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Honoré de Balzac



PAPA' GORIOT

 

 

 

 

 

La signora Vauquernata de Conflansè una vecchia donna cheda quarant'anniconduce a Parigi una pensione familiare situata in via Neuve-Sainte-Genevièvetra il quartiere latino e il sobborgo Saint-Marceau. La pensioneconosciuta sotto il nome di Casa Vauqueraccoglie senza distinzione uomini e donnegiovani e vecchisenza che la maldicenza abbia mai potuto fare appunti alla moralità di questa rispettabile casa. Ma è pur vero che da trent'anni non ci si era mai veduta una persona giovaneese un giovane vi dimoraè perché la sua famiglia deve corrispondergli un ben magro mensile. Tuttavianel 1819epoca in cui questo dramma ha iniziovi si trovava una povera ragazza. Per quanto la parola dramma sia caduta in discredito per il modo abusivo e ingiusto col quale è stata prodigata in questi tempi di penosa letteraturaqui è necessario adoperarla; questa storia non è drammatica nel vero senso della parolamaal termine dell'operaqualche lacrima potrà esser versata "intra muros" ed "extra". Sarà capita fuori di Parigi? E' permesso dubitarne. I particolari di questa vicenda piena d'osservazioni e di colori locali possono essere apprezzati solo fra le alture di Montmartre e quelle di Montrougein quella famosa valle di ruderi fatiscenti e di ruscelli neri di melma; valle colma di sofferenze realidi gioie spesso falsee così tremendamente agitateche occorre non so che cosa di eccessivo per produrvi una sensazione di qualche durata.

Tuttaviaci si incontrano qua e là dolori che l'accumularsi dei vizi e delle virtù rende grandi e solenni; di fronte a essigli egoismigli interessi si arrestano e si fanno pietosi; ma l'impressione che ne ricevono è come un frutto saporoso presto divorato. Il carro della civiltàsimile a quello dell'idolo di Jaggernatobbligato a rallentare di ben poco la corsa da un cuore meno degli altri facile a lasciarsi stritolare e a cui ostacoli la ruotalo ha presto infranto e continua la sua marcia gloriosa.

Così farete voivoi che tenete questo libro in una mano biancavoi che ve ne state sprofondato in una morbida poltrona dicendovi:

Forse questo mi divertirà. Dopo aver letto le segrete infelicità di papà Goriotpranzerete con appetitoimputando la vostra insensibilità all'autoretacciandolo d'esagerazioneaccusandolo di aver fatto della letteratura. Ah!sappiatelo: questo dramma non è né una invenzione né un romanzo. "All-is-true"è così veroche ognuno può riconoscerne gli elementi presso di séforse nel suo stesso cuore.

La casa in cui viene esercitata la pensione familiare è della signora Vauquer. E' situata nel tratto basso della via Neuve- Sainte-Genevièvenel punto in cui il piano stradale digrada verso la via dell'Arbalète con un pendio così brusco e asproche i cavalli la salgono o la scendono di rado. Tal circostanza è favorevole al silenzio che regna in queste strade strette fra la cupola di Val-de-Grace e quella del Panthéondue monumenti che fanno mutare le condizioni dell'atmosfera gettandovi toni giallitutto oscurando con le tinte severe proiettate dalle loro cupole.

Làil selciato è aridoi rigagnoli non hanno né melma né acqual'erba cresce lungo i muri. L'uomo più spensierato vi si rattrista come ogni altro passanteil rumore di una carrozza è un avvenimentole case sono tetrele mura fanno pensare a una prigione. Un Parigino smarrito vedrebbe là solo pensioni familiari o istitutimiseria e noiavecchiaia che muoreallegra gioventù costretta a lavorare. Nessun quartiere di Parigi èpiù di questoorribile ediciamolo purepiù sconosciuto. La via Neuve-Sainte- Genevièvesoprattuttoè come una cornice di bronzola sola che convenga a questo raccontoper preparare la comprensione del quale non saranno mai troppi i colori foschi e le idee gravi; proprio comedi gradino in gradinola luce diminuisce e la voce della guida si fa cavernosa quando il viaggiatore discende nelle Catacombe. Paragone esatto! Chi deciderà che cosa è più orribile a vedersi: cuori inariditio crani vuoti ?

La facciata della pensione dà su di un giardinettoin modo che la casa forma un angolo retto con la via Neuve-Sainte-Genevièvedonde la vedete secondo il senso della profondità. Lungo la facciata tra la casa e il giardino corre un acciottolato a cunettalargo una tesadinanzi al quale c'è un viale cosparso di ghiaiafiancheggiato da geranida oleandri e da melograni piantati entro grandi vasi di maiolica blu e bianca. Si entra in questo viale da una porta sormontata da una targa su cui è scritto: CASA VAUQUER e sotto: "Pensione familiare per uominidonne e altri". Durante il giornoun cancello di legnomunito di un campanello dal suono stridentelascia vedereal termine del breve selciatosul muro opposto alla stradaun'arcata dipinta in color marmo verde da un artigiano del quartiere. Sotto la prospettiva simulata da tale pittore si leva una statua che raffigura l'Amore. Guardando la vernice screpolata che la ricopregli amatori di simboli ci scoprirebbero forse un mito dell'amore pariginoche viene curato a qualche passo da lì. Sotto lo zoccolola seguente epigrafe mezzo cancellata ricorda il tempo a cui risale questo oggetto ornamentaletestimone dell'entusiasmo suscitato da Voltaire rientrato a Parigi nel 1777:

Chiunque tu siaecco il tuo maestro.

Lo èlo fùlo sarà.

Al cader della notte il cancello è sostituito da una porta. Il giardinettolargo quanto è lunga la facciatarimane incassato tra il muro della strada e il muro divisorio della casa vicinalungo la quale pende un manto d'edera che la nasconde interamente e richiama gli occhi dei passanti per il suo effettoin Parigipittoresco. Ognuna delle sue mura è tappezzata di spalliere e di vitii cui frutti gracili e polverosi sono l'oggetto dei timori annuali della signora Vauquer e delle sue conversazioni coi pensionanti. Lungo ogni muro corre uno stretto viale che conduce a un luogo ombroso di tigliparola che la signora Vauquerbenché nata de Conflanspronuncia ostinatamente "tiglie" malgrado i rilievi grammaticali dei suoi ospiti. Tra i due viali laterali c'è un campo di carciofifiancheggiato da alberi da frutto tagliati in forma di conocchia e orlato d'acetosellalattuga o prezzemolo.

Sotto i tigli c'è una tavola rotonda dipinta in verdee alcune sedie intorno. Lidurante le giornate canicolarii commensali abbastanza ricchi da permettersi di prendere il caffèvanno a gustarlosotto un caldo capace di far schiudere le uova. La facciataalta tre piani e sormontata da soffitteè costruita in pietra e tinteggiata in quel color giallo che conferisce un carattere ignobile a quasi tutte le case di Parigi. Le cinque finestre d'ogni piano hanno piccoli vetri e sono guarnite di persiane nessuna delle quali è a filo con le altredi modo che tutte le loro linee stonano reciprocamente. La profondità della casa comporta due finestre cheal pianterrenosono ornate d'inferriate a grata. Dietro l'edificio c'è un cortile largo circa venti piedidove vivono in buon accordo maialigallineconiglie in fondo al quale sorge una tettoia per il deposito della legna.

Tra questa e la finestra della cucina sta sospesa la dispensae sotto scolano le acque grasse dell'acquaio. Sulla via Neuve- Sainte-Genevièveil cortile ha una porta stretta da cui la cuoca getta le immondizie di casapulendo la sentina a forza d'acquaper evitare una pestilenza.

Il pianterrenonaturalmente destinato all'esercizio della pensione familiaresi compone di un primo vano che prende luce dalle due finestre che danno sulla strada e in cui si entra per una porta-finestra. Questa sala comunica con quella da pranzoseparata dalla cucina dalla tromba di una scala i gradini della quale sono di legno e di mattonelle colorate e lustrate. Nulla è più triste di questa salaammobiliata con poltrone e seggiole foderate di stoffa di crine a righe alternativamente opache e lucide. Al centro c'è una tavola rotonda con un piano di marmo Sant'Anna decorata da uno di quei vassoi di porcellana bianca filettata d'oro mezzo cancellatoche oggi si trovano dappertutto.

La stanzapavimentata piuttosto maleè rivestita di legno ad altezza d'uomo. Il resto delle pareti è tappezzato con una carta da parato sulla quale sono raffigurati i principali fatti di Telemaco e i cui classici personaggi sono colorati. Il pannello tra le finestre a grate presenta ai pensionati il quadro del festino offerto al figlio d'Ulisse da Calipso. Da quarant'anni tale pittura provoca i motteggi dei giovani pensionantii quali si ritengono superiori alla loro posizione dileggiando il pranzo cui le ristrettezze li condannano. Il camino in pietracon focolare sempre pulitodimostrazione che il fuoco vi si accende solo nelle grandi occasioniha per ornamento due vasi pieni di fiori artificialistinti e pigiatie una pendola di marmo bluastro di pessimo gusto. In questa prima sala si respira un cattivo odore indefinibileche potrebbe esser chiamato "odor di pensione". Odore di rinchiusodi muffadi rancido; mette freddoè umido al nasopenetra negli abiti; ha il tanfo di una sala dove si è mangiato; puzza di servitùdi dispensadi ospizio. Forse potrebbe essere descritto se si trovasse un procedimento per analizzare le quantità elementari e nauseabonde immessevi dalle atmosfere catarrali e "sui generis" di ciascun pensionantegiovane o vecchio. Eppuremalgrado tali orrende volgaritàse paragonaste questa sala a quella da pranzoche le è attiguatrovereste la prima elegante e profumata come uno spogliatoio per signora. La sala da pranzodalla parete interamente rivestita di legnofu tinta un tempo d'un colore oggi indistintoche forma un fondo su cui l'unto ha impresso i suoi strati in modo da disegnarvi figure bizzarre. Ai muricredenze appiccicose sulle quali sono disposte caraffe sbeccateappannatetondi di metallo marezzatopile di piatti di spessa porcellanaorlati di blufabbricati a Tournai. In un angolo c'è una scatola a caselle numerate che serve a tenere riposte le salviettesporche e macchiate di vinodi ciascun pensionante. Vi si trovano poi quei mobili indistruttibiliovunque proscrittima messi là come i resti della civiltà agli Incurabili. Vi vedrete un barometro col cappuccino che esce fuori quando pioveincisioni esecrabili da togliere l'appetito incorniciate in legno nero verniciato a filetti d'orouna pendola di madreperla incrostata di rameuna stufa verdelucerne d'Argand dove la polvere si combina con l'oliouna lunga tavola coperta d'incerata unta quanto basta perché un allegro studente in medicina "esterno" ci scriva il proprio nome servendosi del dito come di uno stilosedie zoppemiserevoli piccole stuoie di sparto che si disfa sempre e non finisce maipoi scaldini dai buchi rottidalle cerniere sconnessedove il legno si carbonizza. Per spiegare quanto questa mobilia è vecchiascrepolatatarlatatremolantelogoramoncaorbainvalidaspirantese ne dovrebbe fare una descrizione che ritarderebbe troppo l'interesse di questa storia e che i lettori che hanno fretta non perdonerebbero. Il pavimentorossoè pieno di avvallamenti prodotti dallo strofinio o dalle riverniciature.

Insommalà regna la miseria senza poesia; una miseria economaconcentrataconsunta. Se non è ancora infangataè per lo meno macchiata; se non ha né buchi né straccista per andare in putrefazione.

Questa stanza è in tutto il suo splendore nel momento in cuiverso le sette del mattinoil gatto della signora Vauquer precede la sua padrona; salta sulle credenzevi annusa il latte contenuto in varie tazze coperte dal piattinoe fa sentire il suo ronron mattinale. Subito dopo appare la vedovaagghindata con la sua cuffia di tulle sotto la quale pende un giro di capelli fintiin disordine; essa cammina trascinando le sue pantofole raggrinzite.

Il viso vecchiottograssottellodal mezzo del quale esce un naso a becco di pappagallole piccole mani paffutelleil personale grassoccio come un "topo di chiesa"il seno troppo pieno e ondeggiantesono in armonia con la sala che trasuda l'infelicitàdove s'è rannicchiata la speculazione e di cui la signora Vauquer respira l'aria calda e fetida senza esserne disgustata. Il viso fresco come una prima gelata d'autunnogli occhi pieni di rughel'espressione dei quali passa dal sorriso prescritto alle ballerine all'amaro cipiglio dell'esattoreinsomma tutta la sua persona spiega la pensione come la pensione implica la sua persona. Il bagno penale non può non avere l'aguzzinonon potreste immaginarvi l'uno senza l'altro. La pinguedine pallida di questa piccola donna è il prodotto di questa vitacome il tifo è la conseguenza delle esalazioni d'un ospedale. La sua sottana di lana a magliapiù lunga della gonna ricavata da un abito vecchio e la cui imbottitura esce dalle fenditure della stoffa scucitacompendia il salottola sala da pranzoil giardinettoannuncia la cucina e fa presentire i pensionanti. Quando lei è làlo spettacolo è completo. Di circa cinquant'annila signora Vauquer somiglia a TUTTE LE DONNE CHE HANNO SUBITO DISGRAZIE. Ha l'occhio vitreol'aria innocente di una mezzana che fa la difficile per farsi pagare di piùma invece disposta a tutto per addolcire la sua sortea dar nelle mani della giustizia Giorgio o Pichegruse Giorgio o Pichegru dovessero ancora essere arrestati. Tuttaviaè "in fondo una buona donna"dicono i pensionantiche la ritengono una disgraziatasentendola gemere e tossire come loro. Chi era stato il signor Vauquer? Lei non dava mai particolari sul defunto.

In che modo aveva perduto i suoi averi? Con le disgrazierispondeva. Si era mal comportato verso di leinon le aveva lasciato che gli occhi per piangerequella casa per viveree il diritto di non compatire nessuna sfortuna perchédiceva leiaveva sofferto tutto quel che è possibile soffrire. Al sentir trotterellare la padronala grossa Silviala cuocasi affrettava a servire la colazione ai pensionanti "interni".

Generalmente i pensionanti "esterni" si abbonavano solo al pranzoche costava trenta franchi al mese. All'epoca in cui questa storia cominciagli interni erano sette. Al primo piano si trovavano i due migliori appartamenti della casa. La signora Vauquer abitava quello più modestoe l'altro era occupato dalla signora Couturevedova di un ufficiale di commissariato della Repubblica francese.

Essa aveva con sé una giovinettaVittorina Taillefercui faceva da madre. La pensione delle due ammontava a milleottocento franchi. I due appartamenti del secondo piano erano occupati l'uno da un vecchio di nome Poiretl'altro da un uomo di circa quarant'anniche portava una parrucca nerasi tingeva i favoritidiceva di essere stato un negoziantee si chiamava signor Vautrin. Il terzo piano si componeva di quattro stanzedi cui due affittatel'una a una vecchia zitella chiamata signorina Michonneaul'altra a un antico fabbricante di vermicellidi altre paste alimentari e di amidoche si faceva chiamare familiarmente papà Goriot. Le due altre stanze erano destinate agli uccelli di passoa quegli sfortunati studenti i qualicome papà Goriot e la signorina Michonneaupotevano spendere soltanto quarantacinque franchi al mese per il vitto e l'alloggio; ma la signora Vauquer gradiva poco la loro presenza e li accettava solo quando non trovava di meglio; mangiavano troppo pane. In quel momentol'una delle due stanze era occupata da un giovane venuto dai dintorni d'Angoulème a Parigi per compiere gli studi di leggee la cui numerosa famiglia si sobbarcava alle più dure privazioni per mandargli milleduecento franchi l'anno. Eugenio de Rastignaccosì egli si chiamavaera uno di quei giovani formati al lavoro dalla sfortunache si rendono conto delle speranze riposte in loro dai genitorie che si preparano una buona sorte calcolando già l'importanza dei loro studie adattandoli in anticipo allo sviluppo futuro della societàal fine di essere i primi a sfruttarla. Senza le sue osservazioni originali e l'abilità con la quale seppe presentarsi nei salotti dl Parigiquesto racconto non sarebbe stato colorato coi toni esatti dovuti indubbiamente al suo spirito sagace e al suo desiderio di penetrare nei misteri di una situazione spaventevole accuratamente nascosta così da coloro che l'avevano creata come da chi la subiva Al di sopra del terzo piano c'erano un solaio per stendere la biancheria e due soffitteove dormivano un uomo di faticaCristoforo e la grossa Silviala cuoca. Oltre i sette pensionanti internila signora Vauquer avevain media ogni annootto studenti in legge o in medicinae due o tre clienti dimoranti nel quartieretutti abbonati solamente al pranzo. La sala accoglieva a pranzo diciotto personee poteva contenerne una ventina; mala mattinanon vi si trovavano che sette ospitiil cui insieme davadurante la colazionel'aspetto di un pasto in famiglia.

Ognuno scendeva in pantofolesi permetteva osservazioni confidenziali sul modo di vestire o sull'aria degli esternio sui fatti della sera precedenteesprimendosi con la confidenza propria dell'intimità. I sette pensionanti erano i beniamini della signora Vauquerche distribuiva lorocon una precisione da astronomole premure e i riguardisecondo la cifra della loro retta. Un identico motivo affliggeva questi esseri riuniti dal caso. I due locatari del secondo piano pagavano solo settantadue franchi al mese. Un prezzo così conveniente che non si può trovar altro che nel sobborgo Saint-Marceautra la Bourbe e la Salpêtrièree al quale soltanto la signora Couture faceva eccezionedice già che quei pensionanti dovevano essere sotto il peso di disgrazie più o meno evidenti. Perciò lo spettacolo desolante offerto dall'interno della casa si ripeteva negli abiti dei suoi frequentatori tutti egualmente frusti. Gli uomini portavano finanziere il cui colore era divenuto problematicocalzature di quelle che si gettano all'angolo dei paracarri nei quartieri eleganti; biancheria lisavestiti ai quali non era rimasta che l'anima. Le donne avevano abiti passati di modaritintistintivecchi merletti rammendatiguanti lucidi per l'usocollarini avvampati e scialletti ragnati. Se tali erano gli abitiquasi tutti mettevano in mostra corpi solidamente squadraticostituzioni che avevano resistito alle tempeste della vitafacce freddedurelogorecome quelle degli scudi fuori corso. Le bocche appassite erano armate di denti avidi. Tali pensionanti facevano presentire drammi conclusi o in atto; non quei drammi rappresentati alla luce della ribaltafra tele dipintema drammi vivi e mutidrammi gelidi che agitavano e riscaldavano il cuoredrammi ininterrotti.

La vecchia signorina Michonneau aveva sui suoi occhi stanchi una sudicia visiera di taffetà verdecerchiata con un filo d'ottone che avrebbe spaventato l'angelo della Pietà. Il suo scialle a frange magre e lacrimevoli sembrava coprisse uno scheletrotanto le forme che ne trasparivano erano angolose. Quale acido aveva corroso le forme femminili di questa creatura? Eppure doveva essere stata graziosa e ben fatta. Era stato il vizioil dolorela cupidigia? Aveva troppo amatoera stata una rigattierao soltanto cortigiana? Espiava i trionfi di una giovinezza insolentedinanzi alla quale s'erano avventati i piacericon una vecchiezza rifuggita dai passanti? Il suo sguardo bianco dava il freddoil suo viso rattratto minacciava. Aveva il verso aspro d'una cicala che grida nel suo cespuglio all'approssimarsi dell'inverno. Diceva di aver preso cura d'un vecchio signore malato di catarro alla vescica e abbandonato dai figli che lo ritenevano povero. Il vecchio le aveva lasciato un legato di mille franchi di rendita vitaliziaperiodicamente contestati dagli eredialle calunnie dei quali si trovava esposta. Sebbene il gioco delle passioni avesse devastato il suo visovi si trovavano ancora alcune tracce di una bianchezza e di una finezza di pelle le quali lasciavano supporre che il corpo conservasse qualche resto di bellezza.

Il signor Poiret era una specie di essere meccanico. Nel vederlo allungarsi come un'ombra grigia lungo un viale del Jardin des Plantesla testa coperta da un berretto floscioreggendo appenain manoil bastone dal pomo d'avoriolasciando svolazzare le falde sciupate della finanziera che mal nascondeva i pantaloni quasi vuoti e le gambe ricoperte da calze blu che tremolavano come quelle d'un ebbromostrando il panciotto d'un bianco sporco e la gala di rozza mussolina spiegazzata che si univa imperfettamente alla cravatta attorcigliata intorno a un collo di tacchinomolti si domandavano se quell'ombra cinese appartenesse o no alla razza audace dei figli di Jafet sfarfalleggianti sul Boulevard Italien.

Quale lavoro aveva potuto rattrappirlo così? Quale passione aveva reso color del bistro la sua faccia bulbosa chedisegnata in caricaturasarebbe sembrata fuori della realtà? Che cosa mai egli era stato? Maforseera stato impiegato al ministero della giustiziapresso l'ufficio dove i carnefici mandano i conti delle loro spesele fatture dei veli neri per i parricididella crusca per i cesti della ghigliottinadella funicella per le mannaie.

Forse era stato ricevitore alla porta d'un mattatoioo vice- ispettore di sanità. Insommaquest'uomo sembrava essere stato uno degli asini del nostro grande mulino socialeuno di quei Ratons parigini che non conoscono neppure i loro Bertrandsuno di quei perni su cui avevano girato gli infortuni o le sozzure pubblicheinfine uno di quegli uomini dei quali diciamoal vederli: "Eppure sono necessari anche loro". La Parigi elegante ignora queste facce pallide per le sofferenze morali o fisiche. Ma Parigi è un vero oceano. Gettateci uno scandaglionon ne conoscerete mai la profondità. Percorretelodescrivetelo; per quanta cura poniate nel percorrerlonel descriverloper quanto numerosi e interessati siano gli esploratori di questo marevi si troverà sempre un luogo vergineun antro sconosciutofioriperlemostriqualcosa d'inauditod'obliato dai palombari letterari. La casa Vauquer è una di queste mostruosità curiose.

Due figure vi formavano un contrasto sorprendente con il resto dei pensionanti e degli abbonati. Sebbene la signorina Vittorina Taillefer fosse di un pallore malsano simile a quello delle giovinette clorotichee armonizzasse con la sofferenza comune che costituiva lo sfondo del quadro per una tristezza abitualeper il contegno imbarazzatoper l'aspetto povero e graciletuttavia il suo viso non era vecchiole sue movenze e la sua voce erano agili. Quella giovanile sventura somigliava a un arbusto dalle foglie ingialliteda poco piantato in un terreno inadatto. La fisionomia rossastrai capelli d'un biondo fulvola vita troppo sottile esprimevano quella grazia che i poeti moderni trovavano nelle statuine del medioevo. Gli occhi grigi e neri esprimevano una dolcezza e una rassegnazione cristiane. I vestiti semplicidi poco prezzorivelavano forme giovanili. Era graziosa per giustapposizione. Felicesarebbe stata incantevole; la felicità è la poesia delle donnecome la toletta ne è il belletto. Se la gioia d'un ballo avesse riflesso le sue tinte rosee su quel pallido viso; se le dolcezze d'una vita elegante avessero riempitoavessero invermigliato quelle gote già lievemente scavate; se l'amore avesse rianimato quegli occhi tristiVittorina avrebbe potuto gareggiare con le più belle giovinette.

Le mancava ciò che crea una seconda volta la donna: le gale e i biglietti amorosi. La sua storia avrebbe fornito il soggetto di un libro. Il padre credeva di avere le sue buone ragioni per non riconoscerlasi rifiutava di tenerla con séle corrispondeva solo seicento franchi all'annoe aveva alterato il proprio patrimonio per poterlo trasmettere interamente al figlio. Parente lontana della madre di Vittorina che era andata a morire di dispiacere presso di leila signora Couture aveva cura dell'orfana come di una sua figlia. Disgraziatamentela vedova dell'ufficiale di commissariato della Repubblica possedeva soltanto l'assegno vedovile e la pensione; e poteva lasciare un giorno la povera ragazza senza esperienza e senza risorse di fortunain balìa del mondo. La buona donna conduceva Vittorina alla messa tutte le domenichea confessarsi ogni quindici giorniper farne ad ogni modo una ragazza devota. E aveva ragione. I sentimenti religiosi aprivano un avvenire a questa figlia non riconosciuta che amava suo padreche ogni anno s'incamminava verso di lui per recargli il perdono di sua madre; ma che ogni anno urtava contro la porta della casa paternainesorabilmente chiusa. Il fratellosuo unico mediatorenon era venuto a trovarla neppure una volta in quattro annie non le inviava alcun aiuto. Lei supplicava Iddio di aprire gli occhi a suo padred'intenerire il cuore del fratelloe pregava per loro senza incolparli. La signora Couture e la signora Vauquer non trovavano parole sufficienti nel dizionario delle ingiurie per qualificare un tal barbaro modo di procedere. Quando maledivano l'infame milionarioVittorina pronunciava dolci parolesimili al canto del colombo feritoil cui grido di dolore esprime ancor l'amore.

Eugenio de Rastignac aveva un viso tipicamente meridionalecarnagione biancacapelli neriocchi blu. Il suo garboi suoi modiil suo contegno abituale denotavano il figlio di una famiglia nobilein cui la prima educazione non aveva comportato che tradizioni di buon gusto. Se teneva da conto gli abitise normalmente finiva di consumare quelli dell'anno precedentetuttavia poteva uscire qualche volta vestito come un giovane elegante. Di solito portava una vecchia finanzieraun brutto panciottola brutta cravatta nerasciupatamale annodata di tutti gli studentiun paio di pantaloni intonati col restoe stivaletti risuolati.

Tra questi due personaggi e gli altriVautrinl'uomo di quarant'annidai favoriti tintiserviva di transizione. Era uno di quei tipi a proposito dei quali il popolo dice: Ecco un uomo in gamba! Aveva le spalle largheil busto ben sviluppatoi muscoli in mostrale mani grossequadrate e fortemente marcate alle falangi da ciuffetti di peli folti e di un rosso acceso. La facciarigata da rughe prematurepresentava segni di durezza che smentivano le maniere affabili e compiacenti. La sua voce baritonalein armonia con la sua grossolana gaiezzanon dispiaceva. Era gentile e ridanciano. Se qualche serratura non andavarapidamente la smontavala raccomodavala oliavala limava edopo averla rimontatadiceva: "Questa mi conosce".

Eglidel restoconosceva tutto: le naviil marela Francial'esterogli uominigli avvenimentile leggigli alberghie le prigioni. Se c'era qualcuno che si lamentava troppogli offriva subito i suoi servigi. Aveva prestato varie volte denaro alla signora Vauquer e a qualche altro pensionantema i debitori sarebbero morti piuttosto che non restituirglielotantomalgrado la sua aria di bonuomoincuteva timore per un certo sguardo profondo e risoluto. Il modo con cui sprizzava un getto di saliva annunciava un sangue freddo imperturbabile che non doveva farlo indietreggiare dinanzi a un delitto pur di uscire da una posizione difficile. Come quello di un giudice severoil suo occhio sembrava andare in fondo a tutte le questionia tutte le coscienzea tutti i sentimenti. Le sue abitudini consistevano nell'uscire dopo colazionenel rientrare per il pranzonello star fuori tutta la sera e nel tornare verso la mezzanottecon l'aiuto di una CHIAVE COMUNE affidatagli dalla signora Vauquer.

Lui solo godeva d'un tale favore. Ma era anche lui che meglio trattava la vedovae la chiamava: mammaprendendola per la VITAadulazione poco apprezzata! La buona donna credeva che la cosa fosse ancora facilementre invece dipendeva solo da Vautrinil quale aveva le braccia abbastanza lunghe per stringere quella pesante circonferenza. Un aspetto del suo carattere consisteva nel pagare generosamente quindici franchi al mese per il "gloria" che prendeva alla fine del pranzo. Persone meno superficiali di quanto non lo fossero quei giovani travolti dai turbini della vita pariginao quei vecchi indifferenti a ciò che non li riguardasse direttamentenon si sarebbero fermate all'impressione dubbia che causava loro Vautrin. Egli sapeva o indovinava le cose di coloro che gli erano vicinimentre nessuno poteva conoscere né i suoi pensieri né le sue occupazioni. Sebbene avesse posto la sua apparente bonomiala sua costante compiacenza e la sua allegria come una barricata tra gli altri e luispesso lasciava trasparire la spaventevole profondità del suo carattere. Spesso una battuta degna di Giovenalecon la quale sembrava si compiacesse a beffare le leggia sferzare l'alta societàa convincerla della propria incongruenzadoveva far supporre che egli nutrisse un rancore verso la condizione sociale e che ci fosse in fondo alla sua vita un mistero accuratamente nascosto.

Attrattaforse inconsapevolmentedalla forza dell'uno o dalla avvenenza dell'altrola signorina Taillefer distribuiva i suoi sguardi furtivii suoi pensieri segretitra quel quadragenario e il giovane studente; ma nessuno dei due sembrava pensare a leiquantunque da un giorno all'altro il caso avrebbe potuto mutare la sua situazione e farla diventare un ricco partito. Del resto nessuna di quelle persone si dava la pena di verificare se i guai addotti da una di esse fossero veri o falsi. Ognuno aveva per l'altro una indifferenza mista di diffidenzarisultante dalle rispettive situazioni. Si sapevano impotenti a consolare le loro penee tuttinel raccontarseleavevano vuotato la coppa del compatimento. Simili a vecchi coniuginon avevano più niente da dirsi. Non restavano dunque tra loro che i rapporti di una vita meccanicail gioco di un ingranaggio senza olio. Tutti dovevano tirar diritto per la via dinanzi a un ciecoascoltare senza emozione il racconto di una disgraziae vedere nella morte la soluzione di un problema di miseria che li rendeva freddi di fronte alla più tremenda agonia. La più felice di queste anime desolate era la signora Vauquerche troneggiava in quel libero ospizio. Per lei sola quel piccolo giardinoreso vasto come una steppa dal silenzio e dal freddodal secco e dall'umidoera un ridente boschetto. Per lei sola quella casa gialla e tetrache sapeva di verderame come un banco di negoziopresentava qualche delizia. Quelle celle le appartenevano. Essa nutriva quei galeotti condannati a pene perpetueesercitando su di essi una autorità rispettata. In quale altro posto quei poveri esseri avrebbero trovatoa Parigial prezzo cui lei li davaalimenti sanisufficientie un appartamento che essi erano padroni di far diventarese non elegante o comodoalmeno pulito e salubre? Se lei si fosse permessa di commettere un'ingiustizia palesela vittima l'avrebbe sopportata senza lamentarsene.

Un aggregato simile doveva presentare e presentava in piccolo gli elementi d'una società completa. Tra i diciotto commensali si trovavacome nei collegicome dappertuttouna povera creatura abbandonatauna vittima su cui fioccavano gli scherzi. Al principio del secondo annoquesta figura divenne per Eugenio de Rastignac la più saliente fra tutte quelle in mezzo a cui era condannato a vivere ancora per due anni. Questo "Patirai" era l'antico vermicellaiopapà Goriotsul quale un pittorecome lo storicoavrebbe fatto cadere tutta la luce del quadro. Per quale motivo questo sprezzo semiastiosoquesta persecuzione mista di pietàquesta mancanza di rispetto verso la sfortuna avevano colpito il più anziano pensionante? Era stato forse lui a provocarli con alcune di quelle ridicolezze o di quelle bizzarrie che meno facilmente si perdonano dei vizi? Tali quesiti riguardano da vicino non poche ingiustizie sociali. Forse è proprio della natura umana il far sopportar tutto a chi tutto soffre per vera umiltàper debolezza o per indifferenza. Non piace forse a tutti noi di provare la nostra forza a spese di qualcuno o di qualcosa?

L'essere più deboleil monello suona a tutte le porte quando gelao si arrampica per scrivere il suo nome su d'un incontaminato monumento.

Papà Goriotvecchio di sessantanove anni circasi era ritirato presso la signora Vauquer nel 1813dopo aver lasciato gli affari.

Aveva preso in un primo tempo l'appartamento occupato dalla signora Couturee pagava allora milleduecento franchi di pensione; eper luicinque luigi di più o di meno erano una bagattella. La signora Vauquer aveva rimesso a nuovo le tre camere dell'appartamento facendosi corrispondere un anticipo che servì a pagaresi diceun cattivo mobilio composto di tende in "calicò" giallodi poltrone in legno verniciato foderate di velluto d'Utrechtalcune verniciature a colla e carte da parati rifiutate dalle osterie dei sobborghi. Forse la noncurante generosità nel lasciarsi gabbare dimostrata da papà Goriotche a quell'epoca era rispettosamente chiamato signor Goriotlo fece prendere per un imbecillesenza nessuna pratica degli affari. Goriot arrivò con un guardaroba ben fornitoil corredo magnifico del negoziante che non si priva di nulla ritirandosi dal commercio. La signora Vauquer aveva ammirato diciotto sue camicie di mezza tela d'Olandala cui finezza era tanto più notevole in quanto il vermicellaio portava sulla gala fissa due spille unite da una cateninaognuna delle quali era montata con un grosso diamante.

Abitualmente vestito con un abito color blu chiaroportava ogni giorno un panciotto di picchè bianco sotto il quale fluttuava il suo ventre a pera e prominenteche faceva ballonzare una pesante catena d'oro guarnita di ciondoli. La sua tabacchieraanch'essa d'oroconteneva un medaglione pieno di capelli che lo rendevano in apparenza colpevole di qualche fortunata avventura. Quando la sua ospite l'accusò di essere un "galentin"lasciò errare sulle labbra il gaio sorriso del borghese lusingato nel suo debole. I suoi "armaddi" (pronunciava questa parola al modo del popolo minuto) furono riempiti dall'abbondante sua argenteria di famiglia. Gli occhi della vedova si accesero quando l'aiutò compiacentemente a cavare fuori e e mettere a posto i ramaiuolii cucchiai da salsale posatele olierele salsierenumerosi piattii servizi in argento dorato da colazioneinfine pezzi più o meno belli pesanti qualche libbrae di cui egli non voleva disfarsi. Quei regali gli ricordavano le feste della sua vita domestica. "Questo"disse alla signora Vauquer tenendo un piatto e una piccola tazza il cui coperchio rappresentava due tortorelle che si beccavanoè il primo regalo fattomi da mia moglie nell'anniversario del nostro matrimonio. Povera donna! Lo aveva acquistato con le sue economie quand'era ancora ragazza. Vedete, signora: preferirei dover grattare la terra con le mie unghie piuttosto che separarmene. Grazie a Dio potrò prendere in questa tazza il caffè tutte le mattine durante il resto dei miei giorni.

Non sono da compiangere; ho di che vivere agiatamente per molto tempo. E poi la signora Vauquer aveva vistocol suo occhio di gazzaalcuni titoli del debito pubblico cheapprossimativamente addizionatipotevano assicurare all'ottimo Goriot una rendita di circa otto o diecimila franchi. Da quel giornola signora Vauquernata de Conflansche aveva allora quarantotto anni effettivi ma non ne accettava che trentanovecominciò a nutrire qualche idea. Sebbene il lacrimatoio degli occhi di Goriot fosse rivoltatogonfiopendenteil che lo obbligava ad asciugarseli di frequenteessa lo trovò di aspetto piacente e perbene. Del resto i suoi polpacci carnosiprominentipronosticavanoquanto il suo lungo naso robustoqualità morali cui la vedova sembrava tenesse e confermate dalla faccia lunare e ingenuamente sciocca del bonuomo. Doveva essere un animale solidamente costruitocapace di dissipare tutto il suo spirito in sentimento. I suoi capelli ad ala di piccioneche il barbiere del Politecnico gli incipriava tutte le mattinedisegnavano cinque punte sulla sua bassa fronte e decoravano bene il suo viso. Quantunque un poco grossolanoera così azzimatoprendeva così signorilmente il tabaccolo aspirava da uomo così sicuro di avere sempre la tabacchiera piena di macubinoche il giorno in cui il signor Goriot prese stanza presso di leila signora Vauquer si coricò quella sera crogiolandosi come una pernice nel lardelloal fuoco del desiderio che la colse di abbandonare il sudario di Vauquer per rinascere in Goriot. Maritarsivendere la pensioneandar sotto braccio a quel fior fiore di borghesiadiventare una signora distinta nel quartiereraccogliervi la questua pei poverifare gite domenicali a ChoisySoissyGentilly; andare a teatro come desideravain palcosenza attendere i biglietti di favore che taluno dei pensionanti le offriva nel mese di luglio; ella sognò tutto l'Eldorado delle modeste famiglie parigine. Non aveva confidato a nessuno di possedere quarantamila franchi messi da parte soldo per soldo. Certamente si ritenevadal punto di vista della ricchezzaun partito conveniente. "Quanto al restovalgo bene il bonuomo" disse rivoltandosi nel lettocome per dimostrare a se stessa delle grazie che la grossa Silvia trovava ogni mattino modellate a fondo. Da quel giornoper circa tre mesila vedova Vauquer approfittò del barbiere del signor Goriote fece qualche spesa per la tolettacon la scusa che era necessario dare alla casa un certo decoro in armonia con le persone così rispettabili che la frequentavano. Si preoccupò molto di mutare i pensionantiallegando la pretesa di non accettare ormai che persone distinte sotto ogni riguardo. Se si presentava un forestierogli vantava la preferenza che il signor Goriotuno dei commercianti più in vista e più stimati di Parigile aveva accordato. Distribuì dei cartonciniin cima ai quali si leggeva:

"Casa Vauquer". "Eradiceva lo stampatouna delle più antiche e più stimate pensioni borghesi del quartiere latino. Con una vista piacevolissima sulla vallata dei Gobelins (la si scorgeva dal terzo piano)e un GRAZIOSO giardinoall'estremità del quale CORREVA UN VIALE di tigli". Vi si parlava dell'aria buona e della tranquillità. Quel cartoncino le procurò la contessa de l'Ambermesniluna donna di trentasei anniche attendeva la fine della liquidazione e la corresponsione d'una pensione spettantele quale vedova di un generale morto "sui" campi di battaglia. La signora Vauquer curò la tavolafece accendere il fuoco nelle sale per circa sei mesie mantenne così bene le promesse dell'avvisoda rimetterci del suo. Perciò la contessa diceva alla signora Vauquerchiamandola "cara amica"che le avrebbe procurato la baronessa de Vaumerland e la vedova del colonnello conte Picquoiseaudue amiche le quali attendevano la scadenza del loro impegno in una pensione situata al Maraispiù cara della casa Vauquer. Le due signore avrebbero goduto di una sistemazione economica molto buona non appena gli Uffici del ministero della Guerra avessero perfezionato le relative pratiche. "Ma"lei dicevagli Uffici non la finiscono mai!. Le due vedove salivano insieme dopo il pranzo nella camera della signora Vauquer e vi facevano quattro chiacchiere sorseggiando rosolio di ribes e sgranocchiando dolciumi riservati alla bocca della padrona di casa. La signora de l'Ambermesnil approvò le mire dell'albergatrice su Goriotmire eccellenti che leidel resto aveva indovinato fin dal primo giorno; lo trovava un uomo perfetto.

- Ah!mia cara signoraè un uomo sano come il mio occhio - le diceva la vedova - un uomo ottimamente conservatoe che può dare ancora molte soddisfazioni a una donna.

La contessa fece generosamente alcune osservazioni alla signora Vauquer sul suo modo di vestirsinon in armonia con le sue pretese. - Bisogna che vi mettiate sul piede di guerra - le disse.

Dopo molti calcolile due vedove si recarono insieme al Palais- Royalove acquistaronoalle Galeries de Boisun cappello con piume e una cuffia. La contessa trascinò l'amica al magazzino della Petite-Jeannettedove scelsero un vestito e una sciarpa.

Quando queste munizioni furono adoperate e la vedova fu sotto le armirassomigliò in modo perfetto alla insegna del "Boeuf à la mode" ("Bue alla moda"). Tuttaviasi trovò così mutata in meglio da credersi in obbligo verso la contessa equantunque poco generosa la pregò di accettare un cappello da venti franchi. Per la veritàintendeva poi chiederle il favore di sondare Goriot e di metterla in valore agli occhi di lui. La signora d'Ambermesnil si prestò assai amichevolmente a tale manovrae circuì il vecchio vermicellaio col quale riuscì ad avere un colloquio; madopo averlo trovato pudibondoper non dire refrattarioai tentativi che le suggerì il personale desiderio dl sedurlo per proprio contouscì nauseata dalla sua grossolanità.

- Angelo mio - disse alla cara amica - da quell'uomo lì non caverete fuori un bel nulla! E' ridicolmente diffidenteè uno spilorciouna bestiauno stupidoe non vi procurerà che dispiaceri.

Tra il signor Goriot e la signora de l'Ambermesnil avvennero cose taliche la contessa non volle neanche più trovarsi con lui.

L'indomani lei se ne andòdimenticando di pagare sei mesi di pensione e lasciando un vestito smesso valutato cinque franchi.

Per quante accurate ricerche la signora Vauquer facessenon poté avere nessuna informazione in Parigi sulla contessa de l'Ambermesnil. Essa parlava spesso di quella deplorevole faccendapentendosi della sua troppa fiduciasebbene fosse più diffidente d'una gatta; ma rassomigliava a tante persone che diffidano del loro prossimo e si danno in balia del primo venuto. Fatto morale bizzarroma verola cui radice si trova facilmente nel cuore umano. Forse certuni non hanno più nulla da sperare dalle persone con le quali vivono; dopo aver mostrato loro il vuoto della propria animasi sentono segretamente giudicati da esse con una severità meritata; maprovando un invincibile bisogno di adulazioneche a essi mancao divorati dal desiderio di avere l'apparenza di possedere qualità che non hannosperano di sorprendere la stima o il cuore degli estraneia rischio di perdere un giorno questo o quella. Infineesistono individui nati mercenari che non fanno mai del bene ai loro amici o conoscentiperché vi sarebbero obbligatimentrerendendo un servizio a sconosciutine riscuotono un guadagno d'amor proprio; più la cerchia degli affetti è vicina a loroe meno amano; più si estendee più essi sono servizievoli. La signora Vauquer partecipava senza dubbio di queste due natureessenzialmente meschinefalseesecrabili.

- Se c'ero io - le diceva allora Vautrin - questo guaio non vi sarebbe capitato! Vi avrei garbatamente smascherato quell'imbrogliona. Le conosco benequelle "mascherine".

Come tutte le menti limitatela signora Vauquer aveva l'abitudine di non uscire dalla cerchia dei fatti e di non giudicarne le cause. Soleva scaricare sugli altri i propri errori. Dopo aver subìto quella perditaessa considerò l'onesto vermicellaio come la causa del suo infortunio e cominciò da alloradicevaa disilludersi sul conto di lui. Quando ebbe riconosciuto l'inutilità dei suoi adescamenti e delle sue spese di rappresentanzanon tardò a indovinarne la ragione. Si accorse che il suo pensionante aveva giàsecondo il suo modo di esprimersii propri giretti. Infine ebbe la dimostrazione che la sua speranza così vagamente accarezzata era fondata su di una base chimericae che non avrebbe mai cavato fuori un bel niente da quell'uomo lìsecondo la frase energica della contessache sembrava intendersene. Naturalmentenell'avversione andò più lontano di quanto non era andata nell'amicizia. Il suo odio non fu dettato in ragione del suo amorema dalle speranze ingannate. Se il cuore umano trova riposo salendo le alture dell'affettososta di rado lungo la rapida china dei sentimenti ispirati dall'odio. Maessendo il signor Goriot suo pensionantela vedova fu costretta a reprimere le esplosioni dell'amor proprio feritoa soffocare i sospiri causatile da quel disingannoe a ringoiare i desideri di vendetta come un frate perseguitato dal proprio priore. Gli spiriti meschini soddisfano i loro sentimentibuoni o cattivi che sianocon continue meschinità. La vedova usò la sua malizia di donna nell'inventare sorde persecuzioni contro la propria vittima.

Cominciò con l'abolire il superfluo introdotto nella pensione.

"Niente più cetrioliniente più acciughetutta roba per dar nell'occhio!"disse a Silvia la mattina in cui decise di ritornare al vecchio programma. Il signor Goriot era un uomo frugalee in lui la parsimonianecessaria a quanti fanno da sé la propria fortunaaveva degenerato in abitudine. Minestralesso e un piatto di legumi erano stati e dovevano essere sempre il suo pranzo preferito. Fu perciò difficile alla signora Vauquer tormentare in questo lato il pensionantenon potendone in nulla mortificare i gusti. Delusa di aver incontrato un uomo inattaccabilecominciò a screditarloe fece condividere la propria avversione per Goriot da parte degli altri pensionanti i qualiper divertirsisi prestarono alle sue vendette. Verso la fine del primo anno la vedova era giunta a un tal grado di sospettoda chiedersi come mai il commercianteche disponeva dalle sette alle ottomila lire di renditache possedeva un'argenteria superba e gioielli d'una bellezza pari a quelli di una mantenutacontinuasse a star da leipagandole una pensione così modica in proporzione ai suoi mezzi. Durante la più gran parte di quel primo anno Goriot aveva spesso pranzato fuori una o due volte alla settimana; poiinsensibilmenteera arrivato a mangiar fuori solo due volte al mese. Le piccole distrazioni galanti di messer Goriot stavano troppo in relazione con gli interessi della signora Vauquer perché questa non fosse scontenta dell'esattezza progressiva con cui il suo pensionante prendeva i pasti presso di lei. Quel cambiamento fu attribuito tanto a una lenta diminuzione di fortuna quanto al desiderio di far dispetto alla ospite. Una delle più detestabili abitudini di questi spiriti lillipuziani consiste nell'attribuire agli altri le loro piccinerie. Disgraziatamenteal termine del secondo annoil signor Goriot giustificò le chiacchiere di cui era l'oggetto chiedendo alla signora Vauquer di passare al secondo piano e di ridurgli la retta a novecento franchi. Ebbe bisogno d'una così stretta economiada non permettersi più di accendere il fuoco durante l'inverno. La vedova Vauquer pretese di esser pagata in anticipo; il signor Goriot acconsentì e da quel giorno lei lo chiamò papà Goriot. Ognuno cercò allora d'indovinare le cause di quella decadenza. Indagine difficile. Come aveva detto la falsa contessapapà Goriot era un sornioneun taciturno. Secondo la logica delle persone senza sale in zuccatutte indiscrete perché non sanno cosa direchi non parla delle proprie cose deve combinarne delle brutte. Quel commercianteprima così per benedivenne un briccone; quel damerinouna vecchia canaglia. Oraa parere di Vautrinche andò a quell'epoca ad abitare in casa Vauquerpapa Goriot era uno che frequentava la borsa e chesecondo un modo di dire alquanto energico del gergo finanziarioscroccavasulla Rendita dopo essersi rovinato. Oraera uno di quei piccoli giocatori che azzardano e guadagnano tutte le sere dieci franchi al gioco. Orasi faceva di lui una spia al servizio dell'alta polizia; ma Vautrin sosteneva che non era abbastanza furbo per "essere dei loro". Papà Goriot era poi anche un avaro che prestava danaro a ingorda usurauno che puntava sempre sullo stesso numero aumentando di volta in volta la posta. Se ne faceva tutto quel che il viziol'infamial'impotenza generano di più misterioso. Tuttaviaper quanto ignobili fossero il suo modo di agire o i suoi vizil'avversione che egli ispirava non arrivava al punto da farlo mettere alla porta: dopo tutto pagava la sua pensione. E poi: era utilee ognuno sfogava su di lui il proprio buon umore o il proprio malumore con scherzi o sfuriate. Il parere che sembrava più attendibilee che fu generalmente adottatoera quello espresso dalla signora Vauquer. A sentir leiquell'uomo così ben conservatosano come il suo occhioe dal quale si potevano ancora avere molte soddisfazioniera un libertino dai gusti strani. Ecco su quali fatti la vedova Vauquer fondava le sue calunnie. Qualche mese dopo la fuga della disastrosa contessa che era riuscita a vivere per sei mesi alle sue spalleuna mattinaprima di alzarsisentì lungo la scala il fruscio di un abito di seta e il passettino d'una donna giovane e lieve filare verso la camera di Goriotla cui porta s'era intelligentemente aperta.

Subito dopo la grossa Silvia corse a riferire alla padrona che una ragazzatroppo bella per essere onesta; "acconciata come una dea"dagli stivaletti di prunella senz'ombra di fangoera scivolata come un'anguilla dalla strada fino alla cucina e le aveva domandato dove fosse l'appartamento del signor Goriot. La signora Vauquer e la sua cuoca si misero a spiare e colsero molte parole teneramente pronunciate durante la visitache durò qualche tempo. Quando il signor Goriot uscì insieme alla "sua signora"la grossa Silvia afferrò subito la sportae finse di andare al mercato per seguire la coppia degli innamorati.

-Signora - disse alla padrona tornando a casa - il signor Goriot deve essere proprio ricco sfondato per tenerle su quel piede.

Figuratevi che all'angolo dell'Estrapade c'era una superba carrozza sulla quale LEI è salita.

Durante il pranzo la signora Vauquer andò a tirare una tenda per impedire che Goriot fosse disturbato dal soleun raggio del quale gli offendeva gli occhi.

- Siete amato dalle bellesignor Goriotil sole vi cerca! disse alludendo alla visita che aveva ricevuto. Càspitaavete buon gustoera proprio carina.

- Era mia figlia - egli rispose con una specie d'orgoglio nel quale i pensionanti vollero trovare la vanità d'un vecchio che vuol salvare le apparenze.

Un mese dopo quella visitail signor Goriot ne ricevette un'altra. Sua figliachela prima voltaera andata in toletta da mattinagiunse nel pomeriggio vestita come per andare in società. I pensionantiintenti a chiacchierare in salavidero una graziosa biondadalla vita sottilecarinae assai troppo distinta per essere la figlia d'un papà Goriot.

- E due! -. fece la grossa Silviache non la riconobbe.

Qualche giorno dopoun'altra ragazzaalta e ben fattabrunadai capelli neri e dall'occhio vivacechiese del signor Goriot.

- E tre! - disse Silvia.

Questa seconda ragazzache per la prima volta era anch'essa andata a trovare suo padre di mattinatornòqualche giorno dopodi serain toletta da ballo e in carrozza.

- E quattro! - fecero la signora Vauquer e la grossa Silviale quali non riconobbero in quella gran dama alcuna traccia della ragazza vestita semplicemente la mattina in cui fece la prima visita.

Goriot pagava ancora milleduecento franchi di retta. La signora Vauquer trovò del tutto naturale che un uomo ricco avesse quattro o cinque amantie lo giudicò anche assai furbo nel farle passare per figlie sue. Non si scandalizzò affatto che le facesse venire in casa Vauquer. Soltantopoiché queste visite le spiegavano l'indifferenza del pensionante nei suoi riguardisi permiseal principio del secondo annodi chiamarlo "vecchio mandrillo". Poiquando questi calò ai novecento franchigli chiese con molta insolenza che cosa intendesse fare della sua casavedendo discendere una di quelle signore. Papà Goriot le rispose che quella signora era la sua figlia maggiore.

- Ma quante ne avete di figlie: trentasei ? - fece in tono aspro la signora Vauquer.

- Non ne ho che due - replicò il pensionante con la dolcezza d'un uomo andato in rovina e reso docile dalla miseria.

Verso la fine del terzo annopapà Goriot ridusse ancora le spesepassando al terzo piano e mettendosi a quarantacinque franchi al mese di pensione. Abolì il tabaccolicenziò il barbiere e non s'incipriò più. Quando papà Goriot comparve la prima volta senza essere incipriatola sua ospite si lasciò sfuggire un'esclamazione di sorpresa vedendo il colore dei suoi capelli:

essi erano d'un grigio sporco e verdastro. Il suo visoche segreti dolori avevano insensibilmente reso più triste di giorno in giornoappariva il più desolato di tutti quelli che guarnivano la tavola. Non vi fu allora più alcun dubbio. Papà Goriot era un vecchio libertinoi cui occhi erano stati preservati dal malefico effetto dei rimedi necessari alle sue malattie soltanto per l'abilità di un medico. Il colore disgustoso dei capelli derivava dagli stravizi e dalle droghe prese per continuare a praticarli.

Lo stato fisico e morale del bonuomo dava ragione a quelle ciarle.

Quando il suo corredo fu logorocomprò calicò da quattordici soldi la canna per sostituire la sua bella biancheria. I diamantila tabacchiera d'orola catenai gioielli scomparvero a uno a uno. Non portava più il vestito blu chiarotutto il suo ricco abbigliamentoe indossavaestate e invernouna finanziera di grosso panno marroneun panciotto di pelo di caprae pantaloni grigi di fustagno. Diventò sempre più magro; i suoi polpacci divennero flaccidi; il viso paffuto del borghese soddisfatto si riempì di rughela fronte si corrugòla mascella venne fuori.

Durante il quarto anno della sua dimora in via Neuve-Sainte- Geneviève non era più riconoscibile. Il buon vermicellaio di sessantadue anniche non ne dimostrava neppure quarantail grasso e grosso borghese dalla faccia fresca e serenail cui spiritoso modo di fare rallegrava i passantiche aveva qualcosa di giovanile quando sorridevapareva adesso un settuagenario ebetevacillante e scialbo. I suoi occhi blu tanto vivaci assunsero toni scuri e grigio-ferroerano impalliditinon lacrimavano piùe il loro orlo rosso sembrava piangere sangue. Ad alcuni faceva orroread altripietà. Dei giovani studenti in Medicinaavendo notato l'abbassamento del suo labbro inferiore e misurato il vertice del suo angolo faccialedopo avere a lungo strapazzato il bonuomo senza cavarne fuori nullalo dichiararono affetto da cretinismo. Una seradopo il pranzoavendogli la signora Vauquer detto in tono canzonatorio: "E allora!: com'è che le vostre figliuole non vengono più a trovarvi?"mettendo così in dubbio la sua paternitàpapà Goriot trasalì come se l'ospite lo avesse punto con un ferro.

- Vengono qualche volta - rispose con una voce emozionata.

- Ah! Ah!le vedete ancora qualche volta! esclamarono gli studenti. - Bravo il papà Goriot!

Ma il vecchio non sentì i frizzi che la sua riposta aveva procuratoera ricaduto in uno stato di meditazione presoda coloro che l'osservavano superficialmenteper un torpore senile.

Se lo avessero ben conosciutoforse si sarebbero vivamente interessati al problema che presentava il suo stato fisico e moralema nulla era più difficile. Quantunque sarebbe stato facile sapere se Goriot aveva fatto realmente il vermicellaio e qual era l'ammontare della sua ricchezzale persone anzianela cui curiosità si destò sul suo contonon uscivano mai dal quartiere e vivevano attaccate alla pensione come le ostriche allo scoglio. Quanto alle altre personegli allettamenti particolari della vita parigina facevano loro dimenticareuscendo dalla via Neuve-Sainte-Genevièveil povero vecchio che prendevano in giro.

Per mentalità ristrette e giovani spensierati la cruda miseria di papà Goriot e il suo atteggiamento di stupido erano incompatibili con una fortuna e una capacità quali che siano. Quanto alle donne che egli chiamava sue figlieognuno condivideva l'opinione della signora Vauquerla quale dicevacon la logica severa conferita dall'abitudine di far tutte le supposizioni possibili alle vecchie che passano la sera chiacchierando: "Se papà Goriot avesse figlie così ricche come sembravano esserlo tutte quelle signore che sono venute a trovarlonon abiterebbe da meal terzo pianoa quarantacinque franchi al mesee non andrebbe vestito come un pezzente". Nulla poteva smentire queste induzioni. Perciòverso la fine del mese di novembre del 1819epoca nella quale scoppiò questo drammaognuno nella pensione aveva idee ben definite sul povero vecchio. Egli non aveva mai avuto né figlie né moglie; l'abuso dei piaceri ne aveva fatto un lumaconeun mollusco antropomorfo da classificare fra i "Berrettiferi"come diceva un impiegato al Museouno dei clienti della tavola della pensione a prezzo fisso; al confronto di GoriotPoiret era un'aquilaun gentleman; Poiret parlavaragionavarispondeva. A dire il veronon diceva nienteparlando ragionando o rispondendogiacché era solito ripetere in altra forma quel che dicevano gli altrima prendeva parte alla conversazioneera un essere vivopareva sensibilementre papà Goriotaggiungeva l'impiegato al Museoera sempre allo zero di Réaumur.

Eugenio de Rastignac era ritornato in quello stato d'animo che devono aver conosciuto i giovani d'ingegno superioreo coloro cui una situazione difficile conferisce momentaneamente le qualità degli uomini d'eccezione. Durante il suo primo anno di permanenza in Parigiil poco studio richiesto per superare i primi esami presso la Facoltà lo aveva lasciato libero di godere le delizie appariscenti della Parigi mondana. Uno studente non dispone di molto tempo se vuol conoscere il repertorio d'ogni teatrostudiare le uscite del labirinto pariginosapere gli usiimparare la lingua e abituarsi ai piaceri particolari della capitale; frugare negli angoli buoni e cattiviseguire i Corsi che lo divertonoinventariare le ricchezze dei musei. Uno studente si appassiona di sciocchezze che gli sembrano grandiose.

Ha il suo grand'uomoun professore del Collège de Francepagato per essere all'altezza del suo uditorio. Rialza la cravattaassume atteggiamenti fatali verso la dama delle prime gallerie dell'Opéra-Comique. Attraverso queste successive iniziazioni si spoglia della sua scorzaallarga l'orizzonte della sua vita e finisce per conoscere la sovrapposizione degli strati umani che compongono la società. Se ha cominciato con l'ammirare gli equipaggi che sfilano sotto un bel sole lungo gli Champs-Elyséesgiunge ben presto a invidiarli. Eugenio aveva già fatto questo noviziato a sua propria insaputaquando partì per le vacanzedopo aver conseguito la licenza per l'ammissione al corso di Lettere e Diritto. Le illusioni dell'infanziale idee di provincia erano scomparse. L'intelligenza modificata e l'ambizione esaltata gli fecero vedere chiaro nell'ambiente del maniero paternoin seno alla famiglia. Il padrela madrei due fratellile due sorellee una zia la cui ricchezza consisteva in pensioni vitalizievivevano sulla piccola terra di Rastignac.

Questo possessoche rendeva circa tremila franchiera sottoposto all'incertezza che governa il prodotto tipicamente industriale della vigna etuttavia bisognava far uscire ogni anno milleduecento franchi per lui. La vista di tale costante ristrettezza che gli veniva generosamente nascosta; il paragone che fu costretto a fare tra le sorelleche gli erano parse tanto belle quando era un fanciulloe le donne di Pariginelle quali aveva trovato il tipo d'una bellezza a lungo vagheggiata; l'avvenire incerto della numerosa famiglia che fondava le speranze su di lui; la parsimoniosa cura con cui vide conservare i più modesti prodotti; il vino di famiglia fatto con le vinacce; insommauna quantità di circostanze che è inutile elencare quidecuplicarono i suoi desideri di "parvenu" e gli acuirono la brama di distinguersi. Come accade alle anime grandiegli non volle essere debitore che del proprio merito. Ma il suo temperamento era eminentemente meridionale: quando si trattava di passare all'azionele sue determinazioni subivano quelle esitazioni che hanno i giovani allorché si trovano in alto maresenza sapere né dove dirigere le loro forzené sotto quale angolo far gonfiare le loro vele. Seda principiovolle gettarsi a corpo morto nel lavorosedotto subito dopo dalla necessità di cercarsi delle relazionicapì quanto influsso hanno le donne nella vita socialee decise di lanciarsi senz'altro nella societàper conquistarvi delle protettrici: e potevano esse mancare a un giovane ardente e spiritosoil cui spirito e il cui ardore erano sostenuti dal tratto elegante e da una specie di bellezza nervosaalla quale le donne cedono volentieri? Tali idee lo presero in mezzo ai campidurante le passeggiate che faceva allegramente con le sorellele quali lo trovarono assai cambiato. La ziala signora de Marcillacche un tempo era stata ammessa a Cortevi aveva conosciuto la più alta aristocrazia. D'un tratto il giovane ambizioso trovònei ricordi coi quali la zia lo aveva tanto spesso cullatogli elementi di molte conquiste socialiimportanti per lo meno quanto quelle che andava conoscendo alla Scuola di Diritto; la interrogò sui rapporti di parentela che potevano ancora essere riannodati. Dopo avere scosso i rami dell'albero genealogicola vecchia donna ritenne chedi tutte le persone che avrebbero potuto essere utili al nipote tra la razza egoista dei parenti ricchila signora viscontessa de Beauséant sarebbe stata la meno recalcitrante. Ella scrisse alla giovane donna una lettera nel vecchio stilee la consegnò a Eugeniodicendogli chese gli fosse riuscito di spuntarla con la viscontessaquesta gli avrebbe fatto ritrovare gli altri parenti.

Qualche giorno dopo il suo arrivoRastignac inviò la lettera della zia alla signora de Beauséant. La viscontessa rispose con l'invito a un ballo per il giorno dopo.

Tale era la situazione generale della pensione borghese alla fine del mese di novembre del 1819. Qualche giorno più tardi Eugeniodopo essere andato al ballo della signora de Beauséantrientrò verso le due di notte. Per riguadagnare il tempo perdutoil coraggioso studente s'era ripromessomentre ballavadi lavorare fino al mattino. Avrebbe per la prima volta vegliato in quel silenzioso quartieresotto il fascino d'una falsa energia tratta dal vedere gli splendori del mondo. Non aveva pranzato in casa Vauquer. I pensionanti poterono quindi credere che sarebbe ritornato dal ballo l'indomani mattinaessendo qualche volta rientrato dalle feste del Prado o dai balli dell'Odéoncon le calze di seta imbrattate di fango e gli scarpini malconci. Prima di mettere i catenacci alla portaCristoforo l'aveva aperta per dare una guardata sulla strada; Rastignac sopraggiunse e poté salire alla sua camera senza far rumoreseguito da Cristoforo che ne faceva molto. Eugenio si spogliòcalzò le pantofoleindossò una brutta finanzieraaccese il fuoco di mattonelle di carbonee si dispose rapidamente allo studiodi guisa che Cristoforo coprì ancora col rumore dei suoi scarponi i preparativi poco rumorosi del giovanotto. Eugenio rimase pensoso qualche istante prima d'immergersi nei tomi di Diritto. Aveva or ora trovato nella signora viscontessa de Beauséant una delle regine della moda pariginala casa della quale era considerata la più piacevole del faubourg Saint-Germain. Essa eradel restoe per il suo nome e per la sua fortunauna delle sommità del mondo aristocratico.

Grazie alla zia de Marcillacil povero studente era stato bene accolto in quella casasenza sapere l'importanza del favore ricevuto. Essere ammesso in quei salotti dorati equivaleva a un brevetto di alta nobiltà. Con l'apparire in quella societàpiù impenetrabile d'ogni altraegli aveva acquistato il diritto d'essere ricevuto dappertutto. Abbagliato da quella rumorosa riunionescambiata appena qualche parola con la viscontessaEugenio s'era accontentato di individuaretra la folla delle divinità parigine che si affollavano in quell'eletto ricevimentouna di quelle donne che un giovane deve a prima vista adorare. La contessa Anastasia de Restaudalta e ben formatapassava per avere una delle più belle figure di Parigi. Immaginate grandi occhi neriuna mano stupendaun piedino ben modellatomovimenti vivacissimiuna donna che il marchese de Ronquerolles chiamava:

un purosangue. La finezza della nervatura non le toglieva alcuna attrattiva; aveva forme piene e rotondesenza con questo essere accusata della sia pur lieve grassezza. "Puro sanguedonna di razza": queste locuzioni cominciavano a sostituire gli angeli del cielole figure ossianichetutta la vecchia mitologia amorosa condannata dal dandismo. Maper Rastignacla signora Anastasia de Restaud rappresentò la donna desiderabile. Si era assicurato due giri nella lista dei cavalieri scritta sul ventaglioe le aveva potuto parlare durante la prima contraddanza.

- E oradove potrò incontrarvi ancorasignora? le aveva chiesto bruscamente con quella audacia appassionata che piace tanto alle donne. - Mah! - lei rispose - al Boisai "Bouffons"a casa miadove volete. - E l'avventuroso meridionale s'era affrettato a entrare in confidenza con quella deliziosa contessaquanto un giovane può entrare in confidenza con una donna durante una contraddanza e un valzer. Presentandosi come cugino della signora de Beauséantfu invitato da quella donna che egli ritenne una gran damae fu ammesso in casa sua. Quando gli rivolse l'ultimo sorrisoRastignac stimò doverosa la sua visita. Egli aveva avuto la fortuna d'incontrare un uomo che non aveva dileggiato la sua ignoranzadifetto mortale in mezzo agli illustri impertinenti dell'epoca: i Maulincourti Ronquerollesi Maximes de Traillesi de Marsaygli Adjuda-Pintoi Vandenésseche si trovavano lànella gloria della loro fatuità e mescolati alle donne più eleganti: lady Brandonla duchessa de Langeaisla contessa de Kargarouetla signora de Sérizyla duchessa di Cariglianola contessa Ferraudla signora de Lantyla marchesa d'Aiglemontla signora Firmianila marchesa de Listomère e la marchesa d'Espardla duchessa de Maufrigneuse e i Grandlieu. Fortunatamentedunquel'ingenuo studente s'era imbattuto nel marchese de Montriveaul'amante della duchessa de Langeaisun generale semplice come un fanciulloda cui seppe che la contessa de Restaud abitava in via Helder. Essere giovaneaver sete di mondoaver fame d'una donnae vedersi schiudere due case! Mettere il piede nel faubourg Saint- Germainin casa della viscontessa de Beauséantil ginocchio nella Chaussée-d'Antinin casa della contessa de Restaud!

Immergersi con uno sguardo nella fuga dei salotti di Parigie ritenersi un così bel giovane da trovarvi aiuto e protezione in un cuore di donna! Sentirsi tanto ambizioso da dare un superbo calcio alla corda tesa sulla quale bisogna camminarecon la sicurezza del funambulo che non cadràe aver trovato in una donna incantevole il miglior bilanciere! Con questi pensieri e dinanzi a questa donna che si ergeva sublime vicino a un fuoco di mattonelle di carbonetra il Codice e la miseriachi non avrebbecome Eugenioscandagliato l'avvenire con una riflessionechi non l'avrebbe arredato di successi ? La sua immaginazione anticipava così vivacemente le gioie futureche credeva di trovarsi già accanto alla signora de Restaudquando un sospiro simile a un "han" di San Giuseppe turbò il silenzio della notterisuonò nel cuore del giovane in modo da fargli credere si trattasse del rantolo d'un moribondo. Aprì pian piano l'uscio equando fu nel corridoioscorse una linea di luce tracciata sotto quello di papà Goriot. Eugenio pensò che il suo vicino fosse stato colto da un'indisposizioneavvicinò l'occhio alla serraturaguardò nella camerae vide il vecchio intento a un lavoro che gli sembrò troppo criminale per non credersi in dovere di rendere un servigio alla società osservando bene quel che stava macchinando nottetempo il sedicente vermicellaio. Papà Goriot doveva aver fissato all'asse di una tavola rovesciata un piatto e una specie di zuppiera d'argento dorato e avvolgeva una specie di corda attorno a questi oggetti riccamente lavorati stringendoli con una tale forzada torcerli per convertirli verosimilmente in lingotti.

"Càspita! che uomo!"si disse Rastignac nel vedere le braccia nerborute del vecchio checon l'aiuto di quella cordadeformava in silenzio il metallo come una pasta. "Che sia un ladro o un ricettatore cheper esercitare più al sicuro il suo commerciosi finga scioccodebolee viva come un povero?"si chiese Eugenio rialzandosi un momento. Lo studente tornò a porre l'occhio alla serratura. Papà Goriotsciolta la cordaprese la massa d'argentola pose sulla tavola dopo avervi steso sopra il tappeto e su questo rotolò il metallo per ridurlo a una sbarra: operazione che eseguì con una facilità meravigliosa. "E' dunque forte come lo era Augustore di Polonia?"si domandò Eugenioquando la sbarra prese presso a poco la forma rotonda. Papà Goriot guardò il suo lavoro con aria tristelacrime gli uscirono dagli occhispense il mòccolo alla luce del quale aveva attorto quell'argento doratoed Eugenio lo sentì andare a letto sospirando. "E' pazzo"pensò lo studente.

- Povera figlia mia ! - disse ad alta voce papà Goriot.

A questa parolaRastignac stimò prudente tacere su quanto era accaduto e non condannare avventatamente il vicino. Stava per rientrare nella propria cameraquando sentì a un tratto un rumore difficile a definirsi e che doveva essere causato da uomini in pantofolei quali salivano la scala. Eugenio tese l'orecchio e riconobbe effettivamente la respirazione alternata di due uomini.

Senza aver avvertito né il cigolio dell'uscio né il passo degli uominiscorse a un tratto una debole luce al secondo pianonella camera del signor Vautrin. - Quanti misteri in una pensione familiare! - disse fra sé e sé. Scese qualche gradinosi mise ad ascoltaree il suono dell'oro colpì il suo orecchio. La luce fu subito spentale due respirazioni si fecero sentire nuovamente senza che l'uscio avesse cigolato. Poiman mano che i due uomini scendevanoil rumore andò affievolendosi.

- Chi va là? - gridò la signora Vauqueraprendo la finestra della sua camera.

- Sono io che tornomamma Vauquer - disse Vautrin con la sua grossa voce.

"Strano! Cristoforo aveva pur messo i catenacci"pensò Eugenio rientrando nella propria camera. "Bisogna stare svegli per sapere bene quel che accade intornoa Parigi". Divagato per tali piccoli fatti dalla propria meditazione ambiziosamente amorosasi mise a studiare. Distratto dai sospetti sortigli sul conto di papà Goriotpiù distratto ancora dall'immagine della signora de Restaudche di momento in momento appariva dinanzi a lui come la messaggera d'un brillante avvenirefinì per andarsene a letto e per dormire saporitamente. Su dieci notti promesse allo studioi ragazzi ne dedicano sette al sonno. Bisogna aver più di vent'anni per vegliare.

L'indomani mattina c'era a Parigi una di quelle nebbie che l'avvolgono e l'oscurano in modo taleche anche le persone più precise s'ingannano sul tempo. Si manca agli appuntamenti d'affari. Ognuno crede siano le ottoquando suona mezzogiorno.

Erano le nove e mezzae la signora Vauquer non si era ancora levata. Cristoforo e la grossa Silviaanche loro in ritardoprendevano tranquillamente il caffèpreparato con i veli del latte destinato ai pensionanti e che Silvia faceva bollire a lungoaffinché la signora Vauquer non si accorgesse di questa decima illegalmente percepita.

- Silvia - disse Cristoforo inzuppando il primo crostino - il signor Vautrinche dopo tutto è un brav'uomoanche questa notte ha ricevuto due persone. Se la signora domandassenon bisogna dirle nulla.

- Vi ha dato qualche cosa?

- Mi ha dato cento soldi come mesata; un modo per dire: acqua in bocca.

- Tolto lui e la signora Coutureche non sono taccagnigli altri vorrebbero toglierci con la mano sinistra quel che ci danno con la destra il primo dell'anno - disse Silvia.

- Per quel che ci danno ! - fece Cristoforo appena una monetae da cento soldi. E' da due anni che papà Goriot si pulisce le scarpe da sé. Quello spilorcio di Poiret fa a meno del lustro e piuttosto se lo berrebbe che darlo alle sue ciabatte. Quanto poi a quel povero diavolo dello studentemi dà quaranta soldi. Quaranta soldi non valgono neppure le spazzolee per giunta si vende pure gli abiti vecchi. Che baracca! Però! fece Silvia bevendo a piccoli sorsi il caffè - il nostro servizio è il migliore del quartiere:

qui si sta bene Maa proposito del grosso papà VautrinCristoforovi hanno detto qualche cosa?

- Sì. Ho incontrato giorni fa un signore per strada che mi ha detto: - Abita da voi un signore grossocoi favoriti tinti? Io gli ho risposto: - Nosignorenon se li tinge mica. Un allegrone come lui ha ben altro da fare. L'ho riferito al signor Vautrine lui mi ha risposto: - Hai fatto beneragazzo mio! Rispondi sempre così. Non c'è di peggio che far conoscere le nostre debolezze. Per questo tante volte vanno a monte i matrimoni.

- E a meal mercatohanno cercato d'infinocchiarmi per farmi dire se lo vedevo quando si cambia la camicia. Bell'affare! Maoh! - disse interrompendosi - ecco che stanno suonando le dieci meno un quarto a Val-de-Gracee non si sente nessuno.

- Ma se sono usciti tutti! La signora Couture e la ragazza sono andate a mangiare alle otto il buon Dio a Saint-Etienne. Papà Goriot è uscito con un pacco. Lo studente non tornerà che alle diecidopo la lezione. Li ho visti uscire mentre pulivo le scalee papà Goriot m'ha pure urtato col suo paccoduro come il ferro.

Che diavolo mai farà quel bonuomo? Gli altri lo prendono in giroma tutto sommato è un brav'uomoe vale più di tutti loro. E' piuttosto tirchioma le signore da cui vado qualche volta per lui m'allungano mance vistosee sono proprio ben messe!

- Quelle che lui chiama figlie sueeh? Saranno una dozzina.

- Io sono stato soltanto da duele stesse che sono venute qui.

- Ecco che si sente la signora; e comincerà subito a strillare; bisogna che vada. Badate al latteCristoforoper via del gatto.

Silvia salì dalla padrona.

- Ma comeSilvia: sono già le dieci meno un quartoe mi avete lasciato dormire fino adesso come una marmotta? Una cosa simile non mi era mai capitata.

- E' colpa della nebbiasi taglia col coltello.

- Ma la colazione?

- Mah!i pensionanti dovevano avere proprio il diavolo in corpo; sono cascati tutti dal letto e sono già fuori.

- Parla beneSilvia - soggiunse la signora Vauquer- si dice cader da letto.

- Signora miadirò come volete voi. Ma tant'è che voi potete far colazione alle dieci. La Michonnette e il Poireau non si sono mossi. Non ci sono che loro in casae dormono come quei due sassi che sono.

- Ma Silviatu li metti tutt'e due insieme; come se...

- Come seche? - riprese Silvia lasciandosi sfuggire una grossa e stupida risata. - Insieme fanno il paio.

- E' curiosoSilvia: come mai il signor Vautrin stanotte è potuto rientrare dopo che Cristoforo aveva messo i catenacci?

- Proprio al contrariosignora. E' lui che ha sentito il signor Vautrined è sceso per aprirgli la porta. E così avete creduto...

- Dammi il copribusto e va a preparare la colazione. Fa' quel che è rimasto del montonecon le patatee servi pere cottedi quelle che costano due centesimi l'una.

Pochi istanti dopola signora Vauquer discese proprio nel momento in cui il gatto aveva rovesciato con un colpo di zampetta il piattino che copriva una tazza di lattee lo stava leccando in tutta fretta.

- Mistigrì! - gridò. Il gatto scappòpoi tornò per strofinarsi alle sue gambe. - Sìsìfa il vigliaccosfacciatello! le disse.

- Silvia! Silvia!

- Che c'èsignora?

- Guardate un po' cosa ha bevuto il gatto?

- La colpa è di quella bestia di Cristoforoglielo avevo detto di coprirlo. Dov'è andato? Ma non vi date pensierosignora; facciamo conto che quella era la colazione di papà Goriot.

L'allungherò con l'acquae lui non se ne accorgerà neppure. Non bada a nienteneanche a quel che mangia.

- Ma dove diamine è andatoil nostro caffettiere? - disse la signora Vauquer mettendo a posto i piatti.

- E chi lo sa? Quello traffica come cinquecento diavoli.

- Ho dormito troppo - disse la signora Vauquer.

- Ma così la signora è fresca come una rosa...

In quella il campanello si fece sentiree Vautrin entrò in sala cantando col suo vocione:

A lungo ho corso il mondo E ovunque mi hanno visto...

- Oh! Oh!buon giornomamma Vauquer - disse scorgendo l'ospiteche galantemente prese tra le sue braccia.

- Andiamosmettetela.

- Chiamatemi impertinente! - riprese. - Andiamoditelo. Lo volete dunque dire? Andiamovi aiuterò a mettere i piatti. Ah!io son gentilenon è vero?

Corteggiar la bruna e la biondaAmaresospirar...

- Ho visto poco fa una cosa singolare.

...alla ventura.

- Cosa? - domandò la vedova.

- Papà Goriot alle otto e mezza stava in via Dauphinedall'orefice che compra argenteria e guarnizioni di metallo. Gli ha venduto per una discreta somma un oggetto di argento doratomolto bene attorcigliato per uno che non è del mestiere - Ma davvero ?

- Sicuro. Tornavo dall'aver accompagnato un amico in procinto di partire con le Messaggerie reali; e ho atteso per vedere quel che papà Goriot faceva: una cosa comica. E' risalito per questo quartiere passando per la via dei Grèsed è entrato in casa d'un noto usuraio che si chiama Gobseckun autentico tipacciocapace di giocare a domino con le ossa di suo padre; un giudeoun araboun grecouno zingaroun uomo che sarebbe difficile derubareperché i suoi scudi li tiene in banca.

- Ma che diamine fa questo papà Goriot?

- Non fadisfa - rispose Vautrin. - E' uno stupidocosì imbecilleda rovinarsi innamorandosi delle ragazze che...

- Eccolo - disse Silvia.

- Cristoforo! - gridò papà Goriot - accompagnami su.

Cristoforo seguì papà Goriot e ridiscese subito dopo.

- Dove vai? - chiese mammà Vauquer al suo domestico.

- Vado a fare una commissione per il signor Goriot.

- E questocos'è - disse Vautrin strappando dalle mani di Cristoforo una lettera sulla quale lesse: "Alla Signora contessa Anastasia de Restaud". - E dove la porti?

- In via dell'Helder. Ho l'ordine di non consegnarla che alla signora contessa.

- Che c'è dentro? - domandò Vautrinmettendo la lettera contro luce - un biglietto di banca? No. - Apri un poco la busta. - Una cambiale all'ordine - esclamò. - Càspita! E' galantequel vecchio rimbambito. Va'furbacchione - disse coprendo con la sua larga mano il capo di Cristoforoche fece girare su se stesso come un dado - rimedierai una buona mancia. La tavola era stata intanto apparecchiata.

Silvia faceva bollire il latte. La signora Vauquer accendeva la stufa aiutata da Vautrin che canterellava sempre:

A lungo ho corso il mondo E ovunque mi hanno visto..

Quando tutto fu prontola signora Couture e la signorina Taillefer rincasarono.

- Da dove venitecosì di buon mattinomia bella signora? disse la signora Vauquer alla signora Couture.

- Siamo state a far le nostre devozioni a Saint-Etienne-du-Mont; non dobbiamo andare oggi dal signor Taillefer? Povera piccolatrema come una foglia - riprese la signora Couture sedendosi dinanzi alla stufaalla cui bocca presentò le sue scarpeche si misero a fumare.

- ScaldateviVittorina - disse la signora Vauquer.

- E' benesignorinapregare il buon Dio d'intenerire il cuore di vostro padre - disse Vautrinavvicinando una sedia all'orfana. Ma questo non basta. Ci vorrebbe un amico che s'incaricasse di dire il fatto suo a quel brutto tipoa quel selvaggio che si dice abbia tre milioni e non vi dà un soldo di dote. Una bella ragazzaoggiha bisogno di dote.

- Povera figliuola - disse la signora Vauquer. Matesoro mioquel mostro di vostro padre se ne tira addossodi maledizioniquante ne vuole!

A queste parole gli occhi di Vittorina s'inumidirono di lacrime e la vedova non proseguìa un cenno che le fece la signora Couture - Basterebbe che lo vedessimobasterebbe che gli potessi parlare e dargli l'ultima lettera di sua moglie riprese a dire la vedova dell'ufficiale di Commissariato. - Non mi sono azzardata a mandargliela per postariconoscerebbe la mia calligrafia...

- "O donne innocentidisgraziate e perseguitate" esclamò Vautrin interrompendo - siete dunque a questo punto? Di qui a qualche giornopenserò io alle vostre cosee vedrete che tutto andrà bene.

-Oh!signore - disse Vittorinadando uno sguardo umido e insieme ardente a Vautrinche non se ne commosse - se conoscete un mezzo per arrivare a mio padreditegli che il suo affetto e l'onore di mia madre mi sono più preziosi di tutte le ricchezze del mondo. Se riuscirete a ottenere che egli mitighi la sua ostinazionepregherò il buon Dio per voi. Siate sicuro d'una riconoscenza...

- "A lungo ho corso il mondo" - cantò Vautrin con voce ironica. In quel momento Goriotla signorina MichonneauPoiret disceseroattratti forse dall'odore della salsa che Silvia stava facendo per cucinare gli avanzi del montone.

Quando i sette commensali si misero a tavola augurandosi il buon giornosuonarono le dieci e si sentì dalla strada il passo dello studente.

- Ah!benesignor Eugenio - disse Silvia - oggi farete allora colazione con tutti gli altri.

Lo studente salutò i pensionanti e si mise a sedere accanto a papà Goriot.

- Mi è capitata una strana avventura - disse servendosi una abbondante porzione di montone e tagliandosi un pezzo di pane che la signora Vauquer misurava sempre con l'occhio.

- Un'avventura! - fece Poiret.

- Ebbeneperché ve ne meraviglierestevecchio parruccone? disse Vautrin a Poiret. - Il signore è proprio fatto per averle.

La signorina Taillefer fece scivolare timidamente uno sguardo sul giovane studente.

- Raccontateci la vostra avventura - disse la signora Vauquer.

- Ieri mi trovavo al ballo della signora viscontessa de Beauséantuna mia cugina che ha una magnifica casacon stanze tappezzate di setae che ci ha offerto insomma una festa superbadove mi sono divertito come un re...

- Attìno - disse Vautrin interrompendolo di netto.

- Signore - riprese vivacemente Eugenio - che volete dire con questo?

- Dico "attìno"perché i reattini si divertono molto più dei re.

-E' vero: io preferirei essere quest'uccellino senza pensieripiuttosto che un rein quanto.. - fece Poiretl'"idemista".

- Breve - riprese lo studente tagliandogli la parola - ballo con una delle più belle donne della festauna contessa incantevolela più deliziosa creatura che abbia mai visto. Aveva fiori di pesco tra i capellisul fianco il più bel mazzolino di fiori naturali profumatissimi; mavia!avreste dovuto vederlaè impossibile descrivere una donna nell'animazione della danza.

Ebbene!stamane ho incontrato la divina contessaverso le novea piediin via dei Grès. Oh!il cuore mi ha dato un balzocredevo...

- Che lei venisse qui - disse Vautrinlanciando uno sguardo profondo allo studente. - Andava certamente da papà Gobseckun usuraio. Se frugate nei cuori delle donnea Parigivi troverete l'usuraio prima dell'amante. La vostra contessa si chiama Anastasia de Restaude abita in via dell'Helder. - A questo nome lo studente guardò fisso Vautrin. Papà Goriot sollevò di scatto la testagettò sui due interlocutori uno sguardo luminoso e pieno d'inquietudineche sorprese i pensionanti.

- Cristoforo arriverà troppo tardie lei ci sarà andata - si disse fra sé e sé dolorosamente Goriot.

- Ho indovinato - disse Vautrin curvandosi all'orecchio della signora Vauquer.

Goriot mangiava macchinalmente senza sapere quel che mangiava. Non era mai apparso così stupido e più assorto come in quel momento.

- Chi diavolosignor Vautrinha potuto dirvi il suo nome?

domandò Eugenio.

- Ahah!ecco - rispose Vautrin. - Papà Goriot lo sapeva benelui ! E perché non dovrei saperlo io?

- Il signor Goriot? - esclamò lo studente.

- Ahdunque! - disse il povero vecchio. - Era proprio tanto bellaieri?

- Chi?

- La signora de Restaud.

- Guardate il vecchio pezzente - disse la signora Vauquer a Vautrin - come gli si accendono gli occhi.

- Che la mantenga lui? - disse sottovoce la signorina Michonneau allo studente.

- Oh!sìera straordinariamente bella - riprese Eugenioche papà Goriot intanto guardava avidamente. - Se la signora de Beauséant non fosse stata lìla mia divina contessa sarebbe stata la regina del ballo; i giovani non ammiravano che leiio ero il dodicesimo iscritto nella sua listalei ballava tutte le contraddanze. Le altre signore morivano d'invidia. Se c'è stata ieri una creatura felicequella era lei. E' proprio giusto dire che non c'è nulla di più bello che fregata a velacavallo al galoppo e donna che balla.

- Ieri all'apogeo della fortunada una duchessa disse Vautrin;- stamane in fondo alla scalada un usuraio: ecco le Parigine. Se i loro mariti non possono mantenerle nel lusso sfrenatosi vendono.

Se non sanno vendersisventrerebbero la madre per cercarvi di che brillare. Ne fanno di tutti i colori. Lo sappiamolo sappiamo!

Il viso di papà Goriotche s'era acceso come il sole di una bella giornata ascoltando lo studentedivenne cupo alla crudele osservazione di Vautrin.

- Ma dunque - disse la signora Vauquer - qual è la vostra avventura? Le avete parlato? Le avete chiesto se voleva imparare il Diritto?

- Lei non mi ha visto - rispose Eugenio. - Ma incontrare una delle più graziose donne di Parigi in via dei Grèsalle noveuna donna rientrata dal ballo alle due del mattinonon è singolare? Solo a Parigi si hanno queste avventure.

- Peròce ne sono di più strane ancora - esclamò Vautrin.

LasignorinaTaillefer aveva appena ascoltato questa conversazionetanto era preoccupata per il tentativo cui si accingeva. La signora Couture le fece segno di alzarsi perché si andasse a vestire. Quando le due uscironopapà Goriot le imitò.

- Ebbeneavete visto? - disse la signora Vauquer a Vautrin e agli altri pensionanti. - E' chiaro che s'è rovinato per quelle donne.

- Non potrò mai credere - esclamò lo studente - che la bella contessa de Restaud sia di papà Goriot.

- Ma - gli disse Vautrin interrompendolo - noi non ci teniamo affatto a farvelo credere. Siete ancora troppo giovane per conoscere bene Parigi; vedrete più in là che ci s'incontrano quelli che noi chiamiamo: "sottanieri"... (A queste parolela signorina Michonneau guardò Vautrin con un'aria d'intelligenza).

L'avreste detto un cavallo da parata che sente il suono della tromba. Ah!ah! - fece Vautrin interrompendosi per gettarle uno sguardo profondo - non abbiamo avuto anche noi le nostre passioncelle? (La vecchia zitella abbassò gli occhicome una suora che veda delle statue). Ebbene- egli riprese quei tipi sposano un'ideae non la mollano. Essi non hanno sete che d'una certa acqua presa a una certa fontanae spesso stagnante; per poterla berevenderebbero pure le loro moglii loro figlivenderebbero l'anima al diavolo. Per alcunila fontana è il giocola borsauna collezione di quadri o d'insettila musica; per altriè una donna che sa cucinar loro qualche ghiottoneria. A questi potreste offrire tutte le donne della terraessi se ne infischianovogliono solo quella che soddisfa le loro passioni.

Spesso questa donna non li ama affattoli maltrattavende loro molto care poche briciole di appagamento; ebbenequesti capi ameni non si stancanoe porterebbero l'ultima coperta al Monte di Pietà per dar loro l'ultimo scudo. Papà Goriot è uno di questi. La contessa lo sfrutta perché lui è discretoed ecco il bel mondo!

Il pover'uomo non pensa che a lei. Fuori della sua passionevoi lo vedeteè un bestione. Mettetelo su tale terrenoil suo viso scintilla come un diamante. Non è difficile indovinare il suo segreto. Egli ha portato stamattina a far fondere l'argento doratoe l'ho visto entrare da papà Gobseck in via dei Grès.

Seguitemi bene! Tornandoha mandato dalla contessa quello scemo di Cristoforoche ci ha fatto vedere l'indirizzo della lettera in cui era contenuta una cambiale all'ordine. E' chiaro chese la contessa andava anche lei dal vecchio usuraiola cosa doveva essere urgente. Papà Goriot ha galantemente pagato per lei. Non è necessario faticare molto per vederci chiaro. Ciò vi provamio giovane studenteche mentre la vostra contessa ridevaballavafaceva la smorfiosalasciava dondolare i suoi fiori di pescoe stringeva la vesteera sulle spinecome si dicepensando alle cambiali protestateo a quelle dell'amante.

- Mi fate venire una voglia matta di sapere la verità. Andrò domani dalla signora de Restaud - esclamò Eugenio.

- Sì - disse Poiret - bisogna andare domani dalla signora de Restaud.

- Ci troverete forse il bonuomo Goriota riscuotere il premio delle sue galanterie.

- Ma - disse Eugenio con un'aria di disgusto - la vostra Parigi è dunque proprio un pantano.

- E un curioso pantano - riprese Vautrin. - Chi ci s'infanga in vettura è una persona per benechi ci s'infanga a piedi è un briccone. Se vi tocca portar via a qualcuno una cosa qualsiasisiete messo alla berlina sulla piazza del Palazzo di Giustizia come una curiosità. Rubate un milionee siete mostrato a dito nei salotti come un esempio di virtù. Voi pagate trenta milioni alla Gendarmeria e alla Giustizia per tenere in piedi questa morale.

Che bella cosa!

- Come - esclamò la signora Vauquer - papà Goriot avrebbe dato a fondere il suo servizio da colazione d'argento dorato?

- Sul coperchio c'erano due tortorelle? - domando Eugenio.

- Proprio così.

- Ci teneva tanto! Piangevaquando ha contorto la tazza e il piattino. L'ho visto per caso - disse Eugenio.

- Ci teneva come alla sua vita - aggiunse la vedova.

- Vedete quanto il bonuomo è innamorato - esclamò Vautrin. Quella donna sa ben lusingarlo.

Lo studente risalì in camera. Vautrin uscì. Pochi istanti dopola signora Couture e Vittorina montarono in una vettura da piazzache Silvia era andata a cercare per loro. Poiret offrì il braccio alla signorina Michonneau e tutti e due andarono a passeggio al Jardin des Plantesapprofittando delle due belle ore della giornata.

- E alloraeccoli là quasi sposati - disse la grossa Silvia.

Escono oggi insieme per la prima volta. Sono tutti e due così secchi chese si urtanosprizzeranno faville come un acciarino.

- Attenzione allo scialle della signorina Michonneau - disse ridendo la signora Vauquer - prenderà come un'esca.

Alle quattro del pomeriggioGoriotquando rientròvidealla luce di due lampade fumoseVittorina con gli occhi rossi. La signora Vauquer ascoltava il racconto della visita infruttuosa fatta al signor Taillefer nella mattinata. Annoiato di ricevere sua figlia e quella vecchia donnaTaillefer le aveva lasciate giungere fino a lui per spiegarsi con loro.

- Mia cara signora - diceva la signora Couture alla signora Vauquer - pensate che non ha neppure fatto sedere Vittorinache è rimasta sempre in piedi. A me ha poi dettosenza andare in colleracon la massima freddezzadi risparmiarci il disturbo di andare da lui; che la signorinasenza chiamarla sua figliadanneggiava se stessa importunandolo così (una volta all'annoil mostro !); cheavendo sposato senza dote la madre di Vittorinalei non aveva nulla da pretendere; insommale cose più dureda far sciogliere in lacrime la povera piccola. Lei s'è gettata allora ai piedi del padree gli ha detto coraggiosamente che insisteva tanto solo per sua madree che gli avrebbe obbeditosenza far commenti; ma che lo supplicava di leggere il testamento della povera morta. Lei ha preso la lettera e gliela ha presentatacon le più belle e più sentite espressioni: non so dove le è andate a trovareDio gliele dettavaperché la povera figliuola era così bene ispirata che ioascoltandolapiangevo come un vitello. Sapete che cosa faceva intanto quell'orrendo uomo? Si tagliava le unghie; poiha preso la lettera che la povera signora Taillefer aveva bagnato con le sue lacrimee l'ha gettata al fuoco dicendo: "Va bene!". Ha fatto il gesto di risollevare la figliache gli stava prendendo le mani per baciarlema le ha ritirate. Non è una scelleratezza? Quello scioccone del figlio è entratoe non ha neppure salutato la sorella .

- Ma questi sono proprio due mostri! - disse papà Goriot.

- E poi - soggiunse la signora Couture senza raccogliere l'esclamazione del bonuomo - padre e figlio se ne sono andati salutandomi e pregandomi di scusarliperché avevano affari urgenti. Ecco com'è andata la nostra visita. Ma almeno ha veduto sua figlia. Non capisco come possa non riconoscerla: gli somiglia come una goccia d'acqua.

I pensionantiinterni ed esterniarrivarono gli uni dopo gli altri augurandosi scambievolmente il buon giorno e dicendosi quei nonnulla che esprimonopresso certi ceti pariginiuno spirito lèpido in cui la stoltizia è l'ingrediente principalee il cui merito consiste particolarmente nel gesto che li accompagna o nel modo di pronunciarli. Questa specie di gergo varia continuamente.

La facezia che ne è il principio non ha mai più di un mese di vita. Un avvenimento politicoun processo in corte d'Assiseuna canzonettai frizzi di un attoretutto serve ad alimentare questo gioco dello spiritoche consiste soprattutto a considerare le idee e le parole come volani e a rimandarsele con le racchette.

La recente invenzione del Dioramache portava l'illusione dell'ottica a un grado più alto dei Panoramiaveva introdotto in alcuni studi di pittori la facezia di parlare in "rama"una specie di morbo che un giovane artistafrequentatore della pensione Vauquervi aveva inoculato.

- Ebbenesignor Poiret - disse l'impiegato al Museo - come va la vostra "saluterama"? - Poisenza aspettare la risposta: Signore voi siete addolorate - disse alla signora Couture e a Vittorina.

- Andiamo a "mangere" - esclamò Orazio Bianchonuno studente di medicinaamico di Rastignac; - il mio stomaco è sceso "usque ad talones"..

- Fa un famoso "frettorama"! - disse Vautrin. Scansatevi dunquepapà Goriot! Che diamine! ll vostro piede prende tutta la bocca della stufa.

- Illustre signor Vautrin - disse Bianchon - perché dite "frettorama"? C'è uno sbagliosi dice "freddorama".

- No - disse l'impiegato al Museo - secondo la regola si deve dire "frettorama": ho fretto ai piedi.

- Ah! Ah!

- Ecco sua eccellenza il marchese di Rastignacdottore in dirittorovescio - esclamò Bianchon afferrando Eugenio per il collo e stringendolo in modo da quasi soffocarlo. - Ohé!voi altriohé! - La signorina Michonneau entrò pian pianosalutò i commensali senza far parolae andò a sedersi vicino alle tre donne.

- Quella mi fa battere sempre i dentiquella vecchia cornacchia- disse a bassa voce Bianchon a Vautrin indicandogli la signorina Michonneau. - Io che sto studiando il sistema di Gallriscontro in lei le bozze di Giuda.

- Signorel'avete conosciuta?

- E chi non la conosce? Parola mia d'onorequella vecchia zitella pallida mi fa l'effetto di quei lunghi vermi che finiscono per consumare una trave.

- Ecco quel che ègiovanotto - disse il quadragenario lisciandosi i favoriti.

E rosaella ha vissuto quanto vivon le roseQuanto un mattino.

- Ah! ah!ecco una famosa "zupporama" - disse Poiret vedendo Cristoforo che entrava portando rispettosamente la zuppa.

- Vogliate perdonarmisignore - disse la signora Vauquer - ma non è che una zuppa di cavoli.

I giovanotti scoppiarono a ridere.

- ToccatoPoiret!

- Poirrette toccato!

- Segnate due punti alla signora Vauquer - disse Vautrin.

- Ma avete visto che nebbiastamattina? - disse l'impiegato.

- Era - disse Bianchon - una nebbia freneticamai vistauna nebbia lugubremalinconicaverdebolsauna nebbia Goriot.

- "Goriorama" - disse il pittore - perché non ci si vedeva più in là di un palmo.

- Hé!milord Gaoriotteloro star parlando di vui.

Seduto all'infimo posto della tavolavicino alla porta attraverso la quale passava il domesticopapà Goriot sollevò la testa odorandoper una vecchia abitudine commerciale che talvolta ricomparivaun pezzo di pane che stava sotto la sua salvietta.

- Ebbene ! - gli gridò aspramente la signora Vauquercon una voce che dominò il rumore dei cucchiaidelle scodelle e delle voci - non è forse buono quel pane?

- Al contrariosignora - le rispose - è fatto con la farina di Etampesdi prima qualità.

- Come lo capite? - gli domandò Eugenio.

- Dalla bianchezzadal gusto.

- Dal gusto del nasovisto che l'odorate - disse la signora Vauquer. - State diventando così economoche finirete per trovare il modo di nutrirvi fiutando l'aria della cucina.

- Prendete allora un brevetto d'invenzione esclamò l'impiegato al Musco - e farete una bella fortuna.

- Ma nolui fa così per persuadersi di essere stato vermicellaio - disse il pittore.

- Il vostro nasoè dunque una storta - chiese l'impiegato al Museo.

- Stor-cosa? - fece Bianchon.

- Stor-tura.

- Stor-piamento.

- Stor-ione.

- Stor-nello.

- Stor-mo.

- Stor-dito.

- Stor-iella.

- Stor-norama.

Queste otto risposte partirono da tutte le parti della sala con la rapidità d'un fuoco di filae fecero tanto più ridere in quanto il povero papà Goriot guardava i commensali con un'aria ingenuacome un uomo che cerca di capire una lingua straniera.

- Stor? - domandò a Vautrin - che gli stava vicino.

- Stor-ta ai piedivecchio mio! - rispose Vautrin incalcandogli il cappello con una pacca sulla testa da farglielo scendere fino agli occhi. Il povero vecchiostupefatto da quel brusco colpo rimaseper un momentoimmobile. Cristoforo portò via la scodella del bonuomocredendo avesse finito la minestra; in modo chequando Goriotdopo essersi rialzato il cappelloriprese il cucchiaiolo batté sulla tavola. Tutti i commensali scoppiarono dal ridere.

- Signore - disse il vecchio - voi siete un impertinentee se vi permettete di darmi un'altra volta simili incalcate...

- Ebbene!e allora?papà - disse Vautrin interrompendolo.

- Ebbene!voi la pagherete cara un giorno o l'altro...

- All'infernonon è vero? - disse il pittore - in quell'angoletto nero dove si mettono i bambini cattivi!

- Masignorina - disse Vautrin a Vittorina - voi non mangiate nulla. Il babbo si è mostrato recalcitrante?

- Un orrore - fece la signora Couture.

- Bisogna ricondurlo alla ragione - disse Vautrin.

- Però - disse Rastignacche era assai vicino a Bianchon - la signorina potrebbe intentare un processo per gli alimentiperché non mangia affatto. Eh!eh!guardate come papà Goriot sta osservando la signorina Vittorina.

Il vecchio non badava a mangiare per contemplare la povera ragazzadal cui volto traspariva un dolore veroil dolore della figlia non riconosciuta che ama suo padre.

- Mio caro - disse Eugenio a bassa voce - ci siamo ingannati sul conto di papà Goriot. Non è né un imbecillené un uomo senza nervi. Applicagli il sistema Gall e dimmi poi quel che ne pensi.

Gli ho visto questa notte contorcere un piatto d'argento dorato come fosse stato di cerae in questo momento l'espressione del suo viso indica sentimenti fuori dell'ordinario. La sua vita è così misteriosa che mi sembra valga la pena d'essere studiata. SìBianchontu hai un bel riderema io non scherzo.

- Quest'uomo è un caso clinico - disse Bianchon - d'accordose accettalo anatomizzo.

- Nopalpagli la testa.

- Ah!bravola sua stoltizia può esser contagiosa!

L'indomani Rastignac si vestì in modo assai elegante e si recòverso le tre del pomeriggiodalla signora de Restaudabbandonandosi lungo la strada a quelle speranze storditamente folliche fanno la vita dei giovani così bella d'emozioni; essi non calcolano allora né gli ostacoli né i pericolivedono sempre il successopoetizzano la loro esistenza col solo gioco dell'immaginazionee divengono infelici o tristi per il fallimento di progetti animati solo dai loro desideri sfrenati; se costoro non fossero ignari e timidiil mondo sociale sarebbe impossibile. Eugenio camminava usando mille precauzioni per non infangarsima camminava pensando a quel che avrebbe detto alla signora de Restaud; faceva provviste di spiritoinventava le risposte di una conversazione immaginariapreparava le sue battute argutele sue frasi alla Talleyrandsupponendo piccole circostanze favorevoli alla dichiarazione d'amore su cui fondava il proprio avvenire. Lo studentetuttavias'infangòdovette farsi pulire gli stivaletti e spazzolare i pantaloni al Palais- Royal. "Se fossi ricco"disse fra sé e sé cambiando una moneta da cento soldi che aveva portato per qualche imprevistosarei andato in carrozzae avrei potuto pensare con agio ai casi miei!".

Finalmente giunse in via di Helder e chiese della contessa de Restaud. Con la rabbia fredda di un uomo sicuro di trionfare un giornosubì l'occhiata sprezzante di coloro che lo avevano visto attraversare il cortile a piedisenza aver sentito il rumore d'una carrozza alla porta. Quell'occhiata fu per lui tanto più penosa in quanto s'era reso conto della sua inferiorità entrando nel cortileove scalpitava un bel cavallo riccamente attaccato a uno di quei carrozzini sgargiantiostentazioni del lusso di una vita dissipata e sottintesi dell'abitudine a tutte le felicità parigine. Si mise di cattivo umore. I cassetti aperti nel suo cervelloche contava di trovare pieni di spiritosi chiusero; diventò stupido. Aspettando la risposta della contessaalla quale un domestico annunciava i nomi dei visitatoriEugenio si appoggiò su di un piede solo dinanzi a una finestra dell'anticameraappoggiò il gomito sulla maniglia della finestrae guardò macchinalmente nella corte. Il tempo non gli passava maie già se ne sarebbe andato viase non avesse avuto quella tenacia meridionale che fa prodigi quando segue la linea retta.

- Signore - disse il domestico - la signora è ora nel suo salottino privatomolto occupatae non mi ha neppure risposto; mase il signore vuol passare in salottoc'è già qualcuno. - Pur ammirando lo spaventevole potere di questa gente checon una sola parolaaccusa o giudica i propri padroniRastignac aprì la porta da cui era uscito il domestico certamente apposta per far credere a tali domestici che egli conosceva bene i padroni di casa; ma sbucò sventatamente in una stanza dove si trovavano lumicredenzeun apparecchio per riscaldare gli asciugamani del bagnoe che conduceva a un corridoio oscuro e a una scala segreta. Le risa soffocate che udì nell'anticamera portarono al colmo la sua confusione.

- Signoreil salotto è da questa parte - gli disse il domestico con quel falso rispetto che sembra uno scherno di più.

Eugenio tornò sui suoi passi con una tale precipitazioneche urtò contro una vasca da bagnoma resse fortemente nella mano il cappello in modo da impedire che gli ci cadesse dentro. In quel momento un uscio si aprì in fondo al lungo corridoio illuminato da una piccola lampadae Rastignac sentì nello stesso tempo la voce della signora Restaudquella di Papà Goriot e il suono di un bacio. Rientrò nella sala da pranzola traversòseguì il domestico e rientrò nel primo salottodove rimase fermo dinanzi alla finestraaccorgendosi solo allora che dava nel cortile. Egli voleva vedere se quel papà Goriot era realmente il suo papà Goriot. Il cuore gli batteva in modo stranosi rammentava delle spaventose riflessioni di Vautrin. Il domestico attendeva Eugenio alla porta del salottoma da questo uscì a un tratto un elegante giovane che disse con impazienza: - Me ne vadoMaurizio. Direte alla signora contessa che l'ho attesa per più di mezz'ora. - Questo impertinenteil quale senza dubbio aveva diritto di esserlocanticchiò qualche gorgheggio all'italiana dirigendosi verso la finestra dov'era Eugeniosia per vedere la faccia dello studentesia per guardare in cortile.

- Ma il signor conte farebbe meglio ad aspettare ancora un istantela signora ha finito - disse Maurizio ritornando in anticamera.

In quel momentopapà Goriot sbucava vicino al portone dall'uscita della scaletta. Il bonuomo tendeva l'ombrello e si accingeva ad aprirlosenza vedere che il portone era stato aperto per far passare un giovane decoratoche guidava un tilbury. Papà Goriot ebbe appena il tempo di trarsi indietro per non essere schiacciato. La seta dell'ombrello aveva spaventato il cavalloche fece un leggero scarto verso la gradinata. Il giovane voltò la testa incolleritoguardò papà Goriote gli feceprima che uscisseun saluto che mostrava la considerazione obbligata che si concede agli usurai di cui si ha bisognoo quel rispetto necessario che esige un uomo bacatodi cui più tardi si arrossisce. Papà Goriot rispose con un piccolo saluto amichevolepieno di bonomia. Tutto ciò accadde con la rapidità d'un baleno.

Troppo assorto per accorgersi che non era soloEugenio sentì a un tratto la voce della contessa.

- Ah!Massimovoi ora ve ne andavate - disse con un tono di rimprovero a cui s'univa un po' di stizza.

La contessa non aveva fatto attenzione all'arrivo del tilbury.

Rastignac si volse di scatto e vide la contessa in una civettuola vestaglia di cascemir biancoa nastri rosapettinata con una certa negligenzacome lo sono le parigine al mattino; era profumataaveva senza dubbio fatto il bagnoe la sua bellezzaper così dire ammorbiditasembrava più voluttuosa; i suoi occhi erano umidi. L'occhio dei giovani sa vedere tutto; il loro animo si unisce alle irradiazioni della donna come una pianta aspira nell'aria le sostanze che le sono necessarie; Eugenio sentì la freschezza delle mani di quella donna senza aver bisogno di toccarle. Egli vedevaattraverso il cascemiri toni rosa del busto che la vestaglialeggermente dischiusalasciava a momenti scopertoe sul quale il suo sguardo si stendeva. L'espediente delle stecche non occorreva alla contessabastava la sola cintura a marcarle la flessuosa vitail suo collo invitava all'amorei suoi piedi eran graziosi nelle pantofoline. Quando Massimo prese quella mano per baciarlasolo allora Eugenio si accorse di lui e la contessadi Eugenio.

- Ah!siete voisignor de Rastignacsono lieta di vedervi disse con un tono al quale sanno ubbidire le persone di spirito. Massimo guardava alternativamente Eugenio e la contessa in modo assai significativo per fare andare via l'intruso.

- Suvviamia caraspero che metterai questo stupidello alla porta!

Questa frase era la traduzione chiara e intelligibile degli sguardi del giovane impertinentemente fieroche la contessa aveva chiamato Massimoe del quale lei consultava il visocon quell'intento sottomesso che rivela tutti i segreti di una donna senza che essa se ne accorga. Rastignac provò un odio violento per quel giovane. Innanzi tutto i bei capelli biondi e ben pettinati di Massimo gli fecero capire quanto i suoi fossero orribili. Poi Massimo aveva stivaletti fini e pulitimentre i suoimalgrado l'attenzione che aveva messo nel camminareerano ricoperti d'un leggero strato di fango. Infine Massimo indossava un soprabito che gli stringeva elegantemente i fianchi e lo faceva somigliare a una graziosa donnamentre Eugenio portavaalle due e mezzaun abito nero. L'accorto figlio della Charente sentì la superiorità che l'abbigliamento conferiva a quel dandysottile e altodall'occhio chiarodal colorito pallidoun di quegli uomini capaci di mandare in rovina degli orfani. Senza attendere la risposta d'Eugeniola signora de Restaud corse come a volo spiegato nell'altro salottofacendo svolazzare i lembi della vestaglia che s'avvolgevano e si dispiegavanoin modo da darle l'apparenza d'una farfalla; e Massimo la seguì. Eugeniosu tutte le furieseguì Massimo e la contessa. I tre personaggi si trovarono perciò di fronte all'altezza del caminettoin mezzo al salotto principale. Lo studente sapeva bene che avrebbe dato impaccio all'odioso Massimo; maa rischio di spiacere alla signora de Restaudvolle dare impaccio al dandy. A un trattorammentandosi di aver visto il giovanotto al ballo della signora de Beauséantcomprese quel che rappresentasse Massimo per la signora de Restaud; econ quell'audacia giovanile che fa commettere grandi sciocchezze od ottenere grandi successisi disse: "Ecco il mio rivalevoglio trionfare su di lui".

Imprudente!ignorava che il conte Massimo de Trailles era solito farsi insultareper poter poi tirare per primo e uccidere l'avversario. Eugenio era un provetto cacciatorema non aveva ancora abbattuto venti fantocci su ventidue in un tiro a segno. Il giovane conte si gettò in una poltrona vicino al fuocoprese le mollee smosse i tizzoni con una mossa così violentacosì scontentache il bel volto d'Anastasia espresse una subitanea afflizione. La giovane donna si volse verso Eugenio e gli diede uno di quegli sguardi freddamente interrogativi che dicono tanto chiaro: "Perché non ve ne andate?"da far subito pronunciare alle persone bene educate di quelle frasi che bisognerebbe chiamare:

frasi d'uscita.

Eugenio assunse un'aria garbata e disse:

- Signoraavevo urgenza di vedervi per...

S'interruppe senza aggiungere altro. Un uscio s'aprì. Il signore del tilbury apparvesenza cappellonon salutò la contessaguardò preoccupato Eugenioe stese la mano a Massimodicendogli:

"Buon giorno"con un'espressione fraterna che sorprese singolarmente Eugenio. I giovani di provincia non sanno quanto sia dolce la vita a tre.

- Il signor de Restaud - disse la contessa allo studentepresentandogli suo marito.

Eugenio s'inchinò profondamente.

- Signore - lei disse continuando e presentando Eugenio al conte de Restaud - il signor de Rastignacparente della signora viscontessa de Beauséant dalla parte dei Marcillace che ho avuto il piacere d'incontrare all'ultimo suo ballo.

"Parente della signora viscontessa de Beauséant dalla parte dei Marcillac"! Queste paroleche la contessa pronunciò quasi enfaticamente per quella specie d'orgoglio che prova una padrona di casa nel dimostrare che da lei vengono solo persone distinteebbero un effetto magico; il conte perdette il suo tono freddamente cerimonioso e salutò lo studente.

- Molto lieto - disse - signoredi poter fare la vostra conoscenza.

Lo stesso Massimo de Trailles diede a Eugenio uno sguardo inquieto e smise subito la sua aria impertinente. Questo colpo di bacchetta magicadovuto al potente intervento di un nomeaprì trenta caselle nel cervello del Meridionalee gli fece ritornare lo spirito che s'era preparato. Una subitanea luce gli fece vedere chiaro nell'atmosfera dell'alta società pariginaancora tenebrosa per lui. La casa Vauquerpapà Gorioterano in quel momento ben lungi dal suo pensiero.

- Credevo la famiglia dei Marcillac estinta! - disse il conte de Restaud a Eugenio.

- Sìsignore - questi rispose. - Il mio prozioil cavaliere de Rastignacsposò l'erede della famiglia de Marcillac. Egli ebbe una sola figliache sposò il maresciallo de Clarimbaultavo materno della signora de Beauséant. Noi siamo il ramo cadettoramo tanto più povero in quanto il mio proziovice-ammiraglioha tutto per perduto al servizio del re. Il governo rivoluzionario non ha voluto ammettere i nostri crediti alla liquidazione della compagnia delle Indie.

- Il vostro signor prozio non era forse il comandante del "Vengeur" prima del 1789?

- Precisamente.

- Allora egli deve aver conosciuto mio nonnoche comandava il "Warwick".

Massimo alzò lievemente le spalle guardando la signora de Restaudcome per dirle: "Se si mette a parlare di marina con quello lìsiamo perduti". Anastasia capì lo sguardo del signor de Trailles.

Con quella ammirevole presenza di spirito che hanno le donne sorrise dicendo: - Venite con meMassimoho qualcosa da chiedervi. Signorivi lasceremo navigar di conserva sul "Warwick" e sul "Vengeur".

Si alzò e fece un segno d'ironico tradimento a Massimoche insieme a lei prese la strada del salottino. Non appena la coppia "morganatica"graziosa espressione tedesca che non ha equivalente in franceseraggiunse la portail conte interruppe la conversazione con Eugenio.

- Anastasia!ma restate quimia cara - esclamò con malumore- sapete bene che...

- Tornotorno - disse lei interrompendolo - solo un momento per dire a Massimo una cosa di cui voglio incaricarlo.

Tornò subito. Come tutte le donne cheobbligate a rispettare il carattere del marito per poter fare il loro comodosanno fin dove possono arrivare per non perdere una fiducia preziosae che a tale scopo non lo urtano nelle piccole cose della vitala contessa aveva capito dalle inflessioni della voce del conte che non era prudente trattenersi nel salottino. Questi contrattempi erano dovuti alla presenza di Eugenio. Perciò la contessa indicò lo studente con un'aria e un gesto pieni di dispetto a Massimoil quale disse molto epigrammaticamente al contea sua moglie e a Eugenio:

- Sentitevoi avete da parlare d'affarinon voglio disturbarvi; arrivederci. - E uscì precipitosamente.

- Ma restateMassimo! - gridò il conte.

- Venite a pranzo da noi - disse la contessa chelasciando ancora una volta Eugenio e il conteseguì Massimo nel primo salottoove rimasero insieme quel tanto da credere che nel frattempo il signor de Restaud avrebbe liquidato Eugenio.

Rastignac li sentiva ora scoppiar dal ridereora parlareora tacere; ma il malizioso studente faceva intanto lo spiritoso col signor de Restaudlo adulava o lo imbarcava in discussioniper rivedere la contessa e sapere quali erano le sue relazioni con papà Goriot. Quella donnaevidentemente innamorata di Massimoquella donnapadrona di suo maritolegata segretamente al vecchio vermicellaiogli sembrava tutto un mistero. Egli voleva penetrare in tale misterosperando così di poter regnare da sovrano su quella donna così squisitamente Parigina.

- Anastasia - disse il contechiamando di nuovo sua moglie.

- Mio povero Massimo - disse lei al giovanotto - bisogna rassegnarsi. A questa sera... - SperoNasia - le disse all'orecchio - che darete l'ordine di non far più entrare quel ragazzotto i cui occhi si accendevano come carboni quando la vostra vestaglia s'apriva. Sarebbe capace di farvi delle dichiarazioni d'amorevi comprometterebbee mi costringerebbe a ucciderlo.

- Siete pazzoMassimo? - disse lei. - Questi studentelli non sono forseal contrarioeccellenti parafulmini? Troverò il modotuttaviadi farlo prendere in uggia da Restaud.

Massimo scoppiò dal ridere e uscìseguito dalla contessache si affacciò alla finestra per vederlo salire in carrozzae far scalpitare il cavallo agitando la frusta. Tornò solo quando il portone fu richiuso.

- Ma saimia cara - le disse il conte quando rientrò - il fondo dove risiede la famiglia del signore non è lontano da Verteuilsulla Charente. Il prozio del signore e mio nonno si conoscevano.

- Felice di trovarmi fra conoscenti - disse la contessa distratta.

- Più di quanto non lo crediate - disse a bassa voce Eugenio.

- Come! - fece ella vivamente.

- Ma - riprese lo studente - ho visto or ora uscire da casa vostra un signore col quale sono porta a portanella stessa pensione:

papà Goriot.

A questo nome adorno della parola padre il conte che stava attizzando il fuocogettò le molle nel fuococome se gli avessero scottato le manie si alzò.

- Signoreavreste potuto anche dire: il signor Goriot - esclamò.

La contessa dapprima impallidìvedendo lo scatto del maritopoi arrossìe rimase evidentemente imbarazzata; poirispose con voce che volle render naturalee con un'aria falsamente disinvolta:

- E' impossibile conoscere persona cui noi si voglia più bene...- S'interruppeguardò il pianofortecome se si destasse in lei qualche capriccioe disse: - Vi piace la musicasignore?

- Molto - rispose Eugeniodivenuto rosso e mortificato dalla idea confusa di aver commesso una grossa sciocchezza.

- Cantate? - domandò lei andando verso il pianofortedi cui toccò vivacemente tutti i tasti dal do più basso al fa più alto. Rrrrah !

- Nosignora.

Il conte de Restaud camminava intanto in lungo e in largo.

- Peccatovi siete privato di un gran mezzo di successo.

- "Ca-a-roca-a-a-roca-a-a-a-ronon dubitar" cantò la contessa.

Pronunciando il nome di papà GoriotEugenio aveva dato un colpo di bacchetta magicama con un risultato contrario a quello che avevano ottenuto le parole: parente della signora de Beauséant.

Egli si trovava nella situazione di un uomo introdotto a titolo di favore in casa di un collezionista di curiositàe cheurtando per inavvertenza in un armadio pieno di statuinefaccia cadere tre o quattro teste male incollate. Avrebbe voluto sprofondarsi in un abisso. L'espressione del volto della signora de Restaud era sgarbatafreddae i suoi occhi divenuti indifferenti sfuggivano quelli dello sfortunato studente.

- Signora - egli disse - voi avete da parlare col signor de Restaudvogliate gradire i miei omaggie permettermi...

- Quando verrete - fece precipitosamente la contessa fermando Eugenio con un gesto - fareste sempre al signor de Restaud e a me il più grande piacere.

Eugenio s'inchinò profondamente alla coppia e uscìseguito dal signor de Restaud il qualenonostante le insistenze dell'ospite perché non si disturbasselo accompagnò fino all'anticamera.

- Ogni volta che il signore si presenterà alla porta - disse il conte a Maurizio - né la signora né io ci saremo mai per lui.

Quando Eugenio mise il piede sulla gradinatasi accorse che pioveva. "Insommasi dissesono venuto qui a commettere una balordaggine di cui ignoro la causa e le conseguenzeper di più ci rimetterò l'abito e il cappello. Farei meglio a restarmene nel mio cantuccio a sgobbare sul Dirittoa non pensare ad altro che a diventare un severo magistrato. Posso io andare in società seper destreggiarsi convenientementeoccorrono un mucchio di carrozzinistivaletti verniciatiattrezzi indispensabilicatene d'oroguanti di daino che costano sei franchida calzare la mattinae guanti gialli tutte le sere? Ohvecchio buffo d'un papà Goriot!".

Quando si trovò sotto il portoneil cocchiere d'una vettura da noloche tornava certamente dall'aver accompagnato una coppia di sposi e che non chiedeva di meglio che rubare al padrone qualche corsa di contrabbandofece segno a Eugeniovedendolo senza ombrelloin abito neropanciotto biancoguanti gialli e stivaletti lucidi. Eugenio era in preda a una di quelle rabbie sorde che spingono un giovane ad affondarsi sempre più nell'abisso in cui è cadutoquasi sperando di trovarvi una fortunata via di scampo. Acconsentì con un movimento della testa all'offerta del cocchieree salì nella vettura ove alcuni bocciuoli di fiori d'arancio e alcuni fili argentati attestavano che c'erano stati degli sposi.

- Dove va il signore? - chiese il cocchiereche s'era già tolto i guanti bianchi.

- Diamine! - si disse Eugenio - dato che mi sono gettato allo sbaraglioche almeno mi serva a qualche cosa!

- Andiamo al palazzo de Beauséant - aggiunse ad alta voce.

- Quale? - domandò il cocchiere.

Parola sublimeche confuse Eugenio. Questo novello uomo elegante non sapeva che esistevano due palazzi de Beauséantignorava quanto era ricco in fatto di parentiche non si curavano di lui.

- Il visconte de Beauséantin via...

- Di Grenelle - disse il cocchiere scuotendo la testa e interrompendolo. - Ma c'è anche il palazzo del conte e del marchese de Beauséantin via Saint-Dominique - egli aggiunserialzando il predellino.

- Lo so bene - rispose Eugenio con un tono secco. - Oggi tutti mi prendono dunque in giro! - si disse gettando il cappello sui cuscini del sedile anteriore. - Questa è una scappata che mi costerà quanto il riscatto d'un re. Ma almeno farò una visita alla mia sedicente cugina in piena forma aristocratica. Papà Goriot mi costa già per lo meno dieci franchiil vecchio scellerato! In fede mia!voglio raccontare la mia avventura alla signora de Beauséante forse la farò ridere. Lei saprà certamente il mistero dei legami criminosi tra quel vecchio topo senza coda e quella bella donna. E' meglio piacere a mia cugina che andare a battere contro quella donna immoraleche mi fa l'impressione sia molto costosa. Se il solo nome della bella viscontessa è già tanto potentedi quale importanza non sarà la sua persona? Miriamo in alto. Quando si punta a qualcosa che è in cielonon bisogna forse mirare a Dio? - Queste parole rappresentavano la formula breve di mille e un pensieri tra i quali egli ondeggiava. Riebbe un poco di calma e di fiducia vedendo cadere la pioggia. Disse fra sé e sé chese buttava due delle preziose monete da cento soldi che gli rimanevanoesse sarebbero state convenientemente impiegate nella conservazione dell'abitodegli stivaletti e del cappello. Non fu senza una punta di ilarità che udì il cocchiere gridare: "La portaper favore!". Un guardaportone in uniforme rosso-oro fece stridere sui cardini il portone del palazzoe Rastignac vide con una dolce soddisfazione la sua vettura passare sotto l'andronefare il giro del cortile e fermarsi sotto la pensilina della gradinata. Il cocchieredal pesante pastrano blu bordato di rossocorse ad abbassare il predellino. Scendendo dalla vetturaEugenio sentì delle risa rattenute che provenivano dal peristilio.

Tre o quattro domestici s'erano già fatti beffe di quell'equipaggio da sposi popolari. Le loro risa illuminarono lo studente proprio nel momento in cui confrontò quella vettura con uno dei più eleganti "coupés" di Parigiattaccato a due vivaci cavalli che portavano rose agli orecchiche mordevano il freno e che un cocchiere incipriatoelegante nella sua cravattateneva in briglia come se fossero in procinto di prender la mano. Alla Chaussée-d'Antin nel cortile del palazzo della signora de Restaud aveva trovato il fine carrozzino del ventiseienne. Nel faubourg Saint-Germain stazionava in lusso di un gran signoreun equipaggio che a pagarlo non sarebbero bastati trentamila franchi.

"Chi c'è dunque?"si domandò Eugenio cominciando a capire con qualche ritardo che a Parigi poche dovevano essere le donne non occupatee che la conquista di una di queste regine doveva costare più del sangue. "Diamine! Anche mia cugina avrà certamente il suo Massimo".

Salì la gradinata con la morte nell'anima. Al suo apparire la porta a vetri s'aprì; i domestici erano seri come asini sotto la striglia. La festa da ballo cui aveva preso parte s'era svolta nei grandi appartamenti da ricevimentosituati al pianterreno del palazzo de Beauséant. Non avendo avuto il tempotra l'invito e il ballodi far visita alla cuginanon era ancora mai penetrato negli appartamenti della signora de Beauséant; egli stava dunque per vedere per la prima volta le meraviglie di quell'eleganza personaleche rivela l'anima e le abitudini d'una donna di classe: studio tanto più curioso in quanto il salotto della signora de Restaud gli offriva un termine di paragone. La viscontessa lo avrebbe ricevuto alle quattro e mezza. Cinque minuti primanon avrebbe potuto vedere sua cugina. Eugenioche ignorava affatto queste varie etichette pariginefu condotto attraverso uno scalone di marmo biancoadorno di fioridalla ringhiera doratadalla guida rossapresso la signora de Beauséantdella quale non conosceva la biografia verbaleuna cioè di quelle tante mutevoli storie che si raccontano tutte le sere da un orecchio all'altro nei salotti di Parigi.

La viscontessa aveva da tre anni una relazione con uno dei più famosi e più ricchi signori portoghesi: il marchese d'Adjuda- Pinto. Era una di quelle relazioni innocenticosì ricche d'attrattive per le persone in tal modo legateda non poter sopportare un terzo incomodo. Perciò lo stesso visconte de Beauséant aveva dato il buon esempio al pubblicorispettandoper amore o per forzatale unione morganatica Le persone chenei primi giorni di questa amiciziaandarono a trovare la viscontessa alle duevi trovarono il marchese d'Adjuda-Pinto. La signora de Beauséantincapace di rifiutarsi di ricevere - il che non sarebbe stato affatto conveniente - riceveva gli ospiti con tanta freddezza e contemplava con tanta attenzione la cornice del salottoche ognuno capiva quanto l'annoiasse. Quando si seppe in Parigi che si dava noia alla signora de Beauséant andandola a trovare tra le due e le quattroessa poté godere la più completa solitudine. Andava ai "Bouffons" o all'Opéra in compagnia del signor de Beauséant e del signor d'Adjuda-Pinto; mada uomo di mondoil signor de Beauséantdopo averveli accompagnatilasciava sempre soli la moglie e il Portoghese. Il signor d'Adjuda doveva sposarsi. Doveva sposare una signorina de Rochefide. In tutta l'alta società una sola persona ignorava questo matrimonioe la persona era la signora de Beauséant. Alcune sue amiche gliene avevanosìparlatoma vagamentelei ne aveva risoritenendo che gli amici volessero turbare una felicità invidiata. Tuttavia le pubblicazioni stavano per esser fatte. Sebbene fosse venuto per partecipare il proprio matrimonio alla viscontessail bel Portoghese non aveva ancora osato fargliene parola. Perché nulla senza dubbio è più difficile che dar notizia a una donna di un simile ultimatum. Certi uomini si trovano più a loro agio sul terrenodi fronte a un uomo che attenta al loro cuore con una spadache non dinanzi a una donna la qualedopo avere spacciato le proprie elegie per due oresviene e chiede i sali. In quel momentodunqueil signor d'Adjuda-Pinto era sulle spinee voleva uscirepensando che la signora de Beauséant avrebbe saputo la notizia; le avrebbe scrittoe sarebbe stato più comodo trattare il galante assassinio per corrispondenza che non a viva voce. Quando il domestico della viscontessa annunciò il signor Eugenio de Rastignacquesti fece trasalir di gioia il marchese d'Adjuda-Pinto. Sappiatelo bene: donna innamorata è ancor più ingegnosa a crearsi dei dubbi di quanto non sia abile a variare il piacere. Quando è sul punto d'essere abbandonataindovina più facilmente il significato d'un gesto di quanto il destriero di Virgilio non annusi i lontani corpuscoli messaggeri d'amore.

Perciò siate certi che la signora de Beauséant colse quel trasalimento involontario quasi impercettibilema candidamente spaventevole. Eugenio non sapeva che non ci si deve mai presentare a chicchessia in Parigi senza essersi fatto prima raccontare dagli amici di casa la storia del maritodella moglie o dei figliper non commettere nessuna di quelle balordaggini a proposito delle quali si dice pittorescamente in Polonia: "Attaccate i buoi al carro vostro"! certo per evitare il malpasso in cui vi impantanereste. Se questi infortuni della conversazione non hanno ancora un nome in Franciaè perché sono considerati indubbiamente impossibilidata l'enorme pubblicità che godono le maldicenze.

Dopo essersi impantanato dalla signora de Restaudche non gli aveva lasciato neppure il tempo di attaccare i buoi al suo carrosolo Eugenio poteva essere capace di ricominciare il proprio mestiere di bovaro presentandosi in casa della signora de Beauséant. Mase aveva orribilmente infastidito la signora de Restaud e il signor de Traillesora invece toglieva dall'imbarazzo il signor d'Adjuda. Addio - stava dicendo il Portoghese affrettandosi a raggiungere l'uscioquando Eugenio entrò in un salottino civettuologrigio e rosadove il lusso sembrava soltanto eleganza.

- Ma questa sera - disse la signora de Beauséant volgendo la testa e dando uno sguardo al marchese - non si va ai "Bouffons"?

- Non posso - gli rispose afferrando la maniglia dell'uscio.

La signora de Beauséant si alzòlo richiamò vicino a sésenza porre la minima attenzione a Eugenioil qualein piedistordito dagli scintillii d'una ricchezza meravigliosacredeva adesso alla realtà dei racconti arabie non sapeva dove cacciarsitrovandosi in presenza di quella donna senza esser notato da lei. La viscontessa aveva alzato l'indice della sua mano destrae con una graziosa mossa indicava al marchese un posto dinanzi a lei. Ci fu in quel gesto un così violento dispotismo di passioneche il marchese lasciò la maniglia dell'uscio e tornò indietro. Eugenio lo guardò con una punta d'invidia.

"Ecco"si dissel'uomo del coupé! Ma dunque è proprio necessario avere cavalli focosi, livree e oro a profusione per ottenere lo sguardo d'una Parigina?. Il demone del lusso lo morse al cuorela febbre del guadagno lo presela sete dell'oro gli inaridì la gola. Egli non disponeva che di centotrenta franchi a trimestre. Il padrela madrei fratellile sorellela zia non spendevanotutti insiemeduecento franchi al mese. Tale rapido confronto tra la sua situazione attualee la meta cui bisognava arrivarecontribuirono a sbalordirlo.

- Perché - domandò la viscontessa ridendo - voi non potete venire agli "Italiens"?

- Affari. Pranzo dall'ambasciatore d'Inghilterra.

- Ma poi lo lascerete.

Quando un uomo ingannaè invincibilmente costretto ad accumulare bugie su bugie. Il signor d'Adjuda disse allora ridendo:

- Lo esigete?

- Sìcerto.

- Ecco quel che volevo farmi dire - risposedando uno di quegli sguardi maliziosi che avrebbero rassicurato tutt'altra donna.

Prese la mano della viscontessala baciò e uscì.

Eugenio si passò la mano sui capellie si torse per salutarecredendo che la signora de Beauséant ora avrebbe pensato a lui; ma a un tratto essa si slanciasi precipita in galleriacorre alla finestra e guarda il signor d'Adjuda che sale in carrozza: tende l'orecchio all'ordinee sente che il portiere ripete al cocchiere: "Dal signor de Rochefide". Queste parolee il modo col quale d'Adjuda si tuffò nella carrozza furono il lampo e la folgore per quella donnache rientrò in preda a mortali apprensioni. Le più orribili catastrofi non sono che questo nel gran mondo. La viscontessa tornò nella camera da lettosi sedette a un tavoloe prese un elegante foglio di carta.

"Dato che"scrissevoi pranzate dai Rochefide, e non all'ambasciata inglese, mi dovete una spiegazione; vi attendo.

Dopo aver raddrizzato qualche letterasfigurata dal tremolio convulso della manoappose un C che voleva dire: Clara de Bourgognee suonò.

- Giacomo - disse al domestico che accorse - andate alle sette e mezza dal signor de Rochefidee lì domandate del marchese d'Adjuda. Se il signor marchese è lìfategli pervenire questo biglietto senza chiedere risposta; se non c'ètornate e riportatemi la lettera.

- C'è qualcuno che attende la signora viscontessa in salotto.

- Ah! è vero - disse lei spingendo la porta.

Eugenio cominciava a trovarsi a disagio; finalmente la viscontessa gli disse con un tono da emozionarlo fin nel profondo del cuore:

- Scusatemisignoredovevo scrivere una parolama ora sono tutta per voi. - Lei non sapeva quel che si dicessegiacché ecco quello che invece pensava: "Ah!vuole sposare la signorina de Rochefide. Ma è forse libero? Questa sera il matrimonio andrà in fumoo io... Ma domani non se ne parlerà già più".

- Cugina.. - rispose Eugenio.

- Eh? - fece la viscontessagettandogli uno sguardo la cui impertinenza agghiacciò lo studente.

Eugenio comprese il valore di quella esclamazione. Da tre ore aveva imparato tante coseche s'era messo sul chi va là.

- Signora - egli riprese a dire arrossendo. Esitòpoi disse continuando: - Perdonate; ho tanto bisogno di protezioneche un briciolo di parentela non avrebbe guastato nulla.

La signora de Beauséant sorrisema tristemente; essa sentiva già la sfortuna brontolare nella sua atmosfera.

- Se sapeste in che situazione si trova la mia famiglia - egli disse continuando - forse sareste lieta di far la parte di una di quelle fate favolose che si compiacevano di eliminare gli ostacoli attorno ai loro figliocci.

- Ebbene!cugino - disse ridendo - in che cosa posso esservi utile?

- Ma come volete che lo sappia? Essere legato a voi da un legame di parentela che si perde nell'ombra è già una grande fortuna per me. Voi mi avete turbatoe io non so più cosa volevo dirvi. Siete la sola persona che conosco a Parigi. Ah!eccovolevo consultarvi pregandovi di accogliermi come un povero fanciullo che vuol attaccarsi alla vostra sottanae che saprebbe morire per voi.

- Voi uccidereste qualcuno per me?

- Ne ucciderei due! - fece Eugenio.

- Ragazzo !sìsiete un ragazzo - lei disse reprimendo qualche lacrima; - voi sareste capace di amare sinceramentevoi!

- Oh! - egli fece scuotendo la testa.

La viscontessa s'interessò vivamente allo studente per quella risposta da ambizioso. Il meridionale era alle sue prime armi. Tra il salottino azzurro della signora de Restaud e il salotto rosa della signora de Beauséantaveva fatto tre anni di quel "Diritto parigino" di cui non si parla maisebbene costituisca un'alta giurisprudenza sociale cheben espressa e ben praticataconduce a tutto.

- Ah!ci sono - - disse Eugenio. - Avevo notato la signora de Restaud al vostro balloe stamane mi sono recato da lei.

- Le avrete procurato un bel fastidio - disse sorridendo la signora de Beauséant.

- Eh?sìsono un ignorante e mi farò tanti nemicise non mi accorderete la vostra protezione. Credo sarà difficile trovare a Parigi una donna giovanebellariccaeleganteche non sia occupatae a me ne occorre una che m'insegni ciò che voi donne sapete così bene spiegare: la vita. Troverò ovunque un signor de Trailles. Sono venuto perciò da voi per chiedervi la soluzione di un enigmae per pregarvi di dirmi di quale natura sia la sciocchezza che io ho commesso. Ho parlato di un padre...

- La signora duchessa de Langeais - disse Giacomo tagliando la parola allo studenteche fece il gesto di un uomo violentemente contrariato.

- Se volete avere successo nella vita - disse la viscontessa d bassa voce - prima di tutto non dimostrate così palesemente i vostri sentimenti. Eh!buon giornomia cara-riprese alzandosiandando incontro alla duchessa e stringendole le manicon l'effusione carezzevole che avrebbe potuto dimostrare a una sorella e alla quale la duchessa rispose con le più graziose moine.

"Ecco due buone amiche"pensò Rastignac. "Avrò d'ora in poi due protettrici; le due donne devono avere gli stessi affettie anche questa s'interesserà di me".

- A che debbo il piacere di vedertimia cara Antonietta? disse la signora de Beauséant.

- Maho visto il signor d'Adjuda-Pinto entrare in casa del signor de Rochefidee allora ho pensato che vi avrei trovata sola.

La signora de Beauséant non si morse le labbranon arrossìil suo sguardo non mutòla sua fronte parve schiarirsi mentre la duchessa pronunciava quelle fatali parole.

- Se avessi saputo che eravate occupata... - aggiunse la duchessa volgendosi verso Eugenio.

- Il signore è il signor Eugenio de Rastignacuno dei miei cugini - disse la viscontessa. - Avete notizie del generale Montriveau ?- ella fece. - Sérizym'ha detto ieri che non lo si vedeva più; è stato forse da voioggi?

La duchessache si diceva fosse stata abbandonata dal signor de Montriveauper il quale nutriva una folle passionesentì nel cuore la punta di quella domandae arrossì rispondendo:

- Era all'Eliseo.

- In servizio - disse la signora de Beauséant.

- Claravoi sapete certamente - riprese la duchessa gettando fiotti di malignità dagli occhi - che domani si faranno le pubblicazioni di matrimonio del signor d'Adjuda-Pinto e della signorina Rochefide!

Il colpo era troppo forte: la viscontessa impallidì e rispose ridendo:

- Una delle tante chiacchiere con le quali si divertono gli sciocchi. Quale ragione avrebbe il signor d'Adjuda di portare fra i Rochefide uno dei più bei nomi del Portogallo? La nobiltà dei Rochefide è di ieri.

- Ma si dice che Berta avrà duecentomila lire di rendita.

- Il signor d'Adjuda è troppo ricco per fare questi calcoli.

- Mamia carala signorina de Rochefide è incantevole.

- Ah!

- E poioggi pranza da loroi patti sono conclusi. Mi meraviglia molto che non ne sappiate nulla.

- Qual'è dunque la sciocchezza che avete commessosignore-disse la signora de Beauséant. - Questo povero ragazzo si trova così da poco lanciato nel mondoche nulla comprendemia cara Antoniettadi quanto diciamo. Siate buona con luirimandiamo a domani la nostra conversazione. Domanivedetetutto sarà certamente ufficialee voi potrete essere ufficiosa a colpo sicuro.

La duchessa rivolse a Eugenio uno di quegli sguardi impertinenti che avvolgono un uomo da cima a piedilo schiacciano e lo riducono a zero.

- Signoraiosenza saperloho immerso un pugnale nel cuore della signora de Restaud. Senza saperloecco il mio errore - disse lo studente abbastanza ben servito dalla sua intelligenza e che aveva compreso i mordenti epigrammi nascosti sotto le frasi affettuose di quelle due donne. - Voi continuate a trattaretemendole forsele persone consapevoli del male che vi fannomentre chi ferisce ignorando la profondità della ferita arrecata è considerato uno scioccoun incauto che non sa approfittar di nullae tutti lo disprezzano.

La signora de Beauséant lanciò sullo studente uno di quegli sguardi struggenti nei quali le grandi anime sanno mettere riconoscenza einsiemedignità. Quello sguardo fu come un balsamo che curò la piaga fatta al cuore dello studente dall'occhiata da ufficiale-stimatore con la quale la duchessa lo aveva valutato.

- Figuratevi - disse Eugenio continuando - che io m'ero già venuto conquistando la simpatia del conte de Restaud; giacché - aggiunse rivolgendosi alla duchessa con un'aria umile e al tempo stesso maliziosa - devo dirvisignorache io non sono ancora che un povero diavolo di studentetanto solotanto povero...

- Non dite questosignor de Rastignac. Noi donne non vogliamo mai quello che gli altri non vogliono.

- Oh! - fece Eugenio - io non ho che ventidue annie bisogna sopportare le contrarietà della propria età. Del restoio mi sto confessando; ed è impossibile inginocchiarsi a un più prezioso confessionale: vi si commettono i peccati di cui si è accusati poi nell'altro.

La duchessa assunse un tono freddo a un tal discorso irreligiosodi cui condannò il cattivo gusto dicendo alla viscontessa:

- Il signore viene...

La signora de Beauséant rise di cuore di suo cugino e della duchessa.

- Viene solo adessomia carae cerca una istitutrice che gli insegni il buon gusto.

- Signora duchessa - riprese Eugenio - non è forse naturale di volersi iniziare ai segreti di quel che ci ammalia? "Andiamo"disse a se stessosono certo che sto dicendo loro frasi da parrucchiere.

- Ma la signora de Restaud ècredol'allieva del signor de Trailles - disse la duchessa.

- Non ne sapevo nullasignora - riprese a dire lo studente. - E così io mi sono messo storditamente tra loro due. Insommam'ero già alquanto affiatato col maritomi vedevo sopportato dalla mogliequando mi è venuto in mente di dir loro che conoscevo un uomo che avevo visto proprio allora uscire da una scala segretae che avevain fondo a un corridoiobaciato la contessa.

- Chi era? - domandarono le due donne.

- Un vecchio che vive con due luigi al mesein fondo al faubourg Saint-Marceaucome mestudente povero; un vero disgraziato che tutti burlano e che chiamiamo papà Goriot.

- Mabambino che siete - esclamò la viscontessa - la signora de Restaud nasce Goriot.

- La figlia di un vermicellaio - riprese la duchessa - una donnetta che si è fatta presentare a corte contemporaneamente alla figlia d'un pasticciere. Ve ne ricordateClara? Il re si mise a rideree disse in latino un motto spiritoso sulla farina.

Persone...come disse?persone...

- "Ejusdem farinae"- disse Eugenio.

- Proprio così - disse la duchessa.

- Ah!è suo padre - riprese lo studente facendo un gesto d'orrore.

- Ma sì; il bonuomo aveva due figliedi cui va pazzosebbene l'una e l'altra l'abbiano quasi rinnegato.

- La seconda - domandò la viscontessa guardando la signora de Langeais - non è maritata a un banchiereche ha un cognome tedescoun barone de Nucingen? Non si chiama Delfina? Non è una bionda che ha un palco di fianco all'Opérae frequenta anche i "Bouffons"e ride forte per farsi notare?

La duchessa sorrise dicendo:

- Mamia caraio proprio vi ammiro. Perché vi occupate tanto di quella gente ? Bisognava proprio essere innamorato pazzocome lo era Restaudper infarinarsi con la signorina Anastasia. Oh!non ci farà davvero un buon affare ! Lei è nelle mani del signor de Traillese lui la manderà alla rovina.

- Hanno rinnegato il loro padre! - ripeteva Eugenio.

- Ebbenesìil loro padreun padre - riprese a dire la viscontessa - un buon padre che ha dato loro tutto; si dice abbia dato a ciascuna cinque o seicentomila franchi per renderle felici maritandole bene; ed egli s'è riservato da otto a diecimila franchi di rendita per sécredendo che le figlie gli sarebbero rimaste figliee che si sarebbe creato presso di loro due esistenzedue case dove sarebbe stato adoratovezzeggiato. E invece in due anni i generi l'hanno bandito dal loro ambiente come l'ultimo dei miserabili... - Qualche lacrima sgorgò dagli occhi di Eugenio: egli era stato di recente ristorato dalle pure e sante emozioni della famiglia; era ancora sotto il fascino delle convinzioni giovanili; ed era quella la sua prima giornata nel campo di battaglia della civiltà parigina. Le vere emozioni si comunicano così facilmenteche per qualche minuto i tre si guardarono in silenzio.

- Eh! mio Dio - disse la signora de Langeais - sìciò sembra orribileeppure lo vediamo tutti i giorni. Non c'è una ragione in tutto questo? Ditemicaraavete mai pensato che cos'è un genero?

Un genero è un uomo per il quale noi alleveremovoi od iouna cara creaturinacui saremo attaccate da mille legamiche rappresenterà per diciassette anni la gioia della famigliache ne sarà l'anima candidadirebbe Lamartinee ne diverrà la peste.

Quando quest'uomo ce l'avrà presacomincerà con l'afferrare il suo amore come un'asciaper tagliare nel cuore e nel vivo di quell'angelo tutti i sentimenti per i quali era attaccata alla sua famiglia. Ierila nostra figlia era tutta per noie noi eravamo tutto per lei; domani diventerà la nostra nemica. Non vediamo questa tragedia compiersi tutti i giorni? Quila nuora si comporta con estrema impertinenza verso il suoceroche ha sacrificato tutto per suo figlio. Làun genero mette la suocera alla porta. Sento chiedere che cosa ci sia di drammatico oggi nella società! Ma il dramma del genero è spaventososenza poi contare i nostri matrimonidiventati qualcosa di assai stupido.

Mi rendo perfettamente conto di ciò che è accaduto al vecchio vermicellaio. Credo di ricordarmi che questo Foriot...

- Goriotsignora.

- Sìquesto Moriot fu presidente di una sezione durante la rivoluzioneebbe parte nel segreto della famosa carestiae cominciò la sua fortuna col vendere a quei tempi la farina ad un prezzo dieci volte superiore a quello che gli costava. Ne ha avuta quanta ne ha voluta. L'amministratore di mia nonna gliene ha venduta per somme enormi. Questo Goriot faceva senza dubbio a mezzocome tutta quella gentecol Comitato di Salute Pubblica.

L'amministratorericordodiceva a mia nonna che poteva rimanere con tutta tranquillità a Grandvilliersperché il suo grano costituiva una eccellente tessera civica. Ebbenequesto Loriotche vendeva grano ai tagliatori di testenon ha avuto che una passione. Adoradiconole figlie. Ha fatto appollaiare la maggiore nella casa de Restaude ha innestato l'altra al barone de Nucingenun ricco banchiere che fa il monarchico.

Comprenderete bene comesotto l'imperoi due generi non si siano troppo scandalizzati di avere quel vecchio Novantatré presso di loro: la cosa poteva ancora andare con Bonaparte. Ma quando sono tornati i Borboniil bonuomo ha dato fastidio al signor de Restaude ancor più al banchiere. Le figlieche forse amavano ancora il padrehanno voluto salvare capra e cavoliil padre e il marito; e hanno adottato il sistema di ricevere il Toriot quando in casa non c'è nessuno; e hanno giustificato la cosa con pretesti affettuosi: "Papàvenitestaremo meglio perché saremo soli!" eccetera. Iomia caracredo che i sentimenti sinceri abbiano occhi e intelligenza: il cuore di quel povero Novantatré deve aver sanguinato. Ha capito che le figlie si vergognavano di lui; che se esse amavano i loro maritiegli nuoceva ai suoi generi. Bisognava dunque sacrificarsi. E si è sacrificatoperché è un padre: si è messo al bando da se stesso. Vedendo le figlie contenteha compreso d'aver fatto bene. Il padre e le figlie sono stati complici di questo piccolo delitto. E' una cosa che accade dappertutto. Questo papà Doriot non sarebbe stato forse come una macchia di morchia nel salotto delle figlie? Ci si sarebbe trovato a disagioci si sarebbe annoiato. Quel che è accaduto a questo padre può capitare alla più bella donna con l'uomo che amerà di più: se lei lo annoia col suo amorelui se ne vae commette qualsiasi vigliaccheria pur di sfuggirla. Tutti i sentimenti sono così. Il nostro cuore è un tesorovuotatelo di colposiete rovinati. Noi non perdoniamo a un sentimento d'essersi manifestato nella sua interezza più di quanto non perdoniamo a un uomo di non possedere un soldo di suo. Quel padre aveva dato tutto. Aveva datoper venti annile sue viscereil suo amore; aveva dato tutta la sua fortuna in un giorno. Spremuto bene il limonele figlie hanno gettato la buccia all'angolo della strada.

- Il mondo è infame - disse la viscontessa sfilacciando il suo scialle e senza alzare gli occhipoiché era stata toccata nel vivo dalle parole che la signora de Langeais aveva pronunciato proprio per leinarrando questa storia.

- Infame?no - riprese a dire la duchessa - va per il verso suoecco tutto. Se ve ne parlo cosìè per dimostrarvi che non mi faccio ingannare dal mondo. La penso come voi - disse premendo la propria mano su quella della viscontessa. - Il mondo è un pantanocerchiamo di rimaner sulle alture. Si levòbaciò sulla fronte la signora de Beauséant dicendole: - Siete proprio bellain questo momentomia cara. Avete i più bei colori che abbia mai visto. - Poi uscì dopo aver lievemente chinato la testa nel guardare il cugino.

- Papà Goriot è sublime! - disse Eugenio rammentandosi di averlo visto torcere nella notte il servizio d'argento dorato. La signora de Beauséant non sentìera pensierosa. Trascorse qualche minuto di silenzioe il povero studenteper una specie di timido stuporenon osava né andarsenené rimanerené parlare.

- Il mondo è infame e cattivo - disse poi la viscontessa. - Non appena ci capita una disgraziasi trova subito un amico pronto a venircela a diree a trafiggerci il cuore con un pugnale facendocene ammirare l'impugnatura. E già il sarcasmogià le ironie! Ah!ma io mi difenderò.. Erse la testa da gran dama qual erae baleni partirono dagli occhi suoi fieri. - Ah! - fece quindi vedendo Eugenio - siete ancora lì!

- Ancora - egli disse sommessamente.

- Ebbenesignor de Rastignactrattate questo mondo come merita.

Volete arrivare?io vi aiuterò. Misurerete quanto è profonda la corruzione femminilemisurerete l'ampiezza della miserabile vanità degli uomini. Quantunque abbia già letto bene in questo libro del mondoc'erano pagine che ancora non conoscevo. Ora so tutto. Più freddamente calcoleretepiù andrete avanti. Colpite senza pietàe sarete temuto. Considerate uomini e donne come cavalli di postae lasciateli crepare a ogni cambio: arriverete così all'àpice delle vostre ambizioni. Edate retta a me: non diverrete mai nientein questa societàse non avrete una donna che s'interesserà di voi. Deve essere giovanericcaelegante. Ma se nutrite un sentimento sincerotenetelo nascosto come un tesoro; non lasciatelo mai scorgerealtrimenti sarete perduto.

Non sareste più il carneficema diverrete la vittima. Se dovesse capitarvi di amaremantenete gelosamente il vostro segreto!

Svelatelo solo quando avrete ben saputo a chi aprirete il vostro cuore. Per preservare in anticipo questo amore che non esiste ancoraimparate a diffidare di questo mondo. AscoltatemiMichele...(Essa sbagliava ingenuamente il nome senza accorgersene). Esiste qualcosa di più spaventoso ancora dell'abbandono del padre da parte delle sue due figlieche lo vorrebbero morto: ed è la rivalità delle due sorelle tra loro.

Restaud è un aristocraticosua moglie è stata ammessa e presentata a corte; ma sua sorellala sua ricca sorellala bella signora Delfina de Nucingenmoglie d'un uomo denarosomuore dal dispiacere; la gelosia la divoraè distante le mille miglia dalla sorella; sua sorella non è più sua sorella; e due donne si rinnegano fra loro come rinnegano il loro padre. Perciòla signora de Nucingen leccherebbe tutto il fango che c'è tra la via Saint-Lazare e la via de Grenelle pur di entrare nel mio salotto.

Ha creduto che de Marsay le avrebbe fatto raggiungere lo scopoe si è resa la schiava di de Marsayannoia de Marsay. De Marsay si cura ben poco di lei. Se me la farete conoscerediverrete il suo beniaminovi adorerà. Dopoamatelase voletealtrimenti servitevi di lei. Io potrò vederla una o due voltein occasione d'un mio ricevimentoquando ci sarà molta gente: ma non la riceverò mai di mattina. La saluterò soltantoe questo basterà.

Voi vi siete chiusa la porta della contessa per aver pronunciato il nome di suo padreGoriot. Sìmio carose andrete venti volte dalla signora de Restaudventi volte vi diranno che non è in casa. E' stato dato l'ordine di non farvi più entrare. Ebbene!papà Goriot v'introduca in casa della signora Delfina de Nucingen.

La bella signora de Nucingen sarà per voi un'insegna. Siete l'uomo prescelto da lei; e le donne andranno pazze per voi. Le sue rivalile sue amichele sue migliori amichevorranno togliervi a lei. Ci sono donne che desiderano l'uomo già scelto da un'altracome ci sono povere borghesi chemettendosi cappelli simili ai nostrisperano con questo di acquisire i nostri modi. Avrete successo. A Parigi il successo è tuttoè la chiave del potere. Se le donne trovano in voi spiritotalentogli uomini lo crederannopurché non li disinganniate. Voi potrete allora osar tutto e andare dovunque. Saprete allora che cosa è il mondo:

un'accolta di ingannati e di bricconi. Cercate di non essere né tra gli uni né tra gli altri. Vi dò il mio nome come un filo d'Arianna per entrare in questo labirinto. Non lo compremettete - dissecurvando il collo e dando uno sguardo da regina allo studente - restituitemelo bianco. E adesso lasciatemi. Noi donneabbiamo anche noi da combattere le nostre battaglie.

- Non vi occorre un uomo volenteroso per andare ad appiccare il fuoco a una miccia? - chiese Eugenio interrompendola.

- E allora? - disse lei.

Egli si batté sul cuoresorrise al sorriso della cugina e uscì.

Erano le cinque. Eugenio aveva appetitoe temette di non fare in tempo ad arrivare per l'ora di pranzo. Un tal timore gli fece provare il piacere d'essere condotto rapidamente attraverso Parigi. Questo piacere puramente macchinale gli permise di abbandonarsi interamente ai suoi pensieriche lo assalivano.

Quando un giovane della sua età è fatto segno allo sprezzo va in collerasi infuriaminaccia col pugno l'intera societàvuol vendicarsi e non è sicuro neppure di se stesso. Rastignac in quel momento era oppresso da queste parole: "Vi siete chiusa la porta della contessa". Eppure ci andròdisse fra sé e sée se la signora de Beauséant ha ragionese c'è l'ordine di non farmi passare... io... Ia signora de Restaud mi troverà in tutti i salotti dove va. Imparerò a tirare di schermaa tirar di pistolae le ucciderò il suo Massimo! E i denari?gli gridava la coscienzadove li troverai? A un tratto la ricchezza messa in mostra nella casa della contessa brillò dinanzi ai suoi occhi.

Aveva veduto là il lusso di cui una signorina Goriot doveva essere innamorata: mobili doratioggetti di valore posti in evidenzail lusso non intelligente dell'arricchitolo sperpero della mantenuta. Questa affascinante immaginefu subito schiacciata dalla grandiosità del palazzo de Beauséant. La sua immaginazionetrasposta nelle alte regioni della società pariginagli ispirò mille cattivi pensieriallargandogli la mente e la coscienza.

Vide il mondo com'è: le leggi e la morale impotente dei ricchie vide nella fortuna la "ultima ratio mundi". "Vautrin ha ragionela fortuna è la virtù!" si disse.

Giunto in via Neuve-Sainte-Genevièvesalì rapidamente in camera suascese per dare dieci franchi al cocchiereed entrò in quella sala da pranzo nauseabonda ove scorsecome bestie alla mangiatoiai diciotto commensali in atto di pascersi. Lo spettacolo di quelle miserie e l'aspetto della sala gli riuscirono orribili. Il passaggio era troppo bruscoil contrasto troppo completo per non sviluppare oltre misura in lui il sentimento dell'ambizione. Da un latole fresche e incantevoli immagini dell'ambiente sociale più elegantefigure giovaniviveinquadrate nelle meraviglie dell'arte e del lussoteste appassionatepiene di poesia; dall'altro lato sinistri quadri orlati di fangoe facce dove le passioni non avevan lasciato che le loro corde e il loro meccanismo. Gli insegnamenti che la collera di una donna abbandonata aveva strappato alla signora de Beauséantle sue capziose profferte gli tornarono alla memoriae la miseria le commentò.

Rastignac risolse di aprire due trincee parallele per giungere alla fortunadi basarsi sulla scienza e sull'amored'essere un sapiente dottore e un uomo alla moda. Era ancora molto ragazzo!

Queste due linee sono due asintoti che non possono mai incontrarsi.

- Siete molto cuposignor marchese - gli disse Vautrindandogli uno di quegli sguardi coi quali quell'uomo sembrava iniziarsi ai misteri più segreti del cuore.

- Io non sono disposto a sopportare gli scherzi di chi mi chiama:

signor marchese - egli rispose. - Quiper essere veramente marchesibisogna avere centomila franchi di renditae quando si vive in Casa Vauquernon si è precisamente il favorito della Fortuna.

Vautrin guardò Rastignac con un'aria paterna e sprezzantecome se avesse detto: Marmocchio!di te farei un solo boccone! Poi rispose: - Siete di cattivo umoreforse perché non vi è andata bene con la bella contessa de Restaud.

- Mi ha chiuso la sua porta per averle detto che suo padre mangiava alla nostra tavola - esclamò Rastignac.

Tutti i convitati si guardarono tra loro. Papà Goriot abbassò gli occhie si volse per asciugarseli.

- Mi avete mandato un po' di tabacco nell'occhio - disse al vicino.

- Chi molesterà papà Goriot dovrà d'ora in poi fare i conti con me - rispose Eugenioguardando il vicino del vecchio vermicellaio - egli vale più di tutti noi. Non parlo delle signore - aggiunse volgendosi verso la signorina Taillefer.

Questa frase fu un epilogo; Eugenio l'aveva pronunciata con un'aria che impose il silenzio ai commensali. Solo Vautrin gli disse motteggiando:

- Per prendere papà Goriot sotto la vostra protezione e diventare il suo gerente responsabilebisogna saper tenere bene una spada in mano e tirar bene di pistola.

- E così farò - disse Eugenio.

- Avete dunque iniziato le ostilità oggi?

- Forse - rispose Rastignac. - Ma io non rendo conto dei fatti miei a nessunodato che non cerco d'indovinare quelli che gli altri fanno la notte.

Vautrin guardò Rastignac di traverso.

- Ragazzo mioquando non si vuol essere ingannati dal gioco delle marionettebisogna entrare senz'altro nella baraccae non contentarsi di guardare attraverso i buchi della tenda. E basta con le chiacchiere - aggiunse vedendo Eugenio prossimo alla stizza. - Avremo fra noi una breve conversazione quando vorrete.

Il pranzo divenne cupo e freddo. Papà Goriotassorto nel profondo dolore causatogli dalla frase dello studentenon comprese che le disposizioni degli animi erano cambiate a suo riguardoe che un giovane in grado d'imporre un basta alla persecuzione aveva preso le sue difese:

- Il signor Goriot - disse la signora Vauquer a bassa voce - sarebbe dunque il padre d'una contessa?

- E d'una baronessa - replicò Rastignac.

- Non può far altro - disse Bianchon a Rastignac: - gli ho misurato la testa: non ha che una bozzaquella della paternitàsarà un "Padre Eterno".

Eugenio era troppo imbronciato perché la facezia di Bianchon potesse farlo ridere. Egli voleva approfittare dei consigli della signora de Beauséante si domandava dove e come si sarebbe procurato il denaro. Divenne pensieroso alla visione delle savane del mondo che passavano dinanzi ai suoi occhi deserte e spopolate; e tutti lo lasciarono solo nella sala da pranzoquando il pranzo ebbe termine.

- Avete dunque visto mia figlia? - gli chiese Goriot commosso.

Destato dalla sua meditazione dal bonuomoEugenio gli prese la manoe guardandolo con una specie d'intenerimento:- Voi siete un bravo e degno uomo - gli rispose. - Parleremo delle vostre figlie più tardi. - Si alzò senza voler ascoltare papà Goriotsi ritirò nella propria camera e scrisse alla madre questa lettera:

"Mia cara madrevedi se non hai una terza mammella da spremere per me. Mi trovo in una situazione taleda far presto fortuna. Ho bisogno di milleduecento franchie mi occorrono a ogni costo. Non dire nulla di ciò a mio padre; egli forse vi si opporrebbeese non avessi questo denarocadrei in preda a una disperazione che mi indurrebbe a bruciarmi le cervella. Ti spiegherò le ragioni della mia richiesta non appena ti vedrògiacché dovrei scriverti dei volumi per farti comprendere la condizione nella quale mi trovo. Non ho giocatomia buona madrenon ho debiti; ma se tieni a conservarmi la vita che m'hai datodevi trovarmi questa somma.

In brevefrequento la casa della viscontessa de Beauséantche mi ha preso sotto la sua protezione. Devo andare in societàe non ho un soldo per procurarmi un paio di guanti puliti. Potrei mangiare soltanto panenon bere che acquaese occorredigiunare; ma non posso fare a meno degli utensili coi quali in questo paese si zappa la vigna. Si tratta di fare la mia strada o di restare nel fango. So tutte le speranze che voi riponete in mee voglio realizzarle prontamente. Mia buona madrevendi qualcuno dei tuoi vecchi gioiellie presto te ne darò in cambio degli altri.

Conosco abbastanza la situazione della nostra famiglia per saper apprezzare simili sacrificie devi credere che io non ti domando di farli invanoaltrimenti sarei un mostro. Devi vedere nella mia preghiera soltanto il grido d'una imperiosa necessità. Il nostro avvenire è tutto in questo aiutocol quale devo aprire la campagna; poiché questa vita di Parigi è un combattimento continuo. Seper completare la sommanon c'è altra risorsa che quella di vendere i merletti di mia ziadille che gliene manderò di più belli"eccetera.

Scrisse a ciascuna delle sorelle chiedendo le loro economieeper strappargliele senza che parlassero in famiglia del sacrificio che non avrebbero mancato di fare per lui con piacereseppe commuovere la loro sensibilità toccando le corde dell'onorecosì ben tese e così risuonanti nei giovani cuori. Quando ebbe scritto queste lettereprovòtuttaviauna trepidazione involontaria; palpitavatrasaliva. Il giovane ambizioso conosceva la nobiltà immacolata di quelle anime sepolte nella solitudinesapeva quali pene avrebbe causato alle sue due sorelle e anche quali sarebbero state le loro gioiecon quale piacere si sarebbero intrattenute a parlare segretamente del loro adorato fratelloin fondo alla vigna. La sua coscienza si levòluminosae gliele fece apparire mentre contavano in segreto il loro piccolo tesoro: egli le vide mentre usavano la furberia delle giovinette per mandargli in incognito quel denarocommettendo un primo inganno per essere sublimi. "Il cuore d'una sorella è un diamante di purezzaun abisso di tenerezza!" egli si disse. Si vergognava d'avere scritto. Come sarebbero stati efficaci i loro votiquanto puro sarebbe stato lo slancio delle loro anime verso il cielo! Con quale piacere si sarebbero sacrificate! Quale dolore avrebbe provato sua madrese non fosse riuscita a inviare l'intera somma!

Quei bei sentimentiquegli enormi sacrifici gli sarebbero serviti di scalino per arrivare a Delfina de Nucingen. Alcune lacrimeultimi grani d'incenso bruciati sul sacro altare della famigliagli uscirono dagli occhi. Si mise a camminare in preda a un'agitazione piena di disperazione. Papà Goriotvedendolo in quello stato dall'uscio della propria camera rimasto socchiusoentrò e gli disse:

- Che cosa avetesignore?

- Ahmio buon vicinoio sono ancora figlio e fratellocome voi siete padre. Avete ragione di temere per la contessa Anastasia; essa è nelle mani di un certo signor Massimo de Traillesche la manderà alla rovina.

Papà Goriot si ritirò balbettando alcune parole di cui Eugenio non afferrò il senso. L'indomaniRastignac andò a portare le sue lettere alla posta. Esitò fino all'ultimo istantema poi le lasciò cadere nella cassetta dicendo: Riuscirò!; la parola del giocatoredel grande condottieroparola fatalista che manda in rovina più uomini di quanti ne salvi. Qualche giorno dopoEugenio andò dalla signora de Restaudma non fu ricevuto. Tre volte vi tornòtre volte ancora trovò la porta chiusaquantunque si presentasse in ore in cui il conte Massimo de Trailles non vi si trovava. La viscontessa aveva avuto ragione. Lo studente non studiò più. Si presentava alla lezione per rispondere all'appello edopo aver attestato la sua presenzase ne andava. Aveva fatto il ragionamento che fa la maggior parte degli studenti. Si sarebbe riservato di studiare al momento di passare gli esami; aveva deciso di cumulare l'iscrizione del secondo e del terzo annoe poi di studiare il Diritto seriamente e tutto insieme all'ultimo momento. In questo modo aveva quindici mesi per navigare a suo agio nell'oceano di Parigiper dedicarsi alla tratta delle donne o per pescarvi la sua fortuna. Durante quella settimanavide due volte la signora de Beauséantdalla quale andava solo quando usciva la vettura del marchese d'Adjuda. Per qualche giorno ancora l'illustre donnala più poetica figura del faubourg Saint- Germainrimase vittoriosae fece sospendere il matrimonio della signorina de Rochefide col marchese d'Adjuda-Pinto. Ma quegli ultimi giorniche la paura di perdere la propria felicità rese più ardenti di tuttidovevano far precipitare la catastrofe. Il marchese d'Adjudad'accordo coi Rochefideaveva considerato il dissenso e la riconciliazione come una circostanza favorevoleessi speravano che la signora de Beauséant si sarebbe abituata all'idea di quel matrimonio e avrebbe finito per sacrificare le sue mattine a un avvenire previsto nella vita degli uomini.

Malgrado le più sante promesse rinnovate ogni giornoil signor D'Adjuda recitava dunque la commediae la viscontessa gradiva di essere ingannata. - Invece di saltare nobilmente dalla finestraruzzolava per le scale - diceva la duchessa de Langeaisla sua migliore amica. Tuttaviaquelle ultime luci brillarono abbastanza a lungo perché la viscontessa rimanesse a Parigi e aiutasse il suo giovane parenteper il quale nutriva una specie di affetto superstizioso. Eugenio s'era dimostrato con lei pieno di devozione e di sensibilità in una circostanza in cui le donne non vedono né pietà né consolazione sincera in nessuno sguardo. Se allora un uomo dice loro dolci parolele dice per interesse.

Desiderando conoscere perfettamente il suo scacchiere prima di tentare l'abbordaggio della casa de NucingenRastignac volle mettersi al corrente della vita anteriore di papà Goriote raccolse notizie sicureil cui riassunto è questo.

Giovanni-Gioacchino Goriot eraprima della rivoluzioneun semplice operaio vermicellaioabileparsimonioso e tanto intraprendente da acquistare il fondo del suo padrone che il caso volle vittima dei primi moti del 1789. Aveva preso stanza in via de la Jussiennenei pressi della Halle-aux-Blése aveva avuto il grossolano buon senso di accettare la presidenza della sua sezioneper far difendere il proprio commercio dai personaggi più influenti di quella pericolosa epoca. Tale saggezza era stata l'origine della sua fortuna che cominciò durante la carestiafalsa o verain seguito alla quale il grano raggiunse a Parigi un prezzo enorme. Il popolo si ammazzava dinanzi alla porta dei fornaimentre alcuni andavano a cercare senza chiasso le paste alimentari dai droghieri. Durante quell'anno il cittadino Goriot mise insieme un capitale che più tardi gli servì a esercitare il suo commerciocon tutta la superiorità che dà a chi la possiede una forte disponibilità di denaro. Gli capitò quel che accade a tutti gli uomini la cui capacità è solo relativa. La sua mediocrità lo salvò. Del restopoiché la sua fortuna fu conosciuta quando non era più un pericolo esser ricchinon provocò l'invidia di nessuno. Il commercio del grano sembrava aver assorbito tutta la sua intelligenza. Se si trattava di granidi farinedi granagliedi riconoscere le loro qualitàle provenienzedi curare la loro conservazionedi prevederne il corso del prezzodi profetare l'abbondanza o la penuria dei raccoltidi procurarsi i cereali a buon mercatodi approvvigionarsene in Siciliain UcrainaGoriot non aveva l'uguale. A vederlo trattare i suoi affaridiscutere delle leggi sull'esportazionesull'importazione dei granistudiarne lo spiritocoglierne i difettilo si sarebbe ritenuto capace d'essere un ministro. Pazienteattivoenergicocostantesollecito nelle spedizioni della merceaveva un occhio d'aquilapreveniva tuttoprevedeva tuttosapeva tuttonascondeva tutto; diplomatico per concepiresoldato per marciare. Fuori della sua specialitàdella sua semplice e oscura bottegasulla soglia della quale rimaneva nelle ore d'oziole spalle appoggiate allo stipitetornava a essere l'operaio stupido e grossolanol'uomo che si addormentava durante uno spettacolo a teatrouno di quei Dolibans pariginiforti solo in stupidaggini. Queste nature si rassomigliano quasi tutte. Nel cuore di quasi tutte troverete un sentimento sublime. Due sentimenti esclusivi avevano riempito il cuore del vermicellaione avevano assorbito l'umorecome il commercio del grano assorbiva tutta la sua intelligenza. La mogliefiglia unica di un ricco fattore della Briefu per lui oggetto d'una ammirazione religiosad'un amore sconfinato. Goriot aveva ammirato in lei una natura fragile e fortesemplice e graziosache contrastava profondamente con la sua. Se c'è un sentimento innato nel cuore dell'uomonon è esso l'orgoglio della protezione esercitata ogni momento a favore di un essere debole?

Aggiungeteci l'amorequella riconoscenza viva di tutte le anime schiette per il fondamento dei loro piacerie comprenderete una quantità di bizzarrie morali. Dopo sette anni di felicità senza nubiGoriotdisgraziatamente per luiperdette sua moglie:

questa cominciava a dominarlofuori della sfera dei sentimenti.

Forse sarebbe riuscita a coltivare quella natura inerteforse sarebbe riuscita a seminarvi l'intelligenza delle cose del mondo e della vita. In tale situazioneil sentimento della paternità si sviluppò in Goriot fino alla irragionevolezza. Egli riversò il suo affettotradito dalla mortesulle due figliecheda principiosoddisfecero appieno tutti i suoi sentimenti. Per quanto brillanti fossero le proposte fattegli da negozianti o da fattori desiderosi di dargli le loro figlievolle rimanere vedovo. Il suoceroil solo uomo per il quale aveva avuto simpatiapretendeva di sapere con certezza che Goriot aveva giurato di non commettere alcuna infedeltà verso la moglieanche dopo morta. La gente della Halleincapace di capire questa sublime folliaci rideva sue appioppò a Goriot qualche grottesco soprannome. Il primo chebevendo il vino a coronamento d'un affare combinatosi permise di pronunciarloebbe dal vermicellaio un pugno sulla spalla che lo stese a terrafacendogli battere la testa contro un paracarro della via Oblin. L'affetto sconsideratol'amore ombroso e delicato che Goriot nutriva per le figlie era così conosciutoche un giorno uno dei suoi concorrentivolendolo fare allontanare dal mercato per restare arbitro dei prezzigli disse che Delfina era stata investita da un carrozzino. Il vermicellaiopallido e smortolasciò subito la Halle. Stette male parecchi giorni in seguito alla reazione dei sentimenti contrari provocata in lui da quella falsa notizia. Se non assestò questa volta il suo colpo mortale sulla spalla di quell'uomolo cacciò tuttavia dalla Halle e lo costrinsein una circostanza criticaa dichiarare fallimento. L'educazione che diede alle due figlie funaturalmenteanch'essa irragionevole. Godendo di una rendita di più di sessantamila liree non spendendo che appena milleduecento franchi per séla felicità di Goriot stava tutta nel soddisfare i capricci delle figlie; i migliori insegnanti furono incaricati di dotarle di quelle capacità che denotano una buona educazione; ebbero una damigella di compagnia; fortunatamente per lorofu una donna di spirito e di gusto; montavano a cavalloavevano carrozzavivevano come avrebbero vissuto le amanti d'un vecchio signore ricco; bastava che esprimessero i più costosi desideri per vedere il padre affrettarsi a soddisfarli; e non chiedeva che una carezza in cambio dei suoi doni. Goriot collocava le figlie nell'ordine degli angelienecessariamenteal di sopra di séil pover'uomo! Amava perfino il male che quelle gli arrecavano.

Quando le figlie furono in età da maritole lasciò libere di sceglierselo secondo i propri i gusti; ognuna avrebbe avuto in dote la metà della sostanza del padre. Corteggiata per la sua bellezza dal conte de RestaudAnastasia aveva tendenze aristocratiche che la condussero a lasciare la casa paterna per lanciarsi nelle alte sfere sociali. Delfina amava il denaro; sposò Nucingenbanchiere d'origine tedesca che divenne barone del Sacro Impero. Goriot rimase vermicellaio. Le figlie e i generi si offesero presto di vedergli continuare quel commerciosebbene questo fosse per lui tutta la sua vita. Dopo aver subìto per cinque anni le loro insistenzeacconsentì di ritirarsi a vivere coi prodotti dei suoi fondi e i guadagni procuratigli dall'azienda negli ultimi anni; un capitale che la signora Vauquerpresso la quale era andato a stabilirsiaveva stimato fruttare dalle otto alle diecimila lire di rendita. Egli si ridusse in quella pensione per il dolore provato nel vedere le due figlie costrette dai loro mariti a rifiutare non solo di prenderlo con loroma anche di riceverlo alla luce del sole.

Questo era tutto quel che sapeva un certo signor Muret sul conto di papà Goriotdel quale aveva acquistato i fondi. Le supposizioni che Rastignac aveva sentito fare dalla duchessa de Langeais eranocosìconfermate. E qui finisce l'esposizione di questa oscurama tremenda tragedia parigina.

Verso la fine di quella prima settimana del mese di dicembreRastignac ricevette due lettere: una di sua madreun'altra della sorella maggiore. Quelle calligrafie così ben conosciute lo fecero al tempo stesso esultare di gioia e tremar di paura. Quei due fragili fogli di carta contenevano una sentenza di vita o di morte per le sue speranze. Se provava un po' di timore ricordando le ristrettezze dei suoi genitoriaveva tuttavia sperimentato troppo bene la loro predilezione per non temere di aver succhiato le loro ultime gocce di sangue. La lettera della madre era così concepita:

"Mio caro figliolot'invio quel che mi hai chiesto. Fai buon uso di questo denaro; non potreiquand'anche si trattasse di salvarti la vitatrovare una seconda volta una somma così importante senza che tuo padre ne fosse informato: e ciò turberebbe l'armonia della nostra famiglia. Per procurarteladovrebbe accendere ipoteche sulla nostra terra. Mi è impossibile dar giudizi di merito su progetti che non conosco: ma di che natura dunque essi sonoper farti temere di confidarmeli? Una spiegazione non richiedeva poi dei volumia noi madri basta una parolaed essa mi avrebbe risparmiato le angosce dell'incertezza. Non potrei nasconderti l'impressione dolorosa che mi ha causato la tua lettera. Mio caro figlioqual è dunque il sentimento che ti ha costretto a gettare nel mio cuore un tale timore? Devi avere molto soffertoscrivendomiperché ho molto sofferto leggendoti. Quale carriera vuoi dunque abbracciare? La tua vitala tua felicità sarebbero forse destinate a farti comparire quel che non seia frequentare un ambiente dove non sapresti andare senza fare spese che non puoi sosteneresenza perdere un tempo prezioso per i tuoi studi? Mio buon Eugeniocredi al cuore di tua madre: le vie tortuose non conducono a niente di grande. La pazienza e la rassegnazione debbono essere le virtù dei giovani che si trovano nella tua posizione. Non ti rimproveronon vorrei aggiungere al nostro invio alcuna amarezza. Le mie parole sono quelle di una madre fiduciosa quanto previdente. Se tu sai quali sono i tuoi obblighiio soda parte miacome il tuo cuore sia purocome le tue intenzioni siano ottime. E perciò posso dirti senza tema: Va'mio dilettocammina! Tremo perché sono madre; ma ogni tuo passo sarà teneramente accompagnato dai nostri voti e dalle nostre benedizioni. Sii prudentecaro figliolo. Devi essere saggio come un uomo maturoil destino di cinque persone a te care è posto nella tua ragionevolezza. Sìtutte le nostre fortune sono in tecome la tua felicità è la nostra. Noi tutti preghiamo Dio di secondarti nelle tue imprese. Tua zia Marcillac è statain questa circostanzad'una bontà inaudita: è arrivata perfino a comprendere quel che mi dicevi a proposito dei tuoi guanti. Ma lei ha un debole per il primogenitodiceva scherzosamente. Eugenio miosii affezionato molto a tua zia; ti dirò quel che ha fatto per te solo quando le cose ti saranno andate benealtrimenti il suo denaro ti brucerebbe le dita. Voi ragazzi non sapete quanto sia doloroso sacrificare cari ricordi. Ma che cosa non si sacrificherebbe per voi? La zia m'incarica di dirti che ti bacia in fronte e che vorrebbe comunicarti con questo bacio la forza d'essere spesso felice. La buona ed eccellente donna ti avrebbe scritto se non avesse la gotta alle dita. Tuo padre sta bene. Il raccolto del 1819 oltrepassa le nostre speranze. Addiofiglio caronon ti dirò nulla delle sorelle: Laura ti ha scritto. Lascio a lei il piacere di chiacchierare sui piccoli fatti di casa.

Voglia il cielo che tu riesca! OhsìriesciEugenio miotu mi hai fatto conoscere un dolore troppo forte perché io possa sopportarlo una seconda volta. Ho saputo che cosa vuol dire essere poveri quando ho desiderato la ricchezza per poterla donare a mio figlio. E oraaddio. Non lasciarci senza notizie e abbi il bacio che t'invia tua madre".

Quando Eugenio ebbe terminato di leggere questa letteraera in lacrime; pensava a papà Goriot che aveva contorto il suo argento dorato e l'aveva venduto per poter pagare la cambiale della figlia. "Tua madre ha contorto i suoi gioielli!"egli diceva fra sé e sé. "Tua zia ha certamente pianto nel vendere uno dei suoi ricordi! Con quale diritto malediresti tu Anastasia? Tu non fai che imitareper l'egoismo del tuo avvenireciò che lei ha fatto per il suo amante! Chi vale di più: lei o te?". Lo studente si sentì le viscere róse da un senso di calore intollerabile. Voleva rinunciare alla societànon voleva prendere quel denaro. Provò quei nobili e bei rimorsi segreti il cui merito raramente è apprezzato dagli uomini quando giudicano i loro similima che fanno spesso assolvere dagli angeli del cielo il criminale condannato dai giuristi della terra. Rastignac aprì la lettera della sorellale cui espressioni innocentemente graziose gli rinfrancarono il cuore.

"La lettera è arrivata assai a propositocaro fratello. Agata e io volevamo spendere il nostro denaro in tanti modi diversiche non sapevamo più a quale acquisto deciderci. Hai fatto come il domestico del re di Spagnaquando rovesciò gli orologi del padrone: ci hai messe d'accordo! Veramenteeravamo sempre in contrasto intorno a quello dei nostri desideri al quale avremmo dato la preferenzae non avevamo indovinatomio buon Eugeniol'impiego che li avrebbe compresi tutti. Agata ha saltato dalla gioia. Insommasiamo state come due pazze per tutta la giornataa "tali insegne" (stile della zia) che mammà ci diceva con la sua aria severa: Ma che diamine avetesignorine? Se ci avessero sgridato un pochinone saremmo statecredoancor più contente.

Una donna deve provare molto piacere nel soffrire per colui che ama! Io sola ero distratta e triste pur in mezzo alla mia gioia.

Sarò senza dubbio una cattiva mogliesono troppo spendereccia. Mi ero comprata due cinteun punteruolo tanto carino per far gli occhielli ai miei bustie altre sciocchezzee così avevo meno denaro della grossa Agatache è parsimoniosa e ammucchia gli scudi come una gazza. Lei aveva duecento franchi! Iomio povero amicoho soltanto cinquanta scudi. Sono dunque ben punitae vorrei buttare la cinta nel pozzotanto mi sarà sempre penoso portarla. Ti ho derubato. Agata è stata proprio carina. Mi ha detto: "Mandiamogli trecentocinquanta franchi fra tutte e due!".

Ma non posso trattenermi dal raccontarti come le cose sono andate.

Sai come abbiamo fatto per obbedire ai tuoi ordini? Abbiamo preso il nostro glorioso denarosiamo andate tutte e due a passeggio euna volta arrivate alla strada maestrasiamo corse a Ruffec e abbiamo consegnato la somma al signor Grimbertgerente delle Messaggerie reali! Eravamoal ritornoleggere come rondini.

"Sarà il piacere che ci rende così?"mi ha detto Agata. Ci siamo dette mille cose che però non vi ripeteròsignor Pariginoin quanto si parlava troppo di voi. Oh!caro fratelloti vogliamo tanto bene: ecco detto tutto in due parole. Quanto al segretopiccole volpi come noi duesecondo la ziasono capaci di tutto:

anche di tener acqua in bocca... Mamma è andata in gran mistero ad Angouleme con la ziae tutte e due hanno mantenuto il silenzio sull'alta politica del loro viaggioche ha avuto luogo dopo lunghe conferenze dalle quali tanto noi che il signor barone siamo stati tenuti lontani. Grandi congetture occupano gli spiriti dello Stato di Rastignac. L'abito di mussolina con fiori a traforo che le infanti stanno ricamando per sua maestà la regina procede nel più profondo segreto. Sono rimaste da fare soltanto due parti. E' stato deciso che non si costruirà più il muro dalla parte di Verteuil e invece ci si metterà una siepe. Il popolino ci perderà in frutta e spallierema in compenso i forestieri ci guadagneranno una bella vista. Se l'erede presunto avesse bisogno di fazzolettiè avvertito che la signora vedova de Marcillacfrugando nei suoi scrigni e nei suoi bauliconosciuti sotto i nomi di Pompei e di Ercolanoha scoperto una pezza di bella tela d'Olandache non ricordava di avere; le principesse Agata e Laura pongono agli ordini dell'erede il loro filoil loro agoe mani sempre un poco troppo rosse. I due principi cadetti don Enrico e don Gabriele hanno conservato la funesta abitudine d'impinzarsi di mosto cottodi far inquietare le sorelledi non voler imparare nulladi divertirsi a dar la caccia ai nididi far chiasso e di tagliarecontro le leggi dello Statorami di vinco per farne frustini. Il nunzio del papavolgarmente chiamato signor curatominaccia di scomunicarli se continueranno a trascurare i santi canoni della grammatica per i bellicosi cannoni di sambuco. Addiocaro fratellomai lettera ha recatopiù di questatanti voti formulati per la tua felicitàné tanto soddisfatto amore. Chissà quante cose avrai da raccontarci al tuo ritorno! E dovrai dire tutto a meche sono la maggiore. La zia ci ha lasciato capire che tu riscuoti dei successi in società.

"Si parla di una dama e si tace sul resto".

Tra noi ci s'intende! Dillo pure francamenteEugeniose invece dei fazzoletti preferisci che ti facciamo delle camicie.

Rispondimi presto in proposito. Se ti occorresse presto qualche bella camicia ben cucita saremo felici di metterci subito al lavoro; e se ci fossero a Parigi fatture che non conoscessimomandaci un modellospecialmente per i polsini. Addioaddio! Ti bacio in fronte sul lato sinistrosulla tempia di mia esclusiva proprietà. Lascio l'altra pagina per Agatache m'ha promesso di non leggere nulla di quel che ti ho scritto. Maper essere più sicurarimarrò vicino a lei mentre ti scriverà. Tua sorella che ti ama.

Laura de Rastignac".

"Oh!sì"disse fra sé e sé Eugeniola fortuna a ogni costo.

Dei tesori non compenserebbero questo sacrificio. Vorrei apportare loro tutte le felicità insieme. Millecinquecento franchi!aggiunse dopo una pausa. "Ogni moneta dovrà colpire nel segno!

Laura ha ragione. Perdinci!ho soltanto camicie di tela ordinaria. Per la felicità di un altrouna giovinetta diventa furba quanto un ladro. Innocente per sé e previdente per meè come l'angelo del cielo che perdona gli errori della terra senza comprenderli".

Il mondo era suo! Già il suo sarto era stato da lui chiamatosaggiatoconquistato. Vedendo il signor de TraillesRastignac aveva valutato l'importanza dei sarti nella vita dei giovani.

Ahimè!non ci sono mezzi termini: un sarto è o un nemico mortaleo un amico procuratoci dal conto pagato. Quello di Eugenio era un uomo consapevole della paternità della sua industriae si considerava come un anello di congiunzione tra il presente e l'avvenire dei giovani. Perciò Rastignacriconoscentefece la fortuna di quest'uomo con una di quelle battute per le quali più tardi divenne celebre. "Un suo paio di pantaloni ha fatto concludere matrimoni da ventimila lire di rendita".

Millecinquecento franchi e abiti a piacere! In quel momento il povero Meridionale non ebbe più dubbie scese a far colazione con quell'aria indefinibile che conferisce a un giovane il possesso d'una somma qualsiasi. Quando il denaro scivola entro la tasca d'uno studentesi erge contro di lui una colonna immaginaria su cui egli si appoggia. Cammina più speditosente di avere un punto d'appoggio per la sua levaha lo sguardo ampiodirettoha i movimenti agili; il giorno primaumile e timidosi lascerebbe picchiare; l'indomani picchierebbe anche un primo ministro. Si producono in lui fenomeni inauditi: vuole tutto e può tuttodesidera a casaccioè gaiogenerosoespansivo. Insommal'uccello dianzi implumeora vola ad ali spiegate. Lo studente squattrinato addenta una briciola di piacere come un cane ruba un osso superando mille pericolilo stritolane succhia il midolloe ancora corre; ma il giovane che fa tintinnare nel taschino poche fuggevoli monete d'oro pregusta i propri godimentili particolarizzase ne compiacesi dondola nel cielonon sa più cosa significhi la parola: "miseria". Parigi è tutta sua. Età in cui tutto è lucentetutto scintilla e fiammeggia! Età di forza gioiosa di cui nessuno approfittané l'uomo né la donna ! Età di debiti e di vivi timori che centuplicano ogni piacere! Chi non ha frequentato la riva sinistra della Sennatra la via Saint-Jacques e la via dei Saints-Pèresnon sa nulla della vita umana!

"Ah!se le donne parigine sapessero!"si diceva Rastignac divorando le pere cotte a un soldo l'unafatte servire dalla signora Vauquerverrebbero a farsi amare qui. In quel momento un fattorino delle Messaggerie reali si presentò nella sala da pranzodopo aver suonato al cancello. Chiese del signor Eugenio de Rastignaccui porse due sacchetti da ritiraree un registro da firmare. Rastignac fu allora sferzato come da un colpo di frustadallo sguardo profondo lanciatogli da Vautrin.

- Ora potrete di che pagare le lezioni di scherma e gli esercizi di tiro - gli disse quell'uomo.

- Sono arrivate le caravelle - gli disse la signora Vauquer guardando i sacchetti.

La signorina Michonneau temeva di fermare lo sguardo sul denaronella tema di palesare la sua bramosia.

- Avete una madre molto buona - disse la signora Couture.

- Il signore deve avere una madre molto buona - ripeté Poiret.

- Sìla mamma s'è svenata - disse Vautrin. - Potrete ora farne di tutti i coloriandare in societàpescarvi dotie ballare con le contesse che hanno guarnizioni di fior di pesco tra i capelli. Ma date retta a megiovanottofrequentate il tiro a segno.

Vautrin fece il gesto di un uomo che mira al suo avversario.

Rastignac voleva dare la mancia al fattorinoma non si trovò nulla in tasca. Vautrin frugò nella suae gettò venti soldi all'uomo.

- Avete buon credito - riprese guardando lo studente.

Rastignac dovette ringraziarlo sebbenedopo le parole aspramente scambiatesi il giorno in cui era tornato dalla sua visita alla signora de Beauséantquell'uomo glifossedivenuto insopportabile. Durante quegli otto giorni Eugenio e Vautrin erano rimasti silenziosi uno di fronte all'altroe si osservavano scambievolmente. Lo studente si chiedeva invano il perché. Senza dubbio le idee si proiettano in ragione diretta della forza con cui vengono concepitee vanno a colpire là dove il cervello le inviaper una legge matematica paragonabile a quella che guida i proiettili quando escono dal mortaio. Gli effetti sono diversi. Ci sono nature debolinelle quali le idee si conficcano e le devastanoma ci sono anche nature fortemente protettecrani dai bastioni di bronzo su cui le volontà degli altri si appiattiscono e cadono come palle dinanzi a una muraglia; ci sono poi ancora nature flosce e bambagiose nelle quali le idee altrui vengono a morire come pallottole che si attutiscono nella terra molle delle ridotte. Rastignac aveva una di quelle teste piene di polvere che saltano in aria al minimo urto. Era troppo vivacemente giovane per non offrire il bersaglio a tali ideeper non subire il contagio di tali sentimentidi cui tanti bizzarri fenomeni ci colpiscono a nostra insaputa. La sua visione morale aveva la gittata lucida dei suoi occhi di lince. Ognuno dei suoi doppi sensi aveva quella lunghezza misteriosaquella flessibilità d'andata e ritorno che ci sorprende nelle persone superiorispadaccini abili nel trovare il punto debole di tutte le corazze. Da un meseper altros'erano sviluppati in Eugenio tanti pregi quanti difetti. I difetti gli erano stati imposti dalla società mondana e dal proposito di realizzare i suoi sempre crescenti desideri. Tra i pregi c'era quella vivacità meridionale che fa tirar diritto lungo le difficoltà per risolverlee che non consente a un uomo d'oltre Loira di indugiare in una incertezza qualsiasi; pregio che la gente del Nord considera un difetto: secondo essase fu l'origine della fortuna di Muratfu anche la causa della sua morte.

Bisognerebbe concludere chequando un meridionale riesce ad accoppiare la furberia del Nord all'audacia dell'oltre Loiraegli è completo e rimane re di Svezia. Rastignac non poteva dunque restare a lungo sotto il fuoco delle batterie di Vautrin senza sapere se quest'uomo era un amico o un nemico.

Di momento in momento gli sembrava che quel singolare personaggio penetrasse sempre più nel segreto delle sue passionie gli leggesse nel cuorementre in colui tutto rimaneva così ben nascostoda sembrare dotato della profondità immobile d'una sfinge che savede tuttoe non dice nulla. Sentendosi le tasche pienesi ribellò.

- Fatemi il favore di attendere - disse a Vautrin che s'era alzato per usciredopo aver assaporato gli ultimi sorsi di caffè.

- Perché? - rispose il quarantenne calzandosi il cappello a larghe tese e prendendo un bastone di ferro col quale faceva spesso mulinelli da uomo che non avrebbe temuto d'essere assalito da quattro malfattori.

- Voglio pagare il mio debito - riprese Rastignacsciogliendo rapidamente un sacchetto e contando centoquaranta franchi alla signora Vauquer. - Conti chiari amici cari - disse alla vedova.

Siamo pari fino a San Silvestro. Cambiatemiper favorequesti cento soldi.

- Amici cari conti chiari - ripeté Poiret guardando Vautrin.

- Ecco i venti soldi - disse Rastignac tendendo una moneta alla sfinge in parrucca. Si direbbe che avete paura di dovermi qualcosa! - esclamò Vautrin ficcando uno sguardo divinatorio nell'animo del giovanecui fece uno di quei sorrisi beffardi e alla Diogene per i quali Eugenio era stato mille volte sul punto di litigare.

- Ma...sì - rispose lo studenteche teneva i due sacchetti in mano e s'era alzato per salire in camera sua.

Vautrin usciva dalla porta che dava nel salottoe lo studente si disponeva ad andarsene per la porta che conduceva sul pianerottolo.

- Ma lo sapetesignor marchese de Rastignacoramache quel che mi dite non è perfettamente gentile? - disse allora Vautrinsbattendo la porta del salotto e andando verso lo studenteche lo guardò freddamente.

Rastignac chiuse la porta della sala da pranzoconducendo con sé Vautrinai piedi della scalanel vano che separava la sala da pranzo dalla cucinadov'era una porta che dava nel giardinosormontata da una grande finestra guarnita di sbarre di ferro. Làlo studente disse dinanzi a Silvia che sbucò dalla cucina:

- Signor Vautrinio non sono marchesee non mi chiamo Rastignacorama.

- Adesso si battono - disse la signorina Michonneau con aria indifferente.

- Si battono - ripeté Poiret.

- Ma no - rispose la signora Vauqueraccarezzando la sua pila di scudi.

- Ma non vedete che se ne vanno sotto i tigli? - esclamò la signorina Vittorinalevandosi per guardare nel giardino. - Quel povero giovaneperòha ragione.

- Andiamocene sumia cara piccola - disse la signora Couture sono affari che non ci riguardano.

Quando la signora Couture e Vittorina si alzaronoincontrarono sulla portala grossa Silvia che sbarrò loro il passo.

- Che cosa succede? - chiese. - Il signor Vautrin ha detto al signor Eugenio: "Spieghiamoci!". Poil'ha preso per un braccioed eccoli là che camminano tra i nostri carciofi.

In quel momento Vautrin apparve.

- Signora Vauquer - disse sorridendo - non abbiate timore di nullavado a provare le mie pistole sotto i tigli.

- Ohsignore - fece Vittorina congiungendo le mani - perché volete uccidere il signor Eugenio?

Vautrin fece due passi indietro e guardò Vittorina.

- Ecco un'altra storia - egli esclamò con una voce beffarda che fece arrossire la povera ragazza. - E' tanto graziosonon è vero?quel giovanotto - egli riprese. - Mi fate venire un'idea.

Farò la felicità di voi duemia bella figliola.

La signora Couture aveva preso la sua pupilla per un braccio e l'aveva portata viadicendole all'orecchio:

- Ma Vittorinastamattina siete proprio incredibile!

- Non voglio che si tirino di pistola in casa mia - disse la signora Vauquer. - Così mi spaventate tutto il vicinato e farete accorrere la polizia.

- Andiamocalmamammà Vauquer - rispose Vautrin. - Làlàva beneandremo al tiro. - Raggiunse Rastignac epresolo confidenzialmente sotto bracciogli disse: - Quando vi avessi provato che a trentacinque passi metto cinque volte di seguito la mia pallottola in un asso di picchenon per questo vi perdereste di coraggio. Avete l'aria d'essere alquanto rabbiosetto e vi fareste ammazzare come un imbecille.

- Voi indietreggiate - disse Eugenio.

- Non mi provocate - rispose Vautrin. - Non fa freddoquesta mattinaandiamo a sederci laggiù - aggiunse indicando le sedie verniciate di verde. - Là nessuno ci sentirà. Ho da parlarvi.

Siete un bravo ragazzo e non vi voglio male. Vi voglio beneparola di Tromp... (per mille fulmini!) parola di Vautrin. Per quale ragione vi voglio beneve lo spiegherò. Intanto sappiate che vi conosco come se vi avessi fatto ioe ve lo proverò.

Appoggiate lì i vostri sacchetti - ripreseindicandogli la tavola rotonda.

Rastignac posò il denaro sulla tavola e si sedette in preda a una curiosità acuita in lui al più alto grado dal subitaneo cambiamento verificatosi nei modi di quell'uomoil qualedopo aver parlato di ucciderlosi atteggiava a suo protettore.

- Voi vorreste sapere chi sonoquel che ho fattoo quel che faccio - riprese Vautrin. - Siete troppo curiosofigliolo mio.

Suvviaun po' di calma. Ne sentirete ben altre! Ho avuto molte disgrazie. Prima statemi a sentiree poi replicherete. Ecco la mia vita passatain tre parole. Chi sono? Vautrin. Che faccio?

Quel che mi pare. Andiamo avanti. Volete conoscere il mio carattere? Sono buono con chi mi fa del bene o con chi ha un cuore che parla al mio. A loro è permesso tutto: possono prendermi a calci negli stinchi senza che io dica loro: "Bada!". Maperdio!

sono cattivo come il diavolo con chi mi molesta o non mi va a genio. Ed è bene sappiate che l'uccidere un uomo mi preoccupa tanto così! - disse sputando. - Cerco tuttavia di ucciderlo bene e quando è assolutamente necessario. Sono quel che voi chiamate un artista. Ho letto le "Memorie" di Benvenuto Cellinicosì come mi vedetee per di più in italiano! Ho imparato da quell'uomoun uomo risolutoa imitare la Provvidenzache ci fa morire a casaccioe ad amare il bello ovunque esso si trovi. Non èdel resto giocare una bella partita il trovarsi solo contro tutti e aver fortuna? Ho ben riflettuto alla costituzione attuale del vostro disordine sociale. Ragazzo mioil duello è un gioco da bambiniuna sciocchezza. Quando di due uomini vivi uno deve scomparirebisogna essere degli imbecilli per rimettersi al caso.

Il duello! Testa o croce!ecco tutto. Io metto cinque pallottole di seguito in un asso di picchein modo che ogni nuova pallottola ricalchi la precedentee a trentacinque passi per di più! Quando si è dotati di questa piccola capacitàci si può ritener certi di buttare giù il proprio avversario. Ebbene!ho tirato su di un uomo a venti passi e non l'ho colpito. Quel birbone non aveva mai maneggiato una pistola in vita sua. Guardate! - disse lo straordinario uomo sbottonandosi il panciotto e mettendo in mostra il petto villoso come la schiena di un orsoma il cui pelo fulvo incuteva una specie di disgusto misto a spavento - lo sbarbatello mi ha bruciacchiato il pelo - aggiunse mettendo il dito di Rastignac su di un forellino che aveva in petto.

- Ma allora ero un ragazzoavevo la vostra età: ventun anni.

Credevo ancora in qualcosaall'amore d'una donna: un mucchio di sciocchezze in cui state per impelagarvi. Ci saremmo battutinon è vero? Avreste potuto uccidermi. Supponete di avermi steso a terra; dove sareste voi? Bisognerebbe fuggireandare in Svizzeramangiarsi i soldi di papàche non ne ha molti. Io voglio lumeggiarvi la posizione in cui siete; ma lo farò con la superiorità di un uomo chedopo aver esaminato le cose di questo basso mondoha visto che le soluzioni da adottare sono due: o una stupida obbedienzao la ribellione. Io non obbedisco a nienteè chiaro? Sapete che cosa vi occorrecon l'andazzo da voi preso? Un milionee alla svelta; senza il qualecon la vostra testolinapotete pure andare bighellonando fra le reti di Saint-Cloud per vedere se esiste un Essere Supremo. Il milione ve lo darò io. - Fece una pausa guardando Eugenio. - Ahah!ora fate un miglior viso a papà Vautrin! Sentendo queste mie parolemi siete sembrato simile a una ragazza cui si dica: "A questa sera!"e che fa toletta gongolando come un gatto quando beve il latte. Alla buon'ora. Suvvia! A noi! Ed ecco il vostro contogiovanotto.

Abbiamo laggiù papàmammaproziadue sorelle (diciotto e diciassette anni)due fratellini (quindici e dieci anni): questo è il ruolino dell'equipaggio. La zia educa le sorelle. Il curato dà lezione di latino ai fratelli. La famiglia mangia più castagne lesse che pane biancopapà tiene da conto i suoi pantalonimamma ha appena un vestito per l'inverno e uno per l'estatele sorelle fanno alla meglio. So tuttoconosco il Mezzogiorno. Le cose devono andar così in casa vostrase vi mandano milleduecento franchi all'annoe dato che la vostra terrina non rende che tremila franchi. Abbiamo una cuoca e un domesticobisogna conservare il decoropapà è barone. Quanto a noisiamo ambiziosi; abbiamo per parenti i Beauséant e andiamo a piedivogliamo la ricchezza e non abbiamo un soldomangiamo la sbobba di mamma Vauquer e ci piacciono i bei pranzi del faubourg Saint- Germaindormiamo su di un giaciglio e vorremmo avere un palazzo.

Non biasimo i vostri desideri. Avere dell'ambizionecuoricino mionon è da tutti. Chiedete alle donne quali uomini preferiscono: gli ambiziosi. Gli ambiziosi hanno le reni più resistentiil sangue più ricco di ferroil cuore più caldodegli altri uomini. E la donna è così felice e così bella nelle ore in cui è forteche preferisce a tutti gli uomini quello che ha una forza enormea costo d'essere spezzata da lui. Sto facendo l'inventario dei vostri desideri per farvi una domanda. La domanda è questa. Abbiamo una fame da lupii nostri dentini sono aguzzi:

come faremo a riempire la pentola? Prima di tutto dobbiamo mangiare il codice; non è divertentee non serve a nulla!ma è necessario mangiarlo. Sia pur così. Ci facciamo avvocato per diventare presidente d'una corte d'assisee condannare ai lavori forzati poveri diavoli migliori di noicon un: L. F. sulla spallaper assicurare ai ricchi sonni tranquilli. Non è divertentee poi è cosa lunga. Primadue anni di attesa a Parigipassandoli a guardarema senza toccarele chicche di cui siamo ghiotti. E' noioso desiderare sempre e non soddisfarsi mai.

Se foste pallido e della natura dei molluschi non avreste nulla da temerema abbiamo il sangue febbrile dei leoni e un appetitoda far venti sciocchezze al giorno. Ma voi soccomberete a un simile supplizioil più orribile che si sia immaginato nell'inferno del buon Dio. Ammettiamo che siate giudiziosoche beviate latte e scriviate elegie; bisognerà cominciaregeneroso come sietedopo tante noie e privazioni da far diventare arrabbiato un canecol diventare sostituto di qualche bricconein una misera cittadina dove il governo vi darà mille franchi di stipendiocome si butta il pancotto al cane del macellaio. Abbaia appresso ai ladridifende i ricchifa ghigliottinare la gente di fegato. Molto obbligato! Se non avrete qualcuno che vi proteggeammuffirete nel vostro tribunale di provincia. Verso i trent'anni sarete giudice a milleduecento franchi l'annose nel frattempo non avrete gettato la toga alle ortiche. Quando avrete raggiunto la quarantinasposerete la figlia di qualche mugnaioricco di circa seimila lire di rendita. Grazie! Se avrete protezionisarete procuratore del re a trent'annicon mille scudi di stipendioe sposerete la figlia del Sindaco. Se commetterete qualcuna di quelle piccole bassezze politichecome ad esempio quella di leggere su di un bollettino Villèle invece di Manuel (c'è la rima e perciò la coscienza è a posto)saretea quarant'anniprocuratore generalee potrete anche diventare deputato. Tenete contomio caro ragazzoche intanto avremo fatto qualche strappo alla nostra coscienzaavremo avuto vent'anni di fastididi miserie nascostee che le nostre sorelle saranno rimaste zitelle. Ho inoltre l'onore di farvi osservare che in Francia i procuratori generali sono in tutto ventimentre ad aspirare a quel grado siete in ventimilafra cui ci sono dei tipi capaci anche di vendersi la famiglia pur di salire un gradino. Se questo mestiere non è di vostro gradimentovediamo qualche altra cosa. Il barone di Rastignac vuol fare l'avvocato? Ohche bella cosa! Bisogna patire dieci annispendere mille franchi al meseavere una bibliotecauno studioandare in societàbaciare la toga di un avvocato anziano per avere qualche causae spazzare il palazzo di giustizia con la lingua. Se un tale mestiere vi conducesse in portonon direi di no; ma trovatemi a Parigi cinque avvocati chea cinquant'anniguadagnino più di cinquemila franchi all'anno!

Ahno!piuttosto che avvilirmi cosìpreferirei fare il corsaro.

D'altra parte: dove trovare gli scudi? Tutto ciò non è allegro.

Abbiamo una soluzione nella dote d'una donna. Volete sposarvi?

Sarà come mettervi una pietra al collo; e poise vi ammoglierete per ragioni d'interessedove vanno a finire il nostro senso dell'onorela nostra nobiltà? Tanto varrebbe cominciare fin da oggi con la vostra ribellione alle convenzioni umane. Non sarebbe nulla raggomitolarsi come un serpente dinanzi a una donnaleccare i piedi della madrefar bassezze tali da disgustare una scrofapuah !se almeno trovaste la felicità. Mainvecesarete sfortunato come le pietre delle fognecon in più una moglie sposata per quei motivi. Ma allora è meglio lottare con gli uomini che con la propria moglie. Ecco il crocicchio della vitagiovanotto: scegliete. Voi avete già scelto: siete andato dal nostro cugino Beauséante vi avete fiutato il lusso. Siete andato dalla signora de Restaudla figlia di papà Goriote vi avete fiutato la parigina. Quel giornosiete ritornato qui con una parola scritta in frontee che io ho saputo ben leggere:

ARRIVARE!arrivare a ogni costo. Bravo!mi sono dettoecco un uomo audaceche mi va a genio. Vi è occorso denaro. Dove prenderlo? Avete salassato le sorelle. Tutti i fratelli "scroccano" più o meno dalle sorelle. I vostri millecinquecento franchi strappatiDio sa come !a un paese dove ci sono più castagne che monete da cento soldipartiranno come soldati che vanno a far bottino. E dopoche farete? Lavorerete? Il lavorointeso come lo intendete in questo momentoprocurain vecchiaiaun alloggio in casa di mamma Vauquer ai giovani tipo Poiret. Una rapida fortuna è il problema che si pongono in questo istante cinquantamila giovani che si trovano tutti nella vostra situazione. Voi rappresentate una sola unità di quel numero. Da ciò potrete immaginare gli sforzi che dovrete compiere e l'accanimento della lotta. Dovrete sbranarvi reciprocamente come ragni entro un vasodato che non ci sono cinquantamila buoni posti. Sapete come qui ci si fa strada? Col lampo del genio o con l'accortezza della corruzione. Bisogna penetrare in questa massa d'uomini come una palla di cannoneo infiltrarvisi come la peste.

L'onestà non serve a nulla. Ci si piega sotto il potere del geniolo si odia; si cerca di calunniarloperché esso prende ma non dà; ma ci si piega a luise persiste; in una parolalo si adora in ginocchio quando non lo si è potuto seppellire sotto il fango. Di corruzione ce n'è tantail talento è raro. Perciòla corruzione è l'arma della mediocrità che abbondae voi ne sentirete ovunque la punta. Vedrete donne i cui mariti hanno in tutto seimila franchi di stipendioe che ne spendono più di diecimila per la loro toletta. Vedrete impiegati a milleduecento franchi acquistare terre. Vedrete donne prostituirsi per andare nella carrozza del figlio d'un pari di Franciache può correre a Longchamp sulla pista principale. Avete visto quel povero babbeo di papà Goriot costretto a pagare la cambiale firmata da sua figliail cui marito ha cinquantamila lire di rendita. Vi sfido a far due passi in Parigi senza imbattervi in intrighi infernali. Scommetterei la mia testa contro un piede di questa insalata che incapperete in un vespaio presso la prima donna che vi piaceràanche se riccabella e giovane. Hanno tutte a che fare con le leggiin guerra coi mariti per qualunque cosa. Non la finirei più se dovessi spiegarvi i mercimoni che fanno per gli amantiper le modeper i figliper la casa o per la loro vanità; raramente per la virtùsiatene certo. E cosìl'uomo onesto è il nemico comune. Ma cosa credete che sia l'uomo onesto? A Parigil'uomo onesto è colui che tacee si rifiuta di condividere un tal sistema di vita. Non vi parlo di quei poveri iloti che ovunque sgobbano senza esser mai ricompensati del loro lavoroe che io chiamo la confraternita delle ciabatte del buon Dio. Certolà è la virtù in tutto il fiore della sua sciocchezzama là è anche la miseria. Vedo da qui la smorfia di questa brava gentese Iddio ci giocasse il brutto tiro di assentarsi al momento del giudizio universale. Se dunque volete far presto fortunabisogna essere già ricco o sembrarlo.

Per arricchiresi tratta qui di giocare grossi colpi; se noil gioco è da spilorcioe... servitor vostro! Se nelle cento carriere che potete intraprenderes'incontrano dieci uomini che riescono rapidamenteil pubblico li chiama ladri. Traete le vostre conclusioni. Ecco la vita così com'è. Non è più bella della cucinapuzza quanto questa e bisogna imbrattarsi le mani se si vuol mangiare bene; sappiate tuttavia lavarvi bene la faccia; qui è tutta la morale dell'epoca nostra.

Se vi parlo così del mondoesso me ne ha dato il dirittolo conosco bene. Credete che lo biasimi? Per niente. E' stato sempre così. I moralisti non lo cambieranno mai. L'uomo è imperfetto. E'talvoltapiù o meno ipocritae gli ingenui dicono allora che egli è o non è morigerato. Non accuso i ricchi in favore del popolo: l'uomo è lo stesso in altoin bassoal centro. Per ogni milione di questo alto bestiame si trovano dieci persone risolute che si mettono al di sopra di tuttoanche alle leggiio sono di queste. Se voi siete un uomo superioremarciate diritto e a testa alta. Ma dovrete lottare contro l'invidiala calunniala mediocritàcontro tutti! Napoleone ha avuto un ministro della guerra che si chiamava Aubrye che per poco non lo spediva in colonia. Misurate bene le vostre possibilità. Guardate se potrete alzarvi ogni mattino con una volontà più forte di quella che avevate il giorno prima. In tali congiunturevi farò una proposta che nessuno rifiuterebbe. Ascoltatemi bene. Iovedeteho un'idea. La mia idea è di andare a vivere la vita patriarcale in un grande possedimentodi centomila jugeriper esempionegli Stati Unitinel Sud. Voglio farvi il colonizzatoreavere sotto di me schiaviguadagnare qualche milioncino vendendo i miei buoiil mio tabaccola mia legnavivendo come un sovranofacendo quel che voglioconducendo un'esistenza che non si concepisce quidove ci si rannicchia in una tana di gesso. Io sono un grande poeta. Le mie poesieio non le scrivo; esse consistono in azioni e in sentimenti. Posseggoin questo momentocinquantamila franchicoi quali potrei comprare appena quaranta negri. Ho bisogno di duecentomila franchiperché voglio duecento negrial fine di soddisfare il mio gusto per la vita patriarcale. I negrivedetesono dei bambini venuti al mondo or oradi cui si fa ciò che si vuolesenza che un ficcanaso di procuratore del re venga a chiedervene conto. Con un tal capitale neroin capo a dieci anni possiederò tre o quattro milioni. Se riesconessuno mi domanderà:

Chi sei? Io sarò il signor Quattro Milionicittadino degli Stati Uniti. Avrò cinquant'anninon sarò ancora marciomi divertirò a mio modo. In due parole: se vi procuro una dote di un milionemi darete duecentomila franchi? E' il venti per cento di commissione; eh!; troppo? Vi farete amare dalla vostra mogliettina. Una volta ammogliatovi mostrerete preoccupatopentitotriste per quindici giorni. Una nottedopo qualche sdolcinaturaconfesserete a vostra mogliefra due bacidi aver duecentomila franchi di debitodicendole: "Amor mio!". Questa commedia viene recitata tutti i giorni dai giovani più distinti. Una giovane non rifiuta mai il suo denaro a chi le prende il cuore. Credete forse di rimetterci? No. Troverete la maniera di riguadagnare i duecentomila franchi in un qualche affare. Col vostro denaro e con la vostra intelligenzametterete insieme una fortuna tanto considerevole quanto potete desiderarla. Ergoavrete fattoin soli sei mesila vostra felicitàquella di un'amabile donna e quella del vostro papà Vautrinsenza contare quella della vostra famiglia che d'inverno si soffia sulle dita per mancanza di legna.

Non vi meravigliate né di ciò che vi propongo né di ciò che vi chiedo ! Su sessanta bei matrimoni celebrati a Parigice ne sono quarantasette che danno luogo a simili mercanteggiamenti. La camera dei Notari ha costretto il signor...

- Che cosa devo fare? - chiese avidamente Rastignac interrompendo Vautrin.

- Quasi nulla - questi rispose lasciandosi sfuggire un moto di gioiasimile alla sorda espressione d'un pescatore che senta esservi un pesce all'estremità della lenza. - Ascoltatemi bene! Il cuore d'una povera figlia sfortunata e miserevole è la spugna più avida di riempirsi d'amoreuna spugna secca che si dilata non appena vi cada dentro una gocciola di sentimento. Fare la corte a una giovane solasconfortata e poverasenza che essa supponga la ricchezza che un giorno le dovrà arrivare!caspita!è come avere buon giococome conoscere i numeri del lottocome giocare in borsa sulla rendita avendo prima avuto le opportune notizie. In tal modo costruite su palafitte un matrimonio indistruttibile. Se a questa ragazza piovono milionilei ve li getterà ai piedicome se fossero sassi. "Prendiamor mio! Prendi Adolfo! Alfredo!

PrendiEugenio"diràse Adolfo Alfredo Eugenio hanno avuto il buon senso di sacrificarsi per lei. Intendo per sacrificarsi vendere un abito vecchio per andare a mangiare insieme al Cadran- Bleu i crostini coi funghi; da lìla seraall'Ambigu-Comiqueimpegnare l'orologio al Monte di Pietà per regalarle uno scialle.

E non vi parlo poi degli scarabocchi d'amorené di quelle sciocchezzuole cui tengono tanto le donnecomead esempiodi spargere gocce d'acqua sulla carta da lettere a mo' di lagrime quando si è lontani da loro; ma mi sembra che già conosciate perfettamente il gergo del cuore Parigivedeteè come una foresta del Nuovo Mondonella quale si muovono venti tribù selvaggegli Illinoisgli Uronii quali vivono con quanto prodotto dalle differenti classi sociali; voi siete un cacciatore di milioni. Per prenderli usate trappolevischiorichiami. Ci sono vari modi di cacciare. Alcuni vanno a caccia della dotealtri della liquidazione; alcuni pescano coscienze; altri vendono i loro associati con mani e piedi legati. Chi torna col carniere ben pieno è salutatofesteggiatoricevuto nella buona società.

Rendiamo giustizia a questo suolo ospitalevoi avete da fare con la città più compiacente del mondo. Se le fiere aristocrazie di tutte le altre capitali d'Europa si rifiutano di ammettere nei loro ranghi un milionario scelleratoParigi gli tende le bracciaaccorre alle sue festeaccetta i suoi pranzi e trinca con la sua infamia.

- Ma dove trovarlala ragazza? - disse Eugenio.

- Ma se l'avete davanti a voi!

- Chila signorina Vittorina?

- Giàproprio lei!

- Ehcome?

- Lei vi ama giàla vostra piccola baronessa de Rastignac!

- Ma se non ha un soldo! - riprese Eugenio meravigliato.

- Ah!qui vi volevo. Ancora due parole - disse Vautrin - e tutto sarà chiarito. Il papà Taillefer è un vecchio bricconee si dice abbia assassinato un suo amico durante la rivoluzione. E' uno di quegli uomini arditiindipendenti nelle loro opinioni. E' un banchiereprincipale socio della ditta Federico Taillefer e compagni. Ha un figlio unicocui vuol lasciare tutta la sua sostanzaa detrimento di Vittorina. Io non posso approvare simili ingiustizie. Sono come Don Chisciottemi piace prendere la difesa del debole contro il forte. Se la volontà di Dio fosse di riprendersi il figlioTaillefer riprenderebbe con sé la figlia; egli vorrebbe un erede qualsiasisciocchezza suggerita dalla stessa umana naturae d'altra parte non può più avere figlilo so. Vittorina è dolce e bellinae farà presto a conquistare suo padre. Lo farà girare su se stesso come una trottolacon lo spago del sentimento! Sarà troppo sensibile al vostro amore per dimenticarvi; e voi la sposerete. Io m'incarico di assumere la parte della Provvidenzafarò volere il buon Dio. Ho un amicoper il quale a suo tempo mi sono molto prestatoun colonnello dell'armata della Loirada poco passato nella guardia reale. Egli segue i miei consiglied è divenuto ultra-realista: non è uno di quegli imbecilli che tengono alle loro opinioni. Se vi posso dare un altro consigliomio caroè di non tenere né alle vostre opinioni né alle vostre parole. Quando ve le chiederannovendetele. Un uomo che si vanta di non mutar mai opinione è un uomo che s'impone di camminare sempre in linea rettaun ingenuo che crede all'infallibilità. Non ci sono principici sono soltanto accadimenti; non ci sono leggici sono soltanto circostanze: l'uomo superiore sposa gli accadimenti e le circostanze per dirigerli. Se ci fossero principi e leggi stabilii popoli non li cambierebbero come noi la camicia. L'uomo non ha il dovere d'essere più saggio di tutta una nazione. L'uomo che ha reso il minor numero di servigi alla Francia è un feticcio venerato per aver sempre visto rosso; è buono tutt'al più per esser messo al Conservatoriofra le macchinecon l'etichetta: La Fayette. Invece il principe [Talleyrand] contro cui tutti scagliarono una pietrae che disprezza abbastanza l'umanità da sputarle in viso tanti giuramenti quanti ne chiedeha impedito lo smembramento della Francia al congresso di Vienna: gli si dovrebbero offrire coronegli si getta addosso fango. Oh!so bene come vanno le coseio! E posseggo i segreti di molta gente.

Basta. Avrò un'opinione incrollabile il giorno in cui avrò trovato tre teste d'accordo sull'uso d'un principioe attenderò a lungo!

Non si trovano in tribunale tre giudici che interpretino in modo eguale un articolo di legge. Ma torno al mio uomo. Rimetterebbe Gesù Cristo in crocese glielo chiedessi. Basterà una sola parola del suo papà Vautrin perché egli cerchi di attaccar lite con quel briccone che non manda neppure cento soldi alla sua povera sorellae... - A questo punto Vautrin si alzòsi mise in guardiafece la mossa d'un maestro di scherma quando porta la gamba destra in avanti e lascia al suo posto il piede sinistro. - Eall'ombra - egli aggiunse.

- Orrore! - disse Eugenio. - Voi volete scherzaresignor Vautrin?

- Làlàcalma - riprese quell'uomo. - Non fate il bambino:

tuttaviase vi divertecorrucciateviadiratevi! Dite pure che sono un infameuno scelleratoun bricconeun banditoma non chiamatemi né imbroglione né spia! Andiamosusparate la vostra bordata! Vi perdonoè così naturale alla vostra età! Anch'io sono stato così. Soltantoriflettete. Un giorno o l'altro potrete far di peggio. Andrete a fare il galletto da qualche bella donnae vi farete dare dei soldi. Ci avete pensato? - chiese Vautrin; - giacché come riusciretese non trarrete profitto dal vostro amore? La virtùmio caro studenteè inscindibile: o è o non è.

Si dice che basta far penitenza dei propri peccati. Un altro bel sistemain virtù del quale si è assolti da un delitto con un atto di contrizione! Sedurre una donna per arrivare a porvi su un certo piuolo della scala socialemettere zizzania tra i figli di una famigliainsomma tutte le infamie che si commettono sotto la cappa di un camino o altrimenti a scopo di piacere o per interesse personalecredete voi che siano atti di fededi speranza e di carità? Perché due mesi di prigione al dandy chein una nottetoglie a un ragazzo la metà della sua fortunae perché la galera al povero diavolo che ruba un biglietto da mille franchicon le circostanze aggravanti? Ecco quello che sono le vostre leggi. Non c'è un articolo che non arrivi all'assurdo. L'uomo in guanti e in parole gialli ha commesso assassini in cui non si versa sanguema se ne dà; l'assassino ha aperto una porta con un grimaldello:

entrambe son cose notturne! Tra quel che vi propongo e quel che farete un giornonon c'è che il sangue in meno. Voi credete in qualcosa di stabile in quel mondo? Ma disprezzate gli uominie cercate le maglie per dove si può passare attraverso la rete del Codice. Il segreto delle grandi fortune senza ragioni apparenti sta in un delittodimenticato perché pulitamente compiuto.

- Bastasignorenon voglio sentir altromi fareste dubitare di me stesso. Ora il sentimento è tutta la mia scienza.

- Come voletemio bel ragazzo. Vi credevo più forte - disse Vautrin - non vi dirò più nulla. Un'ultima parolaperò. - Eguardando fisso lo studente: - Voi conoscete il mio segreto - gli disse.

- Un giovane che vi dice di no saprà presto dimenticarlo.

- Avete ben dettociò mi fa piacere. Un altrovedretesarà meno scrupoloso. Ricordatevi di quanto voglio fare per voi. Vi dò quindici giorni. Prendere o lasciare.

"Che logica di ferro ha costui!"si disse Rastignacvedendo Vautrin andarsene tranquillamentecol suo bastone sotto il braccio. "Egli mi ha detto crudelmente quel che la signora de Beauséant mi diceva salvando la forma. Costui mi lacerava il cuore con artigli d'acciaio. Perché voglio andare dalla signora de Nucingen? Egli ha indovinato le mie idee non appena le ho concepite. In due parolequesto brigante mi ha detto più cose sulla virtù di quante non me ne abbiano dette gli altri uomini e i libri. Se la virtù non ammette capitolazioneho dunque derubato le mie sorelle?"disse gettando il sacchetto sul tavolo. Si sedettee rimase lì assorto in una sbalordita meditazione.

"Restar fedele alla virtùmartirio sublime. Oh!tutti credono alla virtù; ma chi è virtuoso? I popoli venerano la libertà come un idolo; ma dov'è sulla terra un popolo libero? La mia giovinezza è ancora azzurra come un cielo senza nuvole: voler essere grande o ricconon significa risolversi a mentirea piegarsiad abbassarsia raddrizzarsiad adularea dissimulare? Non è un consentire a diventare il servo di coloro che hanno mentitoche si sono piegatiabbassati? Prima d'esser loro complicebisogna servirli. Ebbeneno. Io voglio lavorare nobilmentesantamente; voglio lavorare giorno e nottedover la mia fortuna solo al mio lavoro. Sarà la più lenta delle fortunema ogni giorno la mia testa riposerà su di un guanciale senza un cattivo pensiero. Che cosa c'è di più bello del contemplare la propria vita e trovarla pura come un giglio? Io e la vita siamo come un giovane e la sua fidanzata. Vautrin mi ha fatto vedere quel che accade dopo dieci anni di matrimonio. Diavolo!la mia testa si smarrisce. Non voglio pensare a nullail cuore è una buona guida".

Eugenio fu distolto dalla sua meditazione dalla voce della grossa Silviache gli annunciò il sartoal quale si presentò tenendo in mano i due sacchetti pieni di denaro; e non si sentì contrariato da tale circostanza. Dopo essersi provato gli abiti da seraindossò il nuovo vestito da mattinoche lo trasformava completamente:

"Ora valgo quanto il signor de Trailles"disse fra sé e sé.

"Finalmenteho l'aria di un gentiluomo".

- Signore - disse papà Goriot entrando in camera di Eugenio - mi avete chiesto se conoscevo la casa dove va la signora de Nucingen?

- Sì.

- Ebbeneessa va lunedì prossimo al ballo del maresciallo Carigliano. Se potete andarcimi direte poi se le due mie figlie si sono divertitecome erano vestitetutto insomma.

- Come l'avete saputomio buon papà Goriot? domandò Eugenio facendolo sedere accanto al fuoco.

- Me lo ha detto la sua cameriera. So tutto quel che fanno da Teresa e da Costanza - riprese con aria allegra. Il vecchio sembrava un amante ancora abbastanza giovane per essere soddisfatto d'uno stratagemma che lo metta in comunicazione con la sua amantesenza che questa possa scoprirlo. - Voi le vedretevoi! - disse esprimendo con ingenuità una dolorosa invidia.

- Non so - rispose Eugenio. - Andrò dalla signora de Beauséant per chiederle se può presentarmi alla marescialla.

Eugenio pensava con una specie di gioia interiore a mostrarsi alla viscontessa vestito come d'ora in avanti avrebbe usato vestirsi.

Quel che i moralisti definiscono gli abissi del cuore umano sono soltanto gli ingannevoli pensierigli involontari moti dell'interesse personale. Quelle peripeziesoggetto di tante declamazioniquei cambiamenti repentinisono calcoli fatti a profitto dei nostri godimenti. Vedendosi ben vestitoben calzatoRastignac dimenticò la virtuosa decisione. La giovinezza non osa guardarsi allo specchio della coscienza quando pende dalla parte dell'ingiustiziamentre l'età matura vi si è specchiata; in ciò consiste tutta la differenza tra queste due fasi della vita. Da qualche giorno i due viciniEugenio e papà Gorioterano divenuti buoni amici. La loro segreta amicizia dipendeva dalle ragioni psicologiche che avevano causato sentimenti contrari tra Vautrin e lo studente. L'ardito filosofo che vorrà constatare gli effetti dei nostri sentimenti nel mondo fisicoritroverà senza dubbio più di una prova della loro effettiva materialità nei rapporti che essi creano tra noi e gli animali. Qual fisiognomo è più sollecito a indovinare un caratteredi quanto non lo sia un cane a sapere se uno sconosciuto gli vuol bene o no? Gli "atomi uncinati"espressione proverbiale di cui tutti si servonosono uno di quei fatti che rimane nei linguaggi per smentire le sciocchezze filosofiche di cui si occupano coloro che si divertono a vagliare la scorza delle parole primitive. Quando siamo amatilo sentiamo.

Il sentimento s'imprime in tutte le cose e attraversa lo spazio.

Una lettera è un'anima; è un'eco così fedele della voce che parlada farla annoverare dagli spiriti delicati fra i più ricchi tesori dell'amore. Papà Goriotche il sentimento irriflessivo elevava fino al sublime della natura caninaaveva annusato il compatimentol'ammirativa bontàle simpatie giovanili che s'erano commosse per lui nel cuore dello studente. Tuttaviaquesta unione nascente non aveva ancora portato ad alcuna confidenza. Se Eugenio aveva manifestato il desiderio di vedere la signora de Nucingennon contava certo sul vecchio per esser introdotto da lui in casa di leima sperava che una qualsiasi indiscrezione avrebbe potuto essergli utile. Papà Goriot gli aveva parlato delle figlie solo a proposito di quel che si era permesso di dire davanti a tutti i pensionanti il giorno delle sue visite.

- Mio caro signore - gli aveva detto l'indomani - come mai avete potuto credere che la signora de Restaud si sia adirata con voi perché avete pronunciato il mio nome? Le mie due figlie mi vogliono tanto bene. Io sono un padre felice. Sono i due generi che si sono mal comportati verso di me. Io non ho voluto far soffrire quelle care creature per i miei dissensi con i loro maritie ho preferito vederle di nascosto. Tale mistero mi procura mille gioie che non possono comprendere gli altri padri i quali possono vedere le loro figlie quando vogliono. Io questo non lo posso farecapite? Allora vadoquando è bel tempo ai Champs- Eliséesdopo aver domandato alle cameriere se le mie figlie escono. Le attendo al passaggioil cuore mi batte quando le vetture giungonole ammiro nella loro tolettae loro mi gettanopassandoun sorrisetto che mi fa sembrar d'oro la naturacome se vi cadesse un raggio di qualche bel sole. Io rimango lìperché devono ripassare. Le vedo di nuovo! L'aria gli ha fatto benesono rosee. Sento dire vicino a me: "Ecco una bella donna!". Questo mi rallegra il cuore. Non sono sangue mio? Voglio bene ai cavalli delle loro carrozzevorrei essere il cagnolino che tengono sulle ginocchia. Vivo dei loro piaceri. Ognuno ha il proprio modo d'amare; il mio non fa male a nessunoe allora perché la gente si occupa di me? sono felice a modo mio. E' forse contrario alla legge che io vada a vedere le mie figliela seraquando escono di casa per andare al ballo? Che dolorese arrivo troppo tardi e mi dicono: "la signora è già uscita". Una volta ho aspettato fino alle tre del mattino per veder Nasiache non avevo veduto da due giorni. Per poco non scoppiavo dalla contentezza. Ve ne pregonon parlate di me se non per dire quanto le mie figlie siano buone.

Esse vorrebbero colmarmi d'ogni sorta di regali; glielo impedisco e dico loro: "Tenete per voi il vostro denaro. Che volete che io me ne faccia ? Non ho proprio bisogno di nulla". Giacchémio caro signoreche sono io? Un misero cadavere; l'anima sta ovunque si trovino le mie figlie. Quando avrete visto la signora de Nucingenmi direte quale delle due vi piace di più - disse il bonuomo dopo un momento di silenziovedendo che Eugenio si preparava a uscire per andare alle Tuileries in attesa dell'ora di presentarsi in casa de Beauséant.

Quella passeggiata fu fatale per lo studente. Alcune donne lo notarono. Era così bellocosì giovanee d'una eleganza così di buon gusto! Nel vedersi oggetto di un'attenzione quasi ammirativanon pensò più né alle sorelle né alla zia che aveva saccheggiatoné alle sue virtuose repugnanze. Aveva visto passare al di sopra della sua testa quel demonio che è così facile scambiare per un angeloquel Satana dalle ali screziate che semina rubiniche lancia le sue frecce d'oro contro i palazziimporpora le donneriveste d'un vano splendore i tronicosì semplici in origine:

aveva ascoltato il dio di quella vanità crepitanteil cui orpello ci sembra sia un simbolo della potenza. Le parole di Vautrinper quanto cinicheerano scese nel suo cuorecome nel ricordo d'una vergine s'imprime il profilo ignobile d'una rivenditrice d'abiti che le ha detto: "Oro e amore a josa!". Dopo aver bighellonatoverso le cinque Eugenio si presentò in casa della signora de Beauséante vi ricevette uno di quei colpi terribili di fronte ai quali i cuori giovani sono disarmati. Aveva fino allora trovato la contessa piena di quella urbanità garbatadi quella grazia mellifluadata dall'educazione aristocraticae che non è completa se non viene dal cuore.

Quando entròla signora de Beauséant ebbe un gesto seccoe gli disse in tono reciso:

- Signor de Rastignacmi è impossibile vedervialmeno in questo momento!ho da fare...

Per un osservatoree Rastignac lo era diventato prestoquella fraseil gestolo sguardol'inflessione della voceerano la storia del carattere e delle abitudini della casta. Scorse la mano di ferro sotto il guanto di velluto; la personalitàl'egoismo sotto le maniere; il legno sotto la vernice.

Sentìinsommal'"Io il Re"che comincia sotto i pennacchi del trono e finisce sotto il cimiero dell'ultimo gentiluomo. Eugenio s'era troppo facilmente lasciato andare nel crederesulla parola della cuginaalla virtù della donna. Come tutti gli sventuratiaveva firmato in buona fede il patto delizioso che deve unire il benefattore e il beneficatoe il cui primo articolo consacra tra i magnanimi cuori una completa eguaglianza. La beneficenzache unisce due esseri in uno soloè una passione celestetanto incompresatanto rara quanto il vero amore. L'una e l'altro sono la prodigalità delle anime belle. Rastignac voleva riuscire a essere invitato al ballo della duchessa di Carigliano; e superò quella burrasca.

- Signora - disse con voce commossa - se non si trattasse d'una cosa importantenon sarei venuto a importunarvi; siate gentile permettetemi di vedervi più tardiattenderò.

- Ebbene !venite a pranzo da me - disse un po' confusa della durezza delle sue parole; giacché questa donna era davvero altrettanto buona che nobile.

Sebbene commosso da tale improvviso cambiamentoEugenio si disse andandosene: "Abbassatisopporta tutto. Che cosa non devono essere le altresein un momentola migliore delle donne dimentica le promesse della sua amiciziati lascia lì come una scarpa vecchia! Ognuno per sédunque. E' pur vero che la sua casa non è un negozioe il torto è mio d'aver bisogno di lei. Bisognacome dice Vautrindiventare una palla di cannone". Le amare riflessioni dello studente furono presto dissipate dal piacere che si riprometteva pranzando dalla viscontessa.

Cosìper una specie di fatalitài minimi atti della sua vita cospiravano a spingerlo in quella strada ovesecondo le osservazioni della terribile sfinge di casa Vauqueregli dovevacome su di un campo di battagliauccidere per non essere uccisoingannare per non essere ingannato; ove doveva lasciare alla barriera la sua coscienzail suo cuoremettersi una mascherabeffarsisenza pietàdegli uominie come a Spartacogliere la fortuna senza esser vistoper meritare la corona. Quando tornò dalla viscontessala trovò piena di quella bontà graziosa di cui gli aveva sempre dato prova. Tutti e due si avviarono verso una sala da pranzo dove il visconte attendeva sua mogliee in cui risplendeva quel lusso della tavola che sotto la Restaurazione fu spintocome ognuno saal più alto grado. Il signor de Beauséantsimile a molte persone scettiche indifferenti e insensibilinon trovava ormai altro piacere che nella buona tavola; eraquanto a ghiottoneriadella scuola di Luigi Diciottesimo e del duca d'Escars. La sua tavola offriva dunque un doppio lusso: quello del contenente e quello del contenuto. Mai un simile spettacolo si era presentato agli occhi d'Eugenioche pranzava per la prima volta in una di quelle case in cui le grandezze sociali sono ereditarie.

La moda aveva da poco soppresso le cenecon le quali terminavano un tempo i balli dell'Imperoe in cui i militari avevano bisogno di prender forza per prepararsi a tutti i combattimenti che li attendevanoall'interno e all'esterno. Eugenio aveva fino allora assistito solo a balli. La disinvoltura che lo distinse più tardi così eminentementee che già cominciava ad assumeregli impedì di apparire scioccamente stupefatto. Mavedendo quell'argenteria cesellata e le mille ricercatezze d'una tavola sontuosaammirando per la prima volta un servizio di domestici eseguito silenziosamenteera difficile a un uomo d'ardente immaginazione non preferire quella vita sempre elegante alla vita di privazioni che al mattino di quello stesso giorno voleva accettare. Il suo pensiero lo riportò per un momento nella pensione borghesee ne provò un così profondo orroreche giurò di lasciarla nel prossimo mese di gennaiosia per sistemarsi in un alloggio più pulitosia per allontanarsi da Vautrindi cui sentiva l'ampia mano sulla sua spalla.

Quando si pensa alle mille forme che assume a Parigi la corruzioneparlante o mutaun uomo di buon senso si domanda per quale aberrazione lo Stato vi istituisca scuole e vi riunisca i giovanicome mai le belle donne possono esservi rispettatecome mai l'oro messo in vetrina dai cambiavalute non s'invola magicamente dalle loro ciotole. Ma se si pensa che pochi sono i casi di delittianche di delitti commessi dai giovanida quale rispetto non si deve essere presi per quei pazienti Tantali in combattimento con se stessie quasi sempre vincitori? Se fosse ben descritto nella sua lotta con Parigiil povero studente offrirebbe uno dei soggetti più drammatici della nostra civilizzazione moderna. La signora de Beauséant guardava invano Eugenio per invitarlo a parlare; egli non volle dir nulla in presenza del Visconte.

- Mi accompagnate questa sera agli "Italiani"? - chiese la viscontessa al marito.

- Non potete dubitare con quale piacere vi ubbidirei - egli rispose con una galanteria ironica da cui lo studente rimase ingannato - ma devo vedere qualcuno alle "Varietés".

"La sua amante" essa pensò.

- Non avete d'Adjudaquesta sera? - domandò il visconte.

- No - rispose lei con stizza.

- E allora!se vi occorre assolutamente un braccioprendete quello del signor de Rastignac. - La viscontessa guardò Eugenio sorridendo.

- Sarà ben compromettente per voi - essa disse.

- "Il francese ama il pericolo perché vi trova la gloria"ha detto il signor de Chateaubriand - rispose Rastignac inchinandosi.

Più tardi egli fu condottovicino alla signora de Beauséantin un veloce "coupé"al teatro alla modae credette a una fantasmagoria quando entrò in un palco di faccia e si vide preso di mira da tutti gli occhialini unitamente alla viscontessala cui toletta era deliziosa. Egli passava da un incanto all'altro.

- Avevate da parlarmi - gli disse la signora de Beauséant. - To!guardateecco là la signora de Nucingen a tre palchi dal nostro.

Sua sorella e il signor de Trailles sono dall'altro lato.

Dicendo queste parolela viscontessa guardava il palco dove doveva trovarsi la signorina de Rochefideenon vedendovi il signor d'Adjudail suo volto brillò in un modo straordinario.

- E' incantevole - disse Eugenio dopo aver guardato la signora de Nucingen.

- Ha le ciglia bianche.

- Sìma che graziosa vita sottile!

- Ha le mani grosse.

- Che begli occhi!

- Ha il viso lungo.

- Ma la forma lunga conferisce distinzione.

- E' una fortuna per lei averla almeno lì. Guardate come prende e come lascia l'occhialino! Il Goriot viene fuori da tutti i suoi gesti - disse la viscontessa con grande meraviglia di Eugenio.

Difattila signora de Beauséant guardava con l'occhialino la sala e non sembrava fare attenzione alla signora de Nucingendella quale tuttavia non perdeva neppure un gesto. Il pubblico era squisitamente elegante. Delfina de Nucingen non era poco lusingata d'interessare in pieno il giovanebelloelegante cugino della signora de Beauséant. Egli non guardava che lei.

- Se continuate a coprirla coi vostri sguardisusciterete uno scandalosignor de Rastignac. Non riuscirete a nullase vi scaglierete in questo modo contro le persone.

- Mia cara cugina - disse Eugenio - voi mi avete già ben protetto; se volete compiere l'operavi chiedo solo di rendermi un servigio chi vi darà poco disturbo e mi farà gran bene. Eccomi preso.

- Già?

- Sì.

- E di quella donna?

- Le mie pretese sarebbero forse ascoltate altrove? - egli disse dando uno sguardo penetrante alla cugina. - La signora duchessa di Carigliano è amica della signora duchessa de Berry - riprese dopo una pausa; - voi dovete vederlaabbiate la bontà di presentarmi a lei e di condurmi al ballo che darà lunedì. Lì incontrerò la signora de Nucingene vi ingaggerò la mia prima scaramuccia.

- Volentieri - lei rispose. - Se già avete dell'interesse per leii vostri affari di cuore vanno benissimo. Ecco là de Marsay nel palco della principessa Galathionne. La signora de Nucingen è alla torturaè indispettita. Non c'è miglior momento per abbordare una donnaspecie poi la moglie d'un banchiere. A queste donne della Chaussée-d'Antin piace la vendetta.

- Che cosa fareste voi in un caso simile?

- Iosoffrirei in silenzio.

In quel momento il marchese d'Adjuda si presentò nel palco della signora de Beauséant.

- Ho trascurato i miei affari pur di raggiungervi - disse - e ve lo dico affinché questo non sia un sacrificio.

Il raggiare del volto della viscontessa insegnò ad Eugenio a riconoscere le espressioni d'un vero amore e a non confonderle con le smorfie della civetteria parigina. Egli ammirò sua cuginasi fece silenzioso e cedette il suo posto al signor d'Adjudasospirando. "Che nobileche sublime creaturaè una donna che ama così"disse fra sé e sé. "E quest'uomo la tradirebbe per una bambolina? Come è possibile tradirla?". Si sentì al cuore una rabbia infantile. Avrebbe voluto rotolarsi ai piedi della signora de Beauséantdesiderava il potere dei demoni per ghermirla e trarla al suo cuorecome un'aquila solleva dalla pianura e reca al suo nido una capretta bianca ancor lattante. Si sentiva umiliato di trovarsi entro quel grande Museo della bellezza senza il suo quadrosenza una amante sua. "Avere un'amante è una posizione quasi regale"diceva fra sé e séè il segno della potenza!. E guardò la signora de Nucingen come un uomo insultato guarda il proprio avversario. La viscontessa si voltò verso di lui per fargliper la sua discrezionemille ringraziamenti con una sola strizzatina d'occhi. Il primo atto era finito.

- Conoscete voi abbastanza la signora de Nucingenda poterle presentare il signor de Rastignac? - domandò al marchese d'Adjuda.

- Ma sarà felice di conoscere il signore - rispose il marchese. Il bel Portoghese si alzò e prese sottobraccio lo studenteche in un batter d'occhio si trovò in presenza della signora de Nucingen.

- Signora baronessa - disse il marchese - ho l'onore di presentarvi il cavalier Eugenio de Rastignaccugino della viscontessa de Beauséant. Voi fate una così viva impressione su di luiche ho voluto completare la sua felicità avvicinandolo al suo idolo.

Queste parole furono dette con un certo accento di scherzoche ne faceva accettare il pensiero un po' crudoma cheopportunamente dissimulatonon dispiace mai a una donna. La signora de Nucingen sorrisee offrì a Eugenio il posto di suo maritouscito poco prima.

- Non oso proporvi di rimanere quisignore - gli disse. - Quando si ha la fortuna d'esser vicino alla signora de Beauséantci si resta.

- Ma - le rispose a bassa voce Eugenio - credosignorache se voglio far cosa grata a mia cuginadovrò rimanere accanto a voi.

Prima che giungesse il signor marcheseparlavamo di voi e della distinzione di tutta la vostra persona - aggiunse a voce alta.

Il signor d'Adjuda si ritirò.

- Ma davvero volete rimanere qui con me? Ci conosceremoallora; la signora de Restaud mi aveva già fatto venire il più vivo desiderio di vedervi.

- Ohquanta falsità! Ha dato l'ordine di non ricevermi.

- Come sarebbe a dire?

- Signoratroverò il coraggio di dirvene la ragionema chiedo tutta la vostra indulgenza confidandovi un simile segreto. Io sono il vicino del vostro signor padre. Non sapevo che la signora de Restaud fosse sua figlia. Ho commesso l'imprudenza di parlarnemolto innocentementee ho urtato vostra sorella e suo marito. Non potete immaginare quanto la signora duchessa de Langeais e mia cugina abbiano trovato questa apostasia filiale di cattivo gusto.

Ho raccontato loro la scenae ne hanno riso alla follia. E' stato allora chefacendo un parallelo tra voi e vostra sorellala signora de Beauséant mi ha parlato di voi nel migliore dei modie mi ha detto quanto voi siete buona col mio vicinoil signor Goriot. Comedel restopotreste non amarlo? Vi adora così appassionatamenteche ne sono già geloso. Abbiamo parlato stamane di voi per due ore. Poientusiasmato di quel che vostro padre mi ha raccontatoquesta serapranzando da mia cuginale dicevo che voi non potevate essere tanto bella quanto eravate figlia affezionata. Volendo senza dubbio favorire una così calda ammirazionela signora de Beauséant mi ha condotto quidicendomi con la sua grazia abituale che vi avrei incontrata.

- Comesignore - disse la moglie del banchiere - debbo già esservi riconoscente? Ancora un po'e diverremo vecchi amici.

- Benché l'amicizia debba essere in voi un sentimento poco comune - disse Rastignac - non vorrò mai essere vostro amico.

Queste sciocchezze stereotipate a uso dei debuttanti sembrano sempre affascinanti alle donnee non sono meschine che lette a freddo. Il gestol'accentolo sguardo d'un giovane conferiscono loro incalcolabili valori.

La signora de Nucingen trovò Rastignac molto interessante. Poi come tutte le donnenon potendo dir nulla a proposito di questioni così bruscamente poste come lo erano quelle dello studenterispose ad altro.

- Sìmia sorella ha torto di condursi nel modo in cui si conduce verso il mio povero padreche davvero è stato per noi un dio. E' stato necessario che il signor de Nucingen mi ordinasse tassativamente di vedere mio padre soltanto la mattinaperché cedessi su questo punto. Ma ne sono stata a lungo addolorata. Ne ho pianto. Queste violenze venute dopo le brutalità nel matrimoniosono state una delle ragioni che più turbarono la nostra unione. Io sono certo la donna di Parigi più felice agli occhi del mondola più infelice in realtà. Sentendomi parlare cosìmi crederete pazza. Ma voi conoscete mio padreea tale titolonon potete essere per me un estraneo.

- Voi non avete mai incontrato alcuno - le disse Eugenio - che sia più di me animato dal desiderio di appartenervi. Che cosa cercate voi tutte? La felicità - riprese con una voce che penetrava nell'anima. - E allora!se per una donna la felicità consiste nell'essere amataadoratanell'avere un amico cui poter confidare tutti i propri desiderile fantasiei dolorile gioiemostrarsi nella nudità della propria animacoi graziosi difetti e le belle qualitàsenza timore d'essere traditacredetemiun tal cuore devotosempre ardentenon può trovarsi che in un giovanepieno d'illusionicapace di morire a un solo vostro cennoche ancora non sa nulla del mondo e nulla vuol sapereperché per lui il mondo siete voi. Ma iolo vedetee ora riderete della mia ingenuitàio arrivo qui dal fondo di una provincianuovo a tuttodopo aver conosciuto solo anime belle; e contavo di rimanere senza amore. M'è accaduto di vedere mia cuginache mi ha messo troppo accanto al suo cuore; mi ha fatto indovinare i mille tesori della passioneio sonocome Cherubinoinnamorato di tutte le donnein attesa di potermi consacrare a una di loro. Vedendoviquando sono entratomi sono sentito portare a voi come da una corrente. Avevo già pensato tanto a voi!

Ma non vi avevo mai sognato tanto bella come siete in realtà. La signora de Beauséant mi ha detto di non guardarvi tanto. Lei non sa quel che c'è di attraente a vedere le vostre deliziose labbra rossela vostra carnagione biancai vostri occhi dagli sguardi così dolci. Anch'io vi sto dicendo delle folliema lasciatemele dire!

Nulla piace più alle donne che il sentirsi indirizzare così dolci parole. La donna più rigorosamente devota le ascolta anche quando a esse non deve rispondere. Dopo aver così iniziato il suo direRastignac snocciolò il suo rosario con voce resa bassa per civetteria; e la signora de Nucingen incoraggiava Eugenio con dei sorrisiguardando di tanto in tanto de Marsayche non lasciava il palco della principessa Galathionne. Rastignac rimase vicina alla signora de Nucingen fino al momento in cui il marito venne a prenderla per ricondurla a casa.

- Signora - le disse Eugenio - avrò il piacere d'incontrarvi al ballo della duchessa di Carigliano.

- Poiché la zignora fe ne preca - disse il baroneun grosso Alsaziano la cui figura tondeggiante indicava una pericolosa malizia - ziete ziguro t'esser pen ricefuto.

"I miei affari vanno beneperché non si è inalberata sentendomi dire: Mi amerete? Ho messo il morso alla bestiasaltiamole in groppa e guidiamola"si disse Eugenio andando a salutare la signora de Beauséantche si alzava e usciva con d'Adjuda. Il povero studente non sapeva che la baronessa era distratta e che attendeva da de Marsay una di quelle lettere decisive che straziano l'anima. Tutto contento del suo falso successoEugenio accompagnò la viscontessa fino al peristilio dove ognuno attende la propria carrozza.

- Vostro cugino non sembra più lui - disse il Portogheseridendoalla viscontessaquando Eugenio li ebbe lasciati. - Sta per far saltare il banco. E' svelto come un'anguillae penso che andrà lontano. Voi sola potevate accuratamente scegliergli una donna che si trova proprio nel momento in cui ha bisogno d'essere consolata.

- Ma - disse la signora de Beauséant - bisogna pur sapere se lei ama ancora colui che l'abbandona.

Lo studente tornò a piedi dal Teatro Italiano alla via Neuve- Sainte-Genevièvefacendo i più rosei progetti. Egli aveva ben notato l'attenzione con cui la signora de Restaud lo aveva guardatosia quando si trovava nel palco della viscontessasia in quello della signora de Nucingene pensò che la porta della contessa non sarebbe più rimasta chiusa per lui. Così già quattro relazioni di prim'ordineivi compresa quella della marescialla cui contava di riuscire graditostavano per essergli acquisite nel cuore dell'alta società parigina. Senza troppo spiegarsene i modigià prevedeva chenel gioco complicato degli interessi di quel mondoavrebbe dovuto attaccarsi a un ingranaggio per trovarsi nella parte superiore della macchinae si sentiva la forza d'arrestarne la ruota. "Se la signora de Nucingen s'interessa di me le insegnerò a governare suo marito. Questo marito fa affari d'oropotrà aiutarmi a mettere insieme in un colpo solo una fortuna". Non diceva questo a se stesso crudamentema era ancora abbastanza politico da stimare una situazioneapprezzarla e calcolarla; quelle idee fluttuavano all'orizzonte sotto forma di nuvole lieviesebbene non avessero l'asprezza di quelle di Vautrinse fossero state tuttavia provate al crogiuolo della coscienza non avrebbero dato nulla di molto puro. Gli uomini giungonoattraverso una sequela di transazioni di tal generealla morale rilassata che professa l'epoca attualeove s'incontrano più raramente che in ogni altro tempo quegli uomini tetragoniquelle belle volontà che non si piegano mai al maleuomini ai quali la minima deviazione dalla linea retta sembra essere un delitto: magnifiche immagini della probità che ci hanno valso due capolavori: l'"Alceste" di Molièree poi recentemente "Jenny Deans" e suo padrenell'opera di Walter Scott. Forse l'opera oppostala pittura delle tortuosità nelle quali un uomo di mondoun ambiziosofa rotolare la coscienzacercando di costeggiare il male per arrivare allo scopo salvando le apparenzenon sarebbe né meno bellané meno drammatica. Nel raggiungere la soglia della pensioneRastignac s'era incapricciato della signora de Nucingengli era apparsa agilefine come una rondinella.

L'inebbriante dolcezza dei suoi occhiil tessuto delicato e serico della pelle sotto la quale aveva creduto veder scorrere il sangueil suono incantevole della vocei biondi capelli: tutto di lei ricordava; e forse il camminaremettendo il sangue in movimentoaveva concorso a quella fascinazione. Lo studente bussò forte alla porta di papà Goriot.

- Vicino mio - disse - ho visto la signora Delfina.

- Dove?

- Agli "Italiani".

- Si divertiva? Ma entrate. - E il bonuomoche s'era levato da letto in camiciasi ricoricò alla svelta. - Parlatemi dunque di lei - aggiunse.

Eugenioche si trovava per la prima volta in camera di Goriotnon seppe padroneggiare un moto di stupore vedendo il bugigattolo dove viveva il padre dopo aver ammirato la toletta della figlia.

La finestra era senza tende; la carta da parati incollata sui muri se ne distaccava in più punti a causa dell'umiditàe si accartocciava scoprendo la calce ingiallita dal fuoco. Il bonuomo giaceva su di un lettuccionon aveva che una leggera coperta e un copriletto imbottitofatto con gli avanzi dei vecchi abiti della signora Vauquer. I vetri della finestra erano umidi e pieni di polvere. Incontro a essasi vedeva uno di quei vecchi canterani in legno di rosa bombaticon le maniglie in rame foggiato a tralci decorati di foglie di fiorie un vecchio mobile con una tavoletta di legno su cui era posta una brocca d'acqua nella sua catinellae tutto l'occorrente per farsi la barba. In un angolole scarpe; accanto alla testata del lettoun comodino senza sportello e senza lastra di marmo; all'angolo del caminettodove non c'era traccia di fuocosi trovava quella tavola quadratain legno di noceil cui asse aveva servito a papà Goriot per sformare il servizio d'argento dorato. Un brutto scrittoiosul quale era il cappello del bonuomouna poltrona col sedile di pagliasfondatae due sedie completavano il miserevole mobilio.

La sommità del lettoattaccata al soffitto con un cencioreggeva una strisciaccia di stoffa a quadrati rossi e bianchi. Il più povero commissionario doveva essere meno mal combinato nel suo granaio di quanto non lo fosse papà Goriot in casa della signora Vauquer. L'aspetto della camera metteva freddo e stringeva il cuore; sembrava il più triste alloggio d'una prigione. Per fortuna Goriot non vide l'espressione che si dipinse sul viso di Eugenio quando questi posò la candela sul comodino. Il bonuomo si volse dalla parte di luirimanendo coperto fino al mento.

- Dunque!chi preferite: la signora de Restaud o la signora de Nucingen ?

- Preferisco la signora Delfina - rispose lo studente - perché lei vi vuol più bene.

A queste paroledette con caloreil bonuomo tirò fuori il braccio dal letto e strinse la mano d'Eugenio.

- Graziegrazie - rispose il vecchio commosso. - Eche vi ha detto di me?

Lo studente ripeté le parole della baronessa abbellendolee il vecchio l'ascoltò come se avesse ascoltato la parola di Dio.

- Cara figliuola!sìsìmi vuole tanto bene. Ma non credetela affatto in quanto vi ha detto d'Anastasia. Vedetele due sorelle sono gelose l'una dell'altra; è una prova di più della loro tenerezza. La signora de Restaud mi vuole tanto bene anche lei. Lo so. Un padre è coi suoi figli come Dio è con noi; va fino in fondo ai cuorie giudica le intenzioni. Sono tutte e due egualmente amorose. Oh!se avessi avuto dei buoni generisarei stato troppo felice. Ma indubbiamente non c'è una felicità completa quaggiù. Se avessi vissuto con loroal solo sentir le loro vocisaperle vicinevederle andare e venirecome quando le avevo in casa miail cuore mi avrebbe fatto capriole. Erano eleganti?

- Sì - disse Eugenio. - Masignor Goriotcome maiavendo due figlie così riccamente sistematepotete restare ancora in un tugurio simile?

- In fede mia - rispose con aria di apparente noncuranza - a che mi servirebbe lo star meglio? Io non so d'altra parte spiegarmi queste cose; non so dire due parole di seguito. Tutto è qui - aggiunse battendosi sul cuore. - La mia vitaè interamente nelle mie due figlie. Se si divertonose sono feliciben vestitese camminano su tappetiche importa di quale stoffa io sia vestitoe quale sia il posto dove mi corico? Io non ho freddo se loro hanno caldoio non mi annoio mai se loro ridono. Non ho dispiaceri all'infuori dei loro. Quando sarete padrequando diretesentendo cinguettare i vostri bambini: l'ho fatto io!e sentirete le piccole creature appartenere a ogni goccia del vostro sanguedi cui sono state il fior fioreperché è proprio così!vi crederete aderente alla loro epidermidevi crederete mosso voi stesso dai loro passi. La voce loro mi risponde ovunque. Un loro sguardose tristemi ferma il sangue. Un giorno saprete che si è più felici della loro felicità che non della propria. Non posso spiegarvi questo; sono moti interni che diffondono il benessere dappertutto. Insommaio vivo tre volte. Volete proprio che vi dica una cosa strana? Ebbenequando sono diventato padreho compreso Iddio. Egli è intiero ovunqueperché la creatura è uscita da lui. Signoreio sono così con le mie figlie. Soltanto che io amo le mie figlie più che Iddio non ami il mondoperché il mondo non è bello quanto Iddiomentre le mie figlie son più belle di me. Esse sono così congiunte all'anima miache io ero sicuro che le avreste vedute questa sera. Mio Dio! A un uomo capace di rendere la mia piccola Delfina così felice come lo è una donna quando la si ama veramente benema io gli lustrerei le scarpegli renderei qualsiasi servizio. Ho saputo dalla sua cameriera che quel piccolo signor de Marsay è un tristo uomo. M'è venuta la voglia di torcergli il collo. Come si fa a non amare un gioiello di donnauna voce d'usignolofatta che sembra un modello? Dove aveva gli occhi per sposare quel grosso ciocco d'Alsaziano? Ci sarebbero voluti per tutte e due dei bei giovani a modo. Insommahanno fatto a loro capriccio. - Papà Goriot era sublime. Mai Eugenio lo aveva visto così illuminato dal fuoco della sua passione paterna. Una cosa degna di nota è la potenza di infusione che hanno i sentimenti. Per quanto grossolana sia una creaturaquando essa esprime un affetto intenso e veraceesala un fluido particolare che modifica la fisionomiaanima il gestocolorisce la voce. Spesso l'essere più sciocco raggiungesotto l'impeto della passionela più grande eloquenza con l'idease non con le parolee sembra muoversi entro una sfera luminosa. C'erain quel momentonella vocenel gesto di quel bonuomola potenza comunicativa propria del grande attore. Del restoi nostri nobili sentimenti non sono forse la poesia della volontà?

- Ebbenenon vi dispiacerà allora di sapere - gli disse Eugenio - che sta per romperla certamente con quel de Marsay. Questo bel tomo l'ha lasciata per unirsi alla principessa Galathionne. Quanto a mevi dirò che questa sera mi sono innamorato della signora Delfina.

- Ah! - fece papà Goriot.

- Sì. E non le sono dispiaciuto. Abbiamo parlato d'amore per un'orae devo andarla a trovare dopodomanisabato.

- Oh !come vi vorrei benemio caro signorese voi le piaceste.

Voi siete buono; e certo non la tormentereste mai. Se la tradistevi torcerei subito il collo. Una donna non può avere due amoricredetemi. Mio Dio!ma io sto dicendo delle sciocchezzesignor Eugenio. Fa freddo quiper voi. Mio Dio!l'avete dunque sentita parlare? Eche vi ha detto per me?

"Nulla" disse fra sé e sé Eugenio. - Mi ha detto-rispose ad alta voce - che vi mandava un buon bacio filiale.

- Addiovicino; dormite benefate bei sogni; i miei saranno fatti tutti di quella parola or ora da voi riferitami. Che Dio vi esaudisca in tutti i vostri desideri! Questa sera siete stato per me come un buon angelo: mi avete portato l'aria respirata da mia figlia.

"Pover uomo" si disse Eugenio andandosene a lettofa intenerire un cuore di pietra. Sua figlia ha pensato a lui quanto al Gran Turco.

Dopo quella conversazionepapà Goriot vide nel suo vicino un confidente insperatoun amico. Si erano stabiliti tra loro i soli rapporti coi quali il vecchio poteva legarsi a un altro uomo. Le passioni non fanno mai calcoli sbagliati. Papà Goriot già si vedeva un poco più vicino a sua figlia Delfinameglio ricevuto da leise Eugenio fosse diventato caro alla baronessa. Del resto gli aveva palesato uno dei suoi dolori. La signora de Nucingenalla quale mille volte al giorno augurava la felicitànon aveva conosciuto la dolcezza dell'amore. CertoEugenio eraper ripetere la sua maniera d'esprimersiuno dei giovani più a modo che mai avesse conosciutoe sembrava presentisse che le avrebbe procurato tutti i piaceri di cui era stata privata. Il bonuomo strinse dunque col suo vicino un'amicizia che andò crescendoe senza la quale sarebbe stato impossibile conoscere la conclusione di questa storia.

L'indomani mattinaa colazionel'ostentazione con cui papà Goriot guardava Eugeniovicino al quale andò a sedersile parole che gli rivolsee il cambiamento della sua fisionomianormalmente simile a una maschera di gessomeravigliarono i pensionanti. Vautrin che rivedeva lo studente per la prima volta dopo il loro colloquiosembrava volesse leggergli nell'anima.

Ricordandosi del progetto di quell'uomoEugeniocheprima di addormentarsiavevadurante la nottemisurato il vasto campo che s'apriva ai suoi sguardipensò per forza di cose alla dote della signorina Taillefere non poté fare a meno di guardare Vittorinacome il più virtuoso giovane può guardare una ricca ereditiera. Per casoi loro sguardi s'incontrarono. La povera ragazza trovò Eugenio interessante nel suo vestito nuovo. Lo sguardo che si scambiarono fu abbastanza significativo perché Rastignac non dubitasse d'esser per lei l'oggetto di quei confusi desideri che provano tutte le giovinette e che esse riferiscono al primo essere seducente che incontrano. Una voce gli diceva:

Ottocentomila franchi! Maa un trattotornò a immergersi nei ricordi della sera primae pensò che la sua calcolata passione per la signora de Nucingen poteva essere l'antidoto dei suoi cattivi e involontari pensieri.

- Ieriagli "Italiani"hanno dato il "Barbiere di Siviglia"di Rossini. Non ho mai sentito musica così deliziosa - egli disse. - Mio Dio!è una felicità avere un palco agli "Italiani"!

Papà Goriot colse questa parola a volocome il cane coglie un gesto del padrone.

- Voi uomini state come papi - disse la signora Vauquer - fate tutto quel che vi piace.

- Come siete ritornato a casa? - gli chiese Vautrin.

- A piedi - rispose Eugenio.

- A me - riprese il tentatore - non piacciono le cose a metà; a teatro vorrei andarci con la mia carrozzanel palco mioe tornarmene a casa comodamente. O tutto o niente!ecco la mia divisa.

- Ed è quella buona - aggiunse la signora Vauquer.

- Voi andrete forse a trovare la signora de Nucingen - disse Eugenio a bassa voce a papà Goriot. - Lei vi riceverà senza dubbio a braccia aperte; e vorrà conoscere mille piccoli dettagli su di me. Ho saputo che farà di tutto per essere ricevuta da mia cuginala signora viscontessa de Beauséant. Non dimenticatevi di dirle che l'amo troppo per non pensare a procurarle tale soddisfazione.

Rastignac se ne andò in fretta alla Scuola di dirittocercava di rimanere il meno possibile in quella odiosa pensione. Bighellonò quasi tutta la giornatain preda a quella esaltazione che hanno conosciuto i giovani pieni di troppe vive speranze. I ragionamenti di Vautrin lo stavano facendo riflettere sulla vita socialequando incontrò il suo amico Bianchon nel giardino del Lussemburgo.

- E perché quest'aria grave? - gli domandò lo studente in medicinaprendendolo sotto braccio per passeggiare insieme dinanzi al palazzo.

- Sono tormentato da brutte idee.

- Di qual genere? Ma delle idee si guarisce.

- E come?

- Soccombendovi.

- Tu ridi senza sapere di che si tratta. Hai letto Rousseau?

- Sì.

- Ti ricordi di quel punto in cui egli domandava al lettore ciò che farebbe nel caso in cui potesse arricchirsi uccidendo in Cinacon la sua sola volontàun vecchio mandarinosenza muoversi da Parigi?

- Sì.

- Ebbene?

- Ma! io sono al trentatreesimo mandarino.

- Non scherzare. Andiamose ti venisse provato che la cosa è possibilee che ti basterebbe un cenno della testalo farestitu?

- E' molto vecchioil mandarino? Maoh!giovane o vecchio paralitico o ben portantein fede mia... Diamine!ebbeneno!

- Tu sei un bravo ragazzoBianchon. Ma se amassial punto di sentirtene scombussolata l'animauna donnae le occorressero denarimolti denari per la sua tolettaper il suo equipaggioinsomma per tutti i suoi capricci?

- Ma tu mi togli la ragionee poi pretendi che ragioni.

- Ebbene sìBianchonio sono pazzoguariscimi. Ho due sorelle che sono due angeli di bontàdi candoree voglio che siano felici. Dove trovare duecentomila franchi per la loro dote di qui a cinque anni? Ci sonocome vedicircostanze nella vita in cui bisogna rischiare molto e non sciupare la propria sorte per guadagnar soltanto soldi.

- Ma tu poni il problema che tutti devono risolvere all'ingresso nella vitae vuoi tagliare il nodo gordiano con la spada. Per agire cosìmio carobisogna essere Alessandrose no si finisce in galera. Io mi accontento della piccola esistenza che mi creerò in provinciadove succederò scioccamente a mio padre. Le buone disposizioni dell'uomo trovano soddisfazione nel più ristretto cerchio tanto completamente quanto in un'immensa circonferenza.

Napoleone non pranzava due volte al giornoe non poteva avere più amanti di quante non ne abbia uno studente in medicinainterno ai Cappuccini. La nostra felicitàmio carostarà sempre tra la pianta dei nostri piedi e il nostro occipite: e costi un milione l'anno o cento luigila percezione intrinseca della felicità è la stessa. Concludo per la vita del cinese.

- Grazietu mi hai fatto del beneBianchon. Saremo sempre buoni amici.

- Ma dimmi - riprese lo studente in medicina - uscendo dal corso di Cuvieral Jardin des Plantesho scorto la Michonneau e Poiret conversare su di una panca con un signoreche ho visto durante i torbidi dell'anno scorso nei dintorni della Camera dei Deputati e che mi ha fatto l'impressione sia un agente della polizia travestito da onesto borghese che vive di rendita. Teniamo d'occhio quella coppia; poi ti dirò il perché. Ciaovado a rispondere all'appello delle quattro.

Quando Eugenio tornò alla pensionetrovò papà Goriot che lo attendeva.

- Tò - disse il bonuomo - ecco una lettera sua. Ma che graziosa calligrafiaeh?

Eugenio dissuggellò la letterae lesse.

"Signoremio padre mi ha detto che vi piace la musica italiana.

Sarò lieta se vorrete procurarmi il piacere di accettare un posto nel mio palco. Sabato avremo la Fodor e Pellegrinie allora sono sicura che non rifiuterete il mio invito. Il signor de Nucingen si unisce a me per pregarvi di venire prima a pranzo da noisenza alcuna cerimonia. Se accetteretelo renderete lieto di non dover compiere la sua fatica coniugale accompagnandomi. Non rispondetemivenitee gradite i miei complimenti.

D. de N." - Mostratemela - disse il bonuomo a Eugenioquando ebbe letto la lettera. - Ci andretenon è vero? - aggiunse dopo aver odorato la carta. Che buon profumo! E pensare che le sue dita l'hanno toccata!

"Una donna non si butta così addosso a un uomo" pensava lo studente. "Vuole servirsi di me per riacciuffare de Marsay. Non c'è che il dispetto capace di far fare di queste cose".

- Ebbene - domandò papà Goriot - a che pensatedunque?

Eugenio non conosceva il delirio della vanità da cui certe donne erano prese in quell'epocae non sapeva chepur di aprirsi una porta nel faubourg Saint-Germainla moglie d'un banchiere sarebbe stata capace di tutti i sacrifici.

A quell'epoca la moda cominciava a mettere al di sopra di tutte le donne coloro che erano ammesse nei salotti del faubourg Saint- Germaindette le donne del Petit-Chateautra le quali la signora de Beauséantla sua amica duchessa de Langeais e la duchessa de Maufrigneuse tenevano il primo posto. Solo Rastignac ignorava il furore da cui erano prese le signore della Chaussée d'Antin per entrare nella sfera superiore ove brillavano le costellazioni del loro sesso. Ma la sua diffidenza lo servì benegli diede la freddezza e il triste potere di porre condizioni anziché riceverne.

- Sìci andrò - egli rispose.

Cosìla curiosità lo conduceva dalla signora de Nucingenmentrese questa donna lo avesse sdegnatoforse vi sarebbe stato condotto dalla passione. Tuttavianon attese l'indomani e l'ora d'uscire di casa senza una specie d'impazienza. Per un giovanec'ènel suo primo intrigotanto interesseforsequanto se ne incontra in un primo amore. La certezza di riuscire genera mille felicità che gli uomini non confessanoe che costituiscono tutto il fascino di certe donne. Il desiderio nasce non meno dalla difficoltà che dalla facilità del successo. Tutte le passioni umane sono certamente eccitate o conservate dall'una o dall'altra di queste due cause che dividono l'impero dell'amore. Forse tale divisione è una conseguenza della grande questione dei temperamentiche dominachecché se ne dicala società. Se i malinconici hanno bisogno del tonico delle civetterieforse i nervosi o sanguigni abbandonano la partita se la resistenza dura troppo. In altri terminil'elegia è tanto essenzialmente linfatica per quanto bilioso è il ditirambo.

Facendo tolettaEugenio gustò tutti quei piccoli piaceri di cui non osano parlare i giovaniper paura d'esserne presi in giroma che solleticano il loro amor proprio. Si acconciava la chioma pensando che lo sguardo d'una bella donna si sarebbe insinuato sotto i suoi boccoli neri. Si permise tante smorfie quante ne avrebbe fatte una giovinetta nell'agghindarsi per il ballo. Guardò con soddisfazione la sua linea snellalisciando le pieghe del vestito. "E' certo" si disseche ce ne saranno altri fatti peggio!.

Poi scesenel momento in cui tutti i frequentatori della pensione s'erano già messi a tavolae ricevette allegramente l'urrà di sciocchezze che la sua eleganza suscitò. Un segno dei modi di fare particolari delle pensioni familiari è la meraviglia che vi produce una toletta assai curata. Nessuno può indossare un vestito nuovo senza che ognuno dica la sua.

- Ktktktkt - fece Bianchonfacendo schioccare la lingua contro il palatocome per incitare un cavallo.

- Un insieme da duca e pari! - disse la signora Vauquer.

- Il signore va alla conquista? - fece osservare la signorina Michonneau.

- Chicchirichì! - esclamò il pittore.

- I miei complimenti alla signora vostra sposa - disse l'impiegato al Museo.

- Il signore ha una sposa? - domandò Poiret.

- Una sposa a scompartiche va sull'acquacolore garantitoprezzo tra le venticinque e le quarantadisegno a quadri ultima modalavabilesi porta benemetà filometà cotone e metà lanaguarisce il mal di denti e altre malattie approvate dall'Accademia di Medicina! ottima inoltre per i bambini!ancora più indicata contro il mal di testale infiammazioni e altre malattie dell'esofagodegli occhi e delle orecchie - gridò Vautrin con la volubilità comica e l'accento d'un imbonitore. - Ma quantouna simile meravigliami direte voisignori? Due soldi! No. Niente.

E' una rimanenza delle forniture fatte al Gran Mogole che tutti i sovrani d'Europacompreso il grrrrrranduca di Badenhanno voluto vedere! Entrate diritti avanti a voi!e passate al botteghino. Musicamaestro! Brumlàlàtrin! làlàbumbum!

Signor clarinettostonate- egli riprese con una voce rauca - batterò sulle dita.

- Dio!come è divertente quell'uomo - disse la signora Vauquer alla signora Couture - con lui non mi annoierei mai. - Fra le risa e i frizzidi cui questo discorso comicamente declamato fu il segnaleEugenio poté cogliere lo sguardo furtivo della signorina Tailleferche si chinò verso la signora Couture per dirle qualche parola all'orecchio.

- E' arrivato il carrozzino - disse Silvia.

- Dove pranza? - domandò Bianchon.

- Dalla signora baronessa de Nucingen.

- La figlia del signor Goriot - fece lo studente.

A quel nomegli sguardi conversero sul vecchio vermicellaio che contemplava Eugenio con una specie d'invidia.

Rastignac giunse in via Saint-Lazare dinanzi a una di quelle case snellea colonne sottilidal portico strettoche rappresentano a Parigi il "grazioso"; una vera casa di banchierecolma di ricercatezze costosedi stucchidi pianerottoli in mosaico.

Trovò la signora de Nucingen in un salottino affrescato all'italianala cui decorazione somigliava a quella dei caffè. La baronessa era triste. Gli sforzi che faceva per nascondere il suo dolore tanto più interessarono vivamente Eugenioin quanto non c'era in essi nulla di falso. Aveva creduto di poter rendere gaia una donna con la sua presenzae la trovava invece in preda allo sconforto. Questa delusione punse il suo amor proprio.

- Comprendo di aver ben poco diritto alla vostra confidenzasignora - disse dopo averla punzecchiata sul suo stato di preoccupazione - ma se vi dessi noiaconto sulla vostra franchezzaditemelo sinceramente.

- Restate - essa rispose - rimarrei sola se ve ne andaste.

Nucingen pranza fuorie non vorrei essere solaho bisogno di distrarmi.

- Ma che cosa avete?

- Sareste l'ultima persona a cui lo direi - esclamò.

- Voglio saperlo. Altrimenti dovrei credere che questo segreto mi riguarda in qualche modo.

- Forse ! Ma no - riprese lei - si tratta di beghe domesticheda seppellire in fondo al cuore. Non ve lo dicevo forse ieri l'altro?

Io non sono affatto felice. Le catene d'oro sono le più pesanti.

Quando una donna dice a un uomo di essere infelicese quest'uomo ha spiritoè elegantee ha millecinquecento franchi di scioperataggine in tascadeve pensare come Eugenioe diventa fatuo.

- Che cosa potete voi desiderare? - gli disse. Siete bellagiovaneamataricca.

- Non parliamo di me - lei disse facendo un sinistro movimento con la testa. - Pranzeremo insiemea quattr'occhie andremo a sentire la più deliziosa delle musiche. Vi piaccio? - riprese alzandosi e facendo vedere il suo abito in cascemir bianco a fioramidella più ricca eleganza.

- Vorrei che foste tutta per me - disse Eugenio. - Siete deliziosa.

- Avreste una triste proprietà - rispose lei sorridendo con amarezza. - Nulla qui farebbe supporre l'infelicitàe tuttaviamalgrado queste apparenzeio sono disperata. I miei dispiaceri mi tolgono il sonnofinirò per diventare brutta.

- Ohquesto è impossibile - replicò lo studente. Ma io sono curioso di conoscere questi vostri dispiaceriche un amore devoto farebbe scomparire.

- Ah!se io ve li confidassivoi mi sfuggireste - disse. - Voi ora mi amate solo per quella galanteria che è abituale negli uomini; ma se mi amaste davverocadreste in una disperazione tremenda. Come vedeteè meglio che taccia. Per favore - aggiunse - parliamo d'altro. Venite a vedere i miei appartamenti.

- Norestiamo qui - rispose Eugenio sedendosi su di un divano dinanzi al fuoco accanto alla signora de Nucingendella quale prese la mano con disinvoltura.

Essa se la lasciò prendere e anzi la premette su quella del giovane con uno di quei movimenti di forza concentrata che tradiscono intense emozioni.

- Sentite - le disse Rastignac - se avete dei dispiaceridovete confidarmeli. Voglio provarvi che vi amo e che il mio amore non ha altra ragione che voi. O voi parlatee mi dite le vostre peneaffinché io possa dissiparlea costo d'uccidere sei uominio io me ne vadoper non tornare mai più.

- Ebbene! - essa esclamòcolta da un pensiero disperato che le fece battere con una mano la fronte - voglio mettervi immediatamente alla prova. "Sì"pensònon c'è altro mezzo".

Suonò.

- La carrozza del signore è attaccata? - chiese al domestico.

- Sìsignora - La prendo io. A lui darete invece la miacoi miei cavalli.

Servirete il pranzo alle sette.

- Andiamovenite con me - disse poi a Eugenioche credette di sognare nel trovarsi nel cupé del signor de Nucingena fianco di quella donna.

- Al Palais-Royal - ordinò al cocchiere - vicino al Théatre Français.

Strada facendoessa apparve agitatae si rifiutò di rispondere alle mille domande di Eugenioil quale non sapeva cosa pensare di quella resistenza mutacompattaottusa.

"In un momento costei potrà sfuggirmi di mano" lui si diceva.

Quando la vettura si fermòla baronessa guardò lo studente con un'aria che impose il silenzio alle sue folli parole; giacché egli era andato davvero fuori di sé.

- Mi volete molto bene? - gli disse.

- Sì - rispose nascondendo l'inquietudine che lo prendeva.

- Non penserete nulla di male sul mio contoqualunque cosa io possa domandarvi?

- No.

- Siete disposto ad ubbidirmi?

- Ciecamente.

- Siete andato mai a giocare? - gli chiese con voce tremante.

- Mai.

- Ah!respiro. Avrete allora fortuna. Ecco la mia borsa - aggiunse. - Prendeteladunque!ci sono dentro cento franchiè tutto quel che possiede questa donna tanto felice. Salite in una casa da gioconon so dove sianoma so che ce ne sono al Palais- Royal. Rischiate i cento franchi a un gioco che si chiama "roulette" e perdete tuttoo portatemi qui seimila franchi. Vi dirò i miei dispiaceri al vostro ritorno.

- Che il diavolo mi porti se capisco qualcosa in quel che sto per farema vi ubbidirò egualmente - egli disse con una gioia causata da questo pensiero: "Si compromette con mee non potrà più rifiutarmi nulla".

Eugenio prende la graziosa borsacorre al numero "nove"dopo essersi fatto indicare da un mercante d'abiti la più vicina casa da gioco. Vi salesi lascia prendere il cappello; poi entra e domanda dov'è la "roulette". Fra lo stupore dei frequentatoriun domestico lo conduce dinanzi a una lunga tavola. Eugenioseguito dagli sguardi di tutti gli spettatorichiede senza rossore dove si deve mettere la posta.

- Se mettete un luigi su di uno solo di questi trentasei numeried esceincasserete trentasei luigi - gli disse un rispettabile vecchio dai capelli bianchi.

Eugenio gettò i cento franchi sulla cifra della sua età: ventuno.

Parte un grido di meraviglia senza che egli abbia avuto il tempo di ritornare sulla sua puntata. Aveva vinto senza saperlo.

- Prendetevi subito il vostro denaro - gli disse il vecchio signore - non si vince mica due volte con quel sistema.

Eugenio prende un rastrello che gli tende il vecchio signoretrae a sé tremilaseicento franchi esempre senza conoscere il giocoli mette sul rosso. I presenti lo guardano con invidiavedendo che continua a giocare. La ruota giraegli vince ancorae il banco gli paga altri tremilaseicento franchi.

- Avete vinto settemila duecento franchi - gli disse all'orecchio il vecchio signore - orase mi volete dar rettaandateveneil rosso è già uscito otto volte. Se avete un po' di caritàsarete grato di questo buon consiglio alleviando la miseria d'un vecchio prefetto di Napoleoneche si trova all'estremo del bisogno. - Rastignacstorditosi lascia prendere dieci luigi dall'uomo dai capelli bianchie scende coi suoi settemila franchi senza ancora aver capito nulla del giocoma stupefatto della sua fortuna.

- E allora! dove mi condurrete adesso? - le dissemostrando i settemila franchi alla signora de Nucingenquando lo sportello della carrozza fu richiuso. Delfina lo strinse con una stretta folle e l'abbracciò vivacementema senza passione.

- Mi avete salvata! - Lacrime di gioia colarono copiose sulle sue gote. - Vi dirò tuttoamico mio. Voi sarete mio amiconon è vero? Voi mi vedete riccamolto ricca; nulla mi mancao almeno sembra non mancarmi nulla! Ebbene!sappiate che il signor de Nucingen non mi lascia disporre d'un soldo; paga lui tutto l'andamento di casale mie carrozzei miei palchi; mi corrisponde per la toletta una somma insufficiente; mi riduceper calcoloa una miseria segreta. Io sono troppo fiera per implorarlo. Non sarei l'ultima della creature se comprassi il suo denaro al prezzo cui vuol vendermelo? Come maiiocon una dote di settemila franchimi sono lasciata spogliare? Per orgoglioper indignazione. Siamo così giovanicosì ingenuequando cominciamo la vita coniugale! La parola con la quale bisognava chiedere il denaro a mio marito mi lacerava la bocca; e non osavo maiconsumavo il denaro delle mie economie e quello che mi dava il mio povero padre; poi ho cominciato a far debiti. Il matrimonio è stato per me la più orribile delle delusioninon ve ne posso parlare; vi basti sapere che mi getterei dalla finestra se dovessi vivere con Nucingen senza che ognuno di noi due avesse il proprio appartamento separato. Quando è stato necessario dichiarargli i miei debiti di giovane signora per gioiellicapricci (il mio povero padre non ci negava mai nulla)è stato per me un martirio; ma ho trovato il coraggio di dirglielo. Non avevo forse un mio proprio patrimonio? Nucingen è andato su tutte le furiemi ha detto che lo avrei mandato alla rovina e tante cose orribili!

Avrei preferito trovarmi cento piedi sotto terra. Avendo preso la mia doteha pagatoma stabilendo da quel momento in poi per le mie spese personali un assegno cui mi sono dovuta rassegnarepur di avere pace. Poiho voluto corrispondere all'amor proprio di qualcuno che voi conoscete - essa aggiunse. - Pur essendo stata ingannata da luisarei cattiva se non riconoscessi la nobiltà del suo carattere. Ma tuttavia egli mi ha abbandonata in modo indegno!

Non si dovrebbe mai abbandonare una donna alla quale si è buttatoin un momento di necessitàun pugno d'oro! La si dovrebbe amare sempre! Voianima bella di ventun annivoi giovane e purovoi mi domanderete come una donna possa accettare denaro da un uomo.

Mio Dio!non è forse naturale di condividere tutto con l'essere cui dobbiamo la nostra felicità? Quando ci si è dati tuttochi potrebbe far caso d'una particella di quel tutto? Il denaro diviene qualcosa solo quando il sentimento non c'è più. Non si è legati per tutta la vita? Chi di noi può prevedere una separazione quando si ritiene profondamente amato? Voi ci giurate un amore eterno: come è concepibile avereallorainteressi distinti? Voi non sapete quel che ho sofferto oggiquando Nucingen si è categoricamente rifiutato di darmi seimila franchilui che li passa tutti i mesi alla sua amanteuna donna dell'Opéra! Avrei voluto uccidermi. Le idee più folli mi passavano per la testa. Ci sono stati momenti in cui invidiavo la sorte d'una domesticad'una cameriera. Ricorrere a mio padre? Pazzia! Anastasia e io lo abbiamo dissanguato: il mio povero padre avrebbe venduto se stesso se potesse valere seimila franchi. Lo avrei fatto disperare inutilmente. Voi mi avete salvato dall'onta e dalla morteero ebbra di dolore. Ah!signorevi dovevo questa spiegazione: sono stata proprio irragionevole con voi. Quando vi siete allontanatoe vi ho perduto di vistavolevo fuggirmene a piedi... dove? Non so. Eccoquesta è la vita di metà delle donne di Parigi: lusso esterioree crucci crudeli dell'anima. Conosco delle povere creature anche più disgraziate di me. Ve ne sono perfino di quelle costrette a farsi fare dai fornitori conti falsi. Altre sono costrette a rubare ai mariti; alcuni credono che dei cascemir da cento luigi si diano per cinquecento franchialtri che un cascemir da cinquecento franchi valga cento luigi. Si trovano povere donne che fanno digiunare i loro figlie rubacchiano per potersi fare un vestito. Io non mi sono mai abbassata a tali odiosi inganni. Ecco la mia ultima angoscia. Se alcune mogli si vendono ai mariti per dominarliio almeno sono libera! Potrei farmi coprire d'oro da Nucingen ma preferisco piangere con la testa appoggiata al cuore d'un uomo che possa stimare! Ahquesta sera il signor de Marsay non avrà il diritto di guardarmi come una donna che ha pagata. - E si nascose il volto fra le maniper non mostrar le sue lacrime a Eugeniocheinveceglielo scoprìper contemplarlo. In quel momento lei era sublime. - Mescolare il denaro al sentimento: non è cosa orribile? Voi non potrete amarmi - aggiunse.

Questo miscuglio di nobili sentimentiche fanno le donne così grandie di erroriche l'attuale situazione della società le forza a commetteresconvolgeva Eugenioil quale pronunciava parole dolci e consolanti ammirando quella bella donnacosì ingenuamente imprudente nel suo grido di dolore.

- Non vi farete di questo un'arma contro di me? - essa chiese promettetemelo.

- Ah!signorane sono incapace - egli rispose.

Essa gli porse la mano e la mise sul suo cuore con un gesto pieno di riconoscenza e di gentilezza.

- Grazie a voieccomi ritornata libera e lieta. Vivevo sotto l'impressione di una mano di ferro. Ora voglio vivere con semplicitàe non spendere nulla. E vi accontenterete di come saròamico mionon è vero? Tenete questo - disse prendendo solo sei biglietti di banca. - In coscienza vi debbo mille scudipoiché mi son considerata come se fossi in società con voi. - Eugenio si difese come una vergine. Ma avendogli la baronessa detto: Vi considero come un mio nemico se non siete mio compliceaccettò il denaro. - Sarà una posta di riserva in caso di sfortuna - disse.

- Ecco la parola che temevo - essa esclamò impallidendo. - Se volete che io sia qualcosa per voigiuratemi - aggiunse - di non tornare mai più a giocare. Mio Dio! Io corrompervi!ne morirei di dolore.

Erano arrivati. Il contrasto tra quella miseria e quella opulenza stordiva lo studentenelle cui orecchie le sinistre parole di Vautrin risuonarono.

- Mettetevi lì - disse la baronessa entrando nella sua camera e indicando un canapé vicino al fuoco - devo scrivere una lettera molto difficile! Consigliatemi voi.

- Non scrivete - le disse Eugenio - mettete i biglietti entro una bustafate l'indirizzo e inviateli per mezzo della vostra cameriera.

- Ma voi siete un tesoro - essa disse. - Ah!eccosignore che cosa significa essere stato ben educato. Questo è del puro Beauséant - aggiunse sorridendo.

"E' incantevole"si disse Eugenio che s'infiammava sempre più. E guardò la cameradove egli respirava la voluttuosa eleganza d'una ricca cortigiana.

- Vi piace? - domandò suonando per chiamare la cameriera.

- Teresaportate questa lettera al signor de Marsaye consegnatela a lui in persona. Se non ci fosseriportatemi la lettera.

Teresa uscì dopo avere gettato un malizioso sguardo su di Eugenio.

Il pranzo era pronto. Rastignac diede il braccio alla signora de Nucingenche lo condusse in una sala da pranzo deliziosadove trovò lo stesso lusso della tavola già ammirato in casa di sua cugina.

- Quando ci sarà rappresentazione agli "Italiani"voi verrete sempre a pranzo da me e poi mi accompagnerete.

- Mi abituerei volentieri a questa dolce vitase essa dovesse durare; ma io sono un povero studenteche deve ancora costruirsi la propria fortuna.

- La farete - disse lei sorridendo. - Vedete? tutto s'accomoda: io non m'aspettavo d'esser così contenta.

E' proprio nella natura femminile provare l'impossibile col possibile e distruggere i fatti con presentimenti. Quando la signora de Nucingen e Rastignac entrarono nel palco ai "Bouffons"assunse un'aria di soddisfazione che la rendeva così bellada provocare quelle piccole calunnie contro le quali le donne sono senza difesae che fanno spesso credere a immoralità inventate a bella posta. Quando si conosce Pariginon si crede mai a quel che si dicee non si dice mai nulla di quel che vi si fa. Eugenio prese la mano della baronessae tutti e due si parlarono con strette più o meno vive delle loro mani per comunicarsi le sensazioni prodotte dalla musica. Per essi quella serata fu inebriante. Uscirono insiemee la signora de Nucingen volle accompagnare Eugenio fino al Pont-Neufrifiutandoglilungo la stradauno dei baci che gli aveva calorosamente prodigati al Palais-Royal. Eugenio le rimproverò quella incoerenza.

- Ma prima - rispose - era la riconoscenza per una devozione insperataorasarebbe una promessa.

- E voi non me ne volete fare nessuna! Ingrata! - E si crucciò.

Facendo allora uno di quei gesti d'impazienza che deliziano un innamoratogli dette da baciare la manoche egli prese con una mala grazia di cui essa rimase rapita.

- A lunedìal ballo - lei disse.

Andandosene a piedisotto un bel chiaro di lunaEugenio piombò in serie riflessioni. Si sentiva nello stesso tempo felice e scontento; feliced'una avventura il cui epilogo probabile gli faceva avere una delle più belle e più eleganti donne di Parigioggetto dei suoi desideri; scontentodi vedere sconvolti i suoi piani per raggiungere il successo; e fu allora che in lui ebbero concretezza i pensieri avuti in forma indecisa due giorni prima.

L'insuccesso ci fa sentire sempre il potere delle nostre pretese.

Più Eugenio godeva la vita pariginameno voleva rimanere oscuro e povero. Spiegazzava il biglietto da mille franchi nella tascafacendo mille ragionamenti capziosi per giustificarne il possesso.

Infine giunse in via Neuve-Sainte-Genevièvee quando si trovò in cima alla scalavide una luce. Papà Goriot aveva lasciato aperto l'uscio della sua camera e accesa la candelaaffinché lo studente non dimenticasse di "raccontargli sua figlia"secondo il suo modo di esprimersi. Eugenio non gli nascose nulla.

- Ma - esclamò papà Goriot in un violento attacco di disperazione provocato dalla gelosia - costoro mi credono rovinato; ho ancora milletrecento franchi di rendita! Santo Dio! Ma perché la povera piccola non è venuta da me? Avrei venduto i miei titoliavremmo lucrato sul capitale nominalee con la rimanenza mi sarei costituito una rendita vitalizia. Perché non siete venuto a confidarmi il vostro imbarazzomio buon vicino? Come avete avuto il coraggio di andare a rischiare al gioco i suoi poveri cento franchi? C'è da sentirsi spezzare il cuore. Ecco di che cosa sono capaci i generi! Oh!se li avessi tra le manili strozzerei.

Santo Dio! piangere... ma lei ha proprio pianto?

- Con la testa sul mio panciotto - precisò Eugenio.

- Oh !datemelo - disse papà Goriot. - Come!ci sono lì le lacrime di mia figliadella mia cara Delfinache non piangeva mai quand'era piccola! Oh!ve ne comprerò un altronon portatelo piùlasciatelo a me. Lei ha il dirittosecondo il contratto di nozzedi godere dei suoi beni. Ah!andrò domani a consultare Dervilleè un avvocato. E otterrò l'investimento del patrimonio di mia figlia. Conosco le leggisono un vecchio lupo e ritroverò i miei denti.

- To'papàecco mille franchi che lei ha voluto donarmi sul guadagno del gioco. Teneteglieli da partenel panciotto.

Goriot guardò Eugeniogli tese la mano per stringer la suasu cui lasciò cadere una lacrima.

- Voi avrete successo nella vita - gli disse il vecchio. - Dio è giustovedete? Conosco cos'è la probitàe posso assicurarvi che pochi sono gli uomini che vi somigliano. Volete allora essere anche voi un mio caro figlio? Oraandatevene a letto: voi potete dormirenon siete ancora padre. Essa ha piantoe vengo a saper questoioche me ne stavo là tranquillamente a mangiare come un imbecille mentre lei soffriva; ioio che venderei anche il Padreil Figlio e lo Spirito Santo per evitare una lacrima a tutte e due!

"In fede mia" si disse Eugenio coricandosicredo che sarò un uomo onesto per tutta la vita. Si prova soddisfazione nel seguire le ispirazioni della propria coscienza.

Soloforsecoloro che credono in Dio fanno il bene in segreto ed Eugenio credeva in Dio. L'indomaniall'ora del balloRastignac si recò in casa della signora de Beauséantche lo condusse con sé per presentarlo alla duchessa di Carigliano. Fu accolto con ogni cortesia dalla maresciallapresso la quale ritrovò la signora de Nucingen. Delfina s'era agghindata nell'intento di piacere a tutti per meglio piacere ad Eugeniodal quale attendeva impazientemente un'occhiatacredendo così di celare la propria impazienza. Per chi sa indovinare le emozioni d'una donnaun tal momento è pieno di delizie. Chi non si è spesso divertito a far attendere il proprio giudizioa mascherare con civetteria il proprio piacerea provocare confessioni nell'inquietudine che si è causataa goder dei timori che verranno fugati con un sorriso? Durante il ballolo studente considerò tutto il valore della sua posizionee si rese conto di avere un rango nella società per il fatto d'esser cugino della signora de Beauséant. L'aver conquistato la baronessa de Nucingenche già gli si attribuiva come amantelo metteva così in evidenzache tutti i giovani gli lanciavano occhiate d'invidia; cogliendone qualcunagustò i primi piaceri della vanità. Passando da un salone all'altropassando attraverso i gruppi degli invitatisentì vantare la sua felicità. Le donne tutte predicevano i suoi successi. Delfinatemendo di perderlogli promise che non gli avrebbe quella sera rifiutato il bacio che si era tanto schermita d'accordargli due sere prima. Durante quel balloRastignac si ebbe molte promesse. Fu presentato da sua cugina ad alcune signore che pretendevano tutte d'essere elegantie i cui salotti avevano fama d'essere piacevoli; egli si vide lanciato nella più alta e più bella società parigina. Quella serata ebbe dunque per lui il fascino d'un brillante debuttoe doveva ricordarsene fino ai giorni della vecchiaiacome una giovinetta si ricorda del ballo in cui riportò i primi trionfi.

L'indomaniquandoa colazioneraccontò i suoi successi a papà Goriotdinanzi ai pensionantiVautrin si mise a sorridere diabolicamente.

- E voi credete forse - esclamò quel logico feroce - che un giovane alla moda possa abitare in via Neuve-Sainte-Genevièvein casa Vauquer?pensione infinitamente rispettabile sotto ogni riguardosenza dubbioma niente affatto elegante. E' ben messabuona per la sua abbondanzaè fiera d'essere il maniero temporaneo d'un Rastignacmatutto sommatosi trova in via Neuve-Sainte-Genevièvee non sa cosa sia il lussoperché è puramente "patriarcalorama". Mio giovane amico - riprese Vautrin con un'aria paternamente ironica - se volete far bella figura a Parigivi ci vogliono tre cavalli e un tilbury per la mattinaun cupé per la sera: in tutto novemila franchi per le carrozze.

Sareste indegno del vostro destino se non spendeste che tremila franchi dal sartoseicento dal profumierecento scudi dal calzolaiocento dal cappellaio. Quanto alla lavandaiaessa vi costerà mille franchi. I giovani alla moda non possono fare a meno d'essere assai forti nell'articolo biancheria: non è forse quel che si osserva più di frequente in loro? L'amore e la chiesa richiedono bei lini sui loro altari. Siamo arrivati a quattordicimila. Non vi parlo di quel che perderete al giocoin scommessein doni; è impossibile non calcolare almeno duemila franchi di spiccioli. Ho fatto quella vitane conosco le spese.

Aggiungete a queste prime necessitàtrecento luigi per la pappamille franchi per la cuccia. Andiamoragazzoo disponiamo dei nostri venticinquemila franchi l'annoo cadiamo nel fangoci facciamo ridere dietroe il nostro avvenirei nostri successi e le nostre amanti se ne vanno in fumo! Dimenticavo il domestico e il "grum"! I vostri biglietti galanti li farete forse recapitare da Cristoforo? E li scriverete sulla carta di cui ora vi servite?

Sarebbe come suicidarsi. Credete a un vecchio pieno di esperienza!

- egli riprese con un "rinforzando" nella sua voce di basso. - O ridursi in una virtuosa soffittae sposare il lavoroo scegliere un'altra strada.

E Vautrin strizzò l'occhio ammiccando alla signorina Taillefer come a ricordare e a riassumere in quel suo sguardo i ragionamenti seducenti da lui seminati nel cuore dello studenteper corromperlo. Passarono vari giornidurante i quali Rastignac condusse la vita più dissipata. Pranzava quasi tutti i giorni con la signora de Nucingen che accompagnava in società. Rientrava alle tre o alle quattro del mattinosi alzava a mezzogiorno per far tolettase la giornata era bella andava a passeggio al Bosco con Delfinasciupando il tempo senza saperne il valoree immagazzinando tutte le esperienzetutte le seduzioni del lusso con l'ardore da cui è preso l'impaziente calice della palma per i fecondanti pollini del suo imeneo. Giocava forteperdeva o vinceva molto; e finì per abituarsi alla vita esuberante dei giovani parigini. Con le prime vincite aveva restituito millecinquecento franchi alla madre e alle sorelleaccompagnando il denaro con graziosi regali. Sebbene avesse preannunciato di voler lasciare la casa Vauquerci si trovava ancora negli ultimi giorni del mese di gennaioe non sapeva come uscirne. I giovani sono sottoposti quasi tutti a una legge in apparenza inesplicabilema la cui ragione proviene dalla loro stessa giovinezza e da quella specie di furia con la quale si lanciano al piacere. Ricchi o poverinon hanno mai denaro per le necessità della vitamentre ne trovano sempre per i loro capricci. Prodighi in tutto ciò che si ottiene a creditosono avari in tutto quel che si paga in contantie sembrano vendicarsi di ciò che non hannodissipando tutto quanto possono avere. Cosìper porre nettamente la questioneuno studente tiene più al cappello che al vestito. L'enormità del guadagno fa del sarto essenzialmente un creditorementre la modicità del prezzo fa del cappellaio uno degli esseri più intrattabili fra coloro coi quali egli è costretto a contrattare. Se il giovane seduto in un palco a teatro presenta all'occhialino delle belle signore sorprendenti panciottiè dubbio che egli porti i calzini: il venditore di oggetti di maglieria è un altro tarlo della sua borsa. Rastignac era in quella condizione. Sempre vuota per la signora Vauquersempre piena per le esigenze della vanitàla sua borsa contava rovesci e successi lunatici in disaccordo coi pagamenti più facili. Per poter lasciare la pensione fetidaignobiledove si umiliavano periodicamente le sue pretesenon era indispensabile pagare un mese alla padronae comprar la mobilia per il suo appartamento di dandy? Ma la cosa era sempre impossibile. Seper procurarsi il denaro necessario al giocoRastignac ben sapeva acquistare dal gioielliere orologi e catene d'oro pagati a caro prezzo con le vincitee che poi portava al Monte di Pietàquesto cupo e discreto amico della gioventùegli si trovava d'altra parte senza risorse e senza audacia quando si trattava di pagare il vittol'alloggioo di acquistare gli arnesi indispensabili per lo sfruttamento della vita elegante. Una necessità banaledebiti contratti per bisogni soddisfatti non gli inspiravano più alcuna idea geniale. Come la maggior parte di coloro che hanno conosciuto questa vita rischiosaaspettava sempre l'ultimo momento per saldare crediti considerati sacri secondo i borghesicome faceva Mirabeauil quale pagava il conto del fornaio solo quando gli veniva presentato sotto la forma draconiana di una cambiale. A quell'epoca Rastignac aveva perdutoe s'era indebitato. Lo studente cominciava a capire che era impossibile continuare quell'esistenza senza avere fonti fisse di guadagno.

Mapur soffrendo sotto le pungenti percosse della sua situazione precariasi sentiva incapace di rinunciare ai piaceri di quella vita e voleva continuarla ad ogni costo. I casi fortunati su cui aveva contato divenivano chimericimentre gli ostacoli reali s'ingrandivano. Iniziatosi ai segreti domestici del signore e della signora de Nucingensi era accorto cheper convertire l'amore in strumento di fortunabisognava aver ingoiato ogni vergogna e rinunciato alle nobili idee che rappresentano l'assoluzione da tutti i peccati di gioventù. Tale vita esteriormente splendidama rósa da tutte le tenie del rimorsoe i cui fuggitivi piaceri erano caramente pagati con persistenti angosceegli l'aveva ormai abbracciatavi si rivoltolava facendosenecome il Distratto di La Bruyèreun letto nel fango del fossato; macome il Distrattonon insudiciandosi fino allora che il vestito.

- Abbiamoalloraucciso il mandarino? - gli chiese un giorno Bianchonalzandosi da tavola.

- Non ancora - egli rispose - ma rantola.

Lo studente in medicina interpretò quella parola come uno scherzoma non lo era. Eugeniocheper la prima volta da molto tempoaveva pranzato nella pensiones'era mostrato pensieroso durante il pasto. Invece di uscirealla fruttarimase in sala seduto vicino alla signorina Taillefercui dava di tanto in tanto occhiate espressive. Alcuni pensionanti erano ancora a tavola e mangiavano delle nocialtri camminavano per la stanza continuando discussioni iniziate. Come quasi tutte le sereognuno seguiva il proprio capricciosecondo il grado d'interesse che poneva alla conversazioneo secondo la maggiore o minore pesantezza causatagli dalla digestione. D'invernoraramente la sala da pranzo rimaneva vuota prima delle ottomomento in cui le quattro donne restavano sole e si vendicavano del silenzio che il sesso imponeva loro in mezzo a quel gruppo di maschi. Colpito dalla preoccupazione cui Eugenio era in predaVautrin rimase nella sala da pranzosebbene prima sembrasse aver fretta d'uscirnee ci rimase in modo da non esser veduto da Eugenioche lo credette uscito. Poiinvece d'accompagnare i pensionanti che andavano via per ultimisi trattenne nascostamente nel salotto. Egli aveva letto nell'animo dello studente e attendeva di scorgere un sintomo decisivo. Rastignac si trovava infatti in una situazione di perplessità che molti giovani hanno dovuto conoscere. Innamorata o civettala signora de Nucingen aveva fatto passare Rastignac attraverso tutte le angosce d'una vera passioneusando con lui le risorse della diplomazia femminile consueta a Parigi. Dopo essersi compromessa in pubblico con lo stare sempre insieme al cugino della signora de Beauséantesitava a conferirgli realmente i diritti di cui sembrava godere. Da un mese eccitava così bene i sensi di Eugenioche aveva finito per colpirne il cuore. Senei primi momenti della relazionelo studente aveva creduto di padroneggiare la situazionela signora de Nucingen era poi divenuta la più fortecon l'aiuto di quella familiarità che commuoveva in Eugenio tutti i sentimentibuoni o cattividi quei due o tre uomini che coesistono entro uno stesso giovane parigino.

Lo faceva per calcolo? No; le donne sono sempre sincereanche nelle loro più grandi falsitàperché cedono a qualche sentimento naturale. Forse Delfinadopo aver lasciato prendere subito tanto imperio su di lei da parte di quel giovane e avergli dimostrato anche troppo affettoobbediva a un sentimento di dignitàche la faceva o ritornare sulle sue concessioni o compiacersi di sospenderle. E' così naturalea una Pariginanel momento stesso in cui la passione la trascinadi esitar nella cadutadi mettere alla prova il cuore di colui al quale sta per affidare il suo avvenire! Tutte le speranze della signora de Nucingen erano state tradite una prima voltae la sua fedeltà verso il giovane egoista era stata misconosciuta. Essa aveva il diritto d'essere diffidente. Forse aveva notato nei modi d'Eugenioche il rapido successo aveva reso fatuouna specie di disistima causata dalle stranezze della loro situazione. Desiderava senza dubbio apparire imponente a un uomo di quell'etàed essere considerata grande agli occhi suoidopo essere stata per tanto tempo considerata trascurabile agli occhi di colui dal quale era stata abbandonata.

Non voleva che Eugenio la credesse una facile conquista proprio perché egli sapeva che lei era stata di de Marsay. E poidopo aver subìto il degradante piacere d'un vero e proprio mostro qual è il giovane libertinoessa provava tanta dolcezza a percorrere le regioni fiorite dell'amoreche era un incanto per lei ammirarne tutti gli aspettiascoltarne a lungo i fremitie lasciarsi a lungo accarezzare da caste brezze. Il vero amore pagava per quello cattivo. Tale controsenso sarà purtroppo frequentefinché gli uomini non sapranno quanti fiori falciano nell'animo di una giovane donna i primi inganni. Quali che fossero le sue ragioniDelfina si faceva gioco di Rastignac e si divertiva a farsi gioco di luicertamente perché si sapeva amata ed era sicura di far cessare i crucci del suo amante secondo il proprio regale beneplacito di donna. Per rispetto a se stessoEugenio non voleva che il suo primo combattimento terminasse con una sconfittae persisteva nel suo inseguimentocome un cacciatore che vuole assolutamente uccidere una pernice la prima volta che va a caccia. Le sue ansietàil suo amor proprio offesole sue disperazionisimulate o sincerelo avvincevano sempre più a quella donna.

Tutta Parigi gli attribuiva la signora de Nucingendalla quale non aveva ottenuto nulla più di quanto il primo giorno che l'aveva conosciuta. Non sapendo ancora che la civetteria d'una donna offre talvolta più benefici di quanto il suo amore non dia piacericadeva in preda a sciocche ire. Se il periodo durante il quale una donna si nega all'amore offriva a Rastignac la ricchezza delle sue primiziequeste divenivano per lui tanto costose per quanto erano verdiagroline e deliziose al gusto. Talvoltatrovandosi senza un soldosenza avvenirepensavanonostante la voce della coscienzaalla fortuna che avrebbe potuto conseguire e di cui Vautrin gli aveva dimostrato la possibilità mediante un matrimonio con la signorina Taillefer. Egli attraversava allora un periodo in cui la sua miseria parlava così ad alta voceche cedette quasi involontariamente alle male arti della terribile sfinge dagli sguardi della quale rimaneva spesso affascinato. Nel momento in cui Poiret e la signorina Michonneau risalivano nelle proprie camereRastignac credendo d'esser solo tra la signora Vauquer e la signora Coutureche sferrucchiava maniche di lana sonnecchiando vicino alla stufaguardò la signorina Taillefer in un modo così teneroda farle abbassare gli occhi.

- Avete qualche dispiaceresignor Eugenio? - gli chiese Vittorina dopo un istante di silenzio.

- E chi non li ha! - rispose Rastignac. - Se fossimo sicurinoi giovanid'essere amaticon una devozione che ci ricompensasse dei sacrifici che siamo sempre disposti a farenon avremmo forse mai dispiaceri.

La signorina Taillefer gli diedeper tutta rispostauno sguardo non equivoco.

- Voisignorinavi credete sicura del vostro cuoreoggi; ma potreste esser certa di non cambiare mai?

Un sorriso errò sulle labbra della povera giovinetta come un raggio sprizzato dal suo animoe ne fece tanto risplendere il voltoche Eugenio ebbe timore d'aver provocato una così viva esplosione di sentimento.

- Come!se domani foste ricca e felicese una immensa ricchezza vi cadesse dal cieloamereste ancora il giovane poveropiaciutovi nei giorni della sfortuna?

Lei fece un grazioso cenno con la testa.

- Un giovane molto infelice?

Nuovo cenno.

- Ma che sciocchezze state dicendo? - esclamò la signora Vauquer.

- Lasciateci stare - rispose Eugenio - noi ci comprendiamo.

- Vi sarebbe dunque una promessa di matrimonio tra il signor cavaliere Eugenio di Rastignac e la signorina Vittorina Taillefer?

- disse Vautrin con la sua grossa vocemostrandosi all'improvviso all'uscio della sala da pranzo.

- Ah !mi avete messo paura - dissero insieme la signora Couture e la signora Vauquer.

- Potrei scegliere di peggio - rispose ridendo Eugenioal quale la voce di Vautrin causò la più crudele emozione che avesse mai provato.

- Basta con questi scherzi di cattivo gustosignori! - disse la signora Couture. - Sufigliolaandiamocene in camera.

La signora Vauquer seguì le due pensionantiper economizzare la candela e il fuocopassando la serata in camera loro. Eugenio si trovò solo a faccia a faccia con Vautrin.

- Sapevo bene che ci sareste arrivato - gli disse quell'uomo conservando un imperturbabile sangue freddo. - Maascoltate! Io sono delicato come chiunque altroio. Non prendete decisioni in questo momentovoi non siete adesso del solito umore. Avete debitie io non voglio che sia la passionela disperazione a farvi venire da mema la ragione. Forse avete bisogno di qualche migliaio di scudi. Eccolili volete?

Quel demonio cavò dalla tasca un portafoglio e ne trasse tre biglietti di banca che fece brillare agli occhi dello studente.

Eugenio si trovava nella più critica situazione. Doveva dare al marchese d'Adjuda e al conte de Trailles cento luigi perduti sulla parola. Non li avevae non osava andare a passare la serata in casa della signora de Restauddov'era atteso. Era una delle serate intimedurante le quali si sgranocchiano pasticcinisi beve il tèma si possono anche perdere seimila franchi al whist.

- Signore - gli disse Eugenio nascondendo a stento un tremito convulso - dopo quel che mi avete confidatocomprenderete che mi è impossibile avere con voi obbligazioni.

- Ebbene!mi sarebbe dispiaciuto se aveste parlato altrimenti riprese il tentatore. - Voi siete un bel giovanedelicatofiero come un leone e dolce come una fanciulla. Sareste una bella preda per il diavolo. Mi piace questo tipo di giovani. Ancora due o tre riflessioni d'alta politicae poi vedrete il mondo come realmente è. Rappresentandovi qualche scenetta di virtùl'uomo superiore può soddisfare tutti i propri capriccifra i grandi applausi dei gonzi che siedono in platea. Fra pochi giorni sarete dei nostri.

Ah!se voleste diventare mio allievovi farei arrivare a tutto.

Voi non formulereste un desiderio che non fosse all'istante esauditoqualsiasi desiderio: onorericchezzadonne. Tutta la civiltà sarebbe per voi ridotta in ambrosia. Sareste il nostro fanciullo viziatoil nostro Beniaminoe ci faremmo massacrare tutti per farvi piacere. Qualsiasi ostacolo vi verrebbe spianato.

Se avete ancora qualche scrupolovuol dire che mi prendete per uno scellerato. Ebbeneun uomo probo quanto ancora voi credete di esserloil signor de Turennefacevasenza credersi compromessoi suoi affarucci con dei briganti. Voi non volete avere obbligazioni con meeh? Non importa - riprese Vautrin lasciandosi sfuggire un sorriso. - Prendete questi pezzi di cartae scrivete qui sopra - disse cavando fuori una cambiale bollata - quidi traverso: "Accettata per la somma di tremilacinquecento franchi pagabili in un anno". E metteteci la data! L'interesse è abbastanza forte per togliervi ogni scrupolo; potete chiamarmi un giudeo e considerarvi esente da ogni riconoscenza. Vi permetto di disprezzarmi ancor oggisicuro che poi mi vorrete bene. Troverete in me immensi abissiquei vasti sentimenti concentrati che gli ingenui chiamano vizi; ma non mi troverete mai né vile né ingrato.

Insommaio non sono né una pedinané un alfierema una torreragazzo mio.

- Ma che razza d'uomo siete voi mai? - esclamò Eugenio - siete stato creato proprio per tormentarmi !

- Ma noio sono un brav'uomo che vuole infangarsi affinché voi siate al riparo dal fango del vostro avvenire. Vi chiederete forse perché mai tutta questa affezione per voi. Ebbene!ve lo dirò pian piano un giorno o l'altroall'orecchio. Vi ho dapprima turbato mostrandovi il carillon dell'ordine sociale e il funzionamento della macchina; ma il vostro turbamento passeràcome quello di un coscritto sul campo di battagliae vi abituerete all'idea di considerare gli uomini come soldati decisi a morire al servizio di coloro che si consacrano da se stessi re.

I tempi sono molto cambiati. Una volta si diceva a un bravo: "Ecco cento scudiuccidimi il signor tale"e si andava tranquillamente a cena dopo aver fatto scomparire un uomo per un sìper un no.

Oggi vi propongo di procurarvi una bella fortuna con un semplice cenno della testa che non vi compromette affattoe voi esitate.

Il secolo è fiacco.

Eugenio firmò la tratta e la consegnò in cambio dei biglietti di banca.

- Ebbene!andiamoparliamo assennatamente - riprese Vautrin. Io voglio partire fra qualche mese per l'Americae andarvi a piantare il tabacco. Vi manderò i sigari dell'amicizia. Se diventerò riccovi aiuterò. Se non avrò figli (caso probabilegiacché non desidero ripiantarmi qui col mezzo di riproduzione del germoglio)ebbene!vi lascerò in eredità la mia fortuna. Non si chiama questo essere l'amico di un uomo? E' perché vi voglio beneio. Ho la passione di prodigarmi a favore degli altri. L'ho già fatto altre volte. Come vedeteragazzo mioio vivo in una sfera più elevata di quella degli altri uomini. Considero le azioni come mezzie non miro che allo scopo. Che cosa è un uomo per me?

Tanto! - dissefacendo schioccare l'unghia del pollice sotto uno dei denti. - Un uomo è tutto o nulla. E' meno che nulla se si chiama Poiret; lo si può schiacciare come una cimiceè piatto e dà cattivo odore. Ma un uomo è un dio quando vi somiglia; non è più una macchina ricoperta di pellema un teatro ove si agitano i più bei sentimenti; e io non vivo che di sentimenti. Un sentimento non è forse il mondo in un pensiero?

Guardate papà Goriot: le sue due figlie sono per lui tutto l'universosono il filo col quale egli guida se stesso nel creato. Ebbene!per meche conosco a fondo la vitanon esiste che un solo sentimento reale: un'amicizia da uomo a uomo. Pietro e Jaffierecco la mia passione. So a memoria "Venezia Salvata".

Avete visto molti uominiquando un camerata dice: "Andiamo a sotterrare un cadavere!"così coraggiosi da andarci senza pronunciar verbosenza affliggerlo con la morale? Io sono stato capace di far questo. Non parlerei cosìtuttaviaa chiunque. Ma voivoi siete un uomo superiorea voi si può dir tuttovoi sapete capire tutto. Voi non diguazzate a lungo nelle paludi ove vivono i mostriciattoli da cui siamo circondati qui. Ebbene eccolo detto. Voi sposerete. Affondiamo ciascuno la punta della nostra propria arma. La mia è di ferro e non cede maieheh!

Vautrin uscì senza voler ascoltare la risposta negativa dello studenteper lasciarlo a suo agio. Egli sembrava conoscere il segreto di quelle piccole resistenzedi quei combattimenti di cui gli uomini fanno mostra dinanzi a loro stessie che servono a giustificare azioni riprovevoli.

"Faccia come vuolema io non sposerò davvero la signorina Taillefer"disse Eugenio fra sé e sé.

Dopo aver subìto il malessere d'una febbre interiore che gli provocò l'idea di un patto concluso con quell'uomo di cui aveva orrorema che s'ingrandiva ai suoi occhi per il cinismo stesso delle idee e per l'audacia con cui attanagliava la societàRastignac si vestìordinò una vetturae si recò dalla signora de Restaud. Da qualche giornoessa aveva raddoppiato le sue attenzioni per il giovanedel quale ogni passo era un progresso nel cuore del gran mondoe il cui ascendente sembrava dover essere un giorno temibile. Egli pagò il suo debito a de Trailles e d'Adjudagiocò al whist parte della notteriguadagnò quel che aveva perduto. Superstizioso come la maggior parte degli uomini che debbono ancora fare la loro strada e che sono più o meno fatalistivolle vedere nella sua fortuna come una riconoscenza del cielo per la propria perseveranza nel rimanere sulla retta via. L'indomani mattinasi affrettò a domandare a Vautrin se aveva ancora la cambiale. Alla risposta affermativagli restituì i tremila franchi con una soddisfazione alquanto naturale.

- Tutto va bene - gli disse Vautrin.

- Ma io non sono vostro complice - rispose Eugenio.

- Lo solo so - fece Vautrin interrompendolo. - Voi fate ancora delle bambinate. Vi fermate alle prime difficoltà.

Due giorni dopoPoiret e la signorina Michonneau stavano seduti su di una panca al solein un viale solitario del Jardin des Plantese facevano conversazione con quel signore che ben a ragione sembrava sospetto allo studente in medicina.

- Signorina - diceva il signor Gondureau - non vedo donde nascono i vostri scrupoli. Sua Eccellenza monsignor il ministro della polizia generale del regno...

- Ah!Sua Eccellenza monsignor il ministro della polizia generale del regno... - ripeté Poiret.

- SìSua Eccellenza si occupa di questo affare disse Gondureau.

A chi non sembrerà inverosimile che Poiretvecchio impiegatouomosenza dubbiodi virtù borghesisebbene privo d'ideecontinuasse ad ascoltare il sedicente benestante della via Buffonnel momento in cui questi pronunciava la parola: poliziasvelando così la fisionomia di un agente della via Jérusalem attraverso la sua maschera di onest'uomo? Eppurenulla era più naturale. Ognuno comprenderà meglio a che specie particolare appartenesse Poiretnella grande famiglia dei gonzidopo una considerazione già fatta da alcuni osservatorima finora non resa di pubblica ragione.

Esiste una popolazione pennutastretta dal bilancio domesticotra il primo grado di latitudine che comporta gli stipendi di milleduecento franchiuna specie di Groenlandia amministrativae il terzo gradonel quale cominciano gli stipendi un poco più caldi da tre a seimila franchiregione temperatadove si acclimata la gratificazionedove essa fiorisce malgrado le difficoltà della coltura. Una delle caratteristiche che meglio mette allo scoperto la patologica ristrettezza di questi subalterni è una specie di rispetto involontariomeccanicoistintivoper quel Gran Lama d'ogni ministeroconosciuto dall'impiegato da una firma illeggibile e sotto il titolo di "Sua Eccellenza monsignor ministro"cinque parole che equivalgono a "Il Bondo Cani del Califfo di Bagdad"e cheagli occhi di questo popolo appiattitorappresenta un potere sacrosenza appello.

Come il papa per i cattolicimonsignore è amministrativamente infallibile agli occhi dell'impiegato; la luce che spande si comunica ai suoi attialle sue parolea quelle dette in suo nome; egli copre tutto coi ricami dell'uniformee legalizza le azioni che ordina; il suo titolo di eccellenzache attesta la purezza delle intenzioni e la santità dei voleriserve come passaporto alle idee meno ammissibili. Quel che questi poveri diavoli non farebbero nel loro interessesi affrettano a farlo non appena la parola "Sua Eccellenza" è stata pronunciata. Gli uffici praticano la loro obbedienza passivacome l'esercito ha la sua: metodo che soffoca la coscienzaannichilisce un uomo e finiscecol tempoper adattarlo come una vite o una madrevite alla macchina governativa. Perciò il signor Gondureauche sembrava conoscere gli uominiscorse subito in Poiret uno di questi sciocchi burocraticie fece uscire il Deus ex machinala parola talismanica di: Sua Eccellenzanel momento in cui bisognavascoprendo le batterieconfondere Poiretche appariva ai suoi occhi quale il maschio della Michonneaucome la Michonneau gli sembrava la femmina di Poiret.

- Dal momento che Sua Eccellenza in personaSua Eccellenza monsignor il !.. Ah !ma allora la cosa cambia aspetto - disse Poiret.

- Avete sentito quel che dice il signoreal giudizio del quale pare che vi rimettiate - riprese il falso benestante rivolgendosi alla signorina Michonneau. - EbbeneSua Eccellenza ha ormai la certezza assoluta che il preteso Vautrinalloggiato presso la Casa Vauquerè un forzato evaso dal bagno penale di Tolonedove è conosciuto sotto il nome di Ingannalamorte.

- Ah ! Ingannalamorte! - disse Poiret - dev'essere molto fortunatose si è meritato un soprannome simile.

- Ma certo - riprese l'agente. - Questo soprannome è dovuto alla fortuna che ha avuto di non perder la vita nelle imprese estremamente audaci da lui compiute. E' dunque un uomo pericolosocome vedete! Egli ha qualità che lo rendono veramente straordinario. La stessa condanna gli ha procuratonel suo ambienteun grandissimo onore...

- E' allora un uomo d'onore? - chiese Poiret.

- A suo modo sì. Ha acconsentito ad accollarsi il debito di un altroun falso commesso da un bellissimo giovane cui voleva molto beneun giovane italianoforte giocatoreentrato poi nel servizio militaredove s'è per altro comportato ottimamente.

- Mase Sua Eccellenza il ministro della polizia è sicuro che il signor Vautrin sia Ingannalamorteperché ha bisogno di me? - domandò la signorina Michonneau.

- Ahgià - fece Poiret - se infatti il ministrocome ci avete fatto l'onore di direha una certezza qualsiasi...

- Certezza non è proprio la parola; ... si dubitaecco tutto. Ora vi dirò come stanno le cose. Jacques Collinsoprannominato Ingannalamortegode tutta la fiducia dei tre bagni penali che lo hanno scelto quale agente e loro banchiere. Egli guadagna molto occupandosi di questo genere d'affariche necessariamente richiede un uomo di "marca".

- Ah! ah!capite il gioco di parolasignorina? - fece Poiret. Il signore lo chiama un uomo di "marca"perché è stato marcato.

- Il falso Vautrin - disse l'agente continuando - riceve i capitali dei signori forzatili investeli conserva e li tiene a disposizione di quelli che evadonoo delle loro famigliequando ne dispongono per testamentoo delle loro amantiquando traggono assegni su di lui a favor loro.

- Delle loro amanti! Volete dire delle loro mogli - fece osservare Poiret.

- Nosignore. Il forzato non ha generalmente che spose illegittimeche noi chiamiamo concubine.

- Ma allora vivono tutti in stato di concubinaggio?

- Conseguentemente.

- Ebbene - disse Poiret - ecco orrori che Monsignore non dovrebbe tollerare. Dato che avete l'onore di vedere Sua Eccellenzaspetta a voiche mi sembrate avere idee filantropicheilluminarlo sulla condotta immorale di questa genteche offre un pessimo esempio al resto della società.

- Masignoreil governo non li manda mica là per offrire il modello di tutte le virtù.

- E' giusto. Tuttaviasignorepermettete...

- Ma lasciate parlare il signoremio caro - disse la signorina Michonneau.

- Voi capitesignorina - riprese Gondureau. - Il governo può avere un grande interesse a mettere le mani su di una cassa illecitache si dice ammonti a un totale assai maggiore:

Ingannalamorte incassa valori notevoli ricettando non solo le somme possedute da qualcuno dei suoi cameratima anche quelle che provengono dalla Società dei Diecimila...

- Diecimila ladri! - esclamò Poiret spaventato.

- Nola Società dei Diecimila è un'associazione di grandi ladridi gente che lavora in grande stile e non si occupa di affari che quando ci sono diecimila franchi da guadagnare. Questa società si compone di tutto quel che c'è di più distinto tra coloro che vanno diritti in corte d'assise. Essi conoscono il Codicee non rischiano mai la condanna a morte quando sono pizzicati. Collin è il loro uomo di fiduciail loro consigliere. Con l'aiuto delle sue immense risorsequest'uomo ha saputo crearsi una propria polizia e relazioni molto estese che avvolge in un mistero impenetrabile. Sebbene da un anno sia stato circondato di spienon siamo ancora riusciti a veder chiaro nel suo gioco. La sua cassa e il suo talento servono costantemente dunque a pagare il vizioa fornire fondi al delittoe mantengono in piedi un esercito di cattivi soggetti che sono in perpetuo stato di guerra con la società. Acciuffare Ingannalamorte e impadronirsi della sua bancasarà come tagliare il male alla radice. Quindi tale spedizione è divenuta un affare di Stato e di alta politicache potrà onorare coloro che coopereranno alla sua riuscita. Voi stessosignorepotreste essere riammesso nell'amministrazionediventare segretario d'un commissario di poliziafunzioni queste che non vi impedirebbero affatto di percepire la pensione.

- Ma perché - disse la signorina Michonneau - Ingannalamorte non scappa con tutta la cassa?

- Oh! - fece l'agente - ovunque andassesarebbe seguìto da un uomo incaricato di ucciderlose frodasse il bagno penale. E poi una cassa non si porta via così facilmente come si rapisce una signorina di buona famiglia. Del restoCollin è una persona incapace di compiere un gesto simile; si riterrebbe disonorato.

- Signore - disse Poiret - avete ragioneegli sarebbe senz'altro disonorato.

- Tutto questotuttavianon ci dice ancora per quale ragione non andiate semplicemente a catturarlo - fece la signorina Michonneau.

- Ebbene!signorinaio vi rispondo... Ma - le disse all'orecchio - impedite al vostro amico d'interrompermialtrimenti non la finiremo più. Quel tipo deve essere molto fortunato se riesce a farsi ascoltare. Ingannalamortevenendo quiha assunto l'aspetto d'una persona per benefa il buon borghese pariginoha preso stanza in una pensione senza pretese; è finoluie date retta a menon lo si coglierà mai all'impensata. Dunque il signor Vautrin è un uomo consideratoche fa affari considerevoli.

"Naturalmente" disse fra sé e sé Poiret.

- Il ministrose c'ingannassimo arrestando un autentico Vautrinnon vuol mettersi contro né i commercianti di Parigi né l'opinione pubblica. Il signor Prefetto di polizia ciurla nel manicoha dei nemici. Se si commettesse un errorecoloro che aspirano al suo posto approfitterebbero dello scandalo e degli strilli dei liberali per farlo saltare. Si tratta qui di procedere come nel processo Cogniardil falso conte di Sainte-Helène; se fosse stato un vero conte di Sainte-Helènesaremmo stati freschi! E perciò è necessario identificarlo bene.

- Sìma voi avete bisogno di una bella donna - disse con vivacità la signorina Michonneau.

- Ingannalamorte non si lascerebbe avvicinare da una donna replicò l'agente. - Vi rivelerò un segreto: egli non ama le donne.

- Ma non vedo allora a che cosa io possa servire per un simile accertamentouna supposizione che consentirei a fare per duemila franchi.

- Nulla di più facile - disse lo sconosciuto. - Vi darei una fialetta contenente una dose di liquore preparato per provocare un malessereche non presenta tuttavia il minimo pericolo e simula una apoplessia. La droga può essere mescolata indifferentemente sia al vino che al caffè. Voi trasportate immediatamente il nostro uomo su di un lettoe lo spogliate per sorvegliare che non muoia.

Quando sarete rimasta sola con luigli darete un colpo sulla spallapaf !e vedrete ricomparire le lettere del suo marchio.

- Ma tutto ciò è molto facile - disse Poiret.

- Ebbeneacconsentite? - domandò Gondureau alla vecchia zitella.

- Macaro signore - rispose la signorina Michonneau - e se le lettere non ci fosseroavrei egualmente i duemila franchi?

- No.

- Equanto sarà allora l'indennità?

- Cinquecento franchi - Fare una cosa simile per così poco? Il male è sempre quello nella coscienza; e io devo sedare la reazione della mia coscienzasignore.

- Posso assicurarvi - disse Poiret - che la signorina ha molta coscienzaoltre ad essere una amabilissima persona e molto intelligente.

- Ebbene! - riprese la signorina Michonneau - datemi tremila franchi se è Ingannalamortee nulla se non è lui.

- Sta bene - disse Gondureau - ma alla condizione che la faccenda sia sbrigata domani.

- Un momentocaro signore; ho bisogno di consultare prima il mio confessore.

- Furba! - fece l'agente alzandosi. - Alloraa domani. E se avete urgenza di parlarmivenite al vicolo Sainte-Annein fondo alla corte della Sainte-Chapelle. C'è una porta sola sotto la volta.

Chiedete del signor Gondureau.

Bianchonche tornava dalla lezione di Cuvierrimase colpito dalla parola alquanto originale: Ingannalamortee udì lo "sta bene"del celebre capo della Polizia.

- Perché non vi decidete subito? Sarebbero trecento franchi di rendita - disse Poiret alla signorina Michonneau.

- Perché? - essa rispose. - Ma perché bisogna rifletterci. E se il signor Vautrin fosse proprio questo Ingannalamorte? In questo caso sarebbe forse più conveniente mettersi d'accordo con lui.

Tuttaviachiedergli del denaro vorrebbe dire prevenirloe lui sarebbe capace di squagliarsela gratis. E allora sarebbe un detestabile puff.

- Ma ammesso che fosse prevenuto - riprese Poiret - quel signore non ci ha detto che era sorvegliato? Ma voivoi allora perdereste tutto.

"Del resto" pensò la signorina Michonneauio non ho alcuna simpatia per quell'uomo! Non sa dirmi che cose spiacevoli.

- Ma - riprese Poiret - voi fareste di meglio. Come ha detto quel signoreche mi sembra persona molto ammodooltre a essere assai ben vestitoè un gesto di obbedienza alle leggi togliere dalla circolazione un criminaleper quanto virtuoso possa essere. Chi ha bevutoberrà. Se gli venisse in mente di assassinarci a tutti?

Mache diavolo! Noi saremmo colpevoli di questi assassiniisenza contare che saremmo le prime vittime.

La preoccupazione non permetteva alla signorina Michonneau di ascoltare le frasi cadenti a una a una dalla bocca di Poiretcome le gocce d'acqua che cadono attraverso il rubinetto d'una fontana mal chiuso. Da quando quel vecchio aveva cominciato a snocciolare la serie delle sue frasisenza che la signorina Michonneau lo interrompessecontinuava a parlare semprecome una macchina caricata. Dopo aver attaccato un primo argomentoera portato dalle sue parentesi a trattarne altri del tutto oppostisenza aver concluso nulla. Giunti alla Casa Vauquers'era cacciato in una sequela di passaggi e di citazioni transitorie che lo avevano condotto a riferire la sua deposizione nel processo di messer Ragoulleau e di madama Morinove era comparso quale teste a discarico. Entrandola sua compagna non mancò di scorgere Eugenio de Rastignac impegnato con la signorina Taillefer in un intimo colloquio il cui interesse era così palpitanteche la coppia non fece alcuna attenzione ai due vecchi pensionantiche attraversarono la sala da pranzo.

- Doveva finire così - disse la signorina Michonneau a Poiret. Era da otto giorni che si facevano l'occhio di triglia.

- Già - egli rispose. - E perciò fu condannata.

- Chi?

- La signora Morin.

- Ma io vi sto parlando della signorina Vittorina! - disse la Michonneau entrandodistrattanella camera di Poiret - e voi mi rispondete con la signora Morin. Chi è questa donna?

- E di che cosa sarebbe colpevole la signorina Vittorina? chiese Poiret.

- E' colpevole di amare il signor Eugenio de Rastignace va innanzi per questa strada senza sapere dove questa la condurràpovera innocente!

Eugenio era statodurante la mattinataportato alla disperazione dalla signora de Nucingen. Nel foro interiore della sua coscienza s'era abbandonato completamente a Vautrinsenza voler approfondire né i motivi dell'amicizia che gli dimostrava quell'uomo straordinarioné le conseguenze d'una simile alleanza.

Sarebbe stato necessario un miracolo per trarlo dall'abisso nel quale aveva già messo il piede da un'orascambiando con la signorina Taillefer le più dolci promesse. Vittorina credeva di ascoltare la voce di un angeloi cieli si schiudevano per leila Casa Vauquer si adornava di quei colori fantastici che i decoratori usano per i palazzi di teatro: amavaera amatao almeno lo credeva! E quale donna non lo avrebbe credutocome leivedendo Rastignacascoltandolo durante quell'ora sottratta a tutti gli Argo della casa? Dibattendosi contro la sua coscienzasapendo di far male e volendo farlodicendosi che si sarebbe riscattato da quel peccato veniale con la felicità d'una donnas'era abbellito della sua stessa disperazione e riluceva di tutti i fuochi infernali che aveva nel cuore. Fortunatamente per luiil miracolo si compì: Vautrin entrò allegramentee lesse nell'animo dei due giovaniche egli aveva sposati con le macchinazioni del suo genio infernalema di cui turbò subito la gioia cantando col suo vocione rauco:

La mia Fanchette è deliziosa Nella sua semplicità...

Vittorina scappò portando con sé tanta felicità quanto dolore aveva fino allora sofferto nella vita. Povera figliola! Una stretta di manola sua gota sfiorata dai capelli di Rastignacuna parola detta così vicino al suo orecchio da sentire il calore delle labbra dello studentei suoi fianchi cinti da un braccio tremanteun bacio sul suo collofurono il fidanzamento della sua passioneche l'avvicinarsi della grossa Silviaminacciando d'entrare in quella radiosa sala da pranzorese più ardentepiù vivopiù impegnativo delle più belle testimonianze d'affetto raccontate nelle più celebri storie d'amore. Questi "piccoli voti"secondo una graziosa espressione dei nostri antenatisembravano crimini a una devota giovinetta che andava a confessarsi ogni quindici giorni! In quell'oraessa aveva prodigato più tesori dell'anima di quantipiù tardiricca e felicenon ne avrebbe dati concedendosi tutta.

- L'affare è fatto - disse Vautrin ad Eugenio. - I nostri due dandy si sono picchiati. Tutto s'è svolto passabilmente. Questione di opinioni. Il nostro piccioncino ha insultato il mio falchetto.

A domaninel ridotto di Clignancourt. Alle otto e mezzala signorina Taillefer erediterà l'amore e la ricchezza di suo padrementre starà tranquillamente a inzuppare i suoi crostini di pane imburrato nel caffè. Non è buffa a raccontarsi? Quel piccolo Taillefer è molto forte alla spadaed è pieno di fiducia come se avesse una scala reale in mano; ma sarà salassato da un colpo di mia invenzioneche consiste nel rialzare l'arma e nel colpire in fronte. Vi insegnerò questo colpoperché è straordinariamente utile.

Rastignac ascoltava stupitoed era incapace di rispondere. In quel momento giunsero papà GoriotBianchon e qualche altro pensionante.

- Ecco come io vi volevo - gli disse Vautrin. - Voi sapete quello che fate. Benemio aquilotto! Voi governerete gli uomini; siete fortequadratocoraggioso; avete la mia stima.

E volle prendergli la mano. Ma Rastignac ritirò presto la suae cadde su di una sediaimpallidendo; credeva di vedere un lago di sangue dinanzi a sé.

- Ah!abbiamo ancora qualche fascia imbrattata di virtù - disse Vautrin a bassa voce. - Papà d'Oliban ha tre milioniso a quanto ascende la sua fortuna. La dote vi renderà candido come un abito da sposae dinanzi agli stessi vostri occhi.

Rastignac non esitò più. Decise di andare ad avvertire in serata i signori Taillefer padre e figlio. In quel momentoavendolo Vautrin lasciatopapà Goriot gli disse all'orecchio:

- Siete tristeragazzo mio!vi rallegrerò io. Venite con me! E il vecchio vermicellaio accese lo stoppino a una lampada. Eugenio lo seguìpieno di curiosità.

- Entriamo da voi - disse il bonuomoche s'era fatto dare la chiave della camera dello studente da Silvia. Voi avete creduto questa mattina che lei non vi amasseeh! - riprese a dire. - Lei vi ha mandato viae voi ve ne siete andato crucciatodesolato.

Sciocchezze! Aspettava me. Capite? Dovevamo andare a finir di sistemare un gioiello d'appartamentoche andrete ad abitare di qui a tre giorni. Non mi scoprite. Lei vuol farvi una sorpresama io non resisto a tenervi più a lungo nascosto il segreto.

Abiterete in via d'Artoisa due passi dalla via Saint-Lazare. Ci starete come un principe. Abbiamo preso per voi dei mobili come per una sposa. Abbiamo fatto molte cose da un mese a questa partesenza dirvi nulla. Il mio avvocato si è messo all'operamia figlia avrà i suoi trentaseimila franchi all'annointeresse della dotee otterrò l'investimento di quegli ottocentomila franchi in redditizi beni al sole.

Eugenio taceva e camminavacon le braccia incrociatein lungo e in largoper la sua povera camera in disordine. Papà Goriot colse un momento in cui lo studente gli voltava le spallee pose sul caminetto una scatola in marocchino rossosu cui era impresso in oro lo stemma di Rastignac.

- Mio caro figliolo - disse il povero bonuomo - mi sono cacciato in questa faccenda fino al collo. Mavedetec'era in me molto egoismoio sono interessato al vostro cambiamento di quartiere.

Non mi direte di noeh?se vi domando qualche cosa.

- Che volete?

- Al di sopra del vostro nuovo appartamentoal quinto pianoc'è una stanza annessaci potrò abitareno? Invecchio sempre piùsto troppo lontano dalle mie figlie. Non vi disturberò. Soltantostarò lì. Voi mi parlerete di lei tutte le sere. Questo non vi darà fastidioè vero? Quando rientreretee io sarò a lettovi sentiròe mi dirò: E' stato fino a poco fa con la mia piccola Delfina. L'ha accompagnata al balloè felice per merito suo. Se fossi malatosarebbe un balsamo al mio cuore sentirvi rientraremuovereuscire. Ci sarà tanto di mia figlia in voi! Non ci sarà da fare che un passo per trovarsi agli Champs-Elyséesdove loro passano tutti i giornile vedrò semprementre ora qualche volta arrivo troppo tardi. E poi lei verrà da voiforsela sentiròla vedrò nella sua vestaglia imbottita da mattinatrotterellarefacendo graziosamente le fusa come una gattina. Da un meseè tornata come quand'era ragazza: gaia e brillante. La sua anima è in convalescenzavi deve la felicità. Oh!io farò per voi l'impossibile. Mi diceva poco farientrando: "Papàsono tanto felice!". Quando mi dicono rispettosamente "padre"mi gelano; ma quando mi chiamano: "papà"mi sembra di vederle ancora piccolinee ravvivano tutti i miei ricordi. Mi sento anche di più loro padre. Ho l'illusione che non siano ancora di nessun altro! - Il bonuomo si asciugò gli occhipiangeva - Era tanto che non avevo più sentito quelle paroletanto che non mi aveva dato più il braccio! Oh!sìsono dieci anni che non cammino più a fianco d'una delle mie figliole. Com'è piacevole sfiorare il suo vestitomettersi a passo con leicondividere il suo calore. Insommaquesta mattina ho accompagnato Delfina dappertutto. Entravo con lei nei negozi. E l'ho riaccompagnata a casa. Oh!tenetemi vicino a voi. Qualche volta potreste aver bisogno di chi ci faccia qualche servigio: io sarò lì pronto. Oh !se quel grosso ciocco d'Alsaziano morissese la sua gotta fosse così spiritosa da salirgli allo stomacola mia povera figliola sarebbe felice! Voi diverreste mio generosareste agli occhi di tutti suo marito.

Oh!lei è così infelice per non conoscere nulla dei piaceri del mondoche le perdono qualsiasi cosa. Il buon Dio deve stare dalla parte dei padri che amano tanto i loro figli. Lei vi vuol troppo bene! - disse scuotendo la testadopo una pausa. - Camminandomi parlava di voi: "E' veropapàche è una persona per bene e ha tanto buon cuore! Vi parla di me?". E me ne ha dette tante dalla via d'Artois fino al passaggio dei Panoramasda farne volumi! E ha versato il suo cuore nel mio. Per tutta la mattinanon mi sentivo più vecchionon pesavo un'oncia. Le ho detto che mi avevate dato il biglietto da mille franchi. Oh! la mia carane è stata commossa fino alle lacrime. Ma che cosa avete làsul caminetto? - chiese infine Goriot che moriva d'impazienza vedendo Rastignac immobile.

Eugeniosbalorditoguardava il suo vicino come un ebete. Quel duello annunciatogli da Vautrin per l'indomanicontrastava così violentemente con le realizzazioni delle sue più care speranzeda fargli provare tutte le sensazioni dell'incubo. Si volse verso il caminettovi scorse la scatolina quadratal'aprìe vi trovò dentro un fogliosotto il quale si trovava un orologio Bréguet.

Sul foglio erano scritte queste parole:

"Voglio che pensiate a me tutte le oreperché...

Delfina".

Quest'ultima parola doveva certamente alludere a qualche scena svoltasi fra loro. Eugenio ne rimase intenerito. Il suo stemma figurava internamente smaltato nell'oro della cassa dell'orologio.

Questo oggettoda tanto tempo desideratolo stilela catenala chiavettai fregisoddisfacevano tutti i suoi gusti. Papà Goriot era raggiante. Egli aveva senza dubbio promesso alla figlia di riferirle ogni minimo effetto della sorpresa che avrebbe prodotto in Eugenio il suo donodacché egli rientrava ormai come terzo in quelle giovanili emozioni e non sembrava esserne il meno felice.

Egli voleva già bene a Rastignace nei riflessi di sua figlia e in rapporto a se stesso.

- Andate a trovarlaquesta sera! Vi aspetta. Quel grosso ciocco dell'Alsaziano cena con la sua ballerina. Ah! ah!è rimasto come uno stupidoquando il mio avvocato gli ha detto il fatto suo. Non ha avuto il coraggio di dichiarare che ama mia figlia fino all'adorazione? Si provi a toccarla con un ditoe lo ammazzo.

L'idea di sapere la mia Delfina preda di... (e qui sospirò) mi farebbe commettere un delitto: ma il mio non sarebbe un omicidioperché si tratta solo d'una testa di vitello sul corpo d'un maiale. Mi terrete con voinon è vero?

- Sìmio buon papà Goriotsapete quanto vi voglio bene...

- Lo vedovoi non vi vergognate di mevoi! Lasciate che vi abbracci - e strinse lo studente fra le braccia. - La renderete felice? Promettetemelo! Ci andrete questa seranon è vero?

- Oh!sì. Ma ora devo lasciarviper certi affari che non posso rimandare.

- Posso esservi utile in qualche cosa?

- In fede miasì! Mentre andrò dalla signora de Nucingen vorrei pregarvi di andare dal signor Taillefer padree chiedergli se può accordarmi un colloquio in seratadovendo parlargli d'una faccenda di somma importanza.

- Ma allora è verogiovanotto - domandò papà Goriot cambiando espressione - che voi fareste la corte a sua figliacome dicono questi imbecilli qui sotto? Corpo di mille fulmini! Voi non sapete che cosa sia un pugno alla Goriot. Ese c'ingannastenon sarebbe questione che d'un pugno. Oh!questo non è possibile.

- Vi giuro che io amo una sola donna al mondo - rispose lo studente - e lo so solo da un momento fa.

- Ah!che felicità! - fece papà Goriot.

- Ma - riprese lo studente - il figlio di Taillefer si batte domanie ho sentito dire che verrà ucciso.

- E che cosa ve ne importa? - chiese Goriot.

- Ma bisogna dirgli che impedisca a suo figlio di recarsi...

esclamò Eugenio.

In quel momento fu interrotto dalla voce di Vautrinche si fece sentire sulla soglia dell'usciocantando:

"O Riccardoo mio re!

Il mondo ti abbandona".

Brum! brum! brum! brum! brum!

"A lungo ho corso il mondoE mi si è visto..." Tralalala...

- Signori - gridò Cristoforo - la zuppa è servitae tutti sono già a tavola.

- Cristoforo - disse Vautrin - va' a prendere una bottiglia del mio vino di Bordeaux.

- Vi piaceI'orologio? - domandò papà Goriot. Lei ha buon gustoeh? - Vautrinpapà Goriot e Rastignac scesero insieme la scala e a tavola si trovaronoa causa del loro ritardovicini. Eugenio ostentò la più grande freddezza a Vautrin durante il pranzosebbene quell'uomocosì amabile agli occhi della signora Vauquernon avesse mai sfoggiato tanto spirito. Fu scoppiettante di arguziee seppe trascinare tutti i commensali. Quella sua disinvolturaquel suo sangue freddo costernavano Eugenio.

- Com'è che oggi vi va così buona? - gli chiese la signora Vauquer. - Siete allegro come un galletto!

- Sono sempre allegro ioquando ho concluso buoni affari.

- Affari? - domandò Eugenio.

- Ebbenesì. Ho venduto una partita di merci che mi procurerà una discreta percentuale. Signorina Michonneau - aggiunse poiaccorgendosi che la vecchia zitella lo stava guardando - ho forse sul viso qualche tratto che non vi garbada farmi "l'occhio americano"? Nel casoditemelo! E allora lo cambieròper riuscirvi gradito.

- Poiretnon ci bisticceremo davvero per questono? - aggiunse ammiccando al vecchio impiegato.

- Perbacco!voi dovreste posare per un Ercole Farnese - disse il giovane pittore a Vautrin.

- Giusto!in fede miase la signorina Michonneau poserà da Venere del Père Lachaise - rispose Vautrin.

- E Poiret? - fece Bianchon.

- Oh!Poiret poserà da Poiret. Sarà il dio dei giardini! - esclamò Vautrin. - Il suo nome deriva da pera...

- Cotta! - riprese Bianchon. - E allora vi troverete tra la pera e il formaggio.

- Ma basta con tutte queste sciocchezze - disse la signora Vauquer - e fareste meglio a offrirci il vostro vino di Bordeauxdi cui vedo una bottiglia che sta qui facendo atto di presenza; essa ci terrà in allegriasenza contare che fa bene allo "stommacco".

- Signori - fece Vautrin - la signora presidentessa ci richiama all'ordine. La signora Couture e la signorina Vittorina non si scandalizzeranno dei vostri discorsi scherzosima rispettate l'innocenza di papà Goriot. Vi offro una piccola "bottigliorama" di vin di Bordeauxche il nome di Laffitte rende doppiamente illustre: e ciò sia detto senza alcuna allusione politica. ForzaCinese! - aggiunse guardando Cristoforoche non si mosse. - Vieni quiCristoforo! Comenon senti fare il tuo nome? Cineseporta i liquidi !

- Eccosignore - disse Cristoforo presentandogli la bottiglia.

Dopo aver riempito il bicchiere d'Eugenio e quello di papà Goriotse ne versò lentamente alcune goccele gustòmentre i suoi due vicini bevevano; ma ad un tratto fece una boccaccia.

- Diamine!sa di turacciolo. Prendi questo per teCristoforoe vaccene a prendere dell'altro; a destrasai... Siamo sediciporta giù otto bottiglie.

- Visto che siete in vena di liberalità - disse il pittore - io offrirò le castagne.

- Oh! oh!

- Booououh!

- Prrr!

Ognuno lanciò esclamazioniche partirono come razzi d'una girandola.

- Andiamomamma Vauqueroffritecene due di Champagne - le gridò Vautrin.

- Nientemeno! E perché non chiedermi addirittura tutta la casa?

Due di Champagne! Ma sapete che costano dodici franchi l'una? Io non li guadagno micaio! Ma se il signor Eugenio vuol pagarle luiio vi offro il rosolio di ribes.

- Eccola col suo ribesche purga come la manna - disse lo studente in medicina a bassa voce.

- Vuoi star zittoBianchon? - esclamò Rastignac - io non posso sentir parlare di manna senza che lo stomaco... Ebbene sìvada per lo Champagnelo pago io aggiunse lo studente.

- Silvia - disse la signora Vauquer - serviteci i biscotti e i pasticcini.

- I vostri pasticcini sono troppo grandi - disse Vautrin - hanno la barba! Ma i biscottiportateli.

In un momento il vino di Bordeaux circolòi commensali si animaronol'allegria raddoppiò. Furono risa sgangheratetra le quali scoppiarono alcune imitazioni di diverse voci d'animali.

All'impiegato del Museo venne in mente di rifare il grido d'un venditore ambulante parigino che somigliava al miagolio d'un gatto in amoree subito otto voci mugghiarono simultaneamente le frasi seguenti:

- Arrotinooo!

- ...Miglio per uccellini! - Caramellecaramelle! - Piatti da accomodare! - Pesce frescopesce fresco! Battipanni! - Cenciaiuoloroba vecchia! - Ciliege dolci!

La palma toccò a Bianchon per il timbro nasale con cui gridò:

- Ombrellaio! Ombrelli da accomodare!

In pochi istanti si generò un chiasso da far scoppiare la testauna conversazione senza capo né codauna vera e propria opera che Vautrin dirigeva come un direttore d'orchestrasorvegliando Eugenio e papà Gorioti quali apparivano già ubriachi. Con la schiena appoggiata alla sediaambedue assistevano a quella insolita confusione con un'aria gravebevendo poco; entrambi erano preoccupati di quel che dovevano fare durante la seratamatuttavianon si sentivano la forza d'alzarsi. Vautrinche seguiva i mutamenti della loro fisionomia guardandoli in tralicecolse il momento in cui i loro occhi vacillarono e sembrarono volersi chiudereper chinarsi all'orecchio di Rastignace dirgli:

- Ragazzino mionon siamo abbastanza furbi da farla a papà Vautrine lui vi vuole troppo bene per lasciarvi commettere qualche sciocchezza. Quando ho deciso di fare qualcosasolo il buon Dio è così forte da sbarrarmi la strada. Ah!sarebbe dunque nostra intenzione di andare ad avvertire papà Taillefere fare sbagli da scolaretto? Il forno è accesola farina è impastatail pane è sulla pala; domani ne faremo saltare le miche sulla nostra testa mordendoloe proprio adesso non vorremmo infornare?... Nono; tutto si cuocerà! Se abbiamo ancora qualche piccolo rimorsola digestione lo porterà via. Mentre noi schiacceremo un sonnellinoil colonnello conte Franchessini aprirà a nostro favore la successione di Michele Taillefer con la punta della propria spada. Ereditando dal fratelloVittorina avrà quindicimila piccoli franchi di rendita. Ho assunto già informazionie so che la successione della madre ammonta a più di trecentomila...

Eugenio sentiva queste parole senza poter rispondere: aveva la lingua incollata al palatoed era sotto l'azione di una sonnolenza invincibile; vedeva la tavola e i volti dei commensali soltanto attraverso una nebbia luminosa. Presto il rumore si calmòi pensionanti uscirono a uno a uno. Poiquando non rimase più che la signora Vauquerla signora Couturela signorina VittorinaVautrin e papà GoriotRastignac videcome in sognola signora Vauquer che prendeva le bottiglie per scolarne il fondoin modo da riempirne qualcuna.

- Ah!che pazzicome sono giovani! - diceva la vedova.

Questa fu l'ultima frase che Eugenio poté capire.

- Solo il signor Vautrin è capace di far questi scherzi - disse Silvia. - Guardate lì Cristoforocome russa!

- Addiomammà - fece Vautrin. - Vado a teatro ad ammirare il signor Marty nel "Monte Selvaggio"un grande lavoro tratto dal "Solitario". Se voletevi ci conduco insieme con le altre signore.

- Grazie - rispose la signora Couture.

- Comevicina mia ! - esclamò la signora Vauquer - non volete ascoltare un lavoro teatrale ricavato dal "Solitario"l'opera di Atala de Chateaubriandche ci piaceva tanto di leggerecosì bella da farci piangere come tante Maddalene d'Elodia sotto "le tiglie" l'estate scorsaun lavoro moraleinsommache può istruire la vostra signorina?

- Non possiamo andare a teatro - rispose Vittorina.

- Eccolisono andatiquesti due - disse Vautrin muovendo comicamente la testa di papà Goriot e quella d'Eugenio.

Appoggiando la testa dello studente sulla spalliera della sediaper farlo dormire comodamentelo baciò con calore sulla fronte e cantò:

Dormiteo dolci amori!

Per voi desto sarò.

- Temo si senta male - disse Vittorina.

- E allora rimanete a curarlo - rispose Vautrin. - Questo - le sussurrò all'orecchio - è il vostro dovere di sposa devota. Il giovane vi adorae voi sarete la sua mogliettinave lo predico.

Insomma- aggiunse ad alta voce - essi furono stimati in tutto il paesevissero felici ed ebbero molti figliuoli. Ecco come finiscono tutti i romanzi d'amore. Andiamomammà - disse rivolgendosi alla signora Vauquer stringendola per la vita- mettetevi il cappelloil bell'abito a fioramila sciarpa della contessa. Vado intanto a ordinare una carrozza. E uscì cantando:

Solesoleo divin soletu che le zucche fai maturar...

- Buon Dio! signora Couturecon quell'uomo vivrei felice anche sotto il letto! Guardate - fece poi voltandosi verso il vermicellaio - ecco papà Goriot andato anche lui. A questo vecchio canchero fosse mai venuto in mente una volta di portarmi in"gnisun" posto! Ma sta per cadere per terramio Dio! E' indecente però per un uomo d'età smarrire la ragione così. Mi direte che non si può perdere quel che non si ha. Silviaportatelo in camera sua.

Silvia prese il bonuomo sotto il bracciolo aiutò a camminaree lo buttòvestito com'eraattraverso il lettocome un sacco.

- Povero ragazzo - fece la signora Couture scostando i capelli di Eugenio che gli ricadevano sugli occhiè come una giovinettanon sa cosa sia uno stravizio.

- Ahposso ben dirlo; da trentun anni che gestisco la pensione- disse la signora Vauquer - mi sono passati parecchi giovanotti per le manicome suol dirsi; ma non ne ho mai incontrato uno così perbenecosì distinto come il signor Eugenio. Quant'è bello quando dorme! Appoggiategli la testa sulla vostra spallasignora Couture. Però!cade su quella della signorina Vittorina: c'è un dio per i ragazzi. Bastava poco perché non si rompesse la testa sul pomo della sedia. Fra tutti e due farebbero proprio una bella coppia.

- Ma volete dunque tacerevicina mia? - esclamò la signora Couture - state dicendo certe cose...

- Ma! - fece la signora Vauquer - tanto non sente nulla. Vieni quiSilviaaiutami a vestirmi. Voglio mettermi il busto grande.

- Ahsì!il busto grandedopo aver mangiato? - disse Silvia. - Nonocercatevi qualcun altro per farvi stringere; non sarò davvero io il vostro assassino. Commettereste una imprudenza che potrebbe costarvi la vita.

- Non fa nullabisogna fare onore al signor Vautrin.

- Volete proprio tanto bene ai vostri eredi?

- BastaSilviameno chiacchiere - fece la vedova uscendo.

- Alla sua età! - riprese la cuoca indicando la padrona a Vittorina.

La signora Couture e la sua pupillasulla cui spalla Eugenio dormivarimasero sole nella sala da pranzo. Il russare di Cristoforo risuonava nella casa silenziosae faceva risaltare il tranquillo sonno di Eugenioche dormiva con infantile leggiadria.

Felice di potersi permettere uno di quegli atti di carità attraverso i quali si effondono tutti i sentimenti della donna e che le faceva sentiresenza commettere peccatoil cuore del giovane battere sul suoVittorina aveva nel volto qualcosa di maternamente protettivoche la rendeva fiera. Tra i mille pensieri che si levavano dal suo cuoreessa avvertiva un tumultuoso moto di voluttàeccitato dallo scambio d'un giovanile e puro calore.

- Povera cara figliuola! - disse la signora Couturestringendole la mano. La vecchia signora ammirava quel candido e sofferente sembiantesul quale era discesa l'aureola della felicità.

Vittorina somigliava a una di quelle ingenue pitture medievali in cui tutti i particolari sono negletti dall'artistache si è riservato la magia di un pennello calmo e fiero per la figurad'un tono gialloma dove il cielo pare riflettersi con le sue tinte d'oro.

- Eppuremammànon ha bevuto più di due bicchieri - fece Vittorina passando le dita fra i capelli d'Eugenio.

- Ma se fosse stato un dissolutofiglia miaavrebbe sopportato il vino come tutti gli altri. La sua ebbrezza è il suo miglior elogio.

Il rumore d'una vettura risuonò nella strada.

- Mammà - disse la ragazza - ecco il signor Vautrin. Prendete voivi pregoil signor Eugenio. Non vorrei esser vista così da quell'uomo; ha certe espressioni che sporcano l'animae certi sguardi che imbarazzano una donna come se le si levasse il vestito.

- No - rispose la signora Couture - tu ti sbagli! Il signor Vautrin è un brav'uomoun po' sul genere del povero signor Couturerude ma buonoun burbero benefico.

In quel momento Vautrin entrò piano pianoe contemplò il quadro formato da quei ragazziche la luce della lampada sembrava accarezzasse.

- Ebbene! - disse incrociando le braccia - ecco una di quelle scene che avrebbero ispirato qualche bella pagina al buon Bernardin de Saint-Pierrel'autore di "Paul et Virginie". La giovinezza è una gran bella cosasignora Couture. Povero ragazzodorme - aggiunse guardando Eugenio - il bene scende alcune volte nel sonno. Signora - riprese rivolgendosi alla vedova - quel che mi lega a questo giovanequel che mi commuoveè il sapere la bellezza della sua anima in armonia con quella del suo viso.

Guardatelo: non vi sembra un cherubino poggiato sulla spalla d'un angelo? E' degno d'essere amatoquello lì. Se fossi donnavorrei morire (nonon sono così stupido!) vivereper lui. Ammirandoli cosìsignora - aggiunse a bassa voce e chinandosi all'orecchio della vedova - non posso fare a meno di pensare che Dio li ha creati per essere l'uno dell'altro. Le vie della Provvidenza sono ben nascosteessa sonda le reni e il cuore - esclamò ad alta voce. - Nel vedervi unitiragazzi mieiuniti da una stessa purezzada tutti i sentimenti umanipenso sia impossibile che voi siate mai separati in avvenire. Dio è giusto. Ma - disse alla ragazza - mi sembra di aver trovato in voi le linee della fortuna.

Datemi la manosignorina Vittorinaio m'intendo di chiromanziae spesso ho detto la buona ventura. Andiamonon abbiate paura.

Oh!che cosa non vedo! In fede di onest'uomovoi sarete fra breve una delle più ricche ereditiere parigine. Colmerete di felicità colui che vi ama. Vostro padre vi chiama vicino a sé. Vi mariterete a un titolato giovanebelloche vi adora.

In quel momento i passi pesanti della leziosa vedova che scendeva interruppero le profezie di Vautrin.

- Ecco mammà Vauquerre bella come un astrrrolegata stretta come un salame. Non scoppiamo un pochettino? - le chiese mettendo la mano sulla parte superiore del busto; - le punte di petto stanno molto pigiatemammà. Se durante la recita dovremo piangereavverrà un'esplosione; ma io raccoglierò i pezzi con la cura d'un antiquario.

- Conosce il gergo della galanteria francesecostui! - fece la vedova chinandosi all'orecchio della signora Couture.

- Addiofiglioli - riprese Vautrin rivolgendosi ad Eugenio e a Vittorina. - Vi benedico - aggiunse imponendo le mani sul loro capo. - Date retta a mesignorinagli auguri d'un galantuomo valgono pur qualcosadevono portarvi fortunaDio li ascolta.

- Addiomia cara amica - disse la signora Vauquer alla pensionante. - Credete - aggiunse a bassa voce - che il signor Vautrin possa avere qualche intenzione a mio riguardo?

- Eh!eh!

- Ahmia cara mammà - disse Vittorina sospirando e guardandosi le maniquando le due donne rimasero sole. - Se quel buon signor Vautrin dicesse la verità !

- Ma basta una cosa sola per questo - rispose la vecchia signora - basta solo che quel mostro di tuo fratello cada da cavallo.

- Oh !mammà.

- Mio Dioforse è un peccato augurare il male al proprio nemico - riprese la vedova. - Ebbenene farò la penitenza. Ti assicuro che porterò volentieri dei fiori sulla sua tomba. Senza cuore!egli non ha il coraggio di dire ciò che avrebbe detto sua madredi cui detiene a tuo danno l'eredità a forza d'imbrogli. Mia cugina possedeva una bella fortuna. Per tua disgrazianon s'è mai parlato del suo apporto dotale nel contratto.

- Non potrei godere la mia felicitàse dovesse costare la vita a qualcuno - rispose Vittorina. - E seper essere felicemio fratello dovesse mancarepreferirei restare sempre qui.

- Mio Diocome dice quel buon signor Vautrinchelo hai sentitoè un uomo religioso - riprese la signora Couture - mi ha fatto piacere di sapere che egli non è incredulo come gli altriche parlano di Dio con minor rispetto di quanto non ne abbia il diavolo. Ebbenechi può sapere per quali strade alla Provvidenza piaccia condurci?

Aiutate da Silvia le due donne trasportarono Eugenio nella sua cameralo coricarono sul lettoe la cuoca gli sbottonò il vestito per farlo star comodo. Prima di lasciare la stanza Vittorinanon appena la sua protettrice ebbe voltato le spalleimpresse un bacio sulla fronte d'Eugeniocon tutta la felicità che doveva causarle quel criminale gesto furtivo. Guardò la sua cameraraccolseper così direin un solo pensiero le mille gioie di quella giornatane fece un quadro che rimase a contemplare a lungoe s'addormentò come la più felice creatura di Parigi. La festicciola col favore della quale Vautrin aveva fatto bere a Eugenio e a papà Goriot vino narcotizzatosignificò la sua rovina. Bianchonmezzo ubriacodimenticò d'interrogare la signorina Michonneau a proposito di Ingannalamorte. Se avesse pronunciato questo nomeavrebbe sicuramente destato la prudenza di Vautrinoper chiamarlo col suo vero nomedi Jacques Collinuna celebrità della galera. E poiil nomignolo di Venere del Père-Lachaise fece decidere la signorina Michonneau a consegnare nelle mani della forza il galeottoproprio nel momento in cuifidando nella generosità di Collinstava pensando se non sarebbe stato meglio avvertirlo e farlo evadere durante la notte. E uscìaccompagnata da Poiretper recarsi dal famoso capo della poliziaal vicolo Sainte-Annecredendo di aver ancora a che fare con un alto funzionario chiamato Gondureau. Il direttore della polizia giudiziaria la ricevette cortesemente. Poidopo un colloquio in cui tutto fu precisatola signorina Michonneau chiese il liquido con l'aiuto del quale avrebbe dovuto procedere alla verifica del marchio. Dal gesto di contentezza che fece il grand'uomo del vicolo Sainte-Anne nel cercare una fialetta nel cassetto dello scrittoiola signorina Michonneau capì che in quella cattura si nascondeva qualcosa di più importante dell'arresto d'un semplice forzato. A furia di spremersi il cervelloessa suppose che la polizia sperassesulla scorta di certe rivelazioni fatte da alcuni galeotti traditoridi giungere in tempo per mettere le mani su considerevoli valori.

Quando ebbe espresso tali congetture a quella volpeegli ebbe un sorrisoe volle stornare i sospetti della vecchia zitella.

- V'ingannate - le rispose. - Collin è la "sorbona" più pericolosa che mai si sia trovata nel reparto dei ladri. Ecco tutto. I bricconi lo sanno bene; egli è la loro bandierail loro sostegnoinsomma il loro Bonaparte; e tutti gli vogliono bene. Questo bel tipo non ci lascerà mai la sua "ghirba" in piazza de Grève.

E poiché la signorina Michonneau non capivaGondureau le spiegò le due parole di gergo che aveva usato: "Sorbona" e "ghirba" sono due energiche espressioni del linguaggio dei ladri i qualiloro per primihanno sentito la necessità di considerare la testa umana sotto due aspetti. La "sorbona" è la testa dell'uomo vivoil suo giudizioil suo pensiero. La "ghirba" è una parola di spregio destinata a significare quanto poco valga la testaquando essa è stata recisa.

- Collin ci prende in giro - egli disse. - Quando c'imbattiamo in uomini del genereche sono come sbarre d'acciaio temprate all'ingleseabbiamo la risorsa di ucciderli seall'atto dell'arrestosi attentano a fare la più piccola resistenza. Noi contiamoappuntosu qualche via di fatto per uccidere Collin domattina. In questo modo si evitano il processole spese di custodiail nutrimentoe si libera la società da un pericolo. Le procedurele escussioni dei testimoniil pagamento delle loro indennitàl'esecuzionetutto quel che deve legalmente sbarazzarci da tali delinquenticostano ben più dei mille scudi che riceverete. E poisi fa economia di tempo. Assestando un bel colpo di baionetta nella pancia di Ingannalamorteimpediremo un centinalo di delitti ed eviteremo la corruttela di cinquanta pessimi soggettii quali si terranno prudentemente ai margini della correzionale. Ecco un'azione di polizia ben fatta. Secondo l'avviso dei veri filantropiprocedere così vuol dire prevenire i reati.

- Ma è anche servire il proprio Paese - disse Poiret.

- Ebbene! - replicò il capo - dite cose sensatequesta seravoi.

Sì certonoi serviamo il Paese. E la società è ingiusta nei nostri riguardi. Noi le rendiamo grandi servigituttavia ignorati. Ma poi è proprio di un uomo superiore porsi al di sopra dei pregiudiziè proprio di un cristiano sopportare i guai che il bene porta con séquando non è fatto secondo i sani principi.

Parigi è Parigi: questa parola spiega la mia vita. Ho l'onore di salutarvisignorina. Mi troverò coi miei uomini domani al Giardino del Re. Mandate Cristoforo in via Buffondal signor Gondureaunella casa dov'ero. Signoreservitor vostro. Caso mai vi rubassero qualcosaservitevi pure di me per farvela ritrovaresono a vostra disposizione.

- Ebbene! - disse Poiret alla signorina Michonneau - si trovano degli imbecilli che la sola parola polizia mette sotto sopra.

Questo signore è molto amabilee quanto vi chiede è semplice come dire: buon giorno. - L'indomani doveva essere una delle giornate più straordinarie nella storia della Casa Vauquer. Fino allorail fatto più saliente di quella vita tranquilla era stata l'apparizione meteorica della falsa contessa de l'Ambermesnil. Ma tutto doveva impallidire dinanzi alle peripezie di quella giornata campaledella quale si sarebbe parlato in eterno nelle conversazioni della signora Vauquer. Innanzi tutto Goriot ed Eugenio de Rastignac dormirono fino alle undici. La signora Vauquerrientrata a mezzanotte dalla "Gaîté"rimase fino alle dieci e mezza a letto. Il prolungato sonno di Cristoforoche aveva bevuto i fondi delle bottiglie offerte da Vautrincausò qualche ritardo nel servizio della casa. Poiret e la signorina Michonneau non si lamentarono del ritardo subìto dalla colazione.

Quanto a Vittorina e alla signora Coutureesse dormirono sino a tardi. Vautrin uscì prima delle ottoe tornò proprio quando la colazione stava per essere servita. Nessuno perciò protestò quandoverso le undici e un quartoSilvia e Cristoforo bussarono a tutti gli usci per dire che la colazione era pronta. Durante l'assenza di Silvia e del domesticola signorina Michonneau scese per primaversò il liquido nella tazza d'argento di Vautrindove la crema per il caffè si scaldava a bagno mariaa differenza di tutti gli altri commensali. La vecchia zitella aveva contato su questa particolarità della pensione per fare il suo colpo. Non fu senza qualche difficoltà che i sette pensionanti si trovarono riuniti. Nel momento in cui Eugeniostirandosi le bracciascendeva buon ultimoun fattorino gli consegnò una lettera della signora de Nucingen. La lettera era così concepita:

"Io non ho falsa vanitàné sono in collera con voiamico mio. Vi ho atteso fino alle due dopo mezzanotte. Attendere una persona amata! Chi ha conosciuto questo supplizio non lo impone a nessuno.

Vedo bene che voi amate per la prima volta. Che cosa mai è accaduto? Sono angustiata. Se non avessi timore di svelare i segreti del mio cuoresarei venuta a vedere quel che vi capitavapiacevole o spiacevole che fosse. Ma uscire di casa a quell'orao a piedi o in carrozzanon avrebbe voluto dire screditarsi? Ho in questa circostanza provato il rammarico d'esser nata donna.

Rassicuratemiditemi perché non siete venutodopo quanto vi avrà detto mio padre. M'inquieteròma vi perdonerò. State poco bene?

Perché abitare così lontano da me? Una parolaper favore! A prestonon è vero? Una parola mi basteràse siete occupato.

Ditemi solo: o corro da voio sto male... Ma se vi trovaste indispostomio padre sarebbe venuto a dirmelo! Che cosa dunque è accaduto?...".

- Giàche cosa è accaduto? - esclamò Eugenioche si precipitò nella sala da pranzospiegazzando la lettera senza finire di leggerla. - Che ora è?

- Le undici e mezza - rispose Vautrin inzuccherando il suo caffè.

Il forzato evaso gettò su di Eugenio quello sguardo freddamente ammaliatore che certi uomini eminentemente magnetici hanno il dono di lanciaree chesi dicecalma i pazzi furiosi nei manicomi.

Eugenio tremò in tutte le sue membra. Il rumore d'un "fiacre" si fece sentire dalla stradae un domestico che indossava la livrea del signor Taillefersubito riconosciuto dalla signora Coutureentrò precipitosamente con aria stravolta.

- Signorina - esclamò - il vostro signor padre vi desidera. E' accaduta una grave disgrazia. Il signor Federico s'è battuto al duelloha ricevuto un colpo di spada in frontee i medici disperano di salvarlo; avrete appena il tempo di dirgli addio!ha perduto conoscenza.

- Povero giovane! - esclamò Vautrin. - Come mai attaccar lite quando si hanno trenta buone mila lire di rendita? E' proprio vero che la gioventù non si sa regolare!

- Signore! - gli gridò Eugenio.

- Ebbene!cosabambinone? - fece Vautrin terminando tranquillamente di bere il caffèoperazione che la signorina Michonneau seguiva troppo attentamente per commuoversi del fatto straordinario che tutti aveva lasciato sorpresi. - Non ci sono forse duelli tutte le mattinea Parigi?

- Vengo con voiVittorina - disse la signora Couture.

E le due donne corsero via senza né scialle né cappello. Prima di uscireVittorinacon gli occhi pieni di lacrimediede a Eugenio uno sguardo come per dirgli: "Non credevo che la nostra felicità dovesse costarmi tante lagrime!".

- Ma!voi siete dunque profetasignor Vautrin - chiese la signora Vauquer.

- Io sono ogni cosa - rispose Jacques Collin.

- E' strano davvero! - riprese la signora Vauquerinfilando una dopo l'altra frasi sconnesse sull'accaduto. - La morte ci coglie senza domandarci il permesso. I giovani se ne vanno spesso prima dei vecchi. Fortunanoi donnedi non dover avere duelli; ma in cambio abbiamo malattie che gli uomini non hanno. Noi facciamo i figlie il mal di madre dura parecchio! Che terno al lotto per Vittorina! Adesso suo padre sarà costretto a riconoscerla.

- Ecco fatto! - disse Vautrin guardando Eugenio - ieri la ragazza era senza un soldoe stamane ricca a milioni.

- Dite susignor Eugenio - esclamò la signora Vauquer - ci avete messo le mani al momento buono!

A questa uscitapapà Goriot guardò lo studente e gli vide nella mano la lettera spiegazzata.

- Non l'avete terminata!che vuol dir questo?sareste voi forse come tutti gli altri? - gli domandò.

- Signoraio non sposerò mai la signorina Vittorina - disse Eugenio rivolto alla signora Vauquercon un senso d'orrore e di disgustoche sorprese i presenti.

Papà Goriot prese la mano dello studente e gliela strinse. Avrebbe voluto baciargliela.

- Ohoh! - fece Vautrin. - Gli italiani hanno un buon modo di dire: "col tempo"!

- Attendo la risposta - disse a Rastignac l'inviato della signora de Nucingen.

- Ditele che andrò da lei.

L'uomo uscì. Eugenio era in preda a un violento stato d'eccitazione che non gli consentiva d'esser prudente.

- Che fare? - diceva ad alta voceparlando a se stesso. - Le prove non ci sono !

Vautrin sorrise. In quel momento la pozione assorbita dal suo stomaco cominciava ad avere effetto. Tuttavia il forzato era così robusto che si levòguardò Eugenioe gli disse con voce cupa:

- Giovanottola fortuna arriva dormendo. - E cadde stecchito.

- C'è dunque una giustizia divina - disse Eugenio.

- Mio Dio!e che diamine ora gli prende a questo povero signor Vautrin ?

- Un colpo apoplettico! - gridò la signorina Michonneau.

- Silviacorrifiglia miava subito a chiamare il medico - fece la vedova. - Ah! signor Rastignacandate presto a cercare il signor Bianchon; Silvia potrebbe non trovare il nostro medicoil signor Grimpel.

Rastignacfelice di avere un pretesto per lasciare quella spaventosa cavernauscì correndo.

- Cristoforosucorri dal farmacista a chiedergli qualcosa contro l'apoplessia. - Cristoforo uscì.

- Andiamopapà Goriotaiutateci a trasportarlo suin camera sua.

Vautrin fu presoportato su per la scala e messo sul letto.

- Io non vi servo a nullavado a vedere mia figlia - disse il signor Goriot.

- Vecchio egoista! - esclamò la signora Vauquer - va'ti auguro di morire come un cane.

- Ma andate a vedere se avete un po' d'etere - fece alla signora Vauquer la signorina Michonneau cheaiutata da Poiretaveva svestito Vautrin.

La signora Vauquer scese in camera sualasciando la signorina Michonneau padrona del campo di battaglia.

- Prestolevategli la camicia e rivoltatelo! Siate dunque buono a qualche cosa ed evitatemi di vedere delle nudità - disse a Poiret.

- Ve ne state lì come Babà.

Rivoltato che fu Vautrinla signorina Michonneau batté sulla spalla di Vautrin un forte colpo con la manoe le due fatali lettere ricomparveroin bianconel mezzo della macchia rossa.

- To'vi siete guadagnato presto il compenso di tremila franchi- esclamò Poiretreggendo ritto Vautrin mentre la signorina Michonneau gli rimetteva la camicia.

- Auf!quanto pesa - aggiunse stendendolo nuovamente sul letto.

- Statevi zitto. E se ci fosse una cassa? - disse con vivacità la vecchia zitellai cui occhi sembravano forare i muritanta era l'avidità con la quale osservava ogni più piccolo mobile della camera. - Se si potesse aprire questo scrittoio con un qualche pretesto - riprese a dire.

- Non sarebbe forse cosa ben fatta - riprese Poiret.

- E perché? Il denaro rubatoessendo stato di tuttinon è più di nessuno. Ma è che ci manca il tempo - essa rispose. - Sento venire la Vauquer.

- Ecco l'etere - disse la signora Vauquer. - Ma davvero che oggi è proprio la giornata delle avventure. Dio !quell'uomo non può essere malatoè bianco come un pollo.

- Come un pollo? - ripeté Poiret.

- Il cuore è regolare - disse la vedova ponendogli la mano sul cuore.

- Regolare? - fece Poiret meravigliato.

- Ottimo.

- Vi sembra? - domandò Poiret.

- Diamine!pare che dorma. Silvia è andata a cercare un medico.

Guardatesignorina Michonneauaspira l'etere. Ma!sarà uno "spasso" (e voleva dire: uno spasmo). Il polso è buono. Lui è forte come un Turco. Vedetesignorinache pelliccetta ha sullo stomaco ? Costui vivrà cent'anni! La sua parrucca non s'è neppure mossa. Toè incollata e ha i capelli fintiperché è di pelo rosso. Dicono che i rossi o sono ottimi o pessimi! E luiallorasarebbe buono?

- Per essere appeso - disse Poiret.

- Volete dire al collo d'una bella donna - esclamò vivamente la signorina Michonneau. - Andatevenesignor Poiret. Sta a noi curarviquando siete ammalati. E poiper quel che siete buono a farepotete pure andarvene a spasso - aggiunse. - Bastiamo la signora Vauquer e io a sorvegliare questo nostro caro signor Vautrin.

Poiret se ne andò pian piano e senza fiatarecome un cane cui il padrone ha dato un calcio. Rastignac era uscito per camminareper prendere aria: soffocava. Quel delitto consumato ad ora stabilitaaveva cercato d'impedirloil giorno avanti. Che cosa era accaduto? Che cosa doveva fare? Tremava d'esserne il complice. Il sangue freddo di Vautrin anche adesso lo spaventava.

"Se ora Vautrin morisse senza più riprendere la parola?"si chiedeva Rastignac. Passava per i viali del Luxembourg come se fosse stato inseguito da una muta di canie gli sembrava di udirne i latrati.

- Di' - gli gridò Bianchon - hai il "Pilote"?

"Le Pilote" era un giornale radicale diretto dal signor Tissote che pubblicava per la provinciaqualche ora dopo i quotidiani del mattinoun'edizione che dava le notizie del giornoin modo da farle arrivare nei dipartimenti ventiquattro ore prima degli altri giornali.

- E' riportato un fatto straordinario - disse lo studente medico dell'ospedale Cochin. - Taillefer figlio si è battuto in duello col conte de Franchessini della vecchia guardiache gli ha infilato due pollici di ferro in fronte. E la piccola Vittorina è diventata uno dei più ricchi partiti di Parigi. Ma dimmi un po'ad averlo saputo? Che "trenta e quaranta" [gioco d'azzardo] è mai la morte! E' vero che Vittorina ti guardava con simpatia - TaciBianchonquella non la sposerò mai. Io amo una donna deliziosaio ne sono amatoio...

- Dici questo come se invano ti tormentassi per non essere infedele. Dimmi qual è la donna che valga il sacrificio della ricchezza del sire di Taillefer?

- Tutti i diavoli dunque mi vengono dietro? esclamò Rastignac.

- E dove mai ne avresti tu dietro? Sei forse pazzo? Dammi qui la mano - disse Bianchon - per sentirti il polso. Ma tu hai la febbre !

- Va da mamma Vauquer - gli fece Eugenio - quello scellerato di Vautrin è cascato come morto.

- Ah! - disse Bianchonche lasciò Rastignac solo - tu mi confermi dei sospetti che andrò a controllare.

La lunga passeggiata dello studente in diritto fu solenne. Egli fece in certo modo il suo completo esame di coscienza. Vagabondòesaminòesitòma per lo meno la sua probità uscìda quell'aspro e terribile colloquio con se stessoprovata come una sbarra di ferro che resiste a ogni colpo. Si rammentò delle confidenze fattegli da papà Goriot il giorno primadell'appartamento scelto per lui vicino a Delfinain via d'Artois; riprese la letterala rilessela baciò. "Un tale amore è la mia àncora di salvezza"si disse. "Il cuore di questo povero vecchio ha ben sofferto. Egli non dice nulla dei suoi dolorima chi non li indovinerebbe?

Ebbeneio avrò cura di lui come d'un padregli procurerò mille gioie. Se mi vuol benelei verrà spesso da me a passare la giornata vicino a lui. Quella gran contessa de Restaud è una infame che farebbe di suo padre un portinaio. Cara la mia Delfina!lei è più buona col brav'uomoè degna d'essere amata.

Ah!stasera sarò dunque felice!". Cavò fuori l'orologiolo ammirò.

"Tutto mi è andato bene! Quando ci si ama per sempreci si può aiutareposso accettare questo dono. E poiio farò fortunae potrò ricambiare tuttocentuplicato. Nel mio legame non c'è né colpané nulla che possa far aggrottar le ciglia alla più severa virtù. Quante oneste persone non contraggono simili unioni? Noi due non inganniamo nessuno e solo la menzogna ci avvilirebbe.

Mentire non è come abdicare? Lei s'è da tempo ormai divisa da suo marito. Del restosarò io a dire a quell'Alsaziano di cedermi una moglie che gli è impossibile render felice".

La lotta interiore di Rastignac durò a lungo. Sebbene la vittoria dovesse arridere alla virtù giovanileegli fu tuttavia ricondotto da una invincibile curiositàverso le quattro e mezzaal cader della notteverso la Casa Vauquerche si riprometteva di lasciare per sempre. Egli voleva sapere se Vautrin era morto. Dopo aver avuto l'idea di somministrargli un emeticoBianchon aveva fatto mandare al suo ospedale quanto Vautrin aveva rigettatoper farne l'analisi chimica. Notando l'insistenza della signorina Michonneau per fare buttar via tuttoi suoi dubbi si rafforzarono; del restoVautrin si ristabilì troppo presto perché Bianchon non supponesse un qualche complotto ordito contro il capo ameno della pensione. Quando Rastignac rientròVautrin stava in piedi vicino alla stufa della sala da pranzo. Richiamati più presto del solito dalla notizia del duello di Taillefer figlioi pensionanticuriosi di conoscere i particolari del fatto e le conseguenze di esso sulla sorte di Vittorinase ne stavano riunitiad eccezione di papà Goriote parlavano di quanto era accaduto. Quando Eugenio entròi suoi occhi incontrarono quelli dell'imperturbabile Vautrinil cui sguardo penetrò così addentro nel suo cuore e vi rimescolò tanto fortemente alcune corde maleficheda farlo rabbrividire.

- Ebbenecaro figliuolo - gli disse il forzato evaso - la "Camusa" avrà da fare a lungo prima di prendermi. A quel che dicono queste signoreho superato vittoriosamente uno colpo apoplettico che avrebbe potuto uccidere un bue.

- Ah!potete pur dire un toro - esclamò la vedova Vauquer.

- Vi dispiacerebbe forse di vedermi ancor vivo? - disse Vautrin all'orecchio di Rastignacdi cui credette d'indovinare il pensiero. - Sarebbe segno che siete un uomo diabolicamente forte!

- Ahin fede mia ! - disse Bianchon - la signorina Michonneau parlava ieri l'altro d'un tale soprannominato Ingannalamorte; quel nome vi starebbe proprio bene.

Queste parole produssero su Vautrin l'effetto della folgore; egli impallidì e vacillòil suo sguardo magnetico cadde come un raggio di sole sulla signorina Michonneaucui quel getto di volontà spezzò le gambe. La vecchia zitella si lasciò scivolare su di una sedia. Poiret si fece avanti con vivacità e si mise tra lei e Vautrinavendo capito che essa era in pericolotanto la faccia del forzato divenne ferocemente espressiva nel gettare la maschera bonaria sotto la quale si nascondeva la sua vera natura. Senza ancora comprendere nulla di quel dramma tutti i pensionanti rimasero attoniti. In quel momentosi udirono i passi di molti uominie il rumore di alcuni fucili che dei soldati battevano sul selciato della strada. Mentre Collin cercava macchinalmente una via d'uscita guardando le finestre e i muriquattro uomini comparvero sulla soglia dell'uscio della sala. Il primo era il capo della poliziagli altri tre erano ufficiali della polizia municipale - In nome della legge e del re - disse uno di questile cui parole furono coperte da un mormorio di stupore. Sùbito il silenzio regnò nella sala da pranzoi pensionanti si separarono per lasciar passare i treche avevano tutti la mano entro la tasca di fiancodov'era una pistola carica. Due gendarmi di scorta agli agenti sbarrarono la porta della sala; e altri due occuparono quella che dava sulla scala. Il passo e i fucili di molti soldati risuonarono sull'acciottolato che correva lungo la facciata della casa. Ogni speranza di fuga fu dunque tolta a Ingannalamortesul quale tutti gli sguardi conversero irresistibilmente.

Il capo della polizia andò diritto innanzi a lui e gli diede sulla testa un manrovescio così forteda fargli saltar via la parrucca ridando alla testa di Collin tutto il suo orrore. In armonia col corpoquella testa e quella facciaincorniciata da quei capelli cortirosso-mattoneche davano a esse uno spaventevole carattere di forza e insieme d'astuzia furono messe appropriatamente in lucecome se il fuoco dell'inferno le avesse rischiarate. Ognuno conobbe allora veramente chi era Vautrinil suo passatoil suo presenteil suo avvenirele sue teorie implacabilila religione del suo arbitriola regalità che gli conferiva il cinismo dei suoi giudizidelle sue azionie la forza di un complesso psicologico capace di tutto. Il sangue gli salì al visoe i suoi occhi brillarono come quelli di un gatto selvatico. Balzò su se stesso con un movimento improntato a una ferocia tanto energicaruggì tanto forte da strappar grida di terrore a tutti i pensionanti. A quel gesto di leonee approfittando del clamore generalegli agenti trassero le pistole. Collin capì il pericolo che correva vedendo rilucere il cane d'ogni armae diede subito la prova della maggior potenza umana. Orribile e pur maestoso spettacolo!la sua fisionomia mostrò un fenomeno che non può esser paragonato se non a quello d'una caldaia piena di quel vapore fumoso capace di sollevare le montagneche dissolve in un batter d'occhio una goccia d'acqua fredda. La goccia d'acqua che raffreddò la sua ira fu una riflessione rapida come un baleno.

Egli si mise a sorridere e guardò la sua parrucca.

- Oggi non sembri molto cortese - disse al capo della polizia. E tese le mani ai gendarmifacendo loro un cenno con la testa.

Signori gendarmimettetemi le manette o le catenelle. Chiamo a testimoni i presenti che non faccio resistenza. - Un mormorio d'ammirazionestrappato dalla prontezza con cui la lava e il fuoco uscirono e rientrarono in quel vulcano umanorisuonò nella sala. - ... signor smargiasso - riprese a dire il forzato guardando il celebre direttore della polizia giudiziaria.

- Andiamospogliatevi - gli disse l'uomo del vicolo Sainte-Annecon un'aria sprezzante.

- Ma come? - disse Collin - ci sono delle signore. Non nego nullae mi arrendo.

Tacque un istantee guardò i presenti come un oratore che sta per dire cose sorprendenti.

- Scrivetepapà Lachapelle - disse poi rivolto a un vecchietto dai capelli bianchiche s'era seduto all'estremità della tavola dopo aver cavato fuori da un portafogli il processo verbale dell'arresto. - Riconosco di essere Jacques Collindetto Ingannalamortecondannato a vent'anni di ferrie vi proverò di non aver rubato il mio soprannome. Se avessi soltanto alzato la mano - disse ai pensionanti- quelle tre spie là avrebbero fatto spargere tutto il mio sangue sul pavimento della casa di mammà Vauquer. Quelle birbe son sempre dietro a tendere trappole !

La signora Vauquer si sentì male all'udire tali parole.

- Mio Dio!c'è da farne una malattia; e pensare che ieri ero con lui alla "Gaîté" - disse a Silvia.

- Un po' di filosofiamammà - riprese Collin. - E' forse una disgrazia essere stata nel mio palcoierialla "Gaîté"? - esclamò. - Credete d'esser migliore di noi? Noi abbiamo meno infamia sulla spalla che non ne avete voi nel cuoremembri flaccidi di una società cancrenosa: il migliore tra voi non reggerebbe al mio confronto. - I suoi occhi si fissarono su Rastignacal quale rivolse un sorriso grazioso che contrastava singolarmente con la rude espressione del viso.- -Il nostro contrattino è sempre in essereangelo miopurchés'intendevenga accettato! Non è così? - E cantò:

La mia Fanchette è deliziosa Nella sua semplicità.

- Non vi preoccupate - egli riprese - so fare le mie riscossioni.

Si ha troppa paura di me perché ci si provi a derubarmi!

Il bagno penale coi suoi costumi e il suo linguaggiocon i suoi bruschi passaggi dal faceto all'orrendola sua terrificante grandezzala sua familiaritàla sua bassezzafu ad un tratto rappresentato da quella frase e da quell'uomoche non fu più un uomoma il tipo di tutta una classe degeneratad'una categoria selvaggia e logicabrutale e scaltra. In un momento Collin divenne un poema infernale ove si trovarono raffigurati tutti i sentimenti umanimeno uno: il pentimento. Il suo sguardo era quello dell'arcangelo cadutoche vuole sempre far guerra.

Rastignac abbassò gli occhi accettando quella parentela delittuosa come una espiazione dei suoi cattivi pensieri.

- Chi mi ha tradito? - chiese Collinmuovendo il suo terribile sguardo sui presenti. E fermandolo sulla signorina Michonneau: Tu - le disse - vecchia cagnasei tu che mi hai provocato un finto sturboarnese di polizia! Basterebbe che dicessi due parole per farti tagliare il collo in otto giorni. Ma ti perdonoperché sono cristiano. Del resto non sei tu che mi hai tradito. Chi allora?

Ah! ah!state rovistando lassùeh? - gridò sentendo gli ufficiali della forza pubblica che stavano aprendo gli armadi e sequestrando la sua roba. - Ma gli uccelli hanno preso il volo da ieri. E voi non ne saprete mai nulla. I miei libri di commercio sono qui - disse battendosi con una mano la fronte. Ora so chi mi ha tradito. Non può essere stato che quel mascalzone di Fil di Seta. Non è veropadre accalappiatore? - chiese al capo della polizia. - Questo va troppo bene d'accordo col fatto di cercare i biglietti di banca lassù. Ma ormai non c'è più nullamia cara Miette ! Quanto a Fil di Setacostui sarà soppresso entro quindici giornianche se lo faceste sorvegliare da tutta la vostra gendarmeria. Quanto le avete datoa questa Michonnette? - domandò ai funzionari della polizia - qualche migliaio di scudi!

Io valevo di piùNinon cariataPompadour straccionaVenere da Père-Lachaise. Se mi avessi avvertitoavresti ricevuto seimila franchi. Ah!non te lo credevivecchia ruffianaeh?altrimenti avrei avuto la preferenza. Sìte li avrei dati volentieriper evitare un viaggio che mi secca e mi fa perdere dei soldi - diceva mentre gli mettevano le manette. - Quella gente ci prenderà gusto a farmi perdere chissà quanto tempo per rintronarmi. Se mi mandassero subito al bagno penalepotrei tornare presto alle mie occupazionimalgrado i nostri allocchi del quai des Orfèvres. Una volta laggiùsi faranno in quattro per far evadere il loro generalequesto buon Ingannalamorte! C'è forse uno solo di voi che abbia come ho iopiù di diecimila fratelli pronti a far qualsiasi cosa per lui? - chiese con fierezza. - Qui c'è della bontà - aggiunse battendosi sul cuore - io non ho mai tradito nessuno. To'guardalicagna - fece rivolgendosi alla vecchia zitella. - Di me hanno pauracostoroma tu fai voltar loro lo stomaco. Prenditi ora il tuo premio. - E tacque un istanteguardando i pensionanti. - Ma siete proprio così sciocchi voialtri? Non avete mai visto un forzato? Un forzato della tempra di Collinqui presenteè un uomo meno vile degli altriil quale protesta contro le profonde disillusioni che provoca il contratto socialecome dice Jean-Jacquesdi cui mi vanto d'essere allievo.

E poiio sono solo contro il governo con tutta la sua impalcatura di tribunalidi gendarmidi bilancie io l'intrappolo.

- Càspita - disse il pittore - ci sarebbe da fare un disegno stupendo.

- Di'aiutante di monsignore il boiamanovratore della "Vedova" (nome denso di tremenda poesia che i forzati danno alla ghigliottina) - aggiunse Vautrin rivolgendosi al capo della polizia - sii buonodimmi se è stato Fil di Seta a tradirmi! Non vorrei che la pagasse per un altronon sarebbe giusto.

In quel momento gli agentiche avevano rovistato e inventariato ogni cosa nella sua camerarientrarono e parlarono a bassa voce col capo della spedizione. Il processo verbale era stato chiuso.

- Signori - disse Collin rivolto ai pensionanti - stanno per portarmi via. Voi siete stati tutti molto buoni con me durante la mia permanenza quie ve ne sarò riconoscente. Accogliete il mio saluto. Mi permetterete di mandarvi un po' di fichi della Provenza. - Fece qualche passoe si voltò per guardare Rastignac.

- AddioEugenio-disse con una voce dolce e tristeche contrastava singolarmente col tono brusco delle sue precedenti parole. - Se dovessi trovarti in difficoltàricordati che ti ho lasciato un amico affezionato. - Sebbene avesse le manette ai polsiriuscì a mettersi in guardiaeseguì un attacco battendo il piededa maestro di schermagridò: - Uno! Due! - e avanzò il piede destro. - In caso di pericolorivolgiti là. Puoi disporre dell'uomo e del suo denaro.

Il singolare personaggio pronunciò queste ultime parole con un tono alquanto buffonescoin modo da poter essere compreso soltanto da Rastignac. Quando i gendarmii soldati e gli agenti di polizia ebbero lasciata la casaSilviache era intenta a bagnare d'aceto le tempie della padronaguardò i pensionanti stupiti.

- Eppure - disse - era un brav'uomo!

Questa frase ruppe l'incanto che i molteplici e vari sentimenti provocati da quella scena avevano prodotto in ciascuno dei presenti. In quell'istantedopo essersi reciprocamente e tacitamente interrogatividero tutti insieme la signorina Michonneaugracilesecca e fredda come una mummiaaccovacciata vicino alla stufagli occhi bassicome se avesse temuto che l'ombra del paralume non fosse così forte da nascondere l'espressione dei suoi sguardi. La figura di quella donnaantipatica a tutti da vario tempovenne subito compresa. Un mormorio cheper esser perfettamente all'unisonomanifestava un unanime senso di disgustorisuonò sordamente. La signorina Michonneau lo sentìe rimase immobile. Bianchonper il primosi chinò verso il vicino:

- Me ne vadose quella donna continuerà a mangiare con noi disse a bassa voce.

In un batter d'occhioognunoad eccezione di Poiretapprovò quanto detto dallo studente in medicinacheforte dell'adesione generalesi fece avanti al vecchio pensionante.

- Voi che siete così amico della signorina Michonneau - gli disse - parlatele e fatele comprendere che se ne deve andare all'istante.

- All'istante? - ripeté Poiret sorpreso.

Poiandò vicino alla vecchiae le disse qualche parola all'orecchio.

- Ma io ho pagato la rettae ho diritto di stare qui come tutti gli altri - disse lanciando uno sguardo di vipera sui pensionanti.

- Se è per questoci quoteremo per restituirvene la somma - fece Rastignac.

- Il signore difende Collin - essa rispose dando allo studente uno sguardo velenoso e indagatore - e non è difficile sapere il perché!

A tale parolaEugenio balzò come per scagliarsi contro la vecchia zitella e strozzarla. Quello sguardodi cui comprese la perfidiaaveva gettato una orribile luce nella sua anima.

- Lasciateladunque - esclamarono i pensionanti.

Rastignac incrociò le braccia e tacque.

- Finiamola con questa signorina Giuda - disse il pittorerivolgendosi alla signora Vauquer. - Signorase non mettete alla porta la Michonneaunoi lasceremo tutti la vostra baraccae diremo dappertutto che la frequentavano solo spie e forzati. In caso contrarionessuno di noi farà parola di questo fatto chein fin dei contipotrebbe accadere anche nella migliore societàfinché ai galeotti non verrà impresso un marchio in fronte e non verrà loro proibito di travestirsi da borghesi pariginie di mostrarsi così sciocchi capi ameni come lo sono tutti.

A quel discorsola signora Vauquer ritornò subito miracolosamente in salutesi alzòincrociò le bracciaaprì i suoi occhi chiari e senza tracce di lacrime.

- Masignor miovolete proprio la rovina della mia casa? Ecco che ora il signor Vautrin... Oh !santo Dio - disse interrompendosi - non posso fare a meno di chiamarlo col suo nome di persona per bene! Ecco- riprese - che ora mi si fa vuoto un appartamentoe volete pure che ne debba avere due di più da affittare in una stagione in cui tutti stanno a casa loro?

- Signoriprendiamo il cappelloe andiamo a mangiare a piazza della Sorbonneda Flicoteaux - disse Bianchon. La signora Vauquer calcolò con un solo colpo d'occhio il partito più vantaggiosoe si precipitò dinanzi alla signorina Michonneau.

- Andiamobellezza mianon vorrete mica la fine della mia pensioneno? Vedete a che punto mi fanno arrivare questi signoririsalite nella vostra cameraper questa sera.

- Niente affattoniente affatto! - gridarono i pensionanti - noi esigiamo che se ne vada all'istante.

- Ma non ha ancora pranzatola povera signorina - disse Poiret in tono supplichevole.

- Andrà a mangiare dove vuole - gridarono più voci.

- Alla portala spia !

- Alla portagli spioni!

- Signori - esclamò Poiret che si erse a un tratto all'altezza del coraggio dato dall'amore ai montoni - rispettate una donna!

- Le spie non hanno sesso - disse il pittore.

- Bel sessorama!

- Alla portorama!

- Signoriquesto è indecente. Quando si manda via qualcunobisogna almeno salvare la forma. Noi abbiamo pagatoe restiamo- disse Poiret calcando il suo berretto e mettendosi a sedere vicino alla signorina Michonneauche la signora Vauquer stava catechizzando.

- Cattivello - gli disse il pittore con aria comica - cattivelloandiamo!

- Insommase non ve ne andate voice ne andiamo noi - disse Bianchon.

E i pensionanti mossero tutti insieme verso il salotto.

- Signorinavedete? - esclamò la signora Vauquer - sono rovinata.

Non è più possibile che voi restiatecostoro finiranno per scendere ad atti di violenza.

La signorina Michonneau si alzò.

- Se ne andrà! Non se ne andrà! Se ne andrà. Non se ne andrà!

Queste parole dette alternativamentee l'ostilità dei discorsi che si cominciavano a fare su di leicostrinsero la signorina Michonneau ad andarsenedopo alcuni accordi presi a bassa voce con la padrona.

- Andrò dalla signora Buneaud - dissecon aria minacciosa.

- Andate pure dove voletesignorina - fece la signora Vauquerche trovò ingiuriosa la scelta d'una pensione che rivaleggiava con la suae che per conseguenza le era odiosa. - Andate dalla Buneaude avrete aceto per vinocibi rifatti.

I pensionanti si disposero su due fileosservando il più profondo silenzio. Poiret guardò così teneramente la signorina Michonneausi mostrò così ingenuamente indeciso se seguirla o restareche i pensionantiesultando poiché la signorina Michonneau se ne andavasi misero a ridere.

- XixixiPoiret - gli gridò il pittore. - Andiamooplàop!

L'impiegato al Museo si mise a cantare comicamente le prime parole di una nota romanza:

Partendo per la Siria Il giovane e bel Dunoy...

- Andiamoche morite d'invidiatrahit sua quemque voluptas- disse Bianchon.

- Ognuno segue la sua: libera traduzione di Virgilio - fece il ripetitore.

La signorina Michonneau fece il gesto di prendere il braccio di Poiretguardandoloe luinon sapendo come resistere a quell'invitoaccorse a darglielo. Scoppiarono applausi e ci fu un'esplosione di risa.

- BravoPoiret! - Questo vecchio Poiret! Apollo-Poiret! Marte- Poiret. - Che coraggioquesto Poiret!

In quel momento entrò un commissionario e consegnò una lettera alla signora Vauquerchedopo averla lettacadde di peso su di una sedia.

- Non rimane altro che bruciare la mia casac'è caduto sopra un fulmine. Taillefer figlio è spirato alle tre. Sono stata proprio punita di aver augurato il bene a quelle due donnea scapito di questo povero giovane. La signora Couture e Vittorina mi chiedono le loro cosee vanno a stabilirsi presso il signor Taillefer.

Egli concede alla figlia di tenere con sé la vedova Couture come dama di compagnia. Quattro appartamenti vuoticinque pensionanti di meno. - Si sedette e sembrò stesse per piangere - La disgrazia è entrata oggi in casa mia! esclamò desolata.

Il rumore d'una vettura che si fermava risuonò a un tratto dalla strada.

- Qualche altro guaio - disse Silvia.

Ed ecco apparire Goriot con un viso luminoso e colorito di felicitàda far credere a una sua rigenerazione.

- Goriot in carrozza! - dissero i pensionanti - ma è proprio la fine del mondo.

Il bonuomo andò diritto da Eugeniorimasto pensoso in un cantoe lo prese per il braccio:

- Andiamo - gli disse con aria allegra.

- Ma non sapete quel che è successo? - gli domandò Eugenio.

- Vautrin era un forzatoed è stato arrestato poco fa; il figlio di Taillefer è morto.

- Ebbeneche ce ne importa? - rispose papà Goriot.- Io pranzo con mia figlia nel vostro appartamentocapite? Lei vi sta aspettandovenite!

Tirò così violentemente Rastignac per il braccioda farlo camminare per forzae parve rapirlocome se si fosse trattato della sua amante.

- Mangiamo! - esclamò il pittore.

Ognuno prese allora la propria sedia e si mise a tavola.

- Ma insomma - disse la grossa Silvia - oggi tutto va malel'umido di castrato con patate s'è attaccato! Be'lo mangerete bruciato lo stesso!

La signora Vauquer non ebbe il coraggio di dire una parola nel vedere solo dieci persone invece di diciotto intorno alla tavola; ma tutti cercarono di consolarla e di farla stare allegra.

Dapprima i clienti che prendevano solo i pasti alla pensione parlarono di Vautrin e degli avvenimenti della giornatae seguirono l'andamento serpentino della conversazione mettendosi a discorrere di duellidel bagno penaledella giustiziadelle leggi da rifaredelle carceri. Poi finirono col trovarsi ben lontani da Jacques Collinda Vittorina e da suo fratello. Sebbene fossero soltanto diecigridarono per venti in modo da sembrare più numerosi del solito; e fu la sola differenza tra quel pranzo e quello del giorno prima. L'indifferenza abituale di tale mondo egoista chel'indomanidoveva trovare negli eventi quotidiani di Parigi un'altra preda da divorareriprese il sopravvento e la stessa signora Vauquer si lasciò calmare dalla speranzache assunse in tale occasione la voce della grossa Silvia.

Quella giornata doveva essere fino alla sera una fantasmagoria per Eugenioil qualemalgrado la forza del suo carattere e la bontà del suo animonon sapeva come connettere le proprie ideequando si trovò in carrozza a fianco di papà Gorioti cui discorsi rivelavano una gioia inconsuetae risuonavano al suo orecchiodopo tante emozionicome le parole che udiamo in sogno.

- Da questa mattina è finita. Pranziamo tutti e tre insiemeinsieme!capite? Erano quattro anni che non pranzavo più con la mia Delfinala mia piccola Delfina. L'avrò con me per tutta una sera. Abbiamo preso possesso del vostro appartamento da questa mattina. Ho lavorato come un facchinoin maniche di camicia. Ho aiutato a portare i mobili. Ah! ah!non avete mai veduto com'è graziosa a tavolavedrete quante attenzioni avrà per me:

"Prendetepapà mangiate questosentite com'è buono". Ed è allora il momento che io non posso mangiare. Oh!è tanto che non sono stato un po' tranquillo insieme a leicome tra poco lo saremo!

- Ma - gli disse Eugenio - oggi il mondo s'è proprio capovolto?

- Capovolto - rispose papà Goriot. - Ma in nessuna epoca il mondo è andato così bene. Io non vedo che facce allegre per le stradepersone che si stringono la manopersone felici come se andassero tutte a mangiare dalla loro figliaa gustarvi un buon pranzetto ordinato da lei davanti a me al capo cuoco del Caffè degli Inglesi. Ma!vicino a lei anche l'aloe sarebbe dolce come il miele.

- Mi pare di risorgere - disse Eugenio.

- Ma camminate!vetturino - gridò papà Goriot aprendo il vetro davanti. - Andate più sveltovi darò cento soldi di mancia se mi portate in dieci minuti dove vi ho detto. - Al sentir questa promessa il vetturino traversò Parigi con la rapidità d'un lampo.

- Non vaquesto vetturino - diceva papà Goriot.

- Ma dove diamine mi portate? - gli chiese Rastignac.

- A casa vostra - rispose papà Goriot.

La vettura si fermò in via d'Artois. Il bonuomo scese per primo e buttò dieci franchi al vetturino con la prodigalità di chirimasto vedovonel parossismo della sua felicità non bada più a niente.

- Andiamosaliamo - disse a Rastignac facendogli attraversare un cortile e conducendolo alla porta d'un appartamento al terzo pianosituato nella parte posteriore d'una casa nuova e di bella apparenza. Papà Goriot non ebbe bisogno di suonare. Teresala cameriera della signora de Nucingenaprì la porta. Eugenio si trovò in un delizioso appartamento da scapolocomposto di un'anticamerad'un salottinod'una camera da letto e di uno studioche davano su di un giardino. Nel salottinoil cui mobilio e arredamento potevano sostenere il confronto con quanto vi poteva essere di più carinodi più graziosoegli scorsealla luce delle candeleDelfinache si alzò da un divanovicino al fuocodispose un parafuoco sul caminettoe gli disse con un tono di voce pieno di tenerezza:

- Vi si è dunque dovuto cercaresignore che non capite nulla.

Teresa uscì. Lo studente prese Delfina fra le bracciala strinse vivamente e pianse di gioia. Quest'ultimo contrasto tra quel che vedeva e quel che or ora aveva vedutoin una giornata in cui tante emozioni avevano stancato il suo cuore e la sua testaprovocò in Rastignac un accesso di sensibilità nervosa.

- Lo sapevo bene che ti amava - disse piano papà Goriot a sua figliamentre Eugenio sfinito giaceva sul divano senza poter pronunciare una parola né rendersi ancora conto del modo in cui quest'ultimo colpo di bacchetta magica era stato dato.

- Ma venite a vedere - gli disse la signora de Nucingen prendendolo per mano e conducendolo in una camera i cui tappetii mobili e i minimi dettagli gli ricordaronoin più piccole proporzioniquella di Delfina.

- Ci manca un letto - fece Rastignac.

-E' verosignore - essa rispose arrossendo e stringendogli la mano.

Eugenio la guardòe apprezzò il sentimento di pudore contenuto nel cuore d'una donna innamorataancor giovane.

- Voi siete una di quelle creature degne d'una adorazione senza fine - le disse all'orecchio. - Sìoso dirvelovisto che ci comprendiamo tanto bene: più vivo e sincero è l'amoree più esso dev'essere velatomisterioso. Non sveliamo il nostro segreto a nessuno.

- Oh!ma io non sarò qualcunonon è vero? - disse papà Goriotbrontolando.

- Ma lo sapete bene che voi siete noivoi...

- Ah!ecco quel che volevo sentirmi dire. Non vi sarò d'imbarazzoè vero? Andròverrò come uno spirito benigno che sta dovunquee che si sa esser lì senza che nessuno lo veda. Vedi dunqueDelfinettaNinettaDedése avevo ragione di dirti: "C'è un grazioso appartamento in via d'Artoisarrediamolo per lui!". E tu non volevi. Ah!sono io l'autore della tua gioiacome sono l'autore dei tuoi giorni. I padri debbono sempre darese vogliono essere felici. Dare sempreè il vero modo per essere padre.

- Come? - domandò Eugenio.

- Sìlei non volevaaveva paura che si facessero chiacchiere sul suo contocome se il mondo valesse la felicità!ma tutte le donne sognano poi di fare quel che fa lei...

Papà Goriot parlava solomentre la signora de Nucingen aveva intanto condotto Rastignac nello studiodove un bacio risuonòsebbene dato pian piano. La stanza era in armonia con l'eleganza dell'appartamentonel quale del resto non mancava proprio nulla.

- Abbiamo indovinato i vostri gusti? - essa chiese tornando nel salotto per mettersi a tavola.

- Sì - gli rispose - anche troppo bene. Ahimè!tutto questo lussoquesti bei sogni realizzatitutta la poesia d'una vita giovanileelegantequesto io lo sento troppo per non meritarlo; ma non posso accettarlo da voie d'altra parte sono ancora troppo povero per...

- Ah! ah!cominciate già a contrariarmi? - lei disse con un'arietta di scherzosa autoritàfacendo una di quelle graziose smorfie come ne fanno le donne quando vogliono deridere uno scrupolo per meglio dissiparlo.

Eugenio aveva troppo solennemente in quel giorno fatto il suo esame di coscienzae l'arresto di Vautrinindicandogli la profondità dell'abisso in cui era stato per precipitareaveva troppo bene corroborato i suoi nobili sentimenti e la sua delicatezzaper cedere a quella carezzevole confutazione dei suoi generosi propositi. Una profonda tristezza s'impadronì di lui.

- Come! - fece la signora de Nucingen - rifiutereste? Sapete che cosa vuol dire un simile rifiuto? Che dubitate del futuroche non osate legarvi a me. Temete dunque di tradire il mio affetto? Se voi mi amatese io vi... amoperché indietreggiate di fronte a così lievi obbligazioni? Se sapeste qual piacere ho provato nell'occuparmi di tutto questo appartamento da scapolonon esiterestee mi domandereste perdono. Avevo a disposizione del denaro vostroe l'ho bene impiegato: ecco tutto. Credete d'essere grandee siete invece piccino. Voi valete ben di più... Ah! - aggiunsecogliendo uno sguardo appassionato di Eugenio - e fate tante storie per delle sciocchezze. Se non mi volete beneoh !sìallora non accettate. La mia sorte dipende da una parola.

Parlate! Ma papàconvincetelo voi - aggiunse rivolgendosidopo una pausaa suo padre. - Crede forse lui che io sia meno sensibile riguardo al nostro onore?

Papà Goriot aveva il fermo sorriso d'un teriachi nell'osservare i duenell'ascoltare quella gentile loro disputa.

- Bambino!voi siete all'inizio della vita - essa riprese prendendo la mano di Eugenio- trovate una barriera che per molti sarebbe insormontabileuna mano di donna ve l'apree voi indietreggiate? Ma voi riusciretefarete una brillante fortunail successo è scritto sulla vostra bella fronte. E non potrete allora rendermi quel che oggi vi presto? In altri tempi le donne non davano forse ai loro cavalieri armaturespadeelmigiachicavalliaffinché essi potessero andare a combattere in loro nome nei tornei? EbbeneEugeniole cose che io vi offro sono le armi dell'epocagli strumenti necessari a chi vuol diventare qualcosa.

Belloil solaio dove abitatese somiglia alla camera di papà !... Ma insommavogliamo o no andare a pranzo? Volete proprio rattristarmi? Rispondetedunque! - disse scuotendogli la mano. - Santo Iddiopapàfatelo decidereo me ne vado di qui e non lo rivedrò più.

- Adesso vi farò decidere - disse papà Goriot uscendo dall'estasi.

- Mio caro signor Eugeniovoi state per farvi prestare del denaro da alcuni ebreinon è vero?

- E' proprio necessario - rispose.

- Bene!allora è cosa fatta - riprese il bonuomo cavando fuori un brutto portafoglio di cuoio logorato. - Mi sono fatto ebreoho pagato io tutte le fatture: eccole qui. Voi non dovete un centesimo per tutto quel che si trova qui. Non è poi una grossa sommasi tratta tutt'al più di cinquemila franchi. E io ve li presto! A me non opporrete un rifiutonon sono mica una donna io.

Mi farete una ricevuta su di un pezzo di carta e me li restituirete poi.

Qualche lacrima cadde contemporaneamente dagli occhi di Eugenio e di Delfinache si guardarono con sorpresa. Rastignac tese la mano al bonuomoe gliela strinse.

- Ebbenecosa?non siete forse miei figli? - disse Goriot.

- Mamio povero padre - fece la signora de Nucingen - come diamine avete fatto?

- Ah!qui ti volevo. Quando ti ho fatto decidere a farlo abitare vicino a tee ti ho visto comprare oggetti come per una sposami sono detto: "Potrà trovarsi in qualche difficoltà!". L'avvocato ritiene che la causa da intentare contro tuo maritoper fargli restituire il tuo denarodurerà più di sei mesi. Bene. Allora ho venduto i miei milletrecentocinquanta franchi di rendita; mi sono costituitocon quindicimila franchimilleduecento franchi di vitalizio garantito da buone ipotechee ho pagato i vostri fornitori col resto della sommafigli miei. Ho lassù una camera da cinquanta scudi all'annoposso vivere come un principe con quaranta soldi al giornoe me ne avanzeranno. Non consumo nulladi abiti non ho quasi bisogno. Sono quindici giorni che rido sotto i baffidicendomi: "Come saranno felici!". E non siete forse felici?

- Oh! papàpapà! - disse la signora de Nucingenslanciandosi verso suo padreche l'accolse sulle ginocchia. Essa lo coprì di bacigli carezzò il viso coi suoi capelli biondie versò lacrime su quel vecchio viso serenoluminoso. - Caro papàvoi siete davvero un padre! Nonon esistono due padri come voi sotto il cielo. Eugenio vi voleva già da prima tanto bene: che sarà adesso?

- Ma figli miei - disse Goriotche da dieci anni non sentiva battere il cuore di sua figlia sul suo - maDelfinettatu vuoi dunque proprio farmi morire dalla gioia! Il mio povero cuore si spezza. Andiamosignor Eugenionoi siamo pari e patta! - E il vecchiointantostringeva la figlia in una stretta selvaggia e tanto delirante che questa disse:

- Ah!ma così tu mi fai male!

- Ti faccio male! - egli fece impallidendo. E la guardò con un'aria sovrumana di dolore. Per ben ritrarre la fisionomia di questo Cristo della paternitàconverrebbe cercare paragoni nelle immagini che i principi della tavolozza hanno creato per dipingere la passione sofferta per il bene del mondo dal Salvatore degli uomini. Papà Goriot baciò dolcemente la cintura che le sue dita avevano stretto troppo.

- Nononon ti ho fatto del maleè vero? - egli riprese interrogandola con un sorriso; - sei tu che m'hai fatto male col tuo grido. La spesa da me sostenuta è stata più forte - fece poi all'orecchio della figliabaciandoglielo con precauzione - ma bisogna prenderlo così altrimenti s'inquieterebbe. - Eugenio era rimasto come pietrificato dall'inesauribile amor paterno di quell'uomoe lo osservava esprimendo quell'ingenua ammirazione chenei giovaniè fede.

- Sarò degno di tutto questo! - egli esclamò.

- O mio Eugenioè bello quel che avete ora detto. - E la signora de Nucingen baciò lo studente in fronte.

- Egli ha rifiutato per te la signorina Taillefer con tutti i suoi milioni - disse papà Goriot. - Eppure sìvi amavala piccola; e con la morte del fratelloeccola divenuta ricca quanto Creso.

- Oh!perché dirlo? - esclamò Rastignac.

- Eugenio - gli disse Delfina all'orecchio - adesso ho un rimorso per questa sera. Ah!ma io vi amerò tanto!e sempre.

- Ecco la più bella giornata che passo dopo i vostri due matrimoni - esclamò papà Goriot. - Il buon Dio potrà farmi soffrire quanto vorràma io potrò sempre dirmi: "Nel mese di febbraio di quell'anno sono statoper un momentopiù felice di quanto gli uomini possano esserlo durante tutta la loro vita". GuardamiFifina! - disse alla figlia. - E' bellanon è vero? Ditemi dunqueavete trovato molte donne con un così bel colorito e con una fossetta così! Noè vero? Ebbenesono io che ho fatto questo amore di donna. E ormairesa felice da voidiverrà mille volte meglio. Posso ora anche andare all'infernovicino mio - egli aggiunse - se vi occorre la mia parte di paradisoeccove la dono. Mangiamomangiamo - ripresenon sapendo neanche più quel che si dicesse - tutto è nostro.

- Povero il mio papà!

- Se sapessifiglia mia - disse alzandosi e andando verso di leiprendendole la testa e baciandola fra le trecce - se sapessi quanto puoi con poco rendermi felice!vieni a trovarmi qualche voltasarò lassùnon avrai che da fare un passo. Promettimelodì!

- Sìpadre caro.

- Dimmelo ancora.

- Sìmio buon papà.

- Taci oraaltrimenti te lo farei ripetere cento voltese dovessi dar retta a me stesso. Adesso mangiamo.

Tutta la serata trascorse in fanciullagginie papà Goriot non si mostrò il meno pazzo dei tre. Si chinava ai piedi della figlia per baciarglieli; la guardava a lungo negli occhi; strisciava la testa sul suo vestito; insommafaceva follie come ne avrebbe fatte il più giovane e tenero amante.

- Vedete? - disse Delfina a Eugenio - quando papà è con noibisogna essere del tutto suoi. Qualche volta però sarà pur fastidioso.

Eugenioche aveva già provato più volte qualche punta di gelosianon poteva disapprovare quella parolache racchiudeva il principio d'ogni ingratitudine.

- E l'appartamentoquando sarà pronto? - chiese Eugenio guardando attorno alla stanza. - Dovremo lasciarciquesta sera?

- Sìma domani verrete a pranzo da me - rispose lei con un'aria d'intesa. - Domani c'è recita al Teatro degli italiani.

- Io me ne andrò in platea - fece papà Goriot.

Era mezzanotte. La carrozza della signora de Nucingen attendeva.

Papà Goriot e lo studente tornarono alla pensione Vauquerparlando di Delfina con un crescente entusiasmoche produsse un curioso contrasto di espressione tra quelle due violente passioni.

Eugenio non poteva nascondersi che l'amore del padrenon intaccato da alcun interesse personaleschiacciava il suo per costanza e portata. L'idolo era sempre puro e bello per il padree la sua adorazione s'accresceva di tutto il passatodi tutto il futuro. Essi trovarono la signora Vauquer sola accanto alla stufatra Silvia e Cristoforo. La vecchia padrona stava lìcome Mario sulle rovine di Cartagine. Aspettava gli unici due pensionanti che le erano rimastilamentandosene con Silvia. Sebbene lord Byron abbia fatto esprimere al Tasso lamenti assai belliquesti sono tuttavia ben lontani da quelli che sfuggivano dalla bocca della signora Vauquer.

- Allora domattina non ci saranno da preparare che tre tazze di caffèSilvia. Hé!la mia casa desertac'è da sentirsi spezzare il cuore. Che cosa è ormai la vitasenza i miei pensionanti?

Nulla. Ecco qui la mia casa smobiliata dei suoi ospiti. La vita è rimasta nei mobili. Che cosa ho mai fattoper meritarmi tanti disastri? Le provviste di fagioli e di patate sono state fatte per venti persone. La polizia in casa mia! Non mangeremo altro che patate! E dovrò licenziare Cristoforo! - Il Savoiardoche stava dormendosi destò di soprassalto e disse: - Signora!

- Povero ragazzoè come un cane - fece Silvia.

- La stagione è mortatutti si sono già sistemati. Da dove potranno venirmi dei pensionanti? C'è da perdere la testa. E quella strega della Michonneau che mi porta via anche Poiret! Che cosa gli faceva maiper essersi quell'uomo attaccato a leiche segue come un cagnolino?

- Eh!diamine - fece Silvia crollando il capo - queste vecchie zitellele sanno loro tutte le malizie.

- E quel povero signor Vautrinche secondo loro è un forzato? - riprese a dire la vedova. - EbbeneSilviaè più forte di menon ci credo ancora. Un allegrone come luiche spendeva in gloria quindici franchi al mesee che pagava puntualmente!

- Ed era così generoso! - disse Cristoforo.

- Devono aver commesso un grosso errore - fece Silvia.

- Questo nose ha confessato lui stesso! - continuò la signora Vauquer. - E dire che tutta questa roba è andata a succedere a casa miain un quartiere dove non passa mai neppure un gatto!

Parola di donna onestami pare di sognare. Perchésentiabbiamo visto capitare a Luigi Sedicesimo il suo guaioabbiamo visto cadere l'Imperatorel'abbiamo visto tornare e ricadere: tutto questo era pur nell'ordine delle cose possibili; ma imprevisti a danno delle pensioni familiari in generenon ce ne sono; si può fare a meno del Rema mangiare bisogna sempre; e quando una signora per benenata de Conflansdà da mangiare una ottima cucinamaa meno che non venga la fine del mondo... Ma è proprio cosìquesta è la fine del mondo.

- E pensare che la signorina Michonneauche vi ha causato tutto questo disastroriscuoteràa quanto si dicemille scudi di rendita - esclamò Silvia.

- Non me ne parlareè una scellerata! - disse la signora Vauquer - E per di più è andata dalla Buneaud! Ma quella è capace di tuttodeve averne fatte d'ogni colorequella ai suoi tempi deve aver anche ammazzato e rubato. Dovrebbe andarci leiin galeraal posto di quel pover'uomo...

In quel momento Eugenio e papà Goriot suonarono il campanello.

- Ahecco i due miei fedeli - disse la vedova sospirando.

I due fedeliche serbavano un assai tenue ricordo dei disastri capitati alla pensioneannunciarono senza tanti complimenti alla loro ospite che sarebbero andati a dimorare alla Chaussée-d'Antin.

- Ah!Silvia - fece la vedova - ecco l'ultimo colpo. Mi avete dato il colpo di graziasignoriquesto mi ha preso allo "stommacco". Mi ci sento come una sbarra. Ecco una giornata che mi carica sulle spalle dieci anni di più. Diventerò pazzaparola d'onore. Che farnedei fagioli? Ebbene?se rimango sola quite ne andrai domaniCristoforo. Addiosignoribuona notte.

- Ma che cosa ha? - domandò Eugenio a Silvia.

- Diamine! Se ne sono andati tuttidopo quanto è accaduto. Questo le ha sconvolto la testa. Vadosento che piange. Le farà bene sfogarsi un po'. Ecco la prima volta che si vuota gli occhida quando sono al suo servizio.

L'indomanila signora Vauquer si erasecondo il suo modo di direragionata. Se parve afflittacome colei che aveva perduto tutti i suoi pensionanti e la cui vita era stata sconvoltaconservava tuttavia il suo giudizioe mostrò quale fosse il vero doloreun dolore profondoil dolore causato dagli interessi rovinatidalle abitudini scomposte. Certolo sguardo che un innamorato dànel lasciarliai luoghi abitati dalla propria amantenon è più triste di quello dato dalla signora Vauquer alla tavola vuota. Eugenio la consolò dicendole che Bianchonil cui servizio all'ospedale finiva tra qualche giornolo avrebbe senza dubbio rimpiazzato; che l'impiegato al Museo aveva spesso espresso il desiderio di occupare l'appartamento della signora Couture e che in pochi giorni essa si sarebbe rimessa su.

- Dio vi ascoltimio caro signore!ma purtroppo la disgrazia è entrata in questa casa. Non passeranno dieci giorni e ci verrà la mortevedrete - gli disse dando un lugubre sguardo alla sala da pranzo. Chi prenderà?

- E' bene sloggiare - disse a bassa voce Eugenio a papà Goriot.

- Signora - disse Silvia accorrendo tutta turbata - sono tre giorni che non vedo Mistigrì.

- Béallorase il mio gatto è mortose ci ha lasciatiio... - La povera vedova non terminò la frasecongiunse le mani e si lasciò cadere lungo il dorso della sua poltronaaffranta da quel terribile presagio.

Verso mezzodìora in cui passavano i portalettere nel quartiere del PantheonEugenio ricevette una lettera racchiusa in una elegante bustasigillata con lo stemma di Beauséant. Conteneva un invito per il signor e la signora de Nucingen al grande ballo annunciato da un mesee che doveva aver luogo in casa della viscontessa. A questo invito erano aggiunte poche parole per Eugenio:

"Ho pensatosignoreche v'incarichereste volentieri d'esser l'interprete dei miei sentimenti presso la signora de Nucingen; vi mando l'invito che mi avete richiesto e sarò lieta di conoscere la sorella della signora de Restaud. Conducetemi dunque questa bella signorae fate in modo che ella non si prenda tutto il vostro affetto; voi me ne dovete moltoin cambio di quello che ho per voi.

Viscontessa de Beauséant".

"Ma"disse fra sé e sé Eugenio tornando a leggere il bigliettola signora de Beauséant mi dice abbastanza chiaramente che non vuol ricevere il barone de Nucingen. E corse da Delfinafelice di poterle procurare un piacere di cui egli avrebbe ricevuto senza dubbio il premio. La signora de Nucingen era al bagno. Rastignac attese nel salottinoin preda alle impazienze naturali in un giovane ardente e smanioso di possedere un'amanteda due anni oggetto dei suoi desideri. Sono emozioni che non si provano due volte quando si è giovani. La prima donnarealmente donnacui un uomo si legacioè colei che gli si presenta nello splendore di tutto quell'insieme richiesto dalla società pariginacolei non ha mai una rivale. L'amorea Pariginon assomiglia per nulla agli altri amori. Né gli uomini né le donne vi si lasciano ingannare da apparenze pavesate di luoghi comuniche ognuno mette in mostra per decenza sui propri affetti così detti disinteressati. Quiuna donna non deve soddisfare soltanto il cuore e i sensisa perfettamente di dover adempiere ben più grandi obblighi verso le mille vanità di cui si compone la vita. Quisoprattutto l'amore è essenzialmente millantatorescialacquatoreciarlatano e fastoso.

Se tutte le donne della corte di Luigi Quattordicesimo hanno invidiato alla La Vallière l'impeto della passione di quel grande sovranotale da fargli dimenticare che i merletti dei suoi polsini costavano mille scudi ciascuno quando li strappò per facilitare al duca de Vermandois il suo ingresso alla scena del mondoche cosa mai si può chiedere al resto dell'umanità? Siate giovaniricchi e titolatisiate ancora di piùse potete; più grani d'incenso recherete ai piedi dell'idolopiù presto vi sarà propiziosempre che abbiate un idolo. L'amore è una religione e il culto deve costar più caro che quello d'ogni altra religione; esso passa rapidamentee passa come un monello che vuole lasciar traccia del suo passaggio con le devastazioni. Il lusso del sentimento è la poesia delle soffitte; senza tale ricchezzache diverrebbe l'amore? Se vi sono eccezioni a queste regole draconiane del codice pariginoesse si possono trovare nella solitudinepresso quelle anime che non si sono lasciate trascinare dalle dottrine socialiche vivono vicino a qualche sorgente d'acqua limpidafuggevolema perenneanime chefedeli alle loro verdi ombreliete di ascoltare il linguaggio dell'infinito scritto per esse in tutte le cose e ritrovato in loro stesseattendono pazientemente le ali per compiangere coloro che rimarranno sulla terra. Ma Rastignaccome la maggior parte dei giovani i qualiin anticipo hanno assaporato il gusto del grandiosovoleva presentarsi completamente armato nella lizza del mondo; ne aveva contratto la febbre e sentiva forse di avere il potere di dominarloma senza ancora conoscere né i mezzi né il fine di quella ambizione. Quando manca l'amore puro e sacroche riempie una vitaquesta sete del potere può diventare un nobile sentimento; basta abbandonare ogni interesse personale e proporsi come meta la grandezza del proprio paese. Ma lo studente non era ancora arrivato al punto in cui l'uomo può contemplare il corso della vitae giudicarla. Fino allora non aveva nemmeno completamente scosso l'incanto delle fresche e soavi idee che avvolgono come un fogliame la giovinezza di chi è stato allevato in provincia. Egli aveva sempre esitato a passare il Rubicone parigino. Malgrado le sue ardenti curiositàaveva sempre conservato dentro di sé qualche idea della vita felice che conduce il vero gentiluomo nel proprio feudo. Tuttavia i suoi ultimi scrupoli erano scomparsi il giorno avantiquando s'era trovato in quell'appartamento messo su per lui. Nel godere dei vantaggi materiali dell'agiatezzacome godeva da tempo dei vantaggi morali offertigli dai suoi natalis'era spogliato della sua pelle d'uomo di provinciae si era dolcemente adattato in una posizione da cui scorgeva un bell'avvenire. Perciòmentre attendeva Delfina mollemente seduto in quel grazioso salottino che stava divenendo un poco suosi vedeva già tanto lontano dal Rastignac giunto l'anno prima a Parigichesbirciando con un effetto d'ottica moraleegli si domandava se in quel momento rassomigliava a se stesso.

- La signora è in camera - venne a dirgli Teresaed egli trasalì.

Trovò Delfina distesa nel suo divanovicina al fuocofrescariposata. Nel vederla così adagiata sui flutti della mussolanon si poteva non paragonarla a quelle belle piante indiane il cui frutto si sviluppa nel fiore.

- Ebbene!eccoci - essa disse con emozione.

- Indovinate un po' che cosa vi porto - fece Eugenio sedendosi vicino a lei e prendendole il braccio per baciarle la mano.

La signora de Nucingen ebbe un moto di gioia nel leggere l'invito.

Volse verso Eugenio i suoi occhi inumiditie gli gettò le braccia al collo per attrarlo a sé in un delirio di vanitosa soddisfazione.

- E' a voi (a tegli disse all'orecchio; ma Teresa sta nel mio gabinetto da tolettasiamo prudenti !)è a voi che debbo questa felicità? Sìoso chiamarla felicità. Ottenuto da voinon è qualcosa di più che un trionfo d'amor proprio? Nessuno aveva voluto introdurmi in quell'ambiente. Forse voi mi giudicherete in questo momento piccinafrivolaleggera come una Parigina; ma pensateamico mioche io sono pronta a sacrificare tutto per voi e chese desidero più ardentemente che mai di frequentare il faubourg Saint-Germainè perché ci siete voi.

- Non credete - chiese Eugenio - che la signora de Beauséant abbia l'aria di dirci che non ha alcun desiderio di vedere al suo ballo il barone de Nucingen?

- Ma certo - rispose la baronessa restituendo la lettera a Eugenio. - Quelle donne lì hanno il genio dell'impertinenza. Ma non importaci andrò lo stesso. Ci sarà anche mia sorellae so che si sta preparando una toletta deliziosa. Eugenio - riprese a dire a bassa voce - lei ci va per dissipare brutti sospetti. Voi non sapete quali voci corrono sul suo conto! Nucingen mi ha detto stamane che ieri se ne parlava al Circolo senza reticenze. Dove è piùmio Dio!l'onore delle donne e delle famiglie? Mi sono sentita colpitaferita io stessa nella mia povera sorella.

Secondo alcuniil signor de Trailles avrebbe firmato cambiali per un ammontare di centomila franchiquasi tutte scadutee per le quali gli atti contro di lui sarebbero in corso. In tale congiunturamia sorella avrebbe venduto i suoi diamanti a un ebreoquei bei diamanti che le avete visto portaree che provengono dalla signora de Restaud madre. Insommada due giorni non si parla che di questo. Credo quindi che Anastasia abbia ordinato un abito di stoffa laminata e voglia richiamare su di sé tutti gli sguardi in casa de Beauséantcomparendovi in tutto il suo splendore e coi suoi diamanti. Ma io non voglio stare al disotto di lei. Ha sempre cercato di schiacciarminon è mai stata buona con meche pure le facevo tanti favori e avevo sempre pronto del denaro per leiquando le mancava. Ma non parliamo più della societàoggi voglio essere felice appieno.

Rastignac all'una del mattino si trovava ancora dalla signora de Nucingen chedandogli l'addio degli amantiquell'addio denso di gioie futuregli disse con una espressione di malinconia: - Sono tanto paurosatanto superstiziosachiamate pure questi miei presentimenti come voletema temo di dover pagare la mia felicità con qualche tremenda catastrofe.

- Bambina - disse Eugenio.

- Ah!sono io la bambina stasera - essa disse ridendo.

Eugenio tornò alla pensione Vauquer deciso a lasciarla l'indomani; e perciò lungo la strada si abbandonò a quelle graziose fantasticherie proprie dei giovani quando hanno ancora sulle labbra il gusto della felicità.

- Ebbene? - chiese papà Goriot quando Rastignac gli passò davanti.

- Ebbene - rispose Eugenio - vi dirò tutto domani.

- Tuttonon è vero? - gridò il bonuomo. - Ora andatevene pure a letto. Cominceremo domani la nostra vita felice.

L'indomaniGoriot e Rastignac non attendevano che la buona volontà di un facchino per lasciare la pensionequando verso mezzogiorno il rumore di una carrozzache si fermava proprio dinanzi alla porta della casa Vauquerrisuonò nella via Neuve- Sainte-Geneviève. La signora de Nucingen scese dalla carrozzae domandò se suo padre si trovava ancora in pensione. Rispostole di sìsalì svelta la scala.

Eugenio era nella sua camerasenza che il suo vicino lo sapesse.

A colazione lo aveva pregato di portar via la propria robadicendogli che si sarebbero ritrovati alle quattro in via d'Artois. Mamentre il bonuomo era andato a cercare i facchiniEugeniodopo aver rapidamente risposto all'appello della scuolaera rientrato senza che nessuno lo avesse vistoper saldare i conti con la signora Vauquernon volendo lasciare quell'incarico a Goriotchenel suo fanatismoavrebbe certamente pagato per lui. La padrona era uscita. Eugenio risalì in camera per vedere se non aveva dimenticato nulla e fu contento di aver avuto quell'idea perché trovò nel cassetto del suo tavolo l'accettazione in bianco da lui rilasciata a Vautrinsbadatamente dimenticata lì dal giorno in cui l'aveva saldata. In mancanza del fuocostava per strapparla in minuti pezzi quandoriconoscendo la voce di Delfinasi studiò di non fare più alcun rumoree si fermò per udirlapensando che essa non doveva avere alcun segreto per lui.

Poifin dalle prime paroletrovò la conversazione tra padre e figlia troppo interessante per non ascoltarla.

- Ah!papà mio - disse - quale fortuna che abbiate avuto l'idea di chiedere il rendiconto dei miei beni almeno prima che io non sia rovinata! Posso parlare?

- Sìla casa è vuota - disse papà Goriot con voce alterata.

- Ma che cosa avetebabbo? - domandò la signora de Nucingen.

- Tu mi dài - rispose il vecchio - una mazzata sulla testa. Dio ti perdonifiglia mia! Tu non sai quanto ti voglio bene; se lo avessi saputonon mi avresti detto così bruscamente simili cosespecie se tutto ancora non è perduto. Ma che cosa è accaduto di così urgente da farti venire a cercarmi quise tra pochi istanti avremmo dovuto trovarci in via d'Artois?

- Eh!papà miosi è forse padroni di se stessi quando avviene una disgrazia? Mi sembra d'essere pazza! Il vostro avvocato ci ha fatto scoprire un po' più presto il guaio che certamente verrà fuori più tardi. La vostra consumata esperienza commerciale sta per diventarci necessariae io sono corsa a cercarvi come ci si attacca a un ramo quando si sta per annegare. Quando il signor Derville ha visto che Nucingen opponeva mille cavilligli ha minacciato di intentare una causa dicendogli che l'autorizzazione del presidente del tribunale si sarebbe presto ottenuta. Nucingen è allora venuto stamane da me e mi ha chiesto se io volevo proprio la sua rovina e la mia. Gli ho risposto che io non m'intendevo affatto di queste coseche avevo dei beniche era giusto ne avessi il possesso e che per tutto quel che si riferiva a tale questione si rivolgesse al mio avvocatoche io non sapevo nulla di nulla e che perciò mi trovavo nell'impossibilità di capire qualcosa in tutta questa faccenda. Non è così che mi avevate raccomandato di dirgli?

- Bene - rispose papà Goriot.

- Allora - riprese Delfina - egli mi ha messo al corrente dei suoi affari. Ha impegnato tutti i suoi capitali e i miei in speculazioni appena cominciate e per le quali ha dovuto anticipare forti somme. Se ora io l'obbligassi a restituirmi la dotesi troverebbe costretto a chiedere un concordato; mentrese attendo un annos'impegna sul suo onore a rendermi un capitale doppio o triploimpiegando il mio denaro in affari immobiliarial termine dei quali sarò padrona di tutti i miei beni. Babbo miodicendomi questo era sinceroe mi ha spaventato. Mi ha chiesto scusa del suo modo d'agiremi ha ridato completa libertàmi ha permesso di fare quel che voglioa condizione di lasciarlo interamente padrone di condurre gli affari servendosi del mio nome. Eper provarmi la sua buona fedemi ha promesso di chiamare il signor Derville ogni volta che io lo vogliaaffinché egli stesso possa giudicare se gli atti in virtù dei quali la mia firma è impegnata siano regolarmente redatti. Insommasi è rimesso a memani e piedi legati. Chiede per due anni ancora l'amministrazione della casae mi ha supplicato di non spendere più di quanto mi dà. Mi ha dimostrato che tutto quel che poteva fare era di conservare le apparenzeche ha rotto la sua relazione con la ballerinae che si sarebbe ridotto alla più segreta e inesorabile economiaper arrivare al compimento delle sue speculazioni senza alterare il suo credito. Io l'ho trattato malissimogli ho fatto vedere di non credere alle sue parole per fargli perdere la pazienza e saperne ancora di più: mi ha mostrato i suoi contie poi s'è messo a piangere. Non ho mai visto un uomo in quello stato. Aveva perduto la testadiceva di volersi suicidaredelirava. Mi ha fatto proprio pena!

- E tu credi a queste frottole? - esclamò papà Goriot. E' un commediante! Ho avuto rapporti d'affari con molti tedeschi; costoro sono quasi tutti in buona fedepieni di candore; ma quandocon la loro aria di franchezza e di bonomiavogliono essere scaltri e imbroglionilo sono allora più di tutti gli altri. Tuo marito approfitta di te. Si sente stretto in un cerchioe allora fa il mortovuol rimanere più padrone sotto il tuo nome di quanto non lo sia sotto il suo. E approfitta di questa circostanza per mettersi al riparo dai rischi del suo commercio.

E' finoluiquanto perfido; è un pessimo arnese. Nonoio non me ne andrò al Père-Lachaise lasciando le mie figlie prive di tutto. Capisco ancora qualcosa in commercio. Eglidiceha impegnato le sue disponibilità in vari affari; ebbene!i suoi interessi saranno rappresentati da valorida ricevuteda contratti! Li negozie liquidi intanto la parte tua. Sceglieremo le migliori speculazionine correremo i rischie avremo i titoli probativi intestati al nostro nome di Delfina Goriotmoglie separataper quanto attiene ai benidel barone de Nucingen. Ma ci prende proprio per imbecillicostui? Crede forse che io possa sopportare per due giorni l'idea di lasciarti senza danarosenza pane? Ma io non la sopporterei neppure un sol giornoneppure una notteneppure un'ora! Se questa idea fosse realtànon sopravviverei. Come!avrei dunque lavorato per quarant'anniavrei portato sacchi sulle spalleavrei sudato sette camicieavrei sofferto privazioni tutta la mia vitaper voiangeli mieiche mi rendevate qualsiasi lavoroqualsiasi pesoleggero; e oggi la mia ricchezzala mia vita se ne andrebbero in fumo? Sarebbe cosa da farmi morire di rabbia. Per quanto c'è di più sacro sulla terra e in cielometteremo tutto in chiaroverificheremo la contabilitàla cassagli affari! Non dormirònon mi coricherònon mangerò finché non mi sarà provato che la tua dote è làancora tutta intera. Per fortunai tuoi beni sono separati dai suoi; avrai Derville come avvocatoun galantuomofortunatamente.

Dio buono!tu dovrai avere il tuo buon milioncinole tue cinquantamila lire di renditafino alla fine dei tuoi giornio facciamo una chiassata in tutta Parigi! Ah! Ah! E sarò capace di fare appello anche alle Camerese i tribunali dovessero darci torto. Il solo pensiero di saperti tranquilla e felice quanto al denaroalleviava tutti i miei mali e calmava i miei crucci. Il denaro è la vita. Col denaro si ottiene tutto. Che cosa dunque ci viene a contarequel grosso ciocco dell'Alsaziano? Delfinanon concedere neppure un quarto di centesimo a quel bestioneche ti ha tenuto alla catena e ti ha reso infelice. Se ora ha bisogno di telo bastoneremo di santa ragionee lo faremo rigar diritto.

Dio buonoho la testa che mi va in fiammeho il cervello che mi brucia. La mia Delfina sul lastrico! Oh!Fifina miatu! Perdio!dove sono i miei guanti? Andiamousciamovoglio andare a veder tutto: la contabilitàgli affarila cassala corrispondenzasubito! Non mi calmerò se non quando mi sarà dimostrato che la tua dote non corre più rischie la vedrò coi miei occhi.

- Babbo mio caro!siate prudente. Se metteste la benché minima velleità di vendetta in questa faccendae se faceste vedere intenzioni troppo ostiliio sarei perduta. Lui vi conosceha trovato del tutto naturale cheistigata da voimi preoccupassi della mia dote; mave lo giuroessa è nelle sue mani e vuole continuare a tenerla. Egli è capace di scappare con tutti i capitalie di lasciarci cosìlo scellerato! Sa bene che non sarò certo io a disonorare il nome che portofacendogli causa. Egli è forte e insieme debole. Ho tutto ben considerato. Se lo spingiamo agli estremisono rovinata.

- Ma è allora un furfante?

- Eh!sìbabbo - rispose gettandosi su di una sediapiangendo.

- Non volevo dirvelo per risparmiarvi il rammarico di avermi fatto sposare un uomo di quella specie! Costumi privati e coscienzal'animo e il corpotutto s'accorda in lui! E' spaventevole; io lo odio e lo disprezzo. Sìio non posso più stimare il vile Nucingendopo tutto quel che mi ha detto. Un uomo capace di lanciarsi nelle speculazioni commerciali di cui mi ha parlatodimostra di non avere la benché minima delicatezzae i miei timori nascono da ciò che gli ho letto assai bene nell'animo. Egli mi ha nettamente propostoluimio maritola libertà; e sapete quel che significa questo? Significa chein caso di rovinaio dovrei diventare un semplice strumento nelle sue mani einsommaservirgli da prestanome.

- Ma ci son ben le leggi!c'è pure una piazza de Grève per generi di questa razza! - esclamò papà Goriot - ma lo ghigliottinerei io stessose non ci fosse il carnefice.

- Nopapà mionon ci sono leggi contro di lui. Sentite in due parole il suo discorsosfrondato di tutte le circonlocuzioni in cui lo ha avvolto: "O tutto è perdutoe voi non avrete più neanche un centesimoe sarete rovinatagiacché non saprei scegliere per complice altra persona che voi; o mi lascerete portare a buon fine i miei affari". Chiaro? Egli tiene ancora a me. La mia probità di donna gli dà garanzia; sa che io gli lascerò la sua fortuna e che mi contenterò della mia. E' un'associazione disonesta e ladresca cui debbo sottostare sotto pena di andare in rovina. Compra la mia coscienza e la pagaconsentendomi di essere la donna d'Eugenio. "Io ti permetto di commettere dei fallie tu lasciami commettere dei reatimandando alla rovina della povera gente!". Non è abbastanza chiaro un simile discorso? Sapete quel che significa per lui far degli affari? Compra terreni a nome suoe poi ci fa costruire case da prestanomi. Questi stipulano contratti per le costruzioni con gli appaltatorili pagano con effetti a lunga scadenza e consentono a darne quietanzalucrando un piccolo compensoa mio maritoche diventa allora proprietario delle casementre i prestanomi si liberano dagli obblighi contratti verso gli appaltatori truffatidichiarando fallimento.

Il nome della ditta de Nucingen è servito a dar la polvere negli occhi dei poveri costruttori. L'ho capito bene. E ho pure capito cheper dimostrareall'occorrenzala possibilità del pagamento di ingenti sommeha inviato considerevoli valori ad AmsterdamLondraNapoliVienna. Comeallorapotremo costringerlo alla resa dei conti? - Eugenio udì il rumore pesante dei ginocchi di papà Goriotche dovette cadere sul pavimento della camera.

- Mio Dioche cosa ti ho fatto io? Mia figlia nelle mani di quel miserabile: egli esigerà tutto da leise lo vorrà! Perdonofiglia mia - gridò il vecchio.

- Sìse ora mi trovo in un abissoc'è forse un po' di colpa da parte vostra - disse Delfina. - Siamo così poco giudiziosequando ci sposiamo. Conosciamo forse il mondogli affarigli uominii costumi? Sono i genitori che dovrebbero pensare in vece nostra.

Babbo caronon vi rimprovero nullaperdonate le mie parole. In questo caso la colpa è tutta mia. Nonon piangetepapà - disse baciandogli la fronte.

- Non piangere neppure tumia piccola Delfina. Dammi qui i tuoi occhilascia che te li asciughi coi miei baci. Ora rimetterò un po' d'ordine nella mia povera zuccae cercherò di dipanare questo groviglio d'affari in cui tuo marito ti ha messo.

- Nolasciate fare a me; lo manovrerò io. Egli mi ama; ebbene mi servirò del prestigio che ho su di lui per indurlo a investire subito una parte dei miei capitali in qualche buona proprietà.

Forse riuscirò a fargli ricompraresotto il mio nomei beni che aveva a Nucingen in Alsazia: lui ci tiene. Vorrei però che domani voi veniste a esaminare la sua contabilitài suoi affari. Il signor Derville non s'intende affatto dl questioni commerciali. Ma nonon venite proprio domani. Non voglio guastarmi il sangue. Il ballo della signora de Beauséant avrà luogo dopo domanie io voglio aver cura di me per essere bella riposata e far così onore al mio caro Eugenio! E ora andiamo a vedere la sua camera.

In quel momento una vettura si fermò nella via Neuve-Sainte- Genevièvee si udì per la scala la voce della signora de Restaud che diceva a Silvia: - C'è mio padre?

Questa circostanza disimpegnò fortunatamente Eugenioche già pensava di gettarsi sul lettofingendo di dormire.

- Ah!babbovi hanno parlato d'Anastasia? - chiese Delfina riconoscendo la voce della sorella. - Sembra che succedano strane cose nella sua famiglia.

- Che cosa? - domandò papà Goriot - ma è dunque proprio la mia fine? La mia povera testa non reggerà a una doppia sciagura.

- Buon giornopapà - disse la contessa entrando. - Ah!tu quiDelfina?

La signora de Restaud parve imbarazzata di incontrare sua sorella.

- Buon giornoNasia - disse la baronessa. - Ti sembra strano trovarmi qui? Mio padre lo vedo tutti i giorniio.

- Da quando?

- Se tu venissilo sapresti.

- Non beffeggiarmiDelfina - fece la contessa con una voce lamentosa. - Sono tanto disgraziatasono perdutapovero papà mio!oh!proprio perdutaquesta volta!

- Cos'haiNasia? - esclamò papà Goriot. - Dicci tuttofigliola.

- Essa impallidì. - Delfinasusoccorrilasii buona con leiti vorrò bene anche di piùse possibile!

- Mia povera Nasia - disse la signora de Nucingenfacendo sedere la sorella - parla. Noi siamo le due sole persone che ti vorranno sempre tanto beneda perdonarti tutto. Ricordati che gli affetti famigliari sono i più sicuri.

Le fece aspirare dei salie la contessa rinvenne.

- Ci lascerò la pelle - disse papà Goriot. - Andiamo - riprese attizzando il fuoco - avvicinatevi tutte e due. Ho freddo. Che haiNasia?di' sùprestotu mi fai morire...

- Ebbene! - disse la povera donna - mio marito sa tutto. Babbovi ricordate di quella cambiale di Massimoqualche tempo fa?

Ebbene! non era la prima. Ne avevo già pagate molte altre. Ai primi di gennaioil signor de Trailles mi sembrava assai preoccupato. Non mi diceva nulla; ma è facile leggere nel cuore delle persone cui si vuol benebasta un niente; e poici sono dei presentimenti. Lui si mostrava più innamoratopiù affettuoso che maie io ero sempre più felice. Povero Massimo!dentro di sémi ha poi dettomi dava intanto il suo ultimo addio; voleva farsi saltare le cervella. Allora l'ho tanto tormentatotanto supplicatosono rimasta due ore ai suoi ginocchi. Alla finemi ha confessato di avere centomila franchi di debiti. Oh!papàcentomila franchi! Sono diventata pazza. Voi non li avevateio non avevo più nulla...

- No - disse papà Goriot - io non avrei potuto procurartelia meno di andarli a rubare. Ma ci sarei andatoNasia! E ci andrò.

A queste parole lugubremente dettecome il rantolo d'un moribondoche indicavano l'agonia di un sentimento di paterno affetto ridotto all'impotenzale due sorelle tacquero. Quale egoismo sarebbe rimasto insensibile a quel grido di disperazione chesimile a una pietra lanciata in un abissone rivelava la profondità?

- Li ho trovati disponendo di quel che non mi appartenevababbo - disse la contessa scoppiando in lacrime.

Delfina si commosse e pianseappoggiando la testa sul collo della sorella.

- Ma allora è tutto vero! - le disse.

Anastasia abbassò la testala signora de Nucingen la strinse tutta a séla baciò teneramente eappoggiandola sul suo cuore: - Qui tu sarai sempre amata senza venir giudicata - le disse.

- Angeli miei - fece Goriot con voce fioca - per quale destino la vostra riconciliazione è dovuta a una sciagura?

- Per salvare la vita di Massimoper salvare insomma tutta la mia felicità - riprese a dire la contessa incoraggiata dalle prove d'una tenerezza così calda e palpitante - ho portato a quell'usuraio che conosceteuna creatura infernale che nulla può intenerirea quel signor Gobsecki diamanti di famiglia cui tiene tanto il signor de Restaudi suoii mieitutto: e li ho venduti. Venduti!capite? E così lui è stato salvatoma io sono morta. Restaud ha saputo tutto.

- Da chi?come? Io l'ammazzo! - gridò papà Goriot.

- Ierimi ha fatto chiamare nella sua camera. Ci sono andata...

"Anastasiami ha detto con una voce... (oh!la sua voce m'è bastataho indovinato tutto)dove sono i vostri diamanti?". Li ho con me. "No"mi ha detto guardandomistanno lì sul mio cassettone. E mi ha indicato lo scrignoda lui coperto con un fazzoletto. "Sapete da dove provengono?" mi ha chiestoe io sono caduta ai suoi ginocchi..ho piantoe gli ho domandato di quale morte avrebbe voluto vedermi morire.

- Tu gli hai detto tutto questo? - esclamò papà Goriot. - Per il santo nome di Diochi si proverà a far del male a voi duefinché sarò vivopuò star sicuro che lo brucerò a fuoco lento! Sìlo farò a pezzetti come...

Papà Goriot tacquele parole gli si spegnevano nella gola.

- Poimia carami ha chiesto qualcosa di più difficile ancora della morte. Non faccia il cielo sentire mai a una donna quel che ho sentito io!

- L'uccideròquell'uomo - disse papà Goriot tranquillamente. - Ma lui non ha che una vita solae me ne deve due. Insommache cosa t'ha chiesto? - ripreseguardando Anastasia.

- Ebbene! - fece la contessa continuandodopo una pausa - mi ha guardato in faccia e mi ha detto: "Anastasiametterò tutto sotto silenzioresteremo unitiabbiamo dei figli. Non ucciderò il signor de Traillespotrei fallire il colpoenel disfarmene in altro modopotrei anche cozzare contro la giustizia umana.

Ucciderlo nelle vostre bracciasarebbe poi disonorare i figli.

Maper non veder morire né i vostri figliné il loro padrené mevi pongo due condizioni. Rispondete: "Uno dei figli è mio?".

Gli ho risposto di sì. "Quale?"mi ha domandato. Ernestoil nostro primogenito. "Beneha detto. E oragiurate di obbedirmi ormai su di un solo punto". Ho giurato. "Voi firmerete la vendita dei vostri beni quando ve lo chiederò".

- Non firmare! - gridò papà Goriot. - Non firmare mai questo! Ah!ah!signor de Restaudvoi non sapete cosa sia rendere una donna felicelei cerca il suo bene dov'esso èe voi volete punirla della vostra sciocca impotenza?... Ma ci sono ioquialto làdovrà fare i conti con me. Nasiasta tranquilla. Ahlui tiene al suo eredeeh? Bene; bene. M'impadronirò di suo figlio cheperdio!è anche mio nipote. Potrò vederloquesto marmocchio? Lo nasconderò nel mio villaggio natione avrò cura iosta tranquilla. Lo farò capitolarequel mostrodicendogli: "A noi due! Se vuoi riavere tuo figliorestituisci a mia figlia la sua dotee lascia che faccia il suo comodo".

- Padre!

- Sìtuo padre! Ah!io sono un vero padre. Che queste canaglie di gran signori non maltrattino le mie figlie. Perdio!non so quel che mi sento nelle vene. Mi ci sento il sangue d'una tigree vorrei divorarliquei due. Ofiglie mie!è questa la vostra vita? Ma questa è la mia morte. Che ne sarà di voiquando io non ci sarò più? I padri dovrebbero vivere quanto i loro figli. Mio Diocom'è mal combinato il tuo mondo! E sì che un figlio tu pure lo haisecondo quel che ci è stato detto. Dovresti impedire di farci soffrire nei nostri figli. Angeli miei caricome!debbo dunque la vostra presenza solo ai vostri dolori? Non mi fate conoscere altro che le vostre lacrime? Ebbene sìvoi mi amatelo vedo. Venitevenite a piangere qui! Il mio cuore è grandee può ricevere tutto. Sìvoi potete pure trafiggerloma i brani di esso saranno sempre tanti cuori di padre. Vorrei prendere su di me le vostre penesoffrire per voi. Ah!quando eravate piccolineeravate tanto felici.

- Non abbiamo avuto che quel tempofelice - disse Delfina. - Dov'è quell'epoca quando ci rotolavamo dall'alto dei sacchi nel granaio grande?

- Papànon è tutto ancoraquel che vi ho detto - disse Anastasiaall'orecchio di Goriotche ebbe uno scatto. - La vendita dei diamanti non ha reso centomila franchi. Si sta procedendo contro Massimo. Dobbiamo ancora pagare dodicimila franchi. Lui mi ha promesso di metter la testa a partitodi non giocare più. Al mondo non mi resta più che il suo amoree io l'ho pagato troppo caro per non morire se lo perdessi. Gli ho sacrificato fortunaonoretranquillitàfigli. Oh! fate che almeno Massimo sia liberoche non sia disonoratoche possa rimanere nella societàdove saprà farsi una posizione. Adesso egli non mi deve soltanto la felicitàabbiamo dei figli che rimarrebbero nella miseria! Tutto sarà perdutose lo porteranno a Sainte-Pelagie.

- Io non li hoNasia. Più nullapiù nulla! E' la fine del mondo.

Oh! il mondo sta per crollareè certo. Andatevenesalvatevi prima! Ah!ho ancora le mie fibbie d'argentosei posatele prime possedute in vita mia. E poinon ho altro che milleduecento franchi di rendita vitalizia...

- Che ne avete dunque fatto delle rendite di Stato ?

- Le ho venduteriservandomi quel poco di rendita per vivere. Mi occorrevano dodicimila franchi per mettere su un appartamento a Delfina.

- Un appartamento per teDelfina? - disse la signora de Restaud alla sorella.

- Ohciò non ha importanza! - riprese a dire papà Goriot - i dodicimila franchi sono già impegnati.

- Ho capito - fece la contessa. - E' per il signor de Rastignac Ah!mia povera Delfinanon far questo. Guarda come sono ridottaio.

- Mia carail signor de Rastignac è un giovane incapace di mandare in rovina la sua amante.

- Ti ringrazioDelfina. Nella crisi che attraversom'aspettavo di meglio da te; ma giàtu non mi hai mai voluto bene.

- Ma nolei ti vuol beneNasia - esclamò papà Goriot - me lo diceva proprio poco fa. Stavamo parlando di tee mi diceva che tu sei bellae che lei è soltanto graziosa!

- Lei! - ripeté la contessa - ma lei è d'una bellezza fredda.

- Quand'anche fosse - disse Delfina arrossendo - come ti sei comportatatuverso di me? Tu mi hai rinnegatami hai fatto chiudere le porte di tutte le case in cui desideravo esser ricevutainsomma non ti sei mai lasciata sfuggire la minima occasione di farmi dispiacere. E poisono io forse venutacome tea sottrarre a questo povero papàa mille franchi per voltala sua ricchezzariducendolo nello stato in cui ora si trova?

Ecco in cosa è consistita l'opera tuasorella mia. Ioho sempre voluto vedere mio padre quando ho potutonon l'ho mai messo alla porta e non sono venuta poi a leccargli le mani al momento del bisogno. Non lo sapevo neppure che avesse speso quei dodicimila franchi per me. Io sono ordinataio!e tu lo sai. E poise papà mi ha fatto dei regalinon glieli ho mai chiesti.

- Tu eri più fortunata di me: il signor de Marsay era riccoe tu ne sai qualche cosa. Sei stata sempre avara come l'oro. Addioio non ho né sorella né...

- TaciNasia! - esclamò papà Goriot.

- Solo una sorella come te può ripetere quel che nessuno crede più; sei un mostro - le disse Delfina.

- Figliole miefigliole miesmettetelao m'uccido qui davanti a voi.

- Nasiati perdono - disse la signora de Nucingen continuando - sei una sciagurata. Ma io sono migliore di te. Dirmi questo proprio nel momento in cui sarei stata capace di tutto per venirti in aiutoanche di entrare in camera di mio maritocosa che non farei né per me né per... Questo è degno di tutto il male che mi hai fatto da nove anni.

- Figliole miefigliole mieabbracciatevi! - disse il padre. - Voi siete due angeli.

- Nolasciatemi - gridò la contessache Goriot aveva presa per un braccioe che s'era svincolata dall'abbraccio paterno. - Lei ha meno pietà di quanta non ne avrebbe mio marito. Eppure si direbbe sia l'immagine di tutte le virtù!

- Preferisco essere ritenuta debitrice del signor de Marsaypiuttosto di dover confessare che il signor de Trailles mi costa più di duecentomila franchi - rispose la signora de Nucingen.

- Delfina! - gridò la contessa facendo un passo verso di lei.

- Io ti sto dicendo la veritàmentre tu invece mi calunni - replicò freddamente la baronessa.

- Delfinatu sei una...

Papà Goriot si slanciòtrattenne la contessa e le impedì di parlarecoprendole la bocca con la mano.

- Mio Dio!babboma che cosa avete toccato stamani? - gli domandò Anastasia.

- Ebbenesìho torto - disse il povero padre asciugandosi le mani lungo i pantaloni. - Ma non sapevo che sareste venute quisto cambiando casa.

Era lieto d'essersi meritato un rimprovero che scaricava su di lui la collera della figlia.

- Ah! - riprese poi sedendosi - mi avete spezzato il cuore. Mi sento morirefigliole mie! La testa mi brucia dentro come se ci fosse il fuoco. Siate dunque buonevogliatevi bene! Altrimenti mi farete morire. DelfinaNasiaandiamo; avevate ragione e avevate torto tutte e due. VediamoDedé - riprese a dire volgendo verso la baronessa i suoi occhi pieni di lacrime - le occorrono dodicimila franchi: cerchiamoli. Non vi guardate così. (E si mise in ginocchio dinanzi a Delfina). Chiedile perdono per far piacere a me - le disse all'orecchio - lei è la più infelice; non è così?

- Mia povera Nasia - disse Delfina spaventata dalla selvaggia e folle espressione che il dolore aveva fatto assumere al viso del padre - ho avuto tortoabbracciami...

- Ah !mi versate un balsamo sul cuore - esclamò papà Goriot. - Ma dove trovare i dodicimila franchi? E se mi offrissi come surrogante?

- Ah!papà mio! - dissero le due figlie facendoglisi attorno - nono.

- Dio vi ricompenserà di questo pensierola nostra vita non basterebbe!non è veroNasia? - riprese Delfina.

- E poipovero babbosarebbe una goccia d'acqua - fece osservare la contessa.

- Ma non si può far nulla del proprio sangue? - gridò il vecchio esasperato. - Io mi dò tutto intero a chi ti salveràNasia!

Ucciderei un uomo per lui. Farò come Vautrinandrò in galera!io... - E si irrigidìcome se fosse stato fulminato. - Più niente! - disse strappandosi i capelli. - Se sapessi dove andareper rubare; ma è difficile anche trovare il modo di rubare. E poi ci vorrebbe genteci vuol tempo per derubare la Banca. Ho capitodevo morirenon mi resta altro che morire. Sìnon sono più buono a nullanon sono più padre!no. Lei mi chiede aiutoha bisogno di me!ed iomiserabilenon ho nulla da darle. Ah!tu ti sei fatto dei vitalizivecchio scelleratoe avevi pur delle figlie!

Ma non le ami tudunque? Crepacrepacome quel cane che sei!

Sìsto al disotto anche d'un caneun cane non farebbe così. Oh!la mia testa! bolle!

- Ma papà - gridarono le due donne che lo circondavano per impedirgli di darsi la testa al muro - siate dunque ragionevole!

Singhiozzava. Eugeniospaventatoprese la cambiale da lui firmata a favore di Vautrin e il cui bollo comportava una somma anche maggiore; ne corresse la cifrane fece una cambiale regolare di dodicimila franchi all'ordine di Gorioted entrò.

- Ecco qui tutto il vostro denarosignora - disse presentando la carta. - Dormivoma la vostra conversazione m'ha svegliatoe ho potuto così sapere quanto dovevo al signor Goriot. Eccone qui il titoloche potrete scontare; io lo pagherò puntualmente.

La contessaimmobileteneva in mano la carta.

- Delfina - dissepallida e tremante di colleradi furoredi rabbia - ti perdonerei tuttoDio me n'è testimonioma questo!

Come!il signore era là? Tu allora lo sapevi. E sei stata così meschina da vendicartilasciandomi così svelargli i miei segretila mia vitaquella dei miei figlila mia vergognail mio onore?

Va'non sei più nulla per meti odio ioti farò tutto il male possibileio... - La collera le mozzò la parolala sua gola s'inaridì.

- Maè mio figlioil nostro ragazzotuo fratelloil tuo salvatore - gridava papà Goriot. - AbbraccialoNasia! Guardal'abbraccio io - ripresestringendo Eugenio con una specie di furore. - Oh!figliolo mioio sarò più che un padre per tevoglio esser per te una famiglia. Vorrei essere Dioper mettere tutto l'universo ai tuoi piedi. MabacialodunqueNasiaquesto non è un uomo ma un angeloun vero angelo.

- Lasciate starebabboè pazza in questo momento- disse Delfina.

- Pazza! Pazza!e tu cosa sei? - fece la signora de Restaud.

- Figliole mieio muoio se continuate così - gridò il vecchio cadendo sul letto come se colpito da un proiettile. - Esse mi uccidono!- mormorò.

La contessa guardò Eugenioche intanto era rimasto immobilesbalordito dalla violenza di quella scena: - Signore - gli disse interrogandolo col gestocon la voce e lo sguardosenza fare attenzione al padreil cui panciotto venne rapidamente sbottonato da Delfina.

- Signorapagherò e tacerò - gli rispose senza attendere la domanda.

- Tu hai ucciso nostro padreNasia - disse Delfinaindicando il vecchio svenuto alla sorellala quale fuggì.

- Le perdono volentieri - disse il bonuomo riaprendo gli occhi - la sua situazione è spaventosa e farebbe perdere la testa anche più solida. Consola Nasiasii dolce con leipromettilo al tuo povero padre che sta per morire - disse a Delfina premendole la mano.

- Ma che cosa avete? - essa chiese tutta spaventata.

- Nullanulla - rispose il padre - passerà. Ho qualcosa che mi stringe la fronteuna emicrania. Povera Nasiache brutto avvenire!

In quel momento la contessa rientròsi gettò alle ginocchia di suo padre: - Perdono! - gridò.

- Sta' su - disse papà Goriot - se mi dici così adesso mi fai anche più male.

- Signore - disse la contessa a Rastignaccon gli occhi bagnati di lacrime - il dolore mi ha reso ingiusta. Sarete davvero un fratello per me? - riprese tendendogli la mano.

- Nasia - le disse Delfina abbracciandola - mia piccola Nasiadimentichiamo tutto.

- No - rispose - me ne ricorderò!

- Angeli miei - esclamò papà Goriot - voi mi togliete il velo che avevo sugli occhila vostra voce mi rianima. Abbracciatevi ancora una volta. Ebbene!Nasiaquesta cambiale ti metterà al sicuro?

- Lo spero. Ma ditemipapàvolete metterci anche la vostra firma?

- Guarda che bestia sono ioa non averci pensato. Ma mi sono sentito maleNasianon volermene. Mandami presto a dire che sei fuori d'ogni imbarazzo. Noverrò io stesso. Ma nonon verrònon posso più vedere tuo maritolo ucciderei. Quanto poi ad alienare i tuoi benilo impedirò io. Va' prestofiglia miae fa' che Massimo metta la testa a posto.

Eugenio era stupefatto.

- Questa povera Anastasia è stata sempre violenta - disse la signora de Nucingen - ma ha buon cuore.

- S'è ravveduta per avere l'avallo - fece Eugenio all'orecchio di Delfina.

- Credete?

- Vorrei non crederlo. Diffidate di lei - aggiunse levando gli occhi al cielocome per confidare a Dio pensieri che non osava esprimere.

- Sìè stata sempre un po' commediantee il mio povero padre si lascia abbindolare dalle sue smorfie.

- Come vi sentitemio buon papà Goriot? - domandò Rastignac al vecchio.

- Ho voglia di dormire - rispose.

Eugenio aiutò Goriot a coricarsi. Poiquando il bonuomo si fu addormentato tenendo la mano di Delfinala figlia si ritirò.

- Ci vediamo questa sera agli "Italiens" - disse a Eugenio - e mi dirai tu come sta. Domani cambierete casasignor mio. Vediamo un po' la vostra camera. Oh!che orrore! - fece appena entrata. - Ma voi state anche peggio di mio padre. Eugeniotu ti sei portato bene. Vi amerei anche di più se fosse possibile; mafigliolo miose volete far fortunanon bisogna mica buttarecome avete fattodelle dozzine di migliaia di franchi dalla finestra. Il conte de Trailles è un giocatore. Mia sorella non vuole ammetterlo. Egli sarebbe andato a cercare i suoi dodicimila franchi là dove perde e guadagna monti d'oro.

Un gemito li fece ritornare in camera di Goriotche trovarono apparentemente addormentato; ma quando i due amanti gli si avvicinaronoudirono queste parole: - Esse non sono felici! - O che dormisse o che fosse destol'accento di quella frase colpì così vivamente il cuore della figliache si avvicinò al giaciglio del padree lo baciò in fronte. Egli aprì gli occhi dicendo: - Sei tuDelfina?

- Ebbenecome stai? - gli chiese.

- Bene - rispose. - Non ti preoccupareadesso uscirò. Andateandate purefigli mieie siate felici.

Eugenio accompagnò Delfina fino in casa sua; mapreoccupato dello stato in cui aveva lasciato Goriotnon volle rimanere a pranzo da leie tornò alla pensione Vauquer. Ci trovò Goriot in piedie in procinto di mettersi a tavola. Bianchon s'era collocato in modo da poter bene esaminare il viso del vermicellaio. Quando gli vide prendere il pane e odorarlo per sentire con quale farina fosse stato fattolo studenteavendo notato in quel gesto una assenza totale di ciò che si potrebbe chiamare la coscienza dell'attofece un gesto sinistro.

- Mettiti vicino a mesignor interno di Cochin - disse Eugenio.

Bianchon ci si mise tanto più volentieriin quanto così sarebbe stato più vicino al vecchio pensionante.

- Che cos'ha? - chiese Rastignac.

- A meno che mi sbagliè spacciato! Deve essere accaduto qualcosa di straordinario in luimi pare sia sotto la minaccia d'una apoplessia sierosa imminente. Sebbene la parte inferiore del viso sia abbastanza calmai tratti superiori si contraggonosuo malgradoverso la fronte: guarda! E poi gli occhi si trovano in quello stato speciale che denota l'invasione del siero nel cervello. Non si direbbero pieni d'una polvere fina? Ma domattina ne saprò di più.

- Non c'è qualche rimedio?

- Nessuno. Forse si potrà ritardare la sua mortese si troverà il modo di provocare una reazione verso le estremitàverso le gambe; ma se domani sera i sintomi non scompaionoil pover'uomo è finito. Non sai mica da che fatto sia stato causato il male? Deve aver subìto un colpo violentosotto il quale il suo morale avrà ceduto.

- Sì - disse Rastignac - ricordandosi bene che le due figlie avevano colpito senza tregua il cuore paterno.

"Almeno Delfina" diceva fra sé e sé Eugeniogli vuol bene a suo padre, lei!.

La seraagli "Italiens"Rastignac usò qualche precauzione per non allarmare la signora de Nucingen.

- Non vi preoccupate - lei rispose alle prime parole di Eugenio - mio padre è forte. Macertoquesta mattina lo abbiamo un po' scosso. Le nostre fortune sono in pericolo: capite la portata di questa disgrazia? Io non vivreise il vostro affetto non mi rendesse insensibile a quel che prima avrei considerato angosce mortali. Non c'è ora che un solo timoreuna sola disgrazia per me: perdere l'amore che mi ha fatto provare il piacere di vivere.

All'infuori di questo sentimentotutto m'è indifferentenulla al mondo m'interessa più. Voi siete tutto per me. Se provo la felicità d'esser riccaè per piacervi di più. Io sonoa mia ontapiù amante che figlia. Perché? Non lo so. Tutta la mia vita è in voi. Mio padre mi ha dato un cuorema voi l'avete fatto battere. Il mondo intero può biasimarmimache importa?se voiche non avete il diritto di rimproverarmimi assolvete dai delitti cui mi istiga un sentimento irresistibile? Mi crederete una figlia snaturata! Oh!noè impossibile non amare un padre così buono com'è il nostro. Ma potevo io forse impedire che egli non vedesse le conseguenze inevitabili dei nostri deplorevoli matrimoni? Perché non li ha impediti? Non doveva lui riflettere in vece nostra? Oggilo solui soffre quanto noi: ma che potevamo farci? Consolarlo? Non lo consoleremmo per nulla. La nostra rassegnazione lo addolorava più di quanto i nostri rimproveri e i nostri rammarichi potrebbero fargli del male. Ci sono situazioninella vitain cui tutto è amarezza.

Eugenio rimase silenziosopreso da tenerezza per l'effusione ingenua d'un sentimento sincero. Se le Parigine sono spesso falseebbre di vanitàegoistecivettefreddeè però sicuro che quando amano veramentesacrificano più sentimenti alle loro passioni che tutte le altre donne; e allora esse si fanno grandi per le loro stesse piccolezzee diventano sublimi. E poi Eugenio era colpito dallo spirito profondo e così assennato che la donna dimostra nel giudicare i sentimenti più naturaliquando un affetto predominante la separa e la pone a distanza da essi. La signora de Nucingen si offese del silenzio mantenuto da Eugenio.

- Ma a che cosa pensate? - gli chiese.

- Ascolto ancora quel che mi avete detto. Avevo creduto fino ad ora di amarvi più di quanto voi non mi amiate.

Lei sorrisee si difese dal piacere provato per mantenere la conversazione nei limiti imposti dalle convenienze. Non aveva mai udito le espressioni vibranti d'un amore giovane e sincero.

Qualche parola ancorae non si sarebbe più contenuta.

- Eugenio - essa disse poi cambiando discorso - ma non sapete il fatto del giorno? Tutta Parigi andrà domani dalla signora de Beauséant. I Rochefide e il marchese d'Adjuda si son messi d'accordo di non divulgare la notizia; ma il re firmerà domani il contratto di matrimonioe la vostra povera cugina ancora non sa nulla. Non potrà fare a meno di non dare il ricevimentoe il marchese non interverrà al ballo. Non si parla che di questo.

- E la gente ride d'una infamiae ci fa la zuppa! Non sapete che la signora de Beauséant ne morirà?

- No - disse Delfina sorridendo - voi non conoscete quel tipo di donne là. Ma tutta Parigi andrà da leie ci sarò anch'io! E devo del resto a voi questo piacere.

- Ma - disse Rastignac - non sarà una di quelle tante ciarle assurde che si fanno correre per Parigi?

- Sapremo la verità domani.

Eugenio non rientrò alla pensione Vauquer. Non riuscì a prendere la decisione di non godere del suo nuovo appartamento. Se il giorno prima era stato costretto a lasciare Delfina all'una dopo mezzanottequesta volta fu Delfina a lasciarlo verso le dueper tornare a casa sua. Egli dormì l'indomani fino a tardiattese verso mezzodì la signora de Nucingenche fece colazione con lui.

I giovani sono così avidi di questi vaghi piaceri che egli aveva già quasi dimenticato papà Goriot.

Fu per lui una prolungata gioia quella di abituarsi a ognuna delle eleganti cose che gli appartenevano. La signora de Nucingen era poi lìa dare al tutto un maggior pregio. Tuttaviaverso le quattroi due amanti si ricordarono di papà Goriotpensando alla felicità che s'era ripromesso nell'andare ad abitare in quella casa. Eugenio fece osservare che era necessario trasportarvi subito il bonuomoin previsione d'una sua malattiae lasciò Delfina per correre alla pensione Vauquer. Né papà Goriot né Bianchon erano a tavola.

- Eh! - gli disse il pittore - papà Goriot sta male; Bianchon è suvicino a lui. Il bonuomo ha visto una delle sue figliela contessa de "Restaurama". Poiha voluto usciree il suo male è peggiorato. La società sta per essere privata d'una delle sue belle figure.

Rastignac si slanciò su per le scale.

- Ehi!signor Eugenio!

- Signor Eugeniola signora vi chiama - gridò Silvia.

- Signore - gli disse la vedova - il signor Goriot e voi dovevate andar via il quindici febbraio. Sono tre giorni che il quindici è passatosiamo al diciotto; devo esser pagata di un mese vostro e di un mese suo; ma se mi garantite voi papà Goriotla vostra parola mi basta.

- Perchéforse non vi fidate?

- Fidarsi! Se il bonuomo perdesse la conoscenza e morissele figlie non mi darebbero un centesimoe tutti i suoi stracci non valgono dieci franchi. Ha portato via stamane le ultime sue posate. Non so poi perché. S'era vestito come un giovanotto. Dio mi perdonima credo si sia messo il rossettom'è parso ringiovanito.

- Rispondo io di tutto - disse Eugenio rabbrividendo d'orrore e temendo una catastrofe.

Salì da papà Goriot. Il vecchio giaceva sul lettoe Bianchon gli era d'accanto.

- Buon giornopapà - gli disse Eugenio.

Il bonuomo gli sorrise dolcementee rispose volgendo verso di lui due occhi vitrei: - Come stalei?

- Bene. E voi?

- Non c'è male.

- Non stancarlo - disse Bianchon portando Eugenio in un angolo della camera.

- Ebbene? - gli chiese Rastignac.

- Lo può salvare solo un miracolo. La congestione sierosa è avvenutasono intervenuto allora coi senapismifortunatamente li sentegli fanno effetto.

- Lo si può trasportare?

- Impossibile. Bisogna lasciarlo lìevitargli qualsiasi movimento e ogni emozione...

- Mio buon Bianchon - disse Eugenio - lo cureremo noi due.

- Ho già fatto venire il primario del mio ospedale.

- E che ha detto?

- Si pronuncerà domani sera. M'ha promesso di tornare non appena libero dai suoi impegni. Disgraziatamente questo originale ha commesso stamane una imprudenza su cui non vuol dare spiegazioni!

E' testardo come un mulo. Quando lo interrogofa finta di non capiree dorme per non rispondermi; se invece ha gli occhi apertisi lamenta. E' uscito prestissimoè andato a piedi per Pariginon si sa dove. Ha portato con sé tutto quel che ancora possedeva di valoree deve essersi recato a far qualche benedetto trafficosuperiore alle sue forze! Una delle figlie è venuta.

- La contessa? - domandò Eugenio. - Una altabrunal'occhio vivace e ben tagliatodai graziosi piedinie dalla vita sottile?

- Sì.

- Lasciami un momento solo con lui - disse Rastignac. - Lo confesserò e vedrai che a me dirà tutto.

- Intanto io vado a pranzo. Cerca di non farlo agitare troppoabbiamo ancora qualche speranza di salvarlo.

- Sta' tranquillo.

- Quanto si divertiranno domani - disse papà Goriot ad Eugenioquando furono soli. - Andranno a un gran ballo.

- Ma che diamine avete fatto stamanepapàper essere così sofferente staserada essere costretto a rimanere a letto?

- Nulla.

- Anastasia è venuta ? - domandò Rastignac.

- Sì - rispose papà Goriot.

- E allora? Non nascondetemi nulla. Che cos'altro vi ha chiesto ancora?

- Ah! - ripreseraccogliendo le forze per parlare - era così affrantase sapesteragazzo mioNasia non ha più un soldo dopo l'affare dei diamanti. Aveva ordinatoper quel balloun abito di stoffa laminato che le deve stare come un gioiello. La sartaun'infamenon ha voluto farle creditoe la cameriera ha versato lei mille franchi in acconto sulla toletta. Povera Nasiaridotta a questo punto! La cosa mi ha straziato il cuore. La camerieravedendo che Restaud non si fida di Nasiaha avuto paura di perdere il suo denaro e s'è messa d'accordo con la sarta per non consegnare l'abito se non quando le saranno restituiti i mille franchi. Il ballo è domani. L'abito è pronto. Nasia è disperata Ha voluto farsi prestare le mie posate per impegnarle. Suo marito vuole che lei vada al ballo per far vedere a tutta Parigi i diamanti che si dice abbia venduto. Può dire a quel mostro: "Devo dare mille franchipagateli?". No. Ho capito tutto questoio.

Sua sorella Delfina interverrà con una toletta superba. Anastasia non deve essere al di sotto della sorella minore. E poiè così in lacrimequella povera figlia mia! Io sono rimasto così umiliato di non aver avuto dodicimila franchi ieriche avrei dato il resto della mia miseranda vita per riscattare quel torto. Avete visto?

Avevo avuto la forza di sopportare tuttoma il trovarmi senza denaro di fronte a quest'ultima occorrenzami ha spezzato il cuore. Oh! Oh!ma ho detto né uno né duemi sono rabberciato e azzimato; ho venduto per seicento franchi di posate e di fibbiepoi da papà Gobseck ho impegnato per un anno il mio titolo di rendita vitalizia contro quattrocento franchi versatimi una volta tanto. Behmangerò pane solo! Mi bastava quand'ero giovanepuò bastarmi anche adesso. Ma almeno così potrà godersi una bella serata la mia Nasia. Sarà sgargiante. Ho il biglietto da mille franchi sotto il capezzale. Mi riscalda aver sotto la testa quel che farà piacere alla povera Nasia. E potrà mettere alla porta la sua cattiva Vittoria. S'è mai visto che i domestici non hanno fiducia nei loro padroni? Domani starò beneNasia verrà alle dieci. Non voglio che esse mi ritengano ammalatoaltrimenti non andrebbero al ballorimarrebbero qui a curarmi. Nasia mi bacerà domani come se fossi suo figliole sue carezze mi guariranno. E poinon avrei forse speso mille franchi dal farmacista?

Preferisco darli alla mia Panaceaalla mia Nasia. Almeno la consolerò della sua miseria. Questo mi sgrava del torto d'essermi fatto una rendita vitalizia. Lei è in fondo all'abissoe io non ho più la forza di tirarla su. Oh! mi ridarò al commercio. Andrò a Odessa per comprarvi il grano. I granilàvalgono tre volte meno di quel che costano i nostri. Se l'importazione dei cereali è vietata in naturale brave persone che fanno le leggi non hanno però pensato a proibire quei prodotti in cui il grano è la base.

Eh! Eh!...ci ho pensato io stamane! C'è da far bei colpi con gli amidi.

"E' pazzo" si disse Eugenio guardando il vecchio. "Suriposatevioranon parlate...".

Eugenio scese per il pranzoquando tornò Bianchon. Poi tutti e due passarono la notte vegliando a turno il malatol'uno studiando libri di medicinal'altro scrivendo alla madre e alle sorelle. L'indomanii sintomi presentati dal malato furonosecondo Bianchondi buon augurio; ma richiesero continue cure di cui solo i due studenti erano capacie nel racconto dei quali è impossibile compromettere la pudibonda fraseologia dell'epoca. Le sanguisughe applicate sul corpo dimagrito del bonuomo furono accompagnate da cataplasmida bagni ai piedi e da altri espedienti clinici per i qualidel restooccorrevano la forza e lo spirito di devozione dei due giovani. La signora de Restaud non venne; mandò a ritirare la somma da un fattorino.

- Credevo che sarebbe venuta lei stessa. Ma questo non è poi un malesi sarebbe preoccupata - disse il padresembrando lieto di tale circostanza.

Alle sette di seraTeresa recapitò una lettera di Delfina.

"Che ne è di voiamico mio? Appena amatasarei già trascurata?

Mi avete dimostratonelle confidenze fatteci da cuore a cuoreun'anima troppo bella per non stimarvi come coloro che rimangono sempre fedeli valutando ogni sfumatura sentimentale. Voi stesso lo avete dettoascoltando la preghiera di Mosè: "Quel che per gli uni è sempre la medesima notaper gli altri è l'infinito della musica!". Ricordatevi che vi attendo questa sera per andare insieme al ballo della signora de Beauséant. Il contratto del signor d'Adjuda è stato firmato stamane a cortee la povera viscontessa non lo ha saputo che alle due. Tutta Parigi andrà da leicome il popolo gremisce la Grève quando ci deve essere una esecuzione. Non è orribile andare a vedere se quella donna nasconderà il suo dolorese saprà morire bene? Io certo non ci andrei amico miose fossi già stata ricevuta altre volte in casa suama lei certamente non riceverà piùe tutti i miei sforzi sarebbero allora inutili. La mia situazione è ben diversa da quella degli altri. E poiio ci vado anche per voi. Vi aspetto.

Se voi non vi trovaste da me fra due orenon so se vi perdonerei una simile fellonia".

Rastignac prese una pennae rispose così:

"Sto attendendo un medico per sapere se vostro padre potrà vivere ancora. E' moribondo. Verrò a portarvi la sentenzae temo sarà una sentenza di morte. Vedrete voi se sarà il caso d'intervenire al ballo. Mille tenerezze".

Il medico venne alle otto e mezzaesenza esprimere un parere favorevolenon ritenne la morte imminente. Previde alternativamente miglioramenti e ricaduteda cui sarebbero dipesi la vita e lo stato mentale del bonuomo.

- Sarebbe meglio che morisse presto - fu l'ultima parola del medico.

Eugenio affidò papà Goriot alle cure di Bianchon e uscì per recare alla signora de Nucingen le dolorose notizie chenella sua coscienza ancora imbevuta dei doveri famigliariavrebbero dovuto sospendere ogni divertimento.

- Ditele che si diverta lo stesso - gli gridò papà Goriot che sembrava assopitoma che si drizzò a sedere sul letto nel momento in cui Rastignac uscì.

Il giovane si presentò desolato a Delfinae la trovò pettinatacalzata; non le rimaneva che indossare l'abito da ballo. Macome le pennellate con le quali i pittori finiscono i loro quadrigli ultimi ritocchi richiedevano più tempo di quanto non ne erano necessari per il fondo stesso della tela.

- Come?non siete in abito da sera? - gli chiese.

- Masignoravostro padre...

- Ancora mio padre - esclamò interrompendolo. - Non sarete voi a insegnarmi i doveri verso mio padre. Conosco mio padre da lungo tempo. Non una parolaEugenio. Non vi ascolterò se non quando vi sarete vestito da sera. Teresa ha già preparato tutto per voi; la carrozza è prontaprendetela e tornate subito. Parleremo di mio padre andando al ballo. Bisogna uscire presto; se rimaniamo presi nella fila delle vetturesaremo fortunati se riusciremo ad entrare alle undici.

- Signora !

- Andate!non una parola di più - disse andando di corsa verso il suo spogliatoio per prendervi una collana.

- Ma viasignor Eugeniofarete inquietare la signora - disse Teresa spingendo il giovanespaventato da quell'elegante parricidio.

Andò a vestirsifacendo le più tristile più scoraggianti riflessioni. Vedeva il mondo come un oceano di fango nel quale un uomo s'immergeva fino al collo se v'immergeva il piede.

- Vi si commettono solo delitti meschini- si disse. - Vautrin è più grande.

Egli aveva visto le tre grandi manifestazioni della società:

l'Obbedienzala Lotta e la Rivolta; la Famigliail Mondo e Vautrin. E non osava decidersi. L'Obbedienza era noiosala Rivolta impossibile e la Lotta incerta. Il pensiero lo ricondusse in seno alla sua famiglia. Si ricordò delle pure emozioni di quella vita tranquillasi rammentò dei giorni trascorsi fra esseri da cui era amato. Conformandosi alle leggi naturali del focolare domesticoquelle care creature vi trovavano una felicità pienadurevolesenza angosce. Malgrado i suoi buoni pensierinon si sentì il coraggio di andare a confessare la fede delle anime pure a Delfinacomandandole la Virtù in nome dell'Amore.

Già la sua nuova educazione aveva dato i suoi frutti. Amava già egoisticamente. La sua sensibilità gli aveva consentito di conoscere la natura del cuore di Delfina. Presentiva che costei sarebbe stata capace di calpestare il corpo del padre pur di andare al balloed egli non aveva né la forza di rappresentare la parte d'un ragionatorené il coraggio di dispiacerlené la virtù di lasciarla. "Non mi perdonerebbe mai di aver avuto ragione contro di lei in questa circostanza"si disse. Poi commentò le parole dei medicisi cullò nell'illusione che papà Goriot non fosse poi così gravemente malato come credeva; insommaaccumulò ragionamenti capziosi per giustificare Delfina. Lei non sapeva bene lo stato in cui versava il padre. Il bonuomo stesso la avrebbe mandata al ballose fosse andata a trovarlo. Spesso la legge socialeimplacabile nella propria formulacondannaladdove il delitto apparente è giustificato dagli innumerevoli modi di vedere introdotti in seno alle famiglie dalla differenza dei caratteridalla diversità degli interessi e delle situazioni.

Eugenio cercava d'ingannare se stessoera pronto a sacrificare alla sua amante la propria coscienza. Da due giornitutto era mutato nella sua vita. La donna vi aveva gettato i suoi disordiniaveva fatto impallidire l'affetto familiareaveva tutto confiscato a proprio profitto. Rastignac e Delfina s'erano incontrati nelle condizioni richieste per provarel'uno per mezzo dell'altrai più vivi godimenti. La loro passioneben preparatas'era ingrandita con quel che uccide le passioni: il godere.

Possedendo quella donnaEugenio si accorse che fino allora l'aveva solo desideratal'amò solo all'indomani della felicità; l'amore non è forse che la riconoscenza per il piacere provato.

Infame o sublimeegli adorava quella donna per le voluttà che gli aveva portato in dote e per tutte quelle che ne aveva ricevuto.

Delfina amava Rastignac come Tantalo avrebbe amato l'angelo che gli avrebbe recato di che soddisfare la sua fameo estinguere la sete della sua gola inaridita.

- Ebbene!come sta mio padre? - gli domandò la signora de Nucingen quando egli fu di ritorno e in abito da sera.

- Malissimo - rispose - se volete darmi una prova del vostro affettocorriamo a vederlo.

- Ebbene!sì - lei disse - ma dopo il ballo. Mio buon Eugeniosii cortesenon farmi la moralevieni con me.

Uscirono. Eugenio rimase silenzioso per un tratto di strada.

- Che avete? - gli chiese.

- Sento il rantolo di vostro padre - egli rispose con accento di stizza. E prese a narrare con la calorosa eloquenza della gioventù la feroce azione cui la signora de Restaud era stata spinta dalla vanitàla crisi mortale che l'ultima dedizione paterna aveva provocatoe quel che sarebbe costato l'abito di stoffa laminata d'Anastasia. Delfina piangeva.

- Sarò brutta - essa pensò. Le sue lacrime si asciugarono. - Andrò ad assistere mio padrenon lascerò il suo capezzale - riprese a dire.

- Ah!ecco come ti volevo - esclamò Rastignac. I fanali di cinque vetture rischiaravano gli accessi del palazzo de Beauséant. Da ogni lato della porta illuminata si pavoneggiava un gendarme. Il gran mondo affluiva in tal quantitàe ognuno poneva tanta sollecitudine nel recarsi a vedere quella gran dama al momento della sua cadutache gli appartamenti al pianterreno del palazzo erano già pieni quando la signora de Nucingen e Rastignac fecero il loro ingresso. Da quando tutta la corte si precipitò in casa della Grande Demoisellecui Luigi Quattordicesimo aveva strappato l'amantenessuna catastrofe d'amore fu più clamorosa di quella della signora de Beauséant. In quella circostanzal'ultima figlia della quasi reale casa di Borgogna si dimostrò superiore alla propria sciagurae dominò fino all'ultimo istante la società di cui aveva accettato le vanità solo per asservirle al trionfo della sua passione. Le più belle donne di Parigi animavano i saloni con le loro tolette e con i loro sorrisigli uomini più notevoli della cortegli ambasciatorii ministrile personalità più illustri d'ogni ramofregiati di crocidi placchedi cordoni multicolorisi affollavano attorno alla viscontessa. L'orchestra faceva risuonare i motivi della sua musica sotto i soffitti dorati di quel palazzodeserto per la sua regina. La signora de Beauséant era in piedi all'ingresso del primo salone per ricevere i suoi pretesi amici. Vestiva di biancosenza alcun ornamento nei capellisemplicemente intrecciatisembrava calma e non ostentava né dolorené fierezzané falsa allegrezza. Nessuno poteva leggere nell'animo suo. L'avreste detta una Niobe di marmo. Il suo sorriso agli amici intimi fu qualche volta ironico; ma essa apparve a tutti presente a se stessae si mostrò così eguale a quella che era stata quando la felicità l'adornava dei suoi raggiche i meno accorti l'ammiraronocome i giovani Romani applaudivano il gladiatore che sapeva sorridere morendo. Il mondo sembrava essersi agghindato per dare il suo addio ad una delle sue sovrane.

- Temevo che non veniste - essa disse a Rastignac.

- Signora - egli rispose con voce commossa interpretando la frase come un rimprovero - sono venuto per rimanere ultimo.

- Bene - essa disse prendendogli la mano. - Voi siete forse qui il solo di cui possa fidarmi. Amico mioamate una donna cui possiate voler bene sempre. Non ne abbandonate mai nessuna.

Si mise a braccetto di Rastignac e lo condusse a un divanonel salone dove si giocava.

- Andate - gli disse - dal marchese. Giacomoil mio domesticovi condurrà da lui e vi darà una lettera per lui. Gli chiedo la mia corrispondenza. Ve la consegneràsperotutta quanta. Quando avrete le mie letteresalite in camera mia. Mi avvertiranno. - Si alzò per andare incontro alla duchessa de Langeaisla sua migliore amicaanche lei sopraggiunta. Rastignac uscìfece chiedere del marchese d'Adjuda al palazzo de Rochefidedove doveva passare la seratae dove infatti lo trovò. Il marchese lo condusse in casa propriaconsegnò un cofanetto allo studente e gli disse:

- Ci sono tutte. - Sembrò poi voler parlare a Eugeniosia per interrogarlo a proposito del ballo e della viscontessasia per confessargli d'essere già forse pentito del suo matrimoniocome di fatto più tardi lo fu; ma un lampo d'orgoglio brillò nei suoi occhied ebbe il deplorevole coraggio di mantenere il silenzio sui suoi più nobili sentimenti. - Non ditele nulla di memio caro Eugenio. - Strinse la mano di Rastignac con un gesto affettuososommamente tristee gli fece cenno di uscire. Eugenio tornò al palazzo de Beauséante fu introdotto nella camera della viscontessadove notò i preparativi d'una partenza. Si sedette vicino al fuocoguardò ancora la cassettina di cedroe cadde in una profonda malinconia. Per luila signora de Beauséant assumeva le proporzioni d'una dea dell'lliade.

- Ah!amico mio - disse la viscontessa entrandoe appoggiando la mano sulla spalla di Rastignac.

Egli vide sua cugina in lacrimegli occhi al cielouna mano tremantel'altra sollevata. Essa prese a un tratto il cofanettolo mise sul fuoco e lo guardò mentre bruciava.

- Ballano! Sono venuti tutti puntualmentementre la morte verrà tardi. Zitto!amico mio - disse ponendo un dito sulla bocca di Rastignacche stava per parlare. - Non vedrò mai più né Parigi né la società. Alle cinque del mattino partiròper andarmi a seppellire in fondo alla Normandia. Dalle tre del pomeriggio sono stata costretta a fare i miei preparativia firmare dei documentia esaminare degli affari; non potevo mandare nessuno da... - S'interruppe. - Sicuramente lo si sarebbe trovato da... - E s'interruppe ancoraaffranta dal dolore. In quei momenti tutto è sofferenzae certe parole non si possono pronunciare. - Ma - riprese a dire - contavo questa sera su di voi per quest'ultimo favore. Vorrei darvi un pegno della mia amicizia. Penserò spesso a voi che mi siete sembrato buono e nobilegiovane e candido in mezzo a questo mondodove tali qualità sono tanto rare. Spero penserete qualche volta a me. Tenete - disse volgendo lo sguardo intorno a sé - ecco il cofanetto dove mettevo i miei guanti. Ogni volta che li ho presi da qui prima di andare a un ballo o al teatro mi sentivo bella perché ero felicee lo toccavo solo per lasciarci qualche leggiadro pensieroc'è molto di melì dentroc'è tutta una signora de Beauséant che non esiste più.

Accettatelo. Penserò io a farvelo portare in casa vostrain via d'Artois. La signora de Nucingen è assai bella questa seraamatela. Se non ci vedremo piùamico misiate certo che augurerò tanto bene a voi che siete stato così buono con me. Ora scendiamonon voglio far credere che piango. Ho l'eternità dinanzi a mevi rimarrò solae nessuno mi chiederà conto delle mie lacrime.

Ancora uno sguardo a questa camera. - Si fermò. Poidopo essersi per un istante coperti gli occhi con la manoli asciugòli bagnò con acqua frescae si mise sotto al braccio dello studente.

Andiamo! - disse.

Rastignac non aveva ancora mai provato un'emozione così violenta come quella procuratagli dal contatto con quel dolore così nobilmente represso.

Rientrando nei saloniEugenio ne fece il giro con la signora de Beauséantultima e delicata cortesia di quella gentil dama.

Vide poi subito le due sorellela signora de Restaud e la signora de Nucingen. La contessa era magnifica con tutti i suoi diamanti in mostrae dovevano certo scottarle in quanto era quella l'ultima volta che li avrebbe portati. Per quanto potenti fossero il suo orgoglio e il suo amorenon riusciva a sostenere gli sguardi di suo marito. Quello spettacolo non era tale da rendere i pensieri di Rastignac meno tristi. Se aveva rivisto Vautrin nel colonnello italianoegli rivide allorasotto i diamanti delle due sorelleil misero lettuccio sul quale giaceva papà Goriot. La viscontessa ingannata dal suo atteggiamento malinconico ritrasse da lui il braccio.

- Oh!non voglio davvero privarvi di un piacere - essa disse.

Eugenio fu subito chiamato da Delfinafelice dell'effetto da lei prodotto e fiera di porre ai piedi dello studente gli omaggi che raccoglieva in quel mondodove sperava di essere accolta.

- Come trovate Nasia? - gli chiese.

- Ha scontato - rispose Rastignac - anche la morte di suo padre.

Verso le quattro del mattinola folla dei salotti cominciava a diradare. La musica non s'udì più. La duchessa de Langeais e Rastignac si trovarono soli nel salotto grande. La viscontessacredendo di dover incontrare solo lo studentevi entrò dopo aver detto addio al signor de Beauséantche andò a coricarsi ripetendole:

- Avete tortomia carad'andarvi a ritirare in provincia alla vostra età! Ma restate con noi!

Vedendo la duchessala signora de Beauséant non poté trattenere un gesto di sorpresa.

- Ho indovinatoClara - disse la signora de Langeais. - Voi partite per non ritornare più; ma voi non partirete senza prima avermi ascoltatae senza prima esserci capite. - Epresa l'amica a braccettola condusse nel salotto vicinoe làguardandola con le lacrime agli occhila strinse fra le braccia e la baciò sulle gote. - Non voglio lasciarvi freddamentemia carasarebbe per me un rimorso troppo forte. Voi potete contare su di me come su voi stessa. Siete stata grande questa seraio mi sono sentita degna di voie voglio dimostrarvelo. Ho avuto dei torti verso di voinon mi sono sempre condotta beneperdonatemimia cara; disapprovo tutto quel che ha potuto offendervivorrei poter ritirare le mie parole. Uno stesso dolore ha unito le nostre animee io non so chi di noi due sarà la più infelice. Il signor de Montriveau non era quistaseracapite? Chi vi ha visto durante questo balloClaranon vi dimenticherà più. Io tento un'ultima prova. Se andrà malemi ritirerò in un convento. Dove andatevoi?

- In Normandiaa Courcellesad amare e a pregare fin quando a Dio piacerà ritirarmi da questo mondo.

- Venite quisignor de Rastignac - disse la viscontessa con voce commossapensando che il giovane attendeva. Lo studente piegò il ginocchioprese la mano della cugina e la baciò. - Antoniettaaddio! - riprese a dire la signora de Beauséant - siate felice.

Quanto a voivoi lo sietevoi siete giovanepotete credere a qualcosa - disse allo studente. - Nel partire da questo mondoavrò avuto intorno a mecome alcuni morenti privilegiatireligiose e sincere emozioni!

Rastignac se ne andò verso le cinquedopo aver veduto la signora de Beauséant nella sua berlina da viaggiodopo aver avuto il suo ultimo addio bagnato di lacrimelacrime che provavano come le persone più elevate non sono poste fuori della legge del cuore e non vivono senza doloricome vorrebbero far credere al popolo taluni suoi cortigiani. Eugenio tornò a piedi alla pensione Vauquercon un tempo umido e freddo. La sua formazione spirituale s'andava completando.

- Non riusciremo a salvare il povero papà Goriot - disse Bianchon a Rastignacquando questi entrò nella camera del suo vicino.

- Amico mio - gli rispose Eugeniodopo aver guardato il vecchio addormentato - va'segui il destino modesto in cui limiti le tue aspirazioni. Io mi trovo in un infernoe devo restarci. Qualsiasi male ti si dica del mondocredici! Non c'è Giovenale che possa dipingerne l'orrorecoperto d'oro e di pietre preziose.

L'indomaniRastignac fu svegliato verso le due del pomeriggio da Bianchon checostretto a dover uscirelo pregò di assistere papà Goriotil cui stato era molto peggiorato durante la mattinata.

- Il bonuomo non ha altri due giorninon ha forse più neppure altre sei ore di vita - disse lo studente in medicina - ma tuttavia non possiamo cessare dal combattere il male. Bisognerà ora apprestargli cure più costose. Noi saremo i suoi infermierima io non ho un soldo. Ho rivoltato le sue taschefrugato nei suoi armadi: zero al quoziente. L'ho interrogato in un momento in cui aveva la testa a postoe mi ha detto di non possedere neanche un centesimo. Tuhai qualcosa ?

- Mi restano in tutto venti franchi - rispose Rastignac - andrò a giocarlivincerò.

- E se perdi?

- Chiederò del denaro ai generi e alle figlie.

- E se loro non te lo daranno? - rispose Bianchon - La cosa più urgente in questo momento non è tanto di trovare il denaroquanto di avvolgere il bonuomo in un senapismo bollente dai piedi a metà delle cosce. Se gridaci sarà qualche speranza. Tu sai come si fa. E poiti aiuterà Cristoforo. Ora passerò dal farmacista per garantirgli l'ammontare di tutte le medicine che prenderemo da lui. E' un guaio che il pover'uomo non si possa trasportare al nostro ospedalelì sarebbe stato meglio. Suvieniti dirò quel che devi fare; e non lasciarlo finché io non sia ritornato.

I due giovani entrarono nella camera dove giaceva il vecchio.

Eugenio rimase spaventato del mutamento avvenuto in quel viso convulsopallido e sfinito.

- Ebbenepapà? - gli disse chinandosi verso il giaciglio.

Goriot levò verso Eugenio i suoi occhi appannati e lo guardò assai attentamentema senza riconoscerlo. Lo studente non sostenne quello spettacolole lacrime gli inumidirono gli occhi.

- Bianchonnon ci vorrebbero le tendine alle finestre?

- Noil tempo che fa fuori non ha più effetto su di lui. Dio volesse che sentisse caldo o freddo. Ma comunque ci vuole del fuoco per far le tisane e preparare tante altre cose. Ti manderò un po' di fascine che ci serviranno finché non avremo la legna.

Tra ieri e questa notteho consumato la tua e tutte le formelle del pover'uomo. C'era tanta umidità; l'acqua stillava dai muri.

Sono riuscito a scaldare appena la camera. Cristoforo l'ha spazzataera proprio una stalla. Vi ho bruciato del gineprotanto era il lezzo.

- Santo Dio - disse Rastignac - ma le sue figlie!

- Sentise ti chiede da beregli darai questo - disse lo studente mostrando a Rastignac una grande tazza bianca. - Se si lamenta e il ventre gli diventasse caldo e duroti farai aiutare da Cristoforo per somministrargli... tu mi hai capito. Nel caso che si agitasseche parlasse moltose insomma cominciasse a vaneggiarelascialo fare. Non sarà un cattivo segno. Ma manda subito Cristoforo all'Ospedale Cochin. Il nostro medicoun mio collega o io stessoverremo ad applicargli delle ventose. Abbiamo avutostamanementre dormiviun consulto con un allievo del dottor Gallil primario dell'Hôtel-Dieu e il nostro. Questi sanitari ritengono di aver riscontrato curiosi sintomi e noi seguiremo il decorso della malattia per accertare alcuni aspetti scientifici molto importanti. Uno di loro pensa che se la pressione del siero si verificasse più su di un organo che su di un altroessa potrebbe dar luogo a fatti singolari. Ascoltalo benese si mettesse a parlareper vedere a qual genere d'idee si riferiscono i suoi discorsise sono effetto di memoriadi discernimentodi giudizio; se tratta di cose materiali o di sentimento; se calcolase torna sul passato; insommasii in grado di farci un resoconto esatto. Se l'invasione sierosa dovesse avvenire tutta insiemeallora morirà in uno stato d'ebetudinecome è quello in cui si trova adesso. Tutto è assai curioso in questo genere di malattie! Se la bomba scoppiasse qui - fece Bianchon indicando l'occipite del malatoci sono esempi di fenomeni strani: il cervello riacquista alcune sue facoltàe la morte sopravviene più lentamente. Le sierosità possono abbandonare il cervello e prendere altre viee non se ne conosce il percorso che con l'autopsia. C'è agli Incurables un vecchio ebete al quale è capitato che il travaso ha preso la strada della colonna vertebrale; soffre orribilmentema vive.

- Si sono divertite? - chiese papà Goriotche riconobbe Eugenio.

- Oh!non pensa che alle figlie - disse Bianchon. - Mi ha ripetuto più di cento volte questa notte: "Stanno ballando. Lei ha il suo vestito". E le chiamava coi loro nomi. Mi faceva piangereche il diavolo mi si porti se ti dico bugie!con le sue intonazioni: "Delfina!mia piccola Delfina!Nasia!". Parola mia d'onore - disse lo studente in medicina - c'era da scoppiare in lacrime.

- Delfina - fece il vecchio - lei è lànon è vero? Lo sapevo bene. - E i suoi occhi riacquistarono un'attività folle per guardare i muri e l'uscio.

- Scendo per dire a Silvia che prepari i senapismi - esclamò Bianchon - questo è il momento buono. - Rastignac rimase solo vicino al vecchioseduto ai piedi del suo lettogli occhi fissi su quella testala cui vista incuteva terrore e ispirava dolore.

"La signora de Beauséant fuggecostui muore"si disse. "Le anime belle non possono restare a lungo in questo mondo. Comeinfattii nobili sentimenti potrebbero amalgamarsi con una società meschinagrettasuperficiale?". Le immagini della festa cui aveva assistito si riaffacciarono alla sua memoria e contrastarono con lo spettacolo di quel letto di morte. Bianchon riapparve subito.

- SentiEugenioho veduto poco fa il primarioe sono tornato di corsa. Se si manifestassero sintomi di un ritorno alla ragionese parlacoricalo su di un lungo senapismoin modo da avvolgerlo nella sénape dalla nuca ai renie facci chiamare.

- Sei molto caroBianchon - disse Eugenio.

- Ohsi tratta d'un caso clinico! - replicò lo studente in medicinacon tutto l'ardore d'un neofita.

- Insomma - disse Eugenio - sarò dunque il solo ad assistere questo povero vecchio unicamente per affetto.

- Se mi avessi visto questa mattinanon diresti così - fece Bianchonsenza per altro offendersi della frase. - I mediciusi alla praticanon vedono che la malattia; io vedo ancora il malatomio caro ragazzo. - Se ne andòlasciando Eugenio solo col vecchio e con la preoccupazione di una crisiche non tardò a dichiararsi.

- Ah!siete voimio caro figliolo - disse papà Goriot riconoscendo Eugenio.

- Vi sentite meglio? - domandò lo studenteprendendogli la mano.

- Sìmi sentivo la testa stretta come in una morsama ora se ne sta liberando. Avete visto le mie figliole? Verranno qui subitoaccorreranno non appena mi sapranno malatomi hanno assistito tanto amorosamente in via della Jussienne! Mio Dio!vorrei che la mia camera fosse più pulitaper riceverle. Un giovanotto m'ha consumato tutto il carbone.

- Sento venire Cristoforo - gli disse Eugenio - che vi porta della legna mandatavi da quel giovanotto.

- Bene!ma come si fa a pagare la legna? Io non ho un soldofigliolo mio! Ho tutto donatotutto. Sono ridotto a dover chiedere l'elemosina. Maalmenol'abito laminato era bello?

(Ah!mi sento male!). GrazieCristoforoDio vi ricompenseràragazzo mio; io non ho più nulla.

- A te e a Silvia vi ricompenserò bene io - disse Eugenio all'orecchio del ragazzo.

- Le mie figliole vi hanno detto che sarebbero venutenon è vero?Cristoforo? Tornaciti regalo cento soldi. Digli che non mi sento beneche vorrei abbracciarlevederle ancora una volta prima di morire. Digli questoma senza spaventarle troppo. - Cristoforo uscì a un cenno di Rastignac.

- Stanno per arrivare - riprese a dire il vecchio. - Le conosco bene. Se muoioche dolore darei a quella buona Delfina! E a Nasialo stesso. Non vorrei morire per non farle piangere.

Moriremio buon Eugeniovuol dire non vederle più. Là dove ce ne andiamo mi annoierò assai. Per un padre l'inferno è l'esser senza la compagnia dei figlie io l'ho già provato da quando esse si sono sposate. Il mio paradiso era la via della Jussienne. Ma ditemi: se andassi in paradisopotrei ritornare sulla terra in spirito intorno a loro? Ho sentito dire qualcosa di simile. Sarà vero? Mi pare di vederle in questo momento com'erano in via della Jussienne. Scendevanola mattina. "Buon giornopapà"mi dicevano. Le prendevo allora sulle mie ginocchiagli facevo mille moinemille scherzucci. E loro mi carezzavano con tanta grazia!

Facevamo colazione tutte le mattine insiemepranzavamoinsomma ero padremi godevo le mie figliole. Quand'erano in via della Jussiennenon facevano tanti ragionamentinon sapevano nulla del mondomi volevano bene. Mio Dio!perché non sono rimaste sempre piccole? (Oh!quanto soffrola testa mi scoppia!) Ah!ah!perdonatemifigliole miesoffro terribilmentee deve essere proprio un dolore forte assaiperché voi mi avete fatto diventare ben resistente al male. Mio Dio!se avessi solo le loro mani nelle mienon sentirei affatto il mio male. Credete che verranno?

Cristoforo è tanto stupido! Avrei dovuto andarci io stesso. Lui le vedràlui. Ma voi siete stato ieri al ballo. Ditemidunquecom'erano? Non sapevano nulla della mia malattiaè vero? Non avrebbero allora ballatopovere piccole! Oh!non voglio più star male. Hanno ancora troppo bisogno di me. Le loro fortune sono compromesse. E di quali mariti sono in balìa! Fatemi guarirefatemi guarire. (Oh!quanto soffro! Ah! ah! ah!) Capite? Bisogna che guariscaperché gli serve del denaroe io so dove poterlo guadagnare. Andrò a fabbricare amido in aghi a Odessa. Sono furboioe guadagnerò milioni. (Oh!soffro troppo!). - Goriot tacque per un istante e parve fare ogni sforzo per riunire le sue forze al fine di sopportare il dolore.

- Se loro fossero quinon mi lamenterei - disse. - E allora perché lamentarmi?

Un lieve assopimento sopravvennee durò a lungo. Cristoforo intanto tornò. Rastignaccredendo che papà Goriot dormisselasciò che il domestico gli riferisse ad alta voce l'esito della sua missione.

- Signore - questi disse - sono andato prima dalla contessa ma non le ho potuto parlareperché aveva molto da fare con suo marito. E siccome insistevoil signor de Restaud è venuto lui stesso e mi ha detto proprio così: "Se il signor Goriot muoreebbeneè quanto di meglio può fare. Ho bisogno della signora de Restaud per portare a termine degli affari importantilei ci verrà quando tutto sarà finito". Pareva molto in colleraquel signore. Mentre stavo per uscirela signora è entrata in anticamera da una porta che non avevo vistoe m'ha detto: "Cristoforodì a mio padre che io sto discutendo con mio maritoe che adesso non posso lasciarlo; si tratta della vita o della morte dei miei figli; manon appena avrò finitoverrò". Quanto alla signora baronessaaltra storia! Non l'ho vistae non le ho potuto parlare. "Oh!"mi ha detto la camerierala signora è tornata dal ballo alle cinque e un quarto, e ora dorme; se la sveglio prima di mezzogiorno, mi sgrida. Le dirò che suo padre peggiora, quando mi chiamerà. Per una brutta notizia c'è sempre tempo. Ho avuto un bel pregare! Ah!sìho anche chiesto di parlare al signor baronema era uscito.

Nessuna delle figlie verrà! - esclamò Rastignac. - Adesso scrivo a tutte e due.

- Nessuna - disse il vecchio drizzandosi a sedere sul letto. - Devono pensare agli affaridormono: esse non verranno. Lo sapevo.

Bisogna morire per sapere che cosa sono i figli. Ah!amico mionon prendete moglienon fate figli! Gli date la vitae loro vi danno la morte. Li fate entrare nel mondoe loro ve ne discacciano. Nonon verranno! So questo da dieci anni. Me lo dicevo qualche voltama non osavo crederlo. - Una lacrima spuntò in ciascuno dei suoi occhisi fermò sull'orlo rossoe non cadde.

- Ah!se fossi riccose avessi conservato il mio patrimoniose non glielo avessi donatoesse sarebbero quimi leccherebbero le guance coi loro baci! Abiterei in un palazzoavrei belle stanzedomestici e fuoco per riscaldarmi; esse sarebbero tutte in lacrimecoi loro mariti e i loro figli. Avrei tutto questo. E invecenulla! Il denaro procura tuttoanche le figlie. Oh!il mio denarodov'è? Se avessi tesori da lasciareesse mi assisterebberomi curerebbero; le sentireile vedrei. Ah!mio caro figliolomio solo figliolopreferisco l'abbandono in cui sono lasciatoe la mia miseria! Almenoquando un poveretto è amatoè ben sicuro d'essere amato. Ma no!vorrei essere riccoperché allora le vedrei. In fede miachi sa? Esse hanno tutte e due un cuore di pietra. Gli volevo troppo bene perché ne potessero volere a me. Un padre deve essere sempre riccodeve tenere i figli a freno come i cavalli di cui non c'è da fidarsi. E io che stavo sempre in ginocchio innanzi a loro! Le sciagurate! Questo è il degno coronamento d'un modo d'agire verso di me che dura da dieci anni. Se sapeste come avevano tutti i riguardi per me nei primi tempi del loro matrimonio! (Ohsto soffrendo un crudele martirio!). Avevo dato a ognuna circa ottocentomila franchi; allora né loroné i loro mariti potevano trattarmi male. Mi ricevevano: "Mio buon papàdi quimio caro padredi là". Il coperto per me era sempre pronto in casa loro. Pranzavo coi loro maritiche mi trattavano con considerazione. Poteva sembrare che io possedessi anche qualcos'altro. Perché questo? Perché non avevo mai parlato dei miei interessi. Un uomo che dà ottocentomila franchi alle proprie figlie era un uomo da tenersi da conto. E mi venivano usati tutti i riguardima era solo per il mio denaro. Il mondo non è bello. L'ho visto io! Mi portavano in carrozza al teatroe prendevo parte alle loro serate fin quando mi pareva.

Insommasi vantavano d'essere figlie miee mi riconoscevano come padre loro. Non sono mica uno scioccoandiamo! e nulla m'è sfuggito. Tutto è stato fatto con perfida astuziae ne ho il cuore trafittoLo vedevo bene che erano tutte finzionima il male non aveva rimedio. In casa loro non stavo mica senza alcuna soggezionecome a tavola qui sotto. Non sapevo che dire. E quando qualcuno del loro ambiente mondano domandava all'orecchio dei miei generi: "Chi è quel signore lì?". "E' il padre con gli scudiè ricco". "Ah!caspita!"si dicevae mi si guardava col rispetto dovuto agli scudi. E se qualche volta potevo essergli di disturbocompensavo lautamente i miei difetti! D'altrondechi è perfetto?

(la mia testa è una piaga!). Io sto soffrendo in questo momento quel che si deve soffrire per moriremio caro signor Eugenio; eppurequesto è niente a paragone del dolore che mi diede il primo sguardo col quale Anastasia mi fece capire che avevo detto una sciocchezzadi cui si vergognò: quel suo sguardo mi aprì tutte le vene. Avrei voluto saper tante cosema quel che avevo intanto ben saputo era che ormai ero di troppo su questa terra.

L'indomaniandai da Delfina per consolarmima pure lì commisi un'altra sciocchezza che la fece andare in collera. Ci diventai quasi pazzo. Passai otto giorni senza sapere quel che dovevo fare.

Non osai più andarle a trovareper il timore dei loro rimproveri.

Ed eccomi messo alla porta dalle mie figlie. Ohmio Dio!tu che conosci le miseriei patimenti da me sopportatitu che hai contato le pugnalate da me ricevute durante tutto questo tempo che mi ha fatto diventare vecchiomi ha cambiatouccisoincanutito:

perché mi fai soffrire anche adesso? Ho ben espiato il peccato d'amarle troppo. Esse si sono ben vendicate del mio affettomi hanno attanagliato come carnefici! Eppurei padri sono così sciocchi! Le ho amate tantoche ci sono ritornato come un giocatore al gioco. Le mie figlie erano il mio vizio; erano le mie padroneinsomma tutto. Se avevano tutte e due bisogno di qualche cosadi qualche ornamentole cameriere me lo dicevanoe io glielo regalavo per essere bene accolto! E mi hanno dato anche qualche lezioncina sul modo di comportarmi in società. Oh!per darmelenon hanno aspettato il giorno dopo. Cominciavano a vergognarsi di me. Ecco che cosa vuol dire dare una buona educazione ai propri figli. Alla mia età non potevo mica andare a scuola. (Soffro orribilmentemio Dio!e i medicichiamate i medici! Se mi aprissero la testasoffrirei di meno). Ma le figliele mie figlieAnastasia!Delfina! Voglio vederle.

Mandate la gendarmeria a cercarlela polizia! La giustizia è dalla parte miatutto è dalla parte miala naturail codice civile. Io protesto. La patria periràse i padri sono calpestati.

Questo è chiaro. La societàil mondo si basano sulla paternità; tutto crolla se i figli non amano i loro padri. Oh!vederlesentirlenon importa quel che mi dirannopurché io senta la loro vocequesto calmerà i miei doloriDelfina soprattutto. Ma ditegliquando saranno quiche non mi guardinocome fanno semprefreddamente. Ah!mio buon amicosignor Eugeniovoi non sapete cosa sia vedere l'oro dello sguardo cambiarsi tutto insieme in grigio piombo. Dal giorno in cui i loro occhi non hanno più raggiato su di meè stato sempre inverno qui per me; non ho avuto più che dolori da ingoiaree li ho ingoiati! Ho vissuto solo per essere umiliatoinsultato. Le amo tantoche mandavo giù tutti gli affronti coi quali mi vendevano una misera gioia per me vergognosa. Un padre che si deve nascondere per vedere le sue figlie! Gli ho dato la mia vitae loro oggi non mi daranno neppure un'ora! Ho seteho fameil cuore mi bruciae loro non verranno ad alleviare la mia agoniaperché io muoiolo sento. Ma non sanno dunque che cosa vuol dire calpestare il cadavere del loro padre? C'è un Dio nei cielie Lui ci vendica nostro malgradonoi padri. Oh!esse verranno! Venitemie carevenite ancora a baciarmiun ultimo bacioil viatico di vostro padreche pregherà Dio per voiche Gli dirà che siete state brave figlioleche vi difenderà! Dopo tuttosiete innocenti. Sono innocentiamico mio! Ditelo bene a tuttie che non siano rimproverate per causa mia. La colpa è tutta miasono io che le ho abituate a calpestarmi. Mi faceva piacere. Questo non riguarda nessun altroné la giustizia umanané quella divina. Dio sarebbe ingiusto se le condannasse per causa mia. Non ho saputo regolarmiho avuto il torto di abdicare i miei diritti. Mi sarei umiliato per loro! Che volete! anche il miglior caratterele migliori anime avrebbero ceduto alla corruzione di questa arrendevolezza paterna. Sono uno sciaguratoe la mia punizione è giusta. Io solo sono responsabile dei torti delle mie figliesono io che le ho guastate. Esse vogliono oggi il piacerecome volevano una volta le chicche. Gli ho sempre permesso di soddisfare ogni loro capriccio di giovinette. A quindici anni avevano già carrozza! Non hanno avuto mai una rémora. Io solo sono colpevolema colpevole per amore. La loro voce mi allargava il cuore. Le sento arrivarevengono. Oh!sìverranno. La legge comanda che si vada a veder morire il padrela legge sta dalla parte mia. E poiquesto non costerà che la spesa d'una corsa in vettura. La pagherò io.

Scrivetegli che ho da lasciargli dei milioni! Parola d'onore!

Andrò a fabbricare paste alimentari a Odessa. Conosco il modo. Col mio progetto c'è da guadagnar milioni. Nessuno ci ha pensato. E' merce che non si guasterà durante il trasportocome il grano o la farina. Eh! eh!l'amido? Saranno milioni! Non gli direte una bugiaditegli che si tratta proprio di milionieseppure venissero qui per il loro interessepreferisco che m'inganninoma almeno le vedrò. Voglio le mie figlie! Le ho fatte io! Sono mie! - disse drizzandosi a sedere sul lettomostrando a Eugenio la testa dai capelli bianchi sconvolti e che minacciavacon tutto quel che poteva esprimere minaccia.

- Andiamo - gli disse Eugenio - mettetevi giùmio buon papà Goriotadesso gli scrivo. Non appena Bianchon torneràandrò da lorose non vengono.

- Se non vengono? - ripeté il vecchio singhiozzando. - Ma allora mi troveranno mortomorto in un accesso di rabbiadi rabbia! La rabbia mi prende! In questo momentorivedo tutta la mia vita.

Sono stato ingannato! Non mi vogliono più benenon m'hanno mai voluto bene!questo è chiaro. Se non son venutenon verranno più. Più tarderannomeno si decideranno a darmi questa gioia. Le conosco. Esse non hanno mai saputo capire i miei cruccii miei dolorii miei desiderie tanto meno si renderanno conto della mia morte; esse non capiscono neppure il segreto della mia tenerezza. Sìlo sol'abitudine di strapparmi le viscere gli ha fatto svalutare tutto quel che facevo per loro. Se mi avessero chiesto di potermi cavar gli occhigli avrei detto:

"Cavatemeli!". Sono troppo stupido... Esse credono che tutti i padri siano come il loro. Bisogna sempre farsi rispettare. I loro figli mi vendicheranno. Ma è loro interesse venir qui. Avvertitele checosìcompromettono la loro agonia. Commettono tutti i delitti in uno solo. Ma andate dunque subito da loroditegli che il non venire è un parricidio! Ne hanno già commessi abbastanzae non c'è bisogno di aggiungere anche questo; e gridate come faccio io: "Eh!Nasia! Eh!Delfina!venite da vostro padreche è stato così buono con voie che ora soffre tanto!". Nientenessuno. Dovrò allora morire proprio come un cane? Ecco come sono ricompensato: con l'abbandono. Sono delle infamidelle scellerate; le abominole maledico; mi leverò la notte dalla tomba per rimaledirleperché insommaamici mieiho forse torto?esse si comportano molto male!no? Ma che mi dico? Non mi avete detto che Delfina è là? E' la migliore delle due. Voi siete mio figlioEugeniovogliatele benesiate un padre per lei.

L'altra è tanto disgraziata. E i loro interessi? Ah!mio Dio!muoiosoffro un po' troppo. Tagliatemi la testalasciatemi soltanto il cuore.

- Cristoforoandate a cercare Bianchon! - gridò Eugeniospaventato dal tono che assumevano i gemiti e le grida del vecchioe chiamatemi una vettura.

- Vado a cercare le vostre figliemio buon papà Goriotve le porterò qui.

- Con la forza! Con la forza! Chiedete le guardiei soldatitutto! - dissevolgendo verso Eugenio un ultimo sguardo in cui brillò il senno. - Dite al governoal procuratore del re che mi siano condotte quilo voglio!

- Ma le avete maledette.

- Chi vi ha detto questo? - rispose il vecchio stupefatto. - Voi non sapete che le amoche le adoro! Sono guaritose le vedo...

Andatemio buon vicinomio caro figlioloandatevoi siete tanto buonovoi; vorrei dimostrarvi la mia riconoscenzama non ho da darvi che la benedizione d'un moribondo. Ah!vorrei almeno vedere Delfinaper dirle di disobbligarmi verso di voi. Se l'altra non puòportatemi qui quella. Ditele che non le vorrete più benese non vuol venire. Lei vi vuole tanto beneche verrà.

Da bere! Le viscere mi bruciano! Mettetemi qualcosa sulla testa.

La mano delle mie figliequesto mi salverebbelo sento... Mio Dio!chi rifarà la loro dotese me ne vado? Voglio andare a Odessa per loroa Odessaper fabbricarvi paste alimentari.

- Bevete questo - disse Eugenio sollevando il moribondo e prendendolo col suo braccio sinistromentre con l'altro teneva una tazza piena di tisana.

- Voi sì che dovete amare vostro padre e vostra madre - disse il vecchio stringendo con le mani già quasi perdute la mano di Eugenio. - Lo capite che sto per morire senza vederlele mie figlie? Aver sempre sete e mai bereecco come ho vissuto per dieci anni... I miei due generi hanno ucciso le mie figlie. Sìnon ho più avuto figlie dopo che si sono sposate. Padridite al parlamento di fare una legge sul matrimonio! E non maritate mai le vostre figliese le amate. Il genero è uno scellerato che tutto corrompe in una figliainsudicia tutto. Niente più matrimonio! E' quel che ci toglie le nostre figliee non le abbiamo più quando moriamo. Fate una legge sulla morte dei padri. Tutto questo è spaventoso! Vendetta! Sono i miei generi che gli impediscono di venire. Uccideteli! A morte Restauda morte l'Alsazianosono i miei assassini! La morte o le mie figlie! Ah!è finitamuoio senza di loro! Loro! NasiaFifinasuvenite dunque!vostro padre se ne va...

- Mio buon papà Goriotcalmateviandiamostate tranquillonon vi agitate.

- Non vederleecco l'agonia!

- Le vedrete.

- Davvero? - gridò il vecchio con aria smarrita. - Oh!vederle!

Sto per vederlesto per sentire la loro voce. Morirò contento.

Ebbene!sìnon domando più di viverenon ci tenevo piùle mie pene andavano crescendo. Ma vederletoccare le loro vestiah!niente altro che le loro vestiè ben pocoma che senta almeno qualcosa di loro! Fatemi prendere i loro capelli... pelli...

Cadde con la testa sul guancialecome se avesse ricevuto un colpo di mazza. Le sue mani si agitarono sulla copertacome per prendere i capelli delle figlie.

- Le benedico - disse in uno sforzo supremo... - benedico.

A un tratto si accasciò. In quel momento entrò Bianchon.

- Ho incontrato Cristoforo - disse - ora ti porta una vettura. - Poi guardò il malatogli sollevò con forza le palpebree i due studenti videro l'occhio senza più vitavitreo- Non si riprenderà - disse Bianchon - almeno non credo. - Gli prese il polsolo palpòmise la mano sul cuore del bonuomo.

- La macchina cammina ancora; ma nel caso suo è una disgraziasarebbe meglio che morisse subito!

- In fede miasì - disse Rastignac.

- Ma tu cos'hai? Sei pallido come la morte.

- Amico mioho sentito fino adesso i suoi gridi e i suoi lamenti.

Ma c'è un Dio! Ohsìc'è un Dioe deve averci preparato un mondo migliorealtrimenti la nostra terra è un non senso. Se lo spettacolo non fosse stato così tragicomi sarei sciolto in lacrime; ma ho il cuore e lo stomaco orribilmente stretti.

- Di' suqui occorrono tante cose; dove trovare i soldi ?

Rastignac cavò di tasca l'orologio.

- Tienivallo a impegnare. Non voglio fermarmi per la strada perché temo di perdere anche un solo minutoe poi attendo Cristoforo. Non ho un centesimobisognerà pagare il vetturino quando tornerò.

Rastignac si precipitò per le scalee corse in via Helderdalla signora de Restaud. Lungo la stradala sua immaginazionecolpita dall'orrendo spettacolo cui aveva assistitoriscaldò la sua indignazione. Quando giunse in anticamerae domandò della signora de Restaudle risposero che non era possibile vederla.

- Ma - disse al domestico - vengo da parte di suo padreche sta morendo.

- Signoreabbiamo ricevuto dal signor conte gli ordini più severi...

- Se c'è il signor de Restaudditegli in quali condizioni versa suo suoceroe avvertitelo che bisogna che io gli parli all'istante.

Eugenio attese a lungo.

"Forse in questo momento sta morendo"pensava. Il domestico l'introdusse nel primo salottodove il signor de Restaud ricevette lo studente in piedisenza farlo sederedinanzi a un caminetto senza fuoco.

- Signor conte - gli disse Rastignac - vostro suocero sta spirando in questo momento in un tugurio infamesenza neppure un soldo per procurarsi un po' di legna; egli è proprio in fin di vitae chiede di rivedere sua figlia.

- Signore - gli rispose freddamente il conte de Restaud- avrete avuto modo di accorgervi che io nutro una ben scarsa affezione per il signor Goriot. Egli ha guastato il carattere della signora de Restaudè stato la disgrazia della mia vitavedo in lui il nemico della mia tranquillità. Che muoiache vivala cosa mi è del tutto indifferente. Ecco quali sono i miei sentimenti a suo riguardo. Il mondo potrà biasimarmima io non mi curo della sua opinione. Ora ho cose assai più importanti da concludere che non quella d'occuparmi di quel che penseranno di me degli sciocchi o degli indifferenti. Quanto alla signora de Restaudnon è in grado di uscire. E poinon voglio che lasci la casa. Dite a suo padre chenon appena avrà adempiuto i suoi doveri verso me e verso suo figlioandrà a vederlo. Se vuol bene a suo padrepotrà essere libera tra qualche istante...

- Signor contenon spetta a me giudicare la vostra condotta; voi siete il padrone di vostra moglie; ma io posso contare sulla vostra lealtàe allora promettetemi solo di dirle che non ha più un giorno di vitae che l'ha già maledetta non vedendola al suo capezzale!

- Diteglielo voi stesso - rispose il signore de Restaudcolpito dal sentimento d'indignazione che l'accento di Eugenio tradiva.

Rastignac entròaccompagnato dal contenel salotto dove la contessa stava abitualmente; la trovò in lacrimesprofondata in una poltronadisperata. Gli fece pietà. Prima di guardare Rastignacrivolse a suo marito timidi sguardi che dimostravano una prostrazione completa delle sue forzeschiacciate da una tirannia morale e fisica. Il conte scosse la testaed essa si credette allora incoraggiata a parlare.

- Signoreho già sentito tutto. Dite a mio padre chese conoscesse la situazione in cui mi trovomi perdonerebbe. Non prevedevo anche questo supplizioesso è al di sopra delle mie forzema resisterò fino all'ultimo - disse rivolta a suo marito.

- Sono madre. Dite a mio padre che sono irreprensibile verso di luinonostante le apparenze - esclamò con disperazionerivolta allo studente.

Eugenio salutò i dueintuendo l'orribile crisi che quella donna attraversavae se ne andò stupefatto. Il tono del signor de Restaud gli aveva dimostrato l'inutilità del suo passoe capì che Anastasia non era più libera. Corse allora dalla signora de Nucingene la trovò ancora a letto.

- Sto malemio buon amico - gli disse. - Ho preso freddo nell'uscir dal balloho paura di avere una polmonitee sto aspettando il medico...

- Anche se foste in punto di morte - le disse Eugenio interrompendola - vi dovete trascinare fino a vostro padre.

V'invoca! Se poteste udire il più debole dei suoi gridinon vi sentireste più alcun male.

- Eugeniomio padre non è forse tanto malato come voi ditema io sarei disperata se dovessi sembrarvi colpevolee farò quanto vorrete. Luilo somorirebbe di crepacuore se la mia malattia divenisse mortale per essere io uscita di casa. Ebbeneverrò non appena il medico mi avrà visitata. Ah! perché non avete più l'orologio?- domandò non vedendo più la catena. Eugenio arrossì. - Eugenio!Eugeniose voi l'aveste già vendutoo perduto... oh!questo sarebbe molto brutto. - Lo studente si chinò verso il letto di Delfinae le disse all'orecchio:

- Volete saper la verità? Ebbenesappiatela! Vostro padre non ha di che comprarsi il sudario nel quale sarà avvolto stasera. Il vostro orologio è stato impegnatonon avevo più un soldo.

Delfina saltò d'un sùbito fuori del lettocorse allo scrittoione trasse la borsa e la tese a Rastignac. Poi suonòe gridò:

- Ci vengoci vengoEugenio. Lasciatemi vestire; ma sarò un mostro! Arriverò prima di voi! Teresa - gridò alla sua cameriera - dite al signor de Nucingen che salga subitodevo parlargli.

Eugeniofelice di poter annunciare al morente la presenza d'una delle sue figliearrivò quasi lieto in via Neuve-Sainte- Geneviève. Frugò nella borsa per poter pagare subito il vetturino.

La borsa della giovane signoracosì riccacosì eleganteconteneva sessantasei franchi. Giunto in cima alla scalatrovò che il chirurgo dell'ospedale stava operando papà Goriotsostenuto da Bianchon e sotto la sorveglianza del medico. Gli applicavano delle ventose alla schienaultimo rimedio della scienzarimedio inutile.

- Li sentite? - domandava il medico.

Papà Goriotintravisto lo studenterispose: - Vengononon è vero? - Può cavarsela - disse il chirurgo - parla.

- Sì - rispose Eugenio - Delfina mi segue.

- Oh! - fece Bianchon - parlava delle figliee le invoca come un uomo sul paloa quanto si dicedopo l'acqua...

- Basta - disse il medico al chirurgo - non c'è più nulla da farenon lo salveremo.

Bianchon e il chirurgo rimisero il morente disteso sul suo infetto giaciglio.

- Bisognerebbe però cambiargli la biancheria - disse il medico. - Sebbene non ci sia alcuna speranzasi deve rispettare in lui la natura umana. TorneròBianchon - disse allo studente. - Se si lamentasse ancoraapplicategli dell'oppio sul diaframma.

Il chirurgo e il medico uscirono.

- AndiamoEugeniocoraggiofiglio! - disse Bianchon a Rastignac quando furono soli- bisogna mettergli una camicia pulita e cambiare la biancheria. Va' a dire a Silvia che porti su le lenzuola e che ci venga ad aiutare.

Eugenio scese e trovò la signora Vauquer occupata ad apparecchiare la tavola insieme a Silvia. Alle prime parole che le rivolse Rastignacla vedova gli si avvicinòassumendo l'aria agrodolce d'una commerciante sospettosa che non voglia né perdere il suo denaroné urtare il cliente.

- Caro signor Eugenio - essa rispose - lo sapete bene quanto mepapà Goriot non ha più un soldo. Dare le lenzuola a un uomo che sta per moriresignifica perderletanto più che se ne dovrà sacrificare una come sudario. Per cuivoi mi dovete già centoquarantaquattro franchi; mettete quaranta franchi di lenzuolae qualche altra piccola cosala candela che vi darà Silvia: tutto questo fa almeno duecento franchiche una povera vedova come me non si può permettere il lusso di perdere. Eh!insommasiate giustosignor Eugenio; ho perduto già abbastanza in questi cinque giornida quando la jettatura ha preso stanza in casa mia. Avrei pagato io dieci scudi perché quel bonuomo se ne fosse già andato i giorni scorsicome avevate detto. Il suo stato fa una brutta impressione sui pensionanti. Se si trattasse d'una lieve indisposizione lo farei portare all'ospedale. Infinemettetevi al mio posto. La mia pensione prima di tutto; essa è la vitaper me.

Eugenio risalì rapidamente da papà Goriot.

- Bianchone il denaro dell'orologio?

- E' sul tavolone restano trecentosessanta e pochi altri franchi. Con quanto mi hanno dato ho pagato tutto quel che dovevamo. La ricevuta del Monte di Pietà sta sotto il denaro.

- Prendetesignora - disse Rastignac dopo aver sceso a precipizio la scala in preda a un senso d'orrore - saldate i conti. Il signor Goriot non rimarrà a lungo in casa vostrae neppure io...

- Sìuscirà coi piedi in avantiil povero bonuomo - essa disse contandosi duecento franchi con un'aria metà lieta e metà malinconica.

- Facciamo presto - disse Rastignac.

- Silviadategli le lenzuola e andate sopraad aiutare questi signori.

- Non vi dimenticherete di Silvia - disse la signora Vauquer all'orecchio di Eugenio - ha fatto due nottate.

Non appena Eugenio ebbe voltato le spallela vecchia corse dalla cuoca:

- Prendi le lenzuola rivoltatenumero sette. Saranno sempre abbastanza buone per un morto - le disse all'orecchio.

Eugenioche aveva già salito qualche gradino della scalanon sentì le parole della vecchia padrona.

- Su - gli disse Bianchon - cambiamogli la camicia. Tienilo ritto.

Eugenio si pose a capo del letto e sorresse il moribondocui Bianchon tolse la camicia; il bonuomo fece un gesto come per conservare qualcosa sul suo pettoed emise grida lamentose e inarticolatecome gli animali quando hanno da esprimere un grande dolore.

- Oh!oh! - disse Bianchon - vuole una catenina di capelli e un medaglione che gli abbiamo levato poco faper applicargli i cauteri. Pover'uomo. Bisogna ridargliela. Sta sul caminetto.

Eugenio andò a prendere una catenina di capelli intrecciati biondo ceneresenza dubbio quelli della signora Goriot. In una faccia del medaglione lesse: Anastasia; nell'altra: Delfina. Immagine del suo cuore che riposava sempre sul suo cuore. I boccoli contenuti nel medaglione erano talmente finiche dovevano essere stati presi durante la prima infanzia delle due figlie. Quando il medaglione toccò il suo pettoil vecchio fece un "han!" prolungatoche significava una soddisfazionema pur spaventosa a vedersi. Era una delle ultime manifestazioni della sua sensibilitàche sembrava ritrarsi verso quel centro sconosciuto da cui partono e a cui s'indirizzano le nostre simpatie. Il suo viso convulso assunse un aspetto di gioia malata. I due studenticolpiti da quel tremendo scoppio di una forza di sentimento che sopravviveva al pensieropiansero calde lacrime sul morenteche gettò un grido di piacere acuto.

- Nasia! Fifina! - disse.

- Vive ancora - fece Bianchon.

- E a che gli serve? - disse Silvia.

- A soffrire - rispose Rastignac.

Dopo aver fatto al suo camerata un segno per indicargli d'imitarloBianchon si mise in ginocchio per poter passare le sue braccia sotto le gambe del malatomentre Rastignac faceva altrettanto dall'altra parte del lettoper poter passare le sue mani sotto la schiena. Silvia era lìpronta a levare le lenzuola non appena il moribondo fosse stato sollevatoper rimpiazzarle con quelle da lei portate. Ingannato senza dubbio dalle lacrimeGoriot usò le ultime sue forze per stendere le maniincontrò d'ambo i lati del letto le teste degli studentile prese con violenza per i capellie si udì debolmente: "Ah!miei angeli!".

Due paroledue mormorii accentuati dall'animache su quelle parole s'involò.

- Pover'uomo - disse Silvia intenerita da quella esclamazioneove s'era espresso un sentimento supremo che la più orribile e la più involontaria delle menzogne aveva esaltato un'ultima volta.

L'ultimo sospiro di quel padre doveva essere un sospiro di gioia.

Quel sospiro fu l'espressione di tutta la sua vita: s'ingannava ancora! Papà Goriot fu pietosamente riadagiato sul suo giaciglio.

A partire da quel momentola sua fisionomia conservò la dolorosa impronta del combattimento impegnato tra la morte e la vita in un organismo che non aveva più quella specie di coscienza cerebrale da cui risultano i sentimenti di piacere e di dolore per l'essere umano. Ma era soltanto questione di tempo; poisarebbe sopravvenuto il disfacimento.

- Resterà così qualche orae morirà senza che ce ne accorgiamonon rantolerà neppure. Il cervello deve ormai essere completamente invaso dal siero.

In quel momento si sentì un passo di giovane donna ansimante.

- Arriva troppo tardi - disse Rastignac.

Non era Delfinaera Teresala sua cameriera - Signor Eugenio - disse - è scoppiata una scenata violenta tra il signore e la signoraa proposito del denaro chiesto dalla mia povera signora per suo padre. E' svenutaè accorso il medicoha dovuto farle un salassoe lei gridava: "Mio padre muorevoglio rivedere il mio papà!". Gridacredeteda spezzare il cuore.

- BastaTeresa. Anche se venisseadesso sarebbe inutilepapà Goriot ha perduto conoscenza.

- Povero signorema allora è molto grave! - disse Teresa.

- Se non avete più bisogno di mevado a pensare al pranzosono già le quattro e mezza - disse Silviache poco mancò non si scontrasse in cima alla scala con la signora de Restaud.

Fu un'apparizione grave e terribilequella della contessa. Essa guardò il letto del mortomal rischiarato da una sola candelae pianse quando vide la maschera di suo padresulla quale palpitavano ancora gli ultimi sussulti della vita. Bianchon si ritiròper discrezione.

- Non sono arrivata in tempo - disse la contessa a Rastignac.

Lo studente fece con la testa un cenno affermativopieno di tristezza.

La signora de Restaud prese la mano di suo padrela baciò.

- Perdonatemipadre mio! Dicevate che la mia voce vi avrebbe richiamato dalla tomba; ebbene! tornate un momento alla vita per benedire vostra figliapentita. Ascoltatemi. Tutto ciò è spaventoso!la vostra benedizione è la sola che io possa ormai ricevere su questa terra. Tutti mi odianovoi solo mi amate.

Anche i miei figli mi odieranno. Portatemi con voivi ameròvi assisterò. Non mi sente piùdivento pazza. - Cadde in ginocchioe contemplò quel resto umano con una espressione di delirio. - Nulla più manca alla mia sciagura - disse guardando Eugenio. - Il signor de Trailles è partitolasciando debiti enormie ho saputo che mi tradiva. Mio marito non mi perdonerà maie l'ho lasciato padrone dei miei averi. Ho perduto tutte le mie illusioni. Ahimè!

per chi ho tradito il solo cuore (indicò suo padre) da cui ero adorata! L'ho rinnegatol'ho respintogli ho dato mille dispiaceriinfame che sono!

- Egli lo sapeva - disse Rastignac.

In quel momento papà Goriot schiuse gli occhima per effetto d'una convulsione. Il gesto che rivelava la speranza della contessa non fu meno orrendo a vedersi che l'occhio del morente.

- Mi sentirà? - esclamò la contessa. - No - essa si risposesedendosi vicino al letto.

Avendo la signora de Restaud espresso il desiderio di vegliare suo padreEugenio scese per prendere un po' di cibo. I pensionanti erano già riuniti.

- Ebbene - gli domandò il pittore - pare che su staremo per avere un piccolo mortoramaè vero?

- Carlo - gli rispose Eugenio - mi sembra sarebbe più opportuno che scherzaste su qualche argomento meno lugubre.

- Allora qui non si potrà più ridere? - riprese a dire il pittore.

- Cosa c'è di malese Bianchon dice che il bonuomo ha perduto conoscenza?

- E poi - disse l'impiegato al Museo - lui morirà come ha vissuto.

- Mio padre è morto - gridò la contessa.

A questo grido terribileSilviaRastignac e Bianchon salirono e trovarono la signora de Restaud svenuta. Dopo averla fatta rinvenirela trasportarono nella carrozza che l'attendeva.

Eugenio l'affidò alle cure di Teresaordinandole di condurla in casa della signora de Nucingen.

- Oh!è proprio morto - disse Bianchon scendendo.

- Andiamosignoria tavola - disse la signora Vauquer - la zuppa si fredda.

I due studenti si misero vicini.

- Che si deve fare adesso? - domandò Eugenio a Bianchon.

- Gli ho già chiuso gli occhie l'ho composto. Quando il medico comunale avrà constatato il decesso che adesso andremo a denunciarelo si cucirà entro un lenzuolo e lo si sotterrerà. Che ne sarà di lui?

- Non odorerà più il pane così - disse un pensionante imitando la smorfia del bonuomo.

- Sacramento!signori - disse il ripetitore - lasciate stare papà Goriote non ce ne fate fare un'indigestione; è da un'ora che ci è stato servito in tutte le salse! Uno dei privilegi della brava città di Parigi è quello di poter nascereviveremorire senza che nessuno ci faccia attenzione. Approfittiamo perciò dei vantaggi della civiltà. Oggi sono morte sessanta persone; vi volete proprio impietosire delle ecatombi parigine? Se papà Goriot è crepatotanto meglio per lui! Se lo adoravateandate a vegliarloe a noi lasciateci mangiare in pace.

- Oh!sì - disse la vedova - meglio per lui che sia morto! Pare che il pover'uomo abbia avuto parecchi dispiaceridurante la sua vita.

Questa fu la sola orazione funebre di un essere cheper Eugeniorappresentava la Paternità. I quindici pensionanti si misero a parlare come il solito. Quando Eugenio e Bianchon ebbero finito di mangiareil rumore delle forchette e dei cucchiaile risa della conversazionele diverse espressioni di quelle facce ingorde e indifferentila loro noncuranzatuttoinsommali ghiacciò d'orrore. Uscirono per andare a chiamare un prete che vegliasse e pregasse durante la notte vicino al morto. Fu loro necessario limitare gli estremi doveri da compiere verso il bonuomo entro la piccola somma di cui potevano disporre. Verso le nove di serala salma fu collocata su di una brandinatra due candelein quella camera nudae un prete venne a sedersi accanto a essa. Prima di coricarsi Rastignacdopo aver chiesto informazioni al prete sul prezzo del servizio funebre e su quello del trasportoscrisse due righe al barone de Nucingen e al conte de Restaudpregandoli d'inviare loro incaricati per provvedere a tutte le spese della sepoltura. Mandò loro Cristoforopoi si coricò e s'addormentò affranto dalla stanchezza. L'indomani mattina Bianchon e Rastignac dovettero recarsi essi stessi a denunciare il decessoche verso mezzodì fu constatato. Due ore dopo nessuno dei due generi aveva inviato il denaronessuno s'era presentato a loro nomee Rastignac aveva già dovuto pagare gli onorari del prete. E poiché Silvia aveva domandato dieci franchi per cucire il bonuomo nel lenzuolo e disporlo nella cassaEugenio e Bianchon calcolarono chese i parenti del morto non avessero sopperito ad alcuna spesaessi sarebbero appena riusciti a provvedervi. E allora lo studente in medicina prese lui stesso l'incarico di porre il cadavere in una cassa da poveroche fece venire dall'ospedaledove poté pagarla al minor prezzo.

- Fa' uno scherzo a quei bei tipi là - disse a Eugenio. - Vai ad acquistare un'areaper cinque annial Père-Lachaisee ordina un servizio di terza classe in chiesa e alle pompe funebri. Se i generi e le figlie si rifiuteranno di rimborsartitu farai incidere sulla tomba queste parole: "Qui giace il signor Goriot padre della contessa de Restaud e della baronessa de Nucingen sepolto a spese di due studenti".

Eugenio seguì il consiglio dell'amico solo dopo essere stato inutilmente dal signore e dalla signora de Nucingen e dal signore e dalla signora de Restaud. Non poté varcare la soglia. I portieri avevano ricevuto ordini rigorosi:

- Il signore e la signora - dissero - non ricevono nessunoè morto il padree sono immersi nel più vivo dolore.

Eugenio aveva ormai sufficiente esperienza del mondo parigino per sapere che non doveva insistere. Si sentì una strana stretta al cuore quando si vide nell'impossibilità di giungere fino a Delfina.

"Vendete un gioiello"le scrisse dalla guardiola del portierema che vostro padre sia almeno portato decentemente alla sua ultima dimora.

Sigillò il biglietto e pregò il portiere del barone di consegnarlo a Teresa per la signora; ma il portiere lo consegnò invece al barone de Nucingenche lo gettò nel fuoco. Dopo aver fatto tutti i suoi passi Eugenio tornò verso le tre alla pensionee non poté trattenere una lacrima quando videalla porta di serviziola cassa coperta appena da un drappo nerodisposta su due sediepresso quella strada deserta. Un brutto aspersorioche nessuno aveva ancora toccatoera immerso in una piluccia di rame argentato piena d'acqua benedetta. La porta non era stata neppure parata a lutto. Era la morte dei poveriche non ha fastoné seguitoné amiciné parenti. Bianchoncostretto a rimanere in ospedaleaveva scritto due righe a Rastignac per fargli sapere quanto aveva combinato con la chiesa. Lo studente gli comunicava che una messa costava troppoche bisognava contentarsi del serviziopiù economicodella sola benedizionee che aveva mandato Cristoforocon un bigliettoalle pompe funebri. Nel momento in cui Eugenio finiva di leggere gli scarabocchi di Bianchonvide tra le mani della signora Vauquer il medaglione cerchiato d'oro che conteneva i capelli delle due figlie.

- Come avete osato prendere quell'oggetto? - le chiese.

- Diaminesi doveva forse sotterrarlo con quello? - rispose Silvia: - è d'oro.

- Certo! - riprese Eugenioindignato - che almeno porti con sé la sola cosa che possa rappresentare le sue due figlie.

Quando giunse il carro funebreEugenio fece riportare su la cassala schiodò e pose religiosamente sul petto del bonuomo una immagine che si riferiva a un tempo in cui Delfina e Anastasia erano giovanivergini e puree "non facevan tanti ragionamenti"com'egli aveva detto nei suoi gridi di agonizzante. Solo Rastignac e Cristoforocon due becchiniaccompagnarono il carro che portava il pover'uomo a Saint-Etienne-du Montchiesa poco distante dalla via Neuve-Sainte-Geneviève. Giunti lìla cassa fu portata in una piccola cappella bassa e oscuranella quale lo studente cercò invano le due figlie di papà Goriot o i loro mariti.

Era solo con Cristoforoche si credette in dovere di rendere gli estremi servigi a un uomo che gli aveva fatto guadagnare qualche buona mancia!

In attesa dei due pretidel chierico e del sagrestanoRastignac strinse la mano di Cristoforosenza poter pronunciare una parola.

- Sìsignor Eugenio - disse Cristoforo - era un bravo e onest'uomoche non alzava mai la voceche non faceva danno a nessuno e non ha mai fatto del male.

I due pretiil chierico e il sagrestano entrarono e diedero tutto quel che si può per settanta franchi in un'epoca in cui la religione non è così ricca da pregare gratis. Il clero cantò un salmoil "Libera"il "De profundis". La funzione durò venti minuti.

Fuori non c'era che una sola vettura delle pompe funebri per il prete e il chiericoi quali acconsentirono a ospitare Eugenio e Cristoforo.

- Appresso non viene nessuno - disse il prete; - potremo andare più svelti per non fare tardi; son già le cinque e mezza.

Ma nel momento in cui la salma fu introdotta nel carro funebredue carrozze blasonatema vuotequella del conte de Restaud e quella del barone de Nucingenapparvero e seguirono il convoglio fino al Père-Lachaise.

Alle sei la salma di papà Goriot fu calata nella fossaattorno alla quale si trovavano domestici delle sue figlieche scomparvero col clero non appena fu recitata la breve preghiera dovuta al bonuomo per il denaro all'uopo versato dallo studente.

Quando i due affossatori ebbero gettato poche palate di terra sulla cassaper nasconderlasi rialzarono e uno d'essirivolgendosi a Rastignacgli chiese la mancia. Eugenio si frugò nella tasca enon avendovi trovato nullafu costretto a farsi prestare venti soldi da Cristoforo. Questo particolaredi poca importanza in se stessoprovocò in Eugenio un senso d'orrenda tristezza. La giornata volgeva al tramontoun umido crepuscolo eccitava i suoi nervi; guardò la tomba e vi inumò l'ultima lacrima della sua gioventùquella lacrima strappata dalle tante emozioni d'un cuore purouna di quelle lacrime chedalla terra in cui cadonorisalgono fino al cielo. Incrociò le bracciacontemplò le nubi. Vedendolo in quell'atteggiamentoCristoforo pensò bene di lasciarlo.

Rastignacrimasto solofece qualche passo verso la parte alta del cimiteroe vide Parigi tortuosamente distesa lungo le due rive della Sennaove cominciavano ad accendersi i lumi.

I suoi occhi si fissarono quasi avidamente tra la colonna della piazza Vendome e la cupola degli Invalidilàdove viveva quel bel mondo nel quale aveva voluto penetrare. Egli gettò su quell'alveare ronzante uno sguardo che sembrava assorbirne in anticipo il mielee pronunciò queste parole grandiose:

- E oraa noi due!

E come primo atto di sfida lanciato alla societàRastignac andò a pranzo dalla signora de Nucingen.

 

 

Sachésettembre 1834