALLIMACRO. Perdetti sìDeifira mia. Se tu così perseveri verso di me essere
ingratae se in queste bellezze sta sì grande impietàcerto in te commise il
cielo grande errore ponendo fra tanti beni un male sì grande. Ma io pure
conobbi il danno mioe savio e prudente entrai sotto 'l giogo. Ma così parse
a me officio d'animo nobileove diliberai amareivi non porre altro termine
all'amore se nonquanto faceatanto amare te quanto io potea.
FILARCO. Tu adunque stimasti debito a chi amadiventare servo?
PALLIMACRO. Oh infelici amantiimparate da me. Non sia chi amando cerchi di
sé avere libertate alcuna. Chi non può servirenon sa amare. Convienti spesso
ripregare benché spregiatoe spesso partirti con repulsa benché ingiustae
spesso picchiarti la faccia e 'l petto per troppe ingiurie benché sanza
ragione e cagione ricevutee non raro piangere e' tuoi e gli altrui errori. E
interviencioh miseri amanticome in la targa: quanto lo strale la truova
più doppia e duratanto più vi si ferma e affigge e con più fatica si sferra.
Così l'amore quanto più truova l'animo fermo e ostinato a repugnarlitanto
più vi si assiede e insiste. Non adunque sia chi insuperbisca contro amore
però ch'amore sa più severo aspreggiare e più tardi licenziare i contumaci
che chi umile il segue a ubbidirlo. Ubbiditeamantiubbidite allo amorené
più combattete con amore e con voi stessinon fate le piaghe vostre più
profondeaggravandovi in sul ferro che vi impiaga. Piacciavi piuttosto donare
voi stessi a chi v'assediache perdere combattuti ogni bene. Grandissimo dono
acquista poca graziaquando tu mal volentieri il dia. Uno lieto e pronto
servigio aspetta due premide' quali non sarà minore quello che si riferisca
alla volontàche quello che si renda all'opera.
FILARCO. Né qui a me piace lasciare te e gli altri amanti erraree' quali
poco conoscendo il costume delle femminesubito se li fanno servi. Sono le
femminecome ciascuno palese vededi natura troppo gareggiosae in ogni
cosa troppo godono contrapporsi e soprastare contendendo. Di qui nasce quello
antico proverbio appresso i comici poeti qual si dice: "Ove tu vuoiella non
vuole; se tu non vuoiella in pruova ti si profferisce"e questo certo non
per donarti grazia di sé alcunama per teco vincere concertando. Adunque
giova saperenon dico spregiarle né isvilirleperò che la femmina offesa mai
si ricorda dimenticarsi la ingiuria o grande o piccola cagione che la muova;
ma ben giovamostrandosi d'animo libero e a maggiori cose occupatofarsi
richiedere. E rammentiviamantiche piglierà più facile e più numero
d'uccelli chi sa allettarliche chi sa perseguirli. Conviensi co' be'
costumicon ogni virtù e gentilezza allettarle a prendere piacere di spesso
vedertionde a poco a poco s'incenda e acresca in loro amore. E iviamanti
fate qual suole l'uccellatore dietro alle coturniciseguendole con modo e
bellamenteché assai viene presto il termine quale sia certo; e contenete voi
stessiacciò che la troppo seguita amata non lievi sé in superbiaove poi
quanto più la seguite servendoella tanto più vi fugga. E se pureo vostra
disaventura o loro instabile naturacome femmine sempre apparecchiate a nuove
gareforse accennano di levarsitiratevi adrietoamantie lasciatele bene
prima consigliarsi. Cosa per vile ch'ella siapure duole a chi la perdee
niuna sarà tanto stoltala quale non pregi uno amante fra le prime carissime
cose. Onde avviene che chi prima si parteprima è richiesto. E se pureloro
superbia e stoltiziaelle saliscono in fastidirvivoifermatevi e
lasciatele straccarsidibattendosi co' suoi leggieri e volatili pensieri
tanto ch'elle scendano d'ogni alterigia e superbo sdegno; e così in loro
subito vederete mancato lo sdegnoritornato l'amore.
PALLIMACRO. Tutti questi e simili altri documenti are' io saputo insegnare ad
altri. Ma che giova sapere schermire a chi abbi legate le mani? Io così ora mi
truovoinfelicelegato in questa servitùin quale solo m'è licito piangere
la miseria mia. E felice chi può il suo male piangere palese.
FILARCO. Reputi tu miseria servire chiquanto tu diceviami te! Ogni servitù
certo fu sempre con dispiacerema ubbidire a chi t'amapare officio di
liberalità e cortesia piuttosto che di servitù. E beato colui el qualequanto
egli amatanto sente sé essere amato. Né vuolsi d'ogni minimo sinistro caso
tanto attristarsi. Voi amantise chi voi amate forse si mostra verso di voi
meno facile che l'usatosubito v'adolorate. Stolti amatorise non stimate
ogni astuzia e arte delle femmine essercitarsi solo per essere guardate da
molti e lodate. Né sa amare chi non può patire due ciglia crucciose in uno bel
viso.
PALLIMACRO. Ohimè! Sfortunato me! Meschino me! Niuno caso avversoniuna
infelicitàniuno dolore può avenire a uno amante quale non sia intervenuto a
mee qualemisero menon abbi troppo sofferto. Ma tanto mi si conviene
poiché ogni cosa mal volentieri principiata mal si finisce.
FILARCO. Mai fu amante che non si dolessi; mai fu amore non pieno di sospiri e
lacrime. Comune vizio di chi amache sempre interpetra dittiatti e fatti
pure in piggiore partee sempre argumenta pure contro a sée le più volte
crede quel che non èe di quello che certo siasempre dubita. Setevoi
amanticon la volontà troppo arditicon l'opera troppo timidicol pensiero
troppo astuticon l'astuzia troppo sospettosicol sospetto troppo creduli
col credere troppo ostinati. E si vuole del passato solo ridursi a memoria le
cose felici e lietee al presente prendere quanto el tempo ti concedee di
dì in dì sperare meglio e sanza troppa sollecitudine bene aspettare.
PALLIMACRO. O Filarcochi può quanto e' vuole nell'amorenon ama. Conviensi
volere quel che si può. E come posso io del passato non dolermipoich'a si
gran torto mi truovo avere perduto quel tutto che me faceva amando esser
felice? E come poss'io testé non piangerese ora il mio servire acquista
nulla altro che ingratitudine? Cosa si truova niuna tanto molesta e penosa
quanto servire e non essere gradito. E ora quale speranza a me qui può mai
rilevare una minima parte de' miei malipoich'e' tempiquali con tanto
desiderio aspettavamo a noiDeifira miapieni di piaceri e sollazzique'
medesimi a me sono con tanta tristezza e dispiacere passati? Oh fortuna mia
acerbissima! Que' luoghiquali io mi fidava fussono a' nostri diletti più
apparecchiati e attique' medesimi sono a me stati e chiusi e pieni di
repulsa. EhimèPallimacro infelice! E quelle personequali io mi pensava
fussero alle nostre espettazioni e disideriquanto doveanopronte e utili
tristo meohi tristo mequelle medesime sono state cagione d'ogni mia
calamità. Oraoh dolore mio acerbissimoda chi poss'io sperare più mai aiuto
alcunopoiché di chi io più mi fidopiù mi nuoce. Oh Iddioe quanto amore
fugge in piccol tempo!
FILARCO. Tristo Pallimacro! Quella tua Deifiraquale tanto amava tenon ama
ella più quanto solea?
PALLIMACRO. Non ami piùnoDeifira mianon ami meno. Ed èmmi teco
intervenuto come spesso si vede chi da lungi tiene il toro allacciato
seguendolo se forse fuggee gittandosi a terra se gli si rivolgee se si
fermain molti modi lo incita a muoversie così lo infesta perfino che volge
la fune a qualche fermo luogoonde poiscostatosiride vedendo el toro
legato solo nuocere a se stessoora cozzando al ventoora apparecchiandosi
indarno a nuovi combattimenti. Così tu a meDeifira mia; e poiché me stessi
ebbi avolto a quelle ferme promessequali fino a ora mi tengono a te
suggettotu subito cominciasti a riderti e pigliare giuoco d'ogni mia pena;
tu subito cominciasti a sdegnarmi. TuDeifira miaqual prima tanto eri lieta
vedendomiqual primatemendo stare qualche giorni sanza spesso rivedermi
lacrimastitu ora in pruova mi fuggi e me hai sanza cagione alcuna in
fastidio troppo e in odio. Tuquando mi veditroppo ti turbi; tu ancora
ohimènon raro a gran torto mi bestemmi. Oh Pallimacro sfortunato! Quella
nostra Deifiraquale vidi lacrimaredolendosi se forsequanto certo dovea
prendevo a ingiuria una e un'altra sua sdegnosa parolaquella medesima
quella Deifira tanto da noi amataquella Deifira che tanto me amavatesté
mai si sazia d'acrescermi ogni dì più e più dolore.
FILARCO. Pallimacronella vita de' mortali nulla si truova a chi non stia
apparecchiato il suo fine. Troia fu grande e altaBabillonia fu ricca e
possentefurono Atene ornatissime e famosissimee Roma fu temutariverita e
ubbiditaquanto tempo il cielo e sua sorte a ciascuna permise. Né tu adunque
pensa se non dovutose uno animo volubile e femminile verso di te non è quel
che solea. Pazzopiù volte pazzo chi crede in femmina mai essere costanza
alcuna. E certoquando bene in questa una fussi ogni fermezzapure al vostro
amorequando che siasi conveniva il suo fine. E stimaPallimacro mioche
mai lungo amore fu sanza molta copia di sospirilacrime e vario dolore. E
qualunque avverso caso nello amorequanto più vien tarditanto segue con
ruina maggiore. E vuolsi riputare in buona partese qui sia il fine de' tuoi
malilibero d'ogni altroquali talora vengono fra curucciati amanti
grandissimi scandali e calamità. E certo sempre mi parse vero che l'amore sia
fatto come il lattequale tanto piace quanto egli è ben fresco; poi
soprastando piglia troppi vizi. Così in amarequanto gli amanti studiano
porgersi accetti e benvedutitanto lieti vivonopieni di sollazzogiuoco e
festivi ragionamenti. Poi fermato l'amoresubito vi surgono sospettie dai
sospetti le gelosiee dalle gelosie nascono sdegnie di qui crescono il
vendicarsi e le inimicizie. E solo le inimicizie degli amanti si pruovano
essere acerbissime. E sono le femminequanto di meno consiglio e ragione
tanto più che gli uomini troppo sfidatesospettose e dispettoseonde per
minima cosa si truovano adiratee poiper mostrarsi giustamente crucciate
perseverano e crescono ad inimistà. Né troverai inimico sì capitaleche non
forse qualche volta con una tua parola si muova a pietà; solo il cuore della
femmina sdegnato indura per lacrime di chi l'amae a pena col sangue cancella
uno suo conceputo sdegno. Però si vuole non mai scoprirsi amantese non
quando vedi potere subito prima satisfarti che l'amore pigli suo' vizi. E
conviensi col tempo ardire molto più che chiedere. Natura delle femmine che
d'ogni cosa in che possa uscirne rossoreloro molto giova potere dire "io non
volea"; e godono vinte una e un'altra volta dare quello che più elle negano.
PALLIMACRO. Oh Filarco mioe chi non sa quanto poco si possa qualunque cosa
troppo disideri?
FILARCO. Ahimènon piangere piùPallimacro mionon piangere più. E dimmi
qual grandissima cagione mai fu quella che in lei spegnessi sì ardente amore?
Sogliono le fiamme amorose spesso abbagliaresìma non sanza grandissima
ruina amorzarsi. Piacciati narrarmi ogni cosa. Non fare quale fanno questi
altri amantii qualiafflitti e mestisubito si richiudono in solitudine
donde col troppo ripensare stracchi escono sanza aver pensato a nulla. Agli
animi affannati nuoce ogni solitudinee troppo giova appresso gli amici
ragionando posare la gravezza delle sue cure. E che faiPallimacroche pur
miri a terra fiso e muto? Rispondipregotie ragionando dimenticherai in
parte il tuo male. Fue tuo o pure suo errore cagione di tanta vostra
discordia?
PALLIMACRO. Non fu miononé in tutto tuo erroreDeifira miano. Anzi la
iniqua mia fortuna così fa te verso di me essere ombrosa e schifa. E bene
presentii e predissi questa ruinaquale ora mi tiene soppresso in tanta
calamità. Ma puossi mai chiudere tutte le vie al male che de' venire? E come
all'acquaquanti più rivi gli otturitanto con più impeto rompe in altro
corsocosì l'avversa fortunaquanto più te le contraponitanto più si carca
e irrompe ove mai aresti dubitatoe a uno tempo qui ne viene con quella furia
quale in più rami prima si sfogava.
FILARCO. Niuna iniqua fortunaniuno caso avverso mai valse rapire la
benivolenza di chi veramente ami. Né qui sia in argomento altri che te stesso
il quale soffrendo tanto dolorepure seguiti amando. E quella tua Deifira
così verso di te sarebbe certo il similese in lei fusse quanto in te fede e
fermo amore. Ma qual caso fu questo vostrotanto da maladirlo?
PALLIMACRO. Certo sì da maladirlo. ParsegliFilarco mioche una e un'altra
forse più bella di lei troppo a me si proferissequale essa in parte ad altri
si proferiva. Parseglitristo meingiuria del nostro amorese altri
accendeva i suoi lumi al nostro fuoco. Ohimèquanto son brievi e molto
fallaci i dolci spassi d'amore. ParsetiDeifira miada credere a chi ti
confermava ogni tuo sospetto. Oh miseri amantiimparate da mecredete a me
il quale molte lacrime e molti dolori hanno in questo già fatto essere
maestro. Fuggite tanto male. Tenete e' gaudi vostri amorosi drento a' vostri
petti ascosiacciò che invidia alcuna non ve li possa perturbare. E stieno
gli occhi vostri sempre volti non altrove se non dove l'animo risiede. Né mai
movete l'usato seggio al già fermo amore. Sia in voi uno solo pensiereuno
solo servireuno solo amorese non volete poi com'io adolorati piagnere il
vostro errore. E s'io così piangonon avendo errato in altro che solo in non
provedere a ogni altrui sospettoquanta sarà punizione in coluiel quale del
suo peccato arà niuna scusa!
FILARCO. E questo ancora sarà non poco errore in chi amase e' forse stimerà
perfidia non aversi al tutto dedicato a chi verso di lui serva né fede né
pietà. Stolto chi tende tutti i lacci suoi a uno solo varco. Vuolsi avere più
porti dove ridursi da' contrari venti. E in amare mi piace avere chi me riceva
se altri forse mi commiataNé può correre se non lento chi non arà con chi e'
gareggi. E vedi quanta utilità qui sarebbe a tese chi ti si profferiva
avessi da serbare caro la sua parte del tuo amore. Prima tu con arte aresti
quegli amori guidatiquanto quello di Deifiratanto bene e occultoonde
sospetto in lei mai sarebbe fermo; e poi aresti con chi ora giucando
dimenticarti ogni altra ricevuta ingiuria. Ma poiché la fortuna tua qui t'ha
conduttomisero Pallimacrorestaquando che siaessere a te stessi
inimicoe giudica perduto quello che sia perduto. Assai vedesti più e più
giorni nel tuo amore lieti e felici. Tu allora andavi e stavi dove Deifira
voleva; ivi si faceva e diceva cose giocose e lietequanto a lei piaceae a
te non dispiacea. E così certo furono que' dì pure chiari e sereni. Ora ella
turbata ti fastidiasanza ragione e cagione alcuna ti sdegna. Adunque tu
Pallimacro miocon molta ragione non seguire avendo tanto in odio la tua
libertàche tu pur doni te stessi a chi ti sdegna. Se a lei non duole perdere
uno fedele amantené a te pari dolga uscire di tanta servitù. Parmi ingiuria
pur servire a chi non voglia essere servito. Non può se non dolerti una e
un'altra volta così lasciare quello che a te solea essere grato e caro. Ma
vinci te stessoe vincerai amore. Non curare vedere chi te mira con dispetto.
Non salutare chi drento a sé ti bestemmia. Non essere servo a chi non ti sa
essere umano signore. Resta omai essere giuoco a chi gode d'ogni tuo dolore e
miseria.
PALLIMACRO. Che vuoi tu ch'io facciaFilarco? Io mai potrei indurmi
nell'animo fare o dire cosa che a costei dispiacessi: ed èmmi tormento vederla
se non lieta e contenta. S'ell'è ingiusta verso di mequando che siase ne
pentirà e doleralli. Intanto io fra me mai abbandonerò d'amarlae in
qualunque modo molto servarli onore.
FILARCO. Lodoti Pallimacroe certo in questo mostri quanto in te sia
gentilezza e costume. E troppo ti biasimereise tucome questi altri villani
e dispettosi amantinon secondandoli tutte le cose quanto bestiali troppo
chiedonosubito con sdegno e minacci vendicandosinon si vergognano rendere
misere e afflitte le infelici amatequali pure testé loro tanto erano care;
né li pare peccato adoperare ad ingiuria quello che gli sia stato donato per
amore e cortesia. Troppo certo sarà contrario a ogni nobile e buona naturase
dello amore nasce inimistà. Lascino e' gentili amanti usare dispetti e sdegni
a' puri villanipoiché gentilezza sempre fu piena d'umanità e facilità.
Gentilezza non serba sdegnoe ogni sdegno verso chi te ami sente d'ingiuria.
Ma bene ti confortooh Pallimacro mio: quello che tu vedi esserti dalla
iniqua fortuna tua vietatoquello che tu pruovi quanto chi facile puònon
vuole usare teco pietate alcunaquel che tu conosci esserti da' tempida'
luoghi e da tutte le cose vietatonollo volere; deliberaquando che sia
averti libero. Oh che beata cosa vivere a se stesso vacuo d'ogni cura!
PALLIMACRO. OhimèFilarco mioche poss'io di meov'io tutto sono d'altrui?
Tuo sono ioDeifira miae tuo voglio essere. Tuquanto di me vuoitanto
sia. O piacciati provare la pazienza mia vendicandotise mai fui non quanto
doveopresto ad amartio piacciati gloriarti d'avere amante chi per niuno
oltraggio resta di servirtiio non però mai mi dimenticherò le tue molte meco
gentilezze. Stannomi scritti drento al mio petto e' tuoi vezzosi sguardi
dolci atti e dolci parolecolle quali mi vincesti ad amarti. Io sempre verso
di te sarò fedelequal sempre fui. Tale sarà l'ultimo mio dì nel nostro
amorequale stati sono tutti gli altriquanto vorraioffiziosi e pronti.
Una ora medesima finirà in me vita e amore.
FILARCO. E quanta bene troppo mi pare gentilezzadi porto chiamarti in nave e
poi lasciarti solo in alto e tempestoso maree sé ridursi al sicuro; ove
s'ella così fa per vendicarsicerto poco merita essere amata. Amore non vuole
vendetta. Vendetta viene da nimistà. S'ella così sanza cagione ti strazia
certo ella molto merita essere odiata. Chi sanza ragione ingiuria un suo qual
sia forse inimicocostui usa tirannia. Pertanto nuocere a chi te ami
verrebbe troppo da crudelità e bestialità. Ma giudica tu di Deifiranon dico
quanto da lei pruovima quanto a te piace. E qui dimmi: quale a te sarebbe
più caroo uscire in libertà o vivere in questi tormenti? Non sarebbono
ubbiditi i signorise non potessino dare e torre a' suoi dimolti beni. A te
può Deifira torre nulla che tuo sia. Chi resta d'amareperde l'amorenon el
toglie ad altrui. E tu adunquese così vuoiquanto si convienelibertà e
quietedisponi non volere da costei cosa ch'ella ti possa daree sarai
libero. Resta di volere e sarai libero. E poca ti sarà fatica non voler quel
che tu già non puoi avere. E vero costeiche potrebb'ella mai darti cosa
degna alle tue virtù? Non onorenon ricchezzanon famanon grado o
dignitate alcunaquali tutte con minore fatiche molto acquisterestise tu a
quelle tuo tempo e ingegno tanto consumassi. El tempo e la fatica indarno
spesa si può chiamare gittata via. E caro a tese tu da questa tua Deifira
non ricevessi pure infiniti dispiaceri. Ché se forse ti piace vedere un bel
visomolti più be' visi che il suo spesso ti s'aprono lieti e dolciquando
la tua Deifira superba si chiude in troppo sdegno. Se t'è piacere uno grazioso
sguardomolto più vezzosi e angelichi occhi tutto il dì bello t'accolgono
quando la tua Deifira dispettosa ti schifa. Se t'è piacere uno festivo
motteggiaremolte più giocose e cortese che lei ti chiamano spesso a
ragionarti e ridersi tecoquando la tua Deifira ostinata o solo tace muta o
risponde cose che t'adolorano. Ma io veggio l'errore tuoin che ancora
peccano tutti gli amantiche tengono a viltà non seguire lungo l'amorosa
impresa. Stolti amantistoltise pure terrete stretto in mano cosa quale
dove più la stringetepiù vi pugne. Forse ancora tusciocco Pallimacroti
credi da costei essere amato. CredimiPallimacroa Deifiraamando te
dorrebbono le pene tues'ella non avessi te troppo a odio. Ella certo non
potrebbe non piangere vedendoti tanto afflitto. Se questa tua Deifira
Pallimacro miofussi d'animo verso te non molto inimicissimoellanon
dubitaremai goderebbe così straziarti. Pigliane argumento da te stesso.
Perché tu vero ami leitroppo ti duole mirarla se non lieta e contenta.
Adunque s'ella poco ama tes'ella tanto t'è inimicatu qui omai esci di
tanta servitù; prendi virile animo di te e buon partito. Una sola volta ti
dolerà tagliare quel membro quale al continuo troppo ti tormenta. So iosìa
te parerà aspro lasciare quanto hai in uso quella e quell'altra ora vederla e
salutarla. Ma stima che niuno incarco in amore sta sì graveel quale non sia
molto leggiero a chi lo voglia sopportare; e incarco per sconcio e smisurato
che siadiventa leggiero a chi el depone. L'amore cresce per usoe per
disuso scemané si puònoun lungo amore perdere in un dì. Ma quella via
sarà prestissima quale sia sicura. Conviensi posare lo incarco amoroso destro
in terrase esso male te priemee non gittarlo in modo che si rompa in su'
piedi tuoi in vendetta e nimistà. Comincia adunque a interlasciare una ora
poi intermetti un dìe così accresci ogni dì più il dimenticarlapersino che
tu stesso aùsi te a stare più e più e dì e ancora mesi sanza vedere chi t'è
inimica.
PALLIMACRO. OhimèDeifira miacome ti crederò io mai essere a Pallimacro tuo
inimica? Tu da me mai non in dettinon in fatti offesa; tu sempre da me
onorata e adorata. Io mai a te fui grave o importuno se non forse in troppo
amarti con fede e mirabile pazienza. E che più poss'io? Che vuoi tu da me
Deifira miache vuoi tu da me?
FILARCO. Dicotelo io. Ella così vorrebbe mai ricordarsi di te se non quanto ti
vedee te vorrebbe sempre stare adolorato consumandoti e spasimando per
troppo amore. E tanto ti rammentoPallimacroche la femmina sa solo o amare
o troppo odiare. Presto s'incende uno cuore femminile ad amore; molto più
s'infiamma presto di crucci e odioné in altro serba costanza alcuna la
femmina se non in mantenere gare e crucci. E rammentotiPallimacroche alla
femminaquando amasempre piace qualunque cosa faccia e dica chi ella amae
da lui accetta ogni cosa sempre in migliore parte. Vero e così sempre sdegna e
riceve a dispetto e interpetra pure in male tutto ciò che facci chi già gli
sia in odio. Tu adunquequante più cose farai per piacerlitante più gliene
dispiacerannoe più te ne inimicherà.
PALLIMACRO. Sarà mai tanta avversità nel nostro amore che io possa credere te
essere a meDeifira mianimica. E che vita sarà la mia misera e dolorosa?
FILARCO. Anzi sarà libera d'ogni cura e sollicitudine la tuanon amerai; e
sarà misera vita a Deifiraquando in lei ardono suoi crucci e suoi sdegni
PALLIMACRO. E potrò iochemai rimanere d'amartiDeifira mia?
FILARCO. Mal si sa quel che si puòse non si pruova.
PALLIMACRO. AhimèFilarco mioa me interviene come a chi ne porta in petto
fitto il ferroonde con esso vive morendo in dolorené dubita che subito
sanza esso cadrebbe in morte. TeDeifira miaporto io drento al mio petto;
teco dì e notte fra me mi ragiono; te sola veggo negli occhi e fronte di
qualunque altra bella; tu una guidi me e mia vita; tuDeifirami consumi a
morte; sanza te né voglio né posso vivere.
FILARCO. Serbare ostinato il male suo viene da furore. E sogliono i prudenti
fra' primi rimedi a questo male così ricordareche le faccende maggiori
dimenticano gli ozi dell'amore.
PALLIMACRO. EhiFilarcoparti poca faccenda contentare una femmina? Parti
poca faccenda contentare se stesso amando?
FILARCO. Hau! Anzi una sola femmina a me pare molto e molto male per più
uomini che per dodici. Ma pure a levare dall'animo tanti tuoi pensieri
acerbissimi e amarissimigiova pigliare altra faccenda e scostarti dall'animo
queste fiamme quali te si consumano. Vorrei io vederti co' tuoi amici in villa
seguitare o 'lupo o l'orsoe così fuggire quest'altra molto più bestiale
bestianon dico femminama amore.
PALLIMACRO. Questo conosco io per pruovaFilarcoche quanto più scosti la
corda dall'arco tesotanto più ti stracca a contenerlae tanto con più
impeto ritorna qual prima era.
FILARCO. E dove questo nulla giovassia me pare poca prudenza fuggire tutti
gli altri diletti. Sarebbeti utile così al continuo darti tra molti
sollazzevoli amiciappresso i quali tu insieme lieto dimenticassi chi t'è
molesto.
PALLIMACRO. Che crediFilarcoper metter margherite e gemme in uno vaso pien
d'acquache e' manco forse traboccassi? In uno animo pieno di tanta tristezza
quanto è il mionulla più vi si può immettere che non facci sopratraboccare
il dolore.
FILARCO. Sia cosìné io però mi scoprirei tanto addolorato; e questo per non
essere grave a chi me amae per non fare contento chi del mio male godessi. E
si vuol fingere non curare quel che altri in dispetto fa perché tu molto curi.
Così fallito il suo pensieroresterà d'esserti in quella parte molesto.
Sempre fu utile in oscuro tendere le suo rete.
PALLIMACRO. Part'egli forse meglio vestirsi d'ortica che mostrarsi nudo?
FILARCO. Pare a me certo meglio mostrarsi cruccioso verso chi te ingiuri che
addolorato. E parmi cosa troppo servile contro la ingiuria avere nulla se
nonne il dolersene. E alcuni incendi sono quali meglio si spengono con ruina
che con acqua. E quanto iooffeso a tortocerto a ragione mosterrei mio
sdegno per non dare di me licenza ad altri più che a me stessi.
PALLIMACRO. Non credere che gioviFilarconoportare in mano accese le
braci per più scaldare altrui: e col mio cruccio infiammare l'ira a chi può in
me quanto e' vuolesarebbe uno accrescermi tormento.
FILARCO. E per meno sentire questi tormentipoiché si dice l'uno chiodo
caccia l'altroche non accetti tu qual si sia una di tante bellissime e
leggiadrissime donnequali così tutto il dì a te molto si profferiscono? E'
nuovi piaceri discacceranno i tristi antichi tuoi pensieri.
PALLIMACRO. Io non so donde a me tanto sia nato uno incredibile fastidio verso
tutte le femmineche non posso sanza grave stomaco mirarne alcuna. Solo tu
Deifira mianon mi dispiaci. Sola Deifira viene agli occhi miei non ingrata.
FILARCO. E beato a tese quanto l'altre tutte meno a te piacciono che
Deifiracosì tanto più che l'altre a te quest'una Deifira dispiacesseché
aresti l'animo tuo libero a maggiori tue e molto eterne lode. Ma poiché qui
non dài luogo ad altri più facili rimediuno solo ci restael quale te possa
restituire in libertà. FuggiPallimacrolungidove tu né vegga né oda
ricordare Deifirané madre né sorelle né de' suoi alcuno. Quanto più te
scosteraitanto più si straccherà l'amore a perseguitarti. L'amore non molto
nutrito in ozio di lieti sguardi e dolci ragionamenti perisce.
PALLIMACRO. Misero Pallimacrotu adunque fuggirai la patria tuaparenti
amici tuoi. E qual tuo vizio tanto te priva di così tue carissime e gratissime
cose? Ohimèamare troppo altri più che me stessi così d'ogni mio male mi sta
cagione. E tu adunquePallimacroin istrani paesi fuggirai errando solo e
molto piangendo la tua miseria. Sfortunatotroppo sfortunatoe qual tuo
peccato a te qui mai a te retribuisce tanta infelicità? Ohimèservire con
troppa fede a chi m'è ingrata fa me così troppo essere infelice. Ehimeschino
Pallimacrotu adunque in essilio starai soffrendo in te pene della
ingiustizia d'altrui. E questi nostriDeifira miafra noi lietissimi risi e
copertissimi motteggi oratua ingiuriacosì a me fruttano aperte lacrime e
dolore. E da quelle antiche tra noi dolcissime e vere dolcissime piacevolezze
ora così per tua impietà mi truovo caduto in tanta miseria. Oh Iddio! Gli
altri amando ricevono di loro fede qualche graziabenivolenza e cortesia. A
me solopiù che gli altri fedelissimoin premio è dato sdegnoodio ed
essilio. Addiopatria miaaddioamici miei. Pallimacrotroppo fedele e
troppo suggetto amantefugge in terre strane a vivere piangendo in essilio. E
tuDeifira miaora sanza me che vita sarà la tua? Chi verrà a salutarti? Chi
tornerà spesso a farti lieta? Chi seguirà te molto amando? A chi ti porgerai
tu ornata? Chi ti loderà? Chi quanto io mai ti renderà onore? Tugiovinetta e
bellasederai fra l'altre sanza avere chi molto pregi le tue bellezzeo te
piacerà donare a nuovi amantipoiché tu così hai a torto escluso e gittato
chi te più che se stesso amavaama e sempre amerà. AddioDeifira mia. Io ne
vo in essilioné so del tornare.
APPENDICE A DEIFIRA.
Se a me fosse licitovalerosa ed accorta mia donnapalesemente cridare e
piangere in questa mia crudele partitasiate certa che li stridi di Vulcano
né di Cariddiné li gridi della dolorosa Didoforo mai sì grandiche li mei
non fossero molto maiori. Ma cognosco veramentesperanza dell'anima miala
quale se notrica per voi ne lo amoroso focoche 'l cridare e piangere è più
presto da animo feminile che verile. Resta solounico mio benefra me stesso
condolermi con grave penee lamentareme della iniqua e perfida fortuna e
crudel mio destino che me ha condottonon possendo scusarla. Ve supplico
regina del mio cuoreche non ve adirate de questa mia partitama pregate Dio
che me riduca alla vostra graziaché senza la quale al mondo non voria stare.
Fà che non manchi l'amorosa voglia
el ben volerel desiderio antico;
considra quel ch'io dico
ninfa mia bella e pace del mio cuore;
abbi mercé al mïo gran dolore.
Vidi fortuna a quel che m'ha condutto.
Qual serà mio redutto
se non la morte agli aspri martiri?
Pöi che mi convien<e> pur partire
superna Dianastella de orïente
fà che 'l caro servente
abbi nel petto con devoto cuore.