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François-Marie Arouet de Voltaire



CANDIDO

OVVERO
L'OTTIMISMO

 

 

 

 





CAPITOLOPRIMO


COMECANDIDO FU ALLEVATO IN UN BEL CASTELLO E COME NE VENNE CACCIATO


C'erain Vestfalianel castello del signor barone di Thunder-ten- tronckhun giovane al quale la natura aveva conferito i più miticostumi. Il suo aspetto ne rivelava l'anima. Possedeva un giudizioabbastanza rettounito a una grande semplicità; per ciòcredolo chiamavano Candido. I vecchi domestici del castellosospettavano fosse figlio della sorella del signor barone e di unonesto e buon gentiluomo dei pressi che madamigella non volle maicome marito perché non aveva potuto provare che settantunquarti: il resto del suo albero genealogico era stato distrutto dalleingiurie del tempo.


Ilbarone era uno dei più potenti signori della Vestfaliaperchéil suo castello aveva una porta e delle finestre. Il salone eraornato d'arazzi. Tutti i cani dei suoi cortiliall'occorrenzapotevano formare una muta; i palafrenieri gli facevano da bracchieriil vicario del villaggio da cappellano. Tutti lo chiamavanomonsignoree ridevano quando raccontava storielle.


Lasignora baronessache pesava circa trecentocinquanta libbreeragrazie a ciò assai consideratae faceva gli onori di casa conuna dignità che la rendeva ancora più rispettabile. Lafiglia Cunegondadiciassettenneaveva un bel coloritoera frescagrassottellaappetitosa. Il figlio del barone pareva in tutto degnodel padre. Il precettore Pangloss era l'oracolo della casae ilpiccolo Candido ne ascoltava le lezioni con tutta la buona fede dellasua età e del suo carattere.


Panglossinsegnava la metafisico-teologo-cosmoscemologia. Dimostrava inmaniera mirabile che non esiste effetto senza causae chein questoche è il migliore dei mondi possibiliil castello del signorbarone era il più bello dei castellie la signora baronessala migliore delle baronesse possibili.


"E'dimostrato" diceva"che le cose non possono esserealtrimenti:

giacchétutto è fatto per un finetutto è necessariamente peril miglior fine. Notate che i nasi sono stati fatti per portareocchiali; infatti abbiamo gli occhiali. Le gambe sono visibilmenteistituite per essere calzatee noi abbiamo le brache. Le pietre sonostate formate per essere tagliate e farne dei castelli; infattimonsignore ha un bellissimo castello: il massimo barone dellaprovincia dev'essere il meglio alloggiato; e poiché i maialisono fatti per essere mangiatinoi mangiamo maiale tutto l'anno.Perciòquanti hanno asserito che tutto va bene hanno dettouna sciocchezza: bisognava dire che tutto va per il meglio".


Candidoascoltava attentamentee innocentemente credeva: perchétrovava madamigella Cunegonda estremamente bellaanche se non siprese mai la libertà di dirglielo. Concludeva chedopo lafelicità di essere nato barone di Thunder-ten-tronckhilsecondo grado di felicità era d'essere madamigella Cunegonda;il terzo di vederla tutti i giornie il quarto di ascoltare mastroPanglossil massimo filosofo della provinciae quindi di tutta laterra.


Ungiorno Cunegondapasseggiando nei pressi del castellonel boschettoche chiamavano parcovide tra i cespugli il dottor Pangloss cheimpartiva una lezione di fisica sperimentale alla cameriera di suamadreuna brunetta assai graziosa e docilissima. Poichémadamigella Cunegonda aveva grande disposizione per le scienzeosservò senza fiatare le esperienze reiterate di cui futestimone; vide con chiarezza la ragion sufficiente del dottoreglieffetti e le causee se ne tornò indietro tutta agitatatutta pensosapiena del desiderio di essere istruitapensando chelei poteva ben essere la ragion sufficiente del giovane Candidoilquale poteva essere la sua.


Ritornandoal castello incontrò Candidoe arrossì; anche Candidoarrossì; lei gli disse buongiorno con voce rottae Candido leparlò senza sapere quel che dicesse. L'indomanidopo ilpranzoalzatisi da tavolaCunegonda e Candido si trovarono dietroun paravento; Cunegonda lasciò cadere il fazzolettoCandidolo raccolse; lei gli prese innocentemente la manoil giovane baciòinnocentemente la mano della giovinetta con una vivacitàunasensibilitàuna grazia tutta particolare; le bocche siincontraronogli occhi s'acceserole ginocchia tremaronole manisi smarrirono. Il signor barone di Thunder-ten-tronckh passòvicino al paraventoevedendo quella causa e quell'effettocacciòCandido dal castello a gran calci nel sedere.


Cunegondasvenne: appena rinvenuta fu presa a schiaffi dalla signora baronessae tutto fu costernazione nel più bello e piacevole deicastelli possibili.




CAPITOLOSECONDO


CIO'CHE CANDIDO DIVENTO' TRA I BULGARI


Cacciatodal paradiso terrestreCandido camminò a lungo senza saperedovepiangendoalzando gli occhi al cielovolgendoli spesso versoil più bello dei castelliche racchiudeva la più belladelle baronessinesi coricò senza cenare in mezzo ai campitra due solchi; la neve cadeva a larghe falde. L'indomani Candidotutto intirizzitosi trascinò verso la città vicinaValdberghoff-trarbk-dikdorffsenza un soldo in tascamezzo morto difame e di stanchezza. Tristemente si fermò sulla porta diun'osteria. Due uomini vestiti d'azzurro lo notarono.


"Camerata"disse uno"ecco un giovanotto ben piantatoe che ha la staturarichiesta".


Sidiressero verso Candido e lo invitarono molto civilmente a pranzare.


"Lorsignorimi fanno un grande onore"disse Candido con incantevolemodestia"ma non ho di che pagare la mia parte".


"Ah!signore"gli disse uno dei due azzurri"le persone colvostro fisico e coi vostri meriti non pagano mai niente: non sieteforse alto cinque piedi e cinque pollici?" "Sìsignoriè la mia statura"disse Candido con un inchino.


"Ah!signoremettetevi a tavola; non soltanto vi offriremo il pranzomanon permetteremo mai che un uomo come voi resti senza denaro; gliuomini non sono fatti che per soccorrersi l'un l'altro".


"Aveteragione"disse Candido"è ciò che il signorPangloss mi ha sempre dettoe vedo bene che tutto va per il meglio".


Idue lo pregano di accettare qualche scudo; lui li prende e vuolfirmare una ricevuta; quelli non ne vogliono saperesi mettono atavola.


"Nonamate forse teneramente...?" "Oh! sì"risposeCandido"amo teneramente madamigella Cunegonda".


"No"disse uno di quei signori"vi chiediamo se non amateteneramente il re dei Bulgari?" "Niente affatto" disseCandido"non l'ho mai visto".


"Come!è il più incantevole dei re; dobbiamo bere alla suasalute".


"Oh!ben volentierisignori".


Ebeve.


"Nonoccorre altro"gli dicono"voi siete l'appoggioilsostegnoil difensorel'eroe dei Bulgari; la vostra fortuna èfatta e la vostra gloria assicurata".


Sedutastante gli mettono i ferri ai piedie lo conducono al reggimento. Lofanno girare a destraa sinistraalzar la bacchettarimettere labacchettapuntare il fucileraddoppiare il passoe gli dannotrenta bastonate; il giorno dopo esegue l'esercizio un po' meno malee ne riceve solo venti; l'indomani ancora non gliene danno che diecie i suoi camerati lo considerano un prodigio.


Candidostupefattonon capiva ancora molto bene che cosa fosse un eroe. Unbel giorno di primavera decise d'andarsene a passeggiare.


Camminavadiritto davanti a séconvinto che fosse un privilegio dellaspecie umanacome di quella animaledi servirsi a piacere delleproprie gambe. Non aveva fatto due leghe che altri quattro eroi disei piedi lo raggiungonolo legano lo conducono in prigione. Atermini di legge gli venne chiesto se preferiva essere fustigatotrentasei volte dall'intero esercito o ricevere dodici palle dipiombo tutte insieme nel cervello. Ebbe un bel dire che le volontàsono liberee che non voleva né l'una cosa né l'altra.Bisognò scegliere: optòin virtù del dono diDio che si chiama "libertà"di farsi bastonaretrentasei volte; sopportò due passate. Il reggimento eracomposto di duemila uomini: la qual cosa gli comportòquattromila vergate chedalla nuca al sederegli misero a nudomuscoli e nervi. Si stava per procedere alla terza passataquandoCandidonon potendone piùsupplicò che avessero labontà di spaccargli la testa: gli concessero questo favore;gli bendano gli occhilo mettono in ginocchio. In quel momento passail re dei Bulgari; s'informa del delitto del pazientee siccome quelre era un gran geniocapìda quanto gli dissero di Candidoche era un giovane metafisico ignorantissimo delle cose di questomondoe gli accordò la grazia con una clemenza che saràlodata in tutti i giornali e per tutti i secoli. Un bravo chirurgoguarì Candido in tre settimane con gli emollienti insegnati daDioscoride.


Giàla pelle cominciava a ricrescerglie poteva camminarequando il redei Bulgari diede battaglia al re degli Avari.




CAPITOLOTERZO


COMECANDIDO FUGGI' DAI BULGARI E COSA DIVENTO'


Nienteera così bellocosì speditocosì splendentecosì ben ordinato come i due eserciti. Le trombei pifferigli oboii tamburii cannoni formavano un'armonia quale non si udìmai neppure all'inferno. Prima i cannoni rovesciarono a terra circaseimila uomini per parte; poi la moschetteria tolse dal migliore deimondi da nove a diecimila furfanti che ne infettavano la superficie.Anche la baionetta fu la ragion sufficiente della morte di qualchemigliaio di uomini. Il totale poteva aggirarsi sulle trentamilaanime. Candidoche tremava al pari di un filosofosi nascose comemeglio poté durante questo eroico macello.


Finalmentementre i due re facevano cantare dei "Te Deum"ciascunonel proprio accampamentodecise d'andarsene da un'altra parte aragionare sugli effetti e le cause. Passò sopra mucchi dimorti e morentie raggiunse dapprima un villaggio vicino; eraridotto in cenere. Si trattava di un villaggio avaro che i Bulgariavevano incendiatosecondo le leggi del diritto pubblico. Qui vecchicrivellati di colpi guardavano morire le loro mogli sgozzatechestringevano i bambini alle mammelle sanguinanti; là ragazzesventratedopo avere saziato i naturali bisogni di qualche eroeesalavano l'ultimo respiro; altresemibruciategridavano implorandodi finirle. Cervelli erano sparsi per terraaccanto a braccia egambe tagliate.


Candidofuggì al più presto in un altro villaggio: appartenevaai Bulgarie gli eroi Avari l'avevano trattato allo stesso modo.


Candidosempre camminando sopra membra palpitantio attraverso rovineuscìfinalmente dal teatro della guerraportando qualche piccolaprovvista nella bisacciae senza mai dimenticare i begli occhi dimadamigella Cunegonda.


Leprovviste gli vennero meno quando fu in Olanda; ma avendo sentitodire che in quel paese tutti erano ricchie cristianinon dubitòche lo avrebbero trattato bene come nel castello del signor baroneprima d'esserne scacciato per i begli occhi di madamigella Cunegonda.


Chiesel'elemosina a parecchi gravi personaggii quali gli risposero tuttichese avesse continuato a fare quel mestierelo avrebberorinchiuso in una casa di correzione per insegnargli a vivere.


Sirivolse poi a un uomo che aveva parlato da solo per un'ora interasulla carità davanti a una grande assemblea. L'oratoreguardandolo di traversogli disse:

"Checosa venite a fare qui? Venite per la buona causa?" "Nonc'è effetto senza causa"rispose modestamente Candido"tutto è necessariamente concatenato e disposto per ilmeglio. Bisognava che fossi cacciato dal castello di madamigellaCunegondache fossi passato per le verghee bisogna che domandi ilpane finché non sia in grado di guadagnarmelo; tutto ciònon poteva essere altrimenti".


"Amicomio"gli disse l'oratore"credete voi che il papa sial'Anticristo?" "Non l'avevo ancora sentito dire"rispose Candido"ma che lo sia o noio non ho pane".


"Nonmeritate di mangiarne"disse l'altro"andatevenefarabutto; andate miserabilelungi dalla mia vista".


Lamoglie dell'oratoreaffacciatasi alla finestravedendo un uomo chedubitava che il papa fosse l'Anticristogli rovesciò in testaun vaso pieno di... O cielo! a quali eccessi può condurre lozelo religioso nelle signore!

Unuomo che non era battezzatoun buon anabattistadi nome Giacomovide la maniera crudele e ignominiosa in cui veniva trattato un suofratelloun bipede implume con un'anima; lo condusse a casa sualoripulìgli diede del pane e della birragli regalòdue fiorinie volle persino insegnargli a lavorare nelle suemanifatture le stoffe persiane che si fabbricano in Olanda. Candidoquasi prosternandosi davanti a luiesclamava:

"Ilmio maestro Pangloss me l'aveva detto che tutto va per il meglio inquesto mondoperché io sono infinitamente più commossodella vostra estrema generosità che non della durezza di quelsignore dal mantello nero e della signora sua sposa".


L'indomanimentre passeggiavaincontrò un mendicante tutto coperto dipustolecon gli occhi spentila punta del naso corrosala boccadistortai denti nerila voce gutturale; era tormentato da unatosse violentae a ogni accesso sputava un dente.




CAPITOLOQUARTO


COMECANDIDO INCONTRO' IL SUO VECCHIO MAESTRO DI FILOSOFIAIL DOTTORPANGLOSSE CIO' CHE AVVENNE


Candidomosso più dalla compassione che dall'orrorediedeall'orribile mendicante i due fiorini ricevuti dal buon anabattistaGiacomo. Il fantasma lo guardò fissamenteversòqualche lacrimae gli saltò al collo. Candidosgomentoindietreggiò.


"Ahimè!"disse il miserabile all'altro miserabile"non riconosci piùil tuo caro Pangloss?" "Che sento? Voimio caro maestro!Voiin quest'orribile stato! Quale sventura vi ha dunque colpito?Perché non vi trovate nel più bello dei castelli? Chene è di madamigella Cunegondala perla delle fanciulleilcapolavoro della natura?" "Non ne posso più"disse Pangloss.


SubitoCandido lo condusse nella stalla dell'anabattistadove gli fecemangiare un po' di pane; e quando Pangloss si fu rifocillato:

"Ebbene!"gli disse"e Cunegonda?" "E' morta"risposel'altro.


Aquesta parola Candido svenne; l'amico lo fece tornare in sécon un po' di cattivo aceto trovato per caso nella stalla. Candidoriapre gli occhi.


"Cunegondaè morta! Ah! migliore dei mondidove sei? Ma di qualemalattia è morta? Non sarà per avermi visto cacciaredal cancello del suo signor padre a forza di calci?" "No"disse Pangloss"è stata sventrata da alcuni soldatibulgari dopo esser stata violata quanto si può esserlo; ilsignor baroneche voleva difenderlaha avuto la testa sfondata; lasignora baronessa è stata tagliata a pezzi; il mio poveropupillotrattato esattamente come sua sorella; quanto al castellonon ne è rimasta pietra su pietranon un fienilenon unapecoranon un'anatranon un albero; ma siamo stati ben vendicatiperché gli Avari hanno fatto altrettanto in una baroniavicinache apparteneva a un signore bulgaro".


Atale discorso Candido svenne una seconda volta; matornato in sée detto tutto ciò che doveva diresi informò dellacausa e dell'effettoe della ragion sufficiente che avevano ridottoPangloss in uno stato così pietoso.


"Ahimè!"disse l'altro"è l'amore: l'amoreil consolatore delgenere umanoil conservatore dell'universol'anima di tutti gliesseri sensibiliil tenero amore".


"Ahimè"disse Candido"l'ho conosciutoquest'amorequesto sovrano deicuoriquest'anima della nostra animanon mi ha fruttato che unbacio e venti calci nel sedere. Come mai una così bella causaha potuto produrre in voi un così abominevole effetto?"Pangloss rispose in questi termini:

"Miocaro Candido! tu hai conosciuto Pasquettala graziosa camerieradella nostra augusta baronessanelle sue braccia ho gustato ledelizie del paradisoche hanno prodotto i tormenti d'inferno da cuimi vedi divorato; ne era impestataforse ne è morta.Pasquetta doveva questo regalo a un dottissimo frate francescanocheera risalito alla fonteperché l'aveva avuto da una vecchiacontessache l'aveva ricevuto da un capitano di cavalleriache lodoveva a una marchesache l'aveva avuto da un paggioche l'avevaricevuto da un gesuitail qualeda novizioI'aveva avutodirettamente da un compagno di Cristoforo Colombo. Quanto a menonlo darò a nessunoperché muoio".


"OPangloss!" esclamò Candido"ecco una stranagenealogia! il capostipite non ne è forse il diavolo?""Niente affatto"replicò il grand'uomo"erauna cosa indispensabilenel migliore dei mondiun ingredientenecessario: perché se Colombo non avesse preso in un'isoladell'America questa malattia che avvelena la sorgente dellagenerazioneche spesso anzi impedisce la generazione stessae cheevidentementesi oppone al grande fine della naturanon avremmo nécioccolata né cocciniglia; bisogna poi osservare che nelnostro continentefino a oggiquesta malattia è tipicamentenostracome la controversia. TurchiIndianiPersianiCinesiSiamesiGiapponesinon la conoscono ancora: ma c'è ragionsufficiente che debbano conoscerla a loro volta fra qualche secolo.


Nelfrattempo ha fatto meravigliosi progressi fra noie soprattutto inquei grandi eserciti composti di onesti mercenari beneducati chedecidono del destino degli Stati; si può affermare chequandotrentamila uomini combattono in battaglia campale contro eserciti diegual numeroci siano circa ventimila impestati per parte".


"Unacosa mirabile"disse Candido"ma bisogna guarirvi".


"Ecome posso?" disse Pangloss. "Non ho un soldoamico mioein tutta l'estensione del globo non si può avere né unsalassoné un clistere senza pagarloo senza qualcuno chepaghi per noi".


Quest'ultimoragionamento fece prendere a Candido una decisione; andò agettarsi ai piedi del suo anabattista Giacomoe gli dipinse inmaniera così commovente lo stato in cui l'amico era ridottoche il buonuomo non esitò a raccogliere il dottor Pangloss; lofece guarire a proprie spese. Panglossdurante la curanon perseche un occhio e un orecchio. Scriveva benee conosceva perfettamentel'aritmetica.


L'anabattistaGiacomo ne fece il proprio contabile. In capo a due mesitrovandosinella necessità d'andare a Lisbona per ragioni di commerciocondusse con sé sulla nave i due filosofi. Pangloss gli spiegòcome tutto fosse disposto per il meglio. Giacomo non era diquest'opinione.


"Bisognabene"diceva"che gli uomini abbiano corrotto un po' lanaturapoiché non sono nati lupie lo sono diventati. Dionon ha dato loro né cannoni da ventiquattronébaionette; e loro si sono fabbricati cannoni e baionette perdistruggersi. Potrei aggiungere le bancarottee la giustizia che siimpadronisce dei beni dei bancarottieri per defraudare i creditori".


"Tuttoquesto era indispensabile"replicava il dottore guercio"ei mali particolari compongono il bene generale; di modo che piùci sono disgrazie particolari e più tutto va bene".


Mentrecosì ragionaval'aria si oscuròi venti soffiaronodai quattro angoli della terrae il vascello fu assalito dalla piùorribile tempestaproprio in vista del porto di Lisbona.




CAPITOLOQUINTO


TEMPESTANAUFRAGIOTERREMOTOE CIO' CHE AVVENNE DEL DOTTOR PANGLOSSDICANDIDOE DELL'ANABATTISTA GIACOMO


Unametà dei passeggeriindebolitistremati dalle inimmaginabiliangosce che il rullio di un vascello provoca nei nervi e in tutti gliumori del corpo agitati in senso contrarionon avevano neppure laforza di preoccuparsi del pericolo. L'altra metà gridava epregava; le vele erano strappategli alberi spezzatiil vascellosquarciato.


Lavoravachi potevanessuno capiva nientenessuno comandava.


L'anabattistaaiutava un poco alla manovra; stava sulla tolda; un marinaioinfuriato lo colpisce duramente e lo stende sul pontema ilcontraccolpo gli procurò una scossa così violenta checadde fuori bordo a testa in giù. Rimase sospeso e agganciatoall'albero spezzato.


Ilbuon Giacomo corre in suo soccorsol'aiuta a risaliree per losforzo compiuto è precipitato in mare sotto gli occhi delmarinaio che lo lascia perire senza nemmeno degnarsi di guardarlo.Candido si avvicinavede il suo benefattore che riappare un momentoe che viene inghiottito per sempre. Vuole gettarsi pure lui in mare:il filosofo Pangloss glielo impediscedimostrandogli che la rada diLisbona era stata appositamente formata perché l'anabattistaci annegasse. Mentre glielo dimostrava "a priori"ilvascello si spacca; tutto perisce salvo PanglossCandido e quelbrutale marinaio che aveva fatto annegare il virtuoso anabattista: ilfarabutto nuotò felicemente fino a rivadove Pangloss eCandido giunsero sopra una tavola.


Quandosi furono un po' ripresis'incamminarono verso Lisbona; avevanoancora qualche soldo con cui speravano di salvarsi dalla fame dopoessere scampati alla tempesta.


Hannoappena messo il piede in cittàpiangendo la morte del lorobenefattorequando la terra comincia a tremare sotto di loroilmare si innalza ribollendo nel portoe spezza i vascelli ancorati.Turbini di fiamme e di cenere coprono le strade e le pubblichepiazze; le case crollanoi tetti si rovesciano sulle fondamentaele fondamenta si dissolvono; trentamila abitanti d'ogni sesso ed etàsono schiacciati sotto le macerie. Il marinaio diceva fischiando ebestemmiando:

"Cisarà qualcosa da guadagnare qui".


"Qualepuò essere la ragion sufficiente di questo fenomeno?"diceva Pangloss.


"Eccol'ultimo giorno del mondo!" esclamava Candido.


Ilmarinaio corre subito in mezzo alle macerieaffronta la morte pertrovare del denarone trovase ne impadroniscesi ubriacaedopoavere smaltito la sborniacompra i favori della prima ragazza dibuona volontà che gli capita d'incontrare sulle rovine dellecase distruttein mezzo a morti e moribondi. Pangloss frattanto lotirava per la manica.


"Amicomio"gli diceva"così non vavoi venite meno allaragione universalescegliete male il momento".


"Testae sangue"rispose l'altro"sono marinaio e sono nato aBatavia; ho calpestato quattro volte il crocefisso in quattro viaggial Giappone; avete trovato proprio l'uomo giusto per la vostraragione universale!" Alcune schegge di pietra avevano feritoCandidoche stava steso sulla stradacoperto di macerie. Diceva aPangloss:

"Ahimè!procuratemi un po' d'olio e di vino; muoio".


"Questoterremoto non è cosa nuova"rispose Pangloss"lacittà di Lima provò le stesse scosse in Americal'annoscorso; stesse causestessi effetti; certamente c'è unstriscia di zolfo sotto terrache va da Lima a Lisbona".


"Nientedi più probabile"disse Candido"maper Diounpo' d'olio e di vino".


"Comeprobabile?" replicò il filosofo"Io sostengo che lacosa è dimostrata".


Candidoperse conoscenzae Pangloss gli portò un po' d'acqua da unafontana vicina.


L'indomanicon qualche cibaria trovata strisciando attraverso le macerierecuperarono un poco le forze. Poi si diedero da fare come gli altriper soccorrere gli abitanti scampati alla morte. Alcuni cittadinidaloro soccorsigli offrirono il miglior pasto che fosse possibile inun simile disastro: è ben vero che il pasto fu triste; iconvitati innaffiavano il pane con le lacrimema Pangloss liconsolòassicurandoli che le cose non potevano andarealtrimenti.


"Perché"diceva"tutto ciò è quanto c'è di meglio;perché se c'è un vulcano a Lisbonanon poteva esserealtroveperché è impossibile che le cose non sianodove sonoperché tutto è bene".


Unometto nerofamiliare dell'Inquisizioneche si trovava al suofiancoprese educatamente la parola e gli disse:

"Sidirebbe che il signore non crede al peccato originale; perchése tutto va per il meglionon c'è dunque stata nécaduta né castigo".


"Chiedoumilissimamente scusa a Vostra Eccellenza"rispose Panglossancora più educatamente"ma la caduta dell'uomo e lamaledizione rientravano necessariamente nel migliore dei mondipossibili".


"Ilsignore dunque non crede alla libertà?" disse ilfamiliare.


"VostraEccellenza mi scuserà;" disse Pangloss"la libertàpuò coesistere con la necessità assoluta: poichéera necessario che noi fossimo liberi; poiché insomma lavolontà determinata..".


Panglossera a metà della frasequando il familiare fece un cenno colcapo al suo staffiere che gli mesceva vino di Porto o di Oporto.




CAPITOLOSESTO


COMESI FECE UN BELL'AUTODAFE' PER SCONGIURARE I TERREMOTI E COME CANDIDOVENNE FUSTIGATO


Dopoil terremoto che aveva distrutto i tre quarti di Lisbonai saggi delpaese non avevano trovatoper prevenire una rovina totalemezzo piùefficace che offrire al popolo un bell'autodafé; l'universitàdi Coimbra aveva stabilito che lo spettacolo di alcune personebruciate a fuoco lento e con grande pompa è un segretoinfallibile per impedire alla terra di tremare.


Avevanoperciò preso un biscaglino convinto di aver sposato la propriamadrinae due portoghesi cheper mangiare un pollogli avevanotolto il grasso; dopo pranzo vennero e legarono il dottor Pangloss eil suo discepolo Candidol'uno per aver parlatoe l'altro per avereascoltato con aria d'approvazione: furono condotti separatamente indue appartamenti d'estrema freschezzadove non si era maiinfastiditi dal sole: otto giorni dopo li rivestirono ambedue di un"sanbenito" e gli ornarono la testa di mitre di carta: lamitra e il sanbenito di Candido portavano dipinte fiamme rovesciate ediavoli senza coda né grinfie: ma i diavoli di Panglossavevano grinfie e codee le fiamme erano diritte. Cosìvestiti sfilarono in processionee ascoltarono un sermone moltopateticoseguito da una bella musica in falso bordone.


Candidofu battuto in cadenzamentre cantavano; il biscaglino e i due uominiche non avevano voluto mangiare il lardo furono bruciatie Panglossimpiccatobenché l'usanza non fosse tale. Lo stesso giorno laterra tremò di nuovo con un fracasso orribile.


Candidospaventatosconvoltosmarritotutto sanguinantetutto palpitantediceva fra sé:

"Sequesto è il migliore dei mondi possibilicosa saranno mai glialtri? Passi che mi abbiano frustatolo sono stato anche coiBulgari; mao mio caro Panglossmassimo dei filosofi! bisognava chevi vedessi impiccaresenza sapere perché! O mio caroanabattista! O migliore degli uominibisognava che foste annegatonel porto! O madamigella Cunegondaperla delle fanciulle! bisognavache vi squarciassero il ventre!" Tornò indietroreggendosi appenasermoneggiatofrustatoassolto e benedettoquando una vecchia gli si accostò e gli disse:

"Figliolofatevi coraggio e seguitemi".




CAPITOLOSETTIMO


COMEUNA VECCHIA SI PRESE CURA DI CANDIDO E COME CANDIDO RITROVO' CIO' CHEAMAVA


Candidonon si fece coraggioma seguì la vecchia in una casupola: lavecchia gli diede un vasetto di pomata perché se la spalmassee gli lasciò da mangiare e da bere; gli mostrò unlettuccio abbastanza pulito; e accanto al letto un abito.


"Mangiatebevetedormite"gli disse"e che Nostra Signora diAtocha e monsignor Sant'Antonio da Padova e monsignor San Giacomo diCompostella vi proteggano! Io tornerò domani".


Candidoancora stupito di quanto aveva visto e sofferto e ancor piùdella carità della vecchiale volle baciare la mano.


"Nonè a me che dovete baciare la mano"disse la vecchia"tornerò domani. Spalmatevi la pomatamangiate edormite".


Candidomalgrado tante sventuremangiò e dormì. L'indomani lavecchia gli porta la colazionegli esamina la schienalo unge leistessa con un'altra pomata; poi gli porta il pranzo; la sera ritornae gli porta la cena. Il giorno dopo compie le stesse cerimonie.


"Chisiete?" le domandava sempre Candido"chi vi ispira tantabontà?

Comeposso ringraziarvi?" La buona donna non rispondeva mai niente;verso sera tornòsenza portare la cena.


"Venitecon me"gli disse"e non parlate".


Loprende a braccetto e cammina con lui nella campagna per un quarto dimiglio circa: arrivano a una casa isolatacircondata da giardini ecanali. La vecchia bussa a una porticinache si apre; per una scalasegreta conduce Candido in una saletta doratalo fa sedere su di uncanapé ricoperto di broccatorichiude la portae se ne va. ACandido pareva di sognaretutta la sua vita gli appariva come unsogno funestoe il momento presente un piacevole sogno.


Lavecchia ricomparve subito; sosteneva a fatica una donna tremantedistatura maestosasfolgorante di gemmee coperta d'un velo.


"Toglieteil velo" disse a Candido la vecchia.


Ilgiovane si avvicina; alza il velo con mano timida. Che momento! chesorpresa! gli sembra di vedere madamigella Cunegonda; la vedevainfattiera lei in persona. Gli vengono meno le forzenon riesce aparlarele cade ai piedi. Cunegonda cade sul canapé. Lavecchia li inonda di acque spiritose; riprendono i sensisi parlano;dapprima sono parole smozzicatedomande e risposte che s'incrocianosospirilacrimegridi. La vecchia gli raccomanda di far menorumoree li lascia soli.


"Come!siete voi"le dice Candido"siete viva! vi ritrovo inPortogallo! Dunque non vi hanno violata? Non vi hanno squarciato ilventrecome mi aveva detto il filosofo Pangloss".


"Oh!sì"disse la bella Cunegonda"ma non sempre simuore per questi due accidenti".


"Mavostro padre e vostra madre sono stati uccisi?" "Purtroppo"disse Cunegonda piangendo.


"Evostro fratello?" "Ammazzato anche lui".


"Ecome mai vi trovate in Portogallo? come avete saputo che c'eroanch'ioe per quale strana avventura mi avete fatto condurre inquesta casa?" "Vi dirò tutto"rispose la dama"ma prima bisogna che mi raccontiate quel che vi èsuccesso dopo il bacio innocente che m'avete datoe i calci cheavete ricevuto".


Candidole obbedì con profondo rispetto; e benché fosseconfusobenché avesse la voce fioca e tremantebenchéla schiena gli facesse ancora un po' malele raccontò nellamaniera più ingenua quanto aveva sopportato dal momento dellaloro separazione. Cunegonda alzò gli occhi al cielo: sparselacrime sulla morte del buon anabattista e di Pangloss; dopo di cheparlò in questi termini a Candidoche non perdeva una parolae la mangiava con gli occhi.




CAPITOLOOTTAVO


STORIADI CUNEGONDA


"Eroa letto e dormivo profondamentequando al cielo piacque di mandare iBulgari nel nostro bel castello di Thunder-ten-tronckh; essisgozzarono mio padre e mio fratelloe tagliarono a pezzi mia madre.


Unbulgaro enormealto sei piedivedendo che a tale spettacolo avevoperso conoscenzacominciò a violarmi; il che mi fecerinvenireripresi i sensigridaimi dibatteimorsigraffiaivolli cavare gli occhi a quel bulgaro mastodonticonon sapendo chequanto accadeva nel castello di mio padre era cosa usuale: quel brutomi diede una coltellata nel fianco sinistro di cui porto ancora ilsegno".


"Ahimè!spero di vederla" disse l'ingenuo Candido.


"Lavedrete"disse Cunegonda"ma andiamo avanti".


"Andateavanti" disse Candido.


Cunegondariprese il filo della sua storia:

"Uncapitano bulgaro entròvide me tutta sanguinante e il soldatoche non si scomodava. Si irritò moltissimo del poco rispettoche gli dimostrava quel brutoe lo uccise sopra il mio corpo. Poi mifece medicaree mi condusse come prigioniera di guerra nel suoquartiere.


Iogli lavavo le poche camicie che avevae cucinavo: devo ammettere chemi trovava molto graziosae non posso negare che fosse ben fattoeche avesse una pelle bianca e morbida; per il restopoco spiritopoca filosofia: si vedeva bene che non era stato educato dal dottorPangloss. In capo a tre mesiridotto al verde e sazio di memivendette a un ebreo di nome don Issacharche trafficava in Olanda ein Portogalloe a cui piacevano sfrenatamente le donne. L'ebreo siaffezionò moltissimo alla mia personama non potétrionfarne; gli resistetti meglio che al soldato bulgaro: una donnaonesta può essere violata una voltama la sua virtù neesce rafforzata. L'ebreoper ammansirmimi condusse in questa casadi campagna. Fino ad allora avevo creduto che non ci fosse niente dicosì bello come il castello di Thunder-ten-tronckh; mi sonodovuta ricredere.


Ungiorno il grande inquisitore mi vide alla messa; mi adocchiò alungoe mi fece dire che doveva parlarmi di affari segreti. Fuicondotta al suo palazzogli rivelai la mia nascita; mi feceosservare quanto fosse al di sotto del mio rango l'appartenere a unisraelita.


Daparte sua proposero a don Issachar di cedermi a monsignore. DonIssacharche è banchiere di corte e uomo di creditonon nevolle sapere. L'inquisitore lo minacciò di un autodafé.Alla fine l'ebreointimoritoconcluse un accordo secondo il qualela casa e io saremmo appartenuti in comune a tutti e due; che l'ebreoavrebbe avuto per sé il lunedìil mercoledìeil sabatomentre all'inquisitore sarebbero toccati gli altri giornidella settimana. L'accordo sussiste da sei mesi: non senza litiperché spesso è incerto se la notte fra il sabato e ladomenica appartenga alla vecchia o alla nuova legge.


Quantoa mefinoraho resistito a tutti e due; ed è per questocredoche sono stata sempre amata.


Finalmenteper scongiurare il flagello dei terremotie per intimidire donIssacharpiacque a monsignor l'inquisitore di celebrare un autodafé.Mi onorò di un invito. Ebbi un posto di favoretra la messa el'esecuzione vennero serviti dei rinfreschi alle dame.


Inverità rimasi inorridita nel veder bruciare i due giudei el'onesto biscaglino che aveva sposato la sua madrina; ma quale fu lamia sorpresalo spaventoil terrorequando vidiin sanbenito esotto una mitrauna figura che rassomigliava a quella di Pangloss!Mi fregai gli occhiguardai attentamentelo vidi impiccare; caddisvenuta. Avevo appena ripreso i sensi quando vi vidi spogliato nudo;fu il colmo dell'orroredella costernazionedel doloredelladisperazione. Sinceramentevi dirò che la vostra pelle èancor più biancae di un incarnato più perfettodiquella del mio capitano dei Bulgari. Tale vista raddoppiò isentimenti che mi opprimevanoche mi divoravano. Gridaivolliurlare: «Fermatevibarbari!». Ma mi mancò lavocee le mie grida sarebbero state inutili. Quando vi ebbero benfrustato: «Come può essere»mi dicevo«chel'amabile Candido e il saggio Pangloss si trovino a Lisbonal'unoper ricevere cento frustatee l'altro per essere impiccato su ordinedi monsignor l'inquisitoredi cui sono la favorita?». Panglossmi ha dunque crudelmente ingannata quando mi diceva che tutto va peril meglio?" Sconvoltadisperataora fuori di meora sul puntodi morire sfinitaavevo la testa piena del massacro di mio padredimia madredi mio fratellodell'insolenza di quel rozzo soldatobulgarodella coltellata che mi diededella mia schiavitùdel mio mestiere di cuocadel mio capitano bulgarodiquell'orribile don Issachardell'abominevole inquisitoredell'impiccagione del dottor Panglossdel solenne miserere in falsobordone durante il quale vi frustavanoe soprattutto del bacio chevi avevo dato dietro un paraventoil giorno in cui vi ho visto perl'ultima volta. Lodai Dio che vi riconduceva a me attraverso tanteprove. Raccomandai alla vecchia di aver cura di voie di condurviqui appena possibile. Ha eseguito benissimo l'incarico; ho cosìgustato l'inesprimibile piacere di rivedervidi ascoltarvidiparlarvi. Dovete avere una fame tremendaio ho un grande appetito;cominciamo a mangiare".


Eccoliche si mettono a tavoladopo cena si risiedono sul bel canapédi cui s'è già detto; stavano appunto sedutiquandoarrivò don Issacharuno dei padroni di casa. Era sabato.Veniva a godere dei suoi dirittie a esternare il suo tenero amore.




CAPITOLONONO


QUELCHE AVVENNE DI CUNEGONDADI CANDIDODEL GRANDE INQUISITORE E DI UNEBREO


QuestoIssachar era l'ebreo più collerico che si fosse mai visto inIsraele dalla cattività di Babilonia in poi.


"Come!"disse"cagna d'una galileanon è abbastanza il signorinquisitore? Devo fare a mezzo anche con questo farabutto?" Cosìdicendo cava un lungo pugnale che portava sempre con séeconvinto che l'avversario fosse disarmatosi getta su Candido; ma ilnostro buon vestfaliano aveva avuto dalla vecchiainsieme all'abitonuovoanche una bella spada. Sebbene di costumi molto mitisguainala spada e stende l'israelita morto stecchito sul pavimentoai piedidella bella Cunegonda.


"Verginesanta!" esclama lei"che sarà di noi? Un uomoucciso in casa mia! se arriva la giustizia siamo perduti".


"SePangloss non fosse stato impiccato"disse Candido"cidarebbe un buon consiglio in questo frangentepoiché era ungrande filosofo. In sua mancanza consultiamo la vecchia".


Lavecchia era assai prudentee cominciava a dire la sua opinionequando un'altra porticina si aprì. Era l'una del mattinol'inizio della domenica. Questo giorno apparteneva al signorinquisitore. Il quale entra e vede il fustigato Candido con la spadain manoun morto steso a terraCunegonda smarritae la vecchia chedà consigli.


Eccoquanto avvenne nell'animo di Candidoe come ragionò: "Sequesto sant'uomo chiama aiutosicuramente mi farà bruciareealtrettanto potrebbe fare di Cunegonda; mi ha fatto fustigare senzapietà; è mio rivale; sto già ammazzando; non èil caso d'esitare". Questo ragionamento fu rapido e chiaro.Senza dare all'inquisitore il tempo di riaversi dalla sorpresalotrapassa da parte a partee lo getta di fianco all'ebreo.


"Ecconeun altro;" disse Cunegonda"non c'è piùsalvezza; siamo scomunicatila nostra ultima ora è venuta.Come avete fattovoi che eravate di natura così miteadammazzare in due minuti un ebreo e un prelato?" "Mia cararagazza"rispose Candido"quando si è innamoratigelosie frustati dall'Inquisizionenon ci si riconosce più".


Lavecchia allora prese la parola e disse:

"Cisono tre cavalli andalusi in scuderiacon selle e briglie: che ilbravo Candido li prepari; la signora possiede pistole e diamanti;saltiamo in fretta a cavallobenché io non possa appoggiarmiche su una chiappa solae andiamo a Cadice; c'è un tempobellissimoed è un gran piacere viaggiare col fresco dellanotte".


SubitoCandido sella i tre cavalli. Cunegondala vecchia e lui fanno trentamiglia tutto d'un fiato. Mentre si allontanano la "SantaHermandad" entra in casamonsignore viene seppellito in unabella chiesa e don Issachar viene buttato nell'immondezzaio.


CandidoCunegonda e la vecchia si trovavano già nella cittadina diAvacenain mezzo alle montagne della Sierra Morenae in un'osteriacosì parlavano.




CAPITOLODECIMO


INCHE DISTRETTE CANDIDOCUNEGONDA E LA VECCHIA ARRIVANO A CADICEEDEL LORO IMBARCO


"Chidunque ha potuto rubarmi pistole e diamanti?" diceva piangendoCunegonda"di che vivremo? come faremo? dove trovareinquisitori ed ebrei che me ne diano degli altri?" "Ahimè!"disse la vecchia"sospetto molto un reverendo padre francescanoche ieri ha passato la notte nel nostro stesso albergo a Badajoz; Diomi guardi dal formulare giudizi temerari! ma è entrato duevolte nella nostra camera ed è partito molto prima di noi".


"Ahimè!"disse Candido"il buon Pangloss mi aveva spesso dimostrato chei beni della terra sono comuni a tutti gli uominiche ciascuno vi haugual diritto. Questo frate avrebbe dovutoseguendo tali principilasciarci quanto serviva per concludere il nostro viaggio. Non viresta dunque più nientemia bella Cunegonda?" "Neancheun «maravedis»".


"Chefare?" disse Candido.


"Vendiamouno dei cavalli;" disse la vecchia"io salirò ingroppa dietro madamigellabenché non possa stare che su unachiappa solae arriveremo a Cadice".


C'eranello stesso albergo un priore dei benedettini che acquistò ilcavallo a buon mercato. CandidoCunegonda e la vecchia passarono perLucernaChillas e Lebrixae finalmente arrivarono a Cadicedovestavano allestendo una flotta e radunando truppe per ridurre allaragione i reverendi padri gesuiti del Paraguayaccusati d'averespinto alla rivolta una delle loro orde contro il re di Spagna e delPortogallopresso la città di San Sacramento. Candidoavendoprestato servizio sotto i Bulgarieseguì l'eserciziobulgaresco davanti al generale del piccolo esercito con tanta graziasveltezzaabilitàfierezza e agilitàche gliaffidarono il comando di una compagnia di fanti. Eccolo capitano;s'imbarca con madamigella Cunegondala vecchiadue servie duecavalli andalusi che erano appartenuti a monsignore il grandeinquisitore.


Durantetutta la traversata ragionarono molto sulla filosofia del poveroPangloss.


"Andiamoin un altro mondo"diceva Candido"è certamente inquello che tutto va bene. Perché bisogna ammettere che sipotrebbe piangere un po' su quanto accade nel nostroin fisica e inmorale".


"Viamo con tutto il cuore"diceva Cunegonda"ma il mio animoè ancora tutto sgomento per ciò che ho visto esofferto".


"Tuttoandrà bene;" replicava Candido"il mare di questonuovo mondo è già migliore dei mari della nostraEuropa; è più calmoe i venti sono piùcostanti. E' certamente il nuovo mondo il migliore degli universipossibili".


"Diolo voglia!" diceva Cunegonda"ma sono stata cosìorribilmente infelice nel mio che il cuore mi si è quasichiuso alla speranza".


"Vilagnate;" disse loro la vecchia"ahimè! voi nonavete provato sventure simili alle mie!" Cunegonda quasi scoppiòa rideree trovò che la donna era molto spiritosa sepretendeva di essere più infelice di lei.


"Ahimè!"le disse"mia caraa meno che voi non siate stata violata dadue bulgariche non abbiate ricevuto due coltellate nel ventrechenon vi abbiano demolito due castelliche non vi abbiano sgozzatodavanti agli occhi due padri e due madrie che non abbiate visto duevostri amanti frustati in un autodafénon vedo come possiatecredere di superarmi; aggiungete che sono nata baronessa consettantadue quartie che sono stata cuoca".


"Madamigella"rispose la vecchia"voi non sapete quale è la mianascita; e se vi mostrassi il sederenon parlereste come fate:

sospenderesteil giudizio".


Questodiscorso fece nascere una grande curiosità nell'animo diCunegonda e di Candido. La vecchia parlò in questi termini.




CAPITOLOUNDICESIMO


STORIADELLA VECCHIA


Nonsempre ho avuto gli occhi scerpellini e orlati di scarlatto; nonsempre il naso mi ha toccato il mentoe non sempre sono stata serva.


Sonofiglia di papa Urbano Decimo (1)e della principessa di Palestrina.Fino a quattordici anni fui allevata in un palazzo a cui tutti icastelli dei vostri baroni tedeschi non avrebbero fatto da scuderia;e una delle mie vesti valeva più di tutte le magnificenzedella Vestfalia. Crescevo in bellezzagrazia e talentiin mezzo apiaceriomaggi e speranze. Già ispiravo amore; il mio seno sisviluppava; e che seno! biancosodomodellato come quello dellaVenere dei Medici; e che occhi! che palpebre! che sopracciglia nere!

chefiamme splendevano nelle mie pupille: offuscavano lo scintillio dellestellecome mi dicevano i poeti del quartiere. Le donne che mivestivano e mi spogliavano cadevano in estasi guardandomi davanti edietro; e tutti gli uomini avrebbero voluto essere al loro posto.


Mifidanzarono a un principe sovrano di Massa Carrara. Che principe!

bellocome mepieno di dolcezza e di fascinodi spirito brillante eardente d'amore. Lo amavo come si ama per la prima voltaconidolatriacon furore. Le nozze furono preparate con pompa emagnificenza inaudite: continue festecaroselliopere buffe; etutta l'Italia fece per me dei sonetti di cui neanche uno passabile.Stavo per toccare il momento della mia felicitàquando unavecchia marchesa che era stata amante del mio principelo invitòa casa sua a prendere la cioccolata. Morì in meno di due orein preda a spaventose convulsioni. Ma questa non è che unabagatella. Mia madredisperatama molto meno afflitta di mevollestrapparmi per qualche tempo a un soggiorno così funesto.Possedeva una bellissima terra nei pressi di Gaeta. Ci imbarcammo suuna galera del paesedorata come l'altare di San Pietro a Roma. Edecco che un corsaro di Salè piomba su di noi e ci assale; inostri soldati si difesero come quelli del papa: si inginocchiaronotutti gettando le armi e chiedendo al corsaro un'assoluzione in"articulo mortis".


Immediatamenteli spogliarono nudi come scimmiee pure mia madree le damigelled'onoree anche me. E' ammirevole la diligenza con cui quei signorispogliano la gente. Ma ciò che mi sorprese maggiormente fu checi misero a tutti un dito in un posto dove noi donnedi solitononci lasciamo mettere che delle cannule. Questa cerimonia mi parevamolto strana: ecco come si giudicano le cose quando non si èmai usciti dal proprio paese. Ben presto seppi che i pirati volevanoassicurarsi che non vi avessimo nascosto dentro qualche diamante: èun'usanza stabilita da tempo immemorabile tra le nazioni civili checorrono i mari: ho saputo che i devotissimi cavalieri di Malta non sene dimenticano mai quando catturano turchi e turche; è unalegge del diritto delle gentialla quale non si è maiderogato.


Nonvi dico quanto sia duroper una giovane principessaessere condottaschiava in Marocco con sua madre. Potete ben immaginare tutto quelloche dovemmo sopportare sul vascello corsaro. Mia madre era ancoramolto bella; le nostre damigelle d'onorele stesse cameristeavevano più fascino di quanto se ne potesse trovare in tuttal'Africa.


Quantoa meero un incantoero la bellezzala grazia stessaed eropulzella. Non lo rimasi a lungo: quel fiore che avevo serbato per ilbel principe di Massa Carrarami fu rapito dal capitano corsaro: unnegro abominevole che credevaoltre tuttodi farmi un onore. Certobisognava che la signora principessa di Palestrina e io fossimo benrobuste per resistere a quanto ci toccò sopportare fino alnostro arrivo in Marocco. Ma sorvoliamo; son cose tanto comuni chenon vale la pena di parlarne.


Quandogiungemmoil Marocco nuotava nel sangue. I cinquanta figlidell'imperatore Mulei-Ismael avevano ciascuno un proprio partito: ciòche provocavain effetticinquanta guerre civilidi negri contronegridi negri contro moridi mori contro moridi mulatti contromulatti: era un carnaio continuo per tutta l'estensione dell'impero.


Appenasbarcatedei negri di una fazione avversa a quella del mio corsarocomparvero per strappargli il bottino. Noi eravamodopo l'oro e idiamantiquanto c'era di più prezioso. Fui testimone di uncombattimento come non se ne vedono nei vostri climi d'Europa. Ipopoli settentrionali non hanno il sangue abbastanza ardente. Nonhanno la passione per le donne al grado in cui è comune inAfrica.


Sembrache i vostri europei abbiano del latte nelle vene; ma èvetriolofuocoche scorre in quello degli abitanti del monteAtlante e dei paesi vicini. Combatterono col furore dei leonidelletigri e dei serpenti del luogoper sapere a chi saremmo toccate. Unmoro afferrò mia madre per il braccio destroil luogotenentedel mio capitano la trattenne per il sinistro; un soldato moro laprese per una gambauno dei nostri pirati la teneva per l'altra. Inun momento le nostre donzelle si trovarono quasi tutte stirate in talmodo da quattro soldati. Il mio capitano mi teneva nascosta dietro disé. La scimitarra in pugno ammazzava chiunque si opponessealla sua rabbia.


Infinevidi tutte le nostre italianee mia madrelaceratefatte a pezzimassacrateda quei mostri che se le disputavano. I prigionierinostri compagniquelli che li avevano catturatisoldatimarinainegrimoribianchimulattie anche il mio capitanotutti furonouccisie io rimasi lìmoribondasopra un cumulo di morti.Scene simili si verificavanocom'è notoper l'estensione ditrecento leghesenza che si trascurassero le cinque preghierequotidiane prescritte da Maometto.


Miliberai a fatica dall'ammasso di cadaveri insanguinatie mitrascinai sotto un grande arancioin riva a un ruscello vicino; làcaddi per lo spaventola stanchezzal'orrorela disperazione e lafame. Subito dopoi miei sensi oppressi si abbandonarono a un sonnoche somigliava più allo svenimento che al riposo. Ero inquesto stato di debolezza e di insensibilitàtra la vita e lamortequando mi sentii opprimere da qualcosa che si agitava sul miocorpo; aprii gli occhie vidi un uomo biancodi bell'aspettochesospirava e diceva fra i denti: "O che sciagura d'essere senzac...!"




NOTE

1)Notatel'estrema discrezione dell'autorenon c'è mai stato finoraalcun papa chiamato Urbano Decimo; teme di attribuire una bastarda aun papa conosciuto. Che circospezione! che coscienza delicata! (Notadi Voltairepubblicata per la prima volta nel 1829).




CAPITOLODODICESIMO


SEGUITODELLE DISGRAZIE DELLA VECCHIA


Stupefattae felice di udire la lingua della mia patriae non meno sorpresadelle parole proferite da quell'uomogli risposi che c'eranosventure ben maggiori di quelle di cui si lamentava. In breve loinformai degli orrori che avevo patitoe ricaddi svenuta. Lui miportò in una casa vicinami fece mettere a lettomi diede damangiaremi servìmi consolòmi carezzòmidisse che non aveva mai visto niente di più bello di mee chenon aveva mai rimpianto tanto ciò che nessuno potevarendergli.


"Sononato a Napoli"mi disse"dove ogni anno capponano due otremila bambini; alcuni muoionogli altri acquistano una voce piùbella di quella delle donnealtri vanno a governare qualche stato.Mi fecero quell'operazione con grande successoe sono stato musiconella cappella della signora principessa di Palestrina". "Dimia madre!" esclamai"Di vostra madre!" esclamòlui piangendo"come! sareste forse la principessina che hoallevato fino a sei annie che già prometteva d'essere bellaquanto siete voi?" "Sono proprio io; mia madre è aquattrocento passi da quitagliata in quattro sotto un mucchio dimorti..." Gli raccontai quanto m'era capitato; anche lui miraccontò le sue avventuree mi informò di come fossestato inviato presso il re del Marocco da una potenza cristiana perconcludere un trattato in base al quale gli avrebbero fornito polvereda sparocannoni e vascelli per aiutarlo a sterminare il commerciodegli altri cristiani. "La mia missione è compiuta"disse quell'onesto eunuco"vado a Ceuta per imbarcarmie viriconduco in Italia. «Ma che sciagura d'essere senza c...!»"Lo ringraziai con lacrime di tenerezza; e luiinvece di portarmi inItaliami condusse ad Algerie mi vendette al dey di quellaprovincia. Gli ero appena stata venduta quando la pesteche ha fattoil giro dell'Africadell'Asia e dell'Europascoppiòfuriosamente ad Algeri. Voi avete visto dei terremoti; mamadamigellanon avete mai avuto la peste?

"Mai"rispose la baronessa.


"Sel'aveste avuta"riprese la vecchia"converreste che èben peggio di un terremoto. E' molto comune in Africa; io ne fuicolpita.


Immaginatequale situazione per la figlia di un papain età di quindicianniche in tre mesi aveva sperimentato la povertàlaschiavitùera stata violata quasi tutti i giorniaveva vistotagliare in quattro sua madreaveva sopportato la fame e la guerrae moriva di peste ad Algeri. Tuttavia non moriima il mio eunuco eil deye quasi tutto il serraglio di Algeri perirono.


Quandole prime devastazioni di quella spaventosa pestilenza si furonoattenuatele schiave del dey vennero vendute. Un mercante mi compròe mi condusse a Tunisi; mi vendette a un altro mercanteche mirivendette a Tripoli; da Tripoli fui rivenduta ad AlessandriadaAlessandria a Smirneda Smirne a Costantinopoli. Appartenni infine aun aga dei giannizzeriche ricevette ben presto l'ordine di andare adifendere Azov contro i Russi che l'assediavano.


L'agache era un uomo assai galantecondusse con sé l'interoserraglioe ci alloggiò in un piccolo forte sulla PaludeMeotidecustodito da due eunuchi negri e da venti soldati. Ucciseroun numero straordinario di Russiche però ci resero pan perfocaccia. Azov fu messa a ferro e fuoco; non perdonarono né alsesso né all'età; non rimase che il nostro piccoloforte: i nemici vollero prenderci per fame. I venti giannizzeriavevano giurato di non arrendersi mai.


Ridottiagli estremi della famefurono costretti a mangiare i due eunuchiper timore di violare il giuramento. Dopo qualche giorno decisero dimangíare le donne.


C'erafra noi un imano molto pio e compassionevoleche fece loro un beldiscorso con cui li persuase a non ammazzarci affatto. "Tagliate"disse"solo una chiappa a ognuna di queste signore; farete unottimo pranzo; se sarà necessario ripeterefra qualche giornone avrete altrettanto; il cielo vi sarà grato di un'azionecosì caritatevolee vi verrà in aiuto".


Eramolto eloquente; li persuase. Ci fecero l'orrenda operazione.


L'imanoci applicò quel balsamo che si usa mettere ai bambini prima dicirconciderli. Eravamo tutte in punto di morte.


Igiannizzeri avevano appena terminato il pranzo da noi fornitoquandoarrivano i Russi su delle barche a fondo piatto: neanche ungiannizzero si salvò. I Russi non fecero alcuna attenzioneallo stato in cui eravamo. Dappertutto ci sono chirurghi francesi;uno di loroche era molto abileci curò; ci guarì eper tutta la vita mi ricorderò chequando le mie piaghefurono completamente rimarginatemi fece delle proposte. Infinedisse a tutte di consolarci; ci assicurò che una cosa simileera accaduta in parecchi assedie che era la legge della guerra.


Appenale mie compagne furono in grado di camminarele condussero a Mosca.Toccai in sorte a un boiardo che fece di me la sua giardinierae chemi dava venti frustate al giorno; ma quando dopo due anniquestosignore venne arrotato insieme a una trentina di boiardi per qualcheintrigo di corteapprofittai dell'occasione: fuggii; attraversaitutta la Russia; per lungo tempo fui serva in una taverna di Rigapoi a Rostocka Vismara Lipsiaa Cassela Utrechta Leidaall'Ajaa Rotterdam; sono invecchiata nella miseria enell'obbrobriocon solo mezzo sederericordandomi sempre di esserefiglia di un papa; volli uccidermi cento voltema amavo ancora lavita. Questa ridicola debolezza è forse una delle nostreinclinazioni più funeste: c'è qualcosa di piùsciocco del voler portare continuamente un fardello che vorremmosempre gettare a terra? di avere orrore della propria esistenza e ditenersi aggrappati alla propria esistenza? insomma di accarezzare ilserpente che ci divorafinché ci abbia mangiato il cuore?

Neipaesi che la sorte mi ha fatto percorreree nelle taverne in cui hoservitoho visto un numero straordinario di persone che detestavanola propria esistenza; ma non ne vidi che dodici porre finevolontariamente alla propria miseria: tre negriquattro inglesiquattro ginevrinie un professore tedesco di nome Robeck. Ho finitoper essere serva in casa dell'ebreo Issachar che mi ha messo accantoa voimia bella damigella; ho preso a cuore la vostra sortee misono occupata più delle vostre avventure che delle mie. Non viavrei neanche mai parlato delle mie disgrazie se non mi avestestuzzicata un po'e se non fosse usanzasulle naviraccontarequalche storia per scacciare la noia. Insommamadamigellasonoespertaconosco il mondo; concedetevi un divertimentoinvitatetutti i passeggeri a raccontarvi la loro storiae se ne trovate unosolo che non abbia maledetto spesso la propria vitache non si siadetto spesso di essere il più infelice degli uominigettatemipure in mare a testa in giù.




CAPITOLOTREDICESIMO


COMECANDIDO FU COSTRETTO A SEPARARSI DALLA BELLA CUNEGONDA E DALLAVECCHIA


Labella Cunegondaquando ebbe ascoltato la storia della vecchialeusò tutte le gentilezze dovute a una persona del suo rango edel suo merito. Accettò la proposta; invitò tutti ipasseggeriuno dopo l'altroa raccontarle le proprie avventure.Candido e lei confessarono che la vecchia aveva ragione.


"E'un gran peccato"diceva Candido"che il saggio Panglosssia stato impiccatocontro l'usanzain un autodafé; cidirebbe cose mirabili sul male fisico e sul male morale che copronola terra e il maree io mi sentirei abbastanza forte da osare fargliqualche rispettosa obiezione".


Mentreognuno raccontava la propria storiail vascello proseguiva la rotta.Approdarono a Buenos Aires. Cunegondail capitano Candido e lavecchia si recarono dal governatore don Fernando d'IbaraayFigueoray Mascarenesy Lampurdosy Suza. Questo signore aveval'alterigia che s'addice a un uomo che porta tanti nomi. Parlava allagente col più nobile disdegnotenendo il naso cosìaltoalzando così implacabilmente la voceassumendo un tonocosì imponenteaffettando un'andatura così altera chetutti quelli che lo salutavano erano tentati di picchiarlo. Amavafollemente le donne. Cunegonda gli parve quanto aveva mai visto dipiù bello. La prima cosa che fece fu di chiedere se non fossela moglie del capitano. Il tono con cui fece la domanda allarmòCandido: il quale non osò dirgli che era sua moglieperchéin realtà non lo era; non osava dire che era sua sorellaperché anche questo era falso; e benché tale menzognaufficiosa fosse stata molto di moda presso gli antichie potessetornare utile ai modernila sua anima era troppo pura per tradire laverità.


"MadamigellaCunegonda"disse"mi deve far l'onore di sposarmie noisupplichiamo Vostra Eccellenza che si degni di concludere le nozze".


DonFernando d'Ibaraay Figueoray Mascarenesy Lampurdosy Suzaarricciandosi i baffisorrise amaramentee ordinò alcapitano Candido di andare a passare in rivista la sua compagnia.Candido ubbidì; il governatore rimase con madamigellaCunegonda. Le dichiarò la sua passionele protestò chel'indomani l'avrebbe sposata davanti alla Chiesao ad altricomepiù le sarebbe piaciuto. Cunegonda gli chiese un quarto d'oraper riflettereper consultare la vecchia e per prendere unadecisione.


Lavecchia disse a Cunegonda:

"Madamigellavoi avete settantadue quarti e nemmeno un soldo; non dipende che davoi di diventare la moglie del più gran signore dell'Americameridionaleil quale ha dei bellissimi baffi; dovete essere propriovoi a piccarvi di una fedeltà a tutta prova? Siete stataviolata dai Bulgari; un ebreo e un inquisitore hanno goduto le vostrebuone grazie: le sventure danno dei diritti. Confesso chese fossial vostro postonon mi farei alcuno scrupolo di sposare il signorgovernatoree di fare la fortuna del capitano Candido".


Mentrela vecchia parlava con tutta l'accortezza dell'età edell'esperienzavidero entrare nel porto un piccolo vascellotrasportava un alcade e degli alguazil; ed ecco cos'era successo.


Lavecchia aveva proprio colto nel segno sospettando che fosse stato unfrate dalla manica largaa rubare il denaro e i gioielli di Cunegondanella città di Badajozallorché fuggiva in fretta efuria con Candido. Il frate volle vendere qualche pietra a ungioielliere.


Ilmercante le riconobbe per quelle del grande inquisitore. Ilfrancescanoprima d'essere impiccatoconfessò di averlerubate:

indicòle persone e la strada che avevano preso. La fuga di Cunegonda e diCandido era già nota. Li seguirono a Cadice: senza perderetempospedirono un vascello per catturarli. La nave era giànel porto di Buenos Aires. Si sparse la voce che un alcade stava persbarcaree che inseguiva gli assassini di monsignor il grandeinquisitore. La vecchia prudente vide subito quel che c'era da fare:

"Nonpotete fuggire"disse a Cunegonda"e non avete nulla datemere:

nonsiete stata voi a uccidere monsignoree del resto il governatoreche vi amanon permetterà che vi maltrattino; restate qui".


Corseimmediatamente da Candido:

"Fuggite"gli disse"o entro un'ora vi bruceranno".


Nonc'era un minuto da perdere; ma come separarsi da Cunegonda e doverifugiarsi?




CAPITOLOQUATTORDICESIMO


COMECANDIDO E CACAMBO' FINIRONO ACCOLTI DAI GESUITI DEL PARAGUAY


Candidoaveva portato con sé da Cadice un servo come se ne trovanotanti sulle coste spagnole e nelle colonie. Era un quarto dispagnolonato da un meticcio del Tucuman; era stato chierichettosacrestanomarinaiomonacofattoresoldatolacchè. Sichiamava Cacambòe amava molto il suo padroneperchéera un gran buon uomo. Sellò in gran fretta i due cavalliandalusi.


"Andiamopadroneseguiamo il consiglio della vecchia; partiamo e corriamosenza voltarci indietro".


Candidopianse:

"Omia cara Cunegonda! devo abbandonarti proprio mentre il signorgovernatore sta per sposarti! Cunegondaportata qui da cosìlontanoche sarà di te?" "Sarà quel chesarà;" disse Cacambò"le donne si cavanosempre d'impiccio; Dio provvederà; corriamo".


"Dovemi porti? dove andiamo? che faremo senza Cunegonda?" dicevaCandido.


"PerSan Giacomo di Compostella"disse Cacambò"venivateper far la guerra ai Gesuiti; andiamo a farla per loro: conosco lestradevi porterò nel loro regnosaranno incantati di avereun capitano che sa fare l'esercizio alla bulgara; farete una fortunaprodigiosa: quando non si ricava alcun utile in un mondo lo si trovain un altro. E' piacevolissimo vedere e fare cose nuove".


"Dunquesei già stato nel Paraguay?" disse Candido.


"Ehsì!" rispose Cacambò"sono statosorvegliante nel collegio dell'Assunzionee conosco il governatoratode Los Padres come conosco le strade di Cadice. E' una cosa mirabile.Il regno si estende già per più di trecento leghe didiametro; è diviso in trenta province. Los Padres hanno tuttoi popoli niente: è il capolavoro della ragione e dellagiustizia. Per menon vedo niente di così divino come LosPadresche qui fanno la guerra al re di Spagna e al re delPortogallomentre in Europa li confessano; che qui ammazzano glispagnolie a Madrid li mandano in cielo: la cosa m'incanta; andiamoavanti: sarete il più felice degli uomini. Che piacere per iPadri quando sapranno che è arrivato un capitano che conoscel'esercizio alla bulgara!" Quando giunsero alla prima doganaCacambò disse alla guardia avanzata che un capitano chiedevadi parlare a monsignor comandante. Andarono ad avvertire la granguardia. Un ufficiale paraguaiano corse ai piedi del comandante percomunicargli la notizia. Candido e Cacambò furono anzituttodisarmatie i loro due cavalli andalusi requisiti. I due stranierisono introdotti fra due file di soldati; il comandante stava infondocol nicchio in testala tonaca rialzatala spada al fiancola picca in mano. Fa un segno; subito ventiquattro soldati circondanoi due nuovi venuti. Un sergente dice loro che devono attenderecheil comandante non può parlargliche il reverendo padreprovinciale non permette a nessun spagnolo di aprire boccase non insua presenzae di rimanere più di tre ore nel paese.


"Edov'è il reverendo padre provinciale?" disse Cacambò.


"E'alla parata dopo aver detto messa"rispose il sergente"enon potrete baciare i suoi speroni che fra tre ore".


"Ma"disse Cacambò"il signor capitanoche sta morendo difame come menon è spagnoloè tedesco; non potremmofar colazione mentre aspettiamo Sua Reverenza?" Il sergente andòsubito a riferire tale discorso al comandante.


"Diosia lodato!" disse quel signore"se è tedesco gliposso parlare; portatelo nel mio frascato".


Subitocondussero Candido in un chiosco di verzuraornato da bellissimecolonne di marmo verde e oroe di graticolati che rinchiudevanopappagallicolibrìuccelli moscafaraonee tutti gliuccelli più rari. Un'eccellente colazione era preparata instoviglie d'oro; e mentre i paraguaiani mangiavano del mais dentroscodelle di legnoin aperta campagna e in pieno soleil reverendopadre comandante entrò nel chiosco.


Eraun bellissimo giovanedal viso pienopiuttosto bianco di coloritoaccesole sopracciglia altel'occhio vivol'orecchio rossolelabbra vermigliel'aspetto fieroma di una fierezza che non eraquella di uno spagnolo né di un gesuita. Candido e Cacambòriebbero le armi che gli avevano toltoe anche i due cavalliandalusiai quali Cacambò diede dell'avena accanto alchioscotenendoli sempre d'occhioper timore di qualche sorpresa.


Candidobaciò anzitutto il lembo della tonaca del comandantepoi simisero a tavola.


"Dunquesiete tedesco?" gli disse il gesuita in quella lingua.


"Sìreverendo padre"disse Candido.


L'unoe l'altropronunciando tali parolesi guardavano con meraviglia econ un'emozione che non riuscivano a dominare.


"Edi quale regione della Germania?" disse il gesuita.


"Dellasporca provincia di Vestfalia;" disse Candido"sono natonel castello di Thunder-ten-tronckh".


"Ocielo! è mai possibile!" esclamò il comandante.


"Chemiracolo!" esclamò Candido.


"Sarestedunque voi?" disse il comandante.


"Nonè possibile"disse Candido.


Cadonotutti e due riversisi abbraccianoversano torrenti di lacrime.


"Comesiete dunque voireverendo padre? voiil fratello della bellaCunegonda! voiche foste ammazzato dai Bulgari! voiil figlio dimonsignor barone! voigesuita in Paraguay! Bisogna ammettere chequesto mondo è una ben strana cosa! O Pangloss! Pangloss!quanto saresti felice se non ti avessero impiccato!" Ilcomandante ordinò agli schiavi negri e ai paraguaiani cheversavano da bere in calici di cristallo di rocca di ritirarsi.Ringraziò mille volte Iddio e Sant'Ignazio; stringeva Candidofra le braccia; i loro volti erano inondati di lacrime.


"Saresteancora più stupitopiù commossopiù fuori divoi"disse Candido"se vi dicessi che madamigellaCunegondavostra sorellache credevate sventrataè in buonasalute".


"Dove?""Qui vicinopresso il signor governatore di Buenos Aires; e iovenivo per farvi guerra".


Ogniparola pronunciata durante quella lunga conversazione accumulavaprodigi su prodigi. Tutta l'anima loro gli volava sulla linguastavain ascolto nelle loro orecchie e gli scintillava negli occhi. Siccomeerano tedeschirimasero a tavola a lungoaspettando il reverendopadre provinciale; e il comandante così parlò al suocaro Candido.




CAPITOLOQUINDICESIMO


COMECANDIDO AMMAZZO' IL FRATELLO DELLA SUA CARA CUNEGONDA


"Pertutta la vita non dimenticherò il giorno orribile in cui vidiuccidere mio padre e mia madree violare mia sorella. Quando iBulgari se ne furono andatinon si trovò più la miaadorabile sorella. Misero mio padremia madre e me su una carrettainsieme a due serve e a tre ragazzini sgozzatiper portarci aseppellire nella cappella dei gesuitia due leghe dal castello deimiei padri. Un gesuita ci asperse con acqua benedetta; eraterribilmente salata; qualche goccia mi entrò negli occhi: ilpadre si accorse che la mia palpebra si muoveva un po': mi pose lamano sul cuoree lo sentì battere; fui soccorsoin capo atre settimane mi rimisi completamente. Tu saicaro Candidoche eromolto bello; lo divenni ancor piùperciò il reverendopadre Croustsuperiore della casami prese teneramente a cuore: midiede l'abito di novizio; qualche tempo dopo fui inviato a Roma. Ilpadre generale aveva bisogno di raccogliere giovani gesuiti tedeschi.I sovrani del Paraguay accolgono il meno possibile gesuiti spagnoli;preferiscono gli stranieriche credono di poter dominare meglio. Ilreverendo padre generale mi giudicò adatto per venire alavorare in questa vigna. Partimmo insiemeun polaccoun tirolesee io. Appena giuntoebbi l'onore del suddiaconato e di unaluogotenenza; oggi sono colonnello e prete.


Facciamouna vigorosa accoglienza alle truppe del re di Spagna; vi garantiscoche saranno scomunicate e battute. La Provvidenza vi manda qui perassecondarci. Ma è proprio vero che la mia cara sorellaCunegonda si trova qui vicinodal governatore di Buenos Aires?"Candido gli giurò che niente era più vero. Le lacrimeripresero a scorrere.


Ilbarone non si stancava d'abbracciare Candido; lo chiamava fratellosalvatore.


"Ah!"gli disse"caro Candidoforse potremo entrare insiemevittoriosi nella cittàe riprendere mia sorella Cunegonda".


"E'tutto quello che spero"disse Candido"perchécontavo di sposarlae lo spero ancora".


"Voiinsolente!" rispose il barone"voi avreste l'impudenza disposare mia sorellache ha settantadue quarti! Mi sembrate bensfrontato per azzardarvi a parlarmi di un progetto cosìtemerario!" Candidopietrificato da un simile discorsoglirispose:

"Reverendopadretutti i quarti del mondo non contano nienteho strappatovostra sorella dalle braccia di un ebreo e di un inquisitore; mi deveparecchioe mi vuole sposare. Mastro Pangloss mi ha sempre detto chegli uomini sono uguali; e certamente la sposerò".


"E'quello che vedremomascalzone!" disse il gesuita barone diThunder-ten-tronckh; e così dicendo gli menò una granpiattonata di spada in faccia. Candido immediatamente sguaina la suae l'immerge fino all'elsa nel ventre del barone gesuita; ma nelritirarla tutta fumantesi mise a piangere:

"Ahimè!Dio mio" disse"ho ucciso il mio antico padroneil mioamicomio cognato; sono l'uomo più mite del mondoe ho giàammazzato tre uomini; e dei tredue sono preti".


Cacambòche stava in guardia alla porta del chioscoaccorse.


"Nonci resta che vendere cara la pelle"gli disse il padrone"frapoco verranno qui di sicuro; bisogna morire con le armi in mano".


Cacambòche ne aveva viste ben altrenon perse la testa; sfilò latonaca da gesuita dal corpo del barone e la mise indosso a Candidogli diede il nicchio del mortoe lo fece salire a cavallo. Tuttoquesto in un batter d'occhio.


"Galoppiamopadrone; tutti vi prenderanno per un gesuita che va a portare ordini;prima che si mettano a inseguirci avremo passato la frontiera".


Giàvolava dicendo queste parolee gridava in spagnolo: "Largolargo al reverendo padre colonnello!"




CAPITOLOSEDICESIMO


COSACAPITO' AI DUE VIAGGIATORI CON DUE RAGAZZEDUE SCIMMIEE I SELVAGGICHIAMATI ORECCHIONI


Candidoe il servo avevano già varcato la frontieraenell'accampamento nessuno ancora sapeva della morte del gesuitatedesco. L'accorto Cacambò aveva provveduto a riempire lavaligia di panecioccolataprosciuttofrutta e qualche misura divino. Si inoltrarono coi loro cavalli andalusi in un paesesconosciuto dove non scoprirono alcuna strada. Finalmente una bellaprateria percorsa da ruscelli si aprì davanti a loro. I nostriviaggiatori fanno pascolare le cavalcature. Cacambò propone alpadrone di mangiaree gliene dà l'esempio.


"Comevuoi che mangi prosciutto"gli diceva Candido"quando houcciso il figlio del signor barone e mi vedo ormai condannato a nonrivedere più la bella Cunegonda? A che mi serve prolungare imiei miserevoli giornidal momento che devo trascinarli lontano dalei nel rimorso e nella disperazione? E che dirà «IlGiornale di Trévoux?»" Così parlando nontralasciò di mangiare. Il sole tramontava. I due sperdutiudirono alcuni gridi leggeri che parevano di donne. Non sapevano sequesti gemiti erano di dolore o di gioia ma si alzarono di scattocon l'inquietudine e l'ansia che ogni cosa ispira in un paesesconosciuto. Quelle grida venivano da due ragazze completamente nudeche correvano leggere al margine della prateriainseguite da duescimmie che mordevano loro le natiche. Candido ne fu impietosito;aveva imparato a tirare presso i Bulgarie avrebbe colpito unanocciola in un cespuglio senza toccar foglia. Prende il fucilespagnolo a due colpisparae uccide le due scimmie.


"Diosia lodato! mio caro Cacambò! ho liberato da un gran pericoloquelle due povere creature: se ho commesso peccato uccidendo uninquisitore e un gesuital'ho riparato salvando la vita a dueragazze. Son forse due damigelle di buona famigliae questaavventura può procurarci grandissimi vantaggi nel paese".


Stavaper proseguirema gli si paralizzò la lingua quando vide ledue ragazze abbracciare teneramente le scimmiesciogliersi inlacrime sui loro corpiriempire l'aria coi gridi piùdolorosi.


"Nonm'aspettavo una tale bontà d'animo"disse Candido aCacambòche gli ribatté:

"Avetefatto un bel lavoropadroneavete ucciso gli amanti di quelle dueragazze".


"Iloro amanti! è mai possibile? Ti prendi gioco di meCacambò;come posso crederti?" "Mio caro padrone"ripreseCacambò"voi vi meravigliate sempre di tutto; perchéstupirvi che in qualche paese ci siano delle scimmie che godono dellebuone grazie delle signore? Sono quarti di uomocome io sono unquarto di spagnolo".


"Ahimè!"riprese Candido"mi ricordo di aver sentito dire da mastroPangloss che altre volte erano capitati simili casie che taliincroci avevano prodotto egipanifaunisatiri; che parecchi grandipersonaggi dell'antichità ne avevano visti; ma credevo chefossero favole".


"Orasarete convinto"disse Cacambò"che si tratta diveritàe potete vedere che uso ne fanno le persone che nonhanno ricevuto una certa educazione; non vorrei che quelle signore cifacessero qualche brutto scherzo".


Questisolidi ragionamenti spinsero Candido a lasciare la prateriae ainoltrarsi in un boscodove si mise a cenare insieme a Cacambò.


Tuttie duedopo aver maledetto l'inquisitore del Portogalloilgovernatore di Buenos Aires e il baronesi addormentarono sulmuschio. Al risvegliosentirono di non potersi muovere; il fatto èche durante la notte gli Orecchioniabitanti del paeseai quali ledue dame li avevano denunciatili avevano strettamente legati condelle corde fatte di scorza d'albero. Erano circondati da unacinquantina di Orecchioni completamente nudiarmati di freccedimazze e d'asce di pietra; gli uni facevano bollire una gran caldaiagli altri preparavano degli spiedie tutti quanti gridavano: "E'un gesuita! è un gesuita! saremo vendicatie faremo un ottimopranzo; mangiamo gesuitamangiamo gesuita!". "Ve l'avevodettomio caro padrone"esclamò tristemente Cacambò"che quelle due ragazze ci avrebbero giocato un brutto tiro".


Candidoscorgendo la caldaia e gli spiediesclamò:

"Certamentesaremo arrostiti o bolliti. Ah! che direbbe mastro Panglosssevedesse com'è fatta la pura natura? Tutto è bene; esiama devo dire che è ben crudele aver perduto madamigellaCunegonda ed essere messo allo spiedo dagli Orecchioni".


Cacambònon perdeva mai la testa.


"Nondisperate;" disse al desolato Candido"capisco un po' ilgergo di questi popoli; proverò a parlargli".


"Nonmancare"disse Candido"di fargli osservare l'inumanitàspaventosa di cuocere degli uominie come sia poco cristiano".


"Signori"disse Cacambò"voi dunque contate di mangiare un gesuitaoggi? Molto bene; non c'è niente di più giusto chetrattare in questo modo i propri nemici. In effetti il dirittonaturale ci insegna a uccidere il prossimoed è cosìche si agisce in tutto il mondo. Se non esercitiamo il diritto dimangiarloè perché possiamo fare un buon pranzoaltrove; ma voi non avete le nostre risorse: certo è megliomangiare i propri nemici che lasciare ai corvi e alle cornacchie ifrutti della propria vittoria. Masignorivoi non vorreste mangiarei vostri amici. Voi credete di mettere un gesuita allo spiedoed èinvece il vostro difensoreil nemico dei vostri nemici che state perarrostire. Quanto a mesono nato nella vostra regione; il signoreche vedete è il mio padronee ben lungi dall'essere gesuitane ha appena ucciso uno e ne porta le spoglie; ecco la ragione delvostro errore. Per accertarvi di quanto dicoprendete la suasottanaportatela alla prima dogana del regno dei Padres;informatevi se il mio padrone non ha ucciso un ufficiale gesuita. Nonci metterete molto; potrete sempre mangiarcise scoprite che vi homentito. Ma se vi ho detto la veritàvoi conoscete troppobene i principi del diritto pubblicoi costumi e le leggiper nonfarci grazia".


GliOrecchioni trovarono tale discorso molto ragionevole; inviarono duenotabili perché si recassero in fretta a informarsi dellaverità; i due delegati assolsero il loro compito da persone dispiritoe presto ritornarono portando buone notizie. Gli Orecchionislegarono i due prigionierigli fecero ogni sorta di cortesiaglioffrirono ragazze e rinfreschie li condussero fino ai confini delloro statogridando allegramente: "Non è un gesuitanonè un gesuita!" Candido non cessava di ammirare il motivodella sua liberazione.


"Chepopolo!" diceva"che uomini! che costumi! se non avessiavuto la fortuna di trapassare con un colpo di spada il fratello dimadamigella Cunegondasarei stato mangiato senza scampo. Madopotuttola pura natura è buonapoiché questa genteinvece di mangiarmimi ha usato mille cortesie non appena ha saputoche non ero gesuita".




CAPITOLODICIASSETTESIMO


ARRIVODI CANDIDO E DEL SUO SERVO NEL PAESE D'ELDORADOE QUELLO CHE VIDERO


Quandofurono ai confini degli Orecchioni:

"Vedete"disse Cacambò a Candido"che quest'emisfero non èmeglio dell'altro; datemi rettatorniamo in Europa per la via piùbreve".


"Cometornarci"disse Candido"e dove andare? Se vado nel miopaesei Bulgari e gli Avari sgozzano tutti; se torno in Portogallomi bruciano; se restiamo quirischiamo a ogni momento di finire allospiedo. Ma come decidersi a lasciare la parte del mondo abitata damadamigella Cunegonda?" "Dirigiamoci verso la Caienna"disse Cacambò"ci troveremo dei Francesi: quelli vannodappertutto; ci potranno aiutare. Forse Dio avrà pietàdi noi".


Nonera facile raggiungere la Caienna; sapevano pressappoco da che partecamminarema montagnefiumiprecipizibrigantiselvaggicostituivano ovunque dei tremendi ostacoli. I cavalli morirono difatica; le provviste si esaurirono; per un intero mese si cibaronosolo di frutti selvaticie finalmente giunsero a un fiumicellocosteggiato di palme da coccoche restituirono loro vita e speranze.


Cacambòche dava sempre consigli buoni quanto quelli della vecchiadisse aCandido:

"Nonne possiamo piùabbiamo camminato abbastanza; vedo una barcavuota sulla rivariempiamola di noci di coccobuttiamoci dentroelasciamoci trasportare dalla correnteun fiume conduce sempre inqualche luogo abitato. Se non troviamo cose gradevolitroveremoalmeno cose nuove".


"Andiamo"disse Candido"raccomandiamoci alla Provvidenza".


Remaronoper qualche lega tra rive ora fioriteora arideora pianeorascoscese. Il fiume si andava sempre più slargando; poi siperdeva sotto una volta di rocce spaventose che si innalzavano finoal cielo.


Sottoquella volta i due viaggiatori ebbero l'ardire d'abbandonarsi aiflutti. Il fiumestrozzato in quel puntoli trascinò conrapidità e fragore terribili. In capo a ventiquattr'orerividero la luce; ma la barca si fracassò contro gli scogli;dovettero trascinarsi di roccia in roccia per un'intera lega; infinescoprirono un orizzonte immensoorlato di montagne inaccessibili. Ilpaese era coltivato per il piacere come per il bisogno; dovunquel'utile era anche dilettevole.


Lestrade erano coperteo piuttosto ornatedi vetture di forma emateria brillante che portavano uomini e donne di singolare bellezzaed erano trascinate da grosse pecore rosse che superavano in velocitài più bei cavalli d'Andalusiadi Tetuan e di Mequinez.


"Eppure"disse Candido"ecco un paese che è meglio dellaVestfalia".


Misepiede a terra con Cacambò presso il primo villaggio cheincontrarono.


All'entratadel borgo alcuni bambini coperti di broccati d'oro tutti lacerigiocavano a piastrella. I nostri due uomini dell'altro mondo sidivertirono a guardarli: le piastrelle erano piuttosto larghe etondegiallerosse e verdie gettavano un bagliore singolare. Iviaggiatoriincuriositine raccattarono qualcuna; era oroeranosmeraldi e rubiniil più piccolo dei quali avrebbe costituitoil massimo ornamento del trono del Mogol.


"Certamente"disse Cacambò"questi bambini sono i figli del re delpaese che giocano a piastrella".


Inquel momento comparve il maestro del villaggio per farli rientrare ascuola.


"Ecco"disse Candido"il precettore della famiglia reale".


Ipiccoli pezzenti abbandonarono subito i loro giochilasciando aterra le piastrelle e tutto quanto era servito per i lorodivertimenti. Candido le raccogliecorre dal precettoreglielepresenta umilmentefacendogli capire a gesti che le loro altezzereali avevano dimenticato l'oro e le gemme. Il maestro del villaggiosorridendole gettò a terraosservò un momento lafaccia di Candido con grande stuporee continuò la suastrada.


Iviaggiatori non tralasciarono di raccogliere l'oroi rubini e glismeraldi.


"Dovesiamo?" esclamò Candido"bisogna che i figli del redi questo paese siano davvero ben educativisto che gli insegnano adisprezzare l'oro e le gemme".


Cacambòera sorpreso quanto Candido. Si avvicinarono poi alla prima casa delvillaggioche era costruita come un palazzo europeo. Una gran follasi ammassava alla portae ancor più dentro l'edificio; siudiva una musica gradevolissimae si sentiva un delizioso odore dicucina. Cacambò si accostò alla portaudì cheparlavano peruviano: la sua lingua materna; tutti sanno infatti cheCacambò era nato nel Tucumanin un villaggio dove non siparlava altra lingua.


"Vifarò da interprete;" disse a Candido"entriamoèuna locanda".


Subitodue ragazzi e due ragazzevestiti di tessuti d'oroi capelliannodati con nastrili invitano a mettersi a tavola. Vengon loroservite quattro minestreciascuna con contorno di quattropappagalliun condor lessato che pesava duecento libbredue scimmiearrosto dal sapore eccellentetrecento colibrì in un piattoe seicento uccelli mosca in un altro; intingoli squisiti e dolcideliziosi; il tutto in piatti di una specie di cristallo di rocca. Igiovani e le ragazze della locanda mescevano vari liquori trattidalla canna da zucchero.


Iconvitati erano per lo più mercanti e vetturalituttiestremamente educatiche fecero qualche domanda a Cacambò conla massima discrezione e risposero alle sue in maniera soddisfacente.


Quandoil pranzo fu terminatoCacambò credettecome Candidodipagare il conto gettando sulla tavola due di quei larghi ciottolid'oro che aveva raccolto; l'oste e l'ostessa scoppiarono a ridereesi tennero a lungo la pancia. Finalmente si ricomposero:

"Signori"disse l'oste"vediamo che siete stranieri; non siamo abituati avederne. Scusateci se ci siamo messi a ridere quando ci avete offertoin pagamento i sassi della strada. Certamente non avete denaro delpaesema non è necessario averne per mangiare qui. Tutte lelocande istituite per la comodità dei commerci sono pagate dalgoverno. Qui avete mangiato maleperché siamo in un villaggiopovero; ma altrove sarete accolti secondo il vostro merito".


Cacambòriferiva a Candido tutti i discorsi dell'ostee Candido li ascoltavacon la stessa ammirazione e lo stesso sbalordimento con cui Cacambòli traduceva.


"Chepaese è mai questo"si dicevano l'un l'altro"sconosciuto al resto del mondoe dove la natura è diuna specie così diversa dalla nostra? Probabilmente èil paese dove tutto va bene: perché bisogna assolutamente cheve ne sia uno. Checché ne dicesse mastro Panglossmi sonospesso accorto che tutto andava male in Vestfalia".




CAPITOLODICIOTTESIMO


QUELCHE VIDERO NEL PAESE DI ELDORADO


Cacambòespresse all'oste tutta la sua curiosità; l'oste gli disse:

"Iosono molto ignorantee me ne trovo bene; ma qui abbiamo un vecchioche un tempo viveva a corte ed è l'uomo più sapientedel regnoe il più affabile".


Subitoconduce Cacambò dal vecchio. Candido era diventato unpersonaggio secondario: accompagnava il suo servo. Entrarono in unacasa molto semplicepoiché la porta era solo d'argentoe irivestimenti delle stanze erano d'oroma lavorati con tale gusto chele più ricche decorazioni non li potevano offuscare.L'anticamera in verità non era incrostata che di rubini esmeraldi; ma l'ordine in cui tutto era disposto suppliva a questaestrema semplicità.


Ilvecchio ricevette i due stranieri su un sofà imbottito dipiume di colibrìe offrì loro dei liquori in vasi didiamante; dopo di che diede soddisfazione alla loro curiositàin questi termini:

"Ioho centosettantadue annie ho appreso dal mio defunto padrescudiere del rele stupefacenti rivoluzioni del Perùdellequali era stato testimone. Il regno in cui viviamo è l'anticapatria degli Incasche molto imprudentemente ne uscirono per andarea sottomettere una parte del mondoe che furono infine distruttidagli spagnoli. I principi della loro famiglia che restarono nelpaese furono più saggi; ordinaronocol consenso dellanazioneche nessun abitante uscisse mai dal nostro piccolo regno;per ciò abbiamo conservato la nostra innocenza e la nostrafelicità. Gli spagnoli hanno avuto confuse notizie del nostropaese; lo hanno chiamato «El Dorado»; e un inglesechiamato il cavaliere Raleigh ci si è persino avvicinato circacento anni fa; mapoiché siamo circondati da rocceinaccessibili e precipizisiamo sempre statifino a oraal riparodalle rapacità delle nazioni europeele quali nutrono unasmania inconcepibile per le pietre e il fango della nostra terraecheper averneci ucciderebbero tutti fino all'ultimo".


Laconversazione fu lunga; discussero sulla forma di governoi costumile donnegli spettacoli pubblicile arti. Alla fine Candidocheaveva sempre avuto il gusto della metafisicafece chiedere daCacambò se nel paese c'era una religione.


Ilvecchio arrossì un po'.


"Come!"disse"potete dubitarne? Ci prendete forse per degli ingrati?"Cacambò chiese umilmente quale fosse la religione d'Eldorado.Il vecchio arrossì di nuovo:

"Possonoforse esserci due religioni?" disse. "Abbiamoio credolareligione di tuttiadoriamo Dio dal mattino alla sera".


"Nonadorate che un solo Dio?" disse Cacambòche facevasempre da interprete ai dubbi di Candido.


"Evidentemente"disse il vecchio"dato che non ce ne sono né duenétrené quattro. Devo confessarvi che le persone del vostromondo fanno delle domande ben strane".


Candidonon si stancava di interrogare il buon vecchio; volle sapere come sipregava Dio nell'Eldorado.


"Nonlo preghiamo affatto"disse il buono e rispettabile saggio"non abbiamo niente da chiederglici ha dato tutto ciòdi cui abbiamo bisogno; lo ringraziamo incessantemente".


Candidoebbe voglia di vedere dei preti; fece chiedere dove fossero.


Ilbuon vecchio sorrise.


"Amicimiei"disse"noi siamo tutti preti; il re e tutti icapifamiglia cantanoogni mattinasolenni inni di ringraziamentoecinque o seimila musici li accompagnano".


"Come!Non avete monaci che insegnanodisputanogovernanointrigano efanno bruciare la gente che non è del loro parere?""Dovremmo essere pazzi;" disse il vecchio"qui siamotutti dello stesso pareree non capiamo cosa volete dire con ivostri monaci".


Candidonell'udire questi discorsiandava in estasie diceva fra sé:"Tutto ciò è ben diverso dalla Vestfalia e dalcastello del signor barone; se il nostro amico Pangloss avesse vistoEldoradonon avrebbe più detto che il castello diThunder-ten-tronckh era quanto c'è di meglio sulla terra; ècerto che bisogna viaggiare".


Dopoquesta lunga conversazioneil buon vecchio fece attaccare sei pecorea una carrozzae incaricò dodici suoi domestici di condurre acorte i due viaggiatori.


"Scusatemi"disse loro"se l'età mi priva dell'onore diaccompagnarvi. Il re vi riceverà in maniera tale che ne saretecontentie certo scuserete le usanze del paesese ce n'èqualcuna che vi dispiace".


Candidoe Cacambò salgono in carrozza; le sei pecore volavanoe inmeno di quattro ore giunsero al palazzo del resituato aun'estremità della capitale. Il portale era alto duecentoventipiedie largo cento; è impossibile dire di che materia fossefatto. Da questo si può capire la prodigiosa superioritàche doveva avere su quei ciottoli e quella sabbia che noi chiamiamooro e gemme.


Ventibelle ragazze della guardia ricevettero Candido e Cacambòappena smontarono dalla carrozza; li condussero ai bagnilivestirono con abiti tessuti con peluria di colibrì dopo di chei grandi ufficiali e le grandi ufficialesse della corona licondussero nell'appartamento di Sua Maestàin mezzo a duefile formate da mille musici ciascunasecondo l'uso ordinario.Quando si avvicinarono alla sala del tronoCacambò chiese aun grande ufficiale come bisognava comportarsi per salutare SuaMaestà; se ci si gettava in ginocchio o ventre a terra; se simettevano le mani in testa o sul sedere; se si leccava la polveredella sala; insomma qual era il cerimoniale.


"L'uso"disse il grande ufficiale"è di abbracciare il re e dibaciarlo sulle guance".


Candidoe Cacambò saltarono al collo di Sua Maestàche liricevette con tutto il garbo immaginabile e li invitògentilmente a cena.


Nell'attesali condussero a vedere la cittàgli edifici pubblici che siinnalzavano fino alle nubii mercati adorni di mille colonnelefontane d'acqua purale fontane d'acqua di rosequelle cheriversavano continuamente liquori di canna da zucchero nelle grandipiazze lastricate d'una specie di pietra preziosa da cui si spandevaun odore simile a quello del garofano e della cannella. Candidochiese che gli mostrassero la corte di giustizia o il parlamento; glidissero che non ce n'eranoe che non si litigava mai. S'informòse ci fossero delle prigionigli risposero di no. Ciò chemaggiormente lo stupìe che più gli fece piacerefuil palazzo delle scienzein cui vide una galleria di duemila passitutta piena di strumenti di matematica e di fisica.


Dopoaver percorso in tutto il pomeriggio circa la millesima parte dellacittàli condussero dal re. Candido sedette a tavola fra SuaMaestàil servo Cacambò e parecchie dame. Non simangiò mai così benee mai nessuno dimostròtanto spirito a cena quanto Sua Maestà.


Cacambòspiegava a Candido le battute del ree benché tradottesembravano sempre divertenti. Delle tante cose che stupivano Candidoquella non era la meno sorprendente.


Trascorseroun mese in quel luogo ospitale. Candido non cessava di dire aCacambò:

"Ancorauna voltaamico mioè ben vero che il castello in cui sononato non vale il paese in cui ci troviamoma insomma madamigellaCunegonda non è quie certamente tu avrai qualche amante inEuropa.


Serestiamo quisaremo come tutti gli altri; mentre se torniamo nelnostro mondoanche con solo dodici pecore cariche di sassid'Eldoradosaremo più ricchi di tutti i re messi assiemenondovremo più temere nessun inquisitoree potremo facilmenteriprenderci madamigella Cunegonda".


Ildiscorso andò a genio a Cacambò; piace talmente correreil mondofarsi valere presso i suoifare mostra di ciò chesi è visto durante i viaggiche i due felici decisero di nonesserlo piùe di congedarsi da Sua Maestà.


"Fateuna sciocchezza"gli disse il re"so bene che il miopaese è poca cosa; ma quando si sta discretamente in qualchepostobisogna restarci. Certo non ho il diritto di trattenere deglistranieri; sarebbe una tirannia completamente estranea ai nostricostumi e alle nostre leggi; tutti gli uomini sono liberi; partitequando voletema l'uscita è difficilissima. E' impossibilerisalire il fiume sul quale siete arrivati per miracoloe che scorresotto volte di rocce. Le montagne che circondano il mio regno sonoalte diecimila piedie ripide come muraglie: in larghezza sistendono ciascuna per più di dieci leghe; non si puòscenderne che attraverso precipizi. Tuttaviavisto che voleteassolutamente partiredarò ordine ai sovrintendenti allemacchine di fabbricarne una che possa trasportarvi comodamente.


Quandovi avranno portati sull'altro versante delle montagnenessuno vipotrà accompagnare perché i miei sudditi hanno fattovoto di non uscire mai dalla loro cintae sono troppo saggi pervenir meno a questa promessa. Per il restochiedetemi quanto vipiacerà".


"Nondomandiamo a Vostra Maestà"disse Cacambò"chequalche pecora carica di viveridi ciottoli e di fango del paese.


Ilre sorrise.


"Ionon capisco" disse"che gusto ci trova la vostra gented'Europa nel nostro fango giallo; ma portatevene via quanto vi paree buon pro vi faccia".


Diedeimmediatamente ordine ai suoi ingegneri di fabbricare una macchinaper issare quei due straordinari uomini fuori del regno.


Tremilabuoni fisici ci lavorarono; in capo a quindici giorni fu prontaenon costò più di venti milioni di lire sterlinevalutadel paese. Fecero salire Candido e Cacambò sulla macchina;c'erano due grandi pecore rosse sellate e imbrigliate che dovevanoservire loro da cavalcatura una volta varcate le montagneventipecore da basto cariche di viveritrenta che portavano i doni piùcuriosi che il paese potesse offriree cinquanta cariche d'orodigemme e diamanti.


Ilre abbracciò affettuosamente i due vagabondi.


Laloro partenza fu uno spettacolo veramente belloe anche il modoingegnoso con cui furono issatiloro e le pecorein cima allemontagne. I fisici si congedarono dopo averli portati al sicuroeCandido non ebbe più altro desiderio né altro scopo chedi andare a presentare le sue pecore a madamigella Cunegonda.


"Abbiamoabbastanza"disse"da pagare il governatore di BuenosAiresse è possibile mettere un prezzo a madamigellaCunegonda.


Dirigiamociverso la Caiennaimbarchiamoci e poi vedremo quale regno comperare".




CAPITOLODICIANNOVESIMO


QUELCHE CAPITO' LORO A SURINAM E IN CHE MODO CANDIDO CONOBBE MARTINO


Laprima giornata dei nostri due viaggiatori fu abbastanza piacevole.


Essierano animati dall'idea di possedere più tesori di quantil'Asial'Europa e l'Africa potessero raccogliere. Candidoesaltatoscrisse il nome di Cunegonda sugli alberi. Il secondo giorno duepecore affondarono nelle paludi e vi furono inghiottite coi lorotesori; altre due morirono di fatica qualche giorno dopo; sette ootto perirono di fame in un deserto; altre cadderoin capo a qualchegiornonei precipizi. Infinedopo cento giorni di marcianonrimasero loro che due pecore. Candido disse a Cacambò:

"Amicomiovedi come le ricchezze di questo mondo sono periture; non c'èniente di stabile salvo la virtù e la felicità dirivedere madamigella Cunegonda".


"Loammetto"disse Cacambò"ma ci restano ancora duepecore con tesori più grandi di quanti il re di Spagna potràmai avere; e laggiù vedo una città che immagino essereSurinamappartenente agli Olandesi. Siamo al termine delle nostrepene e all'inizio della nostra felicità".


Avvicinandosialla cittàincontrarono un negro steso per terracon indossosolo la metà del suo vestitocioè un paio di calzonidi tela azzurra. Al pover'uomo mancavano la gamba sinistra e la manodestra.


"MioDio!" gli disse Candido in olandese"che fai quiamicomionell'orribile stato in cui ti vedo?" "Aspetto il miopadroneil signor Vanderdenduril famoso negoziante"risposeil negro.


"Estato il signor Vanderdendur a ridurti così?" "Sìsignore"disse il negro"questo è l'uso. Ci dannoun paio di calzoni come abbigliamento due volte l'anno. Quandolavoriamo negli zuccherificie la macina ci afferra un ditocitagliano la mano; quando vogliamo fuggire ci tagliano una gamba: iomi sono trovato in questi due casi. E' a questo prezzo che mangiatelo zucchero in Europa. Eppurequando mia madre mi vendette per dieciscudi patagoni sulla costa di Guineami disse: «Figlio carobenedici i nostri feticciadorali sempre e ti faranno vivere felice;hai l'onore d'essere schiavo dei nostri signori bianchie con ciòfai la fortuna di tuo padre e di tua madre». Ahimè! nonso se ho fatto la loro fortunama loro non hanno fatto certo la mia.I canile scimmie e i pappagalli sono mille volte meno infelici dinoi; i feticci olandesi che mi hanno convertito mi dicono ognidomenica che siamo tutti figli di Adamobianchi e neri. Non sonogenealogista; ma se quei predicatori dicono il verosiamo tutticuginifigli di fratelli.


Oravoi ammettete che non si possono trattare i parenti in modo piùorribile".


"OPangloss!" esclamò Candido"tu non avevi previstoquesto abominio; ora bastabisognerà che alla fine io rinuncial tuo ottimismo".


"Checos'è l'ottimismo?" diceva Cacambò.


"Ahimè!"disse Candido"è la smania di sostenere che tutto vabene anche quando si sta male"; e versava lacrime guardando ilnegro. Così piangendo entrò in Surinam.


Perprima cosa si informarono se non ci fosse nel porto qualche vascelloda inviare a Buenos Aires. Colui al quale si rivolsero era appunto uncapitano spagnolo che si offrì di fare un onesto contratto ediede loro appuntamento in un'osteria. Candido e il fedele Cacambòci andarono ad aspettarlo con le loro due pecore.


Candidoche aveva il cuore in boccaraccontò allo spagnolo tutte lesue avventure e gli confessò di voler rapire madamigellaCunegonda.


"Miguarderò bene dal portarvi a Buenos Aires" disse ilcapitano"sarei impiccatoe anche voi; la bella Cunegonda èl'amante favorita di monsignore".


FolgoratoCandido pianse a lungo; infine tirò in disparte Cacambò.


"Caroamico"gli disse"ecco quel che devi fare. Ciascuno dinoi ha in tasca cinque o sei milioni di diamanti; tu sei piùabile di me; va a prendere madamigella Cunegonda a Buenos Aires. Seil governatore fa qualche difficoltàdagli un milionese noncededagliene due; tu non hai ammazzato nessun inquisitoredi te sifideranno. Noleggerò un altro vascelloe andrò adaspettarvi a Venezia: è un paese liberodove non c'èda temere né i Bulgari né gli Avariné gliEbreiné gli inquisitori".


Cacamboapprovò la saggia decisione. Era disperato di separarsi da unbuon padrone divenuto suo amico intimo; ma il piacere di essergliutile prevalse sul dolore di doverlo lasciare. Si abbracciarono inlacrime: Candido gli raccomandò di non dimenticare la buonavecchia.


Cacambòpartì il giorno stesso: era un gran buon uomoquel Cacambò.


Candidorimase un po' a Surinamaspettando che qualche altro capitanovolesse condurlo in Italialui e le due pecore che gli restavano.


Presedue domesticie acquistò il necessario per un lungo viaggio;finalmente il signor Vanderdendurpadrone di un grosso vascelloglisi presentò.


"Quantovolete"gli chiese Candido"per portarmi direttamente aVeneziaioi miei servii miei bagagli e queste due pecore?"Il capitano chiese diecimila piastre; Candido non esitò.


"Oh!oh!" disse fra sé l'astuto Vanderdendur"questostraniero paga diecimila piastre senza batter ciglio! dev'essere benricco". Poitornando un momento dopogli comunicò chenon poteva partire a meno di ventimila piastre.


"Ebbenele avrete!" disse Candido.


"Caspita"si disse piano il mercante"per quest'uomo pagare ventimila odiecimila piastre è la stessa cosa".


Ritornòancorae disse che non poteva portarlo a Venezia per meno ditrentamila piastre.


"Neavrete trentamila"disse Candido.


"Oh!oh!" si disse ancora il mercante olandese"trentamilapiastre non sono niente per quest'uomo; certamente le due pecoreportano dei tesori immensi; non insistiamo oltre; facciamoci pagarele trentamila piastrepoi vedremo".


Candidovendette due diamantiil più piccolo dei quali valeva piùdi tutto il denaro chiesto dal capitano. Lo pagòanticipatamente. Le due pecore furono imbarcate. Candido venivadietrosu una barchettaper raggiungere la nave nella rada; ilcapitano coglie l'occasioneleva le ancoresalpa; il vento gli èfavorevole. Candidosmarrito e stupefattolo perde ben presto divista.


"Ahimè!"grida"ecco un tiro degno del vecchio mondo".


Tornaa rivaimmerso nel dolore: perchéa conti fattiaveva persoquanto bastava a far la fortuna di venti sovrani.


Sireca dal giudice olandeseeturbato com'erabatte rudemente allaportaentraespone il suo caso a voce un po' più alta diquanto convenisse.


Ilgiudice cominciò col fargli pagare diecimila piastre per ilbaccano che aveva fatto; poi lo ascoltò pazientementeglipromise d'esaminare il caso non appena il mercante fosse ritornatoesi fece pagare altre diecimila piastre per le spese di udienza.


Untale comportamento gettò Candido al fondo della disperazione;in verità aveva sopportato sciagure mille volte piùdolorosema il sangue freddo del giudice e quello del capitano chel'aveva derubatogli accesero la bile e lo precipitarono nella piùnera malinconia. La cattiveria degli uomini si presentava al suospirito in tutta la sua bruttezza; non nutriva che idee tristi.Finalmentenon avendo più pecore cariche di diamanti daimbarcaree dato che un vascello francese era in procinto di salpareper Bordeauxaffittò una cabina a giusto prezzo e fece saperein città che avrebbe pagato il viaggioil vitto e duemilapiastre a un galantuomo che fosse l'individuo più disgustatodella propria condizione e il più infelice della provincia.


Sipresentò una tale folla di aspiranti che una flotta intera nonavrebbe potuto contenerli. Candidovolendo prendere inconsiderazione i più degni di notascelse una ventina dipersone che gli sembravano abbastanza socievolie che erano tutteconvinte di meritare la preferenza. Le raccolse nell'osteria dov'eraalloggiatoe offrì loro la cenaa patto che ciascunogiurasse di raccontare fedelmente la propria storia e promettendo discegliere chi gli sarebbe sembratoa giusta ragionepiùdegno di compassione e scontento del proprio stato. Agli altriavrebbe dato una gratifica.


Laseduta durò fino alle quattro del mattino. Candidoascoltandotutte le loro avventuresi ricordava di quanto gli aveva detto lavecchia mentre andavano a Buenos Airese della scommessa da leiproposta: che non c'era nessuno sul vascello a cui non fosserocapitate grandissime disgrazie. A ogni avventura raccontatapensavaa Pangloss.


"QuelPangloss"diceva"sarebbe assai imbarazzato a dimostrareil suo sistema. Vorrei che fosse qui. Certose tutto va beneèin Eldoradonon qui e nel resto del mondo".


Finalmentesi decise per un povero erudito che aveva lavorato dieci anni per ilibrai di Amsterdam. Giudicò che non ci fosse mestiere almondo di cui si dovesse essere più disgustati. Questo eruditoche del resto era un buon uomoera stato derubato dalla mogliepicchiato dal figlio e abbandonato dalla figliache si era fattarapire da un portoghese. Aveva appena perso un piccolo impiego chegli dava da viveree i predicanti di Surinam lo perseguitavanoperché lo prendevano per un sociniano.


Bisognaammettere che gli altri erano per lo meno infelici quanto lui; maCandido sperava che l'erudito gli avrebbe alleviato la noia delviaggio. Tutti gli altri aspiranti trovarono che Candido commettevaun'ingiustizia; ma lui li calmò dando loro cento piastreciascuno.




CAPITOLOVENTESIMO


QUELCHE CAPITO' IN MARE A CANDIDO E MARTINO


Ilvecchio eruditoche si chiamava Martinosi imbarcò dunqueper Bordeaux con Candido. L'uno e l'altro avevano molto visto esofferto; e quand'anche il vascello avesse dovuto veleggiare daSurinam al Giappone passando per il Capo di Buona Speranzaavrebberoavuto materia per discutere durante tutto il viaggio circa il malefisico e quello morale.


TuttaviaCandido aveva un grande vantaggio su Martinoperché speravasempre di rivedere madamigella Cunegondamentre Martino non avevaniente da sperare; inoltre possedeva oro e diamanti; e benchéavesse perduto cento grosse pecore rosse cariche dei piùgrandi tesori della terrabenché gli pesasse sempre sul cuorela furfanteria del capitano olandesepurequando pensava a ciòche gli rimaneva in tascae quando parlava di Cunegondasoprattuttodopo aver mangiatoallora propendeva per il sistema di Pangloss.


"Mavoisignor Martino"disse all'erudito"che ne pensate ditutto questo? Qual è la vostra idea sul male morale e suquello fisico?" "Signore"rispose Martino"imiei preti mi hanno accusato d'essere sociniano; ma la veritàè che sono manicheo".


"Voivi burlate di me"disse Candido"non ci sono piùmanichei nel mondo".


"Cisono io;" disse Martino"non so che farcima non possopensare diversamente".


"Doveteavere il diavolo in corpo"disse Candido.


"Siimmischia talmente nelle cose del mondo"disse Martino"chepotrebbe ben essere nel mio corpocome in qualsiasi altra partemavi confesso chegettando uno sguardo su questo globoo per dirmeglio su questo globulopenso che Dio lo abbia abbandonato inpotere di qualche essere malefico; sempre escludendo Eldorado. Non homai visto città che non volesse la rovina della cittàvicinafamiglia che non desiderasse lo sterminio di un'altrafamiglia. Dovunque i deboli esecrano i potenti davanti ai qualistriscianoe i potenti li trattano come greggi di cui si vende lanae carne. Un milione di assassini irreggimentaticorrendo da un capoall'altro dell'Europaesercitano disciplinatamente l'omicidio e ilbrigantaggio per guadagnarsi il paneperché non trovanomestiere più onesto; e nelle città che sembrano goderedella pacee in cui fioriscono le artigli uomini sono divorati dainvidiacrucci e inquietudini maggiori delle calamità cheaffliggono una città assediata. I dispiaceri segreti sonoancora più crudeli delle miserie pubbliche. In una parolaneho viste e passate tanteche sono manicheo".


"C'ètuttavia del buono"replicava Candido.


"Puòdarsi"diceva Martino"ma io non lo vedo".


Nelmezzo di tale disputasi udì rimbombare un cannone. Ilfragore raddoppiava di momento in momento. Ciascuno prende ilcannocchiale. Si vedono due vascelli che combattevano alla distanzadi circa tre miglia; il vento li condusse ambedue così vicinoal vascello francese che si ebbe il piacere di assistere alcombattimento con tutto comodo.


Finalmenteuno dei vascelli scaricò sull'altro una bordata cosìbassa e precisa che lo fece colare a picco. Candido e Martinoscorsero distintamente un migliaio di uomini sulla tolda della naveche affondava; alzavano tutti le mani al cielo e gettavano gridaspaventose: in un momento tutto fu inghiottito.


"Ebbene"disse Martino"ecco come gli uomini si trattano a vicenda!""E' vero"disse Candido"c'è qualcosa didiabolico in tutto questo".


Cosìparlandoscorsero un non so che di rosso che nuotava presso ilvascello. Calarono una scialuppa per vedere cosa poteva essere: erauna delle sue pecore. Candido fu più contento di ritrovarequella pecora di quanto non si fosse afflitto per averne perse centocariche di grossi diamanti d'Eldorado.


Ilcapitano francese si accorse ben presto che il capitano del vascelloaffondatore era spagnoloe che quello del vascello sommerso era unpirata olandese: lo stesso che aveva derubato Candido. Le immensericchezze di cui quello scellerato si era impadronito furono sepoltecon lui in fondo al mare; non se ne salvò che una pecora.


"Vedete"disse Candido a Martino"che il delitto talvolta èpunito; quel farabutto di capitano olandese ha avuto la sorte chemeritava".


"Sì"disse Martino"ma era necessario che perissero pure ipasseggeri che si trovavano sul vascello? Dio ha punito quelfarabuttoil diavolo ha annegato gli altri".


Intantoil vascello francese e quello spagnolo continuavano la loro rottaeCandido continuò le sue conversazioni con Martino. Discusseroquindici giorni filatie dopo quindici giorni si trovarono al puntodi partenza. Ma insomma parlavanosi comunicavano delle ideesiconsolavano. Candido carezzava la sua pecora.


"Poichéti ho ritrovato"disse"potrò ben trovare ancheCunegonda".




CAPITOLOVENTUNESIMO


CANDIDOE MARTINO SI AVVICINANO ALLE COSTE DELLA FRANCIA E RAGIONANO


Finalmenteapparvero le coste della Francia.


"Sietemai stato in Franciasignor Martino?" disse Candido.


"Sì"disse Martino"ne ho percorso parecchie province. In alcune lametà degli abitanti è pazzain altre sono troppofurbiin altre sono comunemente abbastanza miti e sciocchiin altreancora fanno gli spiritosi; in tutte l'occupazione principale èl'amorela seconda sparlaree la terza dire stupidaggini".


"Masignor Martinoavete visto Parigi?" "Sìl'hovista: è un insieme di tutto ciò che ho detto; èun caosuna calca dove ognuno cerca il piaceree quasi nessuno lotrovaalmeno a quanto mi è sembrato. Ci sono rimasto pocoquando arrivaifui derubato di tutto quello che avevo da alcuniborsaioli alla fiera di San Germano; io stesso venni scambiato per unladroe rimasi otto giorni in prigione; dopo di che feci ilcorrettore di bozze per guadagnare tanto da tornare in Olanda.Conobbi la canaglia scriventela canaglia intrigante e quellaconvulsionaria. Dicono che c'è della gente molto educata inquella città: lo voglio credere".


"Quantoa menon ho alcun desiderio di vedere la Francia" disseCandido"capirete facilmente che quando si è passato unmese in Eldoradonon ci si cura più di vedere altrosullaterrache madamigella Cunegonda: vado ad aspettarla a Venezia;traverseremo la Francia per andare in Italia; volete accompagnarmi?""Molto volentieri;" disse Martino"dicono che Venezianon sia buona che per i nobili venezianima chetuttaviaviaccolgono assai bene gli stranieri con molti soldi: io non ne hovoine avete; vi seguirò ovunque".


"Aproposito"disse Candido"pensate che la terra sia stataoriginariamente un marecome si afferma in quel grosso libro delcapitano?" "Non lo credo affatto"disse Martino"come non credo a tutte le fantasie che ci spacciano da qualchetempo".


"Maper quale scopodunquequesto mondo è stato fatto?"disse Candido.


"Perfarci andare in bestia"rispose Martino.


"Nonvi stupite"continuò Candido"dell'amore chequelle due ragazze del paese degli Orecchioni portavano a quelle duescimmie?" "Niente affatto"disse Martino"nonvedo cosa abbia di strano quella passione; ho visto tante cosestraordinarie che non c'è più nulla di straordinario".


"Credete"disse Candido"che gli uomini si siano sempre massacrati avicenda come fanno oggi? che siano sempre stati bugiardisubdoliperfidiingratibrigantideboliincostantivigliacchiinvidiosigolosiubriaconiavariambiziosisanguinaricalunniatoridissolutifanaticiipocriti e sciocchi?""Credete"disse Martino"che gli sparvieri abbianosempre mangiato i piccioni quando ne trovavano?" "Sìcerto"disse Candido.


"Ebbene!"disse Martino"se gli sparvieri hanno sempre avuto lo stessocarattereperché mai volete che gli uomini abbiano cambiatoil loro?" "Oh"disse Candido"c'è unabella differenzapoiché il libero arbitrio..." Cosìragionandogiunsero a Bordeaux.




CAPITOLOVENTIDUESIMO


QUELCHE SUCCESSE IN FRANCIA A CANDIDO E MARTINO


Candidonon si trattenne a Bordeaux che il tempo necessario per venderequalche sasso del Doradoe per noleggiare una buona carrozza a duepostiperché non poteva più fare a meno del suofilosofo Martino; fu solo molto dispiaciuto di doversi separare dallapecorache lasciò all'Accademia delle Scienze di Bordeauxlaquale propose come tema per il premio dell'anno di scoprire perchémai la lana di quella pecora era rossa; il premio fu aggiudicato a undotto del Nord il quale dimostrò per Apiù Bmeno Cdiviso per Z che la pecora doveva essere rossa e morire di vaiolo.


Frattantotutti i viaggiatori incontrati da Candido nelle locande lungo lastrada gli dicevano: "Andiamo a Parigi". Quella smaniagenerale gli fece nascerealla fineil desiderio di vedere lacapitale; il che non costituiva una gran deviazione dal cammino perVenezia.


Entròin città dal sobborgo Saint-Marceau e credette di trovarsi nelpiù sordido villaggio della Vestfalia.


Siera appena sistemato in albergoquando fu colpito da una leggeramalattiacausata dalla fatica. Poiché portava al dito unenorme diamantee dato che avevano scorto tra i suoi bagagli unacassetta straordinariamente pesantepresto ebbe attorno a sédue medici che non aveva fatto chiamarealcuni amici intimi che nonlo abbandonarono un momentoe due devote che gli facevano scaldareil brodo. Martino diceva:

"Miricordo d'essere stato malato anch'io a Pariginel mio primoviaggio; ero poverissimo: così non ebbi né amicinédevotiné medicie guarii".


Frattantoa forza di medicine e di salassila malattia di Candido si aggravò.Un prete del quartiere venne a domandargli con dolcezza una cambialeal portatore per l'altro mondo: Candido non ne volle sapere.


Gliassicurarono che era una nuova moda; Candido rispose che non era unuomo alla moda. Martino volle gettare il prete dalla finestra.


Questigiurò che non avrebbe concesso la sepoltura a Candido. Martinogiurò che avrebbe seppellito luise continuava aimportunarli. La disputa si arroventò: Martino afferròil prete per le spallee lo cacciò rudemente; la qual cosaprovocò un grande scandalodi cui fu redatto un verbale.


Candidoguarìe durante la convalescenza ebbe ottima compagnia a cenanell'albergo. Si giocava forte. Candido era molto stupito che non glivenissero mai degli assi; Martino non se ne stupì affatto.


Fracoloro che facevano gli onori della cittàc'era un abatinodel Périgorduna di quelle persone premurosesempreall'ertasempre servizievolisfrontatecarezzevoliaccomodantiche spiano gli stranieri al loro passaggioraccontano loro gliscandali della cittàe propongono piaceri a ogni costo.Costui portò dapprima Candido e Martino a teatro. Davano unanuova tragedia. Candido si trovò seduto presso alcunisapientoni. Questo non gli impedì di piangere a certe scenerecitate alla perfezione. Uno dei sapientoni che gli stavano accantogli disse durante un intervallo:

"Aveteun gran torto a piangere: quell'attrice è pessima; l'attoreche recita con lei è peggio ancora; il lavoro è ancorpeggio degli attori; l'autore non sa una parola d'araboe tuttaviala scena è in Arabia; inoltreè un uomo che non credealle idee innatedomani vi porterò venti opuscoli contro dilui".


"Signorequanti lavori teatrali avete in Francia?" chiese Candidoall'abate che rispose:

"Cinqueo seimila".


"Molti"disse Candido"e quanti buoni?" "Quindici o sedici"replicò l'altro.


"Molti"disse Martino.


Candidofu assai soddisfatto di un'attrice che faceva la parte della reginaElisabettain una tragedia piuttosto scipita che si recita ognitanto.


"Quell'attrice"disse a Martino"mi piace molto; assomiglia un po' amadamigella Cunegonda; mi piacerebbe salutarla".


L'abateperigordino si offrì di presentarlo. Candidoeducato inGermaniadomandò quale era l'etichettae come si trattavanoin Francia le regine d'Inghilterra.


"Bisognadistinguere" disse l'abate"in provinciale si portaall'osteria; a Parigile rispettano quando sono bellee le gettanonell'immondezzaio quando sono morte".


"Delleregine nell'immondezzaio!" disse Candido.


"E'vero;" disse Martino"il signor abate ha ragione: ero aParigi quando la signorina Monima passòcome si dicedaquesta vita all'altra; le rifiutarono quelli che qui chiamano «glionori della sepoltura»cioè di marcire con tutti ipezzenti del quartiere in un sudicio cimitero; fu sepolta tutta solain un angolo della via di Borgogna; il che dovette addolorarlastraordinariamenteperché era di nobilissimi sentimenti".


"Chescortesia"disse Candido.


"Chevolete?" disse Martino. "Qui la gente è fatta così.Immaginate tutte le contraddizionitutte le incoerenze possibili; letroverete nel governonei tribunalinelle chiesenegli spettacolidi questa ridicola nazione".


"E'vero che a Parigi si ride sempre?" "Sì" dissel'abate "ma ridono verde: ci si lamenta di tutto con grandiscoppi di risa; anzi vi si compiono ridendo le azioni piùdetestabili".


"Chiè" disse Candido"quel grosso maiale che mi dicevacosì male della tragedia che mi ha fatto tanto piangereedegli attori che mi sono tanto piaciuti?" "E' unmalvivente" rispose l'abate"che si guadagna la vitadicendo male di tutti i lavori teatrali e di tutti i libri; odiachiunque ha successocome gli eunuchi odiano chi gode; è unodi quei serpenti letterari che si nutrono di fango e di veleno; èun libellista".


"Cosaintendete per libellista?" disse Candido.


"E'"disse l'abate"uno scribacchinoun Fréron".


CosìMartinoCandido e l'abate del Périgord ragionavano sullascalamentre guardavano la gente sfilare all'uscita del teatro.


"Benchéabbia una gran fretta di rivedere madamigella Cunegonda"disseCandido"vorrei cenare con madamigella Claironmi èsembrata ammirevole".


L'abatenon era uomo da accostarsi a madamigella Claironche riceveva sologente perbene.


"Questasera è impegnata" disse"ma avrò l'onore dicondurvi da una signora di qualitàdove conoscerete Parigicome se ci foste stato quattro anni".


Candidoche era curioso per naturasi lasciò condurre in casa delladamache abitava in fondo al quartiere Saint-Honoré. Stavanogiocando a faraone; dodici tristi giocatori tenevano in mano ciascunoun libretto di carteorecchiuto registro delle loro sfortune.Regnava un profondo silenzioil pallore era sui volti dei giocatoril'inquietudine su quello del banchiere; e la padrona di casasedutaaccanto all'implacabile banchierenotava con occhi di lince tutti iparolitutti i sette volantiche i giocatori segnavano conun'orecchia sulle carte; lei faceva togliere l'orecchia con unaprontezza severa ma cortesee non si mostrava adirata per paura diperdere i clienti. La signora si faceva chiamare marchesa diParolignac. Sua figliauna ragazza di quindici annistava fra igiocatorie segnalava con una strizzatina d'occhio le furfanterie diquei poveretti che cercavano di rimediare alle crudeltà dellasorte.


L'abatedel PérigordCandido e Martino entrarono; nessuno si alzòné li salutòné li guardò; tutti eranoprofondamente assorti nelle loro carte.


"Lasignora baronessa di Thunder-ten-tronckh era più cortese"disse Candido.


L'abatefrattanto parlò all'orecchio della marchesache si alzòa metàonorò Candido di un sorriso grazioso e Martinodi un cenno assai nobile del capo; fece portare una sedia e un giocodi carte a Candidoche perse cinquantamila franchi in due giri: dopodi che cenarono allegramente. Tutti si stupirono che Candido nonfosse turbato per la perdita; i lacchè dicevano fra loronelloro linguaggio di lacchè:

"Dev'esserequalche milord inglese".


Lacena fu come la maggior parte delle cene a Parigi: dapprima silenziopoi un frastuono di parole indistinguibilipoi delle spiritosagginiper la maggior parte insipidefalse notiziecattivi ragionamentiun po' di politicae molta maldicenzasi parlò persino deilibri nuovi.


"Avetevisto" disse l'abate perigordino"il romanzo del signorGauchatdottore in teologia?" "Sì"risposeuno dei convitati"ma non sono riuscito a finirlo.


Abbiamouna valanga di libri impertinenti; ma tutti insieme non raggiungonol'impertinenza di Gauchatdottore in teologia. Sono cosìnauseato da questa inondazione di libri detestabili che mi sono messoa puntare al faraone".


"Ela «Miscellanea» dell'arcidiacono T...che ne dite?"domandò l'abate.


"Ah!"disse la signora di Parolignac"che noia mortale! come vi dicecon aria sussiegosa quel che tutti sanno! come discute pesantementequel che non merita nemmeno una leggera annotazione! come siappropria senza alcuno spirito dello spirito altrui! come sciupa quelche saccheggia! come mi disgusta! ma non mi disgusterà più;m'è bastato aver letto qualche pagina dell'arcidiacono".


C'eraa tavola un uomo dotto e di gusto che confermò le osservazionidella marchesa. Si parlò poi di tragedie; la dama chieseperché ci fossero delle tragedie che ogni tanto venivanorappresentatee che erano illeggibili. L'uomo di gusto spiegòassai bene come un lavoro teatrale poteva avere qualche interessesenza possedere alcun merito; dimostrò in poche parole che nonera sufficiente introdurre una o due situazioni che si possonotrovare in tutti i romanzie che seducono sempre gli spettatorimache bisogna essere nuovi senza essere bizzarrispesso sublimi esempre naturali; conoscere il cuore umano e farlo parlare: esserepoeti senza che mai nessun personaggio dell'opera sembri poeta;conoscere perfettamente la propria linguaparlarla con proprietàcon continua armoniasenza che mai la rima pregiudichi il senso.


"Chiunquenon osserva tutte queste regole" aggiunse"può fareuna o due tragedie applaudite a teatroma non sarà maiannoverato tra i buoni scrittori; ci sono pochissime tragedie buone;alcune non sono che idilli ben dialogati e rimati; altreragionamenti politici che fanno dormireo amplificazioni repellenti;altresogni di energumeni in stile barbarodiscorsi interrottilunghe apostrofi agli deipoiché non si sa parlare agliuominimassime falseampollosi luoghi comuni".


Candidoascoltò con attenzione questo discorsoe concepìgrande stima per il parlatore; e poiché la marchesa s'eracurata di farlo sedere accanto a sési chinò versol'orecchio di lei e le chiese chi fosse quell'uomo che parlava tantobene.


"E'un uomo dotto"disse la dama"che non gioca e che l'abatemi porta qualche volta a cena: conosce perfettamente tragedie elibriha scritto una tragedia fischiata e un libro di cuifuoridalla bottega del suo libraionon si è mai visto che unesemplare a me dedicato".


"Chegrand'uomo!" disse Candido"è un altro Pangloss".


Alloravolgendosi verso di luigli disse:

"Signorecertamente voi pensate che tutto va per il meglio nel mondo fisico ein quello moralee che nulla poteva essere altrimenti".


"Iosignore"gli rispose il dotto"non penso niente di tuttociò:

iotrovo che tutto va per traverso qui da noiche nessuno sa qual èil suo rangoné il suo ufficioné quello che fanéquel che deve faree chead eccezione della cenache èabbastanza lieta e doveapparentementeregna una certa unionetutto il resto del tempo passa in dispute impertinenti: giansenisticontro molinistigente di toga contro gente di chiesaletteraticontro letteraticortigiani contro cortigianifinanzieri contro ilpopolomogli contro maritiparenti contro parenti; èun'eterna guerra".


Candidogli replicò:

"Hovisto di peggioma un saggioche poi ebbe la sfortuna d'essereimpiccatom'insegnò che tutto ciò va a meraviglia: nonsono che ombre in un bel quadro".


"Ilvostro impiccato si burlava della gente" disse Martino"levostre ombre sono delle orribili macchie". "Sono gli uominia far le macchie"disse Candido"e non possono farne ameno".


"Dunquenon è colpa loro" disse Martino.


Lamaggior parte dei puntatoriche non capiva niente di tali discorsibeveva; e Martino ragionò col dottoe Candido raccontòuna parte delle sue avventure alla padrona di casa.


Dopocenala marchesa condusse Candido in una stanzettae lo fece sederesu di un canapé.


"Ebbene!"gli disse"amate sempre perdutamente madamigella Cunegonda diThunder-ten-tronckh?" "Sìsignora" risposeCandido.


Lamarchesa ribatté con un tenero sorriso:

"Mirispondete come un giovane di Vestfalia; un francese mi avrebbedetto: «E' verosignorache ho amato madamigella Cunegonda:mavedendovitemo di non amarla più»".


"Ahimè!signora"disse Candido"risponderò come vorrete".


"Lavostra passione per lei" disse la marchesa"ècominciata col raccoglierle il fazzoletto; voglio che raccogliate lamia giarrettiera".


"Contutto il cuore" disse Candido; e la raccolse.


"Maio voglio che me la rimettiate"disse la dama; e Candido glielarimise.


"Vedete"disse la dama"voi siete stranieroqualche volta facciolanguire quindici giorni i miei amanti di Parigima a voi mi arrendofin dalla prima notteperché bisogna far gli onori delproprio paese a un giovanotto della Vestfalia".


Labellaavendo scorto due enormi diamanti alle mani del giovanestranieroli lodò con aria così convinta che dalledita di Candido passarono a quelle della marchesa.


Candidorientrando all'albergo coll'abate perigordinosentì qualcherimorso d'essere stato infedele a madamigella Cunegonda; il signorabate partecipò al suo dolore; non gli toccava che una piccolapercentuale delle cinquantamila lire che Candido aveva perso al giocoe del valore dei due diamanti mezzo regalati e mezzo estorti. Il suodisegno era di approfittare quanto più poteva dei vantaggi chela conoscenza di Candido poteva procurargli. Gli parlò moltodi Cunegondae Candido gli disse che certamente avrebbe chiestoscusa alla sua bella di questa infedeltàquando fosse giuntoa Venezia.


Ilperigordino raddoppiava gentilezze e attenzionie s'interessavateneramente di quanto Candido dicevadi quanto facevadi quantovoleva fare.


"Dunquesignore"gli disse"avete un appuntamento a Venezia?""Sìsignor abate"disse Candido"bisognaassolutamente che ci vada per trovare madamigella Cunegonda".


Alloratrascinato dal piacere di parlare di colei che amavanarròcom'era solitouna parte delle sue avventure con l'illustrevestfaliana.


"Sonocerto"disse l'abate"che madamigella Cunegonda ha moltospirito e scrive delle lettere incantevoli".


"Nonne ho mai ricevute"; disse Candido"figuratevi checacciato dal castello per amor suonon potei scriverleche pocodopo venni a sapere che era mortache in seguito la ritrovaiche lapersi di nuovoe che le ho mandatoa duemilacinquecento leghe daquiun messaggio di cui attendo la risposta".


L'abateascoltava attentamentee sembrava un po' assorto. Tosto presecongedo dai due stranieridopo averli teneramente abbracciati.


L'indomaniCandido appena destoricevette una lettera così concepita:

"Signoree mio carissimo amanteda otto giorni sono malata in questa città;ho saputo che ci siete anche voi. Volerei nelle vostre bracciasepotessi muovermi. Ho saputo del vostro passaggio a Bordeauxdove holasciato il fedele Cacambò e la vecchiache mi raggiungerannopresto. Il governatore di Buenos Aires si è preso tuttoma miresta il vostro cuore. Venite; la vostra presenza mi renderàla vita o mi farà morire di piacere".


Questalettera incantevoleinsperatariempì Candido di una gioiainesprimibilee la malattia della sua cara Cunegonda lo colmòdi dolore. Diviso tra questi due sentimentiprende oro e diamantiesi fa condurre con Martino all'albergo in cui alloggiava madamigellaCunegonda. Entra tremando di emozioneil cuore gli palpitala vocegli si spezza; vuole aprire le tendine del letto; vuol fare portareun lume.


"Guardatevenebene;" gli dice la cameriera"la luce l'uccide" esubito richiude la tenda.


"Miacara Cunegonda"disse Candido piangendo"come state? senon potete guardarmiparlatemi almeno".


"Nonpuò parlare"dice la cameriera.


Ladama allora cava dal letto una mano paffuta che Candido bagna a lungodi lacrimee che riempie poi di diamantilasciando anche un saccopieno d'oro sulla poltrona. Nel mezzo di tali trasportiarriva unufficiale di polizia seguito dall'abate perigordino e da un drappellodi guardie.


"Sonoquesti" disse"i due stranieri sospetti?" Subito lifa arrestare e dà ordini ai suoi bravi di trascinarli inprigione.


"Nonè così che trattano i viaggiatori nel Dorado"disse Candido.


"Iosono più manicheo che mai" disse Martino.


"Masignoredove ci portate?" disse Candido.


"Nelfondo di una prigione" disse l'ufficiale.


Martinoriacquistato il suo sangue freddogiudicò che la falsaCunegonda era una malandrinal'abate perigordino un farabutto che siera subito approfittato dell'ingenuità di Candidoel'ufficiale un altro mascalzone da cui ci si poteva facilmenteliberare.


Piuttostoche affrontare le procedure della giustiziaCandidoilluminato dalconsiglio di Martinoe d'altronde sempre impaziente di rivedere lavera Cunegondaoffre all'ufficiale tre piccoli diamanti di circatremila pistole l'uno.


"Ahsignore"gli dice l'uomo dal bastone d'avorio"avesteanche commesso tutti i delitti immaginabilivoi siete l'uomo piùonesto del mondo. Tre diamanti! di tremila pistole ciascuno! Signore!mi farei uccidere per voianziché condurvi in prigione. Quisi arrestano tutti gli stranierima lasciate fare a me; ho unfratello a Dieppein Normandia; vi porterò da luie se avetequalche diamante da regalargliavrà cura di voi come di mestesso".


"Eperché arrestano gli stranieri?" disse Candido.


L'abateperigordino prese allora la parola:

"Perchéun pezzente del paese d'Atrebazia ha sentito dire delle sciocchezze:è la sola ragione che gli ha fatto commettere un parricidionon come quello del maggio 1610ma come quello del dicembre 1594esimile a tanti altri commessi in altri anni e in altri mesi da altripezzenti che avevano sentito dire delle sciocchezze".


L'ufficialespiegò allora di che si trattava.


"Ah!che mostri!" esclamò Candido"come! simili orroriin un popolo che balla e canta! Come uscire al più presto daquesto paese in cui le scimmie molestano le tigri? Ho visto degliorsi nel mio paesesolo nel Dorado ho visto degli uomini. In nome diDio signor ufficialeportatemi a Veneziadove devo attenderemadamigella Cunegonda".


"Nonposso portarvi che in bassa Normandia" disse il bargello.


Subitofa togliere loro i ferridice che s'è sbagliatomanda via leguardie e porta Candido e Martino a Dieppedove li lascia nelle manidel fratello. C'era un piccolo vascello olandese nel porto. Ilnormannoche grazie ad altri tre diamanti era diventato il piùservizievole degli uominiimbarca Candido e i suoi sul vascello chestava salpando per Portsmouthin Inghilterra. Non era la strada perVenezia; ma Candido credeva di essere fuggito dall'inferno; e facevaconto di riprendere la strada alla prima occasione.




CAPITOLOVENTITREESIMO


CANDIDOE MARTINO VANNO SULLE COSTE INGLESI E CIO' CHE VEDONO


"Ah!Pangloss! Pangloss! AhMartino! Martino! Ah! mia cara Cunegonda!

cos'èmai questo mondo?" diceva Candido sul vascello olandese.


"Unacosa davvero pazza e abominevole" rispondeva Martino.


"Conoscetel'Inghilterra? La gente là è matta come in Francia?""E' un'altra specie di follia" disse Martino. "Voisapete che queste due nazioni sono in guerra fra loro per qualcheiugero di neve vicino al Canada e che per questa guerra spendonomolto più di quanto valga il Canada intero. Ma dirvi conesattezza se c'è più gente da legare in un paese onell'altroè una cosa che i miei deboli lumi non miconsentono; io so soltanto chein generalela gente che andiamo avedere è a trabiliare".


Cosìdiscorrendo approdarono a Portsmouth; una moltitudine di genteoccupava la rivae guardava attentamente un uomo piuttosto grossoche stava in ginocchiocon gli occhi bendatisulla tolda di unvascello della flotta; quattro soldatiproprio di fronte a luigliscaricarono ciascuno tre palle nel cranio con la maggior tranquillitàdi questo mondo; e tutta l'assemblea si allontanò estremamentesoddisfatta.


"Cos'èdunque tutto questo?" disse Candido"e quale demonioesercita dovunque il suo dominio?" "E' un ammiraglio"gli risposero.


"Eperché uccidere un ammiraglio?" "Perché"gli dissero"non ha fatto ammazzare abbastanza genteha datobattaglia a un ammiraglio francesee hanno trovato che non gli eraandato abbastanza vicino".


"Ma"disseCandido"l'ammiraglio francese era lontano dall'ammiraglioinglese quanto questo da quello!" "Incontestabile"gli replicarono"ma in questo paese è buona cosaammazzare di tanto in tanto un ammiraglio per incoraggiare glialtri".


Candidofu così stordito e offeso da ciò che vedeva e sentivache non volle nemmeno mettere piede a terra; fece un contratto colcapitano olandese (a rischio di farsi derubare come da quello diSurinam) perché lo portasse senza indugio a Venezia.


Ilcapitano fu pronto in capo a due giorni. Costeggiarono la Francia;passarono in vista di Lisbonae Candido fremette. Varcato lostrettoentrarono nel Mediterraneo; finalmente approdarono aVenezia.


"Diosia lodato!" disse Candido abbracciando Martino. "Quirivedrò la bella Cunegonda. Mi fido di Cacambò come dime stesso. Tutto è benetutto va benetutto va per il meglionel migliore dei mondi possibili..."




CAPITOLOVENTIQUATTRESIMO


DIPASQUETTA E DI FRA GAROFALO


Appenasbarcatofece cercare Cacambò in tutte le bettolein tutti icaffèpresso tutte le ragazze allegree non lo trovò.Lo mandò a cercare tutti i giorni in ogni vascello e in ognibarca: nessuna notizia di Cacambò.


"Come!"diceva a Martino"ho avuto tempo di passare da Surinam aBordeauxdi andare da Bordeaux a Parigida Parigi a DieppedaDieppe a Portsmouthdi costeggiare il Portogallo e la Spagnadiattraversare tutto il Mediterraneodi passare qualche mese aVeneziae la bella Cunegonda non è venuta! In sua vece non hoincontrato che una baldracca e un abate perigordino! Senza dubbioCunegonda è morta; non mi resta che morire. Ah! quant'erameglio restare nel paradiso d'Eldorado anziché tornare inquesta maledetta Europa. Come avevate ragionemio caro Martino! ognicosa non è che illusione e calamità".


Caddein una nera malinconiae non prese alcuna parte all'opera "allamoda" (1)né agli altri divertimenti del carnevale;nessuna donna lo tentò minimamente. Martino gli disse:

"Sietedavvero ingenuoin veritàa immaginare che un servo meticciocon cinque o sei milioni in tasca vada in capo al mondo a cercare lavostra bella e la conduca a Venezia. La prenderà per sése la trova.


Senon la trovane piglierà un'altra: vi consiglio didimenticare il vostro servo Cacambò e la vostra bellaCunegonda".


Martinonon era consolante. La malinconia di Candido aumentòeMartino non cessava di dimostrargli che c'è poca virtùe poca felicità sulla terra; tranne forse che in Eldoradodove nessuno poteva andare.


Mentrediscutevano questo importante argomento e aspettavano CunegondaCandido scorse in piazza San Marco un giovane teatino che tenevasotto braccio una ragazza. Il teatino era frescograssoccio evigoroso; aveva occhi brillantiun'aria baldanzosaun farealtezzosoun'andatura fiera. La ragazza era molto carina e cantava;guardava amorosamente il suo teatino e ogni tanto gli pizzicava leguance paffute.


"Ammetteretealmeno"disse Candido a Martino"che quei due sonofelici. In tutta la terra abitabilesalvo che in Eldoradonon hotrovato finora che degli sventurati; ma quella ragazza e quelteatinoscommetto che sono creature felicissime".


"Eio scommetto di no" disse Martino.


"Nonc'è che da invitarli a pranzo"disse Candido"evedrete se mi sbaglio".


Subitoli avvicinaporge a loro i suoi complimentie li invita all'albergoa mangiare maccheronipernici di Lombardiauova di storionee abere vino di Montepulcianodi Ciprodi Samo e Lacrima Christi. Laragazza arrossìil teatino accettò l'invitoe laragazza lo seguì guardando Candido con occhi sorpresi econfusi che qualche lacrima offuscò. Appena entrata nellacamera di Candidogli disse:

"Come!il signor Candido non riconosce più Pasquetta!" A questeparole Candidoche fino allora non l'aveva considerata conattenzione perché pensava solo a Cunegondale disse:

"Ahimè!mia povera ragazzasiete dunque voi che avete ridotto il dottorPangloss nello stato in cui l'ho visto?" "Ahimèsignoresono proprio io; vedo che siete informato di tutto.


Hosaputo delle terribili sciagure capitate alla casa della signorabaronessa e della bella Cunegonda. Vi giuro che la mia sorte non èstata meno triste. Ero molto ingenuaquando mi avete visto. Un fratefrancescanoche era mio confessoremi sedusse facilmente: leconseguenze furono spaventose; fui costretta a uscire dal castelloqualche tempo dopo che il signor barone vi ebbe cacciato a calci nelsedere. Se un celebre medico non si fosse impietosito di mesareimorta.


Perriconoscenzadivenni per qualche tempo l'amante di quel medico.


Suamoglieche era ferocemente gelosami picchiava tutti i giorni senzapietà; una vera furia.


Ilmedico era l'uomo più brutto del mondoe io la piùinfelice di tutte le creaturepicchiata com'ero continuamente per unuomo che non amavo. Voi sapetesignorecom'è pericoloso peruna donna bisbetica essere moglie di un medico. Costuiesasperatodal comportamento della moglieper guarirla da un leggeroraffreddoreun giorno le diede una medicina così efficace chequella morì nel giro di due ore in preda a orribiliconvulsioni. I parenti della signora gli intentarono un processo; luiscappòe io fui messa in prigione. La mia innocenza non miavrebbe salvata se non fossi stata abbastanza graziosa. Il giudice miliberòa patto di succedere al medico. Ben presto fuisoppiantata da una rivalescacciata senza ricompensa e costretta acontinuare questo mestiere atroce che sembra così piacevole avoi uomini e che per noi non è che un abisso di miseria. Vennia esercitarlo qui a Venezia. Ah! signorese voi poteste immaginarecosa significa dover accarezzare indifferentemente un vecchiomercanteun avvocatoun monacoun gondoliereun abate; essereesposta a tutti gli insultia tutte le angherie; essere spessoridotta a chiedere in prestito una sottana per andare a farselatogliere da un uomo disgustoso; essere derubata da uno di quel che siè guadagnato con l'altro; essere taglieggiata dagli ufficialidi giustiziae non avere altra prospettiva che una vecchiaiaspaventosaun ospedale e un letamaioconcludereste che io sono unadelle più infelici creature del mondo".


CosìPasquettain un salottinoapriva il suo cuore al buon Candidoinpresenza di Martino che diceva:

"Vedeteche ho già vinto metà della scommessa".


FraGarofalo era rimasto in sala da pranzoe beveva un goccio in attesadel pranzo.


"Ma"disse Candido a Pasquetta"avevate un'aria così allegracosì contentaquando vi ho incontrata; cantavatecarezzavateil teatino con una compiacenza così naturale; mi sietesembrata tanto felice quanto pretendete di essere sventurata".


"Ah!signore"rispose Pasquetta"ecco un'altra miseria delmestiere.


Proprioieri sono stata derubata e picchiata da un ufficialee oggi devosembrare di buon umore per piacere a un monaco".


Candidonon volle sapere altro; ammise che Martino aveva ragione. Si misero atavola con Pasquetta e il teatino; il pasto fu abbastanza divertentee verso la fine parlarono con una certa confidenza.


"Padre"disse Candido al frate"mi sembra che godiate di un destino chetutti devono invidiare; il fiore della salute brilla sul vostro visoil vostro aspetto rivela felicità; avete una graziosissimaragazza per trastullarvie sembrate contentissimo della vostracondizione di teatino".


"Infede miasignore"disse fra Garofalo"vorrei che tutti iteatini sprofondassero in mare. Ho avuto cento volte la tentazione didar fuoco al convento e di andare a farmi turco. A quindici anni imiei genitori mi costrinsero a indossare questa odiosa sottana peraccrescere la fortuna di un fratello maggiore; che Dio lo confonda!La gelosiala discordiala rabbia abitano il convento. E' vero cheho pronunciato alcune cattive prediche che m'hanno fruttato qualchesoldodi cui il priore mi ruba la metà: il resto mi serve amantenere delle ragazze; ma quando la sera torno in conventomiviene voglia di rompermi la testa contro i muri; e tutti i mieiconfratelli sono nella mia stessa situazione".


Voltandosiverso Candido con la solita impassibilitàMartino gli disse:

"Ebbene!non ho vinto tutta la scommessa?" Candido diede duemila piastrea Pasquetta e mille a fra Garofalo.


"Viassicuro"disse"che con questo saranno felici".


"Nonlo credo affatto;" disse Martino"con queste piastre lirenderete forse ancora più infelici".


"Saràquel che sarà;" disse Candido"ma una cosa miconsola: vedo che spesso si ritrovano le persone che non si sarebbemai creduto di trovare; può darsi che avendo ritrovato la miapecora e Pasquettariveda pure Cunegonda".


"Viauguro" disse Martino"che un giorno faccia la vostrafelicità; ma è cosa di cui dubito parecchio".


"Sieteben duro" disse Candido.


"Ilfatto è che ho vissuto" disse Martino.


"Maguardate quei gondolieri"; disse Candido"non cantanoforse ininterrottamente?" "Voi non li vedete nella lorovita domesticacon le loro mogli e i loro marmocchi" disseMartino. "Il doge ha i suoi cruccii gondolieri i loro. E' verochetutto sommatola sorte di un gondoliere è preferibile aquella di un doge; ma credo che la differenza sia così scarsache non vale la pena di discuterne".


"Siparla molto" disse Candido"del senatore Pococurantecheabita in un bel palazzo sul Brentae che accoglie abbastanza benegli stranieri. E' un uomo che non ha mai avuto dispiaceria quantodicono".


"Mipiacerebbe vedere un individuo così raro" disse Martino.


Candidofece subito chiedere al signor Pococurante il permesso di andarlo atrovare l'indomani.




NOTE

1)[in italiano nel testo]




CAPITOLOVENTICINQUESIMO


VISITAAL SIGNOR POCOCURANTENOBILE VENEZIANO


Candidoe Martino andarono in gondola sul Brentae giunsero al palazzo delnobile Pococurante. I giardini erano ben disegnati e ornati di bellestatue di marmo; il palazzo di bella architettura. Il padrone dicasauomo sulla sessantinaricchissimoricevette moltocortesemente i due curiosima senza agitarsi troppo: il chesconcertò Candido e non dispiacque a Martino.


Dapprimadue ragazze graziose e decorosamente vestite servirono dellacioccolata che avevano fatto montare molto bene. Candido non potéfare a meno di lodare la loro bellezzail loro garbo e la loroabilità.


"Sonodelle discrete creature"; disse il senator Pococurante"qualchevolta le faccio entrare nel mio letto perché sono propriostanco delle dame di cittàdelle loro civetteriedelle lorodisputedei loro malumoridelle loro meschinitàdel loroorgogliodelle loro stupidaggini e dei sonetti che bisogna comporreo far comporre per loro; madopo tuttoqueste due ragazzecominciano proprio ad annoiarmi".


Candidodopo colazionepasseggiando in una lunga galleriafu meravigliatodella bellezza dei quadri. Domandò di quale maestro fossero iprimi due.


"DiRaffaello"; disse il senatore"li acquistai per vanitàa un prezzo molto altoalcuni anni fa; dicono che è quantoc'è di più bello in Italiama a me non piaccionoaffatto: il colore è molto cupole figure non sono abbastanzaplastiche e mancano di rilievo; i drappeggi non assomigliano perniente a una stoffa: insommachecché se ne dicaio non citrovo una vera imitazione della natura. Un quadro mi piaceràsolo quando crederò di vederci la natura stessa: e di questogenere non ce ne sono. Ho molti quadrima non li guardo più".


Pococuranteaspettando il pranzosi fece dare un concerto. Candido trovòla musica deliziosa.


"Questorumore" disse Pococurante"può divertire permezz'ora; ma se dura più a lungostanca tuttibenchénessuno osi confessarlo. La musica oggi non è più chel'arte di eseguire cose difficilie ciò che è soltantodifficile alla lunga non piace.


Forsepreferirei l'operase non avessero trovato il modo di farne unmostro che mi ripugna. Vada chi vuole a vedere delle brutte tragediein musica le cui scene non sono fatte che per introdurre molto asproposito due o tre canzoni ridicole che valorizzano l'ugola diun'attrice: cada in estasi chi vuole o chi può vedendo uncastrato gorgheggiare la parte di Cesare o di Catone e passeggiarecon aria goffa sulla scena; quanto a meho rinunciato da tempo aqueste miserie che oggi fanno la gloria dell'Italiae che i sovranipagano così care".


Candidodiscusse un po'ma con discrezione. Martino fu completamented'accordo col senatore.


Simisero a tavola edopo un ottimo pranzoentrarono nella biblioteca.Candidovedendo un Omero stupendamente rilegatolodòl'illustrissimo per il suo buon gusto.


"Eccoun libro" disse"che faceva la delizia del grandePanglossil miglior filosofo di Germania".


"Nonfa certo la mia"; disse freddamente Pococurante"un tempomi fecero credere che provavo piacere a leggerlo; ma questa continuaripetizione di combattimenti che si somigliano tuttiquesti dei cheagiscono sempre per non far nulla di decisivoquesta Elena che èla causa della guerra e che è a malapena un'attrice deldramma; questa Troia assediata e non conquistata: tutto questo miannoia a morte. Ho chiesto qualche volta a dei dotti se si annoiavanoquanto me a questa lettura: tutte le persone sincere mi hannoconfessato che il libro gli cascava di manoma che comunquebisognava averlo in bibliotecacome un monumento dell'antichitàe come quelle medaglie arrugginite che non si possono vendere".


"VostraEccellenza pensa così anche di Virgilio?" disse Candido.


"Ammetto"disse Pococurante"che il secondoil quarto e il sesto librodell'«Eneide» sono eccellenti; ma quanto al suo pio Eneaal forte Cloanteal fido Acateal piccolo Ascanioall'imbecille reLatinoalla borghese Amataall'insipida Lavinianon credo che cisia niente di più freddo e sgradevole. Preferisco il Tasso ele storie da dormire in piedi dell'Ariosto".


"Possochiedervisignore"disse Candido"se non provate un granpiacere a leggere Orazio?" "Ci sono delle massime"disse Pococurante"da cui un uomo di mondo può trarreprofittoe cheinserite in versi vigorosisi imprimono piùfacilmente nella memoria; ma io mi curo molto poco del suo viaggio aBrindisidella sua descrizione di un cattivo pranzoe deglialterchi da facchini tra non so qual Pupilusle cui paroledice«erano piene di marcia»e un altro le cui paroleinvece«erano d'aceto». Ho letto con estremo disgustoalcuni suoi versi contro certe vecchie e certe streghe; e non vedoquale merito ci possa essere nel dire all'amico Mecenate chese saràda lui annoverato fra i poeti liricitoccherà gli astri conla fronte sublime. Gli sciocchi ammirano tutto in un autore stimato.Io non leggo che per me stesso; e amo solo quello che fa al casomio".


Candidoche era stato educato a non giudicare mai nulla di testa propriafustupito di quanto ascoltavae Martino trovò il modo dipensare di Pococurante abbastanza ragionevole.


"Oh!ecco un Cicerone"; disse Candido"questo grand'uomoalmenopenso che non tralascerete mai di leggerlo".


"Nonlo leggo mai" rispose il veneziano. "Cosa m'importa cheabbia difeso Rabirio e Cluenzio? Ne ho abbastanza dei processi chedevo giudicare io; avrei gradito maggiormente le sue operefilosofiche; ma quando ho visto che dubitava di tuttoho conclusoche ne sapevo quanto luie che non avevo bisogno di nessuno peressere ignorante".


"Ah!ecco ventiquattro volumi di pubblicazioni di un'accademia discienze"esclamò Martino"forse qui c'è delbuono".


"Cene sarebbe" disse Pococurante"se uno solo degli autori diquesto guazzabuglio avesse almeno inventato l'arte di fare glispilli; ma in tutti questi libri non ci sono che vani sistemienemmeno una cosa utile".


"Quanteopere di teatro!" disse Candido"in italianospagnolofrancese!" "Sì"disse il senatore"eneanche tre dozzine valide. Quanto a queste raccolte di predichechetutte insieme non valgono una pagina di Senecae tutti questi grossivolumi di teologiapotete ben immaginare che non li apro mainéio né altri".


Martinoscorse dei palchetti pieni di libri inglesi.


"Credo"disse"che un repubblicano debba compiacersi della maggiorparte di queste opere scritte così liberamente".


"Sì"rispose Pococurante"è bello scrivere ciò che sipensa: è un privilegio dell'uomo. In tutta Italia non siscrive che quel che non si pensa; quelli che abitano la patria deiCesari e degli Antonini non osano avere un'idea senza il permesso diun frate giacobino. Sarei contento della libertà che ispira igeni inglesi se la passione e lo spirito di parte non rovinasserotutto ciò che questa preziosa libertà ha di pregevole".


Candidoscorgendo un Miltongli domandò se non consideravaquell'autore un grand'uomo.


"Chi?"disse Pococurante"questo barbaro che fa un lungo commento alprimo capitolo del «Genesi» in dieci libri di duri versi?questo grossolano imitatore dei Greciche sfigura la creazione echementre Mosè rappresenta l'Essere eterno che crea il mondocon la parolafa prendere al Messia un gran compasso nell'armadiodel cielo per tracciare la sua opera? Io stimare colui che hasciupato l'inferno e il diavolo del Tasso; che maschera Lucifero orada rospo ora da pigmeo; che gli fa ricantare cento volte gli stessidiscorsi; che lo fa discutere di teologia; cheimitando in tonoserio l'invenzione comica delle armi da fuoco dell'Ariostofasparare il cannone in cielo dai diavoli? Né io nénessun altro in Italia ha potuto compiacersi di tutte queste trististravaganze. Il matrimonio del peccato e della morteil serpente cheil peccato partoriscefanno vomitare ogni uomo che abbia un gusto unpo' delicato; e la sua lunga descrizione di un ospedale non èbuona che per un becchino. Questo poema oscurobizzarro edisgustosofu disprezzato al suo nascere; oggi io lo tratto come futrattato in patria dai contemporanei. Del restodico quello chepensoe mi curo assai poco che gli altri la pensino come me".


Candidoera afflitto da tali discorsi; rispettava Omero e amava un pocoMilton.


"Ahimè!"disse piano a Martino"temo proprio che quest'uomo nutra unsovrano disprezzo per i nostri poeti tedeschi".


"Nonci sarebbe un gran male in questo" disse Martino.


"Oh!che uomo superiore!" diceva ancora Candido fra i denti"chegrande genio questo Pococurante! niente riesce a piacergli".


Dopoaver passato in rassegna tutti i libriscesero in giardino.


Candidone lodò tutte le bellezze.


"Nonconosco niente di così cattivo gusto"; disse il padrone"non sono che fronzolima domani ne farò piantare uno didisegno più nobile".


Quandoi due curiosi ebbero preso congedo da Sua Eccellenza:

"Ebbene"disse Candido a Martino"ammetterete che quello è l'uomopiù felice del mondoperché è al di sopra ditutto quanto possiede".


"Manon vedete" disse Martino"che ne è disgustato?Platone ha dettomolto tempo fache gli stomaci migliori non sonoquelli che rigettano tutti i cibi".


"Ma"disse Candido"non si prova forse piacere a criticare tuttoascorgere dei difetti dove gli altri credono di vedere dellebellezze?" "Cioè"riprese Martino"èun piacere non provar piacere?" "Ebbene!" disseCandido"non ci sarò dunque che io di felice quandopotrò rivedere madamigella Cunegonda".


"E'sempre bene sperare" disse Martino.


Frattantoi giorni e le settimane scorrevano; Cacambò non ritornavaeCandido era così oppresso dal dolore che non fece attenzioneal fatto che Pasquetta e fra Garofalo non erano venuti nemmeno aringraziarlo.




CAPITOLOVENTISEIESIMO


DIUNA CENA CHE CANDIDO E MARTINO FECERO CON SEI STRANIERIE CHI ERANOCOSTORO


Unasera Candidoinsieme a Martinostava per mettersi a tavola con glistranieri alloggiati nel medesimo albergoquando un uomo dal visocolor fuliggine gli si accostò da dietro eprendendolo per lebracciagli disse:

"Tenetevipronto a partiremi raccomando".


Sivoltae vede Cacambò. Non c'era che la vista di Cunegonda chepotesse stupirlo e allietarlo maggiormente. Fu sul punto d'impazziredi gioia. Abbraccia il caro amico.


"CertamenteCunegonda è qui. Dov'è? Portami da leiche io muoia digioia con lei".


"Cunegondanon è qui"disse Cacambò"è aCostantinopoli".


"Cielo!a Costantinopoli! ma fosse anche in Cinavolo; partiamo".


"Partiremodopo cena"; rispose Cacambò"non posso dirvi dipiù; sono schiavoil mio padrone mi aspetta; bisogna che vadaa servirlo a tavola: non fate parola; cenate e tenetevi pronto".


Candidodiviso tra gioia e dolorefelice di avere rivisto il suo fedeleagentestupito di vederlo schiavotutto preso dall'idea diritrovare la sua bellacol cuore agitatolo spirito sconvoltosimise a tavola con Martinoche guardava con occhio freddo tuttiquesti fattie coi sei stranieri venuti a passare il carnevale aVenezia.


Cacambòche versava da bere a uno di questi stranierisi chinòall'orecchio del padroneverso la fine della cenae gli disse:

"SireVostra Maestà può partire quando vuole: il vascello èpronto".


Dettequeste paroleuscì. I convitatistupitisi guardavano senzapronunciar parolaallorché un altro domesticoavvicinandosial suo padronegli disse:

"Sirela carrozza di Vostra Maestà è a Padovae la barca èpronta".


Ilpadrone fece un cennoe il servitore se ne andò.


Tuttii convitati si guardarono di nuovoe il comune stupore raddoppiò.Un terzo servoavvicinandosi anche lui a un terzo stranieroglidisse:

"SireascoltatemiVostra Maestà non deve restare qui più alungo:

vadoa preparare ogni cosa" e subito sparì.


Candidoe Martino non dubitarono più che fosse una mascherata delcarnevale. Un quarto domestico disse al quarto padrone:

"VostraMaestà partirà quando crede" e uscì comegli altri. Il quinto servo disse altrettanto al quinto padrone. Ma ilsesto parlò diversamente al sesto padrone stranierochesedeva accanto a Candidogli disse:

"Infede miasirenon vogliono più far credito né aVostra Maestà né a mee potrebbero benissimoschiaffarci dentro questa notte tutti e due; io me ne vado per ifatti mieiaddio".


Scomparsitutti i domesticii sei stranieriCandido e Martino rimasero in unprofondo silenzio. Finalmente Candido lo ruppe:

"Signori"disse"ecco uno scherzo singolare. Perché mai sietetutti re? Quanto a meconfesso che né io né Martino losiamo".


Ilpadrone di Cacambò prese allora gravemente la paroladisse initaliano:

"Nonscherzo affatto: mi chiamo Achmet Terzo; sono stato gran sultano perparecchi anni; detronizzai mio fratello; mio nipote mi ha spodestato;hanno tagliato la testa ai miei visir; termino i miei giorni nelvecchio serraglio; mio nipoteil gran sultano Mahmudmi permette diviaggiare qualche voltaper ragioni di salutee sono venuto apassare il carnevale a Venezia".


Ungiovane che stava accanto ad Achmet parlò dopo di luiedisse:

"Michiamo Ivan; sono stato imperatore di tutte le Russie; mi hannodetronizzato fin dalla culla; sono stato allevato in prigione; avolte ho il permesso di viaggiareaccompagnato da guardiani; e sonovenuto a passare il carnevale a Venezia".


Ilterzo disse:

"SonoCarlo Edoardore d'Inghilterra; mio padre mi ha trasmesso i suoidiritti al regno; ho combattuto per sostenerli; hanno strappato ilcuore a ottocento miei seguacie glielo hanno sbattuto sulla faccia;sono stato messo in prigione; vado a Roma per far visita al re miopadredeposto come me e mio nonnoe sono venuto a passare ilcarnevale a Venezia".


Allorail quarto prese la parola e disse:

"Sonoil re dei Polacchi; l'esito della guerra mi ha privato dei miei statiereditari; mio padre ha conosciuto gli stessi rovesci di fortuna; mirassegno ai voleri della Provvidenza come il sultano Achmetl'imperatore Ivan e il re Carlo Edoardoai quali Iddio conceda lungavitae sono venuto a passare il carnevale a Venezia".


Ilquinto disse:

"Anch'iosono re dei Polacchi; ho perso due volte il mio regno; ma laProvvidenza mi ha dato un altro stato dove ho fatto più benedi quanto tutti i re dei Sarmati messi assieme non abbiano mai fattosulle rive della Vistola. Anch'io mi rassegno al volere dellaProvvidenza; e sono venuto a passare il carnevale a Venezia".


Toccavaal sesto re di parlare.


"Signori"disse"io non sono un gran signore come voi; ma in fin deiconti sono stato re anch'io; sono Teodoro; mi hanno eletto re diCorsica; mi chiamavano Vostra Maestà; e adesso mi dicono astento Signore; ho battuto monetae non possiedo un soldo; ho avutodue segretari di statoe adesso ho appena un servomi sono visto sudi un trono e sono stato lungo tempo in prigionea Londrastesosulla paglia; temo proprio che mi tratteranno allo stesso modo anchequibenché sia venutocome le Maestà Vostreapassare il carnevale a Venezia".


Glialtri cinque re ascoltarono quel discorso con nobile compassione.


Ciascunodi loro diede venti zecchini a re Teodoro perché si comprasseabiti e camicie; Candido gli fece dono di un diamante di millezecchini.


"Chiè dunque"dicevano i cinque re"questo sempliceprivato che può dare cento volte più di noie che lodà?" Mentre si alzavano da tavolagiunsero nello stessoalbergo quattro Altezze Serenissime che avevano perduto anch'esse iloro stati in guerrae che venivano a passare il carnevale aVenezia. Ma Candido non prestò minimamente attenzione ai nuovivenuti. Non pensava ad altro che ad andare a trovare la sua Cunegondaa Costantinopoli.




CAPITOLOVENTISETTESIMO


VIAGGIODI CANDIDO A COSTANTINOPOLI


Ilfedele Cacambò aveva già ottenuto dal capitano turcoche doveva ricondurre Achmet a Costantinopoli che prendesse a bordoCandido e Martino. Tutti e due s'imbarcarono dopo essersi prosternatidavanti a Sua miserabile Altezza. Strada facendo Candido diceva aMartino:

"Eccotuttavia che abbiamo cenato con sei re detronizzati! e fra questi rece n'è uno a cui ho fatto l'elemosina. Forse ci sono moltialtri principi ancora più sfortunati. Quanto a meio non hoperso che cento pecoree volo nelle braccia di Cunegonda. Mio caroMartinoancora una volta Pangloss aveva ragionetutto èbene".


"Velo auguro" disse Martino.


"Ma"disse Candido"è un'avventura ben poco verosimile quellache abbiamo avuto a Venezia. Non si è mai visto nésentito dire che sei re spodestati cenassero insieme all'osteria".


"Nonè certo più straordinario della maggior parte dellecose che ci sono capitate" disse Martino. "E' cosa moltocomune che dei re siano detronizzati; e quanto all'onore che abbiamoavuto di cenare insieme a loro è una bagatella che non meritala nostra attenzione".


AppenaCandido fu a bordo del vascellosaltò al collo del suovecchio servoil suo amico Cacambò.


"Ebbene!"gli disse"cosa fa Cunegonda? E' sempre un miracolo dibellezza? Mi ama sempre? Come sta? Certamente le hai comperato unpalazzo a Costantinopoli".


"Caropadrone"rispose Cacambò. "Cunegonda lava scodellein riva alla Propontidein casa di un principe che ne ha poche; èschiava di un ex sovrano chiamato Ragotskia cui il Gran Turco passatre scudi al giorno nel suo rifugio; ma il fatto più triste èche ha perduto la sua bellezzaed è diventata orribilmentebrutta".


"Ah!bella o brutta"disse Candido"sono un uomo onestoe ilmio dovere è di amarla sempre. Ma come può essersiridotta in uno stato così abbietto coi cinque o sei milioniche le avevi portato?" "Be'"disse Cacambò"non ho forse dovuto dare due milioni al signor don Fernandod'Ibaraay Figueroay Mascarenesy Lampurdosy Suzagovernatoredi Buenos Airesperché mi concedesse di riprenderemadamigella Cunegonda? E un pirata non ci ha bravamente spogliati ditutto il resto? Questo pirata non ci ha poi condotti al capo Matapana Miloa Nicariaa Samoa Petraai Dardanellia MarmoraaScutari? Cunegonda e la vecchia servono in casa del principe di cuivi ho dettoe ioio sono schiavo del sultano detronizzato".


"Chespaventosa catena di calamità!" disse Candido. "Madopo tuttoho ancora qualche diamante; riuscirò facilmente aliberare Cunegonda.


E'un gran peccato che sia diventata così brutta".


Poivolgendosi a Martino:

"Chipensate" disse"che sia più degno di compassione:il sultano Achmetl'imperatore Ivanil re Carlo Edoardoo io?""Non ne so niente;" disse Martino"dovrei essere neivostri cuori per saperlo".


"Ah!"disse Candido"se Pangloss fosse qui lo saprebbee ce lodirebbe".


"Nonso" disse Martino"con quale bilancia il vostro Panglossavrebbe potuto pesare le sfortune degli uomini e valutare i lorodolori. Tutto ciò che posso supporre è che al mondo cisono milioni di uomini più degni di compassione del re CarloEdoardodell'imperatore Ivan e del sultano Achmet".


"Puòanche darsi" disse Candido.


Inpochi giorni giunsero sul canale del Mar Nero. Candido cominciòcol riscattare Cacambò a caro prezzo; poi senza perdere temposi precipitò coi compagni in una galeraper andare sulle rivedella Propontide a cercare Cunegondaper brutta che fosse.


Nellaciurma c'erano due forzati che remavano molto malee ai quali ilcapitano levantino applicava di tanto in tanto delle nerbate sullespalle nude; Candidoper un moto istintivoli guardò piùattentamente degli altri galeottie si avvicinò a loropietosamente.


Alcunitratti dei loro volti sfigurati gli parve che avessero una certasomiglianza con Pangloss e con quell'infelice gesuitail baroneilfratello di madamigella Cunegonda. Questa impressione lo commosse elo attristò. Li considerò con maggior attenzione.


"Inverità"disse a Cacambò"se non avessivisto impiccare mastro Panglosse se non avessi avuto la disgraziadi uccidere il baronecrederei che sono loro che remano su questagalera".


Alnome del barone e di Pangloss i due forzati gettarono un grande urlorimasero immobili sul banco e lasciarono cadere i remi. Il capitanolevantino accorse e le nerbate raddoppiarono.


"Fermo!fermo! signore;" esclamò Candido"vi daròtutto il denaro che volete".


"Come!è Candido!" diceva uno dei forzati.


"Come!è Candido!" diceva l'altro.


"Sognoo son desto?" disse Candido"sono su questa galera? Quelloè il signor barone che ho ucciso? Questo è mastroPangloss che ho visto impiccare?" "Siamo noisiamo noi"rispondevano i due.


"Come!è quello il gran filosofo?" diceva Martino.


"Ehi!signor capitano levantino"disse Candido "quanto voleteper il riscatto del signore di Thunder-ten-tronckhuno dei primibaroni dell'imperoe del signor Panglossil più profondometafisico di Germania?" "Cane di un cristiano"rispose il capitano levantino"poiché questi due cani diforzati cristiani sono dei baroni e dei metafisiciciò che èsenza dubbio una grande dignità nel loro paesemi daraicinquantamila zecchini".


"Liavretesignore; riportatemi come un lampo a Costantinopolie saretepagato all'istante. Ma noportatemi da madamigella Cunegonda".


Alleprime parole di Candidoil capitano levantino aveva giàvoltato la prua verso la cittàe faceva remare più infretta di quanto un uccello volasse.


Candidoabbracciò cento volte il barone e Pangloss. "E come mainon vi ho ammazzatomio caro barone? e caro Panglosscome mai sieteancora in vita dopo esser stato impiccato? e perché sietetutti e due su una galera turca?" "E' proprio vero che lamia cara sorella si trova in questo paese?" diceva il barone.


"Sì"rispondeva Cacambò.


"Dunquerivedo il mio caro Candido!" esclamava Pangloss.


Candidopresentò loro Martino e Cacambò. Si abbracciavanotutti; parlavano tutti insieme. La galera vola. Già erano inporto. Mandarono a chiamare un ebreoa cui Candido vendette percinquantamila zecchini un diamante del valore di centomila e che gligiurò per Abramo di non potergliene dare di più. Pagòimmediatamente il riscatto del barone e di Pangloss. Questi si gettòai piedi del suo liberatore e li bagnò di lacrime; l'altro loringraziò con un cenno del capoe gli promise di rendergli ildenaro alla prima occasione.


"Maè proprio possibile che mia sorella sia in Turchia?"diceva.


"Nientedi più possibile"disse Cacambò"poichélava i piatti in casa di un principe di Transilvania".


Fecerovenire due ebrei: Candido vendette altri diamantie tuttiripartirono su un'altra galera per andare a liberare Cunegonda.




CAPITOLOVENTOTTESIMO


QUELCHE CAPITO' A CANDIDOA CUNEGONDAA PANGLOSSA MARTINO ECCETERA


"Domandoancora perdono"disse Candido al barone"perdonoreverendo padredi avervi trapassato il corpo con un gran colpo dispada".


"Nonparliamone più"; disse il barone"sono stato un po'troppo vivacelo ammetto; ma siccome volete sapere per quale caso miavete ritrovato su una galeravi dirò che quando il fratellofarmacista del collegio mi ebbe guarito dalla mia feritafuiassalito e rapito da una fazione spagnola; mi misero in prigione aBuenos Airesproprio mentre mia sorella se ne andava. Chiesi diritornare a Roma dal padre generale. Mi assegnarono l'incaricod'elemosiniere a Costantinopolipresso il signor ambasciatore diFrancia. Non erano passati otto giorni dalla mia entrata in serviziocheverso seram'imbattei in un giovane icoglan assai ben fatto.Faceva molto caldo: il giovane volle fare un bagno; approfittaidell'occasione per farlo anch'io. Non sapevo che fosse un delittocapitale per un cristiano essere trovato nudo con un giovanemusulmano. Un cadì mi fece dare cento bastonate sotto lapianta dei piedie mi condannò alle galere. Non credo che siamai stata commessa una più orribile ingiustizia. Ma vorreiproprio sapere perché mia sorella si trova nella cucina di unsovrano di Transilvania rifugiato presso i Turchi".


"Mavoicaro Pangloss"disse Candido"com'è possibileche vi riveda?" "E' vero"disse Pangloss"chemi hai visto impiccare; dovevo naturalmente essere bruciato: ma turicordi che piovve a dirotto quando stavano per cuocermi: iltemporale fu così violento che rinunciarono ad accendere ilfuocomi impiccaronoperché non si poté fare dimeglio: un chirurgo acquistò il mio corpo; mi portò acasa e mi sezionò. Dapprima mi fece un'incisione crucialedall'ombelico alla clavicola. Non si poteva impiccare peggio diquanto avevano fatto con me. L'esecutore delle alte opere della santaInquisizioneche era suddiaconobruciava la gente a meravigliamanon era abituato a impiccare: la corda era bagnata e non potéscorrere benesi annodò; insomma respiravo ancora;l'incisione cruciale mi fece cacciare un tale urlo che il chirurgocadde riverso; ecredendo di sezionare il diavolose ne scappòvia mezzo morto di paura e cadde dalla scala. A quel fracasso suamoglie accorse da una stanza vicina: mi vide steso sulla tavola conla mia incisione cruciale; si spaventò ancor più di suomaritoscappòe gli cadde addosso. Quando si furono un po'rimessi udii la chirurga che diceva al chirurgo:

"Miocarocosa ti è venuto in mente di sezionare un eretico? Nonsai che il diavolo rimane sempre nel corpo di questa gente? Vadosubito a cercare un prete per esorcizzarlo".


Aquelle parole fremetti; raccolsi le poche forze che mi restavano egridai: "Abbiate pietà di me!" Finalmente ilchirurgo portoghese si fece coraggio: mi ricucì la pelle;anche sua moglie si prese cura di me; in capo a quindici giorni fuidi nuovo in piedi. Il barbiere mi trovò una sistemazioneedivenni lacchè di un cavaliere di Malta che andava a Venezia;siccome il mio padrone non aveva di che pagareentrai al servizio diun mercante venezianoe lo seguii a Costantinopoli.


Ungiorno mi venne il ghiribizzo di entrare in una moschea; non c'erache un vecchio imano e una giovane devota molto graziosa che diceva isuoi paternosteraveva il seno completamente nudoe fra le mammelleun bel mazzo di tulipanidi rosedi anemonidi ranuncolidigiacinti e d'orecchie d'orso; lasciò cadere il mazzo; io loraccolsi e glielo rimisi a posto con rispettosissima premura. Ciimpiegai così tanto ad accomodarglielo che l'imano si infuriòevedendo che ero cristianochiamò aiuto. Mi portarono dalcadìche mi fece dare cento piattonate sulla pianta deipiedie mi spedì sulle galere. Fui incatenato proprio nellastessa galera e al medesimo banco del barone.


Inquella galera c'erano quattro giovani di Marsigliacinque pretinapoletanie due monaci di Corfùi quali ci dissero chefatti simili capitavano tutti i giorni. Il signor barone pretendevadi aver subito un'ingiustizia più grande della mia; iosostenevo che è molto più lecito rimettere un mazzo difiori sul seno di una donna che fare il bagno nudo con un icoglan.Discutevamo in continuazionee ci davano venti nerbate al giornoallorché il concatenamento degli avvenimenti di quest'universoti ha condotto nella nostra galerae ci hai riscattato".


"Ebbene!mio caro Pangloss"gli disse Candido"quando vi hannoimpiccatosezionatopestato di santa ragione e avete remato sullegalerepensavate sempre che tutto andava per il meglio?" "Sonosempre della mia prima idea"rispose Pangloss"perchéin fin dei conti io sono filosofo: non è conveniente che midisdicagiacché Leibniz non può avere tortoel'armonia prestabilita è la più bella cosa del mondocosì come il pieno e la materia sottile".




CAPITOLOVENTINOVESIMO


COMECANDIDO RITROVO' CUNEGONDA E LA VECCHIA


MentreCandidoil baronePanglossMartino e Cacambò raccontavanole loro avventurementre ragionavano sugli avvenimenti contingenti onon contingenti di quest'universomentre disputavano sugli effetti ele causesul male morale e su quello fisicosulla libertà esulla necessitàsulle consolazioni che si possono provarestando sulle galere turcheapprodarono sulle rive della Propontidepresso la casa del principe di Transilvania. I primi oggetti che sipresentarono furono Cunegonda e la vecchiache stendevano tovagliolisulle corde per farli asciugare.


Atale vista il barone impallidì. Il tenero amante Candidovedendo la sua bella Cunegonda con la pelle scuragli occhiscerpelliniil seno rinsecchitole braccia rosse e coperte discaglieindietreggiò di tre passiinorriditopoi avanzòper correttezza. Lei abbracciò Candido e suo fratello;abbracciarono la vecchia: Candido le riscattò tutt'e due.


C'erauna piccola fattoria nelle vicinanze; la vecchia propose a Candido disistemarsi làin attesa che tutta la compagnia non trovasseuna sistemazione migliore. Cunegonda non sapeva di essere diventatabruttanessuno l'aveva avvertita: ricordò a Candido le suepromesse con un tono così perentorio che il buon Candido nonosò rifiutare. Comunicò dunque al barone che stava persposare sua sorella.


"Nontollererò mai" disse il barone"una tale bassezzada parte suae una tale insolenza da parte vostra; questa infamianon mi sarà mai rimproverata: i figli di mia sorella nonpotranno entrare nei capitoli di Germania. Nomia sorella nonsposerà che un barone dell'Impero".


Cunegondasi gettò ai suoi piedi e li bagnò di lacrime; il baronefu inflessibile.


"Pazzoche non siete altro"gli disse Candido"vi ho strappatoalle galereho pagato il vostro riscattoho pagato quello di vostrasorella; lei stava qui a lavare scodelleè bruttaio sonocosì buono da farne mia mogliee voi avete ancora la pretesadi opporvi! Vi ammazzerei di nuovo se cedessi alla mia collera".


"Poteteammazzarmi un'altra volta"disse il barone"mafinchésono vivonon sposerete mia sorella".




CAPITOLOTRENTESIMO


CONCLUSIONE


Infondo al cuore Candido non aveva alcuna voglia di sposare Cunegonda;ma l'estrema impertinenza del barone lo spingeva a concludere ilmatrimonioe Cunegonda insisteva in modo così pressante chenon poteva disdirsi. Consultò PanglossMartino e il fedeleCacambò. Pangloss redasse un bel memoriale in cui dimostravache il barone non aveva alcun diritto sulla sorellae che leipotevasecondo tutte le leggi dell'Imperosposare Candido dellamano sinistra. Martino concluse che bisognava buttare il barone inmareCacambò propose di riconsegnarlo al capitano levantino erimetterlo sulle galeredopo di che l'avrebbero spedito a Roma dalpadre generale col primo vascello. L'idea parve eccellente; lavecchia l'approvò; non dissero niente alla sorella; con un po'di denaro la cosa fu condotta a buon finee così ebbero ilpiacere d'ingannare un gesuita e di punire l'orgoglio di un baronetedesco.


Sarebbenaturale immaginare che dopo tante avventure Candidosposata la suabella e vivendo col filosofo Panglosscol filosofo Martinocoll'accorto Cacambò e con la vecchiaavendo inoltre portatotanti diamanti dalla patria degli antichi Incasconducesse la vitapiù piacevole del mondo; ma fu imbrogliato a tal punto dagliebrei che gli rimase solo la piccola fattoria; sua moglieche sifaceva ogni giorno più bruttadivenne bisbetica einsopportabile; la vecchia era infermae d'umore anche piùcattivo di quello di Cunegonda. Cacambòche lavorava ilgiardino e andava a Costantinopoli a vendere legumiera sovraccaricodi lavoro e malediceva il suo destino. Pangloss si disperava di nonbrillare in qualche università di Germania. Quanto a Martinoera fermamente convinto che si sta ugualmente male dappertutto;prendeva le cose con pazienza. CandidoMartino e Panglossdiscutevano a volte di metafisica e di morale. Si vedevano spessopassare sotto le finestre della fattoria barche cariche di effendìdi pasciàdi cadìche erano condotti in esilio aLemnoa Mitilenea Erzerum: si vedevano venire altri cadìaltri pasciàaltri effendìche prendevano il postodegli espulsie che erano espulsi a loro volta. Si vedevano passareteste accuratamente impagliate da presentare alla Sublime Porta. Talispettacoli moltiplicavano le dissertazioni; e quando non si discutevala noia era così intollerabile che la vecchia un giorno osòdire:

"Vorreisapere cos'è peggiose essere violato cento volte dai piratinegrise avere una chiappa tagliatase passare sotto le verghe deiBulgarise essere frustato o impiccato in un autodafèseessere sezionatose remare su una galerase provare insomma tuttele sventure attraverso cui siamo passatioppure stare qui a farniente".


"E'un gran problema" disse Candido.


Questodiscorso fece nascere nuove riflessionie Martino concluse chel'uomo è nato per vivere nelle convulsioni dell'inquietudine onel letargo della noia. Candido non era d'accordoma non affermavanulla.


Panglossammetteva di aver sempre sofferto orribilmente; ma avendo sostenutouna volta che tutto andava a meraviglialo sosteneva ancorasenzacrederci affatto.


Unacosa finì col confermare Martino nei suoi detestabiliprincipifacendo dubitare più che mai Candido e mettendoPangloss nell'imbarazzo. Un giorno videro approdare alla fattoriaPasquetta e fra Garofaloche versavano nella più totalemiseria. Si erano mangiati in gran fretta le lore tremila piastresierano lasciatis'erano riconciliatisi erano bisticciatieranostati messi in prigioneerano fuggiti efinalmentefra Garofalo siera fatto turco. Pasquetta continuava il suo mestiere dovunquee nonguadagnava più nulla.


"L'avevoben previsto" disse Martino a Candido"che i vostri donisarebbero stati ben presto dissipati e non li avrebbero resi che piùmiserabili. Avete seminato milioni di piastrevoi e Cacambòe non siete più felici di fra Garofalo e Pasquetta".


"Ah!ah!" disse Pangloss a Pasquetta"il cielo ti conducedunque fra noimia povera ragazza! Sai che mi sei costata la puntadel nasoun occhio e un'orecchio? Come sei ridotta! eh! cos'èmai questo mondo!" Questo fatto li spinse a filosofare piùche mai.


Nellevicinanze c'era un derviscio che passava per il miglior filosofo diTurchia; andarono a consultarlo; Pangloss prese la parola e glidisse:

"Maestroveniamo a pregarvi di dirci perché un animale cosìstrano come l'uomo è stato creato".


"Diche t'impicci?" gli disse il derviscio"forse che tiriguarda?" "Mareverendo padre"disse Candido"èorribile il male che c'è sulla terra".


"Cheimporta"disse il derviscio"che ci sia del male o delbene?

QuandoSua Altezza manda un vascello in Egittosi preoccupa forse che itopi della stiva si trovino a loro agio o no?" "Che bisognafare dunque?" disse Pangloss.


"Tacere"disse il derviscio.


"Speravo"disse Pangloss"di ragionare un po' con voi degli effetti edelle causedel migliore dei mondi possibilidell'origine del maledella natura dell'anima e dell'armonia prestabilita".


Aqueste parole il derviscio gli chiuse la porta in faccia.


Durantela conversazione si sparse la notizia che avevano strangolato duevisir del banco e il muftì e che parecchi dei loro amici eranostati impalati. Quella catastrofe fece dovunque un gran rumoreperqualche ora. PanglossCandido e Martinoritornando alla piccolafattoriaincontrarono un buon vecchio che si godeva il fresco sullaporta di casa sotto un pergolato di aranci. Panglossche era tantocurioso quanto ragionatoregli chiese come si chiamava il muftìche avevano strangolato.


"Nonne so niente" rispose il buon uomo"e non ho mai saputo ilnome di nessun muftì e di nessun visir. Ignoro completamenteil fatto di cui parlate; immagino chein generalequelli ches'immischiano negli affari pubblici a volte periscano miseramenteeche se lo meritino; ma io non m'informo mai di quel che fanno aCostantinopoli; mi contento di mandarci a vendere i frutti delgiardino che coltivo".


Dettociòfece entrare gli stranieri in casa e i suoi figliduegiovani e due fanciullepresentarono loro diverse qualità disorbetti preparati con le loro stesse manidel caimac punteggiato discorze di cedro canditoarancelimonimelangoleananassipistacchi e caffè di Moca non mescolato col cattivo caffèdi Batavia e delle isole. Dopo di che le due figlie del buonmusulmano profumarono le barbe di Candidodi Pangloss e di Martino.


"Doveteavere" disse Candido al turco"una vasta e magnificaterra".


"Nonho che venti iugeri"; disse il turco"li coltivo coi mieifigli; il lavoro ci tiene lontani tre grandi mali: la noiail vizioe il bisogno".


Tornandoalla fattoriaCandido rifletté profondamente sul discorso delturco. Disse a Pangloss e a Martino:

"Mipare che quel buon vecchio si sia costruito un destino di gran lungapreferibile a quello dei sei re coi quali abbiamo avuto l'onore dicenare".


"Legrandezze" disse Pangloss"sono assai pericolosesecondoche riferiscono tutti i filosofi: perché insomma Eglonre deiMoabitifu assassinato da Aod; Assalonne fu appeso per i capelli etrafitto da tre lance; il re Nadabfiglio di Geroboamofu ucciso daBaasa; il re Ela da Zambri; Ocozia da Jeu; Atalia da Gioad; i reJoachimJoacaz e Sedecia furono schiavi. Sapete come perirono CresoAstiageDarioDionigi di SiracusaPirroPerseoAnnibaleGiugurtaAriovistoCesarePompeoNeroneOtoneVitellioDomizianoRiccardo Secondo d'InghilterraEdoardo SecondoEnricoSestoRiccardo TerzoMaria StuardaCarlo Primoi tre Enrichi diFrancial'imperatore Enrico Quarto. Sapete..." "So anche"disse Candido"che dobbiamo coltivare il nostro giardino".


"Hairagione" disse Pangloss"perché quando l'uomo fuposto nel giardino dell'Edenci fu posto «ut operaretur eum»perché lo lavorasse; il che dimostra che l'uomo non ènato per il riposo.


"Lavoriamosenza ragionare"; disse Martino"è il solo modo direndere la vita sopportabile".


Tuttala piccola compagnia approvò questo lodevole disegno; ciascunosi mise a esercitare i propri talenti. Il piccolo pezzo di terrafruttò molto. Cunegondain veritàera proprio brutta;ma divenne un'ottima cuoca; Pasquetta ricamò; la vecchia sioccupò della biancheria. Persino fra Garofalo si rese utilefu un ottimo falegname e divenne addirittura onesto; e Panglossqualche voltadiceva a Candido:

"Tuttigli avvenimenti sono concatenatinel migliore dei mondi possibili:perché insommase non t'avessero cacciato da un bel castelloa gran calci nel sedere per amore di madamigella Cunegondase nonfossi caduto nelle mani dell'Inquisizionese non avessi corsol'America a piedise non avessi dato un bel colpo di spada albaronese non avessi perduto tutte le tue pecore del buon paesed'Eldoradonon saresti qui a mangiare cedri canditi e pistacchi".


"Bendetto"rispose Candido"ma dobbiamo coltivare il nostrogiardino".