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Hans Christian Andersen

 

FIABE

 

 

 

  • L'ACCIARINO
  •  

    Un soldato arrivava marciando per la strada maestra: Undue! Undue!

    Aveva uno zaino sulle spalle e una spada al fianco: era stato in guerra e ora ritornava a casa. Lungo la strada incontrò una vecchia stregaripugnante e col labbro inferiore lungo fino al petto. Questa gli disse: "Salvesoldato! Hai proprio una spada e uno zaino enormi!

    Sei un vero soldato! Adesso potrai avere tutti i soldi che vorrai!".

    "Grazievecchia strega" le rispose il soldato.

    "Vedi quel grosso albero?" chiese la stregaindicando un albero che si trovava lì vicino. "Dentro è completamente cavo. Dovresti arrampicarti fino in cima per vedere il buco da cui potrai calarti per arrivare in fondo all'albero. Io ti passerò una corda alla vita per poterti tirare suquando me lo dirai".

    "Cosa dovrei fare nell'albero?" chiese il soldato.

    "Prendere i soldi!" gli fu risposto. "Devi sapere che in fondo all'albero troverai un largo corridoio tutto illuminatodato che ci sono più di cento lampade. Ci sono tre porte che puoi aprireperché c'è la chiave nella serratura. Quando entrerai nella prima stanzaci sarà sul pavimento una grande cesta con un cane seduto sopra; il cane ha gli occhi grandi come due tazze da tèma non ti devi preoccupare.

    Io ti do il mio grembiule a quadretti che stenderai sul pavimento; poi vai tranquillo dal cane e spostalo sul mio grembiuleapri la cesta e prendi tutte le monete che vuoi. Queste sono di ramese invece le vuoi d'argentodevi passare nella seconda stanza; lì c'è un cane con gli occhi grandi come due ruote di mulino; ma non temerese lo metti sul mio grembiule puoi prendere tutti i soldi che vuoi! Se invece preferiscipuoi avere delle monete d'oroe tante quante ne potrai trasportare; è sufficiente che tu entri nella terza stanza. Ma il cane che sta sulla cesta delle monete ha gli occhi grandi come la Torre Rotonda di Copenaghen: quello è un cane per davverocredimi! Ma non preoccuparti! Posalo sul mio grembiulelui non ti farà nientee tu potrai prendere dalla cesta tutto il denaro che vorrai".

    "Non è certo una cattiva idea!" disse il soldato. "Ma che cosa devo dare a tevecchia strega? Perché posso ben immaginare che vorrai avere qualcosa per te".

    "No" ribatté la streganon voglio nemmeno un centesimo. Tu devi solo portarmi un vecchio acciarino, che mia nonna aveva dimenticato l'ultima volta che era stata laggiù.

    "Bene! Allora legami la corda intorno alla vita".

    "Ecco fatto!" replicò la stregae questo è il mio grembiule a quadretti bianchi e turchini.

    Allora il soldato si arrampicò sull'alberosi lasciò calare nella cavità e si trovòcome la strega aveva previstoin un grande corridoiodove ardevano centinaia di lampade. Aprì la prima porta. Lì sedeva il cane con gli occhi grandi come tazze da tèche gli abbaiava contro.

    "Sei proprio un bel tipo!" disse il soldato; lo mise sul grembiule della strega e prese tutto il denaro che poteva stargli nella tascapoi chiuse la cesta e vi rimise sopra il cane. Subito dopo entrò nella seconda stanza. Uh! lì c'era il cane con gli occhi grandi come ruote di mulino.

    "Non dovresti guardarmi così a lungo" disse il soldatopotrebbero farti male gli occhi!e così dicendo posò il cane sul grembiule della strega: ma quando vide le moltissime monete d'argento nella cestagettò tutte le monete di rame che aveva raccolto e si riempì le tasche e lo zaino con le monete d'argento. Poi entrò nella terza stanza. Che orrore! Il cane che si trovava lì aveva veramente due occhi grandi come la Torre Rotonda di Copenaghen! e gli giravano nella testa come due ruote.

    "Buona sera" disse il soldato e si tolse il berrettodato che non aveva mai visto un cane similema dopo averlo osservato per un po'pensò che ormai bastavalo posò quindi sul pavimento e aprì la cassa - santo cieloquanto oro c'era dentro! Avrebbe potuto comprare tutta Copenaghen e tutti i maialini di zucchero delle venditrici ambulanti e tutti i soldatini di piombole fruste e i cavalli a dondolo del mondo. Erano un bel po' di soldi!

    Allora il soldato gettò tutte le monete d'argento che gli riempivano le tasche e lo zaino e le sostituì con quelle d'orosìle taschelo zainoil berretto e pure gli stivali vennero riempiti tanto che il soldato non poteva quasi camminare. Adesso sì che ne aveva di soldi!

    Rimise il cane sulla cestachiuse la porta e gridò lungo il tronco cavo:

    "Tirami suvecchia strega!".

    "Hai preso l'acciarino?".

    "E' vero! me ne ero completamente dimenticato" e così andò a prenderlo. La strega lo tirò su e lui si trovò sulla strada maestra con le taschegli stivalilo zaino e il berretto pieni di monete.

    "Che cosa ne fai ora dell'acciarino?" chiese alla strega.

    "Che ti importa? Ormai ti sei preso il denaroquindi ora dammi l'acciarino".

    "Quante storie!" le rispose il soldato. "Dimmi immediatamente cosa vuoi fare dell'acciarinoaltrimenti ti taglio la testa con la mia spada".

    "No!" gridò la strega.

    Così il soldato le tagliò la testa. La strega giaceva a terra. Il soldato mise tutte le sue monete nel grembiule della stregalo annodòse lo mise in spalla come un fagottosi infilò l'acciarino in tasca e si incamminò verso la città.

    Era una bella città e lui entrò nella migliore locandapretese per sé le stanze migliori e il cibo che più gli piaceva: tanto ormai era riccocon tutti i soldi che aveva.

    Il servitoreche gli doveva lucidare gli stivalipensò fra sé che quelli erano troppo malandati per un ricco signore qual era il soldatoche non ne aveva ancora comprato di nuovi; il giorno dopo però si comprò degli stivali e degli abiti eleganti. Ora era diventato un signore distinto e gli raccontarono delle bellezze del villaggio e del loro re e di quanto graziosa fosse la sua figliolala principessa.

    "Dove si può vederla?" domandò il soldato.

    "Non è assolutamente possibile vederla!" risposero tutti insieme.

    "Abita in un grande castello di rametutto circondato di mura e di torri. Nessunoeccetto il repuò farle visitaperché è stato predetto che sposerà un semplice soldato e questo al re non piace affatto".

    "Mi piacerebbe proprio vederla" pensò il soldatoma non poté ottenere il permesso.

    Così il soldato viveva allegramenteandava a teatropasseggiava nel giardino reale di Copenaghen e dava ai poveri tanto denaro - e questo era ben fatto. Lo sapeva bene dai tempi passatiquanto fosse brutto non avere neppure un soldo. Ora era ricco e aveva abiti eleganti e si trovò tantissimi amici tutti a ripetergli quanto era simpaticoun vero cavaliere e questo al soldato faceva molto piacere. Ma spendendo ogni giorno dei soldi e non guadagnandone maialla fine rimase con i soli spiccioli e fu costretto a trasferirsidalle splendide stanze in cui aveva abitatoin una piccolissima camerettaproprio sotto il tettoe dovette pulirsi da sé gli stivali e cucirli con un ago da rammendoe nessuno dei suoi amici andò a trovarloperché c'erano troppe scale da fare.

    La sera era molto buia e lui non poteva neppure permettersi un lumecosì ricordò che c'era ancora un po' di pietra con l'acciarino che aveva preso nell'albero cavo in cui lo aveva calato la strega.

    Prese la pietra e l'acciarinoma non appena sfregò per avere del fuoco e le scintille schizzarono dalla pietra focaiala porta si spalancò e comparve il cane che aveva gli occhi grandi come due tazze da tè e che il soldato aveva visto nell'albero; il cane gli disse:

    "Che cosa comanda il mio signore?".

    "Cosa?" chiese il soldatoè proprio un bell'acciarino, ora posso ottenere quello che voglio. Procurami del denaro!ordinò al canee hop! il cane sparìma subito ricomparve tenendo in bocca un grande sacco pieno di monete.

    Il soldato capì quanto era prezioso quell'acciarino. Se lo sfregava una voltacompariva il cane che stava sulla cesta delle monete di ramese invece lo sfregava due volteveniva quello delle monete d'argentocon tre sfregamenti appariva quello delle monete d'oro.

    Il soldato si trasferì nuovamente nelle stanze lussuosesi rivestì di splendidi abiti e subito tutti i suoi amici lo frequentarono e gli dimostrarono molto affetto.

    Una volta pensò: "E' proprio un peccato che non si possa vedere la principessa. Tutti dicono che sia bellama che cosa importase deve restare per sempre chiusa nel castello di rame dalle molte torri. Non posso proprio riuscire a vederla? Dov'è il mio acciarino?" e così lo sfregò per avere il fuoco e gli apparve il cane con gli occhi come tazze da tè.

    "Siamo nel pieno della notte" disse il soldatoma io desidero immensamente vedere la principessa, anche per un solo istante.

    Il cane era già uscito dalla stanzae prima che il soldato se ne rendesse contolo vide di ritorno con la principessa; era addormentata sulla schiena del cane ed era così graziosache chiunque poteva vederlo che era una principessa: il soldato non poté fare a meno di baciarladato che era un vero soldato.

    Il cane poi se ne ripartì con la principessama al mattinomentre il re e la regina prendevano il tèla principessa raccontò di aver fatto uno strano sogno quella nottedi aver sognato un cane e un soldato.

    Lei aveva cavalcato quel cane e il soldato l'aveva baciata.

    "E' proprio una bella storia!" esclamò la regina.

    Una delle vecchie dame di corte fu messa la notte successiva a vegliare il letto della principessaper scoprire se era stato proprio un sogno o qualcos'altro.

    Il soldato desiderava ardentemente di rivedere la bella principessa e così il cane giunse di nuovo nel palazzoprese la principessa e corse più forte che potéma la vecchia dama di corte s'infilò gli stivali e corse altrettanto in fretta; così vide che entravano in una grande casa e pensò: "Ora so qual è il posto" e fece una grossa croce con il gesso sul portone. Poi tornò a casa a coricarsi; e anche il cane riportò a casa la principessa; ma quando vide che era stata fatta una croce sul portone della casa in cui viveva il soldatoprese lui stesso del gesso e segnò con una croce tutte le porte della cittàe questa fu una buona ideaperché così la dama di corte non poté più trovare la porta giusta: c'erano croci dappertutto.

    La mattina presto il re e la reginala dama di corte e tutti gli ufficiali uscirono per scoprire dove era stata la principessa.

    "Eccola!" disse il re quando vide la prima porta segnata con una croce. "Noè quellamaritino mio" replicò la regina che aveva trovato un'altra porta con la croce.

    "Ma come? lì ce n'è unae là un'altra!" dissero tuttiquando videro che c'erano croci su ogni porta. Così capirono che quella trovata non serviva a nulla.

    La regina però era una donna molto furbamica capace soltanto di andare in giro in carrozza. Prese la sua grande forbice d'orotagliò un pezzo di seta e ne fece un sacchettino; poi lo riempì di piccoli semi di granolo legò alla schiena della principessa e infine gli fece un bucocosì il grano poteva segnare la strada che la principessa percorreva.

    Di notte arrivò di nuovo il canesi mise la principessa sulla schiena e corse con lei dal soldato che le voleva molto bene e desiderava tanto essere un principe per prenderla in sposa.

    Il cane non si accorse che il grano segnava proprio il percorso dal castello alla finestra del soldatoda cui si arrampicava con la principessa. Il mattino dopo il re e la regina videro finalmente dove la loro figliola era statapresero il soldato e lo misero in prigione.

    E lì dovette rimanere; era così buio e triste laggiù; gli dissero pure: "Domani sarai impiccato". Il soldato non fu certo felice di sentirlotanto più che aveva dimenticato l'acciarino alla locanda. Il mattino dopo poté vedere attraverso le sbarre di ferro della finestrella tutta la gente affrettarsi per vederlo impiccare. Udì i tamburi e vide marciare i soldati. Tutta la gente corse via; c'era pure un garzone di macellaio con le ciabatte e un grembiule di cuoioche correva così velocemente che una delle ciabatte volò vicino al muro da dove il soldato guardava fuori.

    "Ehi turagazzo! Non devi avere tutta questa fretta" disse il soldato. "Non può accadere nulla finché non arrivo io; ma tu vorresti correre là dove abito e prendermi il mio acciarino? Ti darò quattro monete! Però devi fare molto in fretta!" Il garzone voleva guadagnare quei quattro soldipartì come il fulmine per andare a prendere quell'acciarinolo diede al soldatoe... adesso sentiremo cosa succede!

    Appena fuori dalla città era stata innalzata una grande forcacircondata da soldati e da molte centinaia di migliaia di persone. Il re e la regina erano seduti sul trono proprio di fronte al giudice e al consiglio.

    Il soldato si trovava già in cima alla scalama prima che gli legassero il laccio intorno al collodisse che si deve concedere sempre un ultimo desiderio al condannatoe lui desiderava tanto fumarsi la pipa; in fondo sarebbe stata la sua ultima fumata di pipa in questo mondo!

    Il re non volle negargli il permesso; il soldato prese il suo acciarinofece fuoco eunduetre comparvero i tre caniquello con gli occhi grandi come tazze da tèquello con gli occhi come ruote di mulino e quello i cui occhi sembravano la Torre Rotonda.

    "Aiutatemi perché non venga impiccato!" gridò il soldato e subito i cani si precipitarono tra i giudici e il consiglioafferrarono uno alle gambe e uno per il naso e li lanciarono in ariacosì in alto chericadendosi ruppero in mille pezzi.

    "Non voglio!" gridò il rema il cane più grosso prese sia lui che la regina e li gettò dietro tutti gli altri. In quel momento i soldati si spaventarono e la gente gridò: "Soldatinotu devi diventare nostro re e sposare la graziosa principessa!".

    Allora il soldato sedette nella carrozza reale e i tre cani danzarono e gridarono "Urrà!" e i ragazzi fischiarono con le dita e i soldati presentarono le armi. La principessa uscì dal castello di rame e divenne reginae ne fu molto soddisfatta. La festa per il matrimonio durò otto giorni e i cani erano seduti a tavola con gli altri e spalancavano tanto d'occhi.

     

     

     

  • LA PRINCIPESSA SUL PISELLO
  •  

    C'era una volta un principe che voleva avere per sé una principessama doveva essere una vera principessa.

    Perciò viaggiò per tutto il mondo per trovarne unama ogni volta c'era qualcosa di strano: di principesse ce n'erano moltema non poteva mai essere certo che fossero vere principesse; infatti c'era sempre qualcosa che andava storto. Così se ne tornò a casa ed era veramente molto tristeperché desiderava con tutto il cuore trovare una vera principessa.

    Una sera c'era un tempo bruttissimolampeggiava e tuonavala pioggia cadeva a catinelleche cosa terribile! Bussarono alla porta della città e il vecchio re andò ad aprire.

    Là fuori c'era una principessa. Ma com'era conciata con quella pioggia e quel brutto tempo! L'acqua le scorreva lungo i capelli e i vestiti e le entrava nelle scarpe dalla punta e le usciva dai tacchi; eppure sosteneva di essere una vera principessa.

    "Adesso lo scopriremo!" pensò la vecchia reginama non disse nullaandò nella camera da lettotolse tutte le coperte e mise sul fondo del letto un pisellosopra il quale pose venti materassi e poi venti piumini.

    Lì doveva passare la notte la principessa.

    Il mattino successivo le chiesero come aveva dormito.

    "Ohterribilmente male" disse la principessanon ho quasi chiuso occhio tutta la notte. Dio solo sa, che cosa c'era nel letto! Ero sdraiata su qualcosa di duro, e ora sono tutta un livido. E' terribile!.

    Così poterono constatare che era una vera principessaperché attraverso i venti materassi e i venti piumini aveva sentito il pisello. Nessuno poteva essere così sensibile se non una vera principessa!

    Il principe la prese in sposaperché ora sapeva di aver trovato una principessa verae il pisello fu messo nella galleria d'artedove ancor oggi si può ammirarese nessuno l'ha preso.

    Bada benequesta è una storia vera!

     

     

     

  • I FIORI DELLA PICCOLA IDA
  •  

    "I miei poveri fiori sono tutti morti!" disse la piccola Ida. "Erano così belli ieri serae ora sono tutti appassiti! Perché è successo?" chiese allo studenteche sedeva sul divano. Lei gli era molto affezionataperché sapeva raccontare le storie più belle e sapeva ritagliare figurine di carta molto divertenti: cuori che contenevano damine che danzavanofiori e grandi castellile cui porte si potevano aprire; era proprio uno studente simpatico! "Perché i fiori sono così brutti oggi?" gli chiese di nuovoe gli mostrò un mazzo che era tutto appassito.

    "Ohsai che cosa hanno?" disse lo studente. "I fiori sono stati a ballare questa notte e per questo hanno la testa che ciondola".

    "Ma no! I fiori non possono ballare" rispose la piccola Ida.

    "Come no!" replicò lo studente. "Quando viene buio e noi tutti dormiamoloro si mettono a saltare allegramente qui intornoquasi ogni notte ballano".

    "E i bambini non possono partecipare al ballo?".

    "Sì: le piccole margherite e i mughetti!".

    "E dove ballano i fiori più carini?" chiese la piccola Ida.

    "Non sei stata già più volte fuori città in quel grande castellodove il re abita d'estatedove c'è un bel giardino con moltissimi fiori?

    Hai anche visto i cigni nuotarti incontro quando volevi dar loro le briciole di pane. Quellosìche è un ballocredimi!".

    "Sono stata in quel giardino proprio ieri con la mamma" disse Idama tutte le foglie erano cadute dagli alberi e non c'era più neppure un fiore. Dove sono finiti? In estate ne ho visti tanti!.

    "Sono entrati nel castello. Devi sapere che non appena il re e la sua corte rientrano in cittàtutti i fiori corrono nel castello per divertirsi. Dovresti vedere! Le due rose più belle si siedono sul trono e fanno il re e la regina. Tutte le rosse creste di gallo si mettono di lato e si inchinanoloro sono i gentiluomini di corte. Poi arrivano tutti i fiori più belli e ballanole violette fanno finta di essere allievi ufficiali di marinae ballano coi giacinti e coi fiori di crocoche chiamano signorine! I tulipani e i grandi gigli gialliche sono delle vecchie signorestanno attente che si balli bene e che tutto vada per il meglio".

    "Ma non c'è nessuno che fa qualcosa ai fiori che ballano nel castello del re?" chiese la piccola Ida.

    "Nessuno lo sa!" ribatté lo studente. "A volte di notte arriva il vecchio guardianoche deve controllare il castello; ha un gran mucchio di chiavi e non appena i fiori sentono il rumore delle chiavisi azzittisconosi nascondono dietro le lunghe tende e affacciano la testa. 'Sento bene dal profumo che qui dentro ci sono dei fiori!' dice il vecchio guardianoma non riesce a vederli".

    "E' divertente!" disse la piccola Ida e batté le mani. "Ma neppure io li potrei vedere?".

    "Sì; ricordatiquando andrai là di nuovodi guardare dentro la finestra e sicuramente li vedrai. Io ho guardato oggi e c'era un lungo narciso giallo sdraiato sul divano che si stiracchiava come se fosse stato una dama di corte".

    "Anche i fiori del giardino botanico possono andare fin là? Possono camminare così a lungo?".

    "Certo che possono. Quando voglionopossono anche volare. Non hai mai visto le belle farfallerossegialle e biancheche sembrano proprio dei fiori? E lo erano; sono saltate dal gambo verso l'alto e hanno agitato i petali come se fossero state piccole alie così hanno cominciato a volare; e dato che si comportarono beneottennero il permesso di volare anche di giornonon dovettero più tornare a casa e rimettersi sul gamboe così i petali divennero alla fine delle vere ali. E tu stessa l'hai visto! Può anche essere che i fiori del giardino botanico non siano mai stati nel castello del realtrimenti saprebbero quanto è divertente là di notte. Per questo ora ti dico qualcosa che renderà molto sorpreso il professore di botanica che abita qui accanto. Tu lo conoscivero? Quando vai nel suo giardino devi raccontare a uno dei suoi fiori che c'è un grande ballo al castellocosì lui lo dirà a tutti gli altri e se ne partiranno; e quando il professore entrerà nel giardino non ci sarà più nessun fiore e lui non saprà dove sono finiti".

    "Ma come farà il fiore a raccontarlo agli altri? I fiori non sanno parlare!".

    "Nocerto che non sanno parlare" rispose lo studentema usano la mimica. Avrai notato che quando c'è un po' di vento, i fiori fanno cenni e muovono le foglie; si capiscono come se parlassero.

    "E il professore non capisce la mimica?".

    "Sìsenza dubbio! Una mattina era entrato nel suo giardino e aveva visto una grande ortica parlare con i movimenti delle foglie a un bel garofano rosso; gli diceva: 'Sei così carinoe io ti voglio molto bene!'; ma questo al professore non piacevacosì picchiò subito l'ortica sulle fogliee in quel modo si fece male e da quel momento non osò più toccare un'ortica".

    "E' divertente!" esclamò la piccola Idae rise.

    "Come si fa a raccontare certe cose ai bambini!" disse il noioso consigliere che era venuto a far visita e che si era seduto sul divano; non poteva sopportare lo studente e borbottava sempre quando lo vedeva ritagliare quelle strane figure divertenti: una volta un uomo che penzolava dalla forca e aveva un cuore in mano - era un ladro di cuori - un'altra volta una vecchia strega che cavalcava una scopa e aveva il marito sul naso; tutto questo non piaceva al consigliere che diceva sempre: 'Che gusto mettere queste sciocchezze in testa ai bambini. Tu e la tua stupida fantasia!".

    La piccola Ida pensava invece che era così divertente quello che lo studente raccontava dei suoi fiorie ci pensò a lungo. Se i fiori avevano la testa piegata perché erano stanchi per aver ballato tutta la notteerano certamente malati. Così li prese e li portò da tutti i suoi giocattolisistemati su un grazioso tavolino col cassetto pieno di cianfrusaglie. Nel letto della bambola c'era la bambolaSofiache dormivama la piccola Ida le disse: "Adesso devi alzartiSofiae accontentarti di stare nel cassetto per questa notte; i poveri fiori sono malati e devono sdraiarsi nel tuo lettocosì forse guariranno"e sollevò la bambola che la guardava di traverso ma non disse una parolaperché era molto arrabbiata di non poter stare nel suo letto.

    Poi Ida mise i fiori nel lettino della bambolali coprì per bene con la coperta e disse che dovevano stare tranquilli: avrebbe preparato del tè per lorocosì sarebbero guariti e si sarebbero alzati di nuovo l'indomani. Poi tirò le tende vicino al lettino per evitare che il sole li disturbasse.

    Per tutta la sera non poté fare a meno di pensare a quello che lo studente le aveva raccontatoe quando lei stessa dovette andare a lettoguardò prima dietro le tendine della finestra dove c'erano i bei fiori della sua mammai giacinti e i tulipanie sussurrò piano piano: "So bene che dovete andare al ballo questa notte"; i fiori fecero finta di nientenon mossero una fogliama Ida sapeva bene quello che diceva.

    Una volta a letto pensò a lungo a quanto sarebbe stato bello vedere i bei fiori danzare al castello del re. "Chissà se i miei fiori sono veramente stati là?". E così si addormentò. A metà notte si svegliò di nuovo; aveva sognato i fiori e lo studente con cui il consigliere brontolava dicendo che voleva mettere tutte quelle sciocchezze in testa alla bambina. C'era silenzio nella camera da letto dove si trovava Ida; la lampada per la notte bruciava laggiù sul tavolo e i suoi genitori dormivano.

    "Chissà se i miei fiori sono ancora nel letto di Sofia!" si chiese mi piacerebbe saperlo. Si alzò a sedere e guardò verso la portache era socchiusa: là nella stanza c'erano i fiori e tutti i suoi giocattoli. Tese l'orecchio e le sembrò di sentire qualcuno che suonava il pianoforte in quella stanzama così piano e così bene che non l'aveva mai sentito prima.

    "Certamente tutti i fiori stanno ballando là dentro" disse. "Ohcome mi piacerebbe vederli!" ma non osava alzarsiperché avrebbe svegliato i suoi genitori. "Se solo venissero qui loro" pensòma i fiori non vennero e la musica continuavaed era tanto bella che lei non poté più trattenersi; scivolò fuori dal suo lettino e andò piano piano fino alla porta e da lì guardò nella stanza. Ohche belle cose vide!

    Non c'era luce là dentroma ugualmente la stanza era luminosala luna brillava attraverso la finestra fino in mezzo al pavimento! Tutti i giacinti e i tulipani erano allineati in due file sul pavimentonon ce n'erano più alla finestrai vasi erano tutti vuoti. Sul pavimento i fiori ballavano girando tra di lorofacevano catene ordinate e si tenevano per le lunghe foglie verdiquando ruotavano.

    Al pianoforte sedeva un grande giglio gialloche Ida di sicuro aveva visto quell'estate perché ricordava bene che lo studente aveva detto:

    "Ohcome assomiglia alla signorina Line!"ma tutti lo avevano preso in giro; ora invece il lungo fiore giallo assomigliava alla signorinae si muoveva allo stesso modo mentre suonavapiegava il viso allungato prima da una parte e poi dall'altrasegnando il tempo della musica. Nessuno si accorse della piccola Ida. Lei vide poi un grande croco blu saltare sul tavolo dei giocattoli e andare al letto della bambola e tirare le tendine; lì c'erano i fiori malatima si alzarono subito e fecero come gli altricome se volessero danzare pure loro.

    Il vecchio bruciafumoquello con il labbro inferiore rottosi alzò e si inchinò davanti ai bei fioriche non sembravano affatto malati; anzi saltarono giù insieme agli altri e avevano l'aria di divertirsi.

    Le sembrò poi che qualcuno fosse caduto giù dal tavoloe guardò in quella direzione: era il frustino di carnevale che era saltato giùpensando di dover stare insieme ai fiori. Era molto grazioso e proprio sopra aveva un bambolotto di cera che portava un largo cappello in testagiusto come quello del consigliere; il frustino di carnevale saltellava sulle sue tre gambe di legno rosse in mezzo ai fiori e batteva forte i piediperché si ballava la mazurcae quella danza gli altri fiori non la potevano fare: erano troppo leggeri e non potevano battere i piedi.

    Il bambolotto di cera sul frustino di carnevale divenne sempre più lungo e grandee si librò sopra i fiori di carta e urlò a voce ben alta: "Come si fa a far credere certe cose ai bambini! Tu e la tua stupida fantasia!" e in quel momento il bambolotto di cera era tale e quale il consiglierecon quel largo cappelloera giallo e burbero come luima i fiori di carta lo colpirono e tornò a essere un minuscolo bambolotto di cera. Era proprio divertente! La piccola Ida non poté fare a meno di ridere.

    Il frustino di carnevale continuò a danzare e il consigliere non poteva non danzare con lui; che si facesse ancora lungo lungo o restasse il bambolotto di cera con l'enorme cappellonon serviva proprio a niente. Allora furono gli altri fiori a chiedere che potesse smetteresoprattutto quelli che avevano riposato nel letto della bambolae così il frustino di carnevale si fermò. Contemporaneamente si sentì bussare forte nel cassettodove la bambola di IdaSofiasi trovava con molti altri giocattoli; il bruciafumo corse fino al bordo della tavolasi affacciòappoggiato sulla panciae aprì un pochino il cassetto. Sofia si alzò in piedi e guardò intorno meravigliata.

    "Qui c'è un ballo!" disseperché nessuno me l'ha detto?.

    "Vuoi ballare con me?" chiese il bruciafumo.

    "Sìsei proprio il tipo giusto con cui ballare!" gli dissee gli voltò le spalle. Poi sedette sul cassetto e pensò che uno dei fiori sarebbe certo andato a invitarlama nessuno andò; allora tossì un po': "uhmuhmuhm!"ma anche con questo non andò nessuno. Il bruciafumo se la ballava da solo e non era affatto male!

    Dato che nessuno dei fiori sembrava guardarlaSofia si lasciò cadere dal cassetto giù nel pavimentocosì ci fu una gran confusione; tutti i fiori corsero lì e la circondarono e le chiesero se si era fatta malee tutti i fiori di Ida la ringraziarono per il comodo letto e si occuparono di lei; la misero in mezzo al pavimentodove la luna splendevae danzarono insieme a leie tutti gli altri fiori le fecero cerchio intorno: ora Sofia si divertiva proprio! e disse che potevano tenere ancora il suo lettoperché a lei non costava nulla stare nel cassetto.

    Ma i fiori risposero: "Ti ringraziamo moltoma non vivremo a lungo; domani saremo morti: riferisci alla piccola Ida che ci seppellisca nel giardinodove giace il canarinocosì cresceremo di nuovo per l'estate e saremo ancora più belli!".

    "Nonon potete morire!" disse Sofia e baciò i fiori; nello stesso istante si aprì la porta del salone ed entrò danzando una gran quantità di fiori bellissimi; Ida non immaginava da dove venissero.

    Erano certo tutti i fiori del castello del re. Per prime giunsero due belle roseche portavano piccole corone d'oro in testa; erano un re e una reginapoi seguivano le più belle violacciocche e i garofani più graziosie salutavano da ogni parte. Avevano con loro anche un'orchestrinagrandi papaveri e peonie soffiavano nei baccelli dei piselli ed erano tutti rossi in visoi giacinti azzurri e i bianchi bucaneve suonavano come se avessero avuto addosso delle campanelline.

    Facevano una bella musica. Poi giunsero molti altri fiori e ballarono tutti insiemele violette azzurre e le margheritine rossele margherite e i mughetti. E tutti si baciavano tra loroerano così carini da vedere!

    Alla fine si augurarono la buona notte e anche la piccola Ida se ne tornò nel suo lettinodove sognò tutto quello che aveva visto.

    Quando il mattino dopo si alzòandò subito al tavolino per vedere se i fiori erano ancora lìtirò le tendine del letto esìc'erano tuttima erano completamente appassitimolto più che il giorno prima. Sofia era nel cassettodove l'aveva messa leie appariva molto assonnata.

    "Ti ricordi che cosa mi dovevi dire?" chiese la piccola Idama Sofia aveva l'aria molto stupida e non disse una parola.

    "Non sei affatto buona" disse Idaeppure hanno ballato tutti con te. Poi prese una scatoletta di cartone con disegnati sopra dei begli uccellinila aprì e vi mise dentro i fiori morti. "Questa sarà la vostra graziosa bara" dissee quando i miei cugini norvegesi saranno qui, vi seppelliremo fuori in giardino, così potrete crescere per l'estate e diventare ancora più belli.

    I cugini norvegesi erano due ragazzi in gambasi chiamavano uno Giona e l'altro Adolfo; avevano appena avuto in regalo dal padre due nuovi archi che avevano portato per mostrarli a Ida. Lei raccontò dei poveri fiori appassitie così poté seppellirli. I due ragazzi erano davanticon gli archi sulle spallee la piccola Ida li seguiva con i fiori morti nella graziosa scatola; nel giardino venne scavata una piccola fossa; Ida prima baciò i fioripoi li posò con la scatola nella terra e Adolfo e Giona tirarono con l'arconon avendo né fucili né cannoni.

     

     

     

  • LA SIRENETTA
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    In mezzo al mare l'acqua è pura come i petali dei più bei fiordalisi e trasparente come il più puro cristallo; ma è molto profondacosì profonda che un'anfora non potrebbe raggiungere il fondo; bisognerebbe mettere molti campaniliuno sull'altroper arrivare dal fondo fino alla superficie. Laggiù abitano le genti del mare.

    Non bisogna credere che ci sia solo sabbia biancano! Crescono alberi stranissimie piante con gli steli e i petali così sottili che si muovono al minimo movimento dell'acquacome fossero esseri viventi.

    Tutti i pescigrandi e piccolinuotano tra i ramiproprio come fanno gli uccelli nell'aria. Nel punto più profondo si trova il castello del re del mare. Le mura sono di corallo e le alte finestre ad arco sono fatte con ambra chiarissimail tetto è formato da conchiglie che si aprono e si chiudono secondo il movimento dell'acqua; sono proprio belleperché contengono perle meravigliose; una sola basterebbe alla corona di una regina.

    Il re del mare era vedovo da molti annima la sua vecchia madre governava la casauna donna intelligentemolto orgogliosa della sua nobiltà; e per questo aveva dodici ostriche sulla codaquando le altre persone potevano averne solo sei. Comunque aveva grandi meritisoprattutto perché voleva molto bene alle piccole principesse del marele sue nipotine. Erano sei graziose fanciullema la più giovane era la più bella di tuttedalla pelle chiara e delicata come un petalo di rosagli occhi azzurri come un lago profondo; ma come tutte le altre non aveva piediil corpo terminava con una coda di pesce.

    Per tutto il giorno potevano giocare nel castellonei grandi salonidove fiori viventi crescevano alle pareti. Le grandi finestre di ambra venivano aperte e i pesci potevano nuotare dentroproprio come fanno le rondini quando apriamo le finestrema i pesci nuotavano vicino alle principessinemangiavano dalle loro manine e si lasciavano accarezzare.

    Fuori dal castello c'era un grande giardino con alberi color rosso fuoco e blu scuro; i frutti brillavano come oro e i fiori come le fiamme di fuocopoiché steli e foglie si agitavano continuamente. La terra stessa era costituita da sabbia finissimama azzurra come lo zolfo ardente. E una strana luce azzurra avvolgeva tutto; si poteva quasi credere di trovarsi nell'aria e di vedere il cielo da ogni parteinvece di essere sul fondo del mare. Quando il mare era calmo si poteva vedere il sole: sembrava un fiore color porpora dal cui calice sgorgava tutta la luce.

    Ogni principessa aveva una piccola aiuola nel giardinoin cui poteva piantare i fiori che voleva; una di loro diede alla sua aiuola la forma di una balena; un'altra preferì che assomigliasse a una sirenetta; la più giovane la fece rotonda come il sole e vi mise solo fiori rossi come lui. Era una bambina stranamolto tranquilla e pensierosa; le altre sorelle decoravano le aiuole con le cose più bizzarre che avevano trovato tra le navi affondatelei inveceoltre ai fiori rossi che assomigliavano al solevolle avere solo una bella statua di marmoraffigurante un giovane scolpito in una pietra bianca e trasparenteche era arrivata fin lì dopo qualche naufragio. Vicino alla statua piantò un salice piangente di color rossiccioche crebbe splendidamente ripiegando i suoi rami sul giovane fino a raggiungere il suolo di sabbia azzurradove l'ombra diventava viola e si muoveva come i rami stessi: sembrava così che i rami e le radici si baciassero con dolcezza.

    Non c'era per lei gioia più grande che sentir parlare del mondo degli uomini sopra di loro; la vecchia nonna dovette raccontare tutto quanto sapeva delle navi e delle cittàdegli uomini e degli animali; soprattutto la colpiva in modo particolare il fatto che i fiori sulla terra profumassero (naturalmente non profumavano in fondo al mare!) e che i boschi fossero verdi e che i pesci che si vedevano tra i rami potessero cantare così bene che era un piacere ascoltarli; erano gli uccellinima la vecchia nonna li chiamava pesciper farsi capire da loro che non avevano mai visto un uccello.

    "Quando compirete quindici anni" disse la nonnaavrete il permesso di affacciarvi fuori dal mare, sedervi al chiaro di luna sulle rocce e osservare le grosse navi che navigano; vedrete anche i boschi e le città. L'anno dopo la sorella più grande avrebbe compiuto quindici annima le altre... giàavevano tutte un anno di differenza tra loroe la più giovane doveva aspettare cinque anni prima di poter risalire il mare e vedere come viviamo noi uomini. Tra sorelle si promisero che si sarebbero raccontate tutte le cose più significative che avrebbero visto durante il loro primo viaggio: la nonna non raccontava abbastanzae c'era tanto che loro volevano sapere.

    Nessuno però lo voleva quanto la più giovaneproprio lei che doveva aspettare più a lungo e che era così silenziosa e pensierosa. Per molte notti restava affacciata alla finestra a guardare verso l'altoattraverso l'acqua scuradove i pesci muovevano le pinne e la coda.

    Poteva vedere la luna e le stellein realtà brillavano debolmentema attraverso l'acqua sembravano molto più grandi che ai nostri occhi; se qualcosa le oscuravacome un'ombra neralei sapeva che forse una balena nuotava sopra di leio forse era una nave con tanti uomini.

    Questi non immaginavano certo che una graziosa sirenetta si potesse trovare sotto di loro tendendo verso la carena della nave le sue bianche braccia.

    La principessa più grande compì quindici anni e poté raggiungere la superficie del mare.

    Tornata a casaaveva cento cose da raccontarema la cosa più bellasecondo leiera stata stendersi al chiaro di luna su un banco di sabbia nel mare calmo e guardare verso la costa la grande cittàpiena di luci che brillavano come centinaia di stellesentire la musica e il rumore delle carrozze e degli uominiguardare le moltissime torri e campanili e ascoltare le campane che suonavano. Proprio perché non avrebbe mai potuto andare fin lassùaveva interesse soprattutto per quei posti.

    Ohcon quale attenzione la sorellina minore ascoltò! e quando poi a sera inoltrata andò alla finestra per guardare in altoattraverso l'acqua scurapensò alla grande città con tutto quel rumoree le sembrò di sentire il suono della campana che arrivava fino a lei.

    L'anno dopo la seconda sorella ebbe il permesso di risalire l'acqua e di nuotare dove voleva. Si affacciò proprio quando il sole stava tramontandoe trovò che quella vista era la cosa più bella. Tutto il cielo sembrava doratoraccontòe le nuvolesìla loro bellezza non si poteva descrivere! rosse e viola avevano navigato sopra di leimamolto più veloce delle nuvoleera passato come un lungo velo bianco uno stormo di cigni selvaticiche si dirigeva verso il sole. Anche lei aveva incominciato a nuotare verso il solema questo era scomparso e i riflessi rosati si erano spenti sulla superficie del mare e sulle nuvole.

    L'anno successivo toccò alla terza sorella; era la più coraggiosa di tutte e risalì un largo fiume che sfociava nel mare. Vide belle colline verdi con vigneticastelli e fattorie che spuntavano tra bellissimi boschi; sentì come cantavano gli uccellie il sole scaldava tanto che dovette spesso buttarsi in acqua per rinfrescare il viso infuocato. In una piccola insenatura incontrò un gruppo di bambinichenudicorrevano e si gettavano in acqua; volle giocare con loroma quelli scapparono via spaventati; poi giunse un piccolo animale neroera un cane ma lei non ne aveva mai visto uno primae questo cominciò ad abbaiarle controcosì leispaventatatornò nel mare apertoma non poté più dimenticare quei meravigliosi boschiquelle verdi collinee quei graziosi bambini che sapevano nuotarepur non avendo la coda di pesce.

    La quarta sorella non fu così coraggiosa; restò in mezzo al mare apertoe raccontò che proprio lì stava il piacere; poteva guardare per molte miglia in ogni direzione e il cielo sopra di lei le era sembrato una grossa campana di vetro. Aveva visto delle navima da lontanoe le erano parse simili a gabbiani; gli allegri delfini avevano fatto le capriole e le grandi balene avevano soffiato l'acqua dalle naricied era stato come vedere cento fontane attorno a sé.

    Venne poi il turno della quinta sorella; il suo compleanno cadeva in invernoe per questo vide cose che le altre non avevano visto. Il mare appariva verde e tutt'intorno galleggiavano grosse montagne di ghiaccio; sembravano perleraccontòma erano molto più grandi dei campanili che gli uomini costruivano. Si mostravano nelle forme più svariate e brillavano come diamanti.

    Si era seduta su una delle più grosse e tutti i naviganti erano fuggiti spaventati dal luogo in cui lei si trovavacon il vento che le agitava i lunghi capelli; poiverso serail cielo si era ricoperto di nuvolec'erano stati lampi e tuonie il mare nero aveva sollevato in alto i grossi blocchi di ghiaccio illuminati da lampi infuocati. Su tutte la navi si ammainavano le veledominava la paura e l'angoscialei invece se ne stava tranquilla sulla sua montagna di ghiaccio galleggiante e guardava i fulmini azzurri colpire a zig-zag il mare illuminato.

    La prima volta che le sorelle uscirono dall'acquarestarono incantate per le cose nuove e magnifiche che avevano vistoma ora che erano cresciute e avevano il permesso di salire quando volevanoerano diventate indifferentisentivano nostalgia di casae dopo un mese dissero che da loro c'erano in assoluto le cose più belle e che era molto meglio stare a casa.

    Molte volte di sera le cinque sorelletenendosi sottobracciorisalivano alla superficie; avevano belle vocipiù belle di quelle umanee quando c'era tempesta nuotavano fino alle navi che credevano potessero capovolgersie cantavano dolcemente di come era bello stare in fondo al mare e pregavano i marinai di non aver paura di arrivare laggiù; ma questi non erano in grado di capire le loro parolecredevano fosse la tempesta e non riuscivano comunque a vedere le bellezze del fondo del mareperché quando la nave affondavagli uomini affogavano e arrivavano al castello del re già morti.

    Quando le sorelledi seraa braccettosalivano sul marela sorellina più piccola restava tutta sola e le osservava; sembrava che volesse piangerema le sirene non hanno lacrime e per questo soffrono molto di più. "Ahse solo avessi quindici anni!" esclamava. "So bene che amerei quel mondo che è sopra di noi e gli uomini che ci abitano e ci costruiscono!".

    Finalmente compì quindici anni.

    "Adesso sei grande anche tu!" disse la nonnala vecchia regina vedova. "Vieni! Lascia che ti adornicome le tue sorelle" e le mise una coroncina di gigli bianchi sui capellima ogni petalo di fiore era formato da mezza perla; poi la vecchia fissò sulla coda della principessa otto grosse ostricheper mostrare il suo alto casato.

    "Mi fa male!" disse la sirenetta.

    "Bisogna pur soffrire un po' per essere belli!" rispose la vecchia.

    Oh! Come avrebbe voluto togliersi di dosso tutti quegli ornamenti e quella pesante corona! I fiori rossi della sua aiuola l'avrebbero adornata molto meglioma non osò cambiare le cose. "Addio!" esclamòe salì leggera come una bolla d'aria attraverso l'acqua.

    Il sole era appena tramontato quando affacciò la testa dall'acquatutte le nuvole però ancora brillavano come rose e oro; nel cielo color lilla splendeva chiara e bellissima la stella della sera; l'aria era mite e fresca e il mare calmo. C'era una grande nave con tre alberima una sola vela era tesaperché non c'era il minimo alito di vento; tra le sartìe e i pennoni stavano seduti i marinai. C'era musica e canti e man mano che scendeva la sera si accendevano centinaia di luci multicolori. Sembrava che ondeggiassero nell'aria le bandiere di tutte le nazioni. La sirenetta nuotò fino all'oblò di una cabina e ogni volta che l'acqua la sollevavavedeva attraverso i vetri trasparenti molti uomini ben vestiti; il più bello di tutti era però il giovane principecon grandi occhi neri: non aveva certo più di sedici anni e compiva gli anni proprio quel giorno. Per questo c'erano quei festeggiamenti! I marinai ballavano sul ponte e quando il giovane principe uscìsi levarono in aria più di cento razzi che illuminarono a giorno. La sirenetta si spaventò e si rituffò nell'acquama poco dopo riaffacciò la testa e le sembrò che tutte le stelle del cielo cadessero su di lei. Non aveva mai visto fuochi di quel genere. Grandi soli giravano tutt'intornobellissimi pesci di fuoco nuotavano nell'aria azzurrae tutto si rifletteva nel bel mare calmo. Anche sulla nave c'era tanta luce che si poteva vedere ogni cordae naturalmente gli uomini. Com'era bello quel giovane principe!

    Dava la mano a tuttiridendo e sorridendomentre la musica risuonava nella splendida notte.

    Era ormai tardima la sirenetta non seppe distogliere lo sguardo dalla nave e dal bel principe. Le luci variopinte vennero spentei razzi non vennero più lanciati in arianon si sentirono più colpi di cannonema dal profondo del mare si sentì un romboe lei intanto si faceva dondolare su e giù dall'acquaper guardare dentro la cabina; ma la nave prese velocitàle vele si spiegarono una dopo l'altrale onde si fecero più grossecomparvero grosse nuvole e da lontano si scorsero dei lampi. Sarebbe venuta una terribile tempesta! Per questo i marinai ammainarono le vele. La grande nave filava a gran velocità sul mare agitatol'acqua si alzò come grosse montagne nere che volevano rovesciarsi sull'albero maestro; la nave si immerse come un cigno tra le onde e si fece sollevare di nuovo dall'acqua in movimento. La sirenetta pensò che quella fosse una bella corsama i marinai non erano della stessa opinione; la nave scricchiolava terribilmentele assi robuste cedevano sotto quei forti colpil'acqua colpiva la carenal'albero maestro si spezzò come se fosse stato una canna; la nave si piegò su un fiancoe l'acqua subito la riempì. Allora la sirenetta capì che erano in pericololei stessa doveva stare attenta alle assi e ai relitti della nave che galleggiavano sull'acqua. Per un attimo fu talmente buio che non riuscì a vedere nullaquando poi lampeggiòsi fece così chiaro che riconobbe tutti gli uomini della nave; ognuno se la cavava come poteva; lei cercò il principe e lo vide scomparire nel mare profondoproprio quando la nave affondò. Al primo momento fu molto feliceperché lui ora sarebbe sceso da leima poi ricordò che gli uomini non potevano vivere nell'acquae che anche lui sarebbe arrivato al castello di suo padre solo da morto. Nonon doveva morire! Nuotò tra le assi e i relitti della navesenza pensare che avrebbero potuto schiacciarlasi immerse nell'acqua e risalì tra le onde finché giunse dal giovane principeche quasi non riusciva più a nuotare nel mare infuriato. Cominciava a indebolirsi nelle braccia e nelle gambegli si chiusero gli occhi; sarebbe certo morto se non fosse giunta la sirenetta. Lei gli tenne la testa sollevata fuori dall'acqua e con lui si lasciò trasportare dalla corrente dove capitava.

    Al mattino il brutto tempo era passato; della nave non era rimasta tracciail sole sorgeva rosso e risplendeva sull'acqua; fu come se le guance del principe riacquistassero colorema gli occhi rimasero chiusi. La sirena lo baciò sulla bella fronte alta e carezzò indietro i capelli bagnati; le sembrò che assomigliasse alla statua di marmo che aveva nel suo giardinettolo baciò di nuovo e desiderò con forza che continuasse a vivere.

    Poi vide davanti a sé la terra fermaalte montagne azzurre sulla cui cima la bianca neve risplendeva come ci fossero stati candidi cigni; lungo la costa si stendevano bei boschi verdi e proprio lì davanti si trovava una chiesa o un conventonon sapeva benema era un edificio.

    Aranci e limoni crescevano nel giardino e davanti all'ingresso si alzavano delle palme; il mare disegnava lì una piccola insenaturacalmissima ma molto profondafino alla scogliera dove c'era sabbia bianca e sottile. Lei nuotò là col suo bel principelo posò sulla sabbia e si preoccupò che la testa fosse sollevata e rivolta verso il caldo sole.

    Suonarono in quel momento le campane di quel grande edificio biancoe molte ragazze comparvero nel giardino. Allora la sirenetta si ritirò nuotandodietro alcune alte pietre che spuntavano dall'acquasi mise della schiuma tra i capelli e sul petto affinché nessuno la vedesse e aspettò che qualcuno andasse dal povero principe.

    Non passò molto tempo e una fanciulla si avvicinò; si spaventò moltoma solo per un attimopoi andò a chiamare altra gentee la sirena vide che il principe tornò in vita e sorrise a quanti lo circondavanoma non sorrise a leianche perché non sapeva che era stata lei a salvarlo. Si sentì molto triste e quando lo ebbero portato dentro quel grande edificiosi reimmerse dispiaciuta nell'acquae tornò al castello del padre.

    Se era sempre stata calma e pensierosaora lo fu molto di più. Le sorelle le chiesero che cosa avesse visto la prima volta che era stata lassùma lei non raccontò nulla.

    Per molte volte al mattino e alla serarisalì fino al punto in cui aveva lasciato il principe. Vide che i frutti del giardino erano maturi e venivano coltivide che la neve si scioglieva dalle alte montagne; ma non vide mai il principe e così se ne tornava a casa ogni volta sempre più triste. La sua unica consolazione era quella di andare nel suo giardinetto e di abbracciare la bella statua di marmo che assomigliava al principe; non curava più i suoi fioriche crescevano in modo selvaggio anche sui viali e intrecciavano i loro steli e le foglie con i rami degli albericosì che c'era molto buio.

    Alla fine non resse piùraccontò tutto a una sorellae così anche le altre ne furono al correntema poi nessun altro fu informatoeccetto poche altre amiche che pure non lo dissero a nessuno se non alle loro amiche più intime. Una di loro sapeva chi fosse quel principeanche lei aveva visto la festa sulla nave e sapeva da dove veniva e dov'era il suo regno.

    "Vienisorellina!" dissero le altre principesse etenendosi sotto bracciorisalirono il mare fino al punto in cui si trovava il castello del principe.

    Questo era fatto di una lucente pietra giallaaveva grandi scalinate di marmouna delle quali scendeva fino al mare. Splendide cupole dorate si innalzavano dal tettoe tra le colonne che circondavano l'intero edificio si trovavano statue di marmoche sembravano vive.

    Attraverso i vetri trasparenti delle alte finestre si poteva guardare in saloni meravigliosicon preziose tende di seta e tappeticon grandi quadri alle pareti che erano proprio divertenti da guardare. In mezzo al salone si trovava una fontana con lo zampillo che arrivava fino alla cupola di vetro del soffittoattraverso la quale il sole faceva luccicare l'acqua e le belle piante che ci crescevano dentro.

    Ora lei sapeva dove abitava il principe e ci tornò per molte sere; nuotava molto vicino alla terra come nessun altro aveva osato farerisaliva addirittura lo stretto canale fino alla magnifica terrazza di marmo che gettava una grande ombra sull'acqua. Qui si metteva a guardare il giovane principeche credeva di trovarsi tutto solo al chiaro di luna.

    Lo vide molte volte navigare in una splendida barcacon la musica e le bandiere al vento; allora si affacciava tra le verdi canne e il vento le sollevava il lungo velo argenteoe se qualcuno la vedeva poteva pensare che fosse un cigno ad ali spiegate.

    Per molte notti sentì i pescatoriche stavano in mare con le lanterneparlare molto bene del principee fu felice di avergli salvato la vita quella volta che era quasi morto e si era abbandonato alle onde; pensò anche al capo che aveva riposato sul suo pettoe con quanta dolcezza lo aveva baciatoma lui non ne sapeva niente e non poteva neppure sognarla.

    Gli uomini le piacevano ogni giorno di piùe sempre più spesso desiderava salire e stare con loro: pensava che il loro mondo fosse molto più grande del suo: loro potevano navigare sul mare con le naviarrampicarsi sulle alte montagne fin sopra le nuvolee i campi che possedevano si estendevano con boschi e prati molto lontanocosì lontano che non riusciva a vederli. C'erano tante cose che le sarebbe piaciuto saperema le sorelle non sapevano rispondere a tuttoallora le chiese alla nonna che conosceva bene quel mondo di sopra che chiamava giustamente "il paese sopra il mare".

    "Se gli uomini non affogano" chiese la sirenettapossono vivere per sempre? Non muoiono come facciamo noi, nel mare?.

    "Certo" rispose la vecchia. "Anche loro devono morire e la lunghezza della loro vita è più breve della nostra. Noi possiamo arrivare fino a trecento anni; quando però non viviamo più diventiamo schiuma dell'acquanon abbiamo una tomba tra i nostri cari; non abbiamo un'anima immortale e non vivremo mai più: siamo come le verdi canne cheuna volta tagliatenon rinverdiscono! Gli uomini invece hanno un'anima che continua a vivere anche dopo che il corpo è diventato terra; sale attraverso l'aria fino alle stelle lucenti! Come noi saliamo per il mare e vediamo la terra degli uominicosì loro salgono fino a luoghi bellissimi e sconosciutiche noi non potremo mai vedere!" "Perché non abbiamo un'anima immortale?" chiese la sirenetta tutta tristeio darei cento degli anni che devo ancora vivere per essere un solo giorno come gli uomini e poi abitare nel mondo celeste!.

    "Non devi neanche pensare queste cose!" esclamò la vecchia. "Noi siamo molto più felici e stiamo certo meglio degli uomini".

    "Allora io devo morire e diventare schiuma del mare e non sentire più la musica delle ondeo vedere i bei fiori e il sole rosso! Non posso fare proprio nulla per ottenere un'anima immortale?".

    "No" rispose la vecchia. "Solo se un uomo ti amasse più di suo padre e sua madree tu fossi l'unico suo pensiero e il solo oggetto del suo amoree se un prete mettesse la sua mano nella tua con un giuramento di fedeltà eterna; solo allora la tua anima entrerebbe nel tuo corpo e tu riceveresti parte della felicità degli uomini. Egli ti darebbe un'animaconservando sempre la propria. Ma questo non potrà mai accadere. La cosa che qui è così bellala coda di pesceè considerata orribile sulla terra. Non capiscono niente; per loro bisogna avere due strani sostegni che chiamano gambeper essere belle!".

    La sirenetta sospirò guardando la sua coda di pesce.

    "Stiamo allegre!" disse la vecchia. "Saltiamo e balliamo per i trecento anni che possiamo vivere; non è certo poco tempo! Poi ci riposeremo più volentieri nella tomba. Stasera c'è il ballo a corte".

    Quello era uno spettacolo meraviglioso che non si vede mai sulla terra! Le pareti e il soffitto dell'ampia sala da ballo erano costituite da un grosso vetro trasparente. Migliaia di conchiglie enormirosa e verdi come l'erbaerano allineate da ogni latocon un fuoco azzurro fiammeggiante che illuminava tutta la sala e si rifletteva oltre le pareticosì che il mare di fuori fosse tutto illuminato. Si potevano vedere innumerevoli pescigrandi e piccoliche nuotavano contro la parete di vetro; su alcuni brillavano squame rosse scarlattesu altrid'oro e d'argento. In mezzo alla sala scorreva un largo fiume dove danzavano i delfini e le sireneche cantavano così soavemente. Gli uomini sulla terra non hanno certo voci così belle. La sirenetta cantò meglio di tuttee tutti le battevano le mani; per un istante si sentì feliceperché sapeva di avere la voce più bella sia sul mare che sulla terra! Ma subito tornò a pensare al mondo che c'era sopra di loro; non riusciva a dimenticare quel bel principe e il suo dolore per il fatto di non possederecome luiun'anima immortale. Uscì in silenzio dal castello del padre e andò a sedersi nel suo giardinettomentre dall'interno risuonavano canti pieni d'allegria. Allora sentì attraverso l'acqua il suono dei corni e pensò: "Sta certamente navigando qua sopraquello che io amo più di mio padre e di mia madreche riempie ogni mio pensiero e nella cui mano io voglio riporre la felicità della mia vita. Voglio fare qualunque cosa per conquistare lui e un'anima immortale! Mentre le mie sorelle ballano nel castello di mio padreio andrò dalla strega del mare; ho sempre avuto tanta paura di leima forse mi potrà consigliare e aiutare!".

    La sirenetta uscì dal suo giardino e si avviò verso il torrente ribollentedietro il quale abitava la strega. Non aveva mai percorso quella strada; non vi crescevano né fiori né erbasolo un fondo di sabbia grigia si stendeva verso il torrentedove l'acquache sembrava spinta dalle ruote del mulinogirava come un vortice e inghiottiva tutto quello che poteva afferrare. Dovette passare in mezzo a quei vortici tremendi per arrivare nel territorio della stregae qui c'era da attraversare una vasta pianura bollenteche la strega chiamava la sua torbiera. Oltre la torbiera si trovava la sua casain mezzo a un orribile bosco.

    Tutti gli alberi e i cespugli erano polipiper metà bestie e per metà piante: sembravano centinaia di teste di serpente che crescevano dal terreno; tutti i rami erano lunghe braccia vischiosecon le dita simili a vermi ripugnantiche si muovevano in ogni loro partedalle radici fino alla punta più estrema. Si avvolgevano intorno a tutto quello che potevano afferrare e non lo lasciavano mai più. La sirenetta si fermò spaventatissima; il cuore le batteva forte per la paurastava per tornare indietroma pensò al principe e all'anima degli uominicosì le tornò il coraggio. Legò per bene i lunghi capelli svolazzantiaffinché i polipi non riuscissero ad afferrarli; mise le mani sul petto e partì passando come un pesce guizzante nell'acquatra gli orribili polipiche allungavano i vischiosi tentacoli verso di lei. Vide ciò che ognuno di essi aveva afferratocentinaia di tentacoli trattenevano le prede come tenaglie di ferro:

    uomini che erano morti in mare e caduti sul fondo si affacciavano come bianchi scheletri tra i tentacoli; remi di imbarcazioni e casse erano tenuti strettischeletri di animali e persino una sirenetta che avevano catturato e soffocato. Questa vista fu per lei la più spaventosa!

    Poi giunse in un'ampia radura di fango nel boscodove grossi serpenti di mare si rivoltavano mostrando i loro orridi denti gialli. Nel mezzo si trovava una casa fatta con le bianche ossa di uomini calati sul fondo; lì stava la strega del mare e lasciava che un rospo mangiasse dalla sua manocome gli uomini fanno con i canarini quando gli danno lo zucchero. Quegli orribili grossi serpenti di mare erano chiamati "pulcini" dalla strega che li lasciava strisciare sui suoi grossi seni cadenti.

    "So bene che cosa vuoi!" disse la strega del maresei proprio impazzita! comunque il tuo desiderio verrà soddisfatto, perché ti porterà sventura, mia bella principessa! Vuoi liberarti della tua coda di pesce e ottenere in cambio due sostegni per camminare come gli uomini, così che il giovane principe si innamori di te e tu possa ottenere un'anima immortale!. La strega rideva così sguaiatamente che il rospo e i serpenti caddero a terra e lì continuarono a rotolarsi.

    "Arrivi appena in tempo!" riprese.

    "Domaniuna volta sorto il solenon potrei più aiutarti e dovresti aspettare un anno intero. Ti preparerò una bevandama con questa devi nuotare fino alla terra e berla prima che sorga il sole. Allora la tua coda si dividerà e si trasformerà in ciò che gli uomini chiamano gambe. Soffrirai come se una spada affilata ti trapassasse. Tutti quelli che ti vedrannodiranno che sei la più bella creatura umana mai vista! Conserverai la tua aggraziata andaturanessuna ballerina sarà migliore di tesarà come se camminassi su un coltello appuntitoe il tuo sangue scorrerà. Se vuoi soffrire tutto questoti aiuterò!".

    "Sì" esclamò la principessa con voce tremante pensando al principee all'anima immortale.

    "Ma ricordati" aggiunse la stregauna volta che ti sarai trasformata in donna, non potrai mai più ritornare a essere una sirena! Non potrai più discendere nel mare dalle tue sorelle e al castello di tuo padre; e se non conquisterai l'amore del principe, cosicché lui dimentichi per te suo padre e sua madre, dipenda da te per ogni suo pensiero e chieda al prete di congiungere le vostre mani rendendovi marito e moglie, non avrai mai un'anima immortale! e se lui sposerà un'altra, il primo mattino dopo il matrimonio il tuo cuore si spezzerà e tu diventerai schiuma dell'acqua!.

    "Lo voglio ugualmente!" disse la sirenettache era pallida come una morta.

    "Però mi devi ricompensare!" aggiunse la stregae non è poco quello che pretendo. Tu possiedi la voce più bella tra tutti gli abitanti del mare, e credi con quella di poterlo sedurre; ma la voce devi darla a me. Io voglio ciò che tu di meglio possiedi per la mia preziosa bevanda! Devo versarci del sangue, affinché il filtro sia tagliente come una spada a due lame!.

    "Se mi prendi la voce" chiese la sirenettache cosa mi resta?.

    "La tua splendida personala tua armoniosa andatura e i tuoi occhi espressivi; con questo riuscirai certo a conquistare il cuore di un uomo. Allora! hai perso il coraggio? Tira fuori la lingua così te la taglio; è il pagamento per quella potente bevanda!".

    "Va bene!" esclamò la sirenettae la strega mise sul fuoco la pentola per far bollire la bevanda magica. "La pulizia è un'ottima cosa!" disse mentre strofinava la pentola con alcune serpi legate insiemepoi si tagliò il petto e fece gocciolare il suo sangue neroe il vapore assunse forme molto strane che facevano proprio paura.

    "Eccola qui!" disse la strega e tagliò la lingua alla sirenettache ora era muta e non poteva più né cantare né parlare.

    "Se i polipi volessero afferrartimentre passi di nuovo attraverso il mio bosco" spiegò la stregagetta una goccia di questa bevanda su di loro e le loro braccia e dita si romperanno in mille pezzi. Ma la sirenetta non ebbe bisogno di farlo; i polipi si allontanarono spaventati da lei non appena videro quella bevanda lucente che teneva in mano come fosse una stella luminosa. Così passò in fretta per il boscoper la palude e per il torrente che ribolliva.

    Vide il castello di suo padrele luci erano spente nella grande sala da ballo; certamente tutti dormivanoe lei comunque non avrebbe osato cercarli: ora era muta e doveva andarsene per sempre. Le sembrò che il cuore si spezzasse per il dolore. Andò in silenzio nel giardino e prese un fiore da ogni giardinetto delle sorelle; gettò con le dita mille baci verso il castello e salì per il mare blu.

    Il sole non era ancora sorto quando vide il castello del principe e salì per la bellissima scalinata di marmo. La luna splendeva meravigliosa. La sirenetta bevve allora il filtro infuocatoe subito fu come se una spada a due lame le trafiggesse il corpo delicato; svenne e rimase distesa come morta. Quando il sole spuntò all'orizzontesi svegliò e sentì un dolore lancinantema proprio davanti a lei stava il giovane principebellissimoche la fissava con i magnifici occhi nericosì lei abbassò i suoi e vide che la sua coda di pesce era scomparsa e ora possedeva le più belle gambe bianche che mai nessuna fanciulla avesse avuto. Ma era tutta nuda e così si avvolse nei suoi capelli. Il principe le chiese chi fosse e come fosse arrivata fin lìlei lo guardò dolcemente e tanto tristemente coi suoi occhi azzurri: non poteva parlare. Lui la prese per mano e la portò al palazzo. A ogni passo le sembravacome la strega le aveva dettodi camminare su punte taglienti e su coltelli affilatima sopportò tutto volentierie tenendo il principe per mano salì le scale leggera come una bolla d'aria e sia lui che gli altri ammirarono la sua armoniosa andatura.

    Ricevette costosi abiti di seta e di mussolaera la più bella del castelloma era mutanon poteva né cantare né parlare. Graziose damigelle vestite d'oro e di seta avanzarono e cantarono davanti al principe e ai suoi genitoriuna di loro cantò meglio delle altre e il principe batté le mani e le sorrise. In quel momento la sirenetta si rattristò; sapeva che avrebbe saputo cantare molto meglioe pensò:

    "Dovrebbe proprio sapere che ioper stare vicino a luiho ceduto per sempre la mia voce!".

    Poi le damigelle ballarono balli meravigliosi su una musica dolcissima; allora anche la sirenetta tese le braccia bianchesi alzò sulla punta di piedi e volteggiòballò come mai nessuno aveva fatto; a ogni movimento la sua bellezza era sempre più visibile e i suoi occhi parlavano al cuore molto meglio dei canti delle damigelle.

    Tutti rimasero incantatisoprattutto il principeche la chiamò la sua trovatellae lei continuò a danzareanche se ogni volta che i piedi toccavano terraera come se toccassero coltelli affilati. Il principe le disse che sarebbe dovuta rimanere per sempre con lui e le diede il permesso di dormire fuori dalla sua stanza su un cuscino di velluto.

    Fece preparare per lei un costume da amazzoneaffinché potesse accompagnarlo a cavallo. Cavalcarono in mezzo ai boschi profumatidove i verdi rami gli sfioravano le spalle e gli uccellini cantavano tra le foglie fresche. La sirenetta si arrampicò col principe sulle alte montagnee nonostante i suoi piedi sanguinassero a tal punto che anche gli altri se ne accorserolei ne rideva e lo seguì fino a dove poterono vedere le nuvole spostarsi sotto di lorocome fossero state stormi di uccelli che si dirigevano verso paesi stranieri.

    Quando al castello di notte gli altri dormivanolei andava alla scalinata di marmo e si rinfrescava i piedi doloranti immergendoli nell'acqua del maree intanto pensava a quelli che stavano nelle profondità marine.

    Una notte giunsero le sue sorelle a braccettocantarono tristementenuotando sulle ondelei le salutò con la mano e loro la riconobbero e raccontarono quanto li avesse resi tristi. Da quella volta tutte le notti le facevano visitae una notte videlontanola vecchia nonnache da molti anni non era più salita in superficiee il re del marecon la corona in testa; tesero le braccia verso di leima non osarono avvicinarsi alla terra come le sue sorelle.

    Ogni giorno il principe le voleva più benela amava come si può amare una cara fanciullama non pensava certo di renderla regina; eppure lei doveva diventare sua mogliealtrimenti non avrebbe mai ottenuto un'anima immortalee al mattino successivo al matrimonio del principe con un'altra sarebbe diventata schiuma.

    "Non vuoi più bene a me che a tutti gli altri?" sembrava chiedessero gli occhi della sirenettaquando il principe la prendeva tra le braccia e le baciava la bella fronte.

    "Sìtu sei la più cara di tutte!" diceva il principeperché hai un cuore che è migliore di tutti gli altri, poi mi sei molto devota, e assomigli tanto a una fanciulla che vidi una volta, ma che sicuramente non troverò mai più. Ero su una nave che affondò, le onde mi trascinarono a riva vicino a un tempio dove servivano molte fanciulle; la più giovane mi trovò sulla spiaggia e mi salvò la vita, la vidi solo due volte; è l'unica persona che potrei amare in questo mondo, e tu le assomigli, e hai quasi sostituito la sua immagine nel mio animo.

    Lei appartiene al tempio e per questo la mia buona sorte ti ha mandato da me; non ci separeremo mai.

    "Ohlui non sa che sono stata io a salvargli la vita!" pensò la sirenetta. "Io l'ho sorretto in mare fino al bosco dove si trova il tempioio mi sono nascosta tra la schiuma per vedere se arrivava gente. E ho visto quella bella fanciulla che lui ama più di me!" e intanto sospirava profondamentepoiché non poteva piangere. "Ma quella ragazza appartiene al tempioha detto il principee non verrà mai nel mondonon si incontreranno mai piùe io sono vicino a luilo vedo ogni giornoavrò cura di luilo amerò e gli sacrificherò la mia vita!".

    Un giorno si venne a sapere che il principe si doveva sposare con la bella principessa del reame confinantee per questo stava allestendo una splendida nave. Il principe sarebbe andato a visitare il regno vicinocosì si dicevama in realtà era per vedere la figlia del re; e avrebbe portato con sé un ricco seguito. Ma la sirenetta scuoteva la testa e rideva; conosceva il pensiero del principe molto meglio degli altri. "Sono costretto a partire" le aveva dettodevo incontrare quella bella principessa; i miei genitori lo vogliono, ma non mi costringeranno a portarla a casa come mia sposa. Non lo voglio! Non posso amarla, non assomiglia alla bella fanciulla del tempio, come le somigli tu. Se mai dovessi scegliere una sposa, allora prenderei te, mia trovatella muta ma con gli occhi parlanti!. E le baciò la bocca rossale carezzò i lunghi capelli e posò il capo sul suo cuoreche sognò una felicità umana e un'anima immortale.

    "Non hai paura del mareveromia fanciulla muta?" le chiese il principe quando furono sulla meravigliosa nave che doveva portarli nel regno vicinoe le raccontò della tempesta e del mare calmodegli strani pesci e di quello che i palombari avevano visto sul fondoe lei sorrideva ai suoi raccontilei che conosceva meglio di chiunque altro il fondo del mare.

    Nella chiara notte di lunamentre tutti gli altri dormivano meno il timonieresi appoggiò al parapetto della navee guardò verso l'acqua trasparente; le sembrò di vedere il castello di suo padre e la vecchia nonna con la corona d'argento in testa che osservavaattraverso le correnti del mareil movimento della nave. Poi giunsero alla superficie le sue sorelleche la fissarono tristemente tendendo le mani bianche verso di lei; lei le salutòsorrisee avrebbe voluto dire che tutto andava benema il mozzo si avvicinò e le sorelle si immersero nell'acquacosì lui credette che quel biancore che aveva visto fosse la schiuma del mare.

    Il mattino dopo la nave entrò nel porto della bella città del re vicino. Tutte le campane suonarono e dalle alte torri suonarono le trombementre i soldatitra lo sventolìo delle bandierepresentavano le baionette lucenti. Ogni giorno ci fu una festa. Balli e ricevimenti si susseguironoma la principessa non c'era ancoraabitava molto lontanoin un tempiodisseroper imparare tutte le virtù necessarie a una regina. Finalmente un giorno arrivò.

    La piccola sirena era ansiosa di vedere la sua bellezza e dovette riconoscere di non aver mai visto una figura così graziosa. La pelle era molto delicata e trasparentee sotto le lunghe ciglia scure due occhi azzurri e fiduciosi sorridevano.

    "Sei tu!" esclamò il principetu che mi hai salvato quando giacevo come morto sulla costa!e strinse tra le braccia la fidanzatache era arrossita. "Ohsono troppo felice!" disse alla sirenetta. "La cosa più bellache non avevo mai osato sperareè avvenuta!

    Rallegrati con metu che mi vuoi così bene tra tutti!". E la sirenetta gli baciò la manoma sentì che il suo cuore si spezzava. Il mattino dopo le nozze sarebbe mortatrasformata in schiuma del mare.

    Tutte le campane suonaronogli araldi cavalcarono per le strade ad annunciare il fidanzamento. Su tutti gli altari si bruciarono oli profumati in preziose lampade d'argento. I preti fecero oscillare gli incensieri mentre gli sposi si strinsero le mani e ricevettero la benedizione del vescovo.

    La sirenettavestita di seta e d'ororeggeva lo strascicoma le sue orecchie non sentivano quella musica gioiosai suoi occhi non vedevano quella sacra cerimonia: pensava alla sua morte e a tutto quello che avrebbe perso in questo mondo.

    La sera stessa gli sposi salirono a bordo della navei cannoni spararonoe le bandiere sventolarono; in mezzo alla nave era stata montata una tenda reale fatta di oro e porporacon cuscini sofficissimisu cui la coppia di sposi avrebbe dovuto dormire in quella quieta e fredda notte.

    Le vele sventolavano al ventoe la nave scivolava leggerasenza scossonisul mare trasparente.

    Quando venne buio si accesero le lampade variopinte e i marinai ballarono allegramente sul ponte. La sirenetta ripensò alla prima volta in cui si era affacciata sulla terra e aveva visto lo stesso splendore e la stessa gioiasi inserì nelle danzevolteggiò come fa la rondine quando viene inseguitae tutti le mostrarono la loro ammirazione: mai aveva ballato così bene. Sentiva i piedini come tagliati da affilati coltellima non ci badòle faceva più male il cuore. Sapeva che quella era l'ultima sera in cui vedeva colui per il quale aveva lasciato la sua gente e la sua casaper il quale aveva rinunciato alla sua bella voceper il quale aveva sofferto ogni giorno tormenti senza fineche lui neppure poteva immaginare. Quella era l'ultima notte in cui avrebbe respirato la sua stessa aria; guardò verso il profondo mare e verso il cielo stellato: una notte eterna senza pensieri né sogni la aspettavapoiché non aveva un'animané poteva ottenerla. L'allegria e la gioia sulla nave durarono a lungoanche dopo mezzanotte; anche lei rise e danzò ma aveva pensieri di morte nel cuore. Il principe baciò la sua bella sposa e lei gli accarezzò i capelli neripoi a braccetto andarono a riposarsi nella splendida tenda.

    Calò il silenzio sulla navesolo il timoniere era sveglio al timone; la sirenetta pose le bianche braccia sul parapetto e guardò verso estper vedere il rosso dell'alba: il primo raggio di sole l'avrebbe uccisa. Allora vide le sue sorelle spuntare fuori dal mareerano pallide come leii loro lunghi capelli non si agitavano più nel ventoerano stati tagliati.

    "Li abbiamo dati alla stregaperché ti venisse ad aiutare affinché tu non muoia questa notte. Allora ci ha dato un pugnale; eccolo! vedi com'è affilato? Prima che sorga il sole devi infilzarlo nel cuore del principe; quando il suo caldo sangue bagnerà i tuoi piediquesti riformeranno una coda di pesce e tu ridiventerai una sirena e potrai gettarti in acqua con noi e vivere i tuoi trecento anni prima di morire e diventare schiuma salata. Fai presto! O tu o lui dovete morire prima che sorga il sole! La nonna soffre tanto e ha perso tutti i capelli bianchi e i nostri sono caduti sotto le forbici della strega. Uccidi il principe e torna indietro! Presto! non vedi quella striscia rossa nel cielo? Tra pochi minuti sorgerà il sole e allora morirai!". Sospirarono profondamente e si reimmersero fra le onde.

    La sirenetta sollevò il tappeto di porpora della tenda e vide la bella sposina dormire con il capo sul petto del principesi chinò verso di lui e gli baciò la bella fronteguardò verso il cielo dove la luce dell'alba si faceva sempre più intensaguardò il coltello affilato e poi fissò di nuovo gli occhi del principeche in sogno pronunciò il nome della sua sposa; solo lei era nei suoi pensierie il coltello tremò nella mano della sirena. Allora lo gettò lontano tra le ondeche brillarono rosse dove era caduto: sembrava che gocce di sangue zampillassero dall'acqua. Ancora una volta guardò con lo sguardo spento verso il principe; poi si gettò in mare e sentì che il suo corpo si scioglieva in schiuma.

    Il sole sorse alto sul marei raggi battevano caldi sulla schiuma gelida e la sirenetta non sentì la mortevedeva il bel sole e su di lei volavano centinaia di bellissime creature trasparenti; attraverso le loro immagini poteva vedere la bianca vela della nave e le rosse nuvole del cielo; la loro voce era una melodia così spirituale che nessun orecchio umano poteva sentirla; così come nessun occhio umano poteva vederle. Volavano nell'aria senza aligrazie alla loro stessa leggerezza. La sirenetta vide che aveva un corpo come il loroe che si sollevava sempre più dalla schiuma.

    "Dove sto andando?" chiese la sirenettae la sua voce risuonò come quella delle altre creaturecosì spirituale che nessuna musica terrena poteva riprodurla.

    "Dalle figlie dell'aria!" le risposero. "Le sirene non hanno un'anima immortale e non possono ottenerla se non conquistando l'amore di un uomo! La loro esistenza immortale dipende da una forza estranea. Anche le figlie dell'aria non hanno un'anima immortalema possono conquistarne una da soletramite le buone azioni. Noi andiamo verso i paesi caldi; dove l'aria calda e pestilenziale uccide gli uomininoi portiamo il fresco. Spandiamo il profumo dei fiori nell'aria e portiamo ristoro e guarigione. Se per trecento anni interi continuiamo a fare tutto il bene che possiamootteniamo un'anima immortale e possiamo partecipare all'eterna felicità degli uomini. Tupovera sirenettalo hai desiderato con tutto il cuore; anche tucome noihai sofferto e sopportatoe sei arrivata al mondo delle creature dell'aria: ora puoi compiere delle buone azioni e conquistarti un'anima immortale fra trecento anni!".

    La sirenetta sollevò le braccia trasparenti verso il sole del Signore e per la prima volta sentì la lacrime agli occhi. Sulla nave era ripresa la vita e il rumore; vide che il principe e la sua bella sposa la cercavanoe guardarono tristemente verso la schiuma del marequasi sapessero che si era gettata tra le onde. Invisibile baciò la sposa sulla frontesorrise al principe e salì con le altre figlie dell'aria su una nuvola rosa che navigava nel cielo.

    "Fra trecento anni entreremo nel regno di Dio!" "Anche prima potremo arrivarci" sussurrò una di loro. "Senza farci vedere entriamo nelle case degli uominidove c'è qualche bambino; ogni volta che troviamo un bambino buono che rende felici i suoi genitori e merita il loro amoreil Signore ci abbrevia il periodo di prova. Il bambino non sa quando entriamo in casama noi gli sorridiamo per la gioiae così ci viene tolto un anno dei trecento che ci toccano; se invece troviamo un bambino cattivo e capricciosoallora dobbiamo piangere di dolore e ogni lacrima aumenta di un giorno il nostro tempo di prova!".

     

     

     

  • IL PARADISO TERRESTRE
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    C'era una volta un figlio di re; nessuno aveva tanti bei libri come lui: poteva leggere e guardare raffigurato in magnifiche illustrazioni tutto quello che era successo al mondo. Poteva avere notizie di ogni popolo e di ogni paesema dove si trovasse il paradiso terrestre non era scritto da nessuna parte; lui pensava soprattutto a questo.

    La nonna gli aveva raccontatoquando era ancora piccolo e doveva andare a scuolache ogni fiore del paradiso terrestre era in realtà un buonissimo dolceche ogni stame era pieno del vino miglioreche su un fiore c'era la storiasu un altro la geografia o le tabellinee che bastava mangiarli per imparare le lezioni; quanto più se ne mangiavanotanto più si imparava di storiageografia e tabelline.

    A quel tempo lui ci credevama ora che era cresciutoaveva imparato di più ed era diventato più sveglioaveva capito che doveva esserci un altro genere di bellezza nel paradiso terrestre.

    "Oh! Perché Eva violò la legge dell'albero della conoscenza? Perché Adamo mangiò il frutto proibito? Se ci fossi stato ionon sarebbe accaduto! Mai sarebbe arrivato il peccato sulla Terra!" Così diceva allora e così diceva ancora adessoche aveva diciassette anni. Il paradiso terrestre occupava tutti i suo pensieri!

    Un giorno andò nel boscoci andò da soloperché questo era il suo divertimento preferito.

    Venne la sera e le nuvole si ingrossaronocominciò a piovere forte come se il cielo fosse un'unica cataratta da cui cadeva tutta l'acqua; era così buio che sembrava di essere di notte dentro il pozzo più profondo. Il principe cominciò ora a scivolare sull'erba bagnataora a cadere sulle pietre nude che sporgevano dal terreno. Tutto gocciolava d'acquae il principe stesso si ritrovò bagnato fradicio.

    Si dovette inerpicare su grossi blocchi di pietra coperti di alto muschio che gocciolava tutto. Stava per svenirequando sentì uno strano sibilo e vide davanti a sé una grande grotta illuminata. Nel mezzo ardeva un fuoco così grande che ci si poteva arrostire un cervoed era appunto quello che stava accadendo. Un bellissimo cervo dalle lunghe corna era stato posto sullo spiedo e girava lentamenteappoggiato a due tronchi d'abete abbattuti.

    Una vecchia grossa e robustache sembrava un uomo travestitoera seduta accanto al fuoco e ci gettava di continuo pezzi di legna.

    "Avvicinati!" dissesiediti accanto al fuoco così i tuoi abiti asciugheranno.

    "C'è un'aria terribilequi" esclamò il principe sedendosi a terra.

    "Sarà anche peggio quando torneranno a casa i miei figli!" rispose la donna. "Ti trovi nella grotta dei ventii miei figli sono i quattro venti del mondo. Lo capisci?" "Dove sono i tuoi figli?" domandò il principe.

    "Non è facile rispondere a una domanda sciocca! I miei figli sono in libertàgiocano a palla con le nuvole su nel grande salone" e indicò verso l'alto.

    "Ah sì?" esclamò il principe. "Però voi parlate duramente e non siete dolce come le altre donne che di solito mi stanno intorno!" "Certo! Quelle non avranno altro da fare! bisogna che io sia dura se voglio che i miei figli siano disciplinati. E ci riesco anche se hanno la testa dura! Vedi quei quattro sacchi appesi alla parete? Di quelli hanno timore proprio come tu temevi la bacchetta dietro lo specchio.

    Io sono ancora capace di piegare i miei ragazzite lo assicuroe di metterli nel sacco. Qui non si fanno complimenti! Restano lì dentro e non tornano a bighellonarefinché non credo che sia arrivato il momento giusto. Ma ecco che ne arriva uno." Era il vento del Nordche entrò con un freddo incredibile; grossi chicchi di grandine rimbalzarono sul pavimento e fiocchi di neve volarono dovunque. Portava calzoni e una giacca di pelle d'orsoun cappello di pelle di foca gli copriva anche le orecchie; lunghi ghiaccioli gli pendevano dalla barbae dal bavero della giacca caddero per terra chicchi di grandine.

    "Non andare subito vicino al fuoco!" lo avvisò il principe. "Ti possono venire i geloni alle mani e al viso!" "Geloni!" disse ridendo forte il vento del Nord. "Geloni! è proprio il mio divertimento preferito! E tu chi sei? Come mai sei qui nella grotta dei venti?" "E' mio ospite" disse la vecchiae se non ti soddisfa questa spiegazione puoi sempre andartene nel sacco! Mi conosci bene!La frase fece il suo effettoe il vento del Nord raccontò da dove veniva e dov'era stato per quasi un mese intero.

    "Vengo dal Polo!" disse. "Sono andato verso l'Isola degli Orsi con alcuni russi cacciatori di trichechi. Ho dormito sul timone mentre navigavano da Capo Nord. Quando ogni tanto mi svegliavole procellarie mi volavano tutt'intorno. E' proprio un uccello stranosi innalza con un rapido colpo d'alipoi le mantiene completamente immobili eppure vola velocissimo! " "Non essere troppo prolisso!" esclamò la madre dei venti. "Sei poi arrivato all'Isola degli Orsi?" "Che bellezza! C’è un pavimento fantastico per ballareè tutto liscio come un piatto. Laggiù c'era neve mezza gelata e muschiopietre aguzze e ossa di tricheco e di orso polaresembravano proprio braccia e gambe di antichi guerrieri ricoperti di muffa verdecome se il sole non li avesse mai raggiunti. Disperdendo la nebbia con il mio soffio scoprii un rifugiouna capanna di rottami ricoperta di pelle di trichecocon la parte della carne tutta rossa e verde rivolta verso l'esterno. Sul tetto era seduto un orso bianco vivo che brontolava.

    Poi andai alla spiaggia a vedere i nidi di uccello; trovai dei piccoli ancora senza piumeche gridavano con il becco spalancatoio soffiai nelle loro mille gole e così impararono a tenere la bocca chiusa. Più oltre c'erano trichechi che si rotolavano come budella vive o come enormi lombrichi con la testa di maiale e denti lunghissimi!" "Sai raccontare molto benefiglio mio!" disse la madre. "Mi viene l'acquolina in bocca ad ascoltarti." Poi ci fu la caccia. L'arpione fu infilato nel petto del trichecoe uno spruzzo di sangue fumante si sparse sul ghiaccio come fosse una fontana. Allora pensai di intervenire. Soffiai e intrappolai le imbarcazioni con i miei velierigli altissimi iceberg. Accidenti come fischiarono i cacciatori! come urlarono!

    Ma io fischiai ancora più forte. Dovettero trascinare sul ghiaccio i corpi dei trichechi mortile casse e le sartie! Io gli scrollai intorno neve e li obbligai a dirigersi verso sud trascinando le loro predesempre con le navi intrappolate tra il ghiaccio; così assaggeranno l'acqua salata del Sud! E non torneranno mai piu all'lsola degli Orsi!" "Allora hai fatto del male!" esclamò la madre dei venti.

    "Il bene che ho fatto lo racconteranno gli altri!" rispose il vento.

    "Ma ecco che sta arrivando mio fratello di Ponenteè quello con cui mi trovo megliosa di mare e porta con sé una bella frescura." "E' il piccolo Zefiro?" domandò il principe.

    "Sìè Zefiro" rispose la vecchiama non è più così piccolo. Molto tempo fa era proprio un bel ragazzino, ma ora sono passati quei tempi!Aveva un aspetto selvaggiosi proteggeva le testa con un cercine e in mano aveva un bastone di mogano preso nelle foreste americane. Non ci si poteva aspettare di meno!

    "Da dove vieni?" gli chiese sua madre.

    "Dalle foreste vergini!" rispose. "Dove le liane piene di spine si avvolgono tra gli alberidove il serpente d'acqua è nascosto tra l'erba e dove gli uomini sono di troppo!" "Che cos'hai fatto lì?" "Ho visto un fiume profondo che si gettava da una roccia e si trasformava in pulviscolo risalendo verso le nuvoleper reggere l'arcobaleno. In quel fiume ho visto nuotare il bufalo selvaggio e ho visto la corrente che lo travolgeva: inseguiva uno stormo di anatre selvatichema queste si alzarono in volo quando l'acqua precipitòil bufalo invece cadde giù: è stato proprio bello! Poi mi misi a soffiare una tale tempesta che gli alberi secolari si sradicarono e si spezzarono." "Non hai fatto altro?" chiese la vecchia.

    "Ho fatto le capriole nelle savaneho accarezzato i cavalli selvaggi e ho scosso le palme da cocco! Certo: ne ho di storie da raccontare!

    Ma non si deve dire tutto quello che si sa. Lo sai anche tuvecchia mia" e intanto baciò sua madre che quasi la fece cadere a terra; era proprio un ragazzo selvaggio.

    Poi giunse il vento del Sudcol turbante e un mantello da beduino che svolazzava.

    "Fa veramente freddo qua dentro!" dissee aggiunse legna al fuoco.

    "Si capisce subito che il vento del Nord è già arrivato." "Adesso fa talmente caldo che si potrebbe arrostire un orso bianco!" ribatté il vento del Nord.

    "Tu sei un orso bianco!" replicò il vento del Sud.

    "Volete finire nel sacco?" chiese la vecchia. "Siediti su quella pietra e racconta dove sei stato." "In Africamamma" rispose. "Sono stato con gli ottentotti a cacciare il leonenel paese dei cafri. Che erba cresce su quelle pianure!

    verde come le olive. L'antilope ha danzato e lo struzzo ha gareggiato con mema io sono stato più veloce. Mi sono spinto fino al deserto giallo di sabbia: sembra il fondo del mare. Ho incontrato una carovana: stavano ammazzando il loro ultimo cammello per avere un po' d'acqua da berema ce n'era molto poca. Il sole ardeva in alto e la sabbia bruciava in basso. Il deserto era senza confini. Allora mi sono rotolato tra quella sabbia sottile e leggerasollevandola. Avresti dovuto vedere come si piegava il dromedario e come il commerciante si tirava il caffettano sul capo! Si è gettato a terra di fronte a me come se fossi stato Allahil suo Dio. Ora sono seppelliti làc'è una piramide di sabbia sopra di loro; quando un giorno la soffierò viail sole imbiancherà le loro ossa e i viandanti vedranno che lì c'erano già stati altri uomini prima di loro. Altrimenti non ci si potrebbe crederenel deserto!" "Allora hai fatto soltanto del male!" disse la madre. "Fila nel sacco!" e prima che lui se ne accorgesseera già stato afferrato alla vita e messo nel sacco. Questo rotolò sul pavimentoma la vecchia ci si sedette sopra e così si dovette calmare.

    "Avete proprio dei bravi ragazzi!" disse il principe.

    "Insomma!" rispose la vecchiama io so farli rigare dritto! Ecco che arriva il quarto!Era il vento dell'Estabbigliato come un cinese.

    "Ahvieni da quella parte!" disse la madre. "Credevo che fossi stato nel paradiso terrestre." "Noci vado domani!" rispose il vento dell'Est. "Domani scadono cento anni dall'ultima volta. Adesso vengo dalla Cinadove ho ballato intorno alla torre di porcellanaaffinché tutte le campane suonassero. Per la strada i funzionari venivano colpiti sulla schiena con canne di bambù; erano tutti funzionari dal primo al nono grado e gridavano: "Molte graziemio paterno benefattore!"ma non pensavano certo niente del genereio intanto facevo suonare le campane e cantavo tsingtsangtsu!".

    "Sei troppo vivace!" disse la vecchia. "Per fortuna domani andrai al paradiso terrestree ti farà bene all'educazione! Bevi molto alla fonte della saggezza e portane una bottiglietta pure per me." "Lo farò!" rispose il vento dell'Est. "Ma perché hai chiuso mio fratello del Sud dentro al sacco? Liberalo! Mi deve raccontare dell'araba fenice. La principessa del paradiso terrestre vuole sempre sentir parlare di quell'uccelloquando le vado a farle visita ogni cento anni. Apri il sacco! Sei la mia cara mamma e ti regalerò due tasche piene di tèverde e frescoraccolto proprio sul posto!" "Aprirò il sacco solo per il tè e perché sei il mio prediletto!" Così fece e il vento del Sud tornò fuorima era molto abbattuto perché quel principe straniero aveva assistito a tutto.

    "Eccoti qui una foglia di palma per la principessa!" disse. "Me l'ha data la vecchia araba fenicela sola che c'era al mondo; col becco ci ha inciso tutta la storia della sua vitadei cento anni che è vissuta. Così lei potrà leggersela da sola. Io stesso ho visto l'araba fenice appiccare il fuoco al suo nidoposarcisi sopra e bruciarecome una donna indiana. Come crepitavano i rami secchiche fumo e che profumo! Alla fine ci fu una grande fiammata e la vecchia araba fenice diventò cenerema il suo uovo brillò incandescente sul fuocopoi si aprì con un gran fragore e ne uscì il figlioche ora è re di tutti gli uccelli: è l'unica araba fenice che esiste al mondo. Lui stesso ha fatto un buco nella foglia che ti ho datoè un piccolo saluto per la principessa." "Adesso però dobbiamo mangiare qualcosa!" intervenne la madre dei ventie così tutti sedettero a mangiare il cervo arrostito; il principe si mise accanto al vento dell'Est e subito diventarono buoni amici.

    "Raccontami un po'" gli disseche principessa è quella di cui parlate tanto, e dove si trova il paradiso terrestre?.

    "Oh!" disse il vento dell'Estse ci vuoi andare puoi venire con me domani. Ma devo avvertirti che non c'è più stato nessun altro uomo dopo Adamo e Eva. E quelli li conoscerai di certo dalla Bibbia!Certo!rispose il principe. "Quando vennero cacciatiil paradiso terrestre precipitò sulla terrama conservò il sole caldol'aria mite e tutte le sue meraviglie. Ci abita la regina delle fatenell'isola della beatitudine dove la morte non arriva mai; è proprio bello starci! Domani siediti sulla mia schiena e io ti porterò con me:

    credo che si possa fare. Ma adesso smettila di parlareperché voglio dormire".

    E così tutti dormirono.

    Nelle prime ore del mattino il principe si svegliò e rimase non poco stupito vedendo che era già in alto sopra le nuvole. Era seduto sulla schiena del ventoche lo teneva ben saldo; erano così in alto che i boschii fiumi e i laghi apparivano come su una carta geografica illuminata.

    "Buon giorno!" disse il vento dell'Est. "Potevi anche dormire un po' di piùnon c'è granché da vedere nel paese che c'è sotto di noi. A meno che tu abbia voglia di contare le chiese: sembrano macchie di gesso sulla tavola verde". Quello che lui chiamava tavola verde erano in realtà prati e campi.

    "E' stato scortese che io non abbia salutato tua madre e i tuoi fratelli!" esclamò il principe.

    "Quando si dorme non si ha colpa" rispose il vento dell'Este volò in fretta più di prima. Lo si poteva sentire dalle cime dei boschi:

    quando si sfioravanoi rami e le foglie frusciavano; e lo si poteva capire dal mare e dai laghi: dove passavano lorole onde si ingrossavano e le grosse navi si piegavano verso l'acquacome cigni che nuotino.

    Verso seraquando fece buiofu divertente guardare le grandi città; le luci brillavano un po' qua e un po' làcome quando si brucia un pezzo di carta e si vedono tante piccole scintille di fuoco scompariresimili ai bambini che escono da scuola. Il principe batté le manima il vento dell'Est gli chiese di non farloe di tenersi ben saldoperché altrimenti avrebbe potuto cadere e rimanere appeso alle guglie di qualche chiesa.

    L'aquila vola leggera nel bosco scuroma il vento dell'Est volava ancora più leggero. Il cosacco cavalca veloce le pianure sul suo cavallinoma il principe cavalcava in modo ben diverso.

    "Ora puoi vedere l'Himalaja!" esclamò il vento dell'Est. "la montagna più alta dell'Asia; tra poco saremo al paradiso terrestre".

    Si diressero verso sud e subito sentirono un profumo di aromi e di fiori. I fichi e i melograni crescevano liberamente e l'uva aveva grappoli rossi e blu. I due scesero e si sdraiarono sull'erba teneradove i fiori si inchinavano al vento come se avessero voluto dire:

    "Bentornato!".

    "Siamo nel paradiso terrestre?" domandò il principe.

    "Certo che no!" rispose il vento dell'Estma ci saremo presto. Vedi quella parete di roccia e quella grossa grotta, dove i tralci di vite pendono come grandi tende verdi? E' là in mezzo che dobbiamo passare.

    Avvolgiti bene nel mantello, qui il sole è caldo, ma tra un passo ci sarà un freddo polare. L'uccello che passa davanti alla grotta ha un'ala nella calda estate e l'altra nel freddo inverno.

    "E' quella la strada per il paradiso terrestre?" chiese il principe.

    Entrarono nella grottauhche freddo faceva! Ma non durò a lungo. Il vento dell'Est distese le ali che brillarono come il fuoco più lucente; che grotta! Grossi massi di pietrada cui gocciolava l'acquapendevano sopra di loro nelle forme più strane; ogni tanto era così stretto che erano costretti a camminare a quattro zampealtre volte così alto e ampio che sembrava d'essere all'aria aperta.

    Pareva di essere in una cappella funebrecon canne d'organo mute e stendardi pietrificati!

    "Passiamo per la strada della morte per arrivare al paradiso terrestre?" domandò il principema il vento non risposee fece segno davanti a loro: una meravigliosa luce azzurra veniva loro incontroi massi di pietra si trasformavano sempre più in nebbiae alla fine diventarono trasparenti come una nuvola bianca alla luce della luna.

    Ora si trovavano immersi in un'aria mite e trasparentefresca come sulle montagne e profumata come vicino alle rose della valle.

    Scorreva un fiumetrasparente come l'aria stessae i pesci erano d'oro e d'argento; anguille color porporache a ogni guizzo sprizzavano scintille azzurregiocavano sott'acquale larghe foglie della ninfea avevano i colori dell'arcobalenoil fiore era una fiamma rosso-gialla ardente che l'acqua alimentavacome l'olio alimenta la lampada! Un ponte di marmo ben saldoma intagliato così finemente e con tale arte da sembrare fatto di pizzi e perleportava all'isola della beatitudinedove fioriva il paradiso terrestre.

    Il vento prese in braccio il principe e lo portò dall'altra parte. Lì i fiori e le foglie cantavano le più deliziose canzoni della sua infanziama con una dolcezza taleche nessuna voce umana può avere.

    Erano palme e gigantesche piante acquatiche quelle che crescevano?

    Alberi così grandi e rigogliosi il principe non ne aveva mai visti!

    Stranissime piante rampicanti pendevano in lunghe coronecome quelle che si trovano raffigurate a vari colori e in oro sul margine di vecchi libri di santio intrecciate con le lettere iniziali. Era uno strano insieme di uccellifiori e ghirigori. Nell'erba folta c'era un gruppo di pavoni con le code tese che luccicavano. Davvero! Quando il principe li toccòcapì che non erano animalima piante; enormi piante di farfaraccio che brillavano come fossero state bellissime code di pavoni. Il leone e la tigre balzaronocome agili gattitra i verdi cespugli che odoravano come i fiori dell'olivo; sia il leone che la tigre erano mansueti; la colomba selvatica brillava come la perla più bella e frullava le ali sulla criniera del leone; l'antilopeche di solito è molto timidafaceva cenno col capocome avesse voluto giocare anche lei.

    Poi arrivò la fata del paradiso terrestre; i suoi abiti splendevano come il sole e il suo viso era dolcecome quello di una madre che è felice per il suo bambino. Era così giovane e bellaed era accompagnata da fanciulle bellissimeognuna con una stella che splendeva tra i capelli.

    Il vento dell'Est le diede la foglia scritta dall'araba fenicee i suoi occhi brillarono di gioia. Prese per mano il principe e lo portò nel suo castellodove le pareti avevano i colori dei più bei petali di tulipani messi contro solee il soffitto stesso era un enorme fiore luminosoe più lo si guardavapiù il calice sembrava profondo.

    Il principe andò alla finestra e guardò fuori; vide così l'albero della conoscenzacon il serpentee lì accantoAdamo ed Eva. "Non sono stati cacciati?" chiesee la fata sorrise e gli spiegò che il tempo aveva impresso a fuocosu ogni finestraun'immagine ma non come siamo abituati a vedere noi; in quelle c'era vitale foglie degli alberi si muovevano e gli uomini andavano e venivanocome in uno specchio. Egli guardò allora in un'altra finestrae vide il sogno di Giacobbecon la scala che conduceva fino al cielo e gli angeli che volavano su e giù con le loro grandi ali. Sìtutto quanto era avvenuto nel mondo viveva là e si muoveva nei vetri delle finestre; solo il tempo aveva potuto imprimervi immagini così splendide!

    La fata sorrise e lo condusse in un saloneampio e molto altole cui pareti sembravano vetrate trasparentiistoriate con volti uno più bello dell'altro. Lì c'erano milioni di beatiche sorridevano e cantavanoe tutto andava a formare un'unica melodia; quelli più in alto erano così lontani che apparivano più piccoli del più piccolo bocciuolo di rosa che si può disegnare come un punto sulla carta. In mezzo al salone c'era un grande albero con rami carichi di foglie; mele dorategrandi e piccolecomparivano come arance tra le foglie verdi. Questo era l'albero della conoscenzadi cui Adamo ed Eva avevano mangiato il frutto. Da ogni foglia pendeva una lucente goccia rossa di rugiada: era come se l'albero versasse lacrime di sangue.

    "Saliamo sulla barca!" disse la fataci rinfrescheremo, abbandonati alle onde! La barca dondola, ma non si sposta, eppure tutti i paesi del mondo sfileranno davanti ai nostri occhi. Era proprio strano vedere come tutta la costa si muoveva. Giunsero le alte Alpi coperte di nevecon grosse nuvole e neri abetiil corno risuonava malinconico e il pastore cantava allegramente lo jodel verso la valle.

    Poi vide i banani piegare i loro lunghi rami carichi verso la barca; cigni neri come il carbone nuotavano e sulla riva si trovavano gli animali e i fiori più strani. Era la Nuova Zelandala quinta parte del mondoche passava davanti a loromostrando le sue montagne azzurre. Si udiva il canto della principessa e si vedevano le danze dei selvaggi al suono del tamburo e delle trombe di osso. Le piramidi dell'Egittoche arrivavano fino alle nuvolepassarono di lìe con loro colonne e sfingi crollatesemisommerse dalla sabbia. L'aurora boreale brillava sui vulcani del Nordera un fuoco d'artificio impossibile da imitare. Il principe era cosi felicee vide cento volte più cose di quelle che vi abbiamo raccontato.

    "Posso restare qui per sempre?" chiese.

    "Dipende da te! Se non ti lasci tentarecome Adamoa fare quello che è vietatopotrai restare qui".

    "Non toccherò le mele dell'albero della conoscenza" disse il principe.

    "Qui ci sono migliaia di altri frutti belli come quelle!".

    "Guarda in te stesso: se non sei abbastanza decisoriparti con il vento dell'Est che ti ha portato fin qui; lui ora riparte e tornerà soltanto tra cento anni; cento anni che passeranno per te in questo luogo come fossero solamente cento orema è comunque un periodo lungo per la tentazione e il peccato. Ogni seraquando me ne andròti dirò: "Seguimi!"e ti farò cenno con la manoma tu non dovrai seguirmi. Non venire con mealtrimenti a ogni passo il tuo desiderio diventerà sempre più grande; arriverai nella sala dove cresce l'albero della conoscenza; io dormo sotto i suoi rami pendenti pieni di profumo. Tu ti chinerai su di me e io ti sorrideròma se tu mi bacerai sulla boccail paradiso terrestre sprofonderà nella terra e tu lo perderai. Il vento tagliente del deserto ti avvolgeràla fredda pioggia ti bagnerà i capelli. Dolore e tribolazione saranno tutto il tuo avere!" "Resto qui! " esclamò il principee il vento dell'Est lo baciò in fronte dicendo: "Sii fortee ci rivedremo tra cento anni! Addioaddio!" e allargò le grandi alie queste luccicarono come il grano durante il raccoltoo come l'aurora boreale nel freddo inverno.

    "Addioaddio!" rieccheggiò tra i fiori e gli alberi. Le cicogne e i pellicani volarono in filacome nastri svolazzantie lo accompagnarono fino al confine del paradiso terrestre.

    "Ora avranno inizio le danze!" disse la fataalla fine, quando ballerò con te, vedrai che al calar del sole ti farò cenno e ti dirò:

    Seguimi!"ma tu non farlo. Per cento anni ogni sera dovrò ripeterti questo invitoe ogni volta che supererai la prova diventerai più fortee alla fine non ti costerà nulla. Questa sera sarà la prima voltati ho avvisato!" La fata lo portò in un salone colmo di bianchi gigli trasparentii cui gialli pistilli erano arpe dorate che emettevano i suoni degli strumenti a corda e dei flauti. Fanciulle bellissimeagili e leggerevestite di veli fluttuanti che lasciavano vedere quei corpi deliziosisi libravano nella danza e cantavano che la vita era bellae che non volevano moriree che il paradiso terrestre sarebbe sempre rimasto in fiore.

    Il sole tramontò e il cielo divenne tutto d'oroi gigli brillarono come le rose più belle e il principe bevve il vino spumeggianteche le fanciulle gli porgevano: sentì un senso di beatitudinecome non aveva mai provato prima. Vide che il fondo della sala si apriva e l'albero della conoscenza appariva in tutto il suo splendoreabbagliando la vista del principe; dall'albero veniva un canto dolce e meravigliosoche aveva la voce di sua madree gli parve che cantasse: "Bambino mio! mio amato figlio!".

    In quel momento la fata gli fece cenno e gli gridò amabilmente:

    "Seguimi! Seguimi!". Si precipitò da leidimenticando la sua promessa; la dimenticò già la prima seraquando la fata gli sorrise e gli fece cenno. Il profumoquel profuno intenso che lo circondavasi fece ancora più fortele arpe suonavano in modo ancor più delizioso e sembrò che milioni di volti sorridessero nel salone dove l'albero crescevasi dondolava e cantava: "Bisogna conoscere tutto! L'uomo è il signore della Terra!". E non erano più lacrime di sanguequelle che cadevano dalle sue foglieerano per lui rosse stelle luminose.

    "Seguimi! Seguimi!" risuonava la tremula melodiae a ogni passo le guance del principe si infuocavano sempre più e il sangue circolava più veloce. "Devo andare!" dissenon è peccato, non può esserlo!

    Perché non seguire la bellezza e la gioia ? Voglio vederla dormire.

    Nulla è perduto, se non la bacio, e io non la bacerò, sono forte, ho una volontà risoluta.La fata gettò il suo abito splendentee piegò verso di sé i rami che subito la nascosero.

    "Non ho ancora peccato!" esclamò il principee neppure lo farò!e intanto scostò i rami: lei dormiva giàbellissimacome solo una fata del paradiso terrestre può esserloe sorrideva nel sogno; lui si chinò verso di lei e vide che le lacrime le tremavano sulle ciglia.

    "Piangi per me?" sussurrònon piangere, bella creatura! Solo adesso comprendo la felicità del paradiso terrestre, mi scorre nel sangue, nei pensieri, sento nel mio corpo terreno la forza dei cherubini e la vita eterna. Che la notte eterna mi prenda! Voglio vivere ancora un attimo di questa ricchezza ! e baciò le lacrime che erano su quegli occhie la sua bocca toccò quella di lei...

    Risuonò un fragore di tuonoprofondo e terribilecome mai nessuno aveva uditoe tutto precipitò: la bella fatail paradiso fiorito sprofondaronosprofondarono tanto che il principe li vide sparire nella nera notte; poi brillarono lontanissimocome una piccolissima stella. Il freddo della morte gli trapassò il corpoegli chiuse gli occhi e giacque a lungocome morto.

    La fredda pioggia gli cadde sul visoil vento tagliente soffiò su di luiallora riprese conoscenza. "Che cosa ho fatto!" sospiròho peccato, come Adamo! Ho peccato, così il paradiso terrestre è sprofondato!Aprì gli occhiancora vedeva quella lontanissima stellache splendeva come il paradiso perduto; era la stella del mattino nel cielo.

    Si alzò e si trovò nel grande boscovicino alla grotta dei ventie la madre dei venti era seduta accanto a lui: arrabbiataagitava le braccia in aria.

    "Già la prima sera!" disselo sapevo! Se tu fossi mio figlio, ti metterei nel sacco!Finirà proprio lì!disse la morteche era un vecchio robusto con una falce in mano e grandi ali nere. "Lo metterò in una barama non subito; gli farò un segno e lo lascerò vagare per il mondo un po' di tempoper espiare il suo peccato e per diventare migliore. Quando meno se lo aspetteràlo metterò nella bara nerame lo poserò sulla testa e volerò verso la stella; anche là sopra fiorisce il paradiso terrestree se lui sarà buono e piopotrà entrarcise invece i suoi pensieri saranno cattivi e il suo cuore ancora colmo di peccatosprofonderà con la bara ancora più in basso del paradiso terrestree solo ogni cento anni andrò a prenderlo per vedere se dovrà sprofondare di più o se potrà andare sulla stellasu quella stella che brilla lassù!".

     

     

     

  • L'USIGNOLO
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    In Cinalo sai benel'imperatore è un cinese e anche tutti quelli che lo circondano sono cinesi. La storia è di parecchi anni fama proprio per questo vale la pena di ascoltarlaprima che venga dimenticata. Il castello dell'imperatore era il più bello del mondotutto fatto di porcellana finissimamolto costosa ma talmente fragile e delicatachetoccandolaoccorreva fare molta attenzione. Nel giardino si trovavano i fiori più meravigliosie a quelli più belli erano state attaccate campanelline d'argento che suonavano cosicché nessuno passasse di lì senza notare quei fiori. Sìtutto era molto ben progettato nel giardino dell'imperatore che si estendeva talmente che neppure il giardiniere sapeva dove finisse. Se si continuava a camminaresi giungeva in un bosco splendido con alberi altissimi e laghetti profondi. Il bosco finiva vicino al mareazzurro e profondo; grandi navi potevano navigare fin sotto i rami del bosco e tra questi viveva un usignoloe cantava in modo così meraviglioso che persino il povero pescatoreche aveva tanto da faticareudendolo cantare si fermava ad ascoltarloquando di notte era fuori a tendere le reti da pesca. "OhSignoreche bello!" dicevapoi doveva stare attento al suo lavoro e dimenticava l'uccello. Ma la notte successivaquando questo ancora cantavail pescatore che usciva con la barcaesclamava: "OhSignoreche bello !".

    Nella città dell'imperatore arrivavano stranieri da ogni parte del mondoper ammirare la città stessail castello e il giardino; quando però udivano l'usignolotutti dicevano: "Questa è la più grande meraviglia!".

    I viaggiatori poiuna volta tornati a casaraccontavano tuttoe le persone istruite scrissero molti libri sulla cittàsul castello e sul giardinoma non dimenticarono mai l'usignolo; anzil'usignolo veniva prima di tutto il restoe quelli che sapevano scrivere poesie scrissero i versi più belli sull'usignolo del boscovicino al mare profondo.

    Quei libri fecero il giro del mondo e alcuni giunsero fino all'imperatore. Seduto sul trono d'oroleggeva continuamentefacendo ogni momento cenni di approvazione col capoperché gli piaceva ascoltare le splendide descrizioni della cittàdel castello e del giardino. "Ma l'usignolo è la cosa più bella" c'era scritto.

    "Che cosa?" esclamò l'imperatore. "L'usignolo? Non lo conosco affatto!

    Esiste un tale uccello nel mio regnoe per giunta nel mio giardino!

    Non l'ho mai saputo! E devo leggerlo per saperlo!" Così chiamò il suo luogotenente che era così distinto chese qualcuno inferiore a lui osava rivolgergli la parola o domandargli qualcosanon diceva altro che: "P...!"il che non vuol dire nulla.

    "Qui ci dovrebbe essere un uccello meraviglioso chiamato usignolo" spiegò l'imperatore. "Si dice che sia la massima meraviglia del mio grande regno. Come mai nessuno me ne ha parlato?" "Non l'ho mai sentito nominare prima d'ora" rispose il luogotenentenon è mai stato introdotto a corte.

    "Voglio che venga qui stasera a cantare per me" concluse l'imperatore.

    "Tutto il mondo sa quello che possiedo e io non lo so!".

    "Non l'ho mai sentito nominare prima d'ora!" ripeté il luogotenente "farò in modo di trovarlo".

    Ma dove? Il luogotenente corse su e giù per le scale e attraversò saloni e corridoinessuno di quelli che incontrava aveva mai sentito parlare dell'usignolocosì il luogotenente tornò di corsa dall'imperatore e gli disse che doveva essere un'invenzione di chi aveva scritto i libri.

    "Sua Maestà Imperiale non deve credere a quello che si scrive! E' certamente un'invenzione fatta con quella che chiamano magia nera".

    "Ma quel libro dove l'ho letto" disse l'imperatoremi è stato mandato dal potente imperatore del Giappone, perciò non può essere falso. Voglio sentire quell'usignolo! Dev'essere qui stasera! Sarà ammesso nelle mie grazie! Se invece non viene, tutta la corte verrà picchiata sulla pancia dopo cena!T'sing-pe!rispose il luogotenente e ricominciò a correre su e giù per le scalee attraverso saloni e corridoie metà della corte correva assieme a luidato che non volevano essere picchiati sulla pancia. Si sentiva chiedere soltanto dello straordinario usignolo che tutto il mondo conosceva tranne quelli della corte.

    Alla fine trovarono una povera fanciulla in cucina che disse: "O Dio!

    L'usignolo: lo conoscoe come canta bene. Ogni sera ho il permesso di portare un po' di avanzi a casaalla mia povera mamma malata che vive giù vicino alla spiaggiae quando al ritornostancami fermo a riposare nel boscosento cantare l'usignolo. Mi vengono le lacrime agli occhiè come se la mia mamma mi baciasse!" "Povera sguattera" esclamò il luogotenenteti darò un posto fisso in cucina e ti permetterò di assistere al pranzo dell'imperatore se ci porterai dall'usignolo, dato che è stato convocato per stasera.Così tutti andarono verso il boscodove solitamente cantava l'usignolo; c'era mezza corte. Sul più bello una mucca si mise a muggire.

    "Oh!" dissero i gentiluomini di corteeccolo! C'è una forza straordinaria in una bestia così piccola, certo l'ho sentita prima!.

    "No! Sono le mucche che muggiscono" spiegò la piccola sguatterasiamo ancora lontani.

    Allora le rane gracidarono nello stagno.

    "Bello!" disse il cappellano di corte cineseora lo sento, sembrano tante piccole campane!.

    "No! Sono le rane" esclamò la fanciulla. "Sentitesentite eccolo lì"e fece segno verso un piccolo uccello grigio tra i rami.

    "Possibile?" disse il luogotenentenon me lo sarei mai immaginato così. Com'è modesto! Ha certamente perso i suoi colori nel vedersi intorno tanta gente distinta.Piccolo usignolo!gridò la fanciulla a voce altail nostro clemente imperatore desidera che tu canti per lui!.

    "Volentieri!" rispose l'usignoloe cantò che era un piacere ascoltarlo.

    "E' come se fossero campane di vetro!" commentò il luogotenente. "E guardate quella piccola golacome si sforza! E' molto strano che non l'abbiamo mai sentito prima! Avrà sicuramente successo a corte".

    "Devo cantare ancora una volta per l'imperatore?" domandò l'usignolopersuaso che l'imperatore fosse presente.

    "Mio eccellente usignolo!" disse il luogotenenteho il grande piacere di invitarla a una festa a corte, questa sera, dove lei incanterà la Nostra Altezza Imperiale con il suo affascinante canto!.

    "E' meglio in mezzo al verde!" rispose l'usignoloma li seguì ugualmente volentieri quando seppe che l'imperatore lo desiderava.

    Al castello avevano fatto grandi preparativi. Le pareti e i pavimentiche erano di porcellanabrillavanoilluminati da migliaia di lampade d'oro; i più bei fioriquelli che tintinnavanoerano stati messi lungo i corridoi; c'era un via vai continuo e una forte corrente d'ariacosicché tutte le campanelline si misero a suonare e non fu più possibile capire niente.

    Nel mezzo del grande salone in cui stava l'imperatore era stato collocato un trespolo d'orosu cui l'usignolo doveva posarsi; c'era tutta la cortee la piccola sguattera aveva avuto il permesso di stare dietro alla portadato che era stata insignita del titolo di "sguattera imperiale".

    Tutti indossavano i loro abiti migliori e tutti guardarono quel piccolo uccello grigio che l'imperatore salutò con un cenno.

    L'usignolo cantò così deliziosamente che l'imperatore si commossele lacrime gli scivolarono lungo le guanceallora l'usignolo cantò ancora meglio e gli andò dritto al cuore. L'imperatore era così soddisfatto che diede ordine che l'usignolo portasse intorno al collo la sua pantofola d'oro. L'usignolo ringraziò ma disse che la sua ricompensa l'aveva già avuta.

    "Ho visto le lacrime negli occhi dell'imperatorequesto è il tesoro più prezioso per me. Le lacrime di un imperatore hanno una potenza straordinaria. Dio sa che sono già stato ricompensato!" E cantò ancora con la sua voce dolcissima.

    "E' la civetteria più amabile che io conosca!" dissero le dame di cortee si misero dell'acqua in bocca per fare glugquando qualcuno avesse rivolto loro la parolacosì credevano di essere anch'esse degli usignoli. Pure i lacché e le cameriere cominciarono a essere soddisfattie questa non è cosa da pocoperché sono le persone che è più difficile soddisfare. Sìl'usignolo portò davvero la gioia!

    Ora sarebbe rimasto a cortein una gabbia tutta d'oro e con la possibilità di passeggiare due volte di giorno e una volta di notte.

    Gli furono messi a disposizione dodici servitori e tutti avevano un nastro di seta con cui lo tenevano strettodato che i nastri erano legati alla sua zampina. Non era davvero un divertimento fare quelle passeggiate!

    Tutta la città parlava di quel meraviglioso uccelloe quando due persone si incontravano uno non diceva altro che: "Usi" e l'altrodi rimando: "Gnolo!"e poi sospiravano comprendendosi reciprocamente; undici figli di droghieri ricevettero il nome di quell'uccelloma non uno di essi ebbe il dono di cantare bene.

    Un giorno arrivò un grande pacco per l'imperatorecon scritto sopra:

    "Usignolo".

    "E' sicuramente un nuovo libro sul famoso uccello!" esclamò l'imperatore; ma non era un libroera invece un piccolo oggetto chiuso in una scatola: un usignolo meccanicoche doveva somigliare a quello vivoma era completamente ricoperto di diamantirubini e zaffiri. Non appena lo si caricavainiziava a cantare uno dei brani che anche quello vero cantavae intanto agitava la coda e brillava d'oro e d'argento. Intorno al collo aveva un piccolo nastro su cui era scritto: "L'usignolo dell'imperatore del Giappone è misero in confronto a quello dell'imperatore della Cina".

    "Che bello!" dissero tuttie quello che aveva portato quell'usignolo meccanico ebbe il titolo di Portatore imperiale di usignoli.

    "Ora devono cantare insieme! Chissà che duetto!" Cantarono insiemema non andò molto beneperché l'usignolo vero cantava a modo suoquello meccanico invece funzionava con dei cilindri. "Non è colpa sua!" spiegò il maestro di musicail tempo lo tiene bene e segue in tutto la mia scuola!. Così l'usignolo meccanico dovette cantare da solo. Riscosse lo stesso successo di quello veroma era molto più bello da guardare: brillava come i braccialetti e le spille.

    Cantò trentatré volte sempre lo stesso pezzo e non era per niente stanco; la gente lo avrebbe ascoltato volentieri ancorama l'imperatore pensò che ora avrebbe dovuto cantare un po' l'usignolo vero... ma dov'era andato a finire? Nessuno aveva notato che era volato dalla finestra apertaverso il suo verde bosco.

    "Guarda un po'!" esclamò l'imperatore; e tutta la corte si lamentò e dichiarò che l'usignolo era un animale molto ingrato. "Ma abbiamo l'uccello migliore!" disseroe così l'uccello meccanico dovette cantare ancora e per la trentaquattresima volta sentirono la stessa melodiama ancora non la conoscevano del tuttoperché era molto difficile il maestro di musica lodò immensamente l'uccello e assicurò che era migliore di quello veronon solo per il suo abbigliamento e i bellissimi diamantima anche internamente.

    "PerchévedeteSignore e Signorie prima di tutti Vostra Maestà Imperialecon l'usignolo vero non si può mai prevedere quale sarà il suo canto; in questo uccello meccanico invece tutto è stabilito. Così è e non cambia! Ci si può rendere conto di come è fattolo si può aprire e si può capire in che modo sono collocati i cilindricome funzionano e come si muovonouno dopo l'altro." "E' proprio quello che penso anch'io!" esclamarono tuttie il maestro di musica ottenne il permessola domenica successivadi mostrare l'uccello al popolo. "Anche loro devono sentirlo cantare" disse l'imperatoree così lo sentirono e si divertirono moltissimocome si fossero ubriacati di tèil che è una cosa tipicamente cinese. Tutti esclamarono: "Oh!" e alzarono in aria il dito indiceche chiamano "leccapentole"e approvarono col capo. Ma i poveri pescatori che avevano sentito l'usignolo verodissero: "Canta benee assomiglia all'altroma manca qualcosaanche se non so che cosa!".

    Il vero usignolo venne bandito da tutto l'impero.

    L'uccello meccanico fu posto sopra un cuscino di seta accanto al letto dell'imperatore; tutti i regali che aveva avutooro e pietre preziosegli furono messi intornoe gli fu dato il titolo di "Cantore imperiale da comodino"; nel protocollo fu messo al primo posto a sinistraperché l'imperatore considerava quel lato più nobileperché è il lato del cuore: e pure il cuore di un imperatore infatti sta a sinistra. Il maestro di musica scrisse venticinque volumi sull'uccello meccanicomolto eruditi e lunghi e espressi con le parole cinesi più difficiliche tutti dissero di aver letto e capitoperché diversamente sarebbero sembrati sciocchi e sarebbero stati picchiati sulla pancia.

    Trascorse così un anno intero; l'imperatorela corte e tutti gli altri cinesi conoscevano ogni più piccolo suono della canzone dell'uccello meccanicoe proprio per questo pensavano che fosse così bella: infatti potevano cantarla anche loroinsieme all'uccelloe così facevano. I ragazzi di strada cantavano: "Zi zi zi! glu glu glu!" e lo stesso cantava l'imperatore. Era proprio bello!

    Ma una seramentre l'uccello meccanico cantava meglio che potevae l'imperatore era a letto a ascoltarlosi sentì svup!; nell'uccello qualcosa era saltato: trrrr! tutte le ruote giraronoe poi la musica si fermò.

    L'imperatore saltò fuori dal letto e chiamò il suo medicoma a cosa poteva servire? Allora fece chiamare l'orologiaio chedopo molti discorsi e visiterimise in sesto in qualche modo l'uccelloma disse che lo si doveva risparmiare il più possibileperché aveva i congegni consunti e non si poteva metterne di nuovi senza correre il rischio di rovinare la musica. Fu un grande dolore! Si poteva far suonare l'uccello meccanico solo una volta l'annoe con faticama il maestro di musica tenne un discorso con parole difficili e disse che tutto era uguale a primae difatti tutto fu uguale a prima.

    Passarono cinque anni e tutto il paese ebbe un grande dispiacere perché in fondo tutti amavano il loro imperatore; e lui era malato e non sarebbe vissuto a lungosi diceva; un nuovo imperatore era già stato scelto e il popolo si riuniva per la strada e domandava al luogotenente come stava il loro imperatore.

    "P!" diceva lui scuotendo la testa.

    L'imperatore stava pallido e gelido nel suo grande e meraviglioso letto. Tutta la corte credeva che fosse morto e tutti si affrettarono per salutare il nuovo imperatore; i servitori uscirono per parlare dell'avvenimento e le cameriere si erano trovate in compagnia per il caffè. In tutti i saloni e i corridoi erano stati messi a terra dei drappeggiaffinché non si sentisse camminare nessunoe per questo motivo c'era silenziotanto silenzio. Ma l'imperatore non era ancora morto; rigido e pallido stava nel suo bel letto con le lunghe tende di velluto e i pesanti fiocchi dorati. In alto la finestra era aperta e la luna illuminava l'imperatore e l'uccello meccanico.

    Il povero imperatore non riusciva quasi a respirareera come se avesse qualcosa sul petto; spalancò gli occhi e vide che la morte sedeva sul suo petto e s'era messa sul capo la sua corona d'oro. In una mano teneva la spada d'oro e nell'altra una splendida insegna; tutt'intornodalle pieghe delle grandi tende di velluto del lettocomparivano strane testealcune orribilialtre molto dolci: erano tutte le buone e cattive azioni dell'imperatoreche lo guardavanoora che la morte poggiava sul suo cuore.

    "Ricordi?" sussurrarono una dopo l'altra. "Ricordi?" e gli raccontarono tante e tante cose che il sudore gli colava dalla fronte.

    "Non l'ho mai saputo!" diceva l'imperatore. "Musicamusicail grande tamburo cinese!" strillava per non sentire quello che dicono!Ma loro insistevano e la morte faceva segno di sì con la testa a tutto quello che veniva detto.

    "Musica! Musica!" gridò l'imperatore. "Tupiccolo uccello d'oro cantaforzacanta! Ti ho dato oro e oggetti preziositi ho messo personalmente la mia pantofola d'oro al collocantadunquecanta!" Ma l'uccello tacevanon c'era nessuno che lo caricasse e perciò non poteva cantare. La morte invece continuò a guardare l'imperatore con le sue enormi orbite cavee stava in silenzioin un silenzio spaventoso.

    In quel momento si sentì vicino alla finestra un canto mirabile; era il piccolo usignolo vivo che stava seduto sul ramo lì fuori; aveva saputo delle sofferenze dell'imperatore ed era accorso per infondergli col suo canto consolazione e speranza. Mentre lui cantavaquelle immagini diventavano sempre più fiocheil sangue si mise a scorrere più forte nel debole corpo dell'imperatoree la stessa morte si mise ad ascoltare e disse: "Continuapiccolo usignolocontinua!".

    "Solo se mi darai la bella spada d'orose mi darai quella ricca insegnase mi darai la corona dell'imperatore!" E la morte gli diede ogni cimelio in cambio di una canzonee l'usignolo continuò a cantaree cantò del quieto cimitero dove crescevano le rose bianchedove l'albero di sambuco profumava e dove la fresca erbetta veniva annaffiata dalle lacrime dei sopravvissuti; allora la morte provò nostalgia per il suo giardino e volò viacome una fredda nebbia biancafuori dalla finestra.

    "Graziegrazie!" disse l'imperatore. "Piccolo uccello celesteti riconosco! Ti avevo bandito dal mio regno e malgrado ciòcol tuo canto hai allontanato le cattive visioni dal mio lettoe hai scacciato la morte dal mio cuore. Come potrò ricompensarti?".

    "Mi hai già ricompensato!" rispose l'usignolo. "Mi hai dato le tue lacrime la prima volta che ho cantato per tenon lo dimenticherò mai!

    Questi sono i gioielli che fanno bene al cuore di chi canta! Ma ora dormi e torna a essere forte e sano: io canterò per te".

    Cantò di nuovoe l'imperatore cadde in un dolce sonnoin un sonno tranquillo e ristoratore.

    Il sole entrava dalla finestra quando lui si destòguarito e pieno di forza; nessuno dei suoi servitori era ancora tornato perché pensavano che fosse mortoma l'usignolo era ancora lì a cantare.

    "Dovrai restare con me per sempre!" disse l'imperatore. "Canterai solo quando ne avrai vogliae io farò in mille pezzi l'uccello meccanico." "Non farlo!" gridò l'usignolo. "Ha fatto tutto il bene che poteva.

    Conservalo come prima. Io non posso vivere al castello ma consentimi di venire quando ne ho vogliaallora ogni sera mi poserò su quel ramo accanto alla finestra e canterò per te perché tu possa essere felice e riflettere un po'. Ti canterò delle persone felici e di quelle che soffrono. Ti canterò del bene e del male che ti sta intorno e che ti viene tenuto nascosto. L'uccellino che canta vola ovunquedal povero pescatore alla casa del contadino; da tutti quelli che sono distanti da te e dalla tua corte. Io amo il tuo cuore più della tua coronaanche se la corona ha qualcosa di sacro intorno a sé. Verrò a cantare per te! Ma mi devi fare una promessa".

    "Qualsiasi cosa!" rispose l'imperatoreritto negli abiti imperiali che aveva indossato da solola pesante spada d'oro sul cuore.

    "Ti chiedo una sola cosa! Non dire a nessuno che hai un uccellino che ti racconta tuttocosì le cose andranno molto meglio!".

    E l'usignolo volò via.

    I servitori entrarono per vedere il loro imperatore morto; rimasero impalati quando l'imperatore disse: "Buongiorno!".

     

     

     

  • I FIDANZATI
  •  

    Un trottolino e una palla stavano insieme ad altri giocattoli in un cassetto e il trottolino propose alla palla: "Perché non ci fidanziamovisto che siamo insieme nel cassetto?"ma la pallache era fatta di marocchino e si credeva una signorina per benenon si degnò neppure di rispondere.

    Il giorno dopo venne il bambino che possedeva quei giocattoliprese il trottolinolo dipinse di rosso e giallo e ci piantò nel mezzo un chiodo di ottone; ci stava veramente benesoprattutto quando girava.

    "Mi guardi!" disse il trottolino alla palla. "Che cosa ne dice ora?

    non ci possiamo fidanzare? Stiamo proprio bene insiemelei salta e io danzo! nessuno potrebbe essere più felice di noi".

    "Lei crede?" rispose la pallaforse non sa che mio padre e mia madre sono state pantofole di marocchino, e che io ho una valvola in vita!D'accordo, ma io sono in legno di mogano!ribatté il trottolinoe mi ha tornito il sindaco del paese personalmente: possiede un tornio e si è divertito moltissimo!.

    "Le devo credere?" chiese la palla.

    "Che io non venga più fatto rotolarese dico una bugia!" esclamò il trottolino.

    "Lei parla bene" concluse la pallama io non posso accettare, sono quasi fidanzata con un rondone! Ogni volta che vado per aria, si sporge dal nido e mi dice: Accetta? accetta?" e ora ho già detto di sì dentro di mee questo è quasi un fidanzamento! Ma le prometto che non la dimenticherò mai!".

    "Che bella consolazione!" commentò il trottolinoe da allora non si parlarono più.

    Il giorno seguente la palla venne tolta dal cassettoil trottolino vide come veniva lanciata in altosembrava un uccello; alla fine non la si scorgeva più; ma ogni volta ritornava indietroe poi quando toccava terra spiccava un altro gran saltoe questo a causa della nostalgia o della valvola che aveva in vita.

    Al nono salto la palla scomparve e non tornò più indietroil bambino la cercò a lungoma non la trovò più.

    "Io so dov'è andata a finire!" sospirò il trottolino. "Sta nel nido del rondone e si è sposata con lui".

    Più pensava alla pallapiù il trottolino se ne innamorava; proprio perché non poteva averlaprovava sempre più amoree il fatto che lei avesse scelto un altro era quello che più gli dispiaceva. Rotolava e girava su se stessoma continuava a pensare alla pallache nell'immaginazione diventava sempre più graziosa. Trascorsero così perecchi anni e quello divenne un antico amore.

    Il trottolino non era più giovane! Un giorno venne dorato da cima a fondo: non era mai stato così bello. Ora era un trottolino dorato e saltava e girava a più non posso. Che spasso! ma a un certo punto saltò troppo in alto e... sparì!

    Lo cercarono a lungopersino in cantinama non riuscirono a trovarlo. Dov'era finito?

    Era finito nel deposito della spazzatura dove c'era di tutto: torsoli di cavolomanici di scopa e tanti calcinacci caduti dalla grondaia.

    "Adesso sono a posto! qui mi andrà presto la doraturae guarda un po' con chi mi tocca di stare!" e intanto sbirciava verso un lungo torsolo di cavolo che era stato rosicchiato fin troppoe verso uno strano oggetto rotondo che pareva una vecchia mela; ma una mela non eraera invece una vecchia pallache per tanti anni era rimasta sulla grondaia e che l'acqua aveva afflosciato.

    "Per fortuna è arrivato qualcuno del mio ceto con cui poter parlare!" esclamò la palla nel vedere il trottolino dorato. "Io sono fatta di marocchinocucita da una damigella. E ho una valvola in vitama nessuno lo capirebbe ora! Stavo per sposarmi con un rondonequando finii sulla grondaia e lì rimasi per cinque anni affondata nell'acqua.

    E' molto tempomi credaper una signorina". Ma il trottolino non diceva nullapensava al suo antico amoree più l'ascoltavapiù si convinceva che era lei.

    Poi arrivò la domestica per vuotare il secchio della spazzatura e "Eccolo quiil trottolino dorato!" esclamò.

    Il giocattolo ritornò così nella stanza con tutti gli onori; della palla invece non se ne seppe nulla e il trottolino non parlò mai più del suo antico amore; l'amore passa quando la propria amata è rimasta cinque anni a marcire dentro una grondaia; non la si riconosce neppurese la si incontra nel deposito della spazzatura.

     

     

     

  • IL BRUTTO ANATROCCOLO
  •  

    Era così bello in campagnaera estate! Il grano era bello giallol'avena era verde e il fieno era stato ammucchiato nei pratila cicogna passeggiava sulle sue slanciate zampe rosa e parlava egizianoperché aveva appreso quella lingua da sua madre. Intorno ai campi e ai prati c'erano grandi boschie in mezzo ai boschi si trovavano laghi profondi; era proprio bello in campagna! Esposto al sole si trovava un vecchio maniero circondato da canali profondie tra il muro e l'acqua crescevano grosse foglie di farfaraccioed erano talmente alte che i bambini più piccoli potevano stare dritti all'ombra di quelle più grandi. Quel posto era selvaggio come un profondo bosco; lì si trovava un'anatra col suo nido. Doveva covare gli anatroccolima ormai si sentiva quasi stancasia perché ci voleva molto tempo sia perché non riceveva quasi mai visite. Le altre anatre preferivano nuotare lungo i canali piuttosto che risalire la riva e sedersi sotto una foglia di farfaraccio a chiacchierare con lei.

    Finalmente una dopo l'altrale uova scricchiolarono. "Pippip" si sentìtutti i tuorli delle uova erano diventati vivi e mettevano fuori la testolina.

    "Quaqua!" disse l'anatrae subito tutti schiamazzarono a più non possoguardando da ogni parte sotto le verdi foglie; e la madre lasciò che guardasseroperché il verde fa bene agli occhi.

    "Com'è grande il mondo!" esclamarono i piccoli; adesso avevano infatti molto più spazio di quando stavano nell'uovo.

    "Credete forse che questo sia tutto il mondo?" chiese la madre. "Si stende molto lontanooltre il giardinofino al prato del pastore; ma fin là non ci sono mai stata. Ci siete tuttivero?" e intanto si alzò. "Nonon siete tutti. L'uovo più grande è ancora qui. Quanto ci vorrà? Ormai sono quasi stufa"e si rimise a covare.

    "Alloracome va?" domandò una vecchia anatra venuta a farle visita.

    "Ci vuole tanto tempo per quest'unico uovo!" rispose l'anatra che covava. "Non vuole rompersi. Ma dovresti vedere gli altri! Sono i più graziosi anatroccoli che io abbia mai visto; assomigliano tanto al loro padrequel bricconeche non viene nemmeno a trovarmi".

    "Fammi vedere l'uovo che non vuole rompersi!" disse la vecchia. "Può darsi che sia un uovo di tacchina! Anch'io sono stata ingannata una voltae ho passato dei guai con i piccoli che avevano una paura da non credere dell'acqua. Non riuscii a farli uscire. Schiamazzai e beccaima non servì a nulla. Fammi vedere l'uovo. Sìè proprio un uovo di tacchina. Lascialo stare e insegna piuttosto a nuotare ai tuoi piccoli".

    "Adesso lo covo ancora un po'; l'ho covato per così tanto tempo che posso farlo ancora un po'!".

    "Fai come ti pare!" commentò la vecchia anatra andandosene.

    Finalmente quel grosso uovo si ruppe. "Pippip" esclamò il piccolo e uscì: era molto grande e brutto. L'anatra lo osservò.

    "E' un anatroccolo esageratamente grosso!" disse. "Nessuno degli altri è come lui! Purché non sia un piccolo di tacchina! Benelo si scoprirà presto. Deve entrare in acquaanche a costo di prenderlo a calci!".

    Il giorno dopo era una giornata bellissima; il sole brillava sulle verdi foglie di farfaraccio. Mamma anatra andò con tutta la famiglia al canale. Splash! si buttò in acqua; "quaqua!" dissee tutti i piccoli si tuffarono uno dopo l'altro. L'acqua coprì le loro testolinema subito tornarono a galla e galleggiarono beatamente; le zampe si muovevano da sole e c'erano proprio tuttianche il piccolo brutto e grigio nuotava con loro.

    "Nonon è un tacchino!" esclamò l'anatraguarda come muove bene le zampe, come si tiene bene dritto! E' proprio mio! In fondo è anche carino se lo si guarda bene. Qua, qua! venite con me, vi porterò nel mondo e vi presenterò agli altri abitanti del pollaio, ma state sempre accanto a me, che nessuno vi calpesti, e state attenti al gatto!.

    Entrarono nel pollaio. C'era un baccano terribileperché due famiglie si disputavano una testa d'anguillache alla fine andò al gatto.

    "Vedete come va il mondo!" disse la mamma anatra leccandosi il beccodato che anche lei avrebbe voluto la testa d'anguilla. "Adesso muovete le zampe" aggiunseprovate a salutare e a inchinarvi a quella vecchia anatra. E' la più distinta di tutte, è d'origine spagnola, perciò è così pesante! Vedete, ha uno straccio rosso intorno a una zampa. E' una cosa proprio eccezionale, la massima onorificenza che un'anatra possa ottenere. Vuol dire che non la si vuole abbandonare, e che è rispettata sia dagli animali che dagli uomini. Muovetevi! Non tenete i piedi in dentro! Un anatroccolo ben educato tiene le gambe ben larghe, proprio come il babbo e la mamma. Ecco! Adesso chinate il collo e dite qua!.

    E così feceroma le altre anatre lì intorno li guardarono ed esclamarono: "Guardate! Adesso arriva la processionecome se non fossimo già abbastanzaemamma mia com'è brutto quell'anatroccolo!

    Lui non lo vogliamo!" e subito un'anatra gli volò vicino e lo beccò alla nuca.

    "Lasciatelo stare" gridò la madre "non ha fatto niente a nessuno!".

    "Sìma è troppo grosso e strano!" rispose l'anatra che lo aveva beccatoe quindi ne prenderà un bel po'!.

    "Che bei piccoli ha mamma anatra!" disse la vecchia con lo straccetto intorno alla zampasono tutti belli, tranne uno, che non è venuto su bene. Sarebbe bello che potesse rifarlo!.

    "Non è possibileVostra Grazia!" rispose mamma anatranon è bello, ma è d'animo molto buono e nuota bene come tutti gli altri, anzi un po' meglio. Credo che, crescendo, diventerà più bello e che col tempo sarà meno grosso. E' rimasto troppo tempo nell'uovo, perciò ha un corpo non del tutto normale. E intanto lo grattò col becco sulla nuca e gli lisciò le piume. "Comunque è un maschio" aggiunsee quindi non è così importante. Credo che avrà molta forza e riuscirà a cavarsela!.

    "Gli altri anatroccoli sono carini" disse la vecchia. "Fate come se foste a casa vostra ese trovate una testa d'anguillaportatemela".

    E così fecero come se fossero a casa loro.

    Ma il povero anatroccolo che era uscito per ultimo dall'uovo e che era così brutto venne beccatospinto e preso in girosia dalle anatre che dalle galline: "E' troppo grosso!" dicevano tuttie il tacchinoche era nato con gli speroni e perciò credeva di essere imperatoresi gonfiò come un'imbarcazione a vele spiegate e si precipitò contro di luigorgogliando e con la testa tutta rossa. Il povero anatroccolo non sapeva se doveva rimanere o andare viaera molto abbattuto perché era così brutto e tutto il pollaio lo prendeva in giro.

    Così passò il primo giornoe col tempo fu sempre peggio. Il povero anatroccolo veniva cacciato da tuttipersino i suoi fratelli erano cattivi con lui e dicevano sempre: "Se solo il gatto ti prendessebrutto mostro!" e la madre pensava: "Se tu fossi lontano da qui!". Le anatre lo beccavanole galline lo colpivano e la ragazza che portava il mangime alle bestie lo allontanava a calci.

    Così volò oltre la siepe; gli uccellini che si trovavano tra i cespugli si alzarono in volo spaventati. "E' perché io sono così brutto" pensò l'anatroccolo e chiuse gli occhima continuò a correre.

    Arrivò così nella grande paludeabitata dalle anatre selvatiche. Lì giacque tutta la notte: era molto stanco e triste.

    Il mattino successivo le anatre selvatiche si alzarono e guardarono il loro nuovo compagno. "E tu chi sei?" gli domandaronoe l'anatroccolo si girò da ogni parte e salutò come meglio poté.

    "Sei veramente brutto!" esclamarono le anatre selvatichema non ce ne importa niente, purché tu non ti sposi con qualcuno della nostra famiglia!Quel poverino non pensava certo a sposarsigli bastava solo poter stare fra i giunchi e bere un po' d'acqua della palude.

    Restò lì due giornipoi arrivarono due oche selvaticheo megliodue paperi selvaticidato che erano maschi. Era trascorso poco tempo da quando erano usciti dall'uovo e per questo erano molto spavaldi.

    "Ascoltacompagno"disserotu sei così brutto che ci piaci molto!

    Vuoi venire con noi e essere uccello di passo? In un'altra palude qui accanto ci sono delle graziose oche selvatiche, tutte signorine, che sanno dire qua! Tu potresti avere fortuna, dato che sei così brutto!Pum, pum!si sentì in quel momentotutte e due le anatre caddero morte tra i giunchi e l'acqua si arrossò per il sangue. "Pumpum!" si sentì ancorae tutte le oche selvatiche si sollevarono in schiere.

    Poi spararono di nuovo. C'era caccia grossa; i cacciatori giravano per la paludesìalcuni si erano arrampicati sui rami degli alberi e si sporgevano sui giunchi. Il fumo grigio si spandeva come una nuvola tra gli alberi neri e rimase a lungo sull'acqua. Nel fango arrivarono i cani da caccia; plaschplasch! Canne e giunchi dondolavano da ogni parte. Spaventatoil povero anatroccolo piegò la testa tentando di infilarsela sotto le alima in quello stesso istante si trovò vicino un cane terribilmente grossocon la lingua che gli penzolava fuori dalla bocca e gli occhi che brillavano orrendamente; avvicinò il muso all'anatroccolomostrò i denti aguzzi e plasch! se ne andò senza fargli niente.

    "Dio sia lodato!" sospirò l'anatroccolosono talmente brutto che persino il cane non osa mordermi.

    E rimase tranquillomentre i pallini fischiavano tra i giunchi e si udivano gli spari un colpo dopo l'altro.

    Solo a giorno inoltrato tornò la calmama ancora il povero giovane non osava rialzarsi; aspettò ancora parecchie ore prima di osare guardarsi intornoe poi si affrettò a lasciare la palude più presto che poteva. Corse per campi e pratima c'era molto vento e faticava ad avanzare.

    Verso sera arrivò a una povera e piccola casa di contadiniera così misera che lei stessa non sapeva da che parte doveva caderee così restava in piedi. Il vento soffiava intorno all'anatroccolotanto che dovette sedersi sulla coda per poter resisterema diventava sempre peggio. Allora notò che la porta si era scardinata da una parte ed era tutta inclinatae che luiattraverso la fessurapoteva infilarsi nella stanzae così fece.

    Qui abitava una vecchia col suo gatto e la gallina; il gattoche lei chiamava "figliolo"sapeva inarcare la schiena e fare le fusae faceva persino scintille se lo si accarezzava contro pelo. La gallina aveva le zampe piccole e basse e per questo la chiamavano "coccodè gamba corta"faceva le uova e la donna le voleva bene come a una figlia.

    Al mattino si accorsero subito dell'anatroccolo estraneoe il gatto prese a fare le fusa e la gallina a chiocciare.

    "Che sta succedendo?" chiese la vecchiae si guardò intornoma non ci vedeva bene e così pensò che l'anatroccolo fosse una grassa anatra che si era persa. "E' proprio una bella preda!" disseora potrò avere uova di anatra, purché non sia un maschio! Lo metterò alla prova.

    E così l'anatroccolo restò in prova per tre settimanema non fece nessun uovo. Il gatto era il padrone di casa e la gallina la padronae dicevano sempre: "Noi e il mondo!" perché credevano di esserne la metàe ovviamente la metà migliore. L'anatroccolo pensava che si potesse avere anche un'altra opinionema questo la gallina non lo sopportava.

    "Fai le uova?" domandò la gallina.

    "No".

    "Allora te ne puoi stare zitto!".

    E il gatto gli disse: "Sei capace di inarcare la schienadi fare le fusa e di fare scintille?".

    "No!".

    "Beneallora non devi avere più opinioniquando parlano le persone ragionevoli".

    E l'anatroccolo se ne stava in un cantucciodi malumore. Poi cominciò a pensare all'aria fresca e al bel sole. Lo prese una strana voglia di andare nell'acquaalla fine non poté più trattenersi e ne parlò alla gallina.

    "Che ti succede?" gli chiese lei. "Non hai niente da fareè per questo che ti vengono le fantasie. Fai le uovao fai le fusavedrai che ti passa!" "Ma è così bello galleggiare sull'acqua!" disse l'anatroccolo "così bello averla sulla testa e tuffarsi giù fino al fondo! " "Sìè certo un gran divertimento!" commentò la gallinatu sei ammattito! Chiedi al gatto, che è il più intelligente che io conosca, se gli piace galleggiare sull'acqua o tuffarsi sotto! Quanto a me, neanche a parlarne! Chiedilo anche alla nostra signora, la vecchia dama ! Più intelligente di lei non c'è nessuno nel mondo. Credi che lei abbia voglia di galleggiare o di avere l'acqua sopra la testa?Voi non mi capite!disse l'anatroccolo.

    "Certose non ti capiamo noi chi ti dovrebbe capireallora? Non sei di sicuro più intelligente del gatto o della donnaper non parlare di me! Non darti delle ariepiccolo! e ringrazia il tuo creatore per tutto il bene che ti è stato fatto. Non hai forse potuto stare in una stanza calda e non hai una compagnia da cui puoi imparare qualcosa? Ma tu sei stramboe non è certo divertente vivere con te. Puoi credermi:

    lo faccio per il tuo bene anche se ti dico cose spiacevoli; così si vedono i veri amici. Cerca piuttosto di fare le uova o di fare le fusa o le scintille!" "Credo che me ne andrò per il mondo" disse l'anatroccolo.

    "Fai come ti pare!" gli rispose la gallina.

    E così l'anatroccolo se ne andò. Galleggiava sull'acqua e ci si tuffavama era disprezzato da tutti gli animali per la sua bruttezza.

    Giunse l'autunno. Le foglie del bosco ingiallironoil vento le afferrò e le fece danzare; e su nel cielo sembrava facesse veramente freddo. Le nuvole erano cariche di grandine e di fiocchi di nevee sulla siepe si trovava un corvo cheah! ah! si lamentava dal freddo.

    Vengono i brividi solo a pensarci. Il povero anatroccolo non stava certo bene.

    Una sera mentre il sole tramontava splendidamenteuscì dai cespugli uno stormo di bellissimi e grandi uccelli; l'anatroccolo non ne aveva mai visti così belli. Erano di un bianco lucentecon lunghi colli flessuosi: erano cigni. Mandarono un grido bizzarroaprirono le loro magnifiche e lunghe ali e volarono viadalle fredde regioni fino ai paesi più caldiai mari aperti! Si alzarono così alti che il brutto anatroccolo provò una strana nostalgiasi rotolò nell'acqua come una ruotasollevò il collo verso di loro ed emise un grido talmente acuto e stranoche si impressionò lui stesso. Ohnon riusciva a scordare quei bellissimi e fortunati uccelli e quando non li vide piùsi tuffò in acqua fino sul fondoe tornato in superficie era come fuori di sé.

    Non sapeva che uccelli fossero e neppure dove stavano andandoma ciò nonostante li amava come non aveva mai amato nessun altro. Non li invidiava assolutamente. Come avrebbe potuto desiderare una simile bellezza! Sarebbe stato contento se solo le anatre lo avessero accettato tra loro. Povero brutto animale!

    E l'inverno fu freddotanto freddo. L'anatroccolo dovette nuotare in continuazione per evitare che l'acqua gelassema ogni notte il buco in cui nuotava si faceva sempre più piccolo. Ghiacciòpoi la superficie scricchiolò. L'anatroccolo doveva muovere le zampe senza fermarsiaffinché l'acqua non si chiudesse; alla fine si indebolìsi fermò e rimase incastrato nel ghiaccio.

    Al mattino presto arrivò un contadinolo vide e col suo zoccolo ruppe il ghiacciopoi lo portò a casa da sua moglie. Lì lo fecero rinvenire.

    I bambini volevano giocare con luima l'anatroccolo pensò che gli volessero fare del male; e per paura cadde nel secchio del latte e lo fece rovesciare nella stanza. La donna strillò e agitò le manilui allora volò sulla dispensa dove c'era il burroe poi nel barile della farinae poi di nuovo fuori! Uhcome si era conciato! La donna gridava e lo inseguiva con le molle del camino e i bambini si urtavano tra loro cercando di agguantarlo e intanto ridevano e gridavano. Per fortuna la porta era aperta; l'anatroccolo volò fuori in mezzo ai cespuglinella neve cadutae restò lìstordito.

    Sarebbe troppo straziante raccontare tutte le miserie e i patimenti che dovette sopportare nel duro inverno. Era nella palude tra le cannequando il sole riprese a splendere caldo. Le allodole cantavanoera arrivata la bella primavera!

    Allora alzò con un colpo solo le aliche frusciarono più robuste di prima e che lo sostennero con forzae prima ancora di rendersene conto si trovò in un grande giardinopieno di meli in fioredove i cespugli di lillà profumavano e curvavano i lunghi rami verdi giù fino ai canali serpeggianti. Oh! Che bel posto! e com'era fresca l'aria di primavera! Dalle fitte piante sbucaronoproprio davanti a luitre bellissimi cigni bianchi; frullarono le piume e galleggiarono dolcemente sull'acqua. L'anatroccolo riconobbe quegli splendidi animali e fu invaso da una strana tristezza.

    "Voglio volare con lorocon quegli uccelli regali; mi ammazzeranno con le loro beccateperché iocosì bruttooso accostarmi a loro. Ma non mi importa! è meglio essere ucciso da loro che essere beccato dalle anatrebeccato dalle gallinepreso a calci dalla ragazza che cura il pollaioe soffrire tanto d'inverno!". E volò nell'acqua e nuotò verso quei magnifici cigni; questi lo guardarono e andarono verso di lui frullando le piume. "Uccidetemi!" esclamò il povero animalee abbassò la testa verso la superficie dell'acqua aspettando la mortemache cosa vide in quell'acqua limpida? Vide sotto di sé la sua propria immagine: non era più il goffo uccello grigio scurobrutto e sgraziatoanche lui era un cigno.

    Che importa essere nati in un pollaio di anatrese si è usciti da un uovo di cigno?

    Ora era contento di tutte quelle sofferenze e avversità che aveva subìtosi godeva di più la felicità e la bellezza che lo salutavano.

    E i grandi cigni nuotavano intorno a lui e lo accarezzavano col becco.

    Nel giardino arrivarono dei bambini e buttarono pane e grano nell'acqua; poi il più piccino gridò: "Ce n'è uno nuovo!". E gli altri bambini esultarono con lui: "Sìne è arrivato uno nuovo!". Battevano le mani e saltavanopoi corsero a chiamare il babbo e la mammae gettarono ancora pane e dolci in acquae tutti dicevano: "Quello nuovo è il più bellocosì giovane e fiero!". E i vecchi cigni si inchinarono dinnanzi a lui.

    Allora si sentì timidissimo e infilò la testa sotto le alinon sapeva neppure lui cosa avesse! Era troppo felicema non era affatto superboperché un cuore buono non diventa mai superbo! Ricordava come era stato perseguitato e insultatoe adesso sentiva dire che era il più bello di tutti gli uccelli! I lillà curvarono i rami fino all'acqua e il sole brillava caldo e luminoso. Allora lui frullò le piumerialzò il collo slanciato e esultò nel cuore: "Tanta felicità non l'avevo mai sognataquando ero un brutto anatroccolo!".

     

     

     

  • LE SCARPETTE ROSSE
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    C'era una volta una bimba molto graziosa e delicatama che d'estate andava sempre in giro a piedi nudiperché era poverae d'inverno calzava zoccoli di legno tanto grandi che il collo dei suoi piedini diventava tutto rosso e faceva pena a vederlo.

    Nel centro della città abitava la vecchia madre del calzolaioche cucìcome meglio potéun paio di scarpette con vecchie strisce di cuoio rosso. Le scarpe erano un po' goffema l'intenzione era buona:

    le avrebbe date alla bambinache si chiamava Karen.

    Karen ebbe quelle scarpette rosse proprio il giorno del funerale di sua madree se le mise per la prima volta. Non erano certo adatte per un'occasione così tristema lei non ne aveva altree così ci infilò i piedini e si mise a seguire la povera bara di paglia.

    In quello stesso momento passò una carrozza con una vecchia signora importanteche vide la bimba e ne ebbe compassione; perciò andò dal pastore e gli disse: "Mi affidi quella piccinaperché le possa fare del bene!".

    E Karen credette che il merito fosse delle scarpette rossema la vecchia signora disse che quelle facevano pena e le fece bruciare.

    Karen ebbe vestiti puliti e graziosiimparò a leggere e a cucire e la gente le diceva che era carinama lo specchio le confidava: "Tu sei molto più che carinatu sei bella!" .

    Un giorno la regina intraprese un viaggio per il paesee portò con sé la sua bambinache era una principessala tutta la gente si recò all'ingresso del castello e con loro pure Karen. La principessa portava un grazioso abitino bianco ed era affacciata alla finestra per farsi vederenon aveva né lo strasciconé la corona d'oroma calzava delle belle scarpette rosse di marocchino.

    Naturalmente erano ben diverse da quelle che la calzolaia aveva cucito per la piccola Karen. Nulla al mondo si può paragonare a un paio di scarpette rosse!

    Karen era ormai cresciuta e doveva ricevere la cresimaebbe degli abitini nuovi e dovette anche comprare delle scarpe nuove. Il bravo calzolaio della città le prese le misure il piedino; glielo misurò in casa suauna casa piena di grandi armadi di vetro con stupende scarpette e stivaletti luccicanti. Tutto era molto belloma la vecchia signora non ci vedeva tanto bene e perciò non si divertiva per niente; tra le scarpe ce n'era un paio rossoproprio come quelle che calzava la principessacom'erano belle! Il calzolaio spiegò che erano state fatte per una contessinama poi non erano andate bene.

    "Sono certamente di pelle lucida" commentò la vecchia signoraluccicano proprio!.

    "Sìluccicano" disse Karene visto che le andavano bene furono acquistate quellema la vecchia signora non sapeva che erano rossealtrimenti non avrebbe mai permesso a Karen di andare in chiesa per la cresima con le scarpette rossecosa che invece fece.

    In chiesa tutta la gente le guardò i piedie quando lei percorse la navata diretta al corole parve che persino i vecchi ritratti dei defuntiche raffiguravano i preti e le loro moglicon il colletto inamidato e le lunghe vesti nereguardassero verso le scarpette rosse; e lei pensò soltanto alle scarpetteanche quando il pastore le poggiò la mano sul capoparlando del Santo Battesimodell'Alleanza con Dio e del fatto che da quel momento lei doveva ritenersi una cristiana adulta. L'organo suonava solennementele cristalline voci del coro dei bambini si alzarono lievi e il vecchio cantore cantòma Karen pensava solo alle sue scarpette rosse.

    Nel pomeriggio la vecchia signora scoprì dai conoscenti che le scarpe erano rosseallora disse che era stata una brutta azioneche non le si addicevae che Karen da quel giorno avrebbe calzato sempre le scarpe nere per andare in chiesa anche se ormai erano vecchie.

    La domenica seguente c'era la comunioneKaren guardò le scarpe nerepoi quelle rossepoi di nuovo quelle rossee infine se le infilò!

    C'era un tempo bellissimo; Karen e la vecchia signora passeggiavano per un sentiero in mezzo al granodove c'era un po' di polvere.

    Accanto all'ingresso della chiesa c'era un vecchio soldato con una stampella e una barba lunghissimapiù rossa che biancaperché un tempo era stata rossa. Si inchinò fino a terra e chiese alla signora se non voleva farsi pulire le scarpe. Anche Karen allungò subito il piedino. "Che belle scarpette da ballo!" esclamò il soldatostate ben salde ai piedi quando danzatee batté la mano sulla suola.

    La vecchia signora diede al soldato una moneta e poi entrò in chiesa insieme a Karen.

    Tutta la gente che stava in chiesa e persino tutte le immagini appese ai muri guardarono le scarpe rosse di Karen; e leiquando salì all'altare e portò alla bocca il calice d'oropensò soltanto alle sue scarpette rossee le parve che stessero nuotando nel calice stesso.

    Così dimenticò di cantare il salmo e di recitare il Padre Nostro.

    Poi tutti uscirono dalla chiesa e la vecchia signora salì in carrozza.

    Karen sollevò un piede per salire dopo di leima in quel momento il vecchio soldato che stava vicino disse: "Che belle scarpette da ballo!" e Karen non si poté trattenere dal fare qualche passo di danzae una volta cominciatole sue gambe continuarono a ballare.

    Era come se le scarpe avessero un potere su di leie Karen ballò fino all'angolo della chiesa; il cocchiere dovette rincorrerla e afferrarlapoi finalmente la mise in carrozzama i piedi continuavano a ballaretirando calci alla buona vecchia signora.

    Finalmente riuscirono a sfilarle le scarpe e i suoi piedi si calmarono.

    Giunte a casale scarpe furono messe in un armadioma Karen non poteva trattenersi dal guardarle.

    La vecchia signora si ammalò e si diceva che non sarebbe vissuta a lungo; aveva bisogno di cure e di assistenza e per questo nessuno era più indicato di Karen. Ma in città doveva tenersi un gran ballo a cui anche Karen era stata invitata; guardò la vecchia signora che tanto non doveva più vivere a lungopoi guardò le sue scarpette rosse e pensò che non ci sarebbe stato niente di male: si infilò le scarpe rossee fin qui non c'era niente di malema poi andò al ballo e cominciò a danzare.

    Quando volle andare a destrale scarpe la fecero andare a sinistrapoi volle inoltrarsi per la casama le scarpe la portarono all'ingresso e poi giù per le scaleper la strada fino alle porte della città. Ballava e doveva continuare a ballare e intanto arrivò al bosco nero.

    Qualcosa brillava tra gli alberi e Karen credette fosse la lunadato che era un voltoma in realtà era il vecchio soldato con la barba rossa che le faceva dei cenni col capo dicendo: "Che belle scarpette da ballo!".

    La fanciulla si spaventò molto e volle buttare le scarpe rossema queste erano ben salde; stracciò le calzema le scarpe rimasero attaccate ai piedie ballava e non poteva fare altroper campi e praticon la pioggia e col soledi giorno e di notte; e proprio di notte era la cosa più tremenda.

    Ballando entrò nel camposanto che era apertoma i morti non ballavanoavevano di meglio da fare; Karen avrebbe voluto sedersi sulla tomba di un poverettodove cresceva l'amara salvia selvaticama per lei non c'era né pace né riposoe quando andò verso la porta aperta della chiesa vide un angelo con un lungo abito bianco e ali che dalle spalle scendevano fino a terra; il suo sguardo era severo e in mano reggeva una larga spada lucente.

    "Devi ballare" le disseballare con le tue scarpe rosse fino a quando non diventerai debole e pallida! fino a quando la tua pelle non si raggrinzirà come quella di uno scheletro! dovrai ballare da una casa all'altra, e dove abitano bambini superbi e vanitosi, devi bussare, così che ti sentano e abbiano paura! Devi ballare, ballare...!.

    "Pietà!" gridò Karen. Ma non udì la risposta dell'angeloperché le scarpe la portarono attraverso il cancellofuori nei campiper strade e sentierisempre ballando.

    Una mattina passòballandodavanti a una porta che conosceva bene; dentro cantavano dei salmi e stavano portando fuori una baraornata di fioriallora capì che la vecchia signora era morta e pensò di essere ormai abbandonata da tutti e maledetta dall'angelo del Signore.

    Ballava e doveva continuare a ballareanche nella notte buia. Le scarpe la trascinarono in mezzo alle spine e sulle stoppiee lei si graffiò a sangue; ballò oltre la brughiera fino a una casetta isolata.

    Sapeva che lì viveva il boia e bussò con le dita alla finestra dicendo: "Vieni fuori! vieni fuori! Io non posso entrare perché sto ballando!". E il boia le rispose: "Non sai chi sono io? Io taglio le teste ai cattivie sento che la scure sta già fremendo!".

    "Non tagliarmi la testa" esclamò Karenaltrimenti non potrò pentirmi dei miei peccati! Tagliami invece i piedi con le scarpe rosse!.

    E così confessò tutte le sue colpe e il boia le tagliò i piedi con le scarpe rosse; ma le scarpe continuarono a ballare con i piedini attaccatiattraversarono i campi e sparirono nel bosco più profondo.

    Il boia le intagliò due piedi di legno e due gruccele insegnò un salmo che cantano i peccatorie lei baciò la mano che aveva calato la scure e se ne andò per la brughiera.

    "Ne ho abbastanza di scarpe rosse!" disseora voglio andare in chiesa, in modo che possano vedermie si incamminò con sicurezza verso la porta della chiesama quando ci arrivò c'erano le scarpette rosse che ballavano dinanzi a leie lei si spaventò tanto e tornò indietro.

    Per tutta la settimana si dolse e pianse molte lacrimema quando venne di nuovo domenicadisse: "Ecco! Ora ho sofferto e lottato abbastanza! Penso proprio di essere come molti di quelli che siedono in chiesa a testa alta!" e si avviò coraggiosa verso la chiesama non era ancora arrivata al cancello che vide le scarpette rosse danzare davanti a leicosì si spaventòtornò indietro e si pentì sinceramente del suo peccato.

    Andò allora al presbiterio e chiese di essere presa a servizio; voleva essere laboriosa e lavorare più che potevae non le importava di essere pagatale bastava avere un tetto sopra la testa e stare in casa di brava gente. La moglie del pastore ebbe compassione e la prese a servizio. E lei si dimostrò laboriosa e riconoscente. Immobileascoltava alla sera il pastore mentre leggeva la Bibbia ad alta voce.

    Tutti i bambini le volevano bene ma quando parlavano di ornamenti e fronzoli e di essere belli come la reginalei scuoteva il capo.

    La domenica seguente andarono tutti in chiesa e le chiesero se desiderasse andare assieme a loroma Karen guardò tristemente le sue stampelle e le salirono le lacrime agli occhi; così gli altri andarono ad ascoltare la parola del Signore e lei si ritirò tutta sola nella sua cameretta. Non era affatto grandeci stavano appena il letto e una sediae lei sedette con il suo libro dei salmi; mentre lo leggeva con animo devotoil vento le portò dalla chiesa il suono dell'organo e lei rialzò lo sguardo commosso e esclamò: "Dio mioaiutami!".

    Il sole cominciò a splendere luminoso e davanti a lei apparve l'angelo del Signore tutto vestito di bianco; lo stesso che aveva visto quella notte sulla porta della chiesasolo che non aveva più con sé la spadama un bel rametto verdepieno di rosee con questo toccò il soffitto che si alzò altissimoe nel punto in cui lo aveva toccato apparve una stella d'oro; poi toccò le pareti che andarono indietroe Karen poté vedere l'organo che suonavae vide le vecchie immagini dei pastori e delle loro moglie la gente che sedeva nei banchi ornati e cantava i salmi. La chiesa stessa era venuta dalla povera fanciullanella sua camerettao forse lei era andata in chiesa; si ritrovò seduta accanto agli altri domestici del pastore e questifinito il salmoalzarono lo sguardo e le fecero cenno dicendo: "Hai fatto bene a venireKaren! ".

    "E' stata la grazia!" rispose lei.

    L'organo suonò ancora e le voci infantili del coro si alzarono dolci e bellissime! Il sole splendente giungeva caldo attraverso la finestra proprio sopra al banco dov'era seduta Karen; il suo cuore fu così colmo di soledi pace e di gioia che si spezzòla sua anima volò su verso il sole fino a Dioe lassù nessuno le chiese delle scarpette rosse.

     

     

     

  • GENTE BALZANA
  •  

    Una pulceuna cavalletta e un saltamartino vollero un giorno vedere chi fra loro sapeva saltare più in alto; così invitarono tutto il mondoe chi altro lo volevaad assistere a quella gara; era davvero gente balzana quella che si riunì nella stanza.

    "Io darò in moglie la mia figliola a chi che salterà più in alto" dichiarò il reperché è un peccato che questa gente salti per niente!.La pulce si presentò per prima: aveva proprio buone maniere e salutava da tutte le partiperché aveva sangue di signorina ed era abituata a frequentare gli uominiil che è di grande aiuto.

    Poi giunse la cavallettache era in realtà più pesante ma era veramente bene educata e portava un'uniforme verde che le stava molto bene; inoltre si raccontava che provenisse da un'antichissima famiglia dell'Egitto e che in quel paese fosse ben considerata; era stata presa direttamente dal prato e posta in una casa a tre piani costruita con le carte da giocotutte con figure vestite con la parte colorata rivolta verso l'interno; c'erano sia porte che finestre ritagliate nel petto della dama di cuori. "Io canto così bene" disse la cavallettache sedici grilli indigeni, che strillavano da quando erano nati ma non avevano mai avuto una casa di carte da gioco, quando mi sentirono si arrabbiarono talmente che diventarono ancora più magri di quanto già non fossero...Sia la pulce che la cavalletta continuavano a raccontare chi erano e tutte e due credevano di meritare in sposa una principessa.

    Il saltamartino non disse nientema si seppe che lui pensava moltoe quando il cane di corte lo ebbe annusato un po'dichiarò che anche lui proveniva da una famiglia per bene; poi il vecchio consigliereche aveva avuto tre decorazioni perché stava sempre zittoassicurò che il saltamartino aveva doti profetiche; si poteva infatti capire dal suo dorso se l'inverno sarebbe stato mite o rigidoe questo di sicuro non lo si può capire dalla schiena di chi scrive l'almanacco.

    "Va beneio non voglio dire niente! " esclamò il re. "Quello che penso me lo tengo per me".

    Ora toccava fare il salto. La pulce saltò così in alto che nessuno la poté vedereragion per cui tutti sostennero che non aveva saltato per nientee questo era ignobile!

    La cavalletta saltò solo la metà di quanto avesse saltato la pulcema finì proprio in faccia al re e così quello disse che era una villana.

    Il saltamartino se ne stette a lungo fermo a rifletteree si pensò che non sapesse neppure saltare.

    "Purché non stia male!" disse il cane di corte e lo annusò di nuovo; rutch! egli fece un piccolo salto di traverso e finì in grembo alla principessache si trovava su un basso sgabello d'oro.

    Al che il re dichiarò: "Il salto più alto è arrivare a mia figliaquesta è l'astuzia del giocoma era necessario dell'ingegno per capirloe il saltamartino ha dimostrato di averlo".

    E così egli ebbe la principessa.

    "Io però ho fatto il salto più alto!" esclamò la pulcema non fa niente! Lasciate che la principessa abbia quella carcassa d'oca con la pece e lo stecchino! Io ho saltato più in alto, ma in questo mondo bisogna avere un certo volume per essere visti.

    E la pulce se ne andò nella legione stranieradove si dice sia stata uccisa.

    La cavalletta si ritirò nel fosso a pensare a come va il mondo e commentò: "Volume ci vuole! Volume ci vuole!" e si mise a cantare la sua triste canzoneed è da lì che abbiamo tratto la storiache però potrebbe benissimo non essere veraanche se è stata stampata.

     

     

     

  • L'OMBRA
  •  

    Nei paesi caldi sì che il sole brucia davvero! La gente diventa scura come il moganoe nei paesi caldissimi brucia fino a diventare nerama un uomo istruito era arrivato dai paesi freddi solo fino ai paesi caldi e credeva di poter andare in giro come faceva a casa suama cambiò presto parere. Sia lui che tutta la gente ragionevole rimasero chiusi in casale persiane delle finestre e le porte restarono sbarrate tutto il giornopareva che tutta la casa dormisse e che non ci fosse nessuno. Le strette strade con le case altedove anche lui abitavaerano state fatte in modo tale che il sole dovesse brillare dal mattino fino alla sera; era davvero insopportabile! Quell'uomo istruito dei paesi freddi era un giovane intelligentema gli sembrava di star seduto dentro un forno ardente; il sole lo consumòlui diventò molto magropersino la sua ombra dimagrìdiventò molto più piccola di quando era a casa; il sole aveva colpito anche lei. Tutti e due incominciavano a vivere di seraquando il sole era calato.

    Era veramente un divertimento guardarli; non appena la lampada veniva portata nella stanzal'ombra si distendeva tutta sulla paretearrivava fino al soffittotanto si faceva lunga; doveva stirarsi per riprendere le forze. L'uomo istruito usciva sul balcone per stirarsi un po'e man mano che le stelle apparivano in quell'aria tersa e meravigliosaa lui sembrava di rivivere. Su tutti i balconi della strada - e nei paesi caldi ogni finestra ha un balcone - la gente si affacciavaperché ha bisogno di prendere aria anche chi è abituato a essere color mogano.

    Allora la vita cominciavasui balconi e giù nelle strade; calzolai e sartitutta la gente usciva per stradaportavano tavoli e sediee le lanterne bruciavanosìpiù di cento lanterne bruciavanoe uno parlava e l'altro cantavala gente passeggiavale carrozze passavanoe anche gli asiniclingcling! avevano dei campanelli. I morti venivano seppelliti al canto dei salmii ragazzi di strada facevano scoppiare i petardie le campane delle chiese suonavanosìc'era proprio vita giù nella strada. Solamente in una casache stava proprio di fronte a quella in cui viveva quello straniero istruitoc'era una pace incredibileeppure qualcuno ci vivevaperché sul balcone c'erano dei fioriche crescevano meravigliosamente al caldo del solee non avrebbero potuto crescere se non fossero stati annaffiatiperciò qualcuno doveva bagnarli; doveva proprio esserci qualcuno. Anche quel balcone si apriva di serama dentro era tutto buioalmeno nella prima stanza; e dal profondo delle stanze sul retro si sentiva venire una musica. Allo straniero istruito sembrava straordinariama poteva anche darsi che avesse immaginato tuttodal momento che lui trovava ogni cosa straordinarialà in quei paesi caldi; se solo non ci fosse stato quel sole! Il padrone di casa dello straniero disse che non sapeva chi avesse affittato la casa di frontenon si vedeva nessunoe per quanto riguardava la musica pensava che fosse piuttosto noiosa. "E' come se qualcuno si stesse esercitando a un pezzo che non riesce a finiresempre il medesimo pezzo. Penserà certo di farcela prima o poima non ci riuscirà maiper quanto a lungo possa suonare".

    Una notte lo straniero si destò; dormiva con la porta del balcone spalancatae la tenda davanti alla porta si alzava per il ventocosì gli parve di vedere uno straordinario bagliore provenire dal balcone di frontetutti i fiori brillavano come fiamme dei colori più svariatie in mezzo a quei fiori stava un'esilegraziosa fanciulla:

    pareva che brillasse pure lei; la luce gli fece male agli occhima è vero che li teneva spalancati e che si era appena svegliato; con un balzo si alzò in piedipian piano arrivò fino alla tendama la fanciulla era già sparitaanche il bagliore era scomparsoi fiori non brillavano affattoe tutto era come semprela porta era socchiusa e dal profondo della casa risuonava una musica così dolcecosì meravigliosa che ci si poteva lasciar andare alle più dolci fantasticherie. Sembrava una magiachi abitava lì? Dov'era in realtà l'ingresso? Tutto il pianterreno era fatto di negozi e la gente non poteva certo entrare da quella parte.

    Una sera lo straniero era seduto sul balcone; alle sue spalle nella camera brillava la luce e perciò era del tutto normale che la sua ombra andasse a posarsi sulla parete della casa di fronte; anzi si trovava proprio in mezzo ai fiori di quel balconee quando lo straniero si spostòanche l'ombra si spostòperché di solito succede così.

    "Credo che la mia ombra sia la sola persona vivente che si vede laggiù!" disse quell'uomo istruito. "Guarda come sta seduta con garbo in mezzo ai fiorila porta è accostata; ora l'ombra dovrebbe essere tanto accorta da entrareguardarsi intornoe poi tornare a raccontarmi ciò che ha visto. E giàdovresti farmi questo favore!" disse scherzando. "Suda bravaentra! Suvai?" e intanto fece segno all'ombra e l'ombra gli rivolse lo stesso segno. "Sìsìvaima poi ritorna!" Lo straniero si alzò e anche la sua ombra sul balcone di fronte si alzòlo straniero si volse e l'ombra si volsema se qualcuno fosse stato attentoavrebbe visto molto distintamente che l'ombra entrò in quella porta socchiusa di quel balcone di fronteproprio nell'istante in cui lo straniero rientrò nella sua camera e lasciò cadere la tenda dietro di sé.

    Il mattino dopo quell'uomo istruito uscì per bere il caffè e leggere il giornale. "Che succede?" esclamòquando fu al solenon ho l'ombra. Allora ieri sera se n'è proprio andata e non è più ritornata; che rabbia!.

    La cosa lo irritòma non tanto perché l'ombra se n'era andataquanto perché sapeva che già c'era la storia di un uomo senza ombrae a casa la conoscevano tuttilà nei paesi freddie se lui ora fosse andato a raccontarlaavrebbero detto che l'aveva copiatae di questo davvero non aveva bisogno! Perciò non volle parlare per niente della faccendae fu una buona idea.

    Di sera uscì di nuovo sul balconeaveva sistemato la luce proprio per bene dietro di séperché sapeva che l'ombra vuole avere sempre il suo padrone come schermo davanti alla lucema non gli riuscì di catturarlasi fece piccolo piccolosi fece grossoma l'ombra non c'eranessuno venne; disse uhmuhm! ma non servì a niente. Era seccantema nei paesi caldi tutto cresce così in frettae dopo otto giorni notòcon grande gioiache gli stava crescendo un'ombra nuova dalle gambequando arrivava il sole; evidentemente le radici erano rimaste. Dopo tre settimane aveva un'ombra sufficientechequando lui tornò a casa nel suo paese al Nordcrebbe ancora di più durante il viaggiocosì che alla fine fu tanto lunga e tanto grande che la metà sarebbe bastata.

    L'uomo istruito ritornò a casa e scrisse libri su quello che c'era di vero nel mondoe su quello che c'era di buono e di belloe passarono i giorni e passarono gli anniparecchi anni.

    Una sera era seduto nella sua stanza quando bussarono piano alla porta.

    "Avanti!" dissema non entrò nessuno. Allora aprì la porta e si trovò di fronte un uomo straordinariamente magrotanto che ne rimase colpito. D'altronde quell'uomo era vestito con molta eleganzaperciò doveva essere una persona importante.

    "Con chi ho l'onore di parlare?" domandò l'uomo istruito.

    "E giàme l'ero immaginato" disse l'uomo eleganteche lei non mi avrebbe riconosciuto! Adesso ho proprio un corpo, ho ricevuto la carne e gli abiti. Lei non avrebbe di sicuro mai pensato di vedermi in queste ottime condizioni. Non riconosce dunque la sua vecchia ombra?

    Certo non pensava che sarei tornato indietro. Mi è andata molto bene dall'ultima volta che ero presso di lei, mi sono arricchito in ogni senso. Se devo riscattare la mia libertà, posso farlo!. E intanto agitò un gran numero di ciondoli preziosi che pendevano dall'orologiopoi mise la mano su una pesante collana d'oro che aveva intorno al colloohtutte le dita brillavano di anelli e di diamanti! E niente era falso.

    "Non riesco a rendermi conto!" esclamò l'uomo istruito. "Che significa?".

    "Certo non è una cosa comune" rispose l'ombrama lei stesso non è un uomo comune, e io, lo sa bene, fin da piccolo ho seguito i suoi passi.

    Non appena lei ritenne che io fossi maturo per andarmene da solo per il mondo, me ne andai per la mia strada; ora la mia posizione è delle più brillanti, ma ho sentito una sorta di nostalgia e di desiderio di rivederla prima che muoia, perché lei dovrà pur morire! E poi volevo anche rivedere questi paesi: si ama sempre la propria patria. Mi risulta che lei possiede una nuova ombra: devo pagare qualcosa per lei o per quella? Basta che lo dica.

    "Nosei proprio tu?" disse l'uomo istruitoè veramente straordinario! Non avrei mai immaginato che la propria vecchia ombra potesse tornare, e tornare come uomo!.

    "Mi dica cosa devo pagarle" ripeté l'ombraperché non mi piace essere in debito.

    "Ma come puoi parlare in questo modo?" disse l'uomo istruito. "Di che debito parli? sei libero come tutti! Mi rallegro moltissimo per la tua fortuna! Accomodati vecchio amicoe raccontami un po' come te la sei passatae che cosa hai visto là dirimpettonella casa dei vicininei paesi caldi".

    "Sìglielo racconterò" rispose l'ombrae sedettema lei mi deve promettere che non dirà mai in città, ovunque mi incontri, che sono stato la sua ombra. Intendo fidanzarmi; posso mantenere anche più di una famiglia con i mezzi che ho.

    "Sta' tranquillo" disse l'uomo istruitonon dirò a nessuno chi tu sia in realtà. Eccoti la mia mano, te lo prometto: parola di gentiluomo!.

    "Parola di ombra!" disse l'ombrae che altro poteva dire?

    In realtà era proprio straordinario quanto fosse uomo; era vestito tutto di nero e con abiti finissimicalzava stivaletti lucidi e un cappello che si poteva schiacciare in modo che si appiattisseper non dire di quello che sappiamo giài ciondolila collana d'orogli anelli di diamanti; era davvero ben vestitaed era questo che la rendeva uguale a un uomo.

    "Ora racconterò" disse l'ombrae intanto poggiò più forte che poté i piedi dagli stivaletti lucidi sul braccio della nuova ombra di quell'uomo istruitoche se ne stava come un barboncino ai piedi del padrone; e forse lo fece per superbiao forse per tentare di attaccarla a séma quell'ombra che giaceva a terra se ne restò quieta ad ascoltare: voleva sapere come si faceva a diventare liberi e a raggiungere la posizione del proprio padrone.

    "Lei sa chi abitava nella casa dei vicini?" domandò l'ombraera la cosa più bella di tutti: la poesia! Io restai lì per tre settimane e fu come se avessi vissuto tremila anni e avessi letto tutto quanto è stato scritto, in prosa e in versi. Glielo dico io, mi può credere: ho visto tutto e so tutto!.

    "La poesia!" esclamò l'uomo istruito. "Sìsìlei spesso fa l'eremita nelle grandi città. La poesia! L'ho vista solo per un brevissimo attimoma il sonno mi annebbiava ancora la vista. Era sul balcone e splendeva come l'aurora boreale! Raccontaraccontatu eri sul balconesei entrato dalla portae dopo?".

    "Dopo mi trovai nell'anticamera" disse l'ombramentre lei è rimasto seduto a guardare verso l'anticamera. Non c'era affatto luce, c'era una specie di penombra, ma le porte di una lunga sequenza di sale erano tutte aperte; e lì sì che c'era luce: io ne sarei stato folgorato se fossi arrivato fino in fondo, fino alla fanciulla; ma rimasi indietro, presi tempo, è così che bisogna fare!.

    "E poi che cosa hai visto?" chiese l'uomo istruito.

    "Ho visto tutto e glielo racconterò; mae non è certamente per superbialibero come sono e con tutte le mie conoscenzesenza parlare della mia posizione e delle mie eccezionali possibilitàdesidererei che lei mi desse del lei".

    "Mi scusi!" disse l'uomo istruito. "E' una vecchia abitudineche non si perde. Lei ha completamente ragionee io dovrò ricordarmelo. Ma ora mi racconti tutto quello che ha visto".

    "Tutto!" disse l'ombraperché io ho visto tutto e so tutto.

    "Com'erano le sale più interne?" chiese l'uomo istruito. "Era come stare nella frescura di un bosco? era come stare in una chiesa? Erano sale che assomigliavano al cielo pieno di stellequando ci si trova in cima alle montagne?".

    "Là c'era tutto!" rispose l'ombra. "E poi io non entrai interamenterestai nelle prime stanzein penombrama anche lì si stava molto benee da lì ho visto tutto e ora so tutto! Sono stato alla corte della poesianell'anticamera".

    "Ma cos'è che ha visto? Per le sale passeggiavano tutte le divinità dei tempi passati? Combattevano i vecchi eroi? giocavano dei bambini raccontando i loro sogni?".

    "Le dico che ero lì e lei capirà che ho visto tutto quanto c'era da vedere! Se fosse stato lei a passare dall'altro lato della strada non sarebbe diventato un uomoma io lo diventai. E al tempo stesso imparai a conoscere la mia natura più intimala mia essenzala parentela che avevo con la poesia. Quando stavo insieme a leinon ci pensavo maima lei lo sa benequando il sole sorgeva e quando tramontava io diventavo terribilmente grandementre al chiaro di luna ero quasi più pallido di leiallora io non capivo la mia naturama nell'anticamera la compresi!

    Diventai uomouscii maturo di làma lei non stava più in quei paesi caldiio mi provavo vergogna come uomo ad andare in giro nello stato in cui eroavevo bisogno di stivalidi abitidi tutta quella vernice che rende riconoscibile un uomo. Allora mi nascosia lei posso dirlotanto non lo scriverà in nessun librosotto la gonna di una vecchia che vendeva le torte per la strada. Mi nascosi là sottola donna non sapeva per nulla che cosa nascondeva; solo di sera usciiandai per la strada sotto il chiaro di lunami allungai su per i muricosa che fa un gradevolissimo solletico lungo la schiena. Corsi su e giùguardai dentro le finestre più altequelle delle sale e dei tettiguardai dove nessuno era in grado di guardare e vidi ciò che nessun altro vedevaquello che nessuno doveva vedere! In fondo è un mondo misero! Io non avrei voluto diventare uomose non fosse stabilito che è una cosa importante! Vidi azioni tremendecompiute da donneda uominidai genitorie perfino da quei deliziosi bambinividi" proseguì l'ombraquello che nessuno deve vedere, ma che tutti sarebbero molto felici di vedere: il male del vicino. Se avessi pubblicato un giornale, quello eccome che sarebbe stato letto! Ma io scrissi direttamente alle persone, e seminai il terrore in tutte le città in cui arrivavo. Tutti ebbero paura di me! E allora sì che mi volevano bene! I professori mi nominarono professore, i sarti mi diedero vestiti nuovi, e così sono ben fornito, il capo della zecca coniò monete nuove per me e le donne dissero che ero tanto bello! Così diventai l'uomo che ora sono. E adesso la saluto, ecco il mio biglietto da visita: abito dal lato del sole e sono sempre in casa quando piove. E così l'ombra se ne andò.

    "E' davvero strano!" si disse l'uomo istruito.

    Passarono giornie annipoi l'ombra ritornò.

    "Come va?" chiese.

    "Ah!" rispose l'uomo istruitoscrivo parlando del vero, del bello e del buono, ma a nessuno importa sentire cose del genere: sono proprio disperato, perché me la prendo tanto a cuore!.

    "Ma io no!" disse l'ombra. "Io ingrassoe questo bisogna tentare di fare! Lei non sa vivere in questo mondoe le andrà male per questo.

    Dovrebbe viaggiare; io farò un viaggio quest'estatevuol venire anche lei? Mi farebbe piacere avere un compagno di viaggio. Vuole viaggiare come mecome ombra? Sarebbe un grande piacere averla con mepago io il viaggio".

    "Questo è davvero troppo!" esclamò l'uomo istruito.

    "Dipende da come si prendono le cose" rispose l'ombra. "Le farebbe veramente bene viaggiare. Se vuole essere la mia ombranon dovrà pagare nulla per il viaggio".

    "E' cosa da pazzi!" esclamò l'uomo istruito.

    "Ma così va il mondo" replicò l'ombrae tale resterà!e se ne andò.

    L'uomo istruito non se la passava per niente benedolori e fastidi lo perseguitavanoe quello che lui raccontava sulla veritàsul bene e sulla bellezza faceva alla maggior parte della gente l'effetto che potrebbero fare le rose a una vacca. Alla fine si ammalò.

    "Si sta riducendo a un'ombra!" gli diceva la gentee questo spaventava molto quell'uomo istruito.

    "Dovrebbe andare in una località termale" gli disse l'ombra che era andata a fargli visitanon c'è altro da fare! La porterò con me, in virtù della nostra vecchia amicizia; io sosterrò le spese del viaggio e lei lo descriverà, così il viaggio sarà divertente.

    Voglio appunto andare a curarmi in una località termale: la mia barba non cresce come dovrebbe, anche questa è una malattia, la barba bisognerebbe averla! Sia ragionevole, accetti la mia proposta, viaggeremo come compagni di viaggio.

    Così viaggiarono; l'ombra era il padrone e il padrone faceva da ombra; andarono insieme in carrozzacavalcarono insiemecamminarono insiemeuno accanto all'altrouno davanti e uno dietroa seconda della posizione del sole. L'ombra curava sempre di mettersi dalla parte del padrone; ma l'uomo istruito non pensava a queste cose: aveva buon cuore ed era mite e gentilecosì un giorno disse all'ombra:

    "Visto che siamo diventati compagni di viaggioe che siamo cresciuti insieme dall'infanziapotremmo anche darci del tusarebbe molto meglio!".

    "Bene" rispose l'ombra che ora era il vero padrone. "Lei ha parlato con grande benevolenza e schiettezzae io vorrei fare altrettanto.

    Leida uomo istruitosa di certo com'è strana la natura. Talune persone non tollerano di toccare la carta grigia da paccoe stanno malealtri hanno brividi per tutto il corpo quando una punta striscia contro un vetro; io provo una strana sensazione quando lei mi dà del tumi sento come appiattito a terra nella mia posizione di prima.

    Come vede si tratta di una sensazionenon di superbia; così io non le posso consentire di darmi del tuma se lo desidera posso senz'altro dare del tu io a leie qualcosa avremo ottenuto ugualmente".

    E così l'ombra diede del tu al suo precedente padrone.

    "Certo che è da pazzi!" pensò luiche io gli debba dare del lei e che lui mi dia del tu!. Ma ormai non c'era niente da fare.

    Così arrivarono alla località termaledove c'erano molti stranieri e tra questi una graziosa figlia di reche aveva la malattia di vedere fin troppo beneil che era molto preoccupante.

    Notò subito che il nuovo arrivato era una persona ben diversa dalle altre. "E' qui per farsi crescere la barbadiconoma io vedo il vero motivo: non può fare ombra!".

    Divenne parecchio curiosa e nel corso della passeggiata si mise subito a parlare con quello straniero. Come figlia di re non aveva certo bisogno di star lì a far tanti complimenti; così disse: "La sua malattia è che non sa fare ombra".

    "Sua Altezza Reale sta certamente guarendo" rispose l'ombraio so che la sua malattia è di vedere fin troppo bene, ma ora non ce l'ha più perché io in realtà ho un'ombra meravigliosa! Non vede quel tipo che viene sempre con me? L'altra gente ha un'ombra normale, ma a me non piace quello che è troppo comune. Diamo ai nostri servi vestiti più eleganti di quelli che portiamo noi, e così io ho permesso alla mia ombra di vestirsi da uomo. Vede bene che gli ho perfino dato un'ombra. E' molto dispendioso, ma mi piace avere qualcosa di speciale.

    "Come! come?" pensò la principessaallora sarei proprio guarita?

    Questa località è la migliore che ci sia! L'acqua poi ai nostri giorni ha delle proprietà meravigliose, ma io non me ne vado, perché adesso viene il bello; lo straniero mi piace moltissimo. Purché la barba non gli cresca, perché altrimenti se ne andrà.

    La sera nella grande sala da ballo la figlia del re ballò con l'ombra.

    Lei era leggerama lui era ancora più leggeroun tale ballerino lei non l'aveva mai avuto. Gli disse da quale paese proveniva e lui conosceva quel paesec'era statoma quando lei non c'eraaveva guardato in tutte le finestrein alto e in bassoaveva visto il tale e il tal altroe così poteva rispondere alla figlia del re e fare allusioni di cui lei rimase molto meravigliata: doveva veramente essere l'uomo più saggio della terra! Provò un tale rispetto per quello che lui sapevache quando danzarono di nuovo s'innamorò di luie l'ombra se ne rese conto perché lei continuava a guardarlo fisso. Così ballarono ancora e lei stava per dirglieloma poi si trattenne: pensò al suo paese e al regno e a tutte le persone su cui avrebbe dovuto governare.

    "E' certamente un uomo saggio" disse tra sée va bene! danza meravigliosamente, e pure questo va bene, ma chissà se ha una buona cultura? Anche questo è importante, dovrò esaminarlo.E così iniziò a porgli delle domande sulle cose più difficilisu cui lei stessa non sapeva rispondere; e l'ombra fece una strana faccia.

    "Ahnon sa rispondere!" disse la figlia del re.

    "Ma se questo l'ho imparato da bambino!" rispose l'ombra "credo addirittura che persino la mia ombralaggiù alla portasarebbe in grado di rispondere!".

    "La sua ombra?" esclamò la figlia del requesto sì sarebbe strano!.

    "Non sono del tutto sicuro che lo sappia" aggiunse l'ombrama credo di sì; ormai mi ha seguito dovunque per tanti anni e mi ha ascoltato, perciò lo dovrebbe sapere. Ma Sua Altezza Reale mi consenta di dirle che quella è di una tale superbia, a forza di andarsene in giro vestita come un uomo, che per farla stare di buon umore - il che è necessario perché risponda bene - bisogna trattarla come un uomo.

    "Mi piace l'idea!" disse la figlia del re. Così andò da quell'uomo istruito accanto alla porta e parlò con lui del sole e della lunae degli uominivisti da fuori e visti da dentroe lui rispose in modo veramente intelligente.

    "Che uomo dev'esserese ha un'ombra così saggia!" pensò leisarebbe veramente una benedizione per il mio popolo e per il regno se io scegliessi lui come mio sposo, e lo farò!Subito si misero d'accordosia la figlia del re che l'ombrama nessuno doveva saperne niente fintanto che lei non fosse tornata nel suo regno.

    "Nessunoneppure l'ombra!" disse l'ombra.

    E aveva le sue buone ragioni per dirlo!

    Così giunsero nel paese dove la figlia del re regnava quando era a casa.

    "Sentimio caro amico" disse l'ombra all'uomo istruitoora io sono proprio felice e molto importante, e intendo fare qualcosa di speciale per te: abiterai sempre insieme me al castello, viaggerai nella mia carrozza reale, e avrai centomila talleri d'oro all'anno, però devi lasciarti chiamare ombra da tutti, non devi dire che un tempo sei stato uomo, e una volta all'anno, quando uscirò sul balcone al sole per farmi vedere, ti dovrai allungare ai miei piedi come una vera ombra. Ora posso dirtelo: sposerò la figlia del re! Questa sera si terranno le nozze.

    "Noquesto è troppo!" disse l'uomo istruitonon voglio e non posso farlo; vuol dire ingannare l'intero paese, perfino la figlia del re; io dirò ogni cosa, dirò che sono un uomo e che tu sei l'ombra, e che sei solo travestito.

    "Nessuno ti crederà" rispose l'ombrasii ragionevole, altrimenti chiamerò le guardie!.

    "Vado immediatamente dalla figlia del re!" disse l'uomo istruito. "Noci vado prima io" disse l'ombrae tu sarai arrestato!.

    E così avvenneperché le guardie eseguirono gli ordini di colui che conoscevano come il futuro sposo della figlia del re.

    "Tu tremi!" disse la figlia del re quando l'ombra entrò da leiè successo qualcosa? Non ti devi ammalare proprio stasera, dobbiamo sposarci!.

    "Ho vissuto la più brutta esperienza che possa capitare!" esclamò l'ombra. "E' proprio vero che un povero cervello di ombra non può resistere a lungo. Pensala mia ombra è impazzitacrede d'essere lei l'uomo e che ioprova a immaginartisia la sua ombra!".

    "E' tremendo!" disse la principessaè stato rinchiuso?Sì, ma temo che non si riprenderà più.Povera ombra!sospirò la principessasarà tanto infelice; credo che sarebbe una buona cosa se gli togliessimo quel poco di vita che ha, e a pensarci bene, credo che sia proprio necessario farlo in tutta tranquillità.

    "E' duraperò!" disse l'ombraperché era un servitore fedelee prese a sospirare.

    "Che nobile carattere!" esclamò la figlia del re.

    Quella sera tutta la città era illuminata; i cannoni spararono: bum!i soldati presentarono le armi; che matrimonio! La figlia del re e l'ombra uscirono sul balcone per farsi vedere e per ricevere un altro Hurrà!

    L'uomo istruito non udì nullaperché gli avevano già tolto la vita.

     

     

     

  • LA PICCOLA FIAMMIFERAIA
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    C'era un freddo tremendonevicava e cominciava a fare buio; ed era la sera dell'ultimo dell'anno. In mezzo al buio e al freddo una povera bimbascalza e a capo scopertocamminava per la strada; aveva pur le ciabatte quando era uscita di casama a cosa le sarebbero servite?

    erano troppo grandi per leitalmente grandi che negli ultimi tempi le aveva portate la mamma. E ora la piccina le aveva subito persequando due carri che passavano a forte velocità l'avevano obbligata a traversare la strada di corsa. Una ciabatta non le riuscì più di ritrovarlae l'altra se la prese un ragazzodicendo che l'avrebbe usata come culla quando avesse avuto dei figli.

    Adesso la bimba camminava scalzae i suoi piedini nudi erano viola dal freddo; in un vecchio grembiule aveva una gran quantità di fiammiferi e ne teneva un mazzetto in mano. Per tutto il giorno non ce l'aveva fatta a vendere niente e nessuno le aveva dato neppure una monetina; era lì affamata e infreddolitae tanto avvilitapoveretta!

    I fiocchi di neve si posavano tra i suoi lunghi capelli doratiche si arricciavano graziosamente sul colloma lei a questo non pensava di certo. Le luci splendevano dietro ogni finestra e per la via si spandeva un delizioso profumo di oca arrosto: era la sera dell'ultimo dell'annoe proprio a questo lei stava pensando.

    A un angolo della strada fatto da due caseuna più sporgente dell'altrasedette e si rannicchiòtirando a sé le gambettema aveva ancora più freddo e non osava tornare a casa. Temeva che suo padre l'avrebbe picchiataperché non aveva venduto neppure un fiammifero e non aveva nemmeno un soldo.

    E poi faceva così freddo anche a casa! Avevano soltanto il tetto sopra di loro e il vento passava tra le fessureanche se avevano cercato di tapparle con paglia e stracci.

    Le manine erano quasi congelate per il freddo. Ah! forse un fiammifero sarebbe servito a qualcosa. Doveva solo sfilarne uno dal mazzetto e sfregarlo contro il muro per scaldarsi un po' le dita.

    Ne prese unoe "ritsch"contro il muro. Come scintillava! come ardeva! era una fiamma calda e chiara e pareva una piccola candela quando ci metteva intorno le manine. Che strana luce! La bimba credette di trovarsi seduta davanti a una stufa con i pomelli d'ottonee il fuoco bruciava e scaldava così bene! Noche succede?

    stava già allungando i piedini per scaldarsi un po' pure quelliquando la fiamma sparì. E insieme alla fiamma pure la stufa.

    E si ritrovò seduta per terracon un pezzo di fiammifero bruciato tra le mani.

    Subito ne sfregò un altroche illuminò il muro e lo rese trasparente come un velo. Così poté vedere dentro la stanza una bella tavola imbanditacon una tovaglia bianca e vasellame di porcellana e un'oca arrosto fumantefarcita di prugne e di mele!

    Improvvisamente l'oca saltò giù dal vassoio e si trascinò sul pavimentogià con la forchetta e il coltello infilzati nel dorsoproprio verso la bimba: ma in quel momento il fiammifero si spense e davanti alla bambina restò soltanto il muro freddo. Allora ne accese un altro. E si trovò ai piedi del più bello albero di Natale. Era persino più grande e più addobbato di quello che aveva visto l'anno prima dalla vetrina del ricco droghiere; migliaia di candeline ardevano sui rami verdi e figure variopinte pendevano dall'alberoproprio come quelle che decoravano le vetrine dei negozi.

    Pareva che guardassero verso di lei. La bimba alzò le manine per salutarlema il fiammifero si spense. Le innumerevoli candeline dell'albero di Natale salirono sempre più in altofino a diventare le chiare stelle del cielo; poi una di loro caddeformando nel buio della notte una lunga striscia di fuoco. "Ora muore qualcuno!" disse la bimbaperché la sua vecchia nonnala sola che era stata buona con leiche però ora era mortale aveva detto: "Quando cade una stellaallora un'anima va al Signore".

    Accese un altro fiammifero che illuminò tutt'intornoe in quel chiarore la bimba vide la nonnalucente e dolce!

    "Nonna!" gridòoh, portami con te! So che tu sparirai quando il fiammifero si spegne; sparirai come è scomparsa la stufa, l'oca arrosto, l'albero di Natale!.

    E accese tutti gli altri fiammiferi che aveva nel mazzettoperché voleva trattenere la visione della nonna; e i fiammiferi bruciarono con tanto splendore che era più chiaro che di giorno.

    La nonna non era mai stata così bellacosì grande. Attirò a sé la bimba e la tenne in braccio; insieme si elevarono sempre più nel chiarore e nella gioia. Ora non c'era più né freddoné famené paura: si trovavano presso Dio.

    La bambina fu trovata il mattino dopo in quell'angolo della stradacon le guance rosse e il sorriso sulle labbra. Era mortamorta di freddo l'ultima sera del vecchio anno. L'anno nuovo avanzava sul suo piccolo corpicinocircondato dai fiammiferi mezzo bruciacchiati.

    "Ha voluto scaldarsi" commentò qualcunoma nessuno poteva sapere le cose belle che lei aveva vistoné in quale chiarore era entrata con la sua vecchia nonnanella gioia dell'Anno Nuovo!

     

     

     

  • IL FOLLETTO DEL DROGHIERE
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    C'era una volta un vero studenteil quale viveva in una mansarda e non possedeva niente; c'era pure un vero droghiereche abitava al pianterreno e possedeva l'intera casa. Il folletto stava sempre con quest'ultimo perché la sera di ogni Natale riceveva una tazza di riso e latte con un grosso pezzo di burro. Il droghiere poteva permettersi di darglieloperciò il folletto rimaneva nel negozioe così imparava parecchio.

    Una sera lo studente entrò dal retrobottega per comprare una candela e del formaggio; non aveva nessuno da mandareed era sceso lui stesso.

    Gli diedero quel che aveva chiestolui pagò e fu salutato con un cenno dal droghiere e dalla moglieuna donna chealtro che far cennoaveva il dono dell'eloquenza! Lo studente rispose al saluto e abbassò lo sguardo per leggere il foglio di carta dove era stato avvolto il formaggio. Era un foglio strappato da un vecchio libro che mai avrebbe dovuto essere fatto a pezzi perché pieno di poesia.

    "Ne ho altri di quei fogli" esclamò il droghiere. "Il libro mi è stato dato una vecchietta per pochi chicchi di caffèse mi dà otto scellinile do tutto quello che ne rimane".

    "Grazie" rispose lo studentelo prenderò invece del formaggio. Posso anche mangiare il pane da solo, mentre sarebbe un peccato se tutto il libro venisse fatto a pezzetti. Lei è un'ottima persona, molto pratica, ma di poesia non ne capisce più di quel barile.

    Non erano parole tanto gentilisoprattutto per il barilema il droghiere rise e pure lo studente si mise a ridere; l'aveva detto per scherzare. Ma il folletto si arrabbiò: come ci si permetteva di scherzare sul droghiereche era il padrone di casa e vendeva del burro eccellente?

    Quando si fece serala bottega venne chiusa e tutti andarono a dormiretranne lo studente; allora il folletto andò a prendere la lingua della padronache lei non usava quando dormiva. Qualunque cosa sulla quale venisse posata acquisiva subito la parola e aveva la facoltà di esprimere i propri pensieri e i propri sentimenti esattamente come la padrona; ma poteva farlo un oggetto solo per voltae questo era un vantaggioperché diversamente avrebbero parlato tutti insieme.

    Il folletto poggiò la lingua sul bariledove c'erano i giornali vecchi. "E' proprio vero" domandòche non sai cos'è la poesia?.

    "Certo che lo so" rispose il barileè una cosa che sta scritta nella parte inferiore dei giornali e che viene ritagliata; credo addirittura di averne dentro di me più dello studente, mentre per il droghiere sono solo un povero barile.

    Il folletto pose la lingua sopra il macinino del caffèohquanto parlava! poi la posò sul mastello del burro e sul cassetto del denaro.

    Tutti condividevano il parere del barile e si deve sempre rispettare il parere della maggioranza.

    "Ora vado a sentire lo studente!" e il folletto salì pian piano le scale della cucina fino alla mansardadove abitava lo studente.

    Dentro c'era luce e il folletto guardò dal buco della serratura e vide che lo studente stava leggendo quel libro stracciato. Che luce emanava! Dal libro partiva un raggio trasparenteche si trasformava prima in troncopoi in un gigantesco albero che si alzava altissimo ed estendeva i suoi rami sopra lo studente. Ogni foglia era freschissima e i fiori erano graziose teste di fanciullacertune con occhi neri e lucentialtre azzurri e straordinariamente trasparenti.

    Ogni frutto era una stella lucentee risuonava un canto meraviglioso.

    Una tale meraviglia il folletto non l'aveva mai immaginatafiguratevi poi se vista o udita! Rimase immobile in punta di piediguardò fino a quando la luce non si spense. Lo studente spense la lampada e si mise a lettoma il folletto restò lì lo stessoperché il canto continuava a risuonare dolcissimo e meravigliosocome una ninna nanna per lo studente che era andato a riposare.

    "Che meraviglia!" esclamò il piccolo follettonon me lo sarei mai aspettato! Credo che rimarrò dallo studente!. Poi ci pensò sopra e alla fine sospirò: "Lo studente non ha il riso col latte!" così se ne andòsìse ne ritornò dal droghiere. E fece bene a tornare perché il barile aveva quasi consumato tutta la lingua della padronaper raccontarefacciata per facciatatutto ciò che aveva dentro di sée ora stava per girarsi e raccontare quello che c'era sulle altre facciate. Il folletto si riprese la lingua e la riportò alla padrona; ma il negozio interodal cassetto dei soldi alle fascine per arderea partire da quel momento fu dello stesso parere del barile e lo stimò a tal punto ed ebbe tanta fiducia chequando alla sera il droghiere si cominciava a leggere "Critiche d'arte e teatro" dal suo giornalecredeva fosse farina del barile.

    Il piccolo folletto non se ne stava più tranquillo a sentire tutte quelle cose sagge e ragionevoli che si dicevano laggiù; appena vedeva accendersi la luce nella mansarda era come se i raggi lo attirassero lassù come delle robuste gomenee lui si sentiva costretto a salire e a guardare dal buco della serratura. Là veniva colto da un senso di grandezzacome quello che proviamo noi davanti al mare agitatoquando Dio è presente con la tempesta. Poi scoppiava a piangeresenza neanche sapere il perchéma quel pianto era per lui come una benedizione. Sarebbe stato meraviglioso stare insieme allo studente sotto quell'alberoma non poteva essere cosìe lui s'accontentava del buco della serratura. Stava nel freddo corridoio anche quando il vento dell'autunno soffiava dalla botola del soffitto e portava un freddo tremendoma il piccolo folletto se ne accorgeva solo quando si spegneva la luce della mansarda e la musica si perdeva nel vento. Uh!

    allora rabbrividiva e se ne ritornava nel suo angolino tiepido; era così comodo e gradevole! Quando poi riebbe il suo riso col latte di Natale con un bel pezzo di burroallora il droghiere ritornò a essere il suo campione!

    Ma nel cuore della notte il folletto si destò a causa di un terribile baccano: la gente picchiava sulle imposte delle finestre e il guardiano fischiavac'era un grosso incendiotutta la strada era in fiamme. Era in casa loro o nella casa di fronte? Dove? Che paura! La moglie del droghiere era talmente sconvolta che si levò gli orecchini d'oro e se li mise in tasca. Tanto per salvare qualcosa. Il droghiere andò a cercare le sue obbligazioni e la domestica andò a prendere il suo scialle di setal'unico lusso che si poteva permettere. Ognuno cercava di salvare le cose più belle e la stessa cosa volle fare anche il folletto; con un balzo fu in cima alle scaledallo studente:

    questi se ne stava tranquillo alla finestra a guardare l'incendioche infuriava nel cortile dei vicini. Il piccolo folletto afferrò dal tavolo quel libro straordinariolo cacciò nel suo berretto rosso e lo tenne con tutte e due le mani: il tesoro della casa era salvo. Così corse fino al tettosopra al comignoloe lì se ne stettesedutoilluminato dalla casa di fronte che bruciavatenendo stretto tra le mani il berretto rosso in cui c'era il suo tesoro. In quell'istante conobbe il suo cuoree capì a chi apparteneva; ma quando il fuoco fu spento e lui ricominciò a rifletteredisse: "Sìmi dividerò tra loro. Non posso fare a meno del droghierea causa del riso col latte!".

    E questo è molto umano! Anche noi andiamo dal droghiereper il riso.

     

     

     

  • GIANBABBEO
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    In campagna si trovava una fattoria dove viveva un fattore con due figlicon tanto cervello che anche la metà sarebbe bastata. Volevano chiedere in sposa la figlia del re e avrebbero osato farlo perché lei aveva fatto sapere che avrebbe sposato chi avesse saputo tenere meglio una conversazione.

    I due si prepararono per una settimanail periodo più lungo concessoma per loro sufficiente dato che avevano già una certa culturala qual cosa tornò loro utile. Uno conosceva tutto il vocabolario latino e le ultime tre annate del giornale del paese che sapeva recitare da cima a fondo e viceversal'altro si era studiato tutti i regolamenti delle corporazioni d'arti e mestieri e aveva imparato tutto quanto deve sapere il decano di una corporazione; così riteneva di potersi pronunciare sui problemi dello statoe in più imparò pure a ricamare le bretelleessendo di gusti raffinati e molto abile.

    "Io otterrò la figlia del re!" dicevano tutt'e due. Il padre diede a ciascuno un bellissimo cavallo; l'esperto di vocabolario e di giornali lo ebbe nero come il carbonequello che era saggio come un vecchio decano e che sapeva ricamarebianco come il latte. Dopo si unsero gli angoli della bocca con olio di fegato di merluzzodi modo che scorressero meglio. Tutti i servitori erano andati in cortile per vederli montare a cavallo; in quel momento arrivò il terzo fratello; infatti erano in trema il terzo nessuno lo teneva in considerazione perché non aveva la stessa cultura degli altri due e infatti lo chiamavano Gianbabbeo.

    "Dove state andando vestiti così a festa?" domandò.

    "A corte per conquistare con la conversazione la figlia del re. Non hai sentito ciò che il banditore ha annunciato in tutto il paese?" e glielo spiegarono.

    "Accidenti! Allora vengo pure io!" esclamò Gianbabbeoma i fratelli risero di lui e partirono.

    "Padredammi un cavallo!" gridò Gianbabbeo. "M'è venuta gran voglia di sposarmi. Se mi vuolebenee se non mi vuolela voglio io".

    "Quante storie!" rispose il padre. "Non ti darò nessun cavallo. Tu non sei capace di conversare; i tuoi fratelli sì che sono in gamba!".

    "Se non potrò avere un cavallo" concluse Gianbabbeomi prenderò il caprone, quello è mio e mi potrà certo portare. E così montò sul capronelo spronò con i calcagni nei fianchie via di corsa per la strada maestra. Ohcome cavalcava!

    "Arrivo!" gridavae si mise a cantare a squarciagola.

    I fratelli cavalcavano avanti a lui in silenzio; non dicevano una parola perché dovevano pensare a tutte le belle trovate che avrebbero avutoper poter conversare con arguzia.

    "Ehilà!" gridò Gianbabbeosto arrivando anch'io! Guardate cosa ho trovato per strada!e gli fece vedere una cornacchia morta.

    "Babbeo!" risposero i duecosa ne vuoi fare?.

    "Voglio portarla in dono alla figlia del re!".

    "Fai pure" dissero ridendoe continuarono a cavalcare.

    "Ehivoiarrivo! Guardate che cosa ho trovato oranon è una cosa che si trova tutti i giorni sulla strada maestra!...".

    I fratelli si girarono di nuovo per vedere cos'era. "Babbeo!" disseroè un vecchio zoccolo di legno a cui manca la punta! Pure questo è per la figlia del re?.

    "Sicuro!" rispose Gianbabbeo; i fratelli risero e cavalcarono via distanziandolo di un bel po'.

    "Ehieccomi qui!" gridò Gianbabbeo. "Ohoh! va sempre meglio! Ehiè una vera meraviglia!".

    "Che cos'hai trovato adesso?" chiesero i fratelli.

    "Ohuna cosa incredibile!" disse Gianbabbeochissà come sarà contenta la figlia del re!.

    "Ma è fango appena preso dal fosso!" esclamarono i fratelli.

    "Proprio così" rispose Gianbabbeoe della migliore qualità, non si riesce neppure a tenerlo!e si riempì la tasca.

    I fratelli cavalcarono viaspronando più che poterono i cavallie arrivarono un'ora prima di lui alla porta della città dove ricevettero un numero d'ordinecome tutti gli altri aspiranti via via che arrivavano. Poi venivano messi in filasei alla voltae stavano talmente stretti da non poter muovere le bracciama era meglio così perché altrimenti si sarebbero rotti le costole a gomitate solo perché uno si trovava davanti all'altro.

    Tutti gli altri abitanti del paese si erano riuniti intorno al castello e si arrampicarono fino alle finestre per vedere la figlia del re ricevere gli aspiranti: appena uno si trovava nella salarestava senza parole.

    "Non vale nulla!" diceva la figlia del re. "Via!".

    Entrò il primo dei fratelliquello che sapeva il vocabolarioma lo aveva scordato stando in fila; inoltre il pavimento scricchiolava e il soffitto era tutto uno specchiocosì lui si vedeva a testa in giù; e poi a ogni finestra c'erano tre scrivani e un caposcrivanoche scrivevano tutto ciò che veniva detto perché venisse subito pubblicato sul giornale e venduto all'angolo per due soldi. Era terribile; e inoltre la stufa era così calda che il tubo era diventato tutto rosso.

    "Fa così caldo qui dentro!" disse il pretendente.

    "E' perché oggi mio padre deve arrostire i galletti"rispose la figlia del re.

    "Ah!" e si fermò; non si aspettava una conversazione di quel genere e non seppe più che diredato che voleva dire qualcosa di spiritoso.

    "Ah!".

    "Non vale niente!" concluse la figlia del re. "Via!" e così quello se ne dovette andare. Entrò quindi suo fratello.

    "Qui fa un caldo terribile!" disse.

    "Sìarrostiamo i gallettioggi" rispose la figlia del re.

    "Come? Cosa?" disse luie tutti gli scrivani registrarono: come?

    cosa?

    "Non va bene!" esclamò la figlia del re. "Via!".

    Poi entrò Gianbabbeoancora sopra il suo caprone. "Qui dentro c'è un caldo da bruciare!" disse.

    "E' perché arrostiscono galletti!" spiegò la figlia del re.

    "Molto bene!" esclamò Gianbabbeo. "Possono arrostire anche la mia cornacchia?".

    "Sicuro che possono" rispose la figlia del rema lei ha qualcosa in cui metterla dentro? Noi non abbiamo né pentole, né padelle.

    "Ce l'ho!" disse Gianbabbeo. "Ecco qui una padellacol manico di stagno!" e tirò fuori il vecchio zoccolo e ci mise dentro la cornacchia.

    "E' un pranzo completo!" commentò la figlia del re. "Ma dove troveremo il sugo?".

    "Lo tengo in tasca" disse Gianbabbeone ho così tanto da poterne buttar via!e intanto versò un po' di fango dalla tasca.

    "Mi piaci! " esclamò la figlia del re. "Tu sì che sai rispondere. E sai anche parlareperciò ti voglio come marito. Ma sai che ogni parola che diciamo e che abbiamo detto viene trascritta e uscirà sul giornale di domani? A ogni finestra siedono tre scrivani e un vecchio caposcrivanoe questo è il peggiore di tuttiperché non capisce niente!". Disse così per spaventarlo. Tutti gli scrivani si misero a ridere e macchiarono di inchiostro il pavimento.

    "Ahdunque sono loro i padroni!" esclamò Gianbabbeo. "Allora devo dare la parte migliore al capo! " e rovesciò la tasca e gli gettò del fango proprio in faccia.

    "Ben fatto! " disse la figlia del re. "Io non ne sarei mai stata capacema imparerò presto!".

    E così Gianbabbeo diventò reebbe una sposa e una corona e sedette sul trono. L'abbiamo appena saputo dal giornale del caposcrivano ma di quello lì è meglio non fidarsi.

     

     

     

  • L'ULTIMO SOGNO DELLA VECCHIA QUERCIA
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    (Storia di Natale)

    Nel bosco sopra la collinaverso la spiaggia apertac'era una vecchissima quercia che aveva proprio trecentosessantacinque annima questo lungo periodo di tempo corrisponde per la quercia a non più di altrettanti giorni per noi uomininoi ci svegliamo al mattinodormiamo di notte e facciamo i nostri sogni; per gli alberi è diverso:

    stanno svegli per tre stagioni e dormono solo d'invernol'inverno è il loro periodo di riposoè la loro notte dopo il lungo giorno che si chiama primaveraestate e autunno.

    Per molte giornate estive le effimere avevano danzato intorno alla sua corona di foglieavevano vissutovolato ed erano state felicie quando quelle creaturine si riposavano un attimonella loro beatitudinesu una delle grosse foglie fresche della querciaquesta diceva: "Poverine! Tutta la vostra vita dura un giorno soltanto! com'è breve! è così triste!".

    "Triste?" rispondevano sempre le effimereche cosa vuoi dire? Tutto è straordinariamente limpido, talmente caldo e bello, e noi siamo felici!.

    "Ma dura solo un giornopoi tutto è finito!".

    "Finito?" dicevano le effimereche cosa è finito? Pure tu finisci?.

    "Noio vivrò probabilmente ancora migliaia dei vostri giorni e la mia giornata corrisponde a un anno intero. E' un tempo così lungo che non potete neppure immaginarlo!".

    "Noma non ti capiamo. Tu hai migliaia dei nostri giornima noi abbiamo migliaia di momenti di gioia e di felicità! Finirà tutta la bellezza di questo mondoquando tu morirai?" "No" rispose l'alberodurerà sicuramente a lungo e molto più a lungo di quanto si possa pensare!.

    "Allora è proprio la stessa cosasolo che calcoliamo in modo diverso!".

    L'effimera danzò e si mosse nell'ariasi rallegrò per le sue sottili ali ben fatte di velluto e di velisi rallegrò per l'aria mite dove si spandeva un intenso profumo che veniva dal campo di trifoglio e dalle rose selvatiche della siepedal sambuco e dal caprifoglioper non parlare dell'asperula odorosadella primula e della menta selvatica; il profumo era così intenso che all'effimera sembrò di essere un po' ubriaca. Il giorno fu lungo e bellissimocolmo di gioia e di dolci sensazioni; quando il sole tramontò l'effimera si sentìcome semprepiacevolmente stanca per tutto quel divertimento. Le ali non la volevano più sostenerecosì si posò piano piano su un morbido stelo d'erba ondeggiantepiegò la testa come poté e si addormentò felice: era la morte.

    "Povera piccola effimera!" esclamò la querciaè stata una vita molto breve!.

    Ogni giorno d'estate si ripeteva la stessa danzalo stesso discorsola stessa rispostae lo stesso sonno finale; si ripeteva per ogni generazione di effimere e tutte erano ugualmente feliciugualmente gaie. La quercia rimase sveglia al mattino della primaveraal mezzogiorno dell'estate e alla sera dell'autunno; ora era quasi tempo di dormire: la sua nottel'invernostava per arrivare.

    Già le tempeste cantavano: "Buona notte! Buona notte! E' caduta una fogliaun'altra! Noi le raccogliamo. Cerca di dormire! Ti canteremo la ninna nannati scuoteremo nel sonnoma questo fa bene ai rami vecchivero? Stanno già scricchiolando dalla gioia! dormi bene! dormi bene! E' la tua trecentosessantacinquesima nottein realtà hai solamente un anno! dormi bene! Le nuvole spargeranno addosso la neve che diventerà come un lenzuoloun tiepido tappeto ai tuoi piedi; dormi bene e sogni d'oro!".

    La quercia si svestì del suo fogliame per potersi riposare nel lungo inverno e sognare tante voltesempre qualche esperienza vissutaproprio come i sogni degli uomini.

    Una volta era stata piccola e aveva preso origine da una ghianda; stando al calcolo degli uomini stava vivendo il suo quarto secolo; era l'albero più grande e più robusto del bosco: con la sua corona dominava su tutti gli altri alberi e la si poteva vedere anche da molto lontanodal mare aperto costituiva un punto di riferimento per le navi. Non sapeva neppure quanti occhi la cercavano. In cima alle sue fronde verdi si era stabilita la colombae il cuculo gridava il suo cucù; in autunnoquando le foglie parevano lamine di rame battutoarrivavano gli uccelli migratori e ci si riposavano prima di partire verso il mare aperto. Ma ora era invernol'albero era senza fogliee si vedeva chiaramente il disegno dei rami contorti e nodosi.

    Le cornacchie e i corvi ci si posavano a turno e parlavano dei tempi difficili che stavano per arrivare e delle difficoltà invernali per trovare il cibo.

    Era quasi il giorno di Natale quando la quercia fece il suo più bel sogno: ascoltiamolo!

    Ebbe la sensazione che quella fosse una giornata di festale sembrò di sentire tutte le campane delle chiese suonare a festae le sembrò anche che fosse un bel giorno d'estatetanto l'aria era calda e mite; la quercia allargava il suo fitto fogliamefresco e verdei raggi del sole giocavano tra i rami e le fogliel'aria era carica del profumo delle erbe e dei cespuglile farfalle variopinte giocavano "a prendersi" e le effimere danzavano; era come se tutto esistesse perché potessero ballare e divertirsi. Tutto ciò che l'albero aveva vissuto e visto durante i suoi lunghi anni di vitagli sfilò dinanzicome in un corteo. Vide cavalieri e dame dei tempi antichicon le piume sui cappelli e i falchi in pugnocavalcare nel bosco; il corno da caccia risuonò e i cani abbaiarono. Vide i soldati nemici con armi lucentivestiti variopinti e lance e alabardemontare e smontare le tende; i fuochi delle sentinelle bruciavano e si cantava e si dormiva sotto i rami tesi della quercia. Vide pure gli innamorati che s'incontravano pieni di gioia al chiaro di luna e incidevano i loro nomile loro inizialinella sua corteccia grigio-verde.

    Una voltatantissimi anni primacetre e arpe eolie erano state appese ai suoi rami da alcuni giovani viaggiatori; adesso erano ancora lì appese e risuonavano con tanta dolcezza. Le colombe tubavano come se volessero raccontare quello che l'albero provavae il cuculo gridò il suo cucù per tante volte quante erano i giorni d'estate che la quercia avrebbe vissuto.

    Fu come se un nuovo flusso di vita scorresse dalle più piccole radici fino ai rami più espostifino alle foglie; l'albero sentì che si stava allargandosentì con le radici che anche nella terra c'era vita e calore; sentì crescere le sue forze e crebbe sempre più alto. Il tronco s'innalzò senza un attimo di pausacontinuò a crescerela corona di foglie si fece più fittasi allargòsi sollevòe crescendo l'alberocresceva anche la sua sensazione di benessereil suo desiderio beatificante di andare sempre più in altofino al caldo sole lucente.

    Ormai era già cresciuto oltre le nubiche come schiere di neri uccelli migratori o come stormi di grandi cigni bianchi passavano sotto di lui!

    Ogni foglia della quercia poteva vedere quasi come se avesse avuto gli occhile stelle si vedevano alla luce del giornocosì grosse e luccicantibrillavano come occhi chiari e trasparenti e ricordavano tutti quei cari occhi conosciutiappartenuti ai bambiniagli innamorati che si erano incontrati sotto la quercia.

    Che momento stupendo e quale gioia! Eppurein tutta quella gioiala quercia sentì nostalgiaed ebbe il desiderio che tutti gli altri alberi del boscotutti i cespuglile erbe e i fiori si potessero elevare insieme a leie potessero provare quella gioia e godere di quello splendore. La grande quercianel suo sogno di grandezzanon era del tutto felice se non aveva con sé tutti quantigrandi e piccolie questo sentimento si ripercosse profondamente tra le foglie e i ramicome fosse stato un cuore umano.

    Il fogliame della quercia ondeggiò quasi in un gesto di nostalgiariandò al passato e risentì il profumo delle asperule e subito dopoancor più intensoquello dei caprifogli e delle viole; poi le parve di sentire il cuculo cantare.

    Tra le nuvole si affacciavano le cime verdi degli altri alberi del bosco; la quercia vide chesotto di ségli altri alberi crescevano e si innalzavano come leii cespugli e le erbe si tendevano verso l'alto; alcuni di loro si liberarono delle radici e si innalzarono prima degli altri. La betulla fu la più velocecome un lucente raggio bianco il suo tronco slanciato si allungòi rami si piegarono come verdi veli o bandierel'intera natura del boscopersino le canne brune e piumatecresceva insieme alla querciae gli uccelli la seguivano cantando; su un filo d'erba che pareva un nastro svolazzante di seta verde c'era una cavalletta che suonava con le ali; i maggiolini borbottavano e le api ronzavano; ogni uccello usava il proprio strumentoe tutto fu un canto unico di gioia verso il cielo.

    "Quel fiorellino rosso che si trovava vicino all'acquaanche lui doveva salire!" esclamò la querciae anche la campanula azzurra e la margheritina!Certola quercia li voleva tutti con sé.

    "Ci siamo anche noici siamo anche noi!" si sentiva risuonare.

    "E quelle belle asperule della scorsa estate; e l'anno prima c'era un'aiuola di mughetti! e il melo selvaticocom'era bello! E tutta quella bellezza del boscoper tanti e tanti anni! Se fossero vissuti fino a oggiavrebbero potuto venire pure loro!".

    "Ci siamo anche noici siamo anche noi!" si sentì di nuovo ancora più in alto; sembrava che l'avessero preceduta in volo.

    "E' troppo bello per potervi credere!" gridò la quercia piena di gioia. "Sono tutti quigrandi e piccoli! Nessuno è stato dimenticato!

    Dov'è possibile immaginare una simile beatitudine?".

    "Nel regno di Dio è possibile e immaginabile!" si sentì risuonare.

    La querciache continuava a cresceresentì che le radici si erano staccate dalla terra.

    "Adesso è ancora meglio!" commentòora non c'è più niente che mi trattenga! Posso volare in cielo fino all'Onnipotente, nella luce e nella magnificenza. E ho insieme a me tutti i miei cari. Grandi e piccoli. Tutti quanti, tutti!.

    Questo fu il sogno della querciama mentre sognava ci fu una violenta tempesta sia in mare che sulla terraproprio nella notte santa di Natale; il mare rovesciò grosse onde sulla spiaggial'albero scricchiolòsi schiantò e si sradicò proprio nell'istante in cui la quercia sognò che le radici si erano liberate. La quercia cadde. I suoi trecentosessantacinque anni valevano ormai come un solo giorno dell'effimera.

    Il mattino di Natalequando spuntò il giornola tempesta si era ormai placata. Tutte le campane delle chiese suonarono a festa e da ogni caminoanche da quello così piccolo del bracciantesi alzò il fumoazzurro come quello che nelle feste dei druidi si levava dall'ara; era il fumo del sacrificiodel ringraziamento.

    Il mare si fece sempre più calmo e su una grande imbarcazione che nella notte aveva affrontato quel tempaccio terribile si innalzarono ora tutte le bandiereper festeggiare il Natale.

    "L'albero non c'è più! La vecchia querciail nostro punto di riferimento sulla terra!" esclamarono i marinai. "E' caduta con la tempesta di questa notte. Potremo mai sostituirla con qualcos'altro?".

    Fu questo il brevema accorato elogio funebre per la querciache stava distesa sopra un manto di neve sulla spiaggia; sopra di lei risuonò l'inno cantato dalla navequello sulla gioia del Natalesulla liberazione degli uomini in Cristo e sulla vita eterna.

    Cantate al cieloCantate Alleluiaschiere della ChiesaQuesta gioia è senza uguali!

    AlleluiaAlleluia!

    Così diceva l'antico innoe ognuno di quelli che si trovavano sulla nave si sentì sollevare da quelle parole e dalle preghiereproprio allo stesso modo in cui la quercia si era sentita innalzare nel suo ultimo e magnifico sogno della notte di Natale.

     

     

     

  • IL FARFALLONE
  •  

    Il farfallone voleva una fidanzatache ovviamente doveva essere un grazioso fiorellino. Guardò tutti i fioriognuno se ne stava tranquillo e piegato sul suo stelocome una signorina deve stare quando ancora non è fidanzata; ma ce n'erano tanti tra cui scegliereera difficilee il farfallone non aveva voglia di stare a cercare; sicché volò dalla margheritina. I francesi la chiamano Margueritee sanno che sa prevederti il futurocome fa quando gli innamorati le staccano un petalo dopo l'altro chiedendo: "M'amanon m'amadi cuorecon doloremi ama moltomi ama poco?" o cose simili. Ognuno chiede nella sua lingua. Anche il farfallone arrivò per domandarle qualcosanon le staccò i petalima li baciò uno a uno pensando che con la gentilezza si ottiene di più.

    "Dolce margheritina Marguerite!" disselei è la donna più intelligente di tutti i fiori! Lei sa prevedere il futuro! Mi dica, la troverò oppure no? E chi sarà? Appena lo saprò, andrò direttamente da lei a chiederle la mano!.

    Ma Marguerite non rispose per niente. Non le piaceva essere chiamata donnaperché era una signorinae dunque non era una donna. Lui fece le stesse domande una seconda e una terza voltama non riuscendo a ottenere neppure una parola da leinon ebbe più voglia di chiedere ancorae se ne andò via a cercarsi la fidanzata da sé.

    Si era all'inizio della primaveraera pieno di crochi e di bucaneve.

    "Sono bellissime!" esclamò il farfallonesembrano graziose cresimande, ma un po' insipide. Come tutti i giovanilui aveva preferenza per le ragazze un po' più mature. Allora volò dagli anemonima erano un po' troppo acidile violette troppo romantichei tulipani troppo pomposile giunchiglie troppo borghesii fiori di tiglio troppo piccoli e poi con una famiglia troppo numerosa; i fiori di melo sembravano proprio delle rosema un giorno c'erano e il giorno dopo erano già cadutisecondo come soffiava il ventoe quello sarebbe stato un matrimonio troppo breve a suo avviso.

    Il fiore del pisello era quello che piaceva di piùera rosso e biancotenero e sottileproprio come quelle ragazze di casa che sono graziose e pure brave in cucina. Stava per chiedere la sua manoquando vide proprio lì vicino un baccello con un fiore appassito in cima. "Che cos'è?" chiese. "Mia sorella" rispose il fiore di pisello.

    "Ahcol tempo anche lei sarà così!" espaventatoil farfallone se ne volò via.

    I caprifogli pendevano dalle siepierano tante signorine con il viso lungo e la pelle giallaproprio di quelle che non gli piacevano. Giàma che cosa gli piaceva? Chiedeteglielo un po'!

    La primavera passò. Anche l'estate passò e poi l'autunno; lui si trovava sempre allo stesso punto. I fiori misero i loro vestiti più bellima a che cosa servivaadesso che non c'era più la fresca e profumata gioventù? Con la vecchiaia si fa sempre meno caso al profumoe poi non è detto che le peonie o la malvarosa abbiano un profumo particolare. Così il farfallone andò dalla menta.

    "Non ha un fiorema è come se fosse un fiore soloprofuma dalla testa ai piediha il profumo dei fiori in ogni sua foglia. Scelgo questa!".

    E le chiese la mano.

    Ma la menta rimase ferma e tranquilla e alla fine disse:

    "Amiciziama niente di più! Io sono vecchia e anche lei è vecchio!

    Potremmo vivere tranquillamente uno per l'altro senza sposarci. Non rendiamoci ridicoli alla nostra età!".

    E il farfallone non sposò nessuno. Aveva cercato per troppo tempoe questo non si deve fare. Diventò uno scapolonecome suol dirsi.

    Alla fine dell'autunno si mise a piovere e venne la nebbiail vento soffiava freddo nella schiena dei vecchi salicie li faceva scricchiolare. Non era per niente bello volare per la campagna coi vestiti dell'estate: l'entusiasmo si raffreddacome suol dirsi. Ma il farfallone non volò fuoriera entrato per caso in una porta dove c'era del fuoco in una stufac'era caldo come d'estatelì si poteva viverema "vivere non basta" disseil sole, la libertà, e un fiorellino bisognerebbe avere!.

    Così volò contro il vetrofu vistoammirato e puntato con uno spillo in una cassetta di vetro. Di più non si poteva fare.

    "Adesso ho un gambo anch'ioproprio come i fiori!" commentò il farfallonenon è mica tanto comodo! E' un po' come essere sposati:

    si è legatiaggiunse per consolarsi.

    "E' una misera consolazione!" dicevano i fiori dei vasi.

    "E' meglio non fidarsi dei fiori dei vasi" pensava il farfallonevivono troppo a contatto con gli uomini.

     

     

     

  • IL BUCANEVE
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    Era invernol'aria era freddail vento taglientema in casa si stava bene e faceva caldo; e il fiore stava in casanel suo bulbo sotto la terra e sotto la neve.

    Un giorno cadde la pioggiale gocce passarono attraverso la coltre di neve fino alla terratoccarono il bulbo del fioregli annunciarono il mondo luminoso di sopra; presto il raggio di solesottile e penetrantepassò attraverso la neve fino al bulbo e bussò.

    "Avanti!" disse il fiore.

    "Non posso" rispose il raggionon ho abbastanza forza per aprire, diventerò più forte in estate.

    "Quando verrà l'estate?" domandò il fioree lo domandò ancora ogni volta che un raggio di sole arrivava laggiù. Ma doveva passare ancora tanto tempo prima dell'estatela neve era ancora lì e ogni notte l'acqua ghiacciava.

    "Quanto dura!" disse il fiore. "Io mi sento solleticaredevo stendermiallungarmiaprirmidevo uscire! Voglio dare il buongiorno all'estatesarà un tempo meraviglioso!".

    Il fiore si allungò e si stirò contro la scorza sottile che l'acqua aveva ammorbiditola neve e la terra avevano riscaldatoil raggio di sole aveva punzecchiato; così sotto la neve spuntò una gemma verde chiarosu un gambo verdecon foglie grandi che sembravano volerla proteggere. La neve era freddama tutta illuminataed era così facile passarci attraversoe sopraggiunse un raggio di sole che aveva più forza di prima.

    "Benvenutobenvenuto!" cantavano e risuonavano tutti i raggie il fiore si sollevò oltre la neve nel mondo luminoso. I raggi lo accarezzarono e lo baciaronocosì si aprì tuttobianco come la neve e adorno di striscioline verdi. Piegava il capo per la gioia e l'umiltà.

    "Bel fiore" cantavano i raggicome sei fresco e puro! Tu sei il primo, l'unico, sei il nostro amore. Tu annunci l'estate, la bella estate in campagna e nelle città. Tutta la neve si scioglierà; i freddi venti andranno via. Noi domineremo. Tutto tornerà verde, e tu avrai compagnia, il lillà, il glicine e infine le rose; ma tu sei il primo, così delicato e puro!.

    Era proprio divertente. Era come se l'aria cantasse e risuonassecome se i raggi di sole penetrassero nei suoi petali e nel suo stelo; lui era lìcosì sottile e delicato e facile a spezzarsieppure così fortenella sua giovanile bellezzaera lì in mantello bianco e nastri verdie rendeva lode l'estate. Ma doveva ancora passare tempo prima dell'estate; nuvole nascosero il solee venti taglienti soffiarono sul fiorellino.

    "Sei giunto troppo in anticipo!" dissero il vento e l'aria. "Noi abbiamo ancora il potereti dovrai adattare! Avresti dovuto rimanere chiuso in casanon correre fuori per farti ammirarenon è ancora tempo".

    C'era un freddo pungente! I giorni che vennero non portarono un solo raggio di solec'era un freddo tale che ci si poteva spezzaresoprattutto un fiorellino tanto delicato. Ma in lui c'era molta più forza di quanto lui stesso sospettasseera la forza della gioia e della fede per l'estate che doveva arrivareche gli era stata annunciata da una profonda nostalgia e confermata dalla calda luce del sole; quindi resistette con la sua speranzanel suo abito bianco sopra la neve biancachinando il capo quando i fiocchi cadevano pesanti e fittiquando i venti gelidi soffiavano su di lui.

    "Ti spezzerai!" gli dicevano. "Appassiraigelerai! Perché hai voluto uscire? perché non sei rimasto chiuso in casa? Il raggio di sole ti ha ingannato. E adesso ti sta benefiorellino che hai voluto bucare la neve!".

    "Bucaneve!" ripeté quello nel freddo mattino.

    "Bucaneve!" gridarono alcuni bambini che erano arrivati in giardinoce n'è uno, così grazioso, così carino, è il primo, l'unico!.

    Quelle parole fecero bene al fioreerano come caldi raggi di sole. Il fiorepreso dalla sua gioianon si rese neppure conto d'essere stato colto; si ritrovò nella mano di un bambinovenne baciato dalle labbra di un bambinopoi venne portato in una stanza riscaldataosservato da occhi affettuosie messo nell'acqua: era così rinfrescantecosì ristoratricee il fiore credette improvvisamente di essere entrato nell'estate.

    La fanciulla della casauna ragazza carina che era già stata cresimataaveva un caro amico che pure lui era stato cresimato e che ora studiava per trovarsi una sistemazione. "Sarà lui il mio fiorellino beffato dall'estate!" esclamò la fanciulla; prese quel fiore sottile e lo mise in un foglio di carta profumato su cui erano scritti dei versiversi su un fiore che iniziavano con "fiorellino beffato dall'estate" e finivano con "beffato dall'estate".

    "Caro amicobeffato dall'estate!". Lei lo aveva beffato d'estate.

    Tutto questo venne scritto in versi e spedito come lettera; il fiore era là dentro e faceva proprio scuro intorno a luiscuro come quando stava nel bulbo. Il fiore viaggiòfinì nel sacco della postafu schiacciatopremuto; non era per nulla piacevolema finì.

    Il viaggio terminòla lettera fu aperta e letta dal caro amico; lui era molto contentobaciò il fiore che fu messo insieme ai versi in un cassettocon tante altre belle lettere che però non avevano un fiore; lui era il primol'unicoproprio come i raggi del sole lo avevano chiamato: com'era bello pensarlo!

    Ebbe la possibilità di pensarlo a lungoe pensò mentre l'estate finivae poi finiva il lungo inverno; e venne ancora l'estatee allora fu tirato fuori. Ma il giovane non era affatto felice; afferrò i fogli con violenzagettò via i versie il fiore finì sul pavimentopiatto e appassito; non per questo doveva essere gettato sul pavimento! Comunque meglio lì che nel fuocodove tutti i versi e le lettere andarono a finire. Che cosa era successo? Quello che succede spesso. Il fiore l'aveva beffatoma quello era uno scherzo; la ragazza l'aveva beffatoe quello non era uno scherzo; lei si era trovato un altro amico durante l'estate.

    Al mattino il sole brillò su quel piccolo bucaneve schiacciato che pareva dipinto sul pavimento. La ragazza che faceva le pulizie lo raccolse e lo infilò in uno dei libri appoggiati sul tavoloperché credeva fosse caduto da lì mentre lei faceva le pulizie e metteva in ordine. Il fiore si trovò di nuovo tra versi stampati e questi sono più distinti di quelli scritti a manoper lo meno sono più costosi.

    Così passarono gli anni e il libro restò nello scaffale; poi venne presoaperto e letto; era un bel libro: erano versi e canti del poeta danese Ambrosius Stubche certo vale la pena di conoscere. L'uomo che leggeva quel libro voltò la pagina. "Ohc'è un fiore!" esclamòun bucaneve! E' stato messo qui di certo con un preciso significato; povero Ambrosius Stub! Anche lui era un fiore beffato, una vittima della poesia. Era arrivato troppo in anticipo per il suo tempo, perciò subì tempeste e venti pungenti, passò da un signore della Fionia all'altro, come un fiore in un vaso d'acqua, come un fiore in una lettera di versi! Fiorellino, beffato dall'estate, zimbello dell'inverno, vittima di scherzi e di giochi, eppure il primo, l'unico poeta danese pieno di gioventù. Ora sei un segnalibro, piccolo bucaneve! Certo non sei stato messo qui per caso!.

    Così il bucaneve fu rimesso nel libro e si sentì onorato e felice nel sapere di essere il segnalibro di quel meraviglioso libro di canti e nell'apprendere che chi per primo aveva cantato e scritto di luiera stato anche lui un bucanevebeffato dall'estate e vittima dell'inverno. Il fiore capì naturalmente tutto a modo suoesattamente come pure noi capiamo le cose a modo nostro.

    Questa è la fiaba del bucaneve.

     

     

     

  • IL FOLLETTO E LA SIGNORA
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    Tu conosci certamente il follettoma conosci anche la signorala moglie del giardiniere? Lei era istruitarecitava versie ne scriveva lei stessa con grande facilità; soltanto le rime per "far baciare i versi"come diceva leile davano un po' di problemi. Lei sapeva scrivere e parlar beneavrebbe potuto benissimo diventare pastore o almeno moglie di un pastore.

    "La terra è bella nel suo abito della festa!" dissee quel pensiero l'aveva messo in bello stile con la rima baciatae l'aveva sviluppato in una lunga e bellissima canzone.

    Il maestro di scuolail signor Kisserupma il nome non ha importanzaera un suo nipote ed era venuto in visita; ascoltò la poesia della ziae questo gli fece benedisseveramente bene al cuore. "Lei ha spiritosignora" esclamò.

    "Quante storie!" rispose il giardinierenon le dica queste cose! Una moglie deve essere pratica, pratica e dignitosa, e interessarsi che la minestra nella pentola non bruci.

    "Toglierò l'odore di bruciato con un pezzo di carbone" rispose la signora. "E l'odore di bruciato che sta in te lo toglierò con un bacio. Sembra quasi che tu pensi solo ai cavoli e alle patate; eppure che ami i fiori!"e così lo baciò. "I fiori sono spirito" commentò.

    "Stai attenta alla pentola!" ripeté lui andandosene in giardino: il giardino era la sua pentola e lui badava a quello.

    Ma il maestro di scuola sedette accanto alla signora e si mise a parlare con lei: tenne una sorta di sermonefatto a suo modosulle parole molto belle di lei: "la terra è bella!".

    "La terra è belladovete sottometterlafu dettoe noi diventammo padroni. Chi con lo spiritochi con il corpo. Qualcuno fu messo al mondo come un punto esclamativoqualcun altro come un punto di domandaperché ci si domandi cosa ci faccia qui! Uno diventa vescovoun altro un semplice maestro di scuolama ogni cosa è fatta con saggezza. La terra è bella nel suo vestito della festa! Questa è proprio una poesia che stimola la riflessionesignoraè piena di sentimento e di cognizioni geografiche".

    "Lei ha spiritosignor Kisserup" disse la signoramolto spirito, glielo assicuro! Si vede chiaro in se stessi quando si parla con lei.E andarono avanti a parlaresempre molto bene; ma in cucina c'era qualcun altro che parlavaera il follettoquel piccolo folletto vestito di grigio con il cappello rosso: lo conosci? Il folletto stava in cucina ed era un ficcanasoe parlavama nessuno lo sentivatranne il grande gatto neroil ladro di pannacome lo chiamava la signora.

    Il folletto era molto arrabbiato con la signoraperché lei non credeva che lui esistesse; in realtà non l'aveva mai vistoma con la sua cultura doveva sapere che esisteva e perciò mostrargli qualche piccola attenzione. Eppurenon ci pensava maila sera di Natalea preparare per lui una tazza di riso col lattecome l'avevano avuta tutti i suoi antenatie da parte di signore che non avevano nessuna cultura; riso col latte affogato nel burro e nella panna. Al gatto venne l'acquolina in bocca soltanto a sentirlo.

    "Mi chiama 'Concetto'!" disse il follettoe questo per me è inconcepibile! In realtà mi nega! Questo l'ho scoperto origliando, e ora ho scoperto un'altra cosa: è lì a passare il tempo con il castigatore dei bambini, il maestro di scuola. Io mi trovo d'accordo con il marito: Bada alla tua pentola!"e lei non lo fa; ora farò in modo che trabocchi!".

    Il folletto soffiò sul fuoco che avvampò e bruciò con più forza.

    "Surresurrerup!" e la minestra sgorgò fuori.

    "Ora vado a fare dei buchi nelle calze del padrone!" disse il follettofarò un buco enorme sull'alluce e uno sul calcagno, così sarà obbligata a rammendare e non farà più poesie: la signora poetessa che rammenda le calze del marito!.

    Il gatto starnutìera raffreddato nonostante avesse sempre la pelliccia.

    "Ho aperto la porta della dispensa" gli disse il follettoc'è della panna, densa come un impasto di farina. Se non ci vai tu a leccarla, lo farò io!.

    "Dato che mi daranno la colpa e le botte" disse il gattoè giusto che la panna la lecchi io!.

    "Prima la pannapoi la frusta!" disse il folletto. "Ma ora andrò nella stanza del maestro di scuola e gli annoderò le bretelle allo specchio e gli caccerò i calzini nella bacinella dell'acquacosì crederà che il punch era troppo forte e gli ha confuso la mente.

    L'altra notte mi sono messo sulla catasta di legna accanto al canilemi diverte tanto prendere in giro il cane alla catena. Ho dondolato le gambema il cane non riusciva a prenderminonostante saltasse in alto. Così si arrabbiò e abbaiò in continuazionementre io continuavo a dondolare le gambe. Era davvero un bello spettacolo. ll maestro di scuola si svegliò a quel rumoreper ben tre volte guardò fuorima non mi videbenché avesse gli occhiali: infatti dorme sempre con gli occhiali".

    "Dimmi miaoquando arriva la signora!" disse il gattoNon ci sento bene oggi, sono malato.Tu sei goloso!ribatté il folletto. "Leccalecca! che la malattia se ne va. Ma pulisciti i baffiche non ti resti attaccata della panna. Ora vado a origliare".

    Il folletto si mise vicino alla porta accostatanon c'era nessuno nella stanza tranne la signora e il maestro di scuola che parlavano di quello che il seminarista con una bella espressione chiamava: i doni dello spiritodoni che dovevano venire prima delle pentole e delle padelle nel governo della casa.

    "Signor Kisserup" disse la donnaa questo riguardo le voglio mostrare qualcosa che non ho ancora fatto vedere a nessuno, tanto meno a un uomo; sono le mie poesie brevi, alcune in realtà sono un po' lunghe, ma le ho intitolate RIME BACIATE DI UNA DAMA DI CULTURA. Mi piacciono tanto le espressioni all'antica!.

    "Bisogna conservare anche quelle" commentò il maestro di scuolabisogna eliminare il tedesco dalla nostra lingua.E' quello che facciospiegò la signora. "Lei non mi sentirà mai dire "Kleiner" o "Butterteig"io dico sempre 'frittelle' e 'pasta sfoglia'".

    Intanto trasse da un cassetto un quaderno con una copertina verde chiara con due macchie d'inchiostro.

    "C'è una grande serietà in questo libro!" spiegò. "Io sono profondamente attratta da tutto quel che è patetico. Ecco qui SOSPIRO NELLA NOTTEIL MIO CREPUSCOLO e QUANDO SPOSAI KLEMENSENmio marito.

    Questa si può anche saltareanche se ovviamente è molto sentita e ben pensata. I DOVERI DI UNA CASALINGA è il pezzo più bello; tutte sono assai patetichein ciò sono bravasolo un pezzo è divertentepieno di pensieri allegribisogna avere anche quelli. Pensieri su... ora non rida di me! pensieri sul fatto di essere poetessa. Sono conosciuti soltanto da medal mio cassettoe ora anche da leisignor Kisserup.

    Io amo la poesiami invademi sollecitami consiglia e mi governa.

    Questa l'ho intitolata PICCOLO FOLLETTO. Lei conosce sicuramente la vecchia superstizione contadina dei folletti di casache fanno sempre qualche scherzo; io ho immaginato di essere la casa e che la poesiale sensazioni che sono in me fossero il follettolo spirito che consiglia; in PICCOLO FOLLETTO ho cantato il suo potere e la sua grandezzama lei deve farmi la promessa di non rivelare queste cose né a mio marito né a nessun altro. Legga ad alta vocecosì posso vedere se capisce la mia scrittura".

    Il maestro di scuola lesse e la signora si mise ad ascoltare; anche il piccolo folletto ascoltò; origliavalo sai benee arrivò proprio nel momento in cui fu letto il titolo: PICCOLO FOLLETTO.

    "Parla di me!" esclamò. "Che può avere scritto di me? Mi metterò a beccarlabeccherò le sue uovai suoi pulcini e farò dimagrire il vitello grasso; ma guarda un po'questa signora!".

    E si mise in ascolto con le orecchie tese e il collo allungato; ma quando sentì dire della magnificenza e del potere del follettodel dominio che aveva sulla signora (tu sai bene che la signora voleva dire l'arte del poetarema il folletto prese tutto alla lettera)cominciò a sorridere; gli occhi gli brillarono dalla gioiala bocca assunse una piega piena di distinzione; si sollevò sui talloni e rimase in punta di piedicrescendo di un intero pollice. Era incantato da tutto quello che veniva detto sul piccolo folletto.

    "La signora ha spirito e grande cultura! Che ingiustizia le ho fatto!

    Lei mi ha messo nelle sue RIME BACIATE che verranno pubblicate e lette. Ora il gatto non avrà più il permesso di leccare la panna della signoralo farò io stesso. Uno mangia meno di duedunque è sempre un bel risparmio; e io farò in questo modo oltre a onorare e rispettare la signora".

    "E' proprio come un uomo questo folletto" disse il vecchio gatto.

    "Basta un miagolìo dolce da parte della signoraun miagolìo su di luie subito cambia parere. E' proprio furba la signora!".

    Ma lei non era furbaera il folletto che era umano.

    Se non capisci questa storia chiedima non chiedere né al follettoné alla signora.

     

     

     

  • LA PULCE E IL PROFESSORE
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    C'era un aeronauta al quale andò male: il pallone si ruppee l'uomo saltò giù ma finì a pezzi. Il suo figliolo era riuscito a buttarsi giù due minuti prima con il paracadutee questa era stata la sua fortuna.

    Non subì danni e se ne andò in giro; avrebbe potuto essere un esperto aeronautama non aveva pallone e nemmeno i mezzi per procurarsene uno.

    Ad ogni modo doveva viveresicché imparò l'arte dei giochi di prestigioe a parlare con lo stomacocioè a essere ventriloquo. Era giovane e belloe quando gli crebbe la barba ed ebbe dei bei vestitivenne scambiato per un giovane conte. Le signore lo trovavano gradevolee una signorina rimase talmente affascinata dalla sua bellezza e dalla sua abilità di prestigiatore che lo seguì per città e paesi stranieri; lui si faceva chiamare professore; non poteva certamente essere niente di meno.

    Il suo pensiero fisso era di riuscire ad avere una mongolfiera e alzarsi nell'aria insieme alla sua mogliettinama ancora non ne avevano i mezzi.

    "Verranno!" diceva lui.

    "Speriamo!" rispondeva la moglie.

    "Siamo giovaniio ora sono professore. Anche le briciole sono pane".

    La moglie lo aiutava fedelmentesi metteva alla porta e vendeva i biglietti per la rappresentazionee questo d'inverno era un divertimento un po' freddo! Lo aiutava anche in un numero. Lui la metteva in un cassetto del tavoloun cassetto grande; lei si infilava proprio sul fondo in modo da non essere più visibile.

    Ma una seraquando lui aprì il cassettolei se n'era andata sul serionon era né nella parte davanti né in quella dietronon si trovava in tutta la casanon la si vedeva né la si sentiva.

    Questo fu il suo gioco di prestigio. Non ritornò mai piùsi era stancata; poi si stancò pure luiperse il buonumorenon poté più far ridere né fare i giochicosì la gente non andò più a vederlo; i guadagni diminuirono e i vestiti si sciuparono; alla fine possedeva soltanto una grande pulceche aveva ereditato dalla mogliee per questo le voleva molto bene. Allora l'ammaestròle insegnò i giochi di prestigiole insegnò a presentare le armi e a sparare con un cannoneovviamente piccolissimo.

    Andava molto orgoglioso della pulcee anche di se stesso; la pulce aveva imparato qualcosa e aveva sangue umano ed era stata nelle più grandi città; era stata vista da principi e principesse e da loro aveva ottenuto la più alta considerazione. Fu scritto anche nei giornali e sui manifesti. La pulce sapeva d'essere una celebritàe di poter mantenere il professoreanzi una famiglia intera.

    Era orgogliosa e assai famosaeppure lei e il professore viaggiavano in quarta classe; tanto arrivavano con la stessa velocità della prima.

    C'era fra di loro una tacita promessa di non separarsi maidi non sposarsi mai. La pulce restò nubile e il professore restò solo. Così erano pari.

    "Dove si ha più successo" diceva il professorenon bisogna tornare una seconda volta!Lui era un conoscitore di uominie anche questa è un'arte.

    Alla fine avevano viaggiato in tutti i paesitranne che in quello dei selvaggi; così vollero andare pure lì. E' pur vero che là divoravano i cristianie il professore lo sapeva; ma lui non era un vero cristiano e la pulce non era un vero uomo; così pensarono che potevano provare a viaggiare fin là e guadagnare molto.

    Fecero il viaggio con una nave a vapore e una a velala pulce fece i suoi giochi di prestigiocosì non dovettero pagare il viaggioquindi arrivarono nel paese dei selvaggi.

    Lì governava una piccola principessa; aveva solo otto annima era lei a governare; aveva preso il potere al padre e alla madre perché aveva una volontà molto forte ed era anche estremamente graziosa e maleducata.

    Subitoquando la pulce presentò le armi e sparò col cannonelei ne fu così attratta che disse: "O quella o nessuno!". Provò un amore selvaggioanche se selvaggia lo era già da prima.

    "Cara figliola" le disse suo padreprima dovremmo farla diventare uomo!.

    "Lasciami farevecchio!" disse leie non era certo educato da parte della principessa parlare in quel modo a suo padrema lei era selvaggia.

    Si mise la pulce sulla mano.

    "Ora tu sei un uomo e governerai insieme a me; ma devi fare quello che voglio ioaltrimenti ammazzo te e mangio il professore".

    Al professore fu data una grande sala in cui abitare. Le pareti erano fatte di canne da zuccheroche lui poteva leccare ma non era granché goloso. Gli diedero un'amaca in cui dormire e gli sembrava di essere in una mongolfieracome aveva sempre desiderato: era il suo pensiero fisso.

    La pulce restò presso la principessaappoggiata alla sua manina o sul suo collo delicato. Poi la principessa si staccò un capellocon cui il professore dovette legare la pulce a una gambae lei se l'attaccò al grande orecchino di corallo che portava.

    Fu proprio un periodo bellissimo per la principessae anche per la pulce. Ma il professore non era tanto soddisfattoera un viaggiatoregli piaceva andare da una città all'altraleggere sui giornali della sua pazienza e intelligenza nell'insegnare a una pulce tutti i movimenti umani. Per tutto il giorno stava nell'amacaoziava e mangiava: uova fresche di uccelloocchi di elefante e cosce di giraffa arrosto; i cannibali difatti non vivono soltanto di carne umanaquesta è un piatto speciale. "Spalle di bambino in salsa piccante" diceva la madre della principessaè il piatto più delicato!.

    Il professore si annoiava e voleva andare via dal paese dei selvaggima voleva avere con sé la pulceche era la sua meraviglia e la sua fonte di guadagno. Come poteva fare per prenderla e portarla con sé?

    Non era facile.

    Si sforzò a lungo di pensare e alla fine disse: "Ho trovato!".

    "Padre della principessapermettimi di fare qualche cosa! Vorrei insegnare agli abitanti di questo paese a sapersi presentare bene:

    quello che nei più grandi paesi del mondo chiamano educazione".

    "E che cosa insegnerai a me?" domandò il padre della principessa. "La mia grande arte" disse il professore. "Sparare con un cannone che fa tremare tutta la terra e fa cadere tutti gli uccelli dal cielo già arrostiti! E' straordinario!".

    "Porta il cannone!" disse il padre della principessa.

    Ma in tutto il paese non c'era nessun cannonetranne quello della pulceche però era troppo piccolo.

    "Ne costruirò uno più grande!" lo rassicurò il professore. "Portami solo quello che occorre. Devo avere seta molto sottileago e filocorde e funi e gocce per lo stomaco per gli aerostati: quelli si gonfianodiventano leggeri e si sollevano e mettono il fuoco nella pancia del cannone".

    Tutto ciò che aveva richiesto gli venne dato.

    L'intero paese si riunì per vedere quel grande pallone. Il professore non li aveva chiamati finché il pallone non era stato pronto per essere gonfiato e per sollevarsi.

    La pulce stava nella mano della principessa e osservava. Il pallone venne tanto gonfiato che era sul punto di scoppiaree venne trattenuto a mala penatanto era selvaggio.

    "Bisogna sollevarlo perché si raffreddi" disse il professore entrando nel cesto appeso sotto il pallone. "Da solo non riesco a governarlomi occorre un compagno espertoche mi aiuti. Qui non c'è nessun altro che la pulce".

    "Gliela concedo a malincuore!" disse la principessama porse la pulce al professore che se la mise sulla mano.

    "Sciogliete le corde e le funi!" gridò lui. "Adesso il pallone parte!".

    Loro credettero che lui avesse detto: "Il cannone"!

    Così il pallone salì sempre più in altoverso le nuvolelontano dal paese dei selvaggi.

    La principessinasuo padresua madretutta la popolazione rimasero ad aspettaree ancora aspettano. Se non ci crediprova ad andare nel paese dei selvaggi: ogni bambino parlerà della pulce e del professorecredono che torneranno di nuovo non appena il cannone sarà raffreddato. Ma quelli non torneranno piùsono tornati da noiqui nella loro patriaviaggiano in ferroviaquesta volta in prima classemica in quartaguadagnano bene con quel grande pallone; nessuno gli chiede come si sono procurati il pallone o da dove l'hanno avutoe sono persone molto stimate e onoratela pulce e il professore.

     

     

     

  • IL GIARDINIERE E I PADRONI
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    A un miglio di strada dalla capitale c'era un vecchio castello con grosse muratorri e tetti merlati.

    Qui ci abitavanoma solo d'estatenobili e ricchi signori; quel castello era il migliore e il più bello tra quelli che possedevano; da fuori sembrava appena costruito e dentro aveva tutte le comodità e gli agi. L'insegna della famiglia era scolpita nella pietra proprio sopra il portonee tutto intorno e sul torrione si intrecciavano bellissime rose; un unico tappeto d'erba si stendeva intorno al castelloc'erano rovi e biancospinie fiori rari anche fuori dalla serra.

    I padroni avevano anche un ottimo giardiniere; era veramente un piacere ammirare il giardinoil frutteto e l'orto. Lì vicino c'era ancora un resto del vecchio giardino del castellocon siepi di bosso tagliate a forma di corone e di piramidi. Dietro si trovavano due vecchissimi e enormi alberi; erano quasi sempre senza fogliema si poteva pensare che una bufera o una tempesta li avesse cosparsi di grossi pezzi di becchime: ogni pezzo era un nido per gli uccelli.

    Quida tempo immemorabilesi facevano il nido un gran numero di corvi e cornacchie; era come un'intera città di uccelli; gli uccelli facevano da padronierano i proprietari della tenutala famiglia più antica del postoi veri padroni del castello. Loro non nutrivano interesse per gli uominima sopportavano quelle creature che camminavano così in bassoanche se qualche volta sparavano coi fucili; allora gli uccelli sentivano i brividi alla schiena e si alzavano in volo per lo spavento gridando: "Cracra!".

    Il giardiniere diceva spesso ai suoi padroni di far abbattere quei vecchi alberi che non erano per niente belliin questo modo ci si sarebbe forse liberati di quegli uccelli gracchianti i quali avrebbero cercato un altro posto. Ma i padroni non volevano liberarsi né degli alberi né degli uccelli; era qualcosa che il castello non poteva perderequalcosa che risaliva ai tempi del passato e che perciò non bisognava assolutamente distruggere.

    "Quegli alberi sono proprietà degli uccelli; lasci che continuino ad averlimio buon Larsen!".

    Il giardiniere si chiamava Larsenma questo non è molto importante.

    "Non le bastasignor Larsentutto il posto che ha? l'intero giardinola serrail frutteto e l'orto?".

    Lui aveva tutto questolo curavalo sorvegliava e lo coltivava con solerzia e bravura; i padroni lo riconoscevanoma non facevano mistero che in casa d'altri mangiavano spesso dei frutti e vedevano dei fiori superiori a quelli del loro giardino; questo rattristava il giardiniereperché voleva sempre il meglio e faceva del suo meglio.

    Aveva buon cuore ed era bravo nel suo lavoro.

    Un giorno i padroni lo chiamarono e gli dissero con molto garbo che il giorno prima avevano visto in casa di nobili amici una qualità di mele e di pere talmente succose e saporiteche loroe tutti gli altri ospitiavevano espresso grande meraviglia. Simili frutti non erano sicuramente del loro paesema dovevano venire importati e coltivatise il clima lo avesse permesso. Si sapeva che erano stati comprati in città dal primo fruttivendoloil giardiniere doveva andare da lui per sapere da dove provenivano e ordinare i rami per l'innesto.

    Il giardiniere conosceva bene quel fruttivendoloera proprio a lui che vendeva per conto dei padroni i frutti cresciuti in eccedenza nel giardino del castello.

    Andò quindi in città e domandò al fruttivendolo da dove aveva avuto quelle lodatissime mele e pere.

    "Vengono dal vostro giardino!" disse il fruttivendoloe gli fece vedere i frutti che il giardiniere riconobbe immediatamente.

    Ohcome fu felice il giardiniere! Andò di corsa dai padroni per raccontare che tanto le mele che le pere provenivano dal loro giardino.

    I padroni gli credettero a malapena. "Non è possibileLarsen! Può farci avere una dichiarazione scritta del fruttivendolo?".

    Naturalmente lui potevae così portò loro un attestato scritto.

    "E' straordinario!" dissero i padroni.

    Da allora ogni giorno sul tavolo dei padroni vennero portati grossi recipienti colmi di stupende mele e pere che provenivano dal loro giardino. Poi furono inviati stai e barili dei frutti agli amici che abitavano in città e fuori cittàpersino all'estero. Era proprio un piacere! Dovevano però riconoscere che avevano avuto due estati veramente straordinarie per gli alberi da fruttocom'era successo in tutto il paese.

    Passò del tempo e i padroni furono invitati a cena a corte. Il giorno dopo il giardiniere fu chiamato. Avevano mangiato a tavola meloni proprio succosi e saporiti che provenivano dalla serra reale.

    "Deve andare dal giardiniere di cortebuon Larsene procurarci qualche seme di questi preziosissimi meloni!".

    "Ma il giardiniere di corte ha avuto i semi da noi!" esclamò il giardiniere tutto contento.

    "Allora quell'uomo ha di sicuro fatto crescere meglio i meloni!" risposero i padroni. "Ogni melone era eccezionale!".

    "Beneallora posso proprio esserne orgoglioso!" disse il giardiniere.

    "Lor signori devono sapere che il giardiniere di corte non ha avuto fortuna coi suoi meloni e quando ha visto com'erano belli i nostridopo averli assaggiatine ha ordinati tre da portare al castello reale".

    "Larsennon si metta in testa che erano meloni del nostro giardino!".

    "Credo proprio di sì" rispose il giardiniere. Andò dal giardiniere di corte ed ebbe da quello una dichiarazione scritta che attestava come i meloni presentati a tavola provenissero dal castello dei suoi padroni.

    Fu davvero una sorpresa per i padroni che non si tennero per sé la storia; anzi mostrarono in giro l'attestatomandarono semi di meloni ovunqueproprio come avevano fatto in precedenza con i rami d'innesto.

    Seppero poi che quelli avevano attecchito beneavevano portato frutti meravigliosi ed erano stati chiamati col nome del castellosicché ora il nome si poteva leggere in inglesein tedesco e in francese. Una cosa così non la si poteva certo immaginare!

    "Purché il giardiniere non si monti la testa!" dissero padroni.

    Lui la prese diversamente; volevaper conservare la fama di essere uno dei migliori giardinieri del paesecercare di ottenere ogni anno qualcosa di straordinario dalle piante del giardino; e così fece; ma spesso dovette sentirsi dire che i primissimi frutti che aveva portatoquelle mele e quelle pereerano in ogni caso le migliorima che tutte le altre specie non erano allo stesso livello. I meloni erano buonissimima erano un genere diversole fragole si potevano dire eccellentima non erano meglio di quelle degli altri giardinie quando un anno i ravanelli vennero su malesi parlò solo di quegli sfortunati ravanelli e non di tutte le altre buone cose che erano state prodotte.

    Era come se i padroni si sentissero sollevati nel dire: "Quest'anno non è andatacaro Larsen!". Erano proprio felici di poter dire: "E' andata male quest'anno!".

    Due o tre volte la settimana il giardiniere portava fiori freschi nel salonesempre preparati con buon gustoin modo da mettere in risalto i colori.

    "Lei ha buon gustoLarsen!" dicevano i padroniè un dono che le ha dato il Signore, non è merito suo!.

    Un giorno il giardiniere arrivò con una grande coppa di cristallo dovesu una foglia di ninfeaaveva appoggiatocon il suo lungo e grosso stelo infilato nell'acquaun fiore turchino molto luminosogrande come un girasole.

    "E' un fior di loto dell'Indostan!" esclamarono i padroni. Non avevano mai visto un fiore così; di giorno venne messo al sole e di sera sotto la luce riflessa. Tutti quelli che lo vedevano lo trovavano estremamente bello e particolare; la stessa cosa disse anche la più nobile delle damigelle del regnoche era principessa: era buona e intelligente.

    I padroni furono onorati di donarle il fiore che così arrivò a corte insieme alla principessa.

    Allora i padroni scesero in giardino per cogliere un fiore della stessa speciese ce ne fosse stato unoma non lo trovarono.

    Chiamarono dunque il giardiniere e gli chiesero da dove proveniva quel fiore di loto blu.

    "L'abbiamo cercato inutilmente" spiegarono. "Siamo stati nella serra e in tutto il giardino".

    "Nolì non si trova di certo" disse il giardiniere. "E' solo un fiore dell'orto! Ma è bellovero? Sembra un cactus azzurroe in realtà è il fiore del carciofo".

    "Avrebbe dovuto dircelo subito" dissero i padroni. "Noi credevamo che fosse un fiore molto raro ed esotico. Ci ha umiliato di fronte alla giovane principessa! Lei ha visto il fiore a casa nostralo ha trovato così bellonon lo conoscevaanche se è esperta di botanica; ma la botanica non ha niente a che vedere con gli ortaggi. Come le è venuto in testaLarsendi portare un fiore come quello nel salone?

    Così ci ha reso ridicoli!".

    E il bel fiore turchinoche era stato colto nell'ortonon fu più ammesso nel salone dei padroni perché non era ritenuto adatto; poi i padroni si scusarono con la principessaspiegarono che il fiore era solo un modesto ortaggio che il giardiniere aveva avuto l'idea di mettere in mostra; ma per questo era stato rimproverato severamente.

    "E' un peccatoun'ingiustizia!" esclamò la principessa. "Lui ci ha aperto gli occhi dinanzi a un fiore meraviglioso al quale non avevamo mai fatto casoci ha fatto vedere la bellezza che si trova là dove non abbiamo mai pensato di cercarla! Il giardiniere del castelloogni giornoper tutto il tempo in cui i carciofi avranno i fioridovrà portarne uno in camera mia".

    E così accadde.

    I padroni fecero dire al giardiniere che ora poteva portare di nuovo un fiore fresco di carciofo nel salone.

    "In fondo è bello!" dissero. "E' proprio strano!" Il giardiniere fu lodato.

    "A Larsen questo fa piacere!" dissero i padroni. "E' come un bambino viziato".

    In autunno ci fu una tremenda tempestafu tanto violenta nel cuore della notte che molti grossi alberi ai bordi del bosco furono sradicatiecon gran dolore dei padroni - dissero loro - ma con grande gioia del giardinierei due grandi alberi carichi di nidi di uccelli furono abbattuti. Si sentirono nella tempesta le grida dei corvi e delle cornacchie che sbattevano le ali contro i vetriraccontava la gente del castello.

    "Ora sarà contentoLarsen" dissero i padroni. "La tempesta ha sradicato gli alberi e gli uccelli hanno trovato riparo nel bosco. Qui non resta più niente dei vecchi tempi; ogni segno e ogni traccia sono spariti. E' molto triste!".

    Il giardiniere non disse nullama pensò a quello che aveva pensato da tempodi utilizzare quello splendido spiazzo al soleche prima aveva dovuto lasciar perderee di trasformarlo in ornamento per tutto il giardino e motivo di gioia per i padroni.

    I grandi alberi abbattuti avevano soffocato e schiacciato le vecchissime siepi di bossotagliate in vari modi. Lui piantò una serie di piante diversetutte del paeseprese dai campi e dai boschi.

    Piantò ciò che nessun altro giardiniere avrebbe mai pensato di piantare in gran quantità nel giardino dei padronimise ogni specie nella terra più adattaall'ombra o al sole secondo le necessità d'ogni specie. Le curò con amore e queste crebbero meravigliose.

    Il cespuglio di ginepro della landa dello Jutland si elevò con la forma e il colore del cipresso italianoe il lucido agrifoglio spinososempreverde sia nel freddo dell'inverno che nel sole dell'estateera molto bello a vedersi. Davanti crescevano felcidi tante specie diverse: certune sembravano nate da una palmaaltre parevano i genitori di quella sottile e deliziosa pianta che noi chiamiamo capelvenere; c'era la disprezzata lappolacosì bella nella sua freschezzache figura molto bene in mazzetti. La lappola cresceva all'asciuttoma più sottodal terreno umidocresceva il farfaraccioaltra pianta disprezzata eppure così artistica per la sua altezza e per le foglie enormi. Altissimocon i fiori molto vicini tra loro come uno straordinario candelabro a molte bracciasi ergeva il verbascotrapiantato dal campo. C'erano le asperulel'acetosella e i mughettile calle selvatiche e il sottile trifoglio del bosco.

    Era proprio una meraviglia!

    Davantirette da fili d'acciaiocrescevano in fila piccole piante di pere provenienti dalla Francia: ricevevano sole e cure e davano grandi frutti succosiproprio come nel paese d'origine.

    Dove c'erano i due vecchi alberi senza foglie venne piazzato un grande palo portabandierasul quale sventolava la bandiera nazionalee lì vicino un altro palodove in estate e in autunno si attorcigliava il luppolo con i suoi grappoli di fiori profumati; ma d'invernosecondo un'antica usanzaveniva appeso un manipolo d'avenaperché gli uccelli del cielo avessero da mangiare nel periodo natalizio.

    "Il buon Larsen diventa sentimentale con il passar degli anni" dissero i padroni. "Ma è fedele e devoto".

    Per Capodannoin una rivista illustrata della capitalecomparve una fotografia di quel vecchio castello; si vedeva il palo della bandiera e quello dell'avena per gli uccellini del cielo nel periodo natalizio.

    Si diceva che era stata una bella idea che un'usanza tanto antica fosse stata ripristinataun'idea degna di quel vecchio castello.

    "Per tutto ciò che fa Larsen" dissero i padronisi battono i tamburi. E' davvero un uomo fortunato! Dovremmo quasi anadr fieri di lui!.

    Ma non erano veramente fieri di lui! Sapevano di essere padronipotevano licenziare Larsenma non lo facevano perché erano brave persone; ci sono tante brave persone come loroe questa è una fortuna per ogni Larsen.

    Sìquesta è la storia del "giardiniere e i padroni".

    Adesso riflettici sopra!

     




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