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ATTRAVERSOLO SPECCHIO

diLewis Carroll

 

 

I

 

LOSPECCHIO

 

Unacosa era certa: che il micino bianco non c'entrava affatto: la colpa era tuttadel nero. Durante l'ultimo quarto d'ora Dinala gatta madreaveva lavata lafaccia al micino bianco (operazione che il micino dopo tuttoaveva sopportatocon dignità); era quindi chiaro che esso non aveva potuto aver parte nelmisfatto.

Ilmodo come Dina lavava la faccia ai figli era questo: prima teneva il poverinoper l'orecchio con una zampae poi con l'altra gli stropicciava tutto quanto ilmusocontro peloprincipiando dal naso; e proprio poco primacome ho dettoera stata occupatissima col micino biancoche se ne stava tranquillo e calmotentando di far le fusacerto col sentimento che tutto si faceva per il suobene.

Mail gattino nero era stato lavato prima in quel pomeriggio; e cosìmentre Alicese ne stava rannicchiata in un cantuccio della maestosa poltronain una speciedi dormivegliaesso s'era dato a una gran partita di salti col gomitolo cheAlice aveva pazientemente fatto dalla matassa di lanarotolandolo su e giùfinchè l'aveva tutto ingarbugliato. Ed ora ecco il gomitolo sparso sul tappetotutto nodi e groviglicol gattino in mezzo che cerca di acchiapparsi la coda.

—Ahbrutto micio — gridò Alice acchiappando il gattino e dandogli un bacioper fargli capire d'essere in collera. — Veramente Dina avrebbe dovutoinsegnarti a essere più educato! Tu devi farloDinatu sai che devi farlo!— essa aggiunsedando un'occhiata di rimprovero alla gatta madree parlandocol suo miglior tono di disapprovazione. E poiarrampicatasi di nuovo sullapoltronadopo aver preso con sè il gattino e la lanacominciò a rifare ilgomitolo. Ma andava innanzi lentamenteperchè nel frattempo chiacchieravaunpo' per il gattino e un po' per sè. Sulle ginocchia di lei il micio sedeva inaria tristefingendo di osservare il progresso del gomitolo e di tanto in tantosporgendo una zampettae pianamente toccando la pallacome per dire chepotendoavrebbe aiutato il lavoro volentieri.

—Sai che è domanimicino? — cominciò Alice. — Se fossi venuto allafinestra con metu l'avresti indovinato... Ma Dina ti lavava la faccia e nonhai potuto. Io guardavo i ragazzi che raccoglievano le fascine e le frasche perla fiammata di carnevale. Ce ne vogliono molte di fascinemicino. Ma facevatanto freddo e nevicava tantoche dovettero andarsene. Non importamicinodomani andremo a vedere la fiammata. — Qui Alice avvolse due o tre volte ilfilo intorno al collo del gattinoper vedervi l'effetto; ma nell'atto le sfuggìil gomitolo che rotolò sul pavimentodisfacendosi di nuovo per molti metri difilo.

—Saimicinoio ero così arrabbiata— continuò Aliceappena si furonoriaccomodati sulla poltrona— quando vidi tutto il danno che avevi fatto.Avrei quasi aperto la finestra per gettarti nella neve! E l'avresti meritatobrigantaccio! Che hai da dire? Non m'interrompere! — essa continuòlevandoun dito. — Ora ti dirò tutte le tue cattive azioni. Prima: questa mattinahai strillato due voltementre Dina ti lavava la faccia. E non puoi negarlomicinol'ho sentito io. Che cosa dici? (fingendo che il gatto abbia parlato)— Ch'essa t'aveva fatto entrar una zampa nell'occhio? Colpa tuase tenevi gliocchi aperti: se li avessi tenuti ben chiusinon sarebbe accaduto. Ora sonoinutili le scuseascolta. Secondo: tu hai tirato Nevina per la coda mentre iole mettevo innanzi il tegame del latte. Che cosa? Avevi sete anche tu? Come saiche non fosse assetata anche lei? Terzo: hai disfatto il gomitolo mentre ioguardavo da un'altra parte. Sono tre mancanzeFrufrùe tu non hai avutoancora nessun castigo. Tu sai che ti riserbo i castighi per mercoledì diquest'altra settimana. Immagina un po' se a me avessero riserbato tutti icastighi per un dato giorno? Quanto farebbero alla fine d'un anno? Credo chearrivato quel giornomi dovrebbero mandare in prigione. Supponendo anzi checiascun castigo dovesse consistere nel rimanere senza desinarealloraarrivatoquel terribile giornodovrei fare a meno di cinquanta desinari in una voltasola. A dir la veritànon m'importerebbe molto. Sarei più contenta di rimanerdigiuna che di mangiarli. “Senti la neve contro i vetri della finestraFrufrù?Che suono dolce! Come se uno stesse baciando la finestra dal di fuori. Forse laneve vuol bene agli alberi e ai campi e li bacia così soavemente! E poi licopre ben benesaicon una coperta biancae forse dice: “Andate a lettocariandate a lettocari!” E l'estate quando si sveglianoFrufrùsivestono tutti di verde e si mettono a ballare... quando soffia il vento... Ohche bellezza! — esclama Alicelasciando cadere il gomitolo di lana perbattere le manine.

“Eio desidererei tanto che fosse vero! Certo che i boschi par che dormano inautunnoquando ingialliscono le foglie.

“Frufrùti piace giocare a scacchi? Ora non riderecaroio te lo domando seriamente.Perchèquando poco fa stavamo giocandotu guardavi come se sapessi il giuoco;e quando ho detto: “Scacco matto” tu hai fatto le fusa. Sìè stato unmagnifico scacco mattoe veramente avrei potuto vincere se non fosse stato perquel brutto cavaliere che si sviò fra i miei pezzi. Frufrù carofingiamo...”

Equi vorrei saper riferire se non altro una metà delle cose che soleva direAlicequando cominciava con la sua parola favorita: “Fingiamo...” Ellaaveva avuto il giorno prima una lunghissima discussione con la sorellasoltantoperchè aveva cominciato: “Fingiamo d'essere re e regine”: sua sorellaallaquale piaceva d'essere sempre molto esattaaveva risposto che non potevanoperchè erano soltanto in duee Alice era stata costretta finalmente a dire:“Allora tu puoi essere unae io sarò tutti gli altri.” E una volta avevaveramente atterrita la vecchia governante strillandole a un trattonell'orecchio: “Signorinafingiamo che io sia una iena affamata e voi unorso!”

Maquesto vuol dir divagare dal discorso di Alice al micio:

—Fingiamo che tu sia la Regina RossaFrufrù. Sai che penso? Che se tu stessiseduto e incrociassi le bracciasaresti preciso come lei. Prova subitocaro.

EAlice prese la Regina Rossa dal tavolo e la mise innanzi al micino come ilmodello da imitare; ma la cosa non riuscìprincipalmentedisse Aliceperchèil gattino non volle piegar bene le braccia. Cosìper punirlolo tenne difronte allo specchioperchè guardasse quant'era goffo.

—...Ese non stai buono— aggiunse— ti faccio andare nello specchio. Tipiacerebbe di andare nello specchio? Orase stai attentoFrufrùe non parlitantoti dirò tutta la mia idea intorno alla Casa dello Specchio. Prima dituttov'è la stanza che si vede attraverso lo Specchio: è precisa come ilsalotto dove stiamo; però tutte le cose son messe alla rovescia. Salendo su unasedia la veggo tutta... tutta tranne la parte dietro il caminetto. Quanto mipiacerebbe veder quella parte! Chi sa se nell'inverno c'è il fuoco: se ilnostro focolare non fa fumonon s'indovina mai; ma se c'è fumo di quac'èfumo anche di là. Ma chi sapuò essere una finzioneper dare a credere checi sia il fuoco anche di là. I libripoisomigliano ai nostri libri; ma leparole sono stampate a rovescio. Questo lo so; perchè ho tenuto un libro controlo specchioe nell'altra stanza ne hanno pigliato un altro.

“Tipiacerebbe di stare nella Casa dello SpecchioFrufrù? Chi sase ti darebberoil latte là dentro? Forse il latte della Casa dello Specchio non è buono dabere... E oraFrufrùarriviamo al corridoio. Se si lascia aperta la porta delnostro salotto si vede un pezzettino del corridoio della Casa dello Specchio:somiglia molto al corridoio nostroma chi sa se più in là non è diverso. OhFrufrùche bellezza se potessimo entrare nella Casa dello Specchio! Son certache ci sono tante belle cose. Fingiamo di poterci entrareFrufrùfingiamo chelo specchio sia morbido come un veloe che si possa attraversare. To'adessosta diventando come una specie di nebbia... Entrarci è la cosa più facile delmondo.”

Alicestava sulla mensola del caminetto mentre diceva cosìsebbene non sapessespiegarsi come fosse arrivata lassù. E certo il cristallo cominciava a svanirecome una nebbia lucente.

L'istantedopo Alice attraversava lo specchio e saltava agilmente nella stanza di dietro.La prima cosa che fece fu di guardare se ci fosse il fuoco nel caminettoe futanto contenta di vedere che ce n'era uno veropieno di fiamme vivecomequello che aveva lasciato nel salotto.

“Cosìqui starò calda come nell'altra stanza— pensò Alice— più caldaveramenteperchè qui non ci sarà nessuno che mi farà allontanare dalcaminetto. Che bellezzaquando mi vedranno attraverso lo specchio e nonpotranno toccarmi!”

Poicominciò a guardare intorno intornoe si accorse che ciò che poteva essereveduto dalla vecchia stanza era comune e poco interessantema che tutto ilresto era assolutamente diverso. Per esempioi ritratti appesi al murosembravano tutti vivi e lo stesso orologio sul caminetto (come comprendetenello specchio si vedeva solo la parte di dietro) aveva la faccia di unvecchietto e sogghignava.

“Questastanza non è tenuta pulita come l'altra” — diceva Alice a sè stessavedendo alcuni pezzi della scacchiera fra la cenere del focolare; ma un istantedopo con un piccolo “oh” di sorpresa s'inginocchiò per guardarli. Innanziai suoi occhi i pezzi della scacchiera sfilavano per due.

—Ecco il Re Rosso e la Regina Rossa— disse Alice (sottovoceper tema dispaventarli) — ed ecco il Re Bianco e la Regina Bianca che si seggonosull'orlo della paletta; ed ecco i due Castelli che camminano a braccetto... Noncredo che possano sentirmi— essa continuòchinando un po' di più latesta; — e son sicura che neanche possono vedermi. Mi par quasi di diventareinvisibile...

Alloraqualche cosa cominciò a squittire sul tavolo dietro Alicee le fece volger latesta appena in tempo per vedere una delle Pedine Bianche rotolare e cominciarea dar calci: ella la guardò con molta curiosità per vedere il seguito.

—È la voce di mia figlia! — gridò la Regina Biancapassando accanto al Re eurtandolo con tanta violenza che lo fece stramazzare fra la cenere. — Miapreziosissima Lilla!... Mio regale tesoro— e cominciò ad arrampicarsiselvaggiamente sull'alare.

—Tua regale sventataccia! — disse il Re sfregandosi il naso che aveva battutocadendo. Egli aveva diritto di essere un po' irritato con la Reginaperchè eracoperto di cenere dalla testa ai piedi.

Aliceera ansiosissima di rendersi utile. La povera Lilla smaniava e strillavadisperatamente; ed allora ella raccolse in fretta la Regina e la mise sul tavoloaccanto alla sua rumorosa figlioletta.

LaRegina si sedette ansando: il rapido viaggio per l'aria le aveva tolto ilrespiroe per un minuto o due non potè far altro che abbracciaresilenziosamente la piccola Lilla. Ripreso fiatogridò al Re Bianco che sedevaimbronciato nella cenere:

—Bada al vulcano.

—Che vulcano? — disse il Reguardando ansiosamente nel fuococome se credessepiù che probabile scoprirne uno.

—M'ha soffiato! — balbettò la Reginache non respirava ancora bene. — Badadi tornare qui... in modo regolare... non farti soffiare!

Aliceosservava il Rementre egli si sforzava pianamente d'arrampicarsi d'asse inassee finalmente gli disse:

—A quella velocità ci metterai un secolo ad arrivare al tavolo. Sarà meglio cheio ti aiutinon è vero?

Mail Re parve non accorgersi di quelle parole: era assolutamente evidente ch'eglinon poteva nè udirla nè vederla.

CosìAlice lo prese molto cortesementee lo sollevò più adagio della Regina. inmodo da non togliergli il respiro; ma prima di metterlo sul tavolopensò benevedendolo con tanta cenere addossodi spolverarlo un poco.

Essanarrò dopo di non aver mai visto in tutta la sua vita una faccia come quellafatta dal Renel momento ch'egli si trovò in aria tenuto da una manoinvisibile e diligentemente spolverato: ne parve così stupito che non fiatòma gli occhi e la bocca andarono man mano diventando più grandi e più rotondifinchè la mano di lei lo scosse fra tante risate che ci mancò poco non lolasciasse ricadere sul pavimento.

—Oh! non far quelle smorfiecaro! — esclamò a un tratto dimenticando che ilRe non poteva udirla. — Mi fai ridere tanto che appena posso tenerti! E nonspalancar tanto la bocca! Si riempirà di cenere... Eccomi pare che ora siiabbastanza pulito! — ella aggiunseallisciandogli i capelli e mettendolo sultavolo accanto alla Regina.

Aun tratto il Re stramazzò supinoe rimase perfettamente calmo; e Alice ebbe unpo' paura per ciò che aveva fattoe girò un po' per la stanza per trovare unpo' d'acqua e gettargliela in faccia. Ma non potè trovare che una boccettad'inchiostroe quando ritornò con la boccettavide che il Re s'era riavuto eche parlava con la Regina in un timido bisbiglio... così bassoche Alice potècon difficoltà udire ciò che si dicevano.

IlRe diceva:

—Ti assicuromia carache ero diventato freddo fino alla punta dei baffi.

Ela Regina rispondeva:

—Tu non hai baffi.

—La paura di quell'istante— continuò il Re— non la dimenticherò mai.

—La dimenticherai— disse la Regina. — se tu non l'annoti nel taccuino.

Aliceosservò con grande curiosità che il Re traeva di tasca un taccuino enormeecominciava a scrivere. Improvvisamente le saltò in mente una ideae afferròl'estremità della matita che sorpassava la spalla del Re e cominciò a scrivereper lui.

Ilpovero Re apparve imbarazzato e dolentee lottò per qualche tempo con lamatita senza dir nulla; ma Alice era più forte di lui. Finalmente egli balbettò:

—Cara miadebbo procurarmi una matita più sottile. Questa non la so adoperare.Scrive cose che io non capisco.

—Che cosa? — disse la Regina guardando nel libro (in cui Alice aveva scritto:“Il Cavaliere Bianco scivola dall'alare. Egli non sa stare in equilibrio”)— Questa non è un'annotazione che ti riguarda.

Viera un libro sul tavolo accantoe Alicementre se ne stava seduta a guardareil Re Bianco (perchè ancora si sentiva un po' in ansia per lui e aveval'inchiostro pronto per gettarglielo sul visoin caso dovesse svenire di nuovo)si mise a voltare le pagine per trovar qualche parte che potesse leggere“perchè è stampato tutto in una lingua che io non conosco”diceva fra sè.

 

Eracosì:

 

irrat ilgil i e eccoc aare'S

ottehcsip len navallertrig

irranicnec i icsol ittut

.ottets egnol navaigguffus

 

Essaguardò impacciata per qualche tempo; ma finalmente le venne un lampo di luce:

—Naturalmente è un libro della Casa dello Specchio. E se io lo metto contro unospecchiole parole si raddrizzeranno.

 

Questaera la poesia che Alice lesse:

 

S'eraa cocce e i ligli tarri

girtrellavannel pischetto

tuttilosci i cencinarri

suffuggiavanlonge stetto.

 

“Figlioattento al Giabervocco:

hagli artigli ed ha le zanne

edattentoattento aI Tocco

edisprezza il frumio Stranne!”

 

Egliprese in man la spada —

dagran tempo lo cercava —

esull'albero di nada

inpensiero riposava.

 

Mentrestava sì in pensiero

eccoil Giabervocco appare

peril bosco artugio e fiero

tuttealunche fiamme pare.

 

Unoe due! Ecco che fa

l'itraspada zacchezacche.

L'erpatesta ei lasciae va

galonfandopel pirracche.

 

“Haiucciso il Giabervocco!

Vienifiglioche t'abbracci

vienifiglioal bardelocco

deidì lieti di limacci!”

 

S'eraa cocce e i ligli tarri

girtrellavannel pischetto

tuttilosci i cencinarri

suffuggiavanlonge stetto.

 

 

—Sembra bella— essa dissequando l'ebbe finita— ma è piuttosto diffìcilea capire! (Come vedetenon confessava neanche a sè stessa che non potevacomprenderla.) Però mi pare che mi riempia la testa d'idee... Soltanto non sodi che si tratti. Certo qualcuno uccise qualche cosa: comunque siaquesto è chiarissimo...

“Maohi! — pensò Alicelevandosi immediatamente— se non faccio in frettadovrò ritornare oltre lo specchioprima d'aver visitato il resto della casa.Vado prima a dare un occhiata al giardino.”

Inun istante era fuori della stanza e correva giù per le scale... Veramentecorrere non è la parola esatta. La sua era una nuova invenzione per far lescale rapidamente e facilmentecome diceva Alice a sè stessa. Essa poggiava lapunta delle dita sulla ringhierae andava leggermente giù senza neanchetoccare i gradini coi piedi; poi volò giù per l'atrioe sarebbe andata drittaalla porta nello stesso modose non si fosse afferrata al pilastro. Sentiva unpo' di vertigine passando così per aria e fu lieta quando si accorse checamminava di nuovo nel modo solito.


 

 

II

 

 

ILGIARDINO DEI FlORI VIVI

 

 

“Vedreiil giardino molto meglio— disse Alice fra sè— se potessi arrivare incima a quella collina. Ecco un sentiero che ci va dritto dritto... almeno... nono... non ci va... — (dopo aver fatto pochi passi lungo il sentiero e avergirato parecchi angoli acuti) — ma credo che finalmente ci andrà. Ma chestrane voltate che fa! Somiglia più a un cavaturaccioli che a un viottolo.Eccodi qui si va alla collinami pare... Nonon ci si va. Si rivà dritto acasa. E allora proverò per l'altra via.”

Ecosì fece: vagando su e giùe girando un angolo dopo l'altroe alla finetornando sempre alla casa. In veritàuna voltagirando un angolo piùvelocemente del solitogli corse incontro prima di potersi fermare.

“Èinutile parlarne— disse Aliceguardando la casa e facendo le viste didiscutere con essa— per ora non voglio rientrare. Dovrei ripassare un'altravolta per lo specchioe mi ritroverei nella vecchia stanza... e addio a tuttele mie avventure!”

Cosìrisolutamente volgendo le spalle alla casaripigliò la via giù per ilsentierodecisa di andar dritta fino alla collina. Andò bene per pochi minutie stava dicendo: “Questa volta sul serio ci arriverò...” quando il sentierofece una brusca voltata e si scosse (come ella disse poi) e l'istante appressoAlice s'avvide di camminare in realtà verso la porta.

—Ohè troppo cattiva! — ella esclamò. Non ho visto mai una casa venirmisi acacciare così tra i piedi. Mai!

Peròla collina era in piena vistae non c'era da far altro che mettersi di nuovo inviaggio. Questa volta ella arrivò ad una grande aiuolatutta orlata dimargheritee con un salice piangente nel mezzo.

—Oh Giglio— disse Alicerivolgendosi a uno stelo che oscillava graziosamenteal ventovorrei che tu potessi parlare.

—Noi possiamo parlare— disse il Giglio— se c'è qualcuno con cui mettaconto di parlare.

Alicefu così stupita che rimase senza parola per un minuto. Finalmentesiccome ilGiglio non faceva che oscillareripigliò a discorrere timidamente... quasi conun bisbiglio.

—E tutti i fiori parlano?

—Come te— disse il Giglio— e molto più forte.

—Sai— disse la Rosa— cominciar noi non sta benee veramente tu parlavi;dicevo a me stessa: “Il suo viso ha qualche significatosebbene non siafurbo”. Puretu hai il colore giustoe col colore giusto si va lontano.

—Non m'importa nulla del colore— disse il Giglio. — Starebbe meglio se ellaavesse i petali un po' più arricciati.

AdAlice non piaceva di essere giudicatae così cominciò a fare delle domande.

—Non avete paura d'esser piantati qui fuoricon nessuno che vi accudisca?

—V'è l'albero nel mezzo— disse la Rosaa che altro servirebbe?

—Ma che potrebbe fare innanzi a un pericolo? — chiese Alice.

—Troncarlo— disse la Rosa.

—È per questo— disse una Margherita— che il suo fusto si chiama tronco.

—Non sai questo? — gridò un'altra Margheritae tutte cominciarono a strillarein corofinchè l'aria parve tutta assordata da quelle stridule voci.

—Silenziotutte! — gridò il Giglioagitandosi irosamente da un latoall'altrofremente di rabbia. — Siccome sanno che io non posso raggiungerle— balbettòpiegando verso Alice la testa tremante— si mettono a gridarea quel modo.

—Non ci badaredisse Alice con accento carezzevoleechinandosi sullemargheriteche stavano ricominciandobisbigliò: — Se non state zittevicolgo.

Vifu un istante di silenzio e parecchie delle margheritine rosee diventaronobianche.

—Benissimo! — disse il Giglio. — Le margherite hanno un carattere pessimo.Quando una parlacominciano tuttee non ci vuol altro per seccare chi lesente.

—Come va che voi potete parlare così bene? — disse Alicesperando diaddolcirlo con un complimento. — Sono stata in tanti giardinima non ho maisentito parlare i fiori.

—Metti giù la mano e tasta il suolo— disse il Giglio. — Saprai il perchè.

Aliceobbedì.

—È molto duro— ella disse— ma non capisco che c'entri.

—Nella maggior parte dei giardini. — disse il Giglio— fanno i letti deifiori troppo sofficie così i fiori dormono sempre.

Laragione era ottimae Alice fu lieta di apprenderla.

—Non ci avevo pensato— disse.

—Credo che tu non pensi mai! — disse la Rosa con un tono piuttosto severo.

Nonho visto mai una fisionomia più stupida— disse la Viola cosìimprovvisamenteche Alice diede un balzo.

—Tieni a posto quella lingua! — grido il Giglio. — Come se tu vedessi mainessuno. Tu nascondi la testa sotto le foglie e vi russi tanto che ne sai delmondo quanto può saperne un germoglio.

—Ci sono soltanto io nel giardino o c'è altra gente? — chiese Alicenonvolendo raccogliere l'ultima osservazione della Rosa.

—V'è un altro fiore nel giardino che può muoversi come te— disse la Rosa.— Vorrei sapere come fai... (“Tu sempre vuoi sapere” disse il Giglio)maè più affaccendata di te.

—È come me? — chiese Alice sollecitaperchè un pensiero le era lampeggiato:“V'è un'altra bambina in qualche parte del giardino?”

—Sì ha la stessa tua goffa statura— disse la Rosa— ma è più rossae isuoi petali sono più corticredo.

—Sono più stretticome quelli della daliadisse il Giglio— e le cadonointorno intorno come i tuoi.

—Non è colpa tua— aggiunse cortesemente la Rosa— se cominci aimpallidire... e i tuoi petali cominciano a insudiciarsi.

Nonpiacque ad Alice questa osservazioneeper cambiar discorsochiese:

—Viene qui qualche volta?

—Credo che la vedrai presto— disse la Rosa— ella è della specie a novepuntesai?

—Dove le porta? — chiese Alicecuriosa.

—Intorno alla testanaturalmente— rispose la Rosa. — Mi domandavo perchètu non le avessi. Credevo che quello fosse il tipo normale.

—Viene! — gridò lo Spron di Cavaliere. Sento i suoi passitump tumpsullaghiaia del viale.

Alicesi volse rapidamentee vide la Regina Rossa.

—È cresciuta molto— fu la sua prima osservazione.

Eracresciuta davvero. Quando Alice l'aveva raccolta dalla cenere era alta non piùdi otto centimetried in quel momento era di mezza testa più alta d'Alice.

—Effetto dell'aria fresca— disse la Rosa— qui abbiamo un'ariameravigliosa.

—Vorrei andarle incontro— disse Aliceperchè sebbene i discorsi dei fiorifossero interessanticapiva che sarebbe stato molto più importante conversarecon una vera Regina.

—Forse non potrai andarci— disse la Rosa; — ti consiglierei d'andaredall'altra parte.

Questoparve una sciocchezza ad Alicee non disse nullae s'avviò verso la ReginaRossa. Con sua grande sorpresaimmediatamente la perse di vistae s'avvide dicamminare ancora verso la porta.

Siritrasse un po' irritata ecercando per ogni dove la Regina (che scopersefinalmente a grande distanza)pensò finalmente di tentar di camminare nelladirezione opposta.

Leriuscì magnificamente. Non aveva fatto neanche un minuto di strada che si trovòa faccia a faccia con la Regina Rossa e in piena vista della collina alla qualeaveva mirato per tanto tempo.

—Donde vieni? — disse la Regina Rossa— e dove vai? Guardami in visoparladolcementee intanto non agitar le dita.

Aliceobbedì a tutte queste ingiunzionie risposecome meglio potèdi aversmarrita la sua via.

—Non so che intendi per la tua via— disse la Regina; — tutte le vie quiattorno appartengono a me... ma d'altra parteperchè sei venuta qui fuori? —aggiunse con tono più cortese. — Fa un inchino mentre pensi a ciò che dici.Si guadagna tempo.

Alicesi mostrò molto meravigliatama aveva troppo timore per la Regina per noncrederle. “Proverò quando ritorno a casadiceva fra sèla prima volta chesarò un po' in ritardo pel desinare.”

—È ora di rispondere— fece la Reginaguardando un orologetto— apri unpo' più la bocca quando parlie di' sempre: “Vostra Maestà.”

—Volevo soltanto visitare il giardinoVostra Maestà...

—Ora va bene— disse la Reginabattendole sulla testacosa che ad Alice nonpiacque affatto— ma se mi parli di “giardino” ho veduto giardini a pettoai quali questo sarebbe un deserto.

Alicenon osò di contrastare questa asserzionee continuò:

—Cercavo la strada che mena in cima alla collina.

—Se mi parli di “collina”— interruppe la Regina— io potrei mostrarticolline a petto alle quali questa potresti chiamarla “vallata.”

—Noche non potrei— disse Aliceche si sorprese finalmente a contraddirla;— una collina non può essere una vallataè un'assurdità...

LaRegina Rossa scosse la testa:

—Chiamala assurditàse ti piace— disse— ma io ho sentito delle assurditàa petto alle quali questa sarebbe più piena di significati di un dizionario.

Alicefece di nuovo un inchinoperchèdal tono con cui la Regina parlavatemeva diaverla offesa; e si misero a camminare in silenzio finchè arrivarono alla cimadella collinetta.

Peralcuni minuti Alice se ne stette in silenzioguardando la campagna in tutte ledirezioni... Era una campagna stranissima. Un gran numero di ruscelletti l'attraversavandritti da un lato e l'altroe il terreno che li separava era diviso in quadratida un gran numero di piccole siepi verdi che andavan da un ruscello all'altro.

—Mi pare disegnata proprio come una grande scacchiera— disse Alicefinalmente. — Vi dovrebbero essere qua e là degli uomini che si muovono... edeccolici sono! — aggiunse deliziatae il cuore le comincio a battere piùcelere mentre continuava: — Si giuoca un giuoco colossale di scacchi... pertutto il mondo... se questo e un mondo. Ohche divertimento! Vorrei essere delgiuoco. Non m'importerebbe d'essere una Pedinapurchè potessi essere là conloroma naturalmente mi piacerebbe di più essere Regina.

Diedeun timido sguardo alla vera Reginamentre diceva cosìe la sua compagnaaccennò un gentile sorriso e disse:

—Se ti piacesi può far subito. Puoi essere la Pedina della Regina Biancaperchè Lilla è troppo giovane per giocare; e intanto tu sei nella secondaCasella; quando arriverai all'ottava Casella sarai Regina.

Proprioin quel momentochi sa comecominciarono a correre.

Alicenon potè mai capireripensandoci dopocome avesse cominciato: tutto ciò chericordava si era che correvano l'una dietro l'altratenendosi per manoe chela Regina andava così veloce che ella stentava a mantenere lo stesso passo; epure la Regina continuava a strillare: “Più prestopiù presto!” ma Alicenon poteva andare più prestoe non aveva più un filo di fiato per dirlo.

Eil più strano si era che gli alberi e tutti gli altri oggetti d'intorno noncambiavan mai di posto: per quanto veloci esse andasseronon si lasciavandietro mai niente: “Forse tutte le cose si muovono con noi...” diceva tra sèAlicenon sapendo che pensare. E la Regina pareva indovinasse i suoi pensieriperchè gridava: “Più presto! Non tentar di parlare!”

Nonche Alice avesse l'intenzione di farlo.

Leera rimasto così poco fiatoche non sapeva se avrebbe mai potuto riparlar più:e la Regina gridava: “Più presto! più presto!” e se la trascinavaappresso.

—Siamo arrivate? — potè finalmente domandare Alicecon un soffio.

—Arrivate? — rispose la Regina. — Ci siamo passate dieci minuti fa. Piùpresto!

Ecorsero per qualche tempo in silenziocol vento che soffiava nelle orecchie diAlicedandole la sensazione di strapparle i capelli.

—Su! su! — gridava la Regina. — Più presto! più presto!

Eandavano così veloci che finalmente parve traversassero l'aria a volosfiorando a pena coi piedi il suolofinchè improvvisamentenell'istante cheAlice si sentiva assolutamente esaustasi fermaronoed ella si trovò sedutasenza respiro in terra e con la testa che le girava.

LaRegina l'adagiò contro un alberoe cortesemente le disse:

—Ora puoi riposarti un poco.

Alicesi guardò intornosorpresa.

—Ma mi pare che in tutto questo tempo non ci siamo mosse da quest'albero. Non c'ènulla di cambiato in questo luogo.

—È naturale— disse la Regina; — che cosa avresti voluto?

—Ma nel nostro paese— disse Aliceche ancora ansava un poco—generalmente si arriva altrove... dopo che si è corso tanto tempo come abbiamofatto noi.

—Che razza di paese! — disse la Regina. Qui inveceper quanto si possa correresi rimane sempre allo stesso punto. Se si vuole andare in qualche altra partesi deve correre almeno con una velocità doppia della nostra.

—Non ci vorrei provare! — disse Alice. Son contenta di starmene qui... soltantoho caldo e sete.

—So che cosa ti piacerebbe ora— disse la Regina con affabilitàcavando unascatolina di tasca. — Mangia un biscotto!

Alicepensò che non sarebbe stato cortese dir di nobenchè non fosse quello chedesiderava. Prese il biscotto e fece del suo meglio per mangiarlo: era moltosecco. In vita sua non s'era mai sentita in tanto pericolo di strozzarsi.

—Mentre tu ti rinfreschi— disse la Regina— io prenderò le misure.

Ecavò di tasca la fettuccia del metroe cominciò a misurare il terreno e aficcare qua e là dei piccoli pioli.

—Alla fine di due metri— ella dissemettendo un piolo per segnar ladistanza— ti darò le istruzioni... Vuoi un altro biscotto?

—Nograzie— disse Alice— ne ho abbastanza d'uno.

—La sete è spentaspero? — disse la Regina.

Alicenon sapeva che direma fortunatamente la Regina non aspettò la rispostaecontinuò:

—Alla fine di tre metrile ripeteròper non fartele dimenticare. Alla fine diquattroti dirò addio. Alla fine di cinqueme ne andrò.

Inquel momento aveva finito di mettere i piolie Alice stette a guardare congrande interessementre la Regina ritornava all'alberoe cominciava acamminare pianamente giù per la fila.

Alpiolo del secondo metroella si volse e disse:

—Una pedinasaifa due caselle nella sua prima mossa. Così andrai rapidamenteper la terza Casella — per ferroviadirei— e ti troverai subito nellaquarta. Benela quarta Casella appartiene a Tuidledum e Tuidledì... la quintala maggior parte è acqua... La sesta appartiene a Unto Dunto... Ma non mi dicinulla?

—Io... io non sapevo di dover dir qualche cosa... proprio ora— balbettòAlice.

—Avresti dovuto dire— continuò la Regina con tono di grave rimprovero:“Siete molto gentile a dirmi tante cose”. Ma facciamo conto che tu l'abbiadetto... La settima Casella è tutta foresta... ma uno dei Cavalieri t'indicheràla via... e nell'ottava Casella noi saremo Regine insiemee tutto sarà festa eallegria.

Alicesi levò e fece un inchino. e si risedè di nuovo.

Alprossimo piolola Regina si voltò ancora e disse:

—Parla in francese quando una cosa non sai pensarla nella tua lingua... volgiall'infuori le dita dei piedi camminando... e ricorda chi sei.

Questavolta non aspettò che Alice s'inchinassema si diresse velocemente al prossimopiolodove si voltò un momento per dire “addio”e quindi corse in granfretta all'ultimo.

ComeavvenisseAlice non seppe mai; manon appena raggiunto l'ultimo piololaRegina non c'era più. Se si fosse dileguata in aria o se fosse corsavelocemente nel bosco (“essa può correre tanto presto”pensava Alice)nonvi fu assolutamente mezzo d'indovinare: era sparitae Alice cominciò aricordarsi d'essere una Pedina e che il suo dovere era di muoversi.

 

III

 

GL'INSETTIDELLO SPECCHIO

 

 

Naturalmentela prima cosa da fare era di esaminare attentamente il paese attraverso il qualedoveva viaggiare.

“Ècome studiar la geografia— pensava Alicementre si levava in punta di piedicon la speranza di vedere un po' più oltre. — Fiumi principali... non ve nesono. Montagne principali... La sola montagna qui son ioma credo di non avernome. Città principali... Ah!... e che sono quelle bestie che fanno il mielelaggiù? Non possono essere api... le api non si potrebbero vedere alla distanzadi un miglio.”

Eper qualche tempo rimase silenziosaguardandone una che s'aggirava tra i fiorificcando la proboscide nei loro calici. “Proprio come un'ape”pensavaAlice.

Peròera tutt'altro che un'ape: infattiera un elefante... come Alice scoprìprestocon uno stupore che le tolse quasi il respiro. “E che enormi fioridebbono essere!” — si disse poi. — “Qualche cosa come dei villini senzatetto e con uno stelo... e che gran quantità di miele debbono fare! Voglioandar giù a... Nonon voglio andare ancora”continuò arrestandosidopoaver cominciato a correre giù per la collinatentando di trovar qualche scusaper quel suo improvviso timore. “Non andrò mai giù tra quelle bestie senzauna pertica per scacciarle... E che divertimento sarà quando mi si domanderàse mi è piaciuta la passeggiata! Io dirò:...Ohm'è piaciuta tanto... (quifece la sua solita scrollatina di testa)soltanto c'era tanta polvere e tantocaldoe gli elefanti m'hanno seccato un poco.”

“Èmeglio andar giù per l'altra via” disse dopo una pausa: — “e forse potròvedere gli elefanti più tardi. Inoltre così arriverò nella Terza Casella.”

Econ questa scusa corse giù per la collina e saltò oltre il primo dei seiruscelletti.

 

** *

 

—I bigliettiper favore! — disse la Guardiacacciando la testa allosportello.

Inun istante tutti cavarono fuori i biglietti. Erano biglietti della stessadimensione delle persone e pareva che riempissero la vettura.

—Suil tuo bigliettobambina— continuò la Guardiaguardando severamenteAlice.

Emolte voci dissero tutte insieme (“come il coro d'un canto” pensava Alice):

—Non lo fare aspettarebambinachè il suo tempo vale mille lire al minuto.

—Mi dispiace di non averlo— disse Alice tutta impaurita: — nel luogo dovesono partitanon c'era l'ufficio del bigliettario.

Edi nuovo il coro delle voci continuò:

—Non c'era spazio per l'ufficio nel luogo donde essa è partita. Il terreno lìvale mille lire il centimetro.

—Le scuse sono inutili— disse la Guardia— dovevi comprare il bigliettodal macchinista.

Eancora una volta il coro delle voci continuò:

—L'uomo che conduce la macchina. Ebbeneil fumo solo vale mille lire lo sbuffo.

Alicediceva fra sè: “È inutile tentar di parlare.” E siccome non aveva parlatonon sentì il coro delle vocima con sua gran sorpresa s'accorse che tuttipensavano in coro (io spero che voi comprendiate che cosa significa pensare incoro... perchè debbo confessare che io non lo comprendo):

—È meglio non dire nulla. La lingua vale mille lire la parola.

“Stanottemi sognerò le mille lireson certo che le sognerò”pensava Alice.

Inquel momento la Guardia la stava fissando prima con un telescopiopoi con unmicroscopioe poi con un binocolo. Infine disse:

—Tu viaggi in senso inverso!

Ecosì dicendochiuse lo sportello e se ne andò.

—Una bambina così piccola— disse il signore che le sedeva di frontevestitodi carta bianca— dovrebbe sapere in che senso viaggiaanche se essa non sacome si chiama.

UnCaproneche sedeva accanto al signore in biancochiuse gli occhi e disse avoce alta:

—Essa doveva sapere la via dell'ufficio dei bigliettianche se non sa leggere.

Mauno Scarabeo che sedeva accanto al Caprone (era una stranissima vettura tuttapiena di passeggeri d'ogni specie) dissegiacchè pareva che si seguisse laregola di parlare a turno:

—Essa dovrà essere rimandata di qui come bagaglio.

Alicenon potè vedere quello che aveva parlato dopo lo Scarabeoma poi sentì unavoce affannata e cava:

—Si cambia la macchina!... — disse la voceche poi fu come soffocata ecostretta a interrompersi.

—Sembra la voce di un cavallo— diceva Alice fra sè; e una vocestraordinariamente sottileaccanto all'orecchio di leidisse:

 

—Tu dovresti fare un bisticcio su questo: un bisticcio su cava e cavallo.

 

Allorauna voce gentile in distanza disse:

—Sapetele bisogna mettere l'etichetta: “Ragazzafragile.”

Edopo questaaltre voci continuarono: (“Quanta gente c'è in questavettura!” pensava Alice):

—Essa deve andare per postaperchè ha un collo addosso. Deve essere mandatacome un dispaccio per telegramma... Deve tirare il treno da sè per il resto delviaggio...

Ealtre proposte di questo genere.

Mail signore vestito di carta bianca si chinò un po' e le bisbigliòall'orecchio:

—Non badare a ciò che si dicecarama prendi un biglietto di ritorno tutte levolte che il treno si ferma.

—Veramente non lo farò— disse Alice con qualche impazienza— io nonappartengo a questo viaggio di strada ferrata... Poco fa ero in un bosco... evorrei poter tornare indietro.

Dissela piccola voce accanto al suo orecchio:

 

—Adesso potresti fare un giuoco di parole: qualche cosasaisu volere e potere.

 

—Non mi seccare— disse Aliceinvano guardandosi per scoprire donde venissela voce; — se ti piacciono tanto i giuochi di paroleperchè non ne fai unotu?

Lapiccola voce trasse un profondo sospiro: segno evidente di grande infelicitàeAlice avrebbe detto qualche parola di consolazione“se il sospiro fosse statocome tanti altri!” ella si diceva. Ma era così straordinariamente minuscoloche non si sarebbe assolutamente sentitose non le fosse sonato accantoall'orecchio. Per conseguenza ella avvertiva un forte solletico all'orecchio chela stornava dal pensiero dell'infelicità della povera creaturina.

Continuòla piccola voce:

 

—So che tu sei un'amica una cara amicauna vecchia amica. Benchè io sia uninsettotu non mi farai male.

 

—Che specie di insetto? — Alice chiese con ansia.

Ciòche voleva veramente sapere era se pungesse o noma pensò che non era unadomanda che si potesse educatamente mettere.

 

—Che! allora non ti.....

 

cominciòla vocettinaquando fu soffocata da un acuto strillo che veniva dalla macchinae tutti si levarono impauriti. Alice tra gli altri.

IlCavallo che aveva messo la testa allo sportellola ritrasse tranquillamentedicendo:

—Si tratta di saltare un ruscello.

Tuttiparvero soddisfatti di questa spiegazionema Alice si sentiva un po' nervosaall'idea di un treno che doveva saltare. “Peròci porterà alla quartaCasellae questa è una consolazione!” disse fra sè.

—L'istante dopo sentì la vettura levarsi dritta in ariae nella paura che lainvaseAlice s'afferrò all'oggetto più vicinoche poi era la barba delCaprone.

 

** *

 

Mala barbatoccataparve svaniree Alice si trovò tranquillamente seduta sottoun alberomentre la Zanzara (che era l'insetto che le aveva parlato) siequilibrava su un ramoscello che le pendeva sulla testafacendosi vento con leali.

Certoera una Zanzara colossale: “della dimensione di una gallina” pensò Alice.Purenon ne ebbe pauradopo che avevano conversato tanto tempo insieme.

—...Alloranon ti piacciono tutti gli insetti— continuò la Zanzaracome se nullafosse accaduto.

—Mi piacciono quando sanno parlaredisse Alice. — Nessuno di essi parla mainel paese donde vengo

—E che razza di insetti ti allietanoe donde vieni? — chiese la Zanzara.

—Gli insetti non mi allietano affatto— spiego Alice— piuttosto ne hopaura... almeno di quelli grandi. Ma posso dirti i nomi di alcuni.

—Naturalmenteessi rispondono ai loro nomi? — osservò con indifferenza laZanzara.

—Non l'ho mai saputo.

—E che servirebbe aver il nomee non rispondere?

—Non serve ad essi— disse Alice; ma serve alle persone che li nominanocredo. Se noperchè ogni cosa avrebbe un nome?

—Non so— rispose la Zanzara. — Nel bosco laggiù non ci sono nomi... Macontinua con la lista degli insetti: così perdi il tempo.

—Primala Mosca cavallina— cominciò Alicecontando i nomi sulle dita.

—Ohbene— disse la Zanzara— a mezza strada da quel cespugliovedrai laMosca dei cavallucci di legno. È fatta interamente di legnoe va di ramo inramo dondolandosi su sè stessa.

—E di che vive? — chiese Alice con grande curiosità.

—Linfa e segatura— disse la Zanzara; avanti con la tua lista.

Alicemirò la Mosca dei cavallucci di legno con grande interessee dicendo fra sèche certoper sembrare così lucente e appiccicaticciaera stata riverniciatadi frescocontinuò:

—E v'è il Moscone della carne.

—Guarda il ramo sulla tua testa— disse la Zanzara— e vedrai il Mosconedella carne. Ha il corpo di salsicciale ali di costoletta e la testa dibraciola.

—E di che vive? — chiese Alicecome prima.

—Di salame e di pasticcio di sanguinaccio— rispose la Zanzara— e fa ilnido in un tegame.

—E poi c'è la Mosca del formaggio— continuò Alicedopo aver guardato benbene l'insettoche aveva la testa nel fuocomentre essa diceva: “Forsequesta è la ragione perchè agl'insetti piace di volare intorno allecandele”.

—Puoi veder strisciare ai tuoi piedi— disse la Zanzara (Alice ritrasse ipiedi impaurita) — una Mosca del pane e formaggio. Le sue ali sono fettesottili di pane e burroil suo corpo è di Gorgonzolagli occhi di Gruyera.

—E di che vive?

—Di maccheroni e di pere.

Main mente di Alice sorse un'obiezione.

—E se non ne trova? — essa disse.

—Morirebbeè naturale.

—Qui deve accadere molto spesso— osservò Alice pensosa.

—Accade sempre— disse la Zanzara.

EalloraAlice rimase un minuto o due meditabonda. La Zanzara si divertivaintanto a zirlarle intorno alla testa: finalmente si adagiò di nuovoe osservò:

—Io credo che tu non abbi l'intenzione di perdere il nome.

—Veramente no— disse Alice con una certa ansia.

—E pure io non so— continuò la Zanzara con tono d'indifferenza: — pensa ilguadagno che farestise lo perdessi ritornando a casa. Per esempiose lagovernante volesse chiamarti per la lezionedirebbe: “Vieni qui...” edovrebbe interrompersiperchè non avrebbe un nome con cui chiamartie tuallora non dovresti rispondere.

—Io credo che questo non servirebbe a nulla— disse Alice: — la governantemi farebbe scuola lo stesso. Se non ricordasse il nomemi chiamerebbe“signorina” come fa la cameriera.

—Bene“signorina” vuol dire piccola signora— osservò la Zanzara— eallora... s'ignora la chiamata. Questo è un bisticcio. Mi piacerebbe chel'avessi pensato tu.

—Perchè ti piacerebbe che l'avessi pensato io? — chiese Alice. — È unbrutto bisticcio.

Mala Zanzara non rispose e trasse un profondo sospiromentre due grosse lagrimele solcavano le gote.

—Non dovresti far dei bisticci— disse Alice— se ti addolora tanto.

Poivenne un altro di quei malinconici sospirie tosto la povera Zanzara parveessersi dissolta con essoperchè Alice guardò di nuovo da quella partee nonvide più nulla sul ramoscello. E allorasiccome si sentiva intirizzire peresser stata così a lungo sedutas'alzò e si mise a camminare.

Arrivòsubito a una pianuracon un bosco dall'altro lato: sembrava molto più oscurodell'ultimo boscoe Alice ebbe paura di entrarci. Peròripensandoci megliodecise di andare innanzi: “Perchè certamente non ritornerà più” essa sidicevae quella era l'unica via per l'Ottava Casella.

—Questo dev'essere il bosco— disse meditabonda— dove le cose non hannonomi. Chi sa che sarà del mioquando c'entrerò! Non mi piacerebbe diperderlo... perchè dovrebbero darmene un altroe certo sarebbe brutto. Sarebbedivertente trovare la creatura che portasse il mio vecchio nome. Proprio come imanifesti quando la gente perde i cani: “Risponde al nome di Menelik: aveva uncollare d'ottone”; figurarsichiamare ogni cosa che s'incontra “Alice”finchè una risponde. Ma se fosse savianon risponderebbe affatto.

Divagavaa questo modoquando raggiunse il boscoche le sembrò molto freddo e ombroso.“Ma ad ogni modo è un gran conforto— si diceva entrando sotto gli alberi— dopo tanto caldoentrare nel... nel... che cosa?” ella continuòpiuttosto sorpresa di non poter trovar la parola. “Vado sotto il... sottoil... sotto questosai” e mise la mano sul tronco dell'albero. “Chi sa comesi chiama! Credo che non abbia nome... sìcertonon l'ha.”

Stettesilenziosa per un minuto a pensare; e poi ricominciò: “E allora è realmenteaccadutodopo tutto. E oraqual è il mio nome? Voglio ricordarlose posso.Sono proprio decisa.” Ma l'essere decisa non significava nullae tutto ciòche potè diredopo molto scervellarsifu: “Also che comincia per Al.”

Proprioin quel punto venne a passare una cervache guardò Alice coi suoi grandigentili occhima non sembrò per nulla impaurita.

—Quaqua! — disse Alicesporgendo la mano e provando a carezzarla.

Maquella diede un piccolo balzoe poi la guardò calma di nuovo.

—Come ti chiami? — disse finalmente la Cervacon una soavissima voce.

“Vorreisaperlo”pensava la povera Alicee rispose tutta rattristata:

—In questo momentonulla.

—Pensaci ancora— disse la Cerva— così non può essere.

Alicepensò ancorama non venne a capo di nulla.

—Per favoree tu non puoi dirmi come ti chiami? — ella disse timidamente. —Forse m'aiuteresti a ricordare il mio nome.

—Te lo diròse vieni un po' più oltredisse la Cerva. — Qui non possoricordarlo.

Cosìesse viaggiarono insieme per il boscoAlice con le braccia stretteaffettuosamente intorno al morbido collo della Cervafinchè non arrivarono inun'altra pianuradove la Cerva balzò improvvisamente in aria e si liberò dalbraccio di Alice.

—Io sono una Cerva— esclamo con voce di gioia. — E povera metu sei unacreatura umana.

Tostouno sguardo di sgomento apparve nei suoi begli occhi brunie l'istante dopoessa s'era slanciata lontano a grande velocità.

Alicela seguì con lo sguardoli lì sul punto di scoppiare in lagrime per averperduta così improvvisamente quella piccola compagna di viaggio.

“Peròso il mio nome ora— ella si disse: — questa è una consolazione. Alice...Alice... non lo dimenticherò più. E ora chi sa quale di queste due freccedovrei seguire!”

Nonera molto difficile rispondere a questa domandaperchè nel bosco c'era unastrada sola e la freccia su tutti e due i cartelli aveva la punta rivolta inquella direzione.

“Lodeciderò— si disse Alice— quando la strada si dividerà e le frecceindicheranno diverse vie.”

Mala cosa non sembrava probabile. Ella continuò ad andaread andareper moltotempoe dovunque la strada si divideva era sicura di vedere due frecce cheindicavano la stessa viauna col cartello: “Alla casa di Tuidledum” el'altra: “Alla casa di Tuidledì.”

—Credo— disse finalmente Alice— che essi abitino nella stessa casa. Nonso perchè non ci abbia pensato prima. Ma non potrò starvi a lungo. C'entreròper dire: “Come state ?” e domanderò loro d'indicarmi la via peruscire dal bosco. Se potessi soltanto arrivare all'ottava Casella prima dinotte!

Cosìcontinuò ad andare innanziparlando a sè stessa mentre camminavaperchènel voltare intorno a un angolo acutos'imbattè in due grassi ominicosìall'improvviso che non potè fare a meno di dare un balzo indietroma perriaversi l'istante dopogià assolutamente certa ch'essi dovevano essere

 


 

IV

 

TUIDLEDUME TUIDLEDI'

 

Essise ne stavano sotto un alberociascuno con un braccio intorno al collodell'altroe Alice seppe subito chi fosse l'uno e chi l'altro; perchè unoaveva un “Dum” ricamato sul collare e l'altro un “Dì”.

“Certotutti e due portano scritto “Tuiddle di dietro sul collare”ella disse frasè.

Sene stavano così calmiche ella dimenticando assolutamente ch'erano vivistavaper girar loro intorno per veder la parola “Tuiddle” scritta di dietro sulcollarequando fu sorpresa da una voce che veniva da quello segnato “Dum”.

—Se credi che noi siamo statue di cera— egli disse— avresti dovutopagaresai. Le statue di cera non sono fatte per esser vedute gratis. No.

—Viceversa— aggiunse quello segnato “Dì” — se credi che siamo viviavresti dovuto parlare.

—Mi dispiace tanto— fu tutto ciò che Alice potè direperchè le paroled'una vecchia canzone continuavano a risonarle nel cervello come il tic-tac d'unpendoloed ella non potè fare a meno dal gridare:

 

Tuidledum e Tuidledì

 si sfidarono a duello:

Tuidledum a Tuidledì

avea rotto un campanello.

Proprio allora volò un corvo

nero assai più della pece:

ei guardò gli eroi sì torvo

che ambedue scappar li fece.

 

—Io so a che pensi— disse Tuidledum— ma non e cosìno.

—Viceversa— continuò Tuidledì— se fosse cosìpotrebbe essere; e sefosse cosìsarebbe; ma siccome non ènon è. È logico.

—Io cercavo— disse Alice molto cortesemente— la via per uscire dal bosco:si fa così scuro! Volete farmi il favore d'indicarmela?

Mai due grassi omini si guardarono l'un l'altro e sogghignarono.

Somigliavanocosì esattamente a un paio di grossi e grassi scolarettiche Alice non potèfare a meno dall'indicare col dito Tuidledum e dire:

—Caposquadra!

—No— esclamò vivacemente Tuidledume richiuse la bocca con uno scrocchio.

—Vice-caposquadra! — disse Alicepassando a Tuidledìsebbene fosseassolutamente certa ch'egli avrebbe risposto “Viceversa!” come infattirispose.

—Hai cominciato male! — esclamò Tuidledum. — La prima cosa da fare in unavisita è di dire: “Come state?” e stringer le mani.

Equi i due fratelli si diedero un abbraccioe poi sporsero le mani che eranolibere per stringer la mano ad Alice.

Alicenon voleva stringer prima la mano di uno per tema di offender la suscettibilitàdell'altro; cosìper cavarsi dalla difficoltàs'impossessò delle due maniinsieme. Il momento dopo essi stavano danzando in circolo. Questo le sembrò unacosa naturalissima (essa dopo se ne ricordò)e neanche fu sorpresa d'udirsonare una musica che veniva dall'albero sotto il quale danzavanoed era fatta(a quel che si poteva intendere) dai rami che si sfregavan gli uni attraversogli altri come violini ed archi.

—Ma certo fu buffo(diceva Alice doponarrando la storia di tutto alla sorella)sorprendermi a cantare “Ecco l'ambasciatore”. Non so quando cominciassimaè certo che avevo cantato per tanto tempo.

Glialtri due ballerini che erano grossi e grassirimasero presto senza fiato.

—Fare quattro giri in una danza è già troppo— balbettò Tuidledumeimprovvisamente essi interruppero il ballo come improvvisamente l'avevanoincominciato: nello stesso momento cessò la musica.

Alloraessi lasciarono le mani di Alicee la stettero a guardare per un minuto: vi fuuna pausa piuttosto imbarazzanteperchè Alice non sapeva come cominciare unaconversazione con persone con le quali aveva poco prima ballato:

—Ora non starebbe bene dire: “Come state?” — essa si diceva — siamoarrivati già più lontano di questomi pare.

Epoi finalmente disse:

—Spero che non siate stanchi.

—Niente affatto. E grazie molte per averlo domandato— disse Tuidledum.

—Obbligatissimo— aggiunse Tuidledì. Ti piace la poesia?

—S...ìpiuttosto... un po' di poesia — disse Alice dubbiosa. — Miindichereste la strada che conduce fuori del bosco?

—Che cosa le reciterò? — disse Tuidledìguardando con uno sguardo solenneTuidledume non raccogliendo l'osservazione di Alice.

—Il Tricheco e il Legnaiuolo è la più lunga— rispose Tuidledumdando alfratello un abbraccio affettuoso.

Tuidledìcominciò immediatamente:

 

Dardeggiava il sol sul mare

 

QuiAlice s'arrischiò a interromperlo:

—Se è molto lunga— disse nella sua più cortese maniera— mi fareste ilfavore di dirmi prima qual'è la strada...

Tuidledìsorrise con affabilitàe cominciò di nuovo:

 

Dardeggiava il sol sul mare

col suo massimo vigore

chè volea l'acqua appianare

e prestarle il suo splendore.

Strana ideach'era già notte

fonda come in una botte.

 

Ahila luna a viso afflitto

su lucea languidamente

e dicea: “Con che diritto

a quest'ora è il sol presente ?

È scortesee dico poco

a guastarmi così il giuoco.”

 

Era il mar più che bagnato

più che asciutta era la rena:

senza nubi il ciel stellato

perchè l'aria era serena;

non volava uccello alcuno...

non ce n'era neppur uno.

 

Camminavan con piacere

il Tricheco e il Legnaiuolo

ma che pianto nel vedere

tanta sabbia sparsa al suolo!

Disser tostosenza asprezza:

“Se si spazzache bellezza!

 

Se tre serve con tre panni

stesser notte e dì a spazzare”

fe' il Tricheco — “in tre oquattr'anni

la potrebbero levare.”

“Chi sa!” — fece il Legnaiuolo

 e piangea da un occhio solo.

 

“O bell'Ostrichesul lido

come è dolce passeggiare!”

fe' il Tricheco: “Il vostro nido

or lasciate in fondo al mare;

ed in nostra compagnia

state un poco in allegria.”

 

 

Lo guardò l'Ostrica vecchia

ma una sillaba non disse

strizzò l'occhio e in un'orecchia

un'unghietta si confisse

quasi a dir di non volere

di lì togliersi a giacere.

 

Ma tre Ostriche piccine

accettarono l'invito

ed uscir con le vestine

bianche e il viso assai pulito

senza piedi — è naturale —

ma con scarpe di coppale.

 

Altre tre seguir le prime

poi tre altre in un istante

ed infine sulle cime

delle spumetante e tante

che saltando d'onda in onda

s'aggrappavano alla sponda.

 

Il Tricheco e il Legnaiuolo

 si diresser lungo il mare

e sull'argine del molo

stetter quindi a riposare.

Tutte in filacuriosette

aspettavan le Ostrichette.

 

“È già l'ora” fe' il Tricheco

“di parlar di molte cose

di corazze... e scarpe... e greco

di prezzemolo e di rose

e perchè di marmo è il mare

e se il bue sta sull'alare.”

 

Disser l'Ostriche: “Aspettate

un momento pel discorso;

siamo grasse e siam sudate

più d'un miglio abbiamo corso!”

Fece il Legnaiuolo: “Bene

riposarvi vi conviene.”

 

“Ciò che occorre sopratutto”

fe' il Tricheco“è un po' di pane

pepeacetoburro e tutto

per il pasto di stamane.

Siete giàOstriche care

pronte per il desinare?”

 

“Non con noi!” gridâro a un tratto

tutte le Ostriche atterrite

“voicosì gentiliun atto

così fello concepite?”

“Bella notte!” fe' il Tricheco:

“ammirate il cielo meco?

 

Con voi tutto io mi consolo

squisitissime Ostrichette.”

Interruppe il Legnaiuolo:

“Son sottili queste fette

falle grosse; ho un appetito

formidabileinaudito!”

 

“È un infamia questo tiro”

fe' il Tricheco. “Poverine!

dopo un così lungo giro

macerarle in salsa fine!”

L'altro fe' con un sussurro:

“Spargicaromolto burro.”

 

“Per voi piango” fe' il Tricheco

con parole assai commosse.

Ne ripete i pianti l'eco

mentre ei sceglie le più grosse

e di lagrime un ruscello

va asciugandosi bel bello!

 

Disse il Legnaiuolo: “Care

miela gita è stata bella!

Se tornar volete al mare

ce n'andremo in comunella.”

Ma — mangiate ad una ad una —

non rispose — ahimè! — nessuna.

 

—Mi piace più il Tricheco— disse Alice: — perchè era un po' rattristatoper le povere ostriche!

—Egli mangiò più del Legnaiuoloperò— disse Tuidledì. — E si teneva ilfazzoletto in facciain modo che il Legnaiuolo non potè contare quante se neprendeva... viceversa!

—Questa fu una viltà— disse Alice indignata. — Allora mi piace più ilLegnaiuolose ne mangiò meno del Tricheco.

—Ma egli ne mangiò più che ne potèdisse Tuidledum.

Eracome un indovinello. Dopo una pausaAlice cominciò:

—Allora erano due cattivi...

Sifrenò subitoin apprensioneall'udir come uno sbuffo di locomotiva nel boscoaccanto a leipur temendo invece che più probabilmente fosse una bestiaferoce.

—Bazzicano dei leoni e delle tigri qui? chiese timidamente.

—È il Re Rosso che russa— disse Tuidledum.

OnestamenteAlice non poteva dir che cosa fosse. Egli aveva in testa un alto berretto rossocon un'etichettae se ne stava rannicchiato quasi come in un mucchio polverosorussando sonoramente“quasi che la testa dovesse esplodergli”come notòTuidledum.

—Temo che si acchiapperà un raffreddore col dormire sull'erba umida— disseAliceche era una bambina assai cauta.

—Ora egli sogna— disse Tuidledì— e che credi che sogni?

Alicedisse:

—Nessuno lo può indovinare.

—Sogna di te! — esclamò Tuidledìbattendo le mani con aria di trionfo. — Ese cessasse di sognare di tedove credi che tu saresti?

—Dove sono oranaturalmente— disse Alice.

—Niente affatto— ribattè Tuidledì con tono di sprezzo; — non saresti innessuna parte. Perchè tu sei soltanto una specie d'idea nel suo sogno.

—Se il Re si dovesse svegliare— aggiunse Tuidledum— tu ti spegneresti...puf!... proprio come una candela.

—Non è vero! — esclamò Alice indignata. — E poise io sono una specied'idea nel suo sognomi piacerebbe di sapere che cosa siete voi.

—Idem— disse Tuidledum.

—Idemidem— gridò Tuidledì.

Estrillò tanto che Alice non potè fare a meno di dire:

—Zitto! Lo sveglieraise fai tanto rumore.

—È inutile di parlare di svegliarlo—; disse Tuidledum— quando seisoltanto un'idea nel suo sogno. Sai benissimo che non sei vera.

—Io sono vera! — disse Alicee cominciò a piangere.

—E inutile piangeretanto non diverrai più vera col piangere— osservòTuidledì. Non v'è ragione di piangere.

—Se io non fossi vera— disse Alicesorridendo un poco a traverso le lagrime(tutto le sembrava così ridicolo) — non potrei piangere.

—Non crederaisperoche le tue siano lagrime vere? — la interruppe Tuidledumcon tono di grande disprezzo.

—Io so che essi dicono delle sciocchezzediceva fra sè Alice— ed è stupidopiangere.

Cosìsi asciugò le lagrimee continuò più allegramente che potè:

—A ogni modosarebbe meglio uscire dal boscoperchè si fa veramente moltobuio. Credete che si metterà a piovere?

Tuidledumspiegò un grosso ombrello sulla sua testa e su quella del fratelloe guardòdi fra le stecche.

—Nocredo di no— egli disse— almeno qui sotto. Niente affatto.

 

—Ma pioverà al di fuori?

—Se così vuole— disse Tuidledì: — noi non obiettiamo. Viceversa...

“Egoisti!”— pensò Alicee stava appunto per dire “Buona sera” e lasciarliquandoTuidledum fece un salto di sotto l'ombrelloe l'afferrò per il polso.

—Vedi questo? — egli dissecon voce d'ira soffocatae gli occhi gli sispalancarono e s'ingiallirono in un istantementre indicava col dito tremanteun piccolo oggetto bianco sotto l'albero.

—Ebbeneè un sonaglio— disse Alice dopo un attento esame del piccolooggetto bianco. Sainon un serpente a sonagli— aggiunse in fretta per temadi spaventarlo— ma un sonaglietto vecchio e rotto per giunta.

—Lo sapevo! — gridò Tuidledumcominciando a pestare i piedi e a strapparsi icapelli con ira selvaggia. — È guastonaturalmente.

—E si mise a fissare Tuidledìche immediatamente si sedette in terra e cercòdi nascondersi sotto l'ombrello.

Alicegli mise la mano su un braccioe dissein tono carezzevole:

Perchèdevi disperarti per un sonaglio vecchio?

—Ma non è vecchio! — esclamò Tuidledum più furioso che mai. — È nuovotidico... l'ho comprato ieri... il mio bel sonaglio nuovo! — e la sua voce silevò in un perfetto urlo.

Durantequesto tempoTuidledì faceva del suo meglio per chiuder l'ombrello enascondervisi; ma la cosa era così arduache l'attenzione di Alice fu distoltadal fratello in collera. Ma Tuidledìper quanto facessenon ci riuscìe finìcon l'arrotolarsi insieme con l'ombrellolasciando la testa fuori; e cosìrimaseaprendo e chiudendo la bocca e gli occhi... “da sembrare piuttosto unpesce che altro”pensò Alice.

—Naturalmente è necessario fare un duello— disse Tuidledum con tono piùcalmo.

—Credo di sì— rispose l'altro imbronciatouscendo fuori dell'ombrello: —soltanto è necessario ch'essa ci vesta.

Cosìi due fratelli andarono a braccetto nel boscoe ritornarono dopo un minuto conle braccia piene di oggettiquali cuscinicopertetappeticoperchi di tegamie secchi da carbone.

—Spero che tu sappi appuntar degli spilli e legar delle corde— osservòTuidledum. — In un modo o nell'altro noi dobbiamo indossare tutte queste cose.

Alicedopo narrò di non aver mai assistito a tanto fracasso in vita sua: di tutto iltrambusto di quei duee della gran quantità di cose che si misero addossoedel fastidio che le diedero nel legarli con le funi e abbottonarli.

—Veramente sembreranno più fasci di vecchi utensili che altroquando sarannopronti— essa si dissementre accomodava un guanciale intorno al collo diTuidledì “per impedir che la testa gli fosse troncata” come egli diceva.

—Sai— egli aggiunse gravemente— è una delle cose più gravi che possonoaccadere a uno in duelloaver la testa troncata.

Alicescoppiò in una grande risatama tentò di cambiarla in tosseper tema dioffendere la suscettibilità di Tuidledì.

Sondiventato pallido? — disse Tuidledumavanzandosi per farsi legare l'elmo.(Egli lo chiamava elmobenchè somigliasse molto più a un paiuolo).

—Veramente... sì... un poco— rispose gentilmente Alice.

—Ordinariamente io son molto coraggioso— egli continuò sottovoce— maoggi ho il mal di testa.

—Ed io ho il mal di denti— disse Tuidledì che aveva sentito le parole delfratello. — Io sto peggio di te.

—Allora sarebbe meglio di non combattere oggi— suggerì Alicepensando chequella fosse l'occasione di rappacificarli.

—Noi dobbiamo battagliare un pocoma non ci tengo a continuare a lungo—disse Tuidledum; — che ora è?

Tuidledìguardo l'orologioe disse:

—Le quattro e mezzo.

—Combattiamo fino alle seie poi desineremo— disse Tuidledum.

—Benissimo— disse l'altro con malinconia— ed essa può guardare...Soltanto farà bene a non avvicinarsi troppo. Io ordinariamentecolpisco tuttociò che veggo... quando sono veramente eccitato.

—E io colpisco tutto ciò che posso raggiungere— gridò Tuidledum— lovegga o no.

Alicerise:

—Voi dovete colpir gli alberi molto spessoo credo.

Tuidledumsi guardò intorno con un sorriso soddisfatto.

—Non credoegli disse— che rimarrà un solo albero in piedi qui intornointornofinchè non avremo finito.

—E tutto questo per un sonaglio— disse Alicesempre sperando di farlivergognare di cominciare un duello per una inezia.

—Non ci avrei badato tanto— disse Tuidledum — se non fosse stato unsonaglio nuovo.

—“Io vorrei che venisse quel brutto corvo”pensava Alice.

—V'è una sola spadasai— disse Tuidledum al fratello; — ma — tu puoitenere l'ombrello... che è molto aguzzo. Soltanto bisogna sbrigarsi acominciare. Si sta facendo così buio.

—Molto buio— disse Tuidledì.

Sifaceva buio così rapidamente che Alice penso che s'avvicinasse un temporale.

—Che nuvola nera! — ella disse. — E come viene presto. To' mi pare che abbiale ali.

Èil corvo! — gridò Tuidledum con un acuto strillo di terroree i due fratellilevarono le calcagna e si dileguarono in un attimo.

Aliceprese a correre per il boscoe si fermò sotto un grosso albero.

—Qui non può raggiungermi— essa pensava. — Esso è così grande che non sipotrà infilare fra gli alberi. Ahse non agitasse tanto le ali... nel boscosoffia un uragano... ecco uno scialle che vola.


 

 

V

 

LANAE ACQUA

 

 

Mentrecosì parlava acchiappò lo scialle e guardò per veder la persona alla qualeapparteneva; l'istante dopo apparve la Regina Bianca che correvaprecipitosamente attraverso il boscocon le mani apertecome se volasse; eAlice le andò gentilmente incontro con lo scialle.

—Son molto lieta d'averlo potuto acchiappare! — disse Alicementre aiutava laRegina a rimetterselo.

LaRegina Bianca la guardò come atterritacontinuando a ripetere a sè stessa conun bisbiglio qualche cosa che sonava come: “Pane e burropane e burro”eAlice capì che se voleva conversaredoveva pensarci lei. Così cominciòconuna certa solennitàcon una frase che aveva sentito leggere dalla sorella:

—Si para qui innanzi la Regina Bianca?

—Se questo si chiama pararsi! — disse la Regina. — A me non pare!

—Alice pensò che non fosse conveniente intavolare una discussione appenaall'inizio della conversazione; così sorrise e disse:

—Se Vostra Maestà vorrà insegnarmi il miglior modo di cominciarelo farò comemeglio potrò.

—È inutile! — gemè la povera Reginaè da due ore che lo sto facendo da me.

Sarebbestato benecome sembrava ad Aliceche la Regina che era in un acconciaturastraordinariamente neglettasi fosse fatta vestire da qualche altra persona.

—“Tutto è stato messo storto!” — pensava Alicee poi aggiunse ad altavoce:

—Posso accomodarvi lo scialle?

—Io non so che abbia— disse la Reginacon tono melanconico. — È irritatocredo. L'ho appuntato di quil'ho appuntato di làma non c'è modo dicompiacerlo.

—Ma non può star drittose lo appuntate tutto da un lato— disse Alicebellamente accomodandoglielo; — e poveretta mein che stato avete i capelli!

—Ci s'è impigliata la spazzola— disse la Regina con un sospiro— e ieriho perduto il pettine.

Aliceattentamente liberò la spazzolae fece del suo meglio per riordinarle icapelli.

—Vedete come state meglio ora! — ella dissedopo aver cambiato di posto amolte spille.—

Veramentevi converrebbe prendere una cameriera

—Certo che ti piglierei con piacere— disse la Regina. — Quattro soldi lasettimana e marmellata ogni domani.

Alicenon si potè tenere dal riderementre diceva:

—Io non voglio mettermi a servizio di nessunoe non ho che farne dellamarmellata.

—È ottima— disse la Regina.

—A ogni modo oggi non voglio nulla.

 

—E non potresti averlaanche se la volessi— disse la Regina: — non sai? ilpatto è marmellata domani e marmellata ierima non mai oggi.

—Qualche volta deve pur venire il giorno della marmellata

—Nonon può— dissela Regina. — È marmellata ogni domani: oggi non èdomanisai.

—Non vi capiscosapete— disse Alice— è una terribile confusione.

—Ecco che succede col vivere all'indietro— disse gentilmente la Regina: —in principio uno si sente un po' di vertigine.

—Vivere all'indietro! — ripete Alice nel massimo stupore— non ho maisentito una cosa simile!

—...ma v'è un gran vantaggio: che la memoria lavora in tutti e due i sensi.

—Io son certa che la mia lavora in un senso solo— osservò Alice. — Non puòricordare le cose prima che accadano.

—Che miserabile razza di memoria quella che lavora solo all'indietro! — osservòla Regina. — Ohle cose che accaddero la settimana dopo la prossima! —riprese la Regina con tono indifferente. — Per esempioora— essa continuòincollandosi un gran quadrato di taffetà sul dito mentre parlava— eccol'Alfiere del Re. Essendo stato punitoora è in prigione; e il processo noncomincerà che mercoledì prossimo; naturalmenteil delitto è l'ultimo adaccadere.

—E senon lo commette? — disse Alice.

—Tanto meglionon è vero? — disse la Reginalegandosi il taffetà intorno aldito con un pezzo di nastro.

Alicenaturalmente non poteva dir di no.

—Sìche sarebbe meglio; ma non sarebbe meglio non essere punito?

—Hai tortoperò— disse la Regina. — Tu non sei stata mai punita?

—Soltanto per delle mancanze.

—E te ne trovasti molto megliodopo! disse la Regina con accento di trionfo.

—Sìma io avevo commesso le mancanzeper le quali ero punita— disse Alice— questa è la differenza.

—Ma se tu non le avessi commesse— disse la Regina— sarebbe stato moltomeglio ancora; meglio e meglio e meglio.

Lavoce diveniva più acuta ad ogni “meglio”finchè non fu che un gridogutturale.

Alicestava appunto per dire: “C'è un errore in qualche punto...” quando laRegina cominciò a strillare con tanta forza ch'essa non potè finire la frase.

—Ohohoh! — strillava la Reginascotendo la mano come se volesse gettarlalontano— il mio dito sanguina! Ohohoh!

Lesue strida erano così simili ai fischi d'una macchina a vaporeche Alice dovèmettersi le mani alle orecchie.

—Che cosa avete? — dissenon appena ebbe la speranza di farsi sentire— visiete punto il dito?

—Non me lo son punto ancora— disse la Regina— ma presto me lo pungerò...Ohohoh!

—Quando credete che ve lo pungerete? chiese Alice con una voglia matta di ridere.

—Quando mi rimetterò lo scialle un'altra volta— gemeva la povera Regina. —Il fermaglio s'aprirà subito. Ohoh!

—Mentre diceva cosìil fermaglio s'apersela Regina vi portò a precipizio leditatentando di richiuderlo.

—Badate! — gridava Alice— lo tenete storto.

Edessa prese il fermaglio; ma era troppo tardi: la spilla aveva ferito il ditodella Regina.

—Ed ecco perchè il dito mi sanguinava— ella disse ad Alice. — Oracomprendi come vanno le cose qui.

—Ma perchè non strillate ora? — chiese Alicelevando le mani per tapparsi dinuovo le orecchie.

—Perchè ho già strillato quanto dovevo strillare— disse la Regina. — Ache servirebbe mettersi a strillare un'altra volta?

Frattantoschiariva:

—Il corvo dev'essersene andatocredodisse Alice. — Son così contenta che sene sia andato. Credevo che fosse già notte.

—Anch'io vorrei poter essere contenta! disse la Regina. — Soltanto non ricordola regola. Tu devi essere felicissimavivendo in questo bosco ed essendocontenta tutte le volte che ti piace.

—Soltanto qui son così sola— disse Alice con voce melanconica: e al pensierodella sua solitudinedue grosse lagrime le corsero per le guance.

—Ohnon piangere così! — gridò la povera Reginatorcendosi le manidisperata. — Considera che sei già grande. Considera quanta strada hai fattaoggi. Considera che ora è. Considera qualunque cosa. Ma non piangere.

Alicenon potè non sorridereanche attraverso le lagrime.

—E voi potete fare a meno dal piangerecol considerare tutte queste cose? —essa chiese.

—Ecco come si fa— disse la Regina con gran decisione— come sainessunopuò fare due cose in un volta. Per cominciareconsideriamo prima la tua età...quanti anni hai?

—Sette e mezzo in punto.

—Non è necessario dire “in punto”— osservò la Regina. — Possocrederlo senza di questo. Ora darò io a te qualche cosa da credere. Io ne hoesattamente cento e unocinque mesi e un giorno.

 


 

—Questo non lo posso credere— disse Alice.

—No? — disse la Regina in tono di compatimento. — Provatici. Fa un respirolungoe poi chiudi gli occhi.

Alicesi mise a ridere.

—È inutile che mi ci provi— ella disse— non si può credere alle coseimpossibili.

—Forse non hai la pratica necessaria— disse la Regina. — Quando io avevo latua etàm'esercitavo per mezz'ora al giorno. Ebbenea volte credevonientemeno che a sei cose impossibili prima della colazione... Ecco che se ne vadi nuovo lo scialle.

Ilfermaglio s'era aperto mentre essa parlavae un'improvvisa raffica di ventofece volar lo scialle della Regina attraverso un ruscello. La Regina spalancòdi nuovo le bracciae si mise a corrergli dietroe questa volta riuscì adacchiapparlo da sè.

—L'ho presol'ho preso! — gridò con tono di trionfo come la vispa Teresa conla farfalla. — Vedrai che ora me l'appunterò da me.

—Allorail vostro dito sta meglio? — disse Alice con molta cortesiamentretraversava il ruscelletto dietro la Regina.

 

** *

 

—Oh benissimo! — gridò la Reginacon una voce che si faceva sempre piùacuta. — Benissimo. Be-e-enissirmo. Be-e-ehh!

L'ultimaparola finì in un lungo belatocosì simile a quello d'una pecora che Alicediede un balzo.

Guardòla Reginache pareva si fosse completamente coperta di lana. Si sfregò gliocchi e guardò di nuovo. Non poteva comprendere ciò che fosse accaduto. Sitrovava essa in una bottega? E quella che sedeva all'altro lato del banco eraveramente una Pecora? Per quanto si sfregasse gli occhiera proprio così: sitrovava in una piccola oscura bottegucciaappoggiata coi gomiti al bancodifronte a una vecchia Pecorache sedeva in una poltroncina facendo la calza echedi tanto in tantolevava gli occhi dal lavoro per guardarla a traverso unpaio di grosse lenti.

—Che vuoi comprare? — disse finalmente la Pecoralasciando per un momento lacalza.

—Ancora non lo so— disse Alice con dolcezza. — Vorreise fosse possibiledare prima un'occhiata intorno intorno.

Tupuoi guardar di fronte e ai due latise vuoi— disse la Pecora— ma nonintorno intorno a meno che tu non possegga degli occhi sulla nuca.

MaAlice non li avevae così si limitò a volgersi in giro e guardar gliscaffaliavvicinandosi di volta in volta.

Labottega sembrava zeppa di ogni sorta di strani oggetti... ma il più strano ditutto si era che tutte le volte che Alice si metteva a guardar fisso unoscaffaleper veder bene ciò che contenevaquello diventava improvvisamentevuotosebbene gli altri d'intorno fossero perfettamente colmi

—Qui gli oggetti se ne volano via! — ella disse finalmentein un tono dilamentodopo aver passato un minuto o quasi a inseguir vanamente un grandeoggetto lucenteche le sembrava a volte una bambola e a volte una scatola dalavoroed era sempre nello scaffale al di sopra di quello in cui guardava. —E questo e il più irritante di tutti... ma io vi dirò— essa aggiunsecomeun subitaneo pensiero le sorse— che lo seguirò fino all'ultimo scaffale incima. Non vorrà andarsene pel soffittospero.

Maanche questo mezzo non le riuscì: l'oggetto traversò tranquillamente ilsoffittocome se ci fosse lungamente avvezzo.

—Sei una bambina o una trottola? — disse la Pecoramentre prendeva un altropaio di ferri da calza. — Mi farai venire la vertiginese continui adaggirarti a quel modo.

Essaora lavorava con quattordici paia di ferri contemporaneamentee Alice nonpoteva non guardarla con grande meraviglia.

—Come può fare con tanti ferri? — pensava la bambina imbarazzata. — E piùstae più mi sembra che diventi un porcospino.

—Sai remare? — chiese la Pecoradandole un paio di ferrimentre parlava.

—Sìun poco... ma non per terra... e non coi ferri da calza... — cominciò adire Alicequando improvvisamente i ferri che aveva in mano diventarono remiesi trovò con la Pecora in una barchetta che scivolava fra due sponde. Non potèfar altro che remare.

—Remigante! — gridò la Pecoraprendendo un altro paio di ferri.

Nonsembrando che questa osservazione avesse bisogno d'una rispostaAlice non dissenullama tirò innanzi. V'era qualche cosa di strano nell'acquaella pensavaperchè di tanto in tanto i remi affondavanoed eran tratti fuori con grandifficoltà. — RemiganteRemigante— gridò di nuovo la Pecoraprendendoaltri ferri. — Tosto piglierai un granchio.

—Un bel granchiolino— pensava Alicemi piacerebbe.

—Non hai sentito che dicevo Remigante? gridò irata la Pecoraprendendoaddirittura un fascio di ferri.

—Sìche l'ho sentitodisse Alice— l'avete detto tanto spesso... e ad altavoce. Per favore dove sono i granchi?

.— Nell'acqua naturalmente— disse la Pecoraficcandosi alcuni ferri neicapellichè n'aveva piene le mani. — Remigantedico!

—Perchè dire “Remigante” tante volte? — chiese finalmente Alicepiuttostoseccata. — Io non sono un uccello.

—Si che lo sei— disse la Pecora— sei una piccola oca.

Aquesto Alice s'offese un po'. Così per un minuto o due non vi fu conversazione.La barca scivolava silenziosa sull'acqua; a volte fra letti d'alghe (nelle qualis'impigliavano più che mai i remi)e a volte sotto gli alberima sempre conle stesse alte. sponde. accigliate da un lato e dall'altro

—Ohper favore! vi sono dei giunchi profumati— gridò Alice in un improvvisoaccesso di gioia. Ve ne sono tanti e come son belli!

—È inutile dirmi “per favore”a proposito dei giunchi— disse la Pecorasenza levar la testa dalla calza. — Non ce li ho messi ioe non son io che litoglierò.

—Noma io volevo dire... per favorepossiamo fermarci a coglierne un po'? —si scusò Alice. — Se non vi dispiace di fermare per un minuto la barca.

—Come debbo fermarla? — disse la Pecora. — Se cessi di remaresi fermerà dasè.

 

Cosìla barca fu lasciata in balia della correntefinchè scivolò pianamente fra igiunchi oscillanti. E le piccole maniche furono attentamente rimboccatee lepiccole braccia affondate fino al gomitoper afferrare i giunchi più in bassoche potevano prima di romperli... e per un poco Alice dimenticò ogni cosa dellapecora e delle calzeincurvandosi sul fianco della barcacon l'estremitàdella chioma scarmigliata nell'acquamentre con lucenti e avidi occhiacchiappava un ciuffo dietro l'altro dei cari giunchi odorosi.

—Spero soltanto che la barca non si rovesci— essa si disse. — Ohche belciuffo!... Solo che non ci arrivo!

Edera una cosa veramente irritante (“come se fosse fatto apposta” ellapensava) chesebbene ella cercasse di cogliere molti bei giunchi che la barcarasentavav’era sempre un ciuffo più grazioso che non si raggiungeva.

—I più belli sono sempre più oltre! — esclamò finalmentecon un sospiroall'ostinazione dei giunchi nel crescer così lontanomentre con le guanceaccese e i capelli e le mani gocciolantisi arrampicava di nuovo al suo posto ecominciava a mettere in ordine quei suoi nuovi tesori.

Cheimportava ora a lei che i giunchi avessero cominciato a scolorarsi e a perderetutto il loro profumo e la loro bellezza del primo istante della raccolta? Anchei giunchi veri durano pochissimo... e quelliessendo giunchi immaginari siliquefecero quasi come la neveammucchiati com'erano ai suoi piedi. Ma Alice cibadò appenaperchè v'erano tante altre cose strane alle quali pensare.

Essenon erano andate molto più innanzi quando la pala di uno dei remi s'impegolònell'acqua e non volle uscirne più (così Alice raccontò; dopo)ed avvenneche il manico la colpì sotto il mentoenonostante una serie di piccolistrilli “Ohohoh!” da parte della povera Alicela divelse dal suo postoe la fece stramazzare sul mucchio dei giunchi.

—Ma essa non s'era fatto malee si levò subito in piedi: la Pecora continuava afar la calzacome se nulla fosse accaduto.

—È un piccolo granchio che tu hai presoella osservòmentre Alice ritornavaal suo postomolto confortata di trovarsi ancora in barca.

—Sì? Non l'ho visto— disse Aliceaffacciandosi cautamente sul fianco dellabarcae guardando nell'acqua scura. — Non l'avrei lasciato andare... Mipiacerebbe tanto di portarmi un granchiolino a casa.

Mala Pecora sorrise ironicamentee continuò a far la calza.

—Vi sono molti granchi qui? — disse Alice.

—Granchie tutto quello che vuoi— disse la Pecoraa tua scelta. Soltantodeciditi. Che cosa vuoi comprare?'

Comprare?— echeggiò Alicein un tono che era mezzo di stupore e mezzo di pauraperchèi remie la barca e il fiume erano in un istante svanitied essa si ritrovavanella piccola oscura botteguccia.

—Vorrei comprare un uovo— essa disse timidamente. — A quanto li vendi?

—Cinquantun centesimi per unoventi centesimi per due— rispose la Pecora.

—Allora due costano meno di uno! — disse Alice sorpresacavando il borsellino.

—Ma se ne compri duedevi mangiarli tutti e due— disse la Pecora.

—Allora ne piglio uno— disse Alice mettendo i soldi sul bancoperchè essadiceva fra sè: “non saranno molto freschi.”

LaPecora prese i soldie li mise in una cassetta; poi disse:

—Io non metto gli oggetti nelle mani degli avventori... Non starebbe bene... telo prenderai da te.

Ecosì dicendosi diresse in fondo della bottegae su uno scaffale mise l'uovodritto.

“Chisa perchè non starebbe bene? — pensava Aliceandando a tentoni fra itavolini e le sedieperchè la bottega in fondo era oscurissima.

Piùcamminoe più sembra che l'uovo s'allontani. È una sedia questasì o no?To'ha messo i rami. Strano che qui crescano gli alberi. To'ecco un ruscello.Ma questa è la bottega più strana che io m'abbia visto.”

Ellacontinuò ad andare innanzisempre più sbalordita a ogni passomentre ognicosa diventava un albero nell'istante che l'avvicinavaed essa s'aspettava chel'uovo dovesse far precisamente lo stesso.


 

VI

 

UNTODUNTO

 

Mal'uovo diventava sempre più grosso e più grossoe sempre più umano e piùumano: e come ella s'avvicinòvide che aveva gli occhi e il naso e la boccaecome si avvicinò ancor piùvide chiaramente ch'era Unto Dunto in persona.

“Nonpuò essere che lui— ella si disse. Ne son più certache se lo avessescritto in faccia.”

Avrebbepotuto essere scritto un centinaio di voltecomodamentesu quella facciaenorme. Unto Dunto con le. gambe incrociatecome un turcoera seduto sull'orlod'un muro altocosì stretto che Alice si meravigliò come egli potesse tenersiin equilibrio. Siccome gli occhi di lui guardavan fisso nella direzione oppostae non s'accorgevano affatto della bambinaquesta pensòdopo tuttoche UntoDunto fosse una persona imbalsamata.

—E come rassomiglia esattamente a un uovo— disse ad alta vocepronta con lemani ad acchiapparloperchè temeva ad ogni istante di vederlo cadere.

—È molto seccante— disse Unto Duntodopo un lungo silenzioguardando daun'altra partementre parlava— sentirsi dar dell'uovo. Moltomoltoseccante!

—Ho detto che rassomigliavate ad un uovosignore— spiegò Alice gentilmente.— E alcune uova sono graziosissimeveramente— ella aggiunsesperando difare accettare la sua frase come un complimento.

—Certi— disse Unto Duntosempre guardandocome il solitoda un'altraparte— non hanno più intelligenza di un fantolino.

Alicenon sapeva che rispondere: si disse che quella non era una conversazioneperchèegli non le rivolgeva mai la parola; l'ultima osservazione infatti l'avevarivolta evidentemente ad un albero. Così ella se ne stette mutaripetendodolcemente a sè stessa:

 

Unto Dunto sedea sul muro

   Unto Dunto cascò sul duro;

Tutti i fanti che accorsero tosto

   Non sepper alzarlo e rimetterlo a posto.

 

Quest'ultimoverso è troppo lungo per una poesia; — ella aggiunsequasi ad alta vocedimenticando che Unto Dunto la sentiva.

—Non chiacchierare così sola— le disse Unto Duntoguardandola per la primavolta— ma dimmi come ti chiami e che fai.

—Mi chiamo Alicema...

—Hai un nome molto sciocco! — la interruppe con impazienza Unto Dunto. — Checosa significa?

—Forse che un nome deve significare qualche cosa? — domandò Alice dubbiosa.

—Altro che! — disse Unto Dunto con una breve risata: Il mio nome significa laforma che ho io... fra parentesi una forma graziosa e bella. Con un nome come iltuo si può avere qualunque forma o quasi.

—Perchè ve ne state lì seduto solo solo? chiese Alice che non voleva cominciareuna discussione.

—Perchè non v'è nessuno con me! — gridò Unto Dunto. — Credevi che non tisapessi rispondere? Domanda un'altra cosa.

—Non pensate che in terra stareste più sicuro? — Alice continuò; non conl'idea di proporre un altro indovinelloma semplicemente per simpatia verso lastrana creatura. — Lassù dovete stare così scomodo.

—Che facili indovinelli mi dai a indovinare! — brontolo Unto Dunto. — Io nonon la penso così. Ebbenese mai cadessi... non c'è pericolo...; ma secadessi... — e qui egli gonfiò le labbrae prese un aspetto così solenne emaestoso che Alice non potèper quanto facessetrattenersi dal ridere. — Secadessi— egli continuo— “Il Re mi ha promesso...” puoi anchediventar pallidase ti dispiace. Tu non credevi che dovessi dir questo? Il Remi ha promesso... con la sua stessa bocca... di... di...

—Di mandarvi tutti i suoi fanti— Alice interruppepiuttosto imprudentemente.

—Ora io ti dico che sta malissimo— gridò Unto Duntomontandoimprovvisamente in collera. — Tu hai origliato alla porta... e dietro glialberi... e sotto i camini... se nonon l'avresti saputo.

 

Mano— disse Alice molto umilmente— c'è in un libro.

—Ahsìsi scrivono simili cose nel libri? disse Unto Dunto con tono piùcalmo. — Forse è nella storia. Ora guardami. Io sono uno che ha parlato colRe: forse non vedrai mai un altroche abbia parlato al Ree per mostrarti cheio non sono orgogliosoti permetto di stringermi la mano. (E ghignò quasi daun orecchio all'altromentre si sporgeva più che gli era possibileda quelmuro) e stese la mano ad Alice. Ella lo guardava con qualche ansiamentre laprendeva.

“Seegli sorridesse un po' piùle estremità della bocca gli si incontrerebberosulla nucaella pensava: — e chi sa che potrebbe accadere alla sua testa.Temo che si spaccherebbe.”

—Simi manderebbe tutti i suoi fanticontinuò Unto Dunto. — In un minuto miraccoglierebberoaltro che! Però questa conversazione va troppo rapidamenteinnanziritorniamo alla penultima osservazione.

—Non credo di ricordarla— disse Alice con molta cortesia.

—Se è cosìcominceremo da capo— disse Unto Dunto— ed ora spetta a mescegliere un soggetto. (“Egli parla come se si trattasse di un giuoco”pensava Alice). Ecco una domanda per te. Quanti anni dicevi di avere?

Alicefece un breve calcolo e disse:

—Sette anni e sei mesi.

—Che c'entra? — esclamo Unto Dunto con accento di trionfo. — Tu non avevi maidetto niente di simile.

—Io credevo che voi intendeste: “Quanti anni hai” — spiego Alice.

—Se avessi inteso questol'avrei dettodisse Unto Dunto.

Alicenon volendo incominciare un'altra discussionenon disse nulla.

—Sette anni e sei mesi! — ripetè Unto Dunto pensoso. — Un'età moltoscomoda. Se tu ti fossi consigliata con met'avrei detto: “fermati asette”... ma ora è troppo tardi.

—Non mi consiglio con nessuno sull'etàdisse Alice indignata.

Cosìorgogliosa sei? — chiese l'altro.

Alicesi sentì ancora più indignata a questa domanda.

—Voglio dire che uno non può fare a meno dal crescere.

—Uno forse non può— disse Unto Dunto— ma due sì. Efficacemente aiutataavresti potuto rimanere a sette.

—Che bella cintura che avete! — osservò improvvisamente Alice. (Ne avevanoabbastanza sul conto dell'etàella pensavae se veramente dovevano sceglierei soggetti a turnoadesso toccava a lei) — cioè— ella corresseripensandoci — una bella cravatta. Avrei dovuto dire... nouna cinturavoglio dire... scusatemi— essa aggiunse impacciataperchè Unto Duntoappariva perfettamente offesoed ella cominciò a deplorare di aver toccatoquell'argomento. — Se soltanto sapessi— diceva fra sè— qual è ilcollo e qual è il petto.

EvidentementeUnto Dunto era irritatissimosebbene stesse zitto per uno o due minuti. Quandoriparlòfu con un sordo brontolio.

—È... una cosa molto seccante— egli disse finalmente— che una personanon distingua una cravatta da una cintura.

—È per la mia grande ignoranza— disse Alicein un tono così umile che UntoDunto si calmò.

—È una cravattae bellacome tu dici. È un dono del Re Bianco e della Regina.Ecco tutto.

—Veramente? — disse Alicelietissima di aver trovato finalmente un buonargomento.

—Me l'hanno data— continuò Unto Dunto pensosomettendo una gamba acavalcioni sull'altra e circondando con le mani il ginocchiome l'hanno dataper un dono ingenetliaco.

—Scusatemi... — disse Alice con aria impacciata.

—Tu non m'hai offeso— disse Unto Dunto.

—Voglio direche cosa è un dono ingenetliaco?

—Un dono che ti si offre quando non è il tuo genetliacoè chiaro.

Alicestette un po' a pensare.

—Mi piacciono più i doni genetliaci— finalmente disse.

—Tu non sai quel che ti dici— gridò Unto Dunto. — Quanti sono i giorni inun anno?

—Trecentosessantacinque.

—E quanti genetliaci hai?

—Uno.

—E se togli uno da trecentosessantacinqueche rimane?

—È semplice: trecentosessantaquattro.

UntoDunto parve dubbioso.

—Lo vorrei eseguito sulla carta— egli disse.

Alicenon potè fare a meno dal sorriderementre cavava il taccuino e faceva per luila sottrazione:

 

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   l

———

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UntoDunto prese il libro e guardò attentamente.

—Mi pare esatta... — egli cominciò.

—Lo tenete sottosopra! — interruppe Alice.

—È vero— disse Unto Dunto allegramentementre Alice gli voltava iltaccuino— pensavo appunto che mi sembrava un po' strano. Dicevo dunque:“Mi sembra esatta...” chè ora non ho il tempo di esaminarla con calma... equesto mostra che vi sono trecentosessantaquattro giorni nei quali ti puòessere offerto un dono ingenetliaco.

Certo— disse Alice.

—E uno solo per i doni genetliaci. Eccoti gloria.

—Io non so che intendiate per “gloria”disse Alice.

UntoDunto sorrise con aria di compatimento..

—Certo che non lo intendi... se non te lo dico. Eccoti un magnifico trionfaleargomento.

—Ma “gloria” non significa un magnifico trionfale argomento— obiettòAlice.

—Quando io uso una parola— disse Unto Dunto in tono d'alterigia— essasignifica ciò che appunto voglio che significhi: nè più nè meno.

—Si tratta di sapere— disse Alice— se voi potete dare alle parole tantidiversi significati.

—Si tratta di sapere— disse Unto Dunto— chi ha da essere il padrone...Questo è tutto.

Aliceera così impacciata che non disse nullae dopo un minuto Unto Dunto ricominciò:

—Alcune di esse sono intrattabili... specialmente i verbi sono orgogliosissimi...con gli aggettivi si può fare ciò che si vuolema non con i verbi... Però ioso maneggiarle tutte quante. Impenetrabilità! Ecco che dico!

—Vorreste dirmiper favore— disse Alice— che cosa significa questo?

—Ora parli come una bambina ragionevole— disse Unto Duntocon un'aria moltosoddisfatta. — Intendevo con “impenetrabilità” d'averne avuto abbastanzadi questo argomento e che sarebbe stato opportuno che mi avessi detto chepensavi di far dopoperchè suppongo che tu non intenda fermarti qui vitanatural durante.

—È un voler far significare troppe cose a una parola sola— disse Alice intono pensoso.

—Quando a una parola faccio far tanto lavoro— disse Unto Dunto— la pagodi più.

—Oh! — disse Alicetroppo confusa per fare anche una sola osservazione.

—Ahdovresti vederle venirmi intorno la sera del sabato— disse Unto Duntogravemente scotendo la testa da un lato all'altro— per aver la paga.

(Alicenon s'avventurò a chiedergli come le pagassee così io non posso dirvelo.)

—Voisignoresembrate abilissimo nello spiegare le parole— disse Alice. —Mi fareste la cortesia di dirmi il significato della poesia intitolataGiabervocco?

—Sentiamola— disse Unto Dunto. — Io posso spiegare tutte le poesie che sonostate scritte... e molte che non sono state scritte ancora.

Questosonava molto attraentee Alice ripetè la prima strofa:

 

S'era a cocce e i ligli tarri

girtrellavan nel pischetto

tutti losci i cincinarri

suffuggiavan longe stetto.

 

—Basta per cominciare— interruppe Unto Dunto: — qui vi sono molte paroledifficili. “Cocce” significa le dieci della mattinal'ora in cui sicomincia a cuocere i cibi per la colazione.

—Bene— disse Alice— e “ligli”?

—Ligli significa agile e limaccioso. “Li” è lo stesso che “attivo”. Duesignificati in una parola sola.

—Ora comprendo— osservò Alice pensosa— e che sono i “tarri?”

—“Tarri” sono degli esseri simili ai tassi... alle lucertole... e aicavaturaccioli.

—Che creature strane che debbono essere!

—Sì— disse Unto Dunto— e fanno i nidi sotto le meridiane e vivono diformaggio.

—E che vuol dire “girtrellare”?

—Girtrellare vuol dire rotare come un giroscopio e far buchi come un trapano.

—E il pischetto?

—La zolla d'erba intorno alla meridiana. È detta pischetto perchè si espande unpo' innanzi e un po' dietro la meridiana...

—E un po' da ogni lato— aggiunse Alice.

—Appunto. “Losci” poi vuol dire deboli e miserabili (ecco un'altra parola condue significati... come un portamonete con due tasche). E “cincinnarro” èun uccellino con le piume piantate come aculei intorno intorno al corpo; unaspecie di strofinaccio vivo.

—E suffuggiare? Mi dispiace di darvi tanto disturbo.

—Vuol dire qualche cosa tra muggire e fischiarecon una specie di starnuto inmezzo: però tu lo sentirai fare... nel bosco laggiùforse; e quando l'avraisentitosarai contenta. “Longe stetto.” Non ne sono certoma mi parevoglia dire lontano senza tetto. Stettosenza tetto... per dire che avevansmarrita la strada. Chi è che t'ha ripetuto tutto questo brano difficilissimo?

—L'ho letto in un libro. Ma m'è stata recitata una poesia molto più facile diquesta da... Tuidledìmi pare.

—In quanto a poesia— disse Unto Duntolevando una delle sue grandi mani—te ne posso recitare più e meglio degli altrise si tratta di questo...

—Ohne son certa— disse Alice in frettasperando di trattenerlo dalcominciare.

—Quella che reciterò— egli continuò senza raccogliere la sua osservazione— fu scritta per tuo esclusivo divertimento.

Alice comprese chestando così la cosaera suodovere di ascoltarlae allora si sedette e disse “grazie” con accentopiuttosto melanconico

“—Nell'inverno quando i campi ed i monti sono bianchi

ioti canto questo canto perchè un gaudio non ti manchi....”

 

soltantoche non lo canto— egli aggiunsecome spiegazione.

—Veggo— disse Alice.

—Se tu puoi vedere se io canti o nohai gli occhi più acuti degli altri—osservò con severità Unto Dunto.

Alicetacque.

 

“Quandoi boschi in primavera s'inghirlandano di fronde

cercheròdi dirti il senso che nei versi si nasconde.”

 

—Graziedisse Alice.

 

“Nell'estatequando i giorni sono lunghi e caldi tanto

forsetu potrai comprendereche significa il mio canto.

 

 

Nell'autunnoquando i rami delle foglie son già privi

prendicarta penna e inchiostroed il canto mio trascrivi”

 

—Lo scriveròse lo ricorderò— disse Alice.

—Non è necessario fare osservazioni simili— disse Unto Dunto— sonoinsensate e mi scombussolano.

 

“Ho mandato ai pesci un foglio

perdir loro: “È ciò che voglio”.

Edi pesci dalla costa

m'hanmandato la risposta.

Solodue parole o tre:

“Èimpossibileperchè....”

 

—Temo di non comprendere— disse Alice.

—Ora diventa più facile— rispose Unto Dunto

 

“Homandato ancora a dire:

—Sara meglio di ubbidire:

Edi pesci con calore:

—Siete in collerasignore.

Edi nuovo un foglio piglio

masi ridon del consiglio!

Hocosì preso un tegame

nuovolucidodi rame.

Allapompa l'ho ben pieno

mentreil cor batteami in seno.

Èvenuto uno e m'ha detto:

—Ora i pesci sono a letto.

Iomi son messo a gridare:

—Tu li devi risvegliare.

Chiaroe tondo gli ho parlato

nell'orecchiogli ho strillato.

 

UntoDunto alzò straordinariamente la vocerecitando queste strofee Alice pensavacon un brivido:

—Non mi sarei voluta trovare nella pelle del messaggero.

 

Masuperbo egli e feroce

dice:— Abbassa quella voce.

Maferoce egli e superbo dice:

—Andrò— con piglio acerbo.

Unturacciolo lì presso

tostoabbranco e vado io stesso.

Perchèchiuse son le porte

urtopicchio e batto forte.

Perchèchiuso sempre sta

lamaniglia afferroma...

 

Vifu una lunga pausa.

—È tutto? — chiese timidamente Alice.

—È tutto— disse Unto Dunto. — Addio.

“Èun congedo piuttosto brusco”penso Alice; ma dopo un così chiaro invito adandarseneella stimò che sarebbe stato piuttosto indiscreto rimanere. Così sialzò e tese la mano:

—Addioc'incontreremo un'altra voltadisse— più allegra che potè.

—Non ti riconoscerei piùse c'incontrassimo— rispose Unto Dunto pocosoddisfattodandole da stringere un dito: — tu sei proprio come tutti glialtri.

—Generalmentesi giudica dal viso— Alice osservo pensosa.

—È questo che deploro— disse Unto Dunto. — Il tuo viso somiglia a quellodi tutti gli altri.. due occhi (notando il loro posto in aria col pollice) —Il naso in mezzola bocca sotto. Sempre allo stesso modo. Se invece tu avessigli occhi da un solo lato del nasoper esempio... o la bocca al di sopra...potrebbe giovare a distinguerti.

—Non sarebbe bello— obiettò Alice.

MaUnto Dunto chiuse gli occhi e disse:

—Prova un poco.

Aliceaspettò un minuto per sentir se parlasse ancorama siccome egli non apriva piùbocca e non l'osservava più affattodisse: “Addio” ancora una voltaenon avendone risposta si allontanò tranquillamentema non potè fare a menodal dire mentre se n'andava:

“Fratutte le persone... (essa parlava ad alta vocecome un gran conforto nel doverdire una cosa così solenne) sìfra tutte le persone meno soddisfacenti da meincontrate...

Nonfinì mai la sentenzaperchè in quell'istante un enorme scroscio scosse laforesta da capo a fondo.

 

 


 

VII

 

ILLEONE E L'UNICORNO

 

L'istantedopo dei soldati arrivavano correndo per il boscoin principio a due o trepoia dieci o venti insiemee finalmente in tali masse che sembravano riempiretutta la foresta. Alice si rifugiò dietro un albero per paura d'esser travoltae li guardò passare.

Pensavadi non aver mai veduto in vita sua tanti soldati proceder con tanta incertezzadi gambe; inciampavano sempre su questo o quell'oggettoe quand'uno cascavaparecchi altri gli cascavano addossodi guisa che il suolo fu tosto coperto dimucchi di uomini.

Poivennero i cavalli. Avendo quattro piedise la cavavano molto meglio dei fanti;ma anch'essi inciampavano di tanto in tantoe sembrava che fosse regolanormalequando un cavallo inciampavache il cavaliere dovesse istantaneamentecadere. La confusione si faceva ogni momento maggioree Alice fu lietissima diuscir fuori del bosco in un luogo scopertodove trovò il Re Bianco seduto aterra e tutto affaccendato a scrivere nel suo taccuino.

—Li ho mandati tutti— gridò il Re in tono di grande soddisfazione vedendoAlice. — T'è capitato d'incontrare dei fanticaravenendo per il bosco?

—Sì— disse Alice— e parecchie migliaiacredo.

—Quattromila duecento e sette è il numero esatto— disse il Reriferendosial libro. — Non ho potuto mandarli tuttisaiperchè due occorrono algiuoco. E neanche ho mandato i due Alfieri. Entrambi sono andati in città. Aproposito guarda sulla stradae dimmi se vedi qualcuno di essi.

—Nessuno— disse Alicedopo aver dato un'occhiata alla strada.

—Mi rallegro con i tuoi occhi— osservò il Re con tono stizzoso. — Poterveder Nessuno. E a tanta distanza poi! Figurati che è già tanto se mi riescedi veder qualcunocon questa luce.

Tuttoquesto non fu sentito da Aliceancora intenta a guardare sulla stradafacendosi schermo agli occhi con la mano.

—Io veggo qualcuno ora— finalmente ella esclamò— ma viene avanti pianpianoe con che strani atteggiamenti! (Perchè l'Alfiere continuava a saltaredi qua e di làecontorcendosi come una anguillaveniva innanzi con le maniaperte come ventagli ai due lati.)

—Niente affatto— disse il Re. — Egli è un Alfiere anglo-sassone... equelli sono atteggiamenti anglo-sassoni. Fa così quando si sente felice. Sichiama Fortunello.

—Io amo il mio amore con un F. — cominciò Alicepensando a certo ritornelloinfantileperchè egli è Felice. Lo odio con un F. perchè è Fellone. Lo cibocon... con... con Fette di sandwiches e Fieno. Si chiama Fortunello e vive...

—E vive a Firenze— osservò il Re semplicementesenza la minima idea diunirsi al giuocomentre Alice esitava nel cercare il nome di una città con unF. — L'altro Alfiere si chiama Hatta. Debbo averne duesaiper venire eandare: uno a veniree uno ad andare.

—Scusatemi... — disse Alice.

—Non hai fatto nulla per chiedermi scusa — disse il Re.

—Volevo dire che non capivo— disse Alice— perchè uno per venire el'altro per andare?

—Non te l'ho detto— ripetè il Reimpazientito— che ne debbo aver duea... ad andare a portare. Uno ad andare e uno a portare.

Inquel momento arrivò l'Alfiere: non gli era rimasto tanto di fiato da poter direuna parola; poteva solo accennare dei grandi gesti con le manie far le piùterribili smorfie al povero Re.

—Questa signorina ti ama con un F. — disse il Representando Alice nellasperanza di stornar da sè l'attenzione dell'Alfiere; ma invano. Gliatteggiamenti anglo-sassoni si facevano sempre più straordinarimentre gliocchi spalancati giravano furiosamente da un lato all altro.

—Tu mi allarmi— disse il Re. — Mi sento debole... dammi una fetta disandwich!

—A ciò l'Alfierecon gran divertimento di Aliceaprì un sacchetto che portavaappeso al colloe diede un sandwich al Reche lo divorò avidamente.

—Un altro sandwich! — disse il Re.

—Non è rimasto che il fienoora— disse l'Alfiereguardando nel sacchetto.

—Fienoallora— mormorò il Re con un sussurro.

Alicefu lieta di vedere che il fieno lo rianimava.

—Non c'è nulla come il fienose uno si sente debole— egli le osservòcontinuando a masticare.

—Forse sarebbe meglio gettarvi dell'acqua fredda addosso— suggerì Alice—...o dei sali volatili.

—Non ho detto che non v'è nulla di meglio— rispose il Re— ho detto nullacome il fieno.

Ilche Alice non s'arrischiò di contestare.

—Chi passava sulla strada? — continuò il Restendendo la mano all'Alfiere peravere altro fieno.

—Nessuno— disse l'Alfiere.

—Per l'appunto— disse il Re— l'ha visto anche questa signorina. AlloraNessuno cammina più piano di te.

—Io faccio del mio meglio— disse l'Alfiere imbronciato— e son sicuro chenessuno cammina più presto di me.

—È impossibile— disse il Re— sarebbe arrivato prima di te. Frattantohai ripigliato fiato e puoi dirci ciò che è accaduto nella città!

—Te lo dirò all'orecchio— disse l'Alfieremettendosi le mani alla bocca aguisa di trombae chinandosi sull'orecchio del Re.

Alicesi dispiacque di quest'attoperchè voleva saper le notizie anche lei. Peròinvece di far un sussurro con le labbral'Alfiere strillò con tutti i suoipolmoni:

—La solita battaglia!

—E questo tu lo chiami dirmelo all'orecchio? — gridò il povero Re facendo unbalzo. — M'è parso d'avere un terremoto in testa.

—Chi è che fa la solita battaglia?

—Il Leone e l'Unicornochi altri può essere? — disse il Re.

—Battagliano per la Corona?

—Certo— disse il Re— e il più bello si è che è sempre per la miacorona. Corriamo a vedere

Es'avviarono al trottomentre Alice si ripeteva le parole della vecchia canzone:

 

Battagliarper la Corona il Leone e l'Unicorno

chefu vinto dal Leone in cittade e intorno intorno

chimangiar fe' I'Unicornochi mangiare fe' il Leone

panebianco e pane brunopan di Spagna con torrone.

 

—Chi vince ottiene la corona? — ella chiesecome potèperchè la corsa letoglieva il fiato.

—Povero meno! — disse il Re. — Che idea?

—Sareste così cortese...— disse Alice ansandodopo aver corso un poco piùoltre— da fermarvi un minuto... per respirare un poco.

—Io sono cortese— disse il Re— ma non son forte abbastanza. Vediunminuto è così tremendamente veloce. Sarebbe lo stesso che voler fermare unlampo.

Nonavendo più fiato per parlareAlice continuò a correre in silenziofinchè sitrovò di fronte a una gran follain mezzo alla quale battagliavano il Leone el'Unicorno. Erano in una nuvola di polvere così densache in principio Alicenon potè distinguerli: ma poi capì dal corno qual'era l'Unicorno. Essa col Resi dispose accanto ad Hattal'altro Alfiereche guardava il combattimento conuna tazza di tè in una mano e un pezzo di pane imburrato nell'altra.

—È uscito ora di prigionee non aveva finito il tè quando ci fu mandato—sussurrò Fortunello ad Alice: — là dentro non si danno che guscid'ostriche... così ha molta fame e molta sete. Come staicaro mio? — eglicontinuòmettendo affettuosamente il braccio intorno al collo di Hatta.

Hattaguardò in giro e fece un cenno con la testa continuando a mangiare il paneimburrato.

—Te la passavi felicemente in prigioneamico caro? — disse Fortunello.

Hattagirò ancora intorno lo sguardoe una lagrima o due gli solleticarono questavolta la guancia; ma non disse una parola.

—Parlanon puoi parlare? — gridò Fortunello impaziente.

MaHatta masticava e beveva tè.

—Parlanon vuoi parlare? — gridò il Re. Come si conducono al combattimento?

Hattafece uno sforzo disperatoe inghiottì un gran pezzo di pane e burro.

—Continuano benissimo— egli disse con voce soffocata: — ciascuno dei due ècaduto circa ottantasette volte.

—Allora si darà loro il pane bianco e il pane bruno?

—Li aspettiamo ora— disse Hatta— adesso me ne sto mangiando un pezzo.

Vifu una pausa nel combattimento in quell'istantee il Leone e l'Unicorno sisedettero ansandomentre il Re gridava:

—Son concessi dieci minuti per i rinfreschi. Fortunello e Hatta si misero subitoal lavoroportando vassoi di pane bianco e bruno. Alice se ne prese un pezzo daassaggiarema era molto secco.

—Non credo ch'essi combatteranno più oggi— disse il Re ad Hatta; — dàl'ordine ai tamburi di cominciare.

EHatta se n'andò saltando come un grillo.

Perun minuto o due Alice se ne rimase in silenzio a guardarlo. A un trattos'illuminò:

—Guardaguarda! — ella gridò puntando un dito. — Ecco la Regina Bianca checorre per la campagna. Essa è venuta a volo dal bosco laggiù. Come possonocorrere presto queste Regine!

—Senza dubbio ha qualche nemico alle calcagna— disse il Resenza neanchelevar lo sguardo. — Questo bosco n'è pieno.

—Ma perchè non correte ad aiutarla? — chiese Alicesbalordita di vederloprender la cosa con tanta tranquillità.

—È inutileè inutile! — disse il Re. — Corre con tanta rapidità. Sarebbecome voler acchiappare un lampo. Ma io piglierò un appunto su di leise tuvuoi... È una creatura così buona! — ripetè pianamente a sè stesso mentreapriva il taccuino. — Creatura la scrivi con due “a”?

Inquel momento arrivava trotterellando l'Unicornocon le mani in tasca.

—L'ho vinto questa volta— egli disse al Redandogli un'occhiata mentre glipassava accanto.

—Un poco... un poco— rispose il Re con qualche nervosità. — Non avrestidovuto trafiggerlo col cornoperò.

—Non gli ho fatto male— disse calmo l'Unicornoe stava per continuare quandos'avvide di Alice. Si voltò immediatamente e stette a guardarla con l'aria delpiù profondo disgusto.

—Che cosa... è... mai? — disse finalmente.

—Una bambina— rispose subito Fortunellomettendosi di fronte ad Alice perpresentarlae stendendo ambo le mani verso di lei in atteggiamentoanglosassone. — L'abbiamo trovata oggi. È grande al vivo e più che naturale.

—Io avevo creduto sempre che fossero dei mostri favolosi— disse l'Unicorno.— È viva?

—Può parlare— disse Fortunello solennemente.

L'Unicornoguardò Alice come in sognoe disse:

—Parlabambina.

Alicenon potè non schiudere le labbra a un sorrisomentre cominciava:

—Non sapeteanch'io avevo sempre creduto che gli Unicorni fossero mostrifavolosi. Non ne avevo visto ancora uno vivo.

—Beneora che ci siamo visti tutti e due— disse l'Unicorno— se tucrederai in meio crederò in te. Accetti il patto?

—Sìse vi piace.

—Adesso fa portare la tortacaro— disse l'Unicorno volgendosi da lei al Re.— Per meniente del tuo pane bruno oggi.

—Certo... certo! — mormorò il Re. e fece cenno a Fortunello. — Apri ilsacco— egli sussurrò. — Prestonon quello... quello è pieno di fieno.

Fortunellotrasse una grossa torta dal saccoe la diede a tenere ad Alicementre egliprendeva un piatto e un coltello. Come fossero tutte queste cose uscite dalsaccoAlice non potè indovinare. Era come un giuoco di prestidigitazioneessapensava.

IlLeone li aveva raggiuntifrattanto: appariva molto stanco e assonnatoe avevagli occhi semichiusi.

—Che è questo? — dissedando una pigra occhiata ad Alicee parlando in untono di basso profondoche pareva il rintocco d'una campana.

—Ahsìche è questo? — gridò pronto l'Unicorno. — Non l'indovinerestimai! lo non ho potuto.

IlLeone guardò Alice annoiato:

—Sei un animale... un vegetale... un minerale? — disse sbadigliando ad ogniparola.

—È un mostro favoloso! — esclamò l'Unicornoprima che Alice potesserispondere.

—Allora servici la tortaMostro; — disse il Leone sedendosi in terra etenendosi il mento fra le zampe. — E sedetevi anche voi (al Re eall'Unicorno): e dividi la torta in parti ugualisai.

Evidentementeil Re non appariva soddisfatto di dover sedere fra le due grandi creature; manon c'era altro posto per lui.

—Che battaglia potremmo darci per la coronaora! — disse l'Unicornoguardandodi sottecchi la corona che il povero Re era sul punto di vedersi cader di testatanto tremava in tutte le. membra.

—Vincerei facilmente— disse il Leone.

—Non lo credo— disse l'Unicorno.

—Sìed io ti batto intorno alla cittàpollo che non sei altro! — risposeirosamente il Leone facendo l'atto di levarsi mentre parlava.

Allorail Re intervenne per far cessare il litigio: aveva i nervi molto scossi e lavoce gli tremava:

Intornoalla città? — egli disse. — C'è molta strada. Andate per il ponte o per lapiazza del mercato? Dal ponte si gode un magnifico panorama.

—Non so— brontolò il Leonenell'atto di riadagiarsi. — V'era tantapolvere che non si vedeva nulla. Quanto ci mette il Mostro a tagliare quellatorta!

Alices'era seduta sull'orlo d'un ruscelletto col gran piatto sulle ginocchia etagliava attentamente col coltello.

—Che seccatura! — ella disserispondendo al Leone (s'era già abituata adesser chiamata “Mostro”)— io taglio le fetteed esse si riappiccicano.

—Tu non sai come si trattano le torte dello Specchio! — osservò l'Unicorno.— Prima devi distribuire le parti e poi tagliarle.

Questopareva assurdoma Alice ubbidientemente si levòportò in giro il piattoela torta si divise in tre pezzimentre la bambina andava dall'uno all altro.

—Ora tagliala— disse il Leonementre ella tornava al suo posto col piattovuoto.

—Dichiaro che non è giusto— gridava l'Unicornomentre Aliceseduta colcoltello in manonon sapeva di dove cominciare. — Il Mostro ha dato al Leoneuna porzione due volte più grossa della mia.

—Non s'è tenuta la porzione suaperòdisse il Leone. — Ti piace la tortaMostro?

Maprima che Alice potesse risponderecominciarono i tamburi.

Ellanon potè comprendere donde venisse il rumore: l'aria ne sembrava pienae ilfracasso la rintronava in modo da assordarla. Ella balzò in piedi e fece unsalto a traverso il ruscelletto per la paura che l'aveva invasaed ebbe appenail tempo di vedere il Leone e l'Unicorno levarsi in piedicon gli sguardi iratiper quell'interruzione della loro colazioneprima di cadere in ginocchio e dimettersi le mani alle orecchieinvano tentando di smorzare quello spaventosofracasso.

“Sequesto stamburio non li caccia fuori della città— ella pensava— nullavi riuscirà.”


 

 

 

VIII

 

“ÈDI MIA SPECIALE INVENZIONE”

 

Dopoun po'parve che il rumore gradatamente cessassefinchè tutto fu silenzioperfettoe Alice levò la testa sgomenta. Non si vedeva nessunoe il suo primopensiero fu di aver sognato il Leone e l'Unicorno e quello strano Alfiereanglosassone. Però ai suoi piedic'era ancora l'enorme piatto sul quale ellas'era ingegnata di tagliare la torta.

—Dunque non ho sognato— si disse— salvo che tutti non facciano partedello stesso sogno. Solo spero che il sogno sia mio — non quello del Re Rosso.Non vorrei appartenere al sogno di un'altra persona— continuò in tonopiuttosto lamentoso. — Ho una gran voglia d'andare a svegliarlo per veder checosa accadrà.

—In quel momento i suoi pensieri furono interrotti da alte grida di “Ohiohiscacco!”e un Cavalierevestito d'una corazza cremisiveniva galoppandoverso di leibrandendo una gran mazza. Non appena la raggiunseil cavalloimmediatamente si fermò.

—Sei mia prigioniera! — gridò il Cavaliereprecipitandosi di sella.

Sorpresacom'eraAlice fu più spaventata per lui che per sè in quell'istantee lovide con ansia rimontare a cavallo. Com'egli si trovò di nuovo a suo agio insellaricominciò:

—Tu sei mia...

Maallora si levò un'altra voce: “Ohiohiscacco!” e Alice guardò intornosorpresa per vedere il nuovo nemico.

Questavolta era un Cavaliere Bianco. Egli si trasse a fianco di Alicee precipitòdal cavallo nell'istessissimo modo del Cavaliere Rosso; poi si rialzò e i dueCavalieri si guardarono l'un l'altro per qualche temposenza parlare.

Glisguardi d'Alice andavan stupiti dall'uno all altro.

—Ella è mia prigionierasai! — disse finalmente il Cavaliere Rosso.

—Sìma io son venuto a riscattarla— rispose il Cavaliere Bianco.

—Allora dobbiamo combattere per leidisse il Cavaliere Rossomentre dava manoall'elmo (che era sospeso alla sella e aveva in qualche modo la forma d'unatesta di cavallo) e se lo metteva in testa.

—Tu osserverainaturalmentele Regole della Battaglia— osservò ilCavaliere Bianco mettendosi anche lui l'elmo.

—Le osservo sempre— disse il Cavaliere Rosso; e cominciarono a picchiarsi contanta furia che Alice si rifugiò dietro un albero per star lontana dai colpi.

“Chisa mai quali siano le Regole della Battaglia— si dicevaassistendo alduello e facendo timidamente capolino dal suo nascondiglio; — una regola parsia questache se uno dei Cavalieri colpisce l'altrolo fa precipitare disellae se fallisce il colpoprecipita egli stesso... e un'altra regola parsia questa: che entrambi usano le mazze ferrate con le bracciacome se fosseroPulcinella e don Anselmo. Che fracasso che fanno quando precipitano! Come unfascio di mollepalette e soffiettiche cada sul focolare! E come se ne stanquieti i cavalli! Li lasciano andare su e giù come se fossero tavole.”

Un'altraregola della battagliadella quale Alice non s'era accortasembrava fossequesta: che essi cadevano sempre a testa in giù. E la battaglia finì con lacaduta d'entrambi a questo modol'uno accanto all'altro: quando si rialzaronosi strinsero la manoe allora il Cavaliere Rosso montò a cavallo e partì algaloppo.

—È stata una vittoria gloriosa— disse il Cavaliere Biancolevandosiansante.

—Non so— disse Alice dubbiosa. — Io non voglio essere prigioniera dinessuno.

—Sarai liberaquando avrai traversato il prossimo ruscello— disse ilCavaliere Bianco. — Io ti condurrò sana e salva fino al limite del bosco... epoi debbo tornare indietrosai. Questo è lo scopo della mia mossa.

—Vi ringrazio tanto— disse Alice. — Posso aiutarvi a togliervi l'elmo? —Evidentementeegli non poteva toglierselo da soloed ella tanto fece chefinalmente glielo trasse.

—Ora si può respirare più facilmente— disse il Cavaliereriportandosiindietro con ambe le mani la chioma setolosae volgendo ad Alice il visoaffabile e i grandi e miti occhi.

Ellapensò di non aver mai visto in vita sua un soldato di apparenza più strana.

Aveval'armatura di zincoche gli si adattava malee un piccolo zaino di stranaforma legato sottosopra sulle spalle e col coperchio aperto penzoloni. Alice loguardò con molta curiosità.

—Veggo che tu ammiri il mio zaino— disse con affabile tono il Cavaliere. —È di mia speciale invenzione... serve per tener gli abiti e la colazione. Comevedilo porto sottosoprain modo che la pioggia non c'entri.

—Ma gli oggetti possono caderne— osservò gentilmente Alice— tenendolocosì aperto.

—Non lo sapevo— disse il Cavalieree un'ombra di amarezza gli passò sulviso. — Allora tutti gli oggetti debbono essere caduti. E lo zaino non miserve più.

Losciolse mentre così parlavae stava per gettarlo nei cespugliquando glivenne una nuova ideae lo sospese con gran diligenza a un albero.

—Puoi indovinare perchè ho fatto così? domandò ad Alice.

Labambina scrollò il capo.

—Con la speranza che delle api possano farsi un nido... e io mi piglierei ilmiele.

—Ma voi avete un alveare... o qualche cosa di simile... legato alla sella—disse Alice.

—Sìè un ottimo alveare— disse in tono di poca soddisfazione il Cavaliere— un alveare della migliore qualità. Ma non c'è entrata ancora nessuna ape.E l'altro oggetto è una trappola di topi. Credo che i topi allontanino leapi... o le api allontanino i topiveramente non so.

—Mi domandavo appunto a che servisse la trappola— disse Alice. — Non èprobabile che un topo s'arrischi a salire sulla groppa di un cavallo.

—Non molto probabilecerto— disse il Cavaliere— ma se venisserononvorrei che andassero scorrazzando da per tutto. Così— continuò dopo unabreve pausa— è bene andar premunito per ogni caso. Ecco perchè il cavalloha intorno alle zampe tanti cerchietti di ferro irti di aculei.

—Ma a che servono? — chiese Alicecon accento di grande curiosità.

—A preservarlo dai morsi delle serpi— rispose il Cavaliere. — Sono di miaspeciale invenzione. E ora aiutami a montare. Verrò con te fino all'estremitàdel bosco. Perchè hai quel piatto?

—M'è servito per la torta— disse Alice.

—Faremo bene a portarcelo— disse il Cavaliere. — Ci serviràse maitroveremo qualche torta. Aiutami a metterlo in questo sacco.

Civolle parecchio temposebbene Alice tenesse con gran diligenza aperto il sacco.Il Cavaliere si mostrò così poco abile a ficcarci il piattoche le prime dueo tre volte che tentò di farlo ci cadde lui dentro.

—È piuttosto difficile— egli dissequando finalmente ne venne a capo—ci sono tanti candelabri dentro.

Elo attaccò alla sellache era già carica di mazzi di carotee soffietti emollee attizzatoi e tanti altri oggetti.

—Spero che tu abbi i capelli ben legati— egli continuòmentre s avviavano.

—Come il solito— disse Alice con un sorriso.

—Difficilmente basterà— egli disse con ansia. — Non vedi quanto è forteil vento qui? È forte... come un peperone.

—Avete inventato un mezzo per impedire al vento di agitare i capelli? — domandòAlice.

—Non ancora— disse il Cavaliere— ma ho già trovato il mezzo per nonfarli cadere.

—E come?

—Si prende prima un bastone— disse il cavaliere— e sulla sua punta simette la chiomacome quella d'un albero. I capelli cadono perchè stannoall'ingiù... ma all insù non cade mai nulla.

Nonera un mezzo efficaceAlice pensavae per pochi minuti camminò in silenzioconfusa da quella ideae fermandosi di tanto in tanto per dare un aiuto alpovero Cavaliereche certamente non era un buon cavalcatore.

Ognivolta che il cavallo si fermava (cosa che avveniva spesso)egli cadeva inavantied ogni volta che quello ripigliava a trottare (cosa che generalmentefaceva con risoluzione piuttosto improvvisa)egli cadeva all'indietro.Altrimenti si manteneva piuttosto benetranne che aveva l'abitudine di caderedi tanto in tanto di lato; e siccome generalmente lo faceva dal lato di Alicequesta tosto penso che fosse meglio non camminare troppo vicino al cavallo.

—Temo che non siate molto esercitato in equitazione— ella s'arrischiò didirementre lo aiutava a rilevarsi da una quinta caduta.

IlCavaliere sembrò molto sorpreso e un po' offeso di quella osservazione.

—Perchè dici così? — egli chiese arrampicandosi di nuovo sulla sella eafferrando con una mano la chioma di Aliceper risparmiarsi un tonfo dall'altrolato.

—Perchè quelli che sono esercitati ad andare a cavallo non cadono con tantafrequenza.

—Io ho un sacco d'esercizio— disse il Cavaliere con gravità— un saccod'esercizio.

Alicenon seppe dir altro che “Davvero?”; e lo disse con la maggiore cordialitàpossibile.

Essicamminarono un po' in silenzio dopo questoil Cavaliere con gli occhi chiusimormorando fra sèe Alice aspettando con qualche ansia il prossimocapitombolo.

—La grande arte dell'equitazione— cominciò improvvisamente il Cavaliere avoce altagestendo col braccio destro mentre parlava— consiste neltenersi...

Improvvisamentecom'era cominciatala frase fu interrotta e il Cavaliere cadde pesantemente nelpunto esatto dove Alice camminava. Ella s'impaurì assai questa voltae domandòcon ansia mentre lo rialzava:

—Spero non vi siate rotto nulla?

—Nulla di grave— disse il Cavalierecome se non volesse dir nulla l'essersirotte due o tre ossa. — La grande arte dell'equitazionecome dicevoconsistenel tenersi nel giusto equilibrio. Così come ora vedi...

Abbandonòla brigliae stese le braccia per mostrare ad Alice ciò che intendevaequesta volta cadde di piatto sulla schienaproprio sotto i piedi del cavallo.

—Un sacco d'esercizio— continuò a ripeterementre Alice lo rimetteva inpiedi. — Un sacco d'esercizio!

—È troppo ridicolo! — gridò Aliceperdendo la pazienza questa volta. —Dovreste avere un cavallo di legno con le ruoteecco che dovreste avere.

—È un animale tranquillo? — chiese il Cavaliere con accento di grandeinteresseabbracciando il collo del cavallo mentr'egli parlavaappena in tempoper salvarsi da un nuovo capitombolo.

—Molto più tranquillo d'un cavallo vivodisse Alicecon uno scroscio di risanonostante si fosse sforzata di non ridere.

—Ne voglio acquistare uno— disse il Cavalierepensoso. — Uno o due...parecchi.

Vifu un breve silenzio e poi il Cavaliere continuò:

—Io ho un gran genio per le invenzioni. Ora certo avrai notato l'ultima volta chem'hai raccolto che io apparivo piuttosto meditabondo.

—Sìeravate un po' grave— disse Alice.

—Beneproprio in quel momento stavo inventando la maniera per salire su uncancello... vuoi sentirla?

—Volentieri— disse cortesemente Alice.

—Ti dirò come mi è venuta in mente— disse il Cavaliere— Vedi' io mi sondetto: “La sola difficoltà è nei piedi: la testa è già abbastanza alta”.Dunqueprima metto la testa sopra il cancello... così la testa è altaabbastanza... allora mi poggio sulla testa... cosìvedii piedi si trovanoabbastanza in alto; — e allora son suvedi.

—Sìcredo che sarete suquando avrete fatto tutto questo— disse Alicepensosa— ma non vi sembra un po' difficile?

—Non lo so ancora— disse gravemente il Cavaliere— e non posso dirlo concertezza... ma temo che sia un po' difficile.

Eparve così amareggiato all'ideache Alice cambiò discorso in fretta.

—Che curioso elmo che avete! — ella disse lietamente' — è anche questa unavostra speciale invenzione?

IlCavaliere guardò orgogliosamente l'elmoche pendeva dalla sella:

—Sì— disse— ma ne ho inventato uno migliore... a pan di zucchero. Quandoio usavo di portarlose cadevo di cavalloesso toccava il suolo sempre prima.Così avevo pochissima via da fare... Ma v'era il pericolo di cadervi dentro...Sicuro. Questo mi accadde una volta... e il peggio si fu che prima che iopotessi uscirne arrivò l'altro Cavaliere Bianco e se lo mise. Egli credette chefosse il suo.

IlCavaliere parlava con tanta solennità che Alice non osò di ridere.

—Temo che gli abbiate fatto male— ella disse con voce tremantestandoglisopra la testa.

—Dovetti dargli dei calci— disse il Cavalierecon molta serietà. — E poisi tolse l'elmo... ma ci vollero ore e ore perchè io uscissi fuori. Ero strettocome... come un buco.

—Ma quella è una strettezza diversa — obiettò Alice.

IlCavaliere scosse la testa:

—Ti giuro che sentivo ogni specie di strettezza— egli disse. Levò le manieccitato mentre pronunziava questoe immediatamente rotolo dalla sellaandandoa cadere lungo disteso in un fosso profondo.

Alicecorse sull'orlo del fosso per dargli una mano. Era sorpresa di quella cadutachèper qualche tempoegli era andato innanzi senza incidentied ella temè chequella volta veramente egli si fosse fatto male. Puresebbene non vedesse dilui che le suole delle scarpesi confortò sentendolo parlare nel solito tono.

—Ogni specie di strettezza— egli ripeteva— ma non fu un bel trattomettersi l'elmo d'un'altra personacon la persona dentro per giunta.

—Come potete continuare a parlare con tanta tranquillità a testa in giù? —chiese Alicementre lo tirava per i piedie lo metteva come un fagotto sullasponda.

IlCavaliere parve sorpreso alla domanda:

—Che importa dove il corpo si trovi? — egli disse. — Il mio cervello continuaa lavorare lo stesso. Anzipiù mi trovo a testa in giù e più continuo ainventare cose nuove. Ora la più bella invenzione da me fatta— egli continuòdopo una pausa— è quella d'un nuovo bodino nel corso del pranzo.

—Da fare in tempo per averlo pronto per la prossima portata? — disse Alice. —Certo una bella invenzione.

—Non per la prossima portatano— disse il Cavaliere lento e pensoso— nonon per la prossima portata.

—Forse allora per il giorno seguenteper non avere due piatti di bodino nellostesso pranzo?

—Nonon per il giorno seguente— ripetè il Cavaliere come prima— nononper il giorno seguente. Veramente— egli continuòchinando la testa eparlando sempre più lento e più piano— credo che quel bodino non sarà maicotto. Veramentecredo che quel bodino non sarà mai cotto. E pure non ci èvoluto poco per inventarlo.

—Di che volevi che si facesse? — chiese Alicesperando di fargli piacereperchè il povero Cavaliere sembrava tanto scoraggiato a causa del bodino.

—Cominciava con la carta asciugante— rispose il Cavaliere con un gemito.

—Temo non sarà appetitoso...

—Non molto appetitoso— egli interruppe pronto— ma tu non puoi immaginarecome sarebbe diverso mischiato con altre cose... per esempiocon polvere dasparo e ceralacca. E ora io debbo lasciarti.

Eranoappunto arrivati all'estremità del bosco.

Aliceappariva tutta confusapensando al bodino.

—Tu sei triste— disse il Cavaliere con ansia— ti canterò una canzone perconfortarti.

—È molto lunga? — chiese Aliceperchè aveva sentito molta poesia quelgiorno.

—Sì lunga— disse il Cavaliere— ma è moltomolto bella. Chiunque lasente cantareo piange o pure...

—O pure che? — disse Aliceperchè il Cavaliere s'era subitamente interrotto.

—O non piange. Il nome della canzone si chiama Occhi d'Agoni.

—Ahquesto è il nome della canzonedisse Alicetentando di sentirsiinteressata.

—Nonon capisci— disse il Cavaliereapparendo un po' amareggiato. — È ilnome come è chiamata. Il nome vero è “L'uomo vecchiovecchio.”

—Alloraio avrei dovuto dire: “E così che è chiamata la canzone?” —Alice si corresse.

—Noche non dovevi. È diverso. La canzone è chiamata “Modi e Mezzi”masaicosì si chiama soltanto.

—Benequal'è la canzone allora? — chiese Alice che era già completamentesconvolta.

—Venivo appunto a questo— disse il Cavaliere. — Il titolo della canzone èveramente: “Seduto su un cancello.”

Cosìdicendofermò il cavallo e gli abbandono le redini sul collo; poipianamentebattendo il tempo con le mani e con un debole sorriso che gli illuminava il visosciocco e gentilecome compiaciuto della musica della sua canzoneegli cominciò.

Ditutte le strane cose viste da Alice nel suo viaggio per la Casa dello Specchioquesta fu l'unica che le rimase in mente impressa più chiaramente. Molti annidopo poteva rappresentarsi tutta la scena come se l'avesse veduta soltanto ilgiorno prima... I miti azzurri occhi del Cavaliere; il sole al tramonto che gliirradiava i capelli e si rifletteva nella corazza con uno splendore che quasil'accecava; il cavallo che s'aggirava tranquillamente intorno con le redini chegli pendevano dal collobrucando l'erba ai suoi piedi; e le ombre nere dellaforesta in fondo... tutto questo ella guardava come un quadromentre con unamano si faceva schermo agli occhiappoggiata a un alberomirando la stranacoppia e ascoltandocome in sognola melanconica musica della canzone.

“Mala musica non è di sua speciale invenzione” — ella si disseperchèricordava d'averla già sentita. L'ascoltò con molta attenzionema non levennero agli occhi le lagrime.

 

Ti dirò.... presta l'orecchio...

ma non c'è nulla di bello...

vidi un uomo vecchio vecchio

star seduto su un cancello

“Chi seivecchio? Come hai nome?

Come vivi?” poi gli faccio;

e attraverso la mia testa la rispostapassa come

l'acqua messa nello staccio.

 

Disse: “Cerco le farfalle

che s'addormon nel frumento

io ne faccio torte gialle

che poi vendo al Parlamento

e alle barche quando insane

in tempesta vorticosa

scioglie il mare l'onde irate e cosìguadagno il pane;

 come vedi un'ardua cosa.”

 

Ma pensavo in quel momento

a un bellissimo progetto;

colorarsi in verde il mento

come un fresco cespuglietto.

Così senza una risposta

al discorso del vecchietto

dissi sol queste parole:

“La tua vita quanto costa?”

e gli caddi sopra il petto.

 

Ei riprese con bel tono:

“Faccio sempre a modo mio:

se nel bosco incontro un tuono

lo precipito nel rio.

Se ne forma una sostanza molto simile alcatrame;

io guadagno cinque soldi;

ed inver non me ne avanza

per calmare la mia fame.”

 

Ma pensavo come fare

per cibarmi di formaggio

e ogni giorno diventare

di maggiore tonnellaggio.

Io lo scossi in tutti i sensi

elasciandol senza fiato:

“Parla”dissi“come vivi;parla”aggiunsi“come pensi?

e che cosa hai progettato?”

 

Ei rispose: “Occhi d'agoni

vo cercando nei giardini;

li trasformano in bottoni

per le giacche dei bambini

ma per oro non li vendo

e neppure per argento

o per qualche nichelino. Un soldin dirame prendo

e con un ne acquisto cento.

 

Spesso cerco zolle erbose

per far ruote ai miei carretti

pesco frutta butirrose

spesso scavo dei panetti

e così (strizzando l'occhio)

io mi faccio un gruzzoletto

che mi serve per benino; fo' il signorevado in cocchio

e a te brindo con rispetto.”

 

Tacqueed io senza far motto

concretato avea un disegno:

preservar col Vino cotto

dalla ruggine ogni legno.

Ringraziai molto il vecchietto

che mi diede assai cortese

le notizie a lui richieste: ma ancor piùper il rispetto

nel suo brindisi palese.

 

Ed io or se alle finestre

le mie dita a un tratto affaccio

od un piede della destra

nel sinistro guanto caccio

e nel pollice del mento

mi si versa un monumento

tosto a piangere mi metto

 

chè ricordo quel vecchietto

dolce e brunomite e schietto

che parlava con affetto

con linguaggio assai corretto

che tenea coperto il petto

d'un bellissimo farsetto

ed intorno al capo stretto

un magnifico berretto

che accostava al naso un netto

ricamato fazzoletto

e sedeacome ho già detto

sul cancello d'un muretto.

 

Mentreil Cavaliere cantava le ultime parole della ballataraccolse le redinie volsela testa del cavallo verso la strada dalla quale erano venuti...

—Tu hai ancora pochi passi da fare— egli disse— giù per la collina eoltre quel ruscelletto e poi sarai Regina... Ma fermati un poco e guardami andarvia prima— aggiunse mentre Alice volgeva subito lo sguardo nella direzioneda lui indicata. — Farò presto. Tu aspetta e agita il fazzoletto quandoarrivo a quell'angolo della strada. Ne sarò incoraggiatosai.

—Andatechè aspetto— disse Alice— e tante grazie per esser venuto finqui... e per la canzone... che mi è piaciuta molto.

—Lo spero— disse il Cavaliere con accento di dubbio— ma non hai piantocome io immaginavo.

Sistrinsero le manie il Cavaliere s avviò lentamente a cavallo per la foresta.

—Non passerà molto che lo vedrò cadere credo— si disse Alicementre loguardava. — Eccoloè caduto con la testa in giùcome al solito. Peròsirialza abbastanza facilmente... Cade perchè ha tanti oggetti appesi alcavallo...

Cosìcontinuò a parlare a sè stessamentre sulla strada guardava il cavallo andareal passo e il cavaliere precipitare prima da un lato e poi dall'altro. Dopo ilquarto o il quinto capitomboloegli raggiunse la voltata; ella agitò ilfazzoletto verso di luiaspettando che fosse fuor di vista.

“Sperodi averlo incoraggiato— ella dissee si voltò correndo giù per lacollina: — e ora per l'ultimo ruscello ad essere Regina. Come suonasolenne!”

Pochipassi la portarono sull'orlo del ruscello.

“L'ottavaCasellafinalmente!” — ella gridòmentre saltava

 

esi gettò a riposare su un prato morbido come il muscocon aiuole che locircondavano qua e là.

“Ohcome son contenta d'essere qui! E che cosa ho sulla testa? — esclamò in tonodi sorpresa dolorosamettendo le mani su un oggetto molto pesanteche leaderiva strettamente alla fronte. — Ma come posso essermelo messo senzasaperlo?” — essa aggiunsetogliendosi l'oggetto e mettendoselo in gremboper veder che cosa fosse.

Erauna corona d'oro.


 

IX

 

ALICEREGINA

 

 

“To'questo è magnifico! — disse Alice— non mi sarei mai aspettato d'essereRegina così presto... e vi dirò che cosa c'èvostra Maestàcontinuò intono severo (ella a volte affettava di sgridare se stessa) — non è bene starea trastullarsi a quel modo sull'erba. Le Regine debbono avere della dignità.”

Silevò e si mise a passeggiare... con una certa rigidezza in principiopertimore che la corona le cascasse; ma si confortò al pensiero che in quelmomento non c'era nessuno che la vedesse:

“Ese io veramente sono Regina— si disse sedendosi di nuovo sull'erba— potròin breve condurmi a dovere.”

Ognicosa accadeva così stranamente che non si sorprese affatto di trovarsi seduteaccanto la Regina Rossa e la Regina Biancadall'uno e l'altro lato: avrebbevoluto domandare come fossero giunte colàma temè che non fosse buonaeducazione.

Perònon vi sarebbe stato alcun malesi dissea domandare se il giuoco fossefinito.

—Per favorevolete dirmi... — cominciòguardando timidamente la ReginaRossa.

—Parla quando ti s'interroga! — la interruppe bruscamente la Regina.

—Ma se tutti ubbidissero a questa regolarispose Aliceche aveva sempre inserbo qualche ragione da dire— e parlassero soltanto se interrogatie glialtri li aspettassero per incominciarenessuno direbbe mai nulla.

—Sciocchezze! — esclamò la Regina. — Non vedibambina... — quis'interruppeaggrottò le cigliae dopo aver pensato un istantecambiò ilsoggetto della conversazione: — Che intendi col dire: “Se sei veramente unaRegina?” Che diritto hai di chiamarti così? Tu non puoi essere Reginasaise non sostieni l'esame regolare. E più presto cominciamomeglio sarà!

—Io dissi soltanto “se”... — si scusò la povera Alice con umile accento.

Ledue Regine si guardaronoe la Regina Rossa osservò con un piccolo brivido:

—Essa dice di aver detto “se...”

—Ma essa disse molto più di questo! — geme la Regina Biancatorcendosi lemani. — Oh quanto di più!

—È verosai— disse la Regina Rossa ad Alice. — Di' sempre la verità...pensa prima di parlare.... e poi mettilo in carta.

—Io certo non intendevo... — cominciò Alicema la Regina Rossa la interruppeimpaziente:

—Ed è proprio questo che deploro! Tu avresti dovuto intendere. A che credi cheserva una bambina che non intende?... Anche uno scherzo deve avere unintendimento... e una bambina è più importante d'uno scherzocredo. Tu nonpotresti negarloanche se ti ci mettessi mani e piedi.

—Io non nego le cose con le mani e coi piedi— obiettò Alice.

—Nessuno ha detto che lo hai fatto— disse la Regina Rossa. — Ho detto chenon potrestise ti ci provassi.

—Essa è in una condizione di mente— disse la Regina Bianca— che habisogno di negar qualche cosa. O non sa che negare.

—Un bruttoodioso carattere— osservò la Regina Rossae poi vi fu unsilenzio imbarazzante per uno o due minuti.

LaRegina Rossa ruppe il silenzio col dire alla Regina Bianca:

—Io t'invito al pranzo d'Alice per questo pomeriggio.

LaRegina Bianca sorrise debolmentee disse:

—E io invito te.

—Io non sapevo affatto di dover dare un pranzo— disse Alice— ma se ve n'èda essere unocredo che dovrei invitare io gli ospiti.

—Noi ti abbiamo dato l'opportunità di farlo— osservò la Regina Rossa—ma io oso dire che tu non hai ancora avuto molte lezioni di buona maniera.

—Le buone maniere non s'insegnano con le lezioni— disse Alice. — Le lezioniinsegnano a fare le quattro operazioni e cose simili.

—Sai fare l'addizione? — chiese la Regina Bianca. — Quanto fa uno e uno e unoe uno e uno e uno e uno e uno e uno e uno?

—Non so— disse Alice— ho perduto il conto.

—Non sa fare l'addizione! — interruppe la Regina Rossa. — Sai fare lasottrazione? Togli nove da otto.

—Nove da ottosapetenon si può— rispose subito Alice— ma...

—Non sa fare la sottrazione— disse la Regina Bianca. — Sai fare ladivisione? Dividi un pane con un coltello... Che hai?

—Io credo... — cominciò Alice.

Mala Regina rispose per lei:

—Pane e burronaturalmente. Prova a fare un'altra sottrazione. Togli un osso daun cane. Che rimane?

Alicepensandovi un po'rispose:

—L'osso non rimarrebbe se io lo prendessi... e il cane non rimarrebbe; mimorderebbe... e certo non rimarrei neanche io.

—Allora credi che non rimarrebbe nulla? — disse la Regina Rossa.

—Credo che la risposta sia questa.

 — Malecome al solito— disse la Regina Rossa—rimarrebbe la bile del cane.

—Ma io non veggo come...

—Ebbeneguarda— gridò la Regina Rossa— il cane avrebbe della bilenonè vero?

—Forse— rispose cauta Alice.

—Allorase il cane se n'andassela bile gli rimarrebbe! — esclamò la Reginacon un accento trionfale.

Alicenon potè fare a meno dal pensare: “Quante sciocchezze stiamo dicendo!”

—Essa non sa fare le quattro operazioni— dissero insieme le due Regine congrande energia.

—E voi sapete le quattro operazioni? — disse Alicevolgendosi improvvisamentealla Regina Biancaperchè non le piaceva di far così brutta figura.

LaRegina chiuse gli occhi anelante:

—Posso fare l'addizione— disse— se mi dai tempo... ma non facciosottrazioni in nessuna circostanza.

—Tu leggi l'abbicìnaturalmente— disse la Regina Rossa.

—Sìche lo leggo.

Anch'io— mormorò la Regina Bianca. — Noi spesso lo diciamo insiemecara? E ti diròun segreto... so leggere le parole di una sola lettera. Che te ne pare? Perònon ti scoraggiare. Col tempo ci arriverai anche tu!

Quicominciò di nuovo la Regina Rossa:

—Hai imparato le nozioni utili? — essa disse. — Come si fa il pane?

—Questo lo so! — disse subito Alice. — Si prende del fior di fa...

Dovecogli il fiore? — chiese la Regina Bianca. — In un giardino o nelle siepi?

—Ma non si coglie affatto. Si fa la pasta...

—Pasta reale o pasta sfoglia? — disse la Regina Bianca. — Quante cosedimentichi!

—Rinfrescale la testa col ventaglio— interruppe ansiosamente la Regina Rossa.— Col pensare tantole verrà la febbre.

Cosìsi misero a farle vento con mazzi di fogliefinchè essa dovè pregare checessasserochè le scompigliavano i capelli.

—Ora si sente bene— disse la Regina Rossa. — Conosci le lingue? Come sidice in francese “Fiddle-de-di?”

—Fiddle-de-dinon è una parola italiana— disse Alice con gravità.

—Chi mai ha detto che era italiano?

EAlice questa volta credè di vedere una via di scampo.

—Se mi direte di che lingua è “Fiddle-de-di” io vi dirò come si dice infrancese! — ella esclamò trionfante.

Mala Regina Rossa assunse un aspetto solennee disse:

—Le Regine non scendono mai a patti!

“Male Regine non dovrebbero mai fare domande”— disse fra sè Alice.

—Non ci far litigare— disse la Regina Bianca con accento d'ansia. — Qual'èla causa del lampo?

—La causa del lampo— disse risolutamente Aliceperchè era quasi certa diquesto— È il tuono... nono! — si corresse in fretta... — volevo direviceversa...

—È troppo tardi per correggersi— disse la Regina Rossa...: — quando haidetto una cosae cosìe ne devi subire le conseguenze.

—Questo mi rammenta... — disse la Regina Biancaabbassando gli occhi eintrecciandosi e sciogliendosi irrequietamente le dita... abbiamo avuto una taletempesta martedì scorso. Voglio dire un martedì della scorsa serie.

Alicesi mostrò confusa.

—Nel nostro paese— notò— c'è solo un giorno alla volta.

LaRegina Rossa soggiunse:

—È un modo veramente miserabile di far le. cose. Qui inveceper la maggiorparteabbiamo giorni e notti a due e tre alla voltae a volte nell'inverno neabbiamo tanti come per cinque notti di fila... per il caldo.

—Cinque notti sono più calde di una notteallora? — s'avventurò a chiedereAlice.

—Cinque volte più caldenaturalmente.

—Ma per la stessa ragione dovrebbero essere cinque volte più fredde...

—Appunto così— gridò la Regina Rossa. Cinque volte più calde e cinquevolte più fredde... appunto come io sono cinque volte più ricca di te e cinquevolte più capace.

Alicesospiròscoraggiata.

—È come un indovinello senza soluzioneessa pensava.

—Lo vide anche Unto Dunto— continuò la Regina Bianca a voce bassaquasicome se parlasse a se stessa. — Venne alla porta con un turacciolo in mano...

—E che voleva? — disse la Regina Rossa.

—Disse che voleva entrare— continuò la Regina Bianca— perchè cercava unippopotamo. Oranon ce n'era in casa quella mattina.

—Ordinariamente ce ne sono? — chiese Alice meravigliata.

—Sìma solo i giovedì— disse la Regina.

—Lo so perchè venne— disse Alice: senza dubbio voleva punire il pesceperchè...

Ericominciò la Regina Bianca:

—Fu una tempesta tale da non potersi immaginare! (“Essa non lo potrebbe”disse la Regina Rossa). Parte del tetto si scoperchiòe vi entrò tanto tuonoe andò rotolando per la stanza e battendo sulle tavole e sui mobili... finchèebbi tanta paura che non mi ricordavo più come mi chiamassi.

Alicediceva fra sè:

“Ionon cercherei mai di ricordarmi il nomenel caso d'una disgrazia. A che migioverebbe?”  Ma non disse questoad alta voce per non offendere la suscettibilità della povera Regina.

—Vostra Maestà deve scusarla— disse la Regina Rossa ad Aliceprendendo unamano della Regina Bianca nella suae gentilmente accarezzandola. — Ingenerale ella pensa benema non può fare a meno dal dire delle sciocchezze.

LaRegina Bianca guardava timidamente Alicela quale comprendeva di dover direqualche cosa di gentilema in verità non sapeva in quell'istante pensare anulla.

—Essa in verità non fu mai bene educata— continuò la Regina Rossa; — maha un'indole meravigliosamente dolce. Dàlle un colpetto in testa e vedrai comene sarà lieta.

MaAlice non aveva tanto coraggio.

—Con un po' di gentilezza... e arricciandole i capelliotterrai un monte da lei.

LaRegina Bianca cacciò un profondo sospiroe mise la testa sulla spalla diAlice.

—Ho tanto sonno— essa gemè.

—È stancapoveretta! — disse la Regina Rossa. — Allisciale i capelli...prestale la tua cuffietta e cantale una dolce ninnananna.

—Non ho la cuffia qui— disse Alicetentando di ubbidire alla primaindicazione: — e non conosco nessuna dolce ninnananna.

—Debbo cantarla io allora— disse la Regina Rossae cominciò:

 

“Su dormi signoranel grembo d'Alice;

schiacciamoun sonnetto; beato e felice;

alballo n'andremofinito il festino

Regineed Alice pianino pianino.”

 

—E ora tu sai le parole— ella aggiunsee s'appoggiò con la testa sull'altraspalla di Alice; — ora cantale per me. Anch'io ho sonno.

Nell'istantedopo entrambe le Regine erano immerse nel sonno e russavano rumorosamente.—Che debbo fare? — esclamò Aliceguardandosi intorno perplessaappena unatesta e poi l'altra le rotolarono dalle spalle e le caddero come due grossepalle in grembo. — Non credo che sia mai accaduto a nessuno di dover badare adue Regine addormentate insieme. Nonella storia di nessuno Stato— e nonsarebbe potuto accaderenaturalmenteperchè non vi è mai più d'una reginaalla volta. Svegliatevisusvegliatevichè pesate! ella continuò con tonoimpaziente; ma non le rispose che un soave russare.

Ilrussare diventava ogni minuto più fortee sembrava sempre più simile aun'arietta; finalmente ella distinse delle parole e si mise ad ascoltare contanta aviditàche quando le due grosse teste svanirono dal suo senoquasi nonse n'accorse.

Sitrovò in piedi innanzi a una porta ad arcosul quale erano le parole “AliceRegina” in grandi letteree all'uno e all'altro lato dell'arco v'era uncordone di campanello: su uno era scritto: “Campanello del visitatore”esull'altro “Campanello dei servi.”

—Aspetterò finchè sia finita la canzonepensava Alice— e poi sonerò il...il... quale campanello debbo sonare? — continuòconfusa dalle indicazioni.— Io non sono una visitatriceio non sono una serva. Ve ne dovrebbe essere unaltrocon l'indicazione “Regina.”

Proprioallora la porta si aperse un pocoe una creatura con un lungo becco mise fuorila testa per un momento e disse:

Èvietato l'ingresso fino alla settimana dopo la prossima— e chiusesbattendola porta.

Alicepicchiò e suonò invano per molto tempo; ma finalmente un vecchio Ranocchioche sedeva sotto un alberosi levò e saltellò lentamente verso di lei.

—Che c'è? — disse il Ranocchio con profonda raucedine.

Alicesi voltò subitodisposta a trovar tutti in colpa:

—Dov'è il servo che ha l'ufficio di rispondere alla porta? — cominciò irata.

—Quale porta? — disse il Ranocchio.

Alicequasi si mise a scalpitare per quel modo strascicato di parlare del Ranocchio.

Questaporta; qual'altra porta?

IlRanocchio guardò per un minuto coi suoi grandi ed ottusi occhi la porta; pois'avvicinò e la sfregò col pollicecome per assicurarsi se se ne fosse andatala vernicepoi guardò Alice.

—Rispondere alla porta? — egli disse. — Che ha chiesto la porta?

Eracosì rauco che Alice poteva appena udirlo.

—Io non so che volete intendere— essa disse.

—Parlo latino forse? — continuò il Ranocchio— o sei sorda? Essa che hachiesto?

—Nulla! — disse Alice impaziente— Io l'ho picchiata.

—Malemale! Questo non si deve farenon si deve fare... borbottò il Ranocchio.— Le dispiacesai. — Poi salì su e diede alla porta un calcio con uno deisuoi grandi piedi. — Se tu la lasci stare— egli balbettò mentre ritornavasalterellando al suo albero— essa ti lascerà stare.

Inquel momento la porta si spalancòe una voce penetrante si sentì cantare:

 

—Nella casa dello Specchio disse Alice: “Io son Regina

emi metto sulla testa la corona ogni mattina:

dellaCasa dello Specchio cittadini ed abitanti

apranzar con la Regina or v'invito tutti quanti.”

 

Ecentinaia di voci si aggiunsero in coro:

 

—Presto i calici colmate e riempite i belliconi

ela tavola di crusca sparpagliate e di bottoni;

entroil tè mettete i gatti ed i topi nel caffè

vivaAlice la Reginaviva trenta volte tre.

 

Poiseguì un confuso strepito di applausie Alice diceva fra sè: “Trenta voltetre fanno novanta. Chi sa se qualcuno fa il conto.”

Dopoun minuto si fece di nuovo silenzioe la stessa voce penetrante cantò un altrastrofa:

 

“DellaCasa dello Specchiocittadini ed abitanti

èun onore per me grande di vedervi tutti quanti:

èun ambito privilegio darvi un pranzo e darvi il tè

conle due belle Regine Bianca e Rossa e poi con me”

 

Esi sentì di nuovo il coro:

 

“Prestoi calici colmate con inchiostro e teriaca

econ ciò che più vi piacedolce a ber che non ubbriaca

Emischiate lana e vino o la sabbia col caffè

edAlice salutatepiù di cento volte tre”

 

—Cento volte tre— esclamò Alice disperata. — Ohquesto non si farà mai.Sarebbe meglio entrare subito.

Entròsubitoe si fece un silenzio mortale nell'istante che ella apparve. Alice diedeuna rapida occhiata alla mensamentre si dirigeva alla gran salae scorse chev'erano una cinquantina di ospiti di tutte le specie: alcuni erano quadrupedialtri uccellied alcuni fiori.

—Son lieta che siano venuti senza aspettare l'invito— ella pensava— senonon avrei saputo chi invitare.

V'eranotre sedie a capotavola; le Regine Bianca e Rossa ne avevano già occupate due;ma quella di mezzo era vuota. Alice vi si sedèpiuttosto impacciata per quelsilenziosperando che qualcuno parlasse.

Finalmentela Regina Rossa cominciò:

—Sei arrivata dopo la minestra e il pesce— disse. — Servitele il cosciottodi montone.

Ei camerieri misero una coscia di montone innanzi ad Aliceche la guardò con uncerto imbarazzoperchè non aveva mai trinciato la carne a tavola.

—Tu sembri intimorita: lascia che ti presenti a questa coscia di montone—disse la Regina Rossa. — Alice... Montone: Montone... Alice.

Lacoscia di montone si levò sul piatto e fece una piccola riverenza ad Alice; eAlice restituì l'inchinonon sapendo se dovesse spaventarsi o divertirsi.

—Posso darvene una fetta? — ella disseprendendo il coltello e la forchetta eguardando ora una Regina ora l'altra.

—Ma no— disse risolutamente la Regina Rossa— non è educazione fare apezzi la persona a cui si e stati presentati. Portate via il cosciotto.

Ei camerieri lo portarono viae tornarono con un gran pasticcio.

—Non mi presentate al pasticcioper favore! — esclamò Alice— oppure nonsi pranzerà più. Posso darvene un poco?

Mala Regina Rossa tutta imbronciatabrontolò:

—Pasticcio... Alice: Alice... Pasticcio. Portate via il pasticcio.

Ei camerieri lo portarono via con tanta rapidità che Alice non potèrestituirgli l'inchino.

Peròessa non capiva perchè la Regina Rossa dovesse esser la sola a dare degliordini; cosìper fare una provagridò:

—Cameriereriporta il pasticcio.

Erieccolo innanzi a lei in un istantecome in giuoco di prestidigitazione.

Eracosì grandeche essa non potè non esserne un po' intimoritacome innanzi almontone; però ella vinsecon un gran sforzola propria timidezzae ne tagliòuna porzione e la offerse alla Regina Rossa.

—Che impertinenza— disse il Pasticcio. — Io vorrei sapere che cosa direstise tagliassi una fetta da temiserabile creatura!

Parlavain una densa e succosa specie di voce; ed Alice non seppe rispondere una parola:rimase a guardarlo a bocca aperta.

—Di' qualche cosa— disse la Regina Rossa— è ridicolo lasciar tutta laconversazione al Pasticcio.

—Non sapeteoggi mi sono stati recitati tanti versi— cominciò Aliceun po'sgomenta come vide chenon appena aveva accennato a parlares'era fatto unsilenzio mortalee tutti gli occhi erano intenti su di lei— ed è stranocredo... che ogni poesia trattasse in qualche maniera di pesci. Chi sa perchèin queste parti piacciano tanto i pesci.

Ellaparlava alla Regina Rossache non rispose molto a proposito:

—Quanto ai pesci— ella dissemolto lenta e solenneavvicinando le labbraall'orecchio di Alice— Sua Maestà Bianca sa un bell'indovinello... tutto inpoesia... tutto intorno ai pesci. Lo deve ripetere?

—Sua Maestà la Regina Rossa è molto gentile per ricordarlo— mormorò laRegina Bianca all'altro orecchio di Alicecon una voce che sembrava quellad'una tortorella. — Sarebbe un tal piacere. Posso?

—Sarà un vero favore— disse con molta cortesia Alice.

LaRegina Bianca sorrise di piacere e carezzò la guancia di Alice. Poi cominciò:

 

“Primail pesce bisogna acchiappare”

(Facilissimoun bimbo può prenderlo)

“Quindiil pesce bisogna comprare....”

conun soldo dovunque si ha.

 

“Orail pesce bisogna lessare....”

facilissimo....l'acqua è già tepida....

“Inun piatto lasciatelo stare?”

Assaifacil... sul piatto già sta.

 

“Datequichè lo voglio mangiare”;

 eccofattoportato è già in tavola;

“mail coperchio bisogna levare”

eil coperchio non giungo a scoprir.

 

Chil'ha fatto col piatto saldare?

Iodispero il coperchio di togliere.

Di'che cosa è più facile fare:

“questopiatto od un senso scoprir?”

 

—Pensaci un minutoe poi rispondi— disse la Regina Rossa. — Frattantonoibeviamo alla tua salute... alla salute della Regina Alice! — essa strillò asquarciagolae tutti i convitati cominciarono subito a berein modostranissimo: alcuni si mettevano i calici in testa come spegnitoie bevevanotutto ciò che scorreva sulle loro facce; altri rovesciavano le bottiglieelambivano il vino quando scorreva dagli orli della mensa; e tre (che avevanol'aspetto di tre canguri) s'arrampicarono sul piatto dell'arrosto di montoneecominciarono a leccare il sugo “come porci in brago”pensò Alice.

—Tu dovresti ringraziare con un bel discorso— disse la Regina Rossaguardando accigliata Alice.

—Noi ti sosterremo— bisbigliò la Regina Biancamentre Alice si levava inpiediobbedientema un po' sgomenta.

—Grazie— ella bisbigliò in risposta— ma non ne ho bisogno.

—Come non ne hai bisogno? — disse con gran risoluzione la Regina Rossa.

Cosìprovò con buona grazia a farsi sostenere.

(— Ed esse mi spinsero tanto! — ella disse dopoquando narrò a sua sorellala storia del banchetto. — Si sarebbe creduto che avessero voluto spremermicome un limone!)

Infattile fu piuttosto difficile stare al suo posto mentre faceva il discorso: le dueRegine la premettero così da un lato e l'altroche quasi la sollevarono inaria.

—Io mi levo a ringraziare... — cominciò Alicee veramente si levòmentreparlavadi parecchi centimetri; ma s'aggrappò all'orlo della tavolae riuscìa star ferma.

—Bada! — strillò la Regina Biancaafferrando Alice per le mani. — Accadràqualche cosa.

Eallora (come narrò dopo Alice) accaddero in un istante una gran quantità dicose. Le candele si allungarono fino al soffittoe parvero canne con fuochid'artificio in punta. Quanto alle bottiglieciascuna si prese un paio dipiattise li adattò come alie con le forchette per gambeandò svolazzandonella sala in tutti i sensie “sembrano tutti uccelli”diceva Alice fra sècosì come potevain quella tremenda confusione.

Inquel momento sentì una voce rauca al suo fiancoe si volse a vedere cheaccadesse alla Regina Bianca; ma invece della Reginasedeva sulla sedia ilcosciotto di montone.

—Sono qui— gridò una voce dalla zuppierae Alice si volsee fu appena intempo a vedere il largo e tranquillo viso della Regina che le sorrise per unmomento sull'orlo della zuppiera e poi sparì nella minestra.

Nonc'era da perdere un momento. Già parecchi degli ospiti giacevano nei piatti eil mestolo camminava sulla tavola verso la sedia di Alicefacendole conimpazienza cenno di levarsi dinanzi.

—Io non posso resistere più a lungo— essa gridòlevandosi e afferrando latovaglia con ambo le mani; una stratta... e piatticonvitati e candelescrosciarono insieme in un fascio sul pavimento.

—Quanto a voi... — essa continuòvolgendosi fieramente alla Regina Rossach'essa considerava come la cagione di tutto il male. Ma la Regina non c'era piùal suo fianco: s'era improvvisamente rimpicciolita fino a sembrare una minuscolabambinae correva allegramente sulla tavola dietro il suo scialleche sitrascinava dietro.

Intempo normaleAlice si sarebbe sorpresa a quella vistama quella volta eratroppo esaltataper sorprendersi di nulla al mondo.

—Quanto a voi— essa ripetèafferrando la piccola creatura che era appuntonell'atto di saltare su una bottiglia posatasi in quel momento sulla tavola—ti darò agli artigli di un gattinoti darò...


 

X

 

SCUOTIMENTO

 

 

Essala prese dalla tavola mentre parlavae la scosse innanzi e indietro con tuttala forza.

LaRegina Rossa non fece alcuna resistenza; solo la faccia le divenne piccolissimae gli occhi grandi e verdi; e ancoramentre Alice continuava a scuoterlacontinuava a diventar più corta... e più grassa... e più morbida.. e piùtonda... e

 


 

 

XI

 

RISVEGLIO

 

 

 

 

...everamente era un miciodopo tutto.

 

 

XII

 

—Vostra Maestà non dovrebbe far le fusa — disse Alicesfregandosi gli occhie volgendosi rispettosamente al gattinopure con qualche severità. — Tum'hai svegliato da... da... da un sogno così bello. — E tu sei stato con meFrufrù... insieme con me nel mondo dello Specchio. Lo sapevicaro?

Èun'abitudine sconveniente dei gattini (Alice aveva osservato una volta) chequalunque cosa loro si dicasi mettono sempre a far le fusa.

—Se essi facessero le fusa per dir “sì”e miagolassero per dir “no”opure seguissero qualche regola— ella aveva detto— si potrebbe conversarecon loro. Ma come si può parlare con una personase ti dice sempre la stessacosa?

Inquell'occasione il micino fece le fusa soltanto; era impossibile indovinare seintendeva “sì” o “no”.

CosìAlice cercò fra i pezzi della scacchiera sul tavolinofinche trovò la ReginaRossa; poi s'inginocchiò sul focolaree mise il micio di fronte alla Regina.

—Ora Frufrù— battendo le mani in trionfo— confessa che sei stato tu atrasformarti così.

(—Ma il micino non volle guardare— essa dissequando dopo spiegò la cosaalla sorella: ha voltata la testafingendo di non vederla; ma sembrava che sene vergognasse un po'. Così credo che fosse lui la Regina Rossa).

—Statti un po'più fermocaro! — esclamò Alice con un sorriso. — E fa uninchinomentre pensi a... fare le fusa. Si guadagna temporicorda.

Eallora lo prese e gli diede un bacino per l'onore di essere stato la ReginaRossa.

—NevinaNevina cara— essa continuò guardando di sulla spalla il miciobiancoche ancora continuava pazientemente a farsi ripulirechi sa quando Dinaavrà finito con vostra Maestà. Questa la ragione perchè tu mi sei apparso cosìnegletto nel sogno... Dina! Lo sai che stai lavando una Regina Bianca?Veramenteti comporti poco rispettosamente... E che era diventata Dina? ellacontinuò a cercarementre si sedeva sul tappetopoggiandovi un gomito e colmento nella manoper osservare i gatti. — DimmiDina. Eri diventata UntoDunto? Credo di sì... però faresti bene a non dirlo ancoraperchè non nesono ancora certa.

“ApropositoFrufrùse tu fossi stato veramente con menel mio sognov'èstata una cosa che ti sarebbe piaciuta... m'è stata recitata tanta poesiatutta sui pesci. Domani te ne farò mangiar tanti. E mentre tu mangeraitiripeterò: “Il tricheco e il legnaiuolo”e tucaropotrai fingere chesiano ostriche!

“OraFrufrùvediamo chi è stato che ha sognato tutto. È una questione seriacaroe tu non dovresti leccarti la zampa a quel modo... come se Dina non tiavesse lavato questa mattina. Vedio sono stato ioo è stato il Re Rosso.Egli era parte del mio sognonaturalmente... ma io ero parte del suo sognoanche. È stato il Re RossoFrufru? Tu rappresentavi la Regina Rossamio caroe tu dovresti saperlo... OhFrufruaiutami a trovare... La tua zampa puòaspettare.

Mal'irrequieto gattino cominciò con l'altra zampa e finse di non aver udito ladomanda.

Chicredete voi che fosse?

 

 

 

FINE