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François-René de Chateaubriand

Atala

2

LETTERA PUBBLICATA NEL «JOURNAL DES DÉBATS» E NEL «PUBLICISTE»

[31 marzo - 1° aprile 1801]

Cittadinonella mia opera sul Genio del Cristianesimoo Lebellezze poetiche e morali della

Religione cristianac'è un'intera sezione dedicata alla poetica delCristianesimo. Questa sezione si

divide in tre parti: poesiabelle artiletteratura. A conclusione di questetre parti ce n'è una quarta

che s'intitola Armonie della Religionecon le scene della natura e lepassioni del cuore umano. In

questa parte prendo in esame molti soggetti che non hanno potuto entrarenelle precedenticome

l'impressione delle rovine gotiche in confronto ad altri tipi di rovinelacollocazione dei monasteri

in luoghi solitaril'aspetto poetico di quella religione popolarechemetteva croci nelle foreste ai

crocevia delle stradeche a difesa di fontane e vecchi olmi poneva immaginidi vergini e di santi;

che credeva ai presentimenti e ai fantasmiecc. Questa parte si conclude conun aneddoto che viene

dai miei viaggi in Americascritto sotto le stesse capanne dei selvaggi. Siintitola: Atalaecc.

Essendo andata dispersa qualche copia di questa piccola storiaper prevenireincidenti che mi

causerebbero grandissimi tortimi vedo costretto a pubblicarla a parteprima dell'opera maggiore.

Se voicittadinovoleste farmi il favore di pubblicare questa letteramirendereste un

importante servizio.

Ho l'onore di essereecc.

PREFAZIONE ALLA PRIMA EDIZIONE

Dalla lettera precedente si capisce perché Atala sia stata pubblicataprima della mia opera sul

Genio del Cristianesimoo Le bellezze poetiche e morali dellaReligione cristianadi cui essa fa

parte. Mi resta da spiegare come sia stata composta questa piccola storia.

Ero ancora giovanissimo quando concepii l'idea di fare un'epopea dell'uomonaturaleo di

raffigurare i costumi dei selvaggiriconducendoli a qualche avvenimentonoto. Dopo la scoperta

dell'America non vidi soggetto più interessantesoprattutto per deiFrancesidel massacro della

colonia dei Natchez in Louisiananel 1727. Tutte quelle tribù indiane chedopo due secoli

d'oppressionecospiravano per restituire la libertà al Nuovo Mondomiparvero offrire alla penna

un soggetto felice quasi quanto la conquista del Messico. Misi qualcheframmento dell'opera sulla

cartama mi accorsi subito che mancava la verosimiglianza dei colorie chese volevo fare un

quadro credibilebisognavacome Omerovisitare i popoli che intendevodipingere.

Nel 1789 parlai con il Signor de Malesherbes del mio progetto di andare inAmerica. Ma

avendo al tempo stesso intenzione di dare al viaggio uno scopo praticoformulai il proposito di

scoprire quel passaggio via terra tanto cercatoe su cui lo stessoCook aveva espresso dei dubbi.

Partiividi le solitarie distese americanee tornai con il piano per unaltro viaggioche doveva

durare nove anni. Mi proponevo di attraversare tutto il continentedell'America settentrionaledi

risalire in seguito le coste a nord della Californiae di fare ritornoattraverso la baia di Hudson

girando sotto il polo. Se non fossi morto in quel secondo viaggioavreipotuto fare delle scoperte

importanti per la scienza e utili per il mio paese. Il Signor de Malesherbess'incaricò di presentare i

miei progetti al Governo; e fu in quell'occasione che egli udì i primiframmenti di questa piccola

opera che oggi presento al pubblico. È ben noto ciò che divenne la Franciafino al momento in cui la

Provvidenza ha fatto apparire uno di quegli uomini che essaquando è stancadi punireinvia in

segno di riconciliazione. Con addosso il sangue del mio unico fratellodimia cognatadell'illustre

vecchio loro padre; dopo aver visto morire mia madre e un'altra sorella pienadi talenti in seguito al

3

trattamento subito in prigioneandai errando in terra stranieradove ilsolo amico che avessi

conservato si pugnalò tra le mie braccia.

Di tutti i miei manoscritti sull'Americanon ho salvato che pochi frammentiin particolare

Atalache non era se non un episodio dei Natchez. Atala fuscritta nel deserto e sotto le capanne dei

selvaggi. Non so se il pubblico apprezzerà questa storia che esula daitracciati consuetie che

presenta una natura e dei costumi del tutto estranei all'Europa. In Atala nonci sono avventure. È

una specie di poemain parte descrittivoin parte drammatico: tutto siriduce alla vicenda di due

amanti che camminano e discorrono nella solitudine; tutto si svolge nellarappresentazione dei

turbamenti d'amorein mezzo alla calma dei deserti e della religione. Hodato a questo piccolo

lavoro la forma più antica; esso è diviso in prologoracconto eepilogo. Le parti principali del

racconto hanno dei titolicome i cacciatorigli agricoltoriecc.; cosìnei primi secoli della Grecia

i rapsodi cantavanosotto titoli diversii frammenti dell'Iliade edell'Odissea. Non negherò di aver

cercato un'estrema semplicità di sfondo e di stileeccetto la partedescrittiva; è anche vero chenelle

descrizionic'è come un tono di sontuosa semplicità. Dire ciò che hotentatonon vuol dire ciò che

ho fatto. Da molto tempo non leggo che Omero e la Bibbia; è una fortuna seil lettore se ne accorge

e se sono riuscito a fondere con le tinte del deserto e con i particolarisentimenti del mio cuorei

colori di quei due grandi ed eterni modelli del bello e del vero.

Dirò anche che il mio scopo non è stato quello di strappare molte lacrime;mi sembra un

errore pericolosoavanzato come tanti altri da Voltaireaffermare che leopere migliori sono quelle

che più fanno piangere. Ci sono drammi tali che nessuno vorrebbe essernel'autoree che straziano

il cuore ben altrimenti dell'Eneide. Non si è grandi scrittoriperché si mette l'anima alla tortura. Le

vere lacrime sono quelle che fa scorrere una bella poesia; è necessario chevi si mescolino in egual

misura ammirazione e dolore.

Quando Priamo dice ad Achille: $'Áíäñ'ò ðáéäïöüíïéï ðïôßóôüìá ÷åsñE üñÝãåóèáé$.

Giudica l'eccesso della mia sventuradal momento che bacio la mano cheha ucciso i miei figli.

Quando Giuseppe esclama: Ego sum Josephfrater vesterquem vendidistisin Aegyptum. Io

sono Giuseppevostro fratelloche avete venduto per l'Egitto.

Ecco le sole lacrime che devono inumidire le corde della liraaddolcendone isuoni. Le muse

sono femmine celesti che non sfigurano i loro lineamenti con smorfie; sepiangonoè per il segreto

disegno di rendersi più belle.

D'altra partenon sono certo come Rousseau un entusiasta dei selvaggi; e perquanto forse io

abbia da lamentarmi della società almeno quanto quel filosofo aveva dalodarlanon sono affatto

convinto che la pura natura sia la cosa più bella del mondo. L'hosempre trovata bruttissima

dovunque abbia avuto l'occasione di vederla. Ben lontano dal credere chel'uomo che pensa sia un

animale depravatoritengo che sia il pensiero a fare di un uomo un uomo.Con questa parola natura

si è guastato tutto. Da qui quei fastidiosi dettagli di mille romanzi dovesi descrivono persino i

berretti da notte e le vestaglie da camera; da qui quegli infami drammi chesono venuti dopo i

capolavori di Racine. Rappresentiamo la naturama quella bella: l'arte nondeve occuparsi di

imitare dei mostri.

Non parlerò qui del significato morale che ho voluto dare a Atalapoiché è facilmente

scopribile e si trova riassunto nell'epilogo; dirò solo una parola dei mieipersonaggi.

Atalacome il Filotteteha solo tre personaggi. Può darsi chenella donna che ho cercato di

raffigurare si scopra un carattere davvero nuovo. Le contraddizioni del cuoreumano non sono state

ancora abbastanza sviluppate: meriterebbero d'esserloin quanto attengonoall'antica tradizione di

una originaria degradazionee quindi aprono profonde prospettive su tuttociò che vi è di grande e

di misterioso nell'uomo e nella sua storia.

Chactasl'amante di Atalaè un selvaggioche si suppone natocon del talentoe che per più

di metà è civilizzatoperchénon solo conosce le lingue viventimaanche quelle morte dell'Europa.

Egli dunque deve esprimersi in uno stile compositoadatto alla linea lungola quale camminatra

società e natura. Ciò mi è stato di grande utilitàpotendolo far parlareda selvaggio nella descrizione4

dei costumie da europeo nel dramma e nella narrazione. Senza di ciò avreidovuto rinunciare

all'opera: se mi fossi sempre servito di uno stile indianoAtala sarebbestato ebraico per il lettore.

Quanto al missionariomi è sembrato di capire che quelli che fino ad orahanno voluto

rappresentare un pretene hanno fatto o uno scellerato fanaticoo unaspecie di filosofo. Padre

Aubry non è nulla di tutto ciò. È un semplice cristiano che parlasenza arrossire della crocedel

sangue del suo divino maestrodella corruzione della carneecc.in una parolaè un prete. So che è

difficile tratteggiare un simile carattere agli occhi di certa gentesenzatoccare il ridicolo. Se non

avessi commossoavrei fatto ridere: agli altri il giudizio.

Dopo tuttose si esamina ciò che ho fatto entrare in un quadro cosìpiccolose si considera

che non c'è una sola circostanza interessante delle abitudini dei selvaggiche io non abbia toccato

non un solo bell'effetto della naturanon un luogo bello della Nuova Franciache non abbia

descritto; se si osserva come accanto al ritratto di un popolo di cacciatoriio abbia messo quello

completo di un popolo contadinoper mostrare i vantaggi della vita socialesu quella selvaggia; se si

pone attenzione alle difficoltà a cui sono andato incontro nel tener vivol'interesse drammatico tra

due soli personaggisullo sfondo di tutto un lungo affresco di costumie dinumerose descrizioni di

paesaggi; se si nota infine che anche nella catastrofe ho rinunciato ad ognisoccorsosforzandomi di

riuscirecome gli antichisolo con la forza del dialogo: questeconsiderazioni potrebbero forse

valermi un po' d'indulgenza da parte del lettore. Ancora una voltanon mivanto di essere riuscito;

ma si deve sempre essere grati a uno scrittore che si sforza di ricondurre laletteratura al gusto

anticooggigiorno troppo dimenticato.

Mi resta ancora una cosa da dire; non so per quale motivouna mia letteraindirizzata al

cittadino Fontanesha eccitato l'attenzione del pubblico più di quanto miaspettassi. Pensavo che

poche righe di un autore sconosciuto sarebbero passate senza che qualcuno sene accorgesse; mi

sono sbagliato. I giornali hanno voluto parlare di questa letterae mi èstato fatto l'onore di

scrivermi personalmentee di scrivere ai miei amicipagine di complimenti ed'ingiurie. Benché mi

sia stupito più delle prime che delle ultimeritenevo di non aver meritatoné le unené le altre.

Riflettendo poi su questo capriccio del pubblicoche ha posto attenzione auna cosa di così poco

valoreho pensato che ciò potesse derivare dal titolo della mia grandeopera: Genio del

Cristianesimoecc. Forse qualcuno ha potuto pensare che si trattasse diuna faccenda politicae che

ioin questo libroavrei parlato molto male della rivoluzione e deifilosofi.

Oggisotto un governo che non vieta alcuna opinione pacificaè certamentepermesso

prendere le difese del Cristianesimocome soggetto morale e letterario. C'èstato un tempo in cui

solo gli avversari di questa religione avevano il diritto di parlare. Orasiamo in lizzae chi pensa che

il Cristianesimo sia poetico e moralepuò dirlo a voce altacosì come ifilosofi possono sostenere il

contrario. Oso credere che se la grande opera che ho intrapresoe che nontarderà ad uscirefosse

stata trattata da una mano più abile della miala disputa sarebbe decisauna volta per tutte.

Comunquesento il dovere di dichiarare che nel Genio del Cristianesimo nonsi parla della

rivoluzione; e che non parlo frequentemente se non di autori morti; perquanto riguarda gli autori

viventi che vi si trovano nominatinon avranno motivo di dolersene: ingenere mi sono trattenuto

entro limiti chesecondo ogni probabilitànon verranno rispettati nei mieiconfronti.

Mi hanno detto che la celebre donnala cui opera costituiva il soggettodella mia letterasi è

lamentata di un passo di questa. Mi sarà concesso osservare che non sonostato certo io il primo ad

usare l'arma che mi si rimproverae che mi è odiosa. Io non ho fatto cherespingere il colpo portato

ad un uomo di cui mi vanto d'ammirare i talentie la cui persona amoaffettuosamente. Ma

nell'offesasono andato troppo lontano; che sia dato dunque per cancellatoquel passaggio. D'altra

partequando si possiede l'esistenza brillante e i bei talenti di Madame deStaëlsi dimenticano

facilmente le piccole ferite che ci possono fare un uomo isolato e ignotoquale io sono.

Per spendere un'ultima parola su Atala: seper un progetto di altapoliticail governo

francese pensasse un giorno di rivendicare il Canada all'Inghilterrala miadescrizione della Nuova

Francia prenderebbe un nuovo interesse. Infineil soggetto di Atala nonè tutta invenzione mia;

risulta che ci fu un selvaggio nelle galere e alla corte di Luigi XIV;risulta che un missionario5

francese fece le cose che ho riferito; è certo che io ho incontrato deiselvaggi che si portavano dietro

le ossa dei loro avie una giovane madre che esponeva il corpo del figliosui rami di un albero;

anche altre circostanze sono vere: manon essendo d'interesse generaleritengo inutile parlarne.

AVVERTENZA ALLA TERZA EDIZIONE

(1801)

Ho tratto profitto da tutte le critiche per rendere questa piccola operamaggiormente degna

dei successi ottenuti. Ho avuto la fortuna di vedere che la vera filosofia ela vera religione sono

un'identica cosa; infatti persone molto autorevoliche pure non hanno le mieidee sul Cristianesimo

sono state le prime a decretare la fortuna di Atala. Questaconstatazione da sola risponde a quelli

che vorrebbero far credere che la moda di questo apologo indianosiauna faccenda politica. Per

questo io sono stato amaramenteper non dire grossolanamentecensurato; siè arrivati al punto da

volgere in ridicolo questa apostrofe agli Indiani:

Sfortunati Indiani che ho visto errare per i deserti del Nuovo Mondocon leceneri dei vostri

avivoi che mi avreste dato ospitalità malgrado la vostra miseriaoggi ionon potrei restituirvela

perchécome voierro alla mercé degli uomini; ma iomeno fortunato divoi nel mio esilionon ho

potuto portare con me le ossa dei miei padri.

Il rimprovero del critico cade proprio su quest'ultima frase. Le ceneri dellamia famiglia

confuse con quelle del Signor de Malesherbes; sei anni d'esilio e disventurenon gli hanno

suggerito che spiritosaggini. Non debba mai rimpiangere la tomba dei padri!

Del restoè facile conciliare i giudizi diversi formulati su Atala:quelli che mi hanno

biasimato non hanno pensato che al mio talento; quelli che mi hanno lodatonon hanno pensato che

alle mie sventure.

P.S.

Apprendo ora che a Parigi è stata appena scoperta una contraffazione delledue prime

edizioni di Atalae che molte altre vengono fatte a Nancy e aStrasburgo. Spero che il pubblico

vorrà acquistare questa piccola opera solo da Migneret e pressol'antica Libreria di Dupont.

AVVERTENZA ALLA QUARTA EDIZIONE

(1801)

Da qualche tempo sono apparse nuove critiche su Atala. Non ho potutometterle a profitto in

questa quarta edizione. I suggerimenti che ho avuto l'onore di ricevereesigevano troppi

cambiamentie il pubblico sembra essersi ora abituato a questa piccolaoperacon tutti i suoi difetti.

Questa quarta edizione è dunque perfettamente simile alla terza. Ho soloristabilitoin qualche

puntoil testo delle due prime.

PREFAZIONE A «ATALA»

(1805)6

L'indulgenza con cui si sono volute accogliere benevolmente le mie operemiha imposto

come norma di obbedire al gusto del pubblicoe di cedere ai consigli dellacritica.

Quanto al primoho messo ogni cura nel soddisfarlo. Persone incaricate dieducare la

gioventùhanno espresso il desiderio di un'edizione del Genio delCristianesimo che fosse spogliata

di questa parte dell'Apologia destinata unicamente alla gente di mondo:malgrado la naturale

ripugnanza a mutilare la mia operae nell'esclusiva considerazione dellapubblica utilitàho

pubblicato il compendio che si attendeva da me.

Un altro tipo di lettori chiedeva un'edizione separata dei due episodidell'opera: si tratta

dell'edizione odierna.

Dirò ora ciò che ho fatto in relazione alla critica.

Per il Genio del Cristianesimo mi sono ispirato a idee differenti daquelle che ho adottato

per gli episodi.

Prima di tutto mi è sembrato cheper rispetto verso quelli che hannoacquistato le prime

edizioniio non dovevo introdurrealmeno per adessonessun cambiamentonotevole in un libro

così caro come il Genio del Cristianesimo. L'amor proprio el'interesse non mi sono sembrate

ragioni sufficientineppure in un secolo come questoper mancare disensibilità.

In secondo luogonon è trascorso abbastanza tempo dalla pubblicazione del Geniodel

Cristianesimoperché mi siano perfettamente chiari i difetti diun'opera di questa estensione. In una

folla di opinioni contraddittorie dove troverei la verità? Uno vanta ilsoggetto a spese dello stile;

l'altro approva lo stile e disapprova il soggetto. Seda una partemi siassicura che il Genio del

Cristianesimo è un monumento che resterà sempre memorabile per la manoche lo costruìe per gli

inizi del XIX secolodall'altraci si è affrettati ad avvertirmiuno odue mesi dopo la pubblicazione

dell'operache le critiche erano in ritardopoiché l'opera era già statadimenticata.

So bene che un amor proprio più forte del mio troverebbe forse qualchemotivo di speranza

per rassicurarsi riguardo a quest'ultima affermazione. Le edizioni del Geniodel Cristianesimo si

moltiplicanomalgrado le circostanze che hanno tolto alla causa da me difesal'interesse urgente

della sventura. L'operase non presumosembra perfino crescere nella stimadell'opinione pubblica

quanto più invecchiae sembra che vi si cominci a vedere qualcosa didiverso da un'opera di pura

immaginazione. Ma Dio non voglia che io abbia la pretesa di persuaderedei miei deboli meriti

coloro chesenza dubbiohanno buone ragioni per non credervi. Al di fuoridella religione e

dell'onoreho troppo poca stima delle cose del mondoper non sottoscriveregli appunti della critica

più esigente. Sono così poco accecato dal successoe così lontano dalritenere qualche elogio un

definitivo giudizio in mio favoreche non ho ritenuto di dover dare l'ultimamano alla mia opera.

Aspetterò ancoracosì da lasciare tempo ai pregiudizi di calmarsie allospirito di parte di

spegnersi; solo allora l'opinione che si sarà formata sul mio libro saràcertamente quella vera; saprò

ciò che occorrerà al Genio del Cristianesimo per renderlo conforme acome vorrei lasciarlo dopo di

mequalora mi sopravviva.

Mase ho resistito alle critiche dirette contro l'opera nella sua totalitàper i motivi appena

espostiriguardo a Atalapreso separatamenteho seguito un sistemadel tutto opposto. Nel

correggerlo non ho potuto essere frenato né dalle considerazioni sul prezzodel libroné da quelle

sulla lunghezza dell'opera. Pochi anni sono stati più che sufficienti perfarmi conoscere i punti

deboli o difettosi di questo episodio. Docile su questo punto alla criticafino a farmi rimproverare

per troppa arrendevolezzaho dimostrato a quelli che mi attaccavano che nonsono mai

volontariamente in erroree che sempre e in qualsiasi circostanza sonopronto a cedere a ragioni più

sensate delle mie. Atala è stata ripubblicata undici volte: cinquevolte separatamentee sei nel

Genio del Cristianesimo; se si confrontassero queste undici edizionidifficilmente se ne

troverebbero due del tutto identiche.7

La dodicesimache pubblico oggiè stata rivista con la massima cura. Hoconsultato amici

pronti a censurarmi; ho pesato ogni fraseesaminato le singole parole.Lo stilesbarazzato dagli

epiteti che lo appesantivanocammina forse con maggior scioltezza esemplicità. Ho messo più

ordine e consequenzialità in qualche idea; ho fatto scomparire le minimescorrettezze di lingua. Il

Signor de La Harperiguardo a Atalami diceva: «Se volete ritirarvicon me solo per qualche ora

questo tempo sarà sufficiente a cancellare le macchie che fanno strillare ivostri censori». Ho

trascorso quattro anni a rivedere questo episodioe ora è tale quale deverimanere. È la sola Atala

che riconoscerò per il futuro.

Vi sono tuttavia dei punti su cui non ho ceduto interamente alla critica. Siè voluto che

alcuni dei sentimenti espressi da padre Aubry racchiudessero una dottrinadesolante. Si è rimasti

sconcertatiad esempioper questo passaggio (quanta sensibilità c'è algiorno d'oggi!):

Ma che dico? (O vanità delle vanità!) Cosa raccontare della forza delleamicizie terrene?

Vuoifiglia caraconoscerne l'estensione? Se un uomo tornasse alla lucequalche anno dopo la sua

mortedubito che lo rivedrebbero con gioiapersino quelli che più hannosparso lacrime sul suo

ricordo: con tanta rapidità si formano nuovi legamicosì facilmente siprendono altre abitudini

tanto è connaturata all'uomo l'incostanzatanto poco vale la nostra vitaanche nel cuore dei nostri

amici!

Non si tratta di sapere se questo sentimento sia penoso da confessarema seè vero e fondato

sulla comune esperienza. Sarebbe difficile non convenirne. Non sono certo iFrancesi che possono

vantarsi di non dimenticare niente. Senza parlare dei mortidi cui non ci siricorda affattoquanti

vivi sono tornati alle loro famiglie e non vi hanno trovato che obliocattivo umore e ripulsa!

Dunquein cosa consiste qui lo scopo di padre Aubry? Non è forse quello ditogliere a Atala ogni

rimpianto per un'esistenza a cui ha voluto strapparsi volontariamentee acui vorrebbe invano fare

ritorno? Per questo motivoil missionariopur esagerando davanti allasventurata i mali della vita

non fa che compiere un atto d'umanità. Ma non è necessario ricorrere aquesta spiegazione. Padre

Aubry esprime un concetto sfortunatamente anche troppo vero. Se non si devecalunniare la natura

umanaè però del tutto inutile vederla migliore di quello che in effettiè.

Lo stesso criticol'abate Morelletsi è sollevato anche contro quest'altropensiero

ritenendolo falso e paradossale:

Credimifiglio mionessun dolore è eterno; prima o poi finisceperché ilcuore dell'uomo è

finito; è una delle nostri grandi miserie: non siamo neppure capaci diessere troppo a lungo infelici.

Il critico pretende che questa sorta d'incapacità dell'uomo nei confrontidel dolore siaal

contrariouna delle grandi fortune della vita. Potrei rispondergli chesequesta riflessione fosse

veraessa distruggerebbe l'osservazione che egli ha fatto sul primopassaggio del discorso di padre

Aubry. In effetti ciò vorrebbe direda una parteche non ci si dimenticamai degli amici; ma

dall'altrache si è molto contenti di non pensarvi più. Farò osservaresoltanto come quell'abile

grammatico mi sembri qui confondere le parole. Io non ho detto: «È unadelle nostre grandi

sfortune»; cosa che sarebbe senza dubbio falsa; ma: «È una dellenostre grandi miserie»e questo è

verissimo. Eh! Chi non avverte che questa incapacitàin cui si trova ilcuore umanodi nutrire per

lungo tempo un sentimentofosse anche quello del doloreè la prova piùcompleta della sua

sterilitàdella sua indigenzadella sua miseria? L'abate Morelletsembra farnecon molta ragione

un infinito caso di buon sensodi giudiziodi naturalezza. Ma è sempre ingrado di osservare nella

pratica la teoria che professa? Sarebbe davvero singolare che le sue ideeottimiste sull'uomo e sulla

vitami fornissero il diritto di sospettarloa mia voltadi trasferire neisuoi sentimenti l'esaltazione e

le illusioni della giovinezza.

La nuova natura e i nuovi costumi che ho descritto mi sono valsi anche unaltro rimprovero

poco meditato. Si è pensato che io inventassi dettagli straordinarilàdove mi rifacevo8

semplicemente a cose conosciute da tutti i viaggiatori. Alcune note aggiuntea questa edizione di

Atala mi avrebbero facilmente reso giustizia; ma se avessi dovutometterne in tutti i punti in cui il

lettore poteva averne bisognoesse avrebbero certo superato la lunghezzadell'opera. Ho dunque

rinunciato a fare delle note. Mi accontenterò qui di trascrivere unpassaggio della Difesa del Genio

del Cristianesimo. Si tratta degli orsi ebbri di uvache i miei dotticensori avevano preso per una

stranezza della mia immaginazione. Dopo aver citato autorità rispettabili ela testimonianza di

CarverBartramImleyCharlevoixaggiungo: «Quando in un autore si trovauna circostanza che di

per sé non è bellama che serve per dare verosimiglianza allarappresentazione; se questo autore ha

in qualche modo mostrato del buon sensosarebbe molto naturale supporre chequella circostanza

non se l'è inventatae che non ha fatto altro che riportare un fatto realeanche se non molto noto.

Niente impedisce che si giudichi Atala un cattivo lavoroma possoaffermare che la natura

americana vi è dipinta con l'esattezza più scrupolosa. È un atto digiustizia che le rendono tutti i

viaggiatori che hanno visitato la Louisiana e la Florida. Le due traduzioniinglesi di Atala sono

arrivate in America; i giornali ne hanno annunciatainoltreuna terzapubblicata con successo a

Filadelfia; se i paesaggi di questa storia avessero mancato di veritàavrebbero forse potuto essere

accolti da un popolo chead ogni passopoteva dire: «Quelli non sono inostri fiumile nostre

montagnele nostre foreste»? Atala ha fatto ritorno nel desertoe sembrache la sua patria l'abbia

riconosciuta come autentica figlia della solitudine».

Renéche nella presente edizione accompagna Atalanon eraancora stato stampato

separatamente. Non so se continuerà a ottenere la preferenza che moltepersone gli concedono

rispetto a Atala. È la naturale continuazione di quell'episodiodacui differiscetuttaviaper stile e

tono. Si tratta in realtà degli stessi luoghi e degli stessi personaggimai costumi sono diversi e

sentimenti e idee appartengono a un'altra temperie. Come prefazionevorreiancora citare quei

passaggi del Genio del Cristianesimo e della Difesache siriferiscono a René.

Estratto dal Genio del Cristianesimoparte IIlibro IIIcap. IXintitolato: L'indeterminatezza delle

Passioni.

Resta da parlare di una condizione dell'anima checi sembranon è ancoraben stata

osservata: è quella che precede lo sviluppo delle grandi passioniquandotutte le facoltàgiovani

attiveintatte ma inespressenon si sono esercitate che su di sésenzauno scopo e senza oggetto.

Più i popoli progrediscono nella civilizzazionepiù questa condizione d'indeterminatezzadelle

passioni aumenta; capita allora un fatto davvero triste: il gran numerod'esempi che si hanno sotto

gli occhila quantità di libri che trattano dell'uomo e dei suoisentimentirendono capacima senza

esperienza. Ci si sente disincantati senza aver gioito; ci sono ancoradesiderima non si hanno più

illusioni. L'immaginazione è riccaabbondantemente meravigliosal'esistenza poverasecca e

disillusa. Abitiamocon il cuore gonfioin un mondo vuoto; e senza averpratica di nullasi è

disgustati di tutto.

È incredibile l'amarezza che questo stato d'animo diffonde nella vita; ilcuore si rigira e si

ripiega in cento modiper impiegare delle forze che sente essergli inutili.Gli Antichi hanno

conosciuto poco questa segreta inquietudinequesta acredine di passionisoffocate che fermentano

tutte insieme: una grande vitalità politicai giochi del ginnasio e delcampo di Martegli affari del

foro e della pubblica piazzariempivano ogni loro momentosenza lasciarealcun posto al tedio del

cuore.

D'altra parte essi non erano inclini alle esagerazionialle speranzeaitimori privi d'oggetto

alla instabilità delle idee e dei sentimentialla perpetua incostanzachenon è che un costante

disgusto: attitudini che noi acquisiamo nell'intima frequentazione delledonne. Le donnepresso i

popoli moderniindipendentemente dalle passioni che ispiranoesercitanoinfluenza anche su tutti

gli altri sentimenti. Nel loro esistere esse manifestano un certo abbandonoche poi ci trasmettono;9

rendono meno deciso il nostro carattere d'uomini; e le nostre passioniresemolli dalla confusione

con le loroassumono un po' di quella irresoluta tenerezza.

Infinei Greci e i Romaninon riuscendo ad estendere i loro sguardi al dilà della vitae non

sospettando piaceri più perfetti di quelli di questo mondonon eranoportaticome noidal carattere

della loro religionealle fantasticherie e al desiderio. È soprattutto nelGenio del Cristianesimo che

bisogna cercare la ragione di quella indeterminatezza dei sentimentifrequente tra gli uomini

moderni. Concepita per le nostre miserie e per i nostri bisognila religionecristiana ci offre

incessantemente la rappresentazione dei dolori terreni e delle gioie celestie in questo modo essa ci

ha messo nel cuore la sorgente dei mali presenti e di lontane speranzedacui sgorgano inesauribili

fantasticherie. Il cristiano si pensa sempre come un viaggiatore di passaggioquaggiùin una valle di

lacrimeil cui riposo può essere solo la tomba. Non è il mondo l'oggettodei suoi votiperché egli sa

che l'uomo ha pochi giorni da viveree che questo oggetto glisfuggirebbe velocemente.

Le persecuzioni che misero alla prova i primi fedeli accrebbero in essiquesto disgusto per le

cose della vita. L'invasione dei Barbari fece raggiungere il colmoe lospirito umano ricevette

un'impronta di tristezzae forse anche una lieve sfumatura di misantropiache non si è mai

completamente cancellata. Sorsero dovunque dei conventidove si ritirarono idisgraziati ingannati

dal mondoo le anime che preferivano ignorare certi sentimenti della vitapiuttosto che esporsi a

vederli crudelmente traditi. Il frutto di quella vita monastica fu unamelanconia prodigiosa; e questo

sentimentodi natura un po' confusaunendosi a tutti gli altriimpresseloro il suo carattere

d'incertezza. Ma al tempo stessoper un effetto davvero notevolequellamedesima

indeterminatezza in cui la melanconia immerge i sentimentiè ciò che la farinascere; perché essa si

genera in mezzo alle passioniquando queste passioniprive d'oggettoconsumano se stesse

all'interno di un cuore solitario.

Sarebbe sufficiente aggiungere qualche sventura a questo stato indefinitodelle passioni

perché possa servire da sfondo a un dramma ammirevole. È incredibile chegli scrittori moderni non

abbiano ancora pensato a rappresentare questa singolare condizionedell'anima. Dal momento che ci

mancano gli esempici sarà permesso dare ai lettori un episodio come Atalaestratto dai nostri

vecchi Natchez? Si tratta della vita di quel giovane Renéa cuiChactas ha raccontato la sua storia.

Si trattaper così diredi un pensiero; è la raffigurazione dell'indeterminatezzadelle passioninon

mischiata ad alcuna avventuratranne una grande sventura inviata per punireRenée per spaventare

quei giovani cheabbandonandosi ad inutili fantasticheriesi sottraggonocriminalmente ai doveri

della società. L'episodio serve anche a provare la necessità del rifugiodel chiostro per certe

calamità della vitache se fossero private della protezione dellareligioneporterebbero alla

disperazione e alla morte. Cosìil doppio fine della nostra operacheconsiste nel far vedere come il

Genio del Cristianesimo abbia modificato le artila moralel'intelligenzail caratteree persino le

passioni dei popoli modernie di mostrare quale previdente saggezzaabbia diretto le istituzioni

cristiane; questo doppio finedicevamosi trova egualmente realizzato nellastoria di René.

Estratto dalla Difesa del Genio del Cristianesimo:

È già stata fatta notare l'affettuosa sollecitudine dei critici per lapurezza della religione; era

dunque lecito attendersi che essi si formalizzassero sui due racconti chel'autore ha introdotto nel

suo libro. La particolare obiezione rientra nell'obiezione più grande cheessi hanno fatto a tutta

l'operae viene dunque demolita dalla risposta generale che le è stata dataprecedentemente. Per

l'ultima voltal'autore ha dovuto combattere poemi e romanzi empicon poemie romanzi devoti;

egli ha indossato le medesime armi di cui era rivestito il nemico: è lanaturale e necessaria

conseguenza del genere apologetico che aveva scelto. Egli ha cercato di dareinsieme l'esempio e il

precetto. Nella parte teorica del suo lavoroegli aveva detto che lareligione abbellisce la nostra

esistenzacorregge le passioni senza spegnerledona un interesse singolarea tutti i soggetti a cui si

applica; egli aveva detto che la sua dottrina e il suo culto si accordanomeravigliosamente alle10

emozioni del cuore e ai paesaggi della natura; che essa èinfinela solarisorsa nei grandi mali della

vita; ma non era ancora sufficiente dire tutto ciòbisognava ancheprovarlo. È quanto l'autore ha

tentato di fare nei due racconti del suo libro. Gli episodi erano inoltreun'esca preparata per il tipo di

lettori in vista dei quali l'opera era scritta. L'autore aveva dunqueconosciuto così male il cuore

umanoquando aveva teso quella trappola innocente agli increduli? E non èforse probabile che quel

tale lettore non avrebbe mai aperto il Genio del Cristianesimose nonvi avesse cercato René e

Atala?

Sai che là corre il mondoove più versi

Di sue dolcezze il lusinghier Parnaso

E che 'l verocondito in molli versi

I più schivi allettando ha persuaso.

Tutto quello che un critico imparzialeche volesse entrare nello spiritodell'operaera in

diritto d'esigere dall'autoreè che gli episodi dell'opera avesseroun'evidente tendenza a far amare la

religione e a dimostrarne l'utilità. Orala necessità dei chiostri percerte disgrazie della vitae

proprio per quelle che sono le più grandila forza di una religione che èla sola a poter richiudere le

piaghe che tutti i balsami della terra non saprebbero guarirenon sono forsedefinitivamente provati

dalla storia di René? L'autore vi combatte inoltre la particolare malattiadei giovani di questo

secolola malattia che conduce direttamente al suicidio. È stato J.-J.Rousseau a introdurre per

primo in mezzo a noi queste fantasticherie così disastrosamente colpevoli.Isolandosi dagli uomini

abbandonandosi ai sogniegli ha fatto credere a una folla di giovani che èbello gettarsi così

nell'indeterminatezza della vita. Il romanzo di Werther ha quindi sviluppatoquesto germe velenoso.

L'autore del Genio del Cristianesimocostretto a far entrare nelquadro della sua apologia qualche

descrizione adatta all'immaginazioneha voluto denunciare questa specie dinuovo vizioe

dipingere le funeste conseguenze dell'amore eccessivo per la solitudine. Untempo i conventi

offrivano un rifugio a quelle anime contemplative che la natura chiamaimperiosamente alla

meditazione. Esse vi trovavanoaccanto a Diodi che riempire il vuoto chesentivano in se stessee

spesso l'occasione di esercitare virtù rare e sublimi. Ma dopo ladistruzione dei monasteri e il

progredire dell'incredulitàci si deve attendere una moltiplicazione inseno alla società (com'è

accaduto in Inghilterra) di una specie di solitariappassionati e filosofiche non potendo rinunciare

ai vizi del secoloné riuscendo ad amarloconfonderanno l'odio degliuomini con l'altezza del

geniorinunceranno ad ogni dovere umano e divinosi nutrirannoindispartecon le più vane

chimeree affonderanno sempre di più in una misantropia orgogliosa che licondurrà alla folliao

alla morte.

Allo scopo di ispirare una maggior ripulsa per queste criminalifantasticheriel'autore ha

pensato di dover prendere la punizione di René dal cerchio di quellespaventose disgrazie che

appartengono meno all'individuo che alla famiglia umanae che gli Antichiattribuivano alla

fatalità. L'autore avrebbe scelto il soggetto di Fedrase non fosse giàstato trattato da Racine. Non

rimanevano che quelli di Europa e di Tieste presso i Grecio di Amnon eThamar presso gli Ebrei;

maper quanto sia già stato portato sulle nostre sceneesso è tuttaviameno noto di quello di Fedra.

Può anche darsi che si accordi meglio al carattere che l'autore ha volutoraffigurare. In effettile

folli fantasticherie di René danno inizio al malee le sue stravaganze locolmano: con le primeegli

confonde l'immaginazione di una donna debole; con le ultimevolendoattentare ai suoi giorniegli

costringe la sventurata a ricongiungersi con lui; così la disgrazia nascedal soggettoe la punizione

viene dalla colpa.

Non restava che santificareper mezzo del Cristianesimoquella catastrofepresa in prestito

sia dall'antichità paganache da quella sacra. Ma anche allora l'autore nondovette fare tutto; perché

trovò questa storiaquasi resa cristianain una vecchia ballata diPélerinche i contadini cantano

ancora in molte province. La moralità di un'opera non deve essere giudicatadalle sentenze che vi si

trovano sparsema dall'impressione che lascia in fondo all'anima. Oraquella specie di spaventos11

mistero che regna nell'episodio di Renéstringe e rattrista il cuore senzaeccitarvi alcun sentimento

criminale. Non bisogna perdere di vista che Amelia muore felice e guaritaeche René finisce

miseramente. Cosìil vero colpevole è punitomentre la sua troppo debolevittimarimettendo

l'anima ferita tra le mani di chi rivolta il malato nel suo giacigliosente rinascere dal fondo stesso

delle tristezze del suo cuore una gioia ineffabile. Del restoil discorso dipadre Souël non lascia

alcun dubbio sul fine e sulla moralità religiosa della storia di René.

Dal capitolo appena citato del Genio del Cristianesimosi vede qualetipo di nuova passione

io abbia tentato di rappresentare; edall'estratto della Difesaquale vizio non ancora combattuto io

abbia voluto contrastare. Aggiungerò cheper quanto riguarda lo stileRenéè stato rivisto con uno

scrupolo pari a quello di Atalae che ha ricevuto quel grado diperfezione che sono capace di dargli.

PROLOGO

Un tempo la Francia possedeva nell'America settentrionale un vasto imperoche si

estendeva dal Labrador fino alla Floridae dalle rive dell'Atlantico fino aipiù remoti laghi dell'Alto

Canada.

Quelle immense regioni erano divise da quattro grandi fiumi con le sorgentinelle medesime

montagne: il fiume San Lorenzoche si perde a est nel golfo omonimo; ilcorso d'acqua occidentale

che porta le sue correnti verso mari sconosciuti; il fiume Bourbon che siprecipita da mezzogiorno a

nord nella baia di Hudsone il Meschacebé che scende da nord a sud nelgolfo del Messico.

Quest'ultimo fiumelungo un corso di oltre mille leghebagna una deliziosacontrada che gli

abitanti degli Stati Uniti chiamano nuovo Edene a cui i Francesi hannolasciato il dolce nome di

Louisiana. Mille altri fiumitributari del Meschacebéil Missouril'Illinoisl'Akanzal'Ohioil

Wabacheil Tenasel'ingrassano con il loro limo e la rendono fertile con leloro acque. Quando tutti

quei fiumi sono gonfi per i diluvi invernaliquando le tempeste hannoabbattuto intere distese di

forestegli alberi sradicati si ammucchiano alle sorgenti. Ben presto ilfango li cementale liane li

incatenanoe le piante che vi mettono radici da ogni parte finiscono diconsolidare quelle rovine.

Trasportati dalle onde schiumeggianti scendono nel Meschacebé. Il fiume sene impadroniscele

spinge verso il golfo del Messicofacendole arenare sui banchi di sabbia eaumentando così il

numero dei suoi sbocchi alla foce. A tratti ingrossa la voce passando sottole montagnee deborda le

acque invadendo i colonnati delle foreste e le piramidi delle tombe indiane;è il Nilo dei deserti. Ma

negli scenari naturali alla magnificenza è sempre unita la grazia: mentre alcentro della corrente i

cadaveri dei pini e delle querce vengono trascinati verso il maresi vedonosulle correnti laterali le

isole fluttuanti delle pistiadi e delle ninfee che risalgono lungo le spondecon le rose gialle svettanti

come piccole bandiere. Verdi serpentiaironi azzurrifenicotteri rosagiovani coccodrilli

s'imbarcano come passeggeri su quei vascelli florealie la coloniaspiegando al vento le sue vele

d'oroapproderà addormentata a qualche ansa nascosta del fiume.

Le due rive del Meschacebé presentano il più straordinario dei quadri.Sulla costa

occidentale si distende a perdita d'occhio la savana; l'onda delle sueverzureallontanandosisembra

salire nell'azzurro del cielodove svanisce. In queste praterie sconfinatesi vedono errare alla

ventura mandrie di tre o quattromila bufali selvaggi. Capita che un bisontecarico d'annifendendo i

flutti a nuotovada a coricarsi tra l'erba alta di un'isola del Meschacebé.Dalla sua fronte ornata di

cornadalla sua barba antica e limacciosalo prendereste per il dio delfiume che getta uno sguardo

soddisfatto sulle sue ampie ondee sulla selvaggia abbondanza delle suerive.

Questo è lo scenario della riva occidentale; ma dall'altra parte cambiadando luogo a uno

stupefacente contrasto. Sospesi sul corso delle acqueaggruppati sugliscogli e sulle montagne

dispersi nelle vallialberi d'ogni formad'ogni colored'ogni profumosimescolanocrescono12

insiemesalgono nell'aria ad altezze che mettono alla prova gli occhi. Leviti selvatichele bignonie

le coloquintidis'intrecciano ai piedi degli alberidanno la scalata ailoro ramoscellisi arrampicano

fino all'estremità dei ramisi lanciano dall'acero alla tulipiferadallatulipifera all'alceacreando

mille grottemille voltemille portici. Spesso perdendosi d'albero inalbero queste liane attraversano

bracci di fiumesu cui gettano ponti di fiori. Dal seno di quelle macchie lamagnolia innalza il suo

cono immobile; coronata da larghe rose bianchedomina tutta la forestaenon ha rivali al di fuori

della palmache le oscilla lievemente accanto i suoi ventagli vegetali.

Una moltitudine d'animaliche la mano del Creatore ha messo in quei recessivi diffondono

le meraviglie della vita. Dall'estremità dei viali si scorgono orsi ebbrid'uva che barcollano sui rami

dei giovani olmi; i caribù si bagnano in un lago; neri scoiattoli giocanonel folto del fogliame; tordi

beffeggiatoricolombe della Virginia grandi come passeriscendono sui pratirossi di fragole; verdi

pappagalli dalla testa giallapicchi imporporaticardinali di fuocosiarrampicano girando sulla

cima dei cipressi; colibrì luccicano sul gelsomino della Floridaserpentiuccellatori fischiano appesi

alle cupole dei boschilasciandosi oscillare come liane.

Se nelle savane dall'altra parte del fiume tutto è silenzio e riposoquial contrariotutto è

movimento e mormorio: colpi di becco sul tronco delle quercefrusciod'animali in cammino che

brucano o frantumano tra i denti i noccioli dei fruttilo stormire delleondedeboli gemitisordi

muggitiun dolce tubare riempiono questi luoghi deserti di una tenera eselvaggia armonia. Ma

quando una brezza viene ad animare quelle solitudinia dondolare quei corpifluttuantia

confondere le masse biancheazzurreverdirosamischiando tutti i coloririunendo tutti i

mormoriiallora escono dal fondo delle foreste certi rumoriscorronodavanti agli occhi cose tali

che invano tenterei di descriverle a quelli che non hanno percorso i campiprimordiali della natura.

Dopo la scoperta del Meschacebé da parte di padre Marquette e dellosfortunato La Sallei

primi francesi che si stabilirono a Biloxi e a Nuova Orléansstrinseroalleanza con la nazione

indiana dei Natchezpotente e temibile in quelle contrade. Liti e gelosieinsanguinarono in seguito

la terra dell'ospitalità. C'era tra quei selvaggi un vecchio chiamatoChactas cheper etàsaggezzae

conoscenza delle cose della vitaera il patriarca e il prediletto deideserti. Come tutti gli uominiegli

aveva acquistato la virtù a prezzo della sventura. Non solo le foreste delNuovo Mondo furono

piene delle sue disgrazieegli le portò perfino sulle coste della Francia.Trattenuto nelle prigioni di

Marsiglia per una crudele ingiustiziareso alla libertàpresentato a LuigiXIVaveva conversato

con i grandi uomini di quel secolo e assistito alle feste di Versaillesalletragedie di Racinealle

orazioni funebri di Bossuet: in una parolaquel selvaggio aveva potutocontemplare la società nel

suo massimo splendore.

Rientrato in seno alla patria dopo molti anniChactas si godeva il riposo.Il cielo tuttavia gli

faceva pagar caro questo favore; il vecchio era diventato cieco. Una giovanel'accompagnava sulle

coste del Meschacebécome Antigone che guidava i passi di Edipo sulCiteroneo come Malvina

che conduceva Ossian sugli scogli di Morven.

Malgrado le numerose ingiustizie subite da Chactas ad opera dei Francesiegli li amava. Si

ricordava sempre di Fénelondi cui era stato ospitee desiderava renderequalche servigio ai

compatrioti di quell'uomo virtuoso. Finché se ne presentò un'occasionefavorevole. Nel 1725 arrivò

in Louisianaspinto da passioni e disgrazieun francese di nome René. Eglirisalì il Meschacebé

fino ai Natcheze domandò a quella nazione di essere accolto comeguerriero. Chactasdopo averlo

interrogatotrovandolo irremovibile nella sua decisionel'adottò comefiglio e gli diede in sposa

un'indianadi nome Céluta. Poco tempo dopo il matrimonioi selvaggi siprepararono per la caccia

al castoro.

Chactasbenché ciecoviene designato dal consiglio dei Sachem percomandare la

spedizionein virtù del rispetto che le tribù indiane gli portavano.Iniziano preghiere e digiuni: gli

Stregoni interpretano i sogni; si consultano i Manitù; si compiono sacrificidi tabacco; si bruciano

filetti di lingua d'alce e per scoprire la volontà dei Geni si scruta sescoppiettano tra le fiamme; alla

fine si partedopo aver mangiato il cane sacro. René è del gruppo. Conl'aiuto delle controcorrenti

le piroghe risalgono il Meschacebé ed entrano nel letto dell'Ohio. Èautunno. Agli occhi stupiti del13

giovane francese si distendono i magnifici deserti del Kentucky. Una notteal chiarore della luna

mentre tutti i Natchez dormono sul fondo delle loro piroghee la flottaindianalevando le vele di

pelle animalefugge davanti a una lieve brezzaRenérimasto solo conChactasgli chiede di

raccontargli le sue avventure. Il vecchio acconsente a soddisfarlo esedutocon lui sulla poppa della

pirogainizia con queste parole:

IL RACCONTO

I cacciatori

È ben singolarefiglio mioil destino che ci riunisce. Io vedo in tel'uomo civilizzato che si è

fatto selvaggio; tu vedi in me l'uomo selvaggio che il grande Spirito (ignoroper quale disegno) ha

voluto civilizzare. Giunti entrambi nel cammino della vita dai due latioppostitu sei venuto a

riposarti al mio postoe io andai a sedermi al tuo: così abbiamo avuto unaprospettiva del tutto

diversa delle cose. Chi tra noi due ha guadagnato o perso di più in questocambio di posizioni? Solo

i Geni lo sannoil più ignorante dei quali ha più saggezza di tutti gliuomini messi insieme.

Alla prossima luna dei fiori saranno trascorse settanta nevi più tre daquando mia madre mi

ha messo al mondosulle rive del Meschacebé. Gli spagnoli si eranostabiliti da poco nella baia di

Pensacolama nessun bianco abitava ancora la Louisiana. Vantavo appenadiciassette cadute di

fogliequando marciai con mio padreil guerriero Outalissicontro iMuscogulgila potente nazione

della Florida. Raggiungemmo gli Spagnolinostri alleatie demmo battagliasu una delle branche

della Maubile. Areskui e i Manitù non ci furono favorevoli. I nemicitrionfarono; mio padre perse la

vita; nel difenderlo io venni ferito due volte. Oh! Perché non scesi alloranel paese delle anime

avrei evitato le sventure che mi attendevano sulla terra! Gli Spiritidisposero altrimenti: fui

trascinatodai fuggiaschi a Sant'Agostino.

In quella cittàricostruita dagli Spagnolicorrevo il rischio di essereportato nelle miniere

del Messicoquando un vecchio castiglianodi nome Lopezcommosso dalla miagiovinezza e dalla

mia semplicitàmi offrì asilopresentandomi a una sorella con cuinonessendo sposatoviveva.

Tutti e due nutrirono per me i sentimenti più teneri. Mi allevarono conmolto scrupolo

dandomi ogni tipo di maestri. Ma dopo trenta lune trascorse a Sant'Agostinofui preso

dall'avversione per la vita di città. Deperivo a vista d'occhio: a volterimanevo immobile per ore a

contemplare le cime di lontane foreste; oppure mi trovavano seduto sulla rivadi un fiumementre lo

guardavo scorrere tristemente. Mi raffiguravo i boschi che l'onda avevaattraversatoe la mia anima

era interamente immersa nella solitudine.

Non riuscendo più a resistere al desiderio di tornare nel desertounmattino mi presentai a

Lopezcon i miei indumenti da selvaggiotenendo in una mano l'arco e lefreccee nell'altra i miei

abiti europei. Li restituii al mio generoso protettorecadendogli ai piedi eversando torrenti di

lacrime. Mi coprii con i peggiori insultimi accusai d'ingratitudine: «Mainfine»gli dissi«padre

miotu lo vedi: se non riprendo a vivere da indianomorirò».

Lopezsconvoltovolle distogliermi dal mio progetto. Mi illustrò ipericoli che avrei corso

rischiando di cadere di nuovo tra le mani dei Muscogulgi. Mavedendo che erorisoluto ad andare

fino in fondosciogliendosi in lacrime e stringendomi tra le bracciaesclamò: «Va'figlio della

natura! Riprenditi la tua indipendenza d'uomonon sarà certo Lopez aportartela via. Se fossi stato

più giovaneti avrei accompagnato nel deserto (dove anch'io ho dolciricordi!) per riconsegnarti

nelle braccia di tua madre. Quando sarai nelle tue forestepensa qualchevolta a questo vecchio

spagnolo che ti diede ospitalitàe ricorda che la prima esperienza che haifatto del cuore umano è

stata tutta a suo vantaggio».14

Lopez terminò con una preghiera rivolta al Dio dei cristianidi cui avevorifiutato di

abbracciare il cultoe ci lasciammo tra i singhiozzi.

Non passò molto tempo che fui punito della mia ingratitudine. L'inesperienzami fece

smarrire tra i boschicosì venni catturato da un gruppo di Muscogulgi e diSeminolecome aveva

predetto Lopez. Dai vestiti e dalle piume che mi ornavano la testariconobbero in me un Natché. Mi

legarono maper riguardo alla mia giovinezzain modo leggero. Simaghanilcapo della banda

volle sapere il mio nome. Risposi: «Mi chiamo Chactasfiglio di Outalissifiglio di Miscouche

hanno tolto più di cento scalpi agli eroi Muscogulgi». Simaghan mi disse:«Chactasfiglio di

Outalissifiglio di Miscourallegrati; sarai bruciato nel grandevillaggio». Io ribattei: «Benissimo»

e intonai il mio canto di morte.

Per quanto fossi prigionierodurante i primi giorni non potei impedirmi diammirare i miei

nemici. Il Muscogulgee soprattutto il Seminole suo alleatotraspiraallegriaamorecontentezza.

La sua andatura è leggerasi rivela aperto e sereno. Parla molto ed èvolubile; ha una lingua

armoniosa e facile. Neppure l'età può togliere ai Sachem quella gioiosasemplicità: come i vecchi

uccelli dei nostri boschiessi uniscono ancora le loro vecchie canzoni ainuovi motivi della

gioventù.

Le donne che accompagnavano il gruppo dimostravano una tenera pietà e unacuriosità

amabile per la mia giovinezza. Mi interrogavano su mia madresui miei primigiorni di vita;

volevano sapere se la mia culla di muschio fosse sospesa ai rami fioritidegli acerise mi cullavano

le brezzeaccanto al nido degli uccellini. Facevano inoltre mille altredomande sul mio cuore: mi

chiedevano se avessi visto in sogno una cerva biancae se gli alberi dellavalle segreta mi avevano

suggerito di amare. Alle madrialle figlie e alle spose di quegli uominirispondevo candidamente.

Dicevo loro: «Voi siete le grazie del giornoe la notte vi ama come larugiada. L'uomo esce dal

vostro seno per attaccarsi alla vostra mammella e alla vostra bocca; voiconoscete le parole magiche

che fanno addormentare tutti i dolori. Ecco ciò che mi ha detto colei che miha messo al mondo e

non mi rivedrà più! Mi ha detto anche che le vergini sono fiori misteriosiche si trovano nei luoghi

solitari».

Queste lodi facevano molto piacere alle donne; mi colmavano d'ogni tipo didoni; mi

portavano crema di nocezucchero d'acerosagamitéprosciutti d'orsopelli di castoroconchiglie

per agghindarmi e muschio per il mio giaciglio. Cantavanoridevano con meepoi iniziavano a

versare lacrimequando pensavano che sarei stato bruciato.

Una notte che i Muscogulgi avevano sistemato il loro accampamento ai bordi diuna foresta

io ero seduto accanto al fuoco della guerracon il cacciatoreincaricato di sorvegliarmi. Ad un tratto

udii il fruscio di un abito sull'erbae una donnaper metà velatavenne asedermisi vicino. Lacrime

scendevano dalle sue palpebre; al bagliore del fuoco un piccolo crocifissod'oro brillava sul suo

seno. La sua bellezza era armoniosa; appariva sul volto qualcosa di virtuosoe appassionatoche

attraeva in modo irresistibile. Univa a ciò una grazia tenerissima;un'estrema sensibilità e una

melanconia profonda trasparivano dai suoi sguardi; aveva un sorrisocelestiale.

Pensai che fosse la Vergine degli ultimi amorila vergine che simanda al prigioniero di

guerra come incantesimo per la sua tomba. Convinto di ciòbalbettandoecon un turbamento che

non veniva certo dalla paura del rogole dissi: «Verginevoi siete degnadel primonon dell'ultimo

amore. I movimenti di un cuore che tra poco cesserà di battererisponderebbero male ai movimenti

del vostro. Come si può confondere la morte con la vita? Mi faresterimpiangere troppo il giorno.

Che un altro sia più fortunato di meche lunghi abbracci congiungano laliana alla quercia!».

Allora la giovane mi disse: «Io non sono affatto la Vergine degli ultimiamori. Sei

cristiano?». Risposi che non avevo tradito i Geni del mio focolare. A questeparole l'indiana ebbe un

sussulto involontario. Mi disse: «Ti compiango per la tua miserabileidolatria. Mia madre mi ha

fatto cristiana; mi chiamo Atalafiglia di Simaghan dai bracciali d'oroecapo dei guerrieri di questa

banda. Ci rechiamo a Apalachucladove sarai bruciato». Pronunciando questeparoleAtala si alza e

si allontana.15

Qui Chactas fu costretto a interrompere il suo racconto. La folla dei ricordisi accalcò nella

sua anima; quegli occhi spenti inondarono di lacrime le guance avvizzite:così due sorgenti nascoste

nella profonda notte della terra si rivelano per via delle acque che lascianofiltrare tra le rocce.

Figlio miocontinuò poicome vedi Chactas è ben poco saggiomalgrado lasua fama di

saggezza. Ahimécaro ragazzoanche quando gli uomini non possono piùvedereessi possono

ancora piangere! Trascorsero parecchi giorni; la figlia del Sachem tornava dame ogni sera per

parlarmi. Il sonno era fuggito dai miei occhie Atala occupava il mio cuorecome il ricordo del

talamo paterno.

Il diciassettesimo giorno di marciaal tempo in cui l'efemera esce dalleacqueentrammo

nella grande savana Alachua. Essa è circondata da colli chein fuga gli unidietro gli altriportano

innalzandosi fino alle nuvoleforeste digradanti di copaivelimonimagnolie e querce verdi. Il capo

diede il segnale che erano arrivatie la banda si accampò ai piedi dellecolline. Mi relegarono un po'

distanteai bordi di uno di quei Pozzi naturalicosì famosi inFlorida. Ero legato ai piedi di un

alberoun guerriero vigilava impaziente accanto a me. Avevo trascorso soloqualche istante in quel

luogoquandoda sotto i liquidambar della fontanami apparve Atala.«Cacciatore»disse all'eroe

Muscogulge«se tu vuoi inseguire il caprioloio farò la guardia alprigioniero». Il guerrieroalle

parole della figlia del capofece un salto di gioia; si slancia dallasommità della collina e allunga i

suoi passi nella pianura.

Strana contraddizione del cuore umano! Proprio ioche avevo tanto desideratodire cose

ineffabili a quella che già amavo come il soleora ero interdetto econfusoe credo che avrei

preferito essere gettato ai coccodrilli della fontanapiuttosto che trovarmisolo così con Atala. La

figlia del deserto era turbata come il suo prigioniero; rispettavamo unprofondo silenzio; i Geni

dell'amore ci avevano derubato della parola. Alla fine Atalacon uno sforzodisse: «Guerrierola

tua prigionia è ben leggera; puoi facilmente scappare». A quelle parole mitornò il coraggio sulla

linguae risposi: «Una prigionia leggerao donna ...!». Non seppi comeconcludere. Atala esitò

qualche istante; poi disse: «Salvati». E mi liberò dal tronco dell'albero.Io afferrai la cordala rimisi

in mano a quella fanciulla stranieracostringendo le sue belle dita achiudersi sulla catena.

«Riprendila! Riprendila!»gridai. «Sei pazzo»disse Atala con vocecommossa. «Disgraziato! Non

sai che ti bruceranno? Che vuoi? Non sai che io sono la figlia di un temibileSachem?». «Un

tempo»replicai tra le lacrime«anch'io fui portato nella pelle dicastorosulle spalle di mia madre.

Anche mio padre aveva una bella capannae i suoi caprioli si abbeveravanoall'acqua di mille

torrenti; ma ora vago senza patria. Quando non ci sarò piùnessun amicometterà un po' d'erba sul

mio corpoper proteggerlo dalle mosche. Il corpo di uno straniero sfortunatonon interessa a

nessuno».

Quelle parole impietosirono Atala. Le sue lacrime caddero nella fontana.«Ah!»continuai

con slancio. «Se il tuo cuore parlasse come il mio! Non è libero ildeserto? Non ci sono recessi nelle

foreste dove potremmo nasconderci? Ci vuole poi tantoai figli dellecapanneper essere felici? O

fanciulla più bella del primo sogno dello sposo! O mia amata! Abbi ilcoraggio di seguire i miei

passi». Così parlai. Atala mi rispose con voce dolce: «Giovane amicotuhai imparato a parlare

come i bianchiè facile ingannare un'indiana». «Come!»esclamai. «Michiami giovane amico! Ah!

Se un povero schiavo ...». «Sì!»disse chinandosi su me. «Un poveroschiavo ...». Io continuai con

foga: «Giuralo con un bacio!». Atala ascoltò la mia preghiera. Come ilcerbiatto che sembra

pendere dai fiori delle rosee lianeche egli afferra con la sua linguadelicata tra le scarpate della

montagnacosì io rimasi sospeso alle labbra dell'amata.

Ahimè! Figlio mioil dolore è assai vicino al piacere. Chi avrebbe potutopensare che il

momento in cui Atala mi dava il primo pegno del suo amoresarebbe statoanche quello che

avrebbe distrutto le mie speranze? Bianchi capelli del vecchio Chactasqualefu il vostro stupore

quando la figlia del Sachem pronunciò queste parole! «Bel prigionierolafollia mi ha fatto cedere

al tuo desiderio; ma dove ci condurrà la passione? La mia religione misepara da te per sempre... O

madre mia! Cosa hai fatto?...». Atala tacque improvvisamentee si trattennedal lasciarsi sfuggire16

non so quale fatale segreto dalle labbra. Le sue parole mi immersero nelladisperazione. «Ebbene!»

esclamai. «Sarò crudele quanto te; non fuggirò. Mi vedrai avvolto nelfuoco; udrai i gemiti della

mia carnee ne proverai piacere». Atala afferrò le mie mani tra le sue.«Povero giovane idolatra»

esclamò. «Mi fai davvero pietà! Vuoi dunque che pianga con tutto il miocuore? Che peccato che io

non possa fuggire con te! Il ventre di tua madre è stato sventuratooAtala! Perché non ti getti in

pasto ai coccodrilli della fontana!».

Proprio in quel momento i coccodrilliall'avvicinarsi del tramontoiniziavano a far sentire i

loro ruggiti. Atala mi disse: «Lasciamo questo luogo». Trascinai la figliadi Simaghan ai piedi delle

colline che formavano golfi di verzuraspingendo i loro promontori fin nellasavana. Tutto nel

deserto era calmo e superbo. La cicogna gridava dal suo nidoi boschirisuonavano del canto

monotono delle quagliedel fischio dei pappagallidel muggito dei bisonti edel nitrito delle

giumente seminole.

La nostra passeggiata fu quasi senza parole. Camminavo a fianco di Atala;teneva un capo

della corda che l'avevo costretta a riprendersi. A volte piangevamo; a volteci sforzavamo di

sorridere. Ora uno sguardo levato al cieloo fisso a terral'orecchiointento al canto degli uccelliun

gesto verso il sole che tramontavala dolce stretta di una manoil seno divolta in volta ansioso o

tranquilloi nomi di Chactas e di Atala teneramente ripetuti ogni tanto...Oh! Prima passeggiata

d'amorebisogna che il tuo ricordo sia ben forte perchédopo tanti anni didisgrazietu possa ancora

agitare il cuore del vecchio Chactas!

Come sono incomprensibili i mortali in preda alle passioni! Avevo appenaabbandonato il

generoso Lopezmi ero esposto a ogni tipo di pericoli per essere libero; inun istante lo sguardo di

una donna aveva mutato le mie inclinazionile mie decisionii mieipensieri! Dimenticando la

patriamia madrela mia capanna e la spaventosa morte che mi attendevaerodiventato indifferente

a tutto quanto non fosse Atala! Incapace di elevarmi alla ragionevolezzadell'uomoero

improvvisamente ricaduto in una specie d'infanzia; e lungi dal poter farequalcosa per sottrarmi ai

mali che mi attendevanoavrei quasi avuto bisogno che qualcuno si occupassedel mio sonno e del

mio nutrimento!

Fu dunque invano che Ataladopo i nostri giri nella savanagettandosi allemie ginocchia

m'invitò di nuovo a lasciarla. Le assicurai chese si fosse rifiutata dilegarmi al mio alberosarei

tornato da solo al campo. Fu costretta ad accondiscenderenella speranza diconvincermi un'altra

volta.

Il giorno seguente a questoche decise il destino della mia vitacifermammo in una valle

non lontano da Cuscowillacapitale dei Seminole. Questi Indianiinsieme aiMuscogulgiformano

la confederazione dei Creeks. La figlia del paese delle palme venne atrovarmi nel mezzo della

notte. Mi condusse in una grande foresta di pini e rinnovò le preghiere perconvincermi a fuggire.

Senza risponderlele presi la mano e costrinsi quella cerva tremante avagabondare con me nella

foresta. Era una notte deliziosa. Il Genio dell'aria scuoteva la suacapigliatura turchinache odorava

di pinoe si respirava il lieve profumo d'ambra che emanavano i coccodrillicoricati sotto i

tamarindi dei fiumi. La luna brillava in mezzo a un azzurro immacolatoe ilsuo chiarore perlaceo

scendeva sulla cima indistinta delle foreste. Non si udiva alcun rumorealdi fuori di quella vaga e

lontana armonia che regnava nella profondità dei boschi: si sarebbe dettoche l'anima stessa della

solitudine sospirasse in tutta l'estensione di quei luoghi deserti.

Attraverso gli alberi scorgemmo un giovane checon in mano una fiaccolaassomigliava al

Genio della primavera che percorresse le foreste per rianimare la natura. Sitrattava di un

innamorato che andava alla capanna dell'amata per conoscere la propria sorte.

Se la vergine spegne la fiaccolaessa accetta le promesse; se prende il velosenza spegnerla

essa respinge lo sposo.

Il guerrieroscivolando nell'ombracantava sottovoce queste parole:

Precederò i passi del giorno sulla cima delle montagneper cercare la miacolomba solitaria

tra le querce della foresta.17

Ho appeso al suo collo una collana di porcellane; sono visibili tre granirossi per il mio

amoretre viola per i miei timoritre azzurri per le mie speranze.

Mila ha gli occhi di un ermellino e la capigliatura leggera di un campo diriso; la sua bocca è

una conchiglia rosaornata di perle; i suoi seni sono come due caprettiimmacolatinati lo stesso

giorno dalla stessa madre. Che Mila spenga questa fiaccola! Che la sua boccavi versi un'ombra di

voluttà! Renderò fertile il suo seno.

La speranza della patria penderà dalla sua feconda mammellae io fumerò ilcalumet della

pace sulla culla di mio figlio!

Ah! Lasciate che io preceda i passi del giorno sulla cima delle montagnepercercare la mia

colomba solitaria tra le querce della foresta!

Così cantava il giovanecon accenti che turbarono fino in fondo la miaanimaalterando il

viso di Atala. Le nostre mani congiunte fremettero una nell'altra. Ma fummodistratti da quello

spettacoloa causa di un altro non meno pericoloso per noi.

Passammo accanto alla tomba di un bambinoche serviva da confine tra le duenazioni.

L'avevano messa sul bordo del sentierosecondo gli usicosì che le giovanidonne potessero attirare

al loro seno l'anima di quella creatura innocenteper restituirla allapatria. In quel momento c'erano

delle spose novelle chedesiderando le dolcezze della maternitàcercavanoschiudendo le labbradi

raccogliere l'anima del piccoloche credevano di veder errare sui fiori.Quindi venne la madre vera

per deporre sulla tomba un mazzo di granturco e di gigli bianchi. Bagnò laterra con il suo lattesi

sedette sull'erba umidae con voce commossa parlò al suo bambino: «Perchépiangerti nella tua

culla di terrao mio neonato? Quando l'uccellino diventa grande devecercarsi il nutrimentoe nel

deserto trova semi amari. Tu almeno non hai conosciuto le lacrime; il tuocuore non è stato esposto

all'insaziabile respiro degli uomini. Anche la gemma che secca nel suoinvolucropassa con tutti i

suoi profumicome tefiglio mio! Con tutta la tua innocenza. Fortunatiquelli che muoiono nella

cullache hanno conosciuto solo i baci e i sorrisi di una madre!».

Già prostrati dal nostro cuorefummo schiacciati da quelle immagini d'amoree di maternità

che sembravano inseguirci in quelle solitudini incantate. Portai via Atalatenendola tra le mie

bracciain fondo alla forestae le dissi cose che invano oggi cerchereisulle mie labbra. Il vento del

sudmio caro figliopassando sui ghiacciai perde calore. I ricordi d'amorenel cuore di un vecchio

sono come il fuoco del giorno riflesso dalla flebile sfera della lunaquandoil sole è tramontato e

scende il silenzio sulle capanne dei selvaggi.

Chi poteva salvare Atala? Chi poteva impedirle di soccombere alla natura?Solo un

miracolosenza dubbio; e questo miracolo accadde! La figlia di Simaghanricorse al Dio dei

cristiani; si gettò a terra e pronunciò un'appassionata preghierarivoltaa sua madre e alla Regina

delle Vergini. Da quel momentoo Renécompresi la meraviglia di questareligione chenelle

forestein mezzo a tutte le privazioni della vitapuò colmare di milledoni gli sfortunati; una

religione cheopponendo il suo potere al torrente delle passioniè ingrado di vincerle da sola

proprio quando tutto è loro favorevolela segretezza dei boschiel'assenza degli uominie la

fedeltà delle ombre. Ah! Come mi apparve divina quella semplice selvaggial'ignorante Atalache

in ginocchio davanti a un vecchio pino cadutocome fosse ai piedi di unaltareoffriva al suo Dio i

voti per un amante idolatra! I suoi occhi alzati verso l'astro notturnolesue guance che brillavano

per le lacrime della religione e dell'amoreerano di una bellezza immortale.Più di una volta credetti

che prendesse il volo verso il cielo; più di una volta pensai di vederscendere sui raggi della luna e

udire tra i rami degli alberi quegli Spiriti che il Dio dei cristiani inviaagli eremiti delle rocce

quando si appresta a richiamarli presso di sé. Ne fui afflittoperchétemetti che a Atala rimanesse

poco tempo da trascorrere sulla terra.18

Tuttavia versò tante lacrime e si mostrò così addolorata che avrei forseacconsentito ad

allontanarmiquando un grido di morte risuonò nella foresta. Quattro uominiarmati si precipitano

su me: eravamo stati scoperti; il capo dei guerrieri aveva dato l'ordine diinseguirci.

Atalache per l'orgoglio del portamento sembrava una reginanon si degnòdi parlare ai

guerrieri. Lanciò loro uno sguardo superbo e si recò da Simaghan.

Non ottenne nulla. Raddoppiarono i miei carcerierimoltiplicarono le cateneallontanarono

la mia innamorata. Dopo cinque notti scorgiamo Apalachuclaposta in riva alfiume Chata-Uche.

Subito mi mettono una corona di fiori; mi attaccano perle al naso e alleorecchie e mi mettono in

mano un chichikoué.

Così bardato per il sacrificioentro in Apalachuclatra le ripetute gridadella folla. La mia

vita era finitaquando a un tratto si udì un rumore di conchigliae ilMicoo capo della nazione

ordina un'adunata.

Tu conoscifiglio mioquali tormenti i selvaggi fanno subire ai prigionieridi guerra. I

missionari cristiania rischio della vitae con infaticabile caritàeranoriuscitipresso molte nazioni

a far sostituire una forma abbastanza mite di schiavitù agli orrori delrogo. Ma i Muscogulgi non

avevano ancora adottato quell'usanza; anche se una parte consistente si eraespressa a suo favore. Il

Mico convocava i Sachem per pronunciarsi su questa importante decisione. Fuicondotto nel luogo

dove si doveva deliberare.

Poco lontano da Apalachucla si elevavasu un poggio isolatoil padiglionedel consiglio.

Tre cerchi di colonne formavano l'elegante architettura di quella rotonda. Lecolonne erano di

cipresso levigato e scolpito; quanto più si avvicinavano al centrosegnatoda un unico pilastroesse

crescevano d'altezza e di spessorediminuendo di numero. Dalla cima di quelpilastro partivano

strisce di scorza chepassando sulla cima delle altre colonnecoprivano ilpadiglione come un

ventaglio da giorno.

Il consiglio si riunisce. Cinquanta anzianicon il mantello di castorosisistemano su una

specie di gradini davanti alla porta del padiglione. Il gran capo è sedutoin mezzo a lorocon in

mano il calumet della pacecolorato per metà con i colori della guerra.Alla destra degli anziani si

mettono cinquanta donne coperte con una veste di piume di cigno. I capi deiguerrieritomahawk

alla manole penne sulla testale braccia e il petto dipinti col sanguesimettono a sinistra.

Ai piedi della colonna centrale arde il fuoco del consiglio. Il primostregonecircondato da

otto guardiani del tempiovestito di lunghi abiti e con un gufo impagliatosulla testaversa del

balsamo di copaive sulla fiamma e offre un sacrificio al sole. La triplicefila di anzianimatrone e

guerrieriquei sacerdotiquelle nuvole d'incensoil sacrificiotuttoserve per conferire al consiglio

un aspetto imponente.

Io stavo in piediincatenato in mezzo all'assemblea. Terminato ilsacrificioil Mico prende

la parola ed espone con semplicità la questione per cui il consiglio siraduna. Egli getta una collana

azzurra nella salaa testimonianza di ciò che ha detto.

Allora si alza un Sachem della tribù dell'Aquilae dice:

«O Micopadre mioSachemmatroneguerrieri delle quattro tribùdell'Aquiladel Castoro

del Serpente e della Tartaruganon cambiamo in nulla i costumi dei nostriavi; bruciamo il

prigioniero senza infiacchire il nostro coraggio. Quella che vi propongono èun'usanza dei bianchi

non può essere che dannosa. Date la collana rossa che contiene le mieparole. Ho detto».

E getta una collana rossa nell'assemblea.

Si alza una matrona e dice:

«Aquilapadre miovoi avete l'intelligenza della volpe e la prudentelentezza di una

tartaruga. Insieme a voi io voglio levigare la catena dell'amiciziaeinsieme pianteremo l'albero

della pace. Ma cambiamo i costumi dei nostri avi in ciò che hanno difunesto. Avremo schiavi per

coltivare i nostri campie non udremo più le grida del prigioniero cheinquietano il seno delle

madri. Ho detto».

Il consiglio si agitava e mormorava come i flutti del mare che si frangonodurante una

tempestacome le foglie secche che il turbine in autunno si porta viacomei giunchi del19

Meschacebé quando si piegano e si rialzano durante un'improvvisainondazionecome una grande

mandria di cervi che bramisce dal fondo di una foresta. Uno alla voltaotutti insiemeparlano i

Sachemi guerrierile matrone. Gli interessi si urtanole opinioni sidividonoil consiglio sta per

dissolversi; ma alla fine la spunta l'antica consuetudinee io sonocondannato al rogo.

Il mio supplizio venne ritardato da una circostanza; si avvicinava la Festadei morti o

Festino delle anime. È consuetudine di non far morire nessun prigionierodurante i giorni consacrati

a quella cerimonia. Mi affidarono a una guardia severa; e senza dubbio iSachem allontanarono la

figlia di Simaghanperché non la rividi più.

Nel frattempo arrivarono in folla nazioni da più di trecento leghetutt'intornoper celebrare il

Festino delle anime. Avevano costruito in un luogo appartato una lungacapanna. Nel giorno

stabilitoogni capanna esumò i resti dei padri dalle tombe individualiegli scheletri vennero appesi

in ordine di rango e di famigliaai muri della Sala comune degli avi.Mentre gli anziani delle

diverse nazioni concludevano tra loro trattati di pace e d'alleanza sulleossa dei padrifuori

muggivano i venti (si era alzata una tempesta)le foreste e le cateratte.

Si disputano i giochi funebrila corsala pallagli aliossi. Due verginicercano di strapparsi

una bacchetta di salice. I capezzoli dei loro seni si toccanole manivolteggiano sulla bacchetta che

tengono alta sulle teste. I loro bei piedi nudi s'intreccianole bocches'incontranosi confondono i

dolci respiri; si chinanomescolando i capelli; guardano le madriarrossiscono: vengono applaudite.

Lo stregone invoca Michabougenio delle acque. Egli racconta le guerre delgrande Lepre contro

Matchimanitudio del male. Parla del primo uomo e di Atahensicla primadonnaprecipitati dal

cielo per aver perso l'innocenza; della terra rossa di sangue fraternoperché l'empio Jouskeka ha

immolato il giusto Tahouistsaron; parla del diluvio che è sceso dalla vocedel grande Spirito e di

Massouche si è salvato da solo nella sua canoa di scorzae del corvoinviato a scoprire la terra;

parla anche della bella Endaésottratta alla contrada delle anime dalledolci canzoni del suo sposo.

Dopo i giochi e i cantisi apprestano a dare eterna sepoltura agli avi.

Sulle rive del fiume Chata-Uche c'era un fico selvaticoconsacrato dal cultodei popoli.

C'era l'usanza per le vergini di lavare le loro vesti di corteccia in quelluogoe di esporle al vento

del desertosui rami di quell'albero antico. In quel punto era stata scavatauna tomba immensa. Si

parte dalla sala funebrecantando l'inno alla morte; ogni famiglia portaqualche reliquia sacra. Si

arriva alla tomba; si calano le reliquie; le si stende a strati; si separanocon pelli d'orso e di castoro;

il cumulo della tomba si alzae sopra vi piantano l'Albero delle lacrimee del sonno.

Compiangiamo gli uominimio caro figlio! Quegli stessi indianidai costumicosì

commoventi; quelle donne che mi avevano testimoniato un interesse cosìteneroora chiedevano

con grandi grida il mio supplizio; e intere nazioni ritardavano la loropartenza per avere il piacere di

vedere un giovane uomo soffrire tormenti spaventosi.

In una valle del norda qualche distanza dal grande villaggiosi levava unbosco di cipressi

e di abetichiamato il Bosco del sangue. Vi si arrivava attraverso lerovine di uno di quei

monumenti di cui s'ignora l'originee che sono opera di un popolo orasconosciuto. Al centro del

bosco si estendeva un'arena dove venivano sacrificati i prigionieri diguerra. Mi ci condussero in

trionfo. Prepararono ogni cosa per la mia morte: piantano il palo d'Areskoui;cadono sotto la scure

piniolmicipressi; il rogo si alza; gli spettatori costruiscono anfiteatricon rami e tronchi d'alberi.

Ognuno inventa un supplizio: uno propone di strapparmi la pelle dal craniol'altro di bruciarmi gli

occhi con asce ardenti. Io intono il mio canto di morte.

«Non temo i tormenti: io sono coraggiosoo Muscogulgiio vi sfido! Vidisprezzo più delle

donne. Mio padre Outalissifiglio di Miscouha bevuto nel cranio dei vostriguerrieri più famosi;

non strapperete un solo sospiro dal mio cuore».

Provocato dal mio cantoun guerriero mi colpisce il braccio con una freccia;io dico: «Ti

ringraziofratello».

Malgrado l'attività dei carneficii preparativi del supplizio non poteronoessere terminati

prima del tramonto. Lo stregoneconsultatoproibì di disturbare i Genidelle ombree la mia morte

fu ancora sospesa fino all'indomani. Ma nell'impazienza di godersi lospettacoloe per essere già20

pronti al levarsi del solegli indiani non abbandonarono il Bosco delsangue; accesero grandi fuochi

e diedero inizio ai banchetti e alle danze.

Intanto mi avevano disteso sul dorso. Le corde che partivano dal mio collodai piedidalle

bracciaerano fissate a paletti conficcati nel terreno. Alcuni guerrieristavano coricati sulle corde

così che non potevo fare un movimento senza che se ne accorgessero. È notteinoltrata: poco alla

volta canti e danze finiscono; i fuochi non emanano che bagliori rossastridavanti a cui passa

l'ombra di qualche selvaggio; tutto si addormenta; quanto più siaffievolisce il rumore degli uomini

di tanto cresce quello del desertoe al tumultuare delle voci si sostituisceil lamento del vento nella

foresta.

Era l'ora in cui la giovane indiana che è appena diventata madre si svegliacon un soprassalto

nel cuore della notteperché le è sembrato di udire le grida del suoprimogenito che chiede il dolce

nutrimento. Gli occhi fissi al cielodove la falce di luna errava tra lenubiio riflettevo sul mio

destino. Atala mi sembrava un mostro d'ingratitudine. Abbandonarmi nelmomento del supplizio

proprio me che mi ero consegnato alle fiamme piuttosto che abbandonarla! Etuttavia sentivo di

amarla sempree che sarei morto con gioia per lei.

Nei piaceri supremi c'è un pungiglione che ci svegliacome per avvertircidi approfittare di

quell'attimo fuggente; nei grandi dolorial contrarioc'è qualcosa dipesante che ci addormenta; gli

occhi affaticati dalle lacrime cercano naturalmente di chiudersicosìanche nelle nostre disgraziela

bontà della Provvidenza ha modo di farsi notare. Cedevomalgrado mea quelsonno pesante di cui

a voltegodono i miserabili. Sognavo che mi toglievano le catene; misembrava di provare quel

sollievo che si avverte quandodopo essere stati stretti a forzauna manopietosa allenta i ferri.

Quella sensazione divenne così vivace da farmi sollevare le palpebre. Alchiarore della luna

un raggio della quale sfuggiva tra due nuvoleintravidi una grande figurabianca china su me

intenta a sciogliere in silenzio i miei lacci. Stavo per lanciare un gridoquando una manoche

riconobbi subitomi chiuse la bocca. Rimaneva una sola cordama sembravaimpossibile tagliarla

senza urtare un guerriero che la copriva tutta intera con il suo corpo. Atalaallunga una manoil

guerriero si risveglia a metàalzandosi a sedere. Atala rimane immobileelo guarda. L'indiano

crede di vedere lo Spirito delle rovine; si corica di nuovochiudendo gliocchi e invocando il suo

Manitù. Il laccio è spezzato. Io mi alzo; seguo la mia liberatrice che mitende un capo dell'arcodi

cui tiene in mano l'altra estremità. Ma quanti pericoli ci circondano! Avolte rischiamo di urtare i

selvaggi che dormono; a volte una guardia ci interrogae Atala rispondecambiando voce. Dei

bambini gridanocani abbaiano. Siamo appena usciti dal funesto recinto cheurla scuotono la

foresta. L'accampamento si risvegliamille fuochi vengono accesi; si vedonoaccorrere da ogni

parte selvaggi con le fiaccole; affrettiamo la corsa.

Quando l'aurora si levò sugli Apalachinoi eravamo già lontani. Quale fula mia felicità

quando mi trovai ancora una volta solo con Atalacon Atala la mialiberatricecon Atala che si dava

a me per sempre! La mia lingua non seppe trovare le parolecaddi inginocchioe dissi alla figlia di

Simaghan: «Sono ben poca cosa gli uomini; ma quando i Geni li visitanoallora non sono nulla del

tutto. Tu sei un Geniomi hai fatto visitae io non posso parlare davanti ate». Atala mi tese la mano

con un sorriso: «È necessario che ti seguapoiché non vuoi fuggire senzame. Questa notte ho

corrotto lo stregone con regaliho ubriacato i tuoi carnefici con essenza difuocoe ho dovuto

rischiare la mia vita per tedal momento che tu hai rischiato la tua per me.Sìgiovane idolatra»

aggiunse con un tono che mi spaventò«il sacrificio sarà reciproco».

Atala mi diede le armi che si era preoccupata di portare; in seguito mimedicò la ferita.

Asciugandola con una foglia di papaiala bagnò di lacrime. «Questo è unbalsamo»le dissi«che

spargi sulla mia piaga». «Temo piuttosto che sia un veleno»mi rispose.Strappò una benda dal seno

e ne fece una prima compressache fermò con un ricciolo dei suoi capelli.

L'ebbrezzache presso i selvaggi dura a lungo e che rappresenta per loro unaspecie di

malattiaimpedì d'inseguirci nei primi giorni. Se in seguito ci cercaronoè probabile che fosse verso

ovestessendo convinti che avremmo tentato di raggiungere il Meschacebé; manoi ci eravamo

diretti verso la stella immobileorientandoci con il muschio sui tronchidegli alberi21

Non tardammo ad accorgerci che non avevamo guadagnato molto con la mialiberazione.

Ora il deserto stendeva davanti a noi le sue smisurate solitudini. Senzaesperienza della vita delle

forestesviati dal nostro vero camminoe andando alla venturache sarebbestato di noi? Spesso

guardando Atalami ricordavo l'antica storia di Agarche Lopez mi avevafatto leggereche era

arrivata nel deserto di Bersabeamolto tempo faquando gli uomini vivevanotre volte l'età delle

querce.

Atala mi fece un mantello con il secondo strato di scorza del frassinopoiché ero quasi nudo.

Mi intrecciò dei mocassini in pelle di topo muschiato con pelo diporcospino. Mi occupai a mia

volta del suo abbigliamento. Ora le mettevo sulla testa una corona di quellemalve azzurre che

trovavamo per stradanei cimiteri indiani abbandonati; ora le facevo dellecollane con chicchi rossi

d'azalea; e poi mi mettevo a sorriderecontemplando la sua meravigliosabellezza.

Quando incontravamo un fiumelo attraversavamo con una zattera o a nuoto.Atala mi

appoggiava una mano sulla spallae fendevamo la solitudine di quelle acquecome due cigni

viaggiatori.

Spessonella grande calura del giornocercavamo riparo sotto il muschio deicedri. Quasi

tutti gli alberi della Floridae in particolare il cedro e la quercia verdesono ricoperti da un muschio

bianco che scende dai rami fino a terra. Quando di notteal chiaro di lunascorgete nella nudità

della savana un leccio solitario rivestito di quei drappeggivi sembra divedere un fantasma che si

trascina i suoi lunghi veli. In pieno giorno la scena non è meno pittoresca;perché uno stuolo di

farfalledi mosche luccicantidi colibrìdi pappagalli verdidighiandaie dell'azzurrovanno ad

impigliarsi su quel muschio che appare allora come una tappezzeria di lanabiancadove un operaio

europeo abbia ricamato insetti e uccelli sfolgoranti.

Era in quei ridenti rifugipreparati dal grande Spiritoche noi riposavamoall'ombra. Quando

i venti scendevano dal cielo per fare oscillare il grande cedroe ilcastello aereo costruito sui suoi

rami andava fluttuando con uccelli e viandanti addormentati al suo riparoemille sospiri uscivano

dai corridoi e dalle volte di quell'edificio in movimentomai come in quelmomento le meraviglie

del mondo antico sono state così inferiori a quel monumento del deserto.

Ogni sera accendevamo un gran fuocoe costruivamo la capanna da viaggio conuna scorza

alzata su quattro picchetti. Se avevo ucciso un tacchino selvaticouncolombaccioun fagiano dei

boschilo appendevamo sopra un fuoco di querciain cima a una perticaimpiantata nel terreno

lasciando al vento la cura di girare la preda del cacciatore. Mangiavamo unmuschio chiamato trippa

delle roccescorze zuccherate di betullamele di primavera che sanno dipesca e di lampone. Il noce

nerol'aceroil sommacco rifornivano di vino la nostra tavola. A volteandavo a cercaretra le

canneuna pianta il cui fioreche si allunga in forma di conoconteneva unbicchiere di purissima

rugiada. Benedivamo la Provvidenza chesul debole stelo di un fioreavevamesso nella corruzione

delle paludi quella limpida sorgentecosì come in fondo ai cuori ulceratidal dolore ha messo la

speranzae ha fatto scaturire la virtù dalle miserie della vita.

Ahimè! Presto scoprii che mi ero ingannato sulla calma apparente di Atala.Più avanzavamo

più diventava triste. Spesso trasaliva senza motivovoltando di scatto latesta. La sorprendevo

mentre mi guardava in modo appassionatoper poi distogliere lo sguardo versoil cielo con profonda

melanconia. Ciò che soprattutto mi spaventava era come un segretounpensiero riposto in fondo

alla sua anima che le leggevo negli occhi. Mi attirava e mi respingevamiridava vita e distruggeva

le mie speranzequando credevo di essermi aperto un po' di strada nel suocuore mi ritrovavo allo

stesso punto. Quante volte mi ha detto:

«O giovane amante! Ti amo come l'ombra dei boschi in pieno giorno! Sei bellocome il

deserto con tutti i suoi fiori e tutte le sue brezze. A chinarmi su tefremo; se la mia mano si posa

sulla tuami sembra di morire. L'altro giorno il vento gettò i tuoi capellisul mio visomentre ti

riposavi sul mio senoe ho creduto di sentire il lieve tocco degli Spiritiinvisibili. Sìho visto le

caprette della montagna di Occone; ho udito i propositi degli uomini sazi digiorni; ma la dolcezza

dei capretti e la saggezza dei vecchi sono meno piacevoli e meno forti delletue parole. Ebbene

povero Chactasio non sarò mai la tua sposa!».22

Le continue contraddizioni dell'amore e della religione di Atalail suotenero abbandono e la

castità dei suoi costumiil suo carattere fiero e la sua profondasensibilitàl'anima elevata nelle

grandi cosela suscettibilità nelle piccoletutto ne faceva per me unessere incomprensibile. Atala

non poteva esercitare su un uomo un debole dominio; piena di passioneemanava potenza;

bisognava adorarla o odiarla.

Dopo quindici notti di cammino affannoso entrammo nella catena dei montiAllegheni

raggiungendo uno dei rami del Tenaseun fiume che si getta nell'Ohio. Grazieai consigli di Atala

costruii un canotto che spalmai con gomma di prugnodopo averne ricucito lescorze con radici di

pino. Quindi m'imbarcai con Atalae ci abbandonammo alla corrente del fiume.

Alla curva di un promontoriosulla nostra sinistraapparve il villaggioindiano di Sticoecon

le sue tombe piramidali e le sue capanne in rovina; lasciavamo a destra lavallata di Keowchiusa

dalla prospettiva delle capanne di Jore sospese sul fronte della montagna conlo stesso nome. Il

fiume che ci trascinava scorreva tra alte roccein cima alle quali siscorgeva il sole al tramonto.

Quelle profonde solitudini non erano affatto turbate dalla presenzadell'uomo. Vedemmo solo un

cacciatore indiano cheappoggiato all'arco e immobile sulla punta di unarocciaassomigliava a una

statua eretta sulla montagna al Genio di quei deserti.

Atala e io univamo il nostro silenzio al silenzio di quella scena.Improvvisamente la figlia

dell'esilio fece echeggiare nell'aria una voce piena d'emozione e dimelanconia; cantava la patria

assente:

«Fortunati quelli che non hanno visto il fumo delle feste dello stranieroeche si sono seduti

solo ai banchetti dei loro padri! Se la ghiandaia azzurra del Meschacebédicesse all'impareggiabile

della Florida: «Perché ti lamenti con tanta tristezza? Non ci sono quibelle acque e belle ombree

cibi come nelle tue foreste?». «Sì»risponderebbe l'impareggiabile infuga; «ma il mio nido sta nel

gelsominochi me lo porterà? E il sole della mia savanace l'hai forsetu?».

«Fortunati quelli che non hanno visto il fumo delle feste dello stranieroeche si sono seduti

solo ai banchetti dei loro padri!

«Dopo ore di marcia penosail viaggiatore si siede tristemente. Contemplaattorno a sé i tetti

degli uomini; il viaggiatore non ha un luogo dove riposare la testa. Ilviaggiatore bussa alla capanna

mette il proprio arco dietro la portachiede ospitalità; il padrone fa ungesto con la mano; il

viaggiatore riprende l'arco e torna nel deserto!

«Fortunati quelli che non hanno visto il fumo delle feste dello stranieroeche si sono seduti

solo ai banchetti dei loro padri!

«Storie meravigliose raccontate attorno al focolaretenere effusioni delcuoreantiche

consuetudini dell'amore tanto necessarie alla vitavoi avete riempito igiorni di quelli che non

hanno abbandonato il paese natale! Le loro tombe sono in patriacon itramontiil pianto degli

amici e il fascino della religione.

«Fortunati quelli che non hanno visto il fumo delle feste dello stranieroeche si sono seduti

solo ai banchetti dei loro padri!».

Così cantava Atala. Nulla interrompeva i suoi lamentitrannel'impercettibile rumore del

nostro canotto sulle onde. Solo in due o tre punti essi furono raccolti dauna debole ecoche li ripeté

a una seconda più debolee questa a una terza più debole ancora: sisarebbe potuto credere che le

anime dei due amantiun tempo sventurati come noiattratte da quellatoccante melodiasi

divertissero a sospirarne gli ultimi suoni nella montagna.

Intanto la solitudinela continua presenza dell'oggetto amatole nostrestesse disgrazie

raddoppiavano ad ogni istante il nostro amore. Le forze cominciavano adabbandonare Atala e la

passioneprostrandone il corpostava per trionfare sulla sua virtù.Pregava continuamente la madre

di cui sembrava voler placare l'ombra irritata. A volte mi chiedeva se nonudissi una voce che si

lamentavase non vedessi delle fiamme uscire dalla terra. Quanto a mesfinito dalla fatica ma

sempre ardente di desideriocon il pensiero che forse ero irrimediabilmenteperso in quelle foreste

cento volte fui sul punto di prendere la mia sposa tra le bracciacentovolte le proposi di costruire

una capanna su quelle rive dove ci saremmo ritirati insieme. Ma mi resistettesempre: «Pensa»mi.23

diceva«giovane amicoche un guerriero appartiene alla patria. Che cos'èuna donna davanti ai

doveri che ti aspettano? Fatti coraggiofiglio di Outalissinon mormorarecontro il tuo destino. Il

cuore dell'uomo è come la spugna del fiume che a volte beve l'onda pura deitempi serenia volte si

gonfia d'un'acqua melmosaquando il cielo ha turbato le acque. Forse laspugna ha il diritto di dire:

«Pensavo che non ci sarebbero mai state tempesteche il sole non sarebbemai stato

incandescente»?».

O Renése temi i turbamenti del cuorediffida della solitudine: le grandipassioni sono

solitarieportarle nel deserto significa restituirle al loro regno. Oppressida preoccupazioni e da

timoriesposti a cadere nelle mani degli Indiani nemicia essereinghiottiti dalle acquemorsi dai

serpentidivorati dalle fieretrovando a fatica uno scarso nutrimento esenza più sapere da che parte

volgere i passii nostri mali sembravano non potersi più accrescerequandoun fatto venne a

colmare la misura.

Era il ventisettesimo sole dalla nostra partenza dalle capanne: la luna difuoco aveva iniziato

il suo corsoe tutto annunciava un temporale. Verso l'ora in cui le matroneindiane appendono il

vomero del contadino ai rami del gineproe i pappagalli si ritirano nellacavità dei cipressiil cielo

iniziò a coprirsi. Le voci della solitudine si spenseroil deserto fecesilenzioe le foreste rimasero in

una calma totale. Ben presto il lontano brontolio del tuonoprolungandosi inquei boschi vecchi

come il mondone fece uscire dei rumori sublimi. Temendo di venire sommersici affrettammo a

guadagnare la riva del fiumerifugiandoci nella foresta.

Era un luogo paludoso. Avanzavamo a fatica sotto una volta di smilaceinmezzo a ceppi di

viteindachifagioliliane rampicanti che ci intralciavano i piedi comereti. Il suolo spugnoso

attorno a noitremavae ad ogni istante potevamo essere inghiottiti dagliacquitrini. Innumerevoli

insettipipistrelli enormi ci accecavano; da ogni lato veniva il rumore deiserpenti a sonagli; e i lupi

gli orsii tassii tigrottiche venivano a nascondersi in quei rifugiliriempivano con i loro ruggiti.

Intanto l'oscurità raddoppia: le nuvole si abbassano ed entrano nell'ombradei boschi. In uno

squarcio della nuvolaglia il lampo disegna una rapida losanga di fuoco. Unvento impetuoso sbucato

dal tramonto affolla nuvole su nuvole; le foreste si piegano; brano a branoil cielo si apreattraverso

i suoi crepacci si scorgono cieli nuovi e ardenti campagne. Che spettacolospaventoso e stupendo! Il

fulmine appicca il fuoco nei boschi; l'incendio si estende come unacapigliatura in fiamme; colonne

di scintille e di fumo assediano le nuvoleche vomitano fulmini in quelvasto avvampare. Allora il

grande Spirito copre le montagne di spesse tenebre; dal mezzo di quel vastocaos si leva un confuso

muggitoprodotto dal frastuono dei ventidal gemito degli alberidall'urlodelle bestie ferocidal

brusio dell'incendioe dai fulmini che cadono continuamente sibilandoe sispengono nelle acque.

Il grande Spirito lo sa! In quei momenti non vidi che Atalanon pensai che alei. Riuscii a

metterla al riparo dalla pioggia torrenziale sotto il tronco piegato di unabetulla. Mi sedetti anch'io

sotto l'alberotenendo la mia amata sulle ginocchiae riscaldandole i piedinudi tra le mie mani ero

più felice della sposina cheper la prima voltasente trasalire in seno ilfrutto del suo amore.

Prestavamo orecchio al rumore della tempesta; quando all'improvviso sentiiuna lacrima di

Atala cadermi sul petto: «Tempesta del cuore»esclamai«è questa unagoccia della tua pioggia?».

Poiabbracciando stretta la donna che amavole dissi: «Atalatu minascondi qualcosa. Aprimi il

tuo cuoreo mia cara! Fa tanto bene lasciarsi guardare nell'anima da unamico! Raccontami questo

nuovo e doloroso segreto che ti ostini a tacere. Ah! Capiscotu piangi perla patria». Mi rispose

subito: «Figlio degli uominicome potrei piangere la mia patriadalmomento che mio padre non

apparteneva al paese delle palme?». «Come»replicai profondamentestupito«tuo padre non era

del paese delle palme? Chi dunque ti ha messo al mondo in queste terre?Rispondi». Atala

pronunciò queste parole:

«Prima che mia madre portasse in dote al guerriero Simaghan trenta giumenteventi bufali

cento misure d'olio di ghiandacinquanta pelli di castori e molte altrericchezzeaveva conosciuto

un uomo dalle carni bianche. Orasua madre le gettò dell'acqua in facciaela costrinse a sposare il

magnanimo Simaghansimile in tutto a un re e onorato dai popoli come unGenio. Ma mia madre

disse al nuovo sposo: «Il mio ventre ha concepitouccidimi». Simaghan lerispose: «Il grande24

Spirito mi proibisce di compiere un'azione così malvagia. Non vogliomutilartinon ti taglierò né il

nasoné le orecchiepoiché

sei stata sincera e non hai ingannato il mio letto. Il frutto

delle tue viscere sarà il mio fruttoe non verrò a farti visita che dopola partenza dell'uccello

della risaiaquando brillerà la tredicesima luna». Proprio allora ruppi ilseno di mia madree

cominciai a crescerefiera come una spagnola e come una selvaggia. Mia madremi volle cristiana

perché il suo Dio e quello di mio padre fosse anche il mio Dio. Poi la preseil mal d'amorescese

nella piccola caverna ornata di pellida dove non si esce più».

Questo fu il racconto di Atala. «Ma chi era dunque il tuo povero padrepovera orfana?» le

chiesi. «Come lo chiamano gli uomini sulla terrae qual è il suo nome trai Geni?». «Non ho mai

lavato i piedi di mio padre»disse Atala«so solo che viveva con unasorella a Sant'Agostinoe che

fu sempre fedele a mia madre: tra gli angeli il suo nome era Filippoma gliuomini lo chiamavano

Lopez».

A queste parolegettai un grido che risuonò in quella solitudine; il rumoredei miei

sentimenti si confuse con il rumore della tempesta. Stringendo Atala sulcuoregridai tra i

singhiozzi: «O sorella! O figlia di Lopez! Figlia del mio benefattore!».Atalaspaventatami chiese

perché fossi così turbato; ma quando seppe che Lopez era l'ospite generosoche mi aveva adottato a

Sant'Agostino e che io l'avevo lasciato per essere liberocadde lei stessanella confusione e nella

gioia.

Quell'amicizia fraterna che si era appena rivelata e che aveva aggiunto amoreal nostro

amoreera troppo per i nostri cuori. Le lotte di Atala erano ormai inutili:la sentii portare invano una

mano al seno per fare un estremo movimento; l'avevo già presami ero ormaiinebriato del suo

respiroavevo già bevuto sulle sue labbra la magia dell'amore. Gli occhilevati al cieloalla luce dei

lampitenevo la mia sposa tra le bracciaalla presenza dell'Eterno. Fastonuzialedegno delle nostre

sventure e della grandezza del nostro amore: superbe foreste che agitavate levostre liane e le vostre

cupole come tende e cielo del nostro giacigliopini infuocati che eravate lefiaccole dei nostri

imeneifiume straripantemuggiti delle montagnesublime e spaventosanaturanon eravate dunque

che lo scenario predisposto per ingannarcie non riusciste a nascondere unsolo momento nei vostri

misteriosi orrori la felicità di un uomo!

Atala non offriva più che una debole resistenza; stavo per raggiungere lafelicità quando

all'improvvisoun lampo impetuososeguito dallo scoppio di un fulminesolca quelle spesse ombre

riempie la foresta di zolfo e di lucee spezza un albero ai nostri piedi.Fuggiamo. O sorpresa!... Nel

silenzio che segueudiamo il suono di una campana! Stupiti entrambiprestiamo orecchio a quel

rumore così strano in un deserto. Intanto un cane abbaia in lontananza; siavvicinaraddoppia i suoi

versiarrivaguaisce di gioia ai nostri piedi; un vecchio solitarioconuna piccola lanternalo segue

nelle tenebre della foresta. «Sia benedetta la Provvidenza!» esclamòappena ci vide. «È molto che vi

cerco! Il cane vi ha sentiti dall'inizio della tempestae mi ha condottoqui. Mio Dio! Come sono

giovani! Poveri ragazzi! Quanto hanno dovuto soffrire! Andiamo: ho portatouna pelle d'orsosarà

per questa giovane donna; ed ecco un po' di vino nella mia zucca. Che Dio sialodato per tutte le sue

opere! La sua misericordia è ben grandee la sua bontà è infinita!».

Atala era ai piedi del religioso: «Maestro di preghiera»gli diceva«iosono cristianae il

cielo t'invia per salvarmi». «Figlia mia»disse l'eremita facendolarialzare«di solito suoniamo la

campana della Missione di notte e durante le tempesteper chiamare glistranieri; ecome fanno i

nostri fratelli delle Alpi e del Libanoabbiamo insegnato al cane a scoprirei viaggiatori che si sono

persi». Per quanto mi riguardacapivo appena l'eremita; quella compassionemi sembrava così

superiore alla natura umanache credevo di sognare. Alla luce della piccolalanterna tenuta dal

religiosointravedevo la sua barba e i suoi capelli tutti imbevuti d'acqua;aveva piedimani e capelli

insanguinati dai rovi. «Vecchio»esclamai alla fine«hai davvero un grancuorese non hai paura di

essere colpito dal fulmine!». «Aver paura!»disse il padreaccalorandosi. «Aver paura quando ci

sono degli uomini in pericoloquando posso essere loro utile! Sarei dunqueun ben indegno

servitore di Gesù Cristo!». «Ma sai»gli dissi«che io non sonocristiano!». «Ragazzo»rispose25

l'eremita«vi ho forse domandato di che religione siete? Gesù Cristo nonha detto: Il mio sangue

laverà questoma non quello. Egli è morto per l'ebreo e per il gentileinogni uomo egli ha visto un

fratello e uno sventurato. Ciò che io faccio qui per voi è davvero pocacosatroverete altrove ben

altri soccorsi; nessuna gloria per noi preti. Chi siamo noipoveri eremitise non rozzi strumenti di

un piano celeste? Quale soldato sarebbe così vile da indietreggiare quandoil suo capocon la croce

in manola fronte coronata di spinecammina davanti a lui in aiuto degliuomini?».

Quelle parole catturarono il mio cuore; mi caddero dagli occhi lacrime diammirazione e di

tenerezza. «Cari figlioli»disse il missionario«io amministro in questeforeste un piccolo gruppo di

vostri fratelli selvaggi. La mia grotta nella montagna è vicinissima a qui;venite da me a riscaldarvi;

non vi troverete certo le comodità della vitama un rifugio; e anche perquesto bisogna ringraziare

la Bontà divinaperché molti uomini ne sono privi».

I contadini

Ci sono giusti la cui coscienza è così tranquillache è impossibileavvicinarsi a loro senza

condividere la pace che emananoper dir cosìdal cuore e dalle parole.Più il Solitario parlavapiù

sentivo le passioni acquietarmisi in pettoe la sua voce sembravaallontanare anche la tempesta del

cielo. Ben presto le nuvole si disperseropermettendoci di abbandonare ilnostro rifugio. Uscimmo

dalla foresta e cominciammo ad inerpicarci sul versante di un'alta montagna.Il caneche ci

precedevaportava in cima a un bastone la lanterna spenta. Tenevo Atala permano e seguivamo il

missionario. Spesso si voltava per guardarcicontemplando con pietà lenostre disgrazie e la nostra

gioventù. Aveva un libro appeso al collo; si appoggiava a un bastone bianco.Era altopallido in

volto e magrod'aspetto semplice e sincero. Non aveva la fisionomia smorta escialba dell'uomo

nato senza passioni; si vedeva che aveva conosciuto giorni durie le rughesulla fronte mostravano

le belle cicatrici delle passioni che la virtùe l'amore di Dio e degliuominiavevano guarito.

Quando ci parlavadiritto e immobilela lunga barbagli occhi abbassati insegno di modestiail

tono affettuoso della sua vocetutto in lui aveva qualcosa di calmo e disublime. Chiunquecome

meabbia visto padre Aubry camminare nel desertosolocon il bastone e ilbreviariosi è fatto una

giusta idea del viandante cristiano sulla terra.

Dopo una mezz'ora di pericoloso cammino per i sentieri della montagnaraggiungemmo la

grotta del missionario. Vi entrammo attraversando edere e zucche umidechela pioggia aveva

sradicato dalle rocce. In quel luogo non c'era che una stuoia di foglie dipapaiauna zucca per

attingere l'acquaqualche recipiente di legnoun badileun serpenteaddomesticato esu una pietra

che serviva da tavolaun crocifisso con il libro dei cristiani.

Quell'uomo antico si affrettò ad accendere il fuoco con liane secche;spezzò del granturco tra

due pietre edopo averne fatto un dolcelo mise a cuocere sotto la cenere.Quando il fuoco ebbe

dato un bel colore dorato al dolcece lo servì che scottava con della cremadi noce in un vaso

d'acero.

Poiché la sera aveva riportato la serenitàil servitore del grande Spiritoci propose di andare

a sedere all'ingresso della grotta. Lo seguimmo in quel luogo da cui sidominava un immenso

panorama. Ciò che restava della tempesta era in fuga disordinata versooriente; i fuochi

dell'incendio che il fulmine aveva acceso nella foresta brillavano ancora inlontananza; un intero

bosco di piniai piedi della montagnaera rovesciato nel fangoe il fiumetrascinava nella

confusione le argille scioltei tronchi degli alberii corpi degli animalie i pesci mortidi cui si

vedeva il ventre argentato fluttuare sulla superficie delle acque.

Fu in mezzo a quello scenario che Atala raccontò la nostra storia al vecchioGenio della

montagna. Il suo cuore parve toccatoe dalla sua barba scesero lacrime:«Figlia mia»disse a Atala

«devi offrire le tue sofferenze a Dioper la cui gloria hai già fattotanto; egli ti renderà la pace. Vedi

fumare le foresteseccare i torrentidissiparsi le nuvole; non credi forseche colui che può calmare

una simile tempesta possa acquietare i turbamenti del cuore umano? Se non haiun rifugio migliore26

figlia carati offro un posto tra quelli che ho avuto la fortuna diaccostare a Gesù Cristo. Istruirò

Chactase quando sarà degno te lo darò come sposo».

A quelle parole caddi in ginocchio davanti al Solitarioversando lacrime digioia; Atalaal

contrariodivenne pallida come la morte. Il vecchio mi fece rialzare conaria benevolae solo allora

mi accorsi che aveva le mani mutilate. Atala comprese subito la sua sventuraed esclamò: «I

barbari!».

«Figlia mia»continuò il padre con un dolce sorriso«cosa vuoi che siaciò a confronto con

quello che ha subito il mio divino Maestro? Se gli indiani idolatri mi hannotormentatoessi non

sono che poveri ciechi e Dio un giorno li illuminerà. Mi sono ancora piùcari per il male che mi

hanno fatto. Non ho potuto restare in patriadove ero tornatoe doveun'illustre regina mi ha fatto

l'onore di voler contemplare questi deboli segni del mio apostolato. E qualericompensa più gloriosa

per la mia fatica potevo riceveredel permessoottenuto dal capo della miareligionedi celebrare

con queste mani mutilate il sacrificio divino? Dopo un simile onore non mirimaneva altro che

tentare di rendermene degno: sono tornato nel Nuovo Mondo per consumare ilresto della mia vita

al servizio di Dio. Tra poco saranno trent'anni che vivo in questasolitudinee domani saranno

ventidue da quando ho preso possesso di questa roccia. Quando arrivai inquesti luoghi non vi trovai

che famiglie vagabondei cui costumi erano ferocie la vita davveromiserabile. Io ho fatto udire

loro la parola di pacee i costumi si sono gradatamente addolciti. Oravivono insieme alle pendici di

questa montagna. Insegnando le vie della salvezzami sono sforzato ditrasmettere i primi rudimenti

della vitama senza spingermi troppo lontanolasciando questa gente onestain quella semplicità

che è la loro fortuna. Quanto a metemendo di turbarli con la mia presenzami sono ritirato sotto

questa grottadove vengono a consultarmi. Quilontano dagli uomininellavastità di queste

solitudiniammiro Dio e mi preparo alla morte annunciata dai miei vecchigiorni».

Dopo aver pronunciato queste paroleil Solitario si mise in ginocchio e noilo imitammo.

Iniziò ad alta voce una preghieraa cui Atala rispondeva. Muti lampiaprivano ancora i cieli ad

orientee tre soli brillavano insieme sulle nuvole del tramonto. Qualchevolpe che si era smarrita

durante la tempesta allungava il muso nero sul bordo dei precipizie siudivano fremere le piante

che si asciugavano alla brezza della serarialzando da ogni parte i lorogambi abbattuti.

Tornammo nella grotta dove l'eremita stese un letto di muschio di cipressoper Atala. Negli

occhi e nei gesti della vergine si dipinse un profondo languore; guardavapadre Aubry come se

avesse voluto comunicargli un segreto; ma qualcosa sembrava trattenerlalamia presenzao una

certa vergognao l'inutilità della confessione. La sentii alzarsi nel mezzodella notte; cercava

l'eremitama dopo averle dato il giaciglio egli era andato a contemplare labellezza del cielo e a

pregare Dio sulla sommità della montagna. Il giorno dopo mi disse che erauna sua abitudineanche

durante l'invernopoiché gli piaceva vedere le foreste far oscillare lecime spogliele nuvole che

volavano nei cielie udire in quella solitudine il brontolio dei venti e deitorrenti. La mia sorellina fu

dunque costretta a tornare nel suo giacigliodove si assopì. Ahimè! Colmodi speranzanella

debolezza di Atala non vidi che le tracce effimere della fatica!

Il giorno seguente mi svegliai al canto dei cardinali e dei tordibeffeggiatoriannidati tra le

acacie e gli allori che circondavano la grotta. Andai a cogliere una rosa dimagnolia eumettata

dalle lacrime del mattinola deposi sul capo addormentato di Atala. Speravochecome vuole la

religione del mio paesel'anima di qualche bambino morto in fasce sarebbescesa su quel fiore

dentro una goccia di rugiadae che un sogno felice l'avrebbe portata in senoalla mia futura sposa.

Quindi andai alla ricerca del mio ospite; lo trovaila veste rialzata nelledue tascheuna corona del

rosario in manoche mi aspettava seduto sul tronco di un pino caduto per lavecchiaia. Mi propose

di andare con lui alla Missionementre Atala continuava a riposarsi;accettai la propostae ci

mettemmo subito in cammino.

Scendendo dalla montagna vidi delle querce su cui sembrava che i Geniavessero disegnato i

caratteri di una lingua straniera. L'eremita mi disse che li aveva tracciatilui stessoe che si trattava

dei versi di un antico poeta di nome Omeroe di qualche sentenza di un poetaancora più anticodi

nome Salomone. C'era non so quale misteriosa armonia tra quella saggezza deitempi passatiquei27

versi smangiati dal muschioil vecchio solitario che li aveva incisi equelle vecchie querce che gli

servivano da libri.

Su un giunco della savanaai piedi degli alberic'era segnato anche il suonomela sua età e

la data della sua missione. Mi stupii della fragilità di quest'ultimomonumento: «Durerà più di me»

mi rispose il padre«e avrà sempre più valore del poco bene che hofatto».

Da lìarrivammo all'entrata di una valle dove vidi uno splendido lavoro: sitrattava di un

ponte naturalesimile a quello della Virginiadi cui forse hai sentitoparlare. Gli uominifiglio mio

soprattutto quelli del tuo paesespesso imitano la naturama le loro copiesono sempre piccole; non

così accade alla natura quando sembra voglia imitare le opere degli uominioffrendo loroin realtà

dei modelli. Allora essa getta ponti dalla cima di una montagna alla cima diun'altrasospende

strade tra le nuvolediffonde fiumi come canaliscolpisce monti comecolonnee come bacini scava

mari interi.

Passammo sotto l'unico arco di quel ponte e ci trovammo davanti a un'altrameraviglia: era il

cimitero indiano della Missioneo i Boschetti della morte. PadreAubry aveva permesso ai suoi

neofiti di seppellire i morti alla loro manierae di conservare a quel luogodi sepoltura il suo nome

selvaggio; si era solo riservato di santificarlo con una croce. Il terrenoera stato divisocome il

comune campo dei raccoltiin tanti lotti quante erano le famiglie. Ognilotto era un bosco che

variava a seconda del gusto di quelli che l'avevano piantato. Tra queiboschetti serpeggiava un

ruscello silenzioso; lo chiamavano il Ruscello della pace. Quelridente asilo d'anime era chiuso ad

oriente dal ponte sotto cui eravamo passati; due colline lo limitavano asettentrione e a

mezzogiorno; solo a occidente era apertolà dove s'ergeva un grande boscodi pini. I tronchi di

quegli alberirossivenati di verdeche salivano fino in cima senza ramiassomigliavano ad alte

colonnee formavano il peristilio di quel tempio della morte; vi regnava unrumore religiososimile

al sordo muggito dell'organo sotto le volte di una chiesa; ma quando sipenetrava in fondo al

santuarionon si udiva altro che l'inno degli uccelli che celebravano unafesta eterna in memoria dei

morti.

Uscendo dal bosco scoprimmo il villaggio della Missionesituato ai bordi diun lagoin

mezzo a una savana disseminata di fiori. Ci si arrivava per mezzo di un vialedi magnolie e di verdi

querce che costeggiavano una di quelle antiche strade che si trovano verso lemontagne che

dividono il Kentucky dalla Florida. Appena gli indiani scorsero il loropastore nella pianura

smisero di lavorare e gli corsero incontro. Gli uni baciavano la vesteglialtri lo aiutavano a

camminare; le madri alzavano sulle braccia i piccoli per far loro vederel'uomo di Gesù Cristo che si

effondeva in lacrime. Camminandoegli s'informava di ciò che accadeva alvillaggio; a uno dava un

consiglioun altro lo rimproverava con dolcezzaparlava delle messi daraccoglieredei bambini da

istruiredi pene da consolaree a tutti questi discorsi univa l'idea diDio.

Così scortatiarrivammo ai piedi di una grande croce che si trovava sullastrada. Lìil servo

di Dio era solito celebrare i misteri della sua religione: «Miei carineofiti»disse rivolgendosi verso

la folla«vi sono arrivati un fratello e una sorella; e come soprappiù difortunavedo che la divina

Provvidenza ieri ha risparmiato le vostre messi: ecco due grandi motivi perringraziarla. Offriamo

dunque il santo sacrificioe che ciascuno vi porti un profondoraccoglimentouna fede viva

un'infinita riconoscenza e un cuore umile».

In breve quel prete divino indossò una tunica bianca di scorza di gelso; daun tabernacolo ai

piedi della croce vengono estratti i vasi sacrisu un blocco di roccia siprepara l'altaresi attinge

l'acqua al torrente vicinoe un grappolo d'uva selvatica fornisce il vinoper il sacrificio. Ci mettiamo

tutti in ginocchio nell'erba alta: ha inizio il mistero.

Dietro le montagne appariva l'aurora che infiammava l'oriente. In quellasolitudine tutto era

oro o rosa. L'astroannunciato da tanto splendoreuscì finalmente da unabisso di luce e il suo

primo raggio incontrò l'ostia consacrata che il pretein quello stessomomentosollevava in aria. O

fascino della religione! O magnificenza del culto cristiano! Un vecchioeremita come officianteuna

roccia come altareil deserto per chiesae ad assistere dei selvaggiinnocenti! Nonon dubito affatto28

che nel momento in cui ci prosternammosi realizzasse il gran misteroe cheDio scendesse sulla

terradal momento che lo sentii scendere nel mio cuore.

Dopo il sacrificiodove non mi mancò altro che la figlia di Lopezcirecammo al villaggio.

Là regnava la più toccante mescolanza di vita sociale e vita naturale: inun angolo della cipressaia

dell'antico desertoc'era da scoprire una coltura allo stato nascente; lespighe rotolavano a flotti

dorati sul tronco della quercia abbattutae il covone d'una estaterimpiazzava l'albero di tre secoli.

Dovunque si vedevano le foreste in preda alle fiamme lanciare in aria grandipennacchi di fumoe

l'aratro che si aggira lentamente tra quelle rovine di radici. Agrimensoricon lunghe catene

misuravano il terreno; arbitri assegnavano le prime proprietà; l'uccellocedeva il suo nido; il rifugio

della bestia feroce si mutava in capanna; si udiva il brontolio delle fucinee i colpi di scureper

l'ultima voltafacevano muggire gli echi che spiravano essi stessi con glialberi che servivano loro

d'asilo.

Vagabondavorapitoin quello scenario reso più dolce dall'immagine diAtala e dai sogni di

felicità con cui cullavo il mio cuore. Ammiravo il trionfo del Cristianesimosulla vita selvaggia;

vedevo l'indiano civilizzarsi alla voce della religione; assistevo alle nozzeprimitive dell'Uomo con

la Terra: con quel pattol'uomo lasciava alla terra l'eredità dei suoisudori e la terra s'impegnavaper

controa portare fedelmente le messii figli e le ceneri dell'uomo.

Intanto presentarono un bambino al missionarioche lo battezzò in mezzo aigelsomini in

fiorein riva a una sorgentementre una baratra giochi e lavorisiavviava ai Boschetti della morte.

Due sposi ricevettero sotto una quercia la benedizione nuzialee in seguitoandammo a sistemarli in

un angolo di deserto. Il pastore camminava davanti a noibenedicendo qua elà la roccial'alberola

fontanacome un temposecondo il libro dei cristianiDio stesso benedissela terra incoltadandola

in eredità ad Adamo. La processione chemescolata agli armentidi rocciain roccia seguiva il suo

venerabile caporappresentava al mio cuore intenerito quelle primemigrazioni di famigliequando

Semcon i suoi figliavanzava attraverso un mondo sconosciuto seguendo ilsoleche gli

camminava davanti.

Volli sapere dal santo eremita come governasse i suoi figli; mi rispose congrande

gentilezza: «Non ho dato loro alcuna legge; ho solo insegnato ad amarsiapregare Dioe a sperare

in una vita migliore: tutte le leggi del mondo sono lì. Tu vedi in mezzo alvillaggio una capanna più

grande delle altre: serve da cappella nella stagione delle piogge. Vi siriuniscono al mattino e alla

sera per lodare il Signoree quando io sono assenteun vecchio intona lapreghiera; perché la

vecchiaiacome la maternitàè una specie di sacerdozio. Poivanno alavorare nei campie se le

proprietà sono diviseaffinché ciascuno possa imparare l'economia socialeil raccolto viene deposto

in granai comuniper mantenere la carità fraterna. Quattro vecchidistribuiscono con equità il

prodotto del lavoro. Aggiungi a questo le cerimonie religiosemolti cantila croce dove ho

celebrato il misteroil giovane olmo sotto cuinei giorni di bel tempoiopredicole tombe

vicinissime ai campi di granoi fiumi dove immergo i piccoli e i SanGiovanni di questa nuova

Betaniaed ecco che avrai un'idea completa del regno di Gesù Cristo».

Le parole del Solitario mi rapironoe avvertii la superiorità di quellavita stabile e operosa

sulla vita errabonda e pigra del selvaggio.

Ah! Renénon mormoro contro la Provvidenzama confesso che mai mi ricordodi quella

società evangelica senza provare la tristezza del rimpianto. Una capannainsieme ad Atala su quelle

rive avrebbe reso felice la mia vita! Là finiva la mia corsa; làcon unasposasconosciuto agli

uomininascondendo la mia felicità in fondo alle forestesarei passatocome quei fiumi che

attraversano i deserti senza neppure un nome. Ma al posto di quella pace cheallora osavo

ripromettermiin quali turbamenti non ho trascorso i miei giorni! Giocattolocontinuamente in mano

alla fortunainfranto su tutte le rivea lungo esiliato dal mio paese e nontrovandovi altroal mio

ritornoche una capanna e amici nella tomba: questo doveva essere il destinodi Chactas.

Il dramma29

Il sogno della mia felicità fu vivoma anche di corta duratae nellagrotta del Solitario mi

attendeva il risveglio. Fui sorpreso quandoarrivando a metà giornatanonvidi Atala correrci

incontro. Un indefinibile orrore mi afferrò all'improvviso. Avvicinandomialla grottanon osavo

chiamare la figlia di Lopez: la mia immaginazione era ugualmente spaventatadal rumore o dal

silenzio che avrebbe accompagnato le mie grida. Ancor più impaurito dallanotte che regnava

all'ingresso della rocciadissi al missionario: «O voiche il cieloaccompagna e fortificapenetrate

in queste ombre».

Com'è debole chi viene dominato dalle passioni! Com'è forte chi si affida aDio! C'era più

coraggio in quel cuore religioso provato da settantasei anniche in tuttol'ardore della mia

giovinezza. L'uomo di pace entrò nella grottae io rimasi fuoriin predaal terrore. Ben presto un

debole mormoriosimile a lamentiuscì dal fondo della rocciacolpendo ilmio orecchio. Lanciai un

grido eritrovando le forzemi spinsi nella notte della caverna... Spiritidei miei padri! Solo voi

conoscete lo spettacolo che si presentò ai miei occhi!

Il Solitario aveva acceso una torcia di pino; la teneva con mano tremantesopra il giaciglio di

Atala. Quella donna giovane e bellasollevata a metà sul gomitoapparivapallida e scarmigliata.

Sulla fronte le brillavano penose gocce di sudore; lo sguardoquasi spentocercava ancora di

esprimermi il suo amoree la bocca tentava di sorridere. Come colpito da unfulminegli occhi fissi

le braccia allargatela bocca semiapertaio rimanevo immobile. Per unistantetra i tre personaggi

di quella scena dolorosaregna un silenzio profondo. Il Solitario lo rompeper primo: «Dev'essere

una febbre causata dalla faticama se ci rimettiamo alla volontà di Dioegli avrà pietà di noi».

A quelle paroleil sangue che mi si era fermato riprese a correre nel miocuoree con la

volubilità del selvaggio passai improvvisamente da un eccessivo timore aun'eccessiva fiducia. Ma

Atala non me lo permise troppo a lungo. Dondolando tristemente la testacifece segno di accostarci

al suo giaciglio.

«Padre»disse con voce debolerivolgendosi al religioso«sto permorire. O Chactas!

Ascolta senza disperarti il funesto segreto che ti ho nascostoper nonavvilirti troppo e per obbedire

a mia madre. Sforzati di non interrompermi con i segni di un dolore chefarebbe precipitare quei

pochi istanti che mi restano da vivere. Ho molte cose da raccontarema daibattiti sempre più lenti

del mio cuore... a un peso gelido che il mio seno solleva a fatica... sentoche non sarei capace di

affrettarmi eccessivamente».

Dopo qualche istante di silenzioAtala proseguì in questo modo:

«Il mio triste destino è iniziato quasi prima che vedessi la luce. Miamadre mi aveva

concepito nella sofferenza; avevo messo alla prova il suo senoe mi mise almondo con grande

strazio di viscere: temettero per la mia vita. Per salvarmimia madre feceun voto: promise alla

Regina degli Angeli che le avrei consacrata la mia verginitàse fossiscampata alla morte... Voto

fatale che mi precipita nella tomba!

«Quando compii sedici annipersi mia madre. Poche ore prima di moriremichiamò ai piedi

del suo letto. «Figlia mia»mi dissealla presenza di un missionario checonsolava i suoi ultimi

istanti«figlia miatu conosci il voto che ho fatto per te. Vorrestismentire tua madre? O mia Atala!

Ti lascio in un mondo che non è degno di possedere una cristianain mezzo aidolatri che

perseguitano il Dio di tuo padre e mioil Dio chedopo averti dato la vitacon un miracolo te l'ha

conservata. Ah! Cara bambinaaccettando il velo delle vergini non fai cherinunciare alle

preoccupazioni della capannae alle passioni funeste che hanno turbato ilseno di tua madre! Vieni

dunquemia amatavieni; giura su questa immagine della madre del Salvatoretra le mani di questo

santo prete e di tua madre che sta per spirareche non mi tradirai davantial cielo. Rifletti che mi

sono impegnata per teper salvarti la vitae che se non mantieni la miapromessa affonderai l'anima

di tua madre nei tormenti eterni».

«O madre! Perché parlasti così! O religioneche sei causa a un tempo deimiei mali e della

mia felicitàche mi perdi e che mi consoli! E tucaro e triste oggetto diuna passione che mi30

consuma fin nelle braccia della mortetu ora vedio Chactasciò che hafatto il rigore del nostro

destino!... Sciogliendomi in pianto e precipitandomi sul seno di mia madrepromisi tutto ciò che

volle farmi promettere. Il missionario pronunciò su di me le temibiliparolee mi diede lo scapolare

che mi lega per sempre. Mia madre mi minacciò della sua maledizione se maiavessi rotto i votie

dopo avermi raccomandato un inviolabile segreto verso i paganipersecutoridella mia religione

morìtenendomi abbracciata.

«Non conobbi subito il pericolo dei miei giuramenti. Piena d'ardoreveracristianafiera di

quel sangue spagnolo che mi scorre nelle venenon scorsi attorno a me cheuomini indegni di avere

la mia mano; mi congratulai con me stessa per non avere altro sposo che ilDio di mia madre. Poi ti

vidigiovane e bel prigionierola tua sorte mi commossenel rogo dellaforesta osai parlarti; allora

sentii tutto il peso dei miei voti».

Quando Atala finì di pronunciare quelle paroleiostringendo i pugni eguardando il

missionario con aria minacciosagridai: «Eccola dunque questa religione chemi avete tanto

vantato! Muoia il giuramento che mi porta via Atala! Muoia il Dio che vacontro la natura! Uomo

pretecosa sei venuto a fare in queste foreste?».

«Sono venuto per salvarti»disse il vecchio con voce terribile«perdomare le tue passioni e

impedirtio blasfemodi attirare su di te la collera celeste! Non ti èdifficilegiovaneappena

entrato nella vitalamentarti dei tuoi dolori! Dove sono i segni delle tuesofferenze? Dove sono le

ingiustizie che hai dovuto sopportare? Dove sono quelle virtù chesolepotrebbero darti qualche

diritto di lamentarti? Che servizio hai reso? Che bene hai fatto? Ah!Sventuratonon hai da offrirmi

che passionie oseresti accusare il cielo! Quandocome padre Aubryavraitrascorso trent'anni in

esilio sulle montagnetu sarai meno pronto a giudicare i disegni dellaProvvidenza; allora capirai

che non sai nullache non sei nullae che non esiste una punizione cosìdurané un male così

terribileche la carne corrotta non meriti di sopportare».

I lampi che uscivano dagli occhi del vecchiola barba che gli urtava ilpettoquelle parole

tuonantitutto lo rendeva simile a un Dio. Schiacciato dalla suamaestositàcaddi alle sue ginocchia

chiedendogli perdono per la mia collera. «Figlio mio»mi rispose con untono così dolce che il

rimorso mi penetrò nell'anima«figlio mionon è certo per me che ti horimproverato. Ahimè! Tu

hai ragionecaro ragazzo: sono venuto per fare ben poco in queste foresteeDio non ha servo più

indegno di me. Mafiglio mioil cieloil cieloecco ciò che non dobbiamomai accusare!

Perdonami se ti ho offesoma diamo ascolto a tua sorella. Forse c'èrimedionon smettiamo di

sperare. Chactasè una religione ben divina quella che ha fatto dellasperanza una virtù!».

«Giovane amico»continuò Atala«tu sei stato testimone della mia lottae tuttavia non ne

hai visto che una minima parte; ti nascondevo il resto. Nolo schiavo negroche bagna con il suo

sudore le sabbie ardenti della Florida è meno miserabile di quanto non losia stata Atala.

Spingendoti a fuggireeppure certa di morire se ti allontanavi da me; con iltimore di fuggire con te

nei desertie tuttavia anelando l'ombra dei boschi... Ah! Se non avessidovuto abbandonare che i

genitorigli amicila patria; se non fosse stata in gioco che la perdita(pur orribile) della mia anima!

Ma la tua ombrao madrela tua ombra era sempre làper rimproverarmi isuoi tormenti! Udivo i

tuoi lamentivedevo le fiamme dell'inferno che ti consumavano. Le mie nottierano aride e piene di

fantasmii miei giorni desolati; la rugiada della seracadendo sulla miapelle ardentesi asciugava;

socchiudevo le labbra alle brezzema le brezzelungi dal portarmi frescuras'infiammavano al mio

respiro. Quale tormento vederti continuamente accanto a melontano da tuttigli uominiin quelle

solitudini profondee sentire tra te e me una barriera invincibile! Passarela vita ai tuoi piedi

servirti come una schiavaprepararti il pasto e il giaciglio in qualcheangolo dimenticato

dell'universoquesta sarebbe stata la mia felicità suprema; quellafelicità era alla mia portatama

non potevo gioirne. Che progetti non ho sognato! Che sogno non è uscito daquesto cuore così

triste! A voltefissando il mio sguardo su tearrivavo a concepire desideritanto insensati quanto

colpevoli: avrei voluto essere la sola creatura vivente con te sulla terra;oppuresentendo che una

divinità mi fermava in quegli orribili trasportiavrei desideratol'annientamento di quella divinità

purchéstretta tra le tue bracciarotolassi d'abisso in abisso con lerovine di Dio e del mondo!31

Anche ora... lo confesserò? Anche ora che l'eternità sta per inghiottirmi evado a presentarmi

davanti al Giudice inesorabilenel momento in cuiper obbedire a mia madrevedo con gioia la

verginità che mi divora la vita; ebbene! Per una spaventosa contraddizionemi porto via il rimpianto

di non essere stata tua!».

«Figlia mia»l'interruppe il missionario«tu sei sconvolta dal dolore.Questo eccesso di

passione a cui ti abbandoniraramente è giustonon è neppure naturale; eciò lo rende meno

colpevole agli occhi di Dioperché si tratta più di un errore della menteche di un vizio del cuore.

Bisogna dunque allontanare da te questi furoriche non sono degni della tuainnocenza. Ma d'altra

partecara fanciullala tua impetuosa immaginazione ti ha troppo allarmatoriguardo ai voti che hai

fatto. La religione non esige affatto un sacrificio disumano. I suoiautentici sentimentila

temperanza delle sue virtùsono ben al di sopra dei sentimenti esaltati edelle forzate virtù di un

preteso eroismo. Se tu avessi cedutoebbenepovera pecorella smarritailbuon Pastore ti avrebbe

cercataper ricondurti nel gregge. Ti si sarebbero schiusi i tesori delpentimento: agli occhi degli

uomini sono necessari torrenti di sangue per cancellare le nostre colpema aDio basta una sola

lacrima. Rinfrancati dunquemia cara figliala tua situazione esige un po'di calma; rivolgiamoci a

Dioche guarisce tutte le piaghe dei suoi servitori. Secome speroè suavolontà che tu sfugga alla

malattiascriverò al vescovo di Québec; egli ha il potere necessario perscioglierti dai tuoi votiche

sono voti semplicie potrai finire i tuoi giorni vicino a me con Chactastuo sposo».

Alle parole del vecchioAtala fu presa da una lunga convulsioneda cuiuscì solo con i segni

di un dolore spaventoso. «Come!»disse congiungendo appassionatamente lemani. «C'era un

rimedio! Potevo essere sciolta dai miei voti!». «Sìfiglia»rispose ilpadre«e ancora lo puoi». «È

troppo tardiè troppo tardi!»esclamò. «Devo morire proprio quandovengo a sapere che avrei

potuto essere felice! Avessi conosciuto prima questo santo vecchio! Comesarei felice oracon te

con Chactas cristiano... consolatarassicurata da questo prete augusto...nel deserto... per sempre...

oh! troppa felicità!». «Calmati»le dissiprendendo una mano dellasventurata. «Calmatiquella

felicità sarà nostra». «Mai! Mai!»disse Atala. «Perché?»domandai.«Tu non sai ancora tutto»

esclamò la vergine. «È stato ieri... durante la tempesta... Stavo perinfrangere i voti; avrei immerso

mia madre nelle fiamme dell'abisso; la sua maledizione era già su di me;mentivo ormai al Dio che

mi ha salvato la vita... Mentre baciavi le mie labbra tremantitu nonsapevinon sapevi di stringere

tra le braccia la morte!». «O cielo!»gridò il missionario. «Bambinamiacosa hai fatto?». «Un

criminepadre»disse Atalacon gli occhi stravolti«ma ero io aperdermimia madre era salva».

«Vai avanti dunque»esclamai impaurito. «Ebbene!» disse. «Avevoprevisto la mia debolezza;

lasciando le capanneavevo portato con me...». «Cosa?» la interruppi conorrore. «Un veleno!»

disse il padre. «Lo porto in seno»gridò Atala.

La torcia sfugge di mano al Solitarioio cado come morto accanto alla figliadi Lopezil

vecchio ci prende entrambi tra le bracciae tutti e trenell'ombraper unmomento mescoliamo i

nostri singhiozzi su quel letto funebre.

«Risvegliamocirisvegliamoci!»disse ben presto il coraggioso eremitaaccendendo una

lampada. «Perdiamo tempo prezioso: intrepidi cristianifronteggiamo gliassalti dell'avversità; la

corda al collola cenere sul capogettiamoci ai piedi dell'Altissimoperimplorare la sua clemenza

o per sottometterci ai suoi decreti. Forse siamo ancora in tempo. Figliaavresti dovuto avvertirmi

ieri sera».

«Ahimèpadre»disse Atala«la notte scorsa vi ho cercato; ma il cieloin punizione dei

miei peccativi ha allontanato da me. Ogni aiuto sarebbe stato comunqueinutileperché anche gli

Indianicosì abili in tutto ciò che riguarda i veleninon conosconorimedi per quello che ho preso.

O Chactaspensa al mio turbamento quando ho visto che il colpo non eraveloce come mi

attendevo! L'amore ha raddoppiato le mie forzela mia anima non ha saputosepararsi da te così in

fretta».

Non interruppi il racconto di Atala con singhiozzima con gli eccessi notisolo ai selvaggi.

Mi rotolai furiosamente a terratorcendomi le bracciadivorandomi le mani.Il vecchio pretecon la

sua meravigliosa dolcezzacorreva dal fratello alla sorellaprodigandocimille soccorsi. Con la32

calma del suo cuore e sotto il fardello degli anniegli sapeva come farsicapire dalla nostra

giovinezzae la religione gli suggeriva un tono più tenero e piùinfiammato delle nostre passioni

stesse. Quel preteche da quarant'anniogni giornos'immolava al serviziodi Dio e degli uomini su

quelle montagnenon ti ricorda forse gli olocausti d'Israeleche fumanoperpetuamente sulle alture

al cospetto del Signore?

Ahimè! Invano tentò di portare qualche rimedio ai mali di Atala. La faticail doloreil

veleno e una passione più mortale di qualsiasi velenosi erano uniti perrapire quel fiore alla

solitudine. Verso sera si manifestarono dei terribili sintomi; un generaletorpore s'impossessò delle

membra di Atalae le estremità del suo corpo iniziarono a raffreddarsi:«Toccami le dita»mi

diceva«non le trovi già fredde?». Non sapevo cosa risponderemi sirizzavano i capelli dall'orrore;

quindi aggiungeva: «Ancora ierimio caroil tuo tocco mi faceva trasalireed ecco non sento più la

tua manonon odo quasi più la tua vocetutto attorno gli oggetti dellagrotta scompaiono. Non

cantano gli uccelli? Il sole sta per tramontare? Chactasi suoi raggisaranno bellissimi nel deserto

sulla mia tomba!».

Atalaaccorgendosi che quelle parole ci facevano scoppiare in lacrimecidisse:

«Perdonatemicari amicisono davvero debole; ma forse sto per diventarepiù forte. Eppuremorire

così giovaneimprovvisamentecon il cuore così pieno di vita! Maestro dipreghiereabbi pietà di

me; sostienimi. Pensi che mia madre sia contentae che Dio mi perdoni perquello che ho fatto?».

«Figlia mia»rispose il buon religiosoversando lacrime e asciugandolecon le sue dita

tremanti e mutilate«figlia miatutte le tue sventure provengono dalla tuaignoranza; sono la tua

educazione da selvaggia e la mancanza d'istruzione necessaria che ti hannopersa; tu non sapevi che

una cristiana non può disporre della propria vita. Consolatidunquepoverapecorella; Dio ti

perdonerà a causa della tua semplicità di cuore. Tua madre e l'imprudentemissionario che la

consigliavafurono più colpevoli di te; essi sono andati oltre i loropoteristrappandoti un voto

inopportuno; ma che la pace del Signore sia con loro. Tutti e tre voi offriteun terribile esempio dei

pericoli dell'entusiasmo e della mancanza di discernimento in materia direligione. Rassicurati

bambina mia; colui che sonda le reni e i cuori vi giudicherà dalle vostreintenzioniche erano pure

e non dall'azioneche è da condannare.

«Quanto poi alla vitase è giunto il momento di addormentarti nel Signoreah! figlia mia

perdi davvero poca cosaperdendo questo mondo! Malgrado la solitudine in cuihai vissutotu hai

conosciuto il dolore; ma cosa penseresti se tu fossi stata testimone dei malidella societàse

giungendo sulle rive d'Europa il tuo orecchio fosse stato colpito dal lungogrido di dolore che si alza

da quella vecchia terra? Tutti gemono quaggiùchi vive nelle capanne e chivive nei palazzi; si sono

viste piangere regine come semplici donnee ci si è stupiti di quantelacrime contengano gli occhi

dei re!

«È l'amore che rimpiangi? Figlia miasarebbe come piangere per un sogno.Conosci forse il

cuore dell'uomoe sapresti contare le incostanze del suo desiderio? Sarebbepiù facile calcolare il

numero delle onde che scorrono nel mare in tempesta. Atalai sacrificiglialtruisminon sono

legami eterni: forse un giorno con la sazietà sarebbe arrivato il disgustoil passato non avrebbe

contato più nullae non avreste scorto che gli inconvenienti di una poverae disprezzabile unione.

Non c'è dubbiofiglia miache gli amori più belli furono quelli tral'uomo e la donna usciti dalla

mano del Creatore. Per loro era stato preparato un paradisoessi eranoinnocenti e immortali.

Perfetti nell'anima e nel corposi corrispondevano in tutto: Eva era statacreata per Adamoe

Adamo per Eva. Se ciò nondimeno non hanno saputo conservarsi in quello statodi felicitàquale

coppia vi riuscirà dopo di loro? Non voglio parlarti dei matrimoni dei primiuominidi quelle unioni

ineffabiliquando la sorella andava sposa al fratelloquando amore eamicizia fraterna si

confondevano nello stesso cuoree la purezza di uno accresceva le deliziedell'altro. Tutte queste

unioni sono state turbate; sull'altare d'erba dove s'immolava il capretto èscivolata la gelosia e ha

regnato fin sotto la tenda d'Abramoe anche nei talami dove i patriarchiprendevano tanto piacere

da dimenticare la morte delle loro madri.33

«Ti saresti dunque illusafiglia miad'essere più innocente e più felicenei tuoi legami di

quelle sante famiglie da cui Gesù Cristo ha voluto discendere? Ti risparmioi dettagli delle

preoccupazioni della vita domesticale disputei rimproveri reciprocileinquietudini e tutte quelle

pene segrete che vegliano sul guanciale del letto coniugale. La donnaognivolta che diventa madre

rinnova il suo doloree si sposa piangendo. E quanti dolori per la solaperdita di un neonato a cui si

dava il lattee che muore sul tuo seno! La montagna è stata piena digemiti; niente poteva consolare

Racheleperché i suoi figli non c'erano più. Queste tristezze radicatenegli affetti umani sono così

forti che ho visto nella mia patria delle gran dameamate dai reabbandonare la corte per seppellirsi

nei chiostri e mutilare la carne in rivoltai cui piaceri non sono chedolori.

«Ma forse dirai che questi ultimi esempi non ti riguardano; che la tuaambizione si riduceva

a voler vivere in un'oscura capanna con l'uomo che avevi scelto; che cercavimeno le dolcezze del

matrimonio che le seduzioni di quella follia che la gioventù chiama amore?Illusionechimera

vanitàsogno di un'immaginazione ferita! Anch'iofiglia miaho conosciutoi turbamenti del cuore:

questa testa non è sempre stata calvané questo seno calmo come vi appareoggi. Abbiate fede nella

mia esperienza: se l'uomocostante nei suoi affettipotesse continuamentesoddisfare un sentimento

continuamente rinnovatosolitudine e amore lo renderebbero senz'altro similea Dio; perché questi

sono i due eterni piaceri del grande Essere. Ma l'animo umano si stancaemai ama pienamente e a

lungo lo stesso oggetto. C'è sempre qualche punto dove due cuori non sitoccanoe quei punti col

passar del tempo sono sufficienti per rendere insopportabile la vita.

«Infinefiglia caragli uomininel loro sogno di felicitàhanno ilgrande torto di dimenticare

l'infermità della morte che è connessa alla loro natura: la fine ènecessaria. Presto o tardiquale che

fosse la vostra felicitàil bel viso si sarebbe mutato nell'aspettouniforme che il sepolcro dà alla

famiglia d'Adamo; neppure l'occhio di Chactas avrebbe potuto riconoscerti trale tue sorelle di

tomba. Il dominio d'amore non si estende sui vermi della bara. Ma che dico?(O vanità delle vanità!)

Cosa raccontare del potere delle amicizie terrene? Vuoi conoscernefigliacaral'estensione? Se un

uomo tornasse alla luce qualche anno dopo la sua mortedubito che lorivedrebbero con gioia

persino quelli che più hanno sparso lacrime sul suo ricordo: cosìrapidamente si formano nuovi

legamicosì facilmente si prendono altre abitudinitanto è connaturataall'uomo l'incostanzatanto

poco vale la nostra vita anche nel cuore dei nostri amici!

«Ringrazia dunque la Bontà divinafiglia carache ti sottrae cosìrapidamente a questa valle

di miseria. Già le bianche vesti e l'abbagliante corona delle vergini sipreparano per te sulle nuvole;

sento già la Regina degli Angeli che ti grida: «Vienidegna servavienimia colombavieni a sederti

sul trono immacolatotra tutte queste fanciulle che hanno sacrificatobellezza e gioventù al servizio

dell'umanitàall'educazione dei bambini e ai capolavori della penitenza.Vienirosa misticaa

riposarti in seno a Gesù Cristo. Questa baraquesto letto nuziale che tisei sceltanon sarà delusoe

gli abbracci del tuo sposo celeste non finiranno mai!»».

Come l'ultimo raggio del giorno attenua i venti e diffonde la calma in cielocosì le tranquille

parole del vecchio acquietarono le passioni in seno alla mia amata. Nonsembrò più preoccupata che

del mio dolore e di come farmi sopportare la sua perdita. A volte mi dicevache sarebbe morta felice

se le avessi promesso di asciugare le mie lacrime; a volte mi parlava di miamadredella patria;

cercava di distrarmi dal dolore presente risvegliando in me un dolorepassato. Mi esortava alla

pazienzaalla virtù.

«Non sarai infelice per sempre»mi diceva«se oggi il cielo ti mettealla provaè solo per

renderti più compassionevole verso i mali degli altri. Il cuoreo Chactasè come quegli alberi che

danno il loro balsamo per le ferite degli uomini solo quando sono statiferiti a loro volta dal ferro».

Dopo aver parlato in questo modosi voltava verso il missionariocercandoda lui quel

sollievo che mi aveva comunicatoe di volta in volta consolatrice econsolatasul letto di morte

dava e riceveva la parola di vita.

Intanto l'eremita raddoppiava il suo zelo. Al fuoco della carità le suevecchie ossa si erano

rianimatee sempre apprestava rimediriaccendendo il fuocoriassettando ilgiaciglioe teneva

ammirevoli discorsi su Dio e sulla felicità dei giusti. Con in mano lafiaccola della religioneegli34

sembrava precedere Atala nella tombaper mostrarne le segrete meraviglie. Lamaestosità di quel

trapasso cristiano riempiva l'umile grottae certo gli spiriti celestiseguivano con attenzione quella

scenadove la religione lottava da sola contro l'amorela giovinezza e lamorte.

Quella religione divina trionfavaci accorgevamo della sua vittoria da unasanta tristezza che

prendeva il postonei nostri cuoriai primi trasporti delle passioni. Versometà della nottesembrò

che Atala si rianimasse per ripetere le preghiere che il religioso recitavaai bordi del suo giaciglio.

Poco dopoella mi allungò una mano e con voce appena udibilemi disse:«Figlio di Outalissiti

ricordi di quella prima nottequando mi scambiasti per la Vergine degliultimi amori? Singolare

presagio del nostro destino!». Si fermòpoi riprese: «Quando penso che tilascio per sempre il mio

cuore fa un tale sforzo per tornare a vivereche mi sento quasi capace direndermi immortale a forza

d'amore. Mao mio Diosia fatta la tua volontà!». Per qualche istanteAtala tacquequindi

aggiunse: «Non mi resta che chiederti perdono per i mali che ti ho causato.Ti ho molto tormentato

con il mio orgoglio e con i miei capricci. Chactasun po' di terra gettatasul mio corpo metterà un

mondo intero tra te e mee ti libererà per sempre dal peso delle miedisgrazie».

«Perdonarti?»risposi soffocato dalle lacrime. «Non sono forse io lacausa delle tue

sventure?». «Amico mio»disseinterrompendomi«tu mi hai reso moltofelicee se dovessi

ricominciare a viverepreferirei ancora la felicità di averti amato qualcheistante in un esilio

sfortunatoa tutta una vita di quiete nella mia patria».

Qui la voce di Atala si spense; attorno agli occhi e alla bocca le siadunarono le ombre della

morte; le dita vagavanocercando di toccare qualcosa; parlava a vocebassissima con spiriti

invisibili. In brevefacendo uno sforzotentòma invanodi staccarsi dalcollo il piccolo crocifisso;

mi pregò di scioglierlo io stessoe mi disse:

«Quando ti parlai per la prima voltatu vedesti al bagliore del fuocobrillare questa croce sul

mio seno; è il solo bene posseduto da Atala. Lopeztuo e mio padreloinviò a mia madre pochi

giorni dopo la mia nascita. Ricevi dunque da me questa ereditàfratellomioconservalo in ricordo

delle mie sventure. Nei dolori della tua vita ricorrerai al Dio deglisventurati. Chactasho un'ultima

preghiera da farti. Amicola nostra unione sarà stata breve sulla terramadopo questa vita ce n'è

una più lunga. Sarebbe spaventoso essere separata da te per sempre! Oggi ionon faccio che

precedertivado ad aspettarti nel regno celeste. Se mi hai amatafattiistruire nella religione

cristianache preparerà il nostro ricongiungimento. Proprio sotto i tuoiocchi questa religione sta

compiendo un grande miracolopoiché mi rende capace di abbandonarti senzamorire nelle angosce

della disperazione. Nel frattempoChactasnon voglio da te che una semplicepromessaso bene

quanto costa un giuramento per domandartelo. Forse questo voto ti separeràda qualche donna più

fortunata di me... O madre miaperdona tua figlia. O Verginetrattenete ilvostro corruccio. Ricado

nelle mie debolezzeti sottraggomio Diopensieri che non dovrebberoessere che per te!».

Straziato dal dolorepromisi a Atala che un giorno avrei abbracciato lareligione cristiana. A

questo spettacoloil Solitarioalzandosi con aria ispiratae tendendo lebraccia verso la volta della

grottaesclamò: «È tempoè tempo d'invocare Dio in questo luogo!».

Appena ebbe pronunciate queste paroleuna forza soprannaturale mi costringea cadere in

ginocchioe mi piega la testa ai piedi del letto di Atala. Il prete apre unluogo segreto dove teneva

rinchiusa un'urna d'orocoperta da un velo di seta; egli si prosterna inprofonda adorazione.

Improvvisamente la grotta parve illuminata; si udivano nell'aria le paroledegli angeli e i fremiti

delle arpe celesti; e quando il Solitario estrasse il vaso sacro daltabernacolocredetti di vedere Dio

stesso uscire dal fianco della montagna.

Il prete scoperchiò il calice; prese tra le dita un'ostia bianca come laneve e si avvicinò a

Atalapronunciando parole misteriose. La santa aveva gli occhi levati alcieloin estasi. Tutti i suoi

dolori parvero sospesitutta la vita le si raccolse sulla bocca; le labbrasi schiusero e cercarono

rispettosamente quel Dio nascosto sotto il pane mistico. Quindiquel vecchiodivino intinge un po'

di cotone nell'olio consacrato; ne sfrega le tempie di Atalaguarda per unistante la giovane

moribondae all'improvviso gli sfuggono queste forti parole: «Partianimacristiana: va' a

ricongiungerti al tuo Creatore!». Rialzando allora il mio capo chinoguardando il vaso dove c'era35

l'olio santoesclamai: «Padre mioquesto rimedio renderà la vita aAtala?». «Sìfiglio»disse il

vecchio cadendomi tra le braccia«una vita eterna!». Atala era spirata.

A questo puntoper la seconda volta dall'inizio del raccontoChactas fucostretto a

interrompersi. Era inondato dalle lacrimee la voce non lasciava sfuggireche parole smozzicate. Il

Sachem cieco si scoprì il petto e ne estrasse il crocifisso di Atala.

«Eccolo»gridò«il pegno dell'avversità! O Renéfiglio miotu lovedi; ma ioio non posso

più vederlo! Dimmi se dopo tanti anni l'oro si è alterato. Non vi scorgi latraccia delle mie lacrime?

Sapresti riconoscere il luogo che una santa ha toccato con le sue labbra?Perché Chactas non è

ancora cristiano? Quali frivole ragioni di politica e di patriottismo l'hannofin qui trattenuto negli

errori dei padri? Nonon voglio tardare più a lungo. La terra mi grida:«Quando scenderai nella

tombae cosa aspetti ad abbracciare una religione divina?». O terranonattenderai a lungo: appena

un prete avrà ringiovanito nell'acqua questa testa bianca per i dolorispero di riunirmi a Atala. Ma

concludiamo ciò che ancora rimane da raccontare della mia storia».

I funerali

Non cercheròo Renédi descriverti oggi la disperazione che afferrò lamia anima quando

Atala ebbe reso l'ultimo respiro. Bisognerebbe avere più calore di quanto mene resti; bisognerebbe

che i miei occhi chiusi potessero riaprirsi al soleper chiedergli contodelle lacrime versate alla sua

luce. Sìla luna che ora brilla sulle nostre teste si stancherà dirischiarare le distese solitarie del

Kentucky; sìil fiume che ora trasporta le nostre piroghesospenderà ilcorso delle sue acque prima

che le mie lacrime smettano di scorrere per Atala! Per due interi giornirimasi insensibile ai discorsi

dell'eremita. Tentando di calmare le mie penequell'uomo eccellente non siserviva certo di vane

ragioni terrenesi limitava a dirmi: «Figlioloè la volontà di Dio»emi stringeva tra le braccia. Mai

avrei creduto che in quelle poche parole di cristiana rassegnazione ci fossetanta consolazionese io

stesso non lo avessi provato.

La tenerezzal'umiltàl'inalterabile pazienza di quel vecchio servitore diDioebbero infine

ragione del mio ostinato dolore. Provai vergogna delle lacrime che gli facevoversare. «Padre»gli

dissi«ora basta: che le passioni di un giovane non turbino più la pacedei tuoi giorni. Lasciami

portar via le spoglie della mia sposa; le seppellirò in qualche angolo deldesertoe se ancora sarò

condannato a viverecercherò di essere degno di quelle nozze eterne che misono state promesse da

Atala».

A quell'insperato ritorno di coraggioil buon padre trasalì di gioiaesclamò: «O sangue di

Gesù Cristosangue del mio divino maestroin questo riconosco i tuoimeriti! Tu salverai

sicuramente questo giovane. Dio mio completa la tua opera. Rendi la pace aun'anima turbatae non

lasciarle che l'umile e utile ricordo delle sue sventure».

Quel giusto rifiutò di abbandonarmi il corpo della figlia di Lopezma mipropose di far

venire i suoi neofiti per seppellirla con ogni fasto cristiano; a mia voltarifiutai. «Le disgrazie e le

virtù di Atala»gli dissi«sono state sconosciute agli uomini; che lasua tombascavata

furtivamente dalle nostre manipartecipi di quella oscurità!». Decidemmodi partire il giorno

successivo al levar del sole per seppellire Atala sotto l'arco del pontenaturaleall'entrata dei

Boschetti della morte. Decidemmo anche di passare la notte in preghierapresso il corpo della santa.

Verso sera trasportammo le sue preziose spoglie a un'imboccatura della grottache dava a

nord. L'eremita le aveva avvolte in una specie di lino europeotessuto dallamadre: era l'unica cosa

che gli restava della patriae da molto tempo l'aveva destinato alla propriatomba. Atala era distesa

su un prato di sensitive di montagna; i piedila testale spalle e untratto di seno erano scoperti. Tra

i capelli era visibile un fiore di magnolia appassito... lo stesso che ioavevo deposto sul suo letto di

vergineper renderla feconda. Le labbra languide sembravano sorridere comeun bocciolo di rosa36

colto da due mattine. Sulle sue guance di un bianco luminoso si distinguevaqualche vena azzurra. I

suoi occhi erano chiusii piedi modesti erano giuntie le mani d'alabastrole premevano sul cuore

un crocifisso d'ebano; lo scapolare dei suoi voti le stava attorno al collo.Sembrava che l'angelo

della malinconia le avesse fatto un incantesimo con il doppio sonnodell'innocenza e della tomba.

Non ho visto nulla di più celestiale. Chiunque avesse ignorato che lagiovane aveva goduto della

luceavrebbe potuto prenderla per la statua della Verginità addormentata.

Il religioso non smise di pregare per tutta la notte. Io ero seduto insilenzio a capo del letto

funebre della mia Atala. Quante voltementre dormivaavevo tenuto sulleginocchia la sua bella

testa! Quante volte mi ero chinato su leiper udire e per respirare il suorespiro! Ma oranessun

rumore usciva da quel seno immobilee invano attendevo il risveglio dellabellezza!

La luna prestò a quella veglia funebre la sua pallida fiaccola. Si levò ametà della notte

come una bianca vestale che vada a piangere sulla bara dell'amica. In brevesparse nei boschi quel

grande segreto della malinconia che ama raccontare alle vecchie querce e alleantiche rive dei mari.

Di quando in quandoil religioso immergeva un ramoscello fiorito nell'acquaconsacratapoi

scuotendo il ramo umidoprofumava la notte con i balsami del cielo. A volteripeteva su un'aria

antica i versi di un vecchio poeta di nome Giobbediceva:

Sono passato come un fiore; sono avvizzito

come l'erba dei campi.

Perché è stata data la luce a un miserabile

e la vita a quelli che hanno l'amarezza nel cuore?

Così cantava quell'uomo antico. La sua voce grave e un po' cantilenante siperdeva nel

silenzio dei deserti. I nomi di Dio e della tomba uscivano da tutti gli echida tutti i torrentida tutte

le foreste. La colomba della Virginia che tubavala caduta di un torrentenella montagnai rintocchi

della campana che chiamava i viaggiatorisi univano a quei canti funebriedera come ascoltare nei

Boschetti della morte il coro lontano dei defunti che rispondevano alla vocedel Solitario.

Nel frattempo una lingua d'oro si formò ad oriente. Sulle rocce glisparvieri gridavanoe le

martore rientravano nelle cavità degli olmi: era il segnale del corteo diAtala. Mi caricai il corpo

sulle spalle; l'eremita camminava davanti a mecon un badile in mano.Cominciammo a scendere di

roccia in roccia; vecchiaia e morte insieme rallentavano i nostri passi. Allavista del cane che ci

aveva trovati nella forestae che orasaltellando per la gioiaci indicavaun'altra stradascoppiai in

lacrime. Spesso i lunghi capelli di Atalatrastullo per le brezze delmattinostendevano sui miei

occhi il loro velo d'oro; spessopiegato sotto quel pesoero costretto adeporlo sul muschioe a

sedermi accanto per riprendere le forze. Alla fine raggiungemmo il luogoindicato dal mio dolore;

scendemmo sotto l'arco del ponte. Figlio mioavresti dovuto vedere ilgiovane selvaggio e il

vecchio eremitauno di fronte all'altroin ginocchio nel desertomentrescavavano con le loro mani

una tomba per la povera fanciulla il cui corpo era disteso lì vicinonelgreto asciutto di un torrente!

Quando il nostro lavoro fu terminatotrasportammo la bellezza nel suo lettod'argilla.

Ahimèben altro giaciglio avevo sperato di preparare per lei! Presi alloraun po' di polvere nella

manoe serbando quel terribile silenzioposai per l'ultima volta i mieiocchi sul viso di Atala.

Quindi sparsi la terra del sonno su quella fronte di diciotto primavere; vidipoco a poco scomparire i

lineamenti della sorellala sua grazia nascondersi dietro la cortinadell'eternità; il seno spuntò per

un po' dalla terra anneritacome un giglio bianco che s'innalza sulla scuraargilla: «Lopez»gridai

allora«guarda tuo figlio che seppellisce tua figlia!». E terminai dicoprire Atala con la terra del

sonno.

Tornammo alla grottae misi al corrente il missionario del mio progetto distabilirmi presso

di lui. Il santoche conosceva perfettamente il cuore dell'uomomise a nudoi miei pensieri e le

astuzie del dolore. Mi disse: «Chactasfiglio di Outalissifinché Atalaera in vitaio stesso ti ho

sollecitato a rimanere con me; ma ora la tua sorte è mutata: sei in obbligocon la patria. Credimi37

figlio mionessun dolore è eterno; prima o poi finisceperché il cuoredell'uomo è finito; è una delle

nostre grandi miserie: non siamo neppure capaci di essere troppo a lungoinfelici. Fai ritorno al

Meschacebé: vai a consolare tua madreche piange tutti i giornie che habisogno del tuo sostegno.

Fatti istruire nella religione della tua Atalaappena ne avrai occasioneericordati che le hai

promesso di essere un cristiano virtuoso. Quanto a meveglierò sulla suatomba. Partifiglio mio.

Diol'anima della sorellae il cuore del tuo vecchio amico saranno conte».

Così parlò l'uomo delle rocce; la sua autorità era troppo grandela suasaggezza troppo

profondaperché io non gli obbedissi. Il giorno successivo lasciai il miovenerabile ospite che

stringendomi al cuoremi diede gli ultimi consiglil'ultima benedizione ele sue ultime lacrime.

Passai dalla tomba; fui sorpreso di trovarvi una piccola croce che si ergevaal di sopra della morte

come quando si può ancora scorgere l'albero di un vascello che stanaufragando. Pensai che il

Solitario fosse venutodurante la nottea pregare sulla tomba; quel segnod'amicizia e di religiosità

mi fece scorrere abbondanti lacrime. Fui tentato di scoprire la fossa pervedere ancora una volta la

mia amata; mi trattenne un religioso timore. Mi sedetti sulla terra smossa difresco. Con un gomito

sulle ginocchiae la testa sulla manorimasi avvolto nelle fantasticheriepiù amare. O Renélàper

la prima voltafeci serie riflessioni sulla vanità dei nostri giorniesulla ancor più grande vanità dei

nostri progetti! Ah! Ragazzo miochi non le ha fatte queste riflessioni!Sono solo un vecchio cervo

bianco d'inverni; i miei anni fanno a gara con quelli della cornacchia:ebbenemalgrado tanti giorni

che si sono accumulati sul mio capomalgrado una così lunga esperienza divitanon ho ancora

incontrato un uomo che non sia stato ingannato nei suoi sogni di felicitàneppure un cuore che non

nasconda una piaga nascosta. Il cuore in apparenza più sereno assomiglia alpozzo naturale della

savana di Alachua: la superficie sembra calma e purama se guardi in fondoal bacino vi scorgi il

largo coccodrilloche il pozzo nutre con le sue acque.

Dopo aver assistito al levarsi e al tramontare del sole su quel luogo didoloreil giorno

seguenteal primo grido della cicognami apprestai a lasciare la sacrasepoltura. Me ne partii come

da un confineda dove volevo lanciarmi nel cammino della virtù. Tre volteinvocai l'anima di Atala;

tre volte il Genio del deserto rispose alle mie grida da sotto l'arcofunebre. M'inchinai quindi verso

orientee in lontananzasui sentieri della montagnavidi l'eremita che sirecava nella capanna di

qualche ammalato. Cadendo in ginocchioavvinghiato alla fossagridai:«Dormi in pace in questa

terra stranierafanciulla troppo sfortunata! Come ricompensa per il tuoamoreper l'esilio e per la

morteanche Chactas sta per abbandonarti!». Solo alloraversando fiotti dilacrimemi separai dalla

figlia di Lopezsolo allora mi strappai da quei luoghilasciando ai piedidel monumento della

naturaun monumento più augusto: l'umile tomba della virtù.

EPILOGO

Questo è il racconto fatto da Chactasfiglio di Outalissiil NatchéaRenél'Europeo. I padri

l'hanno ripetuto ai figlie ioviaggiatore in terre lontaneho fedelmenteriportato quanto ho appreso

dagli Indiani. Vedo in questo racconto l'immagine di un popolo cacciatore econtadinoe la

religioneprima legislatrice degli uomini; i pericoli dell'ignoranza edell'entusiasmo religioso

opposti alla ragionealla carità e all'autentico spirito dei Vangeli; icombattimenti delle passioni e

delle virtù in un cuore semplicee infine il trionfo del Cristianesimo sulpiù focoso dei sentimenti e

sulla più terribile delle paurel'amore e la morte.

Quando un Seminole mi raccontò quella storiala trovai molto istruttiva ebellissimaperché

vi mise il fiore del desertola grazia della capannae una semplicità nelraccontare il dolore che non

posso vantarmi di aver conservato. Ma mi rimaneva una cosa da sapere. Chiesicosa ne fosse stato38

del padre Aubryma nessuno me lo sapeva dire. Lo avrei ignorato per semprese la Provvidenza

che tutto dirigenon mi avesse svelato quanto cercavo. Ecco cosa accadde:

Avevo percorso le rive del Meschacebéche un tempo costituivano il confinemeridionale

della Nuova Franciaed ero curioso di vedere a nord l'altra meraviglia diquel dominiola cascata

del Niagara. Ero arrivato vicinissimo al saltonell'antico paese degliAgonnonsioniquando un

mattinoattraversando una raduravidi una donna seduta sotto un alberocheteneva sulle ginocchia

un bambino morto. Mi avvicinai adagio alla giovane madree udii che diceva:

«Se tu fossi rimasto con noicaro figliocon quanta grazia la tua mano nonavrebbe teso

l'arco! Il tuo braccio avrebbe domato la furia dell'orso; e in cima allamontagna le tue gambe

avrebbero sfidato alla corsa il capriolo. Bianco ermellino della rocciaandare così giovane nel paese

delle anime! Come farai a viverci? Non ci sarà tuo padre a nutrirti con ilfrutto della sua caccia.

Avrai freddoma nessuno spirito ti darà pelli per coprirti. Oh! Bisogna chemi affretti a

raggiungertiper cantarti le canzoniper porgerti il seno».

E la giovane madreche cantava con voce tremantecullava il suo bambinosulle ginocchia

gli inumidiva le labbra con il latte maternoprodigando alla morte quellecure che si riservano alla

vita.

La donna voleva far seccare il corpo del figlio sui rami di un alberosecondo l'usanza

indianacosì da poterlo poi condurre nelle tombe dei padri. Spogliò dunqueil neonatoe dopo aver

respirato per qualche istante sulla sua boccadisse: «Anima di mio figlioanima bellaun giorno tuo

padre ti creò sulle mie labbra con un bacio; ahimèle mie labbra non hannoil potere di darti una

seconda nascita!». Quindi si scoprì il seno e abbracciò quelle spogliegelideche certo si sarebbero

rianimate al fuoco del cuore maternose Dio non avesse riservato a se stessoil soffio che dà la vita.

La donna si alzòe cercò con lo sguardo un albero sui rami del quale poteresporre il figlio.

Scelse un acero dai fiori rossiinghirlandato d'appioche emanava i piùsoavi profumi. Abbassò con

una mano i rami inferiorie con l'altra vi sistemò il corpo; lasciando poila presa sul ramoil ramo

tornò alla sua posizione naturaleportandosi dietro la spogliadell'innocenza nascosta nel fogliame

odoroso. Oh! Com'è commovente questa usanza indiana! Vi ho visti nellevostre desolate

campagnepomposi monumenti dei Crasso e dei Cesarima a voi preferiscoancora le aeree tombe

del selvaggioquesti mausolei di fiori e verzure che l'ape profumacullatida zefiroe dove

l'usignolo costruisce il nidolasciando udire il suo melodioso lamento. Sepoi sono le spoglie di una

fanciulla ad essere sospese dalla mano dell'amante all'albero della morte; sesono i resti del caro

figlioche la madre ha messo nella dimora degli uccellinil'incantoraddoppia. Mi avvicinai alla

donna che gemeva ai piedi dell'acero; le imposi le mani sul capolanciandole tre grida di dolore.

Poisenza parlarleprendendo come aveva fatto lei un ramoscostai gliinsetti che ronzavano

attorno al corpo del bambino. Ma feci attenzione a non spaventare una colombache era lì vicino.

L'Indiana le diceva: «Colombase non sei l'anima di mio figlio che èvolata viatu sei certo una

madre in cerca di qualcosa per fare un nido. Prendi questi capelli che nonlaverò più nell'acqua di

giunco; prendine per mettere a letto i tuoi piccoli: voglia il grande Spiritoconservarteli!».

Intanto la madre piangeva di gioia vedendo la gentilezza dello straniero.Mentre eravamo

intenti a fare ciòsi avvicinò un giovane e disse: «Figlia di Célutariprendi nostro figlionon ci

fermeremo più a lungo in questo luogopartiremo al primo sole». Allora iodissi: «Fratelloti

auguro un cielo azzurromolti caprioliun mantello di castoro e lasperanza. Non sei dunque di

questo deserto?». «No»rispose il giovane«siamo in esilioallaricerca di una patria». Così

dicendoil guerriero abbassò la testa sul pettoe con la cima dell'arcocolpiva la sommità dei fiori.

Capii che in fondo a quella storia c'erano delle lacrimee tacqui. La donnariprese il figlio dai rami

dell'alberoe lo diede da portare allo sposo. Allora dissi: «Permettete chequesta notte vi accenda il

fuoco?». «Non abbiamo una capanna»continuò il guerriero. «Se vuoiseguircici accamperemo ai

bordi della cascata». «Lo voglio senz'altro»risposie partimmo insieme.

In breve arrivammo sulle rive della caterattache si annunciava con unospaventoso

muggito. Essa è formata dal fiume Niagarache esce dal lago Erie e si gettanel lago Ontario;

l'altezza a perpendicolo è di centoquarantaquattro piedi. Dal lago Erie finoal salto il fiume vi39

accorre con una china rapidae al momento della caduta è più un mare cheun fiumei cui torrenti si

affrettano verso la bocca spalancata di un abisso. La cateratta si divide indue ramicurvandosi a

ferro di cavallo. Tra le due cascate si spinge un'isola scavata al di sottoche si affaccia con tutti i

suoi alberi su quel caos di onde. La massa del fiume che si precipita amezzogiorno si arrotonda in

un vasto cilindropoi si srotola in una coltre nevosaluccicando al sole inuna miriade di colori.

Quella che cade a levante scende in un'ombra spaventosa; la si direbbe lacolonna d'acqua del

diluvio. Mille arcobaleni si curvano e s'incrociano sull'abisso. L'acquacolpendo la roccia tremante

zampilla in turbini di schiuma che si alzano sopra le forestecome il fumodi un vasto braciere. Pini

noci selvaticirocce tagliate in forma di fantasmiaddobbano la scena.Aquile trascinate dalla

corrente d'aria scendono volteggiando nel fondo dell'abisso; i tassi sisospendono con le loro code

flessibili alla cima di un ramo abbassatoper afferrare nell'abisso icadaveri straziati dalle rapide e

dagli orsi.

Mentrecon un piacere vicino al terrorecontemplavo quello spettacolol'Indiana e il suo

sposo mi abbandonarono. Li cercairisalendo il fiume a monte della cascatae ben presto li trovai in

un angolo adatto al loro cordoglio. Erano stesi sull'erba con dei vecchiaccanto ad alcune ossa

umane avvolte in pelli d'animali. Meravigliato per tutto ciò che vedevo daqualche orami sedetti

accanto alla giovane madree le dissi: «Sorellacosa significa tuttociò?». Mi rispose: «È la terra

della patriafratello; sono le ceneri dei nostri aviche ci seguononell'esilio». «Ma come avete

potuto ridurvi in una simile disgrazia?»esclamai. La figlia di Célutacontinuò: «Noi siamo quanto

rimane dei Natchez. Dopo il massacro che compirono i Francesi ai danni dellanostra nazione per

vendicare i loro fratelliquelli di noi che sfuggirono ai vincitoritrovarono asilo presso i Chikassas

nostri vicini. Molto a lungo vi abitammo in pace; ma sette lune or sono ibianchi della Virginia si

sono impadroniti delle nostre terredicendo che erano state loro donate daun re europeo. Abbiamo

alzato gli occhi al cielo ecaricati i resti dei nostri aviabbiamo ripresoil cammino attraverso il

deserto. Durante il viaggio io ho partorito; e poiché il mio lattea causadel doloreera cattivoha

fatto morire il bambino». Così dicendola giovane madre si asciugò gliocchi con i capelli; anch'io

piangevo.

In breve le dissi: «Sorellaadoriamo il grande Spiritotutto accade pervolontà sua. Siamo

tutti viandanti; i nostri padri lo erano come noi; ma c'è un luogo dove ciriposeremo. Se non temessi

di avere la lingua leggera come quella di un biancovi chiederei se avetesentito parlare di Chactas

il Natché». A queste parolel'Indiana mi guardò e disse: «Chi ti haparlato di Chactasil Natché?».

«La saggezza»risposi. L'Indiana continuò: «Ti dirò ciò che sodalmomento che tu hai allontanato

le mosche dal corpo di mio figlioe hai detto belle parole sul grandeSpirito. Io sono la figlia della

figlia di Renél'Europeoche Chactas aveva adottato. Chactasche avevaricevuto il battesimoe

Renéil mio sventurato progenitoresono periti nel massacro». «L'uomonon fa che andare di dolore

in dolore»risposi inchinandomi. «Potresti darmi notizie di padreAubry?». «Non è stato più

fortunato di Chactas»disse l'Indiana. «I Cherochesinemici dei Francesipenetrarono nella sua

missione; vi arrivarono condotti dal suono della campana che veniva suonataper soccorrere i

viaggiatori. Padre Aubry poteva salvarsima non volle abbandonare i suoifiglie rimase per dar

loro il coraggio di morirecon il suo esempio. Fu bruciato in mezzo a granditorture; ma non gli

estorsero un solo grido che potesse suonare ingiurioso verso il suo Dioodisonorante per la sua

patria. Durante il supplizio non smise di pregare per i suoi carnefici e dicompatire la sorte delle

vittime. Per strappargli un segno di debolezzai Cherochesi condussero aisuoi piedi un selvaggio

cristianoche avevano orribilmente mutilato. Ma rimasero molto stupiti nelvedere quel giovane

gettarsi in ginocchioe baciare le ferite del vecchio eremita che gligridava: «Figlio miostiamo

dando spettacolo agli angeli e agli uomini». Gli Indianifuriosigliimmersero un ferro rovente nella

golaper impedirgli di parlare. Alloranon potendo più consolare gliuominispirò.

«Si dice che i Cherochesiper quanto abituati a vedere i selvaggi soffrirepazientementenon

poterono impedirsi di confessare che nell'umile coraggio di padre Aubry c'eraqualcosa di

sconosciuto per loroe che superava ogni coraggio terreno. Molti di essicolpiti da quella mortesi

sono fatti cristiani.40

«Qualche anno dopoChactasdi ritorno dalla terra dei bianchiavendoappreso le disgrazie

di quel maestro di preghierapartì per andare a raccogliere le sue ceneri equelle di Atala. Arrivò nel

luogo dove era situata la Missionema riuscì appena a riconoscerlo. Il lagoera straripatoe la

savana era diventata una palude; il ponte naturalecrollandoaveva sepoltosotto le sue macerie la

tomba di Atala e i Boschetti della morte. Chactas vagabondò a lungo in queiluoghi; visitò la grotta

del Solitarioche trovò piena di rovi e di lamponie dove una cervaallattava il suo cerbiatto. Si

sedette sulla roccia della veglia funebredove non vide che le piume d'aladegli uccelli di passaggio.

Mentre piangevail serpente amico del missionario uscì dai cespugli vicinie venne ad attorcigliarsi

ai suoi piedi. Chactas riscaldò sul suo petto l'amico fedelel'unicorimasto in mezzo a quelle rovine.

Il figlio di Outalissi ha raccontato che più volteall'approssimarsi dellanotteaveva creduto di

vedere le ombre di Atala e di padre Aubry levarsi nel vapore del crepuscolo.Quelle visioni lo

riempirono di un timore religioso e di una triste gioia.

«Dopo aver invano cercato la tomba della sorella e quella dell'eremitastava già per

abbandonare quei luoghi quando la cerva della grotta si mise a saltarglidavanti. Si fermò solo

davanti alla croce della Missione. La crocealloraera per metà circondatadall'acqua; il legno era

consumato dal muschioe il pellicano del deserto era solito sporgersi daisuoi bracci tarlati. Chactas

pensò che la cervariconoscentel'avesse condotto sulla tomba del suoospite. Si fece il segno della

croce sotto la roccia che un tempo serviva da altaree vi trovò i resti diun uomo e di una donna.

Non dubitò affatto che non fossero quelli del prete e della verginecheforse gli angeli avevano

sepolto in quel luogo: li avvolse in pelli d'orsoe riprese il cammino versoil suo paeseportando

con sé le spoglie preziose che risuonavano sulle sue spalle come la faretradella morte. Di nottese

le metteva sotto la testae faceva sogni d'amore e di virtù. O stranierotu puoi qui contemplare

quella polvereinsieme a quella dello stesso Chactas!».

Quando l'Indiana finì di pronunciare quelle parolemi alzai; mi avvicinai aquelle ceneri

sacree mi prosternai davanti a loro in silenzio. Poiallontanandomi agrandi passiesclamai: «Così

passa sulla terra tutto ciò che fu buonovirtuososensibile! Uomotu nonsei che un sogno veloce

un sogno doloroso; la tua esistenza è fatta di sventura; solo la tristezzadella tua anima e l'eterna

malinconia dei tuoi pensieri fanno di te qualcosa!».

Queste riflessioni mi tennero occupato tutta la notte. Il giorno successivoall'albai miei

ospiti mi lasciarono. Aprivano il cammino i giovani guerrierile spose lochiudevano; i primi si

portavano le sacre reliquiele seconde i loro neonati; i vecchiin mezzocamminavano lentamente

tra gli avi e la posteritàtra i ricordi e la speranzatra la patria persae quella a venire.

Oh! Quante lacrime si spargono quando si deve abbandonare la terra natia inquesto modo

quando dall'alto della collina dell'esilio si scorgono per l'ultima volta iltetto sotto cui fummo nutriti

e il fiume della capannache continua a scorrere triste attraverso i campisolitari della patria!

Sfortunati indiani che ho visto errare per i deserti del Nuovo Mondocon leceneri dei vostri

avivoi che mi avete dato ospitalità malgrado la vostra miseriaoggi ionon potrei restituirvela

perchécome voierro alla mercé degli uomini; ma iomeno fortunato divoi nel mio esilionon ho

potuto portare con me le ossa dei miei padri.