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Honoré de Balzac

 

EUGENIA GRANDET

 

 

 

A Maria Che il Vostro nomeo Voi il cui ritratto è il più bell'ornamento di quest'operasia qui come un ramoscello di bosso benedettocòlto da non si sa quale alberoma certo santificato dalla religione e rinnovellatosempre verdeda mani piea protezione della casa!

De Balzac

 

In alcune città di provincia ci sono case la cui vista ispira una malinconia pari a quella che risvegliano i chiostri più tetrile lande più fosche o le rovine più tristi. Forse in quelle case si trovano insieme e il silenzio del chiostroe l'aridità delle lande e la scheletricità delle rovine. La vita e il movimento vi si svolgono così tranquilliche un forestiero le crederebbe disabitate se a un tratto non incontrasse lo sguardo smorto e freddo d'una persona immobileil cui volto quasi monastico sporge dal davanzale della finestra al rumore d'un passo sconosciuto.

Questi fattori di malinconia esistono nell'aspetto di una casa di Saumur situata in fondo alla ripida via che conduce al castelloper la parte alta della città. La viaoggi poco frequentatacalda d'estatefredda d'invernooscura in qualche puntoè caratteristica per la sonorità del selciato a ciottolisempre pulito e asciuttoper la strettezza e la tortuositàper la pace delle sue case che appartengono alla città vecchiadominata da bastioni. Abitazioni tre volte secolari vi sorgono ancora solidebenché costruite in legnoe i loro vari aspetti concorrono all'originalità che richiama questa parte di Saumur all'attenzione degli antiquari e degli artisti. E' difficile passare davanti a queste case senza ammirare le enormi assii cui estremi intagliati presentano figure bizzarre e coronano con un basso rilievo nero il pianterreno della maggior parte di esse. Quitavole trasversali sono coperte d'ardesia e disegnano linee blu sulle fragili mura d'una casa che termina con un tetto costruito in legno e mattonicurvato dagli annie le cui assi corrose sono state contorte dall'azione alterna della pioggia e del sole. Làappaiono davanzali di finestra consunti e anneritile cui delicate sculture si scorgono appenae che sembrano troppo leggeri per il vaso d'argilla bruna dal quale si slanciano i garofani o il rosaio di una povera operaia. Più lontanoci sono porte ornate da enormi chiodi coi quali la fantasia dei nostri antenati ha tracciato geroglifici domestici il cui significato resterà per sempre oscuro. Talora un protestante vi ha testimoniato la sua fedetalora un fautore della Lega ci ha maledetto Enrico Quarto. Qualche borghese vi ha impresso lo stemma della propria "nobiltà di campane"la dimenticata gloria del proprio scabinato. La storia di Francia è lì tutta intera. A fianco della tremolante casa dalle mura rustichedove l'artigliano ha deificato la sua piallasi eleva il palazzo d'un gentiluomo dovesulla porta in pietra a tutto sestoè ancora visibile qualche traccia del suo stemmainfranto dalle varie rivoluzioni che dal 1789 sconvolsero il paese. In questa strada i locali a pianterreno dei commercianti non sono né negozi né magazzini e gli amatori di cose medievali ci troverebbero la "bottega" dei nostri padri in tutta la loro ingenua semplicità.

Questi vani dal soffitto bassoche non hanno né mostrené insegnané vetrinasono profondioscuri e senza ornamenti esterni o interni. La loro porta è aperta a due battentigrossolanamente ferratidei quali la parte superiore si ripiega dall'interno e l'inferioremunita di un campanello a mollaè in continuo movimento. L'aria e la luce penetrano in questa specie di antro umido o dall'alto della portao attraverso lo spazio compreso tra la voltail solaio e il muretto ad altezza di davanzale in cui s'incastrano solide impostetolte la mattina e rimesse la sera con sbarre di ferro bullonato. Questo muro serve a esporre le mercanzie del negoziante. E non c'è ciarlataneria.

Secondo la natura del commercioi campioni consistono in due o tre mastelli colmi di sale e di stoccafisso in qualche rotolo di tela da velein cordamiottoname appeso ai travicelli del solaioin cerchi appoggiati ai murio in qualche pezza di stoffa su palchetti. Entrate. Una ragazza lindafiorente di giovinezzadal bianco sciallettodalle braccia rosselascia il suo lavoro a magliachiama il padre o la madreche viene e vi vendea vostro piacereflemmaticamentegentilmentearrogantementesecondo il suo caratteresia per due soldisia per ventimila franchi di merce. Vedrete un commerciante di legnameseduto alla portache gira i pollici discorrendo con un vicino; egli non possiedeall'apparenzache tavolacce per sostenere bottiglie o due o tre mucchi di panconcellima al porto il suo magazzino ricolmo fornisce tutti i bottai dell'Angiò; sa all'incircaquante botti egli "può"se il raccolto è buono; un raggio di sole lo arricchisceuna giornata di pioggia lo manda in rovina: in una sola mattina il prezzo dei fusti può salire a undici franchi o scendere a sei lire.

In questo paesecome in Turennale variazioni atmosferiche dominano la vita commerciale. Vignaioliproprietarimercanti di legnamebottaialbergatoribattellierisono tutti alla posta d'un raggio di sole; trepidanocoricandosi la seradi sapere l'indomani mattina che durante la notte ha gelato; temono la pioggiail ventola siccitàe vogliono l'acquail caldole nuvolecome a loro fa più comodo. C'è una lotta perpetua tra il cielo e gli interessi della terra. Il barometro rattristarasserenarallegraa seconda dei casile fisionomie. Da un capo all'altro di questa vial'antico Corso di Saumurle parole:

"Ecco un tempo d'oro!" si tramutano in cifre di porta in porta.

Cosìognuno risponde al vicino: "Piovono Luigi!"sapendo quanti di questi un raggio di soleuna pioggia opportuna gliene fa guadagnare. Il sabatoverso mezzogiornonella buona stagionenon riuscirete a comprare per un soldo di merce da questi bravi industriali. Ognuno ha la sua vignail suo piccolo poderee va a passare due giorni in campagna. Làessendo tutto previstola comperala venditail guadagnoi commercianti hanno dieci ore su dodici da impiegare in allegre missioniosservazionicommentie in continue indiscrezioni. Una massaia non compra una pernice senza che i vicini non chiedano poi al marito se era stata cotta a punto. Una ragazza non può affacciarsi alla finestra senza essere vista da tutti i crocchi di sfaccendati. Làdunquele coscienzenon hanno segreticome non hanno misteri quelle impenetrabili case nere e silenziose. La vita si svolge quasi sempre all'aperto: ogni famiglia siede alla porta della propria casaci fa colazioneci pranza e ci bisticcia. Per la via non passa una persona che non venga studiata. Del restoanche in passatoquando un forestiero arrivava in una città di provinciaera messo in ridicolo di porta in porta. Da lì le varie storielleda lì il nomignolo di "copiosi" dato agli abitanti di Angers che eccellevano in queste burle urbane. Gli antichi palazzi della vecchia città sono situati in cima a questa viaun tempo abitata da maggiorenti del luogo. La casapiena di malinconiain cui si sono svolti gli avvenimenti di questa storiaera precisamente una di tali abitazioniresti venerabili di un secolo nel quale le case e gli uomini avevano quel carattere di semplicità che i costumi francesi vanno perdendo di giorno in giorno. Dopo aver seguito le svolte di questa pittoresca viai cui minimi particolari risvegliano memorie e l'impressione generale tende a immergervi in una specie di fantasticheria macchinalescorgete una rientranza alquanto cupaal centro della quale è nascosta la porta della casa del signor Grandet. E' impossibile comprendere il valore di questa espressione provincialese non si traccia la biografia del signor Grandet.

Il signor Grandet godeva a Saumur di una reputazione le cui cause e i cui effetti non saranno interamente compresi da quelli che non hannoné punto né pocovissuto in provincia. Il signor Grandetchiamato ancora da alcuni: papà Grandet - ma il numero di questi vecchi diminuiva sensibilmente - era nel 1789 un mastro bottaio molto agiatoche sapeva leggerescrivere e far di conto. Quando la repubblica francese mise in venditanel circondario di Saumuri beni del cleroil bottaioallora quarantenneaveva da poco sposato la figlia di un ricco mercante di legnami. Grandet si recòmunito del suo patrimonio liquido e della dote della mogliemunito di duemila luigi d'oroal distretto dovemediante duecento doppi luigi offerti dal suocero all'integerrimo repubblicano che sovraintendeva alla vendita dei beni nazionaliebbe per un boccone di panelegalmentese non legittimamentei più bei vigneti del Circondariouna vecchia abbazia e qualche fattoria. Gli abitanti di Saumur erano poco rivoluzionarie papà Grandet passò per un uomo arditoun repubblicanoun patriotaper uno spirito aperto alle nuove ideementre il bottaioda parte suanon si occupava invece che delle sue vigne. Fu nominato membro dell'Amministrazione del distretto di Saumure il suo influsso pacifico si fece sentire politicamentee commercialmente. Politicamenteprotesse i nobili e impedì con tutte le sue forze la vendita dei beni degli emigrati; commercialmentefornì alle armate repubblicane uno o due migliaia di fusti di vino biancoe si fece pagare con superbe praterie appartenenti a una Comunità religiosa femminileriservate come ultimo lotto. Sotto il Consolatoil brav'uomo Grandet diventò sindacoamministrò saggiamentevendemmiò meglio ancora; sotto l'Imperoegli fu il signor Grandet. Napoleone non vedeva di buon occhio i repubblicani: fece sostituire il signor Grandetche passava per uno di quelli che avevano calzato il berretto rossocon un grande proprietarioun uomo con quarti di nobiltàun futuro barone dell'Impero. Il signor Grandet lasciò gli onori municipali senza alcun rimpianto. Aveva fatto farenell'interesse della cittàeccellenti strade che conducevano alle sue proprietà.

Per la casa e per i suoi beniregistrati in catasto con molta avvedutezzapagava imposte moderate. Dopo la classificazione dei suoi diversi poderile vignegrazie a costanti cureerano diventate la "testa del paese"espressione tecnica in uso per indicare i vigneti che producono la miglior qualità di vini.

Avrebbe potuto chiedere la croce della Legion d'onore. E l'evento ebbe luogo nel 1806. Il signor Grandet aveva allora cinquantasette anni e sua moglie trentasei circa. La loro figlia unicafrutto dei loro legittimi amoriaveva dieci anni. Il signor Grandetche la Provvidenza volle senza dubbio consolare dell'infortunio amministrativoereditò successivamente in quell'anno dalla signora de la Gaudinièrenata de La Bertellièremadre della signora Grandet; poidal vecchio signor La Bertellièrepadre della defunta; e ancoradalla signora Gentilletsua ava materna:

tre successionila cui importanza nessuno conobbe. L'avarizia di quei tre vecchi era così appassionatache da parecchio tempo essi accumulavano denaro per poterlo contemplare in segreto. Il vecchio signor La Bertellière definiva una prodigalità l'impiego di essotrovando più alti interessi alla vista dell'oro che non nei benefici dell'usura. La città di Saumur stimò dunque il valore delle ricchezze dei tre vecchi dalle rendite dei loro beni al sole. Il signor Grandet ottenne allora il nuovo titolo di nobiltà che la nostra mania d'eguaglianza non abolirà mai: divenne il maggior contribuente del circondario. Coltivava cento jugeri di vigna chenelle annate abbondantigli rendevano da sette a ottocento botti di vino. Possedeva tredici fattorieuna vecchia abbazia doveper economiaaveva fatto murare finestreogivevetratee così riuscì a conservarle; e centoventisette jugeri di prato in cui crescevano e prosperavano tremila pioppi piantati nel 1793. Infinela casa in cui abitava era di sua proprietà.

In ciò si reputava consistere la sua fortuna visibile. Quanto ai capitalidue sole persone potevano vagamente presumerne l'importanza: una era il signor Cruchotnotaioincaricato di trattare gli investimenti usurai del signor Grandet; l'altra era il signor de Grassinsil più ricco banchiere di Saumuragli affari del quale il vignaiolocon profitto e in segretopartecipava. Benché il vecchio Cruchot e il signor de Grassins possedessero quella profonda discrezione che genera in provincia la confidenza e la fortunaessi tributavano pubblicamente al signor Grandet un così gran rispettoche gli osservatori potevano misurare l'importanza dei capitali dell'antico sindaco in base alle deferenti considerazioni di cui era oggetto. Non c'era nessuno in Saumurche non fosse persuaso che il signor Grandet possedesse un tesoro privatoun nascondiglio pieno di luigie che nottetempo si concedesse l'ineffabile godimento che procura la vista di una grande massa d'oro. Gli avari ne avevano una specie di certezza osservando gli occhi del brav'uomoai quali il metallo giallo sembrava aver conferito il proprio colore. Lo sguardo di un uomo abituato a trarre dai propri capitali un altissimo interesse assume necessariamentecome quello del lussuriosodel giocatore o del cortigianocerte abitudini indefinibilialcuni movimenti furtiviavidimisteriosiche non sfuggono ai suoi correligionari. Un tale linguaggio segreto formain certo qual modola frammassoneria delle passioni. Il signor Grandet ispirava dunque la stima rispettosa cui aveva diritto un uomo che non doveva mai niente a nessuno; chevecchio bottaio e vecchio vignaioloindovinava con la precisione di un astronomo quando occorreva fabbricare per il suo raccolto mille fusti e quando solo cinquecento; che non si lasciava mai sfuggire un buon affareaveva sempre botti da vendere quando la botte valeva più del prodotto da contenerepoteva custodire il raccolto della vendemmia nelle sue cantinee aspettare il momento di vendere uno dei suoi fusti di vino a duecento franchi quando i piccoli proprietari cedevano uno dei loro a cinque luigi. Il suo famoso raccolto del 1811saggiamente conservatolentamente vendutogli aveva fruttato più di duecentoquarantamila lire. Finanziariamente parlando il signor Grandet aveva della tigre e del boa: sapeva acquattarsirannicchiarsiadocchiare a lungo la predasaltarle addosso: poiapriva le fauci della sua borsavi inghiottiva un mucchio di scudie poi si coricava tranquillamente come il serpente che digerisce: impassibilefreddometodico.

Nessuno lo vedeva passare senza provare un sentimento di ammirazionemisto di rispetto e di terrore. Chiin Saumurnon aveva provato lo strazio garbato dei suoi artigli d'acciaio? A questipadron Cruchot aveva procurato il denaro necessario per l'acquisto di una tenutama all'undici per cento; a quelloil signor de Grassins aveva scontato alcune trattema con un pauroso carico d'interessi. Erano pochi i giorni in cui il nome del signor Grandet non fosse pronunciatosia al mercatosia nelle serali conversazioni in città. Per certunila fortuna del vecchio vignaiolo era l'oggetto d'un patriottico orgoglio. Cosìpiù di un negoziantepiù di un albergatore diceva al forestierocon una certa soddisfazione: "Signorenoi abbiamo qui due o tre famiglie milionarie; maquanto al signor Grandetlui stesso non sa a quanto ammonti la sua fortuna!". Nel 1816 i più abili calcolatori di Saumur stimavano i beni immobili del brav'uomo circa quaranta milioni; mapoichécome cifra mediaegli aveva dovuto ritrarre ogni annodal 1793 al 1817centomila franchi dalle sue proprietàera presumibile che possedesse liquida una somma press'a poco uguale a quella del valore degli immobili. Cosìquandodopo una partita a "boston" o dopo qualche discorso sulle vignesi veniva a parlare del signor Grandetgli intenditori dicevano: "Papà Grandet?.. ma papà Grandet deve avere da cinque a sei milioni". "Siete più abile di meio non ho mai potuto sapere l'intero ammontare del suo capitale" rispondevano il signor Cruchot o il signor de Grassinsse ascoltavano la conversazione.

Se qualche parigino parlava dei Rothschild o del signor Lafittequelli di Saumur chiedevano se costoro fossero ricchi quanto il signor Grandet. Se il parigino buttava lìsorridendouna sdegnosa affermazionesi guardavano tra loro scuotendo la testa con un'aria incredula. Una così grande ricchezza copriva d'un manto d'oro tutte le azioni di quest'uomo. Se in principio qualche particolare della sua vita aveva dato luogo al ridicolo e allo schernolo scherno e il ridicolo si erano poi logorati. In ogni minimo suo attoil signor Grandet aveva dalla parte sua l'autorità della cosa giudicata. La sua parolail suo abitoi suoi gestila strizzata dei suoi occhifacevano legge nel paese dove ognunodopo averlo studiato come un naturalista studia gli effetti dell'istinto negli animaliaveva potuto riconoscere la profonda e muta saggezza dei suoi più trascurabili atti.

"L'inverno sarà duro" si dicevapapà Grandet ha messo i guanti foderati: bisogna vendemmiare. "Papà Grandet prende molto legnamequest'anno avremo molto vino ". Il signor Grandet non comprava mai né carne né pane. I suoi fittavoli gli portavano ogni settimana una provvista sufficiente di capponipolliuovaburro e grano: le corrisposte della mezzadria. Possedeva un mulinoil cui locatario dovevaoltre che pagargli l'affittoritirare da lui una certa quantità di grano e riportaglielo in crusca e farina. La grande Nanonsua unica domesticaanche se non più giovanefaceva ogni sabato il pane per la casa. Il signor Grandet aveva pattuito che gli ortolanisuoi affittuarigli fornissero i legumi. Quanto alla fruttane raccoglieva tante da farne vendere una grande quantità al mercato. La legna da ardere era tagliata dalle sue siepio presa dalle vecchie staccionate mezzo marcite che innalzava al confine dei suoi campi; e i fittavoli gliela trasportavano in cittàgià bella e segatagliela disponevano a titolo di favore nella legnaia e ne ricevevano i suoi ringraziamenti. Le sole sue spese conosciute erano quelle per il pane benedettoi vestiti della moglie e della figliail noleggio delle loro sedie in chiesala luceil salario della grande Nanonla stagnatura delle casseruoleil saldo delle impostela manutenzione degli stabili einfinele spese per le coltivazioni. Aveva seicento jugeri di boscoacquistati da pocoche faceva sorvegliare dal guardiano di un confinanteal quale aveva promesso un compenso. Soltanto dopo quell'acquisto aveva cominciato a mangiare cacciagione. I modi di quest'uomo erano molto semplici. Parlava poco. Generalmenteesprimeva le sue idee con piccole frasi sentenziosepronunciate con voce dolce. Dopo la Rivoluzioneepoca nella quale attirò l'attenzioneil brav'uomo balbettava in maniera penosa non appena doveva parlare a lungo o sostenere una discussione. Questo balbettiol'incoerenza del discorsoil profluvio di parole in cui faceva annegare il suo pensierol'apparente mancanza di logicaattribuiti a un difetto di educazioneerano simulatie saranno sufficientemente spiegati da qualche evento di questa storia. Del restoquattro frasiesatte come formule algebrichegli bastavano abitualmente per contenereper risolvere tutte le difficoltà della vita e del commercio: "Non so. Non posso. Non voglio. Vedremo". Non diceva mai né sì né noe non metteva mai penna in carta. Quando gli si rivolgeva la parolaascoltava freddamentesi prendeva il mento nella mano destraappoggiando il gomito destro sul dorso della mano sinistrae si formava in ogni affare delle opinioni da cui non recedeva mai.

Meditava a lungo sui più modesti affari. Sedopo un'abile conversazioneil suo avversario gli aveva svelato il segreto delle proprie pretese ritenendo di aver vinto la partitaegli rispondeva: "Non posso decidere se non ho prima sentito il parere di mia moglie". Sua moglieda lui ridotta a un ilotismo completoera negli affari il suo paravento più comodo. Egli non andava mai da nessunonon voleva né riceverené invitare a pranzo; non faceva mai rumoree sembrava economizzare tuttoanche i movimenti. Non toccava mai nulla in casa d'altriper un costante rispetto della proprietà. Tuttaviamalgrado la dolcezza della voce e il modo circospettoil linguaggio e le abitudini del bottaio trasparivano soprattutto in casa suadove si controllava meno che altrove. Quanto al fisicoGrandet era alto cinque pieditarchiatoquadratocon dei polpacci di dodici pollici di circonferenzarotule nodose e larghe spalle; il suo viso era rotondoabbronzatosegnato dal vaiolo; il mento dirittole labbra senza sinuositài denti bianchi; i suoi occhi avevano l'espressione calma e divoratrice che il popolo attribuisce al basilisco; la frontesolcata da rughe trasversalipresentava protuberanze significative; i suoi capelligiallastri e brizzolatierano "d'argento e d'oro"come dicevano alcuni giovanotti che ignoravano il rischio di scherzare sul conto del signor Grandet. Il nasogrosso in puntasosteneva una verruca venatache il volgonon senza ragionediceva essere piena di malizia. Tale aspetto denunciava un'astuzia pericolosauna probità senza convinzionel'egoismo di un uomo abituato a concentrare i propri sentimenti nel piacere dell'avarizia e sul solo essere che rappresentava realmente qualcosa per lui: sua figlia Eugeniala sola sua erede. Atteggiamentimodiandaturatutto in luiper altroattestava quella sicurezza di sé che proviene dall'abitudine d'essere sempre riusciti nelle proprie imprese. Cosìanche se all'apparenza di maniere facili e arrendevoliil signor Grandet aveva un carattere di bronzo.

Sempre vestito allo stesso modochi lo vedeva oggi lo vedeva tale e quale egli era dal 1791. Le sue robuste scarpe erano annodate da lacci di cuoio; portava a ogni stagione calze di lanapantaloni corti di grosso panno marrone con fibbie d'argentoun panciotto di velluto a righe alternate di color giallo e marroneabbottonatissimoun soprabito marrone a larghe faldeuna cravatta nera e un cappello da quacquero. I suoi guantisolidi come quelli dei gendarmigli duravano venti mesi eper conservarli pulitili posava sul bordo del cappellosempre allo stesso postocon un gesto metodico. Saumur non sapeva nulla di più su tale personaggio. Sei abitanti solamente avevano il diritto d'entrare in casa sua. Il più importante dei primi tre era il nipote del signor Cruchot. Dopo la sua nomina a presidente del tribunale di prima istanza di Saumuril giovanotto aveva aggiunto al suo nome di Cruchot quello di Bonfonse si sforzava a far prevalere Bonfons su Cruchot. Firmava già: C. di Bonfons. La parte in causa piuttosto malaccorta nel chiamarlo "Signor Cruchot" s'accorgeva ben prestoin udienzadella sciocchezza commessa. Il magistrato proteggeva quelli che lo chiamavano " signor presidente"ma favoriva coi suoi più graziosi sorrisi gli adulatori che gli dicevano " signor di Bonfons". Il presidente aveva trentatré annipossedeva la tenuta di Bonfons ("Boni Fontis")che valeva settemila lire di rendita; attendeva l'eredità dello zio notaio e quella dello zio abate Cruchotdignitario del Capitolo di San Martino di Toursambedue ritenuti abbastanza ricchi. Questi tre Cruchot sostenuti da un buon numero di cuginiimparentati con venti famiglie della cittàformavano un partitocome un tempo a Firenze i Medici; ecome i Medicii Cruchot avevano i loro Pazzi. La signora de Grassinsmadre d'un figlio di ventitré anniandava molto assiduamente a far la partita con la signora Grandetsperando di far sposare al suo caro Adolfo la signorina Eugenia. Il signor de Grassinsil banchierefavoriva vigorosamente le manovre di sua moglie con costanti servizi resi in segreto al vecchio avaroe arrivava sempre in tempo sul campo di battaglia. Questi tre de Grassins avevano del pari i loro adeptii loro cuginii loro alleati fedeli. Dalla parte dei Cruchotl'abateil Talleyrand della famigliaben appoggiato dal fratello notaiocontendeva vivamente il terreno alla moglie del finanzieree cercava di riservare la pingue eredità al nipote presidente. Tale conflitto segreto tra i Cruchot e i de Grassinsla cui posta era la mano di Eugenia Grandetinteressava appassionatamente i diversi ambienti di Saumur. "La signorina Grandet sposerà il Presidente o il signor Adolfo de Grassins?". A tanto problema gli uni rispondevano che il signor Grandet non avrebbe dato sua figlia né all'uno né all'altro. Il vecchio bottaio roso dall'ambizionecercava - dicevano - come genero qualche pari di Franciaal quale trecentomila lire di rendita avrebbero fatto accettare tutte le botti passatepresenti e future dei Grandet. Gli altri replicavano che il signore e la signora de Grassins erano nobiliricchissimiche Adolfo era un gentile cavalieree chea meno di aver disponibile un nipote del papaun partito così conveniente doveva soddisfare gente venuta su dal nullaun uomo che tutta Saumur aveva visto con l'ascia in mano e cheper di piùaveva calzato il berretto rosso. I più sensati facevano osservare che il signor Cruchot di Bonfons aveva ingresso libero a tutte le ore in casa Grandetmentre il suo rivale vi era ricevuto soltanto la domenica. Questi sostenevano che la signora de Grassinspiù intima con le donne di casa Grandet che non le Cruchotpoteva inculcare loro certe idee che l'avrebbero fatta riuscireprima o poinel suo intento. Quelli replicavano che l'abate Cruchot era l'uomo più insinuante del mondoe chedonna contro fratela partita era eguale. "Sono gomito a gomito" diceva un bello spirito di Saumur. Più edottigli anziani del paese affermavano cheessendo i Grandet troppo prudenti per lasciar uscire i loro beni dalla famigliala signorina Eugenia Grandetdi Saumuravrebbe sposato il figlio del signor Grandetdi Parigiricco mercante di vini all'ingrosso. A ciò i crusciottiani e i grassinisti rispondevano: "Prima di tuttoi due fratelli non si sono visti due volte da trent'anni a questa parte. E poiil signor Grandetdi Parigiha grandi pretese per suo figlio: è sindaco di un circondariodeputatocolonnello della guardia nazionalegiudice del tribunale di commercio; rinnega i Grandet di Saumur e ambisce di imparentarsi con qualche famiglia che abbia ricevuto il titolo ducale per concessione di Napoleone". E che cos'altro mai non si diceva d'una ereditiera della quale si parlava a venti leghe di distanzae perfino nelle diligenzecomprese quelle da Angers a Blois? All'inizio del 1818 i crusciottiani conseguirono un notevole successo sui grassinisti. La proprietà di Froidfondnotevole per il suo parcoil suo meraviglioso castellole sue fattorieper i canaligli stagnii boschie che valeva tre milionifu messa in vendita dal giovane marchese di Froidfondcostretto a realizzare le sue sostanze. Il notaio Cruchotil presidente Cruchotl'abate Cruchotaiutati dai loro adeptiseppero impedire la vendita a piccoli lotti. Il notaio fece col giovanotto un affare d'oropersuadendolo che sarebbero sorte infinite questioni giudiziarie con gli aggiudicatari prima di incassare da loro il prezzo dei singoli lotti; meglio vendere a Grandetpersona solvibilein grado di acquistare la proprietà in contante. Il bel marchesato di Froidfond venne così convogliato verso l'esofago del signor Grandet checon grande meraviglia di Saumurlo pagòsotto scontodopo le formalità d'uso. L'affare ebbe un'eco fino a Nantes e a Orléans. Il signor Grandet si recò a vedere il suo castelloapprofittando di un carretto che vi faceva ritorno. Dopo aver gettato sulla proprietà lo sguardo del padronetornò a Saumursicuro di aver impiegato il capitale al cinque per cento e tutto preso dalla magnifica idea di arrotondare il marchesato di Froidfond riunendovi tutti i suoi beni. Poiper riempire di nuovo il suo scrignoquasi vuotatodecise di tagliare tutti i boschile forestee di sfruttare i pioppi delle praterie.

E' ora agevole capire tutto il valore di questa frase: "la casa del signor Grandet"una casa di colore smortofreddasilenziosasituata nella parte alta della cittàe protetta dai ruderi dei bastioni. I due pilastri e la voltache formavano il vano del portoneerano stati costruiticome la casain tufopietra bianca caratteristica nella valle della Loirae così tenerache la sua durata media è di appena duecento anni. I buchi ineguali e numerosi che le intemperie del clima vi avevano bizzarramente formato davano alla cantina e agli stipiti del vano l'apparenza delle pietre vermicolose proprie della architettura francesee qualche somiglianza con l'ingresso d'una prigione. Al di sopra della cantina dominava un lungo bassorilievo in pietra durascolpitache rappresentava le quattro Stagionidalle figure già logore e annerite. Il bassorilievo era sormontato da un plinto sporgente dal quale sorgevano quelle vegetazioni che sono dovute al caso: parietarie giallevilucchiconvolvolipiantagginee un piccolo ciliegio già alquanto alto. La porta di quercia massicciabrunastagionatafenduta da ogni partedebole in apparenzaera solidamente tenuta su dal sistema dei suoi bulloniche formavano disegni simmetrici. Uno spioncino quadratopiccoloma a sbarre fitte e rosse di ruggineoccupava il centro del portoncino e servivaper così diredi pretesto a un picchiotto che vi era attaccato con un anelloe che batteva sulla testa grinzosa di un chiodo più grosso. Il picchiottodi forma oblunga e del genere di quelli che i nostri antenati chiamavano "jaquemart"faceva pensare a un gran punto esclamativo; esaminandolo con attenzioneun antiquario ci avrebbe potuto trovare qualche traccia della figura essenzialmente comica da esso un tempo rappresentatae che un lungo uso aveva distrutto. Dalla piccola gratadestinata a riconoscere gli amici al tempo delle guerre civilii curiosi potevano scorgerein fondo a una volta oscura e verdastraalcuni gradini logori per i quali si saliva a un giardinodelimitato pittorescamente da mura grosseumiderigate da stillicidi e ricoperte da ciuffi di piante gracili. Queste mura erano quelle del bastionesul quale sorgevano i giardini di alcune case vicine. Al pianterreno della casala stanza principale era una "sala"il cui ingresso era situato sotto la volta del portone. Pochi conoscono l'importanza d'una sala nelle cittadine dell'Angiòdella Turenna e del Berry.

La sala è a un tempo anticamerasalottostudiosalottino e stanza da pranzoè il teatro della vita domesticail focolare comune; lì il barbiere del quartiere tagliava due volte all'anno i capelli del signor Grandet; lì entravano i fittavoliil curatoil sottoprefettoil garzone del mugnaio. La salale cui due finestre davano sulla stradaaveva il pavimento di legno; di legno erano pure i pannelli grigidalle antiche modanatureche la rivestivano dall'alto in basso; il soffitto si componeva di finti travidipinti egualmente in grigiomentre gli intervalli erano verniciati d'un bianco ingiallito. Una vecchia pendola di rame arabescato con incrostazioni di tartaruga ornava la cappa del caminetto di pietra biancascolpita malesulla quale c'era uno specchio verdastro i cui borditagliati di sbieco per mostrarne lo spessoreriflettevano una striscia di luce lungo un pannello gotico d'acciaio damaschinato.

I due candelabri di rame dorato che decoravano i due lati del caminetto erano a doppio uso: togliendo le rose che servivano da scodellinoe il cui ramo principale era infisso in un piedistallo di marmo bluastro ornato di vecchio rameil piedistallo diventava un candeliere per uso di tutti i giorni. Le seggioledi forma anticaerano ricoperte di una stoffa che raffigurava le favole di La Fontainema bisognava saperlo per riconoscerne i soggettitanto poco visibili erano i colori sbiaditi e le figure crivellate di rammendi. Ai quattro angoli della sala c'erano quattro cantonieresorta di credenze terminanti in sudici scaffali. Un vecchio tavolo da gioco intarsiatoil cui piano serviva da scacchierasi trovava nello spazio tra le due finestre. Sopra il tavolo stava un barometro ovalelistato in neroornato di strisce di legno doratodove le mosche avevano tanto licenziosamente folleggiatoda rendere non poco problematica la doratura. Sulla parete opposta al caminettodue ritratti a pastello avevano il compito di raffigurare l'avo della signora Grandetil vecchio signor La Bertellièrein uniforme da luogotenente delle guardie francesie la defunta signora Gentilletin costume di pastorella. Alle due finestre erano drappeggiate tende di seta rossa di Tourssostenute da cordoni di seta con nappe da chiesa. Tale lussuoso arredamentocosì poco in armonia con le abitudini di Grandetera stato compreso nel prezzo d'acquisto della casainsieme alla specchieraalla pendolaalla mobilia ricoperta di stoffa e alle cantoniere in legno di rosa.

Vicino alla finestra più vicina alla porta si trovava una sedia di pagliale cui gambe erano state messe su degli zoccoliper porre la signora Grandet a un'altezza che le consentisse di vedere i passanti. Un mobile da lavoro in legno di ciliegio stinto riempiva il vanoe la poltroncina di Eugenia Grandet gli stava accanto. Da quindici annitutte le giornate della madre e della figlia trascorrevano lìtranquillamentein quell'angoloin un lavoro continuoa partire dal mese di aprilefino al mese di novembre.

Il primo di questo mesepotevano trasferire il loro quartiere d'inverno presso il caminetto. Solo da quel giornoinfattiGrandet permetteva di accendere il fuoco in salache faceva spegnere il 31 marzosenza tener conto né dei primi freddi primaveriliné di quelli autunnali. Uno scaldinoalimentato con la brace ricavata dal fuoco della cucinache Nanon riusciva a raccapezzare per lorocon gli accorgimenti del casoaiutava la signora e la signorina Grandet a trascorrere le mattine e le sere più fredde dei mesi d'aprile e d'ottobre. La madre e la figlia avevano cura di tutta la biancheria domesticae impiegavano così coscienziosamente le loro giornate a questo lavoro da autentiche operaiechese Eugenia voleva ricamare un colletto per la madreera costretta a rubare qualche ora al sonnoricorrendo a qualche inganno col padre per avere la luce.

Da tempo l'avaro consegnava personalmente la candela alla figlia e a Nanoncome al mattino distribuiva il pane e gli altri generi alimentari necessari al consumo giornaliero.

La grande Nanon era forse la sola creatura umana capace di accettare il dispotismo del suo padrone. Tutti la invidiavano al signore e alla signora Grandet. La grande Nanoncosì chiamata per la sua statura di cinque piedi e otto polliciera al servizio dei Grandet da trentacinque anni. Benché il suo salario fosse di sole sessanta lireera considerata una delle più ricche domestiche di Saumur. Quelle sessanta lireaccumulate per trentacinque annile avevano recentemente consentito di impiegare quattromila lire in rendita vitalizia presso il notaio Cruchot. Il frutto delle lunghe e continue economie della grossa Nanon sembrò gigantesco. Ogni domesticavedendo che la povera sessagenaria si era assicurato il pane per la vecchiaiaera invidiosa di leisenza pensare al duro servizio col quale era stato conquistato. All'età di ventidue annila povera figliola non aveva trovato modo di sistemarsi presso alcunotanto il suo aspetto era repellente; ecertoquesta sensazione era ingiusta: la sua faccia sarebbe stata ammiratissima sulle spalle di un granatiere della guardia; ma in tutto ci vuolecome si dicel'opportunità. Costretta a lasciare una fattoria incendiatadove custodiva le muccheandò a Saumurdove cercò servizioanimata da quel robusto coraggio che non si rifiuta a nulla. Il signor Grandet aveva a quel tempo già intenzione di ammogliarsie voleva mettere su casa. Adocchiò la ragazzarifiutata da una porta all'altra. Esperto della forza fisica nella sua qualità di bottaioindovinò il partito che si poteva trarre da una creatura femmina dalle forme erculeepiantata sui suoi piedi come una quercia di sessanta anni sulle proprie radicidai fianchi robustidalle spalle quadratecon mani da carrettiere e una probità vigorosa come la sua intatta virtù. Né le verruche che adornavano quel viso marzialené il colorito rosso mattonené le braccia nerborutené gli stracci di Nanon turbarono il bottaioancor nell'età in cui il cuore palpita. Egli vestìcalzò e nutrì la povera ragazzale fissò il salarioe l'assunse in servizio senza trattarla troppo rudemente.

Vedendosi accolta in questo modola grande Nanon pianse segretamente di gioiae si affezionò sinceramente al bottaio il qualeda parte suala sfruttò feudalmente. Nanon faceva tutto:

cucinavafaceva il bucatoandava a lavare la biancheria alla Loira e la riportava a casa sulle sue spalle; si alzava all'alba e si coricava tardi; preparava il desinare per tutti i vendemmiatori durante i raccolti; sorvegliava le "opere"; difendevacome un cane fedelei beni del suo padrone; infine confidando ciecamente in luiobbediva senza fiatare a tutte le sue più ridicole fissazioni. Nel famoso anno 1811quando il raccolto costò pene inauditedopo venti anni di servizio Grandet si decise a regalare il suo vecchio orologio a Nanonl'unico dono che ricevette da lui. Sebbene le cedesse le sue vecchie scarpe (le andavano bene)è impossibile considerare il profitto trimestrale delle scarpe di Grandet come un donotanto erano usate. Il bisogno rese la povera figlia così avarache Grandet aveva finito per volerle benecome si vuol bene a un canee Nanon s'era lasciata mettere al collo un collare guarnito di punte che non la pungevano più. Se Grandet tagliava il pane con troppa parsimonianon se ne lamentava; partecipava di buon grado ai vantaggi igienici che procurava il regime severo della casadove mai nessuno era malato. E poiNanon faceva parte della famiglia: ridevase rideva Grandet; si rattristavasoffriva il freddosi scaldavalavorava con lui. E quanti dolci compensi in tale eguaglianza! Mai una volta il padrone aveva rinfacciato alla domestica la pesca primaticcia o l'agostanale prugne o le susine mangiate sotto l'albero. "Sufattene una bella scorpacciata"le diceva nelle annate in cui i rami piegavano sotto il peso dei fruttiche i fittavoli erano costretti a dare ai maiali. Per una contadina come leiche in gioventù non aveva ricevuto che maltrattamentiper una disgraziata come leiraccolta per caritàla risata equivoca di papà Grandet era un vero raggio di sole. E poiil cuore semplice e l'intelligenza limitata di Nanon non potevano contenere che un solo sentimento e una sola idea. Da trentacinque anni essa si rivedeva sempre arrivarecome quella prima voltadavanti al magazzino del signor Grandeta piedi nudicon quattro cenci addossoe risentiva semprecome quella prima voltail bottaio domandarle: "Che cosa vuoipiccina?". E la sua riconoscenza era sempre viva. Talvolta Grandetpensando che quella povera creatura non aveva mai ascoltato una parola lusinghierache ignorava tutti i dolci sentimenti ispirati dalla donna e che poteva comparire un giorno davanti a Diopiù casta della Vergine MariaGrandetcolto da pietàdiceva guardandola: "Questa povera Nanon!". E la sua esclamazione era sempre seguita da uno sguardo indefinibile che gli gettava la vecchia domestica. Quella frasedetta di tanto in tantoformava da un pezzo una catena di amicizia non interrottaalla qualeogni volta che veniva ripetutas'aggiungeva un anello. Quella commiserazioneche albergava nel cuore di Grandet e che era tanto gradita alla vecchia zitellaaveva un non so che di orribile. Quell'atroce commiserazione da avaroche risvegliava mille piaceri nel cuore del vecchio bottaioera per Nanon il colmo della felicità. Chi non dirà pure:

"Povera Nanon?". Ma Dio riconoscerà i suoi angeli dalle inflessioni delle loro voci e dai loro misteriosi rimpianti.

C'erano in Saumur molte case in cui le domestiche erano trattate meglioma dove tuttavia i padroni non ne ricevevano in cambio alcuna gratitudine. Di qui l'altra frase: "Ma cosa mai le faranno i Grandet alla grande Nanonperché gli sia così affezionata?

Sarebbe capace di passare nel fuoco per loro!". La sua cucinale cui finestre a inferriata davano sul cortileera sempre ordinatapulitafredda: la vera cucina dell'avarodove niente doveva andare sprecato. Dopo che Nanon aveva lavato le stoviglieriposto i resti della cena e spento il fuocolasciava la cucinaseparata dalla sala da un corridoioe andava a filare la canapa vicino alle sue padrone. Una sola candela doveva bastare alla famiglia per tutta la sera. La domestica dormiva in fondo al corridoioin un bugigattolo che riceveva la luce da una finestra a intelaiatura fissa. La sua robusta salute le permetteva di stare impunemente in quella specie di bucoda cui poteva percepire il più piccolo rumore nel silenzio profondo che regnava notte e giorno nella casa. Essa dovevacome un cane da guardiadormire con un orecchio solo e riposarsi vegliando.

La descrizione delle altre parti della casa sarà legata agli avvenimenti di questa storia; del resto lo schizzo già tracciato della salain cui brillava tutto il lusso della famigliapuò far immaginare in anticipo lo squallore dei piani superiori.

Nel 1819sul far della seraalla metà di novembrela grande Nanon accese il fuoco per la prima volta. L'autunno era stato molto bello. Era quello un giorno di festa assai ben conosciuto dai crusciottiani e dai grassinisti. I sei antagonisti si accingevano a venire armati di tutto puntoper incontrarsi nella sala e a gareggiare in prove di amicizia. La mattina tutta Saumur aveva visto la signora e la signorina Grandetaccompagnate da Nanonrecarsi nella chiesa parrocchiale per ascoltarvi la messae allora ognuno si era ricordato che quel giorno era il genetliaco della signorina Eugenia. Cosìcalcolando l'ora in cui il pranzo doveva terminareil notaio Cruchotl'abate Cruchot e il signor C. di Bonfons si affrettavano ad arrivare prima dei Grassinsper far gli auguri alla signorina Grandet. Tutti e tre portavano enormi mazzi di fioricolti nelle loro piccole terre. I gambi di quelli che il presidente voleva offrire erano ingegnosamente avvolti da un nastro di seta bianca dalle frange d'oro.

Al mattinoil signor Grandetsecondo l'abitudine da lui seguita nei giorni memorabili della nascita e dell'onomastico di Eugeniaera andato a sorprenderla mentre ancora era in lettoe le aveva solennemente offerto il suo dono paternoconsistenteda tredici anniin una curiosa moneta d'oro. La signora Grandet era solita regalare a sua figlia un abito d'inverno o d'estatesecondo la circostanza. I due abitile monete d'oro che riceveva per il primo dell'anno e per l'onomastico dal padrecostituivano una sua piccola rendita di cento scudi circache Grandet si compiaceva di vederle accumulare. Ma in realtà egli trasferiva il proprio denaro da una cassa all'altra eper così direcoltivava amorosamente l'avarizia della sua eredealla quale domandava conto talvolta del piccolo tesorouna volta impinguato dai La Bertellière dicendole: - Sarà questo il tuo "douzain" di nozze -. Il "douzain" è un'antica usanza ancora in vigore e religiosamente conservatasi in alcune regioni del centro della Francia. Nel Berrynell'Angiòquando una ragazza si maritala famiglia sua o quella dello sposo le deve donare una borsa contenentesecondo le possibilità finanziariedodici moneteo dodici dozzine di moneteo milleduecento monete d'argento o d'oro. La più povera pastorella non sposerebbe senza il suo "douzain"seppure costituito da soldoni. Si parla ancora a Issoudun di non so quale "douzain" offerto a una ricca ereditierae contenente centoquarantaquattro portoghesi d'oro. Il papa Clemente Settimozio di Caterina dei Medicile donòmaritandola a Enrico Secondouna dozzina di antiche monete d'oro di grandissimo valore. Durante il pranzoil padretutto lieto di vedere la sua Eugenia più che mai bella nel suo vestito nuovoaveva esclamato: - Visto che è la festa d'Eugeniaaccendiamo il fuoco! Sarà di buon augurio.

- La signorina si sposerà entro l'annodi sicuro - disse la grande Nanon portando via gli avanzi d'un'oca: il fagiano dei bottai.

- Non vedo alcun partito per lei a Saumur - rispose la signora Grandetguardando suo marito con aria timidachedata l'età di leidimostrava la completa servitù coniugale sotto la quale era costretta a vivere la povera donna.

Grandet guardò bene sua figliae lietamente esclamò:

- Oggi la ragazza compie ventitré anni; bisognerà presto occuparsi di lei.

Eugenia e la madre si scambiarono silenziosamente uno sguardo d'intelligenza.

La signora Grandet era una donna secca e magragialla come una cotognagoffatarda; una di quelle donne che sembrano fatte per essere tiranneggiate. Aveva grosse ossaun grosso nasouna fronte grossagli occhi grossi ea prima vistadava l'idea di quei frutti stopposi che non hanno più né sapore né succo. I suoi denti erano neri e radila bocca increspatae il suo mento aveva quella forma che si dice a ciabatta.

Era una donna eccellenteuna vera La Bertellière. L'abate Cruchot sapeva trovare l'occasione di dirle che in gioventù non era poi stata disprezzabilee lei ci credeva. Una dolcezza angelicauna rassegnazione da insetto tormentato da monelliuna devozione rarauna inalterabile stabilità di carattereun cuore d'orola facevano compiangere e rispettare da tutti. Il marito non le dava mai più di sei franchi alla volta per le minute spese. Per quanto possa sembrare stranoquesta donna la qualecon la dote e le ereditàaveva portato al signor Grandet più di trecentomila franchisi era sentita sempre così profondamente umiliata da una soggezione e da un ilotismo contro i quali la sua dolcezza d'animo le impediva di ribellarsiche non aveva mai chiesto un soldoné fatto mai un'osservazione a proposito degli atti notarili a essa presentati per la firma dal notaio Cruchot. Una tale fierezza sciocca e segretauna tale nobiltà d'animo costantemente misconosciuta e ferita da Grandetregolavano la condotta di questa donna. La signora Grandet indossava invariabilmente un abito di levantina verdastrache s'era abituata a far durare quasi un anno; portava un ampio scialle di cotonina biancaun cappello di paglia cucita equasi sempreun grembiule di taffettà nero. Uscendo poco di casaconsumava poco le scarpe.

Insommanon chiedeva mai nulla per sé. E allora Grandetcolto talvolta da rimorso nel ricordare quanto tempo era trascorso dal giorno in cui aveva dato sei franchi alla mogliestabiliva sempre uno spillatico a suo favore nel vendere i raccolti dell'annata. I quattro o cinque luigi offerti dall'olandese o dal belga che acquistava il raccolto viticolo di Grandet rappresentavano la più cospicua rendita annuale della signora Grandet. Maquando aveva ricevuto i suoi cinque luigiil marito le chiedeva spessocome se la loro borsa fosse stata comune: - Hai da prestarmi qualche soldo? - E la povera donnalieta di poter fare qualcosa per un uomo che il confessore le indicava come suo signore e padronegli restituivanel corso dell'invernoqualche scudo sulla somma degli spillatici. Quando Grandet tirava fuori dalla tasca la moneta da cento soldi destinata mensilmente per le minute spese:

il filogli aghi e l'abbigliamento della figlianon mancava maidopo essersi abbottonato il taschinodi dire alla moglie: - E per te vuoi qualche cosa?

- Poi vedremoamico mio - rispondeva la signora Grandetanimata da un sentimento di materna dignità.

Sublimità inutile! Grandet credeva di essere molto generoso verso sua moglie. Quando i filosofi incontrano delle Nanondelle signore Grandetdelle Eugenienon sono forse in diritto di ritenere che l'ironia è la sostanza del carattere della Provvidenza? Dopo quel pranzo in cuiper la prima voltasi parlò del matrimonio di EugeniaNanon andò a prendere una bottiglia di rosolio di ribes nella camera del signor Grandet enel discenderepoco mancò che non cadesse.

- Bestia - le disse il padrone - saresti capace di cadere come una sciocca?

- Padroneè quel gradino che non regge!

- Ha ragione - disse la signora Grandet. - Avresti dovuto farlo accomodare da tempo. Ieri Eugenia stava per slogarsi un piede.

- To'- disse Grandet a Nanon vedendo che s'era fatta pallida - visto che si festeggia il compleanno di Eugeniae che stavi per cadereprendi un bicchierino di ribesper rimetterti dalla paura.

- Me lo sono guadagnato - disse Nanon. - Al posto miochiunque avrebbe lasciato che la bottiglia si rompesse mentre io mi sarei piuttosto rotto un braccio pur di salvarla.

- Questa povera Nanon! - disse Grandet versandole il ribes.

- Ti sei fatta male? - le chiese Eugenia guardandola premurosamente.

- Noperché mi sono retta tenendomi sulle reni.

- Ebbenevisto che è il genetliaco d'Eugenia - disse Grandet - aggiusteremo il gradino. Peròvoi non sapete mettere il piede nel punto che ancora regge.

Grandet prese la candelalasciò la mogliela figlia e la domestica alla sola luce del focolare che gettava fiamme vivee si diresse verso il forno a cercarvi tavolechiodi e arnesi.

- Volete che vi aiuti? - gli gridò Nanon sentendo che picchiava sulla scala.

- No! No!questo è affar mio - rispose il vecchio bottaio.

Mentre Grandet stava aggiustando la scala tarlatafischiettando a perdifiato al ricordo degli anni giovanilii tre Cruchot bussarono alla porta.

- Siete voisignor Cruchot? - disse Nanon spiando attraverso la piccola grata.

- Sì - rispose il presidente.

Nanon aprì la portae la luce del focolareche si rifletteva sotto la voltapermise ai tre Cruchot di scorgere l'ingresso della sala.

- Ah!siete della festa - disse loro Nanonodorando i fiori.

- Scusatesignori - gridò Grandet riconoscendo la voce degli amici - sono subito da voi! Sono modestosto rabberciando io stesso un gradino della scala.

- Fatefate puresignor Grandet! Ognuno è sindaco in casa propria - disse sentenziosamente il presidenteridendo solo lui per l'allusioneche nessuno comprese.

La signora e la signorina Grandet si alzarono. Il presidenteapprofittando dell'oscuritàdisse allora a Eugenia:

- Mi permettetesignorinadi augurarvioggi che è il vostro genetliacomolti anni felici e la continuazione della vostra buona salute?

E offrì all'ereditiera un grande mazzo di fiorirari a Saumurpoistringendola ai gomitila baciò sui due lati del collocon una effusione che rese Eugenia confusa. Il presidenteche sembrava un grosso chiodo arrugginitocredeva in questo modo di farle la corte.

- Fate pure - disse Grandet rientrando. - Ma come siete espansivo nei giorni di festasignor presidente!

- Con la signorina - rispose l'abate Cruchotarmato anche lui del suo mazzo di fiori - per mio nipote tutti i giorni sarebbero di festa.

L'abate baciò la mano di Eugenia. Quanto al notaio Cruchotquesti baciò la ragazza sulle gotee disse: - Come corre il tempo! Ogni anno sono dodici mesi.

Rimettendo il candeliere dinanzi all'orologioGrandetsolito a impadronirsi di una frase spiritosa e a ripeterlafino alla sazietàquando gli sembrava divertentedisse: - Visto che è la festa di Eugeniaaccendiamo i candelabri!

Tolse allora con cura da essi i ramoscelli di rosemise lo scodellino a ogni piedistalloprese dalle mani di Nanon una candela nuova avvolta in un pezzo di cartala infilò nel forol'assicurò bene al suo postol'accesee si sedette vicino a sua moglieguardando ora l'uno ora l'altro degli ospitila figliae le due candele. L'abate Cruchotun ometto paffutograssocciodalla parrucca rossa e piattadal viso di vecchia arzillamettendo avanti i piedi ben calzati in robuste scarpe ornate di fibbie d'argentodisse: - I de Grassins non sono venuti?

- Non ancora - disse Grandet.

- Ma verranno? - chiese il vecchio notaiofacendo una smorfia col suo viso bucherellato come una schiumaiola.

- Credo di sì - rispose la signora Grandet.

- Avete finito di vendemmiare? - chiese il presidente di Bonfons a Grandet.

- Dappertutto! - gli rispose il vecchio vignaioloalzandosi per passeggiare in lungo e in largo nella sala e gonfiando il torace con un gesto pieno d'orgoglio come la sua parola: dappertutto!

Dall'uscio del corridoio che portava in cucinavide allora Nanon che seduta accanto al fuococon una candelasi preparava a filare lì la sua canapaper non far l'intrusa nella festa.

- Nanon - disse avanzandosi nel corridoio - ma vuoi dunque spegnere il fuoco e la lucee venire qui con noi? Diamine! la sala è abbastanza grande per starci tutti.

- Masignorevoi avrete delle persone di riguardo.

- E non vali forse te come loro? Per parte di Adamo sono né più né meno come te.

Grandet tornò verso il presidentee gli disse: - Avete venduto il raccolto?

- Nolo conservo... Se ora il vino è buonodi qui a due anni sarà anche meglio. I proprietarilo sapetesi sono accordati nel mantenere i prezzi stabilitie quest'anno i Belgi non l'avranno vinta. Se se ne andrannodovranno pur ritornare.

- Sìma in guardia! - disse Grandet con un tono che fece fremere il presidente.

"Che stia in trattative?"pensò Cruchot.

In quel momentoun colpo di picchiotto annunciò la famiglia de Grassinse il loro arrivo interruppe una conversazione avviata tra la signora Grandet e l'abate.

La signora de Grassins era una di quelle donnine vivacipaffutebianche e roseecheper il regime claustrale di provincia e per le abitudini di una vita virtuosasi conservano ancora giovani a quarant'anni. Sono come le ultime rose d'autunno inoltratoche fa piacere vederlema i cui petali hanno non so qual freddezza e il cui profumo si attenua. Vestiva con qualche ricercatezzasi faceva venire gli abiti da Parigidava il tono dell'eleganza a Saumure offriva ricevimenti. Il maritovecchio quartiermastro della guardia imperialegravemente ferito ad Austerlitz e collocato in pensioneconservavamalgrado il rispetto per Grandetla manifesta franchezza dei militari.

- SalveGrandet - disse al vignaiolo tendendogli la mano e affettando una specie di superiorità sotto la quale schiacciava sempre i Cruchot. - Signorina - disse a Eugenia dopo aver salutato la signora Grandet - siete sempre bella e buona e non so proprio che cosa vi si possa augurare. - Poi le porse una piccola cassetta portata da un suo domesticoe che conteneva un'erica del Capofiore introdotto da poco in Europa e molto raro.

La signora de Grassins baciò molto affettuosamente Eugeniale strinse la mano e le disse: - Adolfo s'è preso l'incarico di presentarvi il mio piccolo ricordo.

Un giovanottone altobiondopallido e graciledai modi distintitimido in apparenzache aveva dissipato a Parigidov'era andato a studiare leggeotto o diecimila franchi in più del suo assegno mensiles'avanzò verso Eugeniala baciò sulle gote e le offrì una scatola da lavorocontenente tutto il necessario in argento doratoroba proprio da bazarmalgrado la targhetta sulla quale un E. G. in gotico ben inciso poteva far credere che si trattasse di un oggetto elegante. AprendolaEugenia provò una di quelle gioie insperate e complete che fanno arrossiretrasaliree fremere di piacere le giovinette. Volse gli occhi verso il padrecome per sapere se le fosse permesso di accettare il donoil signor Grandet disse un "Ma prendilofigliuola!"con un accento che avrebbe reso illustre un attore. I tre Cruchot rimasero stupefatti nel vedere lo sguardo felice e animato rivolto su Adolfo de Grassins dall'ereditieraalla quale simili magnificenze parvero inaudite. Il signor de Grassins offrì a Grandet una presa di tabaccone prese un pizzico per sérimosse i granellini caduti sul nastro della Legion d'onore fissato all'occhiello del suo abito blupoi guardò i Cruchot con un'aria che sembrava dire: "Parate questo colpo!".

La signora de Grassins gettò uno sguardo sui vasi azzurri in cui erano stati posti i fiori dei Cruchotcercando i loro doni con la simulata ingenuità di una donna ironica. In tale congiuntura delicatal'abate Cruchot lasciò che la compagnia si sedesse in circolo davanti al fuoco per andare a passeggiare in fondo alla sala con Grandet. Quando i due vecchi si trovarono nel vano della finestra più lontana dai de Grassins: - Quelli - disse il prete all'orecchio dell'avaro - i denari li buttano dalla finestra.

- E che importase rientrano nella mia cantina? - replicò il vecchio vignaiolo.

- Se voleste regalare un paio di forbici d'oro a vostra figliapotreste ben farlo - disse l'abate.

- Io le dono qualcosa di meglio che delle forbici rispose Grandet.

"Mio nipote è un imbecille"pensò l'abate guardando il presidentei cui capelli scompigliati aggiungevano qualcosa ancora a quanto aveva già di sgradevole il suo viso di carnagione bruna. "Non poteva anche lui pensare a una sciocchezzuolache avesse fatto effetto?".

- Vogliamo fare la nostra solita partitasignora Grandet? - disse la signora de Grassins.

- Ma già che ci siamo tuttipossiamo fare due tavoli...

- Visto che è la festa di Eugeniafate una tombola generale - disse papa Grandet - e i due ragazzi vi prenderanno parte. - E il vecchio bottaioche non prendeva mai parte ad alcun giocoindicò sua figlia e Adolfo. - AndiamoNanonprepara i tavoli.

- Aspettateche vi aiutiamosignorina Nanon - disse allegra la signora de Grassinsfelice della gioia che aveva procurato a Eugenia.

- Non sono mai stata così contenta - le disse l'ereditiera. - Non ho mai visto una cosa tanto graziosa.

- E' Adolfo che l'ha portata da Parigi e che l'ha scelta - le disse la signora de Grassins all'orecchio.

"Fa'fa' puremaledetta intrigante!"diceva intanto tra sé e sé il presidentema se tu o tuo marito mi capiterete sotto in una qualche causa, sarà ben difficile che vi vada bene.

Il notaioseduto in un angologuardava l'abate con un'aria calmadicendosi: "I de Grassins hanno un bel darsi da fareil mio patrimonioquello di mio fratello e quello di mio nipote ammontano a un milione e centomila franchi. I de Grassins ne hanno sì e no la metàe hanno poi una figlia; possono offrire ciò che vogliono; maereditiera e regalitutto un giorno verrà nelle nostre mani".

Alle otto e mezza i due tavoli furono pronti. La graziosa signora de Grassins era riuscita a far sedere suo figlio vicino a Eugenia.

Gli attori di questa scena così interessanteper quanto banale in apparenzamuniti delle cartelle variopinte e recanti i loro numerie di gettoni di vetro azzurrosembrava che ascoltassero le facezie del vecchio notaio che non estraeva il numero senza farci sopra la sua arguzia: tutti pensavano invece ai milioni di Grandet. Il vecchio bottaio guardava intantovanitosamentele piume rosala toletta nuova della signora de Grassinsla testa marziale del banchierequella di Adolfoil presidentel'abateil notaioe diceva fra sé e sé: "Sono tutti qui per i miei scudi.

Vengono qui ad annoiarsiper mia figlia. Eh!mia figlia non sarà né degli uni né degli altri; ma tutta questa gente mi serve come una fiocina per pescare!".

Quell'allegria famigliarein quella vecchia sala grigiamale illuminata da due candele; quelle risaaccompagnate dal rumore dell'arcolaio di Nanone che erano sincere solo sulle labbra di Eugenia o di sua madre; quella grettezza unita a così grandi interessi; quella ragazza chesimile agli uccelli vittime dell'alto prezzo cui vengono venduti e che essi ignoranosi trovava braccatastretta da prove d'amicizia delle quali era lo zimbello: tutto contribuiva a rendere la scena tristemente comica.

E non era poidel restouna scena di tutti i tempi e di tutti i luoghima ridotta alla sua più semplice espressione? La figura di Grandetche sfruttava la falsa amicizia delle due famiglie traendone enormi profittidominava questo drammae lo illuminava. E non rappresentava egli il solo dio moderno in cui si abbia fedeil Denaro in tutta la sua potenzaespresso da una sola fisionomia? I dolci sentimenti della vita occupavano lì un posto secondario: essi animavano solo tre cuori puri: quelli di Nanondi Eugenia e di sua madre. E poiquanta insipienza nella loro ingenuità! Eugenia e sua madre non sapevano nulla della ricchezza di Grandetgiudicavano le cose della vita soltanto alla luce delle loro pallide ideenon apprezzavano né disprezzavano il denaroabituate com'erano a farne a meno. I loro sentimentioffesi a loro insaputaeppur vivaciil segreto della loro esistenzacostituivano eccezioni curiose in quel gruppo di persone la cui vita era meramente materiale. Orrenda condizione dell'uomo! Non c'è una qualche sua felicità che non derivi da una qualsiasi ignoranza. Proprio nel momento in cui la signora Grandet aveva guadagnato sedici soldila vincita più cospicua che fosse mai stata messa in palio in quella salae mentre Nanon rideva di soddisfazione nel vedere che la padrona intascava quella grossa sommaun colpo di picchiotto risuonò al portonee vi fece un così gran rumoreche le donne sobbalzarono sulle loro seggiole.

- Non è uno di Saumurper picchiare in questo modo - disse il notaio:

- Ma senti che modo di battere! - disse Nanon. - Vogliono rompere la porta?

- Chi diavolo sarà? - esclamò Grandet.

Nanon prese una delle due candele e andò ad aprireaccompagnata da Grandet.

- Grandet! Grandet! - gridò la moglie chespinta da un vago senso di pauracorse verso l'uscio della sala.

Tutti i giocatori si guardarono tra loro.

- Se andassimo a vedere pure noi? - disse il signor de Grassins. - Questo colpo di picchiotto non mi ha l'aria di esser buono.

Il signor de Grassins riuscì appena a intravedere la figura d'un giovanotto accompagnato dal fattorino delle diligenze postaliche portava due bauli enormi e trascinava sacchi da viaggio. Grandet si girò bruscamente verso sua moglie e le disse: - Tornate a giocare. Lascia che io mi intenda con costui. - Poichiuse energicamente l'uscio della saladove i giocatori in ansia ripresero i loro postima senza continuare la partita.

- E' qualcuno di Saumur? - chiese la moglie del banchiere al marito.

- Noè un forestiero.

- Non può venire che da Parigi. Difatti - disse il notaio traendo dalla tasca il suo vecchio orologio spesso due dita e che sembrava un vascello olandese - sono le "nnovve". Perbacco! La diligenza dell'Ufficio Centrale non è mai in ritardo.

- E quel signoreè giovane? - chiese l'abate Cruchot.

- Sì - rispose il signor de Grassins. - Porta dei bagagli che devono pesare almeno trecento chili.

- Nanon non torna - disse Eugenia.

- Non può essere altro che qualche vostro parente - disse il presidente.

- Mettiamo le poste - esclamò dolcemente la signora Grandet. - Dal tono della voceho capito che mio marito è un po' seccatoforse potrebbe dispiacergli di sentire che parliamo dei suoi affari.

- Signorina - disse Adolfo alla vicina - sarà senza dubbio vostro cugino Grandetun bel giovaneche ho visto al ballo del signor di Nucingen - Adolfo non poté continuareperché sua madre lo richiamò pigiandogli un piede; poichiedendogli ad alta voce due soldi per la propria posta:

- Vuoi star zittoimbecille? - gli disse all'orecchio.

In quel momento Grandet ricomparve senza Nanonil cui passo risuonò per la scala con quello del fattorino; Grandet era seguito dal viaggiatore che da qualche istante stava suscitando tanta curiosità e alimentando così vivamente la fantasia dei convenutiche il suo arrivo in quella casail suo sopraggiungere in mezzo a quella compagnia si può paragonare a quello di una lumaca in un alveareo all'ingresso di un pavone in qualche oscuro cortiletto di villaggio.

- Sedetevi vicino al fuoco - gli disse Grandet.

Prima di sedersiil giovane forestiero salutò con molto garbo i presenti. Gli uomini si alzarono per rispondere con un inchino cortesee le donne accennarono una riverenza cerimoniosa.

- Avrete certamente freddo - disse la signora Grandet; - arrivate forse da...

- Le donne son sempre loro! - disse il vecchio vignaiolointerrompendo di leggere una lettera che aveva in mano- lasciate dunque che il signore si riposi.

- Mapapàil signore avrà forse bisogno di qualcosa - disse Eugenia.

- Ha la lingua pure lui - rispose severamente il vignaiolo.

Soltanto lo sconosciuto restò sorpreso di questa scena. Gli altri erano ben abituati ai modi dispotici del brav'uomo. Tuttaviaquando quelle domande e quelle due risposte furono scambiatelo sconosciuto si alzòsi mise con le spalle verso il fuocosollevò un piede per far scaldare la suola dello stivalee disse a Eugenia: - Graziecuginaho pranzato a Tours. E - aggiunse guardando Grandet - non ho proprio bisogno di nientee non mi sento affatto stanco.

- Il signore viene forse dalla capitale? - domandò la signora de Grassins.

Il signor Carlocosì si chiamava il figlio del signor Grandet di Parigisentendosi interrogareprese un occhialetto tenuto al collo da una catenellalo applicò all'occhio destro per osservare quel che si trovava sul tavolo e le persone che ci sedevano attornosquadrò con molta impertinenza la signora de Grassins e le dissedopo aver visto tutto: - Sìsignora. Maziavoi state giocando alla tombola - aggiunse - continuate purevi pregoil giocoè troppo divertente per lasciarlo...

"Ero sicura che si trattava del cugino"pensava la signora de Grassinslanciandogli piccole occhiate.

- Quarantasette! - gridò il vecchio abate. - Segnatesignora de Grassinsnon è il numero che avete?

Il signor de Grassins pose un gettone sulla cartella di sua moglie checolta da tristi presentimentiguardava ora il cugino di Parigiora Eugeniasenza più pensare alla tombola. Ogni tanto la giovane ereditiera lanciava furtivi sguardi al cuginomentre la moglie del banchiere poteva facilmente scoprirvi un "crescendo" di meraviglia o di curiosità.

Il signor Carlo Grandetun bel giovane di ventidue anniformava in quel momento un singolare contrasto con quei buoni provinciali che già alquanto indisposti dai suoi modi aristocraticilo andavano studiandoper burlarsi di lui. Ma qui occorre una spiegazione. A ventidue anni i giovani sono ancora così vicini all'infanziada commettere qualche bambinata. E forse per questosu cento di lorose ne troverebbero novantanove che si comporterebbero come si comportava Carlo Grandet. Pochi giorni prima di quella serasuo padre gli aveva detto di andare per qualche mese dallo zio di Saumur. Forse il signor Grandet di Parigi pensavaper luia Eugenia. Carloche capitava in provincia per la prima voltapensò bene di presentarsi con la superiorità di un giovane alla modadi sbalordire il circondario col suo lussodi restarvi memorabile e d'importarvi le trovate della vita parigina. Insommaper essere breviegli voleva impiegare a Saumur più tempo che a Parigi nel lucidarsi le unghie e nel far mostra di quella eccessiva ricercatezza che talora un giovane elegante tralascia per una trascuratezza non priva di grazia. Carlo portò dunque con sé il più bell'abito da cacciail più bel fucileil più bel coltellola più bella guaina di Parigi. Recò con sé la collezione dei suoi più vistosi panciotti; ce n'erano di grigibianchinericolore scarabeoa riflessi d'oroornati di lustriniscreziatia doppia bottonieraa scialle o col collo dirittocol collo rovesciatoabbottonati fin sotto il collocon bottoni d'oro. Portò tutte le varietà di colletti e di cravatte alla moda in quell'epoca. Portò due abiti di Buisson e la sua biancheria più fine. Portò il suo elegante astuccio da toletta con gli oggetti in ororegalo di sua madre.

Portò i suoi ninnoli di zerbinotto senza dimenticare una stupenda piccola scrivania portatile donatagli dalla più amabilealmeno secondo luidelle donneuna grande dama che egli chiamava Annettae che viaggiava insieme col maritoannoiandosiin Scoziavittima di qualche sospettoal quale bisognava sacrificare momentaneamente la propria felicità; e molta elegante carta da lettere per scriverle ogni quindici giorni. Erainsommaun carico di futilità parigine completo per quanto possibile e dovedal frustino che occorre per iniziare un duello fino a due belle pistole cesellate che lo concludonosi trovavano tutti gli strumenti di aratura di cui si serve un giovane per lavorare la vita. Avendogli suo padre detto di viaggiare solo e modestamenteaveva viaggiato nello scompartimento anteriore della diligenza riservato per luiben lieto di non dover sciupare una deliziosa vettura da viaggio ordinata per andare incontro alla sua Annettala grande dama che... ecceterae che avrebbe dovuto raggiungere nel prossimo giugnoalle acque di Baden. Carlo contava d'incontrare molta gente in casa di suo ziodi andare a caccia a cavallo per i suoi boschidi condurre insomma vita di castello; non credeva di trovarlo a Saumurdove aveva chiesto di lui soltanto per farsi indicare la strada di Froidfond; masapendolo invece in cittàimmaginò che dimorasse in un grande palazzo. Per presentarsi convenientemente presso lo ziosia a Saumur che a Froidfondaveva curato la toletta da viaggio più elegantequella più semplicemente ricercatala più adorabileper usare la parola che a quel tempo compendiava le perfezioni speciali d'una cosa o d'un uomo. A Tours un barbiere gli aveva ondulato i suoi bei capelli castani; lì si era cambiato la biancheria e messo una cravatta di seta neracombinata con un colletto tondoin modo da inquadrare con grazia il suo volto bianco e sorridente. Un soprabito da viaggio abbottonato a metà gli stringeva i fianchie lasciava vedere un panciotto in cascemir a sciallesotto il quale c'era un secondo panciotto bianco. L'orologioabbandonato con negligenza al rischio d'una tascaera tenuto tramite una corta catena d'oro a una delle asole. I pantaloni grigi erano abbottonati ai fianchidove disegni ricamati in seta nera ornavano le cuciture. Maneggiava galantemente un bastone il cui pomo d'oro scolpito non alterava affatto la freschezza dei guanti grigi. Il cappelloinfineera di un gusto squisito. Solo un pariginoun parigino della più alta classepoteva combinarsi in modo simile senza sembrare ridicolo e conferire un'armonia di fatuità a tutte queste frivolezzesostenuteper altroda un'aria fieral'aria di un giovane che ha buone pistolela mira sicurae Annetta. E orase volete ben comprendere la reciproca sorpresa di quelli di Saumur e del giovane pariginovedere perfettamente il vivido lampo che l'eleganza del forestiero faceva balenare tra le ombre grigie della sala e i personaggi che componevano quel quadro famigliareprovate a raffigurarvi i Cruchot. Tutti e tre fiutavano tabaccoe non si curavano più da tanto tempo di evitare né le sgocciolature dal naso né le macchioline disseminate sul petto delle loro camice dai colli spiegazzati a pieghe giallastre. Le loro cravatte leggere si riducevano a funicelle non appena messe al collo. L'enorme quantità di biancheriache consentiva loro di fare il bucato soltanto una volta ogni sei mesi e di conservarla in fondo agli armadidava modo al tempo di imprimerci le sue tinte grigie e annose. C'era in loro come un perfetto accordo nella sgradevolezza e nella senilità. I loro visiavvizziti come i loro abiti usatispiegazzati come i loro pantalonisembravano logoriincartapecoritie facevano smorfie. La trasandatezza generale degli altri loro abititutti incompletisenza freschezzacome sono in genere i vestiti di provinciadove si arriva insensibilmente a non vestirsi più gli uni per gli altrie a badare al prezzo d'un paio di guantiera in accordo con la trascuratezza dei Cruchot. L'orrore per la moda era il solo punto sul quale i grassinisti e i crusciottiani s'intendessero perfettamente. Se il parigino prendeva di tanto in tanto l'occhialetto per osservare i singoli dettagli della salai travicelli del soffittoil colore dei pannelli di legno o i puntini che le mosche vi avevano segnatoe il cui numero sarebbe stato sufficiente per la punteggiatura della "Encyclopédie méthodique" e del "Moniteur"i giocatori di tombola alzavano il naso dalle loro cartelle e osservavano il nuovo arrivato con la stessa curiosità con la quale avrebbero guardato una giraffa. Il signor de Grassins e suo figliocui l'aspetto di un uomo alla moda non era poi sconosciutosi associarono tuttavia alla meraviglia dei loro vicinisia che provassero l'indefinibile influsso d'un sentimento generalesia che lo approvassero dicendo ai loro compaesanicon occhiate piene d'ironia: "Eccoa Parigi sono così". Tutti potevanodel restoosservare Carlo a loro agiosenza tema di far dispiacere al padrone di casa. Grandet era assorto nella lettura della lunga lettera che aveva in mano eper leggerlaaveva preso l'unico candeliere che si trovava sul tavolosenza preoccuparsi né degli ospiti né del loro gioco.

Eugeniaper la quale il tipo d'una simile perfezionesia nel modo di vestiresia nella personaera del tutto sconosciutocredette di vedere in suo cugino una creatura discesa da qualche serafica regione. Essa respirava con delizia i profumi che esalavano dalla così brillantedalla così graziosamente inanellata chioma di lui. Avrebbe voluto poter toccare la morbida pelle dei suoi bei guanti fini. E invidiava le piccole mani di Carlola sua carnagionela freschezza e la delicatezza dei suoi lineamenti. Insommase pur questa immagine può riassumere le impressioni che l'elegante giovane produsse su di una ignara ragazza sempre occupata a rammendare calzea rattoppare il guardaroba paternoe la cui vita era finora trascorsa tra quei sordidi pannelli senza mai vedere in quella strada silenziosa più di un passante all'orala vista di suo cugino fece sorgere dal suo cuore le emozioni di sottile voluttà che suscitano in un giovane le fantasiose figure di donne disegnate da Westal nei "Keepsake" inglesie incise dai Finden con un bulino così abileche si temesoffiando sulla paginadi far volare via quelle celesti apparizioni. Carlo trasse di tasca un fazzoletto ricamato dalla grande dama che viaggiava in Scozia. Nel vedere quel lavoro così grazioso fatto con amore durante le ore perdute per l'amoreEugenia guardò suo cugino per accertarsi se se ne sarebbe realmente servito. I modi di Carloi suoi gestiil gesto con cui prendeva l'occhialettola sua affettata impertinenzail suo sprezzo per quella scatola da lavoro che aveva poco prima procurato tanta gioia alla ricca ereditiera e che egli trovava evidentemente o priva di qualsiasi valore o addirittura ridicola; insommatutto ciò che indisponeva i Cruchot e i de Grassins le piaceva tantocheprima di addormentarsiessa dovette fantasticare a lungo su quella fenice dei cugini. I numeri venivano estratti molto lentamentepoi ben presto la tombola venne interrotta. Nanon entrò e disse ad alta voce:

- Signorabisogna darmi le lenzuola per fare il letto al signore.

La signora Grandet uscì con Nanon. La signora de Grassins disse allora sottovoce: - Prendiamoci i nostri soldi e smettiamo la tombola. - Ognuno riprese i propri due soldi dal vecchio piattino slabbrato in cui li aveva messi; poi il gruppo si mosse tutto insieme e fece un quarto di giro verso il fuoco.

- Avete già finito? - disse Grandet senza smettere di leggere la lettera.

- Sìsì - rispose la signora de Grassinssedendosi vicino a Carlo.

Eugeniaspinta da uno di quei pensieri che nascono nel cuore delle giovinette quando un sentimento vi prende stanza per la prima voltalasciò la sala per andare ad aiutare la madre e Nanon. Se fosse stata interrogata da un abile confessoreavrebbe indubbiamente ammesso che la sua non era una premura né per sua madre né per Nanonma che era assillata da un pungente desiderio d'ispezionare la camera riservata al cugino per occuparsi di luiper porvi una qualunque cosaper ovviare a una dimenticanzaper prevedere ogni cosaallo scopo di rendere quella cameraper quanto possibileelegante e pulita. Eugenia si credeva già la sola capace di comprendere i gusti e le idee del cugino. E infattiessa capitò molto a proposito per dimostrare alla madre e a Nanonle quali stavano per andarsene nella convinzione di aver fatto tuttoche invece tutto c'era ancora da fare. Essa diede l'idea a Nanon di scaldare le lenzuola con la brace; coprì lei stessa il vecchio tavolo con una tovaglietta e raccomandò a Nanon di cambiarla tutte le mattine. Convinse sua madre che era necessario accendere un bel fuoco nel caminetto e indusse Nanon ad acquistaresenza dir nulla al padroneuna grossa provvista di legna nel corridoio. Corse poi a cercare in una delle cantoniere della sala un vassoio di lacca anticache proveniva dall'eredità del signor La Bertellièreun bicchiere di cristallo a sei facceun cucchiaino sdoratouna bottiglia antica sulla quale erano incisi alcuni amorinie pose il tutto trionfalmente su di un angolo del caminetto. Le erano sorte più idee in un quarto d'ora che da quando era venuta al mondo.

- Mamma - disse - mio cugino non sopporterà proprio l'odore d'una candela di sego. Non sarebbe il caso di comprare una stearica?...

- E andòleggera come un uccelloa prendere dal suo portamonete lo scudo da cento soldi che aveva ricevuto per le spese mensili. - TieniNanon - disse - fa' presto.

- Ma che dirà tuo padre? - Questa tremenda obiezione fu mossa dalla signora Grandet nel vedere sua figlia armata d'una zuccheriera di vecchio Sèvresche Grandet aveva portato dal castello di Froidfond. - E dove prenderai lo zucchero? Sei matta?

- MammaNanon compreràinsieme alla candelapure lo zucchero.

- Ma tuo padre?

- E sarebbe conveniente che suo nipote non potesse bere un bicchiere d'acqua zuccherata? E poinon ci baderà.

- Tuo padre vede tutto - disse la signora Grandet scuotendo la testa. Nanon esitavaconoscendo bene il suo padrone.

- Ma va dunqueNanonpoiché oggi è la mia festa!

Nanon si lasciò sfuggire una grossa risatanell'udire la prima frase scherzosa uscita dalla bocca della sua padroncinae obbedì.

Mentre Eugenia e sua madre procuravano di abbellire la camera destinata dal signor Grandet a suo nipoteCarlo veniva fatto segno alle attenzioni della signora de Grassins che gli prodigava mille moine.

- Avete un bel coraggiosignore - gli disse - -di lasciare i piaceri della capitale durante l'inverno per venire a Saumur! Ma se non vi facciamo troppa pauravedrete che ci si può divertire anche qui.

E gli lanciò una vera occhiata di provinciadi quella provinciadoveabitualmentele donne pongono tanto riserbo e tanta prudenza nei loro occhida infondere in essi la ghiotta concupiscenza propria degli ecclesiasticiper i quali ogni piacere sembra un furto o una colpa. Carlo si trovava così spaesato in quella salacosì lontano dal vasto castello e dalla fastosa vita che aveva supposto dovesse essere quella di suo zio cheguardando attentamente la signora de Grassinsscorse infine una immagine mezzo sbiadita delle figure parigine.

Rispose gentilmente a quella specie d'invito che gli era stato rivoltoe s'impegnò naturalmente una conversazione durante la quale la signora de Grassins abbassò gradualmente la voce per metterla in armonia con la natura delle sue confidenze. Esisteva tra lei e Carlo uno stesso bisogno di fiducia. Cosìdopo qualche minuto di conversazione civettuola e di arguzie più o meno seriel'astuta provinciale poté dirgliritenendo di non essere sentita dagli altriche intanto parlavano della vendita dei viniargomento di attualità in tutta Saumur:

- Signorese ci farete l'onore di una visitafarete gran piacere a mio marito e a me. Il nostro salotto è il solo in Saumur nel quale troverete riuniti i rappresentanti dell'alta finanza e della nobiltà; e noi apparteniamo a tutti e due gli ambientii quali si incontrano solo da noiperché ci si divertono. Mio maritolo dico con orgogliogode di una eguale considerazione presso gli uni e presso gli altri. Così procureremo di offrirvi un diversivo alla noia del vostro soggiorno qui. Se doveste rimanere sempre presso il signor Grandetche mai diventerestemio Dio? Vostro zio è un avaroche pensa solo ai germogli delle sue vitivostra zia è una beghina che non sa mettere insieme due ideee vostra cugina è una sciocchinasenza istruzioneordinariasenza doteche passa la vita a rammendare i suoi stracci.

"Questa è una donna a posto" disse fra sé Carlo Grandetrispondendo alle leziosaggini della signora de Grassins.

- Mi paremoglie miache vuoi accaparrarti il signore - disse ridendo il grosso e grande banchiere.

A questa osservazioneil notaio e il presidente uscirono in espressioni più o meno maliziose; ma l'abate li guardò con aria scaltra e ne riassunse il pensieroprendendo un pizzico di tabacco e offrendo in giro la tabacchiera: - Chi meglio della signora - disse - potrebbe fare al signore gli onori di Saumur?

- Cosa intendete dire con questosignor abate? - domandò il signor de Grassins.' - Intendo dirlosignorenel senso più favorevole a voialla vostra signoraalla città di Saumur e al signore - aggiunse il vecchio scaltro volgendosi verso Carlo.

Senza mostrare di prestarvi la minima attenzionel'abate Cruchot aveva saputo indovinare la conversazione fra Carlo e la signora de Grassins.

- Signore - disse poi Adolfo a Carlocon un tono che avrebbe voluto fosse stato disinvolto - non so se vi ricordate di me; ebbi il piacere di essere vostro "vis à vis" in un ballo dato dal signor barone di Nucingene...

- Perfettamentesignoreperfettamente - rispose Carlosorpreso di vedersi al centro dell'attenzione di tutti.

- Il signore è vostro figlio? - chiese alla signora de Grassins.

L'abate guardò maliziosamente la madre.

- Sìsignore - essa disse.

- Eravate allora molto giovanequando vi trovavate a Parigi - riprese a dire Carlo rivolgendosi ad Adolfo.

- Cosa voletesignore - disse l'abate - li mandiamo a Babilonia non appena svezzati.

La signora de Grassins lanciò all'abate uno sguardo interrogativod'una sorprendente profondità. - Bisogna venire in provincia - disse continuando - per trovare delle donne poco più che trentenni così fresche come la signorapur avendo dei figli che tra poco saranno laureati in diritto. Mi sembra ancora di essere al tempo in cui i giovani e le signore salivano sulle sedie per vedervi ballaresignora - aggiunse l'abate volgendosi verso il suo avversario in gonnella. - Per mei vostri successi sono di ieri...

"Ah!che il vecchio scellerato" disse fra sé la signora de Grassinsabbia dunque compreso il mio gioco?.

"A quel che pareavrò molto successo a Saumur" pensava Carlosbottonandosi il soprabitomettendo la mano nel panciotto e gettando il suo sguardo attraverso la spazioper imitare l'atteggiamento dato a lord Byron da Chantrey.

La disattenzione di papà Grandetoper meglio direla preoccupazione in cui lo aveva immerso la lettura della letteranon sfuggì né al notaio né al presidenteche cercavano d'indovinare il contenuto dagli impercettibili movimenti del viso del brav'uomoin quel momento assai bene illuminato dalla candela. Il vignaiolo conservava a stento la calma abituale della sua fisionomia. Del restoognuno potrà immaginare il contegno ostentato da quest'uomo nel leggere la seguente lettera fatale:

"Fratello carofra poco saranno ventitré anni che non ci vediamo.

Il mio matrimonio fu la ragione del nostro ultimo incontrodopo il quale ci lasciammo lietil'uno e l'altro. Certonon potevo prevedere che tu saresti diventato l'unico sostegno della famigliaalla prosperità della quale tu allora bene auspicavi.

Quando avrai questa lettera tra le maniio non sarò più. Data la posizione in cui mi trovavonon ho voluto sopravvivere all'onta di un fallimento. Mi sono retto all'orlo dell'abisso fino all'ultimo momentosperando sempre di salvarmi. Bisogna sprofondarvisi. Le bancarotte del mio agente di cambio e di Roguinmio notaiounite insiememi tolgono le estreme risorse e non mi lasciano più nulla. Ho il dolore di essere debitore di circa quattro milionisenza poter offrire più del venticinque per cento di attivo. I vini che ho in magazzino subiscono in questo momento il ribasso rovinoso causato dall'abbondanza e dalla qualità dei vostri raccolti. Fra tre giorni Parigi dirà: 'Il signor Grandet era un briccone!'. E iouomo probomi distenderò avvolto in un sudario d'infamia. Tolgo a mio figlio e il suo nomeche macchioe il patrimonio di sua madre. Questo sventurato ragazzoche idolatronon sa nulla. Ci siamo detti addio teneramente. Egli ignoravaper fortunache gli ultimi flutti della mia vita si riversavano in quell'addio. Non mi malediràegliun giorno? Fratello miofratello miola maledizione dei nostri figli è spaventosa; essi possono chiedere appello contro la nostrama quella loro è irrevocabile. Tu sei il maggioretu devi accordarmi la tua protezione: fa' che Carlo non lanci alcuna parola amara sulla mia tomba! Fratello carose ti scrivessi col mio sangue e con le mie lacrimein questa lettera non ci sarebbe tanto dolore quanto io ve ne metto poiché piangereisanguinereisarei morto e non soffrirei più; ma io soffro e guardo la morte con ciglio asciutto. Eccoti dunque padre di Carlo!il quale non ha parenti dal lato maternoe sai perché. Perché non ho io ubbidito ai pregiudizi sociali? Perché ho ceduto all'amore? Perché mai ho sposato la figlia naturale d'un gran signore? Carlo non ha più famiglia. O mio sventurato figlio! Figlio mio! Ascoltami: io non vengo con questa mia a implorare nulla per me; del restoi tuoi beni non sono di tale entità da sopportare un'ipoteca di tre milioni: ma per mio figlio! Sappilo benefratello miole mie mani supplichevoli si sono congiunte pensando a te. Ti affidomorendoCarlo. E ora guardo le mie pistole senza dolorepensando che tu gli farai da padre. Mi voleva tanto beneCarlo; e io ero tanto buono con luinon lo contrariavo mai: egli non mi maledirà.

Del restovedrai; è dolceha preso di sua madrenon ti darà mai dispiaceri. Povero ragazzo! Abituato ai godimenti del lussonon conosce nessuna delle privazioni cui ci condannò da ragazzi la nostra miseria... Ed eccolo rovinatosolo. Tutti gli amici lo sfuggirannoe io sarò la causa delle sue umiliazioni. Ahcome vorrei avere braccia così forti da lanciarlo con un sol tratto in cielovicino a sua madre! Follia! Torno alla mia disgrazia e a quella di Carlo. L'ho dunque mandato da te perché lo informi coi dovuti riguardi della mia morte e del suo destino. Sii un padre per luiun buon padre. Non strapparlo d'un tratto dalla sua vita inoperosa: lo uccideresti. Gli chiedo in ginocchio di rinunciare ai crediti che quale erede di sua madre potrebbe rivendicare contro di me. Ma questa è una preghiera superflua; egli ha il senso dell'onore e sentirà il dovere di non unirsi ai miei creditori. Fallo rinunciare alla mia successione in tempo utile.

Rivelagli le dure condizioni di vita in cui lo pongo; ese mi conserva il suo affettodigli a mio nome che tutto non è perduto per lui. Sìil lavoroche ha salvato me e tepuò rendergli la ricchezza che io gli tolgo; ese vuole ascoltare la voce di suo padreche per lui vorrebbe uscire un istante dalla tombapartavada nelle Indie! Fratello mioCarlo è un giovane proboe coraggioso: acquista per lui una qualche paccottigliae sii certo che morirebbe piuttosto che non restituirti i primi denari che gli presterai; perché tu glieli presteraino? Altrimenti ne proveresti rimorso. Ah!se mio figlio non trovasse in te né aiuti né affettochiederei eternamente a Dio vendetta della tua durezza. Se avessi potuto salvare qualcosaavrei il diritto di lasciargli una somma sul patrimonio di sua madre; ma i pagamenti di fine mese hanno assorbito tutte le mie risorse. Non avrei voluto morire nel dubbio sulla sorte di mio figlio; avrei voluto ricevere sante promesse nel calore della tua manoche mi avrebbe rinfrancatoma mi manca il tempo. Mentre Carlo è in viaggiodevo approntare il mio bilancio. Procurerò di dimostrarecon la buona fede cui sono sempre stati ispirati i miei affariche nel mio disastro non c'è né colpa né disonestà. E non è anche questo un modo di occuparmi di Carlo? Addiofratello mio. Che tutte le benedizioni di Dio scendano su di te per la generosa tutela che ti affido e chenon ne dubitoaccetterai. Ci sarà sempre una voce che pregherà per te nel mondo in cui dobbiamo tutti andare un giornoe dove io già mi trovo.

Vittorio Angelo Guglielmo Grandet".

- Stavate discorrendo? - disse papà Grandet ripiegando con esattezza la lettera secondo le stesse sue pieghe e mettendola nella tasca del panciotto. Poi guardò suo nipote con un'aria dimessa e timorosa dietro la quale nascose le proprie emozioni e i propri calcoli. - Vi siete riscaldato?

- Benissimocaro zio.

- E dove sono le nostre donne? - disse lo zio già dimenticando che il nipote era suo ospite. In quel momento Eugenia e la signora Grandet rientrarono.

- E' tutto a posto lassù? - chiese loro il brav'uomo ritrovando la sua calma.

- Sìpapà.

- E alloracaro nipotese vi sentite stancoNanon vi accompagnerà alla vostra camera. Non sarà certo un appartamento degno di un damerinoe scuserete questi poveri vignaioli che non hanno mai un soldo. Le tasse ci mangiano tutto.

- Non vogliamo essere indiscretiGrandet - disse il banchiere. - Avrete forse da parlare con vostro nipotevi diamo la buona notte. A domani!

A queste parole tutti si alzarono e ciascuno fece il suo inchino a seconda del proprio carattere. Il vecchio notaio andò a cercare sotto la porta la lanterna e l'acceseoffrendo ai de Grassins di accompagnarli.

Non avendo la signora de Grassins previsto l'incidente che aveva fatto terminare prima del tempo la seratail suo domestico non era ancora arrivato.

- Volete farmi l'onore d'accettare il mio bracciosignora? - disse l'abate Cruchot alla signora de Grassins.

- Graziesignor abate. Ho mio figlio - rispose seccamente.

- Le signore non si possono compromettere con me - disse l'abate.

- Dà dunque il braccio al signor Cruchot - le disse suo marito.

L'abate condusse la bella signora così rapidamente da precedere di qualche passo la comitiva.

- E' in gambaquel giovanottosignora - le disse stringendole il braccio. - Addio raccoltotutto è distrutto! Vi conviene dire addio alla signorina GrandetEugenia sarà del parigino. A meno che questo cugino non sia incapricciato d'una qualche pariginavostro figlio Adolfo troverà in lui il rivale più...

- Lasciate staresignor abate. Il giovane non tarderà ad accorgersi che Eugenia è una sciocchinauna ragazza senza freschezza. L'avete vista bene? Questa sera era gialla come una mela cotogna.

- E voi l'avete forse già fatto notare al cugino.

- Non mi è costato molto...

- Mettetevi sempre vicino a Eugeniasignorae non avrete bisogno di dire troppe cose al giovane contro sua cuginafarà lui stesso un paragone che...

- Intantoegli mi ha promesso di venire a pranzo da me dopodomani...

- Ah!se voi volestesignora - disse l'abate.

- E cosa volete che io vogliasignor abate? Vorreste darmi dunque dei cattivi consigli? Non sono mica arrivata all'età di trentanove anni con una reputazionegrazie a Diosenza macchiaper comprometterlaneanche se si trattasse dell'impero del Gran Mogol. Siamo giunti tutti e due a un'età in cui si conosce il valore delle parole. Per essere un ecclesiasticoavete delle idee impertinenti. Oibòtutto questo è degno di "Faublas".

- Avete dunque letto "Faublas"?

- Nosignor abatevolevo dire le "Relazioni pericolose".

- Ahquest'opera è infinitamente più morale - disse ridendo l'abate. - Ma voi mi credete perverso come un giovane d'oggigiorno! Volevo semplicemente...

- Osate dunque sostenere che non pensavate di suggerirmi delle brutte cose? Ma tutto questo è ben chiaro! Se il giovanemolto in gambane convengomi facesse la cortenon penserebbe più a sua cugina. A Parigilo socerte brave mamme si sacrificano così per la felicità e la fortuna delle loro figlie; ma noi siamo in provinciasignor abate.

- Sìsignora.

- E - essa riprese - né io né lo stesso Adolfo vorremmo guadagnare cento milioni a un tale prezzo...

- Signoraio non ho parlato affatto di cento milioni. In questo caso la tentazione sarebbe stata forse superiore alle nostre forze. Credo soltanto che una signora per bene possa permettersicon le più oneste delle intenzioniquelle civetterie senza conseguenzeche fanno parte dei suoi doveri di società e che...

- Credete?

- Non dobbiamo forsesignoraprocurare di essere piacevoli gli uni con gli altri?... Permettetemi di soffiarmi il naso. Posso assicurarvisignora - egli riprese - che il giovane vi guardava attraverso l'occhialetto con un'aria un po' più lusinghiera di quella che aveva nel guardare me; ma gli perdono di onorare più la bellezza che la vecchiaia...

- E' chiaro - diceva il presidente con la sua grossa voce - che il signor Grandet di Parigi manda suo figlio a Saumur con intenzioni assolutamente matrimoniali...

- Main questo casoil cugino non sarebbe caduto qui come una bomba - rispose il notaio.

- Questo non vorrebbe dire nulla - disse il signor de Grassins - il brav'uomo è misterioso.

- Mio caroho invitato a pranzo quel giovane. Bisognerà che tu inviti i signori di Larsonnière e i d'Hautoycon la bella signorina d'Hautoyben inteso: purché quel giorno si vesta bene!

La madreper gelosiala infagotta sempre così male! E sperosignorici farete l'onore di venire anche voi - essa aggiunsearrestando la comitiva per rivolgersi ai due Cruchot.

- Eccovi arrivatasignora - disse il notaio.

Dopo avere salutato i tre de Grassinsi tre Cruchot si diressero verso la loro casaadoperando quel genio dell'analisi che posseggono i provinciali per studiare sotto tutti gli aspetti il grande avvenimento di quella seratail quale cambiava le posizioni rispettive dei Crusciottiani e dei Grassinisti.

L'ammirevole buon senso che guidava gli atti di quei grandi calcolatorifece sentire agli uni e agli altri la necessità di un'alleanza temporanea contro il nemico comune. Non dovevano mutuamente impedire a Eugenia di amare il cuginoe a Carlo di pensare alla cugina? E avrebbe potuto il parigino resistere alle insinuazioni perfidealle calunnie dolciastrealle maldicenze piene di elogialle opposizioni ingenue che lo avrebbero costantemente circuitoe invischiatocome le api avvolgono di cera la chiocciola caduta nella loro arnia?

Quando i quattro parenti furono soli nella salail signor Grandet disse a suo nipote: - Andiamocene a letto. Adesso è troppo tardi per parlare degli affari che vi hanno condotto qui; sceglieremo domani il momento favorevole. Qui facciamo colazione alle otto. A mezzogiorno mangiamo un po' di fruttae un po' di panein frettabevendoci sopra un bicchiere di vino bianco; poi pranziamocome i pariginialle cinque. Questo è il nostro orario. Se volete visitare la città e i dintornisiete libero come l'aria. Mi scuserete se le occupazioni non mi consentiranno sempre di accompagnarvi. Tutti qui vi diranno che io sono ricco:

il signor Grandet quiil signor Grandet là! Io li lascio direle loro chiacchiere non nuocciono affatto al mio credito. Ma la verità è che non ho un soldoe che alla mia età lavoro ancora come un giovane operaioil quale in tutto possiede una cattiva pialla e due buone braccia. Voi stesso vedrete forse tra breve quel che vale uno scudo quando bisogna sudarselo. AndiamoNanon:

le candele!

- Speronipote caroche troverete tutto ciò che vi occorre - disse la signora Grandet - ma se qualcosa vi mancassenon avete che da chiamare Nanon.

- Mia cara ziasarà difficile; credo di aver portato con me tutte le mie cose! Permettetemi di augurare la buona notte a voi e alla mia giovane cugina.

Carlo prese dalle mani di Nanon una stearica accesauna stearica dell'Angiòdal colore ben gialloinvecchiata in bottegae così simile a una candela di segoche il signor Grandetincapace di sospettarne l'esistenza in casa suanon si accorse di una tale magnificenza.

- Vi faccio strada - disse il bonuomo.

Invece di uscire dall'uscio della sala che dava nell'androneGrandet usò il riguardo di passare per il corridoioche separava la sala dalla cucina. Un uscio a battenti guarnito d'un grande vetro ovale chiudeva il corridoio dalla parte della salaper attenuare il freddo che vi si sarebbe ingolfato. Tuttavia d'inverno il vento gelato vi fischiava ugualmente con violenza enonostante le imbottiture applicate agli usci della salail calore a stento vi si manteneva in un grado sufficiente. Nanon andò a sprangare il portonechiuse la salae sciolse in scuderia un cane lupola cui voce era rauca come se soffrisse di laringite. La bestiapiuttosto feroceconosceva solo Nanon.

Queste due creature dei campi s'intendevano bene fra loro. Quando Carlo vide le mura giallastre affumicate della tromba della scaladella ringhiera tarlatatremolante sotto il passo pesante dello zioil suo disappunto si andò "rinforzando" [In italiano nel testo].

Credette di trovarsi in un pollaio. La zia e la cuginaverso le quali si volse come per interrogarne i voltierano così abituate a quella scalachenon indovinando la ragione del suo stuporelo interpretarono come un'espressione affettuosae risposero a esso con un sorriso gentile che esasperò il giovanotto. "Che diavolo mio padre mi manda a fare qui?" si domandava. Arrivato al primo pianerottoloegli scorse tre usci dipinti in rosso etrusco e privi d'intelaiaturausci sperduti nelle mura polverose e muniti di sbarre di ferro bullonateben visibilie terminanti a mo' di fiammecome a ogni estremo la lunga bocca delle serrature.

Dei trel'uscio che si trovava in cima alla scala e che dava accesso alla stanza situata sopra la cucina era evidentemente murato. In essa si penetrava infatti solo dalla camera di Grandetcui quella stanza serviva da studio. L'unica finestra da cui riceveva luce era protettasul cortileda grosse sbarre di ferro a grata. Nessunoneppure la signora Grandetpoteva entrarci. Il brav'uomo voleva starci solocome un alchimista al suo fornello.

Làsenza dubbioera stato abilissimamente praticato qualche nascondigliolà erano immagazzinati i titoli di proprietàlà pendevano le bilance per la pesatura dei luigilà si compilavanocol favore della notte e in segretole quietanzele ricevutei calcoliin modo che le persone d'affaritrovando Grandet sempre pronto in tuttopotevano credere che egli avesse ai suoi ordini una fata o un demonio. Làsenza dubbioquando Nanon russava in maniera da far tremare il soffittoquando il cane lupo vigilava e sbadigliava nel cortilequando la signora e la signorina Grandet erano bene addormentateentrava il vecchio bottaio per coccolareaccarezzarecovarefermentareaccerchiare il suo oro. Le mura erano spessele imposte discrete. Lui solo possedeva la chiave di questo laboratorio dovesi dicevaconsultava alcune mappe su cui erano indicati i suoi alberi da frutto e dove calcolava tutti i prodotti della sua terraquasi propaggine per propagginefascina per fascina. L'ingresso alla camera di Eugenia si trovava di fronte a questo uscio murato. Poiin fondo al pianerottolostava l'appartamento dei coniugi che si estendeva lungo tutta la facciata della casa. La camera della signora Grandet era attigua a quella di Eugenia e vi si accedeva per un uscio a vetri. La camera di Grandet era separata da quella di sua moglie mediante un tramezzo e dal misterioso studio mediante un grosso muro. Papà Grandet aveva alloggiato il nipote al secondo pianonell'alta soffitta posta al di sopra della sua camera in modo da poterlo sorvegliare se avesse desiderato uscire. Quando Eugenia e sua madre giunsero nel mezzo del pianerottolosi scambiarono il bacio della sera; poidopo aver rivolto a Carlo qualche parola di salutofredda sulle labbrama certo calorosa nel cuore della ragazzaentrarono nelle loro camere.

- Eccovi dunque a casa vostracaro nipote - disse papà Grandet a Carloschiudendogli l'uscio. - Se avete bisogno di uscirechiamate però Nanon. Senza di leiservitor vostro!il cane vi sbranerebbe d'un fiato. Dormite bene. Buona notte. Ah!ah!le mie donne vi hanno acceso il fuoco - riprese. In quell'istante Nanon apparvearmata d'uno scaldaletto. - Eccone un'altra! - disse il signor Grandet. Ma avete preso mio nipote per una gestante? Riporta indietro quella braceNanon.

- Masignorele lenzuola sono umidee il signore è delicato proprio come una donna.

- E andiamodunqueva'visto che te lo sei messo in testa - disse Grandet spingendola per le spalle - ma sta' attenta a non dar fuoco a nulla. - Poil'avaro discese borbottando vaghe parole.

Carlo rimase interdetto fra i suoi bagagli. Dopo aver dato uno sguardo ai muri d'una soffittaparati con quella carta gialla a mazzi di fiori che tappezza le bettole suburbanea un caminetto di pietra scannellata il cui solo aspetto metteva freddoa seggiole di legno giallo guarnite di canna verniciata che sembravano avere più di quattro angolia un comodino aperto nel quale sarebbe potuto stare un sergentino dei "voltigeurs"al misero tappetino di grossolana stoffa da vivagno posto ai piedi di un letto a baldacchino le cui cortine tremavano come se stessero per caderecorrose dalle tarmeguardò serio Nanon e le disse:

- Ma insommacara ragazzasono proprio in casa del signor Grandetex sindaco di Saumurfratello del signor Grandet di Parigi?

- Sìsignoresiete proprio in casa del più amabiledel più dolcedel più compito signore. Devo aiutarvi a disporre i vostri bauli?

- Ma certoin fede miamio vecchio soldato! Avete forse voi fatto servizio coi marinai della guardia imperiale?

- Oh! Oh! Oh! Oh! - disse Nanon - che roba è questa: i marinai della guardia? E' roba salata? Roba che va sull'acqua?

- Suvviacercate la mia veste da camera che è in questa valigia.

Ecco qui la chiave.

Nanon rimase stupita nel vedere una veste da camera di seta verde a fiorami d'oro e a disegni antichi.

- E vi mettete quest'affare per andare a letto? - chiese.

- Sì.

- Santa Vergine! Che bel paliotto d'altare per la parrocchia! Ma caro signorinodonatelo alla chiesae vi salverete l'animaaltrimenti ve la farà perdere. Ohcome siete grazioso così! Vado a chiamare la signorina perché vi veda.

- AndiamoNanonpoiché così vi si chiamavolete stare zitta?

Lasciatemi coricaremetterò a posto le mie cose domanie se la mia veste da camera vi piace tantosarete voi a salvarvi la vostra anima. Sono troppo buon cristiano per rifiutarvela andandomenee allora ne potrete fare quello che vorrete.

Nanon rimase piantata sui suoi piedicontemplando Carlo senza poter prestar fede alle sue parole.

- Regalarmi un così bell'ornamento? - disse andandosene. - Il signore già sogna. Buona notte.

- Buona notteNanon.

"Che cosa sono venuto a fare qui?" si disse Carlo addormentandosi.

"Mio padre non è uno scioccoil mio viaggio deve avere uno scopo.

Bah!a domani gli affari seridiceva non so più quale grullo della Grecia".

"Santa Verginecom'è grazioso mio cugino!" si disse Eugenia interrompendo le preghiereche quella sera rimasero incomplete.

La signora Grandet non ebbe alcun pensierocoricandosi. Sentivaattraverso l'uscio di comunicazione posto al centro del tramezzoche l'avaro andava su e giù per la stanza. Come tutte le mogli timideaveva studiato a fondo il carattere del suo signore. Come la procellaria prevede la burrascada certi segni impercettibili lei aveva presentito la tempesta interiore che agitava Grandet eper usare l'espressione di cui si servivain quei casi faceva la morta. Grandet guardava l'uscio internamente rivestito di lamiera che aveva fatto porre al suo studio e si diceva: "Quale idea bizzarra ha avuto mio fratello di lasciarmi in eredità suo figlio!

Bella successione! Io non ho da dargli neppure venti scudi. E che cosa sarebbero poi venti scudi per questo damerinoche guardava con l'occhialetto il mio barometrocome se avesse voluto farne del fuoco?".

E pensando alle conseguenze di quel testamento di doloreGrandet era forse più agitato di quanto non lo fosse stato suo fratello nel momento di stenderlo.

"Avrò davvero quell'abito d'oro?..." diceva Nanonche si addormentò vestita del suo paliotto d'altaresognando fioritabìdamaschiper sa prima volta in vita sua; mentre Eugenia fece sogni d'amore.

Nella pura e monotona vita delle giovinettegiunge un'ora deliziosa in cui il sole diffonde i suoi raggi nella loro animail fiore esprime pensierii palpiti del cuore comunicano al cervello la loro calda fecondità e fondono le idee in un vago desiderio; giorno d'innocente malinconia e di soavi gioie! Quando i bimbi cominciano a vederesorridono; quando una ragazza intravede il sentimento nella naturasorride come sorrideva quand'era bimba. Se la luce è il primo amore della vital'amore non è forse la luce del cuore? Il momento di vedere chiaro nelle cose di questo mondo era giunto per Eugenia. Mattiniera come tutte le ragazze di provinciasi levò di buon'orarecitò la preghiera e iniziò la tolettaoccupazione che da quel giorno cominciava ad avere uno scopo. Lisciò dapprima i suoi capelli castanine avvolse le grosse trecce sulla testa con la più grande curaevitando che i capelli uscissero fuori dalle treccee diede alla sua pettinatura una simmetria che pose in risalto il timido candore del suo voltoarmonizzando la semplicità dei particolari con l'ingenuità dei lineamenti. Lavandosi più volte le mani nell'acqua pura che le induriva e arrossava la pelleessa si guardò le belle braccia rotondee si chiese come facesse suo cugino ad aver le mani così morbidamente bianchele unghie così ben curate. Si mise le calze nuove e le scarpe più graziose. Si allacciò accuratamentenon tralasciando alcun occhiello. Infinedesiderandoper la prima volta in vita suadi apparire bellasi rese conto del piacere di possedere un abito nuovoben tagliatoche la rendesse attraente. Quando la sua toletta fu terminatasentì suonare l'orologio della parrocchia e si meravigliò che fossero solo le sette. Il desiderio di avere tutto il tempo necessario per acconciarsi bene l'aveva fatta alzare troppo presto. Ignara dell'arte di accomodare dieci volte un ricciolo e di studiarne l'effettoEugenia incrociò le bracciasi affacciò alla finestracontemplò il cortilelo stretto giardino e le alte terrazze che lo dominavano; veduta malinconicalimitatama non priva di quelle misteriose bellezze che sono proprie dei luoghi solitari o della natura incolta. Appresso alla cucina c'era un pozzo circondato da un parapettocon una carrucola sostenuta da un braccio di ferro ricurvoal quale si avvolgeva una vite dai pampini vizziarrossatiriarsi dal sole. Da lìil tortuoso tralcio saliva per il muroci si abbarbicavacorreva lungo la casa e terminava su di una legnaia dove la legna era disposta con tanta esattezza quanta possono averne i libri d'un bibliofilo. Il selciato del cortile aveva quelle tinte nerastre prodotte col tempo dai muschidalle erbee dall'assenza di transito. Le mura spesse erano rivestite come d'una camicia verdestriata di lunghe tracce scure. Finalmentegli otto gradini sovrastanti in fondo al cortile e che conducevano alla porta del giardinoerano sconnessi e sepolti sotto alte erbecome la tomba d'un cavaliere sotterrato dalla vedova al tempo delle crociate. Al di sopra di uno strato di pietre tutte corrosesi levava un cancello di legno marcitomezzo cadente per la sua vecchiaiama al quale si congiungevano capricciosamente alcune piante rampicanti. Ai lati del cancello si protendevano i rami attorti di due meli imbozzacchiti. Tre viali paralleliimbrecciati e separati da aiuole la cui terra era trattenuta da un bordo di bossocomponevano il giardino che terminava sotto la terrazzain un ombroso boschetto di tigli. A un capopiante di lamponi; all'altroun immenso noce che curvava i suoi rami fino allo studio del bottaio. Una giornata limpida e il bel sole degli autunnipropri delle rive della Loiracominciavano a dissipare la velatura impressa dalla notte ai pittoreschi elementiai murialle piante che ornavano il giardino e il cortile. Eugenia scoprì incanti del tutto nuovi nell'aspetto di queste coseche fino allora erano state così comuni per lei. Mille pensieri confusi nascevano nella sua animae vi crescevano via via che crescevano al di fuori i raggi del sole. Essa provò insomma quel moto di piacere vagoinesplicabileche avvolge l'essere moralecome una nube avvolgerebbe l'essere fisico. Le sue riflessioni si accordavano con i particolari di quel singolare paesaggioe le armonie del suo cuore si allearono con le armonie della natura. Quando il sole raggiunse un'ala di muroda cui piovevano dei capelvenere dalle foglie spesse a colori cangianti come il collo dei piccionicelesti raggi di speranza illuminarono l'avvenire di Eugeniache ora provò diletto a guardare quell'ala di muroi suoi fiori pallidile sue campanelle azzurre e le sue erbe appassitecui si fuse un ricordo gentile come quelli dell'infanzia. Il fruscio che ogni foglia faceva in quel cortile sonorostaccandosi dal proprio ramorispondeva alle segrete interrogazioni della ragazzache sarebbe rimasta lìtutta la giornatasenza accorgersi della fuga delle ore. Poi sopraggiunsero tumultuosi moti dell'anima. Si alzò più voltesi mise davanti allo specchioe vi si mirò come un autore in buona fede contempla la propria opera per criticarsi e per dir male di se stesso.

Non sono abbastanza bella per lui. Questo era il pensiero di Eugeniapensiero umile e fecondo di sofferenze. La povera ragazza non era giusta verso se stessa; ma la modestiao meglio il timoreè una delle prime virtù dell'amore. Eugenia apparteneva proprio a quel tipo di gioventù di forte costituzionecome se ne trova nella piccola borghesiae la cui bellezza sembra volgare; mapur somigliando alla Venere di Milole sue forme erano ingentilite da quella soavità del sentimento cristiano che purifica la donna e le dà una distinzione sconosciuta agli scultori antichi. Aveva una grossa testala fronte maschia ma delicata del Giove di Fidiae gli occhi grigi ai quali la sua casta vitariflettendovisi interamenteimprimeva una luce sprizzante. I lineamenti del suo volto tondeggianteun tempo fresco e roseoerano stati ingrossati da un vaiolo abbastanza clemente da non lasciarvi tracciama che aveva distrutto il vellutato della pellecosì dolce e finetuttaviache il puro bacio della madre vi lasciava al passaggio un segno rosso. Il naso era un po' troppo pronunciatoma si armonizzava con una bocca d'un rosso carminiole cui labbra increspate erano piene d'amore e di bontà. Il collo era d'un rotondo perfetto. Il seno colmoaccuratamente velatoattirava lo sguardo e faceva sognare; gli mancava senza dubbio un po' di quella grazia che dona la toletta; maper chi se ne intendevala rigidezza dell'alta statura doveva costituire un fascino. Eugeniaalta e robustanon aveva dunque niente di quel grazioso che piace ai più; ma era belladi quella bellezza così facile a riconoscersi e di cui si invaghiscono soltanto gli artisti. Il pittore che sulla terra cerca un modello per la celeste purezza di Mariache chiede a tutta la natura femminile quegli occhi modestamente fieri divinati da Raffaelloquelle linee virginali che talvolta dà la naturama che una vita cristiana e pudica può solo conservare o far acquisire: un tale pittoreinnamorato di un così raro modelloavrebbe trovato subito nel volto di Eugenia la nobiltà innata ignara di se stessa; avrebbe visto sotto una fronte calma un mondo d'amoree nel taglio degli occhinella conformazione delle palpebreun non so che di divino. I suoi trattiil sembiante che l'espressione del piacere non aveva mai né alterato né stancatosomigliavano alle linee d'orizzonte dolcemente spiccanti nella lontananza dei laghi tranquilli. Quella fisionomia calmacoloritacirconfusa di luce come un leggiadro fiore appena schiusoriposava l'animocomunicava l'incanto della coscienza che ci si riflettevae avvinceva lo sguardo. Eugenia era ancora sulla riva della vitadove fioriscono le illusioni infantilidove si colgono le margherite con un piacere che diventerà più tardi sconosciuto.

Sicchéspecchiandosisenza sapere ancora cosa fosse l'amoresi disse: "Sono troppo bruttanon mi guarderà neppure".

Poi aprì l'uscio della sua camera che dava sulle scalee tese l'orecchio per ascoltare i rumori della casa. "Non si è ancora alzato" pensòascoltando la tosse mattinale di Nanon che andava e venivaspazzava la salaaccendeva il fuocorimetteva il cane alla catena e discorreva con le sue bestie nella stalla. Quindi scese subitoe corse da Nanon che mungeva la mucca.

- Nanonmia buona Nanonfa un po' di crema per il caffè di mio cugino.

- Ma signorinabisognava pensarci ieri - disse Nanonche diede in una grossa risata. - Non posso farla la crema. Ma quanto è carinovostro cuginocarinoma proprio carino! Voi non lo avete visto nella sua palandrana di seta e d'oro. Io invecesì. La sua biancheria è fine come la cotta del signor curato.

- Nanonallora preparaci una focaccia.

- E chi mi dà la legna per il fuocoe la farinae il burro? - disse Nanon la qualenella sua qualità di primo ministro di Grandetassumeva a volte un'importanza enorme agli occhi di Eugenia e di sua madre. - Vogliamo derubare il padrone per trattar bene vostro cugino? Chiedeteglielo voi il burrola farinala legna: è vostro padree ve ne può dare. Eccolo che scende per le provviste...

Eugenia scappò in giardinotutta spaventata nel sentir tremare la scala sotto i passi di suo padre. Provava già gli effetti di quel profondo pudore e di quella coscienza particolare della nostra felicità che ci fa credereforse non senza ragioneche i nostri pensieri siano scritti in fronte e che balzino agli occhi altrui.

Accorgendosi finalmente della gelida nudità della casa paternala povera giovane provava una specie di dispetto nel non poterla mettere in armonia con l'eleganza del cugino. Provò un bisogno appassionato di fare qualcosa per lui: che cosa? Lei stessa non ne sapeva nulla. Ingenua e schiettasi abbandonava alla sua natura angelica senza diffidare delle sue impressioni e dei suoi sentimenti. Il solo vedere suo cugino aveva destato in lei le inclinazioni naturali della donnae queste dovettero dispiegarsi tanto più vivacemente in quantoavendo raggiunto i ventitré annisi trovava nella pienezza della sua intelligenza e dei suoi desideri. Per la prima volta sentì nel cuore una specie di terrore alla vista del padrevide in lui il padrone della propria sortee si credette colpevole di un fallo nascondendogli qualcuno dei suoi pensieri. Si mise a camminare a passi precipitosimeravigliandosi di respirare un'aria più puradi sentire i raggi del sole più vivificantie di attingervi un calore moraleuna vita nuova. Mentre cercava un pretesto per far fare la focacciasi accendeva tra Nanon e Grandet uno di quei battibecchi così rari tra di loro come le rondini d'inverno. Munito delle sue chiavi egli era sceso per misurare la quantità dei viveri necessari ai pasti della giornata - E' avanzato pane di ieri? - disse a Nanon.

- Neanche una briciolasignore.

Grandet prese una grossa pagnottaben infarinataformata in uno di quei panieri piatti che servono per fare il pane in Angiò e stava per tagliarlaquando Nanon gli disse:

- Oggi siamo in cinquesignore.

- E' vero - rispose Grandet - ma la pagnotta pesa sei libbree ne avanzerà. E poivedraiquesti giovanotti di Parigi non mangiano pane.

- E allora mangeranno la "frippe" - disse Nanon.

Nell'Angiò la frippeparola del lessico popolaresignifica quel che si mangia col pane: dal burro spalmato sui crostinifrippevolgarefino alla marmellata di pescala più fine delle "frippe"; e tutti quelli chenell'infanziahanno leccato la "frippe" e lasciato il panecapiranno la portata di questa locuzione.

- No - rispose Grandet - non mangiano né "frippe" né pane. Sono quasi come ragazze da marito.

Infinedopo aver parsimoniosamente ordinato il pasto quotidianoil brav'uomo stava per avviarsi verso la piccola stanza in cui si conservava la fruttadopo averebenintesochiuso gli armadi della dispensaquando Nanon lo fermò per dirgli: - Signoredatemi però farina e burro per fare una focaccia ai ragazzi.

- Ma vorresti forse saccheggiare la casa per mio nipote?

- Non pensavo proprio a vostro nipote più che al canepiù di quanto non ci pensiate voi. Ma intanto non mi avete dato che sei pezzi di zuccheroe ce ne vogliono otto.

- Ohé!Nanonsai che non ti ho mai visto a questo modo? Ma che cosa ti passa dunque per la testa? Sei forse la padrona tuqui?

Sei pezzi di zucchero bastano.

E allora vostro nipote con che cosa addolcirà il caffè?

- Con due pezzi; ne farò a meno io.

- Voi fare a meno dello zuccheroalla vostra età? Preferirei comprarvelo di tasca mia.

- Impicciati dei fatti tuoi.

Nonostante il calo del prezzolo zucchero era sempreagli occhi del bottaiola più preziosa derrata colonialee per lui valeva sempre sei franchi la libbra. L'obbligo di economizzarlosotto l'Imperoera diventata la sua più indelebile abitudine. Ma tutte le donneanche le più semplicisanno giocare d'astuzia per raggiungere i loro scopie così Nanon lasciò la faccenda dello zucchero per ottenere la focaccia.

- Signorina - gridò dalla finestra - non è vero che volete la focaccia?

- Nono - rispose Eugenia.

- AndiamoNanon - disse Grandet sentendo la voce della figlia- prendi. - Aprì la madia dov'era la farinagliene diede la quantità giusta e aggiunse qualche oncia di burro al pezzo che aveva già tagliato.

- Ora ci vuole la legna per accendere il forno - disse l'implacabile Nanon.

- Va beneprendine quanta ne occorre - gli rispose malinconicamente - ma allora fa' una torta di frutta e cuoci al forno tutto la cenacosì non accenderai due fuochi.

- Eh! - esclamò Nanon - non avete bisogno di dirmelo.

Grandet gettò sul suo fedele ministro uno sguardo quasi paterno. - Signorina - gridò la cuoca - avremo una focaccia - . Papà Grandet ritornò carico di frutta e ne dispose una prima scodellata sul tavolo di cucina. - Guardatesignore - gli disse Nanon - che begli stivali ha vostro nipote! Che cuoioe come odora! Ma con che cosa si pulisconoquesti? Devo usare il vostro lucido all'uovo?

- Nanoncredo che l'uovo guasterebbe quel cuoio. Del restotu digli che non conosci il modo di dar la cera al marocchinosìè marocchinoe vedrai che lui stesso a Saumur comprerà e ti porterà quel che occorre per lucidare i suoi stivali. Ho sentito dire che in quella vernice ci mettono dello zucchero per renderla brillante.

Allora è buona da mangiare - disse la domestica avvicinando gli stivali al suo naso. - Ma sentima sentiodorano come l'acqua di colonia della signora. Ahche cosa curiosa!

- Curioso! - disse il padrone - trovi curioso spendere per gli stivali più soldi di quanti non ne valga chi li porta?

- Signore - essa disse al secondo viaggio del suo padrone che aveva chiuso lo stanzino della frutta- non mi farete fare il bollito un paio di volte alla settimanadato che c'è vostro...

- Sì.

- Allora dovrò andare dal macellaio.

- Niente affattoci farai il brodo di polloi fittavoli non te lo faranno mancare. Ma voglio dire a Cornoiller di ammazzarmi qualche corvo. E' la selvaggina che fa il miglior brodo del mondo.

- E' verosignoreche mangiano i morti?

- Che stupida seiNanon! Mangianocome tuttiquello che trovano. E forse che pure noi non viviamo di morti? Che cosa è la successione? - Papà Grandetnon avendo altri ordini da impartiretirò fuori l'orologio evedendo che poteva ancora disporre di una mezz'ora prima della colazioneprese il cappellobaciò la figlia e le disse: - Vuoi fare una passeggiata lungo la Loiraper i miei prati? Ci devo sbrigare qualche faccenda.

Eugenia andò a mettersi il cappello di pagliafoderato di taffetà rosa; poipadre e figlia discesero per la strada tortuosa fino alla piazza.

- Dove ve ne andatecosì di buon mattino? - disse il notaio Cruchot incontrando Grandet.

- A vedere alcune cosette - questi rispose senza lasciarsi ingannare circa lo scopo della passeggiata mattutina dell'amico.

Quando papà Grandet andava a vedere qualche cosail notaio sapeva per esperienza che c'era sempre di che guadagnare con lui. E perciò lo accompagnò.

- VeniteCruchot? - disse Grandet al notaio. - Poiché vi annovero fra i miei amicivi dimostrerò come sia una bestialità piantare i pioppi in un buon terreno...

- E vi sembrano dunque niente i sessantamila franchi che vi hanno fatto intascare quelli che avevate nelle vostre praterie della Loira? - disse Cruchot spalancando due occhi inebetiti. - Siete stato fortunato! Tagliare gli alberi proprio quando a Nantes mancava il legno bianco e venderli a trenta franchi!

Eugenia ascoltava senza sapere che era arrivata al momento più solenne della sua vita e che il notaio si accingeva a far pronunciare su di lei una decisione paterna e sovrana. Grandet era arrivato ai magnifici prati che possedeva sulle rive della Loira e dove trenta braccianti erano intenti a sterrarecolmarelivellare le fosse occupate prima dai pioppi.

- Cruchotguardate quanto terreno occupa un pioppo - disse al notaio. - Giovanni - gridò a un bracciante - mi... mi... misura con la canna in tu... tu... tutti i sensi!

- Quattro volte otto piedi - rispose il bracciantedopo aver finito.

- Trentaduepiedi perduti - disse Grandet a Cruchot. - Avevo su questa linea trecento pioppinon è vero ? Ora... trece... ce...

ce... cento volte trenta d... ue pie... piedi me ne man... man...

man... mangiavano ci... inquecento di fieno; aggiungeteci due volte tanto ai latimillecinquecento; altrettanto le file del centro. In totale me... me... mettiamo mille balle di fieno.

- Ebbene! - disse Cruchotper aiutare il suo amico - mille balle di quel fieno valgono circa seicento franchi.

- Di.. di.. dite mi... mi... mille duecento perché ce ne sono tre o quattrocento di guaime. Alloraca... ca... ca... calcolate quel che mi... milleduecento franchi all'anno du... du... durante quaranta anni da.. danno co... co... con gli in.. in... interessi con... con... composti che... che... che... sapete.

- Vada per sessantamila franchi - disse il notaio.

- Lo credo bene! Sa... sa... saranno sessantamila franchi. E allora - riprese il vignaiolo senza più balbettare - duemila pioppi di quarant'anni non mi renderebbero neppure cinquantamila franchi. C'è dunque una perdita. Sono stato io ad accorgermi di questo - disse Grandetassumendo un'aria orgogliosa. - Giovanni - riprese a dire-colma le fossenon quelle dalla parte della Loiradove pianterai i pioppi che ho comprato. Vicino alla rivasi nutriranno a spese del governo - aggiunse volgendosi verso Cruchot e imprimendo alla verruca del suo naso un leggero movimento che valeva come il più ironico dei sorrisi.

- E' chiaro: i pioppi non si devono piantare che su terreni magri - disse Cruchotstupefatto dai calcoli di Grandet.

- Signorsì - rispose ironicamente il bottaio.

Eugeniache contemplava il sublime paesaggio della Loira senza ascoltare i calcoli del padreprestò invece attenzione alla parole di Cruchot sentendo dire al suo cliente: E cosìavete fatto venire un genero da Parigi; non si parla che di vostro nipote in tutta Saumur. Avrò presto un contratto da stipularepapà Grandet?

- Vo... voi siete u... u... scito di buo... buon'ora per dirmi questo ? - riprese Grandetaccompagnando tale riflessione con un movimento della verruca. - Ebbenemio vecchio cameeeeratasarò francovi dirò quel che vooo... vooo... lete sa... sapere.

Preferireiveeedete ge... gettare mia fi... fi... figlia nella Loirapiuttosto che daaarla a sua cuuugino: po... po... tete diiirlo a tutti. Ma nolasciate pure che la gen... te chiacchieri.

Questa risposta diede il capogiro a Eugenia. Le lontane speranze che avevano cominciato a spuntare nel suo cuored'un subito fiorironosi realizzarono e formarono un fascio di fioriche vide recisi e giacenti a terra. Dal giorno precedenteessa s'era attaccata a Carlo con tutti quei legami di felicità che uniscono le anime; ormai li avrebbe corroborati il dolore. Non è forse nobile destino della donna quello d'esser più toccata dalle pompe della miseria che dagli splendori della fortuna? Come mai il sentimento paterno aveva potuto spegnersi in fondo al cuore di suo padre? Di quale delitto Carlo era colpevole? Domande misteriose!

Il suo amore nascentemistero tanto profondosi avvolgeva già di misteri. Si incamminò verso casa con le gambe tremanti eimboccando la vecchia strada scuraprima così gaia per leile trovò un aspetto tristeci respirò la malinconia che il tempo e le cose vi avevano impresso. L'amore le aveva impartito tutti i suoi insegnamenti. A pochi passi dalla casaprecedette il padre e l'attese alla porta dopo aver picchiato. Ma Grandetvisto nelle mani del notaio un giornale ancora sotto fasciagli aveva chiesto: - A quanto sono i fondi pubblici?

- Voi non volete darmi ascoltoGrandet - gli rispose Cruchot. - Comprateli prestoc'è ancora da guadagnare il venti per cento in due annioltre gli interessi a un tasso eccellente; cinquemila lire di rendita per ottantamila franchi. I fondi stanno a ottanta franchi e cinquanta.

- Vedremo - rispose Grandetlisciandosi il mento.

- Omio Dio! - disse il notaio.

- Perchécosa c'è? - esclamò Grandet nel momento in cui Cruchot gli metteva il giornale sotto gli occhi dicendogli: - Leggete questo articolo...

"Il signor Grandetuno dei commercianti più stimati di Parigisi è fatto ieri saltar le cervella dopo aver fatto la sua solita comparsa in Borsa. Aveva già inviato al presidente della Camera dei Deputati le sue dimissionie s'era già dimesso anche dalle funzioni di giudice al tribunale di commercio. I fallimenti dei signori Roguin e Souchetrispettivamente suo agente di cambio e suo notaiolo hanno portato alla rovina. La stima li cui godeva il signor Grandet e il suo credito erano tuttavia taliche egli avrebbe certamente trovato sovvenzioni sulla piazza li Parigi. E' doloroso che un uomo tanto onorato abbia ceduto a un primo impeto li disperazione"eccetera.

- Lo sapevo - disse il vecchio vignaiolo al notaio.

Queste parole agghiacciarono Cruchot il qualenonostante la sua impassibilità di notaiosi sentì scorrere un brivido per la schiena pensando che il Grandet di Parigi aveva forse implorato invano i milioni dal Grandet di Saumur.

- E suo figlioieri sera così allegro...

- Non sa ancora nulla - rispose Grandet con la stessa calma.

- Arrivedercisignor Grandet - disse Cruchotche capì tutto e andò a rassicurare il presidente di Bonfons.

EntrandoGrandet trovò la colazione pronta. La signora Grandet che Eugenia abbracciò con impeto per baciarla con quella viva effusione di cuore che ci produce un dolore segretoera già sulla sua sedia a zoccoli e lavorava a maglia certe sue maniche per l'inverno.

Mangiate pure - disse Nanonscendendo i gradini quattro a quattro; - il ragazzo sta dormendo come un cherubino. Quanto è grazioso con gli occhi chiusi! Sono entratal'ho chiamato. Come se avessi parlato al muro.

- Lascialo dormire - disse Grandet. - Si sveglierà sempre troppo presto oggi per apprendere brutte notizie.

- Cosa è dunque accaduto? - chiese Eugenia mettendo nel caffè due zollette di zucchero che pesavano non si sa bene quanti grammi e che il brav'uomo si divertiva a tagliare lui stesso nei ritagli di tempo. La signora Grandetche non aveva osato fare quella domandaguardò il marito.

- Suo padre si è fatto saltare le cervella.

- Mio zio?... - disse Eugenia.

- Ohpovero ragazzo! - gridò la signora Grandet.

- Sìpovero - ripeté Grandet - perché non ha più un soldo.

- E intanto dorme come se fosse il re della terra - disse Nanon con un accento dolce.

Eugenia smise di mangiare. Il suo cuore si strinsecome si stringe quando per la prima volta la compassioneprovocata dalla disgrazia che colpisce colui che si amasi diffonde in tutto l'essere di una donna. E si mise a piangere.

- Non lo conoscevi neppuretuo zioe allora perché piangi? - le disse suo padrelanciandole uno di quegli sguardi di tigre affamata che indubbiamente doveva gettare ai suoi mucchi d'oro.

- Ma signore - disse la domestica - come non sentire pietà per quel povero ragazzo che dorme come un ghiro senza sapere quel che l'aspetta?

- Non parlo con te Nanon! Tieni la lingua a posto.

Eugenia imparò da quel momento che la donna innamorata deve sempre celare i propri sentimenti. E non pronunciò parola.

- Spero che fino al mio ritorno non gli direte nulla - disse alla moglie il vecchiocontinuando. - Devo andare a far sistemare il fosso dei prati lungo la strada. Tornerò a mezzogiorno per la seconda colazionee allora parlerò con mio nipote delle sue faccende. Quanto a teEugeniase piangi per quel bellimbustopuoi smetterla. Partiràe al più prestoper le Indie. E non lo vedrai più...

Il padre prese i guanti posati sulla falda del cappelloli calzò con la sua calma abitualeli assestò intrecciando tra loro le ditae uscì.

- Ohmammaio soffoco - gridò Eugenia quando fu sola con la madre. - Non ho mai sofferto tanto - . La signora Grandetvedendo sua figlia impallidireaprì la finestra e le fece respirare l'aria pura. - Mi sento meglio - disse Eugenia dopo un momento.

Una tale crisi nervosa in un temperamento fino allora in apparenza calmo e freddo scosse la signora Grandetche guardò sua figlia con quella intuizione simpatica di cui sono dotate le madri per l'oggetto della loro tenerezzae indovinò tutto. Main veritàla vita delle celebri sorelle ungheresi attaccate l'una all'altra per un errore della naturanon era stata più intima di quella di Eugenia e di sua madrevissute sempre insieme in quel vano di finestrainsieme in chiesae respiranti insieme la stessa atmosfera.

- Mia povera figliola - disse la signora Grandetprendendo fra le sue mani la testa di Eugenia per appoggiarla al suo seno.

A quelle parolela ragazza rialzò il capointerrogò la madre con uno sguardone scrutò i segreti pensierie le disse:

- Perché mandarlo nelle Indie? Se ha avuto una disgrazianon deve forse restare qui? Non è il nostro più prossimo parente?

- Sìfiglia miaquesto sarebbe molto naturale; ma tuo padre avrà le sue ragionie noi dobbiamo rispettarle.

La madre e la figlia sedettero silenziosel'una sulla sedia a zoccolil'altra sulla sua poltroncina; e tutte e due ripresero il loro lavoro. Piena di riconoscenza per l'ammirevole comprensione testimoniatale da sua madreEugenia le baciò la mano dicendole:

- Quanto sei buonamamma mia cara! - Queste parole fecero raggiare il vecchio volto maternoavvizzito da lunghe sofferenze.

- Lo trovi bello? - le chiese Eugenia.

La signora Grandet rispose solo con un sorriso; poidopo un istante di silenziodisse a bassa voce:

- Ne saresti già dunque innamorata? Sarebbe male.

- Male - riprese Eugenia - e perché? Piace a tepiace a Nanonperché non dovrebbe piacermi? Ma sumammaapparecchiamo la tavola per la sua colazione. - Gettò via il lavoroe la madre fece altrettanto dicendole:

- Pazzerella! - Ma fu lieta di giustificare la follia di sua figliacondividendola. Eugenia chiamò Nanon.

- Che volete ancorasignorina?

- Potrai farci un po' di crema per mezzogiorno?

- Per mezzogiorno sì - rispose la vecchia domestica.

- Benema intanto fagli un caffè forte! ho sentito dire dal signor de Grassins che il caffè si fa sempre molto forte a Parigi.

Mettine parecchio.

- E dove volete che lo vada a prendere?

- Compralo.

- E se il padrone m'incontra?

- E' andato ai suoi prati.

- Corro. Ma vi avverto che il signor Fessard mi ha già chiesto se a casa nostra c'erano i tre Magiquando mi ha dato la stearica.

Tutta la città saprà che facciamo questi sprechi.

- Se tuo padre si accorge di qualche cosa - disse la signora Grandet - è capace di picchiarci.

- Ebbene ci picchieràe noi riceveremo le sue busse in ginocchio.

La signora Grandet levò gli occhi al cielo per tutta risposta.

Nanon si mise la cuffia e uscì. Eugenia apparecchiò la tavola con biancheria di bucatoandò a cercare qualche grappolo d'uva che si era divertita a stendere sulle corde del granaiocamminò lungo il corridoio con passo leggero per non svegliare il cuginoe non poté fare a meno di non ascoltare davanti alla porta della sua camera il respiro che emanava a intervalli uguali dalle sue labbra. "La sventura veglia mentre lui dorme"si disse. Prese le foglie di vite più verdidispose i grappoli così graziosamente come avrebbe potuto farlo un esperto maestro di casae li collocò trionfalmente sulla tavola. Fece man bassa in cucinadelle pere contate da suo padree le dispose a piramide tra le foglie.

Andavavenivatrottavasaltellava. Avrebbe voluto saccheggiare tutta la casa del padre; ma egli aveva la chiave di tutto. Nanon tornò con due uova fresche. Vedendo le uovaEugenia provò il desiderio di saltarle al collo.

- Il fittavolo della Landa ne aveva nel suo panieregliele ho chiestee lui me le ha date per farmi piacereil bravo ragazzo.

Dopo due ore di preparatividurante le quali Eugenia lasciò venti volte il lavoro per andare a vedere se il caffè bollivaper andare ad ascoltare il rumore che faceva suo cugino alzandosiriuscì a preparare una colazione molto semplicepoco costosache derogava tuttavia tremendamente dalle abitudini inveterate della casa. La colazione di mezzogiorno si consumava in piedi. Ognuno prendeva un po' di paneun frutto o del burroe beveva un bicchiere di vino. Nel vedere la tavola apparecchiata vicino al fuocouna delle poltrone posta davanti al coperto di suo cuginoi due piatti di fruttail portauovala bottiglia di vino biancoe lo zucchero ammonticchiato in un piattinoEugenia tremò in tutte le membra pensando soltanto allora agli sguardi che le avrebbe lanciato il padrese fosse entrato in quel momento. E perciò guardava pure spesso la pendolaper calcolare se il cugino avrebbe fatto in tempo a far colazione prima del ritorno del brav'uomo.

- Sta' tranquillaEugeniase tuo padre verràmi addosserò io la responsabilità di tutto - disse la signora Grandet.

Eugenia non poté trattenere una lacrima.

- Oh!mia buona mamma - esclamò - non ti ho mai voluto bene abbastanza!

Carlodopo aver fatto mille giri per la cameracanterellandofinalmente discese. Per fortunanon erano che le undici. Il Parigino! Aveva messo tanta civetteria nell'abbigliarsiquanta ne avrebbe usata se si fosse trovato nel castello della nobile dama che viaggiava in Scozia. Entrò con quell'aria affabile e sorridente che sta così bene alla gioventùe che fece provare a Eugenia una gioia venata di tristezza. Egli aveva preso con spirito il disastro dei suoi castelli in Angiò e si avvicinò alla zia molto giocondamente.

- Avete passato bene la nottecara zia? E voicugina?

- Bene? e voi? - disse la signora Grandet.

- Iobenissimo.

- Dovrete avere appetitocugino - disse Eugenia - mettetevi a tavola.

- Ma io non faccio mai colazione prima di mezzogiornoora in cui mi alzo. Tuttavia ho mangiato così male in viaggioche farò come volete. Del resto... - E tirò fuori dalla tasca il più delizioso orologio piatto che Breguet abbia mai fabbricato. - To'sono appena le undici. Sono stato mattiniero.

- Mattiniero? - disse la signora Grandet.

- Sìma volevo mettere a posto la mia roba. Ebbenemangerò volentieri qualche cosa: un'ineziaun po' di pollouna pernice.

- Santa Vergine! - esclamò Nanon nell'udire queste parole.

- Una pernice - diceva fra sé Eugeniache per una pernice avrebbe speso tutto il suo peculio.

- Accomodatevi - gli disse la zia.

Il dandy si lasciò cadere sulla poltrona come una bella signora sul suo divano. Eugenia e sua madre presero le sedie e si misero vicino a lui dinanzi al fuoco.

- Vivete sempre qui? - domandò loro Carlotrovando la sala ancora più brutta di giorno di quanto non gli fosse sembrata alla luce delle candele.

- Sempre - gli rispose Eugenia guardandolo - fuorché durante la vendemmia. Allora andiamo ad aiutare Nanon e alloggiamo nell'abbazia di Noyers.

- Non fate mai qualche passeggiata?

- Qualche volta la domenicadopo i vesprise è bel tempo - disse la signora Grandet - andiamo sul ponteo a veder falciare il fieno.

- Avete qui un teatro?

- Andare al teatro - esclamò la signora Grandet - vedere i commedianti? Masignorenon sapete che questo è un peccato mortale?

- Eccosignore - disse Nanon portando le uova - vi serviremo dei polli al guscio.

- Oh! le uova fresche - disse Carloil qualecome tutte le persone abituate al lussonon pensava già più alla pernice. - Ma sono deliziose! Non ci sarebbe un po' di burrocara ragazza?

- Ah!del burro? Ma allora non avrete la focaccia - disse la domestica.

- Ma dagli il burroNanon - esclamò Eugenia.

La giovane osservava suo cugino che preparava i crostinie ne era tanto soddisfattaquanto la più sensibile sartina di Parigi nel vedere rappresentare un melodramma nel quale trionfi l'innocenza.

E' pur vero che Carloeducato da una madre assai fineperfezionato da una donna alla modaaveva movenze civettuoleelegantilievicome quelle d'una piccola amante. La compassione e la tenerezza d'una giovane hanno un influsso veramente magnetico. Sicché Carlovedendosi fatto oggetto delle attenzioni della cugina e della zianon poté sottrarsi all'influsso dei sentimenti che si dirigevano verso di lui e cheper così direlo inondavano. Egli gettò su di Eugenia uno di quegli sguardi lucenti di bontàcarezzevoliuno sguardo che sembrava un sorriso. Si accorseosservando Eugeniadella squisita armonia dei lineamenti di quel puro voltodella sua innocente espressionedel chiaro magico dei suoi occhidove scintillavano giovanili pensieri d'amoree dove il desiderio ignorava la voluttà.

- In fede miacara cuginase vi trovaste a un palco e in toletta all'Opéravi garantisco che la zia avrebbe proprio ragione:

fareste commettere molti peccati di desiderio agli uomini e di gelosia alle donne.

Questo complimento serrò il cuore di Eugenia e lo fece palpitare di gioiabenché non avesse compreso nulla.

- Oh!cuginovoi volete prendere in giro una povera provinciale.

- Se mi conoscestecuginasapreste ch'io aborro dall'ironiache fa inaridire il cuore e offende tutti i sentimenti... - E inghiottì con molta grazia il crostino imburrato. - Noforseio non ho tanto spirito da burlarmi degli altrie un tale difetto mi fa molto torto. A Parigisi trova modo di assassinare un uomo dicendogli: Ha buon cuore. Questa frase vuol dire: quel povero ragazzo è stupido come un rinoceronte. Ma poiché sono ricco e stimatocapace di colpire un fantoccio al primo colpo alla distanza di trenta passi con qualsiasi specie di pistola e in campo apertochi burla mi rispetta.

- Ciò che ditecaro nipotedimostra che avete buon cuore.

- Che bell'anello che avete - disse Eugenia - sono indiscreta se vi chiedo di vederlo?

Carlo tese la mano sfilando l'anelloed Eugenia arrossì sfiorando con la punta delle dita le unghie rosee del cugino.

- Guardate mammache bel lavoro.

- Ohce n'è dell'oro - disse Nanon che portava il caffè.

- E che cosa è mai questo? - chiese Carlo ridendo. E indicava un recipiente oblungodi terra scuraverniciatomaiolicato internamenteorlato da una frangia di ceneree in fondo al quale cadeva il caffèche tornava alla superficie ribollendo.

- E' caffè bollito - disse Nanon.

- Ah!cara ziaio lascerò almeno qualche traccia benefica del mio passaggio qui. Siete alquanto arretrati! Vi insegnerò io a fare del buon caffè in una caffettiera alla Chaptal!

E tentò di spiegare il funzionamento della caffettiera alla Chaptal.

- Ah!ma se ci vuole tanto - disse Nanon - bisognerebbe passarci la vita. Non farò mai il caffè così. Ahsì... E chi taglierebbe l'erba per la muccase dovessi fare il caffè in questo modo?

- Lo farò io - disse Eugenia - Bambina - disse la signora Grandet guardando la figlia.

A questa parolache ricordava il dolore che fra poco avrebbe colpito il disgraziato giovanele tre donne tacquero e lo guardarono con un'aria di commiserazione che lo colpì.

- Cosa avete maicugina?

- Zitta! - disse la signora Grandet a Eugeniache stava per parlare.

- Tu saifigliola miache tuo padre si è assunto l'incarico di parlare al signore...

- Dite pure a Carlo - interruppe il giovane Grandet.

- Ah!vi chiamate Carlo? E' un bel nome - esclamò Eugenia.

Le disgrazie previste arrivano quasi sempre. In quel momento Nanonla signora Grandet ed Eugeniache non pensavano senza un brivido al ritorno del vecchio bottaioudirono un colpo di picchiotto il cui rumore era loro ben noto.

- Ecco il babbo - disse Eugenia.

E tolse il piattino con lo zuccherolasciandone qualche pezzo sulla tovaglia. Nanon portò via il piatto delle uova. La signora Grandet si alzò come una cerva spaurita. Fu un timor panicodi cui Carlo dovette ben meravigliarsi.

- Che diamine avete? - chiese loro.

- Ma è il babbo che viene - disse Eugenia.

- Ebbene?...

Il signor Grandet entròlanciò un suo sguardo significativo sulla tavolasu Carlo: vide tutto.

- Ah!ah! Avete fatto festa a vostro nipotebenemolto bene benissimo! - disse senza balbettare. - Quando dorme il gattoi topi ballano.

- Festa?... - si disse Carlo incapace di immaginare il regime e le abitudini della casa.

- Dammi il mio bicchiereNanon - disse il brav'uomo.

Eugenia portò il bicchiere. Grandet trasse dal taschino un coltello del manico di corno dalla lunga lamatagliò una fetta di paneprese un po' di burrolo spalmò con curae si mise a mangiare in piedi. In quel momento Carlo stava mettendo lo zucchero nel suo caffè. Papà Grandet vide i pezzi di zuccheroguardò la moglie che impallidìe fece tre passi; si chinò verso l'orecchio della povera donna e le disse:

- E dove avete mai preso tutto questo zucchero?

- Nanon è andata a comprarlo da Fessardnon ce n'era più.

E' impossibile immaginare l'interesse profondo che questa scena muta destava nelle tre donne: Nanon aveva lasciato i fornelli e guardava nella sala per vedere come le cose sarebbero andate.

Carloassaggiato il caffèlo trovò troppo amaroe cercò lo zucchero che Grandet aveva già riposto.

- Che cosa voletenipote?

- Lo zucchero.

- Metteteci del latte - rispose il padrone di casa - e il vostro caffè s'addolcirà.

Eugenia riprese il piattino con lo zucchero che Grandet aveva già ripostoe lo rimise in tavolaguardando il padre tranquillamente. Certola parigina cheper agevolare la fuga dell'amantesostiene con le sue deboli braccia una scala di setanon mostra tanto coraggio quanto ne mostrava Eugenia rimettendo lo zucchero sulla tavola. L'amante ricompenserà la pariginache gli farà vedere orgogliosamente un bel braccio pestoi cui lividi saranno bagnati di lacrimedi bacie guariti dal piacere; mentre Carlo non avrebbe mai saputo il segreto della profonda agitazione che spezzava il cuore della cuginafulminata in quel momento dallo sguardo del vecchio bottaio.

- E tumoglienon mangi?

La povera ilota si fece avantitagliò contrita un pezzo di panee prese una pera. Eugenia offrì audacemente al padre un grappolo d'uva dicendogli:

- Mangia un po' della mia uva conservatapapà! E voi purecuginone prenderetenon è vero? Sono andata a prendere questi bei grappoli proprio per voi.

- Ohé!se qualcuno non le fermaqueste donne saccheggeranno tutta Saumur per voinipote. Quando avrete finitoandremo insieme in giardinopoiché devo dirvi alcune cose che proprio non sono zuccherate.

Eugenia e sua madre lanciarono a Carlo uno sguardoe dall'espressione di esso il giovane non poté ingannarsi.

- Che cosa vogliono dire queste parolezio? Dopo la morte della mia povera mamma (a queste due ultime parolela sua voce si ammorbidì) non c'è disgrazia possibile per me...

- Nipote miochi può conoscere i dolori coi quali Dio vuol provarci? - gli disse la zia.

- Ta! ta! ta! ta! - disse Grandet - ecco che cominciano le sciocchezze. Io guardo con una certa penanipotele vostre belle mani bianche. - E gli mostrò quella specie di scapole di montone che la natura aveva posto alle estremità delle sue braccia. - Ecco delle mani fatte apposta per raccogliere gli scudi! Voi siete stato abituato a porre i vostri piedi entro la pelle con cui si fabbricano i portafogli dove noi chiudiamo i biglietti di banca.

Male! Male!

- Che cosa volete direzio? Vorrei essere impiccato se capisco una parola.

- Venite con me - disse Grandet. L'avaro fece scattare la lama del coltellobevve il resto del vino bianco e aprì la porta.

- Cuginofatevi coraggio!

L'accento della ragazza aveva agghiacciato Carloche seguì il suo terribile parentein preda a mortali inquietudini. Eugeniasua madre e Nanon andarono in cucinapunte da una invincibile curiosità di spiare i due attori della scena che stava per svolgersi nel piccolo giardino umidodove lo zio passeggiò dapprima in silenzio col nipote. Grandet non era imbarazzato a dover partecipare a Carlo la morte di suo padrema provava una specie di compassione sapendolo senza un soldoe cercava le parole adatte per addolcire l'espressione di quella cruda verità.

"Avete perduto vostro padre"era dire ben poca cosa. I padri muoiono prima dei figli. Ma: "Voi non possedete più niente!" erano parole in cui si trovavano assommate tutte le disgrazie della terra. Perciò il brav'uomo feceper la terza voltain silenzioil giro del viale centralee la sabbia scricchiolava sotto le scarpe. Nelle grandi circostanze della vitala nostra anima si attacca tenacemente ai luoghi in cui i piaceri e i dolori si riversano su di noi. Carlo perciò esaminava con attenzione particolare i bossi del giardinettole foglie pallide che cadevanoi guasti delle murale bizzarrie degli alberi da fruttodettagli pittoreschi che dovevano rimanere impressi nel suo ricordoeternamente frammisti a quell'ora supremada una mnemotecnica particolare alle passioni.

- Fa caldoè bel tempo - disse Grandet - aspirando una gran boccata d'aria.

- Sizioma perché...

- Ebbene!ragazzo mio - riprese lo zio - ho da darti cattive notizie. Tuo padre sta molto male...

- E io sono ancora qui? - disse Carlo. - Nanon! - gridò - prestoi cavalli da posta. Troverò una vettura in paese - aggiunse volgendosi verso suo zioche restava immobile.

- I cavalli e la vettura sono inutili - rispose Grandet. Carlo rimase mutoimpallidìe i suoi occhi divennero fissi. - Sìpovero ragazzohai indovinato. E' morto. Ma questo è niente. C'è qualcosa di più grave. Si è fatto saltare le cervella.

- Mio padre?...

- Sì. Ma questo è niente. I giornali commentano il fatto come se ne avessero il diritto. To'leggi.

Grandetche si era fatto prestare il giornale da Cruchotpose il fatale articolo sotto gli occhi di Carlo. In quel momento il povero ragazzoancora fanciulloancora nell'età in cui i sentimenti si manifestano con ingenuitàruppe in lacrime.

"Andiamo bene" si disse Grandet. "I suoi occhi mi spaventavano.

Ora piangeeccolo salvo. Questo è ancora nulla"mio povero nipote- riprese Grandet ad alta voce senza badare se Carlo lo ascoltasse - questo è nullatu ti consolerai; ma...

- Mai!mai! Padre mio! Padre mio!

- Ti ha ridotto alla miserianon hai più un soldo.

- E che cosa m'importa di questo! Dov'è mio padremio padre?

Il pianto e i singhiozzi risuonavano tra quelle mura in modo straziantee si ripercuotevano con gli echi. Le tre donneprese dalla compassionepiangevano: le lacrime sono contagiose come il riso. Carlosenza più ascoltare suo ziofuggi nel cortileimboccò la scalasalì in camerae si gettò ti traverso sul letto nascondendo il volto nelle coperte per piangere a suo agiolontano dai parenti.

- Bisogna far passare il primo acquazzone - disse Grandet rientrando in sala dove Eugenia e sua madre avevano subito ripreso i loro postie lavoravano con mani tremantidopo essersi asciugati gli occhi. - Ma questo ragazzo è un buono a nullasi occupa più dei morti che del denaro.

Eugenia ebbe un brivido nel sentire suo padre esprimersi in questo modo sul più santo dei dolori. Da quel momentoessa cominciò a giudicare suo padre. Anche se attutitii singhiozzi di Carlo si ripercuotevano in quella casa sonora; e il suo pianto profondoche sembrava uscire dalle viscere della terraebbe fine soltanto verso seradopo essersi gradatamente affievolito.

- Povero ragazzo! - disse la signora Grandet.

Fatale esclamazione! Papà Grandet guardò la moglieEugenia e la zuccheriera; si ricordò della colazione eccezionale preparata per il parente sventuratoe si piantò nel mezzo della sala.

- A propositospero - disse con la sua calma abituale - che non continuerete nelle vostre prodigalitàsignora Grandet. Non vi dò mica il mio denaro per ingozzare di zucchero questo scioccherello.

- La mamma non c'entra nulla - disse Eugenia. - Sono io che...

- Forse perché sei maggiorenne - riprese Grandet interrompendo la figlia - vorresti contraddirrni? BadaEugenia...

- Babboal figlio di vostro fratello non doveva mancare in casa vostra il...

- Tatatata - disse il bottaio in quattro toni cromatici - il figlio di mio fratello di quimio nipote di là. Carlo non è nulla per noinon ha il becco d'un quattrino; suo padre è fallito; e dopo che questo bellimbusto avrà pianto a sazietàsloggerà da qui; non voglio che metta la rivoluzione in casa mia.

- Che vuol direbabbofallire? - domandò Eugenia.

- Fallire - riprese il padre - significa commettere l'azione più disonorevole tra tutte quelle che possono disonorare un uomo.

- Deve essere un peccato molto grave - disse la signora Grandet - e vostro fratello sarà dannato.

- Andiamobasta con le tue litanie - disse a sua moglie alzando le spalle. - Il fallimentoEugenia - egli riprese - è un furto che la legge prende disgraziatamente sotto la sua protezione.

Certe personead esempiohanno ceduto le loro merci a Guglielmo Grandet fidando sulla sua reputazione d'onore e di probità; ma lui si è preso tutto e non lascia loro che gli occhi per piangere. Un bandito da strada è preferibile al bancarottiere: quello almenoti assaltae tu puoi difenderti e poi rischia la testa; ma l'altro... InsomrnaCarlo è disonorato.

Queste parole echeggiarono nel cuore della povera ragazza e lo oppressero con tutto il loro peso. Onesta come è delicato un fiore nato nel folto d'una forestaessa non conosceva né le massime che regolano la vita della societàné i suoi ragionamenti capziosiné i suoi sofismi; accettò dunque l'atroce spiegazione del fallimento che suo padre le dava a bella postasenza farle conoscere la differenza che passa tra un fallimento involontario e un fallimento fraudolento.

- Ma voibabbonon avete potuto impedire questa disgrazia?

- Mio fratello non mi ha interpellato. Del restoegli è in debito di quattro milioni.

- Che cosa sono i milionibabbo? - essa domandò con la ingenuità d'un bambino che crede di poter trovare subito ciò che desidera.

- Quattro milioni - disse Grandet - sono quattro milioni di pezzi da venti soldie ci vogliono cinque pezzi da venti soldi per fare cinque franchi.

- Mio Dio!mio Dio!- esclamò Eugenia - come mai mio zio aveva quattro milioni? C'è qualche altra persona in Franciache ne abbia altrettanti? - (Papà Grandet si accarezzava il mentosorridevae la sua verruca sembrava dilatarsi). - E quale sarà la sorte di mio cugino Carlo?

- Partirà per le Indiedovesecondo il desiderio di suo padrecercherà di fare fortuna.

- Ma ha il denaro per andare là?

- Gli pagherò io il viaggio... fino a... sìfino a Nantes.

Eugenia abbracciò con impeto suo padre.

- Ah!babbocome siete buonovoi!

E lo abbracciava in un mododa rendere quasi vergognoso Grandetche sentiva qualche rimorso di coscienza.

- Ci vuole molto tempo per accumulare un milione?

- Perbacco! - disse il bottaio - tu sai quanto vale un napoleone.

Ebbenene occorrono cinquantamila per fare un milione.

- Mammafaremo dire delle novene per lui.

- Ci stavo pensando - rispose la madre.

- Eccosempre spendere denaro - esclamò il padre. - Ma credete dunque che ce ne siano a migliaia e a centinaiaqui?

In quell'istante un lamento sordopiù lugubre di tutti gli altririsuonò nel granaio e agghiacciò di terrore Eugenia e sua madre.

- Nanonva' su a vedere che non si ammazzi - disse Grandet. - E voi due - riprese rivolgendosi verso la moglie e la figliache a queste parole erano impallidite - non fate sciocchezze. Vi lascio.

Vado a fare la corte ai nostri Olandesiche se ne vanno oggi. Poi andrò a vedere Cruchot e a parlare con lui di tutta questa faccenda.

Uscì. Quando Grandet ebbe chiuso la portaEugenia e sua madre respirarono a loro agio. Prima di quella mattinamai la ragazza s'era sentita a disagio in presenza di suo padre; mada qualche oramutava a ogni momento di sentimenti e d'idee.

- Mammaquanti luigi si ricavano da una botte di vino?

- Tuo padre vende le sue da cento a centocinquanta franchiqualche volta a duecentosecondo quel che ho sentito dire.

- E quando col raccolto fa millequattrocento botti di vino...

- In fede miafigliolanon so quanto ci faccia; tuo padre non mi parla mai dei suoi affari.

- Ma allora il babbo deve essere ricco.

- Forse. Ma il signor Cruchot mi ha detto che aveva comprato Froidfond due anni or sono. E questo lo avrà messo in ristrettezze.

Eugenianon comprendendo più nulla circa le ricchezze di suo padrenon andò più in là coi suoi calcoli.

- Non mi ha neppure vistoil poverino - disse Nanon rientrando. - Sta disteso come un vitello sul lettoe piange come una Maddalenache è proprio una pena a vederlo! Ma perché è così addolorato quel povero bel giovane?

- Andiamo subito su a confortarlomamma; e se qualcuno busseràscenderemo.

La signora Grandet rimase indifesa di fronte all'armoniosa voce di sua figlia. Eugenia era sublimeera donna. Tutt'e duecol cuore palpitantesalirono alla camera di Carlo. L'uscio era aperto. Il giovane non vedevanon sentiva nulla. Immerso nelle lacrimeemetteva gemiti inarticolati.

- Come vuol bene a suo padre! - disse Eugenia a bassa voce.

Era impossibile non riconoscere nell'accento di queste parole le speranze di un cuore a sua insaputa appassionato. Sicché la signora Grandet rivolse a sua figlia uno sguardo pieno di sentimenti maternipoi a bassa voce le disse all'orecchio:

- Badatu forse già lo ami.

- Amarlo! - riprese Eugenia. - Ah!se tu sapessi quel che babbo ha detto!

Carlo si volsevide la zia e la cugina.

- Ho perduto mio padreil mio povero babbo! Se mi avesse confidato il segreto della sua disgraziaavremmo lavorato insieme per mettervi riparo. Mio Dio! Il mio buon babbo! Ero tanto sicuro di rivederloche credo di averlo abbracciato freddamente.

I singhiozzi gli mozzarono la parola.

- Pregheremo per lui - disse la signora Grandet. - Rassegnatevi alla volontà di Dio.

- Cugino mio - disse Eugenia - fatevi coraggio! La perdita che avete subito è irreparabile: pensate ora a salvare il vostro onore...

Con quell'istintocon quella finezza della donna che ha spirito in ogni cosaanche quando essa consolaEugenia voleva distrarre il dolore del cugino per farlo occupare di se stesso.

- Il mio onore?... - esclamò il giovane mandando indietro i capelli con un gesto bruscoe si sedette sul letto incrociando le braccia. - Ah! è vero. Mio padrediceva lo zioè fallito - .

Lanciò uno sguardo straziante e si nascose il volto fra le mani..

- Lasciatemicuginalasciatemi! Mio Dio! Mio Dio! Perdonate a mio padreche ha dovuto chissà quanto soffrire.

C'era qualcosa di orribilmente toccante nel vedere l'espressione di questo dolore giovanileschiettosenza calcolisenza secondi fini. Era un pudico dolore che i cuori semplici di Eugenia e di sua madre compresero quando Carlo fece un gesto per chiedere loro d'esser lasciato solo. Esse disceseroripresero in silenzio i loro posti vicino alla finestrae lavorarono per circa un'orasenza dirsi una parola. Eugenia aveva intravistocon lo sguardo furtivo gettato sugli oggetti del giovanequello sguardo delle ragazze che vedono tutto in un batter d'occhioi graziosi ninnoli della sua tolettale forbicii rasoi ornati d'oro. Quello sprazzo di lusso visto attraverso il dolore le rese Carlo ancor più interessanteforse per contrasto. Mai un avvenimento così gravemai uno spettacolo tanto drammatico aveva colpito l'immaginazione di quelle due creaturecontinuamente immerse nella calma e nella solitudine.

- Mamma - disse Eugenia - dovremo mettere il lutto per lo zio.

- Tuo padre deciderà su questo - rispose la signora Grandet.

Rimasero di nuovo in silenzio. Eugenia dava i suoi punti con una regolarità di movimento che avrebbe rivelato a un osservatore i fecondi pensieri della sua meditazione. Il primo desiderio di quell'adorabile ragazza era di condividere il lutto di suo cugino.

Verso le quattroun brusco colpo di picchiotto risuonò nel cuore della signora Grandet.

- Che cosa ha mai tuo padre? - disse alla figlia.

Il vignaiolo entrò tutto allegro. Dopo essersi tolto i guantisi fregò le mani fin quasi da spellarsi se l'epidermide non fosse stata conciata come il cuoio di Russiasalvo l'odore di larice e d'incenso. Passeggiava per la stanzaguardava che tempo faceva.

Alla fine il suo segreto gli sfuggì di bocca.

- Moglie mia - disse senza balbettare - me li sono giocati tutti.

Il vino è venduto. Gli olandesi e i belgi partivano stamattinaio mi sono messo a passeggiare per la piazzadavanti al loro albergocon aria indifferente... Cosoche tu conosci mi si è avvicinato. I proprietari di tutti i buoni vigneti conservano il loro raccolto e preferiscono aspettaree io non li ho davvero dissuasi. Il nostro belga era disperato. Io me ne sono accorto.

Affare fattoacquista il nostro raccolto a duecento franchi la botteversando la metà in contanti. Pagamento in oro. Le cambiali sono firmateed ecco sei luigi per te. Fra tre mesiil prezzo dei vini calerà.

Queste ultime parole furono pronunciate con un tono calmoma così profondamente ironicoche i cittadini di Saumurraggruppati in quel momento sulla piazzae annientati dalla notizia della vendita che Grandet aveva conclusoavrebbero provato un fremito se le avessero ascoltate. Un timor panico avrebbe fatto calare il prezzo dei vini del cinquanta per cento.

- Avete fatto mille botti quest'annobabbo? - chiese Eugenia.

- Sìfifiglia.

Questa parola era l'espressione superlativa della gioia del vecchio bottaio.

- Sono perciò duecentomila pezzi da venti soldi.

- Sìsignorina Grandet.

- Allorababbovoi potete facilmente venire in aiuto di Carlo.

La meravigliala colleralo stupore di Baldassarre nello scorgere il "Mane-Techel-Fares" non si potrebbero paragonare al freddo corruccio di Grandet il qualenon pensando più a suo nipotelo ritrovava nel cuore e nei calcoli di sua figlia.

- Ma insomma!da quando questo bellimbusto ha messo piede nella MIA casatutto va di traverso. Vi siete messe su un piede di spreco e di lusso. Io non voglio di queste cose. Credo di sapereell'età miacome devo regolarmi! E poinon ho lezioni da prendere né da mia figlia né da nessun altro. Farò per mio nipote ciò che sarà conveniente faree voi non dovete metterci il naso.

Quanto poi a teEugenia - aggiunse rivolgendosi alla figlia - non parlarmene piùaltrimenti ti spedisco all'abbazia di Noyerscon Nanona cambiare aria; e non più tardi di domanise ci ricadi.

Dov'è dunque quel ragazzoè sceso?

- Nocaro - rispose la signora Grandet.

- E che cosa faallora?

- Piange suo padre - rispose Eugenia.

Grandet guardò la figlia senza poter trovare una parola da ridire.

Dopotuttoera un po' padre anche lui. Dopo aver fatto uno o due giri per la salasalì in fretta nel suo studio per riflettere sull'investimento del denaro nei fondi pubblici. I duemila jugeri di bosco tagliato gli avevano reso seicentomila franchi; aggiungendo a tale somma il denaro dei pioppile rendite dell'annata precedente e dell'annata in corsooltre ai duecentomila franchi della vendita poco prima conclusapoteva mettere insieme un totale di novecentomila franchi. Il venti per cento che si poteva guadagnare in poco tempo sulla renditache in quel momento era quotata a ottanta franchilo tentava. Fece i conti del suo affare sul giornale nel quale era annunciata la morte del fratello udendosenza ascoltarlii gemiti del nipote.

Nanon venne a bussare al muro per invitare il padrone a scendere:

il pranzo era pronto. Giunto sotto l'androne e all'ultimo gradino della scalaGrandet diceva a se stesso: "Con l'interesse dell'otto per centol'affare lo farò. In due anni avrò centocinquantamila franchiche ritirerò da Parigi in oro sonante".

- Ebbenemio nipote dov'è?

- Dice che non vuol mangiare - rispose Nanon. - Ma questo non gli fa bene.

- Tanto di risparmiato - replicò il padrone.

- Ahcerto! - essa rispose.

- Oh! non piangerà in eterno. La fame scaccia il lupo dalla tana.

Il pranzo fu stranamente silenzioso.

- E ora - disse la signora Grandet quando la tavola fu sparecchiata - dobbiamo prendere il lutto.

- E' proprio vero che non sapete cosa inventare per buttar via il denaro. Il lutto si porta nel cuore e non negli abiti.

- Ma il lutto d'un fratello è indispensabilee la Chiesa ci comanda di...

- Compratevi gli abiti da lutto coi vostri sei luigi. Per me basterà un po' di crespo.

Eugenia alzò gli occhi al cielo senza dire una parola. Per la prima volta nella sua vitale sue generose inclinazioni sopitecompressema d'un colpo destatevenivano a ogni istante offese.

Quella sera fu simile in apparenza a mille altre della loro esistenza monotonama fu certo la più orribile. Eugenia lavorò senza mai alzare la testae non adoperò la scatola che Carlo il giorno prima aveva disprezzato. La signora Grandet lavorò di maglia alle sue maniche. Grandet rigirò i suoi pollici per quattr'ore immerso in calcoli i cui risultati dovevanol'indomanisbalordire Saumur. Nessuno venne quella sera a far visita alla famiglia. In quel momentotutta la città non faceva che parlare del colpo fatto da Grandetdel fallimento di suo fratello e dell'arrivo di suo nipote. Per cedere al bisogno di chiacchierare dei loro interessi comunitutti i proprietari di vigneti dell'alta e della media società di Saumur si trovavano in casa del signor de Grassinse scagliavano terribili imprecazioni contro l'ex sindaco. Nanon filavae il rumore del suo arcolaio fu la sola voce che si fece udire sotto il soffitto grigio della sala.

- Stasera non consumiamo davvero la lingua - essa disse mostrando i suoi denti bianchi e grossi come mandorle pelate.

- Non bisogna mai sprecare nulla - rispose Grandet destandosi dalle sue meditazioni. Egli vedeva in prospettiva otto milioni in tre annie navigava su quella vasta distesa d'oro. - Andiamocene a letto. Andrò a dire buona notte a mio nipote a nome di tutti e a sentire se vuol prendere qualcosa.

La signora Grandet rimase sul pianerottolo del primo piano per ascoltare il colloquio che stava per svolgersi tra Carlo e il brav'uomo. Eugeniapiù audace di sua madresalì due gradini- Ebbenenipotesiete addolorato? Sìpiangeteè naturale. Un padre è un padre. Ma bisogna sopportare il male con rassegnazione.

Mi sto occupando di voimentre piangete. Sono un buon parentevedete. Andiamocoraggio. Volete bere un bicchierino di vino? Il vino non costa nulla a Saumurqui si offre come in India una tazza di tè. Ma - disse Grandet continuando - voi siete al buio.

Male! Male! bisogna vedere chiaro in ciò che si fa. Grandet si avvicinò al caminetto. - To' - esclamò - ecco una stearica. E dove diamine l'hanno pescata? Quelle birbe demolirebbero il solaio della casa per cuocere le uova a questo ragazzo.

Udendo queste parolela madre e la figlia rientrarono nelle loro camere e si ficcarono a letto con la celerità dei topi spaventati che si rintanano nei loro buchi.

- Signora Grandetpossedete forse un tesoro? - disse l'uomo entrando nella camera della moglie.

- Carosto dicendo le mie preghiereaspettate un momento - rispose con una voce alterata la povera donna.

- Che il diavolo si porti il tuo buon Dio! - replicò Grandet brontolando. Gli avari non credono affatto in una vita futurail presente è tuttoper loro. Questa riflessione getta una orribile luce sull'epoca attuale in cuipiù che in alcun altro tempoil denaro domina le leggila politica e i costumi. Istituzionilibriuomini e dottrinetutto cospira a minare la credenza in una vita futura sulla quale l'edificio sociale si basa da milleottocento anni. Oggi la tomba è un passaggio poco temuto.

L'avvenireche ci attendeva al di là del "requiem"è stato trasportato nel presente. Giungere "per fas et nefas" al paradiso terrestre del lusso e dei vani piaceripietrificare il proprio cuore e macerare il corpo in vista di possessi passeggericome un tempo si soffriva il martirio della vita in vista dei beni eterniecco l'idea di tuttiidea per altro scritta ovunqueperfino nelle leggiche domandano al legislatore; "Quanto paghi?"invece di chiedergli . "Che pensi?". Quando una tale dottrina sarà passata dalla borghesia al popolocosa diventerà il Paese?

- Mogliehai finito? - disse il vecchio bottaio.

- Carosto pregando per te.

- Benissimo!buonanotte. Domattina ne riparleremo.

La povera donna si addormentò come lo scolaro chenon avendo imparato la lezioneteme di trovare al suo risveglioil volto irritato del maestro. Nel momento in cuiper il timoresi avvolgeva nelle lenzuola per non sentir più nullaEugenia entrò di soppiattole si avvicinòin camiciaa piedi nudie la baciò in fronte.

- Oh!mia buona mamma - disse - domani gli dirò che sono stata io.

- Noti manderebbe a Noyers. Lascia fare a menon mi mangerà mica.

- Sentimamma?

- Cosa?

- Non senti?lui piange ancora.

- Ma va' a lettofigliola... Prenderai freddo ai piedi. Il pavimento è umido.

Così trascorse quella solenne giornata che doveva pesare su tutta la vita della ricca e povera ereditierail cui sonno non fu più né così completo né così puro come era stato fino allora. Molto spesso alcune azioni della vita umana sembranoletteralmente parlandoinverosimilianche se vere. Ma ciò non accade forse perché si trascura quasi sempre di gettare nelle nostre determinazioni spontanee una specie di luce psicologicanon spiegando le ragioni misteriosamente concepite che le hanno rese necessarie? Forse la profonda passione di Eugenia andrebbe analizzata nelle sue fibre più delicate; giacché essa divennedirebbe qualche bello spiritouna malattiae influì su tutta la sua esistenza. Molti preferiscono negare le soluzioni piuttosto che misurare la forza dei rapportidei modidei legami che saldano segretamente un fatto con un altro nell'ordine morale. Qui dunque il passato di Eugenia saràper gli osservatori della natura umanadi garanzia alle ingenuità della sua irriflessione e alla spontaneità delle effusioni della sua anima. Più la sua vita era stata tranquillapiù vivamente la pietà femminileil più ingegnoso dei sentimentisi dispiegò nell'animo suo. Perciòturbata dagli eventi della giornataessa si svegliò più volte per tendere l'orecchio verso la camera del cuginocredendo di averne udito i sospiri che dal giorno prima le risuonavano in cuore. Ora le sembrava che dovesse morire di doloreora di fame. Verso il mattinoudì sicuramente una tremenda esclamazione. Si vestì subito e accorse mentre era appena giorno pian piano presso il cuginoche aveva lasciato l'uscio della camera aperto. La stearica si era tutta consumata nello scodellino del candeliere.

Carlovinto dalle forze della naturadormiva vestitoseduto su di una poltronala testa riversa sul letto; sognavacome sogna chi è a stomaco vuoto. Eugenia poté piangere a suo agio; poté ammirare quel giovane e bel visoimpietrito dal doloregli occhi gonfiati dalle lacrime e chesebbene chiusiparevano piangere ancora. Carlo indovinòper simpatiala presenza di Eugeniaaprì gli occhi e la vide intenerita.

- Scusatecugina - disseinconscio dell'ora e del luogo in cui si trovava.

- Ci sono qui dei cuori che vi comprendonocuginoe noi abbiamo pensato che vi potesse occorrere qualcosa. Dovreste coricarvia restare così vi stanchereste troppo.

- Avete ragione.

- Alloraaddio.

E se ne andò in frettavergognosa e insieme felice di essere venuta. Solo l'innocenza è capace di simili audacie. La virtù consapevole è buona calcolatrice quanto il vizio. Eugenia chevicina a suo cuginonon aveva trematopoté a stento tenersi in piedi quando fu nella propria camera. L'inesperienza della sua vita era a un tratto cessataragionòsi mosse mille rimproveri.

"Che idea si sarà fatta di me? Crederà che io lo ami". Era proprio ciò che essa desiderava di più: vederglielo credere. L'amore sincero ha una sua prescienza e sa che l'amore suscita l'amore.

Quale avvenimento per questa ragazza solitarial'essere entrata così furtivamente in camera di un giovanotto. Non ci sono forse in amore pensieriazioni che equivalgonoper alcune animea un santo fidanzamento?

Un'ora dopoentrò nella camera della madree l'aiutò a vestirsicome era abituata a fare. Poiinsieme andarono a sedersi al loro posto davanti alla finestrae aspettarono Grandet con quell'ansia che agghiaccia il cuore o lo riscaldalo stringe o lo dilatasecondo i caratteriallorché si teme una scenatauna punizione; sentimento così naturaledel restoche è provato anche dagli animali domesticial punto da gridare per il lieve dolore di una punizione e da tacere quando si feriscono per una loro inavvertenza. Il brav'uomo discesema parlò con aria distratta alla mogliebaciò Eugeniae si mise a tavola sembrando non pensar più alle minacce del giorno prima.

- Che ne è di mio nipote? In fondoil ragazzo non dà fastidio.

- Signoredorme - rispose Nanon.

- Tanto megliocosì non avrà bisogno della stearica - disse Grandet in tono beffardo.

Quella clemenza insolitaquell'amara gaiezza colpirono la signora Grandetche guardò il marito con molta attenzione. Il brav'uomo... Qui forse conviene far osservare che in Turennanell'Angiònel Poitouin Bretagnala parola "brav'uomo"già spesso da noi usata per designare Grandetè attribuita agli uomini più crudeli come ai più bonariquando sono arrivati a una certa età. Questo titolo non pregiudica affatto la mansuetudine individuale. Il brav'uomo prese dunque cappello e guanti e disse:

- Vado a fare due passi in piazzaper vedere se incontro i Cruchot.

- Eugeniatuo padre cova di certo qualcosa.

Infatti Grandetche abitualmente dormiva pocoimpiegava metà della notte nei calcoli preliminari che conferivano ai suoi progettialle sue riflessioniai suoi pianila loro sorprendente giustezza e assicuravano a essi quel costante successo di cui tanto si meravigliavano gli abitanti di Saumur.

Ogni potere umano è un composto di pazienza e di tempo. I forti vogliono e vegliano. La vita dell'avaro è un costante esercizio della potenza umana posta al servizio della personalità. Egli si basa su due soli sentimenti: l'amor proprio e l'interesse; ma poiché l'interesse è in certo modo l'amor proprio solido e ben intesol'attestazione continua d'una superiorità realel'amor proprio e l'interesse sono le parti di un medesimo tutto:

l'egoismo. Da qui deriva forse la prodigiosa curiosità che suscitano gli avari quando sono abilmente rappresentati sulla scena. Ogni spettatore è legato con un filo a questi personaggi che fanno presa su tutti i sentimenti umani e tutti li riassumono.

Qual è l'uomo senza desiderioe quale desiderio sociale si soddisferà senza denaro? Grandet covava realmente dentro di sé qualcosasecondo l'espressione usata da sua moglie. C'era in luicome in tutti gli avariun persistente bisogno di giocare una partita con gli altri uominidi guadagnare legalmente i loro scudi. Imporsi sugli altrinon è forse compiere un atto di potenzaconcedersi perpetuamente il diritto di sprezzare quelli chetroppo debolisi lasciano in questo basso mondo divorare?

Oh!chi ha ben compreso il simbolo dell'agnello tranquillamente accovacciato ai piedi di Dioil più commovente emblema di tutte le vittime della Terraquello della loro sortecioè la Sofferenza e la Debolezza glorificate? Questo agnellol'avaro lo lascia ingrassarelo tiene all'addiacciolo uccidelo cuocelo mangia e poi lo sprezza. Il nutrimento degli avari consiste nel denaro e nello sprezzo. Durante la nottele idee del brav'uomo avevano preso un altro corso; da lìla sua demenza. Egli aveva ordito una trama per beffarsi dei pariginiper ingannarliraggirarlimanipolarli a suo modofarli andare e veniresudaresperareimpallidire; per divertirsi a loro speseluivecchio bottaio dal fondo della sua sala grigiasalendo la scala tarlata della sua casa di Saumur. Il nipote lo aveva tenuto occupato. Egli voleva salvare l'onore del fratello morto senza che ciò costasse un soldo né al nipote né a lui. I suoi capitali stavano per essere collocati per tre annie in questo periodo egli non avrebbe avuto che da amministrare i propri beni; occorreva perciò un alimento alla sua attività maliziosae lo aveva trovato nel fallimento del fratello. Non sentendo tra le sue zampe nulla da dissanguarevoleva stritolare i parigini a beneficio di Carloe dimostrarsi fratello generoso a buon mercato. L'onore della famiglia entrava così poco nel suo progettoche la sua buona volontà deve essere paragonata al bisogno provato dai giocatori di vedere ben giocata una partita nella quale essi non hanno spesso alcuna posta. E i Cruchot gli erano necessarima non voleva andarli a cercaree aveva deciso di far sì che venissero a casa suae di dare inizio quella stessa sera alla commedia la cui trama era stata da poco concepitaper essere l'indomanisenza che ciò gli costasse un soldooggetto di ammirazione da parte di tutta la città.

Nell'assenza del padreEugenia ebbe la fortuna di potersi occupare apertamente del suo amato cuginodi spargere su di lui senza timore i tesori della sua compassione: una delle sublimi superiorità della donnala sola che essa voglia far sentire; la sola che essa perdoni all'uomo di lasciarle avere su di lui. Per tre o quattro volteEugenia andò ad ascoltare il respiro del cugino; a sapere se dormivase stava per svegliarsi; poiquando egli si alzòla cremail caffèle uovala fruttai piattiil bicchieretutto quel che faceva parte della colazionefu per lei oggetto di qualche cura. Salì lesta la vecchia scala per ascoltare quel che faceva suo cugino. Si vestiva? Piangeva ancora? Giunse alla soglia dell'uscio.

- Cugino!

- Cugina!

- Volete far colazione in sala o in camera?

- Dove volete.

- Come vi sentite ?

- Cugina mia carami vergogno di aver appetito.

Questa conversazione attraverso l'uscio era per Eugenia tutto un episodio di romanzo.

- Ebbenevi porteremo la colazione in cameraper non contrariare mio padre.

E discese in cucina con la leggerezza d'un uccello. - Nanonva' a mettere in ordine la sua camera.

Quella scala così spesso salitadiscesadove risuonava il più piccolo rumoresembrava a Eugenia aver perduto il suo carattere di vetustàla vedeva luminosaparlavaera giovane come leigiovane come il suo amore cui essa serviva. Infine sua madrela sua buona e indulgente madrevolle assecondare i suoi desideri d'amoree quando la camera di Carlo fu in ordineandarono tutte e due a tenere compagnia allo sventurato: la carità cristiana non comandava di consolarlo? Le due donne attinsero dalla religione non pochi piccoli sofismi per giustificare il loro comportamento.

Carlo Grandet si vide dunque fatto oggetto delle premure più affettuose e più tenere. Il suo cuore addolorato sentì vivamente la dolcezza di quell'amicizia vellutatadi quella squisita simpatiache quelle due anime sempre tenute in soggezione seppero effondere trovandosi per un momento libere nella regione delle sofferenzeloro sfera naturale. Sentendosi autorizzate dal vincolo della parentelaEugenia si mise a riordinare la biancheriagli oggetti di toletta che il cugino aveva portato con sée poté estasiarsi a suo agio di tutte le lussuose bagattelledei ninnoli d'argentod'oro cesellato che le capitavano sotto le manie che vi teneva a lungocol pretesto di esaminarli. Carlo vide non senza una profonda tenerezza l'interessamento generoso che gli prestavano la zia e la cugina; conosceva abbastanza la società parigina per sapere che nella sua posizione non avrebbe ormai trovato che cuori indifferenti o freddi. Eugenia gli apparve in tutto lo splendore della sua particolare bellezza. Ammirò da quel momento l'innocenza di quei costumi che la sera prima aveva schernito. Cosìquando Eugenia prese dalle mani di Nanon il bricco di maiolica colmo di caffè con la crema per offrirlo al cugino con tutta l'ingenuità del suo sentimento e dandogli un affettuoso sguardogli occhi di lui si inumidirono di lacrime; gli prese la mano e la baciò.

- Ebbeneche cosa avete ancora? - gli chiese.

- Sono lacrime di riconoscenza - le rispose.

Eugenia si volse di scatto verso il caminetto per prendere i doppieri.

- Nanonprendeteportate via - essa disse.

Quando guardò il cuginoera ancora molto rossa in visoma almeno i suoi sguardi poterono mentire e non dimostrare la gioia eccessiva che le inondava il cuore; ma i loro occhi espressero uno stesso sentimentoe le loro anime si fusero in uno stesso pensiero: l'avvenire era loro. Quella dolce emozione fu tanto più deliziosa per Carloimmerso nel suo immenso dolorequanto meno era attesa. Un colpo di picchiotto richiamò le due donne ai loro posti. Per fortuna poterono discendere abbastanza rapidamente la scala per trovarsi al lavoro quando Grandet entrò. Se le avesse incontrate sotto l'androne ciò sarebbe bastato per destare i suoi sospetti. Dopo la colazioneche il brav'uomo consumò in tutta frettail guardianoal quale il compenso promesso non era stato ancora pagatogiunse da Froidfond portando una leprequalche pernice uccisa nel parcoalcune anguille e due lucci dovuti dai mugnai.

- Eh! Eh!questo bravo Cornoillerarriva come il cacio sui maccheroni. E' buona da mangiarequella roba?

- Sìcaro e generoso signoreè presa da due giorni.

- AndiamoNanonalla svelta - disse il brav'uomo. - Prendi questa robaci servirà per il pranzoinvito i due Cruchot.

Nanon spalancò gli occhi e guardò tutti.

- Ma - disse - e il lardo e le spezie?

- Moglie - disse Grandet - da' sei franchi a Nanone ricordami di andare in cantina a cercar del buon vino.

- E cosìsignor Grandet - riprese il guardiano che aveva preparato un'arringa per far decidere la questione dei suoi emolumenti - signor Grandet...

- Tatatata - disse Grandet - so già quel che vuoi diresei un buon diavolone parleremo domanioggi ho troppo da fare.

Mogliedagli cento soldi - disse alla signora Grandet. E si eclissò. Alla povera donna non sembrò vero di acquistare la pace con undici franchi. Sapeva per esperienza che Grandet taceva per quindici giornidopo essersi ripreso a quel modoun po' per voltail denaro che le aveva donato.

- PrendiCornoiller - disse facendogli scivolare dieci franchi nella mano - un giorno o l'altro compenseremo meglio i tuoi servizi.

Cornoiller non ebbe nulla da obiettare. E andò via.

- Signora - disse Nanonche aveva calzato la sua cuffia nera e preso il suo paniere - mi bastano tre franchitenete pure il resto. Vedrete che andrà bene lo stesso.

- Facci un buon pranzoNanonci sarà anche mio cugino - disse Eugenia.

- Certamente deve accadere qualcosa di straordinario - disse la signora Grandet. - Questa è la terza voltadal giorno del nostro matrimonioche tuo padre invita a pranzo qualcuno.

Verso le quattronel momento in cui Eugenia e la madre avevano finito di apparecchiare per sei coperti e il padrone di casa aveva portato su dalla cantina alcune bottiglie di quei vini squisiti che i provinciali conservano con curaCarlo entrò nella sala. Il giovane era pallido. I suoi gestiil suo contegnoi suoi sguardi e il tono della sua voce erano improntati a una tristezza piena di grazia. Egli non fingeva il doloresoffriva realmentee il velo disteso sui suoi lineamenti dalla pena gli conferiva quell'aria interessante che tanto piace alle donne. Per questo Eugenia lo amò ancora di più. Forse anche la sventura lo aveva avvicinato a lei.

Carlo non era più quel ricco e bel giovane posto in una sfera per lei irraggiungibilema un parente caduto in una nera miseria. La miseria genera l'eguaglianza. La donna ha in comune con gli angeli questo: che gli esseri sofferenti le appartengono. Carlo ed Eugenia si compresero e si parlarono solamente con gli occhi poiché il povero dandy decadutol'orfanosi mise in un cantoci rimase mutocalmo e fiero; madi quando in quandolo sguardo dolce e carezzevole della cugina riluceva su di luil'obbligava ad abbandonare i suoi tristi pensieria lanciarsi con lei per i campi della Speranza e dell'Avveniredove lei amava impegnarsi con lui. In quel momento la città di Saumur era più sottosopra per il pranzo offerto da Grandet ai Cruchotdi quanto non lo fosse stato il giorno prima per la vendita del suo raccoltoche rappresentava un delitto di alto tradimento verso gli altri proprietari. Se il politico vignaiolo avesse offerto il pranzo con lo stesso fine che costò la coda al cane di Alcibiadesarebbe stato forse un grand'uomo; matroppo superiore a una città della quale si faceva beffe a ogni occasionenon gli importava nulla di Saumur. I de Grassinsvenuti ben presto a conoscenza della morte violenta e del fallimento probabile del padre di Carlodecisero di recarsi la sera stessa in casa del loro clienteper prendere parte al suo dolore ed esprimergli i loro sensi di amiciziama in pari tempo per informarsi dei motivi che potevano averlo indotto a invitarein simile circostanzai Cruchot a pranzo. Alle cinque preciseil presidente C. di Bonfons e suo zio notaio giunsero azzimati fino ai denti. I convitati presero posto a tavola e cominciarono a far molto onore al pranzo. Grandet aveva un aspetto graveCarlo era silenziosoEugenia mutala signora Grandet non parlò più del solitoin modo che quel pranzo fu un vero banchetto funebre. Quando si levarono da tavolaCarlo disse a sua zia e a suo zio:

- Permettetemi di ritirarmi. Devo sbrigare una lunga e triste corrispondenza.

- Fate purenipote.

Quando dopo la sua uscitail brav'uomo ritenne che Carlo non avrebbe potuto udire nulla e sarebbe stato immerso nella sua scritturaguardò con aria sorniona la moglie.

- Signora Grandetciò che abbiamo da dire sarebbe latino per voi due; sono le sette e mezzae non farete male ad andarvi a chiudere nel vostro portafoglio. Buona nottefigliola.

Baciò Eugeniae le due donne uscirono. Allora cominciò la scena nella quale papà Grandetpiù che in alcun altro momento della sua vitamise in opera l'astuzia che aveva acquistato nel commercio con gli uominie che gli valeva spessoda parte di coloro ai quali mordeva troppo rudemente la pelleil soprannome di vecchio cane. Se l'ex-sindaco di Saumur avesse avuto mire più ambiziosese fortunate circostanzefacendolo arrivare alle sfere superiori della societàlo avessero inviato nei congressi in cui sono trattati gli affari delle nazionied egli si fosse valso del genio di cui lo aveva dotato il proprio interesse personalenessun dubbio che sarebbe stato gloriosamente utile alla Francia.

Tuttaviapuò darsi anche chefuori di Saumur il brav'uomo avrebbe fatto una magra figura. Forse accade agli uomini come a certi animali: portati fuori dei climi in cui sono natinon prolificano più.

- Si... si... si... si... gnor pre... pre... pre... presidentevoooi di... di... di... dicevate che il faaaalliiimento...

La balbuziesimulata da tanto tempo dal brav'uomo e che passava per naturale come la sordità di cui si lamentava quando il tempo era piovosodivennein quella congiunturacosì faticosa per i due Cruchot che questiascoltando il vignaiolofacevano smorfie senza accorgersene e sforzi come se avessero voluto terminare le parole nelle quali incespicava a bella posta. Qui forsediventa necessario narrare la storia della balbuzie e della sordità di Grandet. Nessunonell'Angiòpiù dell'astuto vignaiolo sentiva meglio e poteva più nettamente pronunciare il francese angioino.

Una volta peròmalgrado tutta la sua furberiaera rimasto gabbato da un Israelitail qualedurante la discussioneportava la mano all'orecchio a mo' di corno acusticocol pretesto di ascoltare meglioe tartagliava così bene cercando le paroleche Grandetvittima della propria umanitàsi credette obbligato di suggerire al malizioso giudeo le parole e le idee che il giudeo sembrava cercaredi completare lui stesso i ragionamenti del detto giudeodi parlare come avrebbe dovuto parlare il dannato giudeod'essere insomma il giudeo e non Grandet. Il bottaio uscì da quel combattimento bizzarro dopo aver concluso il solo affare di cui dovette pentirsi per tutta la sua vita commerciale. Ma se ci persepecuniariamente parlandoci guadagnò moralmente una buona lezione epiù tardine raccolse i frutti. Così il brav'uomo finì per benedire il giudeo che gli aveva insegnato l'arte di far perdere la pazienza all'avversario commercialee tenendolo occupato a esprimere il suo pensierodi fargli perdere costantemente di vista il proprio. Oranessun affarepiù di quello di cui si trattavaesigette l'impiego della sorditàdella balbuziee delle ambagi incomprensibili nei quali Grandet avviluppava le sue idee. Innanzi tuttonon voleva assumere la responsabilità delle sue idee; poivoleva restare padrone della sua parolae lasciare nel dubbio le sue vere intenzioni.

- Signor di Bon... Bon... Bonfons...

Per la seconda volta in tre anni Grandet chiamava il Cruchot nipote: signor di Bonfons. Il presidente poté credersi scelto quale genero dall'artificioso brav'uomo:

- Vooooooi di... di... di... dicevate dunque che i fallimenti po... po... po... possonoin ce... erti casiessere impe...

pe... pe... diti da... da...

- Dagli stessi tribunali di commercio. Questo avviene tutti i giorni - disse il signor C. di Bonfonscogliendo a volo l'idea di papà Grandet o credendo indovinarla e volendo affettuosamente spiegargliela. - Ascoltate.

- A... a... scolto - rispose umilmente il brav'uomo assumendo il malizioso contegno di un fanciullo che ride interiormente del suo professorepur sembrando prestargli la massima attenzione.

- Quando un uomo stimabile e stimatocome eraad esempioil defunto vostro fratello a Parigi...

- Mi... io fratellosi.

- E' minacciato da un dissesto...

- Que... questo si chia... chiama di... di... dissesto?

- Sì. Se il fallimento è imminenteil tribunale di commerciodal quale egli è perseguibile (seguitemi bene) ha la facoltà di nominaretramite ordinanzaper la ditta in dissestodei liquidatori. Liquidare non è fallirecapite? Col fallimento un uomo è disonorato; ma liquidandoresta un uomo onesto.

- E' ben di... di... di... diversose questo non co... co...

co... co... sta più caro - disse Grandet.

- Ma una liquidazione si può anche faresenza l'intervento del tribunale di commercio. Giacché - disse il presidente fiutando la sua presa di tabacco - in che modo si dichiara un fallimento?

- Giànon ci ho mai pe... pe.. pe... pensato - rispose Grandet.

- In primo luogo - riprese il magistrato - col deposito del bilancio alla cancelleria del tribunalecompilato dal commerciante stesso o da un suo rappresentantedebitamente autorizzato. In secondo luogosu istanza dei creditori. Oraseil commerciante non deposita il bilanciose nessun creditore chiede al tribunale un'ordinanza che dichiari il suddetto commerciante in fallimentoche accade?

- Sìve... ve... diamo.

- In tal caso la famiglia del defuntoi suoi rappresentantii suoi eredio lo stesso commerciantese non è mortoo i suoi amicise è nascostoliquidano. Avete forse intenzione di liquidare gli affari di vostro fratello? - domandò il presidente.

- Ah!Grandet - esclamò il notaio - fareste bene. C'è ancora dell'onore nel fondo delle nostre province. Se voi salvaste il vostro nomeperché si tratta proprio del vostro nomesareste un uomo....

- Sublime - disse il presidente interrompendo suo zio.

- Certamente - replicò il vecchio vignaiolo - mi... mio fr...

fra... fratello si chia... chia... chia... chiamava Grandetpro... proprio come me. E'... è... è... è sicuro e certo. I...

i... i... io non dico di no. Eeequesta li... li... li...

liquidazione po... po... potrebbe in tuuutti i casiessere sooootto tutti i ra... ra... rapporti assai vantaggiosa agli in..in... in... interessi di mio ni... ni... nipoteal quale vo...

vo... voglio bene. Ma bisogna vedere. Io non co... co... conosco la gente furbadi Parigi. Io... sto a Sau... au... muriono?

Le mie proooopaggini! I miei fooossati..einsommaio devo badare ai miei aaaffari. Non ho mai fatto ca... ca... cambiali.

Che cosa è una cambiale? Ne... ne... ne ho ricevute mo... moltema non ne ho mai fi... fi... rmate. Si... ri... ri... cevono e si ssscooontano. Ecco tuuuutto quel che... che... che... so. Ho se...

se... se... sentito di... di.. dire che si po... po... tevano riscacattare le ca... ca... cambiali...

- Sì - disse il presidente. - Si possono acquistare le cambiali in circolazione sulla piazzapagando un tanto per cento. Capite?

Grandet portò la mano all'orecchio a guisa di corno acustico e il presidente gli ripeté la frase.

- Ma - rispose il vignaiolo - c'è ddddunque da guadagnare in tutto questo? I... i... io non so nientealla mia eeetàdi tuuutte queste cooose io de... devo re... stare qui per ba... ba... badare al grano. Il grano s'ammassa ed è è è cool grano che si pa...

paga. Priima di tutto bisogna ba... ba... badare a... al ra...

ra... raccolto. Ho aaaffari più i... i... importanti e i... i...

interessanti a Froidfond. Non posso a... a... abbandonare la mi...

mi... mi... mia casa peeer degli imbrogli di... di... di tuuutti i dia... diavolidove non caaapi... pisco un'acca. Vooi dite che...

che dovreiper li... li... li... liquidareper fermare la dichiarazione di fallimentoandare a Parigi. Ma non ci si può mica trooo... ovare contemporaneamente in... in... in due luoghia meno di essere un u... u... u... uccellino...

- Capisco - esclamò il notaio. - Mamio vecchio amicovoi avete degli amicidei vecchi amicipronti a sacrificarsi per voi.

"E allora"pensava dentro di sé il vignaiolodecidetevi!.

- E se qualcuno partisse alla volta di Parigivi cercasse il più forte creditore di vostro fratello Guglielmoe gli dicesse...

- Un mo... mo... momento - riprese il brav'uomo - gli dicesse:

cosa? Qua... qualche co... co... cosa di que... que... questo genere: "Il signor Grandet di Saumur di quail signor Grandet det... det... di Saumur là. Era affezionato a suo fratellovuol bene a suo ni... ni... pote. Grandet è un buon pa... pa... parente ed è animato dalle migliori intenzioni. Ha venduto il suo ra...

ra.. raccolto. Non fate dichiarare il fa... fa... fa...

fallimentoriunitevino... no... nominate dei li... li...

liquidatori. Aaallora Grandet ve... ee...drà. Voooi o... o...

otterrete di più liquidando che non la... la... lasciando alla giustizia di ficcarci il na... na... naso...". Non è così?

- Giusto! - disse il presidente.

- Perchévedetesignor di Bon... Bon... Bon... fonsbisogna riflettere prima di de... decidersi. Chi non... non... non puònon... non può. In ogni af... af... affare ooonenerosopeeer non andare in ro... ro... rovinabisogna conoscere il pro e il contro. Eh!non è vero?

- Certamente - disse il presidente. - Io sono del parere chein pochi mesisarà possibile riscattare i crediti per una certa sommae pagare integralmente mediante un concordato. Ah! Ah!se ne fa fare di strada ai cani mostrandogli un pezzo di lardo.

Quando non si sia stata dichiarazione di fallimento e voi siate in possesso dei titoli di creditodiventate bianco come la neve.

- Come ne... ne.. neve? - ripeté Grandetrimettendo la mano all'orecchio. - Non capisco cosa c'entri la ne... ne.. neve.

- E allora - esclamò il presidente - statemi a sentire.

- A... a... ascolto.

- Una cambiale è una merceche può avere i suoi alti e i suoi bassi. Questa è una deduzione del principio di Geremia Bentham sull'usura. Questo pubblicista ha dimostrato che il pregiudizio che colpisce d'infamia gli usurai è una sciocchezza.

- Oh! - fece il brav'uomo.

- Ammesso chein linea di principiosecondo Benthamil denaro è una mercee che ciò che rappresenta denaro diviene egualmente merce - riprese il presidente; - ammesso che è notorio chesottoposta alle variazioni abituali che regolano le cose commercialianche la merce-cambialecon questa o quella firmacome il tale o il tal altro articolo abbonda o manca sulla piazzaè cara o scende a vil prezzoil tribunale ordina...cioè (che sciocco che sonoscusatemi) sono del parere che potrete riabilitare vostro fratello col venticinque per cento.

- Voooi lo chia... chia... chia... chiamate Ge... Ge... Ge...

Geremia Ben...

- Benthamè un inglese.

- Questo Geremia ci farà evitare molte lamentazioni negli affari - disse il notaio ridendo.

- Questi inglesi hanno qua... qua... qualche volta del buon... on senso - disse Grandet. - Così se... se... se... secondo Ben...

Ben... Benthamse le cambiali di mio fratello va... va... va...

valgono... non valgono. Sì. Di... di.. di... dico benenon è vero? Questo mi pare chiaro... I creditori sarebbero... Nonon sarebbero. Mi ca... pisco da me.

- Permettetemi di spiegarvi tutto ciò - disse il presidente. - In linea di dirittose voi siete in possesso di tutti i crediti dovuti dalla ditta Grandetvostro fratello o i suoi eredi non devono niente a nessuno. Bene.

- Bene - ripeté il bonuomo.

- In linea di equitàse le cambiali di vostro fratello si negoziano (negozianocapite bene questo termine?) su piazza con un tanto per cento di perdita; se uno dei vostri amicipassato da quelle partile ha riscattatedal momento che i creditori non sono stati costretti in alcun modo a cederlela successione del fu Grandet di Parigi viene a trovarsi legalmente liquidata.

- E' verogli a... a.. a... affari sono affari - disse il bottaio. - Ciò pooooosto... Matuttaviavoi ca... ca... ca...

capite che è di... di... difficile. I... i... i... io non ho soooldiné... né... né temponé temponé...

- Certo voi non potete disturbarvi. Ebbenese voletevado io a Parigi (mi rimborserete le spese di viaggioche sono una sciocchezza). Vedrò i creditorici parleròchiederò una proroga e tutto si accomoderà con un supplemento di pagamento che aggiungerete ai valori della liquidazionein modo da rientrare nei titoli di credito.

- Ve... ve... ve... vedremoio non po... po... po... possoi...

i... i... io non voglio i... i... i... impegnarmise... senza che... Chi... chi... chi non può non può. Mi caaaaapite?

- Questo è giusto.

- Ho la testa pie... pie... piena di tutto quel che voooi m'a...

a... a... avete sca... sca... scaricato. E' la... la... la prima volta in vita mia che i... io sono co... costretto a pen...

pensare a...

- Certonon siete mica un giureconsulto.

- Io sono un po... po... povero vignaioloe non so nulla di quel che mi a... a... avete de... de... detto; bi... bi... bisogna che ci pensi su.

- E allora - riprese il presidente assumendo l'atteggiamento di chi vuol concludere.

- Nipote! - fece il notaio interrompendolo con un tono di rimprovero.

- Cosa c'èzio? - rispose il presidente.

- Lascia che il signor Grandet ti spieghi le sue intenzioni. Si tratta in questo momento di un mandato importante. Il nostro caro amico deve definirlo congruam...

Un colpo di picchiotto che annunciò l'arrivo della famiglia de Grassinsil loro ingresso e i loro convenevoli impedirono a Cruchot di finire la frase. Il notaio fu contento di quella interruzioneGrandet già lo guardava di traversoe la sua verruca indicava una tempesta interna. Ma innanzi tutto il prudente notaio non trovava conveniente che un presidente di tribunale di prima istanza andasse a Parigi per farvi capitolare dei creditori e mettere le mani in un affare imbrogliato che intaccava le leggi della stessa probità; e poinon avendo ancora sentito esprimere da papà Grandet la benché minima velleità di pagare chicchessiatremava istintivamente al pensiero di vedere suo nipote compromesso in quell'affare. Approfittò allora del momento in cui i de Grassins entravano per prendere il presidente sotto braccio e condurlo nel vano della finestra.

- Ti sei già abbastanza espostonipote mioora basta con questo zelo. Il desiderio di avere la figlia ti accieca. Diamine!non bisogna mica fare come la cornacchia quando bacchia le noci.

Lascia ora a me guidare la barcae tu aiutami soltanto nella manovra. Non mi sembra sia proprio compito tuo compromettere la tua dignità di magistrato in una simile...

Non finì la frase; sentiva il signor de Grassins che diceva al vecchio bottaiostendendogli la mano:

- Grandet; abbiamo saputo la tremenda disgrazia che ha colpito la vostra famigliail disastro della ditta Guglielmo Grandet e la morte di vostro fratello; veniamo a dirvi tutta la parte che prendiamo a questo triste evento.

- Non c'è altra disgrazia - disse il notaio interrompendo il banchiere - che la morte del signor Grandet junior. Egli non si sarebbe certo ucciso se avesse avuto l'idea di chiedere aiuto al fratello. Il nostro vecchio amicoche ha sentimento d'onore fino alla punta delle unghieintende liquidare i debiti della ditta Grandet di Parigi. Mio nipoteil presidenteper evitargli i fastidi di un affare meramente giudiziariosi è offerto di partire immediatamente per Parigial fine di transigere coi creditori e soddisfarli convenientemente.

Queste paroleconfermate dall'atteggiamento del vignaiolo che si lisciava il mentosorpresero stranamente i tre de Grassinsi quali lungo la strada avevano fatto tutte le maldicenze possibili sull'avarizia di Grandetaccusandolo quasi di fratricidio.

- Ah!lo sapevo bene - esclamò il banchiere guardando sua moglie.

- Che ti dicevo per la strada? Grandet ha il senso dell'onore fino alla cima dei capellie non sopporterà mai che il suo nome abbia la più leggera macchia! Il denaro senza l'onore è una malattia.

Nelle nostre province l'onore non è ancora morto! Benemolto beneGrandet. Io sono un vecchio soldatonon so nascondere il mio pensiero; lo esprimo rudemente: quel che voi fate èper mille fulmini!sublime.

- Aaallora il su... su... sub... sublime è mo... mo... molto caro - rispose il brav'uomo mentre il banchiere gli stringeva calorosamente la mano.

- Ma questomio buon Grandete non dispiaccia al signor presidente - riprese de Grassins - è un affare puramente commercialeche richiede un negoziante consumato. Bisogna intendersi di partite di girodi esborsidi calcoli d'interesse.

Io devo andare a Parigi per alcuni affari mieie potrei allora con l'occasione occuparmi di...

- Vedremo allora di ce... ce... cercare di coooombinare tu...

tutte e due le rispettive po... po... possibilità e senza im...

im... impegnarmi in qualche cosa che i... i... io non voooo...

orrei fare - disse Grandet balbettando. - Giacchévedeteil signor presidente mi chiedeva naturalmente il rimborso delle spese di viaggio.

- Il brav'uomo non balbettò più nel pronunciare queste ultime parole.

- Oh! - disse la signora de Grassins - ma è un piacere andare a Parigi. Io pagherei volentieri per andarci.

E fece un segno al maritocome per incoraggiarlo a soffiare l'incarico ai loro avversaria qualunque costo; poi guardò molto ironicamente i due Cruchotche assunsero un'aria umiliata.

Grandet prese allora il banchiere per un bottone del suo abito e lo portò in un angolo.

- Avrei più fiducia in voi che non nel presidente - gli disse. - E poigatta ci cova - aggiunse muovendo la sua verruca. - Io voglio investire nella rendita; ho qualche migliaio di franchi di rendita da acquistarema non voglio pagarla che ottanta franchi. Mi hanno detto che questa roba ribassa a fine mese. Voi ve ne intendeteno?

- Perdio! Ebbenedovrei dunque comprare per voi qualche migliaio di lire di rendita?

- Una sciocchezzatanto per cominciare. Ma acqua in bocca. Voglio fare questo gioco senza che se ne sappia nulla. Voi dovreste concludermi l'affare per la fine del mesema non parlatene ai Cruchot perché potrebbero aversene a male E dato che andate a Parigicoglieremo l'occasione per vedere che aria tira per mio nipote.

- Siamo intesi. Partirò domani con la posta - disse ad alta voce de Grassins - e verrò a prendere le vostre ultime istruzioni a...

a che ora?

- Alle cinqueprima di pranzo - disse il vignaiolofregandosi le mani.

I due partiti rimasero ancora qualche istante schierati l'uno contro l'altro. De Grassinsdopo una pausae battendo sulla spalla di Grandetdisse:

- E' una bellezza avere dei parenti come voi...

- Sìsì senza che ciò appaia - rispose Grandet - io sono un buon pa... parente. Volevo bene a mio fratelloe lo dimostrerò se...

se ciò non costa...

- Noi vi lasciamoGrandet - gli disse il banchiere interrompendolo fortunatamente prima che terminasse la frase. - Anticipando la partenzabisogna che metta in ordine alcuni affari.

- Benebene. Io purepe... pe... per quel che vo... voi sapete mi ri... ri... ritirerò nella mia ca... camera delle deliberazionicome dice il presidente Cruchot.

"Maledizione!non sono più il signor di Bonfons"pensò maliziosamente il magistratoil cui volto assunse l'espressione di un giudice annoiato da una arringa.

I capi delle due famiglie rivali se ne andarono insieme. Né gli uni né gli altri pensarono più al tradimento di cui si era reso colpevole Grandet la mattina verso il paese vinicoloe si sondarono a vicenda ma invanoper conoscere quel che pensassero circa le reali intenzioni del brav'uomo a proposito di quel nuovo affare.

- Venite con noi dalla signora Dorsonval? - disse de Grassins al notaio.

- Ci verremo più tardi - rispose il presidente. - Se mio zio lo permetteho promesso alla signorina de Gribeaucourt di passare da lei un momentoe ci andremo subito.

- Arrivederciallora - disse la signora de Grassins. Equando i de Grassins si trovarono a qualche passo di distanza dai due CruchotAdolfo disse al padre:

- La masticano maleeh?

- Sta' zittofigliolo - gli replicò la madre - possono ancora sentirci. Del restoquel che tu dici non è di buon gusto e sa molto d'università.

- Hai vistozio - esclamò il magistrato quando vide i de Grassins già lontani - ho cominciato con l'essere il presidente di Bonfonse ho finito con l'essere semplicemente un Cruchot.

- Mi sono bene accorto del tuo disappunto; ma il vento spirava favorevolmente ai de Grassins. Saresti così scioccocon tutto il tuo spirito?... Lasciali imbarcarsi su di un "vedremo" di papà Grandete sta' tranquilloragazzo mio: non per questo Eugenia non sarà tua moglie.

Dopo pochi minuti la notizia della magnanima decisione di Grandet si sparse in tre case contemporaneamentee in tutta la città non si parlò che di quell'abnegazione fraterna. Ognuno perdonava a Grandet la vendita da lui fatta in spregio della fede giurata tra i proprietariammirando il suo senso dell'onoreesaltando una generosità di cui non lo si credeva capace. E' proprio del carattere francese entusiasmarsiandare in colleraappassionarsi per la meteora del momentoper tutto ciò che ha d'instabile l'attualità. Gli enti collettivii popolisarebbero forse privi di memoria?

Quando papa Grandet ebbe chiuso la portachiamò Nanon.

- Non slegare il cane e non andare a dormireperché dobbiamo lavorare insieme. Alle undici Cornoiller dovrà trovarsi alla porta di casa con la carrozza di Froidfond. Sta' attenta a quando arrivain modo da evitare che bussie digli d'entrare senz'altro. Le ordinanze di polizia vietano lo schiamazzo notturno. E poiil quartiere non ha bisogno di sapere che io parto.

Detto questoGrandet risalì nel suo studiodove Nanon lo sentì muoverefrugareandarevenirema con precauzione. Non voleva evidentemente svegliare né la moglie né la figliae soprattutto non richiamare l'attenzione del nipotecontro il quale aveva già scagliato una maledizione scorgendo luce nella sua camera. A notte fondaEugeniapreoccupata del cuginocredette di aver sentito il lamento di un moribondoe per lei quel moribondo non poteva essere che Carlo: lo aveva lasciato così pallidocosì disperato!

Forse s'era ucciso. Si mise in fretta addosso una specie di pelliccia col cappuccioe fece per uscire. Sulle prime una viva luce che filtrava attraverso le fessure dell'uscio della sua stanza la fece temere che la casa andasse a fuoco; ma presto si rassicurò udendo i passi pesanti di Nanon e la sua voce tra il nitrito di parecchi cavalli.

"Che il babbo porti via mio cugino?"si disse schiudendo l'uscio con tanta precauzione da impedire che cigolassema in modo da vedere quel che avveniva nel corridoio.

A un tratto i suoi occhi s'incontrarono con quelli di suo padreil cui sguardoper quanto vago e indifferentel'agghiacciò di terrore. Il brav'uomo e Nanon erano accoppiati da una grossa stangaogni estremo della quale poggiava sulla loro spalla destra e sosteneva una corda cui era appeso un barilotto simile a quelli che papà Grandet si divertiva a costruire nel suo forno nei momenti d'ozio.

- Santa vergine!signorecome pesa - disse a voce bassa Nanon.

- Peccato che siano soltanto soldoni! - rispose il brav'uomo. - Sta' attenta a non urtare il candeliere.

Questa scena era illuminata da una sola candela posta fra due sbarre della ringhiera.

- Cornoiller - disse Grandet al suo guardiano "in partibus" - hai preso le pistole?

- No signore. Madiamine!; che c'è da temere per i vostri soldoni?...

- Ohniente - disse papà Grandet.

- Del restocammineremo svelti - riprese il guardiano - i vostri fittavoli hanno scelto per voi i migliori cavalli.

- Benebene. Tu non gli hai mica detto dove andavono?

- Se neanche lo sapevo!

- Bene. La vettura è solida?

- Questapadrone? Questa ne tiene anche tremila. Maquanto pesano i vostri maledetti barili?

- Oh! - disse Nanon - lo so bene io. Poco più poco meno di milleottocento.

- Vuoi stare zittaNanon? Dirai a mia moglie che sono andato in campagna. Sarò di ritorno all'ora di pranzo. Va' sveltoCornoillerche bisogna trovarci ad Angers prima delle nove.

La vettura partì. Nanon mise il catenaccio alla portasciolse il canesi coricò con le spalle tutte indolenzitee nessuno del quartiere suppose né della partenza di Grandetné dello scopo del suo viaggio. La segretezza del brav'uomo era completa. Nessuno vedeva mai un soldo in quella casa piena d'oro. Saputo la mattina dalle chiacchiere di piazza che l'oro aveva raddoppiato di prezzo in seguito a numerosi armamenti intrapresi a Nantese che alcuni speculatori erano arrivati ad Angers per farne acquistoil vecchio vignaiolofacendosi semplicemente prestare i cavalli dai suoi fittavolisi mise in grado di andarci a vendere il proprio e ritirarein buoni del ricevitore generale del Tesorola somma necessaria all'acquisto della renditadopo averla aumentata dell'aggio.

"Il babbo parte"disse Eugeniache dall'alto della scala aveva sentito tutto. Il silenzio era tornato nella casa e il lontano rotolio della vetturache cessò a poco a poconon si udiva già più in Saumur addormentata. In quel momentoEugenia sentì nel suo cuoreprima che con l'orecchioun lamento che traversò le paretie che proveniva dalla camera di suo cugino. Una striscia luminosasottile come la lama d'una sciabolapassava per la fessura dell'uscio e tagliava orizzontalmente i balaustri della vecchia scala. "Soffre"si disse salendo due gradini. Un secondo gemito la fece giungere fino al pianerottolo della camera. L'uscio era socchiusoe lo spinse. Carlo dormivacon la testa riversa fuori della vecchia poltrona; la sua mano aveva lasciato cadere la penna e toccava quasi il suolo. Il respiro agitato causato dalla posizione del giovane impressionò da principio Eugeniache entrò senz'altro.

"Deve essere ben stanco"si disse guardando una decina di lettere sigillate e ne lesse gli indirizzi: ai Signori FarryBreilman e Compagniacarrozzieri - Al signor Buissonsartoeccetera.

"Certamente ha voluto sistemare i suoi affari per poter poi subito lasciare la Francia"pensò. Il suo sguardo si posò su due lettere aperte. Le seguenti parolecon le quali una di esse cominciava:

"Mia cara Annetta..."le procurarono il capogiro. Il suo cuore palpitòi suoi piedi le s'inchiodarono sul pavimento. La sua cara Annetta... Egli amadunqueed è riamato! Ogni speranza è perduta! Che cosa le avrà scritto? Queste idee le traversarono la mente e il cuore. Leggeva quelle parole ovunqueanche sulle mattonelle in lettere di fiamma. "Già rinunciare a lui! Nonon leggerò quella lettera. Devo andarmene. Mase invece la leggessi?". Guardò Carlogli prese dolcemente la testala posò sulla spalliera della poltronaed egli lasciò fare come un bambino cheanche in sonnoriconosce la madre e ne ricevesenza svegliarsicure e baci. Come una madreEugenia sollevò la mano che penzolava ecome una madrelo baciò dolcemente sui capelli.

Cara Annetta! Un demonio le gridava queste due parole nelle orecchie. "So che forse faccio malema io la leggeròquella lettera"si disse. Eugenia volse la testapoiché la sua nobile probità si ribellava. Per la prima volta in vita suail bene e il male erano presenti ambedue nel suo cuore. Fino a quel momento essa non aveva mai dovuto arrossire di alcuna azione. La passionela curiositàfurono più forti di lei. A ogni fraseil cuore le si gonfiò sempre di più e l'ardore pungente che animò il suo spirito durante quella lettura le rese ancor più gustose le gioie del primo amore. "Mia cara Annettanulla avrebbe dovuto separarcise non la sciagura che mi colpisce e che nessuna prudenza umana avrebbe saputo prevedere. Mio padre si è suicidatola sua fortuna e la mia sono interamente perdute. Rimango orfano a una età in cuiper il genere di educazione che mi è stata dataposso essere considerato ancora un ragazzoe devo tuttavia risollevarmi uomo dall'abisso in cui sono caduto. Ho impiegato una parte della notte a fare i miei calcoli. Se voglio lasciare la Francia da uomo onestoe su questo non c'è dubbionon ho neppure cento franchi per andare a tentare la sorte nelle Indie o in America. Sìmia povera Annaandrò in cerca di fortuna sotto i climi più avversi. Sotto quei cieliè sicura e sollecitasecondo quel che mi è stato detto. A Parigi non saprei proprio restare. Né il mio animo né il mio volto sono fatti per sopportare gli affrontila freddezzail disprezzo che toccano all'uomo rovinatoal figlio del fallito! Buon Dio! Essere debitore di due milioni!... Verrei ucciso in duello entro la prima settimana. E perciò non ci ritornerò più. Neppure il tuo amoreil più tenero e il più devoto che mai abbia nobilitato cuore d'uomopotrebbe attirarmi. Ahimé!mia dilettanon ho denaro sufficiente per venire da teper dartiper ricevere un ultimo bacioun bacio nel quale potrei trovare la forza necessaria alla mia impresa...".

"Povero Carloho fatto bene a leggere! Ho un po' d'oroglielo darò"disse Eugenia.

E riprese la letturadopo essersi asciugata le lacrime.

"Io non avevo mai pensato ai guai della miseria. Se troverò i cento luigi indispensabili al viaggionon avrò un soldo per procurarmi una paccottiglia. Ma noio non avrò né cento luigi né un luiginon saprò quanto denaro mi rimarrà se non dopo il pagamento dei miei debiti a Parigi. Se non mi resterà nullame ne andrò tranquillamente a Nantesm'imbarcherò come semplice marinaioe là comincerò come hanno cominciato quegli uomini energici chegiovaninon avevano un soldo e sono ritornatiricchidalle Indie. Da questa mattina ho freddamente guardato in faccia il mio avvenire. Esso è più terribile per me che per chiunque altroper me vezzeggiato da una madre che mi adoravadal migliore dei padrie cheal mio ingresso nel mondoho incontrato l'amore di un'Anna. Io non ho conosciuto che i fiori della vita: questa felicità non poteva durare troppo. Ho tuttaviamia cara Annettapiù coraggio di quanto non possa averne un giovane spensieratosoprattutto un giovane abituato alle carezze della più deliziosa donna di Parigicullato nella dolcezza della famigliacui tutto sorrideva in casa e i cui desideri erano leggi per un padre... Oh! Annettamio padre è morto... Ebbene!ho riflettuto sulla mia posizioneho riflettuto anche sulla tua. Mi sono invecchiato in ventiquattro ore. Cara Annaanche se per avermi presso di tea Parigitu sacrificassi tutte le soddisfazioni che ti procura il lussole tue toletteil tuo palco all'Opéranon si arriverebbe mai a disporre della cifra necessaria alla mia vita dissipata; e poinon saprei accettare tanto sacrificio. Ci dobbiamo perciò lasciare oggi per sempre".

"La lasciasanta vergine! Oh!che felicità!...".

Eugenia saltò dalla gioia. Carlo fece un movimentoessa ne provò un brivido di terrore; ma fortunatamente per leinon si svegliò.

E riprese:

"Quando potrò tornare? Non lo soIl clima delle Indie fa invecchiare rapidamente un europeoe soprattutto un europeo che lavora. Mettiamo che ritorni fra dieci anni. Fra dieci anni tua figlia ne avrà diciottoe sarà la tua compagnama anche la tua spia. Per tela società sarà crudelee tua figlia forse ancora di più. Abbiamo avuto esempi di certi giudizi mondani e di certe ingratitudini filiali: sappiamo approfittarne. Conserva nel fondo dell'anima tua come conserverò io stesso il ricordo di questi quattro anni di felicitàe resta fedelese puoial tuo povero amico. Non saprei tuttavia esigerlo perchétu lo vedimia cara Annettaio mi devo conformare alla mia situazioneconsiderare borghesemente la vitae calcolarla al suo giusto valore. Devo perciò pensare al matrimonioche si pone come una necessità della mia nuova esistenza; ti confesserò che ho trovato quia Saumurpresso mio ziouna cugina i cui modiil voltolo spirito e il cuore ti piacerebberoe cheinoltremi sembra abbia...".

"Doveva essere proprio stancoper aver interrotto di scriverle"disse fra sé Eugeniavedendo la lettera interrotta alla metà di questa frase.

Lo giustificava! E non era forse impossibile che l'innocente ragazza si avvedesse della freddezza cui era improntata quella lettera? Alle giovani religiosamente educateignare e puretutto è amore dal giorno in cui mettono il piede nelle regioni incantate dell'amore. Esse vi procedono avvolte dalla celeste luce che la loro anima proiettae che riflette i suoi raggi sul loro amato; esse lo colorano coi fuochi del loro proprio sentimento e gli conferiscono i loro più nobili pensieri. Gli errori della donna provengono quasi sempre dal suo credere nel beneo dal confidare nel vero. Per Eugeniaqueste parole: mia cara Annettamia dilettale risuonavano nel cuore come il più soave linguaggio d'amore e le carezzavano l'anima comenella sua infanziale note divine del "Venite adoremus"ripetute dall'organole carezzavano l'orecchio. Del restole lacrime che bagnavano ancora gli occhi di Carlo accusavano in lui tutte quelle nobiltà del cuore da cui una giovane deve essere sedotta. Poteva essa sapere chese Carlo amava tanto suo padre e lo compiangeva così sinceramentequella tenerezza proveniva meno dalla bontà del suo cuore che dalla bontà paterna? Il signor Guglielmo Grandet e sua moglieappagando continuamente i capricci del loro figliolodispensandogli tutti i piaceri della ricchezzagli avevano impedito di fare quegli orribili calcoli di cui sono più o meno colpevolia Parigila maggior parte dei figliquandodinanzi ai godimenti pariginiformulano desideri e concepiscono piani che vedono con rammarico incessantemente rimandati o ritardati dalla permanenza in vita dei loro genitori. La prodigalità del padre arrivò perfino a infondere nel cuore del figlio un amore filiale verace senza secondi fini.

Tuttavia Carlo era sempre un figlio di Parigiabituato dai costumi di Parigidalla stessa Annettaa calcolare tuttoed era già vecchio sotto la maschera della giovinezza. Egli aveva ricevuto la detestabile educazione di quella società dovein una sola seratasi commettono in pensieriin parolepiù delitti di quanti non ne punisca la Giustizia in Corte d'Assise; dove le battute spiritose assassinano le più nobili ideedove non si è considerati forti se non quando si sa vedere giusto; ein quel mondovedere giusto vuol dire non credere a nullané ai sentimentiné agli uomini e neppure agli eventi. Vi se ne fabbricano di falsi. Làper vedere giustobisogna soppesareogni mattinala borsa d'un amicosapersi porre politicamente al di sopra di tutto quel che accade; intantoconviene non ammirare nullané le opere d'artené le nobili azionie ritenere qual movente d'ogni cosa l'interesse personale. Dopo mille folliela grande damala bella Annettaobbligava Carlo a riflettere seriamentegli parlava della sua futura posizionepassandogli fra i capelli una mano profumata; accomodandogli un ricciologli faceva calcolare la vita: lo femminizzava e lo materializzava.

Doppia corruzionema corruzione elegante e fine: di buon gusto.

- Siete un ingenuoCarlo - gli diceva. - Mi ci vorrà fatica a insegnarvi che cosa è il mondo. Vi siete comportato male col signor de Lupeaulx. So bene che è un uomo poco rispettabilema aspettate che non sia più al poteree allora poi lo disprezzerete a vostro agio. Sapete cosa ci diceva la signora Campan? "Figlioli mieifinché uno è ministroadoratelo; appena è cadutodate una mano a trascinarlo nell'immondezzaio". Finché è al potereè una specie di dio; una volta abbattutovale ancor meno di Marat nella fognaperché lui è vivoe Marat era morto. La vita è una serie di combinazionie bisogna studiarleseguirleper riuscire a mantenersi sempre in buona posizione.

Carlo era un uomo troppo alla modaera stato reso sempre troppo felice dai suoi genitoritroppo adulato dalla società per poter nutrire nobili sentimenti. Il grano d'oro che la madre gli aveva posto nel cuore s'era disteso nella trafila pariginaegli lo aveva usato in superficie e lo aveva logorato con lo sfregamento.

Ma Carlo non aveva allora che ventun anni. A questa etàla freschezza della vita sembra inseparabile dal candore dell'anima.

La vocelo sguardol'aspetto sembrano in armonia coi sentimenti.

E' per questo che il giudice più inflessibilel'avvocato più incredulol'usuraio meno arrendevole esitano sempre a credere alla durezza del cuorealla corruzione dei calcoliquando gli occhi navigano ancora in un fluido puro e quando non ci sono rughe sulla fronte. Carlo non aveva mai avuto occasione di applicare la massima della morale pariginae fino a quel giorno era stato digiuno d'esperienza. Maa sua insaputal'egoismo gli era stato inoculato. I germi dell'economia politica ad uso del pariginolatenti nel suo cuorenon dovevano tardare a fiorircinon appena da spettatore ozioso fosse passato ad attore nel dramma della vita reale. Quasi tutte le ragazze si abbandonano alle dolci lusinghe di tali esteriorità; maanche se Eugenia fosse stata prudente e osservatricecome lo sono certe ragazze di provinciaavrebbe forse potuto diffidare del cuginoquandoin luii modile parolele azioni si accordavano ancora con le ispirazioni del cuore? Un casofatale per leile fece raccogliere le ultime effusioni di vera sensibilità che si trovasse in quel giovane cuoree ascoltareper così diregli ultimi sospiri della coscienza. Essa lasciò dunque quella lettera per lei piena d'amoree si mise con compiacimento a contemplare il cugino addormentato: le fresche illusioni della vita illuminavano ancoraper leiquel voltoe prima di tutto giurò a se stessa di amarlo per sempre. Poigettò lo sguardo sull'altra lettera senza dare troppa importanza a questa nuova indiscrezione; ese incominciò a leggerlafu per acquistare nuove prove delle nobili qualità chesimile in questo a tutte le donneattribuiva a colui che ormai prediligeva:

"Mio caro Alfonsonel momento in cui tu leggerai questa lettera io non avrò più amici; ma ti confesso chepur dubitando di tante persone della buona società abituate a prodigare questa parolanon ho dubitato della tua amicizia. Ti incarico perciò di regolare i miei affarie conto su di teper trarre un buon profitto da tutto quel che possiedo. Penso che ormai tu conoscerai la mia situazione. Io non ho più nullae intendo partire per le Indie.

Ho scritto a tutte le persone alla quali credo di dover del danaro e ne troverai qui accluso l'elenco esatto per quanto mi sia stato possibile compilarlo a memoria. La mia bibliotecai mobilile vetturei cavalli eccetera basterannocredoa pagare i miei debiti. Terrò per me solo quelle cianfrusaglie senza valore che possono servire a costituirmi una prima paccottiglia. Mio caro Alfonsoti spedirò da quiper questa venditauna regolare procura da servire in caso di contestazioni. Ti prego di spedirmi tutte le mie armi. Serberai per te Briton. Nessuno potrebbe pagare il prezzo di quella stupenda bestia e perciò preferisco offrirla a tecome l'anello chesecondo l'usoil morente lascia al suo esecutore testamentario. I FarryBreilmon e C.ia. mi hanno costruito una comodissima vettura da viaggioma non me l'hanno ancora consegnata; procura che se la trattengano senza chiedermi alcun indennizzo; se non accettassero questa propostaevita tutto quel che potrebbe compromettere la mia correttezzadate le circostanze in cui mi trovo. Devo dare all'isolano sei luigiperduti al gioconon dimenticarti di...".

"Che caro cugino!" si disse Eugenia lasciando la letterae fuggendo a passettini nella sua camerarecando con sé una delle candele accese. Là giuntanon fu senza una viva emozione di piacere che aprì il cassetto di un vecchio mobile di querciauna delle più belle opere dell'epoca chiamata "Rinascenza"e sul quale si vedeva ancoramezzo cancellatala famosa Salamandra reale. Dal cassetto trasse una grossa borsa di velluto rosso a ghiande d'oro e orlata di consunta canutigliaproveniente dall'eredità della nonna. Poisoppesò con molto orgoglio la borsa e volle rifare un po' il contoormai scordatodel suo piccolo peculio. Mise da parte innanzi tutto venti portoghesi ancora nuoveconiate sotto il regno di Giovanni Quintonel 1725il cui valore reale eraal cambiodi cinque lisbonine e cioè di centosessantotto franchi e sessantaquattro centesimi ciascunacome le aveva detto suo padrema il cui valore convenzionale era di centottanta franchidata la rarità e la bellezza di queste moneteche splendevano come soli. "Item"cinque genovine o pezzi da cento lire di Genovaaltra moneta rara e che valeva ottantasette franchi al cambioma cento per gli amatori d'oro.

Queste le provenivano dal vecchio signor La Bertellière. "Item"tre quadruple d'oro spagnole di Filippo Quintoconiate nel 1729regalatele dalla signora Gentilletcheoffrendoglielele ripeteva ogni volta la stessa frase: "Questo grazioso canarinoquesta monetina d'orovale novantotto lire! Tenetela da contopiccinasarà il fiore del vostro tesoro". "Item"quel che suo padre stimava di più (l'oro di queste monete era a ventitré carati e frazione)cento ducati d'Olanda coniati nell'anno 1756e che valevano ognuno tredici franchi. "Item"una grande curiosità!..delle specie di medaglie preziose per gli avaritre rupie col segno della Bilanciae cinque rupie col segno della Verginetutte d'oro puro a ventiquattro caratila magnifica moneta del Gran Mogolognuna delle quali valeva trentasette franchi e quaranta centesimial pesoma almeno cinquanta franchi per i conoscitori che amano maneggiare l'oro. "Item"il napoleone da quaranta franchi avuto l'antivigilia e che essa aveva negligentemente messo dentro la borsa rossa. Questo tesoro conteneva monete nuove e verginivere opere d'arte di cui papà Grandet talvolta chiedeva notizia e voleva rivedereper enumerare particolarmente alla figlia tutte le virtù intrinsechequali la bellezza dell'orlola nitidezza delle incisionil'eleganza delle lettere i cui vivi spigoli non si erano ancora consumati. Ma lei non pensava né a quelle raritàne alla mania di suo padrené al pericolo cui si esponeva privandosi di un tesoro così caro a suo padre; nolei pensava solo a suo cuginoe giunse finalmente a capiredopo qualche errore di calcoloche possedeva circa cinquemila ottocento franchi di valore realei qualiin commerciopotevano essere venduti a circa duemila scudi. Alla vista delle sue ricchezzesi mise a battere le manicome un bambino obbligato a contenere l'esuberanza della sua gioia con ingenue movenze del corpo. Cosìil padre e la figlia avevano contato ognuno la propria fortuna: luiper andare a vendere il suo oro; Eugeniaper gettare il suo in un oceano di affetto. Essa ripose le monete nella vecchia borsala prese e risalì senza esitazione. La miseria segreta del cugino le fece dimenticare l'ora notturnale convenienze; e poi si sentiva forte della sua coscienzadella sua dedizionedella sua felicità. Nel momento in cui apparve sulla soglia dell'uscioportando in una mano una candelanell'altra la borsaCarlo si svegliòvide sua cugina e rimase a bocca aperta per la meraviglia. Eugenia si fece avantiposò il candeliere sul tavolo e disse con voce commossa:

- Cuginodevo chiedervi scusa d'un fallo grave che ho commesso verso di voi; ma Dio me lo perdoneràquesto peccatose vorrete dimenticarlo.

- Ma di che cosa si tratta? - disse Carlo stropicciandosi gli occhi.

- Ho letto quelle due lettere.

Carlo arrossì.

- Come mai è accaduto? - essa riprese - perché sono salita?

Veramentein questo momentonon lo so più. Ma sono tentata di non pentirmi poi troppo di aver letto quelle letteredato che esse mi hanno fatto conoscere il vostro cuorela vostra anima e...

- E cosa? - domandò Carlo.

- E i vostri progettila necessità in cui vi trovate di disporre di una somma...

- Cara cugina...

- Zittozittocuginonon parlate così fortenon svegliamo nessuno. Ecco - disse aprendo la borsa - le economie di una povera ragazza che non ha bisogno di niente. Carloaccettatele. Fino a stamane non sapevo cosa fosse il denarovoi me lo avete insegnatonon è che un mezzoecco tutto. Un cugino è quasi un fratelloe voi potete ben prendere in prestito il denaro di vostra sorella.

Eugeniadonna e fanciulla insiemenon aveva previsto rifiutie suo cugino taceva.

- Ebbenerifiuteresteforse? - chiese Eugeniai cui palpiti risuonarono in quel profondo silenzio.

L'esitazione del cugino la umiliòma la necessità in cui egli si trovava si ripresentò più vivamente al suo spiritoed essa piegò le ginocchia.

- Non mi rialzerò fino a che non avrete accettato quest'oro! - disse - cuginovi pregorispondetemi : ... Che io sappia se volete farmi l'onorese siete generosose...

Nell'udire il grido d'una così nobile disperazioneCarlo lasciò cadere alcune lacrime sulle mani della cuginache strinse per impedirle di inginocchiarsi. Accogliendo quelle lacrime caldeEugenia prese la borsa e gliene versò il contenuto sul tavolo.

- Ebbenesìnon è vero? - essa disse piangendo di gioia. - Non temetecuginovoi sarete ricco. Quest'oro vi porterà fortuna; un giorno me lo renderete; del restonoi diventeremo socie io accetterò tutte le condizioni che vorrete. Ma non dovreste far troppo conto di questo dono.

Carlo poté finalmente esprimere i suoi sentimenti.

- SìEugeniaavrei un'anima meschinase non accettassi.

Tuttavianiente per nienteconfidenza per confidenza.

- Che volete dire con questo? - disse lei spaventata.

- Sentitemia cara cuginaio ho là... - E s'interruppe per mostrare sul cassettone un cofanetto quadrato racchiuso in un astuccio di cuoio. - Làvedeteho una cosa che mi è preziosa quanto la vita. Quel cofanetto è un dono di mia madre. Da questa mattina sto pensando chese potesse uscire dalla tombavenderebbe lei stessa l'oro che il suo affetto le ha fatto prodigare in quel "nécéssaire"; macompiuta da meuna tale azione mi sembrerebbe un sacrilegio - . Eugenia strinse in modo convulso la mano del cugino udendo queste ultime parole. No - egli riprese dopo una breve pausadurante la quale si scambiarono uno sguardo commosso - noio non voglio né distruggerloné rischiarlo nel mio viaggio. Eugenia caravoi ne sarete la depositaria. Mai amico avrà confidato qualcosa di più sacro al proprio amico. Giudicatene voi - . Andò a prendere il cofanettone tolse la custodial'aprì e mostrò tristemente alla cugina meravigliata un "nécéssaire" la cui lavorazione dava all'oro un valore ben superiore a quello del suo peso. - Ciò che voi state ammirando è nulla - le disse spingendo una molla che rivelò un doppio fondo. - Ecco quel cheper mevale tutto il mondo - .

Trasse fuori due ritrattidue capolavori della signora di Mirbelriccamente contornati di perle.

- Oh! che bella signoraè forse quella a cui scriv...

- No - disse lui sorridendo. - Questa donna è mia madreed ecco mio padreche sono vostra zia e vostro zio. Eugeniadovrei supplicarvi in ginocchio di custodire questo tesoro. Se io dovessi morire perdendo la vostra piccola fortunaquest'oro vi risarcirebbe il danno; e a voi sola posso affidare i due ritrattivoi sola siete degna di conservarlima poi distruggeteli affinché dopo di voi non cadano in altre mani... - Eugenia taceva. - Ebbenesìnon è vero - egli aggiunse con dolcezza.

Udendo le parole del cuginoessa gli rivolse il primo sguardo di donna innamoratauno di quegli sguardi nei quali c'è insieme civetteria e profondità; lui le prese la mano e la baciò.

- Angelo di purezza!tra noinon è vero?...il denaro non conterà mai nulla. Il sentimentoche solo gli dà qualche valoresarà ormai tuttoper noi.

- Voi assomigliate a vostra madre. La sua voce era dolce come la vostra?

- Oh!ben più dolce...

- Sìper voi - essa disse abbassando le palpebre. - AndiamoCarloora voglio che vi corichiatesiete stanco. A domani.

Ritrasse dolcemente la mano da quella del cuginoche l'accompagnò facendole luce. Quando furono entrambi sulla soglia dell'uscio:

- Ah!perché mai sono rovinato! - egli disse.

- Oh!mio padre è riccoalmeno lo credo - essa rispose.

- Povera figliola - riprese Carlo avanzando d'un passo nella camera e appoggiando le spalle al muro - ma allora non avrebbe lasciato morire il mionon vi farebbe vivere in questo squalloree insomma vivrebbe in altro modo.

- Ma possiede Froidfond.

- E quanto vale Froidfond?

- Non lo so; ma c'è poi anche Noyens.

- Sarà una misera fattoria!

- Ha vignetiprati...

- Miserie - disse Carlo con aria sdegnosa. - Se vostro padre avesse solo ottantaquattromila lire di renditaabitereste forse in una camera così fredda e nuda? - aggiunseinoltrandosi col piede sinistro. - Qui staranno anche i miei tesori - disse mostrando il vecchio canterano per celare il suo pensiero.

- Andate a dormire - disse lei impedendogli di entrare nella camera in disordine.

Carlo si ritiròe si diedero la buona notte con uno scambievole sorriso.

Entrambi si addormentarono nello stesso sognoe Carlo cominciò da allora a gettare qualche rosa sul suo lutto. L'indomani mattinala signora Grandet trovò la figlia che passeggiavaprima di colazionein compagnia di Carlo. Il giovane era ancora tristecome doveva esserlo uno sventurato discesoper così direnel fondo del suo sconforto e chemisurando l'abisso nel quale era cadutoaveva sentito tutto il peso della sua vita futura.

- Il babbo non tornerà che all'ora di pranzo - disse Eugenia scorgendo l'inquietudine dipinta sul volto della madre.

Era facile vedere nei modinel volto di Eugenia e nella singolare dolcezza assunta dalla sua voceuna conformità di pensiero tra lei e il cugino. Le loro anime si erano ardentemente fuse prima forse di aver ben misurato la forza dei sentimenti attraverso i quali si univano l'una all'altro. Carlo si trattenne in salae la sua malinconia vi fu rispettata. Le tre donne ebbero un gran da fare. Avendo Grandet dimenticato di accudire alle sue faccendeogni tanto veniva qualcuno. Il conciatettilo stagnaroil muratorei terrazzieriil falegnamealcuni fattorialcuni fittavoligli uni per combinare il prezzo di certe riparazionigli altri per pagare quote d'affitto o incassare denaro. La signora Grandet ed Eugenia dovettero perciò andare e venirerispondere agli interminabili discorsi degli operai e dei campagnoli. Intanto Nanon ammucchiava le corrisposte agricole in cucina. Essa aspettava sempre di ricevere gli ordini del padrone per sapere quel che doveva essere tenuto per i bisogni della casa e quel che doveva essere venduto al mercato. L'abitudine del brav'uomo era come quella d'un gran numero di gentiluomini di campagnadi bere cioè il vino andato a male e di mangiare la frutta guasta. Verso le cinque di seraGrandet fu di ritorno da Angers con quattordicimila franchi ricavati dalla vendita dell'oro e recando nel portafoglio buoni di Stato che gli fruttavano un interesse fino al giorno in cui avrebbe dovuto pagare le rendite.

Aveva lasciato Cornoiller ad Angers per governare i cavalli mezzo sfiniti e riportarli pian piano dopo averli fatti ben riposare.

- Torno da Angersmoglie - disse. - Ho appetito.

Nanon gli gridò dalla cucina: - Ma non avete mangiato niente da ieri?

- Niente rispose il bonuomo.

Nanon portò la zuppa. De Grassins venne a prendere le istruzioni dal suo cliente nel momento in cui la famiglia era a tavola. Papà Grandet non aveva neppure visto il nipote.

- Mangiate pure con comodoGrandet - disse il banchiere. - Intanto parleremo. Sapete quanto vale l'oro ad Angersdove si è andati a cercarlo per Nantes? Ho intenzione di inviarne là un certo quantitativo.

- E' inutile - rispose il bonuomo - ce n'è già a sufficienza.

Siamo troppo buoni amici perché io non debba risparmiarvi una perdita di tempo.

- Ma là l'oro vale tredici franchi e cinquanta centesimi.

- Dite piuttosto valeva.

- E da dove diavolo è arrivato?

- Sono andato questa notte ad Angers - gli rispose Grandet a bassa voce.

Il banchiere trasalì dalla sorpresa. Poi una conversazione all'orecchio s'intavolò fra i duedurante la quale de Grassins e Grandet guardarono più volte Carlo. Nel momento in cui senza dubbio il vecchio bottaio disse al banchiere di acquistare per suo conto centomila lire di renditade Grassins si lasciò di nuovo sfuggire un gesto di meraviglia.

- Signor Grandet - disse a Carlo - io parto per Parigi; e se aveste commissioni da darmi...

- Nessunasignore. Vi ringrazio - rispose Carlo.

- Ringraziatelo meglionipote mio. Il signore va per sistemare gli affari della ditta Guglielmo Grandet.

- Ci sarebbe dunque qualche speranza? - domandò Carlo.

- Ma come - esclamò il bottaio con un orgoglio ben simulato - non siete forse mio nipote? Il vostro onore è anche il nostro. Non vi chiamate Grandet?

Carlo si alzòstrinse papà Grandetlo abbracciòimpallidì e uscì. Eugenia guardava suo padre con ammirazione.

- Alloraaddiomio buon de Grassinsservitor vostroe impegolatemi bene quella gente! - I due diplomatici si diedero una stretta di manoil vecchio bottaio accompagnò il banchiere fino alla portapoidopo averla chiusatornò e disse a Nanon sprofondandosi nella poltrona: - Mi vuoi dare un ribes? - Matroppo eccitato per star fermosi alzòguardò il ritratto del signor La Bertellière e si mise a cantarefacendo quel che Nanon chiamava passi di danza:

Tra le guardie francesi avevo un buon papà.

Nanonla signora GrandetEugenia si guardarono in silenzio.

L'allegria del vignaiolo le faceva sempre temere quando arrivava al suo acme. La serata finì ben presto. Innanzi tutto papà Grandet volle andare a coricarsi di buon'ora; equando lui era a lettoin casa sua tutto doveva dormire; comequando Augusto bevevala Polonia doveva essere ubriaca. E poiNanonCarlo ed Eugenia non erano meno stanchi del padrone di casa. Quanto alla signora Grandetessa dormivamangiavabevevacamminava secondo i desideri del marito. Tuttaviadurante le due ore accordate alla digestioneil bottaiopiù faceto di quanto non lo fosse mai statopronunciò non pochi dei suoi apoftegmi particolaridei quali uno solo darà la misura del suo spirito. Quando ebbe trangugiato il suo rosolioguardò il bicchiere.

- Non si sono neppure accostate le labbra a un bicchiereche è già vuoto! Ecco la nostra storia. Non si può essere ed essere stati. Gli scudi non possono correre e restare nella borsaaltrimenti la vita sarebbe troppo bella.

Fu gioviale e clemente. Quando Nanon venne col suo arcolaio:

- Devi essere stanca - le disse. - Lascia la tua canapa.

- Eh!già!mi annoierei - rispose la domestica.

- Povera Nanon! Vuoi un po' di ribes?

- Ah!per il ribesnon dico di nola signora lo fa molto meglio dei farmacisti. Quello che vendono loro è robaccia.

- Ci mettono troppo zuccheroe allora non sa più di niente - disse il brav'uomo.

L'indomani la famigliariunita alle otto per la colazioneoffrì il quadro della prima scena d'una vera intimità. La disgrazia aveva presto unito la signora GrandetEugenia e Carlo; la stessa Nanon simpatizzava con loro senza saperlo. Tutti e quattro cominciarono a formare una medesima famiglia. Quanto al vecchio vignaiolola sua avarizia soddisfattae la certezza di veder presto partire il bellimbusto senza dovergli pagare altro che il viaggio a Nantesgli resero quasi indifferente la presenza del nipote in casa. Lasciò i due ragazzigiacché così chiamava Carlo ed Eugenialiberi di comportarsi come meglio avessero creduto sotto la vigilanza della signora Grandetnella quale riponeva una completa fiducia per quanto riguardava la morale pubblica e religiosa. La sistemazione dei prati e dei fossati lungo la stradale piantagioni di pioppi lungo la Loirae i lavori invernali nei vigneti e a Froidfond lo tennero esclusivamente occupato. Da allora cominciò per Eugenia la primavera dell'amore.

Dalla scena di quella notte in cui la cugina diede il tesoro al cuginoil suo cuore aveva seguito il tesoro. Complici tutti e due dello stesso segretosi guardavano esprimendosi una mutua comprensioneche approfondiva i loro sentimenti e li rendeva loro più comunipiù intimimettendoliper così diretutti e due al di fuori della vita ordinaria. La parentela non permetteva forse una certa dolcezza negli accentiuna tenerezza negli sguardi?

CosìEugenia si compiacque nel sopire le sofferenze del cugino nelle gioie infantili d'un amore nascente. Non ci sono graziose somiglianze tra gli inizi dell'amore e quelli della vita? Non si culla il bimbo con dolci canzoni e sguardi amorosi? Non gli si raccontano favole meravigliose che indorano il suo avvenire? Per lui la speranza non spiega incessantemente le ali radiose? Non versa eglidi volta in voltalacrime di gioia e di dolore? Non bisticcia per cose da nullaper le pietruzze con le quali cerca di costruire un instabile palazzoper un mazzolino di fiori dimenticati non appena colti? Non è avido di approfittare del tempodi progredire nella vita? L'amore è la nostra seconda trasformazione. L'infanzia e l'amore furono la stessa cosa per Eugenia e per Carlo: fu la prima passione con tutte le sue fanciullagginitanto più carezzevoli per i loro cuori in quanto avvolti nella malinconia. Dibattendosi fin sul nascere sotto i veli del luttoquell'amore era del resto ancor meglio in armonia con la semplicità provinciale di quella casa in rovina. Scambiando egli qualche parola con la cugina presso il ciglio del pozzoin quel cortile silenzioso; trattenendosi essi in quel giardinettoseduti su di un banco muscoso fino all'ora del tramontooccupati a dirsi dei nonnullao raccolti nella calma che regnava tra il bastione e la casacome sotto le arcate di una chiesaCarlo comprese la santità dell'amore; giacché la sua gran damala sua cara Annettanon gliene aveva fatto conoscere che i turbamenti tempestosi. Egli lasciava in quel momento la passione pariginacivettuolavanitosasfrontataper l'amore puro e autentico.

Amava quella casa le cui abitudini non gli sembravano più così ridicole. Scendeva presto al mattinoper poter conversare con Eugenia qualche istante prima che Grandet venisse a distribuire le provviste; equando i passi del brav'uomo risuonavano per le scalesi rifugiava in giardino. La piccola colpevolezza di quell'appuntamento mattutinosegreto anche per la madre di Eugeniae di cui Nanon fingeva di non accorgersiconferiva all'amore più innocente del mondo la viva attrazione dei piaceri proibiti. Poiquandodopo la colazionepapà Grandet era uscito per andare a sorvegliare le sue proprietà e i lavori agricoliCarlo rimaneva tra la madre e la figliaprovando delizie sconosciute nel prestar loro le sue mani per dipanare il filo d'una matassanel vederle lavorarenel sentirle chiacchierare.

La semplicità di quella vita quasi monasticache gli rivelò la bellezza di quelle anime cui il mondo era sconosciutolo toccò vivamente. Egli non aveva mai creduto possibile in Francia simili costumi e ne aveva ammesso l'esistenza solo in Germaniaseppure in un mondo di favola e nei romanzi di Augusto Lefontaine. Ben prestoper lui Eugenia fu l'ideale della Margherita di Goethesalvo il fallo. Insommadi giorno in giorno i suoi sguardile sue parole rapirono la povera ragazzache si abbandonò deliziosamente alla corrente dell'amoreafferrava la felicità come un nuotatore afferra il ramo d'un salice per trarsi dal fiume e riposarsi sulla riva. Il dolore d'un prossimo distacco non rattristava già le ore più felici di quelle fuggitive giornate?

Ogni giorno un piccolo avvenimento ricordava loro la prossima separazione. Cosìtre giorni dopo la partenza di de GrassinsCarlo fu condotto da Grandet al Tribunale di Prima Istanza con quella solennità che i provinciali mettono in simili attiper firmare la rinuncia alla successione di suo padre. Ripudio terribile! Una specie di apostasia domestica. Poi si recò dal notaio Cruchot per far stendere due procureuna per de Grassinsun'altra per l'amico incaricato di vendere i suoi mobili. Poi si dovevano compiere le formalità necessarie per ottenere un passaporto per l'estero. Infinequando giunsero i semplici abiti da lutto che aveva ordinato a ParigiCarlo chiamò un sarto di Saumure gli vendette il suo guardaroba inutile. Questo gesto piacque in modo particolare a papà Grandet.

- Ah!eccovi come un uomo che deve imbarcarsi e che vuol fare fortuna - gli disse vedendolo vestito con una redingote di pesante stoffa nera. - Benemolto bene!

- Vi prego di credere - gli rispose Carlo - che saprò ben adeguarmi alla mia situazione.

- Che cosa è questo? - disse il brav'uomo i cui occhi si animarono alla vista di una manciata d'oro che Carlo gli mostrò.

- Signoreho messo insieme i miei bottonii miei anellitutto il superfluo che possiedo e che poteva avere qualche valore; manon conoscendo nessuno a Saumurvolevo pregarvi questa mattina di...

- Di comprare questa roba? - disse Grandet interrompendolo.

- Noziodi indicarmi una persona onesta che...

- Date a menipoteandrò a sistemare questa roba sùe saprò dirvi ciò che valepresso a poco al centesimo. Oro da gioielli - disse esaminando una lunga catena - da diciotto a diciannove carati.

Il brav'uomo stese la sua larga mano e portò via il quantitativo d'oro.

- Cugina - disse Carlo - permettetemi di offrirvi questi due fermagliche potranno servirvi per mettere dei nastri ai vostri polsiuna specie di braccialetto assai alla moda adesso.

- Accetto ben volentiericugino mio - disse lei con uno sguardo d'intelligenza.

- Ziaeccovi il ditale di mia madrelo conservavo gelosamente fra i miei oggetti da viaggio - disse Carlo presentando un grazioso ditale d'oro alla signora Grandetche da dieci anni ne desiderava uno.

- Non ci sono ringraziamenti che bastinonipote caro - disse la vecchia madrei cui occhi s'inumidirono di lacrime. - Sera e mattina nelle mie preghiere aggiungerò la più fervida di tutte per voirecitando quella per i viaggiatori. Se morissiEugenia conserverà lei questo gioiello.

- E' un valore di novecentottantanove franchi e settantacinque centesiminipote - disse Grandet aprendo l'uscio. - Maper evitarvi la noia di vendere questi oggettive ne corrisponderò il valore... in lire.

L'espressione: in liresignifica sulle rive della Loira che gli scudi da sei lire devono essere accettati per sei franchisenza detrazione.

- Non osavo proporvelo - rispose Carlo - ma in realtà mi ripugnava commerciare i miei gioielli nella città dove voi abitate. I panni sporchi si lavano in famigliadiceva Napoleone. Vi ringrazio della vostra cortesia.

Grandet si grattò un orecchioe ci fu un momento di silenzio. - Mio caro zio - riprese Carlo guardandolo con aria inquietacome se avesse temuto di urtare la sua suscettibilità - mia cugina e mia zia si sono compiaciute di accettare un mio piccolo ricordo; vogliate voi pure gradire questi gemelliche per me sono ormai inutili: vi ricorderanno un povero ragazzo chelontano da voipenserà certo a quelli che ormai rappresentano tutta la sua famiglia.

- Ragazzo mio!ragazzo mionon bisogna dar via tutto così... Che cosa hai avuto tumoglie? - disse volgendosi avidamente verso di lei - ah! un ditale d'oro. E tufigliatòdei fermagli di diamanti. Andiamoaccetto i tuoi gemelliragazzo mio- riprese stringendo la mano di Carlo. - Ma... tu mi permetterai di...

pagarti... il tuosì... il tuo viaggio per le Indie. Sivoglio pagarti il viaggio. Tanto più chevediragazzo miostimando i tuoi gioielliho calcolato solo il valore dell'oroe c'è forse da guadagnare qualcosa sulla lavorazione. Allora è detto. Ti darò millecinquecento franchi... in lireche Cruchot mi presterà; poiché qui io non ho il becco di un quattrinoa meno che Perrottetche è in ritardo col pagamento dell'affittonon me lo paghi. Anzianziandrò proprio a cercarlo.

Prese il cappellocalzò i guanti e uscì.

- Dunque ve ne andrete - disse Eugenia rivolgendogli uno sguardo di tristezza e insieme di ammirazione.

- E' necessario - egli disse chinando il capo.

Da qualche giornoil contegnoi modile parole di Carlo erano diventati quelli di un uomo profondamente afflittoma chesentendo pesare su di sé gravi responsabilitàtrae nuovo coraggio dalla propria disgrazia. Non sospirava piùs'era fatto uomo.

CosìEugenia giudicò meglio che mai il carattere di suo cugino quando lo vide scendere in sala vestito coi suoi abiti di pesante stoffa nerache ben si adattavano al suo volto pallido e al suo mesto contegno. Anche le due donne misero il lutto il giorno in cui assistettero con Carlo a un "Requiem" celebrato nella parrocchia in suffragio dell'anima del defunto Guglielmo Grandet.

All'ora della seconda colazioneCarlo ricevette delle lettere da Parigie le lesse.

- Ebbene!cugino miosiete soddisfatto dei vostri affari? - disse Eugenia a bassa voce.

- Non fare mai queste domandefiglia mia - rispose Grandet. - Che diavolo!io non ti parlo dei mieie perché vuoi ficcare il naso in quelli di tuo cugino? Lascialo starequel ragazzo.

- Oh!io non ho segreti - disse Carlo.

- Ta... ta... ta... nipote mioimparerai che bisogna tenere la lingua a freno in commercio.

Quando i due innamorati si trovarono soli nel giardinoCarlo disse a Eugeniatraendola a sedere accanto a lui sul vecchio banco sotto il noce:

- Non mi ero sbagliato rivolgendomi ad Alfonsosi è com portato a meraviglia. Ha fatto i miei interessi con prudenza e lealtà. Non ho più alcun debito a Parigitutti i miei mobili sono stati venduti bene ed egli mi annuncia di averesecondo i consigli miei e di un capitano di lungo corsoimpiegato tremila franchi che rimanevano nell'acquisto di una paccottiglia composta di curiosità europeedalle quali si può ricavare un eccellente profitto nelle Indie. Ha spedito i colli a Nantesdove si trova un bastimento sotto carico per Giava. Fra cinque giorniEugeniadovremo dirci addio per sempre forsema ad ogni modo per molto tempo. La paccottiglia e diecimila franchi che mi mandano due miei amici rappresentano ben poca cosa per cominciare. Non posso pensare al ritorno prima che siano trascorsi molti anni. Cara cuginanon impegnate la mia vita e la vostraio posso morireforse vi si presenterà una ricca sistemazione.

- Mi amate?... - lei disse.

- Oh!sìtanto - egli rispose con una profondità d'accento che rivelava una pari profondità di sentimento.

- AspetteròCarlo. Dio! Mio padre è in finestra - essa disse respingendo il cuginoche s'avvicinava per abbracciarla.

Eugenia corse a ripararsi sotto l'androneCarlo la seguì; vedendoloessa si ritirò ai piedi della scala e aprì la porta a sdrucciolo; poisenza sapere bene dove andasseEugenia si trovò presso il bugigattolo di Nanonnel punto meno illuminato del corridoio; là Carloche l'aveva seguitale prese la manola trasse sul suo cuorele cinse la vita e la strinse dolcemente a sé. Eugenia non seppe più resistere - ebbe e diede il più puroil più soavema anche il più completo di tutti i baci.

- Cara Eugeniaun cugino è meglio d'un fratelloperché può sposarti - le disse Carlo...

- E così sia! - esclamò Nanon aprendo l'uscio del suo tugurio.

I due innamoratispauritisi rifugiarono in saladove Eugenia riprese il suo lavoroe dove Carlo si mise a leggere le litanie della Vergine nel libro di preghiere della signora Grandet.

- Tò - disse Nanon - stiamo recitando tutti le nostre preghiere.

Dal momento in cui Carlo ebbe annunciato la sua partenzaGrandet si mise in moto per far credere che s'interessava molto di lui; si mostrò generoso in tutto ciò che non gli costava nullasi occupò di trovargli un imballatoree disse che questi pretendeva di vendere le sue casse troppo care; volle allora per forza fabbricarle lui stessoe all'uopo adoperò alcune vecchie assi; si alzò di buon mattino per piallaremisurarespianareinchiodare le sue assicelle e confezionare con esse belle cassenelle quali imballò tutta la roba di Carlo; s'incaricò di farle scendere col battello sulla Loiradi assicurarlee di spedirle in tempo utile a Nantes.

Dopo il bacio nel corridoiole ore volavano per Eugenia con una spaventosa rapidità. In certi momenti avrebbe voluto seguire il cugino. Chi ha conosciuto la più travolgente delle passioniquella la cui durata è ogni giorno abbreviata dall'etàdal tempoda una malattia mortaleda alcune delle fatalità umanecomprenderà i tormenti d'Eugenia. Essa piangeva spesso passeggiando in quel giardinodiventato ora troppo stretto per leicome il cortilela casala città: spaziava già sulla vasta distesa dei mari. Finalmente la vigilia della partenza arrivò. Al mattinodurante l'assenza di Grandet e di Nanonil prezioso cofanetto nel quale si trovavano i due ritratti fu solennemente collocato nell'unico tiretto del canterano che si poteva chiudere a chiavee dove si trovava la borsa ora vuota. Nel riporre quel tesoro non mancarono in gran numero baci e lacrime. Quando Eugenia pose la chiave nel suo senonon ebbe il coraggio d'impedirne a Carlo di baciarne il punto in cui era stata messa.

- Non uscirà mai da quiamico mio.

- Anche il mio cuore vi starà sempre.

- Ah!Carlonon sta bene - essa disse con un lieve accento di rimprovero.

- Non siamo forse sposati? - egli rispose - ho la tua parolaeccoti la mia.

"Tuoper sempre"fu detto due voltedall'uno e dall'altra.

Nessuna promessa fatta su questa terra fu più pura: il candore di Eugenia aveva momentaneamente santificato l'amore di Carlo.

All'indomani mattina la colazione fu triste. Nonostante la veste da camera dai rabeschi dorati e una crocetta d'oro donatale da Carlola stessa Nanonlibera di manifestare i propri sentimentiebbe le lacrime agli occhi.

- Oh!povero signorinoche se ne va sul mare! Che Dio lo accompagni!

Alle dieci e mezzala famiglia si avviò per accompagnare Carlo alla diligenza per Nantes. Nanonche aveva sciolto il cane e chiuso la portavolle portare la valigia di Carlo. Tutti i negozianti della vecchia strada erano sulla soglia delle loro botteghe per veder passare quel corteoal quale si aggiunse quando furono sulla piazza il notaio Cruchot.

- Non piangereEugenia - le disse la madre.

- Nipote mio - disse Grandet sotto la porta dell'albergo - baciando Carlo sulle due gote - partite poverotornate riccoe troverete l'onore di vostro padre salvo. Ve ne rispondo ioGrandetgiacchéallora starà solo a voi di....

- Ah!caro ziovoi addolcite l'amarezza della mia partenza. Non è questo il più bel regalo che mi potete fare?

Non comprendendo le parole del vecchio bottaioche aveva interrottoCarlo sparse sul viso abbronzato dello zio lacrime di riconoscenzamentre Eugenia stringeva con tutta la forza la mano del cugino e quella del padre. Soltanto il notaio sorrideva ammirando l'astuzia di Grandetpoiché soltanto lui aveva ben capito ciò che il brav'uomo aveva voluto dire. I quattro cittadini di Saumurcontornati da molte personerimasero dinanzi alla vettura fino a che questa non partì; poiquando scomparve sul ponte e il rumore ne echeggiò lontano: Buon viaggio! - disse il vignaiolo. Fortunatamente il notaio Cruchot fu il solo a sentire questa esclamazione. Eugenia e la madre erano andate in un punto della strada da cui potevano vedere ancora la diligenzae agitavano i loro fazzoletti bianchisegno al quale rispose Carlo sventolando il suo.

- Mammavorrei avere per un istante la forza di Dio - disse Eugenia nel momento in cui non vide più il fazzoletto di Carlo Per non interrompere il corso degli eventi che si succedettero in seno alla famiglia Grandetè necessario dare in anticipo uno sguardo alle operazioni che il brav'uomo fece a Parigi per il tramite di de Grassins. Un mese dopo la partenza del banchiereGrandet possedeva un'iscrizione sul libro del Debito Pubblico di centomila lire di rendita acquistata a ottanta franchi netti. I dati ricavatialla sua mortedal suo inventarionon hanno mai potuto fornire la benché minima luce sui mezzi che la diffidenza gli suggerì per tramutare il prezzo di quella iscrizione nella iscrizione stessa. Il notaio Cruchot pensò che Nanon fosse stataa sua insaputalo strumento fedele del trapasso dei fondi. Verso quell'epoca la domestica si assentò per cinque giornicol pretesto di andare a sistemare qualcosa a Froidfondcome se il brav'uomo fosse stato tipo da lasciare qualcosa in pendenza.

Quanto agli affari della ditta Guglielmo Grandettutte le previsioni del bottaio si avverarono.

Alla Banca di Francia si hannocome ognuno sagli elementi più esatti sulle grandi fortune di Parigi e dei vari dipartimenti. I nomi di de Grassins e di Felice Grandet di Saumur vi erano conosciutie vi godevano di quella stima accordata alle celebrità finanziarie che si basano su immense proprietà terriere libere da ipoteche. L'arrivo del banchiere di Saumurincaricatosi dicevadi liquidare onorevolmente la ditta Grandet di Parigibastò dunque a evitare alla memoria del defunto commerciante l'onta dei protesti. I sigilli furono tolti alla presenza dei creditorie il notaio di famiglia procedette regolarmente all'inventario della successione. Ben presto de Grassins riunì i creditorii qualiall'unanimitàelessero liquidatore il banchiere di Saumurunitamente a Francesco Kellertitolare d'una ricca aziendauno dei principali interessatie conferirono loro tutti i poteri necessari per salvare a un tempo l'onore della famiglia e i creditori. Il credito di cui godeva Grandet di Saumurla speranza che egli infuse nel cuore dei creditori tramite de Grassinsfacilitarono le transazioni; non si trovò un solo recalcitrante fra i creditori. Nessuno pensava di passare il proprio credito in conto Profitti e Perditee ognuno diceva: "Grandet di Saumur pagherà!". Trascorsero sei mesi. I parigini avevano ritirato gli effetti in circolazione e li conservavano in fondo ai loro portafogli; primo risultato che voleva ottenere il bottaio. Nove mesi dopo la prima assembleai due liquidatori distribuirono il quarantasette per cento a ogni creditore. Tale somma rappresentò il ricavo della vendita dei valoripossedimentibeni e cose di vario genere appartenuti al fu Guglielmo Grandeteseguita con fedeltà scrupolosa. La liquidazione fu informata alla più meticolosa probità. I creditori si compiacquero di riconoscere l'ammirevole e incontestabile onore dei Grandet. Dopo che queste lodi ebbero circolato il tempo convenientei creditori chiesero il resto del loro denaro. Dovettero scrivere una lettera collettiva a Grandet.

- Ci siamo - disse il vecchio bottaio gettando la lettera al fuoco - pazienzaamici miei.

In risposta alle richieste contenute in quella lettera Grandet di Saumur chiese il deposito presso un notaio di tutti i titoli di credito esistenti contro la successione del fratelloaccompagnati dalla quietanza dei pagamenti già eseguiticol pretesto di verificare ì conti e di stabilire secondo correttezza lo stato della successione. Il deposito suscitò mille difficoltà. In genereil creditore è una specie di maniaco. Oggi disposto a concluderedomani vuol mettere tutto a ferro e fuoco; più tardi diventa ultra-accomodante. Oggi sua moglie è di buon umoreil bimbo ha messo un dentein casa tutto va beneegli non vuol rimetterci un soldo; domani piovenon può uscireè malinconicoe allora dice sì a ogni propostapur di finirla; dopodomani gli occorrono garanziealla fine del mese vorrà farvi gli attiil carnefice! Il creditore somiglia a quel passero in libertà sulla coda del quale s'invitano i bambini a mettere un pizzico di sale; ma il creditore ritorce questa immagine contro il suo creditodi cui non riesce a recuperare niente. Grandet aveva osservato le variazioni atmosferiche dei creditorie quelli di suo fratello obbedirono a tutti i suoi calcoli. Gli uni andarono in bestia e opposero un netto rifiuto al deposito. "Bene!benissimo"diceva Grandet fregandosi le mani nel leggere le lettere che gli scriveva a tal proposito de Grassins. Altri non consentirono al deposito se non alla condizione di far bene accertare i loro dirittidi non rinunciare ad alcuno di essie di riservarsi anche quello di far dichiarare il fallimento. Altra corrispondenzadopo la quale Grandet di Saumur acconsentì a tutte le riserve richieste.

Negoziando questa concessionei creditori condiscendenti fecero intendere le loro ragioni ai creditori intransigenti. Il deposito fu eseguitonon senza qualche lamentela. "Quel brav'uomo"fu detto a de Grassinsprende in giro voi e noi. Ventitré mesi dopo la morte di Guglielmo Grandetmolti commerciantidistratti dal giro degli affari di Parigiavevano dimenticato il recupero dei crediti Grandeto ci pensavano solo per dirsi: "Comincio a credere che quel quarantasette per cento è tutto ciò che potrò cavarne fuori". Il bottaio aveva contato sul potere del tempochedicevaè un buon diavolo. Alla fine del terzo annode Grassins scrisse a Grandet chepagando il dieci per cento dei due milioni e quattrocentomila franchi ancora dovuti dalla ditta Grandetavrebbe indotto i creditori a consegnargli i loro titoli.

Grandet rispose che il notaio e l'agente di cambioi cui spaventosi fallimenti avevano causato la morte del fratellovivevanoloro!e potevano essersi rimessi in sestoe che perciò bisognava procedere contro di loro per tirarne fuori qualcosa e diminuire la cifra del deficit. Alla fine del quarto annoil deficit fu debitamente fissato nella cifra di un milione e duecentomila franchi. Ci furono trattative che durarono sei mesi tra i liquidatori e i creditoritra Grandet e i liquidatori. In brevevivamente sollecitato a pagareGrandet di Saumur rispose ai due liquidatoriverso il nono mese di quell'annoche suo nipoteil quale aveva fatto fortuna nelle Indiegli aveva manifestato l'intenzione di pagare integralmente i debiti del padre; che egli non poteva quindi assumersi la responsabilità di soddisfarli senza averlo consultato; che attendeva una risposta. I creditoriverso la metà del quinto annoerano ancora tenuti in scacco con la parola "integralmente"di tanto in tanto lasciata cadere dal sublime bottaioil quale rideva sotto i baffie non diceva mai: quei "Parigini!"senza lasciarsi sfuggire un fine sorriso e una bestemmia. Ma ai creditori fu riservata una sorte inaudita nei fasti del commercio. Essi si ritroveranno nella posizione in cui li aveva lasciati Grandet al momento in cui gli avvenimenti di questa storia li obbligheranno a ricomparirvi.

Quando la rendita raggiunse 115papà Grandet vendetteritirò da Parigi circa due milioni quattrocentomila franchi in oroche andarono a raggiungere nei suoi barilotti i seicentomila franchi d'interessi composti che gli avevano fruttato i suoi titoli. De Grassins restava intanto a Parigi. Ecco perché! Innanzi tutto fu eletto deputato; poi s'incapricciòlui padre di famigliama annoiato della noiosa vita saummuresedi Fiorinauna delle più graziose attrici del teatro di Madamee nel banchiere si ebbe una recrudescenza del quartiermastro. E' inutile parlare della sua condotta; essa fu giudicata a Saumur profondamente immorale. Sua moglie si considerò molto fortunata di avere i beni separati e di possedere abbastanza cervello per condurre l'azienda di Saumuri cui affari continuarono a essere trattati sotto il suo nomeal fine di riparare i danni causati al patrimonio dalle pazzie del signor de Grassins. I Crusciottiani peggiorarono così bene la falsa situazione della quasi vedovache essa maritò assai male sua figliae dovette rinunciare al matrimonio di suo figlio con Eugenia Grandet. Adolfo raggiunse de Grassins a Parigi e vi divennesi disseun pessimo soggetto. I Cruchot trionfarono.

- Vostro marito non ha buon senso - disse Grandet - prestando una somma alla signora de Grassinscontro garanzie. Vi compiango moltoperché siete una brava donnina.

- Ah!signore - rispose la povera signora - chi avrebbe mai potuto immaginare che il giorno in cui partì da casa vostra per andare a Parigiandava incontro alla sua rovina?

- Il cielo mi è testimoniosignorache ho fatto di tutto fino all'ultimo momento per impedirglielo. Il signor presidente voleva a ogni costo sostituirlo; e se teneva tanto ad andarciora ne sappiamo il perché! - In questa forma Grandet dichiarava di non aver alcun obbligo verso i de Grassins.

In ogni situazionele donne trovano più ragioni di dolore che non l'uomoe soffrono più di lui. L'uomo ha la sua forza e l'esercizio del suo potere; agiscesi muovetrafficapensaguarda all'avvenire e vi trova una consolazione. Così faceva Carlo. Ma la donna rimane lìresta faccia a faccia col dolore da cui nulla la distraediscende fino al fondo dell'abisso che esso ha apertolo misura e spesso lo riempie coi suoi voti e le sue lacrime. Così faceva Eugenia. Essa si iniziava al suo destino.

Avere sentimentoamaresoffriresacrificarsidi questo sarà sempre intessuta la vita della donna. Eugeniadoveva essere tutta la donnama senza quel che la consola. La sua felicitàfitta quanto i chiodi disseminati nel murosecondo la sublime espressione di Bossuetnon avrebbe dovuto un giorno riempirle neppure il cavo della mano. I dolori non si fanno mai attenderee per lei arrivarono presto. All'indomani della partenza di Carlola casa Grandet riprese il suo aspetto normale per tuttifuorché per Eugeniache la trovò improvvisamente vuota. All'insaputa del padrevolle che la camera di Carlo rimanesse nello stato in cui egli l'aveva lasciata. La signora Grandet e Nanon furono volentieri complici di questo "statu quo".

- Chi sa che non torni più presto di quanto non crediamo? - essa disse.

- Ah!vorrei che già fosse qui - rispose Nanon. Mi ci ero abituata tanto bene a lui! Era così gentilecosì educatosi potrebbe dire quasi bello e coi capelli inanellati come una ragazza-. Eugenia guardava Nanon. - Santa Verginesignorinama voi avete certi occhi da dannarvi l'anima! Non guardate a quel modoper l'amor di Dio.

Da quel giornola bellezza della signorina Grandet prese un nuovo carattere. I gravi pensieri d'amore da cui la sua anima era lentamente invasala dignità della donna amata conferirono ai suoi lineamenti quella specie di splendore che i pittori rendono con una aureola. Prima dell'arrivo del cuginoEugenia poteva essere paragonata alla Vergine prima della concezione; dopo la sua partenza rassomigliava alla Vergine madre: essa aveva concepito l'amore. Queste due Marie così diverse e così ben rappresentate da qualche pittore spagnolocostituiscono una delle più luminose figure del cristianesimo. Tornando dalla messaa cui si recò all'indomani della partenza di Carloe a cui aveva fatto voto di assistere ogni giornoessa acquistòdal libraio della cittàuna carta geografica che inchiodò accanto al suo specchioper seguire il cugino nel suo viaggio verso le Indieper potersi mettere un po'sera e mattinanel bastimento che lo trasportavaper vederloper rivolgergli mille domandeper dirgli: "Stai bene?

Non soffri? Pensi a meguardando quella stelladi cui mi hai insegnato a conoscere la bellezza e l'utilità?". Poiil mattinose ne stava pensosa sotto il noceseduta sulla panca di legno tarlato e ornato di muschio grigio dove s'erano dette tante belle cosetanti nonnulladove avevano costruito i castelli in aria del loro bel sogno d'amore. Essa pensava all'avvenire guardando il cielo dal ristretto spazio che le mura le consentivano di abbracciare; poi la vecchia ala di muroe il tetto sotto il quale era la camera di Carlo. Fu insomma l'amore solitariol'amore vero che persisteche si insinua in tutti i pensierie diviene la sostanzaocome avrebbero detto i nostri padriil tessuto della vita. Quando i sedicenti amici di papà Grandet venivano la sera a far la partitaera gaiadissimulava; madurante tutte le mattineparlava di Carlo con sua madre e con Nanon. Nanon aveva capito che poteva compatire i dolori della padroncina senza mancare ai doveri verso il suo vecchio padronelei che diceva a Eugenia:

- Se avessi avuto un uomoiol'avrei... seguito fino all'inferno. Lo avrei... che!... insommami sarei fatta ammazzare per lui; ma... niente. Morirò senza sapere che cosa è la vita. Ci crederestesignorinache quel vecchio di Cornoillerche poi è un brav'uomogira attorno alla mia sottanaper le mie renditeproprio come quelli che vengono qui ad annusare il tesoro del padronefacendovi la corte? Io me ne accorgoperché ancora sono un po' furbabenché sia grossa come una torre; ebbene!signorinaquesto mi fa piacerequantunque non sia proprio l'amore.

Due mesi trascorsero così. Quella vita domesticaun tempo tanto monotonas'era animata per l'immenso interesse del segreto che teneva unite più intimamente le tre donne. Per lorosotto il soffitto grigiastro della salaCarlo vivevaandavaveniva ancora. Sera e mattina Eugenia apriva e contemplava il ritratto della zia. Una domenica mattina venne sorpresa dalla madre nel momento in cui stava cercando i lineamenti di Carlo in quelli del ritratto. La signora Grandet fu allora iniziata al terribile segreto del cambio fatto dal viaggiatore col tesoro di Eugenia.

- Gli hai dato tutto? - disse la madre spaventata. - Che dirai dunque a tuo padreil primo dell'annoquando vorrà vedere il tuo oro?

Gli occhi di Eugenia divennero fissi; e le due donne rimasero in preda a un terrore mortale per metà della mattinata. Esse furono così turbateda non fare in tempo alla messa cantatae si recarono solo a quella per i militari. Tre giorni dopol'anno 1819 sarebbe finito. Tre giorni dopo avrebbe avuto inizio un tremendo drammauna tragedia borghese senza velenoné pugnalené sangue sparso; ma per gli attoripiù crudele di tutti i drammi avvenuti nella illustre famiglia degli Atridi.

- Che ne sarà di noi? - disse la signora Grandet alla figlialasciando cadere il lavoro a maglia sulle ginocchia.

La povera madre subiva da due mesi tali turbamentida non aver ancora finito le maniche di lana di cui aveva bisogno per il prossimo inverno. Questo fatto domesticodi minima importanza all'apparenzaebbe tristi conseguenze per lei. Per la mancanza delle manicheil freddo la colpì in malo modo durante una sudata fatta a causa di una spaventosa scenata del marito.

- Pensavopovera figlia miachese mi avessi confidato il tuo segretoavremmo fatto in tempo a scrivere a Parigi al signor de Grassins. Egli avrebbe potuto mandarci alcune monete d'oro simili alle tue; esebbene Grandet le conosca beneforse...

- Ma dove avremmo potuto trovare tanto denaro?

- Avrei impegnato quel che è mio... Del resto il signor de Grassins ci avrebbe certo...

- Ormai non siamo più in tempo - rispose Eugenia con una voce cupa e alterata interrompendo la madre. - Domani mattina non dobbiamo andar da lui ad augurargli il buon anno in camera sua?

- Mafiglia mianon potrei ricorrere ai Cruchot?

- Nonosarebbe darmi nelle loro mani e metterci a ricasco loro.

E poiho deciso così. Ho tatto bene quel che ho fattoe non mi pento di nulla. Dio mi proteggerà. Sia fatta la sua santa volontà.

Ah!se aveste letto la sua letteranon avreste pensato che ad aiutarlomamma mia. - L'indomani mattinaprimo gennaio 1820il terrore flagrante cui madre e figlia erano in predasuggerì loro la più naturale delle scuse per non recarsi solennemente nella camera di Grandet. L'inverno dal 1819 al 1820 fu uno dei più rigidi dell'epoca. La neve era alta sui tetti.

La signora Grandet disse al maritoquando sentì che si muoveva nella sua camera:

- Grandetfa accendere da Nanon un po' di fuoco in camera mia; il freddo è così forte che gelo sotto le coperte. Sono arrivata a un'età in cui ho bisogno di qualche riguardo. Del resto - riprese dopo una breve pausa - Eugenia verrà a vestirsi qui. La povera ragazza potrebbe buscarsi una malattia se facesse toletta in camera sua con un tempo simile. Poi verremo ad augurarti il buon anno vicino al fuocoin sala.

- Tatatache lingua! Come cominci l'annosignora Grandet!

Non hai mai parlato tanto. Eppure non credo che tu abbia mangiato pane intinto nel vino. - Ci fu un momento di silenzio. - Ebbene! - riprese il brav'uomoal quale senza dubbio la proposta di sua moglie garbava - farò come vorretesignora Grandet. Sei proprio una brava mogliee non voglio che ti colga qualche male all'età tuaper quanto in genere i La Bertellière siano di vecchio cemento. Eh!non è vero? - esclamò dopo una pausa. - E poinoi siamo loro eredie gli perdono.

- Siete allegrostamanesignore - disse gravemente la povera donna.

- Sempre allegroio...

Lietolietoo bottaioracconcia la bigoncia.

aggiunseentrando in camera della moglie già bell'e vestito. - Sìcorpo di baccofa proprio un bel freddo. Faremo una buona colazionemoglie mia. De Grassins mi ha mandato un pasticcio di fegato d'oca tartufato! Ora vado a prenderlo alla posta. Deve averci aggiunto un doppio napoleone per Eugenia - le disse all'orecchio. - Non ho più oromoglie mia. Avevo ancora qualche vecchia monetaa te lo posso dire; ma ho dovuto privarmene per gli affari - . Eper celebrare il primo giorno dell'annola baciò in fronte.

- Eugenia - gridò la buona mamma - non so su quale fianco tuo padre ha dormito; ma è di buon umorestamattina. E via!ce la caveremo.

- Ma che cosa ha il padrone? - disse Nanon entrando in camera della padrona per accendervi il fuoco. Prima di tutto mi ha detto:

"Buon giornobuon annobestiona! Va' ad accrescere il fuoco da mia moglieperché sente freddo". Poi sono rimasta come una stupida quando l'ho visto tendermi una mano per darmi uno scudo di sei franchi quasi punto tosato! Eccolosignoralo vedete? Oh!che brav'uomo. E' una degna personadopotutto. Ce ne sono di quelli che più invecchianopiù induriscono; invece luidiventa dolce come il vostro ribessi fa sempre più buono. E' proprio un perfetto e brav'uomo...

Il segreto di quella gioia era da ricercarsi nel completo successo della speculazione di Grandet. Il signor de Grassinsdopo aver detratto le somme che gli doveva il bottaio per lo sconto dei centocinquantamila franchi di effetti olandesie per il dippiù che gli aveva anticipato per completare la somma necessaria all'acquisto delle centomila lire di renditagli aveva inviatocon la diligenzatrentamila franchi in scudirimanenza degli interessi sul semestree gli aveva annunciato il rialzo dei fondi pubblici. Erano allora a 89e i più noti capitalisti li compravanoa fine gennaio a 92. Grandet guadagnavada due mesiil dodici per cento sui suoi capitali; aveva appurato i suoi contie stava ormai per riscuotere cinquantamila franchi ogni sei mesi senza dover pagare né imposte né indennizzi. Egli si rendeva conto dell'utilità della renditaimpiego per il quale i provinciali manifestano una ripugnanza invincibilee si vedevain meno di cinque annipadrone di un capitale di sei milioni messo insieme senza troppa faticae cheaggiunto al valore delle sue proprietà immobiliariavrebbe costituito un patrimonio colossale. I sei franchi regalati a Nanon erano forse il compenso di un grande servizio che la domestica aveva a sua insaputa reso al suo padrone.

- Oh!oh!dove se ne va papà Grandetche corre da stamattina come se andasse a spegnere un incendio? - si chiesero i negozianti intenti ad aprire le loro botteghe. Poiquando lo videro tornare seguito da un fattorino delle messaggerie che trasportava su di una carriola alcuni sacchi pieni:

- L'acqua va sempre al mareil brav'uomo andava verso i suoi scudi - diceva uno.

- Gliene arrivano da Parigida Froidfonddall'Olanda! - diceva un altro.

- Finirà per comprare tutta Saumur - esclamava un terzo.

- Se ne infischia del freddoè sempre dietro ai suoi affari - diceva una donna al marito.

- Eh!eh!signor Grandetse quella roba v'incomodasse - gli disse un mercante di stoffeil suo più prossimo vicino - ve ne sbarazzo io.

- Ma non sono che soldi! - rispose il vignaiolo.

- D'argento - disse il facchino a bassa voce.

- Se vuoi che pensi poi a teacqua in bocca - disse il brav'uomo al facchino aprendo la porta di casa.

- Ah!vecchia volpelo credevo sordo - pensò il facchino; - ma pare che quando fa freddo ci senta bene.

- Eccoti venti soldi come strennae acqua in bocca! Fila! - gli disse Grandet. - Nanon ti riporterà la carriola. Nanonle donne sono andate alla messa?

- Sìsignore.

- Andiamomarcia! Al lavoro! - gridò caricandola di sacchi. In un momento gli scudi furono trasportati nella sua stanza dove si rinchiuse. - Quando la colazione sarà prontabussami al muro.

Riporta la carriola alle Messaggerie.

La famiglia fece colazione solo alle dieci.

- Qui tuo padre non chiederà di vedere il tuo oro- disse la signora Grandet alla figlia tornando dalla messa. - E poimostra d'avere freddo. Del resto avremo tempo di rifare il tuo tesoro per il giorno del tuo compleanno...

Grandet scese la scala pensando a metamorfosare prontamente i suoi scudi parigini in buon oro e alla sua mirabile speculazione sulle rendite di Stato. Era deciso a impiegare in questa forma i suoi frutti fino a quando la rendita non raggiungesse il tasso di cento franchi. Meditazione funesta per Eugenia. Non appena entròle due donne gli augurarono buon annola figlia saltandogli al collo e vezzeggiandolola signora Grandet gravemente e con dignità.

- Ah!ah!bambina mia - disse baciando la figlia sulle gote - io lavoro per tevedi? Voglio la tua felicità. Ci vuole denaro per essere felici. Senza soldimarameo. To'eccoti un napoleone nuovo di zeccal'ho fatto venire da Parigi. Corpo di bacconon c'è un grano d'oro in casa. Non ci sei che tu ad avere dell'oro.

Fammi vedere il tuo orofifiglia.

- Oh!fa troppo freddofacciamo colazione - gli rispose Eugenia.

- Va beneallora dopoeh? Ci aiuterà a digerire. Quel grullo di de Grassins ci ha mandato questa roba - riprese. - E allora sottomangiatedonne mietanto non costa niente. Lavora bene de Grassinssono contento di lui. Quel baccalà rende un servizio a Carloe pure gratis. Sta sistemando molto bene gli affari del mio povero fratello. Oh!Oh! - fece con la bocca pienadopo una pausa - sapete che è molto buono? Mangialomangialomoglie mia!

questo ti nutrirà almeno per due giorni.

- Non ho appetito. Sono tutta malandatalo sai.

- Ma va là! Tu puoi rimpinzarti senza paura di far crepare il tuo stomaco; sei una La Bertellièreuna donna forte. Sei un po' giallinasìma il giallo mi piace.

L'attesa di una morte ignominiosa e pubblica sarebbe stata forse meno terribile per un condannatodi quanto non lo fosse per la signora Grandet e per sua figlia l'attesa degli eventi che dovevano chiudere quella colazione familiare. Più il vecchio vignaiolo allegramente parlava e mangiavapiù il cuore delle due donne si stringeva. Ma almeno la figlia aveva un appoggio in tale congiuntura: essa traeva forza dal suo amore.

"Per luiper lui"diceva tra sé e sésoffrirei mille morti.

A questo pensierolanciava alla madre sguardi sfavillanti di coraggio.

- Sbarazza tutta questa roba - disse Grandet a Nanon quandoverso le undicila colazione ebbe termine; - ma lasciaci la tavola.

Staremo più comodi per vedere il tuo piccolo tesoro - disse guardando Eugenia. - Piccolo in fede miapoi no. Tu possiedicome valore intrinsecocinquemilanovecentocinquantanove franchichecoi quaranta di questa mattinafanno seimila franchi meno uno. Ebbenete lo darò io questo franco per completare la sommaperchévedififiglia.... Ebbeneperché stai ad ascoltarci?

Alza i tacchi Nanone va' al tuo lavoro - disse il brav'uomo.

Nanon scomparve.

- SentimiEugeniabisogna che tu mi dia il tuo oro. Non lo rifiuterai certo a tuo "papadrefifiglietta" miano? - Le due donne restavano silenziose.

- Non ho più oroio. Lo avevoma adesso non l'ho più. Ti restituirò i seimila franchi in liree tu le impiegherai come ti dirò io. Non è più il caso di pensare al corredo. Quando ti mariteròe questo avverrà prestoti troverò uno sposo che potrà offrirti il più bel corredo di cui si sarà mai parlato in provincia. Ascoltami dunquefifiglia. Si presenta una bella occasione: puoi impiegare i tuoi seimila franchi in cartelle del Debito Pubblicoe ogni sei mesi riscuoterai circa duecento franchi d'interessesenza impostené indennizziné grandinené gelatené mareené niente altro di quel che insidia le rendite immobiliari. Ti dispiace forse di privarti del tuo oroehfifiglia? Portamelo qui lo stesso. Raccoglierò per te monete d'oroolandesiportoghesirupie del Mogolgenovine; econ quelle che ti regalerò per la tua festain tre anni avrai ricostituito la metà del tuo piccolo tesoro aureo. Che ne dicififiglia? Alza il viso. Suvviavai a prenderloquel tesoretto.

Dovresti ringraziarmi perché ti rivelo i segreti e i misteri di vita e di morte degli scudi. Giacché gli scudi vivono e brulicano come gli uomini; vannovengonosudanoproducono.

Eugenia si alzòmadopo aver fatto qualche passo verso l'usciosi voltò bruscamenteguardò il padre in viso e gli disse:

- Il mio oro non l'ho più.

- Non hai più il tuo oro? - esclamò Grandet rizzandosi sui garretti come un cavallo che sente sparare il cannone a dicci passi da sé.

- Nonon l'ho più.

- Tu ti sbagliEugenia.

- No.

- Maledizione!

Quando il bottaio imprecava cosìil pavimento tremava.

- Dio buono e santo!ecco che la signora impallidisce - esclamò Nanon.

- Grandetla tua ira mi farà morire - disse la povera donna.

- Tatatatavoialtri non morite mainella vostra famiglia!

Eugeniache ne avete fatto delle vostre monete? - gridò scagliandosi verso di lei.

- Signore - disse la figlia rifugiatasi fra le ginocchia della signora Grandet - mia madre sta soffrendo. Guardatenon uccidetela.

Grandet fu spaventato dal pallore diffuso sul volto della mogliegià così giallo.

- Nanonaiutatemi a mettermi a letto - disse la madre con voce fioca. - Mi sento morire. - Nanon accorse a dare il braccio alla padronacosì fece Eugeniae solo con pene infinite riuscirono a farla salire nella sua cameragiacché sveniva di gradino in gradino. Grandet rimase solo. Tuttavia qualche istante doposalì sette od otto gradinie gridò:

- Eugeniaquando avete messo letto vostra madrescendete qui subito.

- Sìpadre mio.

Essa non tardò a tornaredopo aver rassicurato sua madre.

- Figliola - le disse Grandet - ditemi dov'è il vostro tesoro.

- Babbose voi mi fate regali di cui non sia interamente padronariprendeteveli - rispose freddamente Eugeniacercando il napoleone sul caminetto e tendendoglielo.

Grandet afferrò avidamente il napoleone e se lo cacciò nel taschino.

- Lo credo bene che non ti darò più niente. Nemmeno tanto così - disse facendo schioccare l'unghia del pollice sotto gli incisivi.

- Disprezzate dunque vostro padrenon avete confidenza in luinon sapete dunque che cosa è un padre? Se non è tutto per voinon è nulla. Dov'è il vostro oro?

- Babbovi voglio bene e vi rispettomalgrado la vostra collera; ma vi farò umilmente osservare che ho ventidue anni. Mi avete detto troppo spesso che sono maggiorenne per non saperlo. Del mio denaro ho fatto l'uso che meglio mi è sembratoe state pur certo che l'ho collocato bene...

- Dove?

- E' un segreto inviolabile - essa disse. - Non avete anche voi i vostri segreti?

- Ma io sono il capo della famigliae non posso avere gli affari miei?

- E pure questo è affar mio.

- Dev'essere un cattivo affarese non potete dirlo a vostro padresignorina Grandet.

- E' eccellentee non posso dirlo a mio padre.

- Ma almeno si può sapere quando avete dato via il vostro oro? - Eugenia fece col capo un cenno di diniego. - Lo avevate ancora il giorno della vostra festano? - Eugeniadiventata scaltra per amore quanto suo padre lo era per avariziaripeté lo stesso segno col capo. - Ma non s'è mai vista una testardaggine similené simile furto - disse Grandet con una voce che andò crescendoe che fece gradatamente risuonare la casa. - Come!quinella mia casasotto i miei occhiqualcuno avrebbe preso il tuo oro? Il solo oro che c'era! E io non dovrò sapere chi è costui? L'oro è cosa cara. Le più oneste ragazze possono commettere dei fallidare non so chee questo accade sia nelle famiglie nobili come nelle borghesi; ma dare via dell'oropoiché lo avete dato a qualcunono? - Eugenia rimase impassibile. - Si è mai vista una figlia simile? E sono io sì o no vostro padre? Se lo avete collocatoavrete una ricevuta...

- Ero libera sì o no di farne quel che meglio credevo? Era mio?

- Ma tu sei una bambina.

- Maggiorenne.

Sbalordito dalla logica della figliaGrandet impallidìbatté i piedi a terrabestemmiò; poi trovando finalmente le parolegridò:

- Maledetta serpe d'una figlia! Ah! Mala piantatu sai bene che ti amoe ne abusi. E lei uccide suo padre! Perdiotu devi aver gettato la nostra fortuna ai piedi di quello scalcagnato che porta gli stivali di marocchino. Maledizione!non posso diseredarticorpo d'una botte! ma maledico tetuo cuginoe i figli tuoi!

Vedrai che da tutto questo non verrà fuori nulla di buonomi capisci? Se è a Carlo che... Ma noè impossibile. Che! Quel perfido bellimbusto mi avrebbe svaligiato? - E guardò sua figlia che restava muta e fredda. - E lei non si muovenon batte ciglioè più Grandet di Grandet! Ma almeno non avrai dato il tuo oro per nullano? Andiamoparla - . Eugenia guardò il padrerivolgendogli uno sguardo ironico che lo offese. - Eugeniavoi siete in casa mia; da vostro padre. Per rimanercidovete sottomettervi ai suoi ordini. I preti vi ordinano di obbedirmi - .

Eugenia abbassò la testa. - Voi mi offendete in quel che ho di più caroriprese - e voglio vedervi sottomessa. Andate in camera vostra. Ci rimarrete fino a quando non vi avrò permesso di uscirne. Nanon vi porterà pane e acqua. Mi avete sentito? Andate!

Eugenia ruppe in lacrime e corse dalla madre. Dopo aver fatto un certo numero di volte il giro del giardinosotto la nevesenza accorgersi del freddoGrandet pensò che la figlia si fosse rifugiata presso la madre; elusingato di poterla cogliere in fallo di disobbedienza ai suoi ordinisi arrampicò per la scala con l'agilità di un gattoe apparve nella camera della signora Grandet nel momento in cui questa accarezzava i capelli d'Eugeniail cui volto era affondato nel seno materno.

- Consolatimia povera figliolatuo padre si calmerà.

- Lei non ha più padre - disse il bottaio. - Siamo proprio io e voisignora Grandetche abbiamo messo al mondo una figlia così disobbediente come questa? Bella educazionee religiosa soprattutto. Com'è che vi trovo qui ancora? Viain prigionein prigionesignorina.

- Volete privarmi di mia figlia? - disse la signora Grandet col viso rosso di febbre.

- Se la volete tenere con voiportatevela viaandatevene entrambe di casa. Perdiodov'è l'oroche se n'è fatto dell'oro?

Eugenia si alzòlanciò uno sguardo d'orgoglio a suo padree rientrò nella sua cameraalla quale il brav'uomo diede un giro di chiave.

- Nanon - gridò - spegni il fuoco in sala - . E si mise a sedere su di una poltrona presso il caminetto della mogliedicendole:

- Lo ha dato certamente a quel miserabile seduttore di Carlo che non mirava ad altro che al nostro denaro.

La signora Grandet trovònel pericolo che minacciava sua figlia e nel suo sentimento maternoabbastanza forza per restare in apparenza freddamuta e sorda.

- Non sapevo niente di tutto questo - rispose volgendosi verso la parete del letto per non subire gli sguardi scintillanti del marito. - La vostra violenza mi fa tanto soffrire chese devo dar retta ai miei presentimentinon uscirò di qui che coi piedi in avanti. In questo momento avreste dovutosignorerisparmiare un simile dolore a meche non vi ho dato mai alcun dispiacerealmeno lo credo. Vostra figlia vi vuol benela credo innocente quanto un bimbo appena nato; e allora non la fate soffrirerevocate la vostra sentenza. Il freddo è acutopotreste farle venire qualche grave malattia.

- Non la vedrò né le parlerò. Resterà nella sua camera a pane e acqua finché non avrà dato soddisfazione a suo padre. Che diavolo!il capo d'una famiglia deve pur sapere dove va a finire l'oro di casa sua. Lei possedeva le sole rupie che si trovassero in Francia forse e poi delle genovinedei ducati d'Olanda.

- Signor GrandetEugenia è la nostra figlia unicae se anche le avesse gettate in acqua...

- In acqua? - gridò il brav'uomo - in acqua! Siete pazzasignora Grandet. Quel che ho detto ho dettoe voi lo sapete. Se volete che la pace torni in casafate confessare a vostra figliafatele sputare il suo segreto. Le donne s'intendono meglio tra di loroche non con noi. Qualunque cosa abbia potuto fareio non me la mangerò mica. Ha forse paura di me? Se anche avesse indorato suo cugino dalla testa ai piediormai egli è in alto mareno?e non possiamo corrergli dietro...

- Ebbenesignore... - Eccitata dalla crisi nervosa di cui era predao dalla disgraziata situazione della figliache acuiva la sua tenerezza e la sua intelligenzala perspicacia fece scorgere alla signora Grandet un movimento terribile della verruca di suo maritonel momento in cui stava per rispondergli; e cambiò idea senza cambiar di tono. - Ebbenesignorecredete forse che io abbia su di lei un potere maggiore del vostro? Lei non mi ha detto nienteha preso da voi.

- Perbacco!che lingua lunga avete stamattina! Tatatata.

Volete provocarmi? Le tenete manoforse?

E guardò fisso sua moglie.

- Se propriosignor Grandetvolete ucciderminon avete che da continuare così. Io vi dicosignoree dovesse costarmi la vitave lo ripeto ancora: avete torto di fronte a vostra figliaessa è più ragionevole di voi. Quel denaro le appartenevanon ha potuto che farne buon usoe solo Dio ha il diritto di riconoscere le nostre buone azioni. Signoreve ne supplicoperdonate Eugenia!... Allevierete solo così l'effetto del colpo che mi ha causato la vostra collerae mi salverete forse la vita. Mia figliasignorerendetemi mia figlia!

- Me ne vado - disse. - La mia casa è insopportabilemadre e figlia ragionano e parlano come se... Bru! Puà! Mi avete fatto proprio un bel regalo per capodanno. Eugenia - egli gridò. - Sìsìpiangete. Quel che avete fatto vi procurerà dei rimorsicapite? A che cosa vi serve allora mangiare il buon Dio sei volte ogni tre mesise poi regalate l'oro di vostro padre di nascosto a un fannullone che vi divorerà anche il cuore quando non avrete più altro da prestargli? Vedrete quel che vale il vostro Carlo coi suoi stivali di marocchino e la sua aria di "noli me tangere".

Egli non ha né cuore né animase osa portarsi via il tesoro d'una povera ragazza senza l'approvazione dei genitori. - Quando il portone fu chiusoEugenia uscì dalla camera e accorse presso sua madre.

- Avete avuto molto coraggio per vostra figlia - le disse.

- Vedifigliola miaa che cosa conducono le cose illecite?... Mi hai fatto dire una bugia.

- Oh! chiederò a Dio che punisca me sola.

- Ma è proprio vero - disse Nanon accorrendo sconvolta - che la signorina deve stare a pane ed acqua per il resto dei suoi giorni?

- Che importaNanon? - disse tranquillamente Eugenia.

- Giàe io dovrei mangiare la "frippe" quando la padroncina mangia pane secco? Nono!

- Non parlare di questo con nessunoNanon - disse Eugenia.

- Sarò muta come un pescema vedrete...

Grandet pranzò da solo per la prima volta dopo ventiquattro anni.

- Eccovi dunque vedovosignore - gli disse Nanon. E' spiacevole essere vedovo con due donne in casa.

- Non parlo con te. Tieni la lingua a postoo ti caccio via. Che hai nella casseruolache sento ribollire sul fornello?

- Sono grassi che sto squagliando...

- Verrà gente staseraaccendi il fuoco.

I Cruchotla signora de Grassins e suo figlio arrivarono alle ottoe rimasero sorpresi nel non vedere né la signora Grandet né la figlia.

- Mia moglie è un poco indispostaEugenia l'assiste - rispose il vecchio vignaiolo il cui viso non tradì alcuna emozione.

Dopo un'ora passata in chiacchiere insignificantila signora de Grassinsche era salita per far visita alla signora Grandetdiscesee ognuno le domandò:

- Come sta la signora?

- Maproprio niente bene - disse. - Il suo stato mi sembra veramente preoccupante. Alla sua etàbisogna aversi ogni riguardopapà Grandet.

- Ci penseremo - rispose il vignaiolo con aria distratta.

Ognuno gli augurò la buona notte. Quando i Cruchot furono in stradala signora de Grassinsdisse loro:

- Ci deve essere qualcosa di nuovo dai Grandet. La madre sta male parecchioe non lo capisce. La figlia ha gli occhi rossicome chi ha pianto a lungo. Che il padre la voglia maritare contro la sua volontà?

Quando il vignaiolo fu a lettoNanon in pantofole e in punta di piedi andò da Eugeniae le portò un pasticcio fatto in casseruola.

- Prendetesignorina - disse la brava ragazza - Cornoiller mi ha regalato una lepre. Mangiate tanto pocoche questo pasticcio vi durerà almeno otto giorniecol freddo che fanon c'è pericolo che vada a male. E cosìnon starete a pane secco. Questo non fa davvero bene.

- Povera Nanon - disse Eugenia stringendole la mano.

- L'ho fatto proprio buonoproprio delicatoe lui non se ne è accorto. Ho comprato il lardoil laurotutto coi miei sei franchi; sono ben padrona di farne quel che voglio. - Poi la domestica fuggìcredendo di sentire Grandet.

Per qualche meseil vignaiolo andò a trovare sua moglie in ore diverse della giornatasenza mai pronunciare il nome della figliasenza vederlané fare a lei la benché minima allusione.

La signora Grandet non lasciò più la cameraedi giorno in giornole sue condizioni peggiorarono. Ma nulla fece piegare il vecchio bottaio. Egli restava irremovibileaspro e freddo come un pilastro di granito. Continuò ad andare e venire secondo le sue abitudini; ma non balbettò piùparlò anche menoe si mostrò negli affari più duro di quanto non fosse mai stato. Spesso gli capitava di commettere qualche errore di calcolo.

- Deve essere successo qualcosa dai Grandet - dicevano i Crusciottiani e i Grassinisti.

- Che cosa sarà successo in casa Grandet? - divenne una domanda convenuta che veniva rivolta abitualmente in tutti i salotti di Saumur. Eugenia andava in chiesa sotto la sorveglianza di Nanon.

All'uscitase la signora de Grassins le rivolgeva qualche parolarispondeva in modo evasivo e senza soddisfare la sua curiosità.

Tuttavia fu impossibile in capo a due mesi nascondere sia ai tre Cruchotsia alla signora de Grassinsil segreto della reclusione d'Eugenia. Arrivò il momento in cui mancarono i pretesti per giustificare la sua costante assenza. Poisenza che fosse possibile conoscere da chi il segreto fosse stato traditotutta la città venne a sapere che dal primo dell'anno la signorina Grandetper ordine di suo padreera stata rinchiusa nella sua cameraa pane e acquasenza fuoco; che Nanon preparava per lei delle leccornie e gliele portava durante la notte; si seppe pure che la ragazza poteva vedere e curare sua madre solo quando il padre era fuori casa. La condotta di Grandet fu allora giudicata molto severamente. Tutta la città lo mise per così dire fuori leggeriesumò i suoi ingannile sue durezzee lo scomunicò.

Quando passavaognuno lo additava mormorando. Quando la figlia scendeva la via tortuosa per recarsi alla messa o ai vespriaccompagnata da Nanontutti gli abitanti si affacciavano alle finestre per osservare con curiosità il contegno della ricca ereditiera e il suo voltoin cui erano impresse una malinconia e una dolcezza angeliche. La sua reclusionel'avversione di suo padrenon le importavano nulla. Non le restava forse da vedere la carta geograficala panchinail giardinol'ala di muroe non risentiva ancora sulle labbra il miele che le avevano lasciato i baci d'amore? Essa ignorò per qualche tempo le dicerie di cui era oggetto in cittàcome le ignorò suo padre. Religiosa e pura di fronte a Diola sua coscienza e l'amore l'aiutavano a sopportare pazientemente la collera e la vendetta paterna. Ma un dolore profondo faceva tacere in lei tutti gli altri dolori. Ogni giornosua madredolce e tenera creaturaabbellita dalla luce diffusa dalla sua anima prossima alla tombasua madre deperiva ogni giorno di più. Spesso Eugenia si rimproverava d'essere stata la causa innocente della crudeledella lenta malattia che la struggeva. Quei rimorsianche se calmati dalla madrel'avvicinavano ancor più strettamente al suo amore. Tutte le mattinenon appena suo padre era uscitoaccorreva al capezzale della madree làNanon le portava la colazione. Ma la povera Eugeniatriste e sofferente per le sofferenze della madrene indicava il volto a Nanon con un gesto mutopiangeva e non osava parlare del cugino. La signora Grandetper primaera costretta a dirle:

- Dove sarà LUI? Perché LUI non scrive?

La madre e la figlia ignoravano completamente le distanze.

- Pensiamo a luimamma - rispondeva Eugenia - ma non ne parliamo.

Voi soffriteed è a voi che bisogna pensare prima di tutto.

TUTTOERA LUI.

- Mie care - diceva la signora Grandet - non rimpiango la vita.

Dio mi ha protetto facendomi guardare con gioia alla fine delle mie miserie.

Le parole di questa donna erano sempre sante e cristiane. Quandoal momento di far colazione vicino a leiil marito andava a passeggiare per la sua cameraessa gli aveva tenutonei primi mesi dell'annogli stessi discorsiripetuti con una dolcezza angelicama con la fermezza di una donna cui una morte vicina dava il coraggio che le era mancato durante la vita.

- Signorevi ringrazio dell'interessamento che avete per la mia salute - gli rispondeva quando lui le aveva rivolto la più banale delle domande - ma se volete rendere gli ultimi miei momenti meno amari e alleviare i miei doloriperdonate nostra figlia; mostratevi cristianosposo e padre.

Udendo queste paroleGrandet sedeva accanto al letto e si comportava come un uomo il qualevedendo venire un acquazzone si pone tranquillamente al riparo sotto un portone; ascoltava silenziosamente sua moglie e non rispondeva nulla. Quando le più toccantile più tenerele più religiose preghiere gli erano rivolteegli diceva:

- Sei un po' palliduccia oggipovera moglie mia - . L'oblio più completo di sua figlia sembrava impresso sulla sua fronte di cocciosulle sue labbra chiuse. Non si commuoveva neppure alle lacrime che le sue vaghe rispostei cui termini erano su per giù sempre gli stessifacevano scorrere lungo il pallido volto della moglie.

- Dio vi perdonisignore - essa diceva - come vi perdono io.

Forse un giorno avrete bisogno d'indulgenza.

Da quando sua moglie si era ammalataegli non aveva più osato servirsi del suo terribile: tatatata! Ma con ciò il suo dispotismo non era stato disarmato da quell'angelo di dolcezzala cui bruttezza spariva di giorno in giornofugata dall'espressione delle qualità morali che fiorivano sul suo volto. Era tutt'anima.

L'angelo della preghiera sembrava purificarlaattenuare i lineamenti più grossolani del suo visoe lo faceva risplendere.

Chi non ha osservato il fenomeno di questa trasfigurazione sui santi volti in cui le abitudini dell'anima finiscono per trionfare sui tratti più rudemente impressiconferendo loro quell'animazione particolare dovuta alla nobiltà e alla purezza dei pensieri elevati? Lo spettacolo di questa trasformazione compiuta dalle sofferenze che consumavano i lembi dell'essere umano in questa donna agivaseppure debolmentesul vecchio bottaioil cui carattere rimase tuttavia di bronzo. Se la sua parola non fu più sdegnosaun imperturbabile silenzioche salvaguardava la sua superiorità di padre di famigliadominò la sua condotta. Non appena la fedele Nanon compariva al mercatosubito qualche frizzoqualche sfavorevole commento sul suo padrone le fischiavano all'orecchio; maquantunque l'opinione pubblica condannasse severamente papà Grandetla domestica lo difendeva per l'onore della casa.

- Ebbene! - diceva ai detrattori del brav'uomo - non diventiamo forse tutti più cattivi invecchiando? Perché non dovrebbe incallirsi un po' anche lui? Smettetela allora con le vostre menzogne. La signorina vive come una regina. Sta sola perché così le piace di stare. Del resto i padroni hanno le loro ragioni.

Mauna seraverso la fine della primaverala signora Grandetconsumata dal doloreancor più che dalla malattianon essendo riuscitamalgrado le preghierea far riconciliare Eugenia col padreconfidò le sue pene segrete ai Cruchot.

- Mettere una figlia di ventitré anni a pane e acqua?... - esclamò il presidente di Bonfons - e senza motivo; ma questo è un reato di SEVIZIE VIOLENTE; LEI PUO' PROTESTARE CONTROE TANTO IN SU CHE...

- Suvvianipote - disse il notaio - lasciate andare il vostro gergo di tribunale. State tranquillasignorae vedrete che da domani farò finire questa reclusione.

Sentendo parlare di séEugenia uscì dalla sua camera.

- Signori - disse venendo avanti con fierezza - vi prego di non occuparvi di questa cosa. Mio padre è padrone in casa sua. Finché abiterò presso di luigli devo obbedienza. La sua condotta non deve essere sottoposta né all'approvazione né alla disapprovazione di chicchessiaegli non è responsabile che di fronte a Dio. Io pretendo dalla vostra amicizia il più profondo riserbo a questo riguardo. Biasimare mio padre sarebbe come intaccare la nostra stessa reputazione. Vi sono gratasignoridell'interessamento che mi dimostrate; ma vi sarei grata ancora di più se voleste far cessare le dicerie offensive che corrono per la cittàe di cui sono venuta per caso a conoscenza.

- Ha ragione - disse la signora Grandet.

- Signorinail miglior modo per impedire alla gente di mormorareè quello di farvi rendere la libertà - le rispose rispettosamente il vecchio notaio colpito dalla bellezza che la reclusionela malinconia e l'amore avevano impresso sul volto di Eugenia.

- Ebbenefigliolalascia che il signor Cruchot accomodi lui la faccendadato che è sicuro del successo. Conosce tuo padre e sa come va preso. Se vuoi vedermi contenta per quel poco tempo che mi resta di vitabisognaa ogni costoche tuo padre e tu vi riconciliate.

L'indomanisecondo una abitudine presa da quando Eugenia era reclusaGrandet andò a passeggiare nel piccolo giardino. Aveva scelto per questa passeggiata il momento in cui Eugenia si pettinava. Giunto al noceil brav'uomo si nascondeva dietro il tronco dell'alberoci rimaneva alcuni istanti a contemplare la lunga chioma della figliaed era combattuto certamente tra i propositi che gli suggeriva la tenacia del carattere e il desiderio di riabbracciare sua figlia. Spesso restava seduto sulla panchina di legno tarlato dove Carlo ed Eugenia s'erano giurati un eterno amorementre anche lei guardava il padre di sfuggita o riflesso nello specchio. Se lui si alzava e riprendeva a passeggiarelei si sedeva con compiacimento alla finestra e si metteva a guardare l'ala di muro da cui pendevano tanti bei fiorida cui uscivanodi tra i crepaccii capelvenerei convolvoli e una pianta grassagialla o biancaun "Sedum"abbondantissimo nei vigneti di Saumure di Tours. Il notaio Cruchot arrivò di buon'ora e trovò il vecchio vignaiolo seduto in quel bel mattino di giugno sulla panchinacon la schiena appoggiata al muro divisoriointento a guardare la figlia.

- In che cosa posso servirviCruchot? - disse scorgendo il notaio.

- Vengo a parlarvi di affari.

- Ah!ah!avete forse un po' d'oro da darmi in cambio di scudi?

- Nononon si tratta di denaroma di vostra figlia Eugenia.

Tutti parlano di lei e di voi.

- Di che s'impicciano? Ognuno è padrone in casa sua.

- D'accordoognuno è padrone anche d'ammazzarsioquel che è peggiodi buttare il suo denaro dalla finestra.

- Come sarebbe a dire?

- Eh!ma vostra moglie sta molto maleamico mio. Sarebbe bene che consultaste il signor Bergerinla signora è in pericolo di morte. Se morisse senza essere stata curata a doverenon so quanto potreste rimanere tranquillo.

- Ta! ta! ta! ta!voi sapete allora cos'ha mia moglie! Questi mediciuna volta messo il piede in casavengono cinque o sei volte al giorno.

- E alloraGrandet fate come vi pare. Noi siamo vecchi amici; non c'èin tutta Saumurun uomo che più di me prenda a cuore le vostre cose; il mio dovere era quello d'avvertirvi. E oraqualunque cosa accadavoi siete maggiorenneandiamoe sapete come dovete regolarvi. Ma non è questa la ragione per cui sono venuto. Si tratta forsedi qualcosa ancor più grave per voi. Del restonon desiderate certo far morire vostra moglievi è troppo utile. E allora pensate alla situazione in cui verrete a trovarvidi fronte a vostra figliase la signora Grandet perisse. Dovreste rendere i conti a Eugenia; poiché avete i beni in comune con vostra moglie. Vostra figlia avrà il diritto di reclamare la divisione del patrimoniodi far vendere Froidfond. Insommaessa è erede di vostra mogliedalla quale non potete ereditare.

Queste parole furono come un fulmine per il brav'uomoche non era così forte in diritto come lo era in commercio. Egli non aveva mai pensato a una licitazione.

- E perciò vi esorto a trattarla con dolcezza disse Cruchot terminando il suo dire.

- Ma lo sapeteCruchotquel che ha fatto?

- Cosa? - fece il notaiodesideroso di ricevere una confidenza da papà Grandet e di conoscere la causa del litigio.

- Ha dato via il suo oro.

- E con questo? Non era suo? - chiese il notaio.

- Mi dicono tutti così - disse il brav'uomolasciandosi cadere le braccia con un gesto tragico.

- Ma andiamo!per una miseria - riprese a dire Cruchot - conviene porre ostacoli alle concessioni che le domanderete alla morte di sua madre?

- Ah!e voi chiamate una miseria seimila franchi d'oro?

- Oh!mio vecchio amicosapete quel che costerebbero l'inventario e la divisione dei beni di vostra mogliese Eugenia la esigesse?

- Quanto?

- Duetre e anche quattrocentomila franchiforse! Non bisognerebbe licitarli e venderli per conoscere l'esatto valore?

Mentremettendovi d'accordo....

- Maledizione! - esclamò il vignaiolo che sedette impallidendo - questa la vedremoCruchot.

Dopo un momento di silenzio e d'agoniail brav'uomo guardò il notaio e gli disse: - La vita è ben dura! E di quanti dolori è seminata! Cruchot - riprese a dire solennemente - voi non mi volete ingannareè vero? Giuratemi sul vostro onore che quanto mi andate raccontando è basato sul diritto. Fatemi vedere il Codicevoglio vedere il Codice!

- Maamico mio - rispose il notaio - volete che io non conosca il mio mestiere?

- Allora è proprio vero. Sarò spogliatotraditouccisodivorato da mia figlia.

- E' l'erede di sua madre.

- Ecco a che servono i figli! Ah!ma quanto a mia mogliele voglio bene. Per fortuna è robusta. E' una La Bertellière.

- Non le resta un mese di vita.

Il bottaio si batté una mano sulla frontesi allontanòtornò edando uno sguardo tremendo a Cruchot - Che fare? - gli disse.

- Eugenia potrà rinunciare puramente e semplicemente all'eredità di sua madre. Voi non vorrete certo diseredarlano? Maper ottenere ciònon la maltrattate. Quel che vi dicomio vecchio amicoè contro il mio interesse. Non vivo forse di liquidazioniinventarivenditedivisioni?...

- Vedremovedremo. Non parliamo più di questoCruchot. Mi scombussolate tutte le viscere. Vi è capitato un po' d'oro?

- No; ma ho qualche vecchio luigiuna diecinave li darò. Ma riappacificatevi con Eugeniabuon amico. Tutta Saumurcredetemivi è contro.

- Canaglie!

- Consolatevila rendita è a 99. Siate dunque contento una volta nella vita.

- A 99Cruchot?

- Sì.

- Eh! Eh!99! - disse il brav'uomo accompagnando il vecchio notaio alla porta. Poitroppo agitato da quel che gli era stato detto per rimanere in casasalì dalla moglie e le disse: - Beh!passa pure la giornata con tua figliaio vado a Froidfond. Siate brave tutte e due. E' l'anniversario del nostro matrimoniomoglie mia cara: eccoprendi dieci scudi per un altarino del Corpus Domini. Era tanto che ne volevi fare unocompratelo! Divertitevistate allegrestate bene. Viva l'allegria! - Gettò dieci scudi da sei franchi sul letto della moglie e le prese la testa per baciarla in fronte. - Brava donnastai meglionon è vero?

- Come potete pensare che si possa ricevere in casa vostra il Dio che perdonatenendo vostra figlia lontana dal vostro cuore? - essa disse con accento commosso.

- Tatatata - disse papà Grandet con voce carezzevole - a questo poi ci penseremo.

- Bontà divina!Eugenia! - gridò la madre arrossendo per Ia gioia - vieni ad abbracciare tuo padreti perdona!

Ma il brav'uomo era già scomparso. E marciava veloce verso i suoi campicercando di mettere un po' d'ordine nelle sue idee sconvolte. Grandet era entrato da poco nel suo settantaseiesimo anno. Negli ultimi due anni soprattutto la sua avarizia era aumentata come aumentano tutte le passioni radicate nell'uomo.

Secondo un'osservazione fatta sugli avarisugli ambiziosisu tutte le persone la cui vita è stata consacrata a una idea dominanteegli era portato a prediligere più particolarmente un simbolo della sua passione. La vista dell'oroil possesso dell'oro erano diventati la sua monomania. Il dispotismo del suo carattere era aumentato in proporzione della sua avariziae l'abbandonare la direzione anche della più piccola parte dei suoi beni alla morte della moglie gli sembrava una cosa contro natura.

Far conoscere l'ammontare del suo patrimonio alla figliainventariare tutti i suoi beni universali mobili e immobili per licitarli?... "Tanto varrebbe tagliarsi la gola"disse ad alta voce in mezzo a un podere esaminando i ceppi di vite. Alla fineprese la sua-decisionetornò a Saumur all'ora di pranzorisoluto a cedere dinanzi a Eugeniaa vezzeggiarlaa lusingarlaper poter morire regalmente avendo nelle mani fino all'ultimo respiro le redini dei suoi milioni. Nel momento in cui il brav'uomoche solo per caso aveva presouscendola chiavesaliva la scala pian piano per andare dalla moglieEugenia aveva portato sul letto della madre il bel cofanetto. Ambeduein assenza di Grandetsi procuravano il piacere di vedere il ritratto di Carloguardando quello di sua madre.

- E' proprio la sua fronte e la sua bocca! - diceva Eugenia nel momento in cui il vignaiolo apriva l'uscio. Allo sguardo che suo marito diede all'orola signora Grandet esclamò:

- Mio Dioabbiate pietà di noi!

Il brav'uomo si gettò sul cofanetto come una tigre si avventa su di un bimbo addormentato.

- Che cosa è questo? - disse portando via il tesoro e andando a mettersi vicino alla finestra. - E' oro buono!è oro! - esclamò.

- E quanto!peserà almeno due libbre. Ah!ah! Carlo ti ha dato questo in cambio delle tue belle monete. Eh!perché non dirmelo?

E' un ottimo affarefifiglia! Non per nulla sei mia figliati riconosco. - Eugenia tremava in tutte le sue membra. - Non è vero che è roba di Carloquesta?

- Sìpapànon è roba mia. Questo oggetto racchiude un deposito sacro.

- Tatatatalui si è preso la tua ricchezzae ora bisogna pur ricostituire il tuo tesoro.

- Babbo!...

Il brav'uomo prese un suo coltello per far saltare una placca d'oroe dovette per far questo posare il cofanetto su di una sedia. Eugenia si slanciò per riprenderlo; ma il bottaioche aveva contemporaneamente tenuto d'occhio la figlia e il cofanettola respinse con tale violenzastendendo il braccioda farla cadere sul letto della madre.

- Signoresignore - esclamò la madre rizzandosi sul letto.

Grandet aveva aperto il coltello e s'accingeva a distaccare l'oro.

- Babbo - esclamò Eugenia gettandosi in ginocchio e trascinandosi cosìper giungere più vicino al brav'uomo e sollevare le mani verso di lui - babbo in nome di tutti i Santi e della Verginein nome di Cristoche è morto sulla crocein nome della vostra salvezza eternababboin nome della mia vitanon toccatelo!

Questo cofanetto non è né vostro né mio; è di uno sventurato parente che me lo ha consegnatoe a cui devo renderlo intatto.

- Perché lo stavi guardandose è un deposito? Vedereè peggio che toccare.

- Padre mionon lo guastateascoltate?

- Signoreabbiate pietà - disse la madre.

- Babbo - gridò Eugenia con voce così squillante che Nanonspaventatacorse di sopra. Eugenia afferrò un coltello che era alla portata della sua mano e se ne armò.

- Ebbene? - le disse tranquillo Grandet sorridendo freddamente.

- Signoresignorevoi mi assassinate - disse la madre.

- Babbose il vostro coltello intacca anche una sola particella di quell'oroio mi trafiggo con questo. Voi avete già fatto ammalare mortalmente mia madreora ucciderete anche vostra figlia. Avanti dunqueferita per ferita.

Grandet lasciò il coltello sul cofanettoe guardò sua figlia esitando.

- Ne saresti dunque capaceEugenia?

- Sìsignore - disse la madre.

- Lo farebbe come lo dice - esclamò Nanon. - Siate allora ragionevolesignoreuna volta almeno nella vostra vita - . Il bottaio guardò l'oro e la figlia alternativamente per un istante.

La signora Grandet svenne. - Eccoavete vistocaro signore?la signora muore - gridò Nanon.

- Tienifiglianon bisticciamo per un cofanetto. Riprenditelodunque! - esclamò vivacemente il bottaiogettando l'oggetto sul letto. - E tuNanonva' a chiamare il signor Bergerin. Andiamomamma - disse baciando la mano della moglie - non è nienteva':

abbiamo fatto la pace. Non è verofiglia? Non più pan seccomangerai tutto quello che vorrai. Ah!eccoriapre gli occhi.

Ebbenemammamammettamammettinasuvvia! Tòguardaabbraccio Eugenia. Lei ama suo cuginoebbenelo sposerà se lo vuolegli conserverà il cofanetto. Ma vivi a lungomia povera moglie.

Andiamomuoviti! Ascoltamitu avrai il più bell'altarino che si sia mai fatto a Saumur.

- Mio Dioperché trattare così vostra moglie e vostra figlia? - disse con voce fioca la signora Grandet.

- Non lo farò piùmai più - esclamò il bottaio. Sta' a vederemoglie mia. - Andò nel suo studioe tornò con un pugno di luigi che sparse sul letto. - Prendi Eugeniaprendimogliequesto è per voi - disse maneggiando i luigi. - Andiamosta' allegramoglie mia; pensa a star beneche non mancherà nulla né a te né a Eugenia. Ecco cento luigi d'oro per lei. Ma questi non li regaleraiEugeniaè vero?

La signora Grandet e la figlia si guardarono stupite.

- Riprendeteli purepadrenoi non abbiamo bisogno che del vostro affetto.

- Ebbenesia così - disse intascando i luigi - viviamo come buoni amici. Scendiamo tutti in sala per il pranzoper giocare alla tombola tutte le sere con la posta di due soldi. Divertitevi! Nomoglie mia?

- Ahimèlo vorrei propriose ciò può farvi piacere - disse la morente - ma non ho la forza di alzarmi.

- Povera mamma - disse il bottaio - tu non sai quanto ti voglio bene. E a tefigliola mia! - L'abbracciò e la baciò. - Oh! come è dolce baciare una figlia dopo un dissenso! Figlia mia! Eccovedimammettaora non siamo che una persona sola. Adesso va' a riporre questo - disse a Eugenia mostrandole il cofanetto. - Va'non temere. Non te ne parlerò mai più.

Il signor Bergerinil più celebre medico di Saumurarrivò subito. Finita la visitaegli dichiarò chiaramente a Grandet che sua moglie stava molto malema che una grande tranquillitàun regime adatto e cure minuziose avrebbero potuto ritardare la sua morte alla fine dell'autunno circa.

- Costerà caro? - disse il brav'uomo - occorrono medicine?

- Poche medicinema molte cure - rispose il medicoche non poté trattenere un sorriso.

- E poisignor Bergerin- rispose Grandet - voi siete un galantuomonon è vero? Mi affido a voivenite a visitare mia moglie tutte le volte che vi sembrerà utile. Cercate di far guarire la mia buona moglie; le voglio tanto benesapeteanche se non lo dimostroperchéin metutto avviene qui dentroe mi scombussola l'anima. Ho avuto dei dispiaceri. I dispiaceri sono entrati in casa mia con la morte di mio fratelloper il quale devo spenderea Parigicerte somme... gli occhi della testase sapeste! e non è ancora finita. Arrivedercisignore se potete salvare mia mogliesalvatelaquand'anche questo dovesse costare cento o duecento franchi.

Malgrado i voti fervidi che Grandet formulava per la salute della mogliedi cui temeva come una prima morte l'apertura della successione; malgrado l'accondiscendenza che dimostrava in ogni occasione per i più piccoli desideri della madre e della figlia di ciò stupite; malgrado le cure più affettuose prodigate da Eugeniala signora Grandet andò rapidamente verso la fine. Ogni giorno s'indeboliva di più e deperiva come deperisce la maggior parte delle donne colpitea quell'etàda una malattia. Era diventata gracile come le foglie degli alberi in autunno. I raggi del cielo la facevano risplendere come quelle foglie che il sole attraversa e indora. Fu una morte degna della sua vitauna morte tutta cristiana: e non è direcon ciòsublime? Nel mese di ottobre del 1822 rifulsero particolarmente le sue virtùla sua rassegnazione angelica e l'amore per sua figlia; si spense senza essersi lasciata sfuggire un lamento. Agnello immacolatosaliva al cieloe non rimpiangeva di questa terra altro che la dolce compagna della sua fredda vitaalla quale i suoi ultimi sguardi sembravano predire mille mali. Tremava al pensiero di dover lasciare quella pecorella candida come leisola in un mondo egoista che avrebbe voluto strapparle il suo velloi suoi tesori.

- Figliola mia - le disse prima di spirare - non c'è felicità che in cieloe tu un giorno lo saprai.

All'indomani della sua morteEugenia trovò nuovi motivi per affezionarsi a quella casa dove era natadove aveva tanto soffertodove sua madre era morta. Non poteva guardare la finestra e la seggiola con gli zoccoli in sala senza versare lacrime. Credette di aver disconosciuto l'animo del vecchio babbo vedendosi ora fatta oggetto delle sue cure più tenere: le dava il braccio per scendere a colazione; la guardava con un occhio quasi benevolo per delle ore interela covava insomma come se fosse stata d'oro. Il vecchio bottaio somigliava ora così poco a se stessotremava talmente dinanzi a leiche Nanon e i Crusciottianitestimoni della sua debolezzala attribuirono alla sua tarda etàe temerono qualche indebolimento delle sue facoltà; ma il giorno in cui la famiglia prese il luttodopo il pranzo al quale fu invitato il notaio Cruchotil solo che conoscesse il segreto del suo clienteil perché della condotta del brav'uomo fu conosciuto.

- Mia cara figliola - disse a Eugenia - quando la tavola fu sparecchiata e gli usci furono accuratamente chiusitu sei dunque l'erede di tua madree dobbiamo regolare alcune faccenduole tra noi due. Non è veroCruchot?

- Sì.

- Ma è proprio necessario occuparsene oggibabbo?

- Sìsìfiglia. Non potrei rimanere nell'incertezza in cui mi trovo. Spero che non vorrai dispiacermi.

- Oh!babbo.

- E allora bisogna definire tutto questa sera.

- E che cosa devo fare?

- Mafigliaquesto non è affar mio. Diteglielo voiCruchot.

- Signorinail vostro signor padre non vorrebbe né dividere né vendere i suoi beniné pagare tasse enormi per il contante che può possedere. E alloraa tale scopobisognerebbe evitare di far l'inventario di tutto il patrimonio che oggi è indiviso tra voi e il vostro signor padre....

- Cruchotsiete ben sicuro di questoper parlarne così davanti a una bambina?

- Lasciatemi direGrandet.

- Sìsìamico mio. Né voi né mia figlia vorrete certo spogliarmi. Non è verofiglia?

- Ma insommasignor Cruchotche cosa devo fare? - chiese Eugenia spazientita.

- Ebbene! - disse il notaio - bisognerebbe firmare questo atto col quale rinunciate alla successione della vostra signora madrelasciando a vostro padre l'usufrutto di tutti i beni indivisi tra voie di cui egli vi assicura la nuda proprietà...

- Io non capisco nulla di quanto mi dite - rispose Eugenia - datemi l'attoe indicatemi dove devo firmare.

Papà Grandet guardava ora l'atto e ora la figliaora la figlia e ora l'attoprovando così violente emozioni da doversi asciugare alcune gocce di sudore venutegli sulla fronte.

- Figlia - disse - se invece di firmare questo atto che costerebbe molto far registraretu volessi rinunciare puramente e semplicemente alla successione della tua povera cara mamma defuntae fidarti ti me per l'avvenirelo preferirei. In questo casoti corrisponterei ogni mese una bella grossa rendita di cento franchi. Cosi potresti far celebrare tutte le messe che vorrai in suffragio ti coloro cui le fai dire... Eh!cento franchi al mesein lire?

- Farò tutto quel che vorretebabbo.

- Signorina - disse il notaio - è mio dovere farvi osservare che così voi vi private...

- Eh!mio Dio - essa disse - che m'importa?

- Basta Cruchot. E' fattoè fatto - esclamò Grandet prendendo la mano della figlia e battendoci sopra la propria. - Eugenianon ritirerai la tua parolasei una ragazza a modono?

- Oh! babbo...

Egli la baciò con effusionela strinse fra le sue braccia fin quasi a toglierle il respiro.

- Vedifigliola miatu rendi la vita a tuo padre; ma gli rendi quel che ti ha dato: siamo pari. Ecco come si fanno gli affari. La vita è un affare. Ti benedico! Tu sei una figlia virtuosache vuol bene al suo papà. Adesso fa' pure quel che vuoi. Allora a domaniCruchot - disse guardando il notaio esterrefatto. - E stenderete l'atto di rinuncia alla cancelleria del tribunale.

L'indomaniverso mezzogiornofu firmata la dichiarazione con la quale Eugenia compiva lei stessa la propria spogliazione.

Tuttaviamalgrado la parola dataalla fine del primo anno il vecchio bottaio non aveva ancora dato un soldo dei cento franchi mensili così solennemente promessi alla figlia. Perciòquando Eugenia gliene parlò scherzandonon poté fare a meno di arrossire; salì in fretta al suo studiotornò e le offrì circa un terzo dei gioielli che aveva preso al nipote.

- Tienipiccola - disse con un accento pieno d'ironia - vuoi questi invece dei tuoi milleduecento franchi?

- Oh!babbome li date veramente?

- Te ne darò altrettanti l'anno prossimo - disse gettandoglieli nel grembiule. Così in poco tempo avrai tutti i tuoi ciondoli - aggiunse fregandosi le manifelice di poter speculare sul sentimento di sua figlia.

Tuttavia il vecchiobenché ancora robustosentì la necessità d'iniziare la figlia ai segreti dell'amministrazione domestica.

Per due anni di seguito le fece ordinare in sua presenza i pasti e riscuotere i canoni d'affitto. Le insegnò un po' alla volta i nomil'importanza dei poderidelle fattorie. Verso il terzo anno l'aveva così bene abituata ai suoi sistemi d'avaro e li aveva così perfettamente fatti diventare in lei abitudiniche le lasciò senza timore le chiavi della dispensae ne fece la padrona della casa.

Cinque anni trascorsero senza alcun avvenimento importante nell'esistenza monotona d'Eugenia e del padre. Si susseguirono gli stessi atticostantemente compiuti con la regolarità cronometrica dei movimenti della vecchia pendola. La profonda malinconia della signorina Grandet non era più un segreto per nessuno; mase ognuno ne poté immaginare la causamai una parola pronunciata da lei giustificò le supposizioni che tutti gli ambienti di Saumur formulavano sullo stato d'animo della ricca ereditiera. La sua unica compagnia erano i tre Cruchot e qualcuno dei loro amici che essi avevano pian piano introdotto in casa. Le avevano insegnato a giocare a whiste venivano tutte le sere a fare la partita.

Nell'anno 1827suo padrecominciando a sentire il peso delle infermitàfu obbligato a iniziarla ai segreti dei suoi beni immobiliarie le raccomandavain caso di difficoltàdi rivolgersi a Cruchotil notaiola cui probità gli era ben nota.

Poiverso la fine di quell'annoil brav'uomo fuall'età di ottantadue annicolpito da una paralisi che fece rapidi progressi. Grandet fu spacciato dal signor Bergerin. Pensando che presto si sarebbe trovata sola al mondoEugenia si attaccòper così direancor più al padre e saldò ancor più fortemente quest'ultimo vincolo d'affetto. Nel suo pensierocome in quello di tutte le donne che amanol'amore era il mondo interoe Carlo non era lì. Essa fu sublime nelle cure e nelle attenzioni per il suo vecchio padrele cui facoltà cominciavano a declinarema la cui avarizia persisteva istintivamente. Cosicché la morte di quell'uomo non fu in contrasto con la sua vita. Fin dal mattino si faceva trasportare tra il caminetto della sua camera e l'uscio dello studiosenza dubbio zeppo d'oro. Rimaneva lì immobilema guardando volta per volta con ansietà quelli che venivano a trovarlo e l'uscio foderato di ferro. Voleva essere informato dei più piccoli rumori che sentiva; econ grande meraviglia del notaioudiva lo sbadiglio del cane in cortile. Si destava dal suo stupore apparente il giorno e l'ora in cui si dovevano riscuotere i fittifare i conti coi fittavolidare quietanze. Agitava allora la poltrona a rotelle fino a portarla di fronte all'uscio dello studio. Lo faceva aprire dalla figlia e sorvegliava che la stessa mettesse a posto in segreto i sacchetti d'argentoe richiudesse l'uscio. Poi ritornava al suo posto silenziosamente non appena essa gli aveva restituito la preziosa chiavesempre da lui tenuta nella tasca del panciottoe che tastava di tanto in tanto. Intanto il notaioil suo vecchio amicointuendo che la ricca ereditiera avrebbe inevitabilmente sposato suo nipote il presidentese Carlo Grandet non fosse tornatoraddoppiava cure e attenzioni: veniva tutti i giorni a mettersi agli ordini di Grandetandava per suo incarico a Froidfondnei poderinelle praterienelle vigne; vendeva i raccoltie tramutava tutto in oro e in argentoche andava ad aggiungersi segretamente ai sacchetti accatastati nello studio. Infine giunsero i giorni dell'agoniadurante i quali la robusta costituzione del brav'uomo venne alle prese con lo sfacelo. Egli volle rimanere seduto accanto al fuocodinanzi all'uscio del suo studio. Attirava a sé e si teneva strette tutte le coperte che gli erano messe addossoe diceva a Nanon:

- Stringistringiche non mi rubino - . Quando poteva aprire gli occhidove s'era rifugiata tutta la sua vitali volgeva verso l'uscio dello studio in cui erano i suoi tesori dicendo alla figlia: - Ci sono? Ci sono? - con una voce che dimostrava una specie di timor panico.

- Sìbabbo.

- Bada all'oroportamene un po' -. Eugenia gli spargeva alcuni luigi su di un tavoloed egli rimaneva ore intere con gli occhi fissi sui luigicome un bambino chequando comincia a vederecontempla stupidamente lo stesso oggetto; ecome un bambinogli sfuggiva un sorriso penoso.

- Questo mi riscalda! - diceva talvolta con un'espressione di beatitudine sul viso.

Quando il curato della parrocchia andò a somministrargli i sacramentii suoi occhispenti in apparenza già da qualche orasi rianimarono alla vista della crocedei candelieridell'aspersorio d'argento che guardò fissoe la sua verruca vibrò per l'ultima volta. Quando il prete gli avvicinò alle labbra il crocifisso d'argento dorato per fargli baciare il Cristoegli fece un orribile gesto per afferrarlo. Questo ultimo sforzo gli costò la vita. Chiamò quindi Eugeniache già non vedeva più sebbene stesse inginocchiata innanzi a lui e bagnasse di lacrime una mano ormai fredda.

- Babbobeneditemi.

- Abbi cura di tutto. Me ne renderai conto laggiù disse provando con questa ultima parola che il Cristianesimo deve essere la religione degli avari.

Eugenia Grandet si trovò dunque sola al mondo in quella casanon avendo che Nanon cui poter rivolgere uno sguardo con la certezza d'essere ascoltata e compresaNanonil solo essere che l'amava disinteressatamente e col quale poteva parlare dei suoi dolori.

Nanon era una provvidenza per Eugenia. Così che per lei non fu più una domesticama una umile amica. Dopo la morte del padre Eugenia seppe dal notaio Cruchot che possedeva trecentomila lire di rendita in beni stabili nel circondario di Saumursei milioni investiti in rendita tre per cento acquistati a sessanta franchiche valeva allora settantasette franchi; più di due milioni in oro e centomila franchi in scudisenza contare gli arretrati da riscuotere. La stima totale dei suoi beni ammontava a diciassette milioni.

"Dove sarà mio cugino?"essa si chiese.

Il giorno in cui il notaio Cruchot consegnò alla sua cliente lo stato della successionedivenuta chiara e liquidaEugenia rimase sola con Nanon; erano sedute ambedue a ciascun lato del caminetto di quella sala così vuotadove tutto era ricordodalla seggiola coi zoccoli su cui sedeva la madre di Eugeniafino al bicchiere in cui aveva bevuto il cugino.

- Nanonsiamo rimaste sole...

- Sìsignorina; ese sapessi dov'è quel caro signorino andrei a piedi a cercarlo.

- C'è il mare tra noi - essa disse.

Mentre la povera ereditiera piangeva così in compagnia della vecchia domesticain quella fredda e oscura casache per lei rappresentava tutto l'universoda Nantes a Orléans non si parlava che dei diciassette milioni della signorina Grandet. Uno dei suoi primi atti fu quello di assegnare milleduecento franchi di rendita vitalizia a Nanonchepossedendo già altri seicento franchidiventò un ottimo partito. In meno di un meseessa passò dallo stato di zitella a quello di maritatasotto la protezione di Antonio Cornoilleril quale fu nominato guardiano generale delle terre e delle proprietà della signorina Grandet. La signora Cornoiller ebbe sulle sue coetanee un immenso vantaggio.

Quantunque avesse cinquantanove anninon sembrava averne più di quaranta: I suoi lineamenti forti avevano resistito agli attacchi del tempo. Grazie al regime della sua vita monasticasfidava la vecchiaia con un bel coloritocon una salute di ferro. Forse non era stata mai così bene come il giorno del suo matrimonio. Trasse partito dalla sua bruttezzae apparve grossagrassafortecon un'aria di felicità sul suo viso indistruttibile che fece invidiare a non pochi la sorte di Cornoiller.

- Ha buona cera - diceva il mercante di stoffe. - E' capace di far figli - disse il venditore di sale; - s'è conservata come in salamoiacon rispetto parlando. Lei è riccae quel giovanotto di Cornoiller ha fatto un bel colpo - diceva un altro vicino. Uscendo dalla vecchia casaNanoncui tutto il vicinato voleva benenon ricevette che complimenti nel discendere la strada tortuosa per recarsi in parrocchia. Per regalo di nozze Eugenia le donò tre dozzine di posate. Cornoillersorpreso da una tale magnificenzaparlava della sua padrona con le lacrime agli occhi; si sarebbe fatto tagliare a pezzi per lei. Diventata la confidente di Eugeniala signora Cornoiller si ebbe ormai una felicità pari a quella di avere un marito: ebbe finalmente anche lei una dispensa da aprireda chiudereprovviste da distribuire la mattinacome faceva il suo defunto padrone. Poi ebbe sotto di sé due domesticheuna cuoca e una cameriera incaricati di rammendare la biancheria di casadi confezionare gli abiti della signorina.

Cornoiller rivestì insieme le funzioni di guardiano e di amministratore. Inutile dire che la cuoca e la cameriera scelte da Nanon erano due vere perle. La signorina Grandet ebbe così quattro persone di servizio la cui devozione era senza limiti. I fittuari non si accorsero della morte del brav'uomotanto rigidamente egli aveva stabilito gli usi e costumi della sua amministrazioneche fu scrupolosamente continuata dal signore e dalla signora Cornoiller.

A trent'anni Eugenia non conosceva ancora nessuna delle felicità della vita. La sua scialba e triste infanzia era trascorsa vicino a una madre il cui cuore misconosciutostrapazzatoaveva sempre sofferto. Abbandonando con gioia l'esistenzaquella madre aveva compianto la figlia che doveva ancora vivere; e le aveva lasciato nell'animo lievi rimorsi ed eterni rimpianti. Il primoil solo amore d'Eugenia eraper leiragione di malinconia. Dopo aver intravisto il suo innamorato per qualche giornoessa gli aveva dato il cuore tra due baci furtivamente accettati e resipoi egli era partitomettendo tutto un mondo tra lei e lui. Quell'amoremaledetto dal padrele era quasi costato la vita della madre e non le procurava che dolori misti a fragili speranze. Così fino allora lei aveva inseguito la felicità perdendo le forze e senza rinnovarle. Nella vita moralecome nella vita fisicaesiste una aspirazione e una respirazione: l'animo ha bisogno di assorbire i sentimenti di un'altra animadi assimilarli per restituirglieli più ricchi. Senza questo bel fenomeno umanonon c'è vita per il cuore; l'aria allora gli mancasoffredeperisce. Eugenia cominciava a soffrire. Per leila ricchezza non era né una potenza né una consolazione; la ragione della sua esistenza era l'amorela religionela fede nell'avvenire. L'amore le spiegava l'eternità. Il suo cuore e il Vangelo le indicavano due mondi da raggiungere. S'immergeva notte e giorno nel profondo di due pensieri infinitiche per lei forse non erano che un solo. Si raccoglieva in se stessaamandoe credendosi amata. Dopo sette anni la sua passione aveva tutto invaso. I suoi tesori non erano i milioni i cui frutti s'accumulavanoma il cofanetto di Carloi due ritratti appesi al capezzalei gioielli ripresi a suo padredisposti solennemente su di uno strato di ovatta in un tiretto del forziereil ditale della ziache sua madre aveva adoperatoe che tutti i giorni lei usava religiosamente per lavorare a un ricamotela di Penelopeiniziata solo per poter mettere al dito quell'oro così pieno di ricordi. Non sembrava affatto verosimile che la signorina Grandet volesse maritarsi durante il lutto. La sua sincera devozione era ben nota. E così la famiglia Cruchotla cui politica era saggiamente guidata dal vecchio abatesi contentò di circuire l'ereditiera usandole le premure più affettuose. In casa suatutte le serela sala si riempiva di una società composta dei più caldi e più fedeli Crusciottiani del paeseche si sforzavano di cantar le lodi della padrona di casa in tutti i toni. Essa aveva il suo medico ordinario di camerail grande elemosiniereil ciambellanola prima dama di corteil primo ministrosoprattutto il cancelliereun cancelliere che voleva suggerirle sempre tutto. Se l'ereditiera avesse desiderato un paggio per reggerle lo strascicogliene avrebbero subito trovato uno. Era una reginae la più abilmente adulata di tutte le regine. L'adulazione non proviene mai dalle grandi animeè l'appannaggio di spiriti mediocriche riescono a rimpicciolirsi ancor più per entrare più facilmente nella sfera vitale delle persone attorno alle quali gravitano. L'adulazione sottintende un interesse. E infatti le persone che andavano ad ammobiliare con la loro presenza tutte le sere la sala della signorina Grandetda loro chiamata signorina di Froidfondriuscivano meravigliosamente a colmarla di complimenti. Quel concerto di eloginuovo per Eugeniala fece sul principio arrossire; ma insensibilmentee sebbene quelle lodi fossero grossolaneil suo orecchio si abituò così bene a sentir vantare la sua bellezzache se qualche nuovo venuto l'avesse trovata bruttaa un tale giudizio sfavorevole sarebbe rimasta molto più sensibile allora che non otto anni prima. Poi finì per amare quelle soddisfazioni che metteva segretamente ai piedi del suo idolo. Si abituò dunque poco per volta a lasciarsi trattare da sovrana e a vedere la sua corte al completo ogni sera. Il signor presidente di Bonfons era l'eroe di quel piccolo circolodove il suo spiritola sua personala sua culturala sua cortesia venivano continuamente ammirati. Un tale faceva osservare chenegli ultimi sette anniaveva molto aumentato la sua fortunache Bonfons valeva almeno diecimila franchi di rendita e che si trovava incuneatocome tutti i beni dei Cruchotnei vasti possessi dell'ereditiera.

- Sapetesignorina - le diceva un assiduo - che i Cruchot hanno quarantamila lire di rendita?

- E poitutte le loro economie - riprendeva una vecchia Crusciottianala signorina de Gribeancourt. - Un signore di Parigi è venuto ultimamente a offrire al signor Cruchot duecentomila franchi per rilevare il suo studio. E certo lo venderàse sarà nominato giudice di pace.

- Vuol succedere al signor di Bonfons nella presidenza del tribunalee allora già prende le sue precauzioni - rispose la signora d'Orsonval - perché il signor presidente diventerà consiglierepoi presidente della Cortenon gli manca nulla per far carriera.

- Sìè un uomo molto distinto - diceva un altro. - Non trovate anche voisignorina?

Il signor presidente aveva procurato di mettersi in armonia con la parte che voleva rappresentare. Malgrado i suoi quarant'annimalgrado il viso bruno arcignoappassito come quasi tutte le fisionomie dei magistratisi dava l'aria di un giovanottogiocherellava con un frustinonon fiutava tabacco in casa della signorina di Froidfondvi si presentava sempre in cravatta biancacon una camicia il cui sparato a larghe pieghe gli dava un'aria di famiglia con gli individui della specie gallinacea.

Egli parlava ormai familiarmente alla bella ereditierae le diceva:

- La nostra cara Eugenia! - E poieccezion fatta per il numero delle personesostituita la tombola col "whist" e tolti il signore e la signora Grandetla scena con la quale ha avuto inizio questa storia era pressa a poco sempre la stessa. La muta inseguiva sempre Eugenia e i suoi milioni; ma la mutapiù numerosaabbaiava meglioe accerchiava comunque la preda in piena intesa. Se Carlo fosse arrivato dall'interno delle Indieavrebbe dunque trovato gli stessi personaggi e gli stessi interessi. La signora de Grassinsverso la quale Eugenia era perfetta di grazia e di bontàcontinuava a tormentare i Cruchot.

Ma la figura di Eugenia avrebbe dominato il quadro; anche alloracome una voltaCarlo sarebbe stato sempre il sovrano. Tuttavia c'era stato un progresso. Il mazzo di fiori presentato un tempo a Eugenia il giorno del suo compleanno dal presidenteera divenuto periodico. Tutte le sere egli ne portava unogrande e magnificoalla ricca ereditierache la signora Cornoiller disponeva ostentatamente in un vasoe poi gettava di nascosto in un angolo del cortilenon appena i visitatori se ne erano andati.

All'inizio della primaverala signora de Grassins cercò di turbare la felicità dei Crusciottiani parlando a Eugenia del marchese di Froidfondil cui casato in rovina avrebbe potuto risollevarsi se l'ereditiera avesse voluto restituirgli il feudo mediante un contratto di matrimonio. La signora de Grassins faceva risaltare la dignità di pari e il titolo di marcheseeinterpretando il sorriso sdegnoso di Eugenia per una approvazioneandava dicendo che il matrimonio del signor presidente Cruchot non era poi tanto sicuro come si credeva.

- Quantunque il signor de Froidfond abbia cinquant'anni - diceva - non sembra aver più età del signor Cruchot; è vedovoha figliè vero; ma è marchesesarà pari di Franciae coi tempi che corrono dove trovare un altro matrimonio di questo calibro? Io so di sicuro che papà Grandetriunendo tutte le sue proprietà al feudo di Froidfondaveva l'intenzione d'innestarsi coi Froidfond. Me lo ha detto tante volte. Era furboil brav'uomo.

- Ma come maiNanon - disse una sera Eugenia coricandosi - egli non mi ha scritto in sette anni?...

Mentre queste cose accadevano a SaumurCarlo faceva fortuna nelle Indie. La sua paccottiglia era stata subito ben venduta. Aveva realizzato rapidamente una somma di seimila dollari. Il passaggio dell'Equatore gli fece perdere molti pregiudizi; si accorse che il miglior modo di arricchire eranelle regioni intertropicalicome in Europaquello di comprare e di vendere uomini. Si recò quindi sulle coste dell'Africa e vi praticò la tratta di negriaccoppiando al commercio degli uomini quello delle merci che si potevano più vantaggiosamente scambiare sui diversi mercati dove lo conducevano i suoi interessi. Mise negli affari un'attività che non gli lasciava un momento libero. Era dominato dall'idea di ricomparire a Parigi con tutto lo splendore di una grande fortunae di riconquistare una posizione più brillante ancora di quella da cui era caduto. A forza di passare di gente in gentedi paese in paesed'osservare i costumi diversile sue idee si modificaronodivenne scettico. Non ebbe più nozioni ben determinate sul giusto e l'ingiustovedendo considerato come un delitto in un paese quel che era virtù in un altro. Sempre alle prese con l'interesseil suo cuore divenne freddosi contrassesi inaridì. Il sangue dei Grandet non mentì. Carlo divenne duroavido di guadagno. Vendette cinesinegrinidi di rondinebambiniartisti; esercitò l'usura su vasta scala. L'abitudine di frodare i diritti di dogana lo rese meno scrupoloso verso i diritti dell'uomo. Si recava spesso a Saint-Thomas per acquistarci a vil prezzo le merci rubate dai piratie le portava sui mercati in cui mancavano. Se il nobile e puro volto di Eugenia lo accompagnò nel primo viaggio come quella immagine della Vergine che i marinai spagnoli pongono sui loro bastimentie attribuì i suoi primi successi al magico influsso dei voti e delle preghiere di quella dolce ragazzapiù tardile negrele mulattele bianchele giavanesile almeele orge d'ogni coloree le avventure avute nei diversi paesi cancellarono completamente il ricordo della cuginadi Saumurdella casadella pancadel bacio colto nel corridoio. Egli rammentava solo il giardinetto cinto da vecchie muraperché là aveva avuto inizio il suo destino avventuroso; ma rinnegava la famiglia: suo zio era un vecchio cane che gli aveva truffato i gioielli; Eugenia non era nel suo cuore né nei suoi pensieriessa occupava un posto negli affari come creditrice della somma di seimila franchi: questa condotta e queste idee spiegano il silenzio di Carlo Grandet.

Nelle Indiea Saint-Thomassulle coste d'Africaa Lisbona e negli Stati Unitilo speculatore aveva assuntoper non compromettere il suo nomelo pseudonimo di Sepherd. Carlo Sepherd poteva senza alcun rischio mostrarsi ovunque infaticabileaudaceavidocome un uomo chedeciso a far fortuna "qui buscumque viis"si affretta a farla finita con l'infamia per vivere onestamente durante il resto della vita. Con un tale sistema il suo successo fu rapido e brillante. Nel 1827dunqueegli tornava a Bordeauxa bordo della "Maria Carolina"un grazioso brigantino appartenente a una compagnia realista. Possedeva un milione e novecentomila franchi in tre barilotti di polvere d'oro solidamente cerchiatida cui contava ricavare il sette o l'otto per cento commerciandoli a Parigi. Su quel brigantino si trovava pure un gentiluomo della corte di Sua Maestà il re Carlo Decimoil signor d'Aubrionun buon vecchio che aveva commesso la pazzia di sposare una donna alla modae i cui beni erano nelle isole.

Per porre riparo alle prodigalità della signora d'Aubrionera andato a realizzare le sue proprietà. Il signore e la signora d'Aubriondella famiglia d'Aubrion di Buchil cui ultimo "capitano" era morto nel 1789ridotti a vivere con una ventina di migliaia di lire di renditaavevano una figlia alquanto brutta che la madre voleva maritare senza dotepoiché il suo patrimonio le era appena sufficiente per vivere a Parigi. Era una impresa il cui successo sarebbe sembrato problematico a tuttinonostante l'abilità che si riconosce alle dame della buona società. Perciò la stessa signora d'Aubrion disperava quasiguardando la figliadi riuscire a darla a chicchessiafosse pure un uomo ebbro di nobiltà. La signorina d'Aubrion era lunga come una libellula; magragracilecon una bocca dall'espressione sdegnosasulla quale scendeva un naso troppo lungogrosso in puntaflavescente allo stato normalema completamente rosso dopo i pastiuna specie di fenomeno vegetale tanto più spiacevole in un viso pallido e dall'aria annoiata che in ogni altro. Insommaera quale poteva desiderarla una madre di trentotto annichetuttora bellaaveva ancora delle pretese. Maper controbilanciare tali svantaggila marchesa d'Aubrion aveva saputo dare a sua figlia un'aria assai distintal'aveva sottoposta a un regime che conservava provvisoriamente il naso in un ragionevole incarnatole aveva fatto apprendere l'arte di vestirsi con gustol'aveva dotata di modi graziosile aveva insegnato a lanciare quegli sguardi malinconici che interessano un uomo e gli fanno credere che incontrerà l'angelo tanto invano cercato; le aveva anche insegnato la manovra del piedein modo da avanzarlo opportunamente e farne ammirare la piccolezzaal momento in cui il naso commetteva l'impertinenza di arrossire; insommaaveva tratto da sua figlia un partito quanto mai soddisfacente. Con maniche larghebusti ingannevolivestiti rigonfi e accuratamente guarnitibusto ad alta pressioneaveva ottenuto prodotti femminili così curiosi chead ammaestramento delle madriavrebbe dovuto depositarli in un museo. Carlo strinse una grande intimità con la signora d'Aubrionche non chiedeva di meglio. Molti sostengonoanzichedurante la traversatala bella signora d'Aubrion non trascurò alcun mezzo per accaparrarsi un genero tanto ricco. Sbarcando a Bordeauxnel giugno del 1827il signorela signorala signorina d'Aubrion e Carlo presero alloggio insieme nello stesso albergo e insieme partirono per Parigi. Il palazzo dei d'Aubrion era carico d'ipotecheCarlo doveva liberarlo. La madre aveva già parlato del piacere che avrebbe avuto di cedere il pianterreno al genero e alla figlia.

Non condividendo i pregiudizi del signor d'Aubrion sulla nobiltàaveva promesso a Carlo Grandet di ottenere dal buon Carlo Decimo un decreto reale che lo avrebbe autorizzatolui Grandeta portare il nome d'Aubriona prenderne lo stemmae a succedere mediante la costituzione di un maggiorasco di trentaseimila lire di renditaad Aubrionnel titolo di "capitano" di Buch e marchese d'Aubrion. Riunendo i loro patrimonivivendo in buona armoniae con l'aiuto di qualche sinecurasi sarebbe riusciti a mettere insieme in casa d'Aubrioncento e più mila lire di rendita. "E quando si hanno centomila lire di renditaun uomouna famigliae si è ricevuti a Cortegiacché vi farò nominare gentiluomo di camerasi diventa tutto quel che si vuole"essa diceva a Carlo. "E così voi saretea vostra sceltareferendario al Consiglio di Statoprefettosegretario d'ambasciata o ambasciatore. Carlo Decimo protegge molto d'Aubrionsi conoscono da ragazzi".

Inebriato d'ambizione da quella donnaCarlo aveva accarezzato durante la traversata tutte quelle speranze che gli erano state presentate da una mano abilee sotto forma di confidenze versate da cuore a cuore. Ritenendo gli affari del padre sistemati dallo zioegli si vedeva già piazzato di colpo nel quartiere di Saint- Germaindove tutti allora volevano essere ammessie doveall'ombra del naso paonazzo della signorina Matildeegli sarebbe riapparso sotto le spoglie del conte d'Aubrioncome i Dreux riapparvero un giorno sotto quelle di Brézé. Abbagliato dalla prosperità della Restaurazione che aveva lasciato vacillantepreso dal fascino delle idee aristocratichela sua ebbrezzache aveva cominciato a manifestarsi sul bastimentoperdurò a Parigi dove decise di fare del tutto per raggiungere quell'alta posizione che l'egoista sua suocera gli aveva fatto intravedere. Sua cugina non era dunque più per lui che un punto nello spazio di quella brillante prospettiva. Rivide Annetta. Da donna di mondo quale eraessa consigliò con insistenza al suo amico d'un tempo di contrarre quel matrimonioe gli promise appoggio in tutte le sue imprese ambiziose. Annetta era felice di far sposare una signorina brutta e noiosa a Carloche il soggiorno nelle Indie aveva reso molto seducente: il suo colorito si era infatti abbronzatoi suoi modi erano diventati decisiarditicome lo sono quelli degli uomini abituati a tagliar cortoa dominarea riuscire. Carlo respirò più a suo agio a Parigivedendo che poteva sostenervi una parte importante. De Grassinsinformato del suo ritornodel prossimo matrimoniodella sua fortunalo andò a trovare per parlargli dei trecentomila franchi medianti i quali avrebbe potuto riscattare i debiti del padre. Trovò Carlo in colloquio col gioielliere al quale aveva ordinato dei gioielli per il dono di nozze alla signorina d'Aubrion e che gliene stava mostrando i disegni. Malgrado i magnifici diamanti che Carlo aveva portato dalle Indiele montaturel'argenteriai gioielli importanti e quelli da poco della giovane coppia richiesero oltre duecentomila franchi. Carlo ricevette de Grassinssenza dapprima riconoscerlocon l'impertinente sussiego d'un giovane alla moda chenelle Indie aveva già ucciso quattro uomini in vari duelli. Il signore de Grassins era già andato da lui tre volteCarlo lo ascoltò freddamente; poi gli risposesenza averlo ben compreso:

- Gli affari di mio padre non sono i miei. Vi ringraziosignore della premura che vi siete presoe di cui non saprei approfittare. Non ho raggranellato quasi due milioni col sudore della mia fronte per andarli poi a buttare ai piedi dei creditori di mio padre.

- E se vostro padre venissefra qualche giornodichiarato in fallimento?

- Signoredi qui a qualche giornoio mi chiamerò conte d'Aubrion. Capite quindi che ciò mi riuscirebbe del tutto indifferente. Del restovoi sapete meglio di me che quando un uomo ha centomila lire di renditasuo padre non è mai fallito - aggiunse sospingendo cortesemente il signore de Grassins verso la porta.

Al principio del mese di agosto di quell'annoEugenia era seduta sulla panchina di legno dove suo cugino le aveva giurato un eterno amoree dove faceva colazione quand'era bel tempo. La povera ragazza proprio in quel momento si compiaceva di rievocarenella fresca e radiosa mattinai grandii piccoli avvenimenti del suo amoree le catastrofi da cui era stato seguito. Il sole illuminava la graziosa ala di muro tutta screpolataquasi in rovinache la capricciosa ereditiera aveva proibito di toccaresebbene Cornoiller ripetesse spesso alla moglie che un giorno o l'altro qualcuno vi sarebbe rimasto schiacciato sotto. In quel momento il portalettere bussòconsegnò una lettera alla signora Cornoillerche corse in giardino gridando: - Signorinauna lettera! - La diede alla padrona dicendole: - E' quella che aspettate?

Queste parole risuonarono fortemente nel cuore d'Eugeniacome risuonarono realmente fra le mura del cortile e del giardino.

- Parigi! E' sua. E' tornato.

Eugenia impallidìe lasciò per un istante la lettera intatta.

Palpitava troppo forte per poterla dissigillare e leggere. Nanon rimase in piedile mani sui fianchimentre la gioia sembrava uscire come un fumo dalle rughe del suo viso bruno.

- Ma leggetesignorina...

- Ah!Nanonperché torna a Parigise è partito da Saumur?

- Leggetee lo saprete.

Eugenia dissigillò la lettera tremando. Ne cadde un assegno sulla ditta: "Signora de Grassins e Corret di Saumur". Nanon lo raccolse.

"Mia cara cugina...".

"Non sono più Eugenia" essa pensò. E il suo cuore si serrò.

"Voi...". "Mi dava del tu!".

Incrociò le braccianon osò più proseguiree grosse lacrime le vennero agli occhi.

- E' morto? - domandò Nanon.

- Non scriverebbe - disse Eugenia.

Essa lesse questa lettera:

"Mia cara cuginaapprenderetecredocon dispiacereil successo delle mie imprese. Voi mi avete portato fortunasono ritornato riccoe ho seguito i consigli dello ziola cui morte e quella della zia mi sono state rese note or ora dal signor de Grassins.

La morte dei nostri genitori è nella natura delle cosee noi dobbiamo succedere loro. Spero che a quest'ora vi sarete consolata. Nulla resiste al tempo e io lo sto provando. Sìmia cara cuginadisgraziatamente per meil momento delle illusioni è passato. Che volete! Viaggiando attraverso tanti paesiho riflettuto sulla vita. Sono partito che ero un ragazzoe sono ritornato uomo. Oggipenso a tante cose alla quali non pensavo prima. Voi siete liberacugina miae io pure; nulla impedirebbein apparenzala realizzazione dei nostri piccoli progetti; ma io sono troppo leale per nascondervi la situazione dei miei affari.

Non ho dimenticato che io non mi appartengo; mi sono sempre ricordato durante le lunghe traversate della panchina di legno...".

Eugenia si alzò come se fosse stata sui carboni ardentie andò a sedersi su di un gradino del cortile. "... della panchina di legno dove ci siamo giurati di amarci per sempredel corridoiodella sala grigiadella mia camera in soffittae della notte in cui mi avete resocon la vostra delicata gentilezzal'avvenire più facile. Sìquesti ricordi hanno sorretto il mio coraggioe io mi sono detto che voi pensavate sempre a me come io pensavo spesso a voiall'ora tra noi convenuta. Avete guardato le nuvole alle nove? Sìnon è vero? Ed è per questo che io non voglio tradire una amicizia per me sacra; noio non devo ingannarvi. Si trattain questo momentoper med'un matrimonio che soddisfa tutte le idee che io mi sono fatto sul matrimonio. L'amorenel matrimonioè una chimera. Oggi la mia esperienza mi dice che bisogna obbedire a tutte le leggi sociali e salvaguardare col matrimonio tutte le convenienze volute dal mondo. Ora già c'è tra noi una differenza d'età cheforseinfluirebbe più sul vostro avveniremia cara cuginache non sul mio. Io non parlerò né dei vostri costuminé della vostra educazionené delle vostre abitudiniche non sono affatto in armonia con la vita di Parigie che non quadrerebbero certamente coi miei ulteriori progetti. Ho infattitra l'altrointenzione di darmi un alto tono di vitadi ricevere moltomentre mi pare di ricordare che voi preferite una vita dolce e tranquilla. Nosarò ancora più francofacendovi arbitra della mia situazione; avete il diritto di conoscerlaavete il diritto di giudicarla. Oggi io posseggo ottantamila lire di rendita.

Questo denaro mi consente di unirmi alla famiglia d'Aubrionla cui ereditierauna giovane di diciannove annimi porta col matrimonio il suo nomeun titolola carica di gentiluomo onorario di camera di Sua Maestàe una posizione fra le più brillanti. Vi confesseròmia cara cuginache io non amo affatto la signorina d'Aubrion; maunendomi a leiassicuro ai miei figli una situazione sociale i cui vantaggi saranno in avvenire incalcolabili; ogni giorno di più le idee monarchiche riacquistano favore. Allorafra qualche annomio figliodivenuto marchese d'Aubrionavendo un maggiorasco di quarantamila lire di renditapotrà assumere nello Stato il posto che più gli converrà scegliere. E' nostro dovere sacrificarsi per i nostri figli. Come vedetecara cuginavi ho esposto con la massima sincerità lo stato del mio cuoredelle mie aspirazioni e della mia ricchezza.

Può darsi che voi abbiate dimenticato le nostre fanciullaggini dopo sette anni di assenza; ma ionon ho dimenticato né la vostra bontà né le mie parole; le ricordo tutteanche quelle date con leggerezza e alle quali un giovane meno coscienzioso di mecon un cuore meno giovane e meno probonon penserebbe più. Dicendovi che penso solo a fare un matrimonio di convenienzae che mi ricordo ancora dei nostri amori di ragazzinon mi rimetto forse interamente alla vostra discrezionenon vi rendo arbitra della mia sortenon vi dico chese devo rinunciare alle mie ambizioni socialimi contenterei volentieri di quella semplice e pura felicità di cui mi avete offerto così commoventi prove?...

- Tantata- Tantati. - Tinntata- Tunn! - Tunntati. - Tinntata... ecceteraaveva cantato Carlo Grandet sull'aria di 'Non più andrai'mentre firmava:

Vostro devoto cuginoCARLO".

"Perbacco!questo si chiama agire in piena regola" egli si disse.

Aveva poi preso l'assegnoe aveva aggiunto queste parole:

"P. S. Unisco alla lettera un assegno sul banco de Grassins di ottomila franchi al vostro ordinepagabile in orocomprensivo degli interessi e del capitale della somma che avete avuto la bontà di prestarmi. Attendo da Bordeaux una cassa dove si trovano alcuni oggettini che mi permetterete di offrirvi in segno della mia eterna riconoscenza. Potrete rimandarmi a mezzo della diligenza il mio cofanetto al palazzo d'Aubrionvia Hillerin- Bertin".

- Con la diligenza! - disse Eugenia. - Una cosa per la quale avrei dato mille volte la mia vita!

Spaventoso e completo disastro. Il bastimento naufragava senza lasciare né un cordamené una tavola sul vasto oceano delle speranze. Vedendosi abbandonate certe donne vanno a strappare il loro amante dalle braccia d'una rivalela uccidono e fuggono in capo al mondo: sul patibolo o nella tomba. Questosenza dubbioè bello; il movente del delitto è una sublime passione che s'impone alla Giustizia umana. Altre donne invece chinano il capo e soffrono in silenzio; vanno morenti e rassegnate piangendo e perdonandopregando e ricordandofino all'ultimo sospiro. Questo è l'amorel'amore verol'amore degli angeli; l'amore fiero che vive del suo dolore e ne muore. Questo fu il sentimento di Eugenia dopo aver letto quell'orribile lettera. Volse lo sguardo al cielopensando alle ultime parole della madrechecome accade ad alcuni moribondiaveva proiettato sull'avvenire un colpo d'occhio penetrantelucido; poi Eugeniarammentando quella morte e quella vita profeticamisurò con uno sguardo tutto il suo destino. Non le restava più che spiegar le alitendere al cieloe vivere in preghiera fino al giorno della sua liberazione.

- Mia madre aveva ragione - disse piangendo - Soffrire e morire.

Tornò lentamente dal giardino nella sala. Contrariamente alle sue abitudininon passò per il corridoio; ma ritrovò il ricordo del cugino in quella vecchia sala grigia dovesul caminettoera rimasto sempre un certo piattino di cui si serviva tutte le mattine a colazioneinsieme a una zuccheriera di vecchio Sèvres.

Quella mattina doveva essere solenne e piena di eventi per lei.

Nanon le annunciò il curato della parrocchia. Questiparente dei Cruchotfavoriva le mire del presidente di Bonfons. Da qualche giornoil vecchio abate lo aveva indotto a parlare alla signorina Grandetin un senso puramente religiosodell'obbligo in cui si trovava di contrarre matrimonio. Vedendo il suo pastoreEugenia credette che venisse a chiederle i mille franchi che donava ogni mese ai poverie disse a Nanon di andarli a prendere; ma il curato sorrise.

- Oggisignorinavengo a parlarvi d'una povera ragazza di cui tutto Saumur s'interessae chemancando di carità verso se stessanon vive cristianamente.

- Mio Dio!signor curatomi trovate in un momento in cui mi è impossibile pensare al prossimoora non posso pensare che a me.

Sono tanto infelicenon ho altro rifugio che la Chiesa; essa ha un grembo abbastanza ampio per contenere tutti i nostri dolorie sentimenti abbastanza fecondi per potervi attingere senza tema di esaurirli.

- Ebbene!signorinaoccupandoci di questa ragazza ci occuperemo di voi. Ascoltatemi. Se volete la vostra salvezza non avete che due vie da seguire: o lasciare il mondo o seguirne le leggi.

Obbedire al vostro destino terreno o al vostro destino celeste.

- Ah!la vostra voce mi parla nel momento in cui volevo ascoltare una voce. SìDio vi conduce quipadre. Dirò addio al mondo e vivrò con Dio solo nel silenzio e nel ritiro.

- E' necessariofiglia miariflettere prima a lungo su questa repentina decisione. Il matrimonio è una vitail velo è una morte.

- Ebbene!la mortela morte subitosignor curato - essa disse con una impressionante vivacità.

- La morte!ma voi avete grandi doveri da compiere verso la societàsignorina. Non siete dunque la madre dei poveri cui date vestitilegna per l'inverno e lavoro per l'estate? La vostra grande ricchezza è un prestito che va resoe voi l'avete santamente accettata per questo. Seppellirvi in un conventosarebbe un egoismo; e non dovete restare zitella. Prima di tutto:

potreste amministrare da sola la vostra immensa fortuna? Forse così la perdereste. Avreste subito mille cause giudiziarie e vi trovereste implicata in inestricabili difficoltà. Date retta al vostro pastore: uno sposo vi è utilevoi dovete conservare quel che Dio vi ha dato. Vi parlo come a una pecorella prediletta. Voi amate troppo sinceramente Dio per non provvedere alla salvezza dell'anima in questo mondodi cui siete uno dei più belli ornamentie a cui date santi esempi.

In quel momentola signora de Grassins si fece annunciare.

Giungeva guidata da un desiderio di vendetta e da una grande disperazione.

- Signorina - disse. - Ah!è qui il signor curato. Taccio allora; venivo per parlarvi d'affarima vedo che siete molto occupata.

- Signora - disse il curato - vi lascio il campo libero.

- Ohsignor curato - disse Eugenia - tornate di qui a pocoil vostro consiglio m'è in questo momento ben necessario.

- Sìmia povera ragazza - disse la signora de Grassins.

- Che volete dire con questo? - chiesero la signorina Grandet e il curato.

- Non mi è forse noto il ritorno di vostro cuginoe il suo matrimonio con la signorina d'Aubrion?... Una donna non ha mai la testa in aria.

Eugenia arrossì e rimase silenziosa; ma prese la decisione di assumere da quel momento l'impassibile contegno di suo padre.

- Ebbene!signora - rispose con ironia - io devo allora avere certamente la testa in arianon capisco quel che volete dire.

Parlateparlate pure avanti al signor curatoegli èvoi lo sapetela mia guida spirituale.

- Ebbene!signorinaecco quel che de Grassins mi scrive.

Leggete.

Eugenia lesse questa lettera:

"Mia cara moglieCarlo Grandet è tornato dalle Indiee si trova a Parigi da un mese...

"Un mese!" si disse Eugenia lasciando ricadere la mano. Dopo una pausa riprese a leggere.

"... Ho dovuto far due volte anticamera prima di poter parlare al futuro visconte d'Aubrion. Sebbene tutta Parigi parli del suo matrimonioe siano già state fatte tutte le pubblicazioni...

"Allora egli mi scriveva proprio quando..."si disse Eugenia.

Essa non terminò la frasenon gridò come avrebbe fatto una parigina "Che mascalzone!" Mapur non essendo espressolo sdegno non fu meno completo. "... Questo matrimonio è ancora in alto mare; il marchese d'Aubrion non darà sua figlia al figlio di un bancarottiere. Sono andato a informarlo di tutti i passi che suo zio e io abbiamo fatto per regolare gli affari del padree delle abili manovre con le quali siamo riusciti a tenere i creditori tranquilli fino a oggi. Quel piccolo impertinente non ha avuto la sfrontatezza di rispondere a meche per cinque anni mi sono dedicato notte e giorno a salvaguardare i suoi interessi e il suo onoreche gli affari di suo padre non erano i suoi? Un legale avrebbe il diritto di chiedergli trenta o quarantamila franchi d'onorariin ragione dell'un per cento sulla somma dei crediti.

Mapazienza; essendo legittimamente dovuti un milione e duecentomila franchi ai creditorifarò dichiarare suo padre in fallimento. Io mi sono imbarcato in questo affare sulla parola di quel vecchio caimano di Grandete ho fatto delle promesse in nome della famiglia Grandet. Se il signor visconte d'Aubrion si cura così poco del proprio onoreio tengo invece molto al mio. E perciò esporrò la mia situazione ai creditori. Tuttaviaho troppo rispetto verso la signorina Eugeniaalla cui parentela con leiin tempi più fortunatiavevamo pensatoper agire senza che tu le abbia prima parlato di questa faccenda...".

A questo puntoEugenia restituì freddamente la lettera senza finire di leggerla.

- Vi ringrazio - disse alla signora de Grassins - VEDREMO...

- In questo momentoavete proprio la stessa voce del defunto vostro padre - disse la signora de Grassins.

- Signoraricordatevi che dovete pagare ottomila e cento franchi in oro - le disse Nanon.

- E' vero; usatemi la cortesia di venir con mesignora Cornoiller.

- Signor curato - disse Eugenia con un nobile sangue freddo datole dal pensiero che stava per esprimere - sarebbe commettere un peccato quello di restare in stato di verginità nel matrimonio?

- Questo è un caso di coscienza la cui soluzione mi è ignota. Se volete sapere quel che ne pensa nella sua "Summa de Matrimonio" il celebre Sanchezpotrò dirvelo domani.

Il curato uscìla signorina Grandet salì nello studio del padre e ci trascorse la giornatasolasenza voler scendere all'ora del pranzomalgrado le insistenze di Nanon. Ricomparve la seraall'ora in cui gli assidui del suo circolo arrivavano. Mai la sala dei Grandet era stata così affollata come in quella sera. La notizia del ritorno e dello sciocco tradimento di Carlo s'era diffusa per tutta la città. Ma per quanto acuta fosse la curiosità dei visitatoriessa non venne soddisfatta. Eugeniaprevenutanon lasciò trasparire sul suo volto sereno le crudeli emozioni che la turbavano. Seppe assumere un aspetto sorridente in risposta a coloro che vollero testimoniarle il loro compatimento con sguardi o parole malinconiche. Seppe insomma celare il suo dolore sotto i veli della cortesia. Verso le nove le partite ebbero termine e i giocatori lasciarono i tavoliregolarono i loro conti e discussero sugli ultimi colpi del "whist" andando a raggiungere la cerchia dei conversatori. Nel momento in cui tutti si alzarono per lasciare la salaci fu un colpo di scena che ebbe eco in Saumure anche oltre i confini del circondario e delle quattro prefetture circonvicine.

- Restatesignor presidente - disse Eugenia al signor de Bonfons vedendo che prendeva il bastone.

A queste parolenon ci fu nessuno nella numerosa compagnia che non si sentisse commosso. Il presidente impallidì e fu costretto a sedersi.

- I milioni al presidente - disse la signorina de Gribeaucourt.

- E' chiaroil presidente di Bonfons sposa la signorina Grandet - esclamò la signora d'Orsonval.

- Questo è il più bel colpo della partita - disse l'abate.

- E' un bel "schleem" - disse il notaio.

Ognuno disse la suaognuno lanciò il suo frizzotutti vedevano l'ereditiera salita sui suoi milionicome su di un piedistallo.

Il dramma iniziatosi nove anni prima aveva il suo epilogo. Diredavanti a tutta Saumural presidente di restarenon era come annunciare che voleva far di lui il proprio marito? Nelle piccole cittàle convenienze sono così severamente osservateche una infrazione di quel genere vale quanto la più solenne delle promesse.

- Signor presidente - gli disse Eugenia con voce commossa quando furono soli - so quel che vi piace in me. Giurate di lasciarmi libera per tutta la vitadi non ricordarmi nessuno dei diritti che il matrimonio vi dà su di mee la mia mano è vostra. Oh! - essa riprese vedendolo mettersi in ginocchio - non ho ancora detto tutto. Io non devo ingannarvisignore. Ho nel cuore un sentimento inestinguibile. L'amicizia è il solo sentimento che posso accordare a mio marito; non voglio né offenderloné contravvenire alle leggi del mio cuore. Ma voi non avete la mia mano e la mia fortuna che al prezzo d'un immenso servigio.

- Sono qui pronto a tutto - disse il presidente.

- Ecco un milione e duecentomila franchisignor presidente - disse traendo dal suo seno un foglio - partite per Pariginon domaninon questa nottema subito. Recatevi dal signor de Grassinsfatevi dare il nome di tutti i creditori di mio zioriunitelipagate tutti i debiti che la sua successione presentaper capitale e interessi del cinque per cento dal giorno in cui il debito fu contratto fino a quello del rimborsoe infine vogliate far fare una ricevuta generale vidimata dal notaioin perfetta regola. Siete magistratoe mi rimetto completamente a voi per regolare questo affare. Voi siete un uomo lealeun galantuomo; io mi affiderò alla vostra parola per attraversare i pericoli della vita al riparo del vostro nome. Avremo l'uno per l'altro una reciproca indulgenza. Ci conosciamo da tanto temposiamo quasi parentinon vorrete rendermi infelice.

Il presidente cadde ai piedi della ricca ereditiera palpitando di gioia e d'angoscia.

- Sarò il vostro schiavo - le disse.

- Quando avrete la ricevutasignore - riprese guardandolo freddamente - la recherete con tutti i titoli di credito a mio cugino Grandet e gli consegnerete questa lettera. Al vostro ritorno; manterrò la mia parola.

Il presidente capì che doveva la mano della signorina Grandet a un ripicco amoroso; e perciò si affrettò a eseguire gli ordini con la maggior prontezzaa evitare qualsiasi riconciliazione tra i due innamorati.

Quando il signor di Bonfons fu uscitoEugenia si lasciò cadere sulla poltrona e ruppe in lacrime. Tutto era consumato. Il presidente prese la diligenza e si trovò a Parigi l'indomani sera.

Nella mattinata del giorno successivo all'arrivoandò da de Grassins. Il magistrato convocò i creditori nello studio del notaio dove si trovavano depositati i titolie presso il quale non uno mancò all'appello. Sebbene fossero creditoribisogna render loro giustizia: furono puntuali. Làil presidente di Bonfonsa nome della signorina Grandetversò loro il capitale e gli interessi dovuti. Il pagamento degli interessi rappresentò per il commercio parigino uno degli avvenimenti più sorprendenti dell'epoca. Quando la ricevuta fu registrata e de Grassins fu pagato dei suoi onorari con la somma di cinquantamila franchi che gli aveva assegnato Eugeniail presidente si recò al palazzo d'Aubrione ci trovò Carlo nel momento in cui questi rientrava nel suo appartamentodopo uno scontro col suocero. Il vecchio marchese gli aveva dichiarato proprio allora che non gli avrebbe dato la mano della figlia se non quando tutti i creditori di Guglielmo Grandet fossero stati soddisfatti.

Il presidente gli consegnò innanzi tutto la seguente lettera:

"Caro cuginoil signor presidente di Bonfons ha preso l'incarico di rimettervi la quietanza di tutte le somme dovute da mio zio e quella con cui riconosco di averle ricevute da voi. Mi si è parlato di fallimento. Ho pensato che il figlio di un fallito non avrebbe forse potuto sposare la signorina d'Aubrion. Sìcuginoavete giudicato bene il mio spirito e i miei modi: non sono fatta per la societànon ne conosco né i calcoli né i costumie non saprei darvi i piaceri che voi volete trovarvi. Siate felicesecondo le convenzioni sociali alle quali avete sacrificato il nostro primo amore. Per rendere la vostra felicità completaio non posso perciò offrirvi che l'onore di vostro padre. Addioavrete sempre una fedele amica nella vostra cuginaEUGENIA".

Il presidente sorrise all'esclamazione che quell'ambizioso giovane non poté reprimere al momento in cui ricevette l'atto autentico.

- Li annunceremo reciprocamente i nostri matrimoni - gli disse.

- Ah!voi sposate Eugenia. Ebbene!ne sono contentoè una brava ragazza. Ma - riprese colpito a un tratto da una riflessione luminosa - è ricca?

- Aveva - rispose il presidente con aria beffarda circa diciannove milioni quattro giorni fa; ma oggi non ne ha che diciassette.

Carlo guardò il presidente con aria stupita.

- Diciassette... mil...

- Diciassette milionisissignore. Tra la signorina Grandet e memettiamo insieme sposandocisettecentocinquantamila lire di rendita.

- Mio caro cugino - disse Carlo ritrovando un po' della sua presenza di spirito - potremo aiutarci a vicenda.

- D'accordo - disse il presidente. - Eccoinoltreuna cassettina che devo consegnare solo a voi - aggiunse posando su di un tavolo il cofanetto.

-Ebbene!mio caro amico - disse la signora marchesa d'Aubrion entrando senza badare a Cruchot - non date alcuna importanza a ciò che vi ha detto poco fa quel povero signor d'Aubrional quale la duchessa de Chaulieu aveva fatto girare la testa. Ve lo ripetonulla potrà impedire il vostro matrimonio....

- Nullasignora - rispose Carlo. - I tre milioni un tempo dovuti da mio padre sono stati pagati ieri.

- In contanti? - essa disse.

- Integralmentecapitale e interessie ora farò riabilitare la sua memoria.

- Che sciocchezza! - esclamò la suocera. - Chi è questo signore? - essa disse all'orecchio del generoaccorgendosi solo allora di Cruchot.

- Il mio amministratore - le rispose a bassa voce.

La marchesa salutò altezzosamente il signor di Bonfonse uscì.

- Ci stiamo già aiutando - disse il presidente prendendo il suo cappello. - Addiocugino.

"Mi ha preso in giroquel cacatoa di Saumur. Mi verrebbe la voglia di cacciargli sei pollici di ferro nel ventre".

Il presidente intanto era uscito. Tre giorni dopoil signor di Bonfonsritornato a Saumurfece le pubblicazioni del suo matrimonio con Eugenia. Sei mesi dopoveniva nominato consigliere della corte reale di Angers. Prima di lasciare SaumurEugenia fece fondere l'oro dei gioielli per così lungo tempo preziosi al suo cuoree li consacrò insieme agli ottomila franchi del cuginoin un ostensorio d'oro facendone dono alla parrocchia in cui aveva tanto pregato Dio per lui! E divise il suo tempo fra Angers e Saumur. Il maritoche diede prova di fedeltà in una circostanza politicafu nominato presidente di sezione e poi primo presidente dopo qualche anno. Attese con impazienza le nuove elezioni generali per avere un seggio alla Camera. Aspirava già a essere Parie allora...

- Allora il re sarà dunque suo cugino - diceva Nanon - la signora Cornoillerborghese di Saumurcui la padrona annunciava le altre posizioni cui era chiamata. Tuttavia il signor presidente di Bonfons (egli aveva finalmente abolito il patrimonio di Cruchot) non riuscì a realizzare nessuna delle sue idee ambiziose. Morì otto giorni dopo essere stato eletto deputato di Saumur. Dioche vede tutto e colpisce sempre giustolo puniva senza dubbio dei suoi calcoli e dell'abilità giuridica con la quale aveva misuratoaccurante Cruchotil suo contratto di matrimonioin base al quale i due futuri sposi si donavano reciprocamente "qualora non avessero avuto figlil'universalità dei loro benimobili e immobili senza eccezioni e riservein piena proprietàdispensandosi anche dalla formalità dell'inventariosenza che l'omissione del predetto inventario possa essere impugnata dai loro eredi o aventi causaintendendosi che la predetta donazione sia"eccetera. Questa clausola può spiegare il profondo rispetto che il presidente ebbe sempre per la volontàper la solitudine della signora di Bonfons. Le donne indicavano il signor primo presidente come uno degli uomini più delicatilo compiangevano e giungevano spesso perfino a malignare sul doloresulla passione d'Eugeniama nel modo con cui le donne sanno accusare un'altra donna: con le più crudeli ipocrisie.

- La signora presidentessa di Bonfons deve esser proprio ben malata per lasciar così solo suo marito. Povera donnina! Guarirà presto? Ma che cosa ha? Una gastrite? Un cancro? Perché non si fa visitare da qualche medico? Sta diventando gialla da un po' di tempo in quadovrebbe sentire le celebrità mediche di Parigi.

Come fa a non desiderare un bambino? Se vuol molto bene a suo maritocome si dicecome mai non dargli un eredecon la posizione che ha? Ma sapete che tutto ciò è molto bruttoe che se si trattasse d'un capricciosarebbe proprio riprovevole? Povero presidente!

Dotata di quel fine intuito che il solitario esercita con le sue continue meditazioni e con la visione precisa mediante la quale afferra le cose che ricadono nella propria sferaEugeniaavvezza dalla sventura e dalla più recente sua esperienza a indovinare tuttosapeva benissimo che il presidente desiderava la sua morte per restare l'unico possessore di quella immensa fortunacui s'era aggiunta per successione quella dello zio notaio e dello zio abateche Dio aveva avuto la fantasia di chiamare a sé. La povera reclusa aveva compassione del presidente. La Provvidenza la vendicò dei calcoli e della nefanda indifferenza di uno sposo che rispettavacome la migliore delle garanziela passione senza speranza che Eugenia nutriva. Dare la vita a un bimbonon era forse troncare le speranze dell'egoismole gioie dell'ambizione accarezzate dal primo presidente? Iddio elargì quindi masse d'oro alla sua prigioniera per la quale l'oro era indifferente e che aspirava al cieloche viveva pia e buonain santi pensieriche soccorreva sempre i poveri in segreto. La signora di Bonfons rimase vedova a trentasei anniricca di ottocentomila lire di renditaancora bellama come è bella una dama prossima ai quaranta anni. Il suo volto è biancodistesocalmo. La sua voce è dolce e raccoltale sue maniere sono semplici. Essa ha tutta la nobiltà del dolorela santità di una persona che non ha macchiato la propria anima a contatto col mondoma anche la rigidezza della vecchia zitella e le abitudini meschine che crea la vita ristretta di provincia. Malgrado le sue ottocentomila lire di renditavive come aveva vissuto la povera Eugenia Grandet; accende il fuoco nella sua camera solo i giorni in cui un tempo suo padre le permetteva di accendere un caminetto della salae lo spegne secondo il programma in vigore in gioventù. Veste sempre come sua madre. La casa di Saumurcasa senza solesenza caloresempre immersa in una penombramalinconicaè l'immagine della sua vita.

Accumula con cura le sue renditee forse sembrerebbe parsimoniosa se non smentisse la maldicenza con un nobile impiego della sua ricchezza. Pie e caritatevoli fondazioniun ospizio per i vecchi e scuole cristiane per i fanciulliuna biblioteca pubblica riccamente dotatatestimoniano ogni anno contro l'avarizia rimproveratale da certuni. Le chiese di Saumur devono a lei alcune migliorie. La signora di Bonfons cheironicamenteè chiamata "Signorina"ispira generalmente un religioso rispetto. Quel nobile cuoreche batteva solo per i sentimenti più teneridoveva dunque essere sottomesso ai calcoli dell'interesse umano.

L'argento doveva comunicare le sue fredde tinte a quella vita celesteinsinuando la diffidenza per i sentimenti.

- Tu sola mi vuoi bene - essa diceva a Nanon.

La mano di quella donna medica le piaghe nascoste di tutte le famiglie. Eugenia si avvia verso il cielo accompagnata da un corteo di opere buone. La grandezza del suo animo attenua le meschinità della sua educazione e i costumi della sua vita giovanile. Tale la storia di questa donnache non è di questo mondo pur trovandosi in mezzo al mondo; chefatta per essere una magnifica sposa e madrenon ha né maritoné figliné famiglia.

Da qualche giorno si parla di un suo nuovo matrimonio. La gente di Saumur si occupa di lei e del signor marchese di Froidfondla cui famiglia comincia a circuire la ricca vedova come un tempo avevano fatto i Cruchot. Nanon e Cornoiller parteggianosi diceper il marchesema nulla di più falso. Né Nanonné Cornoiller hanno tanta malizia da comprendete la corruzione del mondo.

 

Parigisettembre 1833.