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Gabriel De Lautrec

 

LA VENDETTA DEL RITRATTO OVALE

 

     Quell’uomodon Arias di Alilayaabitavanell’antico e desolato maniero dei suoi antenatinell’Estremadura. Davent’anni viveva solo. Il sanguinoso dramma che si era consumato in gioventùlo aveva portato ad odiare spietatamente tutti gli uominima soprattutto ledonne.
     Suo padreil nobile conte Pabloera stato invita una specie di re nella sua regione. Secondo le abitudini feudaliavevapieno potere di vita e di morte sui sudditi. Mapur temendolotutti loveneravano perché era tanto giusto quanto forte. Rimasto presto vedovosi erasubito consolato della morte della madre di Arias. Conducendo da quel momentouna vita dissipata in continuo vagabondaggioaveva affidato il bambino aivecchi genitori che l’amavano e lo coccolavano in un lontano castello diun’altra provincia. Tra un viaggio e l’altro il conte andava adabbracciarlo. Ma la sua mente era altrove.
     Passando per l’Italiasi era follementeinnamorato di una giovane e affascinante danzatrice. L’aveva presa con sé econdotta nella sua residenza signorile. La donna si chiamava Juana e aveva unfascino ammaliatore e sovrumano. Tuttaviadopo qualche meseil conte cominciòa sentire la monotonia della lunghe giornatepreludio agli splendori dellasera. Epago nel vedere al ritorno la divina creaturaprese ben prestol’abitudine di trascorrere il giorno a cacciainseguendo sui fianchi dellemontagne le aquile e gli avvoltoidisperdendo così in quelle attivitàle sueinutilizzate energie fisiche.
     Juana si annoiava da sola nel castello e benpresto si lasciò sedurre dalle gentili proposte del primo scudierogiovane dibelle fattezze e gran parlatore.
     Un bel giorno don Pablo incontrò su un altopianouna vecchia che era considerata una strega. Le domandò se sapeva dove sitrovasse il nido dell’aquila nera che inseguiva sin dal mattino.
     «Perché» gli rispose quella«ostinarsi adinseguire un uccello che non ti ha fatto niente? È di altre bestie malvagie chedovresti occuparti per prima cosa.» Meravigliato da queste enigmatiche paroleil nobile signore la tempestò di domande. Le offrì tutto l’oro che aveva conséma lei non volle accettare niente e non aggiunse altro. Rientrò quindi alcastellopieno di sospettimolto prima di quanto rientrasse abitualmente.
     Quando ebbe oltrepassato la terza recinzioneintravide lo scudiero che fuggiva come un ladro dal balcone dell’appartamentodi Juana.
     Con sforzo sovrumano il conte riuscì acontrollarsi. Maa suon di cornofece venire il colpevole davanti a sé esenza dargli nessuna spiegazione gli disse: «È la prima voltache incroceròla spada con un semplice scudiero. Non importa; questa sera dopo cenain campochiusoti difenderai fino alla morte. Scudiero o nobile conteuno di noi duequi è di troppo.»
     Juana era venuta a conoscenza della provocazioneedurante l’ultimo festino che don Pablo fece in compagnia dei suoi amiciversò nel suo nappo un forte sonnifero che doveva avere effetto una voltainiziato il combattimento.
     Il duello con la lancia ebbe luogo al chiar dilunain un campo delimitato da fitte barricate di alabarde. Sin dai primicolpidon Pablomeravigliatosentì la mano meno solida. Attaccava e sidifendeva fiaccamente. Con uno sforzo disperato si gettò sull’avversario. Mala lancia dello scudierodiretta con gesto rapido e sicuroattraversò ilpetto del conte da parte a parte.
     Nel momento in cui crollava al suolocol sangueche sgorgava dalla spaventosa feritasi udì uno squillo di tromba sul pontelevatoio del castello. E quasi contemporaneamente si vide apparire sul limitedel campoun giovane dall’andatura fiera in sella ad un bel cavallo nero. Eradon Ariasarmato cavaliere il giorno primache arrivava per rendere omaggio alsuo signore. Aveva cavalcato tutta la notteinsanguinando gli speroni d’oroche era ansioso di mostrare. Saltò nella lizza senza chiedere spiegazioni ealsolo vedere suo padre mortosi precipitò sullo scudiero e gli conficcò laspada in gola fino all’elsa...
     Quando rientrò al castelloacclamato da tuttichiese notizie della moglie di suo padreche non aveva mai visto. Ma lei eraappena fuggitasconvoltaravvolta in un mantello e portando con sé solo igioielli e la volontà di vendicarsi di colui che era venuto per uccidere la suafelicità.
     Il conte don Arias fece immediatamente proclamaredai suoi araldiin ogni angolo del reameche le donnedi tutte le età econdizionidovevano lasciare il territorio nell’arco di tre giornisottopena di morte lentaper soffocamentosul rogo. Le donne partirono e la maggiorparte degli uomini le seguì. Sulle proprietà di don Arias restarono soloalcuni vecchi servitorila cui esistenza lugubre doveva conciliarsi con quelladel loro signore. E poco a poco una lussureggiante vegetazione invase i dintornidel castellodove il giovane si era rinchiuso con due o tre domesticiisolatosempre di più dal resto del mondo.
     Passava il tempo nell’antica biblioteca delpalazzo avito leggendo romanzi fantastici del medioevo o libri di magia. Ilmistero di quei libri si addiceva all’atmosfera selvaggia e solitaria in cuiviveva. La sua mentegià scossa dall’episodio fatalesi riempiva giornodopo giorno di nuove chimere nell’isolamento del castello.
     Altre voltedurante gli attacchi di malinconiavagava per i corridoi e le scure gallerie. Attraversava le alte sale dai muriricoperti di sontuosi arazzi che il vento faceva ondeggiare dando parvenza dimovimento ai personaggi riccamente vestitiai cani che correvano e giravano latestanaturalmente piegati in duee ai falchi appollaiati sui pugni pronti aspiccare il volo.
     Volle togliere uno di questi arazzi per metterlonella propria camera. Era in una rientranza isolata in fondo alla grandegalleria. Quale non fu il suo stupore nel trovare dietro quel dipintosul muroun quadro raffigurante una donna straordinariamente bella. Era languidamenteappoggiata su una poltrona di velluto rosso. La cornice d’oro finementecesellata era di forma ovale. Don Arias prese il quadro e lo trasportò nellapropria camera.
     Trascorse del tempo. Il signore si era follementee morbosamente innamorato della dama del ritratto. Aveva fatto fare ai servitorilunghi viaggi in tutti i paesi dei dintorniper cercare di trovare colei dellaquale adorava l’immagine. Le ricerche rimasero infruttuose. Epoco a poconel suo animo prevalse la convinzione che ella doveva essere morta da diversianni e che l’unica realtàrealtà che solo un miracolo poteva far ritornarein vitaera quell’immagine i cui occhi profondi trasmettevano ai suoi undelizioso e mortale incanto.
     Gli studi intrapresi lo avevano preparato a taleidea. Pensò che sarebbe riuscito a resuscitare colei che amava disperatamente eche ora dormiva ad occhi aperti nella tomba del quadro ovale. Consultò gliantichi libri di magia e ne imparò le formule. Per tutto il giorno e tutta lanottepreghiere rituali si levarono nella stanza trasformata in tempioversoquell’idolo che sorridevaironico e incurantecon l’aria di chi attendel’ora in cui si compiacerà di uscire dal suo dorato esilio.
     Un bel giornostanco di attendere e furioso nelvedere che tutti i suoi sforzi restavano vanisalì su uno sgabelloimpugnandouno stilettodeciso a distruggere quella tela per annientare il sogno che nonvoleva diventare suo. Aveva sollevato l’arma e stava per colpire quando ad untratto l’immaginesollecitata forse da quel gesto più potente di tutti gliincantesimisembrò obbedire. Lo sguardo acquistò un’espressione nuova eselvaggia.
     Don Arias esitò un momentostupito nel vederrealizzarsi il suo sogno. Ma gli occhi si animarono di una vita ancora piùintensa. Il braccio del ritratto si distaccò dalla superficie morta e piatta. Ela mano della donnaafferrando il pugnalelo brandì e lo conficcò finoall’elsa nella gola dell’innamorato.
     Gli incantesimi dello sventurato erano riuscitisoltanto a rendere viva per un istante la vera anima del ritratto. E mentre ilcadavere cadeva ai piedi del tavolol’immagine di Juanasoddisfatta dellapropria vendettariprendeva la sua immobilità funerea.