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Arthur Conan Doyle

QUANDO LA TERRA URLO'

Parte Prima

Avevo il vago ricordo di aver udito il mio amico Edward Malonedella Gazetteparlare del Professor Challengerinsieme al quale aveva intrapreso avventurememorabili. Io sono però così occupato dalla mia professione e la mia ditta ècosì sovraccarica di ordiniche so ben poco di quanto accade nel mondoall’infuoridei miei interessi specifici. Mi sembrava di ricordare che Challenger mi fossestato descritto come un genio selvaggiodal carattere violento e intollerante.Rimasi molto sorpreso nel ricevere la sua lettera d’affari redatta in questitermini:

"Enmore Gardens14 bis
Kensington.

Signore
mi trovo nella necessità di richiedere le prestazioni di un esperto in pozziartesiani. Non Le nascondo che personalmente non ho un alto concetto degliespertiavendo di solito riscontrato che se uno possiedecome meun’intelligenzavalidapuò avere una visione più profonda e più vasta di chi ha unapreparazione specialistica (la quale spesso purtroppo è solo un mestiere) e lacui visione quindi è limitata. Nonostante ciòsono disposto a concederLe unaprova. Scorrendo la lista degli esperti in perforazioni artesianemi haincuriosito la stranezzaper non dire l’assurdità del suo nome di battesimoe in seguito ho scopertonel prendere informazioniche un mio giovane amicoMr. Edward Malonela conosceva bene. Scrivo quindi per dirLe che sarei lieto dipoterLa incontrare e che se Lei rispondesse alle mie esigenze -- che non sonomodeste! -- sarei disposto a mettere nelle Sue mani una faccenda della massimaimportanza. Non posso al momento dirLe di più perché si tratta di una cosamolto riservatatale da dover essere discussa solo di persona. La prego quindidi annullare subito qualsiasi impegno Lei avesse e di venirmi a trovare all’indirizzodi cui sopraalle 1030 di mattinavenerdì prossimo. Fuori della portanoterà un raschietto per le suole e uno zerbinoe ricordi che la signoraChallenger è molto gelosa della sua casa.
Suo
George Edward Challenger."

Passai questa lettera al capoufficio del mio studioil quale risposeinformando il Professore che Mr. Peerless Jones era lieto di accettare l’invitoe l’appuntamento. Era una lettera d’affari in tutto e per tutto cortesemala prima frase diceva: "Ci è pervenuta la Sua lettera (senza data)".Ad essa fece subito seguito una seconda missiva da parte del Professore:
"Signore -- dicevae la sua scrittura aveva tutto l’aspetto del filospinato -- noto che Lei fa un appunto su un’ineziae cioè che la mia letteranon recava la data. Mi permette di farLe notare chea fronte di una tassasproporzionatail nostro Governo ha l’abitudine di apporre un piccolo segnocircolare o timbro sull’esterno della bustache precisa la data dellaspedizione? Nel caso questo segno fosse assente o illeggibileLei non ha che daprotestare con l’ufficio postale. Prendo l’occasione per pregarLa dilimitare le Sue osservazioni agli argomenti riguardanti l’affare sul quale Laconsulteròe di evitare di commentare la forma delle mie prossime eventualilettere."
Capii che avevo a che fare con uno stravagantetanto che mi sembrò opportunoprima di procedere nella trattativadi far visita al mio amico Malone checonoscevo dai lontani tempi in cui giocavamo insieme a rugby nella squadra diRichmond. Trovai il solito gioviale irlandese di sempreche si divertìmoltissimo al racconto del mio primo incontro-scontro con Challenger.
«Questo non è nullacaro mio. Quando ti capiterà di incontrarlo di personadopo cinque minuti ti sentirai spellato vivo. Nessuno può superarloin fattodi offese.»
«E perché mai gli altri dovrebbero tollerarlo?»
«Infatti non lo tollerano. Se sapessi le cause per diffamazionee le litiele denunce per aggressione...»
«Aggressione!»
«Ma figuratinon ci penserebbe nemmeno un momento a buttarti giù dalle scalese tu ti trovassi a litigare con lui. È un cavernicolo travestito dagentiluomo. Io me lo vedo con una mazza in mano e una selce nell’altra. C’èchi nasce fuori del proprio secoloma lui è nato addirittura nel millenniosbagliato. Appartiene al primo neolitico o giù di lì.»
«E sarebbe un professore!»
«Questo è il bello! È il più grande cervello d’Europae con una taleforza trascinatrice che può realizzare tutti i suoi sogni. Fanno di tutto perostacolarloperché tutti i suoi colleghi lo odianoma è come se dellebarchette volessero trattenere il "Berengaria" (1): quello non li vedenemmeno e va avanti per la sua strada a tutto vapore.»
«Se le cose stanno cosìè chiaro che non voglio aver niente a che fare conlui. Annullerò l’appuntamento.»
«Ma neanche per sogno. Lo manterraiinvecee bada di non sgarrare nemmeno d’unminutose non le sentirai da lui.»
«Ma perché dovrei andarci?»
«Lascia che ti spieghi. Prima di tutto non prendere troppo sul serio quello cheti ho detto sul vecchio Challenger. Chi lo conosce finisce per volergli bene. Èun orso ma in realtà nonè pericoloso. Mi ricordo d’una voltaper esempioche si portò in spalle un bambino ammalato di vaiolo per più di 150chilometridall’interno fino al fiume Madeira. È grande in tutti i sensi. Setu ti comporti benecerto anche lui farà altrettanto.»
«Non gliene darò nemmeno l’occasione.»
«Saresti uno sciocco. Hai mai sentito parlare del mistero di Hengist Down (2)di quell’opera di scavo sulla South Coast?»
«Qualcosa come trivellazioni segrete alla ricerca di carboneper quanto hocapito.»
Malone ammiccò. «Puoi anche metterla cosìse ti pare. Vediio ho la fiduciadel vecchio e non posso parlare finché non me ne da l’autorizzazione. Ma tiposso dire questovisto che già ne ha parlato la stampa: un tale Bettertonche aveva fatto i soldi col caucciùanni fa lasciò tutti i suoi beni aChallengera condizione che essi venissero impiegati per ricerche scientifiche.Era una somma enormesvariati milioni. Challenger acquistò allora unaproprietà a Hengist Downnel Sussex. Era un terreno senza alcun valoreallimite nord della zona calcarea; ne prese una parte e la circondò con un filospinato. Nel mezzo c’era una profonda depressione e là incominciò a fare unoscavo. Annunciò» e qui Malone ammiccò di nuovo«che in Inghilterra c’erapetrolio e che lui l’avrebbe provato. Costruì un piccolo villaggio modellocon una colonia di operai legati da giuramento a non aprir bocca sulla faccenda.Il fosso è delimitato da filo spinatocome d’altronde tutta la proprietàeil posto è sorvegliato da segugia causa dei quali parecchi giornalisti hannorischiato di rimetterci la pelleper non parlare del fondo dei pantaloni. Sitratta di un’operazione immensagestita dalla ditta di Sir Thomas Mordenicui dipendenti hanno anch’essi fatto giuramento di tenere il segreto.Naturalmente ora è arrivato il momento in cui è necessario l’intervento diesperti in pozzi artesiani. Non saresti quindi uno sciocco a rifiutare questolavorocon tutto l’interessel’esperienza e un bell’assegno finale chene ricaviper non parlare dell’occasione di stare gomito a gomito con l’uomopiù straordinario che hai incontrato o che potresti mai incontrare?»
Gli argomenti di Malone ebbero la meglioe venerdì mattina eccomi in stradaverso Enmore Gardens. Ero così preoccupato di non arrivare tardiche miritrovai davanti alla porta con venti minuti di anticipo. Stavo aspettando instrada quando mi accorsi con sorpresa di riconoscere la Rolls-Royce con la suafreccia d’argento porta fortunaferma davanti alla porta. Era per certo l’autodi Jack Devonshireil socio giovane della ditta Morden.
Lo conoscevo come il più contegnoso degli uominie quindi fu per me unasorpresa quando all’improvviso lo vidi uscire dalla casa e in piedi davantialla portaalzare le mani al cielo ed esclamare con rabbia: «Maledetto! Ohmaledetto!»
«Che cosa succedeJack? Sembri piuttosto nervosostamattina.»
«SalvePeerless. Ci sei anche tu un quest’affare?»
«Sembra proprio di sì.»
«Benelo troverai piuttosto stressante.»
«Più di quanto tu non riesca a sopportaresi direbbe.»
«Credo proprio che sia vero. Il maggiordomo mi trasmette un messaggio: "IlProfessore mi ha incaricato di dirlesignoreche al momento è piuttostooccupato a mangiare un uovo e che se lei ha la cortesia di venire in un momentopiù adattosarà molto lieto di vederla". Questo il messaggio trasmessoda un domestico. Aggiungo ch’ero venuto per incassare 42 mila sterline che mideve.»
Emisi un fischio. «Non riesci ad avere il tuo denaro?»
«Ohsìper quanto riguarda il denaro è un uomo corretto. Devo rendere attoa quel vecchio gorillache quanto a danaro è generoso. Ma paga quando e comegli paree non ha riguardo per nessuno. Comunqueentratenta la fortuna evedi come ti piace.» Con queste parole si infilò svelto nella vettura epartì.
Controllando di tanto in tanto l’orologioaspettai finché giunse l’orazero. Io sono un individuo di corporatura per così dire robusta e mi sonopiazzato secondo tra i pesi medi del Belsize Boxing Clubeppure non ho maiaffrontato un incontro con tanta trepidazione. Non in senso fisicoperché erosicuro che me la sarei cavata se quel balordo fanatico mi avesse aggreditomaavvertivo un miscuglio di sentimenti in cui c’erano la paura di uno scandalopubblico e il timore di perdere un contratto vantaggioso. Le cose tuttaviadivengono sempre più facili quando l’immaginazione cede il posto all’azione.Chiusi con uno scatto l’orologio e mi feci vicino alla porta. Questa fu apertada un anziano maggiordomo dal viso impenetrabile: un’espressioneo piuttostoun’assenza di espressione che te lo faceva immaginare tanto abituato allesorprese che nulla al mondo avrebbe potuto scomporlo.
«Ha appuntamentosignore?»
«Certo.»
Scorse una lista che aveva in mano. «Il suo nome è?... AhsìMr. Peerles-sJones... 1030. Tutto a posto. Dobbiamo essere molto prudentiMr. Jonesperché siamo perseguitati dai giornalisti. Il Professorecome lei forsesaprànon ha simpatia per la stampa. Da questa partesignore. Il ProfessoreChallenger la riceverà subito.»
Dopo un minuto mi trovai in sua presenza. Io credo che il mio amicoTed Maloneabbia descritto l’uomo nella sua storia "Mondo perduto" meglio diquanto io non possa sperare di farequindi non mi ci provo nemmeno. L’unicacosa che scorgevo era un immenso busto d’uomo dietro un tavolo di moganoconuna barba nera grande e puntutae due grossi occhi grigi seminascosti dapesanti palpebre piene di insolenza. Il testone buttato all’indietrola barbaspinosa tesa in avantil’aspetto generale suscitava un’unica impressione:di arrogante protervia. "Ebbeneche diavolo vuole?" sembrava portassescritto addosso. Tesi il mio biglietto da visita attraverso il tavolo.
«Ahsì» disseprendendolo con la punta delle dita e tenendolo come seavesse disgusto fin del suo odore. «Certolei è il così detto esperto. Mr.Jones. Mr. Peerless (3)Jones. Lei può ringraziare il suo padrinoMr. Jonesperché è stato questo ridicolo nome che per prima cosa ha fatto fermare la miaattenzione su di lei.»
«Sono quaProfessor Challengerper un colloquio d’affari e non perdissertare sul mio nome di battesimo» replicaicon tutta la dignità che mifu possibile.
«Oh santocielolei mi sembra un tipo molto suscettibileMr. Jones. I suoinervi sono in uno stato di grande irritabilità. Dobbiamo prenderla con lepinzeMr. Jones. Si siedala pregoe si calmi. Ho letto il suo stampatopubblicitario a proposito della Penisola del Sinai. L’ha scritto lei?»
«Certosignoreporta il mio nome.»
«Esatto! Esatto! Ma questo non sempre vuol direvero? Comunque sono pronto aprendere per vera la sua asserzione. Il libretto non è del tutto privo divalore. Sotto alla banalità della formasi coglie qua e là il lampo di un’idea.Ci sono spunti di pensieroogni tanto. Lei è sposato?»
«Nosignore »
«Quindi c’è la probabilità che lei riesca a tenere il segreto.»
«Se promettocerto terrò fede alla promessa.»
«Ahcosì! Il mio giovane amico Malone» e sembrava che parlasse d’unragazzino di dieci anni«ha una buona opinione di lei. Dice che posso averfiducia. Ma si tratta di avere molta fiduciaperché mi trovo impegnato in unodei più grandi esperimenti della storia del mondo. Chiedo la suacollaborazione.»
«Ne sarò onorato.»
«È veramente un onore. Confesso che non avrei condiviso le mie fatiche connessuno se non fosse che la natura ciclopica dell’impresa richiede la piùalta specializzazione tecnica. OraMr. Jonesavendo ottenuto la sua promessadi assoluta segretezzavengo al punto essenziale. Il quale è il seguente: laTerra su cui viviamo è un organismo in sé e per sédotatoio credodi unsistema di circolazionedi un apparato di respirazione e di un sistemanervoso.»
Indubbiamente quell’uomo era un folle.
«Il suo cervellovedo» continuò«non riesce a capacitarsima pian pianovedràpercepirà quest’idea. Lei si ricorderà come una palude o unabrughiera rassomiglino alla parte pelosa di un animale gigantesco. In tutta lanatura si trovano dappertutto alcune analogie. Lei prenderà poi inconsiderazione il sollevarsi e l’abbassarsinei secolidi una regionechein questo modo manifesta il lento respiro della creatura. Infinelei noterà ilsommuoversi e lo scricchiolio che alle nostre percezioni di lillipuzianiappaiono come terremoti e cataclismi.»
«E che cosa pensa dei vulcani?» chiesi.
«Puah! Essi corrispondono ai punti caldi del nostro corpo.»
Il mio cervello turbinava mentre cercavo di trovare obiezioni a queste tesimostruose. «La temperatura!» esclamai. «Non è assodato che essa aumentarapidamente man mano che ci si cala all’interno della Terrae che il centrodella Terra è calore allo stato liquido?»
Spazzò via la mia affermazione con un cenno di mano. «Lei probabilmente sasignoredal momento che le scuole elementari oggi sono obbligatorieche laTerra è schiacciata ai poli. Ciò significa che il polo è più vicino alcentro che qualsiasi altro punto e sarebbe quindi il più interessato da questofenomeno del calore di cui lei parla. È notorio infatti che i poli hanno climatropicalevero?»
«Quest’idea mi suona del tutto nuova.»
«Infatti lo è. È privilegio del pensatore originale formulare idee nuove e disolito non gradite alla massa. Orasignoreche cosa è questo?» Mostrò unoggetto che aveva preso dal tavolo.
«Direi che è un riccio di mare.»
«Giusto!» egli esclamòcon tono di sorpresa esageratacome quando unbambino ha fatto qualcosa di particolarmente intelligente. «È un riccio dimareun comune echino. La natura ripete se stessa in svariate formeindipendentemente dalla grandezza. Questo echino è un modelloun prototipodella Terra. Lei vede benissimo che è più o meno sfericoma appiattito aipoli. Consideriamo dunque la Terra come un grande echino. Che obiezioni ha dafare?»
La mia obiezione principale era che l’affermazione era troppo assurda peressere controbattutama non osai manifestarla. Annaspando cercai qualcheosservazione meno generica.
«Una creatura vivente ha bisogno di cibo» dissi. «Con che cosa riempie laTerra il suo immenso ventre?»
«Rilievo eccellente... eccellente!» esclamò il Professorecon pomposa ariapaternalistica. «Lei ha lo sguardo acuto per l’ovvioperò è lento nelcogliere le implicazioni più sottili. Come si nutre la Terra? Torniamo ancoraal nostro piccolo echino. L’acqua che lo circonda penetra nei tubicini diquesta piccola creatura e la rifornisce di nutrimento.»
«Quindi lei crede che l’acqua...»
«Nosignore: l’etere. La Terra va pascolandolungo un itinerario circolarenei campi dello spazio e mentre si muovel’etere continua a penetrare in essae a provvedere alla sua sopravvivenza. Un intero gregge di altri piccoli echiniplanetari fa lo stesocome VenereMarte e tutti gli altriciascuno col suoproprio pascolo.»
Quell’individuo era matto da legarema non c’era verso di controbattere lesue asserzioni. Egli prese il mio silenzio come un assenso e mi sorrise con l’espressionepiù benevola della terra.
«Ci stiamo arrivandomi pare» disse. «La luce sta incominciando a farsistrada. Un po’ abbacinantedapprimasenza dubbioma ci abitueremo presto.La prego di prestarmi attenzione mentre enuncio un paio di ulterioriosservazioni su questa creatura che tengo in mano.
«Noi supporremo che sulla dura corteccia esterna ci siano alcuni insettiinfinitamente piccoli che vi strisciano sopra. Sarebbe mai consapevolel’echinodella loro presenza?»
«Direi di no.»
«Lei può ben immaginare dunque che la Terra non ha la minima idea di come essaviene utilizzata dalla razza umana. Essa non si accorge minimamente dellosviluppo e dell’evoluzione dei minuscoli esseri che si è tirata addossodurante i suoi viaggi intorno al Solecome le ostriche che si abbarbicano allenavi antiche. Questo è lo stato attuale delle cosestato che mi propongo dicambiare.»
Lo guardaial colmo dello stupore. «Lei propone di cambiarlo?»
«Io mi propongo di far sapere alla Terra che c’è almeno una personaGeorgeEdward Challengerche vuole attirare la sua attenzione... anziche lapretende. Si tratta certo della prima sollecitazione in tal senso ch’essaabbia mai ricevuto.»
«E come vorrebbe metterla in attosignore?»
«Ahqui veniamo al punto. Lei ha messo la mano sul cuore del problema. Vogliodi nuovo attirare la sua attenzione su questa interessante piccola creatura chetengo in mano. Sotto la sua corazza protettivaè tutta muscoli e nervi. Non èevidente che se un parassita volesse richiamare l’attenzionefarebbe un foronella sua corazza per stimolarne l’apparato sensorio?»
«Certo.»
«Alloraci rifacciamo al pidocchio domestico o alla zanzara che esplora ilcorpo umano. Possiamo anche non accorgerci della loro presenzama all’improvvisoquando l’insetto affonda la sua proboscide nella pelleche è la nostracorazzaveniamo sgradevolmente avvertiti che non siamo del tutto soli. La luceirrompe nel buio.»
«Santocielo! Lei propone di affondare una trivella attraverso la crostaterrestre?»
L’altro chiuse gli occhi con ineffabile soddisfazione. «Lei ha davanti a sécolui che per primo forerà quella dura cotenna. Potrei anche parlare al passatoprossimo e dire che l’ha già forata.»
«L’avete già forata?»
«Con l’efficientissimo aiuto della Morden & Co.; credo di poter dire diaverlo già fatto. Vari anni di costante lavoro svolto di giorno e di notteedeffettuato con ogni tipo noto di trivellasondaescavatore ed esplosivoci hainfine condotto alla metà.»
«Non vorrà dire che è già arrivato al di là della crosta!»
«Se le sue parole denotano meravigliapossono passare. Ma se esprimonoincredulità...»
«Nosignoreniente affatto.»
«Lei accetterà la mia affermazione senza fare domande. Abbiamo perforato lacrosta. Era spessa esattamente tredicimila e duecento metricirca tredicichilometri. Le interesserà sapere che nel corso della perforazione abbiamoportato alla luce una fortuna sotto forma di giacimenti di carbone cheprobabilmente nel futuro abbatteranno i costi della nostra impresa. Ladifficoltà più grossa che abbiamo incontrata sono state le falde di acqua neicalcari profondi e nelle sabbie di Hastingsma abbiamo superato il problema.Ora è stato raggiunto l’ultimo stratoil quale è di competenza esclusivaormai di Mr. Peerless Jones. Leisignorerappresenterà la zanzara. La suatrivella artesiana prenderà il posto della proboscide che punge. Il cervello hafatto il suo lavoro: esce il pensatoreentra l’impareggiabilecon il suoperforatore metallico. Mi sono spiegato?»
«Ma lei sta parlando di più di tredicimila metri!» esclamai. «Si rendecontosignoreche i mille e cinquecento metri sono ritenuti quasi il limitemassimo dei pozzi artesiani? So di uno nell’alta Slesia che è profondo quasiduemila metrima è considerato un fenomeno.»
«Lei non mi ha capitoMr. Peerless. O la mia spiegazione non è stata chiarao il suo cervello non funziona benee non sto qui a perdere tempo nellaquestione. So benissimo quali sono i limiti delle perforazioni artesianee nonè probabile che avrei speso milioni di sterline in questo colossale foro seavessi mirato a un buco di una spanna. Tutto quello che le chiedo è diapprontare una trivella quanto più affilata possibiledi una lunghezza nonsuperiore ai trenta metriazionata da un motore elettrico. Un qualsiasi trapanoa percussione posto in sede con un peso farà al caso nostro.»
«Perché un motore elettrico?»
«Sono qui a dare ordiniMr. Jonesnon spiegazioni. Prima della fine potrebbeaccadere -- dico potrebbe -- che la sua stessa vita dipendesse da questo trapanoazionato elettricamente a distanza. Penso che lo si possa realizzarevero?»
«Certo che si può fare.»
«E allora si prepari. La situazione non richiede ancora la sua presenza dipersonama intanto può allestire il tutto. Non ho altro da aggiungere.»
«Ma è essenziale» protestai«che lei mi dica almeno che tipo di terreno latrivella deve perforare. Sabbiacalcarearenaria esigono trattamentidiversi.»
«Diciamo che è la gelatina» disse Challenger. «Proprio cosìal momentosupponiamo che lei debba penetrare con la trivella nella gelatina. Ed oraMr.Jonesho alcune questioni importanti a cui dedicarmiper cui le dicoarrivederci. Lei può stilare un contratto formale citando i suoi onorari per ilmio Capolavoro.»
Mi inchinai e mi volsi per andarmenema prima di raggiungere la porta lacuriosità mi sopraffece: egli stava già scrivendo furiosamente con una penna d’ocache scricchiolava sulla cartae alla mia interruzione alzò gli occhi adirati.
«Ebbenesignore? Speravo se ne fosse andato.»
«Desideravo solo chiederle qual è lo scopo di un esperimento cosìstraordinario.»
«Fuorisignorefuori!» urlò quelloal colmo dell’ira. «Faccia elevarela sua mente al di sopra dei meschini scopi utilitaristici e venali delcommercio. Rimuova i suoi spregevoli principi di lavoro. La scienza aspira allaconoscenza. Dovunque la conoscenza ci conducanoi dobbiamo perseguirla. Sapereuna volta per tutte che cosa noi siamoperché viviamodove andiamo: non èquesta di per sé la massima aspirazione umana? Fuorisignorefuori!»
La sua grande testa nera era nuovamente china sulle carte e faceva tutt’unocon la sua barba. La penna d’oca scricchiolava più di prima. Lasciai dunquequesto straordinario uomocon la testa che mi girava al pensiero dello stranoaffare in cui mi ero venuto a trovare suo partner.
Quando fui nel mio ufficiovi trovai Ted Malone che mi aspettava con una speciedi largo ghigno sulla facciaimpaziente di conoscere il risultato dell’incontro.
«Allora!» esclamò. «Nessun inconveniente? Niente minacce o aggressioni? Deviaverlo preso per il verso giusto. Che ne pensidi quell’individuo?»
«L’uomo più offensivoinsolenteintollerantepresuntuoso che abbia maiincontratoperò...»
«Esatto!» gridò Malone. «Finiamo tutti per arrivare a quel"però". Egli è tutto quello che tu dici e anche peggioperò siavverte che un uomo di quel calibro non lo si può misurare sul nostro metro eche da lui possiamo tollerare cose che non accetteremmo da nessun altro mortale.Non è così?»
«Behnon lo conosco ancora abbastanza bene da giudicarloma devo ammettereche non è solo un megalomane prepotente e che se ciò che dice è veroè unindividuo tutto a sé. Ma è verociò che dice?»
«Certo che è vero. Challenger mantiene sempre ciò che promette. Intantoache punto sei con la faccenda? Ti ha detto di Hengist Down?»
«Sìper sommi capi.»
«Ebbeneti posso dire che l’impresa è colossalenella concezione e nell’esecuzione.Egli detesta i giornalistima io sono in buoni rapporti con luiperché sa chenon pubblicherò nulla più di quello che mi autorizzerà a dire. Conosco quindii suoi progettio almeno parte di essi. Ha una tale inventiva che uno non samai se ha capito tutto quello che gli passa per la testacomunque so abbastanzadi lui per assicurarti che Hengist Down è un progetto concreto e in buona partegià realizzato. Il consiglio che ti posso dare è semplicemente di aspettaregli eventi e nel frattempo allestire i macchinari. In breve sentirai qualchenotizia o da lui o da me.»
In effetti fu Malone a farsi vivo. Alcune settimane dopo venne una mattinapresto nel mio ufficioquale latore di un messaggio.
«Vengo da parte di Challenger» disse.
«Fai il pesce-pilotaeh?»
«Sono orgoglioso di fare qualsiasi cosa per lui. È veramente una personaeccezionale. Ha fatto tutto quello che aveva detto. Ora è il tuo turnoe poiegli sarà pronto ad alzare il sipario.»
«Non ci posso credere finché non vedo con i miei occhima da parte mia tuttoè pronto e caricato su un autocarro. Posso muovermi in qualsiasi momento.»
«E allora subito. Ho garantito che sei un campione di efficienza e puntualitàper cui ti prego di non smentirmi. Intantovieni in treno con me così ti faròavere un’idea di quanto è stato fatto.»
Era una bella mattina di primaverail 22 maggio per l’esattezzaquandofacemmo quel fatale viaggio che mi portò su una scena destinata a diventarestorica. Durante il percorso Malone mi consegnò un biglietto da parte diChallenger nel quale mi si davano le istruzioni del caso.

«Signore (diceva il biglietto)
arrivando a Hengist Down Lei si metterà a disposizione di Mr. Barforthl’ingegnerecapo che ha in mano i miei progetti. Il mio giovane amico Malone latore dellapresenteè anch’egli in contatto con me e mi risparmia ogni contattopersonale. Abbiamo per ora riscontrato nel pozzo alcuni fenomenial livello deiquattromila e trecento metrie anche più in basso che confermano assolutamentele mie previsioni sulla natura di un corpo planetarioma servono prove piùsensazionali prima ch’io speri di far presa sulla torpida intelligenza delmoderno mondo scientifico. Questa è la prova che Lei deve procurare e gli altririconoscere. Scendendo negli ascensoriLeisupponendo che abbia il raro donodella capacità di osservazioneosserverà che attraverserà l’uno dopo l’altrolo strato di calcare secondarioi giacimenti carboniferialcune traccedevoniane e cambrianee infine il granitoattraverso il quale in gran partepassa il nostro pozzo. Il fondo adesso è coperto di tela ceratache La pregodi non scalfire in alcun modo perché qualsiasi brusco trattamento dellaprofonda e sensibile epidermide della Terra potrebbe creare reazioni premature.Secondo le mie istruzionidue grosse travi sono state posate attraverso ilcunicolo a circa sei metri dal fondoad una certa distanza tra di loro: talespazio fungerà da cavalletto per sostenere il Suo tubo artesiano. Basterannocirca quindici metri di perforazionesei dei quali saranno al di sotto delletravicosì che la punta della trivella sarà quasi al livello della telacerata: se ha cara la vitanon vada un centimetro oltre. Meno di una diecina dimetri emergeranno dunque in alto nel pozzoe quando lo avrete messo infunzionepenso che almeno una dozzina di metri sprofonderanno nella massa dellaTerra. Siccome tale massa è piuttosto morbidasuppongo che Lei non avràbisogno di una grande potenza di penetrazione e che un semplice colpo del tubobasterà col suo peso a penetrare nello strato che abbiamo messo a nudo. Questemie istruzioni dovrebbero essere sufficienti per qualsiasi intelletto mediomanon credo che a Lei servirà altrocosa che eventualmente mi verrà riferitadal mio giovane amico Malone.
George Edward Challenger.»

Arthur Conan Doyle

QUANDO LA TERRA URLO'

Parte Seconda

È facilmente immaginabile comequando arrivammo alla stazione diStorringtonnel versante nord di South Downio fossi in uno stato di notevoletensione nervosa. Ci aspettava una consunta Vauxhall trenta decappottabilecheci scarrozzò per una diecina di chilometri lungo straducole e tratturi chenonostante fossero di per sé fuori manomostravano profondi solchi ed evidentisegni di traffico pesante. Un autocarro fuori uso fermo nell’erba ci fececapire come per altri mezzi fosse stato difficoltoso come per noiarrivare finoa quel punto. Più avanti un grande pezzo di motorevalvole e pistoni di unapompa idraulica si sarebbe dettoemergeva pieno di ruggine da un cespuglio diginestra.
«Questa è opera di Challenger» disse Malone ghignando. «Ha detto che eratre millimetri più del preventivoe così ha pensato bene di buttarla fuoristrada.»
«Naturalmente con lo strascico di qualche vertenza legale.»
«Vertenza legale! Caro miodovremmo avere un tribunale tutto per noi. Neabbiamo abbastanza da occupare un giudice per un anno intero. Nonché ilGoverno. Il vecchio non si fa riguardo per nessuno. Il Re contro GeorgeChallenger e George Challenger contro il Re. I due faranno una sarabanda da untribunale all’altro. Eccoci siamo. SìJenkinspuoi lasciarci entrare!»
Un omone con un vistoso orecchio a cavolfiore stava esaminando l’interno dellanostra vettura col viso atteggiato a minaccioso sospetto. Quando riconobbe ilmio amico si rilassò e salutò.
«BeneMr. Malone. Pensavo che fosse l’American Associated Press.»
«Sono sulle pestequellieh?»
«Loro oggi e The Times ieri. Ahstanno ronzando mica male qua intorno.Guardi!» E indicò un lontano puntino all’orizzonte. «Guardi quella cosa cheluccica: è il telescopio del Daily News di Chicago. Eh sìci stannotallonando da vicino. Li ho visti tutti allineaticome i corvilungo il Beaconlaggiù.
«Poveri giornalisti!» commentò Malone. «Appartengo anch’io alla lorospeciee so che cosa si prova.»
In quel momento sentimmo un piagnucoloso belato dietro di noi: «Malone. TedMalone!»
Veniva da un ometto grasso che era appena giunto con una motocicletta e adessosi stava divincolando nella stretta erculea del guardiano del cancello.
«Ma sulasciami stare!» urlò. «Tieni giù le mani! Malonediglielo tu aquesto tuo gorilla.»
«Lascialo stareJenkins! È un mio amico!» gridò Malone. «Alloravecchiospilungoneche cosa c’è? Che stai facendo da queste parti? Fleet Street èil tuo pascolonon le selvagge campagne del Sussex.»
«Sai benissimo che cosa sto facendo qui» disse il visitatore. «Mi hanno datol’incarico di buttar giù un articolo su Hengist Down e non posso tornaresenza aver scritto qualcosa.»
«Mi spiaceRoyma qui non puoi ottenere niente. Devi stare dall’altra partedel recinto. Se vuoi vedere qualcosa di più devi andare dal professorChallenger e farti dare il permesso da lui.»
«Ci sono stato» disse il giornalista tutto imbronciato. «Stamattina sonostato da lui.»
«E che cosa ti ha detto?»
«Che mi avrebbe scaraventato fuori dalla finestra.»
Malone rise. «E tu che cosa hai ribattuto?»
«Gli ho chiesto: non andrebbe bene anche la porta? E per dimostrargli cheandava benissimo l’ho infilata in tutta fretta e ho tagliato la corda. Non misembrava il momento di stare a discutere. Tra quel toro assiro di Londra equesto teppista quache mi ha rovinato la pellicola fotograficami sembrimesso in bella compagniaTed Malone.»
«Non ti posso aiutareRoy. Se potessi lo farei. A Fleet Street dicono che tula spunti semprema questa volta sei proprio mal messo. Tornatene in ufficio ese hai pazienza solo qualche giornonon appena il vecchio lo permetteti daròle notizie che cerchi.»
«Nessuna possibilità di entrare?»
«Non se ne parla nemmeno.»
«Un po’ di denaro potrebbe servire?»
«Non dovevi nemmeno pensarlo.»
«Dicono che si tratta di una perforazione fino alla Nuova Zelanda.»
«Si tratterà di un volo all’ospedalese continui a stare tra i piediRoy.Addioadesso. Abbiamo da lavorarenoi due.»
«Quello è Roy Perkinsil corrispondente di guerra» spiegò Malone mentrecamminavamo nella zona recintata. «Abbiamo battuto il suo recordperché sidice che egli sia invincibile. È quella sua faccina innocente e grassoccia chelo fa passare dappertutto. Una volta eravamo nello stesso ufficio. Eccolì»e indicò un gruppo di graziose casette dai tetti rossi«ci sono le residenzedegli uomini. Sono un manipolo di operai sceltipagati molto più delle tariffecorrenti. Devono essere scapoliastemi e legati da un giuramento diriservatezza. Quel campo è per il football e l’edificio a parte è lalibreria e la sala di ricreazione. Il vecchio è un grande organizzatorete logarantisco io. Questo è Mr. Barforthl’ingegnere capo in carica.»
Davanti a noi era infatti apparso un uomo: altomagromelanconico e col visosegnato da profonde rughe di preoccupazione.
«Mi immagino che lei sia l’ingegnere artesiano» disse con voce cupa. «Miavevano detto del suo arrivo. Sono lieto che sia arrivato perché non ho ritegnoa confessarle che la responsabilità di questa cosa mi sta logorando i nervi.Lavoriamo e lavoriamoe non so mai se stiamo per arrivare ad una falda di acquacalcareao a un giacimento di carboneo a un getto di petrolio o addirittura auna fuoriuscita di fuoco infernale. Per ora ci è stato risparmiato quest’ultimoma può darsi che tocchi a voiper quel che ne so.»
«E così caldo laggiù?»
«Per caldo è caldoniente da dire. Può anche darsi che sia da attribuiretutto alla pressione barometrica e alla ristrettezza dello spazio. Naturalmentela ventilazione è scarsa. Noi pompiamo giù ariama gli uomini non riescono afare turni di più di due oree sono ragazzi pieni di buona volontà. IlProfessore è andato giù ieri ed era molto soddisfatto di tutto. Sarà bene chelei venga con noi a pranzo e poi vedrà da sé.»
Dopo un pasto veloce e frugaleil dirigentemolto compreso ed entusiastacicondusse a visitare l’impianto meccanico posto in un edificio di mattonieuna quantità di aggeggi ormai inutili sparsi nel prato. Da una parte c’era un’immensapala idraulica Arrolcon la quale era stata fatta la prima rapida escavazionesuperficiale. Accanto c’era una macchina che azionava un cavo di acciaio sucui erano le pale che portavano sudal fondo del pozzoin successivi stadiidetriti.
Nell’edificio del generatore c’erano varie turbine Escher Wyss di grandepotenzacapaci di funzionare alla velocità di centoquaranta giri al minuto ealimentanti degli accumulatori idraulici che sviluppavano una pressione disettemila chilogrammi per cinque centimetri quadratipassando attraverso tubidi una decina di centimetri giù fino al pozzo e capaci di azionare quattrotrivelle per roccia con lame curvedel tipo Brandu. Confinante con il capannonedella macchina c’era la centrale elettrica che alimentava un potente impiantodi illuminazionee ancora lì vicino si trovava una turbina supplementarediduecento cavalli vapore; quest’ultima era dotata di un’elica di circa tremetri cheattraverso una tubazione larga più o meno trenta centimetrispingeva l’aria verso il fondo dell’opera di scavo.
Tutte queste meraviglie vennero illustrate dal loro responsabile chein predaal suo orgoglioso entusiasmostava rischiando di farmi morire di noia -- comeio a mia volta sto forse facendo col mio lettore. Fortunatamente fummointerrotti dal rombo di un motore e io mi rallegrai nel vedere la mia potenteLeyland sopraggiungere traballando pesantemente sull’erbacarica all’inverosimiledei miei macchinari e delle sezioni di tubaturacon a bordo il mio tecnicoPeters e davanti il suo assistenteirriconoscibile per come era sporco. I duesi misero a scaricare i miei arnesi e a portarli dentro. Lasciamoli al lorolavoroil direttorecon Malone e il sottoscrittoandò verso il pozzo.
Il luogo era strabiliantemolto più grande di come non mi fossi maiimmaginato. I cumuli di detritiche rappresentavano le migliaia di tonnellateestratteformavano una specie di ferro di cavallo tutt’intornoalto come unamontagnola. Nella cavità di questo ferro di cavallocomposto di calcareargilla e granitosi innalzava un groviglio di piloni e ruote di ferro cheazionavano gli ascensori e le pompe ed erano collegati con l’edificio dimattoni che conteneva la centrale elettricaanch’essa ubicata all’internodel ferro di cavallo. Al di làsi apriva la bocca del pozzoun buco immensodel diametro di trenta-trentacinque metridelimitato da un rialzo di mattoni ecemento.
Quando allungai il collo oltre questo muro e gettai l’occhio nello spaventosoabisso che mi avevano detto profondo più di una dozzina di chilometrila miamente vacillò al pensiero di ciò che esso rappresentava. La luce del sole neinvestiva l’orifizio con raggi obliqui ed io potevo vedere solo alcunecentinaia di metri di calcare bianco sporcopuntellato da un’opera in mattoniqua e làdove era sembrato poco stabile. Scorsi però lontanoa grandeprofondità nel buioun piccolissimo barlume di luceun lumino infinitesimalema netto e sicuro contro quello sfondo d’inchiostro.
«Che cos’è quella luce?» chiesi.
Malone si chinò sul parapetto vicino a me. «È una delle cabine che stasalendo» mi spiegò. «Piuttosto eccezionalenon ti pare? E a più di unchilometro e mezzo da noi e quella lucina è una potente lampada ad arco.Viaggia a notevole velocitàsarà qui a minuti.»
In effetti era evidente che il punto luminoso diventava sempre più grandefinquando inondò la cavità col suo splendore argentatotanto che dovettidistogliere gli occhi dall’accecante luminosità. Un attimo dopo la cabina diferro approdava sulla piattaforma d’arrivo e ne uscivano quattro uomini che siavviarono verso l’uscita.
«Distrutti» commentò Malone. «Non è uno scherzo un turno di due ore aquella profondità. Beneparte del tuo materiale è quipenso che la cosamigliore adesso sia andare giù. Così sarai in grado di giudicare da te lasituazione.»
Vicino all’edificio della centrale elettrica c’era un vano secondarioincui mi condusse; un certo numero di vestiti di leggerissima seta greggiapendevano dalle pareti. Seguendo l’esempio di Malonemi tolsi tutto ilvestiario che avevo indosso e mi infilai uno di quegli indumentioltre a unpaio di scarpette con suola di gomma. Dopo un attimo sentii una gazzarracomedi una muta di cani che si azzuffanoe quando corsi fuorividi il mio amicoche si rotolava a terraavvinghiato ad un operaio che stava aiutando ascaricare i miei tubi artesiani. Egli stava cercando di carpirgli qualcosachel’altro invece difendeva disperatamente. Ma Malone era molto più forteecosì riuscì a sottrargli l’oggetto dalle maniquindi lo pestò sotto aipiedi fino a ridurlo in pezzi. Solo allora mi accorsi che si trattava di unamacchina fotografica.
Il mio operaiocon la faccia tutta insudiciata e inviperitasi rialzò.«Accidenti a teTed Malone!» esclamò. «Era una macchina nuova che valevadieci ghinee.»
«Non ci posso far nienteRoy. Ti ho visto scattare una foto e non avevo altrascelta.»
«Come diavolo s’è trovato a maneggiare le mie attrezzature?» chiesi congiustificata indignazione.
La canaglia ammiccò e sogghignò. «Ci sono sempre modi e maniere»sentenziò. «Ma non se la prenda col suo dipendente. Lui credeva che fosse solouno scherzo. Ho scambiato i vestiti col suo aiutante e sono entrato.»
«Ed ora te la fili» disse Malone. «Senza discutereRoy. Se ci fosse quiChallenger ti avrebbe già messo i cani alle calcagna. È capitato anche a me ditrovarmi nei guaiquindi non mi voglio accanirema io qui devo fare il cane daguardiae posso azzannare oltre che abbaiare. Vattene! Marsc!»
Così il nostro intraprendente visitatore fu accompagnato fuori dal recinto dadue bisunti operai. E così il pubblico capirà infine l’origine di quelmeraviglioso articolo su quattro colonne intitolato "Pazzo sogno di unoscienziato"col sottotitolo "Scorciatoia verso l’Australia"che apparve su The Adviser alcuni giorni dopocol risultato di condurreChallenger al limite di un attacco apoplettico e il redattore del giornale alpiù pericoloso e sgradevole colloquio della sua vita.
L’articolo era un resoconto esagerato e colorito dell’avventura di RoyPerkins "il nostro abile corrispondente di guerra" e conteneva alcunipassaggi roventicome "questo toro irsuto di Enmore Gardens""un recinto protetto da filo spinatopicchiatori e segugi"infine"Fui allontanato dal bordo del tunnel anglo-australiano da due malviventiil più violento dei quali era un tale senza mestiere preciso che io avevo a suotempo conosciuto di vista come un sicofante della professione giornalisticamentre l’altrouna figura sinistra con uno strano costume orientaleggiantevoleva dare da intendere di essere un ingegnere artesianoanche se il suoaspetto richiamava piuttosto un abitante di Whitechapel." (4)
Dopo averci così ben strapazzatiil furfante passava da una minuziosadescrizione di binari all’imboccatura della voraginea quella di un percorsoa zig-zag lungo il quale si sarebbero fatte scorrere delle funicolari attraversoil ventre della Terra. L’unico vero guaio pratico che venne fuori da questoarticolo fu che aumentarono considerevolmente i fannulloni stazionanti sui SouthDowns in attesa che succedesse qualcosa. Venne il giorno in cui qualcosaavvennee in cui avrebbero preferito essere altrove.
Il mio capocantiere col suo assistente vittima della beffa di Royaveva sparsotutti i miei attrezzila mia valigettail mio cavallettole trivelle a Vlepertichei pesima Malone insistè perché lasciassimo stare tutto escendessimo insieme fino al punto più profondo. Entrammo quindi nella cabinache era fatta con grate di acciaioe in compagnia dell’ingegnere caposcendemmo fin nelle viscere della Terra. C’erano una serie di ascensoriautomaticiciascuno con la propria stazione di comando scavata nel fianco delpozzo. Scendevamo a grande velocità e la sensazione era più di un viaggio inuna ferrovia verticale che non di una discesa frenata come si ha negli ascensoriinglesi.
Essendo la cabina a griglie e intensamente illuminatasi aveva una precisavisione degli strati che andavamo attraversando: potevo farmi un’idea esattadi ciascuno di essi. C’era il calcare inferiore giallastrogli strati diHastings color caffèi giacimenti Ashburnhamle scure argille carbonifere epoiscintillanti nella luce elettricastrisce dopo strisce di lucente carbonenero-ebanoalternati a tracce di argilla. Qua e là erano stati inseritimanufatti di mattonima nel complesso il pozzo aveva una sua propriastabilitàe c’era da stupirsi davanti all’immensa fatica e periziameccanica di cui era il risultato. Sotto ai giacimenti di carbone osservavostrati misti dall’apparenza quasi di cementofin quando giungemmo nel granitoprimitivoin cui i cristalli di quarzo splendevano e ammiccavano come se lenere pareti fossero cosparse di polvere di diamante.
Scendevamo e scendevamopiù in basso di dove fosse mai arrivato un esseremortale. Le rocce arcaiche variavano in modo incredibile di coloree maidimenticherò un ampio cerchio di feldspato rosache luccicava di bellezzaultraterrena alla luce delle nostre lampade.
Una piattaforma dopo l’altraun ascensore dopo l’altroe l’aria che sifaceva sempre più scarsa e calda fin quando anche i nostri leggeri indumenti diseta greggia sembravano intollerabili e il sudore colava per il corpo fin nellescarpette dalla suola di gomma. Alla fineproprio quando stavo pensando che nonsarei riuscito a sopportare il disagio un minuto di piùl’ascensore sifermò su una piattaforma circolare scavata nella roccia. Mi accorsi che Malonegettò uno strano sguardo sospettoso alle pareti intorno. Se non lo avessiconosciuto per un uomo molto coraggiosoavrei detto che era in preda all’ansia.
«Materiale dall’aspetto insolitoquesto» disse l’ingegnere capopassando la mano sul tratto a lui più vicino di roccia. La illuminò e mostròche luccicava di una curiosa schiuma viscida. «Sono stati osservati come deibrividi e fremitiqua sotto. Non so proprio con che cosa abbiamo a che fare. IlProfessore ne sembra soddisfattoma per me è una cosa del tutto nuova.»
«Devo confessare che io stesso l’ho vista letteralmente ondeggiarequestaparete» disse Malone. «L’ultima volta che sono stato quaggiù abbiamosistemato quelle travi a croce per la vostra trivella e quando abbiamo praticatoi buchi per i supportiessa sussultava ad ogni colpo. La teoria del vecchiosembrava assurda nella sicura vecchia città di Londrama quaggiùadodicimila metri sotto alla superficienon ne sono più così certo.»
«Se sapeste che cosa c’è sotto questo telo cerato ne sareste ancora menosicuro» disse l’ingegnere. «Tutte queste rocce più profonde le abbiamotagliate come si taglia il formaggioma quando siamo arrivati qua ci si èpresentata una formazione che non rassomiglia a nessun’altra sulla terra."Coprila! Non toccarla!" ha detto il Professore. E così l’abbiamoprotetta col telo secondo le sue istruzionie lì è rimasta.»
«Non potremmo darle un’occhiata?»
Sulla faccia già lugubre dell’ingegnere comparve un’espressione di paura.«Non è uno scherzodisobbedire al Professore» disse. «È cosìdannatamente perspicaceche non sai mai se non riesce in qualche modo asmascherarti. Comunquediamo una sbirciata e rischiamo.»
Volse il fascio di luce della lampada verso il basso per illuminare la telacerata. Quindi si fece da parte etirando una corda legata ad un angolo deltelonescoprì cinque o sei metri quadrati della superficie sottostante.
Era uno spettacolo straordinario e terrificante. Si trattava di un materialegrigiastrolucido e riflettenteche si alzava e abbassava in una specie dilento respiro. Le palpitazioni non erano precisema davano l’impressione diun dolce fremito o ritmo che percorreva tutta la superficie; quest’ultima nonera tutta omogenea ma nel suo internoviste come attraverso un vetrosmerigliatoc’erano placche o bolle biancastreche mutavano continuamente diforma e misura. Rimanemmo tutti e tre a fissare affascinati questa incredibilevisione.
«Sembra proprio la pelle di un animale» disse Malone con un sussurro pieno disacro rispetto. «Il vecchio forse non è poi tanto fuori strada quando parla diun echino.»
«Mio Dio» esclamai. «E io dovrei infilare un arpione in quella bestia?»
«Questo è il tuo privilegioragazzo mio» disse Malone«etriste a dirsise non mando tutto al diavolo primadovrò essere al tuo fianco in quelmomento.»
«Ma non certo io» annunciò con decisione l’ingegnere capo. «Non ho maiavuto idee così chiare su nessuna cosa. Se il vecchio insistedò le miedimissioni. Buon Dio! Guardate là!»
La superficie grigia diede un improvviso sobbalzoinnalzandosi verso di noicome un’onda verso il parapetto della riva. Poi si quietò e continuaronosolocome primai leggeri battiti e palpiti. Barforth mollò la fune e fececalare il telo.
«Sembrava quasi che sapesse che noi eravamo qua» disse.
«Perché mai si sarà sollevata così verso di noi? Può darsi che sia stata laluce a provocare quella reazione.»
«E io che cosa dovrei fare adesso?» chiesi.
Mr. Barforth indicò i due travi messi attraverso il pozzo immediatamente sottoal luogo di arrivo dell’ascensore. Tra di loro c’era una distanza di unatrentina di centimetri.
«Quella era l’idea del vecchio» disse. «Io credo che l’avrei pensatameglioma è come mettersi a discutere con un bufalo impazzito. La cosamigliore e più sicura è fare come dice lui. La sua idea era che voi usiate latrivella da trentafissandola in qualche modo a questi supporti.»
«Non credo ci sia alcuna difficoltà a far ciò» risposi. «Non mi rimane chemettermi fin da adesso al lavoro.»
Fucome si può ben immaginarela più strana esperienza della mia puravventurosa vitadurante la quale ho scavato pozzi in ogni continente dellaTerra. Dato che il professor Challenger insisteva moltissimo perché l’operazionevenisse comandata a distanzae che io stesso avevo incominciato a vedere unalogica in tale tesidovevo progettare un qualche sistema di controlloelettricocosa del resto non difficile perché il pozzo era dotato di impiantoelettrico da cima a fondo. Con infinita cura il mio tecnico Peters ed io calammole varie sezioni di tubi e le fissammo nei punti rocciosi. Poi innalzammo labase di arrivo dell’ultimo ascensore per crearci uno spazio più comodo.
Avendo deciso di utilizzare il sistema a percussioneche avrebbe permesso dinon dipendere solo dalla gravitàappendemmo il nostro peso di cinquanta chiliad una carrucola sotto l’ascensore e facemmo correre i nostri tubi sotto diesso con un morsetto a forma di V. Infine assicurammo alla parete del pozzo lafune che reggeva il pesodi modo che un comando elettrico avrebbe potutomollarlo.
Si trattò di un lavoro difficile e delicatoin un caldo più che tropicale econ la costante sensazione che il movimento sbagliato d’un piede o la cadutadi un utensile sul telone cerato ch’era sotto di noi avrebbe potuto scatenarequalche imprevedibile catastrofe. Anche tutto ciò che ci circondava ciinstillava un senso di reverente timore. Più d’una volta vidi trascorrerelungo le pareti uno strano fremito o sussultoe avvertii una leggera pulsazionenel poggiarvi sopra la mano. Né io né Peters sentimmo alcun dispiacere quandodemmo il segnale che eravamo pronti a tornare in superficie e quindi in grado dicomunicare a Mr. Barforth che il professore Challenger poteva dare esecuzione alsuo esperimento non appena lo volesse.

Arthur Conan Doyle

QUANDO LA TERRA URLO'

Parte Seconda

È facilmente immaginabile comequando arrivammo alla stazione diStorringtonnel versante nord di South Downio fossi in uno stato di notevoletensione nervosa. Ci aspettava una consunta Vauxhall trenta decappottabilecheci scarrozzò per una diecina di chilometri lungo straducole e tratturi chenonostante fossero di per sé fuori manomostravano profondi solchi ed evidentisegni di traffico pesante. Un autocarro fuori uso fermo nell’erba ci fececapire come per altri mezzi fosse stato difficoltoso come per noiarrivare finoa quel punto. Più avanti un grande pezzo di motorevalvole e pistoni di unapompa idraulica si sarebbe dettoemergeva pieno di ruggine da un cespuglio diginestra.
«Questa è opera di Challenger» disse Malone ghignando. «Ha detto che eratre millimetri più del preventivoe così ha pensato bene di buttarla fuoristrada.»
«Naturalmente con lo strascico di qualche vertenza legale.»
«Vertenza legale! Caro miodovremmo avere un tribunale tutto per noi. Neabbiamo abbastanza da occupare un giudice per un anno intero. Nonché ilGoverno. Il vecchio non si fa riguardo per nessuno. Il Re contro GeorgeChallenger e George Challenger contro il Re. I due faranno una sarabanda da untribunale all’altro. Eccoci siamo. SìJenkinspuoi lasciarci entrare!»
Un omone con un vistoso orecchio a cavolfiore stava esaminando l’interno dellanostra vettura col viso atteggiato a minaccioso sospetto. Quando riconobbe ilmio amico si rilassò e salutò.
«BeneMr. Malone. Pensavo che fosse l’American Associated Press.»
«Sono sulle pestequellieh?»
«Loro oggi e The Times ieri. Ahstanno ronzando mica male qua intorno.Guardi!» E indicò un lontano puntino all’orizzonte. «Guardi quella cosa cheluccica: è il telescopio del Daily News di Chicago. Eh sìci stannotallonando da vicino. Li ho visti tutti allineaticome i corvilungo il Beaconlaggiù.
«Poveri giornalisti!» commentò Malone. «Appartengo anch’io alla lorospeciee so che cosa si prova.»
In quel momento sentimmo un piagnucoloso belato dietro di noi: «Malone. TedMalone!»
Veniva da un ometto grasso che era appena giunto con una motocicletta e adessosi stava divincolando nella stretta erculea del guardiano del cancello.
«Ma sulasciami stare!» urlò. «Tieni giù le mani! Malonediglielo tu aquesto tuo gorilla.»
«Lascialo stareJenkins! È un mio amico!» gridò Malone. «Alloravecchiospilungoneche cosa c’è? Che stai facendo da queste parti? Fleet Street èil tuo pascolonon le selvagge campagne del Sussex.»
«Sai benissimo che cosa sto facendo qui» disse il visitatore. «Mi hanno datol’incarico di buttar giù un articolo su Hengist Down e non posso tornaresenza aver scritto qualcosa.»
«Mi spiaceRoyma qui non puoi ottenere niente. Devi stare dall’altra partedel recinto. Se vuoi vedere qualcosa di più devi andare dal professorChallenger e farti dare il permesso da lui.»
«Ci sono stato» disse il giornalista tutto imbronciato. «Stamattina sonostato da lui.»
«E che cosa ti ha detto?»
«Che mi avrebbe scaraventato fuori dalla finestra.»
Malone rise. «E tu che cosa hai ribattuto?»
«Gli ho chiesto: non andrebbe bene anche la porta? E per dimostrargli cheandava benissimo l’ho infilata in tutta fretta e ho tagliato la corda. Non misembrava il momento di stare a discutere. Tra quel toro assiro di Londra equesto teppista quache mi ha rovinato la pellicola fotograficami sembrimesso in bella compagniaTed Malone.»
«Non ti posso aiutareRoy. Se potessi lo farei. A Fleet Street dicono che tula spunti semprema questa volta sei proprio mal messo. Tornatene in ufficio ese hai pazienza solo qualche giornonon appena il vecchio lo permetteti daròle notizie che cerchi.»
«Nessuna possibilità di entrare?»
«Non se ne parla nemmeno.»
«Un po’ di denaro potrebbe servire?»
«Non dovevi nemmeno pensarlo.»
«Dicono che si tratta di una perforazione fino alla Nuova Zelanda.»
«Si tratterà di un volo all’ospedalese continui a stare tra i piediRoy.Addioadesso. Abbiamo da lavorarenoi due.»
«Quello è Roy Perkinsil corrispondente di guerra» spiegò Malone mentrecamminavamo nella zona recintata. «Abbiamo battuto il suo recordperché sidice che egli sia invincibile. È quella sua faccina innocente e grassoccia chelo fa passare dappertutto. Una volta eravamo nello stesso ufficio. Eccolì»e indicò un gruppo di graziose casette dai tetti rossi«ci sono le residenzedegli uomini. Sono un manipolo di operai sceltipagati molto più delle tariffecorrenti. Devono essere scapoliastemi e legati da un giuramento diriservatezza. Quel campo è per il football e l’edificio a parte è lalibreria e la sala di ricreazione. Il vecchio è un grande organizzatorete logarantisco io. Questo è Mr. Barforthl’ingegnere capo in carica.»
Davanti a noi era infatti apparso un uomo: altomagromelanconico e col visosegnato da profonde rughe di preoccupazione.
«Mi immagino che lei sia l’ingegnere artesiano» disse con voce cupa. «Miavevano detto del suo arrivo. Sono lieto che sia arrivato perché non ho ritegnoa confessarle che la responsabilità di questa cosa mi sta logorando i nervi.Lavoriamo e lavoriamoe non so mai se stiamo per arrivare ad una falda di acquacalcareao a un giacimento di carboneo a un getto di petrolio o addirittura auna fuoriuscita di fuoco infernale. Per ora ci è stato risparmiato quest’ultimoma può darsi che tocchi a voiper quel che ne so.»
«E così caldo laggiù?»
«Per caldo è caldoniente da dire. Può anche darsi che sia da attribuiretutto alla pressione barometrica e alla ristrettezza dello spazio. Naturalmentela ventilazione è scarsa. Noi pompiamo giù ariama gli uomini non riescono afare turni di più di due oree sono ragazzi pieni di buona volontà. IlProfessore è andato giù ieri ed era molto soddisfatto di tutto. Sarà bene chelei venga con noi a pranzo e poi vedrà da sé.»
Dopo un pasto veloce e frugaleil dirigentemolto compreso ed entusiastacicondusse a visitare l’impianto meccanico posto in un edificio di mattonieuna quantità di aggeggi ormai inutili sparsi nel prato. Da una parte c’era un’immensapala idraulica Arrolcon la quale era stata fatta la prima rapida escavazionesuperficiale. Accanto c’era una macchina che azionava un cavo di acciaio sucui erano le pale che portavano sudal fondo del pozzoin successivi stadiidetriti.
Nell’edificio del generatore c’erano varie turbine Escher Wyss di grandepotenzacapaci di funzionare alla velocità di centoquaranta giri al minuto ealimentanti degli accumulatori idraulici che sviluppavano una pressione disettemila chilogrammi per cinque centimetri quadratipassando attraverso tubidi una decina di centimetri giù fino al pozzo e capaci di azionare quattrotrivelle per roccia con lame curvedel tipo Brandu. Confinante con il capannonedella macchina c’era la centrale elettrica che alimentava un potente impiantodi illuminazionee ancora lì vicino si trovava una turbina supplementarediduecento cavalli vapore; quest’ultima era dotata di un’elica di circa tremetri cheattraverso una tubazione larga più o meno trenta centimetrispingeva l’aria verso il fondo dell’opera di scavo.
Tutte queste meraviglie vennero illustrate dal loro responsabile chein predaal suo orgoglioso entusiasmostava rischiando di farmi morire di noia -- comeio a mia volta sto forse facendo col mio lettore. Fortunatamente fummointerrotti dal rombo di un motore e io mi rallegrai nel vedere la mia potenteLeyland sopraggiungere traballando pesantemente sull’erbacarica all’inverosimiledei miei macchinari e delle sezioni di tubaturacon a bordo il mio tecnicoPeters e davanti il suo assistenteirriconoscibile per come era sporco. I duesi misero a scaricare i miei arnesi e a portarli dentro. Lasciamoli al lorolavoroil direttorecon Malone e il sottoscrittoandò verso il pozzo.
Il luogo era strabiliantemolto più grande di come non mi fossi maiimmaginato. I cumuli di detritiche rappresentavano le migliaia di tonnellateestratteformavano una specie di ferro di cavallo tutt’intornoalto come unamontagnola. Nella cavità di questo ferro di cavallocomposto di calcareargilla e granitosi innalzava un groviglio di piloni e ruote di ferro cheazionavano gli ascensori e le pompe ed erano collegati con l’edificio dimattoni che conteneva la centrale elettricaanch’essa ubicata all’internodel ferro di cavallo. Al di làsi apriva la bocca del pozzoun buco immensodel diametro di trenta-trentacinque metridelimitato da un rialzo di mattoni ecemento.
Quando allungai il collo oltre questo muro e gettai l’occhio nello spaventosoabisso che mi avevano detto profondo più di una dozzina di chilometrila miamente vacillò al pensiero di ciò che esso rappresentava. La luce del sole neinvestiva l’orifizio con raggi obliqui ed io potevo vedere solo alcunecentinaia di metri di calcare bianco sporcopuntellato da un’opera in mattoniqua e làdove era sembrato poco stabile. Scorsi però lontanoa grandeprofondità nel buioun piccolissimo barlume di luceun lumino infinitesimalema netto e sicuro contro quello sfondo d’inchiostro.
«Che cos’è quella luce?» chiesi.
Malone si chinò sul parapetto vicino a me. «È una delle cabine che stasalendo» mi spiegò. «Piuttosto eccezionalenon ti pare? E a più di unchilometro e mezzo da noi e quella lucina è una potente lampada ad arco.Viaggia a notevole velocitàsarà qui a minuti.»
In effetti era evidente che il punto luminoso diventava sempre più grandefinquando inondò la cavità col suo splendore argentatotanto che dovettidistogliere gli occhi dall’accecante luminosità. Un attimo dopo la cabina diferro approdava sulla piattaforma d’arrivo e ne uscivano quattro uomini che siavviarono verso l’uscita.
«Distrutti» commentò Malone. «Non è uno scherzo un turno di due ore aquella profondità. Beneparte del tuo materiale è quipenso che la cosamigliore adesso sia andare giù. Così sarai in grado di giudicare da te lasituazione.»
Vicino all’edificio della centrale elettrica c’era un vano secondarioincui mi condusse; un certo numero di vestiti di leggerissima seta greggiapendevano dalle pareti. Seguendo l’esempio di Malonemi tolsi tutto ilvestiario che avevo indosso e mi infilai uno di quegli indumentioltre a unpaio di scarpette con suola di gomma. Dopo un attimo sentii una gazzarracomedi una muta di cani che si azzuffanoe quando corsi fuorividi il mio amicoche si rotolava a terraavvinghiato ad un operaio che stava aiutando ascaricare i miei tubi artesiani. Egli stava cercando di carpirgli qualcosachel’altro invece difendeva disperatamente. Ma Malone era molto più forteecosì riuscì a sottrargli l’oggetto dalle maniquindi lo pestò sotto aipiedi fino a ridurlo in pezzi. Solo allora mi accorsi che si trattava di unamacchina fotografica.
Il mio operaiocon la faccia tutta insudiciata e inviperitasi rialzò.«Accidenti a teTed Malone!» esclamò. «Era una macchina nuova che valevadieci ghinee.»
«Non ci posso far nienteRoy. Ti ho visto scattare una foto e non avevo altrascelta.»
«Come diavolo s’è trovato a maneggiare le mie attrezzature?» chiesi congiustificata indignazione.
La canaglia ammiccò e sogghignò. «Ci sono sempre modi e maniere»sentenziò. «Ma non se la prenda col suo dipendente. Lui credeva che fosse solouno scherzo. Ho scambiato i vestiti col suo aiutante e sono entrato.»
«Ed ora te la fili» disse Malone. «Senza discutereRoy. Se ci fosse quiChallenger ti avrebbe già messo i cani alle calcagna. È capitato anche a me ditrovarmi nei guaiquindi non mi voglio accanirema io qui devo fare il cane daguardiae posso azzannare oltre che abbaiare. Vattene! Marsc!»
Così il nostro intraprendente visitatore fu accompagnato fuori dal recinto dadue bisunti operai. E così il pubblico capirà infine l’origine di quelmeraviglioso articolo su quattro colonne intitolato "Pazzo sogno di unoscienziato"col sottotitolo "Scorciatoia verso l’Australia"che apparve su The Adviser alcuni giorni dopocol risultato di condurreChallenger al limite di un attacco apoplettico e il redattore del giornale alpiù pericoloso e sgradevole colloquio della sua vita.
L’articolo era un resoconto esagerato e colorito dell’avventura di RoyPerkins "il nostro abile corrispondente di guerra" e conteneva alcunipassaggi roventicome "questo toro irsuto di Enmore Gardens""un recinto protetto da filo spinatopicchiatori e segugi"infine"Fui allontanato dal bordo del tunnel anglo-australiano da due malviventiil più violento dei quali era un tale senza mestiere preciso che io avevo a suotempo conosciuto di vista come un sicofante della professione giornalisticamentre l’altrouna figura sinistra con uno strano costume orientaleggiantevoleva dare da intendere di essere un ingegnere artesianoanche se il suoaspetto richiamava piuttosto un abitante di Whitechapel." (4)
Dopo averci così ben strapazzatiil furfante passava da una minuziosadescrizione di binari all’imboccatura della voraginea quella di un percorsoa zig-zag lungo il quale si sarebbero fatte scorrere delle funicolari attraversoil ventre della Terra. L’unico vero guaio pratico che venne fuori da questoarticolo fu che aumentarono considerevolmente i fannulloni stazionanti sui SouthDowns in attesa che succedesse qualcosa. Venne il giorno in cui qualcosaavvennee in cui avrebbero preferito essere altrove.
Il mio capocantiere col suo assistente vittima della beffa di Royaveva sparsotutti i miei attrezzila mia valigettail mio cavallettole trivelle a Vlepertichei pesima Malone insistè perché lasciassimo stare tutto escendessimo insieme fino al punto più profondo. Entrammo quindi nella cabinache era fatta con grate di acciaioe in compagnia dell’ingegnere caposcendemmo fin nelle viscere della Terra. C’erano una serie di ascensoriautomaticiciascuno con la propria stazione di comando scavata nel fianco delpozzo. Scendevamo a grande velocità e la sensazione era più di un viaggio inuna ferrovia verticale che non di una discesa frenata come si ha negli ascensoriinglesi.
Essendo la cabina a griglie e intensamente illuminatasi aveva una precisavisione degli strati che andavamo attraversando: potevo farmi un’idea esattadi ciascuno di essi. C’era il calcare inferiore giallastrogli strati diHastings color caffèi giacimenti Ashburnhamle scure argille carbonifere epoiscintillanti nella luce elettricastrisce dopo strisce di lucente carbonenero-ebanoalternati a tracce di argilla. Qua e là erano stati inseritimanufatti di mattonima nel complesso il pozzo aveva una sua propriastabilitàe c’era da stupirsi davanti all’immensa fatica e periziameccanica di cui era il risultato. Sotto ai giacimenti di carbone osservavostrati misti dall’apparenza quasi di cementofin quando giungemmo nel granitoprimitivoin cui i cristalli di quarzo splendevano e ammiccavano come se lenere pareti fossero cosparse di polvere di diamante.
Scendevamo e scendevamopiù in basso di dove fosse mai arrivato un esseremortale. Le rocce arcaiche variavano in modo incredibile di coloree maidimenticherò un ampio cerchio di feldspato rosache luccicava di bellezzaultraterrena alla luce delle nostre lampade.
Una piattaforma dopo l’altraun ascensore dopo l’altroe l’aria che sifaceva sempre più scarsa e calda fin quando anche i nostri leggeri indumenti diseta greggia sembravano intollerabili e il sudore colava per il corpo fin nellescarpette dalla suola di gomma. Alla fineproprio quando stavo pensando che nonsarei riuscito a sopportare il disagio un minuto di piùl’ascensore sifermò su una piattaforma circolare scavata nella roccia. Mi accorsi che Malonegettò uno strano sguardo sospettoso alle pareti intorno. Se non lo avessiconosciuto per un uomo molto coraggiosoavrei detto che era in preda all’ansia.
«Materiale dall’aspetto insolitoquesto» disse l’ingegnere capopassando la mano sul tratto a lui più vicino di roccia. La illuminò e mostròche luccicava di una curiosa schiuma viscida. «Sono stati osservati come deibrividi e fremitiqua sotto. Non so proprio con che cosa abbiamo a che fare. IlProfessore ne sembra soddisfattoma per me è una cosa del tutto nuova.»
«Devo confessare che io stesso l’ho vista letteralmente ondeggiarequestaparete» disse Malone. «L’ultima volta che sono stato quaggiù abbiamosistemato quelle travi a croce per la vostra trivella e quando abbiamo praticatoi buchi per i supportiessa sussultava ad ogni colpo. La teoria del vecchiosembrava assurda nella sicura vecchia città di Londrama quaggiùadodicimila metri sotto alla superficienon ne sono più così certo.»
«Se sapeste che cosa c’è sotto questo telo cerato ne sareste ancora menosicuro» disse l’ingegnere. «Tutte queste rocce più profonde le abbiamotagliate come si taglia il formaggioma quando siamo arrivati qua ci si èpresentata una formazione che non rassomiglia a nessun’altra sulla terra."Coprila! Non toccarla!" ha detto il Professore. E così l’abbiamoprotetta col telo secondo le sue istruzionie lì è rimasta.»
«Non potremmo darle un’occhiata?»
Sulla faccia già lugubre dell’ingegnere comparve un’espressione di paura.«Non è uno scherzodisobbedire al Professore» disse. «È cosìdannatamente perspicaceche non sai mai se non riesce in qualche modo asmascherarti. Comunquediamo una sbirciata e rischiamo.»
Volse il fascio di luce della lampada verso il basso per illuminare la telacerata. Quindi si fece da parte etirando una corda legata ad un angolo deltelonescoprì cinque o sei metri quadrati della superficie sottostante.
Era uno spettacolo straordinario e terrificante. Si trattava di un materialegrigiastrolucido e riflettenteche si alzava e abbassava in una specie dilento respiro. Le palpitazioni non erano precisema davano l’impressione diun dolce fremito o ritmo che percorreva tutta la superficie; quest’ultima nonera tutta omogenea ma nel suo internoviste come attraverso un vetrosmerigliatoc’erano placche o bolle biancastreche mutavano continuamente diforma e misura. Rimanemmo tutti e tre a fissare affascinati questa incredibilevisione.
«Sembra proprio la pelle di un animale» disse Malone con un sussurro pieno disacro rispetto. «Il vecchio forse non è poi tanto fuori strada quando parla diun echino.»
«Mio Dio» esclamai. «E io dovrei infilare un arpione in quella bestia?»
«Questo è il tuo privilegioragazzo mio» disse Malone«etriste a dirsise non mando tutto al diavolo primadovrò essere al tuo fianco in quelmomento.»
«Ma non certo io» annunciò con decisione l’ingegnere capo. «Non ho maiavuto idee così chiare su nessuna cosa. Se il vecchio insistedò le miedimissioni. Buon Dio! Guardate là!»
La superficie grigia diede un improvviso sobbalzoinnalzandosi verso di noicome un’onda verso il parapetto della riva. Poi si quietò e continuaronosolocome primai leggeri battiti e palpiti. Barforth mollò la fune e fececalare il telo.
«Sembrava quasi che sapesse che noi eravamo qua» disse.
«Perché mai si sarà sollevata così verso di noi? Può darsi che sia stata laluce a provocare quella reazione.»
«E io che cosa dovrei fare adesso?» chiesi.
Mr. Barforth indicò i due travi messi attraverso il pozzo immediatamente sottoal luogo di arrivo dell’ascensore. Tra di loro c’era una distanza di unatrentina di centimetri.
«Quella era l’idea del vecchio» disse. «Io credo che l’avrei pensatameglioma è come mettersi a discutere con un bufalo impazzito. La cosamigliore e più sicura è fare come dice lui. La sua idea era che voi usiate latrivella da trentafissandola in qualche modo a questi supporti.»
«Non credo ci sia alcuna difficoltà a far ciò» risposi. «Non mi rimane chemettermi fin da adesso al lavoro.»
Fucome si può ben immaginarela più strana esperienza della mia puravventurosa vitadurante la quale ho scavato pozzi in ogni continente dellaTerra. Dato che il professor Challenger insisteva moltissimo perché l’operazionevenisse comandata a distanzae che io stesso avevo incominciato a vedere unalogica in tale tesidovevo progettare un qualche sistema di controlloelettricocosa del resto non difficile perché il pozzo era dotato di impiantoelettrico da cima a fondo. Con infinita cura il mio tecnico Peters ed io calammole varie sezioni di tubi e le fissammo nei punti rocciosi. Poi innalzammo labase di arrivo dell’ultimo ascensore per crearci uno spazio più comodo.
Avendo deciso di utilizzare il sistema a percussioneche avrebbe permesso dinon dipendere solo dalla gravitàappendemmo il nostro peso di cinquanta chiliad una carrucola sotto l’ascensore e facemmo correre i nostri tubi sotto diesso con un morsetto a forma di V. Infine assicurammo alla parete del pozzo lafune che reggeva il pesodi modo che un comando elettrico avrebbe potutomollarlo.
Si trattò di un lavoro difficile e delicatoin un caldo più che tropicale econ la costante sensazione che il movimento sbagliato d’un piede o la cadutadi un utensile sul telone cerato ch’era sotto di noi avrebbe potuto scatenarequalche imprevedibile catastrofe. Anche tutto ciò che ci circondava ciinstillava un senso di reverente timore. Più d’una volta vidi trascorrerelungo le pareti uno strano fremito o sussultoe avvertii una leggera pulsazionenel poggiarvi sopra la mano. Né io né Peters sentimmo alcun dispiacere quandodemmo il segnale che eravamo pronti a tornare in superficie e quindi in grado dicomunicare a Mr. Barforth che il professore Challenger poteva dare esecuzione alsuo esperimento non appena lo volesse.

Arthur Conan Doyle

QUANDO LA TERRA URLO'

Parte Terza

Non dovemmo aspettare a lungo. Erano passati solo tre giorni dalla miacomunicazioneche mi giunse l’avviso.
Era un comune biglietto d’invitocome quelli che si mandano per invitare gliamici a casa per un tèe diceva così:

"Il professor G.E. ChallengerF.R.S.M.D.D.Sc. ecc.
(già Presidente dell’Istituto Zoologico
e titolare di tante cariche e onorificenze
che non troverebbero posto in questo biglietto)
chiede la presenza di
Mr. Jones
(le signore non sono ammesse)
alle 1130 di giovedì mattina21 giugno
per assistere a un’eccezionale trionfo della mente sulla materia a
Hengist DownSussex.
Treno speciale da Victoria 1005.
Biglietto a carico degli invitati.
Pranzo dopo l’esperimento oppure no -- a seconda delle circostanze.
Stazione di Storrington.
Si attende risposta (subito e a stampatello);
Enmore Gardens 14 bisS.W."

Malone aveva ricevuto lo stesso biglietto e ci stava ridacchiando sopra.
«Che stupidaggine mandare quest’invito a noi» commentò. «Noi ci dobbiamoassolutamente esserequalsiasi cosa accadacome disse il boia all’assassino.Ma ti assicuro che esso ha sollevato un vespaioa Londra. Il vecchio ora èarrivato dove voleva arrivarecon i fari tutti puntati sulla sua vecchia eirsuta testa.»
Venne infine il grande giorno. Per quanto mi riguardavapreferii recarmi sulposto il giorno primaper essere sicuro che tutto fosse in ordine. La nostratrivella era al suo postoil peso ben sistematoed io ero ben contento che lamia parte in questo strano esperimento non mi avrebbe costretto ad azionaredirettamente la macchina. I controlli elettrici venivano comandati da un puntodistante circa cinquecento metri dalla bocca della voragineper ridurre alminimo gli eventuali danni alle persone. Quandonel mattino fataleunbellissimo giorno d’estate inglesetornai in superficie soddisfatto delcontrollosalii per circa metà sulla scarpata del Down per avere una vistagenerale di quanto stava avvenendo.
Sembrava che tutta la terra si fosse data convegno a Hengist Down. Fin dovespaziava lo sguardole strade erano formicolanti di gente. Automobiliarrivavano sobbalzando e sbandando lungo le stradicciolescaricando quindi ipasseggeri al cancello del recinto. Per la maggioranza della gente era quello ilpunto più avanzato che riuscissero a toccareperché una folta schiera dicustodi aspettava all’ingresso e non c’erano promesse o mance che valessero:solo l’esibizione del prezioso biglietto color avorio permetteva loro diavanzare. Si disperdevano quindiraggiungendo la vasta folla che già si stavaassembrando lungo la scarpata della collina e coprendone il colmo con una fittamassa di spettatori. Il luogo aveva tutto l’aspetto di Epsom Downs (5) nelgiorno del Derby.
All’interno del recinto alcune aree erano state delimitate e alcuni spettatoriprivilegiati venivano condotti nelle zone loro assegnate. C’era uno di taliluoghi per i Pariuno per i membri della House of Commons e uno per irappresentanti di società culturali e uomini famosi nel mondo scientificocompresi Le Pellier della Sorbona e il Dr. Driesinger dell’Accademia diBerlino. Per tre membri della Famiglia Reale era stato preparato a parte unluogo riservato e delimitatocon sacchetti di sabbia e una tettoia di zincoondulato.
Alle undici e un quarto una processione di autopulman portò gli invitati chevenivano dalla stazione e io andai giù fino al recinto per assistere all’accoglienzadei medesimi. Il professor Challenger era in piedi presso all’ingressosmagliante nella sua redingotepanciotto bianco e lucido cappello a cilindrosul viso un’espressione di potenza e quasi umiliante benevolenzainsieme conla più incredibile boria. "Tipica vittima del complesso di Jehovahchiaramente"disse di lui uno dei suoi denigratori.
Egli si prestò a ricevere e talvolta a indirizzare i suoi ospiti ai loro postiquindidopo aver riunito l’élite della compagnia intorno a séprese postosul cocuzzolo di un’altura adatta e si guardò intorno con l’aria di unoratore che si aspetta un applauso di benvenuto. Siccome non accadde niente delgenereegli affrontò subito l’argomentocon una voce che risuonava finoalle più distanti estremità della staccionata.
«Signori» ruggì«e non ho bisogno di rivolgermi alle signore. Io non le hoinvitate ad essere qui con noi questa mattinave lo assicuronon per mancanzadi stimaperché potrei dire -- con humour da elefante e con modestia burlesca-- che le relazioni tra me e l’altra metà dell’umanità sono statereciprocamente ottime... ed intime. La ragione è che questo esperimentocomporta un piccolo margine di pericolononostante esso non sia sufficiente agiustificare il turbamento che vedo su molte delle vostre facce. Potràinteressare i membri della stampa sapere che ho riservato loro dei sedilispeciali sulle scarpate che danno direttamente sulla scena dell’operazione.Essi hanno dimostrato verso i miei affari un interesse che spesso ha rasentato l’impertinenzacosì adesso non potranno certo lamentarsi che sono stato poco sollecito nellostudiare la cosa più opportuna per loro. Se non succede nullail che èpossibileio ho fatto del mio meglio per loro. Se invece accade qualcosa sitroveranno nel luogo migliore per prendere visione e documentare l’eventoammesso che siano all’altezza del compito.
«È impossibilecome certo capireteper un uomo di scienza spiegare a quellochesenza voler mancare di rispettosi potrebbe definire il comune greggelevarie ragioni delle sue conclusioni e delle sue azioni. Sento delle interruzionipoco educate e chiedo al signore con gli occhiali di tartaruga di smettere dibrandire l’ombrello. (Una voce: "La definizione dei suoi ospiti èassolutamente offensiva".) Può darsi che sia stata la mia frase "ilgregge comune" a scomporre il signore. Lasciatemi dire allora che i mieiascoltatori costituiscono un gregge insolito. Non stiamo a cavillare sullefrasi. Prima di essere interrotto da questa inopportuna osservazionestavo perdire che tutta la materia è pienamente e lucidamente discussa nel mio prossimolibro sulla Terralibro che io definiscosenza falsa modestiauna delle opereche segnano un’epoca nella storia del mondo. (Interruzione generale e urli:"Venga ai fatti!" "Per che cosa siamo qui?" "Chescherzo è questo?") Stavo per spiegare tutto e se sarò interrotto dinuovo sarò costretto a mettere in atto misure per mantenere l’ordine e ilcontegnosenza i quali non si può andare avanti. Il fatto è dunque che io hofatto praticare un pozzo attraverso la crosta terrestre e che sono in procintodi sperimentare l’effetto di un’energica stimolazione della sua cortecciasensoriadelicata operazione che verrà eseguita dai miei subordinatiMr.Peerless Jonesun sedicente esperto in perforazioni artesianee Mr. EdwardMaloneche mi rappresenta in quest’occasione. La materia sensibile che èstata messa a nudo verrà foratae il modo in cui reagirà sarà materia distudi. Se ora volete gentilmente prendere postoquesti due signori scenderannonel pozzo e faranno gli ultimi preparativi. Io dopo premerò il pulsanteelettrico che è su questo tavolo e l’esperimento sarà compiuto.»
Dopo un discorso di Challenger gli astanti di solito si sentivano come seallostesso modo della Terraanche a loro fosse stata strappata l’epidermideefossero rimasti con i nervi allo scoperto. Non fu altrimenti questa voltaementre tutti tornavano ai loro postisi udì un sommesso mormorio di critichedi sdegno.
Challenger si assisesolo sulla cima del rialzocon un tavolino accantolazazzera e la barba nera che vibravano dall’emozione: uno spettacolo veramentefuori del comune. Né Malone né io però potemmo ammirare la scenaperchédovemmo subito correre a svolgere il nostro compito. Venti minuti dopo eravamoin fondo alla cavità e avevamo rimosso il telone dalla superficie.
Quella che stava davanti a noi era una visione sorprendente. A causa di qualchestrana telepatia cosmicasembrava che il vecchio pianeta sapesse che ci sistava prendendo una libertà mai prima sognata. La superficie scoperta era comeuna pignatta ribollente. Grandi bolle grigie si sollevavano e si aprivano conschiocchi rumorosi. Le bolle al di sotto della pelle si separavano e sirifondevano con frenetica agitazione. Le increspature erano diventate più fortie più ravvicinate di prima. Un fluido rosso scuro sembrò pulsare nei tortuosimeandri dei canali che giacevano sotto la superficie. C’era in ciò il verobattito della vita. Un odore pesante rendeva l’aria quasi irrespirabile aipolmoni umani.
Il mio sguardo era fisso su questo straordinario spettacolo quando Malone al miofianco ebbe un soprassalto: «Mio DioJones?» urlò. «Guarda qua!»
Diedi un’occhiatasubito dopo tolsi il blocco del contatto elettrico e migettai nell’ascensore. «Vieni» urlai. «Forse ne va della nostra vita!»
Quanto avevamo visto era in effetti allarmante. Tutta la sezione inferioresisarebbe dettosi era unita all’accresciuta attività che avevamo osservatoalla basee le pareti stavano ondeggiando e pulsando in sincronia. Questomovimento aveva alterato i fori in cui stavano le travied era chiaro che se lepareti si fossero ritratte ancora un poco -- questione di centimetri -- le travistesse sarebbero cadute. Se così fosse statol’estremità acuminata dellatrivella avrebbe perforato la Terra indipendentemente dall’impulso elettrico.Era indispensabile essere fuori del pozzo prima che ciò avvenissese volevamoavere salva la vita. Trovarsi a una dozzina di chilometri nel ventre della Terracol pericolo che da un momento all’altro potesse verificarsi uno spaventososommovimentoera una prospettiva terribile. Ci precipitammo per riguadagnare lasuperficie.
Potrà mai uno di noi due dimenticare l’incubo di quel viaggio? Gli ascensorironzavano e filavano eppure i minuti sembravano ore. Ad ogni pianerottoloschizzavamo fuori da una cabinaci buttavamo nella prossima e schiacciavamo ilpulsante. Attraverso il soffitto a graticcio si poteva vedere lontano il piccolotondo di luce della bocca del pozzo: si allargò e si allargò fin quando fu unampio cerchio e i nostri occhi si posarono felici sull’opera in mattoni cherifiniva l’apertura. Salivamo e salivamoe infine con folle gioia e sollievouscimmo di corsa dalla nostra prigione tornando a calpestare il prato verde. Mafu questione d’un secondo: non ci eravamo allontanati di più di trenta passidal pozzo quando nella lontana profondità il mio trivello di ferro penetrò neigangli nervosi della vecchia Madre Terra: il grande momento era arrivato.
Che cosa era successo? Né Malone né io eravamo in grado di dirloperchétutti e due fummo sollevati come da un ciclone e sbatacchiati sull’erbarotolando e girando come due pietre da "curling" (6) su un campo dighiaccio. Allo stesso tempo le nostre orecchie vennero assordate dall’urlopiù spaventoso che sia mai stato udito. Chi delle centinaia di presenti cheabbiano tentato di descriverlo c’è riuscito in misura adeguata? Fu un ululatoin cui dolorerabbia e minaccia e l’oltraggiata maestà della Natura eranotutti fusi in un unico orribile grido. Durò un intero minutocento sirene chesuonavano tutte insiemeparalizzando con la loro insistenza selvaggia l’immensamoltitudineper poi espandersi per tutta la quieta aria estivaecheggiando pertutta la South Coast e raggiungendo infine i nostri vicini Francesial di làdella Manica. Mai nella storia un suono è stato pari a questo grido della Terraoltraggiata.
Sbalorditi e assordatiMalone ed io ci eravamo accorti dello scoppio e delsuonoma fu dai resoconti degli altri che apprendemmo i dettagli di quell’incredibilescena.
I più colpiti dalla reazione delle viscere della Terra furono gli ascensori. Ilresto delle attrezzature era ancorato alle pareti e potè quindi sfuggire all’urtoma le robuste piattaforme degli ascensori furono investite in pieno dalla forzadella corrente ascendente. Quando si immettono diversi piombini in unacerbottanaessi fuoriescono uno alla voltanell’ordine in cui si trovano.Così le quattordici cabine apparvero in aria una alla voltalibrandosi l’unadopo l’altra e descrivendo una gloriosa parabola che ne fece piombare una nelmare vicino al molo di Worthing e un’altra in un campo non lontano daChichester. I presenti dichiararono che di tutti i meravigliosi spettacoli deiquali erano stati testimoni nella loro vitanessuno era stato piùstraordinario delle quattordici cabine d’ascensore che veleggiavano lentamenteper l’aria azzurra.
Poi fu la volta del geyser: un immenso zampillo di una sostanza disgustosa evischiosadella consistenza del catrameschizzò in aria fino ad un’altezzacalcolata sui quattrocento metri. Un aereo di vigilanzache pattugliava lazonafu afferrato come da un tornado e fu costretto ad un atterraggio difortunauomo e apparecchio sommersi da quella porcheria; tale orrido liquidoche aveva un odore penetrante e nauseabondopotrebbe essere stato il sangue delpianetaoppurecome sostengono il professore Driesinger e la Scuola Tedescauna secrezione protettivaanaloga a quella della puzzolapredisposta dallaNatura allo scopo di difendere la Madre Terra da invadenti Challenger (7).
In tal caso però il primo arditoseduto sul suo trono della montagnolaneuscì immacolatomentre non così fu per gli sfortunati rappresentanti dellastampache imbrattati e lordati a causa della posizione in prima lineanonpoterono presentarsi in società per molte settimane. Tale ondata di putridumefu spinta verso Sud dalla brezza e calò sulla povera folla che così a lungo econ tanta pazienza aveva aspettatoaccampata sui Downsche succedessequalcosa. Non ci furono vittimenessuna famiglia dovette lamentare perditemamolte furono inzuppate di quell’odore e tuttora recano qualche ricordo diquell’evento tra le loro pareti.
Si giunse quindi al momento della chiusura del pozzo. Come la Natura lentamentesana una ferita incominciando dagli strati inferiori passando poi man mano aquelli superioricosì la Terra aggiusta con estrema rapidità qualsiasistrappo venga fatto sul suo corpo. Mentre i lati della voragine siriaccostavanosi udì un prolungato acuto stridore cherimbombando dalleprofondità e poi inalzandosi sempre di piùterminò in un assordante fragorequando l’anello del muro di mattoni all’imbocco del tunnel si sbriciolòmentre un sussulto simile a un piccolo terremoto scuoteva i tumuli di detriti eammassava una piramide alta una dozzina di metricostituita da materiale discavo e da rottami di ferroproprio là dove c’era stata una voragine.
L’esperimento del professor Challenger non solo era finitoma era stato persempre nascosto agli occhi degli uomini. Se non fosse per merito dell’obeliscoche ora è stato innalzato dalla Royal Societydifficilmente i nostri posterisaprebbero il luogo esatto di questo incredibile evento.
Ed ecco il gran finale. Per un bel po’ dopo i descritti fenomeniregnò ilsilenzio e una trepida immobilitàcome se la folla stesse riprendendosi ecercasse di rendersi ben conto di quanto era avvenuto e di come si erano svoltele cose. Poi all’improvviso la mente di tutti fu colpita dall’imponenza delsuccessodalla grandiosità dell’intuizionedalla genialità e meravigliadell’esecuzione. All’unisono si volsero tutti verso Challenger. Da ognipunto dell’area giunsero grida di ammirazionee dal suo piccolo piedistalloegli potè osservare la marea di visi rivolti verso di luiinframmezzati solodallo sventolare in su e in giù dei fazzoletti. Anch’io mi volsi e lo vidipiù grandioso che mai. Si era alzato dalla sediagli occhi semichiusiunsorriso di consapevole valore sul voltola mano sinistra sul fiancola destrainfilata nel panciotto della redingote. Questa immagine è stata certoimmortalataperché ho sentito i "clic" degli apparecchi fotograficiscattare intorno a me come una miriade di grilli in un campo. Il sole di giugnosplendeva su di lui che si volgeva gravementeinchinandosi ai quattro punticardinali. Challenger il superscienziatoChallenger il maxipioniereChallengeril primo tra gli uomini di cui la Madre Terra fosse stata costretta adaccorgersi.
Ancora una parola a mo’ di epilogo. È risaputo ovviamente che il risultatodell’esperimento è stato conosciuto in tutto il mondo. È vero che in nessunaltro luogo il pianeta ferito abbia urlato come fece quando fu toccato a taleprofonditàma esso dimostrò anche in altro modo di essere un’entità a sépalesando la sua indignazione da ogni orifizio e da ogni vulcano. L’Eclabrontolò tanto che gli Islandesi temettero un cataclisma. Il Vesuvio emise unpennacchio di fumo. L’Etna sputò una quantità di lava e i tribunali italianiinflissero a Challenger una multa di mezzo milione di lire per la distruzione divigne. Perfino in Messico e nell’America Centrale ci furono segni di intensaindignazione da parte di Plutonee i muggiti di Stromboli riempirono il MarMediterraneo. Far parlare tutta la Terra è sempre stata un’ambizione comune:ma farla urlare è stato merito solo di Challenger.