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JulesVerne



VENTIMILALEGHE
SOTTOI MARI

 

 

 

 

PARTEPRIMA


1

Unoscoglio sfuggente.

Il1866 fu un anno particolarecaratterizzato da uno strano misteriosoavvenimento che certamente nessuno avrà dimenticato.

Aparte le dicerie che mettevano in agitazione le popolazioni dellacosta ed eccitavano l'opinione pubblica nelle zone continentalilagente di mare ne era particolarmente scossa.

Commerciantiarmatoricomandanti di navipiloti europei e americaniufficialidelle marine militari di tutti i paesi einfinei governi deidiversi Stati dei due continentisi preoccuparono profondamente delfenomeno.

Daqualche tempo parecchie naviincrociando in alto maresi eranoimbattute in una "massa enorme"qualcosa di oblungofattoa fusoa volte fosforescente e molto più grande e piùveloce di una balena.

Levarie relazioni nei giornali di bordo concordavano quasi esattamenteriguardo alla struttura dell'oggetto o del bizzarro essere che fossesulla sua straordinaria agilità di movimentisulla suavelocitàe sulla particolare vitalità di cui apparivadotato.

Sesi trattava di un cetaceoera assai più grande di quelli chela scienza aveva fino ad allora classificato: i più famosinaturalisti non avrebbero mai potuto ammettere l'esistenza di unsimile mostrose non nel caso che l'avessero visto con i loro propriocchi.

Calcolandouna media delle diverse osservazionirespingendo le cautevalutazioni che attribuivano alla "cosa" una lunghezza disessanta metri e anche quelle evidentemente esagerate che ladescrivevano larga trecento e lunga quasi un chilometrosi potevaaffermare che quel mastodontico essere superava di parecchio ledimensioni stabilite dagli ittiologisempre che il mostro esistesseveramente.

Maindubbiamente esisteva: il fenomeno di per sé stesso non sipoteva più confutare epoiché la mente umana di solitoè attratta da tutto ciò che è straordinarioèfacile comprendere l'emozione prodotta in tutto il mondo da quellasoprannaturale apparizione.

Nellenazioni tradizionalmente più severecome l'Inghilterral'Americala Germaniail caso suscitò viva preoccupazionema in molti altri paesi venne preso alla leggera e messo in ridicolo.

Neigrandi centri il mostro divenne l'argomento di moda: se ne scherzavanei caffè-concertoi giornali ne facevano oggetto di burlenella rubrica umoristicanei teatri se ne cantavano le straordinariequalità.

Igiornalia corto di notizieriportarono a galla vecchie storie dimostri.

Alloranelle società e nelle pubblicazioni scientifiche scoppiòuna polemica interminabile tra quelli che credevano al fenomeno e gliincreduli.

Laquestione accese gli spiritii giornalisti di parte scientifica inlotta con gli umoristi versarono fiumi d'inchiostro.

Labattaglia continuò per sei mesi con alterna fortuna ed esitoincerto.

Maa poco a poco l'umorismo sconfisse la scienza e la faccenda delmostro si concluse tra le risate universali.

Cosìnei primi mesi dell'anno 1867 l'argomento sembrava ormai dimenticatoquando accaddero altri strani fatti che vennero ben presto aconoscenza del pubblico.

Allorail fenomeno apparve sotto una luce nuova: non si trattava piùdi un problema scientifico da risolverebensì di un pericoloserio e reale dal quale bisognava difendersi.

Laquestione assumeva così un aspetto ben diverso e il mostroridiventò isolarocciascoglio.

Unostrano scoglio sfuggente che non si poteva né misurare néraggiungere.

Il5 marzo 1867 la "Moravian" della "Montreal OceanCompany"in navigazione notturna urtò con la fiancatacontro uno scoglio che non era indicato in nessuna carta nautica.

Datala violenza dell'urto la naveche sotto la spinta combinata delvento e dei suoi quattrocento cavalli vapore procedeva a tredici nodiall'orasarebbe certo colata a picco con i suoi duecentotrentasettepasseggeri se lo scafo non avesse dimostrato una resistenza a tuttaprova.

Ilfatto era accaduto verso le cinque del mattinoquando cominciavanoad apparire le prime luci.

Gliufficiali di guardia si erano precipitati a esaminare l'oceano conscrupolosa attenzionema non avevano visto nullase non un forterisucchio a circa seicento metri di distanzacome se in quel puntol'acqua fosse fortemente agitata.

Immediatamenteera stato eseguito il rilevamento e la "Moravian" avevacontinuato la sua rotta senza apparenti danni.

Avevaurtato contro una roccia sommersa o contro qualche grosso relitto?

Impossibiledirlo.

Rientratain porto si riscontrò che una parte della chiglia era statastrappata.

Ilfattoper quanto molto gravesarebbe forse stato presto dimenticatocome molti altri di quel genere se qualche tempo dopo non ne fosseaccaduto uno analogo nelle medesime condizioni.

Masia a causa della nazionalità della nave vittimadell'infortuniosia per la reputazione della compagnia armatricela"Cunard"la cosa ebbe una risonanza enorme.

Erail 13 aprilecon mare calmo e brezza leggera.

La"Scotia" si trovava a 15 gradi e 12 primi di longitudine ea 45 gradi e 37 primi di latitudinenavigando alla velocitàdi tredici nodisotto la spinta dei suoi mille cavalli vapore.

Allesedici e diciassettementre i passeggeri erano riuniti a prendere iltè nel salone principalefu sentito un colpo non molto fortecontro la chiglia della nave.

La"Scotia" non aveva urtatoma era stata urtata e daqualcosa che era più tagliente o più perforante checontundente.

Lacollisione era sembrata così leggera che nessuno a bordo sisarebbe allarmato se i marinai di sottocoperta non fossero risalitisul ponte gridando:- Affondiamo! Affondiamo!

Ilpanico si diffuse tra i passeggerima il comandante Anderson riuscìa rassicurarlispiegando che la "Scotia"protetta da bensette compartimenti stagnipoteva affrontare senza gravi conseguenzeun'eventuale falla.

Quindisi recò personalmente nella stiva dove accertò che giàil quinto compartimento era stato invaso dall'acqua; la rapiditàcon cui era stato inondato dimostrava che la falla era rilevante.

Fortunatamentele caldaie non si trovavano in quel settore.

Ilcomandante diede immediatamente l'ordine di fermare le macchine emandò un marinaio ad accertare l'entità del danno.

Siseppe così che nella carena esisteva una falla larga circa duemetri.

Unavia d'acqua di tale ampiezza non poteva certo venire tappata con imezzi di bordo e la "Scotia" fu costretta a proseguire ilsuo viaggio con le ruote semisommerse.

Purtrovandosi a sole trecento miglia da Capo Clearattraccò almolo della Compagnia a Liverpool con un ritardo di tre giorni.

Sbarcatii passeggerigli ingegneri esaminarono la nave.

Ciòche videro li sorprese: due metri e mezzo sotto la linea digalleggiamentosi apriva una fessura a forma di triangolo isoscele icui bordi si presentavano tagliati nettamentetanto da sembrareopera di uno strumento meccanico.

Bisognavaquindi dedurre che l'oggetto perforante fosse fatto di un metallospeciale e chedopo esser stato lanciato con incredibile forzaalpunto di squarciare una lamiera di quattro centimetri di spessoresifosse ritirato da sé con un movimento all'indietroassolutamente inspiegabiletanto rapidamente che la manovra diretromarcia non aveva lasciato alcun segno sui bordi della falla.

Quest'ultimostrepitoso episodio appassionò di nuovo l'opinione pubblica.

Daquel momento tutti gli infortuni navali non provocati da una causaben chiara vennero attribuiti al "mostro" e su quelfantastico essere si scaricarono le responsabilità di tutti inaufragi il cui numeropurtroppoera in aumento.

Sulletremila navi che ogni anno vanno perduteduecento scompaiono senzalasciare tracciae il mostro fu accusato di averle trascinate apiccooltre che di aver reso pericolose le linee di navigazione trai vari continenti.

Enuovamente la stampa si scatenòchiedendo fermamente che imari fossero una buona volta liberati dal misterioso cetaceo.




2

Ilpro e il contro.

Nelperiodo in cui questi avvenimenti accadevanoero appena rientrato daun'esplorazione scientifica nelle terre selvagge del NebraskanegliStati Uniti.

Erastato il governo di Parigi che mi aveva aggregato a quellaspedizionenella mia qualità di professore aggiunto al Museodi Storia Naturale.

Dopoaver passato sei mesi nel Nebraska ero arrivato a New York verso lafine di marzo carico di preziosi reperti epoiché la miapartenza per la Francia era stata fissata per i primi di maggioimpiegavo l'attesa classificando le mie raccolte mineralibotanichee zoologiche.

Fuallora che si verificò l'incidente della "Scotia".

Eroal corrente della questione che era sulla bocca di tutti eappassionava il mondo intero.

Avevoletto e riletto tutti i giornali americani ed europei che avevanodibattuto la questionesenza riuscire a farmi un'opinione precisa.

Quelmistero mi incuriosiva etrovandomi nell'impossibilità diformarmi un chiaro giudizio non parteggiavo per nessuno.

Delresto che ci fosse qualcosa di vero non poteva più esseremesso in dubbio.

Almio arrivo a New Yorkle discussioni erano incandescenti; l'ipotesidi un'isola vagantedi uno scoglio inafferrabileche era statasostenuta da alcuni incompetentiera stata scartata.

Eraevidente chea meno che quello scoglio non racchiudesse in séun motorenon gli sarebbe stato possibile spostarsi a una velocitàcosì prodigiosa.

Contemporaneamentee per lo stesso motivofu respinta l'ipotesi che si trattasse di unenorme relitto.

Perciòrestavano all'interrogativo due sole risposte possibilirisposte checrearono due partiti ben distinti con seguaci accaniti: sifronteggiavanoda una partecoloro che sostenevano si trattasse diun mostro eccezionale edall'altraquelli che asserivano che fosseun battello sottomarino fornito di una forza motrice di grandepotenza.

Maquest'ultima ipotesiin sé e per sé accettabilenonpoté più essere sostenuta in seguito alle ricercheintraprese in tutto il mondo.

Nonera possibile che un privato cittadino avesse a propria disposizioneun simile ordigno meccanico: dove e quando l'avrebbe fatto costruiree come avrebbe potuto tenere segreta una costruzione di queltipo?Solo un governo poteva possedere una macchina con una similecapacità di distruzione ein tempi disastrosi in cui l'uomosi ingegna a moltiplicare la potenza delle proprie forze bellichenon era impossibile che una nazioneall'insaputa delle altrefosseriuscita a realizzare quel formidabile ordigno.

Dopole mitragliatricile torpedinidopo le torpedini altri ordignisegreti e così di seguito in un'allucinante progressione diinvenzioni volte a distruggere il mondo intero.

Maanche l'ipotesi di una nuova macchina da guerra cadde di fronte alledichiarazioni dei governi della cui buona fede non si potevadubitareessendo la cosa di 'interesse comunedato che nesoffrivano i commerci e le comunicazioni transoceanici.

Inoltrecome si poteva ammettere che la costruzione di un simile battellosottomarino fosse passata inosservata?

Sein casi come questo conservare il segreto è difficilissimo perun privatoè assolutamente impossibile per uno Statoi cuimovimenti sono accuratamente sorvegliati dalle potenze straniere.

Perciòdopo tutte le indagini fatte in Inghilterrain Franciain Russiain Germaniain Italiain Spagnain America e perfino in Turchial'ipotesi di una nave da guerra sottomarina fu definitivamentescartata.

Ecosì ritornò a galla l'ipotesi del mostrononostantele continue punzecchiature con cui veniva colpita da parte dellastampaeimboccata questa viafu lasciata briglia sciolta allafantasia e si arrivò alle immagini più assurde diun'ittiologia mitica Appena ero arrivato a New Yorkmolte persone miavevano consultato in propositodato che tempo prima avevopubblicato in Francia uno studio in due volumi intitolato: "Misteridei grandi abissi marini".

Illavoroche incontrò il favore degli specialistifaceva di meun luminare di questa parte molto oscura della storia naturale.

Quandomi fu chiesta la mia opinionetentaipur non potendo negare larealtà dei fattidi rinchiudermi in un prudente silenziomadopo non moltoin seguito a incessanti pressioni"l'esimioprofessor Pierre Aronnax del Museo di Parigi" fu obbligato dal"New York Herald" a esprimere un'ipotesi qualsiasi.

Vistoche non potevo rimanere zittoparlai chiaramentetrattando ilproblema sotto tutti i suoi aspettipolitici e scientificiin unnutrito articolo che apparve in un numero di apriledi cui do qui unestratto.

"Dopoaver esaminatouna per unale diverse ipotesi fin qui formulate eavendo potuto respingere ogni altra supposizionenon mi resta cheammettere l'esistenza di un animale marino di una potenza e di unagrandezza fuori del comune.

Legrandi profondità degli oceani ci sono sconosciute: nessunasonda ha mai potuto raggiungerle.

Chesuccede in questi abissi remoti?

Qualiesseri abitano e hanno la possibilità di sopravvivere aventicinque o a trenta chilometri sotto la superficie del mare?

Sipuò a malapena procedere per ipotesi.

Ciononostantela soluzione del problema che mi è stato sottoposto puòassumere la forma di un dilemma: o conosciamo tutte le specie diesseri viventi che popolano il nostro pianeta o non le conosciamo.

Senon le conoscessimo tuttese in ittiologia la natura avesse ancoradei segreti per noiniente sarebbe più accettabile cheammettere l'esistenza di pesci o di cetacei di specie o di generenuovicostituiti essenzialmente di esseri che vivono sul fondoinquegli abissi marini irraggiungibili da qualsiasi sondae che per unfattore qualsiasianchese si vuoleper una fantasia o per uncapriccioa lunghi intervalli risalgono verso la superficie deglioceani.

Seinvecenoi conosciamo tutte le specie viventisi devenecessariamente ricercare l'animale in questione fra gli esserimarini già catalogati ein tal casoio propenderei adammettere l'esistenza di un narvalo gigante.

Ilnarvalo normaleo cetaceo articoraggiunge abbastanza spesso lalunghezza di venti metri.

Quintuplicatedecuplicate questa dimensionefornite il cetaceo di cui parliamo diuna forza proporzionata alla sua misuraaccrescetene adeguatamentele capacità offensive e otterrete proprio l'animale inquestione:avrà le dimensioni rilevate dagli ufficiali della"Shannon"il corno necessario per perforare la "Scotia"e la potenza richiesta per squarciare la chiglia di qualsiasipiroscafo.

Comesi sail narvalo è dotato di una specie di spada d'avoriodiun'alabardacome preferiscono chiamarla alcuni naturalistichesarebbe semplicemente il suo dente principale e che ha la durezzadell'acciaio.

Alcunidi questi denti sono stati trovati nei corpi delle baleneche inarvali attaccano con successoaltri sono stati estrattinon senzafaticadal fasciame di vascelli che ne erano stati trapassati daparte a partecome un barile da un trapano.

Ilmuseo della facoltà di medicina di Parigi possiede uno diquesti denti: è lungo due metri e venticinque centimetri ealla baseè largo quarantotto centimetri.

Ipotizzateallora quest'arma dieci volte più forte e l'animale diecivolte più robustolanciatelo a una velocità di ventimiglia all'oramoltiplicate la sua massa per la sua velocitàe otterrete una forza d'urto capace di produrre i danni in questione.

Perciòfintanto che non si avranno maggiori informazioniopterei per unnarvalo di dimensioni colossalimunito non più di unasemplice alabardama di uno sperone vero e propriocome le navirompighiacciodi cui avrebbe anche la massa e la forza di spinta.

Eccocome spiegherei questo fenomeno che sembra inesplicabilea meno chea dispetto di quanto si è visto e intravistosentito eriferitoci sia sfuggito qualche particolare importanteciòche non è da escludere.

Quest'ultimafrase era una vigliaccheria da parte mia: l'avevo scritta percautelare la mia dignità di studioso e non porgere troppo ilfianco al sarcasmo degli americani chequando ci si mettonosannofar risaltare il lato ridicolo di ogni cosa.

Cosìammettendo la possibilità del dubbiomi ero riservato unascappatoia.

Ilmio articolo causò vivaci commentiriscotendo vasta eco eraccogliendo anche un certo numero di sostenitori.

Lediscussioni si allargarono sulla natura del fenomenoma giànessuno contestava più l'esistenza di un essere prodigioso.

Mentrealcuni videro il problema sotto il punto di vista puramentescientificoaltripiù praticisoprattutto in America e inInghilterraposero l'accento sul come liberare i mari daquell'essere pericoloso per poter ridare un tranquillo ritmo allecomunicazioni transoceaniche.

Specialmentei giornali di carattere industriale e commerciale trattarono laquestione sotto questo aspetto: tutte le testate legate allecompagnie di assicurazioneche minacciavano di elevare il tasso deiloro premifurono unanimi su questo punto.

GliStati Unitidove il potere della stampa è assai elevatofurono i primi a scendere in campo e a New York si cominciò apreparare una spedizione per dare la caccia al narvalo.

Unafregata fra le più modernel'"Abraham Lincoln"fuarmata per prendere il mare al più presto e gli arsenali sispalancarono davanti al comandante Farragutche ebbe mano libera perpreparare la nave nel modo più idoneo.

Macome capita sempre nella vitaproprio dal momento in cui fu presa ladecisione di dare la caccia al mostroquesto scomparve:per due mesifilati non se ne sentì più parlare e nessuna nave loincontrò più.

Sembravaquasi che il cetaceo fosse a conoscenza del progetto tramato a suodanno.

Sen'era tanto parlatoperfino attraverso il cavo transatlanticoche iburloni si divertivano a raccontare come l'intelligente mostro avesseintercettato qualche dispaccio da cui ora traeva vantaggio.

Perciòla fregata attrezzata per una lunga campagnacon a bordo tutti i piùmoderni congegni per la caccia alle balenedondolava in portononsapendo dove dirigersi.

L'impazienzacresceva di ora in orale speranze cadevano.

Maecco che il 3 luglio arrivò la notizia che un vapore dellalinea San Francisco-Sciangai aveva avvistato il cetaceo nella partesettentrionale del Pacificocirca tre settimane prima.

Lanotizia provocò uno scoppio di frenetica attività e alcomandante Farragut furono concesse solamente ventiquattro ore persalpare.

Iviveri erano imbarcatile stive erano stracolme di carbonel'equipaggio era al completo.

Nonc'era che da accendere le caldaieportarle all'ebollizione esalpare.

Nonsarebbe stata ammessa neppure qualche ora di ritardo.

Mail comandante Farragut non chiedeva di meglio che partire.

Treore prima che l'"Abraham Lincoln" si staccasse dal molodove era ormeggiata a Brooklynmi arrivò telegraficamente undispaccio così redatto: "Signor Aronnax.

professoreal Museum di Parigi.

AlbergoFifth Avenue.

NewYork.

Signoredesiderate unirvi alla spedizione dell'"Abraham Lincoln"il governo degli Stati Uniti sarà lieto che la Francia sia davoi rappresentata in questa impresa.

Ilcomandante Farragut ha una cabina a vostra disposizione.

Moltocordialmenteil vostro J.B.

HOBSON.

Segretariodella Marina.




3

Comeil signore desidera.

Unattimo prima che arrivasse il dispaccio del signor J.B.

Hobsona tutto avrei potuto pensare fuorché ad inseguire il narvalotre secondi dopo averlo lettocompresi che l'unico scopo della miavita era di partire alla caccia del mostro per liberare il mondodalla sua inquietante presenza.

Epensare che ero appena tornato da un viaggio faticosopericoloso eche avevo una grande necessità di riposo.

Ilmio unico desiderio sarebbe stato di rivedere la mia patriai mieiamiciil mio appartamentino al Giardino Botanico e le mie care epreziose collezioni.

Manientein quel momentopoteva trattenermi.

Dimenticaitutto: faticheamici e collezioniaccettandosenza riflettereoltrel'offerta del governo americano.

D'altrapartepensaitutte le strade portano a Roma.

Chissàche il narvalo non possa essere così gentile da condurmi inFrancia.

Queldegno animale si lascerà catturare nei mari europei soltantoper farmi un favore personale e io potrò portare non meno dimezzo metro della sua alabarda d'avorio al Museo di storia naturale.

Maintantobisognava che andassi a cercare quel benedetto cetaceo nelPacifico settentrionalevale a dire cheper ritornare in Franciaavrei dovuto prendere la strada opposta.

-Conseil! - gridai con impazienza.

Conseilera il mio domesticoun giovanotto fedele che mi accompagnava intutti i miei viaggi.

Eraun tranquillo fiammingo a cui volevo bene e che ricambiava tutto ilmio affetto.

Pernatura flemmaticopignolo per principiozelante per abitudinenonsi stupiva mai delle sorprese della vita ed era abile in tutti ilavori che gli spettavano.

Ea dispetto del suo nomenon dava mai né consigli nésuggerimentinemmeno quando gli veniva richiesto.

Conseilera con me da dieci anni e mi aveva seguito in ogni luogo in cui lascienza mi aveva condotto.

Maiuna volta si era lamentato per la lunghezza o la fatica del viaggiomai aveva avuto esitazioni a preparare la propria valigia per unpaese qualsiasiCina o Congoper quanto lontano fosse: andava dauna parte o dall'altra senza chiedere nessuna spiegazione.

Inoltreaveva una costituzione robusta che sfidava ogni malattia; tuttomuscolima senza nervinemmeno una traccia di nerviin sensoastrattosi capisce.

Eraun uomo di trent'anni e la sua età stava a quella del suopadrone nella proporzione di tre a quattro.

Unamaniera come un'altra per dire che io ho dieci anni di più.

Conseilperòaveva un difetto: formalista irriducibilenon mi sirivolgeva mai senza chiamarmi "Signore" in maniera che incerte occasioni era perfino irritante.

-Conseil! - tornai a gridarecominciando in maniera frettolosa a farei preparativi per la partenza.

E'vero che ero sicuro della devozione del domestico che non si era maichiesto se gli convenisse o no seguirmi nei miei viaggima questavolta si trattava di una spedizione che poteva prolungarsiall'infinitodi un'impresa rischiosa alla caccia di un essere cheera in grado di colare a picco una fregata con la chiglia di quercia.

C'eradi che riflettereanche per l'uomo più impassibile del mondo.

Checosa mi avrebbe risposto Conseil?- Conseil! - urlai per la terzavolta.

EConseil apparve.

-Il signore ha chiamato?

-domandò entrando.

-Sìamico mio.

Preparatie preparami: partiamo tra due ore.

-Come il signore desidera - rispose Conseil impassibile.

-Non c'è un minuto da perdere.

Mettinel baule tutti i miei utensiliabiticamicie e calzaturesenzacontarlima mettine più che puoi. Sbrigati!

-E la raccolta del signore?

-osservò Conseil.

-Ce ne occuperemo dopo.

-E gli esemplari rari?- Me li conserveranno in albergo.

-E il "babirussa" vivo del signore?- Sarà nutritoanche in nostra assenza.

Daròl'ordine che ci spediscano in Francia tutte le nostre carabattole.

-Non torniamo a Parigiallora?

-domandò Conseil.

-Sìcerto - risposi evasivamente.

-Ma facendo una digressione.

-Come il signore desidera.

-Ohnon sarà gran cosa.

Unpercorso un po' meno direttoecco tutto.

-Benissimosignore - rispose Conseil tranquillamente.

-Si tratta di un mostrolo saidel famoso narvalo - dissi.

Nelibereremo i mari.

L'autoredi un'opera in due volumi"Misteri dei grandi abissi marini"non può rispondere negativamente all'invito di salpare con ilcomandante Farragut.

E'una missione gloriosama anche pericolosa.

Nonsi sa come andrà a finire: non si può immaginare comereagisca quel tipo di bestia.

Maci andremo lo stesso.

Abbiamoun comandante che sa il fatto suo.

-Quello che farà il signore lo farò anch'io - si limitòa rispondere Conseil.

-Pensaci bene.

Epoiché non voglio nasconderti nullati avverto che questo èuno di quei viaggi da cui non sempre si ritorna.

-Come gradirà il signore.

Unquarto d'ora dopo i bagagli erano pronti.

Conseilli aveva preparati in un battibaleno e io ero sicuro che non avevadimenticato nientepoiché teneva in ordine camicie e abiticon la cura meticolosa con cui classificava uccelli o mammiferi.

L'ascensoredell'albergo ci scaricò nel vestibolo al pianoterra.

Regolaiil contodiedi ordine di spedire a Parigi tutti gli involti deglianimali impagliati e di piante disseccatelasciai una somma per ilmantenimento del "babirussa" etallonato da Conseilsaltai sulla prima vettura che trovai.

Unacorsa veloce e arrivammo alla passerella dell'"Abraham Lincoln"dai cui comignoli scaturivano torrenti di fumo nero.

Unmarinaio di coperta mi condusse sul casserodove mi trovai di frontea un ufficiale dall'aspetto simpaticoche mi tese la mano.

-Il professor Pierre Aronnax?- In persona - risposi.

-Il comandante Farragut?- Sono io.

Siateil benvenutoprofessore.

Lavostra cabina vi aspetta.

Lolasciai intento alle manovre per la partenza e mi feci condurrenell'alloggio destinatomi che era situato a poppa e si apriva sulquadrato ufficiali.

-Qui staremo benissimo dissi soddisfatto a Conseil.

-Bene quanto un paguro bernardo nel guscio di una conchiglia - fu larisposta di Conseil.

Difronte a tanta condiscendenzanon mi restava che lasciare Conseil adisfare i bagagli e risalire sul ponte per osservare i preparativiper la partenza.

Proprioin quel momentoil comandante Farragut faceva mollare gli ultimiormeggi che trattenevano l'"Abraham Lincoln" al molo diBrooklyn.

Sefossi arrivato con un ritardo di un quarto d'orae forse anche menola fregata sarebbe partita senza di me e avrei perduto l'opportunitàdi partecipare a quella spedizione eccezionale e quasi inverosimileil cui resocontobenché sia veritiero troveràsenz'altro parecchi increduli.

Ilcomandante Farragut non voleva perdere nemmeno un'ora per raggiungerei mari nei quali era stata segnalata la presenza del narvalo.

Chiamòil direttore di macchina.

-Siamo già in pressione?- Sissignore.

-Avanti! - comandò.

L'ordinefu trasmesso in sala macchinei fuochisti azionarono la ruota dellamessa in motoil vapore fischiòprecipitandosi nei cassettidi distribuzione che si erano aperti.

Gemetteroi lunghi pistoni orizzontali e spinsero le bielle dell'albero ditrasmissione.

Lepale dell'elica batterono i flutti con una velocità semprecrescente e l'"Abraham Lincoln" cominciò a fenderemaestosamente le acque in mezzo a un centinaio di ferry-boat e dibettoline carichi di spettatori che le facevano corona.

Imoli di Brooklyn e di tutta la parte di New York che costeggia lasponda est erano stipati di curiosi.

Trepossenti urrà risuonarono in cadenza successivascanditi dacinquecentomila voci.

Migliaiadi fazzoletti sventolavano al di sopra di quella massa compattasalutando l'"Abraham Lincoln" fino al suo arrivo nelleacque dell'Hudsonalla punta di quella penisola che forma la cittàdi New York.

Allorala fregataseguendo la stupenda costa del New Jersey costellata divillepassò sotto i forti che la salutarono con salve diartiglieria.

Lafregata rispose issando e ammainando per tre volte la bandieraamericana.




4

NedLand.

Ilcomandante Farragut era un ottimo marinaiodegno della nave checomandava e di cui era l'anima.

Nessundubbio lo sfiorava per ciò che riguardava l'esistenza delcetaceo e non permetteva che a bordo si discutesse sull'argomento.

Neera convinto così come certe contadine credono nell'esistenzadelle stregheper fedecioènon per ragionamento.

Ilmostro esisteva ed egli l'avrebbe ucciso per liberarne i mari:l'aveva giurato.

Sisentiva come una specie di cavaliere che va a battersi con unterribile drago.

Oil comandante Farragut avrebbe ammazzato il narvalo o il narvaloavrebbe ammazzato il comandante Farragut: non c'era altra scelta.

Gliufficiali di bordo erano tutti dell'opinione del comandante.

Erauno spasso sentirli parlarediscuterecalcolare quali fossero lepossibilità di incontrare il mostrole migliori condizioniper avvistarlo nella vasta distesa dell'oceano.

Piùdi uno si sottoponeva volontariamente a un turno di guardiastraordinario sulle crocette dell'albero di maestramansione cheavrebbero stramaledetto in qualsiasi altra occasione.

Finoa che il sole percorreva il suo arco sull'orizzontetuttal'alberatura formicolava di marinai ai quali sembrava che le tavoledel ponte bruciassero sotto i piedi.

Eppurel'"Abraham Lincoln" non fendeva ancora con la prora leinsidiose acque del Pacifico.

L'equipaggionon chiedeva di meglio che incontrare il narvaloarpionarloissarloa bordo e farlo a pezzi.

Tuttiscrutavano il mare con attenzione scrupolosatanto più che ilcomandante Farragut aveva accennato a un paio di migliaia di dollaririservati a chiunqueufficialemarinaio o mozzoavesse avvistatol'animale.

Naturalmenteanch'io tenevo gli occhi ben aperti e non permettevo a nessuno disostituirmi durante i miei turni di vedetta.

Unicotra tutti Conseilcon la solita indifferenzasembrava trascurare ilproblema che tanto ci appassionavastonando nell'eccitata atmosferadi bordo.

Ilcomandante Farragut aveva provveduto veramente ad attrezzare la navedi tutti gli strumenti adatti alla cattura del cetaceo.

Abordo c'erano arnesi di ogni genere: dall'arpione a mano alle frecceuncinateai proiettili esplosivi delle spingarde.

Aprua faceva bella mostra di sé un cannone.

Eradi fabbricazione americana e poteva lanciare un proiettile conico diquattro chili fino a sedici chilometri di distanza.

Sull'"AbrahamLincoln" non mancavano certo le armi per la distruzione delmostro.

Mac'era ancora di meglio: Ned Landil re dei fiocinieri.

NedLand era un canadese di eccezionale bravura che non aveva rivali nelsuo pericoloso mestiere.

Prontezzadi riflessi e sangue freddoaudacia e astuzia erano le qualitàche lo distinguevano e soltanto una balena enormemente scaltra o uncapodoglio straordinariamente abile avrebbero potuto sfuggire allasua fiocina.

NedLand era sulla quarantinaalto oltre un metro e novantasolidamentecostruito; era poco comunicativoqualche volta violento e facilealla collera quando veniva contrariato.

Ilcomandante Farragut aveva avuto buon fiuto nell'ingaggiarlo nelproprio equipaggio: per la sua mira e la sua forza valeva da solo ilresto della ciurma.

Nonsaprei descriverlo meglio che paragonandolo a un incrocio fra untelescopio e un cannone costantemente carico.

Chidice canadese dice francese.

Eper quanto poco comunicativo fossedevo riconoscere che Ned Land midimostrò immediatamente una certa simpatia.

Sonocerto che era la mia nazionalità a distinguermi ai suoi occhi.

Perlui era una buona occasione di parlare e per me di ascoltare lalingua che è ancora usata in alcune province canadesi.

Lasua famiglia era originaria di Quebec e costituiva già unastirpe di coraggiosi pescatori all'epoca in cui la cittàapparteneva alla Francia.

Apoco a pocoNed Land prese un certo gusto a parlare e a me piacevaascoltare il racconto delle sue avventure nei mari polari.

Minarrava le sue spedizioni di caccia e le sue lotte in una formasemplice e poetica.

Misoffermo su questo coraggioso compagno così come lo conoscoorapoiché siamo diventati veramente amiciuniti da quellegame indistruttibile che nasce e si rafforza nei momenti piùdifficili.

CaroNed! Vorrei vivere ancora cent'anni per potermi ricordare piùa lungo di te! Ma qual era l'opinione di Ned Land in merito almostro?

Devoconfessare che egli non ci credeva affatto e che era il solo a bordoad avere un'opinione diversa dalla convinzione generaletanto cheevitava perfino di trattare l'argomento.

Nellasplendida serata del 30 lugliopiù di tre settimane dopo lanostra partenzala fregata si trovava all'altezza di Capo Blancatrenta miglia dalle coste della Patagonia.

Avevamosorpassato il Tropico del Capricorno e ci avvicinavamo allo Strettodi Magellano: entro una settimana l'"Abraham Lincoln"sarebbe penetrata nel Pacifico.

Sedutisul cassero io e Ned Land parlavamo del più e del menoquandoil discorso cadde sui misteri racchiusi nelle profonditàdell'oceano e che mai occhio umano aveva potuto sondare.

Dilì al narvalo gigante il passo fu breve e io accennai alcuneipotesi sulle possibilità di successo o di insuccesso dellanostra spedizione.

Poinotando che Ned mi lasciava parlare senza fare commentilo stuzzicaidirettamente.

-PerchéNedavete l'aria di non credere all'esistenza delcetaceo che stiamo cercando?

-gli chiesi.

-Avete qualche ragione particolare per dubitarne?Il fiociniere mifissò per alcuni istanti prima di rispondermipoicon ungesto che gli era consuetosi batté la fronte con la manosocchiudendo gli occhi e rispose:- Può darsisignor Aronnax.

-Non vi capisco proprio - dissi.

-Siete un baleniere di professioneperciò abituato ai grandimammiferi marini.

Dovrebberiuscirvi facile immaginare questo cetaceo enorme e accettarel'ipotesi che esista.

Secondome dovreste essere l'ultimo a mettere in dubbio l'esistenza di unnarvalo gigante.

-Ecco dove vi sbagliateprofessore - ribatté Ned.- Che ilprofano possa attribuire poteri straordinari alle comete si puòcapirema non è ammissibile che vi credano l'astronomo e ilgeologo.

Ciòvale anche per i balenieri.

Hocacciato una quantità di cetaceine ho arpionati e uccisi ungran numeromaper quanto grossi e combattivi fosseroné leloro code né i loro denti avrebbero potuto sfondare ointaccare le lastre di ferro di un piroscafo.

-Eppure sapete che alcuni bastimenti sono stati trapassati da parte aparte dal narvalo.

-Navi di legnochissàpotrebbe anche essere.

Peròio non ho mai visto niente di simile e fino a prova contraria negoche le balenei capodogli o altri cetacei possano causare danni ditale portata.

-Sentite Ned...

-Noprofessoreno.

Tuttoquello che volete eccetto questo.

Nonpotrebbe essere un polpo gigantesco?- E' ancora meno verosimile.

Ilpolpo non è che un mollusco e il nome stesso di questa speciesta a indicare la poca consistenza della loro carne.

Quand'anchefosse lungo duecento metriil polpoche non appartiene allafamiglia dei vertebratisarebbe del tutto inoffensivo contro naviquali la "Scotia" o l'"Abraham Lincoln".

Perforza di cose bisogna rigettare nel mondo delle leggende le prodezzedelle piovre o di altri mostri di questo genere.

-Allorasignor naturalista - riprese Ned Land con un tono abbastanzamalizioso - persistete a credere nell'esistenza di un enormecetaceo?- SìNede lo ripeto con una convinzione che siappoggia sulla logica dei fatti.

Credonell'esistenza di un mammifero con un organismo possenteappartenente alla famiglia dei vertebrati come le balenei capodoglie i delfinie munito di un dente corneo e con una capacità diperforazione assolutamente formidabile.

-Sarà - disse il ramponiere scotendo la testaper nullapersuaso.

-Tenete presente - ripresi - che se un animale con similicaratteristiche esistese abita nelle profondità marinesescende nelle cavità dell'oceano che si sprofondano a parecchiemiglia dalla superficie dell'acquaper forza di cose deve avere unorganismo la cui solidità sorpassi ogni immaginazione.

-Perché?- Perché è necessaria una forzaincalcolabile per vivere nelle profondità dell'acqua eresistere alla sua pressione.

-Davvero?- fece Ned ammiccando.

-Davverocaro il mio ramponiere.

Aprovarlo bastano alcune cifre.

-Ohle cifre! - ribatté Ned sprezzante.

-Si fa quel che si vuole con le cifre.

-Sìnegli affarima non in matematica.

Supponiamoche la pressione di un'atmosfera sia rappresentata dalla pressione diuna colonna d'acqua alta circa dieci metrianche se in realtàla colonna di acqua dovrebbe essere minoretrattandosi di acquamarina che ha una densità superiore a quella dolce.

Quandovoi vi tuffatequante volte mettete sopra di voi dieci metrid'acquatante il vostro corpo sopporta una pressione uguale a quelladi una atmosferapiù di un chilogrammo per ogni centimetroquadrato della sua superficie.

Aquasi cento metri questa pressione è di dieci atmosfere e dicento atmosfere a circa mille metri.

Saprestedirmi quanti centimetri quadrati misura la vostra pelle?- Non ne hola minima ideaprofessore.

-Circa diciassettemila.

-Accidenti! - E poiché la pressione atmosferica supera ilchilogrammo per centimetro quadratoi vostri diciassettemilacentimetri quadrati sopportano una pressione di oltre diciassettemilachilogrammi.

-E io neanche me ne accorgo.

-Non potreste accorgervene.

Ese non venite schiacciato da tale pressione è perchél'aria penetra nel vostro corpo con una pressione uguale.

Main acqua è un altro paio di maniche.

-Ora capisco - disse Ned che si era fatto più attento.

-E' perché l'acqua mi circonda e non penetra dentro di me.

-Proprio così.

Pensatedunque quale pressione dovreste sopportare se scendeste a unaprofondità di mille metri: quasi un milione e ottocentomilachilogrammi.

Insommasareste schiacciato come se vi trovaste sotto un torchio idraulico.

-Ehcaspita!

-Oraamico mioun vertebrato lungo molte centinaia di metri e grossoin proporzionee quindi con una superficie di milioni di centimetriquadratiscendendo in profondità dovrà sopportare unapressione calcolabile solo in miliardi di chilogrammi. Potete quindiimmaginare quale debba essere la mole della sua ossatura e la potenzadel suo organismo.

-Dovrebbe essere rivestito di lamine d'acciaio spesse trentacentimetri come le navi corazzate - disse il canadese.

-EsattamenteNede potete ben immaginare che razza di danni puòprodurre una simile massa lanciata con la velocità di un trenocontro la chiglia di una nave.

-Certo...

sìpuò essere - rispose il canadeseun po' scosso dalle cifre.

Manon siete ancora convinto?- Solo di un datosignor naturalista: cheper vivere sul fondo marino un animale dovrebbe possedere la forzastraordinaria che voi dite.

Mase non esistesseramponiere cocciutocome si spiegherebbe il fattocapitato alla "Scotia"?- Potrebbe anche essere...

-Be'?-Una frottolaecco - concluse il testardo canadese.




5

Atutto vapore.

Perun lungo periodo il viaggio dell'"Abraham Lincoln" continuòsenza particolari incidentituttavia si presentò un'occasioneche mise in rilievo la meravigliosa abilità di Ned Landdimostrando quanto egli meritasse la nostra fiducia.

Allargo delle isole Malvineincrociammo alcuni balenieri americani checi comunicarono di non avere nessuna notizia sul narvalo.

Mauno di loroil comandante della "Monroe"avendo saputoche Ned Land era imbarcato sull'"Abraham Lincoln"richieseil suo aiuto per cacciare una balena appena avvistata.

Ilcomandante Farragutben felice di poter vedere all'opera il famosoramponierelo autorizzò a trasbordare sulla "Monroe".

Eil destino fu talmente favorevole al nostro canadese cheanzichéuna balenane arpionò duecolpendo la seconda dritto alcuorecon un doppio lancio effettuato nel giro di pochissimi minuti.

Seil mostro si fosse trovato faccia a faccia con l'arpione di Ned Landio sicuramente non avrei scommesso per il mostro.

Lafregata seguì la costa sud-est dell'America a una velocitàprodigiosa e presto raggiungemmo l'imboccatura dello Stretto diMagellanoma il comandante Farragut non volle percorrere lo strettoe manovrò in maniera da doppiare Capo Horn.

L'equipaggiogli dette ragione all'unanimitàpoiché non eraprobabile incontrare il narvalo in un passaggio angusto: una buonaparte dei marinai sosteneva addirittura che il mostro fosse troppogrosso per potervi penetrare.

DoppiatoCapo Hornla parola d'ordine dei marinai fu: "Occhi beneaperti".

Eli aprirono a dismisuraocchi e binocolianchee con laprospettiva dei duemila dollari non si risparmiarono certo: notte egiorno si scrutava attentamente la superficie delle acque.

Superatoil Tropico del Capricorno e l'Equatorela fregata viròrisolutamente verso ovestfacendo rotta verso i mari centrali delPacifico.

Ilcomandante Farragut pensava con ragione che fosse meglio dirigere laprua verso le acque profonde e allontanarsi dai continenti e dalleisoleai quali sembrava che l'animale evitasse di avvicinarsi"probabilmente perché non vi era abbastanza acqua perlui"come affermava il nostromo.

Finalmentearrivammo sul teatro delle prime apparizioni del mostro.

Pertre mesi - tre mesi in cui ogni giorno durava un secolo l'"AbrahamLincoln" perlustrò tutti i mari settentrionali delPacificorincorrendo segnalazioni di balenefacendo bruschicambiamenti di rottavirando improvvisamentefermandosi di scattoandando a tutto vapore.

Enon tralasciò di esplorare ogni angolo delle coste delGiappone e di quelle americane.

Niente!

Nient'altroche l'immensità deserta dell'oceano!

Nienteche potesse nemmeno lontanamente assomigliare a un narvalo colossalené a un'isola sottomarina né a un gigantesco relitto néa uno scoglio fluttuante né a qualsiasi altra cosa che avessedel sovrannaturale.

Laconseguenza di ciò era prevedibile: lo scoraggiamento cominciòa impadronirsi degli animi e aperse la strada all'incredulità.

Abordo regnava un nuovo sentimento formato per tre decimi di vergognae per gli altri sette di rabbia.

Cisi sentiva mortificati per essersi lasciati illudere da unafantasticheria ma anche furiosi.

Lemontagne di ragionamenti ammassate per un anno crollavano di colpo eognuno non sognava che di recuperare nel tempo dei pasti e del sonnoquello così stupidamente perduto.

Conla naturale tendenza dello spirito umano a spostarsi da un estremoall'altroda un eccesso d'entusiasmo si passò a un eccesso dipessimismo e quelli che erano stati i più caldi sostenitoridell'impresa ne divennero i più accaniti detrattori.

Lareazione salì dai mozzi e dalla ciurma raggiungendo ilquadrato ufficiali esenza una risoluta presa di posizione delcomandante Farragutla fregata avrebbe indubbiamente ripreso larotta di ritorno.

Tuttavianon si poteva prolungare all'infinito quell'inutile ricerca.

Lafregata non aveva nulla da rimproverarsiavendo fatto tutto ilproprio dovere: mai un equipaggio della marina degli Stati Unitiaveva dimostrato più zelo e più dedizione al dovere.

L'insuccessonon avrebbe potuto essergli imputato.

Lalogica voleva che si smettesse con le ricerche.

Unrapporto in questo senso fu presentato al comandantema egli tenneduro.

Imarinai non nascosero il loro malcontento e di conseguenza ilservizio ne soffrì: non che ci fosse un ammutinamento a bordoma il comportamento degli uomini era tale che a un certo punto ilcomandante Farragut giudicò opportuno imitare CristoforoColombochiedendo ancora tre soli giorni di pazienza.

Sealla fine del terzo giorno il mostro non fosse apparsol'uomo altimone avrebbe cambiato direzione e l'"Abraham Lincoln"avrebbe fatto rotta verso l'Atlantico.

Ilpatto fu concluso il 2 novembre ed ebbe come risultato diripristinare l'accuratezza del servizio di bordo.

L'oceanofu scrutato ancora una volta con attenzione e poiché ciascunovoleva dare quell'ultima occhiata con cui riassumere tutti i ricordidelle speranze perdutei cannocchiali ripresero la loro attivitàfebbrile: era l'ultima sfida al narvalo giganteil qualeseesistevanon avrebbe potuto esimersi dal rispondere a una simile"ingiunzione a comparire".

Passaronodue giorni.

L'"AbrahamLincoln" navigava a piccola velocitàimpiegando milletrucchi per risvegliare l'attenzione e stimolare l'indifferenza dellabestianel caso si trovasse da quelle parti.

Enormipezzi di lardo furono lanciati in mare con vivissima soddisfazionedei pescecani.

Ognitanto la fregata si fermava mentre le scialuppe si irradiavano datutte le partinon tralasciando di esplorare il più piccolotratto di mare.

Mala sera del 4 novembre arrivò senza che il mistero fossesvelato.

Amezzogiorno dell'indomani5 novembrescadeva il tempo dell'impegnodopo di che il comandante Farragutfedele alla parola dataavrebbedovuto ordinare di invertire la rotta e abbandonare definitivamentele acque settentrionali dell'Oceano Pacifico.

Quelgiorno la fregata si trovava a 31 gradi e 15primi di latitudine norde a 136 gradi e 42 primi di longitudine est e le isole del Giapponeerano a meno di duecento miglia sottovento.

Lanotte si avvicinava: la campana di bordo aveva appena battuto leotto.

Grossenuvole creavano un velo intorno alla luna nel suo primo quarto.

Ilmare si frangeva dolcemente contro la carena della nave.

Mene stavo a pruacon accanto Conseil che guardava davanti a sé.

L'equipaggioaggrappato ai cavi di sostegno degli alberi della navefissaval'orizzonte che si andava oscurando a poco a poco.

Gliufficiali aggiustavano i loro binocoliscrutando nelle tenebrecrescenti.

Avolte l'oscurità dell'oceano si accendeva sotto un raggio chela luna saettava attraverso le frange di due nuvole.

Poiogni traccia luminosa fu inghiottita dalle tenebre.

Nelsilenzio risuonò a un tratto la voce di Ned Land che gridava:-Ehi! Sottoventoin quella direzione!

Aquel grido tutto l'equipaggio si precipitò verso ilfiociniere.

Comandanteufficialimarinai e mozzi e perfino gli ufficiali di macchinalasciarono il loro posto.

Lafregataavendo il comandante dato l'ordine di fermare le macchineprocedeva solo per il suo abbrivo.

L'oscuritàera profonda e io mi domandavo come avesse potuto il canadese vederequalcosaper quanto buoni fossero i suoi occhie che cosa avessevisto.

Ilcuore mi batteva a un ritmo vertiginoso.

NedLand non si era sbagliato eun po' alla voltatutti scorgemmol'oggetto che ci indicava con la mano.

Ilmare appariva come illuminato da sotto la superficie dell'acquamanon era un semplice fenomeno di fosforescenza: su questo non ci sipoteva sbagliare.

Erail mostro cheimmerso per qualche metroproiettava quel chiaroreintenso e inspiegabile di cui parlavano i rapporti di tanticomandanti di navi e che solo un organo di eccezionale potenza potevaemettere.

Laluminescenza disegnava sul mare un grande ovale al cui centrosembrava bruciare un falò che andava gradatamente attenuandosiverso le estremità.

-Può essere un agglomerato di piccoli animali marinifosforescenti - osservò un ufficiale.

-Nono - dissi io.

-Non potrebbero produrre una luce di tale intensità. Eindubbiamente è di origine elettrica... Guardate! Si staspostandosi muove in avanti... Attenzione! Ci viene addosso!

Uncoro di grida si levò dal ponte.

-Silenzio! - ordinò il comandante Farragut.

-Barra al vento! Tutta! Macchine indietro a tutta forza!

Imarinai si precipitarono al timonegli ufficiali di macchinasparirono sottocoperta e di lì a un istante l'"AbrahamLincoln"virando a babordodescrisse un semicerchio.

-A dritta! Macchine avanti! - ordinò il comandante.

Gliordini furono subito eseguiti e la fregata si allontanòrapidamente dalla sorgente luminosa.

Omegliotentò di allontanarsiperché quell'esserestraordinario le si stava avvicinando a velocità moltosuperiore.

Avevamoil cuore in gola.

Lostuporepiù che la pauraci rendeva muti.

L'animaleguadagnava spazio senza sforzo.

Doppiòla fregata che in quel momento faceva i quattordici nodi el'avviluppò nei suoi luminosi riflessi come in una ragnatelascintillantepoi si allontanò di due o tre miglialasciandouna scia di luce.

All'improvvisodall'oscuro limite dell'orizzonte dove si era portato per prendere loslancioil mostro si scagliò contro l'"Abraham Lincoln"a velocità spaventosafermandosi bruscamente ad alcuni metridalla fiancata.

Laluce sparìnon come se il mostro si fosse immerso nellaprofondità dell'oceanopoiché non vi fu alcunabbassamento della luminositàma di scattocome se qualcunoavesse girato la chiavetta di un commutatore.

Esubito riapparve all'altro bordosenza che si potesse capire sedoppiando la nave o scivolando sotto la chiglia.

Aogni istante poteva causare una collisione che sarebbe stata fatale.

Manon pensavo al pericolosbalordito com'ero dalle manovre dellafregata la qualeanziché attaccarefuggiva: l'inseguitriceera ora l'inseguita.

Lofeci osservare al comandante Farragut il cui visodi solito cosìimpassibileera improntato a un indefinibile sbigottimento.

-Signor Aronnaxnon so quale essere formidabile ho di fronte e nonvoglio rischiare imprudentemente la mia fregata con questa oscurità- disse.

-Non sappiamo come attaccare l'ignoto e come difendercene.

Aspettiamoil giorno e forse le parti s'invertiranno.

-Non avete dubbicomandantesulla natura dell'animale?- Noprofessore: è un narvalo gigantesco e per di più dotatodi energia elettrica.

-E se avesse anche il potere di folgorare a distanzasarebbe il piùterribile e pericoloso animale fra quelli creati.

Bisognaagire con molta prudenza.

Durantela notte tutto l'equipaggio vegliò: nessuno pensò diandare a dormire.

L'"AbrahamLincoln"non potendo competere in velocità col mostroaveva ridotto l'andatura.

Daparte suail narvalo sembrava volerne seguire l'esempio e silasciava cullare dalle ondeapparentemente risoluto a nonabbandonare il campo.

Versomezzanotteperòscomparve opiù precisamentesispense come un'enorme lampada.

Fuggito?

Erail nostro timorenon la speranza.

Macirca un'ora dopo si sentì un fischio assordantecomeprodotto da una colonna d'acqua lanciata con estrema violenza.

Ilcomandante FarragutNed Land e io eravamo sul cassero e frugavamocon lo sguardo ansioso la profondità delle tenebre.

-Sicuramente avrete sentito spesso il soffio delle balene disse ilcomandante a Land.

-Molto spessosignorema mai di balene come questa che mi fruttaduemila dollari solo per averla avvistata.

-Naturalmente avete diritto al premio.

Madite: questo non è il rumore che producono le balene quandosfiatano?- Identicosignorema questo è molto piùforte.

Nonc'è dubbio:si tratta di un cetaceo.

Colvostro permessosignoredomattina presto andrò a fare duechiacchiere con lui.

-Se vorrà ascoltarvicaro Ned - disse il comandante con ariapiuttosto scettica.

-Lasciate che gli arrivi alla distanza giusta e dovràascoltarmi per forza.

-Ma per questo - osservò il comandante - dovrei mettervi adisposizione una baleniera.

-Naturalmente.

-Mettendo a repentaglio la vita dei miei uomini.

-E la mia - rispose il ramponiere pacato.

L'ovaleluminoso riapparve verso le due del mattino a circa cinque migliadalla fregata.

Nonostantela distanza e il rumore del vento e delle ondesi sentivanodistintamente i formidabili colpi di coda dell'animale e il suorespiro affannoso.

Sembravache quando l'enorme narvalo veniva in superficie per respirarel'aria si ingolfasse nei suoi polmoni come il vapore nei cilindri diuna macchina da duemila cavalli.

Hum!pensai. Una balena che ha la forza di una carica di cavalleriadovrebbe essere proprio un grazioso animaletto.

Restammoin stato d'allerta fino all'albapreparandoci al combattimento.

Tuttal'attrezzatura per la pesca fu disposta sul ponte.

Ilsecondo fece caricare cannoncini che potevano lanciare gli arpioni aun miglio di distanza e alcune lunghe colubrine con proiettiliesplosivimicidiali anche per gli animali più resistenti.

NedLand si era accontentato di affilare il suo arpioneun'arma chenelle sue mani diventava terribile.

Alleseil'alba cominciò ad annunciarsi e con le prime lucidell'aurora scomparve la luminescenza del narvalo.

Allesette era giornoma una spessa coltre di nebbia velava l'orizzonte enemmeno con i migliori binocoli si riusciva a trapassarla.

Alleottola nebbia cominciò a sfrangiarsi in pesanti nubi le cuivolute si alzarono a poco a poco.

L'orizzontesi allargavala visibilità diventava sempre migliore.

D'untrattoproprio come il giorno precedentesi udì la voce diNed Land.

-Il nostro amico a poppa! - gridò il fiociniere.

Tuttigli sguardi si diressero verso il punto indicato.

Làa un miglio e mezzo dalla fregataun lungo corpo nerastro emergevadi un metro dal pelo dell'acqua.

Lacodache si agitava violentementeproduceva un rumore assordante:mai muscoli caudali avevano battuto il mare con tanta violenza.

Un'immensasciabianca e turbinosasegnava il passaggio dell'animaledescrivendo una curva allungata.

Lafregata si avvicinò al cetaceo e così potei esaminarlocon tutta tranquillità.

Irapporti della "Shannon" e dell'"Helvetia" neavevano un po' esagerato le dimensionipoiché a mio avviso lasua lunghezza non doveva superare i novanta metri; per quantoriguarda la larghezzami era difficile poterla definirenon essendol'animale completamente emersoperò il corpo mi sembravamolto ben proporzionato.

Mentrelo osservavodue enormi getti di vapore e di acqua scaturirono daisuoi sfiatatoi salendo fino a 40 metri di altezzadandomi un'ideadella sua grande potenza di respirazione.

Stabiliidefinitivamente che doveva appartenere alla branca dei vertebraticlasse dei mammiferisottoclasse dei monodelfinigruppo deipisciformiordine dei cetaceifamiglia...

Aquesto punto non potevo ancora pronunciarmi.

L'ordinedei cetacei comprende infatti tre famiglie: balenecapodogli edelfinied è in quest'ultima che sono classificati i narvali.

Ognunadi queste famiglie si suddivide in generispecie o varietà.

Tuttecose che non potevo ancora stabilirema forsecon l'aiuto del Cieloe del comandante Farragutci sarei arrivato.

L'equipaggioattendeva con impazienza gli ordini del comandante il qualedopoaver osservato attentamente il mostrofece chiamare il direttore dimacchina.

-Siamo in pressione?

-gli domandò quando l'ebbe di fronte.

-Sìsignore.

-Bene.

Forzatea tutto vapore.

Treurrà accolsero quell'ordine: l'ora del combattimento erasonata.

Furonosufficienti alcuni secondi perché i comignoli della fregatavomitassero vortici di fumo nero e il ponte fremesse per levibrazioni delle macchine.

L'"AbrahamLincoln"spinta in avanti dalla forza della sua elicapuntavadritta sull'animaleil quale si lasciò accostare fino a unamezza gomenapoicome disdegnando di tuffarsicominciò amuoversimantenendo la distanza.

L'inseguimentosi prolungò per circa tre quarti d'orasenza che la fregatariuscisse a guadagnare un metro sul cetaceo.

Eraevidente chea quell'andaturanon l'avremmo mai raggiunto.

Ilcomandante Farragut si torceva con rabbia la lunga barba.

-Ned Land! - chiamò.

Ilcanadese accorse.

-E allorasignor Landsiete ancora del parere di mettere lescialuppe in mare?

-domandò il comandante.

-Nosignore - rispose il ramponiere.

-Quella bestiaccia non si lascerà raggiungere che quando lovorrà.

Colvostro permessovado ad appostarmi ese per caso arrivassimo atirol'arpionerò.

-Andate pureNed.

-Farragut si rivolse al direttore di macchina: - Forzate la pressione- ordinò.

NedLand andò ad appostarsi a prua mentre le caldaie venivanoportate oltre il limite di sicurezza: avrebbero potuto scoppiare daun momento all'altro; l'elica faceva quarantatre giri al minuto e ilvapore fondeva le valvole.

L'"AbrahamLincoln" navigava a una velocità di oltre diciotto miglial'ora.

Maquel maledetto animale aumentò a sua volta la propria andaturae dopo un'ora la distanza non era diminuita.

Eraumiliante per una delle più veloci navi della marina militaredegli Stati Uniti.

Unarabbia sorda serpeggiava tra l'equipaggio che agitava i pugni controil mostrolanciando insulti e imprecazionimentre il comandante nonsi limitava più a torcersi la barba: ora se la mordeva.

Quantoal narvaloappariva del tutto indifferente.

-Abbiamo raggiunto il massimo della pressione?

-domandò il comandante al direttore di macchina.

-Sìsignore.

-Le valvole?- A sei atmosfere e mezzo.

-Portatele a dieci.

Mirivolsi al mio buon domesticoche mi stava vicino.

-Sai che probabilmente salteremo in ariaConseil?- Come il signoredesidera.

Confessoche non mi dispiaceva di correre quel rischio pur di effettuare unultimo tentativo.

Ilcarbone veniva ingolfato nei fornii ventilatori mandavano turbinid'aria sui bracieri.

Lavelocità dell'"Abraham Lincoln" aumentòancora.

Glialberi tremavano fin nelle scasse e i fiotti di fumo stentavano afarsi strada attraverso i comignoli diventati stretti.

Ilsolcometro fu gettato per la seconda volta.

-Diciannove miglia e tre decimicomandante.

-Forzare ancora.

Insala macchine si obbedì e il manometro superò le dieciatmosfere.

Maevidentemente anche il mostro "forzò" e prese afilare alla medesima andatura.

Ditanto in tanto si lasciava avvicinare e Ned Landche era appostatocon l'arpione in manogridava:- Eccolo! Ci siamo!

Poiquando era pronto per il lancioil narvalo si allontanava a unavelocità che non doveva essere inferiore ai trenta nodi.

Unavoltacome se volesse deridercigiunse a girare attorno alla navestrappando a tutti un grido di rabbia.

Amezzogiornodato che la situazione non era cambiatail comandanteFarragut decise di usare mezzi più drastici.

-Così quella bestia è più veloce dell'"AbrahamLincoln"eh?disse.

-Vediamo allora se riesce a distanziare anche i proiettili corazzati.

Ilcannone fu immediatamente caricato.

Ilcolpo partìma il proiettile passò a circa un metrosopra il narvaloche si trovava a mezzo miglio da noi.

-Un puntatore più abile! - comandò Farragut.

Cinquecentodollari a chi riuscirà a forare quel bestione d'inferno!

Unvecchio cannoniere dalla barba grigiacon l'occhio tranquillo el'espressione flemmaticasi avvicinò al pezzolo brandeggiòe mirò a lungo.

Risonòuna forte detonazione cui si confusero gli evviva dell'equipaggio.

Lapalla raggiunse il bersaglioscivolò sul dorso curvo dellabestia e andò a perdersi in mare a due miglia di distanza.

-Maledizione! - imprecò il vecchio cannoniere.

Quell'accidentelì deve essere blindato con piastre da dieci centimetri!

Lacaccia ricominciò e il signor Farragutpiegandosi verso dimemi disse:

-Lo inseguirò fino a far scoppiare le caldaie!

L'unicasperanza era che l'animale si stancasse e che non avesse laresistenza di una macchina a vapore.

Maera un pio desiderio.

Leore trascorrevano senza che desse segno di stanchezza.

L'"AbrahamLincoln" lottava con un'infaticabile tenacia: sono sicuro che inquello sciagurato 6 novembre non percorse meno di cinquecentochilometri.

Maarrivò la notte e avvolse con le sue ombre l'oceano.

Aquel puntoero convinto che la nostra spedizione fosse finita e chenon avremmo mai più rivisto il fantastico animale.

Misbagliavo: verso le undicila luce riapparve a tre migliasopravvento alla fregatalimpida e intensa come la notte precedente.

Ilnarvalo sembrava immobile.

Forsestanco della giornatadormivalasciandosi cullare dal movimentodelle onde?

Eraun'occasione che il comandante Farragut decise di prendere al volo.

Brevie secchi ordini.

Lafregata proseguì a piccola velocitàavanzando conprudenza per non svegliare la preda.

NedLand riprese il suo appostamento presso l'albero di bompresso.

Lafregata procedette silenziosafermò le macchine a due gomenedi distanza dal mostro e proseguì col solo abbrivo.

Sulponte il silenzio era assoluto.

Oraeravamo a meno di trenta metri dalla fonte di luceil cui chiaroreaumentava progressivamente davanti ai nostri occhi.

Inquel momento mi trovavo sul cassero e vedevo davanti a me Ned Landche si reggeva con una mano ad una cordamentre con l'altra brandivail suo terribile arpione: appena sette metri lo separavanodall'animale immobile.

Improvvisamenteil suo braccio scattò e il rampone fu lanciato:udii il colposonoro che fece urtando contro un corpo solido.

Ilchiarore elettrico si spense di botto e due enormi colonne d'acqua siabbatterono sul ponte della fregatascorrendo come torrenti da unaparte all'altratravolgendo uominischiantando le manovre fisse equelle correnti.

Ilsussulto spaventoso della nave mi sbalzò dal cassero esenzaneppure avere il tempo di tentare di reggermimi ritrovai in mare.




6

Unabalena di specie sconosciuta.

Benchésorpreso dall'inatteso scossone e dal tuffomantenni il nettocontrollo delle mie sensazioni.

All'iniziofui trascinato molto in profonditàma sono un buon nuotatoree non persi la testa: due vigorosi colpi di tallone mi riportarono insuperficie.

Lamia prima preoccupazione fu di cercare con gli occhi la fregata.

Sierano accortia bordodella mia scomparsa?L'"Abraham Lincoln"avrebbe virato di bordo?

Ilcomandante Farragut avrebbe messo in mare una scialuppa?

Avevoqualche speranza di essere salvato?Le tenebre erano profondemariuscii a intravedere una massa scura che si allontanava verso est ele cui luci di posizione si andavano rapidamente sbiadendo.

Misentii perduto.

Presia urlarenuotando in direzione dell'"Abraham Lincoln" confoga disperata.

Gliindumenti che l'acqua mi incollava al corpo mi impacciavano imovimenti.

Perdevoforzaaffogavo...

-Aiuto!

Ful'ultima invocazione che riuscii a lanciare.

Labocca mi si riempì d'acqua edibattendomi convulsamentefuitrascinato nell'abisso.

All'improvvisomi sentii afferrare da una forte mano e trarre in superficiedove migiunsero all'orecchio parole incredibili.

-Se il signore vuole avere la cortesia di appoggiarsi alla mia spallapotrà nuotare più agevolmente.

-TuConseil! - esclamai.

-Sei tu!

-Sìsignoreagli ordini del signore.

-L'urto ha scagliato in mare anche te?- Nosignore.

Masono al servizio del signore e l'ho seguito.

Perlui era una cosa del tutto naturale.

-E la nave?- Credo che il signore farebbe bene a non contarci -rispose Conseil.

-Al momento del tuffosignoreho udito un timoniere gridare che leeliche e il timone erano spezzati.

-Spezzati?- Sìsignore: dal dente corneo del mostro.

Credosia l'unica avaria che l'"Abraham Lincoln" abbia subitosignoree orasfortunatamente per il signore e per menon èpiù in grado di governare.

-Allora siamo perduti.

-Penso di sìsignore - rispose con flemma Conseil.

-Peròsignoreabbiamo ancora qualche ora davanti a noi primadi moriree in qualche ora molte cose possono succederesignore.

L'imperturbabilesangue freddo di Conseil mi ridiede coraggio.

Nuotaicon maggior vigorema stentavo a tenermi a galla a causa del pesodegli indumenti.

Conseilse ne accorse.

-Se il signore permetteinterverrei con un'incisione - disse.

Fecescivolare la lama di un coltello sotto i miei abiti e li tagliòdall'alto in basso con un colpo rapido.

Poime ne liberòmentre io nuotavo sostenendo tutti e due.

Infineci scambiammo i compiti.

Nonper questo la nostra situazione era meno terribile.

Forsela nostra scomparsa non era stata notata e in ogni caso la fregatanon era in condizioni di virare per venire alla nostra ricercaessendo rimasta senza timone: potevamo contare soltanto sulle suescialuppe.

Conseilespose con freddezza quell'ipotesi e organizzò il suo piano diconseguenza.

Citrovammo subito d'accordo: la nostra unica speranza di salvezza eradi essere raccolti dalle scialuppe dell'"Abraham Lincoln"quindi dovevamo prepararci ad attendere per un tempo assai lungo.

Fudecisoper risparmiare le nostre forzedi dividere la fatica:mentreuno di noi duesteso sul dorsosarebbe rimasto immobile con legambe stese e le braccia allargate a crocel'altro nuotandol'avrebbe spinto avanti.

Iruoli si sarebbero scambiati non oltre i dieci minuti ealternandociin questa manierapotevamo nuotare qualche ora in piùmagarifino allo spuntare del giorno.

L'incontrotra la fregata e il cetaceo era avvenuto verso le undiciquindidovevamo calcolare otto ore di nuoto circa prima del sorgere delsole.

Impresafattibilea rigor di logicase ci davamo il cambio Il maremoltotranquillonon ci stancava affatto.

Qualchevolta cercavo con lo sguardo di perforare le tenebrema sembrava chefossimo piombati in un bagno di mercurio.

Lastanchezza si fece sentire verso l'una del mattino e i muscoli siindurirono a causa dei crampi.

Conseildovette sostenermi e la speranza della nostra salvezza era ripostasolo in lui.

Maben presto lo sentii ansimare: il suo respiro diventava sempre piùcorto e affannoso.

Capiiche non avrebbe potuto più resistere a lungo.

-Lasciami! - gli ordinai.

-Nosignoremai - replicò.

-Annegherò io prima del signore.

Dopoun po'la luna fece capolino attraverso le frange di una grossanuvola che il vento stava trasportando verso est e la superficiedell'oceano baluginava sotto i suoi raggi.

Ciòmi sembrò di buon augurio: alzai la testascrutai tutti ipunti dell'orizzonte e riuscii a scorgere la fregata.

Eraa circa cinque miglia da noi e ormai non era altro che una massaoscuraappena percettibile.

Madi imbarcazioni nemmeno un segno.

Avreivoluto gridarema a che sarebbe servito a una distanzasimile?Tentaima dalle mie labbra gonfie non uscì alcunsuono.

Conseilarticolò qualche parola e lo sentii ripetere a piùriprese:- Aiuto! Aiuto!

Smettemmoper un momento di nuotare per ascoltare meglio enel ronzio pulsanteche mi invadeva le orecchiemi sembrò che una vocerispondesse al grido di Conseil.

-Hai sentito? - mormorai.

-Sìsignore.

Conseillanciò un secondo grido e questa volta non ci fu dubbio:unavoce umana rispondeva al richiamo.

Erala voce di uno sventurato come noisbalzato in mare dallo scontrocon il narvalo?

Oproveniva dalla scialuppa che la fregata aveva mandato alla nostraricerca e che l'ombra nascondeva?Raccolsi tutte le mie forze persostenere Conseil cheappoggiandosi sulla mia spallasi sollevòcon un colpo di reni fuori dall'acqua per poi ricadere spossato.

-Che cos'hai visto?- Ho visto...

-balbettò Conseil.

-...

Manon parliamone.

Conserviamotutte le nostre forze.

Allora- non so nemmeno io perché - per la prima volta mi tornòalla mente l'immagine del mostro.

Maquella voce?Nel frattempoConseil continuava a trascinarmi.

Ognitanto alzava la testa e lanciava un grido di richiamo cui ogni voltarispondeva una voce sempre più vicina.

Ioero intontito e allo stremo delle forze e le mie dita si aprirono:sotto la mano non avevo più alcun punto d'appoggiola boccaconvulsamente apertasi riempiva d'acqua salatail freddom'intorpidiva.

Alzaila testa per l'ultima volta e affondai...

Nellosprofondareurtai contro una superficie dura e l'abbrancai.

Poisentii che qualcuno mi afferravache mi riportava in superficie.

Imiei polmoni si sgonfiarono e svenni.

Pensodi essere rinvenuto abbastanza prestonon foss'altro che per ivigorosi massaggi che scaldavano il mio corpo.

Socchiusigli occhi.

-Conseil - mormorai.

-Il signore ha suonato?In quel momentoall'ultimo chiarore della lunache s'inabissava all'orizzontescorsi una figura che non era quelladi Conseilanche se mi era ugualmente familiare.

-Ned!

-In personaprofessoree sempre alla caccia del premio scherzòil canadese.

-Siete finito fuori bordo in seguito allo scontro con il mostro?- Sìprofessorema sono stato così fortunato da finire propriosull'isolotto galleggiante.

-Un isolotto?- Be'non proprio un'isola: il narvalo.

-Come dite?

Spiegatevimeglio.

-Non potreiprofessore: l'unica cosa che ho capito è il motivoper cui il mio rampone non ha potuto attraversarne la pelle e si èsmussato.

Questacotennaprofessoreè di lastre d'acciaio.

Leparole del canadese produssero un cambiamento repentino nel miospirito.

Mispostai velocemente verso la sommità dell'essere odell'oggetto che ci serviva da rifugio e lo saggiai con un piede.

Nonc'era dubbio: si trattava di un corpo duro e impenetrabilenon certodi quella massa molle che costituisce il corpo dei grandi mammiferimarini.

Nonc'era dubbio: ci trovavamo sul ponte di una specie di natantesottomarino chea quanto potevo giudicareaveva la forma di unimmenso pesce d'acciaio.

-Ma allora - dissi - deve contenere un motore e un equipaggio perguidarlo.

-Certamente - rispose il fiociniere.

-Ma mi trovo qui da più di tre ore e non ho notato alcun segnodi vita.

-Non si è mosso?- No: si lascia semplicemente cullare dalleonde.

-Eppure sappiamo che può raggiungere un'elevata velocitàper arrivare alla quale sono necessari una macchina e uomini perfarla funzionare.

Bisognaconcludere che...

siamosalvi.

-Mah! - fece Ned.

Inquell'istantesi sentì ribollire dalla parte posteriore delcongegnoil cui sistema di propulsioneevidentemente a elicasimise in movimento.

Facemmoappena in tempo ad aggrapparci alla parte superioreche emergevadalla superficie non più di ottanta centimetri.

Perfortuna la sua velocità non era eccessiva.

-Fino a che naviga in superficie va tutto bene - commentò NedLand.

-Ma se gli salta il ticchio di immergersinon scommetterei un dollaroper la nostra pelle.

Bisognavatentare di metterci in comunicazione con chi si trovava all'internodel natante.

Cercaiun'aperturauna botolaun passaggio qualsiasi su quella superficie:le linee dei bulloni che tenevano unite le piastre di ferros'intersecavano regolarmente e uniformemente.

Perdi più la luna era scomparsalasciandoci in un'oscuritàprofonda.

Bisognavaattendere il giorno per trovare l'apertura e poter penetrare nelsottomarino.

Peril momento la nostra salvezza dipendeva unicamente dal timonieremisterioso che pilotava quell'ancora più misterioso natante.

Sesi fosse immerso per noi sarebbe stata la fine.

Lesperanze di essere salvati dal comandante Farragut erano giàscomparse da tempoanche perché il battello seguiva una rottadiametralmente opposta a quella della fregata.

Lavelocità era relativamente moderatasulle dodici miglial'orae l'elica girava con regolarità facendo ribollirel'oceano per un vasto tratto.

Versole quattro la velocità dell'ordigno a cui eravamo aggrappaticrebbe.

Leonde ci piombavano addosso come frustate e dovevamo fare enormisforzi per non essere trascinati via.

PerfortunaNed era attaccato a un anello da ormeggioche era fissatosulla parte culminante della schiena del mostroe io e Conseilanostra voltaci tenevamo attaccati al canadese.

Eanche quella lunga notte ebbe fine.

Leemozioni di allora mi impediscono di ricordare esattamente tutti iparticolari di quelle orema uno è rimasto impresso nella miamemoria: durante certi momenti in cui il mare e il vento erano piùcalmimi sembrava di sentire una specie di musica sommessaprodottada uno strumento lontanosotto le onde.

Spuntòil giornoe ci trovammo avvolti nella foschia del mattino che cicausò un altro periodo di ansia.

Quandofinalmente la nebbia si alzòpotei esaminare l'involucro cheformava la parte superiore del battello.

Erauna specie di piattaforma orizzontalequasi impercettibilmenteincurvata.

-Ehiehiaccidenti al diavolo! - urlò Ned Land sferrandocalci alle lastre che rivestivano il battello.

-Aprite!

Maera difficile farsi sentire con l'assordante fragore dell'elica e funecessario pazientare finché il motore si fermò.

Pocodopo sentimmo un forte sferragliare proveniente dall'interno eun'intera piastra si sollevòapparve un uomogettò ungrido e scomparve.

Qualcheminuto dopo comparvero otto robusti uomini con il viso copertoinapparenza mutiche ci afferrarono e ci trascinarono nell'interno delmisterioso ordigno.




7

"Mobilisin mobile".

L'aggressionesi era svolta con la massima celerità.

Néio né i miei compagni avemmo il tempo di reagire.

Nonso cosa provassero loro nel sentirsi trascinare in quella specie diprigione galleggiantemaper mio contosentii un brivido gelidopercorrermi la schiena.

Conchi avevamo a che fare?

Senzadubbio con qualche pirata di nuovo tipo che sfruttava i mari in quelmodo.

Nonappena il pannello d'acciaio si fu richiuso su di noici trovammoavvolti in un'oscurità profonda.

Avevogli occhi ancora abbagliati dalla luce esterna e non riuscii adistinguere nulla.

Sentiisotto i piedi nudi i gradini di una scaletta di ferro.

NedLand e Conseil erano dietro di me.

Infondo alla scaletta una porta si aprì e immediatamente sirichiuse su di noi con sordo rumore.

Eravamosoli.

Dove?

Intornoil buio era assoluto.

NedLandfurioso per l'accoglienza riservatacidiede sfogo alla suaindignazione.

-Corpo di mille diavoli! - gridava.

-Questa gente in fatto di ospitalità può andare a scuoladai cannibali. E forse lo sonocannibali. Non me ne stupirei perniente. Ma non mi lascerò mangiare senza difendermiehno!

-Calmaamico Nedcalma - mormorò placidamente Conseil. Nonprendetevela prima del tempo: non siamo ancora stati infilati nellospiedo.

-Nel forno però ci siamo già - ribatté ilcanadese.

-Per fortuna ho sempre con me il mio coltello da baleniere eperquanto buio faccia qui dentroci vedrò sempre abbastanza perservirmene.

Ilprimo di quei banditi che mi tocca...

-Non agitatevi - l'interruppi.

-Non compromettete la nostra situazione con gesti d'inutile violenza.

Puòdarsi che ci stiano ascoltando.

Tentiamopiuttostodi scoprire dove siamo.

Mimossi a tastoni finchédopo cinque passiincontrai unaparete di ferroformata di lamiere imbullonatepoispostandomiandai a sbattere contro un tavolo di legnoattorno al quale eranosistemati parecchi sgabelli.

Ilpavimento della nostra prigione era ricoperto da uno spesso strato dimateriale che attutiva il rumore dei passi.

Lepareti nude non rivelavano traccia di porte o di finestre.

Conseilche aveva seguito la parete in senso inversomi raggiunse e insiemetornammo al centro della cabina che doveva essere lunga sette metri elarga tre.

Quantoall'altezzaNed Landnonostante la sua alta staturanon potémisurarla.

Giàuna mezz'ora era trascorsa senza che succedesse nulla per cambiare lanostra situazionequandodall'estrema oscuritàpassammoistantaneamente a una luce violenta.

Lanostra prigione s'illuminòo megliosi riempì di unaluce talmente sfolgorante cheall'inizioci fu impossibilesopportarla.

Dallasua chiarezza e intensitàriconobbi l'illuminazioneelettricache il battello sottomarino diffondeva attorno a sé.

Dopoaver istintivamente chiuso gli occhili riaprii e vidi che la luceproveniva da un mezzo globo smerigliato appeso al soffitto.

-Meno maleora ci si vede! - esclamò Ned Land checolcoltello in pugnosi teneva sulla difensiva.

-Sì - gli risposi - ma non per questo la situazione èmeno oscura.

-Il signore abbia la compiacenza di pazientare - dissel'imperturbabile Conseil.

Laluce mi permettevaoradi esaminare la cabina in tutti i suoiparticolari: non conteneva che un tavolo e cinque sgabelli.

Laportainvisibiledoveva essere chiusa ermeticamente.

Nessunrumore arrivava ai nostri orecchi.

Sistava navigando sulla superficie dell'oceano o nelle sue profondità?

Eraimpossibile farsene un'idea.

Seavevano acceso il globo luminoso doveva esserci una ragionee iosperavo che qualcuno dell'equipaggio non avrebbe tardato a comparire:quando si vuole dimenticare qualcunonon gli si accende la luce.

Nonmi sbagliavo affatto.

Unrumore di chiavistello e la porta si aprì.

Apparverodue uomini vigorosi.

Unoera basso di staturama molto muscolosocon le spalle larghelemembra massicceuna folta chioma neralo sguardo vivo e penetrante.

Intutta la sua persona si notava quella vivacità tipicamentemeridionale che caratterizza i popoli latini.

Ilsecondo sconosciuto merita una descrizione piùparticolareggiata.

Ilsuo aspetto rispecchiava senza ombra di dubbio le sue qualitàpredominanti: la fiducia in sé stessola calmal'energia eil coraggio.

Latesta si stagliava nobilmente sulle larghe spallegli occhi eranoneri e penetrantila carnagione piuttosto pallida.

Eradi età indefinibile: avrebbe potuto avere trentacinque annicome cinquanta.

Misentii involontariamente rassicurato dalla sua presenza e ne trassibuoni auspici per il nostro futuro.

Idue sconosciuti portavano berretti di pelliccia di lontra marinacalzavano stivali da marinaio di pelle di focaindossavano vestitidi un tessuto particolaremolto aderentiche pure consentivano unagrande libertà di movimento.

Ilpiù alto dei dueche era evidentemente il capoci stavaesaminando con grande attenzionesenza pronunciare parola.

Poirivolgendosi al suo compagnol'intrattenne in una lingua che nonavevo mai sentito.

Eraun linguaggio sonoro e armoniosole cui vocali sembravanosuscettibili di una grande diversità d'accento.

L'altrorispose scuotendo la testa e brontolando alcune parole del tuttoincomprensibili.

Poicon lo sguardosembrò volermi interrogare.

Glidissi in francese che non capivo la sua linguama mi parve che nonconoscesse questo idioma: la situazione cominciava a diventareimbarazzante.

-Il signore dovrebbe provare a riferire quanto ci è accadutointervenne Conseil.

-Può darsi che questi signori arrivino a capirci qualcosa.

Cominciaiil racconto delle nostre avventuresenza saltare un particolarepronunciando distintamente ogni parola.

Poipresentai me stesso e i miei compagni con le dovute regole.

L'uomodagli occhi dolci e calmi mi ascoltò tranquillamente e perfinocon attenzione.

Maniente nella sua espressione lasciò trapelare che avessecompreso il mio discorso equando ebbi finitonon pronunciòuna sola parola.

Avevamoancora la risorsa di parlare in inglesepoteva darsi che s arrivassea intendersi in quella lingua che è quasi universale.

Conoscevoanche il tedesco in maniera sufficiente per leggerlo non perparlarlo.

Mal'importante era farci comprendere.

-Coraggiotocca a voi - dissi al canadese.

-Sfoderate il miglior inglese che mai anglosassone abbia parlato esperiamo che siate più fortunato di me.

Nednon si fece pregare e attaccò un discorso il cui succo erauguale al mioma la forma diversa.

Protestòcon veemenza per essere stato imprigionato contro le norme deidiritti dell'uomochiese in nome di quale legge ci tenessero ancorarinchiusiminacciò di denunciare quelli che ci trattenevanoingiustamentesi dimenògesticològridò ealla finefece capire con un gesto molto espressivo che stavamomorendo di fame.

Consua grande meravigliail fiociniere fu compreso quanto me:glisconosciuti non batterono ciglio.

Nonsapevo più che pesci prendere quando Conseil suggerì:-Se il signore mi autorizzaripeterò il discorso in tedesco.

-Tu sai il tedesco?- Come ogni fiammingose al signore non dispiace.

-Figurati! Coraggioattacca.

Conseilraccontò per la terza voltacol suo solito tono pacatolenostre disavventure ma ottenendo il medesimo esito.

Ridottoalla disperazioneraccolsi tutti i miei ricordi di scuola ecominciai a parlare in latino.

Stessorisultato.

Fallitoanche quest'ultimo tentativoi due sconosciuti si scambiarono ancoraqualche parola nel loro incomprensibile linguaggio e si ritiraronosenza farci nemmeno uno di quei gesti rassicuranti che vengonocompresi in ogni parte del mondo.

Laporta si richiuse.

-E' un'infamia! - scoppiò per l'ennesima volta Ned Land. Noi siparla in francesein inglesein tedesco e persino in latino equelli nemmeno si degnano di darci un segno di risposta.

-CalmateviNed - dissi al focoso ramponiere.

-Non risolve nulla andare in collera.

-Ma non vi rendete contoprofessoreche finiremo col morire di famein questa gabbia di ferro?- Be' - disse da buon filosofo Conseil -per morire di fame occorre tempo.

-Non disperiamociamici miei - dissi.

Probabilmentetutti ci siamo già trovati in situazioni peggiori.

Abbiatepazienza e aspettate prima di formulare giudizi sul comandante esull'equipaggio di questo battello.

-La mia opinione è già chiara - rispose Ned Land.

-Si tratta semplicemente di banditi.

-E di che nazione?- Del paese dei mascalzoni.

-Mio caro Nedquesto paese non è ancora stato chiaramentesegnato sul mappamondo.

-Non me ne importa un bel niente.

Hofame e voglio da mangiare.

Inquel momentola porta si aprì ed entrò un cameriereche ci portava biancheria e vestiti da marinaiofatti di quellastoffa che non ero riuscito a riconoscere.

Mentreio e i miei compagni ci stavamo rivestendoil domesticoche sicomportava come se fosse stato sordomutoaveva apparecchiato latavola e disposto tre coperti.

-Finalmente qualcosa che promette bene - osservò Conseil.

-Che cosa volete che si mangiqui?

-ribatté il fiociniere ancora stizzito.

-Fegato di tartarugafiletto di pescecane o bistecche di balena.

-Staremo a vedere.

Alcunipiatti ricoperti dalla loro campana d'argento furono posatisimmetricamente sulla tovaglia e noi prendemmo posto a tavola.

Ilpane e il vino brillavano per la loro assenza e l'acquabenchéfosse limpida e frescanon riusciva troppo gradita a Ned Land.

Trale vivande che ci furono servite riconobbi diverse qualità dipesci cucinati accuratamentema di altreperaltro eccellentinonavrei nemmeno saputo dire se appartenessero al regno animale o aquello vegetale.

Suogni pezzo del servizio era incisa la lettera N circondata da unmotto "Mobilis in mobile"quanto mai adatto a quelbattello sottomarino.

Lalettera N era senza dubbio l'iniziale del nome dell'enigmaticopersonaggio che comandava negli abissi marini.

Nede Conseil non si perdevano in simili ragionamentiimpegnaticom'erano a ingozzarsie io non tardai a imitarli.

Apparivaevidente che se pur i nostri ospiti intendevano disfarsi di noinonci avrebbero lasciati morire d'inedia.

Soddisfattol'appetitola spossatezza si fece più greve.

-Ora mi farei un buon sonnose il signore permette - disse Conseil.

-E io pure - disse Ned Land.

Sistesero sul tappeto della cabina e di lì a pochi minuti eranoprofondamente addormentati.

Perme prendere sonno fu assai meno facile: troppi pensieri miturbinavano nella mentetroppi problemi richiedevano una soluzionetroppe immagini si presentavano alla mia fantasia.

Doveeravamo?

Qualemisteriosa potenza ci teneva segregati?

Sentivoo forse credevo di sentireil battello affondare nei più cupiabissi dell'oceano e un'ansia tremenda mi opprimeva.

Intravedevotutto un mondo di animali sconosciuti di cui il battello sottomarinosembrava far partemovendosi in esso come un gigantesco cetaceod'acciaio...

Poila mente mi si calmòl'immaginazione sfumò in una vagasonnolenza e allora anch'io piombai in un sonno profondo.




8

Lefurie del canadese.

Ignorola durata di quel sonnoma dovette essere molto lungo dato che ciristorò completamente.

Fuiil primo a svegliarmi.

Imiei compagni dormivano ancora e giacevano sul pavimento come masseinerti.

Nelfrattempo niente era cambiato nella nostra cella.

Laprigione era rimasta prigione e i prigionieri prigionierisolo chedurante il nostro sonno qualcuno aveva sparecchiato.

Cominciavoa chiedermi seriamente se eravamo destinati a vivere per sempre inquella cella.

Nede Conseil si svegliarono di lì a poco quasicontemporaneamentesi strofinarono gli occhisi stirarono e in unattimo furono in piedi.

-Il signore ha riposato bene?

-fu la prima frase che Conseil pronunciò.

-Benissimoe voi?- Anche noigrazie - rispose Ned Land.

-Soltanto non ho nessuna idea di che ora sia.

Nonsarà per caso ora di cena?- Ora di cenamio caro amico?

Ditealmeno ora di pranzopoiché certo siamo nel giorno dopo aquello della nostra cattura.

Questovorrebbe dire che abbiamo dormito circa ventiquattro ore rilevòConseil.

-E' la mia opinione.

-Non vi contraddico replicò Ned Land - ma pranzo o cenailcameriere sarebbe il benvenutoche porti l'uno o l'altra.

-L'uno "e" l'altra - aggiunse Conseil.

-Giusto: se abbiamo dormito ventiquattro oreabbiamo diritto a duepasti eper conto miomi sento di fare onore a tutt'e due.

-Stiamo calmiNed - intervenni.

-E' evidente che questi sconosciuti non hanno intenzione di farcimorire di famealtrimenti il pasto che ci hanno portato ieri nonavrebbe avuto senso.

-A meno che non ci mettano all'ingrasso.

-Perché vi ostinate a pensare che siamo caduti in mano dicannibaliNed?- Una volta non vuol dire abitudine rispose conserietà il canadese.

-Chissà da quanto tempo questa gente è senza carnefresca ein questo casotre individui sani e di buona costituzionecome meil signor professore e il suo domestico...

-Levatevi simili idee dalla testacaro Land - replicai.

-E non partite da certe supposizioni per scagliarvi contro i nostriospitialtrimenti potreste aggravare la situazione.

-In ogni caso - disse il fiociniere - non ci vedo più dallafameepranzo o cenail pasto non arriva.

-Bisogna adeguarsi al regolamento di bordo - dissi.

-Inoltre ho l'impressione che il nostro stomaco sia avanti rispettoall'orologio del cuciniere.

-In tal caso bisogna regolarlo - intervenne placidamente Conseil.

-Ci siete tutto voiin questa rispostaamico Conseil - dissel'impaziente canadese.

-Non vi ammalerete mai né di fegato né di nevrastenia.

Sarestecapace di morire piuttosto che chiedere da mangiare.

-D'altra parte a che cosa servirebbe?- Servirebbe a lamentarsisarebbe uno sfogo.

Ese questi pirati...

edico pirati per rispetto verso il professore che non vuole che lichiami cannibali...

sequesti pirati pensano di potermi trattenere in questa prigione dovesoffocosenza avere un saggio delle imprecazioni con cui so colorirele mie lagnanzesi sbagliano.

SignorAronnaxcredete che ci terranno ancora per molto tempo in questabotte di ferro?- Per essere sincerone so meno di voiamico mio.

-Fate per lo meno un'ipotesi.

-Il caso ci ha resi partecipi di un segreto moltomolto importante.

Orase l'equipaggio di questo battello sottomarino ha interesse aconservarlo e se questo interesse è più importante dlnoi trenon darei un soldo bucato per le nostre vite.

Incaso contrarioalla prima occasione il mostro che ci ha inghiottitoci restituirà al mondo da cui siamo venuti.

Ameno che non ci arruolino fra l'equipaggiotenendoci così...

-Fino al momento - m'interruppe Ned Land - in cui qualche fregata piùveloce dell'"Abraham Lincoln" s'impadronirà diquesto covo di furfantici catturerà con l'equipaggio e cifarà respirare per l'ultima volta impiccati sul pennone piùalto dell'albero maestro.

-Ragionamento molto sensatocaro Land - osservai - mada quanto mirisultanon ci hanno ancora fatto proposte di questo genere.

Perciòè inutile discutere sulle decisioni da prendere in quel caso.

Velo ripetoaspettiamoatteniamoci alle circostanze e non tentiamonientepoiché non c'è niente da fare.

-Al contrariocaro professore - rispose Ned Landche non intendevaarrendersi.

-Bisogna fare qualcosa.

-E chedunque?- Fuggire.

-E' molto difficile scappare da una prigione terrestrefiguriamoci dauna sottomarina.

Misembra assolutamente impossibile.

-Coraggioamico mio - intervenne Conseil.

-Che cosa rispondete al professore?

Nonposso credere che un americano possa rimanere senza nessunasoluzione.

Ilramponierevisibilmente imbarazzatotaceva.

Nellecondizioni in cui il caso ci aveva cacciato la fuga era proprioimpossibile Ma un canadese è mezzo francese e Ned Land lodimostrò con la sua risposta.

-Be'professore - disse dopo qualche istante di riflessione sapeteciò che devono fare le persone che non possono fuggire diprigione?- Io no.

-E' semplicebisogna che facciano in modo di restarci.

-Ehdirei! - esclamò Conseil.

-E' sempre meglio essere dentro che sopra o sotto.

-Ma dopo aver buttato fuori carcerierisecondini e guardiani completòNed Land.

-Che cosa?

Pensateseriamente a impadronirvi del battello?- Molto seriamente.

-Ma è impossibile.

-Perché impossibileprofessore?

Potrebbepresentarsi l'occasione favorevole e in quel caso nessuno potrebbeimpedirci di approfittarne.

Senon ci sono che una ventina di uomini a bordo di questo aggeggiononsaranno in grado di fermare due francesi e un canadese.

Erapreferibile accettare l'affermazione del ramponiere che mettersi adiscutere.

Cosìmi limitai a rispondere:- Aspettiamo che l'occasione si presenti eallora vedremo.

Mafino a quel momentofate in modo di frenare la vostra impazienza.

L'unicasperanza è nell'astuzia e lasciarsi trasportare dai nervi puòsignificare trascurare le circostanze favorevoli.

Prometteteperciò che accetterete la situazione senza lasciarvitrascinare dall'ira.

-Lo promettoprofessore - rispose Ned Land con un tono pocotranquillizzante.

-Non dirò una sola parolaccia e nessun gesto tradirà lemie intenzioninemmeno se la regolarità dei pasti lasceràmolto a desiderare.

-Bene: ricordate che ho la vostra parolaNed.

Laconversazione si interruppe e ognuno si mise a riflettere per proprioconto.

Confessochenonostante la sicurezza del canadesenon mi facevo molteillusioni.

Noncredevo nelle circostanze favorevoli di cui Ned aveva parlato.

Peressere manovrato con tanta sicurezzail battello sottomarino dovevaavere un equipaggio numeroso edi conseguenzala lotta sarebbestata impari.

Inoltrebisognava che fossimo liberi per poter agire e noi non lo eravamo.

Nonriuscivo a immaginare nessun sistema per fuggire da quella cella diferro ermeticamente chiusa.

Ese il comandante aveva un segreto da difenderedifficilmente ciavrebbe lasciati del tutto liberi a bordo.

Probabilmentesi sarebbe sbarazzato di noi o ci avrebbe abbandonati in qualcheangolo della terra.

Tuttele ipotesi potevano rivelarsi esatte.

Bisognavaessere un fiociniere per sperare di riconquistare con la forza lalibertà.

Potevoquasi sentire i pensieri di Ned Landsempre più bellicosi conil passare del tempo.

Misembrava di sentire le sue imprecazioni strozzate nella gola e vedevoi suoi gesti diventare di nuovo minacciosi.

Sialzavagirava come una bestia in gabbiabatteva i muri con i piedie con i pugni.

Intantoil tempo passava e la fame si faceva sentireil cameriere noncompariva e c'era da pensare che si fossero davvero dimenticati dinoiammesso che avessero avuto ancora delle buone intenzioni neinostri confronti.

L'umoredi Ned Landtormentato dai crampi allo stomacoandava semprepeggiorando e temevo una sua esplosione non appena si fosse trovatodavanti uno degli uomini del battello.

Lacollera del canadese aumentò nelle due oresuccessive:chiamavagridavama inutilmente.

Imuri d'acciaio erano sordi.

Nonsentivo nessun rumore all'interno del battelloche sembrava dormire.

Dovevaessere fermovisto che non si sentiva il vibrare della chiglia sottola spinta dell'elica.

Probabilmenteeravamo nel profondo dell'oceanolontanissimi dalla terra.

Quelsilenzio era spaventoso.

Equanto al nostro isolamento in quella cellanon avevo il coraggio dipensare quanto sarebbe potuto durare.

Lasperanza che avevo accarezzato dopo il primo incontro con i dueuomini - che io ritenevo fossero il comandante e il suo secondo - siandava spegnendo a poco a poco.

Ladolcezza dello sguardo di quell'uomol'espressione sincera della suafisionomiala nobiltà dei suoi atteggiamenti sparivano dalmio ricordo.

Orarivedevo il misterioso personaggio come doveva essere in realtà:crudele e spietato.

Losentivo fuori dell'umanitàinaccessibile a ogni sentimento dipietàimplacabile nemico dei suoi simili...

Maera possibile che quell'uomo volesse lasciarci morire d'inediachiusi in quella prigioneabbandonati all'orribile supplizio dellafame?Fu un pensiero terribile che invase il mio spirito con intensitàdrammaticamentre mi sentivo afferrare da un terrore incontrollato.

Conseilsi manteneva calmoNed Land ruggiva come un leone in gabbia.

Inquel momento ci giunse un rumore dall'esternoalcuni passirisuonarono sul metallola porta si aprì e comparve ilcameriere.

Primache potessi fare un movimento per impedirglieloil canadese si eraprecipitato sul disgraziatol'aveva gettato a terra e lo stringevaalla gola.

Ilcameriere soffocava sotto la stretta della sua mano.

Conseilcercava già di strappare la vittima mezzo soffocata dalle manidel fiociniere e io stavo per unire i miei sforzi ai suoi quandoimprovvisamentefui inchiodato al mio posto da queste parolepronunciate in francese:- CalmateviNed Lande voi; professoreascoltatemi.




9

Ilsignore delle acque.

Erail comandante che parlava.

NedLand lasciò la presaalzandosi di scatto.

Ilcameriere malconcio uscì barcollando a un cenno del suo capo etanta era la soggezione che ne aveva che non azzardò un sologesto di risentimento contro il canadese.

Iodel tutto attonitoe Conseilper una volta tanto interessatoaspettavamo in silenzio il seguito della scena.

Appoggiatoal bordo del tavolo e con le braccia consertelo sconosciuto ciosservava con profonda attenzione.

Sembravache esitasse a parlare e si sarebbe detto pentito per essersilasciato sfuggire quella frase in francese.

Dopoalcuni istanti di un silenzio che nessuno osò romperedissecon voce calma e sicura:- Signoriio parlo il francesel'ingleseil tedesco e il latino.

Perciòavrei potuto rispondervi già dal nostro primo incontroma hovoluto prima conoscervi e riflettere.

Dalvostro racconto ho appreso chi siete e ora so che il caso mi ha fattoincontrare il professor Aronnaxincaricato di storia naturale delMuseo di Parigiin viaggio per una missione scientifica; Conseililsuo domesticoe Ned Landdi origine canadesefiociniere a bordodella fregata "Abraham Lincoln"della marina da guerradegli Stati Uniti.

M'inchinaiin segno di assenso.

Nonmi era stata rivolta nessuna domandaquindi non era necessario cheparlassi.

Quell'uomostrano si esprimeva con assoluta padronanza della lingua e senzainflessioni particolariusava senza esitare le parole giuste e lascioltezza del suo linguaggio era notevole.

Tuttaviaio ero sicuro di non aver di fronte un compatriota.

Egliriprese a parlare.

-Avrete certo pensato che ho tardato parecchio a farvi questa secondavisita.

Ilfatto è cheuna volta conosciuta la vostra identitàho voluto riflettere per stabilire come comportarmi nei vostriconfronti.

Hoesitato molto.

Unadisgraziata circostanza vi ha condotto alla presenza di un uomo cheha rotto ogni rapporto con il resto dell'umanità.

Aveteportato lo scompiglio nella mia esistenza...

-Involontariamente l'interruppi.

-Involontariamente?

-ripeté lo sconosciuto con voce un po' alterata.

-E' involontariamente che l'"Abraham Lincoln" mi sta dandola caccia per tutti i mari?

E'forse involontariamente che voi vi siete imbarcato a bordo di quellafregata?

Ivostri proiettili sono rimbalzati sulla chiglia della mia naveNedLand l'ha colpita con il suo arpione: tutto questoinvolontariamente?Intuivo in queste parole un'irritazione trattenutama per tutte quelle recriminazioni avevo una risposta.

-Voi ignorate certo le discussioni che si sono accese sul vostro contoin Europa e in America.

Nonsapete che alcuni incidenti causati da collisioni con il vostro mezzosottomarino hanno scosso l'opinione pubblica.

Virisparmio il resoconto delle infinite ipotesi con cui si ècercato di spiegare lo strano fenomeno di cui voi soltanto conosceteil segreto.

Vidico soltanto cheinseguendovi fino alla parte piùsettentrionale del Pacificol'"Abraham Lincoln" credeva didare la caccia a un enorme mostro marino da cui bisognava liberare imari a qualsiasi costo.

Unsorrisetto sfiorò le labbra del comandante che replicòtranquillamente:- E avreste il coraggio di affermareprofessorAronnaxche la vostra fregata non avrebbe inseguito e cannoneggiatoil mio battello sottomarino se avesse saputo che non si trattava diun mostro?Quella domanda mi mise in imbarazzopoiché sapevoche il comandante Farragut non avrebbe avuto esitazioni: avrebberitenuto suo dovere distruggere un ordigno come quelloesattamentecome se fosse stato un gigantesco narvalo.

-Ammetterete dunqueprofessore - riprese lo sconosciuto - che hotutti i motivi per trattarvi come nemici.

Nonrisposi: a che serve discutere un argomento di quel generequando siè in potere di chi può distruggere i miglioriargomenti?- Ho molto esitato - riprese il comandante.

-Nulla mi obbligava a darvi ospitalità e se avessi dovutosepararmi da voinon avrei avuto nessun motivo per rivedervi.

Viavrei riportato sulla piattaforma di questo battello e mi sareiimmerso nella profondità del maredimenticando persino lavostra esistenza.

Sarebbestato mio diritto.

-Può darsi che questo sia il diritto di un selvaggio replicai.

Nondi un uomo civile.

-Effettivamente io non sono quello che voi definite un uomo civile -ribatté vivacemente il comandante.

Horotto i ponti con la società intera per motivi che riguardanosolamente me stesso.

Nonobbedisco affatto alle vostre regole e vi invito a non invocarle maiin mia presenza per nessun motivo.

Avevaparlato seccamentementre un lampo di collera e di sdegno gli siaccendeva negli occhi: intravidi nella vita di quell'uomo un passatoformidabile.

Dopoun lungo silenzio il comandante riprese:- Come dicevoho esitatomolto ealla fineho pensato che il mio interesse potesseaccordarsi a quella pietà naturale cui ogni essere umano hadiritto.

Voiresterete qui a bordodato che la fatalità vi ci ha gettati.

Incambio della relativa libertà che godretevi imporròuna sola condizione che vi impegnerete a rispettare sulla vostraparola d'onore.

-Credete sia una condizione accettabile per un uomo onesto?domandai.

-Certosignore.

E'possibile che avvenimenti imprevisti mi obblighino a chiudervi incabina per qualche ora o per qualche giornosecondo i casi.

Poichédesidero evitare ogni violenzami attendo da voiin tali frangentiun'obbedienza assoluta.

Questovi libera da ogni responsabilitàpoiché saràmia cura mettervi nell'impossibilità di vedere cose che nondebbono essere viste.

Accettatequesta condizione?C'era da pensare che a bordo succedessero dellecose per lo meno singolari di cui soltanto chi si fosse posto fuoridelle leggi umane potesse essere a conoscenza.

Frale sorprese che l'avvenire mi riservavaquella non avrebbe dovutoessere la minore.

-D'accordo - risposi.

-Vorrei rivolgervi qualche domandasignore.

-Dite pure.

-Avete detto che saremo del tutto liberi a bordo?- Certo.

-Vorrei sapere che cosa intendete per libertà.

-La libertà di andarevenirevedere e anche di osservaretutto ciò che succede quisalvo nelle particolari circostanzedi cui ho parlato prima: la medesima libertà di cui godiamonoi stessiio e i miei compagni.

Eraevidente che su questo punto non ci capivamo affatto.

-Scusatesignore - ripresi - ma questa libertà non èaltro che quella che ha un prigioniero di percorrere la propriaprigione.

-Dovrà bastarvi.

-E così dovremmo rinunciare per sempre a rivedere la nostrapatriai nostri parenti e i nostri amici?- Sìsignore.

Marinunciare a riprendere quegli insopportabili obblighi della terrache gli uomini credono sia libertàpuò darsi non viriesca così penoso come voi ora supponete.

-Per essere chiari - intervenne Ned Land - io non darò mai lamia parola di non tentare di fuggire.

-Non chiedo affatto la vostra parolasignor Land - risposefreddamente il comandante.

-Voi abusate di questi eventi a noi sfavorevoli! - esclamai in tonod'accusa.

-Questa è crudeltà!

-Nosignoreè clemenza. Vi ho fatto prigionieri dopo uncombattimento. Vi salvoquando mi basterebbe una sola parola perributtarvi negli abissi dell'oceano. Siete stati voi adattaccarmi.Voi siete riusciti a sorprendere un segreto che nessunuomo al mondo aveva il diritto di scoprireil segreto di tutta lamia esistenza. E voi credete che possa rimandarvi su quella terradove non si deve più sapere che esisto? Nomai! Trattenendovinon è a voi che pensoma a me stesso.

Quelleparole indicavano da parte del comandante una presa di posizionecontro la quale nessun ragionamento avrebbe potuto prevalere.

-In parole povere - ripresi - ci lasciate semplicemente la scelta frala prigionia e la morte.

-Precisamente.

-Amici miei - dissi rivolto ai compagni - stando così le cosenon c'è niente d'aggiungere.

Manessuna parola d'onore ci terrà legati.

-Nessunainfatti - precisò il comandante.

Poicon voce meno durariprese: - Ora permettetemi di concludere.

Viconosco benesignor Aronnax.

Almenovoise non i vostri compagninon potrete rimpiangere tanto il casoche vi ha legato al mio destino.

Troveretefra i libri che servono per i miei studi preferitiil volume cheavete pubblicato sui misteri dei grandi fondali sottomarini.

L'holetto e riletto.

Voiavete spinto la vostra opera tanto lontano quanto lo permetteva lascienza odierna.

Maa partire da oggivoi entrate in un elemento nuovovedrete ciòche nessun uomo ha ancora vistotranne me e il mio equipaggiocheper il mondo non contiamo piùe un nuovo universograzie amesta per svelarvi i suoi ultimi segreti.

Nonposso negare che le ultime parole del comandante facessero su di meuna viva impressione.

Inquel momento ero preso dalla mia passione e avevo dimenticato che lacontemplazione di cose sia pur sublimi non poteva valere la libertàperduta.

Inoltresperavo nel futuro per dare un taglio netto a quella situazione.

-Anche se avete rotto con l'umanità interavoglio credere chenon abbiate rinnegato tutti i sentimenti umani dissi.

-Noi siamo dei naufraghi che voi avete caritatevolmente accolto abordoe non lo dimenticheremo.

Quantoa menon disconosco cheanche se l'interesse della scienza nonarriva a pareggiare il desiderio di libertàciò che ilnostro incontro mi promette mi compenserà in parte...

Aquesto punto pensai che il comandante mi avrebbe teso la mano persuggellare il pattoma non lo fece e mi dispiacque per lui.

-Un'ultima domanda - soggiunsivedendo che quell'uomo inesplicabileaccennava a ritirarsi.

-Diteprofessore.

-Con quale nome posso chiamarvi?- Per voi sono semplicemente ilcapitano Nemo - rispose.

-E voi e i vostri compagni sieteper mesolamente dei passeggeri delNautilus.

Chiamòun camerieregli diede degli ordini in quella lingua che nonriuscivo a classificarepoirivolgendosi verso il canadese eConseildisse:- Il pranzo è pronto nella vostra cabina:quest'uomo vi farà strada.

-Ecco una cosa da non rifiutare - osservò Ned.

Luie Conseil poterono finalmente uscire da quella cella dove eravamorinchiusi da più di trenta ore.

-Anche il vostro pranzo è servitoprofessore disse ilcomandante.

-Se permettetevi faccio strada.

-Vi seguosignore.

Oltrela portapercorremmo una specie di corridoio illuminatoelettricamentesimile alle corsie della navi.

Dopouna decina di metridavanti a noi si aprì una seconda porta.

Davain una sala da pranzo arredata e ammobiliata con un gusto severo.

Alcentro della stanza vi era una tavola riccamente imbandita: ilcapitano Nemo mi indicò il posto che mi era stato destinato.

-Sedete e non fate complimenti - disse.

-Dovete rifarvi della fame arretrata.

Ilpranzo si componeva di un certo numero di piatti di cui soltanto ilmare aveva fornito il contenuto e di altre pietanze di cui ignoravola natura e la provenienza.

Confesseròche erano eccellenti e chebenché avessero un gustoparticolaremi ci abituai facilmente.

Quegliinsoliti alimenti mi sembrarono ricchi di fosforocosì chepensai fossero anch'essi di origine marina.

Ilcapitano Nemo mi guardava.

Esebbene non gli avessi chiesto nullami informòcome seavesse letto nel mio pensiero.

-Per la maggior parte questi cibi vi sono sconosciuti - spiegòma potete mangiarli tranquillamente: sono sani e nutrienti.

Damolto tempo ho rinunciato agli alimenti terrestri e non ne horisentito affatto.

Ancheil mio equipaggioche è formato da persone robustesi nutrecosì e non se ne trova male.

-Tutti questi cibi sono prodotti del mare?

domandai.

-Certoil mare sopperisce a tutti i nostri bisogni.

Guardaiil capitano Nemo con un certo sbalordimento e replicai:- Mi rendoconto che le vostre reti debbano fornire dell'eccellente pesce per latavola di bordoma non comprendo perché non vi compaianemmeno un pezzetto di carneper piccolo che sia.

-Non faccio mai uso di carne di animali terrestri rispose il capitanoNemo.

-Però quella è carne - dissi indicando un piatto che eraappena stato servito.

-Non è altro che filetto di tartaruga marina.

Edecco qui anche del fegato di delfino che voi scambiereste facilmenteper stufato di maiale.

Ilmio cuoco è abile ed eccelle nel conservare i vari prodottidell'oceano.

Assaggiatetutti questi piatti e vi accorgerete che non hanno rivali al mondo.

Eio li assaggiai più per curiosità che per golositàmentre il comandante mi incantava con i suoi inverosimili racconti.

-Ma il maresignor Aronnax - continuò - non si limita a darmitutto il cibo e le bevande necessarie: mi fornisce anche ilvestiario.

Lastoffa che portate addosso è tessuta con il bisso di certimolluschi.

Iprofumi che troverete nella vostra cabina sono fabbricati distillandopiante marine.

Tuttomi proviene dal mare e ad esso un giorno tutto ritornerà.

-Amate molto il marecomandante?- Certo che lo amo.

Ilmare è tutto.

Coprei sette decimi della superficie del globo e la sua aria è purae sana.

E'l'immenso deserto dove l'uomo non è mai solopoiché lavita pulsa tutt'intorno a lui.

Ilcapitano Nemo si interruppe d'un colpoforse pentito di essersilasciato trascinare dall'entusiasmo oltre la sua abitualeriservatezza.

Sialzò e per qualche tempo passeggiò nervosamentepoi sicalmò e la sua espressione riprese l'abituale impassibilità.

-Eorasignor professore - disse volgendosi verso di me - se desideratevisitare il Nautilussono a vostra disposizione.




10

IlNautilus.

Ilcapitano Nemo si avviò e io lo seguii.

Unadoppia porta posta in fondo alla sala si aprì ed entrai in unacamera di dimensioni uguali a quella che avevamo appena lasciato.

Erala biblioteca.

Inenormi scaffali di palissandro nero con fregi di bronzo eranoallineati in gran numero alcuni volumi rilegati tutti nello stessomodo.

Guardavosbalordito e ammirato quell'organizzatissima biblioteca sottomarina enon riuscivo a credere ai miei occhi.

Mirivolsi al mio ospiteche aveva preso posto su un comodo divano.

-Ecco una biblioteca che formerebbe il vanto di parecchi palazzi sullaterracapitano - dissi.

-Mi stupisce molto il fatto che siate riuscito a portarla con voinelle profondità dei mari.

-Dove si potrebbe trovare una maggiore solitudine e un maggiorsilenzioprofessore?

-replicò il capitano Nemo.

-Forse che la sala di lettura del vostro Museo vi offre altrettantatranquillità?- Nosignoree devo aggiungere che è benmisera cosa rispetto alla vostra.

Quici saranno almeno sei o settemila volumi...

-Dodicimilaper la precisione.

Sonoi soli legami che mi uniscono ancora alla terra.

Mail mondo finì per me il giorno in cui il Nautilus si immerseper la prima volta sotto la superficie del mare.

Quelgiorno acquistai i miei ultimi volumile ultime rivistegli ultimigiornali.

Daquel momento preferisco credere che l'umanità non abbia piùné pensato né scritto.

Naturalmentetutti questi libri sono a vostra disposizioneprofessore: poteteconsultarli liberamente.

Ringraziaiil capitano Nemo e mi avvicinai agli scaffali in cui si allineavanolibri di scienzedi filosofia e di letteraturascritti in tutte lelingue.

Notaiche tutti quei volumi erano classificati per materiama non perlinguae quella mescolanza provava che il comandante del Nautilusdoveva saper leggere correntemente i libri in qualsiasi linguafossero scritti.

Notaii capolavori dei più grandi maestri antichi e moderniquantodi meglio l'umanità aveva prodotto nel romanzonella poesia enel campo della storia e della scienza.

Predominavanoperò le opere scientifiche; i libri di meccanicadibalisticaidrografiageografia e geologia vi occupavano un postonon meno importante delle opere di storia naturaleed era evidenteche costituivano la lettura preferita del capitano Nemo.

Frale opere di Joseph Bertrandil libro intitolato "I Fondatoridell'Astronomia" mi fornì un'indicazione; sapevo che erastato pubblicato nel 1865e ne dedussi che il varo del Nautilus nondoveva essere anteriore a quella data.

Dunquenon erano trascorsi più di tre anni da quando il capitano Nemoaveva iniziato la sua crociera sottomarina.

-Vi ringrazio per avermi messo a disposizione questa bibliotecasignore - dissi.

-Vi sono dei tesori di scienza e ne approfitterò.

-Questa sala non serve solo come biblioteca disse il capitano Nemo.

-E' anche un salone per fumatori.

-Ma si fuma a bordo?- Certamente.

-Questo mi fa pensare che abbiate conservato buone relazioni conl'Avana.

-Per niente - rispose il capitano Nemo.

-Gradite questo sigarosignor Aronnaxe se siete un intenditorenesarete soddisfattoanche se non viene dall'Avana.

Accettaiil sigaro che mi era offertola cui forma ricordava gli avanamasembrava fabbricato con foglie d'oro.

L'accesia un piccolo braciere sostenuto da un elegante piede di bronzo easpirai le prime boccate con la voluttà di un fumatore che nonfuma da due giorni.

-E' eccellente - osservai - ma non è tabacco.

-Infatti - confermò il comandante.

-Si tratta di una specie di alga ricca di nicotina che il mare miforniscema non troppo abbondantemente.

Rimpiangetegli avanasignore?- Da questo momentocomandanteli disprezzo.

-Fumatealloraa vostro agiosenza pensare all'origine di questisigari.

Quindiil mio ospite aprì una porta che si trovava di fronte a quellada cui eravamo entrati in biblioteca e passammo in un vastissimosalone splendidamente rischiarato.

Eraun ampio quadrilatero dagli angoli smussatilungo dieci metrilargosei e alto cinque.

Ilsoffitto luminosoornato di piccoli arabeschiemanava una lucechiara e soffusa su tutte le meraviglie contenute in quel museo.

Poichési trattata realmente di un museoin cui una persona di buon gusto eprodiga aveva riunito tutti i tesori della natura e dell'arteinquella confusione artistica che distingue lo studio di un pittore.

Ornavanole paretiricoperte con una stupenda e severa tappezzeriaunatrentina di quadri di grandi maestri.

Alcunecopie di ottima fatturain marmo o in bronzodelle più bellestatue dell'antichità classicaerano disposte su deipiedistalli negli angoli del salone.

Eroletteralmente stupefatto.

Propriocome mi aveva predetto il comandante del Nautilus.

-Vogliate scusareprofessorese vi ricevo senza cerimonie e inquesto disordine - disse il comandante.

-Non tento di conoscere la vostra vera identità dissi - ma sonosicuro che siete un artista.

-Semplicemente un amatoreprofessore.

Untempo mi divertivo a collezionare le bellezze create dalle manidell'uomo.

Eroun gran cercatoree frugando in ogni luogo ho potuto riunire qualcheoggetto di gran valore: sono gli ultimi ricordi di un mondo che perme non esiste più.

Ilcomandante tacque e fu come se si fosse perduto in un suo sognolontano.

Iolo osservavo tentando di analizzare la sua fisionomia.

Stavaappoggiato a un prezioso tavolo intarsiato e non mi vedeva piùsembrava aver totalmente dimenticato la mia presenza.

Rispettaiquel suo silenzio e ripresi a esaminare gli oggetti meravigliosiriuniti nel salone.

Oltrealle opere d'artec'era anche un vero e proprio museo di storianaturale che occupava una zona assai ampia.

Ilcapitano Nemo aveva dovuto spendere milioni per acquistare tuttequelle meraviglie e mi stavo chiedendo a quale fonte potesseattingere per soddisfare così la sua passione dicollezionistaquando fui interrotto da queste parole:- Vedo chestate ammirando le mie conchiglieprofessore.

Possonoveramente interessare un naturalistama per me hanno un fascino inpiùpoiché le ho raccolte tutte di mia mano e non c'èstato mare del globo che sia sfuggito alle mie ricerche.

-Comprendo benissimocomandantequale piacere possiate provareritrovandovi in mezzo a tali ricchezzema non voglio consumare lamia ammirazione per essealtrimenti non me ne resterà piùper la nave che le contiene.

Nonvoglio scoprire segreti che appartengono solo a voituttaviaconfesso che questo Nautilusla forza motrice che vi èrinchiusagli apparecchi che permettono di sfruttarla...

tuttociò eccita al più alto grado la mia curiosità.

Vedoappesi ai muri di questa sala degli strumenti il cui scopo mi èignoto.

Potreiconoscerlo?- Signor Aronnax - rispose il capitano Nemo - vi ho giàdetto che sareste stato libero a bordo e quindi nessuna parte delNautilus vi è proibita.

Potretevisitarlo accuratamente e io avrò il piacere di farvi dacicerone.

-Non so come ringraziarvisignorema non abuserò della vostracompiacenza.

Milimito a chiedervi a che cosa servono questi strumenti da gabinettodi fisica.

-Caro professorei medesimi strumenti ci sono anche nella mia cabinaed è là che avrò il piacere di spiegarvi il loroimpiego.

Maprima visitiamo l'alloggio che vi è stato riservato: èbene che vediate come sarete ospitato a bordo del Nautilus.

Seguiiil capitano Nemo che mi condusse a pruafino a una vera e propriastanza elegantemente arredatacon un vero lettoun tavolo e altrimobili.

Ringraziai:ero molto stupito.

-La vostra cabina è a fianco della mia che dàdirettamente nella sala che abbiamo appena lasciato.

Entrainella stanza del comandanteche aveva un aspetto austeroquasimonacale: una cuccetta di ferroun tavolino e l'indispensabile perla toelettail tutto in penombra.

Nientedi confortevole: lo stretto necessario e basta.

Ilcapitano Nemo mi indicò una sedia.

-Sedetevi prego.

Comefui seduto cominciò a parlare.




11

Tuttoelettrico.

-Questi - disse il capitano Nemo indicandomi gli strumenti appesi allepareti della sua cabina - sono gli apparecchi che servono allanavigazione del Nautilus.

Quicome nel saloneli ho sempre sotto gli occhi ed essi mi fornisconotutti i dati utili alla navigazione.

Alcunivi sono certamente noticome il termometro che segnala latemperatura interna del Nautilusil barometro per la pressionedell'aria e che mi avverte dei cambiamenti atmosfericil'igrometroche segnala l'umidità dell'atmosferalo "storm-glass"che mi avverte dell'arrivo delle tempestela bussola per ladirezioneil sestante che rileva la latitudinei cronometri per lalongitudinee infine i cannocchiali per il giorno e per la notte cheadopero quando il Nautilus è in superficie.

-Sono quelli che si usano abitualmente per navigare - risposi.

Neconosco anche l'uso.

Mace ne sono altri che rispondono senza dubbio a particolari esigenzedel Nautilus.

Quelquadranteper esempiocontinuamente percorso da un ago mobile e cheassomiglia a un manometro...

-E' proprio un manometro.

E'in contatto con il mare e ci indica sia la pressione esternasia laprofondità a cui navighiamo.

-E queste strane sonde?- Sono sonde termometriche che indicano latemperatura dei diversi strati d'acqua.

-E tutti quegli altri strumenti di cui non riesco nemmeno a indovinarel'impiego?- Bisogna che vi dia qualche spiegazioneprofessore -disse il capitano Nemo.

Rimasein silenzio alcuni istantipoi riprese:- L'anima dei miei apparecchimeccanici è l'elettricità.

-L'elettricità?- Precisamente.

-Ma la vostra nave ha un'estrema rapidità di movimentoprotestai - e questo mal si accorda con la forza dell'elettricità.

Finorala sua potenza dinamica è ancora molto ridotta.

-La mia elettricità non è come quella di tutto il restodel mondo - spiegò il capitano Nemo con un lieve sorriso.- Midispiacema più di così non posso dirvi.

-E io non pretenderò di saperne di più: mi limito aessere stupito di tali risultati.

Peròvorrei fare ancora una domandaalla quale potrete non risponderesevi sembrerà indiscreta.

Glielementi per produrre l'energia si consumano: come fate arimpiazzarli se non avete più contatti con la terra?- Larisposta è semplice - disse il capitano Nemo.

-In fondo al mare esistono miniere di zincodi ferrodi argentod'oroche si potrebbero benissimo sfruttare.

Maio ho deciso di strappare al mare soltanto i mezzi necessari perprodurre la mia elettricità.

-Al mare?- Sìprofessoree i mezzi non mi mancano.

Avreipotuto ottenere energia elettrica dalla differenza di temperatura cheincontravamoma ho preferito usare un sistema più pratico.

-Quale?- Voi conoscete la composizione dell'acqua marina.

Ilcloruro di sodio è in proporzione notevole ed è proprioquesto sodio che io ricavo dal mare e da cui traggo gli elementi chemi sono necessari.

-Dal sodio?- Proprio così.

Ilsodiomescolato con il mercuriodà una composizione chesostituisce lo zinco; il mercurio non si consuma maie il sodio lotraggo dal mare stesso.

Perdi piùle pile al sodio sono le più potenti e la loroforza elettromotrice è almeno doppia di quella delle pile allozinco.

-Capiscocomandantela preferenza per il sodiodato che il mare locontiene in abbondanza.

Maoccorre fabbricarloestrarlo dall'acqua.

Comefate?

Lepile potrebbero evidentemente servire a questo scopomase nonsbaglioil consumo di sodio richiesto dagli apparecchi elettricisupererebbe la quantità prodotta.

Misembra perciò che ne debba consumare più di quanto neproduce.

-Infattinon lo estraggo con le pile.

Usoil calore del carbone.

-Carbone terrestre?- Diciamo carbone di mare - rispose il capitanoNemo.

-Potete sfruttare miniere di carbone sottomarine?- Mi vedreteall'opera.

Vichiedo solo un po' di pazienzae del resto ne avrete tutto il tempo.

Ricordatesoltanto questo: che io devo tutto all'oceano.

Essoproduce l'energia elettrica e questa dà al Nautilus calorelucemovimento: la vitainsomma.

-Ma non l'aria che respirate!

-Volendopotrei anche fabbricare l'aria necessariama èinutile: posso risalire alla superficie quando voglio.

Tuttaviase l'elettricità non mi fornisce direttamente l'ariaserve amettere in moto le pompe che la immagazzinano in serbatoi speciali.

Intal modo sono in gradoin caso di necessitàdi prolungareindefinitamente la mia permanenza sul fondo del mare.

-Sono sbalordito.

Voiavete scoperto ciò che gli uomini scopriranno un giorno: lavera potenza dinamica dell'elettricità.

-Non so se la scopriranno - ribatté gelidamente il capitanoNemo.

-Comunque siavoi conoscete già la prima applicazione da mefatta di questa preziosa energia.

Manon abbiamo ancora finito la nostra visitasignor Aronnax: se voleteseguirmivi mostrerò tutta la parte poppiera del Nautilus.

Seguiiil capitano Nemo lungo le corsie e arrivai al centro del sottomarinodove si trovava una specie di pozzo.

Unascaletta di ferro inchiodata a una parete conduceva all'estremitàsuperiore.

Chiesia quale scopo fosse adibita quella scala.

-Porta al canotto - fu la risposta.

-Un canotto a bordo di una nave sottomarina?

-domandai meravigliato.

-Certamente.

Un'eccellenteimbarcazioneleggera e inaffondabileche serve per diporto o per lapesca.

-Ma alloraquando volete imbarcarvisiete costretto a salire insuperficie?- Niente affatto.

Ilcanotto aderisce alla parte superiore della chiglia del Nautilusinuna cavità creata appositamente per contenerlo.

Questascala conduce a una botola della chiglia del Nautilus che corrispondeesattamente a un'apertura uguale sul fianco della scialuppa.

Attraversoquesta doppia apertura m'introduco nell'imbarcazione e ne richiudounaquella del Nautiluspoi l'altracon un sistema a pressione;allento le ventose che tengono unita al battello la scialuppalaquale risale in superficie con una rapidità prodigiosa.

Alloraapro le paratie superioriche fino a quel momento sono ermeticamentechiusequindi isso la vela o afferro i remi.

-E per ritornare?- Non è il canotto a ritornare: è ilNautilus che risale.

-A comando?- A comando.

Unfilo elettrico tiene sempre in comunicazione le due imbarcazionipercui basta lanciare un segnale.

-Già - commentai ioincantato da tante meraviglie - niente dipiù semplice.

Dopoaver superato la gabbia della scala che portava alla piattaformavidi una cabina lunga circa due metridove Conseil e Ned Landentusiasti del loro pastostavano masticando a quattro ganasce.

Pocopiù oltre si apriva la porta che conduceva alla cucinapostadavanti all'enorme cambusa del battello.

Anchein cucina tutto funzionava elettricamente.

L'energiaelettrica azionava apparecchiature di distillazione che fornivanoun'eccellente acqua potabile.

Dopola cucinac'era una stanza da bagno dotata di tutte le comoditàcon acqua fredda e calda.

Venivapoi l'alloggio dell'equipaggiolungo cinque metrima la porta erasbarrata e non potei vederne l'interno.

Nerimasi deluso: mi avrebbe fornito l'idea di quanti uomini occorrevanoper manovrare il Nautilus.

Infineun compartimento stagno divideva l'alloggio dell'equipaggio dallasala macchine.

Siaprì una porta e mi trovai nel locale dove il capitano Nemoaveva disposto i macchinari di locomozione: la sala misurava almenoventi metri di lunghezza.

Eradivisa in due parti: la prima conteneva gli apparati per laproduzione dell'elettricitàla seconda il meccanismo chetrasmetteva il movimento all'elica.

Fuicolpito da un odore indefinito che riempiva il locale; il capitanoNemo se ne accorse.

-Sono fughe di gas prodotte nell'impiego del sodioma è uninconveniente di scarsa importanza perché ogni mattinopurifichiamo l'aria.

E'facile immaginare con quanto interesse esaminai i macchinari delbattello sottomarino.

-Che velocità può raggiungere?

-domandai.

-Cinquanta miglia all'ora - fu la risposta.

C'eraun mistero là sottoma non insistetti per conoscerlo.

Comepoteva l'elettricità raggiungere una tale potenza?

Dadove traeva la sua origine questa forza quasi illimitata?- CapitanoNemo - dissi - riscontro i risultati e non cerco nemmeno dispiegarmeli.

Hoveduto il Nautilus manovrare davanti all'"Abraham Lincoln"e so che voi non esagerate a proposito della sua velocità.

Macorrere non è sufficiente: bisogna anche vedere dove si vabisogna potersi dirigere a sinistraa destrain altoin basso.

Comefate a raggiungere le grandi profondità?

Cometrovate la resistenza per sopportare una sempre crescente pressionevalutabile in migliaia di atmosfere?

Comeriuscite a ritornare a galla sull'oceano?

Einfinecome potete mantenervi alla profondità che preferite?

Sonoindiscreto se lo chiedo?- Per nienteprofessore - mi rispose ilcomandantedopo una lieve esitazione - considerando che non potretemai lasciare questo battello sottomarino.

Andiamoin sala.

Làè il nostro vero gabinetto di lavoro e là vi spiegheròtutto ciò che dovete sapere




12

Alcunecifre.

Pocodopo eravamo seduti su un divano della salacon un sigaro acceso.

Ilcomandante mi mise sotto gli occhi un disegno con tutti i datiriguardanti i pianiin sezione orizzontale e verticaledelNautilus.

Poicominciò la sua spiegazione.

-Eccosignor Aronnaxtutte le dimensioni del nostro battello.

E'un cilindro molto allungato a punte coniche.

Siavvicina sensibilmente alla forma di un sigaroforma giàadottata a Londra per molte costruzioni marine.

Lalunghezza di questo cilindroda un capo all'altroèesattamente di settanta metri e la sua larghezza massima è diotto metri.

Nonèperciòcostruito con le stesse proporzioni deivostri vaporima le sue linee sono sufficientemente allungate e lasua carena è molto affusolataaffinché l'acquaspostata scivoli facilmente e non opponga alcuna resistenza alla suamarcia.

Ledue misure che vi ho dato vi permetteranno facilmente di ottenerecon un semplice calcolola superficie e il volume del Nautilus.

L'imbarcazionesi compone di due scafiuno esterno e uno interno.

Normalmenteil Nautilus emerge per un decimoma se riempio d'acqua i mieiserbatoiche hanno una capacità pari a questo decimoilbattello sarà interamente immerso.

Eccocome avviene.

Iserbatoi si trovano sul fondo a poppa: basta che apra le valvole e siriempiono.

Allorail battello si immerge.

-Benecapitanoma ora arriviamo alla vera difficoltà.

Chepossiate immergervilo comprendoma a mano a mano che scende versoil fondola vostra nave sottomarina non trova una maggior pressionee non ricevedi conseguenzauna spinta dal basso verso l'alto?-Proprio cosìprofessore.

-Perciòa meno che non allaghiate completamente il Nautilusnon vedo come possiate spingervi nelle profondità marine.

-Non ci vuole molta fatica per raggiungere gli abissi marinipoichétutti i corpi hanno la tendenza ad affondare.

Seguiteil mio ragionamento.

-Vi sto ascoltando.

-Quando volli calcolare l'accrescimento di peso necessario al Nautilusper immergersidovetti preoccuparmi soltanto della riduzione delvolume che l'acqua del mare ha man mano che i suoi strati diventanosempre più profondi.

-E' evidente.

-Perciò ho costruito dei serbatoi supplementaricapaci diimbarcare cento tonnellate d'acqua.

Inquesta maniera posso raggiungere profondità considerevoli.

Quandovoglio risalire alla superficie e affioraremi è sufficientepompare fuori quest'acqua e vuotare interamente i serbatoisedesidero che il Nautilus emerga per un decimo del suo volume.

Atali ragionamenti sostenuti dalle cifre non avevo nulla da obiettare.

-Questo mi porta naturalmente a spiegarvi come si manovra il Nautilus.

-Sono impaziente di saperlo.

-Per farlo virare a babordo e a tribordocioè per farlomanovrare sul piano orizzontalemi servo di un timone normale a palelarghe.

Maquando voglio posso anche manovrare il Nautilus su un pianoverticaledal basso in alto e dall'alto in bassoper mezzo di duealettoni inclinatifissati ai suoi fianchi.

Sonosuperfici mobiliin grado di assumere tutte le posizioni e che simanovrano dall'interno per mezzo di leve potenti.

Segli alettoni sono mantenuti paralleli al battelloquesto si muoveorizzontalmente.

Sesono inclinatiil battelloseguendo la loro inclinazione e sotto laspinta dell'elicasi immerge seguendo la diagonale che io determino.

Conuna manovra analogama contrariarisalgo.

-Magnificocomandante!


-esclamai.

-Ma come può il timoniere seguire la rotta che gli fissatestando in immersione?- Il timoniere si trova in una cabina nellaparte superiore della chiglia del Nautilusche è fornita divetri lenticolari.

-Vetri in grado di resistere a una pressione di quel tipo?-Esattamente.

-Ammettiamolo purecomandantema per vedere bisogna anzitutto che cisia luce e mi sto chiedendo comein mezzo alle tenebre del fondo...

-Alle spalle della cabina del timoniere è installato un potenteriflettore elettricoi cui raggi illuminano il mare per una distanzadi mezzo miglio.

-Magnificoveramente ben pensatocomandante.

Eora mi spiego quella presunta fosforescenza del narvalo che tanto hafatto discutere gli studiosi.

Senon sono indiscretodesidererei sapere se la collisione tra ilNautilus e la "Scotia"che tanto eco ebbe nel mondoèstata o no un caso fortuito.

-Assolutamente fortuitosignore.

Navigavoa due metri sotto la superficie del marequando c'è statol'urto.

Peròmi accorsi subito che non c'era stata nessuna conseguenza pericolosa.

-D'accordoma l'incontro con l'"Abraham Lincoln"...

-Mi dispiace moltissimo per la naveche è una delle piùbelle della marina americanama mi ha attaccato e io ho dovutodifendermi.

Delresto mi sono limitato a metterla nell'impossibilità dinuocermi: le avarie potranno essere riparate senza difficoltàal primo scalo.

-E' veramente meraviglioso un battello come il vostro - dissi conconvinzione.

-Grazie.

Orauna domanda probabilmente indiscreta mi veniva naturale e non seppitrattenermi da formularla.

-Siete un ingegnere?- Sìsignor Aronnax - rispose.

-Ho studiato a Londraa Parigi e a New Yorknel periodo in cuianch'io facevo parte degli abitanti della Terra.

-Ma come avete potuto creare questo ammirabile Nautilussenza che netrapelasse il segreto?- Ognuna delle sue parti è statacostruita in differenti parti del globo e mi è stata speditasotto diversi nomi.

-Ma - insistei - queste parti fabbricate in posti diversi hanno dovutoben essere montate e adattate.

-Carissimo professoreavevo stabilito i miei cantieri in un isolottodeserto in pieno oceano.

Làcon i miei bravi compagnicioè quegli uomini coraggiosi cheho preparato e istruitoho messo a punto il Nautilus.

Poiterminati i lavoriil fuoco ha distrutto ogni traccia della nostradimora su quell'isola.

Seavessi potutol'avrei addirittura fatta saltare.

-Allora credo sia lecito supporre che il costo di questo battello siastato esorbitante.

-Il suo vero valore è quello delle opere d'arte e dellecollezioni che racchiude.

-Posso fare un'ultima domandacomandante?- Dite pure.

-Siete dunque così ricco?- Ricco in maniera incommensurabilesignore: per farvi un esempiopotrei tranquillamente pagare i diecimiliardi di dollari di debiti che occorrono per sanare la bilanciadei pagamenti della Francia.

Guardaifissamentecon aria sbalorditail bizzarro personaggio che miparlava in quel modo straordinario.

Stavaburlandosi di me?Solo il futuro avrebbe potuto chiarire questo punto.




13

L'acquariosottomarino.

Ilcapitano Nemo si allontanò e rimasi soloassorbito dai mieipensieri che si riferivano tutti al comandante del Nautilus.

Sareimai riuscito a sapere da quale paese venivaquello stranopersonaggio che si vantava di non avere patria?

Equell'odio che nutriva contro l'umanitàquell'odio chesembrava stesse cercando vendette terribilichi l'aveva provocato?

Erauno di quei sapienti misconosciutiuno di quegli studiosi "aiquali era stato fatto del male".

Secondola definizione di Conseilun moderno Galileo?

Nonero in grado di dirlo.

Avevaaccolto meche il caso aveva gettato sul suo sottomarinoconfreddezza.

Tenevala mia vita fra le sue manirispettava tutti i canonidell'ospitalitàma non aveva mai preso la mano che gli avevoteso e mai mi aveva teso la sua.

Eroimmerso in queste riflessionicercando di penetrare quel mistero perme così appassionantequando Ned Land e Conseil apparverosulla soglia della sala.

Imiei bravi compagni rimasero sbalorditi alla vista delle meraviglieche si ammassavano davanti ai loro occhi.

-Dove siamo?

-domandò il canadese.

-Dove siamo capitati?

Almuseo di Quebec?- Se al signore non dispiace - osservò Conseil- lo paragonereipiuttostoa quello di Parigi.

-Amici miei - risposifacendo loro segno di entrare - non siamo néin Canada né in Franciama semplicemente a bordo delNautilusa cinquanta metri sotto il livello del mare.

-Non ci rimane che crederlopoiché il signore afferma che ècosì - replicò Conseil.

-Sinceramenteperòquesta sala ha il potere di meravigliareanche un fiammingo come me.

MentreConseil ammirava il museoNed Landmolto più prosaicosiinteressava al mio colloquio col capitano Nemo: avevo scoperto chierada dove veniva o dove era direttoverso quali abissi ci stavatrascinando?Gli riferii tutto quello che sapevo opiuttostoquelloche credevo di sapere e a mia volta gli chiesi che cosa avesse vedutoo sentito lui.

-Non ho né visto né sentito niente - rispose ilcanadese.

Nonho nemmeno intravisto l'equipaggio.

Nonsarà elettrico anche quelloper caso?- Elettrico?- In fedemiasono tentato di crederlo - disse Ned Landevidentemente fissatonella sua idea.

-Ditesignor Aronnax: non avete idea di quanti uomini ci siano abordo?

Dieciventicinquanta o cento ?- Non saprei proprio cosa rispondervicaroLand.

Madatemi retta:abbandonateper oral'idea di impadronirvi delNautilus o di evadere.

Questobattello è un capolavoro dell'industria moderna e avrei deirimpianti se non potessi vederlo.

Moltagente accetterebbe la situazione in cui ci troviamo pur di poterammirare tutte queste meraviglie.

Perciòstatevene quieto e aspettiamo di vedere quello che succederà.

-Vedere!

-esclamò il canadese.

-Ma non si vede nullanon si vedrà mai nulla in questaprigione di ferro.

Avanziamonavighiamo come ciechi...

Nonpoté finire il discorso che in quel momentodi colposi feceun buio assoluto.

Ilsoffitto luminoso si spense e così rapidamente che i mieiocchi ne riportarono una sensazione dolorosaanaloga a quellacontraria che si prova al passaggio dalle tenebre profonde alla lucepiù abbagliante.

Restammosenza paroleincapaci di muovercinon sapendo quale sorpresa -buona o cattiva - ci attendesse.

Udimmoil rumore di qualcosa che scivolava.

Sisarebbe detto che le paratie strisciassero contro un ostacolo.

-E' la fine!


-disse Ned Land.

Alloraattraverso due aperture oblunghedi colpola sala fu illuminata.

Lamassa fluida del mare si distinse molto chiaramente: solo due spessicristalli ci separavano dall'oceano.

Mivennero i sudori freddi al pensiero che quel fragile riparo potesserompersima era trattenuto da robuste armature di rame che glidavano una resistenza enorme.

Ilmare era perfettamente visibile nel raggio di un miglio.

Chespettacolo!


Nessunapenna sarebbe in grado di descriverlonessuno potrebbe rendere glieffetti della luminosità attraverso la trasparenza di queivetri e la dolcezza delle sue sfumature progressive verso gli stratiinferiori e superiori dell'oceano.

Sisa che il mare è diafano ed è risaputo che la sualimpidezza è superiore a quella delle acque sorgive: lesostanze minerali e organiche che vi stanno sospesecontribuisconoad aumentare la sua trasparenza; in alcune zone dell'oceanopressole Antillesi può vedere ad una profondità di 145metri il litorale sabbiosoe con una nitidezza davvero sorprendente.

Pareperfino che làla forza di penetrazione dei raggi solariarrivi a una profondità di 300 metri.

Main questo casolo splendore elettrico sembrava nascere in mezzo alleonde: non era più acqua luminosama luce limpida.

Guardavamoestasiatied era come se quei cristalli fossero le vetrine di unimmenso acquario.

Sembravache il Nautilus non si muovessema non avevamo nessun punto diriferimento per stabilire se così fossefinché nonnotammo che le linee d'acquadivise dalla pruafilavano davanti ainostri occhi a grande velocità.

Pienidi meraviglia ci eravamo appoggiati a un vetro e nessuno di noiinterrompeva quel silenzio carico di stupore.

-Volevate vedereNed?

-disse infine Conseil.

-Eccoora vedete.

-Curiosomolto curioso - diceva il canadeseche aveva dimenticato lasua rabbia e i suoi progetti d'evasione sotto l'influsso diquell'incomparabile scenario.

-Si verrebbe da molto lontano per ammirare uno spettacolo simile.

-Ora capisco la vita di quest'uomo - dissi.

Siè ritirato in una parte del mondo che gli riserva le piùstupefacenti meraviglie.

-E i pesci?

-domandò il canadese.

-Dove sono i pesci?- Che cosa ve ne importase non li conoscete?

-replicò Conseil.

-Io?

Unpescatore!

Esu questo punto intavolarono una discussioneperché entrambiconoscevano i pescima li consideravano sotto aspetti moltodifferenti.

-Voi siete un uccisore di pescicaro Ned - disse Conseilil qualenon poteva ammettere che l'altro ne sapesse più di lui.

Sieteun gran pescatore e avete catturato un buon numero di questiinteressanti animali.

Peròscommetterei che non sapreste classificarli.

-Come no?

-ribatté con serietà il ramponiere.

-Si dividono in pesci che si mangiano e in pesci che non si mangianoossia non commestibili.

-Questa è una classificazione da ghiottone - brontolòConseil.

-Sapete piuttosto che differenza c'è tra pesci ossei e pescicartilaginei?

Noeh?

Be'i pesci ossei si suddividono in sei ordini: l'ordine degliacanthopterigiche hanno la mascella superiore completa e lebranchie a forma di pettinecomprende quindici famiglieossia i trequarti dei pesci conosciuti.

Tipo:ilpesce persico.

-Ottimo al burro - commentò Ned Land.

-Gli addominali hanno le pinne ventrali sospese sotto l'addome -continuò imperterrito Conseil.

-Questo ordine si divide in cinque famiglie e comprende la maggiorparte dei pesci d'acqua dolce come il luccio...

-Poh!


-fece il canadese disgustato.

-I subbranchiatitra cui il rombola passerala sogliola...

-Aheccellenti!

Conseilcontinuava senza scomporsi:- Gli apodii dal corpo allungatocomel'anguilla e il gimnoto...

-Bohpiuttosto mediocri.

-I lobobranchiossia gli ippocampi e...

-Schifezzaschifezza - dichiarò il fiociniere.

-E l'ordine dei plettognati - concluse Conseil che comprende duefamiglie.

Iltetrodone e il pesce luna...

-Buoni solo a sporcare la padella - commentò Ned.

-Quanto ai pesci cartilaginei - riattaccò subito Conseil - noncomprendono che tre ordini.

-Tanto meglio - disse il canadese.

-I ciclostomidalle branchie che si aprono in numerosi foricome lalampreda.

-Niente male - disse Ned Land.

-I selaciche hanno la mascella inferiore mobile.

Questoordine comprende tre famiglie.

Tipi:la razzagli squali...

-Che cosa!


-strillò il ramponiere.

-Razze e pescecani insieme?Be'caro mionell'interesse delle razzenon vi consiglierei di metterle nel medesimo mastello.

-Terzo - continuò impassibile Conseil - gli storionidiordineche comprende quattro famiglie.

Lostorione...

-Ahavete tenuto per ultimo il migliorealmeno secondo i miei gusti!


-esclamò Ned.

-E' tutto?- Eh no: quando si sa tutto questo non si sa ancora nienteamico mio - rispose Conseil.

-Le famiglie si dividono in generiin varietà...

-Benemio caro - l'interruppe Ned piegandosi sul cristallo.

Eccoche passano delle "varietà".

-Sìecco i pesci!


-esclamò Conseil.

-Pare di essere davanti a un grande acquario!

-Ehno!


-dissi io.

-L'acquario è una gabbiamentre questi pesci sono liberi comeuccelli nell'aria.

-DunqueConseil?

-disse ironico Ned.

-Ditemi i nomi.

-Non sono abbastanza competente - rispose Conseil.- Questo tocca alprofessore.

Infattiquel classificatore arrabbiato non era certo un naturalista eprobabilmente non avrebbe distinto un tonno da un pescecane.

Inveceil canadese conosceva tutti i pesci e senza esitare ne precisava ilnome via via che passavano.

-Una balestra - dicevo io.

ENed: - Una balestra cinese.

-Genere delle balestrefamiglia degli sclerodermiordine deiplettognati - precisava Conseil.

Sequei due avessero potuto compenetrarsiavrebbero formato un eminentenaturalista.

Unafrotta di balestre dai corpi piattidalla pelle granulosaarmate diuna spina sul dorsalegiocherellavano intorno al Nautilus agitandole code puntutefacendo scintillare le macchie dorate nel tenebrosogorgogliare delle onde.

Inmezzo ad esse le razze si movevano come vele abbandonate ai venti.

Perdue ore intere tutta un'armata acquatica fece da scorta d'onore alNautilus.

Levarietà di pesci erano innumerevoli e tra le più rarecosì che la nostra ammirazione si manteneva sempre al piùalto livello.

Leesclamazioni di meraviglia si susseguivano.

Nonmi era mai stato possibile osservare questi animali vivi nel loroelemento naturale.

Poinella sala tornò la lucei pannelli di ferro si richiusero el'incantevole visione scomparve.

Aspettavamoil capitano Nemo.

L'orologiosuonò le cinquema egli non apparve.

NedLand e Conseil si ritirarono nella loro cabina e anch'io raggiunsi lamia stanzadove trovai il pasto già pronto: una minestra ditartarugain cui ne galleggiavano le parti migliorie una trigliadalle carni delicate; il cui fegato era stato cucinato a parte conuna salsa deliziosa.

Passaila serata a leggerea scrivere e a pensare.

Poimi addormentai profondamentementre il Nautilus proseguiva la suanavigazione.




14

Unbiglietto d'invito.

L'indomaniil 9 novembremi svegliai dopo un lungo sonno di dodici ore.

Conseilvennecome sua abitudineper sapere "come il signore avessepassato la notte" e offrirmi i suoi servizi.

Avevalasciato il suo amico Ned Land che dormiva come un uomo nato per nonfare nient'altro.

Lasciaiche il buon giovanotto chiacchierasse a suo piacererispondendoglidi tanto in tanto: pensavo un po' preoccupato all'assenza delcapitano Nemo durante e dopo lo spettacolo del giorno precedente e miauguravo di rivederlo in giornata.

Nonappena fui prontomi recai nella grande sala.

Eradeserta.

Miimmersi nello studio dei tesori di conchigliologia ammassati nellevetrinepassai in rivista i grandi erbari che comprendevano le erbemarine più rare le qualibenché fossero disseccateconservavano i loro meravigliosi colori.

L'interagiornata trascorse senza che il capitano Nemo mi onorasse di unavisita.

Ipannelli sul cristallo non si aprironoforse per evitare che ciabituassimo a quelle belle visioni fino ad annoiarci.

Larotta del Nautilus si manteneva in direzione nord-nord-estlavelocità a quindici miglia e la profondità a cinquantametri.

Ilgiorno dopola stessa solitudine: non vidi nemmeno un membrodell'equipaggio.

Nede Conseil passarono con me la maggior parte della giornataancheloro stupiti dell'inspiegabile assenza del comandante.

Quellostrano uomo era ammalato o aveva modificato i suoi progetti neinostri confronti?Del restocome aveva fatto notare Conseilgodevamodi una libertà completa ed eravamo nutriti non soloabbondantemente ma molto bene.

Ilnostro ospite rispettava i termini dell'accordo.

Nonpotevamo lamentarci: la stessa singolarità del nostro destinoci compensava largamente e in modo del tutto inaspettato.

Quelgiorno cominciai a tenere il diario dell'avventura che stavo vivendocosì che ora sono in grado di riferire ogni particolare conscrupolosa esattezza.

Fattocurioso è che usai a tale scopo della carta fabbricatautilizzando un'alga particolare.

L'indomaninella prima mattinata una fresca aria marina si sparse all'internodel Nautilusfacendomi capire che eravamo saliti in superficieprobabilmente per rinnovare le scorte di ossigeno.

Raggiunsila scala centrale e salii sulla piattaforma.

Ilcielo era copertoil mare grigio ma calmoappena increspato.

Speravodi incontrare il capitano Nemo e mi domandavo ansioso se sarebbevenuto.

Peril momento non vedevo che il timoniere imprigionato nella sua gabbiadi vetro.

Sedutosulla sporgenza prodotta dalla chiglia del canottorespiravo a pienipolmoni l'aria pura del mare.

Lentamentela nebbia si sciolse sotto l'azione dei raggi del sole che salivamaestoso all'orizzonteil mare si accese come un mantello diporporai cirri sparpagliati si colorarono di incredibili sfumaturee una serie di nubi leggere e striate annunciò che perl'intera giornata il vento avrebbe soffiato.

Mache cosa poteva importare del vento al Nautilusche non temevanemmeno le tempeste ?Stavo ammirando quell'alba gaia e vivificanteallorché sentii qualcuno che saliva sulla piattaforma.

Miaspettavo di veder comparire il capitano Nemoma si trattava del suosecondoche avevo conosciuto al mio primo incontro con ilcomandante.

Eglis'inoltrò sulla piattaforma senza dare segno di essersiaccorto della mia presenza.

Portòagli occhi il suo potente binocolo e scrutò ogni puntodell'orizzonte con enorme attenzionequindi si accostò alboccaporto e pronunciò alcune parole che trascrivoesattamente: le ricordo bene perché ogni mattina il rito siripeteva con identica cerimonia.

-Nautron respoc lorni virch.

Checosa significasse non lo saprei dire.

Poiil secondo ridiscese.

Allorapensando che il Nautilus stesse per riprendere la navigazionesottomarinaraggiunsi il boccaporto e tornai nella mia cabina.

Cinquegiorni passarono cosìsenza che la situazione si modificasse:ogni mattina salivo sulla piattaformala stessa frase venivapronunciata dallo stesso individuo.

Eil capitano Nemo non compariva mai.

Ormaiero convinto che non l'avrei rivisto più quandoil 16novembrerientrando in cabinatrovai sulla tavola un bigliettoindirizzato a me.

Apriila busta con mano impaziente.

Lascrittura era chiara e sicuraun po' gotica: ricordava lontanamentei caratteri tedeschi.

"Alprofessor Aronnaxa bordo del Nautilus.


16novembre 1867.

Ilcapitano Nemo invita il professor Aronnax a una gita di caccia cheavrà luogo domani mattina nei boschi dell'isola di Crespo.

Sperache non ci sia nulla che impedisca al professore di parteciparvi esarà lieto se i suoi compagni si uniranno a lui.

Ilcomandante del Nautilus capitano Nemo." - Una gita di caccia!


-esclamò Ned.

-E nei boschi dell'isola di Crespo!


-aggiunse Conseil.

-Allorain tal casosi scende a terra?

-domandò Ned Land.

-Questo mi sembra evidente - risposirileggendo la lettera.

-Benissimoaccettiamo senz'altro - disse con entusiasmo il canadese.

-Una volta a terrapotrebbe presentarsi qualche buona occasione.

Inoltrenon mi dispiacerebbe affatto un assaggio di selvaggina appenacacciata.

Senzacercare di approfondire il contrasto fra l'orrore manifestato dalcapitano Nemo per i continenti e le isole e l'invito a una caccia neiboschimi limitai a proporre:- Innanzituttovediamo dov'èsituata quest'isola di Crespo.

Consultandoil planisferotrovai l'isolotto a 32 gradi e 40 primi di latitudinenord e a 167 gradi e 50 primi di longitudine ovest.

Erastato scoperto nel 1801 dal capitano Crespoma nelle antiche cartespagnole era chiamato "Roca de la Plata"vale a dire"Roccia d'argento".

Daquesto particolare potei rilevare che eravamo a circa milleottocentomiglia dal nostro punto di partenza e che la rotta del Nautilus ciportava verso sud-est.

Mostraiai miei compagni quella piccola roccia sperduta in mezzo all'OceanoPacifico.

-Se il capitano Nemo va qualche volta a terrabisogna dire chesceglie isole ben deserte - osservai.

NedLand scrollò il capo senza parlarepoi si allontanòcon Conseil.

Dopouna cena che mi fu servita dal solito cameriere muto e impassibilemi addormentai non senza qualche preoccupazione.

Ilgiorno successivoquando mi svegliaimi accorsi che il Nautilus eraimmobile.

Mivestii in fretta e mi precipitai nel salone.

Ilcapitano Nemo era là e mi aspettava.

Sialzòsalutòmi chiese se mi avrebbe fatto piacereaccompagnarlo.

Poichénon aveva fatto alcuna allusione alla sua assenza degli ultimi ottogiornimi astenni dal parlargliene e gli risposi che io e i mieicompagni eravamo pronti a seguirlo.

-Permettetemi solo una domanda - soggiunsi.

Com'èpossibilese avete rotto ogni relazione con la terrache possediatedei boschi nell'isola di Crespo?- I boschi che possiedo non hannobisogno né della luce né del calore del sole - eglirispose sorridendo.

-Non sono abitati né da leoni né da tigri né dapantere e neppure da altri quadrupedi.

Sononoti solamente a meperché si trovano in fondo al mare.

-Boschi sottomarini?- Sìprofessore.

-E voi mi offrite di portarmici?- Infatti.

-A piedi?- E asciutti.

-A caccia?

Conil fucile?- Sicuro.

Guardaiil comandante del Nautilus con un'espressione che non aveva nulla dilusinghiero nei suoi confronti.

Certamenteha qualche malattia mentalepensai.

Haavuto un attacco che è durato otto giorni e di cui risentetuttora le conseguenze.

Peccato.

Lopreferivo stravagante a pazzo...

Quelpensiero doveva leggersi chiaramente sul mio visoma il capitanoNemo si accontentò di invitarmi a seguirlo e io obbedii con lospirito disposto a qualsiasi cosa.

Arrivammonella sala da pranzo dove era pronta la colazione.

-Signor Aronnaxvi sarei grato se vorrete fare colazione con me -disse il comandante.

-Intanto parleremo.

Viho promesso una passeggiata nella forestama non posso impegnarmi afarvi trovare un ristorante.

Mangiatee tenete presente che probabilmente pranzerete molto tardi.

Fecionore al pastocomposto di pesci rari e di fette di oloturiezoofiti eccellentie di alghecome la "porphiria laciniata"e la "laurentia primafetida".

Dabereacqua limpida mescolata a un liquore fermentato estrattodall'alga nota col nome di "rodomenia palmata".

Mangiammoin silenzio.

Poiil capitano Nemo mi disse:- Quando vi ho proposto di venire a caccianella mia foresta di Crespovoi probabilmente avete creduto che micontraddicessi.

Poiquando vi ho spiegato che si trattava di boschi in fondo al maremiavete creduto matto.

Nonbisognerebbe mai giudicare gli uomini alla leggera.

-Macomandantecredete che....

-Ascoltatemiper favorepoi vedrete se è il caso di accusarmidi contraddizione o di follia.

-Vi ascolto.

-Voi sapete quanto meprofessoreche l'uomo può viveresott'acqua a condizione di portare con sé una scorta d'aria.

Durantei lavori che si fanno sul fondol'operaiorivestito da unoscafandroriceve l'aria dalla superficie per mezzo di pompe.

-Conosco il funzionamento degli scafandri.

-Allora sapete anche che in quelle condizioni l'uomo non èliberoperché è congiunto alla pompa che lo rifornisced'aria attraverso un tubo di gommavera catena che lo tiene legatoalla terra.

Senoi dovessimo essere legati al Nautilus alla stessa manieranonpotremmo andare molto lontano.

-C'è un mezzo per muoversi liberamente?

-domandai.

-Sì.

Sitratta di un serbatoio di ferro in cui si immagazzina aria con unapressione di cinquanta atmosfere.

Questoserbatoio si fissa sulla schiena con delle bretellepiù omeno come uno zaino.

Dauna sferacon un congegno preparato proprio da mepartono due tubiper inspirare ed espiraresenza che l'ossigeno sia contaminato.

-Sorprendente - dissi.

-Ancora una cosacomandante: come farete a illuminare il percorso sulfondo marino?- Sfruttando l'anidride carbonica che espiriamoterremoaccesa una lampada.

-Per tutte le mie obiezioni avete risposte così stupefacentiche non oso più dubitare di nulla.

Ma...

comepotrò usare un fucile?- Non è esattamente un fucile conpolvere da sparo - rispose il comandante.

-E' un fucile ad aria compressa?- Certamente.

Comepotrei fabbricare della polvere da sparoa bordo?- Mi sembraperòche in quella semioscuritàin un elemento liquidoperciòmolto più denso dell'atmosferai colpi non possano arrivaremolto lontano e che difficilmente riescano mortali.

-Con questo tipo di fucile tutti i colpi sono mortali e quando unanimale è colpitosia pur leggermenteè fulminatodall'elettricità.

-Non levo altre obiezioni - conclusialzandomi da tavola.

Nonmi resta che prendere il mio fucile e...

dovevoi andretevi seguirò.

Ilcapitano Nemo mi precedette a poppa epassando davanti alla cabinadi Ned e di Conseilchiamai i miei due compagni che subito siunirono a noi 15.

Passeggiatasul fondo.

Arrivammoin una cabina che serviva da arsenale e da magazzino del Nautilus.

Unadozzina di scafandri attendevano i cacciatoriappesi a una paratia.

NedLandvedendolimostrò un'evidente ripugnanza a indossarli.

-Tenete presentecaro amicoche i boschi dell'isola di Crespo sonoforeste sottomarine - gli feci osservare.

-Peccato - commentò il canadese con disappuntovedendo svanireil suo sogno di carne fresca.

-Ma voiprofessorevi ficcherete dentro a quella roba?- E'necessario.

-Padrone di fare come volete - replicò il fiocinierescrollando le spalle.

-Ma per quanto riguarda mea meno che non vi sia obbligatononentrerò mai là dentro.

-Nessuno vi obbligheràsignor Land - lo tranquillizzòil capitano Nemo.

-E Conseil?

Checosa farà?- Io sono sempre dove va il signore.

Dueuomini dell'equipaggio ci aiutarono a indossare i pesanti indumentidi gomma impermeabilesenza cuciture e fatti in modo da potersopportare pressioni considerevoli.

Eranouna specie di armatura pieghevolemorbida e a un tempo resistentecostituivano un corpo unico e terminavano con calzature appesantiteda spesse suole di piombo.

Iltessuto era rinforzato da strisce di metallo che formavano come unacorazza sul toracedifendendolo dalla pressione dell'acquamalasciando libera la respirazione.

Lemaniche terminavano a forma di guanti che non ostacolavanominimamente i movimenti della mano.

Ilcapitano Nemouno dei suoi uominiConseil e io infilammo in frettalo scafandro.

Nonci restava che introdurre la testa nella sfera metallica eprima difarlochiesi al capitano Nemo di esaminare l'arma che avremmo dovutousare.

Unodegli uomini del Nautilus mi presentò un semplice fucile ilcui calciofatto di metallo e vuoto all'internoera piùgrande del normale e serviva da serbatoio per l'aria compressa chepenetrava nella canna mediante una valvola manovrata da un grilletto.

Unserbatoio per i proiettili era scavato nello spessore del calcio e neconteneva una ventinanaturalmente elettriciche passavanoautomaticamente nella canna del fucile: non appena un colpo era statosparatoce n'era subito pronto un altro.

Nerimasi ammirato.

-Quest'arma è straordinariacomandante - dissi.

Edè anche molto facile da maneggiare.

Nonvedo l'ora di provarla.

Comefaremo ora a toccare il fondo marino?- In questo momento il Nautilusè arenato a dieci metriprofessoree non ci resta altro dafare che uscire.

-E come?- Lo vedrete.

Ilcapitano Nemo introdusse la testa nella calotta sferica e io eConseil lo imitammomentre il canadese ci lanciava un ironico "Buonacaccia".

Laparte superiore della tuta di gomma terminava con una specie dicollare di rame sul quale si avvitava il casco.

Treapertureprotette da vetri robustipermettevano di guardare intutte le direzioni girando la testa all'interno della calotta.

Appenaavvitata la sferagli apparecchi di respirazione sistemati sul dorsocominciarono a funzionare e subito mi accorsi che potevo respirarebenissimo.

Conla lampada elettrica alla cintura e in mano il fucileero prontoalla passeggiatama mi pareva impossibile che sarei riuscito amuovermiimprigionato com'ero in quella guaina e inchiodato a terradalle pesanti suole di piombo.

Maanche questo era stato previsto: fummo sospinti in una cabinacontigua e una porta si chiuse dietro di noilasciandoci immersi inun'oscurità profonda.

Dopoqualche istante mi sembrò di sentire un forte soffio e unasensazione di freddo mi salì dai piedi verso il petto.

Capiiallora che la cabina si stava riempiendo d'acqua che vi penetravaattraverso qualche fessura o tubo.

Inbreve l'oceano avrebbe invaso l'intero locale.

Inquel momento una seconda porta si aprì nel fianco delNautilusuna debole luce colpì i nostri occhi.

Eun attimo dopo camminavamo sul fondo del mare.

Ilcapitano Nemo ci precedeva e il suo compagno ci seguiva tenendosi aqualche metro di distanzamentre io e Conseil avanzavamo affiancaticome se in simili circostanze fosse stata possibile unaconversazione.

Nonsentivo più il peso di quanto avevo addossodelle scarpe dipiombodi quella grossa sfera in cui la mia testa ballonzolava comeuna mandorla nel guscio.

Tuttociò che portavoimmerso nell'acquaperdeva una parte del suopeso uguale a quella del liquido spostatocosì che godevo diuna grande libertà di movimento.

Avanzavamosu una sabbia fine e compattadiversa da quella delle spiagge checonserva l'impronta delle onde.

Queltappeto soffice rifrangeva i raggi del sole con una intensitàsorprendente.

Intornoun grandioso riverbero rivestiva il liquido elemento.

Potràsembrare incredibilema a dieci metri di profondità ci sivedeva come in pieno giorno.

Camminaiper un quarto d'ora su quella rena disseminata di un'impalpabilepolvere di fossili.

Lasagoma del Nautilussimile a un lungo squaloa mano a mano cheproseguivamo sfumavasvanendo al nostri occhi.

Dirassicurante non rimaneva che il suo riflettore che ci avrebbefacilitato il ritorno a bordouna volta arrivata la notteproiettando intorno i suoi raggi di eccezionale limpidezzacosa unpo' difficile da comprendere per chi ha visto soltanto le striscebiancastre dei riflettori sulla terra.

Lapolvere di cui l'aria è satura trasforma i fasci di luce inuna specie di nebbia luminosama sul mare e sotto il mareessi sidiffondono con purezza incomparabile.

Continuavamoad avanzare e sembrava che la vasta distesa subacquea non avesse maifine.

Conla mano spostavo l'acqua che si richiudeva alle mie spallementre leorme dei miei passi venivano subito cancellate.

Incominciaia scorgereappena delineatealcune forme; riconobbi stupendi primipiani di roccia tappezzata di zoofiti delle più belle specie efui colpito istantaneamente da uno straordinario effetto di luce.

Eranole dieci del mattino: i raggi solari colpivano la superficiedell'acqua con una angolazione molto obliqua eal contatto dellaluce scomposta dalle rifrazionii fiorile roccele pianteleconchiglie e i polipi assumevano nel contorno tutte le sfumature deisette colori dell'iride.

Comein un prisma.

Eraun godimento per gli occhi quell'accavallarsi di coloriun verocaleidoscopio di verdegialloarancioviolettoindaco e blu.

Tuttauna tavolozza da pittoreche mi trasmetteva sensazioni straordinarieche però non potevo comunicare a nessunoneppure a gesticome sapevano fare il comandante e i suoi uomini.

Inmancanza di meglioparlavo da sologridavo nella calotta di metalloche mi chiudeva la testaconsumando forse in tal modo piùaria di quanto non dovessi.

Mabisognava camminare.

Sopradi noi vagavano intere famiglie di piccoli polipi che rimorchiavano iloro tentacolimeduse dall'ombrello opalinocontornato di azzurroe piccoli animali fosforescenti che avrebbero illuminato il nostroprocedere.

Tuttequeste meraviglie mi apparvero nello spazio di un quarto di miglioche percorsi fermandomi ogni tanto e seguendo il capitano Nemo che mirichiamava con la mano.

Poiil suolo cambiò: alla distesa di sabbia si sostituì untappeto di limo vischiosocomposto di conchiglie; percorremmo unadistesa di alghe che le acque non avevano ancora strappate e checrescevano rigogliose.

Questafitta a morbida prateria non aveva niente da invidiare ai piùbei tappeti tessuti dagli uomini: una vegetazione che si stendevasotto i nostri piedi e sopra le nostre teste.

Unapergola di piante marinedella grande famiglia delle alghesiintrecciava verso l'altoalla superficie dell'acqua.

Fluttuavanolunghi nastri dai filamenti sottili; notai che le piante verdi simantenevano più vicino alla superficie del marementre quellerosse stagnavano a media profondità e piante marine nere obrune formavano giardini e aiuole sul fondo.

Avevamolasciato il Nautilus da circa un'ora e mezzo.

Eraquasi mezzogiorno e me ne accorsi dai raggi del soleperpendicolarisull'acquache non si rifrangevano più.

Lamagia dei colori svanì lentamente e con essa le sfumature dismeraldo e di zaffiro.

Colterreno che scendeva con una forte pendenzala luce assunse unaintensità uniforme.

Avevamoraggiunto i cento metrisopportando una pressione di dieciatmosfere.

Malo scafandro era davvero eccezionale: non ne risentivo per niente.

Provavosoltanto un certo formicolio alle dita che ben presto cessò.

Anchela stanchezzadel tutto naturale per quel tipo di passeggiatanonsi faceva sentire.

Riuscivoa compiere ogni movimento con sorprendente facilità.

Superatala profondità di cento metriintravedevo ancora i raggi delsolema debolmente: alla loro luminosità intensa era seguitoun crepuscolo rossastro.

Tuttaviavedevamo abbastanza bene per orientarci e non era ancora necessariousare le lampade.

Ilcapitano Nemo si fermòaspettò che lo raggiungessipoi mi indicò alcune masse oscure che si profilavanonell'ombraa poca distanza da noi.

Eccola foresta di Crespopensai.

Nonmi ingannavo.




16

Laforesta sottomarina.

Avevamoraggiunto i margini di quella fantastica forestacertamente unadelle più belle dell'immenso dominio sottomarino del capitanoNemo.

Eglila considerava sua e si attribuiva su di essa gli stessi diritti chei primi uomini avevano sulla terra agli albori del mondo.

D'altrapartechi avrebbe potuto contestargli il possesso di quella zonasottomarina?

Qualealtro pioniere più ardito sarebbe venutoascia alla manoaesplorare l'oscuro bosco?La foresta si componeva di grandi piantearborescenti edopo che fummo penetrati sotto le sue ampie volteilmio sguardo fu subito colpito dalla singolare disposizione dei lororami come non avevo mai riscontrato.

Nessunadelle erbe che tappezzavano il suolonessun ramo che sporgeva dagliarbusti si stendeva orizzontalmente o si incurvava:tutti tendevanoverso la superficie dell'oceano.

Leliane si sviluppavano seguendo una linea rigida e perpendicolarecostrette in tale posizione dalla densità dell'elemento in cuierano cresciute.

Eranoimmobili equando le spostavo con la manoriprendevano subito laloro posizione primitiva.

Eravamonel regno della verticalità.

Miabituai presto a quella disposizione bizzarracome pure allarelativa oscurità che ci avvolgeva.

Ilsuolo della foresta era cosparso di sassi taglienti che era difficileevitare.

Laflora sottomarina mi sembrava ben rappresentatapiù ricca diquella delle zone artiche o tropicali.

Osservaicome tutta quella manifestazione del regno vegetale si tenesse unitaal suolo con un impasto indefinito.

Sprovvistadi radiciindipendente dai corpi solidisabbiaconchiglie e sassicui si sorreggevavi cercava solamente un punto d'appoggiononnutrimento.

Perla maggior parteinvece di fogliegermogliava lamine di formecapricciosecircoscritte in una ristretta gamma di colori checomprendeva solo il rosail carminioil verdeil verde olivailfulvo e il marrone.

Làpotei rivederema non più disseccate come i reperti delNautilusalghe disposte a ventaglio che sembravano cercare labrezzaraggruppate in mazzi che raggiungevano i quindici metri.

Fraquella vegetazione alta come le piante delle zone temperate e sottola loro umida ombrasi ammassavano dei veri cespugli dai fioriviventi: gli zoofiti.

Versol'unail capitano Nemo ordinò l'alt.

Permio contone fui molto soddisfatto e mi stesi sopra una poltrona dimuscoaccarezzato da lamine lunghe e sottili che si drizzavano comefrecce.

Quelmomento di riposo mi sembrò delizioso.

Mancavasolo il piacere della conversazione: era impossibile parlareeraimpossibile rispondere.

Avvicinaila sfera di bronzo che conteneva la mia testa a quella di Conseil evidi gli occhi di quel bravo ragazzo brillare di contentezza.

Insegno di soddisfazioneegli prese ad agitarsi nello scafandro e lasua espressione era quanto mai buffa.

Dopoquattro ore di quella passeggiataero meravigliato di non sentiregli stimoli della fame: a cosa fosse dovuta quell'insolitadisposizione dello stomaco non saprei dirlo.

Incompensoprovavo un'insormontabile voglia di dormirecosìcome capita a tutti i pescatori di perle.

Benpresto i miei occhi si chiusero dietro lo spesso vetro del mio cascoe caddi in un'invincibile sonnolenza che solo il movimento dellamarcia aveva potuto combattere fino a quel momento.

Ancheil capitano Nemo e il suo robusto compagnostesi in quel limpidoelementosi addormentarono.

Nonposso dire dopo quanto tempo mi svegliai.

Ilcapitano Nemo era già in piedi e io cominciavo astiracchiarmiquando un'apparizione inattesa mi fece saltare su discatto.

Apochi passi di distanzaun mostruoso ragno di marealto oltre unmetromi guardava fissamentepronto a slanciarsi su di me.

Quantunqueil mio scafandro fosse abbastanza spesso da proteggermi dai morsi diquella bestianon potei frenare un movimento di orrore.

Inquel momento si svegliarono anche Conseil e il marinaio del Nautilus.

Ilcapitano Nemo mostrò al suo compagno l'orribile animale equesti l'abbatté prontamente col calcio del fucile.

Vidile terribili zampe del mostro torcersi in convulsioni tremendenellabreve agonia.

Quell'incontromi fece pensare che altri animalipiù pericolosidovevanoabitare quelle oscure profondità e che il mio scafandro nonsarebbe stato in grado di proteggermi dai loro attacchi.

Finoa quel momento non ci avevo pensatoma da allora cominciai a starein guardia.

Inoltrepensavo che quella sosta segnasse la fine della nostra passeggiatama mi sbagliavo: anziché far ritorno al battelloil capitanoNemo riprese la sua audace escursione.

Ilterreno continuava a scendere e il pendio si accentuava sempre dipiùconducendoci a maggiori profondità.

Dopoaver camminato a lungoarrivammo a una valle strettaincassata fragrandi pareti a piccoposta a circa centocinquanta metri diprofondità.

Graziealla perfezione della nostra attrezzaturaavevamo cosìsorpassato di novanta metri il limite che la natura sembrava averpostoalmeno fino a quel momentoall'escursioni sottomarinedell'uomo.

Hodetto centocinquanta metriperò non avevo nessuno strumentoche mi permettesse di calcolare la profondità.

Mibasavo semplicemente sul fatto che generalmenteanche nelle acquepiù limpideI raggi solari non penetrano oltre.

Oral'oscurità era profonda; non si vedeva nulla alla distanza didieci passi.

Stavocamminando a tentoniquando all'improvviso vidi brillare una lucebianca assai viva: il capitano Nemo aveva messo in azione il suoapparecchio elettrico.

Ilsuo compagno lo imitò e anch'io e Conseil seguimmo il loroesempio.

Stabiliiil contatto girando un interruttore e il marerischiarato dai nostriquattro fanalisi illuminò per un raggio di venticinquemetri.

Ilcapitano Nemo continuò ad avanzare nelle oscure profonditàdella forestai cui alberi si andavano sempre più diradando:vidi che la vita vegetale veniva a mancare prima della vita animale:le piante sottomarine erano già sparite e il suolo era aridoma un gran numero di animalizoofitiarticolatimolluschi e pescidi ogni genere ci sgusciavano intorno.

Continuavoa camminare e pensavo che le nostre luci avrebbero certamenteattirato qualche abitante di queste zone buie.

Misbagliavo: anche se si avvicinavanosi tenevano sempre a unadistanza troppo grande per i nostri fucili; parecchie volte osservaiil capitano Nemo fermarsi e preparare l'armama dopo qualche istanteegli la riponevariprendendo la marcia.

Quellameravigliosa escursione ebbe termine quando un muro di rocce superbee di una grandezza imponente si drizzò davanti a noiammassodi blocchi giganteschienorme scogliera di granito perforata dagrotte oscurema che non presentava nessun passaggio praticabile.

Eranole propaggini dell'isola di Crespo.

Erala terra.

Ilcomandante si fermò di colpo.

Conun gesto ci fece fermare eper quanto desideroso fossi di scalarequella paretedovetti obbedire.

Lìfiniva il dominio del capitano Nemo ed egli non l'avrebbe superato:di là vi era quella parte del globo che egli non voleva piùtoccare.

Cominciòil ritorno.

Ilcomandante si era di nuovo messo alla testa del piccolo gruppoguidandolo senza un attimo di incertezza.

Miaccorsi che non seguivamo la strada percorsa all'andatama un nuovosentieromolto ripido e di conseguenza molto faticosoche peròci avvicinava più rapidamente alla superficie.

Riapparvela luce.

Ilsole era già basso sull'orizzonte e con i suoi raggi creava dinuovo intorno agli oggetti un alone iridescente.

Adieci metri di profonditàavanzavamo attorniati da sciami dipesciolini di ogni speciepiù numerosi e più agilidegli uccelli nell'aria.

Tuttavial'occasione per un colpo di fucile non si era ancora presentata.

Inquel momentovidi però il capitano Nemo imbracciarerapidamente l'arma e prendere di miraattraverso le algheuna massamobile.

Ilcolpo partìsentii appena un fruscio e un animale caddefulminato a pochi passi da noi.

Erauna lontra di mareun esemplare splendido dell'unico quadrupedeesclusivamente marino.

L'animalelungo un metro e mezzodoveva valere parecchio: la pellemarrone eargentataavrebbe potuto diventare una di quelle meravigliosepellicce tanto ricercate sui mercati russi e cinesie la finezza ela lucentezza del suo pelo l'avrebbero fatta valutare almeno duemilafranchi.

Sentiidell'autentica ammirazione per quello strano mammifero con la testarotonda e le orecchie piccoleocchi tondi e baffi bianchi simili aquelli dei gatticon le zampe palmate e dotate di unghie e la codavoluminosa.

Uncarnivororicercatissimo dai pescatoriche è ormai diventatorarissimotantoché lo si trova soltanto in alcune zone delPacificodove probabilmente la sua razza è destinata adestinguersi.

Ilmarinaio che seguiva il capitano Nemo raccolse l'animalese locaricò sulle spalle e ci rimettemmo in cammino.

Perun'ora davanti a noi si stese una pianura di sabbia con degliavvallamenti.

Qualchevolta si arrivava a due metri dalla superficie e allora vedevo lanostra immagine riflessa chiaramente alla rovescia.

Altrofenomeno da notare era il passaggio di grosse nuvole che si formavanoe sparivano rapidamente.

Riflettendocompresi che quelle presunte nuvole altro non erano che il variospessore delle lunghe ondate e riuscii anche a distinguere le frangespumose che la loro crestaricadendo rifrangeva sul mare.

Nonerano che ombrecome quelle dei grossi uccelli che volavano sullenostre teste.

Inquell'occasione fui testimone di uno dei più bei colpi difucile che abbia mai fatto entusiasmare il cuore di un cacciatore.

Ungrande uccellocon un'ampia apertura alaresi avvicinava planando.

Ilcompagno del capitano Nemo lo prese di mira e sparònonappena fu a qualche metro sulla superficie marina.

L'animalecadde fulminato e l'impeto della caduta lo trascinò fino alpunto dove si trovava il cacciatore.

Eraun albatro tra i più belli che avessi mai visto.

Lanostra marcia non era stata interrotta da quell'avvenimento.

Perdue ore continuammo a camminare su un fondo spesso vario e semprepenoso da superare.

Francamentenon ne potevo piùe finalmente vidi una vaga luce cherompevaa circa mezzo migliol'oscurità delle acque.

Erail fanale del Nautilus.

Primadi venti minuti avremmo dovuto raggiungerlo e là avreirespirato a mio agio: mi sembrava infatti che il mio serbatoio mifornisse ormai un'aria molto povera di ossigeno.

Maavevo fatto i conti senza prevedere un incontro che ci avrebbe fattoperdere del tempo.

Erorimasto indietro di una ventina di passiquando vidi il capitanoNemo ritornare bruscamente verso di me.

Conle sue mani vigorose mi piegò verso il bassomentre il suocompagno faceva lo stesso con Conseil.

All'inizionon sapevo che cosa pensare di quell'attacco improvvisoma mirassicurai osservando che il capitano Nemo mi si accucciava accanto erestava immobile.

Eravamostesi al suoloal riparo di un cespuglio di alghequandoalzandola testadistinsi due enormi masse che passavano rumorosamenteproiettando bagliori fosforescenti.

Ilsangue mi si gelò nelle vene.

Avevoriconosciuto i terribili squali che incombevano su di noi: era unacoppia di "tintoreas" dalla coda enormedallo sguardosmorto e vetrosoche emettevano una materia fosforescente attraversofori intorno al muso.

Nonso se Conseil si ricordò di classificarli: per conto mioguardavo il loro ventre argentatola terribile gola e i formidabilidenti sotto un aspetto poco scientificopiù come vittima checome studioso.

Perfortuna questi terribili animali ci vedono poco e la coppia passòvia senza scorgercisfiorandoci con le pinne brunastrecosìche sfuggimmo per miracolo a un pericolo senza dubbio peggioredell'incontro con una tigre in piena foresta.

Dopouna mezz'oraguidati dalla luce elettricaraggiungemmo il Nautilus.

Laporta esterna era rimasta aperta enon appena fummo nella primacabinail capitano Nemo la richiuse.

Poipremette un pulsante.

Sentiimanovrare le pompe all'interno della nave e l'acqua cominciò adiminuire attorno a me.

Pocodopoquando la cabina fu del tutto vuotasi aprì la portainterna e noi passammo nel magazzino.

Lànon senza faticaci liberammo dei nostri scafandriquindi esaustointontito e pieno di sonnoraggiunsi la mia cabinaancora storditodalle meraviglie incontrate in quella sorprendente escursione sulfondo del mare.

Ilgiorno dopo mi ero perfettamente rimesso dalla fatichedell'escursione e salii sulla piattaforma proprio nel momento in cuiil secondo del Nautilus pronunciava la sua misteriosa frasequotidiana.

Mivenne allora in mente che si riferisse alle condizioni del mare o chepotesse significare "Niente in vista".

Effettivamentel'oceano era deserto.

Nonuna vela all'orizzonte e le coste dell'isola di Crespo eranoscomparse durante la notte.

Ilmare assorbiva tutti i colori del prismaa eccezione dei raggi bluche rifletteva in tutte le direzionirivestendosi di una magnificatinta indaco.

Riflessicangianti apparivano regolarmente sulla cresta delle onde.

Stavoammirando il magnifico spettacolo dell'oceanoallorchéapparve il capitano Nemo.

Sembròche non si accorgesse della mia presenza e cominciò una seriedi osservazioni astronomiche.

Quandoebbe terminati i calcoliandò ad appoggiarsi alla gabbia delfanale e il suo sguardo si perse nell'immensità dell'oceano.

Nelfrattempouna ventina di marinai del Nautilustutta gente vigorosae agileerano saliti sulla piattaforma per ritirare le reti messe atraino durante la notte.

Quegliuomini di mare appartenevano chiaramente a nazioni differentibenchétutti avessero in comune tratti europei.

Sonocerto di non sbagliarmi dicendo che vi ho riconosciuto degliirlandesidei francesiqualche slavoun greco o un cipriota.

Quegliuominimolto parchi di parolecomunicavano fra loro solamente conquel linguaggio bizzarro di cui non potevo immaginare nemmenol'origine.

Perciòfu giocoforza rinunciare a interrogarli.

Lereti furono tirate a bordo.

Enormisacche che un sostegno galleggiante e una catena infilata nellemaglie inferiori tenevano aperte.

Questesacchetrainate da gomene di metallospazzavano il fondo del mareraccogliendo tutto ciò che incontravano nel loro passaggio.

Raccoltele reticalcolai che quella pesca avesse fruttato più dimille libbre di pesce.

Erauna bella retatama non sorprendente dato che le reti erano rimasteal traino per parecchie orechiudendo nelle loro prigione di cordatutto un mondo acquatico.

Veramentenon c'era pericolo che restassimo senza viveri di buona qualitàpoiché la velocità del Nautilus e l'attrazione del suofanale elettrico potevano rinnovare le provviste in continuazione.

Queidiversi prodotti del mare furono immediatamente avviati alla cambusaattraverso il boccaportoalcuni destinati a essere mangiati freschialtri a essere conservati.

Finitala pesca e rinnovata la provvista d'ariapensando che il battelloriprendesse la sua navigazione sottomarinami stavo avviando perdiscendere in cabinaquando il capitano Nemovolgendosi verso dimemi disse senz'altro preambolo:- Vedeteprofessoreche anchel'oceano è dotato di una vita reale?

Anch'essoha i suoi scatti d'ira e i suoi momenti di dolcezza.

Ierisi è addormentato come noi edopo aver passato una buonanotte di riposoecco come si risveglia.

Nonun buongiorno o altro saluto.

Sisarebbe detto che quel tipo strano continuasse una conversazione giàiniziata.

-Guardate - riprese.

-Si sveglia sotto le carezze del sole e sta per ricominciare il suonuovo giorno.

Sarebbeuno studio interessante seguire le articolazioni del suo organismopoiché possiede polsiarterieha i suoi spasimi.

Sonod'accordo con quello studiosoMauryche ha creduto di scoprirvi unavera circolazione come quella sanguigna degli animali.

Eraevidente che il capitano Nemo non si attendeva da me nessunarispostacosì che mi sembrò inutile ammannirgli dei"certo" o dei "precisamente".

Piùche a mestava parlando a se stesso e faceva lunghe pause tra unafrase e l'altra: la sua poteva essere definita una meditazione a vocealta.

-Sì - ricominciò - l'oceano possiede realmente unsistema circolatorio.

Ilcalore crea delle densità diversecausando correnti econtrocorrenti.

L'evaporazionenulla nelle zone iperboree e molto attiva nelle zone equatorialicausa un continuo scambio fra le acque polari e quelle tropicali.

Vedreteal polo le conseguenze di questo fenomeno e comprenderete perchéa causa della preveggenza della naturail congelamento delle acquepuò prodursi esclusivamente sulla superficie del mare.

Mentreil capitano Nemo terminava il suo discorsoio mi dicevo:il polo?

Chequesto strano e audace personaggio voglia condurci fin là?Nelfrattempo il comandante aveva smesso di parlare e guardava quelleacque che così completamentecosì incessantementeaveva studiato.

Poiriprese:- Nel mare la vita èpiù che sui continentiesuberantecompletae si riversa in tutte le parti dell'oceano.

Elementodi morte per l'uomol'hanno definitoma elemento di vita per unamiriade di esseri viventi e per me.

Quandoparlava cosìquell'uomo si trasfiguravacreando in meun'emozione straordinaria.

-Così - aggiunse - la vera vita è qui.

Ioconcepirei la creazione di città sottomarinedi agglomeratidi case nautiche checome il Nautilusritornassero ogni mattina insuperficie per respirare.

Cittàliberese mai ve ne furonocittà indipendenti.

Ameno chechissàqualche despota...

Sifermò con un gesto violentopoirivolgendosi direttamente amecome per scacciare un pensiero tormentosodomandò:-Sapete quanto è profondo l'oceanoprofessore?- Conosco solo irisultati ottenuti dai principali sondaggi.

-Potete citarmelicosì cheal casopossa controllarli?-Eccovene qualcuno che mi torna alla mente - risposi.

-Se non mi sbaglionell'Atlantico del Nord hanno trovato unaprofondità media di ottomiladuecento metri e diduemilacinquecento nel Mediterraneo.

Mai risultati più riguardevoli sono stati ottenutinell'Atlantico del Sudattorno al trentacinquesimo paralleloefurono rispettivamente di dodicimila metriquattordicimilanovantunometri e quindicimilacentoquarantanove metri.

Insommasi stima che se si livellasse il fondo dei marila profonditàmedia sarebbe di sette chilometri circa.

-Grazieprofessore - rispose il capitano Nemo.

Sperodi potervi mostrare qualcosa di meglio di questo.

Perquanto riguarda la profondità media di questa parte delPacificoposso dirvi che è di quattromila metri soltanto.

Ciòdettosi diresse verso il boccaporto e sparì.

Loseguii e ritornai nella grande sala.

Pocodopo sentii l'elica mettersi in movimento e il solcometro indicòuna velocità di venti nodi.




17

Ilregno del corallo Il 18 gennaioil Nautilus si trovava a 105 gradidi longitudine e a 15 gradi di latitudine sud.

Iltempo era minacciosoil mare oleoso e duro; il vento soffiavapesantemente da est.

Ilbarometroche già da qualche giorno continuava a scendereannunciava come prossima una lotta fra gli elementi.

Erosalito sulla piattaforma nel momento in cui il secondo stavarilevando con il sestante la latitudine.

Aspettavocome al solitoche fosse pronunciata la nota frase in linguasconosciutama quel giorno essa fu sostituita da un'altra non menoincomprensibile.

Subitodopo vidi apparire il capitano Nemo chemunito di un binocolosimise a scrutare l'orizzonte.

Perparecchi minuti egli restò immobilesenza perdere di vista ilcampo visivo che aveva inquadrato.

Poidopo aver abbassato il binocoloscambiò alcune frasi con ilsecondoil quale si sarebbe detto in preda a un'emozione che cercavainvano di contenere.

Ilcapitano Nemoche sapeva dominarsi megliorimaneva impassibile.

Apparentementesembrava che il secondo facesse delle obiezioni alle quali ilcomandante rispondeva con delle assicurazioni formali.

Cosìalmeno interpretai il loro colloquiodalla differenza di tono e digesti.

Perconto mioavevo accuratamente scrutato nella medesima direzionemasenza distinguere niente.

Ilcielo e il mare si confondevano su una linea d'orizzonte di unaperfetta chiarezza.

Intantoil capitano Nemo percorreva da un capo all'altro la piattaformasenza guardarmi eforsesenza nemmeno vedermi.

Ilsuo incedere era sicuroma meno regolare del solito.

Atratti si fermava econ le braccia conserteosservava il mare.

Checosa cercava su quell'immenso spazio?

Infattiin quel momento il Nautilus si trovava a qualche centinaio di migliadalla costa più vicina.

Ilsecondo aveva preso a sua volta il binocolo e scrutava l'orizzonte.

Andavae venivapestava i piedi contrastandonella sua agitazione nervosacon l'atteggiamento del suo comandante.

D'altrapartequel mistero doveva essere ben presto svelatopoichédi lì a un po'per ordine del capitano Nemole macchineaumentando la loro potenza propulsivaimpressero all'elica unarotazione più rapida.

Subitodopoil secondo attirò di nuovo l'attenzione del comandanteil quale interruppe il suo andare e diresse il binocolo verso ilpunto indicato che scrutò a lungo.

Conl'animo inquietoscesi nel salone e ne ritornai con un eccellentecannocchiale di cui avevo l'abitudine di servirmi edopo averloappoggiato sulla gabbia del fanaleche formava un ottimo sostegno aprua della piattaformami disposi a osservare tutta la lineadell'orizzonte.

Mail mio occhio non s'era ancora appoggiato all'ocularequando lostrumento mi fu strappato con forza dalle mani.

Mivoltai.

Davantia me stava il capitano Nemoma stentavo a riconoscerlo.

Lasua fisionomia si era trasfigurata: gli occhi brillavano di un fuococupo e quasi scomparivano sotto le sopracciglia aggrottate; i dentierano a metà scoperti; il corpo era tesoi pugni chiusilatesta incassata fra le spalle.

Tuttostava a testimoniare l'odio violento da cui era preso.

Nonfece un gesto: il cannocchiale strappatomi di mano era caduto ai suoipiedi.

Eroioallorache senza volerlo avevo provocato quell'accesso dicollera?

Quell'incredibilepersonaggio pensava forse che io avessi scoperto qualche segretovietato agli ospiti del Nautilus?Nonon potevo essere io l'oggettodi quell'odiopoiché non guardava me: il suo sguardo restavaostinatamente fisso all'orizzonteperso in un punto fra cielo emare.

Infinepadrone di sé: i suoi trattiprima così profondamentealteratiripresero la calma espressione abituale ed egli rivolse alsecondo alcune parole in quella lingua sconosciuta.

-Signor Aronnax - mi disse poi con un tono molto imperioso - ègiunto il momento che io vi ricordi l'osservanza di uno degli impegniche avete assunto con me.

-Di qualecomandante?- Bisogna che voi e i vostri compagni vilasciate rinchiudere fino al momento in cui riterrò opportunoridarvi la libertà.

-Il padrone siete voi - dissi guardandolo fissamente.

-Potrei farvi una domanda?- Nessuna.

Difronte a quel secco diniego non c'era più da discuterema daobbedirenon foss'altro perché ogni resistenza sarebbe stataimpossibile.

Discesinella cabina dei miei compagni e li informai della decisione delcomandante.

Vilascio immaginare come fu accolta la notizia dal canadese.

D'altrapartemancò il tempo per qualsiasi spiegazioneperchéquattro uomini dell'equipaggio apparvero sulla porta e ci condusseronella piccola cella dove avevamo passato la nostra prima notte abordo del Nautilus.

NedLand avrebbe voluto reclamarema per tutta risposta la porta sirichiuse alle nostre spalle.

-Il signore sarà così gentile da dirmi che cosasignifica tutto ciò?

-mi chiese Conseil.

Riferiiquanto era successo e i miei compagni rimasero perplessi quanto me.

Nelfrattempo mi ero immerso in un abisso di riflessioni e la stranaapprensione del capitano Nemo non abbandonava la mia memoria.

Miriusciva impossibile collegare due pensieri logici e mi perdevo inipotesi assurdequando fui riportato alla realtà dalla vocedi Ned Land:- To'è pronto in tavola!

Evidentementeil capitano Nemo aveva dato l'ordine di servire il pranzocontemporaneamente a quello di aumentare la velocità delNautilus.

-Il signore permette che gli faccia una raccomandazione?

-mi domandò Conseil.

-Certamente.

-Pregherei il signore di mangiare.

Perprudenzapoiché non sappiamo che cosa potrà capitarci.

-Hai ragione.

-Disgraziatamente - interloquì Ned Land - ci hanno portato soloquello che passa la cucina di bordo.

-Che cosa ne diresteallorase ci avessero fatto saltare il pastocompletamente?

-ribatté Conseil.

Ciòindusse il ramponiere a ringoiare ogni recriminazione.

Cimettemmo a tavola e pranzammo in silenzio.

Iomangiai pocoConseil "si sforzò"sempre perprudenzae Ned Landper quanto il cibo non fosse di suo gradimentodivorò a quattro palmenti.

Poitornò a rintanarsi nel suo angoletto.

Comese fosse stato un segnaleil globo luminoso che rischiarava la cellasi spenselasciandoci nella completa oscurità.

NedLand non tardò ad addormentarsi ecosa che mi meravigliòassaianche Conseil si lasciò andare a un sonno pesante.

Stavochiedendomi che cosa avesse potuto causargli quell'imperioso bisognodi dormirequando mi accorsi che anche la mia mente stava cedendo aun pesante torpore e che gli occhi mi si chiudevano contro la miavolontà.

Evidentementei cibi che ci erano stati serviti contenevano qualche sostanzasoporifera.

Nonera dunque sufficiente la cellaper tenerci nascosti i progetti delcapitano Nemo: bisognava anche che dormissimo.

Feciin tempo a sentire che il boccaporto si chiudevapoi le ondulazionidel mareche provocavano un leggero rolliocessarono.

Dunqueil Nautilus si era immerso?

Erarientrato nel letto immobile delle onde?Avrei voluto resistere alsonnoma fu impossibile: la mia respirazione s'indebolìmentre un senso di gelo m'invadeva il corpo appesantito e quasiparalizzato.

Lepalpebrevere calotte di piomboscesero sugli occhi ed io caddi inun sonno morbosoin un intrecciarsi di allucinazioni.

Poile visioni sparirono e mi lasciarono nel più assolutoannientamento.

Ilgiorno dopo mi svegliai con la mente inaspettatamente lucida econmia grande sorpresami ritrovai nella mia camera.

Certamenteanche i miei compagni erano stati riportati nelle loro cabine senzache se ne accorgesserocome era successo a me.

Ecome me essi ignoravano quello che era accaduto in quelle ultime ore:per svelarne il mistero potevo contare solo su un casoin futuro.

Pensaidi uscire dalla stanzama ero libero o prigioniero?

Andaialla porta: si aprì.

Erodi nuovo libero.

Percorsiil corridoio e salii la scala centrale: il boccaporto era aperto epotei issarmi sulla piattaforma.

Vitrovai Ned Land e Conseil che mi attendevano.

Liinterrogai macome avevo immaginatonon sapevano niente: immersi inun sonno pesante e senza sognierano rimasti molto sorpresi diritrovarsial loro risveglioin cabina.

Quantoal Nautilusci sembrava tranquillo e misterioso come al solito.

Navigavain superficie a velocità moderata e a bordo niente parevamutato.

NedLand scrutava il mare con i suoi occhi penetranti.

Eradeserto ed egli non scorse niente di nuovo all'orizzontenévele né terra.

Unabrezza abbastanza forte soffiava da ovest e le onde lunghe e bassesospinte dal ventoimprimevano all'imbarcazione un sensibile rollio.

IlNautilusdopo aver rinnovato l'ariasi immerse e si mantenne a unaprofondità media di quindici metriin modo da poter tornareprontamente in superficie.

Contrariamentealle abitudiniquesta manovra fu ripetuta parecchie volte nel corsodi quel 19 gennaio.

Ognivoltail secondo saliva sulla piattaforma e la frase abitualerisuonava all'interno del battello.

Ilcapitano Nemo non comparve: degli uomini dell'equipaggio vidi solol'impassibile cameriereche mi servì con la precisione e ilmutismo che gli erano soliti.

Versole quattordicimentre ero in salone occupato a riordinare i mieiappuntila porta si aprì e apparve il comandante.

Losalutai e lui mi rispose con un cenno quasi impercettibilesenzarivolgermi la parola.

Mirimisi al lavorosperandoperòche mi desse spiegazionisugli avvenimenti del giorno precedente.

Manon disse niente.

L'osservai:pareva stancogli occhi arrossati stavano a dimostrare il sonnoperduto e tutto nel suo viso esprimeva una tristezza profondaunvero dolore.

Andavae venivasi sedeva e si rialzavaprendeva un libro a caso e subitodopo lo rimetteva a postoconsultava gli strumenti senza prendere isoliti appunti: sembrava non potesse trovar pace.

Allafine mi chiese:- Siete medicovoisignor Aronnax?Non mi aspettavocerto una domanda simile e lo guardai perplessosenza rispondere.

-Siete medico?

-tornò a chiedere.

-Molti vostri colleghi hanno studiato anche medicina.

-Certamente - confermai.

-Sono laureato in medicina e ho fatto anche l'internato in ospedale.

Hoesercitato per parecchi anni prima di dedicarmi al Museo.

-Molto bene.

Evidentementela mia risposta aveva soddisfatto il capitano Nemo.

Manon sapendo dove volesse arrivareaspettai nuove domanderiservandomi di rispondere secondo le circostanze.

-Consentireste a prestare le vostre cure a uno dei miei uominiprofessore?- C'è un malato a bordo?- Sì.

-Sono pronto a seguirvi.

-Venite.

Confesseròche ero emozionato.

Nonso perchéma sentivo che c'era un certo nesso fra la malattiadi quel marinaio e gli avvenimenti del giorno precedente e quelmistero mi preoccupava almeno quanto l'infermo.

Ilcapitano Nemo mi portò a poppa e mi fece entrare in una cabinasituata presso gli alloggi dell'equipaggio.

Làsul lettogiaceva un uomo di una quarantina d'annidall'espressioneenergica; esemplare tipico dell'anglosassone.

Micurvai su di lui.

Nonera malato: era ferito e la sua testaavvolta in bende insanguinateera appoggiata su due cuscini.

Svolsile fasce e il feritoguardandomi con i suoi grandi occhi fissimilasciò fare senza emettere un solo lamento.

Laferita era orribile.

Ilcraniofracassato da uno strumento contundentemostrava la materiacerebrale profondamente lesa.

Grumisanguigni si erano formati nella massa che ne fuoriusciva.

Larespirazione del ferito era lenta e qualche movimento spasmodicoagitava i muscoli facciali.

Presiil polso del ferito: il battito era intermittente.

Leestremità si stavano già raffreddando e mi accorsi chela morte si stava avvicinandosenza che mi sembrasse possibileallontanarla.

Dopoaver pulito la feritagli fasciai nuovamente la testa e mi volsiverso il capitano Nemo.

-Com'è accaduto?- Che importanza ha?

-disse evasivamente il comandante.

-Un colpo del battello ha rotto il braccio di una leva e ha colpitoquest'uomo.

Maqual è il suo parere sul suo stato di salute?Esitavo arispondere.

-Parlate liberamente - disse il comandante.

Quest'uomonon capisce il francese.

Guardaiancora una volta il feritoquindi risposi:- Sarà morto entrodue ore.

-Niente può salvarlo?- Niente.

Ipugni del comandante Nemo si strinsero e due lacrime spuntarono inquegli occhi che non avrei mai creduto capaci di piangere.

Perqualche tempo ancoraosservai il marinaio che la vita stavaabbandonando a poco a poco.

Ilsuo pallore cresceva nel vivido chiarore della luce elettrica cheilluminava il suo letto di morte.

Guardavoquel viso dall'espressione intelligentesolcato da rughe precoci chele disgrazie e forse le miserie avevano scavato da tempo.

Speravodi sorprendere il segreto della sua vita nelle ultime parole che sisarebbe lasciato sfuggire nell'agonia.

Manon mi fu possibile.

-Potete ritirarvisignor Aronnax - disse il capitano Nemo.

Lolasciai nella cabina del moribondo e ritornai nella mia stanzaprofondamente colpito da quella scena.

Pertutta la giornata fui agitato da sinistri presentimenti.

Lanotte dormii male etra i sogni frequentemente interrottiebbil'impressione di sentire dei sospiri lontani e una melodia funebre.

Sitrattava forse di una preghiera per i mortimormorata in quellalingua che non potevo comprendere?Quandoil mattino successivosalii sul pontevidi che il capitano Nemo mi aveva preceduto.

Nonappena mi scorse mi si avvicinò.

-Vorreste fare un'escursione sottomarinaprofessore?

-mi domandò.

-Con i miei compagni?- Se ne avranno piacere.

-Siamo a vostra disposizione.

-Allora provvedete a indossare i vostri scafandri.

Almoribondoo morto che fossenon accennò affatto.

Raggiunsii miei compagni e riferii la proposta del capitano Nemo.

Conseilaccettò prontamente e anche il canadesequesta voltasimostrò ben disposto a seguirci.

Eranole otto del mattino: alle otto e mezzo eravamo pronti per la nuovapasseggiata.

Ladoppia porta della cabina stagna fu aperta eaccompagnati dalcapitano Nemoche era seguito da una dozzina di uominidell'equipaggioponemmo piede a una profondità di una decinadi metrisul suolo dove era adagiato il Nautilus.

Unaleggera discesa portava a un fondo accidentatoprofondo circaquindici bracciache era completamente diverso dal fondale che avevovisto durante la prima escursione sotto le acque dell'OceanoPacifico.

Quiniente sabbia sottileniente praterie sottomarinenessuna forestaacquatica.

Riconobbiimmediatamente la regione meravigliosa in cui il capitano Nemo ciconduceva: era il regno dei coralli.

Ilcorallo è un insieme di animaletti riuniti su un polipaiofragile e pietroso.

Essihanno un unico generatore che li produce per gemmazione e possiedonouna vita propriapur partecipando all'esistenza comune.

E'insommauna specie di socialismo naturale.

Avevostudiato le ultime scoperte fatte su questo bizzarro zoofito che simineralizza vegetandosecondo una giustissima definizione deinaturalisti.

Nientepoteva essere più interessante per me che visitare una diquelle foreste pietrificate che la natura ha impiantato in fondo almare.

Gliapparecchi per l'illuminazione furono azionati e noi seguimmo unbanco di coralli in via di formazione chetra molto tempochiuderàquella porzione dell'Oceano Indiano.

Lastrada era circondata da inestricabili cespugli formati da groviglidi ramoscellicoperti da piccoli fiori stellati dai petali bianchi.

Maal contrario di come avviene alle piante sulla terraquelleinfiorescenze si protendevano tutte dall'alto verso il basso.

Laluce produceva mille effetti meravigliosigiocando in mezzo a quegliarabeschi così vivamente colorati.

Misembrava che quei rami fioriti e cilindrici oscillassero sotto lacarezza dell'acqua.

Avevola tentazione di cogliere le loro fresche corolle ornate da delicatitentacolialcune già apertealtre che stavano appenasbocciandomentre pesci sottilirapidi nuotatorile sfioravanopassando come uno stormo d'uccelli.

Mase la mia mano si avvicinava a quei fiori viventisubito l'interacolonia era in allarme: le corolle bianche rientravano nei lororifugi rossii fiori svanivano sotto i miei occhi e non vedevo piùche un blocco di ammassi pietrosi.

Proseguendoi cespugli divennero più foltila vegetazione piùalta.

Veriboschi pietrificati e lunghi architravi di un'architettura fantasticaci comparivano davanti.

Ilcapitano Nemo si spinse in una galleria oscura la cui discesa dolceci condusse a una profondità di cento metri.

Laluce dei nostri fanali produceva talvolta effetti magicistagliandole rugose asperità di quegli archi naturali e illuminando irami pendentidisposti come festoniche rilucevano come punte difuoco.

Trai cespugli corallininotai altri polipi non meno curiosi come imelitiiridi dalle ramificazioni articolate e alcune macchie dicorallinealcune verdialtre rossevere alghe incrostate nei lorosali calcarei che i naturalistidopo lunghe discussionihannodefinitivamente classificato nel regno vegetale.

Infinedopo due ore di marciaraggiungemmo una profondità di circatrecento metrivale a dire il punto più basso in cui ilcorallo comincia a formarsi.

Malà non c'era più il cespuglio isolato né ilmodesto bosco ceduo di basso fusto.

C'erala foresta immensala grande vegetazione mineralegli enormi alberipietrificatiuniti da ghirlande di eleganti plumarieliane del maretutte sfumature e riflessi.

Unospettacolo entusiasmante.

Eraproprio un peccato non poterci comunicare le nostre impressioniimprigionati com'eravamo nelle sfere metallichesenza possibilitàdi parlarci.

Perchénon potevamo vivere come i pesci o piuttosto come gli anfibichepossono percorrere tutte le praterie della terra e dell'acqua?A uncerto punto il capitano Nemo si fermò.

Anch'ioe i miei compagni sospendemmo la marcia egirandomividi che gliuomini dell'equipaggio formavano un semicerchio attorno al lorocomandante.

Guardandocon maggior attenzionemi accorsi che quattro di loro portavanosulle spalle un oggetto di forma oblunga.

Cieravamo fermati proprio al centro di una vasta raduracircondatadall'alta vegetazione della foresta sottomarina.

Lelampade proiettavano su quello spazio una specie di luce crepuscolareche allungava smisuratamente le ombre sul suolo.

Allimite della portata delle nostre lucil'oscurità ridiventavaprofonda e non raccoglieva che piccole scintille trattenute dai viviprofili del corallo.

NedLand e Conseil erano al mio fianco e a un tratto mi sorprese ilpensiero che stavamo per assistere a una scena quanto mai singolare.

Osservandoil suolovidi che in certi punti presentava lievi tumescenzeincrostate di depositi calcareidisposte con una regolaritàche tradiva la mano dell'uomo.

Inmezzo alla radurasu un piedistallo di roccia rozzamente intagliatasi innalzava una croce di corallo dalle lunghe braccia tese che sisarebbe detta fatta di sangue pietrificato.

Aun cenno del capitano Nemoun uomo si fece avanti ea pochi metridalla crocecominciò a scavare una fossa con un piccone cheaveva staccato dalla cintura.

Oramaiera evidente: quella radura era un cimiteroquella fossa una tombal'oggetto oblungo era il cadavere dell'uomo morto nella notte.

Ilcapitano Nemo e i suoi uomini stavano per seppellire il loro compagnoin quel cimitero segretoin fondo all'inaccessibile oceano.

Maiil mio spirito fu eccitato in un modo similemai idee tantoimpressionanti turbinarono nel mio cervello: non volevo credere a ciòche i miei occhi vedevano.

Nelfrattempola tomba si approfondiva lentamentei pesci fuggivano quae làdisturbati nel loro tranquillo rifugio.

Sentivorisuonare contro il suolo calcareo il ferro del piccone che a voltescintillavaurtando contro qualche silice perduto sul fondo delmare.

Lafossa si allungavasi allargava eben prestofu abbastanza ampiaper ricevere la salma.

Allorai portatori si avvicinarono e il corpoavvolto in un tessuto dibisso biancodiscese nella tomba sottomarina.

Ilcapitano Nemo e tutti i suoi amici si inginocchiarono inatteggiamento di preghiera e anch'iocon i miei compagnim'inchinaireligiosamente.

Latomba fu subito ricoperta di detriti raccolti dal suolocheformarono un piccolo rigonfiamento.

Allorail capitano Nemo e i suoi uomini si raddrizzaronopoiavvicinatisialla tombatutti tornarono a inginocchiarsi e stesero le mani insegno di eterno addio.

Dopodi chela comitiva dolente riprese la strada verso il Nautilusripassando sotto gli archi della forestain mezzo ai boschi ceduilungo i cespugli di corallocontinuando a salire.

Infinei fari di posizione apparvero e la loro traccia luminosa ci guidòal battello.

Altocco eravamo a bordo.

Dopoessermi liberato del mio costume sottomarinosalii sulla piattaformain preda a una terribile folla di idee e andai a sedermi vicino alfanale.

Quandoil capitano Nemo mi raggiunsemi alzai e gli chiesi:- Cosìcome avevo previstoquel marinaio è morto durante la notte?-Sìsignor Aronnax - egli rispose.

-E ora riposa insieme con i suoi compagni nel cimitero di corallo -osservai.

-Sìdimenticato da tuttima non da noi.

Enascondendo con un gesto brusco il viso dietro i pugni serratiilcapitano Nemo tentò invano di reprimere un singhiozzo.

Poiaggiunse:- Laggiù è il nostro tranquillo cimiteroatrecento metri sotto la superficie del mare.

-I vostri mortialmenovi possono dormire in pacecomandantealsicuro dagli assalti dei pescecani.

-Sìprofessore - rispose con gravità il capitano Nemo.

-Al sicuro dai pescecani e dagli uomini.




PARTESECONDA


1


Ilviaggio continua.

Quicomincia la seconda parte del mio viaggio sotto i mari.

Laprima si è chiusa con l'emozionante scena nel cimitero dicoralloche ha lasciato una traccia così profonda nel miospirito.

Cosìdunque la vita del capitano Nemo si svolgeva interamente nel senodell'immenso mare e perfino la tomba era preparata per lui negliabissi profondi dell'oceanodove nessun mostro marino sarebbe maiandato a disturbare l'ultimo sonno degli abitanti del Nautilusunitinella morte come lo erano stati nella vita.

"Bastacon gli uominiper sempre!

"aveva detto una volta il comandante.

Ancoraquella diffidenza arrabbiataimplacabile contro tutto il genereumano!

Perconto mionon mi accontentavo più delle ipotesi formulate daConseil.

Quelbravo figliolo insisteva nel vedere nel comandante del Nautilus unodi quei geni misconosciuti che rispondevano col disprezzoall'indifferenza dell'umanità.

Perlui si trattava sempre di un genio incompreso chestanco delledelusioni della terraaveva preferito rifugiarsi nelle inaccessibiliprofondità marine dove poteva vivere a suo gradimento.

Masecondo metale ipotesi spiegava solo uno dei lati del comportamentodel capitano Nemo.

Ilmistero di quella notte in cui eravamo stati imprigionati nella cellae addormentati col sonniferola violenza con cui il comandante miaveva strappato il cannocchiale dalle mani prima che fossi riuscito aportarlo agli occhila ferita mortale di quel marinaiodovuta a unoscontro inesplicabile del Nautilus...

Eranotutte cose che non succedono nella vita di un semplicetranquillostudioso.

Ilcapitano Nemoa mio parerenon si accontentava di sfuggire agliuomini: il suo formidabile apparecchio non gli serviva solamente persoddisfare i suoi istinti di libertàma forse anche per nonso quale terribile vendetta.

Inquel momentonon c'era niente di evidente per menon intravedevoin quelle tenebre di misteroche piccole scintille e dovevoaccontentarmi di scriverecome si suol diresotto il dettato degliavvenimenti.

Inoltremi dicevoniente ci lega al capitano Nemoil quale sa che èimpossibile fuggire dal Nautilus.

Nonsi è nemmeno curato di tenerci prigionieri sulla parolacosìche non ci trattiene alcun impegno d'onore.

Siamosolo dei prigionieri chiamati "ospiti" per una ragione dicortesia.

Aogni modo Ned Land non ha mai rinunciato alla speranza di recuperarela libertà ed è certo che riuscirà adapprofittare della prima occasione che il caso gli offriràAnch'io farò come luinon c'è dubbioanche se nonsenza una specie di rimpianto per la generosità con cui ilcapitano Nemo ci ha permesso di penetrare i misteri del suo Nautiluse delle profondità marine.

Inveritàbisogna odiare quest'uomo o ammirarlo?

E'un carnefice o una vittima?

Epoiper esser franchivorreiprima di abbandonarlo per semprechefosse finito questo giro del mondo sottomarinoil cui inizio èstato così sorprendente; vorrei aver osservato la seriecompleta delle meraviglie racchiuse nella profondità di tuttii mari.

Vorreiaver visto quello che nessun uomo ha ancora contemplatoanche sedovessi pagare con la vita questo mio bisogno insaziabile di sapere.

Checosa si è scoperto fin qui?

Nienteo quasipoiché abbiamo percorso soltanto seimila legheattraverso il Pacifico.

Sobene che il Nautilus si sta avvicinando alle terre abitate e chesequalche possibilità di fuga ci si offriràsarebbe unacrudeltà sacrificare la libertà dei miei compagni almio desiderio di conoscere.

Sarànecessario seguirli ese del casoguidarli.

Maquesta occasione si presenterà mai?

L'uomoprivato con la forza della propria libertàdesidera checapiti questa occasionema lo studiosoil curiosola teme.




2

Unanuova proposta del capitano Nemo.

Amezzogiorno del 28 gennaioritornando in superficie a 9 gradi e 4primi di latitudine nordil Nautilus si trovò in vista di unaterra a otto miglia a ovest.

Osservaiprima di tuttouna catena montagnosa alta circa settecento metrilacui configurazione si snodava molto capricciosamente.

Quandoil secondo ebbe rilevato il puntorientrai nel salone enon appenala posizione fu riportata sulla cartariscontrai che eravamo inpresenza dell'isola di Ceylonla perla che pende al lobo inferioredella penisola indiana.

Andaiin biblioteca a cercare qualche lettura relativa a quell'isolaunadelle più fertili del globoe trovai l'opera di Sirr "Ceylonand the cingalese".

Rientratonel salonela prima cosa che feci fu di annotare la posizione diCeyloncui nell'antichità erano stati dati tanti nomidiversi.

Sitrova fra i 5 gradi e 55 primi e i 9 gradi e 49 primi di latitudinenorde fra i 79 gradi e 42 primi e gli 82 gradi e 4 primi dilongitudine est dal meridiano di Greenwich.

E'lunga duecentosettantacinque migliala sua larghezza massima èdi centocinquanta migliala sua circonferenza novecento miglialasuperficie ventiquattromilaquattrocentoquarantotto migliaossia dipoco inferiore a quella dell'Irlanda.

D'improvvisoapparvero il capitano Nemo e il suo secondo.

Ilcomandante gettò un'occhiata sulla cartapoivolgendosiverso di me:- L'isola di Ceylon è celebre per i suoi banchiperliferi disse.- Vi piacerebbe visitarne unosignor Aronnax?-Certamente.

-Bene.

Saràmolto facile.

Viavverto però chese vedremo le zone di pescanon vedremo ipescatoriperché la raccolta annuale non è ancoracominciata.

Daròl'ordine di puntare la prua sul Golfo di Mannar: vi arriveremo nellanottata.

Mormoròqualche parola al secondo che subito uscì.

Pocodopoil Nautilus tornava a immergersi e il manometro indicava chenavigavamo a una profondità di nove metri.

Conuna carta sotto gli occhi cercai il Golfo di Mannar e lo trovai alnono parallelosulla costa nord-ovest di Ceylonvicino all'isolaomonima.

Perraggiungerlo bisognava risalire tutta la costa occidentale di Ceylon.

-Si pescano perle nel golfo del Bengalanell'Oceano Indianonei maridella Cina e del Giapponenei mari del Sudamericanel Golfo delMessico e in quello della California - disse il capitano Nemo - ma aCeylon questa pesca ottiene i migliori risultati.

Noivi arriviamo un po' presto: nel Golfo di Mannar i pescatori non siradunano che nel mese di marzo e làper trenta giornii lorotrecento battelli si dedicano al lucroso sfruttamento dei tesori delmare.

Ognibattello ha un equipaggio di dieci rematori e dieci tuffatori equestidivisi in due gruppisi tuffano alternativamenteraggiungendo una profondità di dodici metriaiutandosi conuna pesante pietra che trattengono con i piedi e che una corda tienelegata all'imbarcazione.

-Come?

-osservai stupito.

-E' sempre usato questo metodo primitivo?- Sempre - confermò ilcomandante.

-Pure i banchi perliferi appartengono al popolo più industrialedel globoagli inglesiai quali sono stati ceduti nelmilleottocentodue.

-Sto pensando che lo scafandrocome lo usa leisarebbe molto utilein simili operazioni.

-Sìpoiché attualmente i pescatori non possono restaremolto tempo sott'acqua.

Mirisulta che alcuni tuffatori resistano fino a cinquantasette secondie quelli molto abili fino a ottantasetteperò sono eccezioni.

Delrestodopo simili provecapita di perdere sangue dal naso e dagliorecchi.

Secondoi miei calcoliil tempo medio che un pescatore può sopportaresenza risentirne è trenta secondi: in questo tempo essi siaffrettano a rinchiudere in una reticella tutte le ostriche perlifereche riescono a prendere.

Aogni modoquesti pescatori non arrivano alla vecchiaia: la lorovista si indeboliscefino alla cecitàtutto il corpo sicopre di piaghe e spesso un infarto li coglie mentre sono sul fondodel mare.

-Sìè un mestiere duro - convenni.

-E pensare che serve solo a soddisfare inutili capricci.

Ditecomandante: che quantità di ostriche può essere pescatada un battelloin una giornata?- Da quaranta a cinquantamila.

Siraccontaancheche nel milleottocentoquattordiciil governoinglese abbia fatto pescare per proprio conto i tuffatori per ventigiornate lavorativeraccogliendo settantasei milioni di ostriche.

-Questi tuffatori sono perlomeno retribuiti in maniera adeguata?-domandai.

-Malissimoprofessore.

APanama non guadagnano che un dollaro la settimana e per lo piùvengono ricompensati soltanto per le ostriche che contengono laperla.

Mala maggior parte di quelle che raccolgono non ne contengono.

-Una simile miseria per quella povera gente che arricchisce i suoipadroni!


Maè uno scandalo!


E'...

Ilcapitano Nemo m'interruppe:- Voiprofessoree i vostri compagnivisiterete i banchi perliferi di Mannar e se per caso qualchetuffatore arrivato in anticipo vi si trova giàvi permetteròdi vederlo all'opera.

-D'accordo.

-A propositosignor Aronnaxavete paura degli squali?La domanda misembrava quanto meno oziosa.

-Degli squali?- E allora?

Avetepaura?- Vi confessocomandanteche non ho ancora troppa familiaritàcon quel tipo di pesce.

-Noi ci siamo abituati - replicò il capitano Nemo.

-Con il tempovi abituerete anche voi.

Inoltresaremo armati estrada facendoforse potremo cacciare qualchepescecane.

Sitratta di una caccia interessante.

Alloraa domaniprofessoree di buon mattino.

Econ quel saluto lasciò il salone.

Sevi invitassero a cacciare l'orso sulle montagne della Svizzeradireste: "Molto bene: domani andiamo a caccia dell'orso".

Sevi invitassero a cacciare il leone sulle montagne dell'Atlante o latigre nelle giungle dell'Indiadireste: "Benesembra che sipossa andare a caccia di leoni o di tigri".

Mase vi invitassero a cacciare i pescecani nel loro elemento naturalepenso che anche voi chiedereste dl riflettere prima di accettare.

Perconto miomi passai la mano sulla fronte che stava imperlandosi digoccioline di sudore freddo.

Pensiamocisoprami dicevoe prendiamo tempo.

Sesi trattasse di cacciare lontre nelle foreste sottomarinecomeabbiamo fatto nei boschi dell'isola di Cresponon ci sarebbe nulladi strano.

Mapasseggiare sul fondo del marequando si è pressochécerti di incontrarvi degli squaliè un altro paio di maniche!


Sobene che in certi paesigli indigeni non esitano ad attaccare ipescecani con un pugnale in una mano e un laccio nell'altrama soanche che moltifra coloro che affrontano questi terribili animalinon ritornano vivi.

Inoltreio non sono un indigeno ese anche lo fossicredo che in un similecaso una leggera esitazione da parte mia non sarebbe fuori luogo.

Edeccomi impegnato a pensare ai pescecania ricordare quelle enormimascelle fornite di multiple file di denticapaci di tagliare unuomo in due.

Sentivogià un certo dolore alle reni...

Inoltrenon riuscivo a digerire la spigliata pacatezza con cui il capitanoNemo aveva lanciato quell'incredibile invitocome se per lui fossepiù o meno come andare nel bosco a tendere trappole a qualchevolpe inoffensiva.

Conseilnon accetterà di andarci e ciò mi dispenseràdall'accompagnare il comandantemi dissi.

Quantoa Nedconfesso che non mi sentivo altrettanto sicuro del suo buonsenso.

Ilpericoloper quanto grande fosseavrebbe sempre avuto un'attrattivaper il suo istinto bellicoso.

Ripresiil libro di Sirrma riuscivo solo a sfogliarlo macchinalmente e vivedevo apparire tra le righe delle formidabili mascelle spalancate.

Finalmenteecco sopraggiungere Conseil e il canadeseentrambi con l'ariatranquillaperfino allegra: non sapevano che cosa li attendeva.

-Parola miasignoreil capitano Nemo...

cheil diavolo se lo porti!


Ciha appena fatto una proposta veramente molto interessante - disseNed.

-Ah!


-esclamai - Voi sapete...

-Se al signore non dispiace - spiegò Conseil - il comandantedel Nautilus ci ha invitati a visitare domaniinsieme con ilsignorei magnifici banchi perliferi di Ceylon.

L'hafatto in termini compiti e si è comportato da vero gentiluomo.

-E...

nient'altro?-Nosignore - rispose il canadese.

-Ha aggiunto che voi ci avreste parlato di questa piccola passeggiata.

Esitavo.

-Ma veramente...

nonvi ha dato nessun particolare?- Nessunosignor naturalista.

Voici accompagneretenon è vero?- Io?

Certosìsenza alcun dubbio!


Vedoche la cosa vi attiracaro Ned.

-Certo: è interessante.

-E forse anche pericoloso - aggiunsi in tono insinuante.

-Pericoloso!


-esclamò con aria scandalizzata il canadese.

Unasemplice escursione su un banco di ostriche!

Evidentementeil capitano Nemo aveva giudicato inutile risvegliare il pensiero deipescecani nella mente dei miei compagni.

Liguardavo con occhi turbaticome se a loro mancassero giàalcune membra.

Dovevometterli in guardia?

Sìsicuramentema...

nonsapevo da che parte cominciare.

-La pesca delle perle è pericolosa?

-domandò Conseilche pensava sempre al lato istruttivo dellecose.

-No - risposi.

-Soprattutto se si prendono certe precauzioni.

-Che rischi si corrono in questo mestiere?

-disse il canadese.- Quello di inghiottire qualche sorsata d'acqua dimare.

-Proprio cosìNed.

Aproposito - soggiunsitentando di assumere l'aria noncurante cheaveva sfoggiato con me il capitano Nemo - avete paura degli squali?-Io?

-si scandalizzò il canadese.

-Un fiociniere di professione!


Faparte del mio mestiere infischiarmene degli squali.

-Però qui non si tratta di cacciarli con un rampone e issarlisul ponte di una navedi tagliar code con un colpo d'asciaaprire iventristrappar cuori e poi gettarli nuovamente in mare.

-Allorasi tratterebbe...?- Precisamente.

-In acqua?- In acqua.

-Perché no?

Conuna buona fiocina!


Comesapeteprofessorequesti pescecani sono bestie molto mal combinate.

Bisognache si girino sul dorsoper potervi prenderee nel frattempo...

NedLand aveva pronunciato la parola "prendere" in un modo chemi dava i brividi nella schiena.

-Benissimo - dissi.

Erivolgendomi a Conseil:- E tuamico mioche ne pensi degli squali?-Sarò franco con il signore...

-Bravo.

-Se il signore affronta i pescecani - terminò Conseil - io nonvedo perché il suo fedele domestico non debba affrontarli asua volta.




3

Unaperla da dieci milioni.

Lanotte arrivò e mi coricaima dormii molto male.

Glisquali giocarono un ruolo molto importante nei miei sogni.

Ilgiorno dopo fui svegliato alle quattro del mattino dal cameriere cheil capitano Nemo aveva messo a mia disposizione.

Mialzai rapidamentemi vestii e passai nel salone.

Ilcapitano Nemo mi aspettava.

-Siete pronto per partireprofessore?

-domandò.

-Sìcomandante.

-Seguitemi.

-E i miei compagni?- Sono stati avvisati e ci attendono.

-Non indossiamo gli scafandri?

-chiesi.

-Non ancora.

Nonho permesso che il Nautilus si avvicinasse troppo alla costa e ora citroviamo al largo del banco di Mannar.

Peròho fatto armare il canotto che ci condurrà al punto precisodove dovremo immergerci e questo ci risparmierà un tragittomolto lungo.

Visono imbarcati i nostri scafandri che indosseremo solo al momento incui comincerà l'esplorazione sottomarina.

Ilcapitano Nemo mi condusse verso la scala centrale che dava sullapiattaforma.

Nede Conseil erano già làfelici della "gita dipiacere" che ci aspettava.

Cinquemarinai del Nautilus ci attendevano a bordo del canotto accostato albordo del battello.

Eraancora buio e masse di nuvole coprivano il cielonon lasciandovedere che rare stelle.

Giraigli occhi verso terrama non vidi che una linea incerta che segnavai tre quarti dell'orizzonte da sud-ovest a nord-ovest.

IlNautilus aveva risalitodurante la nottela costa occidentale diCeylon e ora si trovava a ovest della baia opiuttostodi quelgolfo formato dalla terraferma e dall'isola di Mannar.

Làsotto quelle acque oscuresi stendeva il banco di ostricheinesauribile campo di perle lungo più di venti miglia.

Ilcapitano NemoConseilNed e io prendemmo posto a poppa del canotto.

Unmarinaio si mise alla barra del timonei suoi compagni impugnarono iremigli ormeggi furono mollati e allargammo dal bordo.

Ilcanotto si diresse verso sud.

Irematori non si affrettavano.

Osservaiche la loro vogavigorosamente impegnata sott'acquaaveva il ritmodi dieci battute in dieci secondiseguendo il sistema generalmenteusato nelle marine da guerra.

Piccoleondateprovenienti dal mare apertoimprimevano all'imbarcazione unleggero rollio e le creste di alcune onde sciabordavano sulla prua.

Procedevamoin silenzio.

Guardaiil capitano Nemo: fissava la terra che si stava avvicinando e certopensava fosse troppo vicinaal contrario del canadese il qualesicuramente la considerava ancora troppo lontana.

Perquel che riguarda Conseilera lì semplicemente come turista.

Versole cinque e mezzo le prime luci sull'orizzonte segnarono piùnettamente la linea montuosa della costa.

Eraa circa cinque miglia di distanza e le sue spiagge si confondevanoancora con le acque brumose.

Ilmare era deserto: non un battellonon un tuffatore: la solitudineera completa nel luogo di ritrovo dei pescatori di perle.

Comeil capitano Nemo aveva rilevatoarrivavamo con due mesi d'anticiposull'inizio della pesca.

Alleseiimprovvisamentefu giornocon quella istantaneità che ècaratteristica delle zone tropicali che non conoscono nél'aurora né il crepuscolo.

Iraggi solari forarono la cortina di nuvole che si ammucchiavanoall'orizzonte orientale e l'astro fulgente si innalzòrapidamente.

Orala terra si distingueva nitidamente: era aridacon qualche alberosparso qua e là.

Ilcanotto si dirigeva verso l'isola di Mannar che si ergeva verso sud.

Ilcapitano Nemo si era alzato in piedi sul banco dei rematori e stavascrutando il mare.

Aun suo cenno l'ancora fu mollatama la catena scorse pocopoichéil fondale era a poco più di un metroformando in quella baiauno dei punti più alti dei banchi di ostriche.

Ilcanotto fu posto al riparo dalla corrente che il deflusso della mareacreava verso il mare.

-Eccoci arrivatisignor Aronnax - disse il capitano Nemo.

Vedetequesta baia ristretta?

Quitra un paio di mesi si riuniranno i battelli da pesca deiraccoglitori e sono proprio queste acque che i tuffatori esplorerannoaudacemente a palmo a palmo.

Questabaia è disposta in maniera ideale per quel genere di pesca: èprotetta contro i venti più forti e il mare non è maitroppo ondosocircostanze molto favorevoli al lavoro dei tuffatori.

Eadesso è tempo di infilare gli scafandri e di iniziare lapasseggiata.

Nonrisposi esempre guardando quelle acque sospettecominciai aindossare il pesante abbigliamento sottomarino con l'aiuto di duemarinai.

Ilcapitano Nemo e i miei due compagni si prepararono a loro volta.

Nessunmembro dell'equipaggio ci avrebbe accompagnati nell'escursione.

Prestofummo imprigionati fino al collo nella gommai contenitori con lariserva d'aria ci furono fissati sulle spallema nessuno ci fornìgli apparecchi elettrici per illuminare il percorsocosì cheprima d'introdurre la testa nella capsula di ramelo feci notare alcomandante.

-Non ci servono - egli rispose.

-Non andremo a grandi profondità e i raggi del sole sarannosufficienti.

Inoltrenon è prudente portare in queste acque una lampada elettrica:la sua luce potrebbe inopportunamente attirare l'attenzione diqualche abitante dei dintorni.

Migirai di scatto a guardare Conseil e Ned Landma essi avevano giàinfilato la testa nella calotta metallica e non potevano nésentire né rispondere.

Mirestava ancora una domanda da rivolgere al capitano Nemo.

-E le nostre armii fucili?- Fucili!


Eper farne che?

Imontanari attaccano l'orso con il solo pugnalenon è vero?

Noncredete che l'acciaio sia più sicuro del piombo?

Eccouna lama solida: infilatela nella cintura.

Tornaia guardare i miei compagni.

Anch'essierano armati come mema Ned Landin piùbrandiva un'enormefiocina che aveva caricato sul canotto prima di trasbordare dalNautilus.

Alloraseguendo l'esempio del comandantemi lasciai infilare la pesantesfera di rame e i serbatoi d'aria furono immediatamente messi inazione.

Imarinai del canotto ci aiutarono a sbarcare uno dopo l'altro esottoun metro e mezzo d'acquaponemmo piede sulla sabbia.

Ilcapitano Nemo ci fece un cenno con la mano: lo seguimmo epercorrendo una discesa dolcesparimmo sotto la superficie del mare.

Allorai timori che mi avevano occupato la mente sparirono e mi ritrovaisorprendentemente calmo.

Lafacilità con cui potevo muovermi aumentò la miafiduciamentre già il singolare paesaggio assorbivainteramente la mia attenzione.

Laluce del sole arrivava fin laggiù a un grado sufficientecosìche erano percettibili persino i minimi particolari.

Dopodieci minuti di marcia ci eravamo immersi per cinque metri e il suolotendeva a diventare pianeggiante.

Alnostro passaggiocome stormi di uccelli in una paludesi alzavanosciami di pesci curiosi.

Riconobbiil giavanesevero e proprio serpente lungo otto centimetridalventre livido.

Nelfrattemponella sua progressiva elevazioneil sole rischiaravasempre maggiormente la massa dell'acqua.

Ilsuolo cominciava a cambiare: alla sabbia sottile succedeva un verosentiero di rocce abbastanza liscericoperte di un tappeto dimolluschi.

Versole setteraggiungemmo il banco di ostrichel'enorme distesa dove leperlifere si riproducono a milioni.

Ipreziosi molluschi aderivano alle rocce e vi erano fortementeattaccati con quei filamenti di colore bruno che non permettonospostamenti.

Inciò queste ostriche sono inferiori perfino alle cozzeallequali la natura non ha rifiutato interamente la possibilità dimuoversi.

L'ostricameleagrinale cui valve sono pressappoco ugualisi presenta sottoforma di conchiglia arrotondatadalle pareti spesse e molto rugoseall'esterno.

Avolte le conchiglie sono filettate e percorse da strisce verdastreche si dipartono dalla punta: sono tipiche delle ostriche giovani.

Lealtredalla superficie rugosa e neravecchie di oltre dieci anniarrivano a misurare fino a quindici centimetri di diametro.

Ilcapitano Nemo mi indicò con la mano lo sterminato banco diostriche e io compresi che quella miniera era veramente inesauribilepoiché la forza creatrice della natura è superiore allasmania distruttrice dell'uomo.

NedLandfedele al suo istintosi affrettava a riempire con i molluschimigliori una rete legata al suo fianco.

Manon potevamo attardarci: bisognava seguire il capitano Nemo chepercorreva sentieri da lui solo conosciuti.

Ilsuolo saliva sensibilmente e qualche voltase alzavo il bracciosentivo che superavo il livello del mare.

Poiil suolo del banco sprofondò di nuovo.

Spessodovevamo girare attorno ad alte rocce conformate a piramide.

Neiloro oscuri anfrattigrossi crostaceipuntati sulle zampearticolatesomiglianti a macchine da guerraci guardavano con occhisbarrati.

Aun certo momentosi aprì davanti a noi una grotta ampiascavata in un pittoresco ammasso di roccetappezzata da tutti ifestoni della flora sottomarina.

All'inizioquella grotta mi sembrò profondamente oscura era come se iraggi solari vi si spegnessero in successive gradazioni.

Lasua vaga trasparenza si era trasformata in un chiarore nebuloso.

Ilcapitano Nemo vi entrò e noi lo seguimmo.

Imiei occhi ben presto si abituarono a quella relativa oscurità.

Distinguevole ricadute della voltasostenute da pilastri naturali disposticapricciosamenteappoggiati su grandi basi granitiche cheassomigliavano alle grosse colonne dell'architettura toscana.

Mistavo chiedendo perché la nostra incomprensibile guida cistesse portando verso il fondo di quella cripta sottomarinamanaturalmente non potevo interrogarla.

Dopoaver disceso un pendio molto ripidoi nostri piedi toccarono ilfondo di una specie di pozzo circolare.

Làil capitano Nemo si fermò e con la mano ci indicò unoggetto di cui non mi ero ancora accorto.

Eraun'ostrica di dimensioni straordinarieun'acquasantiera che avrebbepotuto contenere un lago di acqua benedettauna vasca la cuiampiezza superava i due metri e quindi più grande di quellache ornava il salone del Nautilus.

Miavvicinai a quel mollusco fenomenale.

Coni suoi filamenti era attaccato a una tavola di granito e lànelle acque calme della grottasi sviluppava indisturbato.

Calcolaiche pesasse sui trecento chilogrammiun'ostrica di quindici chili dipolpa.

Eraevidente che il capitano Nemo conosceva l'esistenza di quel mollusco.

Nondoveva essere la prima volta che lo visitavaed io ero convinto checi avesse condotto in quella grotta proprio per mostrarci quellacuriosità della natura.

Misbagliavoil capitano Nemo aveva un interesse particolare ariscontrare lo stato attuale dell'ostrica.

Levalve del mollusco erano socchiuse e per impedire che si accostasseroil capitano Nemo vi introdusse il pugnalepoi con una mano sollevòla tunica membranosa e frangiata sui bordi che formava il mantellodell'animale.

Làfra le pieghe foliaceevidi una perla libera la cui grossezza erauguale a quella di una noce di cocco.

Lasua forma a globola perfetta limpiditàne facevano ungioiello di valore inestimabile.

Spintodalla curiositàstesi una mano per toccarlaper pesarlaperaccarezzarlama il capitano Nemo mi fermò con un cenno cheesprimeva diniego eritirato il pugnale con un rapido movimentolasciò che le due valve si richiudessero istantaneamente.

Alloracompresi quale fosse il suo progetto.

Lasciandoquella perla rifugiata sotto il mantello dell'ostricale permettevadi continuare a crescere.

Ognianno la secrezione del mollusco avrebbe aggiunto nuovi straticoncentrici.

Soltantolui conosceva la via per giungere alla grotta dove cresceva quelmirabile frutto della naturalui solo avrebbe scelto il momento ditoglierla di là per trasferirla nel suo museo navigante.

Delrestopoteva darsi cheseguendo l'esempio dei cinesi e degliindianifosse stato lui a provocare la produzione di quella perlaintroducendo fra le pieghe del mollusco una scheggia di vetro o unaperla piccola che a poco a poco s'era ricoperta di materiamadreperlacea.

Inogni casoparagonando quella perla a quelle che già conoscevoe a quelle che brillavano nella collezione del comandantestimai ilsuo valore in dieci milioni di franchicome minimo.

Superbacuriosità della natura e non gioiello di lussopoichénessun orecchio femminile avrebbe potuto portarla.

Lavisita era terminata: il capitano Nemo uscì dalla grotta e noilo seguimmorisalendo al banco delle ostriche in mezzo alle acquechiarenon ancora turbate dal lavoro dei tuffatori.

Camminavamodistaccaticome veri bighelloni; ognuno si fermava o si allontanavacome gli suggeriva la fantasia.

Permio contonon avevo più alcuna paura dei pericoli che la miaimmaginazione aveva esagerato in maniera ridicola.

Ilfondale si avvicinava sensibilmente alla superficie del mare edoponon moltoarrivai in un punto dove la mia testa superava il livellodell'oceano.

Conseilmi raggiunse eappoggiando la sua capsula alla miami rivolse unsorriso gioioso.

Maquel bassofondo non misurava che poche tese ein brevefummoun'altra volta immersi nel marein quell'elemento che potevamooramai considerare nostro.

Dopouna decina di minutiil capitano Nemo si fermò di scatto.

Credettiche facesse sosta per ritornare al canottoma non era così.

Conun gesto ci ordinò di rannicchiarci vicino a lui sul fondo inun largo anfrattoquindi ci indicò un punto della massaliquida.

Guardammo.

Acinque metri da noiun'ombra apparve e si abbassò fino atoccare il suolo.

Subitol'inquietante idea dei pescecani mi attraversò la mentema misbagliavo: nemmeno quella volta avevamo davanti a noi i mostridell'oceano.

Eraun uomoun uomo vivoun indiano o un negroun pescatoreun poverodiavolosenza dubbioche veniva a spigolare prima del raccolto.

Scorsianche il fondo del suo canotto che galleggiava sopra la sua testa.

Situffava e risaliva con metodicità.

Unapietra a forma di pandizucchero che teneva fra i piedi gli serviva adiscendere più rapidamente in fondo al marementre una cordala teneva unita alla sua imbarcazione.

Tuttalìla sua attrezzatura.

Giuntosul fondoa circa cinque metri di profonditàsi affrettava ainginocchiarsi e riempiva la reticella di ostriche che raccoglieva acaso.

Quindirisalivavuotava la reticellariprendeva la pietra e ricominciaval'operazione che durava circa trenta secondi.

Nonpoteva vederciperché l'ombra dello scoglio ci sottraeva allasua vista.

Inoltrecome avrebbe potuto supporre quel povero indiano che degli uominidegli esseri simili a luifossero làsott'acquaa spiare isuoi movimentinon perdendo un solo particolare della suapesca?Parecchie volte salì e tornò a immergersi.

Aogni tuffo riusciva sì e no a raccogliere una decina diostrichedovendo strapparle al banco cui erano attaccate con i lorofilamenti.

Epensare che molte di esseper cui egli rischiava la vitaeranosenza perla.

L'osservavocon viva attenzione.

Lasua manovra procedeva regolarmente e per mezz'ora nessun pericolocomparve a minacciarlo.

Nelfrattempoio mi familiarizzavo con quel tipo di pesca che mi offrivauno spettacolo interessante.

Maa un trattoin un momento in cui l'indiano era inginocchiato alsuololo vidi fare un gesto di spaventoalzarsi di scatto eprendere lo slancio per risalire in superficie.

Unistante dopo vidi la causa della sua paura.

Un'ombragigantesca apparve sopra al povero pescatore.

Eraun pescecane di grossa taglia che avanzava in diagonalel'occhiofissola bocca semiaperta.

Eroparalizzato dall'orroreincapace di fare il minimo movimento.

Conun colpo di pinnela bestia si slanciò velocemente control'indigeno che si gettò di latoevitandone i denti ma non ilcolpo di coda checolpendolo al pettol'abbatté al suolo.

Lascena era durata appena qualche secondo.

Ilpescecane tornava egirandosi sulla schienasi apprestava atagliare in due l'indiano.

Inquel momento il capitano Nemoche era appostato accanto a mesialzò di scatto ecol pugnale in manosi slanciòdritto contro il mostropreparandosi alla lotta a corpo a corpo.

Losqualonel momento in cui stava per afferrare il disgraziatopescatoresi accorse del nuovo avversario etornando a girarsi sulventregli si diresse rapidamente contro.

Vedoancora il capitano Nemo chepiegato su se stessoaspettava conammirevole sangue freddo l'attacco dello squalo equando ilformidabile mostro si lanciò su di luigettandosi di lato conun'agilità prodigiosaevitò lo scontro e gli affondòil pugnale nel ventre.

Manon era ancora detta l'ultima parola.

Uncombattimento terribile cominciò!

Ilpescecane aveva il fianco squarciato e il sangue sgorgava a fiottidalla ferita.

Ilmare si era immediatamente colorato di rosso eattraverso quelliquido opaconon mi fu più possibile distinguere niente.

Nientefino al momento in cuiin una schiaritascorsi il coraggiosocapitano Nemo cheaggrappato a una pinna dell'animalelottava acorpo a corpo con la bestia mostruosalacerando a colpi di pugnaleil ventre del suo avversariosenza tuttavia poter vibrare il colpodefinitivosenza cioè raggiungerlo al cuore.

Losqualodibattendosiagitava la massa d'acqua con una tale furia cheil risucchio minacciava di rovesciarmi.

Avreivoluto correre in aiuto del comandantemainchiodato dall'orrorenon riuscivo a muovermi.

Guardavocon gli occhi sbarrativedevo che a poco a poco le fasi della lottasi modificavano.

Ilcapitano Nemo piombò al suolorovesciato dalla massa enormeche gravava su di lui.

Poile mascelle del pescecane si aprirono a dismisura come unatranciatrice di metalli.

Sarebbestata la fine del comandante serapido come il pensierocon lafiocina in manoNed Land non si fosse precipitato contro ilpescecanecolpendolo con tutta la sua forza.

L'acquas'impregnò di sangueturbinò sotto i movimenti dellosqualo che si dibatteva con disperato furore.

Nednon aveva sbagliato il colpo e quella era l'agonia del mostro.

Colpitoal cuore si agitava con spasimi spaventosiil cui contraccolpo gettòa terra Conseil.

NelfrattempoNed aveva liberato il capitano Nemo cherialzatosi senzaferiteandò subito verso l'indianotagliò rapidamentela corda che lo legava alla pietra epresolo tra le bracciacon unvigoroso colpo di talloni lo riportò alla superficiedell'oceano.

Loseguimmo tutti e tre ein brevi istantimiracolosamente salviraggiungemmo l'imbarcazione del pescatore.

Laprima preoccupazione del capitano Nemo fu di far rinvenire quelpovero disgraziato.

Nonsapevo se ci sarebbe riuscitoma c'era da sperarloperché ilperiodo di tempo in cui era rimasto immerso non era statoeccessivamente lungo.

Mail colpo di coda del pescecane poteva aver colpito a morte quelpoveretto.

Fortunatamentesotto le vigorose frizioni di Conseil e del comandanteun poco allavolta tornò in sé e aprì gli occhi.

Chissàquale fu la sua sorpresa...

eanche il suo spaventonel vedere le quattro grosse teste di ramepiegate su di lui.

Masoprattuttochissà che cosa pensò quando il capitanoNemolevatosi di tasca un sacchetto di perleglielo mise in mano.

Quelmagnifico dono del dominatore delle acque fu accettato con manotremante dal povero pescatore di Ceyloni cui occhi spalancatiesprimevano chiaramente che egli si stava chiedendo a quale esseresovrumano doveva contemporaneamente la vita e la ricchezza.

Aun segno del capitano Nemo riguadagnammo il banco di ostriche eseguendo la strada già percorsadopo una mezz'ora di marciaarrivammo all'ancora che teneva attraccato il canotto del Nautilus.

Unavolta imbarcatii marinai aiutarono tutti noi a liberarci deipesanti indumenti.

Laprima parola del capitano Nemo fu per il canadese.

-Grazie.

-E' una rivincitacomandante - rispose Ned Land.

Vela dovevo.

Unpallido sorriso sfiorò le labbra del capitano Nemo e fu tutto.

-Al Nautilus - ordinò.

L'imbarcazionevolò sulle onde.

Qualcheminuto dopo incontrammo il cadavere del pescecane che galleggiava edal colore nero delle estremità delle pinne potei riconoscereil terribile melanottero dei mari delle Indiedella specie deipescecani propriamente detti.

Lasua lunghezza era di quasi otto metri e la bocca occupava un terzodel corpo.

Eraun adultocome si poteva stabilire in base alle sei file di dentidisposti a triangolo isoscele sotto la mascella superiore.

Alleotto e mezzo eravamo di ritorno al Nautilus.

Abordocominciai a riflettere sugli incidenti successi durantel'escursione al banco di Mannar.

Dueosservazioni ebbero la preponderanza sulle altre.

Laprima riguardava l'audacia senza uguali del capitano Nemol'altra ilsuo generoso slancio per un essere umanoper un rappresentante diquella razza che egli sfuggiva vivendo sotto il mare.

Qualunquecosa si poteva dire di quell'uomo stranoma non che fosse arrivato acancellare ogni misericordia nel suo cuore.

Quandoglielo feci osservaremi rispose con un tono fermoappena ombratodi commozione:- Quell'indianoprofessoreè un abitante deipaesi oppressi e io sono ancorae lo sarò fino all'ultimorespirocittadino di quei paesi.




4

L'arcipelagogreco.

Il12 febbraioallo spuntare del giornoil battello risalì allasuperficie e io mi precipitai sulla piattaforma: a tre miglia versosud si disegnava vagamente la costa africana.

Nede Conseil mi raggiunsero verso le sette.

Idue compagniche il destino aveva reso inseparabiliavevano dormitotranquillamentesenza preoccuparsi delle prodezze del Nautilus.

-Dove siamo?

-domandò il canadese con un tono leggermente ironico.

-Stiamo navigando nel Mediterraneo.

-Come?

-Conseil mi guardò stupito.

-Questa notte...

Sìproprio questa notte: in pochi minutiabbiamo superato l'istmoinvalicabile che separa il Mar Rosso dal Mediterraneo attraverso unpassaggio sottomarino che solo il capitano Nemo conosce.

-Non ci credo - disse il canadese.

-E sbagliatecaro Land - ribattei.

-Quella bassa costa che vedete laggiù a sud è la spondaegiziana.

-Raccontatelo a qualcun altroprofessore - ribattéintestardito canadese.

-Se il signore lo afferma - intervenne Conseil bisogna credere che siacosì.

-InoltreNedil capitano Nemo ha voluto farmi l'onore di invitarmicon lui nella gabbia del timonierementre di persona pilotava ilbattello attraverso il passaggio.

-CapitoNed?

-disse Conseil.

-Ma voiche avete la vista buona - aggiunsi potrete distinguere legettate di Porto Said che si allungano nel mare.

Ilcanadese guardò con attenzione.

-E' veroprofessore!


-esclamò poi.

-Bisogna ammettere che il capitano Nemo è un uomo in gamba.

Siamoproprio nel Mediterraneo.

Bene.

Parliamodunquese non vi dispiacedei nostri affari personalima inmaniera che nessuno possa intenderci.

Capiisubito a che cosa il canadese intendesse alludere e mi dissi che inogni caso era meglio parlarnedato che lo desiderava.

Andammotutti e tre a sederci vicino al fanaledove eravamo meno espostiagli spruzzi delle onde.

-CoraggioNedvi ascoltiamo - dissi.

-Quello che ho da dirvi è molto semplice - attaccò ilcanadese.- Siamo in Europa e prima che i capricci della fantasia delcapitano Nemo ci trascinino in fondo ai mari polari o ci riconducanoin Oceaniadesidero lasciare il Nautilus.

Confesseròche discutere quell'argomento mi imbarazzava sempre.

Nonvolevo in nessun modo ostacolare il desiderio di libertà deimiei compagnid'altra parte non avevo nessuna voglia di lasciare ilcapitano Nemo.

Permerito suo e grazie al suo straordinario battelloapprofondivosempre di più i miei studi sottomarini e riscrivevo il miolibro sul fondo degli abissistando nel suo stesso elemento.

Avreimai più avuto un'occasione simile per osservare le meravigliedell'oceano?

Nodi certo.

Nonpotevo quindi adattarmi all'idea di abbandonare il Nautilus prima diaver compiuto il mio ciclo di osservazioni.

-Ditemi francamenteNed - dissi.

-Vi annoiate a bordo?

Vidispiace poi tanto che il destino vi abbia gettato nelle mani delcapitano Nemo?Il canadese rimase qualche istante senza rispondere.

Poiincrociando le braccia:- Francamente - rispose - non posso dire chequesto viaggio sotto i mari mi dispiacciaanzisarò contentodi averlo fatto.

Maper averlo fattobisogna che termini.

Eccocome la penso.

-Terminerà.

-Dove e quando?- Dove non lo soquandonon posso immaginarlo.

Tuttaviasuppongo che terminerà quando questi mari non avranno piùnulla da insegnarci.

Tuttociò che comincia deve avere un terminesu questa terra.

-Anch'io la penso come il signore - mi soccorse Conseil.

-E possibilissimo chedopo aver percorso tutti i mari del globoilcapitano Nemo dia la libertà a tutti e tre.

-La libertà!


-ironizzò il canadese.

-La libertà di morire vorrete dire.

-Non esageriamocaro Ned - ripresi.

-Non abbiamo niente da temere dal capitano Nemo.

Peròneppure io condivido le speranze di Conseil.

Siamoi depositari dei segreti del Nautilus e non credo che il suocomandante si rassegni a vederli diffusi nel mondo solo per dare anoi la libertà - Allorain che diavolo sperate?

-mi domandò il canadese.

-Le circostanze veramente favorevoli di cui potremoanzi dovremoapprofittare possono presentarsi fra cinquesei mesi.

-Sìeh?

-sbuffò Ned Land.

-E dove saremo tra sei mesisignor naturalista?- Forse quiforse inCina.

Comesappiamoil Nautilus è un navigatore veloceattraversa glioceani come una rondine attraversa l'aria o un espresso attraversa icontinenti.

Enon sembra temere troppo i mari frequentati.

Chici dice che non vada a costeggiare le rive della Franciadell'Inghilterra o dell'Americasulle quali una fuga potràessere tentata in condizioni più vantaggiose di qui?- I vostriragionamenti peccano in partenzaprofessore rispose il canadese.

-Voi parlate al futuro: saremo quasaremo là...

Maio parlo al presente: ora ci troviamo qui e qui bisognaapprofittarne.

Strettodalla logica ferrea di Neddovevo riconoscere di essere battutosuquel terreno.

Nonsapevo più che argomenti far valere in mio favore.

-Supponiamoper pura ipotesiche il capitano Nemo vi offra oggistesso la libertà - riprese Ned.

L'accettereste?-Non so.

-E se aggiungesse che quell'offerta che vi fa oggi non lariproporrebbe più nel futuroaccettereste?Non risposi.

-Che cosa ne pensa l'amico Conseil?

-domandò Ned Land.

-Niente - rispose tranquillamente quel bravo ragazzo.

-L'amico Conseil è del tutto disinteressato alla questione.

Comeil suo padrone e come il suo compagno Nedè scapolo.

Némoglie né genitori né figli lo aspettano in patria.

Egliè al servizio del signore e pensa come il signoreparla comeil signore esia pur con suo dispiacerenon si può contaresu di lui per formare una maggioranza in opposizione al signore.

Duesole persone si trovano di fronte: il signore da una parte e Ned Landdall'altra.

L'amicoConseil tace e ascoltadisponibile solamente per segnare i punti.

Nonpotei impedirmi di sorriderenel vedere Conseil annullare cosìcompletamente la sua personalità.

Infondoil canadese doveva essere contento di non averlo contro.

-Alloraprofessorepoiché Conseil non esistebisogna che cela sbrighiamo fra noi due - disse Ned Land.

-Io ho parlatovoi mi avete sentito.

Checosa mi rispondete?Bisognava evidentemente arrivare a una conclusionee le scappatoie mi hanno sempre ripugnato.

-Eccovi la mia rispostaamico Ned - dissi.

-Voi avete ragione e i miei argomenti non possono tenere testa aivostripoiché ragionevolmente non si può sperare nellabuona volontà del capitano Nemoal quale la piùelementare prudenza impedisce di metterci in libertà.

Inoltreil buon senso ci suggerisce anche che bisogna approfittare dellaprima occasione per andarcene dal Nautilus.

-Benesignor Aronnax: avete parlato con molta saggezza.

-Solo - continuai - è necessario che l'occasione sia veramentefavorevole.

Bisognache il nostro primo tentativo di fuga riescapoichéin casocontrarionon avremmo una seconda occasione per tentare: il capitanoNemo non ce lo perdonerà.

-Tutto questo è giusto - approvò il canadese.

-La vostra osservazione però riguarda esclusivamente iltentativo di fugache abbia luogo fra due giorni o fra due anni.

Mentreil problema resta sempre questo: se un'occasione favorevole sipresentabisogna coglierla.

-D'accordo.

EoraNedvorreste dirmi ciò che intendete per occasionefavorevole?- Potrebbe essere quella di trovarsiin una notte oscuraa poca distanza da una costa europea.

-Pensate di scappare a nuoto?- Sìse siamo abbastanza vicinialla riva e senaturalmenteil Nautilus naviga in superficie.

Nocertamentese siamo lontani dalla costa o se navighiamo inimmersione.

-E in questo caso?- In questo casocercherei di impadronirmi delcanotto: so come si fa a manovrarlo.

Unavolta staccati i bullonirisaliremmo alla superficie senza pericoloche il timoniereche è piazzato a pruasi accorga dellanostra fuga.

-BeneNed.

Spiatedunquequest'occasionema non dimenticate mai che uno sbaglio ciperderebbe.

-Non lo dimenticheròsignore.

-Sapete qual è la mia opinione sul vostro progetto?

Penso...

badateche ho detto "penso"non "spero"...

chequesta occasione favorevole non si presenterà mai.

-Perché?- Perché il capitano Nemo non crederàcertamente che noi abbiamo rinunciato alla speranza di filarcela estarà in guardiasoprattutto in mare e in vista delle costeeuropee.

-Sono del vostro pareresignore - intervenne Conseil.

-Staremo a vedere - disse Ned Landscotendo la testa ostinatamente.

-Per ora chiudiamo la discussione - conclusi.

Nonne parleremo più.

Ilgiorno in cui voiLandsarete prontoci avviserete e noi viseguiremo.

Cirimettiamo interamente a voi.

Quellaconversazioneche avrebbe avuto più tardi così graviconseguenzeterminò lì.

Devodire ora che i fatticon grande disperazione del canadesesembravano confermare le mie supposizioni.

Nonso se il capitano Nemo diffidasse di noiin quei mari frequentatiose volesse semplicemente sfuggire alla vista dei numerosi battelli diogni nazionalità che incrociavano nel Mediterraneofatto stache mantenne la rotta a buona distanza dalle costenavigandocostantemente in immersione.

Quandoil Nautilus emergevanon lasciava sopra il livello dell'acqua che lagabbia del timonierema più spesso si scendeva a grandiprofondità poiché tra l'arcipelago greco e l'AsiaMinore non si raggiunge il fondo nemmeno a duemila metri.

L'indomanistabilii di dedicare qualche ora allo studio dei pescidell'arcipelagomaper non so quale motivoi pannelli restaronoermeticamente chiusi.

Nelrilevare la rotta del Nautilus notai che si dirigeva verso l'isola diCreta.

Altempo in cui mi ero imbarcato sull'"Abraham Lincoln"lagente dell'isola era appena insorta contro la dominazione dei turchie io ignoravo quale seguito avesse avuto l'insurrezione.

Certonon sarebbe stato il capitano Nemoche aveva troncato ogni rapportocol genere umanoad aggiornarmi in merito.

Perciònon feci nessuna allusione a quell'avvenimento quandola seramiritrovai solo con lui nel salonetanto più che mi sembravapreoccupato e taciturno.

Dopoun po'contrariamente alle sue abitudini seraliegli ordinòdi aprire i due pannelli del salone espostandosi dall'unoall'altroosservò attentamente la massa d'acqua.

Conquale scopo?Non riuscendo a capirlomi dedicai allo studio dei pesciche passavano davanti ai miei occhi.

Unabitante di quei mari attrasse la mia attenzione.

Sitrattava di una remorapesce che viaggia generalmente attaccato alventre degli squali.

Seguivocon occhi incantati le meraviglie del marequando fuiimprovvisamente scosso da un'apparizione inattesa.

Inmezzo all'acqua si scorgeva un uomoun tuffatoreche portava allacintura una borsa di cuoio.

Nonun cadavere abbandonato sott'acqua: era vivo e nuotava con bracciatevigorose.

Sparivaogni tanto per risalire in superficie a respirareper poi rituffarsisubito dopo.

Mivolsi verso il capitano Nemo esclamandocon voce rottadall'emozione:- C'è un uomo in mare!


Bisognacercare di salvarlo.

Senzarispondermi il comandante mi si portò accanto.

L'uomosi era avvicinato e ora ci guardava con la faccia incollata ai vetri.

Conmio stuporeil capitano Nemo gli fece un cenno amichevole e iltuffatore gli rispose agitando la manopoi risalì verso lasuperficie e non riapparve più.

-Non state a lambiccarvi il cervello - mi disse il comandante.

E'Nicoladi capo Matapànun ardito tuffatore e nuotatoresoprannominato "Il Pesce".

E'conosciutissimo in tutte le Cicladi.

L'acquaè il suo vero elemento e ci vive più che sulla terraandando senza sosta da un'isola all'altra e spingendosi fino a Creta.

-Lo conoscete personalmente?- Perché nosignor Aronnax?Ciòdettoil capitano Nemo si diresse verso una specie di grandecassaforte fissata alla paratia di sinistra del salonevicino allaquale era posato un cofano cerchiato di ferro sul cui coperchiobrillava una placca di rame con l'iniziale del Nautilus e il suomotto: "Mobilis in mobile".

Senzapreoccuparsi per la mia presenzaegli aprì la cassaforte checome potei vedereconteneva un gran numero di lingotti d'oro.

Dadove poteva provenire quel prezioso metalloche rappresentava unasomma enorme?

Dovee quando il capitano Nemo aveva potuto raccogliere tutto quell'oro eche cosa stava per farne?

Nondicevo una parolalimitandomi a guardare.

Ilcapitano Nemo prese a uno a uno i lingotti e li sistemòmetodicamente nel cofano che riempì completamente.

Aocchio e crocedovevano esserci là dentro più di millechilogrammi d'oroa trasformarne il valore in franchi si sarebbeottenuta una somma da capogiro.

Quandoil cofano fu solidamente chiusoil capitano Nemo scrisse sulcoperchio un indirizzo in caratteri chea distanzasembravanoappartenere al greco modernoquindi premette un bottone.

Subitoapparvero quattro uomini chein silenzio e non senza faticaspinsero il cofano fuori del salone.

Sentiipoi che lo issavano per mezzo di un paranco sulla scalinata centraleSolo allorail capitano Nemo si volse verso di me.

-Stavate dicendo qualcosaprofessore?

-mi chiese.

-Io?

Niente.

-Allorasignorese permettetevi auguro la buona notte.

Econ ciò lasciò il salone.

Rientrainella mia stanza molto incuriositolo confesso.

Invanotentai di dormire.

Cercavouna relazione fra l'apparizione di quel tuffatore e il cofanoriempito d'oro.

Doponon moltocompresi da alcuni movimenti di rollio e beccheggio chestavamo abbandonando gli strati inferiori per tornare in superficie.

Infinesentii un rumore di passi sulla piattaforma e compresi che stavanostaccando il canotto e lanciandolo in mare.

Urtòper un attimo contro la murata del Nautiluspoi ogni rumore cessò.

Circadue ore dopol'andirivieni riprese; il canottoissato a bordoerastato rimesso nel suo alloggiamento e il Nautilus sprofondòsotto i flutti.

Ecosì tutti quei miliardi erano stati portati al loroindirizzo.

Inquale punto dell'arcipelago?

Chiera il corrispondente del capitano Nemo?Il giorno dopo raccontai aConseil e al canadese gli avvenimenti di quella notteche avevanoeccitato la mia curiosità al massimo gradoe i miei compagninon furono meno stupefatti di me.

-Ma dove può prendere tutti quei miliardi?

continuavaa chiedere Ned Land.

Aquella domanda non c'era risposta possibile.

Andainel salone appena ebbi finito di mangiare e mi misi al lavororedigendo le mie note fino alle cinque del pomeriggioquando fuiassalito da un tale senso di calore che dovetti togliermi i vestitidi bisso.

Subitopensai a una mia indisposizionedato che il fenomeno non eraspiegabile altrimenti: ci trovavamo in una zona temperata e inoltreessendo il battello in immersionenon avrei dovuto risentire dialcun eventuale aumento di temperatura.

Guardaiil manometro.

Segnavauna profondità di venti metri: il calore atmosferico nonpoteva raggiungerci.

Ripresia lavorarema la temperatura si alzò al punto da diventareintollerabile.

Chesia scoppiato un incendio a bordo?

midomandai.

Stavoper abbandonare il salonequando entrò il capitano Nemosiavvicinò al termometro e lo consultò.

-Quarantadue gradi dissevolgendosi verso di me.

-Me ne accorgocomandante - risposi.

-Per poco che questo calore aumentinon potremo sopportarlo.

-Ohnon aumenteràse non lo vogliamo noiprofessore.

-Potete regolarlo a vostro piacere?- Noma posso allontanarmi dallafonte che lo produce.

-E' una causa esterna?- Certo.

Stiamonavigando nell'acqua bollente.

-Possibile?- Guardate.

Ipannelli si aprirono e vidi il mare attorno al Nautilus completamentebianco: una fumata di vapori solforosi si snodava in mezzo all'acquache bolliva come in una caldaia.

Appoggiaila mano su un vetroma il calore era tale che dovetti ritirarla.

-Dove siamo?- Vicino all'isola di Santoriniprofessore.

Hovoluto offrirvi questo spettacolo di eruzione sottomarina.

-Credevo che la formazione di queste nuove isole fosse terminata.

-Niente è mai terminato nelle zone vulcaniche - replicòil capitano Nemo.

-La terra vi è sempre tormentata da fuochi sotterranei .

Ritornaidavanti al vetro.

IlNautilus era immobileil calore diveniva intollerabile.

Dabianco che erail mare si andava facendo rossocolorazione dovutaalla presenza di sale di ferro.

Nonostantela chiusura stagnanella sala si spandeva un odore solforosoinsopportabile ed io vedevo balenare fiamme scarlatte la cui vivacitàoscurava il chiarore del fanale elettrico.

Eroin un bagno di sudoresoffocavomi pareva che mi stesseroarrostendo.

-Non si può restare più a lungo in quest'acqua bollente- dissi al capitano Nemo.

-Nonon sarebbe prudente egli confermò.

Detteun ordineil Nautilus virò di bordo e si allontanò daquella fornace che non si poteva sfidare impunemente.

Unquarto d'ora dopo respiravamo in superficie.

Mivenne allora il pensiero chese Ned avesse scelto quel luogo pereffettuare la nostra fuganon saremmo usciti vivi da quel mare difuoco.

Ilgiorno seguentelasciammo quel bacino chefra Rodi e Alessandriaha profondità di anche tremila metri.

Eil Nautilus abbandonò l'Arcipelago Greco.




5

IlMediterraneo in quarantotto ore.

IlMediterraneoil mare azzurro per eccellenzail "grande mare"per gli ebreiil "mare" dei greciil "mare nostrum"dei romanicircondato di arancidi aloedi cactus e di pinimarittimiprofumato dai mirtiinquadrato da rudi montagnesaturodi un'aria pura e trasparente.

Maper bello che sianon potei avere che una rapida visione di quelbacinola cui superficie copre due milioni di chilometri quadrati.

Mimancarono anche le spiegazioni personali del capitano Nemopoichél'enigmatico personaggio non comparve una sola volta durante quellatraversata fatta a gran velocità.

Calcolosulle seicento leghe circa il percorso che il Nautilus fece sotto leonde di quel mare e tutto il viaggio si compì in quarantottoore.

Partitila mattina del 16 febbraio dalle vicinanze della Greciail 18alsorgere del solesuperavamo lo Stretto di Gibilterra.

Ame fu evidente che al capitano Nemo non era per nulla gradito quelMediterraneo racchiuso in mezzo alle terre civili che egli volevafuggire.

Lesue onde e le sue brezze gli avrebbero portato troppi ricorditroppirimpianti.

Lìnon aveva più la libertà di manovra che gli davano glioceani e il suo Nautilus pareva muoversi a disagio tra le rivedell'Africa e dell'Europa.

Cosìla nostra velocità fu di venticinque miglia all'oracioèdi quarantacinque chilometri circa.

Nonc'è bisogno di dire che Ned Landcon sommo dispiaceredovette rinunciare ai suoi progetti di fuga.

Nonpoteva servirsi del canottomentre filavamo a dodici o tredici metrial secondo.

Lasciareil Nautilus in quelle condizionisarebbe stato come saltare da untreno che viaggiasse alla stessa velocitàmanovra imprudentequant'altre mai.

Inoltreil sommergibile risaliva solo di notte in superficie per rinnovare lasua provvista d'aria e navigava seguendo le indicazioni della bussolae i rilevamenti del solcometrosenza risalire per fare il punto.

Diconseguenza vididell'interno del Mediterraneosolo ciò cheun viaggiatore di un treno espresso distingue del paesaggio che fuggesotto i suoi occhivale a dire l'orizzonte lontano e non i primipianiche passano via come un lampo.

Ciononostanteio e Conseil potemmo osservare alcuni di quei pesci del Mediterraneola cui capacità natatoria permetteva loro di mantenersiqualche istante all'altezza del Nautilus.

Restavamoin osservazione dietro i vetri del salone per ore intere adammirarliper lo meno quelli che potevamo vedere.

Sorpassatele secche del Canale di Siciliail Nautilus riprese la sua normalevelocità di crociera in acque più profonde.

Durantela notte fra il 16 e il 17 febbraioeravamo entrati in quel secondobacino mediterraneo la cui massima profondità si trova suitremila metri.

IlNautilussotto l'impulso dell'elica e scivolando con i suoi alettoniinclinatisi immergeva fino agli strati più profondi delmare.

Làin mancanza di meraviglie naturalila massa d'acqua offriva ai mieiocchi scene emozionanti e terribili.

Stavamoproprio allora attraversando tutta quella parte del Mediterraneo incui sono tanto frequenti i naufragi.

Quantenavi sono affondatequanti bastimenti sono scomparsi dalla costaalgerina alle rive della Provenza!


IlMediterraneo non è che un lagoparagonato alle vaste disteseliquide del Pacificoma un lago capriccioso dove il tempo cambiaimprovvisamenteora propizio e carezzevole per la fragile tartanache sembra galleggiare sospesa fra il doppio oltremare dell'acqua edel cielodomani tormentatorabbiosoflagellato dai venticapacedi affondare le navi più robuste con le sue onde corte cheinvestono a colpi rapidi.

Cosìin quella veloce passeggiata attraverso gli strati piùprofondiquanti rottami vidi giacere sul fondoalcuni giàcorrosi e ricoperti di coralloaltri rivestiti solamente di unostrato di ruggine!


Quanteàncorecannonipalleguarnizioni di ferropezzi d'elicabrandelli di macchinecilindri spezzaticaldaie sfondate e chiglieche ancora non si erano posate sul fondo alcune drittealtrerovesciate...

Diqueste imbarcazioni sommersealcune erano naufragate in seguito auna collisionealtre per aver urtato contro qualche scoglio.

Nevidi che erano colate a picco con l'alberatura dritta el'attrezzatura resa rigida dall'acqua: avevano l'aria di essereall'àncora in un'immensa radain attesa del momento disalpare.

Quandoil Nautilus vi passava in mezzo e le avviluppava con il suo fascio dilucesembrava che quelle navi stessero per salutarlo innalzando ilgran pavese e comunicargli il loro numero di codice marittimo.

Nonc'erano invece che il silenzio e la morte.

Osservaiche i fondali mediterraneia mano a mano che il battello siavvicinava allo Stretto di Gibilterraapparivano sempre piùingombri di quei relitti sinistri.

Lìle coste d'Africa e d'Europa si stringono fra loro e allorainquell'angusto spaziole collisioni sono più frequenti.

Vidinumerose carene di ferrofantastiche rovine di vaporialcuneinclinatealtre drittesomiglianti a formidabili animali.

Unadi quelle imbarcazioni dalle fiancate squarciatecol fumaiolopiegatole ruote di cui restava solo lo scheletroil timonestaccato dal telaio di poppa e trattenuto ancora da una catena diferroi ponti rosi dai sali marinipresentava un aspetto terribile.

Quanteesistenze si erano infrante nel suo naufragio!

Quantevittime aveva trascinato con sé sotto i flutti!


Qualchemarinaio era riuscito a sopravvivere oppure il mare conservava ancorail segreto di quel disastro?Non so per quale motivomi venne dapensare che quella nave in fondo al mare potesse essere l'"Atlas"scomparsacorpo e benida una ventina di anni e di cui non si eramai avuto notizia.

Chestoria terribile sarebbese si potesse raccontarequella del fondodel Mediterraneodi quel vasto ossario dove tante ricchezze si sonoperdutedove tanti esseri umani hanno trovato la morte.

Nelfrattempoil Nautilusindifferente e rapidocorreva a tutta forzain mezzo a quelle rovine e il 18 febbraioverso le tre del mattinosi presentò all'imboccatura dello Stretto di Gibilterra.




6

LaBaia di Vigo.

L'Atlantico!


Vastadistesa d'acqua la cui superficie copre due milioni di chilometriquadraticon una lunghezza di novemila miglia e una larghezza mediadi duemilasettecento.

Sbucatodallo Stretto di Gibilterrail battello sottomarino aveva puntato allargoinfine emerse in superficie e così potemmo riprenderele nostre passeggiate quotidiane sulla piattaforma.

Visalii subito accompagnato da Ned e da Conseil.

Auna distanza di dodici miglia si notava vagamente Capo San Vincenzoche forma la punta sud-occidentale della penisola iberica.

Soffiavaun forte vento da sud.

Ilmare era mossoondosoe imprimeva un violento moto di rollio e dibeccheggio al Nautilus.

Poichéera quasi impossibile trattenersi sulla piattaforma che il mareflagellava con enormi ondate a ogni istantedopo aver respiratoqualche boccata d'ariapreferimmo ridiscendere.

Tornainella mia stanza mentre Conseil rientrava nella sua cabina e ilcanadesecon aria assai preoccupatami seguì.

Lavelocità con cui avevamo attraversato il Mediterraneo non gliaveva permesso di mettere in atto i suoi progetti ed egli nonriusciva a dissimulare il disappunto.

Quandola porta della camera fu richiusasi sedette e mi fissò insilenzio.

-Io vi capiscoNed - gli dissi.

-Ma non avete nulla da rimproverarvi.

Nellecondizioni in cui navigava il battellopensare di abbandonarlosarebbe stata una pazzia.

Ilramponiere non disse nulla.

Lelabbra serratele sopracciglia aggrottate rivelavano quanto fossetormentato dalla sua idea fissa.

-Aspettiamo - ripresi.

-Non è ancora il caso di disperarsi.

Stiamorisalendo le coste del Portogallo: non siamo lontani né dallaFrancia né dall'Inghilterra dove potremmo trovare un rifugiosicuro.

Seil Nautilususcito dallo Stretto di Gibilterraavesse fatto rottaverso sudse fossimo diretti verso zone di mare apertolontano daogni terracondividerei i vostri timori.

Maora sappiamo con certezza che il capitano Nemo non fugge i mari deipaesi civili e io credo che fra qualche giorno potrete agire con unacerta sicurezza.

NedLand mi guardò ancora più fissamente eaprendofinalmente le labbrami disse:- E' per stasera.

Mialzai di scatto.

Erolo confessopoco preparato a quella notizia.

Avreivoluto risponderema le parole non mi venivano.

-Eravamo rimasti d'accordo di aspettare un'occasione - riprese ilcanadese - e l'occasione ora l'abbiamo.

Questasera non saremo che a poche miglia dalla costa spagnola.

Lanotte è senza luna e il vento soffia dal largo.

Miavete dato la vostra parolasignor Aronnax: conto su di voi.

Poichécontinuavo a tacere si alzò eavvicinandosi a mecontinuò:-Questa sera alle nove.

Hogià avvisato Conseil.

Aquell'ora il capitano Nemo si sarà ritirato nella propriacabina e probabilmente sarà a letto.

Néi macchinisti né gli uomini di coperta potranno vederci.

Ioe Conseil raggiungeremo la scala centrale.

Voisignor Aronnaxresterete in biblioteca in attesa del mio segnale.

Iremil'albero e la vela sono già nel canotto.

Sonoriuscito a imbarcarvi anche alcune provviste.

Misono procurato una chiave inglese per svitare i bulloni che fissanoil canotto alla chiglia del Nautilus.

Comevedetetutto è previsto e preparato.

-Il mare è cattivo - osservai.

-Ne convengo - rispose il canadese - ma è un rischio chebisogna correre.

Lalibertà bisogna guadagnarsela.

Inoltrel'imbarcazione è solida e alcune miglia con il vento in poppanon sono poi una gran cosa.

Chipuò dirci se domani non saremo a cento miglia al largo?

Sele circostanze ci saranno favorevolifra le ventidue e le ventitrésaremo già sbarcati in qualche punto della terraferma.

Oppuresaremo morti.

Nonci resta che confidare nella fortuna.

Aquesta sera.

Ciòdettoil canadese si ritiròlasciandomi sbalordito.

Avevoimmaginato cheall'occorrenzaavrei avuto tempo di riflettere e didiscuterema il mio testardo compagno non me l'aveva permesso.

Ed'altra parteche avrei potuto dire?

NedLand aveva cento volte ragione.

Erauna circostanza unica e ne approfittava.

Potevorimangiarmi la parola e assumermi la responsabilità dicompromettere per un interesse del tutto personale l'avvenire deimiei compagni?

Nonavrebbe potuto il capitano Nemo trasportarci l'indomani stessolontano da tutti i continenti?In quel momentoun sibilo molto sonoromi fece capire che i serbatoi si stavano riempiendo e che il Nautilussi sarebbe immerso sotto le onde dell'Atlantico.

Restainella mia stanza.

Volevoevitare di incontrarmi con il comandantenel timore di non sapernascondere l'emozione che mi turbava.

Trascorsicosì una ben triste giornatacombattuto fra il desiderio dirientrare in possesso della mia libertà e il rimpianto diabbandonare quel meraviglioso battellolasciando incompiuti i mieistudi sottomarini.

Abbandonarecosì il mio oceano"il mio Atlantico"come mipiaceva chiamarlosenza averne osservato gli strati inferiorisenzaavergli rubato quei segreti che mi avevano rivelato l'Indiano e ilPacifico!


Ilmio romanzo mi cadeva dalle mani dopo il primo volumeil mio sognosi interrompeva nel momento più bello!

Quelleore dolorose trascorsero cosìun po' vedendomi libero e salvoa terra con i miei compagniun po' desiderandocontro ogni logicache qualche circostanza imprevista impedisse la realizzazione delprogetto di Ned Land.

Fecidue puntate in salone per consultare la bussola.

Volevovedere se effettivamente la rotta del battello ci avvicinava o ciallontanava dalla costa.

IlNautilus continuava a navigare in immersione nelle acque territorialiportoghesi e puntava verso nordseguendo le coste dell'Europa.

Bisognavadunque approfittarne e prepararsi a fuggire.

Ilmio bagaglio non era certo pesante: i miei appunti e nient'altro.

Quantoal capitano Nemomi domandai che cosa avrebbe pensato della nostraevasionequali inquietudiniquali guaiforsegli avrebbe causatoe che avrebbe fatto nel duplice caso in cui fosse riuscita o fallita.

Certoio non potevo lamentarmi di luitutt'altro.

Maiospitalità fu più generosa della sua.

Tuttavialasciandolonon potevo essere accusato di ingratitudine.

Nessungiuramento ci legava a lui.

Solosulla forza degli avvenimenti e non sulla nostra parola egli avevacontato per trattenerci con sé.

Maquella sua pretesa di tenerci eternamente prigionieri sulla sua navegiustificava ogni nostro tentativo di fuga.

Nonavevo più visto il comandante dalla nostra visita all'isola diSantorini.

Ilcaso doveva farmelo rivedere prima della partenza?Lo desideravo e lotemevo insieme.

Tesil'orecchioma nessun rumore giungeva dalla sua cabinache eracontigua alla mia.

Sembravache la stanza fosse deserta.

Cominciaiallora a domandarmi se il capitano Nemo fosse a bordo.

Dopoquella famosa notte in cui il canotto si era staccato dal Nautilusper un misterioso serviziole mie idee si erano modificatesia purleggermenteper quanto lo concerneva.

Pensavochenonostante tutto ciò che aveva dettoegli dovesse averconservato qualche legame con il genere umano.

Eraproprio vero che non abbandonava mai il battello?

Spessoerano trascorse settimane intere senza che lo vedessi.

Checosa faceva durante quei periodi?

Untempo lo credevo in preda ad accessi di misantropiama orasospettavo che fosse altroveoccupato in qualche attività dicui mi sfuggiva la natura.

Tantipensieri e mille altri ancora mi turbinavano nel cervello.

Ilcampo di congetture poteva essere infinitonella strana situazionein cui ci trovavamo.

Sentivoun insopportabile malessere.

Quellagiornata di attesa sembrava interminabile.

Leore passavano troppo lente per la mia impazienza.

Ilpranzo mi fu servitocome semprenella mia stanza.

Mangiaiassai pocopreoccupato com'eroe mi alzai da tavola alle sette.

Centoventiminuti - li contavo - mi separavano dal momento in cui avrei dovutoraggiungere Ned Land.

Lamia agitazione aumentavail polso mi batteva con violenzanonriuscivo a stare fermo.

Andavoe venivosperando di calmare con il movimento il turbamento del miospirito.

L'ideadi morire durante la nostra temeraria impresa era la preoccupazionemeno penosa che mi turbasse la mente.

Maal pensiero di vedere il nostro progetto scoperto prima diabbandonare il battellodi essere ricondotto davanti al capitanoNemo furibondo o - ciò che sarebbe stato peggio - rammaricatoper il mio comportamentoil cuore mi balzava nel petto.

Vollitornare in salone per l'ultima volta.

Seguiile corsie e arrivai in quel museo dove avevo passato tante orepiacevoli e utili.

Dinuovo stetti a guardare tutte quelle ricchezzetutti quei tesoricome un uomo alla vigilia d'un eterno esilioche parte per non piùtornare.

Quellemeraviglie della naturaquei capolavori dell'artetra i quali datanti giorni scorreva la mia vitastavo per abbandonarli per sempre.

Avreivoluto tuffare il mio sguardo attraverso i vetri del salone nelleacque dell'Atlanticoma i pannelli erano ermeticamente chiusi e unmantello di ferro mi separava da quell'oceano che ancora nonconoscevo.

Passeggiandocosì per il salonearrivai alla portache era situata in unodegli angoli smussati e dava nella camera del comandante.

Conmia grande meraviglia era socchiusa.

Involontariamenteindietreggiai.

Seil capitano Nemo fosse stato là dentro avrebbe potuto vedermi.

Manon udendo alcun rumoremi avvicinai di nuovobussai e penetrai diqualche passo nella stanza.

Avevail solito aspetto severo da cella monacale ed era deserta.

Miguardai attorno e osservai alcune acqueforti che non avevo notatodurante la mia visita precedente.

Eranoritratti di grandi uominidi personaggi storici la cui esistenza erastata interamente dedicata a un grande ideale umano.

Qualelegame poteva esistere tra quegli spiriti eroici e il capitano Nemo?

Forsein quella galleria di ritratti era nascosta la chiave del misterodella sua vita.

Chefosse anche lui un campione dei popoli oppressiun liberatore dellegenti schiave?Era stato un protagonista negli ultimi sovvertimentipolitici o sociali di questo secolo?L'orologio che batteva le ottointerruppe le mie riflessioni: già al primo rintocco mistrappai ai miei sogni e trasalii come se un occhio invisibile avessepotuto scrutare nel più profondo dei miei pensieri.

Miprecipitai fuori della camera.

Nelsaloneil mio sguardo si fermò sulla bussola: la nostradirezione era sempre puntata a nord.

Ilsolcometro indicava una velocità moderata e il manometro unaprofondità media di circa diciotto metri.

Lecircostanze continuavano dunque a favorire il progetto del canadese.

Ritornainella mia stanza e mi vestii in modo di poter affrontare leintemperie: stivali da marinaioberretto di lontracasacca foderatadi pelo di foca.

Eropronto e rimasi in attesa.

Soloil fremito dell'elica rompeva il silenzio profondo che regnava abordo.

Ascoltavocon l'orecchio teso.

Seavessi udito un gridouno scoppio improvviso di vociavrei compresoche Ned Land e Conseil erano stati sorpresi durante i loropreparativi di evasione.

Eroin preda a un'inquietudine mortale e tentavo inutilmente di ritrovareil mio sangue freddo.

Allenove meno qualche minutoincollai l'orecchio alla porta che dividevala mia stanza da quella del comandante: nessun rumore.

Lasciaila cabina e ritornai nel salone che era immerso in una semioscurità.

Eradeserto.

Apriila porta che comunicava con la biblioteca.

Lastessa oscuritàla stessa solitudine.

Andaiad appostarmi vicino alla porta che dava sul pianerottolo della scalacentrale e attesi il segnale di Ned Land.

Proprioallora il ronzio dell'elica diminuì sensibilmentepoi cessòdel tutto.

Perchéquesto cambiamento nella marcia del Nautilus?

Unarresto avrebbe favorito od ostacolato i disegni di Ned Land?

Nonavrei saputo dirlo.

Orasolo i battiti del mio cuore rompevano il silenzio.

Aun tratto vi fu un leggero urto e io compresi che il Nautilus si eraposato sul fondo dell'oceano.

Lamia inquietudine raddoppiò:il segnale del canadese nonarrivava.

Avevouna gran voglia di raggiungerlo per tentare di convincerlo arimandare il tentativo.

Sentivoche la nostra navigazione non si sarebbe più potuta svolgerenelle condizioni previste.

Inquel momento si aprì la porta del salone e apparve il capitanoNemo.

Miscorse esenza nessun preambolomi disse in tono affabile:- Vistavo cercandoprofessore.

Conun cenno mi invitò a seguirlo.

Ioche avevo avuto il tempo di riprendere il controllo di me stessoobbedii.

C'erabuio nel salonema attraverso i vetri trasparenti brillavano leacque del mare: guardai.

Perun raggio di mezzo miglio attorno al Nautilusl'acqua sembravaimpregnata di luce elettrica e il fondo sabbioso era chiaramentevisibile.

Alcuniuomini dell'equipaggiorivestiti di scafandrierano intenti asospingere botti marcite e casse sventrate in mezzo ai relitti d'unnaufragio.

Daquelle casseda quei barili traboccavano lingotti d'oro e d'argentocascate di monete e di gioielli.

Lasabbia ne era cosparsa.

Curvisotto quel prezioso caricogli uomini tornavano al Nautilusvidepositavano il loro bottino e tornavano a quell'inesauribile pescad'argento e d'oro.

Oracapivo: eravamo nella baia di Vigoquello era il teatro dellabattaglia del 22 ottobre del 1702 e proprio lì eranoaffondatiper opera delle navi inglesii galeoni spagnoli carichidi tesori provenienti dall'America.

Quiil capitano Nemo veniva a incassaresecondo i suoi bisogniimilioni che gli occorrevano per il suo Nautilus.

Perluisolo per luil'America era stata privata dei suoi metallipreziosi.

Egliera l'erede diretto e senza contendenti di quei tesori che FernandoCortés aveva strappato agli Incas e agli altri popoli vinti.

-Lo immaginavateprofessoreche il mare contenesse tante ricchezze?

-mi domandò sorridendo.

-Sìlo sapevo - risposi.

-L'argento che vi si trova è stato valutato in due milioni ditonnellate.

-E veroma per estrarre quell'argento le spese sarebbero superiori alprofitto.

Quiinvecenon c'è che da raccogliere ciò che gli uominihanno perduto.

Enon solamente nella baia di Vigoma anche in mille altri teatri dinaufragi che ho già segnato sulla mia carta sottomarina.

Capiteoraperché io sono immensamente ricco?- Me ne rendo contocomandante.

Permettetemiperò di dirvi chesfruttando proprio la baia di Vigononavete fatto altro che precedere i tentativi di una societàrivale.

-Quale?- Una società che ha ottenuto dal governo spagnolo ilprivilegio di ricercare i galeoni affondati.

Gliazionisti sono stati allettati dalla speranza di un enorme guadagnopoiché il valore delle ricchezze naufragate viene valutato incinque bilioni di franchi.

-Cinque bilioni di franchi!


-commentò ironicamente il capitano Nemo.

-Un tempoma ora non più.

-Giusto - ripresi.

-Perciò avvertire quegli azionisti sarebbe un atto di carità.

Chissàperòse la notizia sarebbe ben accoltadato che generalmentei giocatori tengono di più alle loro folli speranze che aiquattrini.

Ciòche personalmente rimpiango è la perdita di una cosìgrande ricchezza chese ben ripartitaavrebbe potuto giovare amigliaia e migliaia di disgraziati e che invece resteràinutilizzata.

Avevoappena espresso quel rammarico che compresi di aver ferito ilcapitano Nemo.

-Inutilizzata!


-egli scattò irritato.

-Credete dunquesignoreche quelle ricchezze siano perdute soloperché finiscono in mano mia?

Sarebbeper mesecondo voiche mi preoccupo di raccogliere quei tesori?

Chivi dice che non ne farò buon uso?

Credeteforse che ignori l'esistenza di esseri sofferenti su questa terrapopoli oppressigente misera e sventurata da aiutarevittime davendicare?

Noncapite che...

Siinterruppe su queste ultime paroleforse rimpiangendo di aver dettotroppo.

Maio avevo capito.

Qualiche fossero i motivi che avevano spinto quell'uomo a cercarel'indipendenza sotto i mariera rimasto innanzitutto un essereumano.

Ilsuo cuore palpitava ancora per le sofferenze dell'umanità e lasua immensa carità era rivolta sia agli individuisia aipopoli sottomessi.

Ecompresi anche a chi erano destinati i milioni spediti dal capitanoNemoquando il Nautilus navigava nelle acque dell'isola di Cretainsorta.




7

Uncontinente scomparso.

Ilmattino dopo19 febbraioecco il canadese entrare nella mia stanza.

Ilsuo viso lasciava trasparire tutto il suo disappunto.

-E alloraprofessore?

-mi chiese.

-Il caso si è messo contro di noila scorsa notte - risposi.

-Sìbisognava che quel dannato fermasse il battello proprionell'ora in cui avevamo stabilito di fuggire da lui e dal suodiabolico Nautilus.

-Disgraziatamentecaro Neddoveva sbrigare un affare con il suobanchiere spiegai.

-Banchiere?- O piuttosto alla sede della sua banca.

Miriferisco a quei punti dell'oceano dove le sue ricchezze sono piùal sicuro di quanto lo sarebbero nelle casse di uno Stato.

Riferiial canadese gli avvenimenti della vigilia con la segreta speranza diconvincerlo a rinunciare all'idea di fuggirema il mio racconto nonebbe altro risultato che il rimpiantoespresso energicamente dalfiocinieredi non aver potuto fare una passeggiata per proprio contosul campo di battaglia di Vigo.

-Però - aggiunse - non crediate che sia finita qui!


Questonon è altro che un colpo di fiocina sfortunato.

Laprossima volta ci riusciremo ese la situazione saràpropiziatenteremo questa sera stessa.

D'accordo?-Quale rotta tiene il Nautilus?

-domandai.

-Non lo so.

-Va beneallora bisogna aspettare mezzogiornoquando potremoconoscere il punto.

Nedtornò nella sua cabinaio mi vestii e andai nel salone.

Labussola non era confortante per i piani di fuga: la rotta delbattello era sud-sud-ovest.

Avevamovoltato le spalle all'Europa.

Aspettaicon una certa impazienza che il punto fosse riportato sulla carta.

Versole undici e mezzoi serbatoi furono svuotati e il Nautilus risalìin superficie.

Miprecipitai sulla piattaforma dove Ned mi aveva preceduto.

Nessunaterra in vista: nient'altro che l'immenso mare e solo qualche velaall'orizzonteindubbiamente imbarcazioni dirette a Capo San Rocco incerca dei venti favorevoli per doppiare il Capo di Buona Speranza.

Ilcielo era coperto: si stava preparando una tempesta.

Nedrabbiosotentava di perforare con lo sguardo il brumoso orizzonte.

Speravaancora chedietro quelle masse grigiastresi stendesse la terratanto desiderata.

Amezzogiorno il sole fece la sua comparsa e il secondo approfittòdella schiarita per fare il punto.

Subitodopo il mare diventò ancora più grosso.

Scendemmoe il boccaporto fu chiuso.

Un'oradopoquando consultai la cartavidi che la posizione del battelloera indicata a 16 gradi e 17 primi di longitudine e a 33 gradi e 22primi di latitudinecioè a centocinquanta leghe dalla piùvicina costa.

Nonc'era neppure da sognarselo di poter fuggire e lascio immaginare conquale collera il canadese apprese la notizia quando gli comunicai lasituazione.

Perconto mionon mi rattristai più di tanto.

Misentivo sollevato dal peso che mi opprimeva e potei riprendere concalma relativa i miei lavori abituali.

Laseraverso le undiciebbi una visita del tutto inattesa delcapitano Nemo.

Michiese con molta gentilezza se mi sentivo ancora stanco per la vegliadella notte precedente.

Risposidi no.

-Alloraprofessorevorrei proporvi un'escursione interessante-disse.

-Ditecomandante.

-Finoraavete visitato i fondali sottomarini soltanto di giorno e conla luce del sole.

Chene direste di vederli di nottecon l'oscurità piùfitta?- Verrò con molto piacere.

-Vi prevengo che questa passeggiata sarà molto faticosa.

Bisogneràcamminare a lungo e scalare una montagna.

Equaggiù le strade non sono molto ben tenute.

-Questo non fa che raddoppiare la mia curiositàcomandanterisposi.

-Sono pronto a seguirvi.

Quandosi va?- Venite dunqueprofessore - disse il capitano Nemo.

-Andiamo a indossare gli scafandri.

Arrivatial vestibolomi resi conto che né i miei compagni néun solo membro dell'equipaggio ci avrebbero accompagnati inquell'escursione.

Ilcapitano Nemo non aveva nemmeno proposto di condurre con noi Ned Lando Conseil.

Inpochi minuti avevamo indossato le nostre apparecchiature e ci eravamosistemati sulle spalle i serbatoi abbondantemente riforniti d'aria.

Manon vedevo le lampade elettriche e feci osservare la cosa al capitanoNemo.

-Sarebbero inutili - rispose.

Credevodi aver capito male e stavo per ripetere la domandama il comandanteaveva già infilato la testa nella sua sfera metallica.

Presiil bastone ferrato che egli mi tendeva e un istante dopo mettevamopiede sul fondo dell'Atlanticoa una profondità di trecentometri.

Mezzanotteera vicina e l'acqua era profondamente scurama il capitano Nemo miindicò in lontananza un punto rossastrouna sorta di vastofalò che brillava a circa due miglia dal Nautilus.

Diche fuoco si trattassequale materiale lo alimentasseperchée come si mantenesse vivo nelle profondità marinenon avreisaputo dirlo.

L'importanteera che faceva luceuna luce blandaè veroma sufficienteperché potessi orizzontarmi.

Effettivamentein quella circostanzale lampade elettriche sarebbero state inutili.

Camminavamouno dietro l'altropuntando direttamente su quel fuoco.

Ilfondale saliva insensibilmente.

Procedevamoa lunghi passiaiutandoci con i bastonima la nostra marcia eralentanel complessopoiché i nostri piedi affondavanosovente in una specie di melma pietrosamescolata ad alghe.

Mentreavanzavo sentivo come un tambureggiare sopra la testaun rumore chedi quando in quando cresceva d'intensitàproducendo unoscoppiettio continuo.

Dopoun po' ne compresi la causa: era la pioggia che scrosciavaviolentemente sulla superficie del mare.

Istintivamentemi venne da pensare che mi sarei bagnatopoi mi ricordai di trovarmisott'acqua e non potei impedirmi di ridere di quel mio timore.

Mabisogna tener conto del fatto chedentro lo scafandronon ci sisentiva in mezzo all'elemento liquido: la sensazione che si provavaera di essere immersi in un'atmosfera un poco più densa diquella terrestre.

Dopomezz'ora di cammino il suolo diventò roccioso.

Lemeduse e i crostacei microscopici lo rischiaravano leggermente con laloro fosforescenza.

Intravididei mucchietti di pietra coperti di qualche milione di zoofiti e dialghe.

Spessoi miei piedi scivolavano su quei viscidi tappeti di erbe esenza ilbastone ferratosarei caduto più di una volta.

Quandomi giravo vedevo sempre il fanale biancastro del Nautilus checominciava a impallidire a causa della distanza.

Imonticelli pietrosi ai quali ho accennato erano disposti sul fondodell'oceano seguendo una certa regolarità che non riuscivo aspiegarmi.

Distinguevogiganteschi solchi che si perdevano lontano nell'oscurità e lacui lunghezza sfuggiva a ogni valutazione.

C'eranoanche altri particolari per me del tutto inesplicabili.

Misembrava che le mie pesanti calzature di piombo schiacciassero unalettiera di ossicini che scricchiolavano con un rumore secco.

Checos'era mai quella vasta pianura che stavamo percorrendo?

Avreivoluto chiederlo al comandantema l'alfabeto muto che gli permettevadi parlare con i suoi compagniquando lo seguivano nelle escursionisottomarineera ancora incomprensibile per me.

Nelfrattempo la luce rossastra che ci guidava aumentava e rischiaraval'orizzonte.

L'inesplicabilepresenza di quel fuoco nell'acqua mi incuriosiva al massimo.

Stavamoandando verso un fenomeno naturale ancora sconosciuto agli studiosidella terra?Oppure c'era stata la mano dell'uomo nella creazione diquell'enorme braciere ed era essa ad alimentarlo?

Stavoper incontrarein quegli abissi profondicompagniamici delcapitano Nemogente che viveva come lui quella stranaesistenza?Avrei trovato laggiù tutta una colonia di esiliatichestanchi delle miserie della terraavevano cercato e trovatol'indipendenza nel più profondo dell'oceano?Tutte quelle ideepazzescheinammissibilimi turbinavano nella mente e in taledisposizione d'animoeccitato senza tregua dalla serie di meraviglieche erano passate sotto i miei occhinon sarei stato sorpreso diincontrare sul fondo marino una di quelle città sommerse tantosognate dal capitano Nemo.

Ilnostro percorso si illuminava sempre di più.

Laluce biancheggiavaorasaettando sulla cima di una montagna altatrecento metri circa.

Maquello che vedevo non era che un semplice riverbero causato dalcristallo degli strati d'acqua.

Ilfuocofonte di quell'inesplicabile chiaroresi trovava sul versanteopposto della montagna.

Inmezzo ai dedali pietrosi che solcavano il fondo dell'Atlantico ilcapitano Nemo avanzava senza esitazione.

Conoscevaquell'oscura stradadoveva averla percorsa parecchie volte ed erasicuro di non smarrirsi.

Iolo seguivo con la massima fiducia.

Eglimi sembrava come un genio del mare ementre camminava davanti a meammiravo la sua alta figura che si stagliava nera sul fondodell'orizzonte.

Eral'una del mattino ed eravamo arrivati alle prime rampe dellamontagna.

Maper affrontarla bisognò prima avventurarsi nei sentieridifficili di un bosco.

Sì.

Unbosco di alberi mortisenza fogliesenza linfafossilizzati sottol'azione dell'acquadominati qua e là da pini giganteschi.

Sembravaun bacino carbonifero verticaletenuto in piedi dalle radiciaffondate nel suolomentre i ramicome sottili arabeschi di cartanerasi disegnavano nettamente sul soffitto d'acqua.

Cisi immagini una foresta aggrappata ai fianchi di una montagnama coni sentieri ingombri di alghe tra cui si agitava un mondo dicrostacei.

Andavoscalando le roccescavalcando tronchi abbattutirompendo le lianemarine che dondolavano fra un ramo e l'altrospaventando i pesci chescappavano tra gli alberi.

Erotalmente pieno di entusiasmo da non sentire la stanchezza.

Arrivammoa un primo pianorodove altre sorprese mi aspettavano.

Làsi stagliavano pittoresche rovineevidentemente opera dell'uomo enon della natura.

Eranograndi cumuli di pietre in cui si distinguevano vaghe forme dipalazzidi templirivestiti di un mondo di zoofiti in fiore e aiqualial posto dell'ederaalghe e fuco regalavano uno spessomantello vegetale.

Mache cos'eradunquequesta porzione di mondo vivo inghiottita daicataclismi?

Chiaveva disposto quelle rocce e quelle pietre come i dolmen dei tempipreistorici?

Dov'erodove mi aveva trascinato il capriccio del capitano Nemo?Avrei volutointerrogarlo enon potendolol'afferrai per un braccio.

Maluiscotendo la testami indicò la più alta cimadella montagnacome se volesse dirmi "Veniteandiamo avanti!".

Loseguii con un ultimo sforzo e in pochi minuti raggiunsi la vetta chedominava da una decina di metri tutto quell'acrocoro roccioso.

Guardaiverso la parte da cui eravamo saliti.

Lamontagna si alzava per non più di duecentocinquanta metri aldi sopra della pianura.

Madall'altro versante si ergeva su una profondità doppiarispetto a quella alle nostre spalle.

Imiei sguardi si spingevano in lontananza e abbracciavano un ampiospazio rischiarato da uno sfolgorio intenso.

Quellamontagna era un vulcano.

Auna quindicina di metri sotto la sommitàin mezzo a unapioggia di pietre e di scorieun largo cratere vomitava torrenti dilavache si disperdevano in cascate di fuoco nella massa d'acqua.

Cosìdispostoil vulcanosimile a un'immensa fiaccolarischiarava lapiana inferiore fino all'estremo limite dell'orizzonte.

Quelcratere sottomarino eruttava lavama non fiamme.

Perle fiamme occorre l'ossigeno dell'ariaquindi esse non possonosvilupparsi nell'acqua; ma le colate di lavache hanno in se stessel'origine della loro incandescenzapossono arrivare al rossoroventelottare accanitamente contro l'elemento liquido etrasformarlo in vapore al suo contatto.

Rapidecorrenti trasportavano tutto quel gas in formazionementre itorrenti di lava scivolavano verso la base della montagna.

Làsotto i miei occhirovinatadistruttarasa al suoloappariva unacittà con i tetti sfondatii templi distruttigli archiabbattutile colonne spezzate a terrama in cui si percepivanoancora le solide proporzioni di un'architettura simile a quellatoscana.

Piùlontanosi distinguevano i resti di un gigantesco acquedotto.

Quil'elevazione incrostata di un'acropoli con strutture cheriecheggiavano il Partenone; làle vestigia di un moloricordavano un antico porto cheun tempoaveva dato rifugiosullerive di un oceano ora scomparsoai vascelli mercantili e alletriremi da guerra.

Ancorapiù lontanola lunga linea delle muraglie crollatele larghestrade deserte: una nuova Pompei sprofondata sotto le acqueche ilcapitano Nemo risuscitava per la mia meraviglia.

Dovemi trovavo?

Avreivoluto saperlo a qualsiasi costoavrei voluto parlarestrapparmi lasfera di rame che mi imprigionava la testa.

Ilcapitano Nemo mi si avvicinò e mi fece un cenno.

Poiraccogliendo un pezzo di pietra gessosasi diresse verso un masso dibasalto nero e tracciò una parola: ATLANTIDE.

Qualelampo attraversò la mia mente!


L'Atlantide:il continente negato da molti studiosi dell'antichità e delmondo modernoche ne classificavano l'esistenza e la scomparsa allastregua di racconti leggendari; ma ricordato da infiniti altristudiosi e scrittori.

Eccololàsotto i miei occhicon ancora i segni evidenti della suacatastrofe.

Questaeradunquela regione un tempo esistente oltre l'Europal'Asial'Africadove viveva il potente popolo degli atlantidi contro cui sicombatterono le prime guerre dell'antica Grecia.

Gliatlantidi abitavano un continente immensopiù vastodell'Africa e dell'Asia messe insiemeche copriva una superficiecompresa fra il dodicesimo e il quarantesimo grado di latitudinenord.

Illoro impero si estendeva fino all'Egitto.

Essiavrebbero voluto impadronirsi anche della Greciama dovetterorinunciare di fronte all'indomabile resistenza degli elleni.

Passaronoi secoli e vi fu un cataclismainondazioniterremoti.

Ungiorno e una notte furono sufficienti per annientare quell'Atlantidele cui vette più alte - Maderale Azzorrele Canarieleisole di Capo Verde - emergono ancora.

Questii ricordi storici che la parola scritta dal capitano Nemo avevarisuscitato nella mia mente.

Cosìdunquecondotto da uno strano destinoora mi trovavo su unamontagna di quel continente.

Avevoa portata di mano rovine plurisecolariappartenenti ai periodi piùantichi del nostro pianeta.

Camminavolà dove avevano posato i piedi i contemporanei del primo uomocalpestavo con le mie pesanti calzature scheletri di animali deitempi leggendari che quegli alberiora fossilizzatiavevanoospitato sotto la loro ombra.

Avreivoluto scendere le chine scoscese della montagnapercorrere in lungoe in largo quel continente immenso cheindubbiamenteuniva l'Africaall'Americae visitare le sue grandi città antichissime i cuigiganteschi abitanti vivevano secoli interi e sapevano costruiretempli e palazzi con enormi blocchi che resistevano ancora all'azionedel mare.

Sonostati segnalati numerosi vulcani sottomariniin questa partedell'oceanoe parecchie navi hanno avvertito forti scosse passandosu tali zone tormentate.

Qualcunoha sentito quel rumore sordo che è tipico della lotta continuatra gli elementi; altri hanno raccolto ceneri vulcaniche lanciateoltre la superficie del mare.

Tuttaquesta regionefino all'equatoreè ancora agitata dalleforze vulcaniche.

Echissà chein un'epoca lontanaaumentate le eruzioni e isuccessivi strati di lavale cime delle montagne non appaiano ancoraalla superficie dell'Atlantico...

Mentrestavo così fantasticando e cercavo di fissare nella miamemoria tutti i particolari di quel paesaggio grandiosoil capitanoNemoappoggiato a una roccia muscosarestava immobile e sembravapietrificato in un'estasi muta.

Pensavaforsea quel mondo scomparsochiedendosi quali fossero i segretidel destino umano?

Oforse lo strano uomo si rituffava nei ricordi della storia epropriolui che rifiutava la vita modernasi ritemprava in quella antica?

Nonso che cosa avrei pagato per conoscere i suoi pensieripercondividerliper comprenderlo...

Restammoin ammirazione per più di un'oracontemplando la vastapianura sotto i lampi della lava che assumevaqualche voltaunaluminosità sorprendente.

Iribollimenti interiori facevano scorrere rapidi brividi lungo ifianchi della montagna.

Echiprofondichiaramente trasmessi da quella materia liquidasiripercotevano con ampiezza maestosa.

Aun certo puntola luna apparve per un istante attraverso la massadell'acqua e gettò alcuni pallidi raggi sul continenteinghiottito.

Nonfu che un lampoma di effetto indescrivibile.

Ilcomandante si alzògettò un ultimo sguardo a quellapianura immensapoi mi fececon la manosegno di seguirlo.

Discendemmovelocemente la montagna.

Nonappena sorpassata la foresta mineralevidi il fanale del Nautilusche brillava come una stella.

Rientrammoa bordo nel momento in cui i primi chiarori dell'alba illuminavano lasuperficie dell'oceano.




8

Labanchisa.

Durantela notte dal 13 al 14 marzoil Nautilus riprese la sua rotta versosud.

Pensavocheall'altezza di Capo Hornavrebbe messo la prua a ovest perraggiungere i mari meridionali del Pacifico e completare cosìil suo giro attorno al mondo.

Invecesi continuò a proseguire verso le regioni australi.

Imperturbabileil Nautilus continuò la sua navigazione verso sudseguendo ilcinquantesimo meridiano a grande velocità.

Eradunque stabilito che avremmo raggiunto il polo?

Nonne ero convintopoiché tutti i tentativi per arrivare a quelpunto del globo erano falliti.

Inoltrela stagione era molto avanzata.

Il14 marzo scorsi dei ghiacci che galleggiavano a 55 gradi dilatitudinesemplici lastre smortelunghe sei o sette metricheformavano una scogliera contro la quale il mare si frangeva.

IlNautilus navigava sulla superficie dell'oceano.

Nedche conosceva bene i mari articiera abituato alla vista degliicebergmentre io e Conseil li ammiravamo per la prima volta.

Sull'acquaverso l'orizzonte a sudsi stendeva una striscia bianca dall'aspettostupefacente.

Ibalenieri inglesi le hanno dato il nome di "iceblink" eper quanto spesse sianole nuvole non possono oscurarla.

Annunciala presenza di un "pack"o banco di ghiaccio.

Infattipresto apparvero blocchi più considerevoli la cui luminositàmutava secondo i capricci della nebbia.

Qualcunodi quei massi mostrava venature verdi.

Altrisimili a enormi ametistesi lasciavano penetrare dalla luceriflettendo i raggi del sole con le mille sfaccettature della lorosuperficie.

Alcunidi essisfumati di vivi riflessi biancastrisarebbero statisufficienti alla costruzione di un'intera città di marmo.

Piùscendevamo verso sudpiù le isole galleggianti aumentavano dinumero e di grandezza.

Gliuccelli polari vi nidificavano a migliaia.

Qualcunodi essiscambiando il Nautilus per una balena mortaveniva ariposarsi sulla tolda e dava colpi di becco al metallo sonoro.

Durantela navigazione attraverso i ghiacciil capitano Nemo si trattennespesso sulla piattaformaosservando con attenzione quelle zoneabbandonatee il suo sguardo calmo qualche volta si animava.

Sembravache in quei mari polariinterdetti all'uomosi trovasse come a casasuapadrone assoluto degli spazi inviolati.

Nonparlava mairestava immobile.

Soltantoquando il suo istinto di navigatore aveva il sopravventorientravain sé.

Pilotavaallora il Nautilus con estrema destrezzaevitando abilmente lecollisioni con quelle massedi cui qualcuna misurava parecchiemiglia di lunghezza e settanta o ottanta metri di altezza.

Spessol'orizzonte ne sembrava interamente bloccato.

All'altezzadel sessantesimo grado di latitudineogni passaggio era scomparso.

Mail capitano Nemocercando con curatrovò infine una strettaapertura attraverso la quale penetrò arditamentepur sapendoche si sarebbe richiusa alle sue spalle.

Cosìil Nautilusguidato dalla sua abile manosuperò tutti queighiacci classificatisecondo la loro forma o la grandezzacon unaprecisione che affascinava Conseil: "iceberg" o montagne"icefield" o vaste distese pianeggianti"drift-ice"o ghiacci galleggianti"pack" o pianori accidentatidetti"palk" se circolari e "stream" se formati dapezzi allungati.

Latemperatura era molto bassa e il termometroportato all'esternosegnava parecchi gradi sotto zero.

Madisponevamo di indumenti pesanti foderati di pelliccia fornita dallefoche e dagli orsi marini.

L'internodel Nautilusriscaldato regolarmente dai suoi impianti elettricipoteva sfidare anche freddi più intensi.

Inoltreera sufficiente immergersi anche a pochi metri sotto la superficiedel mare per trovare una temperatura sopportabile.

Sefossimo arrivati due mesi primaavremmo avutoa quella latitudineil giorno continuo e avremmo visto il sole di mezzanotte; ma in quelperiodo la notte durava già quattro o cinque ore e in seguitoavrebbe gettato sei mesi d'ombra sulla zona circumpolare.

Il15 marzo fu superata la latitudine delle isole Shetland e delleOrcadi australi.

Ilcomandante mi informò chein altri tempiquelle terre eranoabitate da numerosi branchi di fochema i balenieri inglesi eamericaninella loro furia di distruzionemassacrando adulti efemmineavevano lasciato dietro di sélà doveesisteva l'animazione della vitail silenzio della morte.

Il16 marzoverso le ottoil battelloche seguiva ilcinquantacinquesimo meridianotagliò il circolo polareantartico.

Ighiacci ci circondavano da tutte le parti e chiudevano l'orizzonte.

Ciononostanteil capitano Nemo continuava la sua rottaguidando il Nautilus semprepiù a sudverso il polo.

-Ma dove vorrà andare?

-domandai.

-Sempre avanti - risposesempre impassibileConseil.

-Alla fin finequando avanti non potrà più andaresifermerà.

-Non ci giurerei.

Peressere francoconfesserò che quella escursione avventurosanon mi dispiaceva affatto.

Nonso descrivere fino a che punto mi incantavano le bellezze di quelleregioni inesplorate.

Ighiacci assumevano forme superbe: qui il loro insieme sembravaformare una città orientale con innumerevoli minareti emoscheelàuna città distrutta come se fosse stataabbattuta da un terremototra fantasmagorici aspettivariati incontinuazione dal caleidoscopio dei raggi solarioppure sommersi dabrume grigie in mezzo a uragani di neve.

Eda ogni parte detonazioniribollimentiiceberg che si rovesciavanoche cambiavano la scena.

Seil Nautilus era immerso mentre si rompevano quegli equilibriilfragore si propagava nell'acqua con una spaventosa intensità ela caduta di quelle masse creava pericolosi sconvolgimenti fino aglistrati più profondi dell'oceano.

Allorail battello rollava e beccheggiava come una nave in preda alla furiadegli elementi.

Avolte non si vedeva più nessun passaggio mamentre pensavoche eravamo definitivamente prigionieriguidato dal suo istintodaipiù piccoli indiziil capitano Nemo scopriva un nuovo buco.

Nonsi sbagliava mai nell'osservare i sottili fili d'acqua bluastra chesolcavano gli "icefield"tanto che cominciavo a pensareche si fosse già avventurato con il suo Nautilus nel cuore deimari antartici .

Finalmenteil 18 marzodopo venti assalti inutiliil Nautilus eradefinitivamente bloccato.

Nonsi trattava più di "stream" né di "pack"né di "icefield" ma di un'interminabile e immobilebarriera formata da montagne unite tra loro.

-La banchisa - spiegò Ned.

Compresidal tono che per luicome per tutti i navigatori che ci avevanoprecedutiquello era un ostacolo invalicabile.

Versomezzogiornoessendo apparso il soleil capitano Nemo potéfare il punto con esattezza e rilevammo che la nostra posizione era a51 gradi e 30 primi di longitudine e a 67 gradi e 39 primi dilatitudine sud.

Eraun punto molto avanzato delle regioni antartiche.

Dimareossia di superficie liquidanon c'era nemmeno piùl'apparenzasotto i nostri occhi.

Davantial Nautilus si stendeva una vasta pianura accidentatainframmezzatada blocchi di ghiacciocon tutta quella confusione capricciosa checaratterizza la superficie di un fiume qualche tempo prima deldisgeloperò in proporzioni gigantesche.

Quae làpicchi aguzziaghi slanciati che si elevavano fino aun'altezza di settanta metri; più lontanoun susseguirsi discogliere taglienti a picco e rivestite di tinte grigiastreenormispecchi su cui si riflettevano alcuni raggi di sole mezzo soffocatidalle brume.

Inoltresu quel panorama desolato un silenzio spaventosoappena rotto dalbattito d'ali di qualche uccello polare.

Tuttoera gelatoperfino il silenzio.

IlNautilusdunquedovette interrompere la sua avventurosa corsa inmezzo ai campi di ghiaccio.

-Se il comandante riesce a passaresignifica che è un verodemonio - disse quel giorno Ned Land.

-Perché?

-domandai.

-Perché nessuno è mai riuscito a superare la banchisa.

E'molto potenteil capitano Nemoma non certo più dellanaturae là dove essa ha messo i suoi limitibisogna cheanche lui si fermiche lo voglia o no.

-E' veroavete ragione - riconobbi con un po' di rimpianto nellavoce.

-Avrei tanto voluto sapere cosa c'è dietro quella banchisa.

Unmuroecco ciò che mi irrita di più.

-Capisco quello che sente il signore - disse Conseil.

-I muri sono stati inventati per irritare gli studiosi.

Nondovrebbero esserci muri in nessun luogo.

-Non ve la prendete troppo - disse il canadese.

Sisa bene cosa c'è dietro questa banchisa.

-Che cosa?- Ghiacciosolo ghiaccio.

-Voi siete sicuro di quanto diteNed - dissi - ma io non lo sono perniente.

Perquesto vorrei andare a vedere.

-Suvviaprofessorerinunciate a una simile impresa - rispose ilcanadese.

-Siamo arrivati alla banchisa e mi sembra che sia giàabbastanza.

Néil capitano Nemo né il suo battello potranno andare oltre:ormai non gli resta che far rotta verso nord e tornare nel mondodella gente civile.

Devoconvenire che Ned Land aveva ragione efino a quando non sarannocostruite per navigare sui campi di ghiacciole navi dovranno semprefermarsi davanti alla banchisa.

Effettivamentenonostante i suoi sforzinonostante tutti i mezzi impiegati perperforare i ghiacciil Nautilus fu ridotto all'immobilità.

Ingenerequando uno non ha modo di procederesi gira e torna suipropri passi.

Malì tornare indietro era tanto impossibile quanto avanzarepoiché i passaggi si erano richiusi alle nostre spalle eperpoco ancora che il nostro apparecchio fosse rimasto fermosarebbestato del tutto bloccato.

Efu proprio ciò che accadde verso le duequando del ghiaccionuovo si formò sulle nostre murate con una rapiditàimpressionante.

Dovettiammettere che la condotta del capitano Nemo era stata più cheimprudente.

Inquel momento mi trovavo sulla piattaforma.

Ilcomandanteche da qualche minuto stava considerando la situazionemi si rivolse e tranquillamente mi domandò:- Ebbeneprofessoreche cosa ne pensate?- Che siamo intrappolaticomandante- risposi.

-Intrappolati?

Checosa intendete dire?- Che non possiamo più andare néavanti né indietro né in qualsiasi altra direzione.

-Cosìsignor Aronnaxvoi pensate che il Nautilus non potràliberarsi dalla morsa dei ghiacci?- Molto difficilmentecomandante;la stagione è troppo avanzata per poter contare su un disgelo.

-Ahprofessoresiete sempre lo stesso!


-esclamò il capitano Nemo in tono ironico.

-Vedete solo impedimenti e ostacoli.

Mavi assicuro formalmente che non solo il Nautilus uscirà dallatrappolama anche che andrà avanti.

-Avanti verso sudintendete dire?

-chiesiguardandolo con aria stupita.

-Fino al polo.

-Fino al polo?

Voletescherzare?

-dissi senza riuscire a dissimulare la mia incredulità.

-Sì - rispose luiquesta volta freddamente.

-Al polo antarticoin quel punto sconosciuto dove si incrociano tuttii meridiani del globo.

Ormaiavreste dovuto capire che riesco a fare col mio battello tutto ciòche voglio.

Sìlo sapevo.

Sapevoche quell'uomo era audace fino alla temerarietà.

Matentare di vincere gli ostacoli che si ergono davanti al Polo Sudpiù inaccessibile del Polo Nordche pure è statoraggiunto solamente da pochi ardimentosiera un'impresa insensatache solo la mente di un folle poteva concepire.

Mivenne allora l'idea di chiedere al capitano Nemo se avesse giàraggiunto precedentemente quel polo che non era mai stato calpestatoda nessun piede umano.

-Nosignore - mi rispose tranquillamente.

-Lo scopriremo insieme.

Làdove tutti gli altri hanno fallitoio riuscirò.

Primad'ora non ho mai condotto il mio Nautilus così lontano neimari australiperòve lo ripetoquesta volta andremo alPolo Sud.

-Vi voglio crederecomandante - risposi con un tono un poco ironico.

-Vi credo.

Andiamoavantiallora!


Nonc'è nessun ostacolo davanti a noitranne quella bazzecola cheè la banchisa.

Speroniamolaese resistefacciamola saltare.

Enel caso che anche questo fosse inutilemettiamo le ali al Nautilusin modo che possa passarci sopra.

-Perché proprio sopraprofessore?

-domandò freddamente il capitano Nemo.

-Non sopra: sotto.

-Sotto?La piena confessione dei progetti del capitano Nemo folgoròa un tratto la mia mente: finalmente avevo capito.

Lemeravigliose facoltà del Nautilus stavano per venirci in aiutoanche in quell'impresa sovrumana.

-Vedo che cominciate a capirmiprofessore - mi disse il comandantecon una risatina.

-Intravedete ora la possibilitàio direi il successodiquesto tentativo?

Ciòche è impossibile per un'imbarcazione qualsiasi diviene facileper il mio battello.

Seal Polo Sud c'è un continenteci arresteremo davanti ad essoma seal contrarioè il mare libero che lo bagnaarriveremoproprio fino al polo.

-Effettivamente - confermaitrascinato dal ragionamento del capitanoNemo - se la superficie del mare è solidificata dai ghiaccigli strati inferiori sono liberiper quella provvidenziale legge cheha stabilito a un grado superiore a quello della congelazione ilmaximum della densità dell'acqua marina.

Sericordo benela parte immersa di questa banchisa sta alla parteemersa come quattro sta a uno.

-All'incircaprofessore.

Perogni metro che gli iceberg misurano sopra l'acquane hanno tresotto.

Orapoiché queste montagne di ghiaccio non superano i cento metrine consegue che non possono pescarne più di trecento.

Eche cosa sono trecento metri per il Nautilus?- Niente.

-E potrà anche andare a cercarea una maggiore profonditàla temperatura uniforme delle acque marine.

Laggiùpotremo sfidare impunemente i trenta o quaranta gradi sotto zerodella superficie.

-Verosignore - dissi con entusiasmo.

-Verissimo.

-La sola difficoltà - riprese il capitano Nemo sarà chedovremo restare parecchi giorni immersi senza poter rinnovare leprovviste d'aria.

-Tutto qui il problema?

-replicai con vigore.

-Il Nautilus ha grandi serbatoi: li faremo riempire ed essi ciforniranno tutto l'ossigeno di cui avremo bisogno.

Ilcapitano Nemo sorrise.

-Ben dettosignor Aronnax.

Maper evitare che poi mi accusiate di temerarietàvogliosottoporvi in anticipo tutte le mie obiezioni.

-Ne avete altre?- Una sola.

E'possibilese al Polo Sud c'è il mareche questo siacompletamente ghiacciato edi conseguenzache ci sia impossibilesalire in superficie.

-Voi dimenticate che il Nautilus è fornito di uno speronepoderoso che potremo lanciare diagonalmente contro quei campi dighiaccio.

Noncredete che si fenderanno sotto i colpi?- Perbaccoprofessore!


-esclamò il capitano Nemo.- Ne avete di ideeoggi!

-Inoltre - aggiunsientusiasmandomi sempre di più - chi vidice che non si possa incontrare il mare libero al Polo Sud cosìcome si trova al Polo Nord?

Ipoli del freddo e quelli della Terra non coincidono nénell'emisfero boreale né nell'emisfero australe efino aprova contrariasi deve supporre o un continente o un oceano liberoda ghiacciin quei due punti del globo.

-Così credo anch'iosignor Aronnax - disse il capitano Nemo.

-Mi permetto solo di farvi osservare chedopo aver fatto tanteobiezioni al mio progettoora mi state subissando di argomentazioniin suo favore.

Avevaragione: ero arrivato a superarlo in audacia ed ero io che lo stavotrascinando al polo!


Loavevo superato e lo stavo distanziando...

Manoche matto!


Ilcapitano Nemo conosceva meglio di me il pro e il contro del problemama si divertiva nel vedermi eccitatoimmerso in fantasticheriedell'impossibile.

Nelfrattemponon aveva perso un istante.

Aun segnale apparve il secondo e i due si intrattennero brevemente nelloro linguaggio incomprensibile: sia che fosse stato precedentementeavvisatosia che giudicasse il progetto del tutto normaleilsecondo non lasciò trapelare il minimo stupore.

Maper quanto apparisse impassibilenon arrivò a superareConseilquando gli annunciai la nostra intenzione di spingerci finoal Polo Sud.

Un"come piacerà al signore" fu l'unico commento allamia comunicazionee dovetti accontentarmene.

Perquanto riguarda Ned Landse mai vi furono spalle che si alzaronofurono proprio quelle del canadese al mio annuncio.

Milanciò un'occhiata di compatimento.

-Scusateprofessorema voi e il capitano Nemo mi fate pena.

-Ma arriveremo al poloNed!

-Può darsiperò non ne ritorneremo.

Erientrò in fretta nella propria cabina "per non fare unasciocchezza"come mormorò andandosene.

Frattantocominciavano i preparativi per l'audace tentativo.

Lepossenti pompe del Nautilus ingolfavano l'aria nei serbatoi e laimmagazzinavano ad alta pressione.

Versole quattro del pomeriggioil capitano Nemo mi annunciò che ilboccaporto stava per essere richiuso.

Lanciaiun ultimo sguardo alla vasta banchisa che avremmo dovuto superare.

Iltempo era buono e l'atmosfera molto limpidail freddo intensododici gradi sotto zeroma il vento si era calmato e quellatemperatura non sembrava insopportabile.

Unadecina di uomini salirono sulla piattaforma earmati di picconiruppero il ghiaccio attorno alla carena che ben presto fu libera.

L'operazionefu portata a termine rapidamentepoiché il ghiaccio eragiovane e quindi ancora sottile.

Rientrammotutti a bordo.

Iserbatoi furono riempiti d'acqua e il Nautilus non tardò aimmergersi.

Insiemecon Conseil ero disceso nel salone e attraverso i vetri andavoammirando gli strati inferiori del mare.

Atrecento metri circacome il capitano Nemo aveva previstogiànavigavamo sotto la superficie accidentata della banchisa.

Tuttaviail battello si immerse ancora di piùraggiungendo laprofondità di ottocento metri.

Latemperatura dell'acquache in superficie era di meno dodici gradinon arrivava agli undici: avevamo già guadagnato quasi duegradi.

Nonè il caso di precisare che l'interno del Nautilusgrazie agliapparecchi per il riscaldamentosi manteneva a una temperatura moltosuperiore.

Tuttele manovre si svolgevano con estrema precisione.

-Si passeràse al signore non dispiace - commentòConseil.

-Lo spero bene - replicai in tono di profonda convinzione.

Inquel mare liberoil Nautilus aveva ripreso la rotta verso il polo.

IlNautilus prese una velocità di crociera di ventisei migliaall'orala velocità di un treno espresso.

Sel'avesse mantenutaquaranta ore sarebbero state sufficienti pergiungere al polo.

Peruna buona parte della nottela novità della situazionetrattenne me e Conseil al vetro del salone.

Ilmare si illuminava sotto l'irradiazione elettrica del fanalema eradeserto.

Ipesci non vivono in quelle acque chiusedove non trovavano che unpassaggio tra l'Oceano Antartico e il mare libero del Polo.

Lanostra marcia era velocelo si sentiva dal tremolio della lungachiglia d'acciaio.

Infineverso le due del mattinodecisi di andare a letto e Conseil miimitò.

Passandoattraverso le corsienon vidi il capitano Nemo e supposi che fosseancora nella gabbia del timoniere.

Allecinque del mattino del 19 marzo ripresi il mio posto d'osservazionenel salone.

Ilsolcometro elettrico indicava che la velocità era statamoderata e che il Nautilus stava risalendo verso la superficiemacon prudenzavuotando lentamente i serbatoi.

Ilcuore mi pulsava in gola.

Stavamoper emergere e ritrovarci nell'atmosfera libera del Polo?No!


Uncolpo mi informò che il battello aveva urtato contro lasuperficie inferiore della banchisa.

Effettivamenteavevamo "toccato"per usare un'espressione marinarescamanel senso inverso e a trecentocinquanta di profondità.

Questosignificava che c'erano settecento metri di ghiaccio sopra le nostretestedi cui una parte sopra il livello del mare.

Labanchisa presentavain quel puntouno spessore superiore a quelloche avevamo rilevato ai suoi bordi.

Circostanzapoco rassicurante.

Durantequella giornatail Nautilus ripeté parecchie volte lamedesima manovra e sempre andò a urtare contro quellosbarramento che ci faceva da soffitto.

Avolte l'incontrava a novecento metriil che voleva dire mille eduecento metri di spessoredi cui trecento metri si elevavano sullasuperficie dell'oceanoil doppio di quanto riscontrato al momentodell'immersione.

Segnaiaccuratamente quelle diverse profonditàottenendo cosìun profilo sottomarino di quella catena che si sviluppa sotto leacque.

Asera nessun cambiamento era avvenuto nella nostra situazione:sempreghiaccio fra i quattrocento e i cinquecento metri di profondità.

Unaforte diminuzionema quanto spessore c'era ancora fra noi e lasuperficie dell'oceano!

Eranole otto esecondo le abitudinigià da quattro ore si sarebbedovuto cambiare l'aria del Nautilus.

Tuttaviabenché ancora non avessimo attinto un supplemento di ossigenodai serbatoinon ne risentivamo.

Quellanotte il mio sonno fu inquietoin un continuo alternarsi di speranzae di paura.

Mialzai parecchie voltee sentii che i brancolamenti del Nautiluscontinuavano.

Versole tre del mattino mi accorsi che ora la superficie inferiore dellabanchisa la si incontrava a soli cinquanta metri di profondità.

Cinquantametri ci separavano dalla superficie del mare.

Labanchisa a poco a poco stava ridivenendo "icefield"lamontagna si rifaceva pianura.

Imiei occhi non abbandonarono più il manometro.

Seguitavamoa risalire seguendocon una diagonalela superficie rilucente chesprizzava scintille sotto il raggio del fanale.

Labanchisa si assottigliava sopra e sotto in rampe allungate.

Infinealle sei del mattino di quel memorabile giornola porta del salonesi aprì e apparve il capitano Nemo.

-Il mare aperto!


annunciò.




9.

IlPolo Sud.

Miprecipitai sulla piattaforma.

Sìeravamo in mare aperto.

Soltantoqualche lastra di ghiaccio sparsaqualche "iceberg"vagante e un mare esteso fino all'orizzonte.

Un'infinitàdi uccelli nell'aria e miriadi di pesci in quelle acque cheseguendoi fondalivariavano dall'azzurro intenso al verde oliva.

Iltermometro segnava tre gradi sopra zero.

Eraun tempo primaverile racchiuso dentro la banchisale cui masse siprofilavano lontane sull'orizzontea nord.

-Siamo già arrivati al Polo Sud?

-domandai con il cuore in subbuglio.

-Non lo so ancora - mi rispose onestamente il capitano Nemo.- Amezzogiorno faremo il punto e conosceremo la nostra posizione.

-Ma il sole si mostrerà attraverso le brume?

-domandai ansiosoguardando il cielo grigiastro.

-Per quanto poco appaiami sarà sufficiente - rispose ilcapitano Nemo.

Adieci miglia dal Nautilusverso sudun isolotto solitario sielevava a un'altezza di duecento metri e noi vi ci dirigemmo conprudenzapoiché quel mareper quel che ne sapevamopotevaessere disseminato di scogli.

Dilì a un'ora avevamo raggiunto l'isoletta e due ore dopo ciaccingevamo a esplorarla.

Misuravada quattro a cinque miglia di circonferenza.

Unostretto canale la divideva da una terra molto più vastaforseun continentedi cui non potevamo calcolare l'estensione.

Nelfrattempo il Nautilusper evitare di arenarsisi era fermato vicinoa un greto che si stendeva sotto una superba pila di rocce.

Ilcanotto fu allargato in mare e vi salii con Conseilil capitano Nemoe due uomini che portavano gli strumenti nautici.

Eranole dieci del mattino.

Nonavevo visto Ned Landil quale probabilmente non voleva riconoscereil proprio torto davanti al Polo.

Pochicolpi di remo portarono il canotto sulla rivadove si insabbiò.

Conseilfece per saltare a terrama lo trattenni erivolgendomi al capitanoNemodissi:- A voi l'onore di mettere per primo il piede su questaterrasignore.

-Grazieprofessore - egli rispose.

-Se non esito a farlo è solo perchéfinoranessunaltro essere umano ha mai calpestato questo suolo.

Ciòdettosaltò agilmente sulla sabbia e si arrampicò suuna roccia che terminava a strapiombo su un piccolo promontorio.

Làcon le braccia incrociatelo sguardo attentoimmobilemutosembrava prendere possesso di quelle zone australi.

Dopoaver passato parecchi minuti immerso in quell'estasisi giròverso noi.

-Quando voletesignore...

-mi gridò.

Sbarcaiseguito da Conseilmentre i due uomini dell'equipaggio restavano nelcanotto.

Perun lungo tratto il terreno si presentava come un tufo di colorrossastro.

Scoriecolate di lava e pietra pomice ricoprivano larghi trattirivelandonel'origine vulcanica.

Inalcuni punti qualche piccolo soffioneche emanava un odoresolforosotestimoniava che gli strati interni non avevano ancoraperso la potenza del fuoco primigenio.

Ciononostanteavendo scalato un'alta scarpatanon vidi nessun vulcano nel raggiodi parecchie miglia.

Sisa chein queste contrade antarticheJames Ross ha trovato icrateri dell'Erebus e del Terror in piena attività sulcentosessantaseiesimo meridiano e a 77 gradi e 32 primi dilatitudine.

Lavegetazione di quel continente desolato mi sembrò estremamenteristretta: radi licheni della specie "unsnea melanoxantha"crescevano a stento sulle rocce nere.

Incompenso c'era molta vita nell'ariadove volavano e volteggiavanomigliaia d'uccelli di differenti specieche ci assordavano con leloro strida.

Altriingombravano le rocce e ci guardavano passare senza mostrare pauraperfino avvicinandosi familiarmente ai nostri passi.

C'eranopinguini agili ed eleganti.

Emettevanogrida rauche e formavano gruppi numerosisobri di gesti ma prodighidi clamori.

Dopomezzo miglioil terreno ci apparve tutto crivellato di nidi disfenischiuna specie di tane da cui scappavano numerosi uccelli.

Piùtardi il capitano Nemo ne avrebbe fatto catturare alcune centinaiapoiché la loro carne nera è molto appetitosa.

Questianimali della grossezza di un'ocacon il corpo color ardesiailpetto bianco e un collarino color giallo limoneemettono suoni cheassomigliano a ragli d'asino e si lasciano uccidere a colpi di pietrasenza nemmeno cercare di fuggire.

Nelfrattempo la bruma non si era alzata e alle undici il sole non eraancora comparso.

Questonon smetteva di inquietarmipoiché in sua assenza non eranopossibili i rilevamenti.

Eallora come determinare se eravamo arrivati al Polo Sud?Quandoraggiunsi il capitano Nemolo trovai appoggiato a una rocciaintento a osservare il cieloevidentemente impaziente e contrariato.

Mache farci?

Perquanto audace e potente fossenon poteva comandare al sole comecomandava al mare.

Mezzogiornopassò senza che l'astro del giorno si mostrasse un soloistante.

Nonsi poteva nemmeno riconoscere la posizione che doveva occupare dietrola cortina di nebbiae poco dopo quella nebbia si trasformòin neve.

-A domani - disse semplicemente il comandantementre stavamoritornando al battello in mezzo a turbini di vento.

Durantela nostra assenza erano state tese le reti e osservai con interesse ipesci che venivano tratti a bordo.

Imari antartici servono di rifugio a un gran numero di migratori chefuggono le tempeste dei mari più temperati per cadere - maessi lo ignorano - sotto i denti dei marsovini e delle foche.

Latempesta di neve durò per tutto il giorno e fu impossibiletrattenersi sulla piattaforma.

Dalsalonedove stavo redigendo le note sugli avvenimentidell'escursione nel continente polareudivo le strida degli albatriche giocavano in mezzo alla bufera.

IlNautilus non restò all'àncoramacosteggiando larivasi portò ancora più a sud di una decina dimigliain quella mezza luce che manda il sole sfiorando i bordidell'orizzonte.

L'indomani20 marzonon nevicava piùperò il freddo era piùpungente e il termometro segnava due gradi sotto zero.

Lanebbia si alzò e io pensai che quel giorno sarebbe statopossibile fare il rilevamento.

Poichéil capitano Nemo non era ancora apparsoConseil e io prendemmo ilcanotto e ci facemmo accompagnare a terra.

Lanatura del terreno era la solita: vulcanica.

Dappertuttotracce di lavadi scorie e di basaltosenza che riuscissi adistinguere il cratere che le aveva eruttate.

Anchequicome nel punto in cui eravamo sbarcati il giorno precedentemiriadi di uccelli animavano quella parte del continente polare.

Questavoltaperòdovevano dividere il loro impero con grossegreggi di mammiferi marini che ci guardavano con occhi miti.

Eranofoche di tipi differentialcune stese al suoloaltre accucciate sughiacci alla derivamentre altre ancora si tuffavano in mare.

Quandoci avvicinavamo non scappavanopoiché non avevano mai avutocontatti con l'uomo.

Necontai quante bastavano per approvvigionare alcune centinaia dibastimenti.

-In fede mia - disse Conseil - è una fortuna che Ned Land nonci abbia accompagnati.

-Perché?

-chiesi.

-Perché da quell'arrabbiato cacciatore che èavrebbeammazzato tutto.

-Tutto è un po' troppo - dissi - ma sono persuaso che nonavremmo potuto impedire al nostro amico di fiocinare qualcuno diquesti magnifici esemplari.

Equesto avrebbe contrariato il capitano Nemoil quale non vuole chesi versi inutilmente il sangue di bestie inoffensive.

-Haragione.

-Indubbiamente.

Di'un po'Conseil: non hai mai cacciato questi superbi esemplari difauna marina?-Nosignore.

Eranole otto del mattino.

Cirestavano quattro ore prima che arrivasse il momento in cui il soleavrebbe potuto essere osservato in maniera utile per rilevare ilpunto.

Maquando giunse mezzogiornocome il giorno precedenteil sole non sifece vedere.

Erauna fatalità.

Ilrilevamento mancava ancora e se il giorno dopo non si fosse potutoeffettuareavremmo dovuto rinunciare definitivamente a fare il puntodella nostra posizione.

Infattieravamo precisamente al 20 marzo.

L'indomaniil 21era il giorno dell'equinozio; poi il sole sarebbe rimastosotto l'orizzonte per sei mesi econ la sua scomparsasarebbecominciata la lunga notte polare.

Dopol'equinozio di settembresarebbe emerso dall'orizzontesettentrionalealzandosi secondo spirali allungate fino al 21dicembreche corrisponde al solstizio d'estate per quelle contradeboreali.

Alloraavrebbe cominciato a ridiscenderefino al 21 marzoquando avrebbesaettato gli ultimi raggi.

Comunicaile mie osservazioni e i miei timori al capitano Nemo.

-Aveteragionesignor Aronnax - confermò.

-Se domani non rileviamo l'altezza del solel'operazione non potràesser fatta per altri sei mesi.

Peròproprio e precisamente perché il caso mi ha condotto in tempodi equinozio in questi mariil punto sarà facile da rilevaresea mezzogiornoil sole si farà vedere.

-Perché?- Quando il sole descrive spirali cosìallungateè difficile misurare con esattezza la sua altezzasull'orizzonte e gli strumenti sono soggetti a commettere gravierrori.

-Come fareteallora?- Userò il mio cronometro - spiegòil capitano Nemo.

-Se domani a mezzogiorno il disco solare è tagliato esattamentedall'orizzonte nordvorrà dire che ci troviamo al Polo Sud.

-E'vero - convenni.

-Però quest'affermazione non è matematicamente rigorosapoiché l'equinozio non cade necessariamente a mezzogiorno.

-Perfettamentesignore - replicò il capitano Nemo ma l'erroresarà minimodi qualche centinaio di metrinon più.

Pernoi è più che sufficiente.

Perciòa domani.

Egliritornò a bordomentre io e Conseil restammo fino alle cinquea passeggiare sulla spiaggiaosservando e studiando ogni cosa.

Ilgiorno dopo21 marzosalii sulla piattaforma alle cinque delmattino e vi trovai il capitano Nemo.

-Il cielo si sta schiarendo un po' - egli m'informò.

-Ho buone speranze.

Dopocolazione ci recheremo a terra per scegliere il luogo d'osservazione.

Ciòstabilitoandai a parlare a Ned Land per tentare di persuaderlo avenire con mema l'ostinato canadese rifiutò.

Avevonotato che la sua tetraggine e il suo cattivo umore andavanoaumentando di giorno in giorno e dopo tutto non mi rammaricai troppoche si intestardisse così in quella circostanza.

C'eranoveramente troppe fochea terrae non era bene mettere quelcacciatore irriducibile in tanta tentazione.

Terminatodi far colazionemi recai a terra.

Durantela notte il battello si era ancora spostato di alcune miglia e ora sitrovava a una lega abbondante al largo della costa dominata da unpicco aguzzo alto quattro o cinquecento metri.

Ilcanotto portava meil capitano Nemodue uomini dell'equipaggio egli strumenticioè un cronometroun binocolo e un barometro.

Allenove toccammo terra.

Ilcielo si era schiaritole nuvole fuggivano a sud e la nebbiaabbandonava la superficie fredda dell'acqua.

Ilcapitano Nemo si diresse verso il picco dove intendeva sistemarel'osservatorio.

Fuun'ascesa faticosa su lave aguzze e pietra pomicein un'atmosferaspesso satura di esalazioni solforose provenienti dai soffioni.

Ilcomandanteper essere un uomo disabituato a calpestare la terrascalava le pareti più ripide con un'agilità che avrebbefatto invidia a un cacciatore di camosci e con un'andatura che nonriuscivo a tenere.

Civollero due ore per raggiungere la vetta di quel piccometàporfido e metà basalto.

Dalassù i nostri sguardi abbracciarono un vasto tratto di marechein direzione nordtracciava nettamente la sua linea terminalecontro il fondo del cielo.

Ainostri piedi i campi di ghiaccio risplendevano di biancoresullenostre teste un pallido azzurro liberato dalla nebbia.

Anordil disco del sole simile a una palla di fuoco giàintaccata dalla lama dell'orizzonte.

Dalseno del mare si alzavano centinaia di magnifici getti liquidi.

Indistanzaquell'enorme cetaceo addormentato che portava il nome diNautilus.

Allenostre spalleverso sud e verso estuna terra immensaunsuccedersi caotico di rocce e di ghiacci di cui non si riusciva avedere la fine.

Amezzogiorno meno un quartoil sole si mostrò come un discod'oro e dispensò i suoi ultimi raggi sul continente desolatosu quel mare che gli uomini non avevano ancora solcato.

Ilcapitano Nemomunito di un binocolo graduatoosservava l'astro cheaffondava a poco a poco sotto l'orizzonteseguendo una curva moltoallungata.

Iotenevo il cronometro.

Ilcuore mi batteva forte.

Sela scomparsa del mezzo disco del sole avesse corrisposto con ilmezzogiorno segnato dal cronometrovoleva dire che eravamo proprioal polo.

-Mezzogiorno!


-urlai.

-Il Polo Sud - disse il capitano Nemo con voce gravepassandomi ilbinocolo.

L'astrodel giorno era diviso esattamente in due parti uguali dall'orizzonte.

Guardaigli ultimi raggi coronare il piccomentre le ombre cominciavano apoco a poco ad arrampicarsi sui suoi fianchi.

-Oggiventun marzo milleottocentosessantottoioNemoho raggiuntoil Polo Sud al novantesimo grado e prendo possesso di questa partedel globopari a un sesto dei continenti conosciuti.

-A nome di chi?- A nome mio.

Cosìdicendoil capitano Nemo spiegò una bandiera neracheportava una "N" d'oro.

Poirivolgendosi verso il solei cui ultimi raggi lambivano l'orizzontesul mareesclamò:- Addio sole!


Sparisciastro radioso!


Tramontasu questo mare libero e lascia che una notte di sei mesi stenda lesue ombre sul mio nuovo dominio!

Allesei del mattino del giorno successivoil 22 marzocominciarono ipreparativi per la partenza.

Leultime luci del crepuscolo si fondevano nella notte polare.

Ilfreddo era intenso.

Lecostellazioni risplendevano con sorprendente intensità.

Iltermometro segnava dodici gradi sotto zero e il ventoquandosoffiavasembrava mordesse la carne.

Sull'acquail ghiaccio si moltiplicava di continuodappertutto il mare tendevaa solidificarsi.

Numeroseplacche nerastreche si stagliavano in superficieannunciavano laprossima formazione di nuovi ghiacci.

Ciòdimostrava che il bacino australegelato durante i sei mesidell'invernoera assolutamente inaccessibile.

Nelfrattempoi depositi di acqua erano stati riempiti e il battello siimmergeva lentamente; si fermò a una profondità ditrecentotrenta metri.

Daquel momento si diresse diritto a nord a una velocità diquindici miglia all'ora.

Versoseranavigava già sotto l'immensa corazza della banchisa.

Ipannelli del salone erano stati chiusi per prudenzapoiché lachiglia del Nautilus poteva urtare qualche blocco di ghiacciosommersocosì passai la giornata a rimettere a posto i mieiappunti.

Ilmio spirito era interamente assorbito dai ricordi del polo.

Avevamoraggiunto quella meta senza faticasenza pericolicome se il nostrovagone navigante fosse scivolato sui binari della ferrovia.

Eora cominciava il vero ritorno.

Miavrebbe riservato sorprese simili?

Neero quasi sicurotalmente mi sembrava inesauribile la serie dellemeraviglie sottomarine.

Daquandocinque mesi e mezzo primail caso ci aveva gettati a bordodel battello del capitano Nemoavevamo percorso quattordicimilaleghe esu quel percorso più lungo dell'equatorequantiavvenimenti curiosi o terribili avevano movimentato il nostroviaggio!


Lacaccia nelle foreste di Crespoil cimitero di coralloi banchiperliferi di Ceylonl'"Arabian tunnel"i miliardi dellabaia di Vigol'Atlantideil Polo Sud...

Durantela notte il susseguirsi di tanti ricordi non permise che il miocervello si riposasse un istante.

Allecinque del mattino vi fu un urto a prua e pensai che il tagliamareavesse urtato un blocco di ghiaccio a causa di una falsa manovra.

Attesiche il capitano Nemomodificando la rotta aggirasse l'ostacolo oseguisse i meandri del tunnel.

Macontro ogni mia aspettativail battello cominciò aretrocedere a velocità sostenuta.

-Andiamoa ritroso?

-chiese Conseil.

-Sì - risposi.

-Probabilmente da questa parte il passaggio è senza sbocchi.

-E allora?- E allora c'è una sola manovra da fare - dissi.

-Ritorniamo sui nostri passi e usciamo dalla parte sud.

Eccotutto.

Enel dire questomi sforzai di sembrare più tranquillo diquanto effettivamente fossi.

Nelfrattempoil movimento di retromarcia fu accelerato enavigandocontr'elicaandavamo a grande velocità.

-Questo ci farà ritardare - commentò Ned.

-Che cosa conta qualche ora in più o in meno?

ribattei.

L'importanteè uscirne.

-Purché se ne esca - mormorò Ned.

Passeggiaiper un po' fra il salone e la bibliotecamentre i miei compagni sene stavano seduti in silenzio.

Dopoun po'anch'io mi lasciai cadere su un divano e presi un libro che imiei occhi cominciarono a scorrere macchinalmente.

Dilì a un quarto d'oraConseil mi s'accostò.

-E' molto interessante ciò che il signore sta leggendo?

domandò.

-Interessantissimo.

-Lo credo - replicò Conseil sottovoce.

-E' il libro del signore.

-Il mio libro?Everamenteavevo in mano la mia opera sui grandifondali del mare.

Chiusiil libro e ripresi la mia passeggiata.

Nede Conseil fecero l'atto di ritirarsi.

-Norestatevi prego - dissi trattenendoli.

Stiamoinsieme fino a che saremo fuori di questo vicolo cieco.

-Come il signore desidera - disse Conseil.

Leore passavano.

Parecchievolte osservai gli strumenti appesi alla parete del salone.

Ilmanometro indicava che il Nautilus si manteneva a una profonditàcostante di trecento metri; la bussolache si dirigeva sempre versosud; il solcometroche si navigava a una velocità di ventimiglia all'ora.

Unavelocità eccessiva per un passaggio così angusto.

Mail capitano Nemo sapeva che non c'era tempo da perdere e che i minutivalevano ore.

Alleotto e venticinqueavvertimmo un altro urtoquesta volta a poppa.

Impallidii.

Imiei compagni e io c'interrogavamo con lo sguardocomprendendo inostri pensieri meglio che se ne avessimo parlato.

Dopopochi minuti il capitano Nemo entrò nel salone.

Gliandai incontro.

-Il passaggio è sbarrato anche a sud?

-domandai.

-Sì - rispose.

-L'icebergcapovolgendosiha bloccato ogni uscita.




10

Mancal'aria.

Cosìil Nautilus era circondato da un impenetrabile muro di ghiaccio:eravamo prigionieri della banchisa.

Nedsferrò alla tavola un terribile pugno.

Conseiltaceva e io fissavo il comandante la cui espressione era di nuovoimpassibile.

Avevaincrociato le braccia e rifletteva.

Infineparlò.

-Signorinelle condizioni in cui ci troviamo ci sono due maniere dimorire.

Quell'inesplicabilepersonaggio aveva l'aria di un professore di matematica che fa unadimostrazione ai propri allievi.

-La prima è di finire schiacciati.

Laseconda di morire asfissiati.

Nonparlo di possibilità di morire di fameperché leprovviste del Nautilus dureranno certamente più di noi.

Preoccupiamocidunquedelle probabilità di morire schiacciati o asfissiati.

-Ma i serbatoi non sono stati riempiti?- dissi.

-Certo - rispose il capitano Nemo - ma sono trentasei ore che siamo inimmersione e già l'atmosfera è pesante.

-In tal caso dobbiamo fare in modo di risalire in superficie al piùpresto.

-Lo tenteremo cercando di perforare le muraglie che ci circondano.

-Da quale parte?- Questo sarà la sonda a dircelo.

Faròappoggiare il Nautilus sul banco inferiore e manderò i mieiuomini ad attaccare la parete nel punto dove il ghiaccio èmeno spesso.

-Si possono aprire i pannelli del salone?- Certo.

Ilcapitano Nemo uscì e ben presto dei sibili ci indicarono cheveniva immessa acqua nei serbatoi.

Ilbattello si abbassò lentamente e si posò sul fondaleghiacciato a una profondità di trecentocinquanta metri.

-La situazione è grave - dissi ai miei compagni - ma nondisperata e io conto sul vostro coraggio e sulla vostra energia.

-State tranquilloprofessore - rispose Ned.

-Non sarà certo in un momento simile che vi annoierò conle mie recriminazioni.

Sonopronto a fare il possibile per la salvezza comune.

Ioso usare il piccone come la fiocina ese posso essere utileilcomandante può disporre di me.

-Non rifiuterà il vostro aiutoNed.

Venite.

Condussiil canadese nella stanza dove gli uomini dell'equipaggio stavanoindossando gli scafandri e comunicai il proposito di Ned al capitanoNemoche l'approvò subito.

Ilramponiere indossò la tenuta sottomarina e fu subito pronto aseguire i suoi compagni di lavoro.

QuandoNed Land fu prontorientrai nel salone dove i pannelli erano statiaperti epostomi accanto a Conseilesaminai gli strati ambientaliin cui ci trovavamo.

Dopoqualche minutovedemmo una dozzina di uomini dell'equipaggiosbarcare sul banco di ghiaccio e tra essiriconoscibile per la suaalta staturaNed Land.

Ancheil capitano Nemo era con loro.

Primadi attaccare le muragliefece praticare dei sondaggi per stabilirein che punto iniziare i lavori.

Lunghesonde furono infilate nelle pareti lateralima dopo quindici metrisi trovarono ancora di fronte alla massa ghiacciata.

Attaccarela superficie superiore era perfettamente inutilepoiché sitrattava proprio della banchisache misurava più diquattrocento metri di spessore.

Ilcapitano Nemo fece allora sondare la superficie inferiore.

Daquella partesolo dieci metri di ghiaccio ci separavano dall'acqua.

Illavoro fu iniziato subito e portato avanti con infaticabileostinazione.

Anzichéscavare attorno al Nautilusil che avrebbe potuto comportareparecchi pericoliil capitano Nemo fece tracciare l'immensa fossa aotto metri dalla fiancata di babordo.

Poigli uomini cominciarono contemporaneamente a traforare in piùpunti di quella circonferenza.

Perun curioso effetto di peso specificoil ghiacciomeno pesantedell'acquaa mano a mano che veniva scavatosi sollevava fino allavolta e rendeva altrettanto spesso il soffitto quanto siassottigliava in basso.

Dopodue ore di lavoro intensoNed Land e i suoi compagni rientraronospossati e furono rimpiazzati da nuovi lavoratoria cui ciaggiungemmo io e Conseilsotto la guida del secondo.

L'acquami sembrò particolarmente freddama feci presto a riscaldarmilavorando di piccone.

Quandodopo aver lavorato per un paio d'oretornai a bordorilevai lagrande differenza tra l'aria che mi forniva l'apparecchiorespiratorio e l'atmosfera del Nautilusgià impregnata dianidride carbonica.

L'arianon era stata cambiata da quarantotto ore e il suo potere vivificantesi era considerevolmente affievolito.

Nelgiro di dodici orenon avevamo staccato dalla superficie disegnatache una fetta di ghiaccio spessa un metro.

Calcolandoche lo stesso lavoro fosse compiuto ogni dodici oresarebberooccorsi cinque notti e quattro giorni per portare a terminel'impresa.

-Cinque notti e quattro giorni!


-dissi ai miei compagni.

L'ariadei serbatoi non basterà.

-Senza contare - aggiunse Ned Land - che una volta fuori di questadannata prigionesaremo ancora imprigionati sotto la banchisasenzaalcun contatto con l'aria.

Comeavevo previstodurante la notte un'altra fetta di un metro fuscavata.

Inoltreil mattino dopoquandoinfilato lo scafandropercorsi quella massaliquidanotai che le muraglie laterali si stavano avvicinando a pocoa pocomentre gli strati inferiori dell'acqua tendevano asolidificarsi.

Nonparlai ai miei compagni di quel nuovo pericolo.

Maappena ritornato a bordofeci osservare al capitano Nemo la nuovagrande complicazione.

-Lo so - mi rispose con quel tono pacato che nemmeno i piùterribili avvenimenti potevano modificare.

-E' un pericolo in piùma non vedo in che modo potreibloccarlo.

Lanostra unica speranza di salvezza è di riuscire ad andarceneprima che si completi il processo di solidificazione.

Sitratta di arrivare primi.

Eccotutto.

Quelgiornodurante parecchie oremanovrai il piccone con ostinazione.

Illavoro mi dava coraggio; inoltrelavorare voleva dire lasciare ilbattellocioè respirare quell'aria pura che ci veniva fornitadai serbatoi dello scafandro.

Versoserala fossa si era approfondita di un altro metro.

Quandorientrai a bordomancò poco che restassi asfissiatodall'ossido di carbonio di cui l'aria era impregnata.

Quellaserail capitano Nemo dovette aprire i rubinetti dei serbatoi elanciare qualche colonna d'aria pura nell'interno del Nautilus.

Senon l'avesse fattoprobabilmente per noi non ci sarebbe statorisveglio.

Ilmattino successivo26 marzoripresi il mio lavoro di scavatoreattaccando il quinto metro.

Lepareti laterali e la superficie inferiore della nostra cella dighiaccio diventavano sempre più spesse.

Eraevidente che si sarebbero riunite prima che il battello fosseriuscito a liberarsi.

Perun istante fui preso dalla disperazione.

Inquel momento il capitano Nemoche stava dirigendo l'operazionelavorando lui stessomi passò accanto.

Lotoccai con una mano e gli mostrai le pareti della nostra prigione.

Lamuraglia di tribordo si era avvicinata almeno di quattro metri allachiglia del Nautilus.

Ilcomandante comprese e mi fece segno di seguirlo.

Rientrammoa bordo elevandomi lo scafandrolo seguii nel salone.

-Signor Aronnax - egli disse - bisogna ricorrere a qualche tentativoestremo o resteremo inchiodati in quest'acqua solidificata come nelcemento.

-Lo soma che cosa possiamo fare?- Ahse il mio battello fosseabbastanza forte da sopportare questa pressione senza restarneschiacciato!

-E allora?

-chiesinon riuscendo ad afferrare l'idea del comandante.

-Non capite che il congelamento dell'acqua ci sarebbe di aiuto?Nonpensate che con la sua solidificazione farebbe saltare i campi dighiaccio che ci imprigionanocosì come fagelandosaltarele pietre più dure?

Noncapite che sarebbe un mezzo di salvezza e non un agente didistruzione?- Sìpotrebbe essere - convenni.

-Ma per quanta resistenza abbiail battello non potrebbe certamentesopportare quella spaventosa pressione e sarebbe schiacciato come unalamiera.

-Purtroppo lo so.

Perciònon bisogna contare sull'aiuto della naturama su noi stessi.

Bisognaimpedire questa solidificazione.

Bisognafermarla.

Nonsolo si avvicinano le pareti lateralima non restano nemmeno diecipiedi d'acqua davanti e dietro al Nautilus.

Ilcongelamento ci sta raggiungendo da tutte le parti.

-Per quanto tempo l'aria dei serbatoi ci permetterà direspirare?- domandai.

Ilcapitano Nemo mi guardò in faccia.

-Dopodomani saranno vuoti.

Unsudore freddo mi scese per la schiena.

Mad'altra parteperché dovevo stupirmi di quella risposta?

Erail 22 marzo quando il Nautilus si era immerso nelle acque del polo ene avevamo 26.

Dacinque giorni vivevamo con le riserve di bordo.

Equanto restava di aria respirabile bisognava conservarlo per quandosi lavorava.

Nelfrattempoil capitano Nemo riflettevasilenziosoimmobile.

Capivoche un'idea gli serpeggiava in mentema sembrava volesse respingerlae scoteva la testacome rispondendo negativamente a se stesso.

Infineparlò e parve che le parole gli sfuggissero suo malgrado.

-L'acqua bollente.

-L'acqua bollente?

-ripetei senza comprendere.

-Sìprofessore.

Siamorinchiusi in uno spazio relativamente stretto.

Noncredete che i getti di acqua bollentecontinuamente iniettati con lepompe di bordopotrebbero elevare la temperatura di questo spazioritardandone il congelamento?- Bisogna provare.

-Proviamoprofessore.

Iltermometro segnava una temperatura esterna di sette gradi sotto zero.

Ilcapitano Nemo mi condusse nelle cucine dove funzionavano i grandiapparecchi di distillazione che ci fornivano l'acqua potabile.

Furonocaricati d'acqua e tutto il calore elettrico delle pile fu lanciatoattraverso le serpentine che contenevano il liquido.

Inbreve tempo quell'acqua raggiunse i cento gradi.

Fudiretta verso le pompementre di volta in volta altra acqua lasostituiva.

Ilcalore sviluppato dalle pile era tale che l'acqua freddaassorbitadal marearrivava bollente alle pompedopo aver semplicementeattraversato le serpentine.

L'operazionecominciò etre ore dopoil termometro segnava unatemperatura esterna di sei gradi sotto zero.

Eraun grado guadagnato.

Dueore più tardiil termometro non ne segnava che quattro.

-Ci riusciremo - disse il comandante dopo aver controllato a piùriprese i progressi dell'operazione.

-Lo penso anch'io - risposi.

-Non saremo schiacciati.

Oradobbiamo temere solamente l'asfissia.

L'indomani27 marzosei metri di ghiaccio erano stati estratti dal fondale erestavano ancora quattro metri da scavarevale a dire ancoraquarantott'ore di lavoro.

El'aria non poteva essere rinnovata all'interno del Nautilus.

Miprostrava un tremendo senso di pesantezza e verso le quindicil'oppressione angosciosa raggiunse un grado insopportabile.

Tremavobattevo i dentii polmoni ansimavano nella ricerca dell'ossigenonecessario per la respirazione.

Untorpore invincibile si impadronì di me.

Restavodisteso senza forzaquasi privo di conoscenza.

AncheConseilche accusava gli stessi disturbisi trovava nelle miecondizioni.

Durantequel giornoil lavoro abituale fu compiuto con maggior accanimento.

Solodue metri restavano da scavaresolo due metri ci separavano dal marelibero.

Mai serbatoi erano quasi vuoti.

Nelsesto giorno del nostro imprigionamentoil capitano Nemogiudicandotroppo lenta l'opera del piccone e della paladecise di schiantarelo strato di ghiaccio che ancora ci divideva dal mare libero.

Alsuo ordineil battello si sollevò enon appena cominciòa galleggiarefu guidato sopra l'immensa fossa la cui circonferenzaera stata disegnata secondo la linea di galleggiamento.

Poiriempiti d'acqua i serbatoidiscese e si infilò nell'alveolo.

Alloratutto l'equipaggio rientrò a bordo e le doppie porte dicomunicazione furono chiuse.

IlNautilus giaceva su quello strato di ghiaccio che aveva poco piùdi un metro di spessore e che le sonde avevano perforato in milleposti.

Irubinetti dei serbatoi furono aperti e cento metri cubi d'acqua siprecipitarono dentroaumentando di cento tonnellate il peso delbattello.

Attendevamoascoltandodimenticando le nostre sofferenze nell'ultima speranza.

Stavamogiocando la nostra salvezza su quell'unica carta.

Nonostantei battiti cupi che mi squarciavano le tempieudii ben presto gliscricchiolii sotto la chiglia del battello.

Un'inumanaforza si produssepoi il ghiaccio si spezzò con enormefracasso.

-Stiamo passando - mormorò Conseil al mio orecchio.

Nonpotevo parlare: gli cercai la mano e la strinsi con vigore convulso.

Dicolpotrascinato dal peso immaneil Nautilus sprofondò comeun sasso sott'acqua.

Alloratutta la forza elettrica fu diretta alle pompe che cominciaronosubito a scaricare l'acqua dai serbatoi.

Dopoqualche minuto la nostra caduta fu arrestata e poco dopo il manometroindicò un movimento ascensionale.

L'elicagirando a tutta velocitàfaceva tremare la chiglia di ferro eci trascinava verso nord.

Distesosu un divano della bibliotecami sentivo soffocare.

Avevola faccia cianoticale labbra bluastrele facoltàparalizzate.

Nonvedevo piùnon sentivo più.

Avevoperso la nozione del tempo.

Nonpotevo contrarre i muscoli.

All'improvvisotornai in me: un soffio d'aria mi penetrava nei polmoni.

Eravamorisaliti in superficie?

Avevamosuperato la banchisa?

Noerano Ned e Conseili miei due bravi amici che si sacrificavano perme.

Qualcheatomo d'aria era rimasto nel fondo di un apparecchio einvece direspirarlol'avevano conservato per mementre loro soffocavano.

Midavano così la vita goccia per goccia.

Avreivoluto respingere il respiratorema mi trattennero le mani eperqualche minutorespirai con voluttà.

Ilmio sguardo si portò verso l'orologio.

Eranole undici e doveva essere il 28 marzo.

IlNautilus navigava alla velocità spaventosa di quaranta migliaall'ora.

Inquel momento il manometro indicava che non eravamo a più disette metri dalla superficie.

Sentiiche il battello prendeva una posizione obliquaappesantendo la poppain modo di avere lo sperone rivolto verso l'alto.

Poispinto dall'elica che girava a tutta velocitàattaccòl'icefield dal basso come un formidabile ariete.

Lorompeva a poco a pocoritirandosi e ritornando contro il campo chesi stava stracciando einfinetrasportato da un ultimo slanciospezzò la superficie ghiacciata.

Comeraggiunsi la piattaforma non saprei dirlopuò darsi che mi ciavesse trascinato Ned.

-Ahcom'è buono l'ossigeno!


-esclamava Conseil.

-Il signore non abbia riguardo a respirare: ce n'è per tutti.

Quantoa Ned Landnon parlavama spalancava la bocca da far invidia a unosqualo.

Leforze ci ritornarono rapidamente equando mi guardai attornovidiche eravamo soli sulla piattaforma.

Nonc'era nessun uomo dell'equipaggionemmeno il capitano Nemo.

Leprime parole che pronunciai furono di ringraziamento e di gratitudineper i miei due compagni.

Nedsi strinse nelle spalle.

-Non mette conto di parlarneprofessore.

Chemerito c'è in tutto questo?

Nessuno.

Erauna semplice questione di aritmetica: la vostra esistenza valeva piùdelle nostre e quindi bisognava salvarla.

-Ora siamo legati l'uno agli altri per sempre - dissi commosso- eavete su di me dei diritti...

-Di cui approfitterò - finì il canadese.

-Come?

-disse Conseil.

-Sì - rispose Ned Land.

-Del diritto di trascinarvi con me quando abbandonerò questodannato aggeggio.

-A proposito - interloquì Conseil - andiamo nella direzionebuona?- Sì - risposi.

-Stiamo navigando verso il sole e qui il sole indica il nord.

-E' vero - disse Ned - ma resta da vedere se punteremo verso ilPacifico o verso l'Atlanticocioè verso i mari deserti overso i mari frequentati.

Aquel quesito non potevo risponderema temevo che il capitano Nemo ciavrebbe ricondotto verso quel vasto oceano che bagna le costedell'America e dell'Asiacompletando così il giro del mondosottomarino e tornando in quei mari in cui il Nautilus trovava lapiena indipendenza.

Ilbattello navigava a forte velocità.

Ilcircolo polare fu presto superato e la prua era diretta su Capo Horn.

Il31 marzo alle sette di sera eravamo al traverso della puntaamericana.

Inquel momentotutte le nostre sofferenze passate erano dimenticate eanche il ricordo dell'imprigionamento nei ghiacci si stavacancellando nelle nostre menti.

Pensavamosoltanto al futuro.

Ilcomandante non si faceva più vedere né nel salone nésulla piattaforma.

Ilpunto veniva riportato ogni giorno sul planisfero dal secondo equesto mi permetteva di rilevare la direzione esatta del battello.

Quellaseracon mia grande soddisfazionediventò evidente chestavamo ritornando a nord seguendo le rotte atlantiche.

Miaffrettai a comunicare a Ned rilevamento.

-Buona notizia - commentò il canadese.

-Ma dove si sta dirigendo questo benedetto battello?- Non ve lo sodire.

-Il vostro capitano Nemo non vorràper casodopo il Polo Sudfare un giretto al Polo Nord e ritornare nel Pacifico per il famosopassaggio Nord-ovest?- Non ci troverei gran che di strano - disseConseil.

-Ah sì?

-scattò il canadese.

-In questo caso abbandoneremo la compagnia un po' prima.

-A ogni modo - aggiunse Conseil - è un uomo in gambaquestocapitano Nemoe non rimpiangeremo di averlo conosciuto.

-Soprattutto dopo che l'avremo salutato - terminò Ned Land.

Ilgiorno dopoprimo aprilequando il Nautilus risalì allasuperficie del mare pochi minuti prima di mezzogiornoriuscimmo avedere una costa a ovest.

Erala Terra del Fuococosì chiamata dai primi navigatori a causadei numerosi fuochi che brillavano davanti alle capanne degliindigeni e si scorgevano fino in alto mare.

LaTerra del Fuoco forma un vasto agglomerato di isole che si stende perottanta leghe di lunghezza e trenta di larghezzafra i 53 gradi e i56 gradi di latitudine australe e i 67 gradi e 50 primi e i 77 gradie 15 primi di longitudine ovest.

Lecoste mi sembravano bassema in lontananza si drizzavano altemontagne.

IlNautilusche si era di nuovo immersosi avvicinò alla riva ela seguì a poche miglia di distanza.

Versosera si portò vicino alle isole Falkland di cui il giornosuccessivo potei scorgere le alte vette.

Laprofondità del mare era scarsacosì che pensainonsenza ragioneche quelle due isolecircondate da numerosi isolottifacessero una volta parte del continente.

Quandole ultime vette delle Falkland scomparvero all'orizzonteil Nautilussi immerse a ventiventicinque metri e seguì la costaamericana.

Ilcapitano Nemo non si faceva vivo.

Finoal 3 aprile non abbandonammo le terre della Patagoniaseguendole unpo' in emersione un po' in immersione.

IlNautilus oltrepassò il largo estuario del Rio de la Plata e sitrovòil 4 aprileall'altezza dell'Uruguayperò acinquanta miglia al largo.

Larotta era sempre verso nord e seguiva le lunghe sinuositàdell'America Meridionale.

Avevamogià percorso sedicimila leghe da quando ci eravamo imbarcatinei mari del Giappone.

Versole undici del mattinosuperammo il tropico del Capricornoall'altezza del trentasettesimo meridiano.

Mantenemmoun'alta velocità per parecchi giorni e il 9 apriledi serarilevammo la punta più occidentale dell'America del Sud: ilCapo San Rocco.

Allorail Nautilus si allontanò di nuovo e andò a cercaremaggiori profondità in una valle sottomarina.

Perdue giorni quelle acque deserte e profonde furono visitate conl'aiuto degli alettoni.

Mal'11 aprile emergemmo all'improvviso e la terra ci apparve al largodel Rio delle Amazzonila cui portata è cosìconsiderevole da far avvertire la presenza dell'acqua dolce aparecchie leghe dalla costa.

L'equatoreera superato.




11

Ipolpi.

Peralcuni giorni il Nautilus navigò al largo della costaamericanaevidentemente evitando di solcare le acque del Golfo delMessico e del Mare delle Antille.

Il16 aprile avvistammo la Martinica e Guadalupa a una distanza di circatrenta migliama solo per poco tempo ne potemmo vedere i picchi piùelevati.

Ilcanadeseche contava di mettere in atto i suoi progetti di fuga inquel golfosia raggiungendo una terrasia accostando uno deinumerosi piroscafi che collegano un'isola all'altrafu molto deluso.

Lafuga sarebbe stata facilissimase Ned fosse riuscito a impadronirsidel canotto all'insaputa del capitanoma in pieno oceano non c'eranemmeno da sognarselo.

Eglie Conseil ebbero con me una lunghissima conversazione a questoproposito.

Dasei mesi ormai eravamo prigionieri a bordo del Nautilusavevamopercorso diciassettemila leghe ecome faceva notare il canadesepernoi non si presentava alcuna possibilità di cambiare lasituazione.

Egliavanzò una proposta che non mi sarei mai aspettato: domandarechiaramente al capitano Nemo se intendesse trattenerci a bordo persempre.

Secondome un simile modo di procedere non poteva che fallire: non c'era dasperare niente dal capitano Nemo e bisognava contare solo su noistessi.

Inoltreda qualche tempo quell'uomo era diventato più cupopiùchiusomeno socievole.

Parevache mi evitassetanto che non riuscivo a incontrarlo che a rariintervalli.

Unavolta si compiaceva di spiegarmi le meraviglie sottomarineorainvece mi lasciava solo ai miei studi e non capitava più nelsalone.

Perquesti motivipregai Ned di lasciarmi riflettere prima di agire.

Inrealtà quel passoche difficilmente avrebbe dato un risultatopositivoavrebbe potuto far nascere dei sospetti al capitano Nemo ecosì non solo rendere penosa la nostra situazionema anchenuocere ai progetti del canadese.

Delrestonon potevamo lamentarci di nulla e la nostra salute eraperfetta.

Aparte la terribile prova sotto la banchisa del Polo Sudin vitanostra non eravamo mai stati meglio.

Soloche noi non avevamo rotto i rapporti con l'umanità.

Il20 aprile navigavamo a una profondità media dimillecinquecento metri e le terre più vicine erano le isoledell'arcipelago Lucaiedisseminate sul mare come una manciata disassolini.

Làsi innalzavano alte scogliere sottomarinemuraglie dritte fatte diblocchi scabri disposti in strati tra i quali si aprivano nerecaverne che i nostri raggi elettrici non riuscivano a rischiararefino in fondo.

Quellerocce erano tappezzate di erbelaminari giganti e giganteschi fuchiuna vera spalliera di enormi idrofiti degni di un mondo dl titani.

Eranocirca le undiciquando Ned attirò la nostra attenzione su unformidabile formicolio che s'intravedeva attraverso le grandi alghe.

-Per Giove!


-esclamò.

-Sono proprio caverne di polpi e non mi stupirei di vedere uno di queimostri.

-Quali?

-chiese Conseil.

--Polpigiganti - risposi.

-Ma penso che l'amico Ned si sia sbagliatopoiché non notonulla.

-Mi dispiace - replicò Conseil.

-Avrei voluto vedere con i miei occhi uno di questi polpi di cui hotanto sentito parlare e chediconopossono trascinare le navi infondo al mare.

-Non riusciranno mai a farmi credere che esistano animali simili -affermò Ned.

-Perché no?

-disse Conseil.

-Non abbiamo anche creduto al narvalo del professore?- Ma avevamotorto.

-Sìma gli altri probabilmente ci credono ancora.

-E probabileConseilma per conto mio non ammetteròl'esistenza dl quei mostri finché non ne avrò sezionatouno con le mie mani.

-Così - disse Conseil - non credete ai polpi giganti?- E chimal ci ha creduto?

-replicò il canadese.

-Molta gente.

-Non dei pescatori.

Deglistudiosiforse.

-Pescatori e studiosi - dissi.

-Proprio io che vi parlo - disse Conseil con l'aria più seriadel mondo - ricordo perfettamente di aver visto un'imbarcazionetrascinata sotto i flutti dai tentacoli di un polpo.

-L'avete visto con i vostri occhi?- Sì.

-Dove?- A Saint Malo - rispose l'imperturbabile Conseil.

-Nel porto?

-domandò ironicamente il canadese.

-Noin una chiesa.

-In una chiesa?- Sìcaro Ned.

E'un quadro che rappresenta il polpo in questione.

-Bene!


-esclamò Ned Landscoppiando a ridere.

-Il signor Conseil mi prende in giro.

-Per niente - intervenni.

-Ho sentito parlare di quel quadroma il soggetto che rappresenta ètratto da una leggenda e voi sapete che cosa bisogna pensare delleleggendespecialmente in storia naturale.

Siracconta che il vescovo di Nidri un giorno alzò un altare suuna roccia immensamaappena finita la messala roccia si mise inmarcia e tornò in mare.

Laroccia era un polpo.

-Sul serio?- Non basta - aggiunsi.

-Un altro vescovo parla di un polpo sul quale poteva manovrare unreggimento di cavalleria.

-Le raccontavano grossine i vescovi dei tempi andatieh?commentòNed Land.

-Infine i naturalisti dell'antichità citavano mostri la cuibocca pareva un golfo e che erano troppo grossi perchépotessero passare attraverso lo Stretto di Gibilterra.

-All'anima!

-Ma in tutti questi racconti che cosa c'è di vero?

-domandò Conseil.

-Nienteproprio nientemiei carituttavia all'immaginazione deinarratori servese non una causaalmeno un pretesto.

Nonsi può negare che esistano polpi e calamari di dimensionimolto grandiperò sempre inferiori a quelle dei cetacei.

-E se ne pescano ai nostri giorni?

-si interessò il canadese.

-Non se ne pescanoperò i naviganti ne vedono.

Unmio amicoil capitano Paul Bosmi ha riferito di aver incontratouno di questi mostri di taglia colossale nell'Oceano Indiano.

Mail fatto più stupefacenteche non mi permette più dinegare l'esistenza di animali giganteschiè successo qualcheanno fanel milleottocentosessantuno.

Inquell'annoa nord-est di Tenerifepressappoco alla latitudine incui ci troviamo oral'equipaggio della nave "Alecton"scorse un mostruoso cefalopodo che nuotava sott'acqua.

Ilcomandante Bouguer si avvicinò all'animale e lo attaccòa colpi di arpione e di fucilema senza grande successopoichéle pallottole e gli arpioni attraversavano semplicemente quelle carnimolliinconsistenti.

Dopomolti tentativi infruttuosil'equipaggio arrivò a passare unnodo scorsoio attorno al corpo del mollusco.

Ilnodo scivolò fino alle branchie caudali e si fermò Sitentòalloradi issare il mostro a bordoma il peso eratale che la coda si staccò esenza quell'ornamentola bestiascomparve nel mare.

-Finalmente ecco un fatto.

-Un fatto indiscutibilemio caro Ned.

-Qual era la lunghezza del mollusco?

-domandò il canadese.

-Non misurava circa sei metri?

-intervenne Conseil cheappoggiato al vetroera tornato a esaminaregli anfratti della scogliera.

-Precisamente.

-La testa - riprese Conseil - non era coronata da otto tentacolichesi agitavano in acqua come una nidiata di serpenti?- Proprio così.

-Gli occhiche sporgevano dalla testanon avevano uno sviluppoconsiderevole?- Sì.

-E la bocca non era un vero e proprio becco di pappagalloma un beccoformidabile?- Precisamente.

-E allorase al signore non dispiace - riprese tranquillamenteConseil - se non è il cefalopodo di Bouguerquesto quine èalmeno il fratello.

GuardaiConseilmentre Ned Land si precipitava verso il vetro.

-Che bestia spaventosa!


-esclamò.

Andaia guardare anch'io e non potei reprimere un moto di repulsione.

Davantiai miei occhi si agitava un mostro orribiledegno di figurare nelleleggende del mare.

Eraun polpo di dimensioni colossali che si spostava di sghembo verso ilNautilus a velocità prodigiosa.

-Può darsi che sia lo stesso dell'"Alecton" azzardòConseil.

-No - ribatté il canadese.

-Questo è completomentre l'altro aveva perso la coda.

-Non sarebbe una ragione sufficiente - spiegai poiché itentacoli e la coda di questi animali si riformano per reintegrazionee in sette anni la coda del cefalopodo di Bouguer ha avuto il tempodl ricrescere.

-Inoltre - aggiunse Ned Land - se non fosse questo potrebbe essere unodi quelli là.

Infattialtri polpi apparivano al vetro di tribordo.

Necontai sette.

Facevanocorteo al battello e sentivo i colpi dei loro becchi sulle lamieredella chiglia.

Aun tratto il Nautilus si fermò.

-Abbiamo toccato?- domandai.

-In tal caso ci siamo già disincagliati - osservò ilcanadese.- Stiamo galleggiando.

Indubbiamenteil battello galleggiavama non si muoveva: l'elica era ferma.

Passòun minuto e il capitano Nemo entrò nel salone seguito dalsecondo.

Eraun po' di tempo che non lo vedevo e lo trovai incupito.

Senzabadare a noiandò alle finestreguardò fuori e dissequalcosa al secondo che subito se ne andò.

Unistante dopo i pannelli si richiusero e il soffitto si illuminò.

-Un'insolita collezione di polpi - osservai con il tono distaccato diuno studioso davanti al cristallo di un acquario.

-Davveroprofessore - mi rispose - e li combatteremo a corpo a corpo.

Loguardai incertopensando di aver capito male.

Eglispiegò:- L'elica è bloccata e ho ragione di credere cheil becco corneo di uno di questi cefalopodi sia imprigionato tra lepale.

-E che cosa volete fare?- Risaliremo in superficie e li massacreremo.

Esiccome i proiettili elettrici sono impotenti contro quelle massemolli che non offrono resistenzali attaccheremo con l'ascia.

-E con la fiocinasignorese accetterete il mio aiuto intervenne ilcanadese.

-D'accordosignor Land.

-Noi vi accompagneremo - dissi.

Eseguendo il capitano Nemoci dirigemmo verso la scala centrale.

Làuna decina di uomini armati di asce d'abbordaggio erano pronti adattaccare.

Anch'ioe Conseil prendemmo due ascementre Ned Land afferrò unafiocina.

Nelfrattempoil Nautilus era ritornato alla superficie.

Sugliultimi gradiniun marinaio stava svitando i bulloni del boccaporto.

Liaveva appena liberati che il pannello fu sollevato con estremaviolenzaevidentemente succhiato dalla ventosa di un tentacolo chesubito si insinuò come un serpente nell'apertura.

Conun colpo d'ascia il capitano Nemo troncò il formidabilebraccio che scivolò sulla scalatorcendosi.

Mentrecercavamo di raggiungere la piattaformaaltri due tentacolisferzando l'ariasi abbatterono sul marinaio che ci precedeval'afferrarono e lo sollevarono con estrema violenza.

Ilcapitano Nemo lanciò un grido e si slanciò fuori.

Enoi ci precipitammo dietro di lui.

Chescena!


Ildisgraziatopreso dai tentacoli e trattenuto dalle ventosedondolava in aria secondo il capriccio di quell'enorme proboscide.

Siagitavamezzo soffocatoe gridava "Aiuto!

Aiuto!

".

Quelleparolepronunciate in francesemi causarono un profondo stupore:c'era dunque un mio compatriota a bordo!


Forseparecchi!

L'infeliceera perduto.

Chiavrebbe potuto strapparlo a quella potente stretta?

Tuttaviail capitano Nemo si scagliò sul polpo e con un colpo d'asciagli troncò un altro tentacolo.

Ilsecondo lottava con rabbia contro altri mostri che si arrampicavanosulle fiancate del Nautilus.

L'equipaggiosi batteva a colpi di scure e Conseilil canadese e io affondavamole nostre armi in quelle masse carnose e molli.

Unviolento odore di muschio impregnava l'atmosfera.

Eraorribile.

Perun istante credetti che quel disgraziatoagganciato dal polposarebbe stato strappato da quella potente suzionedopo che al mostroerano stati troncati sette tentacoli su otto.

Unosoloquello che brandiva la vittima come fosse stata una piumasitorceva in aria.

Manel momento in cui il capitano Nemo e il suo secondo si gettarono sudi luil'animale lanciò una colonna di liquido nerastrosecreto da una borsa situata sul suo addome.

Nefummo accecati equando la nube nera si dissipòil mostroera scomparso.

Econ lui il mio sfortunato compatriota.

Conquale furore ci spingemmo allora contro quei mostri!


Eravamofuori di noi.

Diecio dodici polpi avevano invaso la piattaforma del battello.

Ciscagliammo alla rinfusa in mezzo a quei tronconi serpentini chesussultavano sulla piattaforma in un mare di sangue e d'inchiostro.

Sembravache quei viscidi tentacoli ricrescessero come le teste dell'idra.

Lafiocina di Ned Land si tuffavaa ogni colponegli occhi glauchi deipolpi e li faceva scoppiare.

Maall'improvvisoil mio coraggioso compagno fu rovesciato daitentacoli di un mostro che non aveva potuto evitare.

Ilformidabile becco del polpo si era aperto su Ned Landil quale stavaper essere spezzato in due.

Miprecipitai in suo aiutoma il capitano Nemo mi aveva preceduto.

Lasua ascia scomparve tra le enormi mandibolementresalvato permiracoloil canadese scattava in piedi e affondava la fiocina finoal triplice cuore del polpo.

-Mi dovevo questa rivincita - gli disse il capitano Nemo.

Neds'inchinò senza rispondere.

Ilcombattimento era durato un quarto d'ora.

Imostrimutilaticolpiti a morteabbandonarono la lotta escomparvero sotto le onde.

Ilcapitano Nemorosso di sangueimmobile presso il fanaleguardavail mare che aveva inghiottito un suo compagno e grosse lacrime gliscendevano dagli occhi.




12


Ilcolloquio con il capitano Nemo.

Ilcapitano Nemo rientrò nella sua cabina e per un po' di temponon lo vidi più.

IlNautilus non teneva più una rotta precisa:andavavenivagalleggiava come un cadavere in balia delle onde.

L'elicaera stata liberatatuttavia se ne serviva appena.

Navigavaa caso.

Parevanon potersi staccare dal teatro della sua ultima lottada quel mareche aveva divorato uno dei suoi.

Diecigiorni passarono così e solo il primo maggio il battelloriprese risolutamente la rotta verso nord.

L'ottomaggioeravamo ancora al traverso di Capo Hatteras all'altezza dellaCarolina del Norde il Nautilus continuava a errare alla ventura.

Sembravache a bordo non vi fosse più alcuna sorveglianza.

Cominciaia pensare chein quelle condizioniun'evasione sarebbe potutariuscire.

Lerive abitate offrivano dappertutto comodi rifugi e il mare in quelpunto è incessantemente solcato da numerosi vapori che fannoservizio tra New York o Boston e il Golfo del Messicopercorso nottee giorno da quelle piccole golette che si dedicano al cabotaggio suidiversi punti della costa americana.

C'eranobuone speranze di essere raccolti.

Eraquindi un'occasione favorevolenonostante le trenta miglia che ciseparavano dalle coste degli Stati Uniti.

Mauna circostanza seccante continuava a ostacolare i progetti dievasione: il tempo era molto cattivo.

Cistavamo avvicinando a quelle zone dove le tempeste sono frequentialla patria delle trombe marine e dei cicloni.

Affrontareun mare così spesso sconvolto su un fragile canottosignificava correre incontro a una morte sicura.

Neconveniva persino Ned Land.

Perciòmordeva il frenoin preda alla sua smaniosa nostalgia che solo lafuga avrebbe potuto guarire.

-Bisogna che tutto questo finisca - mi disse quel giorno.

Desideroparlare chiaro.

Ilvostro Nemo si sta allontanando dalla terra e risale verso nord.

Maio vi dichiaro che ne ho avuto abbastanza del Polo Sud per esseredisposto a seguirlo anche al Polo Nord.

-Che volete fareNedvisto che un'evasione è impossibileinquesto momento?- Ritorno alla mia idea: bisogna parlarne alcomandante.

Voinon avete detto niente quando eravamo nei mari del vostro continentema ioora che siamo nei mari del mioparlerò.

Nelgiro di qualche giorno il Nautilus si troverà all'altezzadella Nuova Scozia e làverso Terranovasi apre una largabaia in cui sfocia il San Lorenzoche è il mio fiumeilfiume della mia città natale: Quebec.

Quandoci pensoil sangue mi sale alla testami si drizzano i capelli.

Vigiuroprofessoreche mi getterei in mare pur di andarmene.

Quiio soffoco!

Evidentementeil canadese era al limite della pazienza.

Ilsuo focoso temperamento non poteva sopportare quella prolungataprigionia.

Giàsette mesi erano trascorsi senza che avessimo avuto notizie dallaterra.

-E allorasignore?

-riprese Nedvedendo che non gli rispondevo.

-Volete proprio che chieda al capitano Nemo quali sono le sueintenzioni nei nostri riguardi?- Sì.

-Anche se ce le ha già comunicate?- Sìvorrei che leconfermasse.

Parlatesolo a nome miose preferite.

-Ma lo incontro raramente: sembra che mi eviti.

-Ragione di più per andare da lui.

-Va benegli parlerò.

-Quando?- Quando avrò occasione di vederlo.

-Volete che vada io a parlargliprofessore?- Nonolasciate fare ame.

Domani...

-Oggi.

-D'accordooggi.

Cosìmi rassegnai a cederepersuaso com'ero che se avesse agito lui dipersona avrebbe compromesso tutto.

Rientrainella mia stanza.

Daoltre la paratiadov'era la cabina del comandantegiungeva un suonodi passi enon volendo lasciarmi scappare quell'occasionebussai.

Nonottenni risposta.

Bussaidi nuovopoi girai la maniglia e la porta si aprì.

Entrai.

Ilcapitano Nemo era làcurvo sul suo tavolo di lavoro:non miaveva sentito.

Risolutoa non andarmene senza avergli parlatomi avvicinai.

Alzòla testa bruscamenteaggrottò le sopracciglia e mi parlòcon un tono molto brusco.

-Ohprofessore!


Checosa volete?- Parlarvicomandante.

-Sono occupatoorasto lavorando.

Noncredete che debba poter godere anch'io di quella liberà diisolarsi che concedo a voi?L'accoglienza era poco incoraggiante.

-Devo parlarvi di una questione che non ammette ritardi - dissifreddamente.

-Ahsì?

-fece lui ironicamente.

-Avete fatto qualche scoperta che a me è sfuggita?

Ilmare vi ha svelato nuovi segreti?Eravamo lontani dal punto.

Maprima che potessi risponderglimostrandomi uno scritto spiegato sultavoloegli spiegò in tono grave:- Vedetesignor Aronnaxecco un manoscritto steso in parecchie lingue.

Contieneil riassunto dei miei studi sul mare ese il cielo vorrànonperirà con me.

Questomanoscrittofirmato con il mio nomecompletato dalla storia dellamia vitasarà racchiuso in un piccolo apparecchioinsommergibile.

L'ultimosopravvissuto di tutti noi del Nautilus getterà in marel'apparecchio che andrà dove le onde lo porteranno.

-Non posso che approvare il sentimento che vi spinge ad agire cosìcomandante - dissi.

-Bisogna fare in modo che i frutti dei vostri studi non vadanoperduti.

Mail mezzo che intendete impiegare mi sembra primitivo.

Chissàdove i venti potrebbero spingere l'apparecchio.

Inche mani cadrà?

Nonavete sistemi migliori?

Voio uno dei vostri...

-Nosignore - m'interruppe con vivacità il capitano Nemo.

-Ma io e i miei compagni siamo disposti a conservare il manoscrittose ci rendeste la libertà...

-La libertà?- Sìsignoreappunto a questo riguardovolevo parlarvi.

Dasette mesi siamo a bordo del Nautilus e oggi vi chiedo formalmenteanche a nome dei miei compagnise è vostra intenzione tenerciprigionieri per sempre.

-Signor Aronnax - rispose seccamente il capitano Nemo - vi risponderòoggi quello che vi ho già detto sette mesi fa: chi si imbarcasul Nautilus non può più abbandonarlo.

-Ma è la schiavitù quella che ci imponete!

-Chiamatela col nome che preferite.

-Ma dappertutto lo schiavo conserva il diritto di ricuperare lapropria libertà e può approfittare di ogni mezzo chegli si presenti e gli sembri buono.

-Chi vi ha mai negato questo diritto?

-disse il capitano Nemo.- Ho mai cercato di legarvi con ungiuramento?Mi fissòincrociando le braccia.

Ioripresi:- Tornare una seconda volta su questo argomento non èné di vostro né di mio gustocomandantema poichél'abbiamo intavolatoesauriamolo.

Viripeto che non si tratta soltanto della mia persona.

Ogniuomoper il solo motivo che è uomoha diritto che si pensi alui.

Nonvi siete mai chiesto ciò che l'amore per la libertà el'odio per la schiavitù possono far nascere?

Nonavete mai pensato ai progetti di vendetta che possono maturare in unamente come quella del canadese?

Ciòche può pensaretentarerischiare...

Tacqui.

Ilcapitano Nemo si alzò.

-Che Ned Land pensitentirischi tutto quello che vuole.

Checosa me ne importa?

Nonsono stato io ad andarlo a cercarenon è per mio capriccioche lo tengo a bordo.

Quantoa voisignor Aronnaxfate parte di quel tipo di persone che possonocomprendere tuttoanche il silenzio.

Nonho più nulla da aggiungere.

Vipregoche questa prima volta in cui si è trattato questoargomento sia anche l'ultima: in caso contrarionon potrei darviascolto.

Miritirai e a cominciare da quel giorno i miei rapporti con ilcomandante si fecero tesi.

Riferiila conversazione ai miei compagni.

-Adesso sappiamo che non dobbiamo sperare nulla da quell'uomo disseNed.

-Il Nautilus si sta avvicinando a Long Island.

Fuggiremoqualunque sia il tempo.

Mail cielo diveniva sempre più minaccioso e si manifestavano isintomi di un uragano.

Ilbarometro continuava a diminuire e indicava nell'aria un'estrematensione di vapori.

Lalotta degli elementi era prossima.

Latempesta scoppiòproprio mentre il battello navigavaall'altezza di Long Islanda qualche miglio da New York.

Potreidescrivere quella lotta degli elementi poichéanzichérifugiarsi nelle profondità marineil capitano Nemoper uninesplicabile capricciovolle sfidarla in superficie.

Versole cinque cadde una pioggia torrenziale che non calmò néil vento né il mare.

L'uraganosi scatenò con una velocità di quarantacinque metri alsecondocioè quaranta leghe all'ora.

Osservaiattentamente le onde: misuravano fino a quindici metri di altezza suuna lunghezza di centocinquantacentosettanta metri.

Lasera l'intensità della tempesta aumentò.

Alledieci il cielo era di fuoco.

L'atmosferaera solcata da lampi violenti di cui non potevo sopportare ilbagliorementre il capitano Nemoche li guardava fissamentesembrava assumesse in sé l'anima della tempesta.

Unfracasso terribile riempiva l'ariarumore in cui si univano l'urlodelle onde che precipitavanoil muggito del vento e gli scoppi deltuono.

Ilvento piombava da tutti i punti dell'orizzonte e il ciclone partivada est per tornare da nordda ovest e da sud.

Allapioggia era seguito un diluvio di fuoco.

Legocce d'acqua si trasformavano in razzi fulminanti.

Sisarebbe detto che il capitano Nemovolendo una morte degna di luisperasse di venir fulminato.

Sfiancatoallo stremo delle forzemi portai strisciando verso il boccaportol'aprii e ridiscesi nel salone.

Inquel momentol'uragano toccava il massimo della sua intensitàe tenersi in piedi nell'interno del battello era impossibile.

Ilcapitano Nemo discese verso mezzanotte.

Sentiii serbatoi riempirsi a poco a poco e il Nautilus si immersedolcemente.

Attraversoi vetri del salone vedevo grandi pesci spaventati che passavano comefantasmi nell'acqua in fuoco e sotto i miei occhi alcuni furonofulminati.

Ilbattello continuava a immergersi e io pensavo che avrebbe trovato latranquillità a quindici metri di profondità.

Manon fu così: gli strati superiori erano troppo violentementeagitati.

Bisognòsprofondare fino a cinquanta metri nel ventre del mare per trovare lacalma.

Acausa della tempesta eravamo stati spinti a estcosì che ognisperanza di evadere per sbarcare a New York o sul San Lorenzosvaniva.

Ilpovero Neddisperatosi isolò come il capitano Nemomentreio e Conseil non ci lasciavamo un istante.

Il15 maggio ci trovavamo sull'estremità meridionale del banco diTerranova.

Nonrestammo a lungo in quella zona e risalimmo fino al quarantaduesimogrado di latitudineall'altezza di Terranova e di Heart's Contentdove arriva il cavo sottomarino che unisce telegraficamente l'Europaall'America.

IlNautilusinvece di proseguire verso nordmise la prua a est.

Pensavoche il capitano Nemo sarebbe salito verso nord per superare le isolebritanniche e invececon mia grande sorpresacontinuò la suanavigazione che lo portava a sud dell'Inghilterra.

Subitoun importante interrogativo si accese nella mia mente: il Nautilusavrebbe osato penetrare nella Manica?

NedLand checome sempre quando costeggiavamoera ricomparsononcessava di rivolgermi domande.

Nonsapevo come rispondergli.

Ilcapitano Nemo non si faceva vedere.

Dopoaver fatto intravedere al canadese le rive dell'Americastava permostrare a me le coste della Francia?Se voleva entrare nella Manicabisognava che puntasse direttamente a est.

Nonlo fece.

Durantetutta la giornata del 31 maggioil Nautilus descrisse sul mare unaserie di cerchi che mi erano inspiegabili: sembrava stesse cercandoun luogo che non riusciva a trovare.

Amezzogiorno il capitano Nemo venne di persona a fare il punto.

Nondisse una parola e mi sembrò più cupo che mai.

Checosa lo rattristava tanto?

Forsela vicinanza delle rive europeei ricordi del paese che avevaabbandonato?

Avevoil presentimento che presto il caso avrebbe svelato i segreti diquell'uomo.

L'indomaniprimo giugnoil Nautilus continuò nelle sue strane manovre.

Oraera evidente che cercava di riconoscere un luogo preciso nell'oceano.

Anchequel giorno fu il capitano Nemo che venne a fare il punto.

Ilmare era calmo e il cielo limpido.

Aotto miglia a estuna grande nave a vapore si disegnava sulla lineadell'orizzonte.

Nessunabandiera batteva al suo picco e non potei riconoscerne lanazionalità.

Ilcapitano Nemopochi minuti prima che il sole passasse sul nostrozenitprese il sestante e rimase assorto in osservazione.

Laquiete assoluta del mare favoriva il rilevamento.

IlNautilus immobilenon dava segno né di rollio né dibeccheggio.

Compiutoil rilevamento del puntoil comandante pronunciò due soleparole:- E' qui.

Scomparvenel boccaporto.

Avevanotato che il bastimento aveva modificato la rotta e stava dirigendosu di noi?

Nonavrei saputo dirlo.

Ritornainel salone.

Ilboccaporto si chiuse e sentii il sibilo dell'acqua che entrava neiserbatoi.

Ilbattello cominciò a immergersiseguendo una linea verticalecome potevo capire non sentendo muoversi l'elica.

Dilì a non molto si fermò sul fondaleaottocentotrentatré metri di profondità.

Sispense allora il soffitto luminosoi pannelli si aprirono eattraverso i vetrividi il mare chiaramente illuminato dalla lucedel fanaleper un raggio di mezzo miglio.

Guardaia babordo e non vidi che l'immensità delle acque tranquille.

Atribordosul fondoattirò la mia attenzione una grossatumescenza.

Sembravanoruderi sepolti sotto uno strato di conchiglie biancastresimile a unmanto di neve.

Esaminandoattentamente quella massacredetti di riconoscervi le formeispessite di una nave disalberata che doveva essere affondata diprua.

Ilnaufragio risaliva certamente a un'epoca lontana: quel rottameperessere così incrostatodoveva aver passato parecchi anni infondo all'oceano.

Nonsapevo che cosa pensare quandovicino a mesentii il capitano Nemodire con voce grave:- In altri tempi quella nave si chiamava"Marseillais".

Eraarmata di settantaquattro cannoni ed era stava varata nelmillesettecentosessantadue.

Nelnovantaquattrola repubblica francese le cambiò nome.

Oggiprimo giugno milleottocentosessantottosono settantaquattro anni chein questo stesso puntoa quarantasette gradi e ventiquattro dilatitudine e a diciassette gradi e ventotto di longitudinela navedopo un'eroica battaglia contro i vascelli inglesicompletamentedisalberata e con un terzo dell'equipaggio fuori combattimentopreferì affondare con i suoi trecentocinquantasei uominid'equipaggio piuttosto che arrendersi econ la bandiera inchiodata apoppascomparve sotto le onde al grido di: "Viva la repubblica!

".

-La "Vengeur"!


-esclamai.

-Sìsignorela "Vengeur".

Unbel nome - mormorò il capitano Nemoincrociando le bracciasul petto.




13

Unastrage.

IlNautilus cominciò a risalire lentamente verso la superficie eio vidi scomparire a poco a poco le forme confuse della "Vengeur".

Doponon molto un leggero rollio indicò che navigavamo inemersione.

Proprioallora si fece sentire una sorda detonazione.

Guardaiil capitano Nemo; era immobile.

-Comandante...

Nonrispose.

Lolasciai per salire sulla piattaforma dove Ned e Conseil mi avevanopreceduto.

-Che cosa è stato?

-domandai.

-Un colpo di cannone.

Guardainella direzione dove avevo visto la nave: si era avvicinata alNautilus e navigava a tutto vapore.

Seimiglia la separavano da noi.

-Che bastimento èNed?- Dalla sua attrezzatura e dall'altezzadei suoi alberi scommetterei che è una nave da guerra -rispose il canadese.

Vogliail cielo che possa raggiungerci ese necessarioaffondare questodannato battello.

-Che danno può fare quella nave al Nautilus?

-disse Conseil.

Puòattaccarlo sott'acqua?

Verràa cannoneggiarlo negli abissi marini?- Potete riconoscere lanazionalità di quel bastimentoNed?domandai.

Ilcanadeseaggrottando le sopraccigliaabbassando le palpebre estringendo gli occhifissò per qualche tempo la nave.

-No - rispose poi.

-Non riesco a vedere a quale nazione appartiene.

Nonha issato la bandiera.

L'unicacosa che posso affermare con certezza è che si tratta di unanave da guerra.

Perun quarto d'ora continuammo a osservare il bastimento che si stavadirigendo su di noi.

Nelfrattempo il canadese mi andava descrivendoa una a unalecaratteristiche della nave: era fornita di speroneaveva due ponticorazzati e due comignoli che emettevano una spessa nube nera.

Levele chiuse si confondevano con la linea dei pennoni.

Ilpicco non aveva nessuna bandiera.

Avanzavavelocemente.

Seil capitano Nemo le permetteva di avvicinarsipotevamo sperare inun'occasione di salvezza.

-Se arriva a un miglio da noimi getto in mare.

Viinvito a fare altrettanto - dichiarò Ned.

Nonrisposi alla proposta del canadese e continuai a guardare la nave cheingrandiva a vista d'occhio.

Qualunquefosse la sua nazionalitàera certo che ci avrebbero accolti abordose l'avessimo raggiunta.

-Spero che il signore ricordi che noi abbiamo qualche esperienza dinuoto - intervenne allora Conseil.

-Può contare sul nostro aiuto per raggiungere quel bastimentoqualora decidesse di seguire Ned.

Stavoper risponderequando una nuvoletta bianca apparve a prua dellanave.

Qualchesecondo dopo l'acqua fu sconvolta dalla caduta di un corpo pesanteche piombò in acqua oltre la poppa del Nautilus econtemporaneamente una detonazione colpì le nostre orecchie.

-Sparano su di noi!

-Bene!


-mormorò il canadese.

-Dunque non ci hanno presi per naufraghi rifugiati su un relitto...

-Se al signore non dispiace - spiegò Conseil scotendosi didosso l'acqua che un secondo proiettile aveva spruzzato su di lui -hanno riconosciuto il narvalo.

Ecannoneggiano il narvalo.

Madovrebbero ben vedere che ci sono degli uomini sopra osservai.

-Forse è proprio per questo - disse Ned fissandomi.

Fuuna rivelazione.

Sìora sapevano che cosa pensare sull'esistenza del mostro.

Certodurante l'abbordaggio dell'"Abraham Lincoln"quando ilcanadese lo aveva colpito con la sua fiocinail comandante Farragutaveva riconosciuto nel narvalo un battello sottomarinopiùpericolosoperciòdi un cetaceo straordinario.

Apparecchioveramente terribile secome si poteva immaginareil capitano Nemolo impiegava come strumento di vendetta.

Durantequella notte in cui ci aveva tenuti chiusi in una cellain mezzoall'Oceano Indianonon poteva forse aver attaccato qualche nave?Sìdoveva proprio essere così.

Sisvelava una parte della misteriosa esistenza del capitano Nemo eanche se la sua identità non era conosciutaora le nazioni sierano coalizzate contro di lui.

Eoraanziché incontrare degli amici sulla nave che siavvicinavaavremmo potuto trovare nemici senza pietà.

Nelfrattempo i colpi attorno a noi si moltiplicavanoma nessuno avevaancora sfiorato il Nautilus.

Lanave corazzata si trovava in quel momento a non più di tremiglia enonostante il violento cannoneggiamentoil capitano Nemonon appariva sulla piattaforma.

Purese uno di quei proietti avesse colpito in pieno la chiglia delbattelloper noi sarebbe stata la fine.

-Dobbiamo tentare qualsiasi mezzo per trarci da questa bruttasituazione - disse il canadese.

-Proviamo a fare dei segnali:forse capiranno che siamo persone oneste.

NedLand prese il fazzoletto per sventolarlo in aria.

Mal'aveva appena spiegato quandoafferrato da una mano di ferropresoalla sprovvistafu atterrato.

-Disgraziato!


-gridò il capitano Nemo.

-Vuoi dunque che ti inchiodi sullo sperone del Nautilus prima discagliarmi contro quella nave?Poiabbandonando Ned Landsi volseverso la nave da guerra che continuava a bombardarci:- Ah!


Losai chi sononave della nazione maledetta!


-urlò con voce potente.

-Io non ho bisogno della tua bandiera per riconoscerti!


Guarda!


Timostrerò la mia!


Espiegò a proravia della piattaforma una bandiera nerasimilea quella che aveva piantato al Polo Sud.

Inquel momento un proiettilecolpendo obliquamente la chiglia delbattellovi scivolò passando vicino al comandante e andòa perdersi in mare.

Ilcapitano Nemo si strinse nelle spallepoi si volse verso di me:-Scendete - ordinò con tono reciso.

-Scendete insieme con i vostri compagni.

-Attaccherete quella nave?

-domandai.

-La colerò a picco.

-No!

-Lo farò - ribadì freddamente il capitano Nemo.

-Voi non sapete abbastanza da poter giudicaresignore.

Ilcaso vi pone davanti ciò che non avreste mai dovuto vedere.

Cihanno attaccato: la risposta sarà terribile.

Scendete!

Nonci restava che obbedire.

Unaquindicina di marinai del battello si era schierata attorno alcomandante e guardava con implacabile sentimento di odio la nave cheavanzava verso di noi.

Raggiunsila mia stanza.

Ilcapitano Nemo e il secondo erano rimasti sulla piattaforma.

L'elicafu messa in movimento e il Nautilusallontanandosi in velocitàsi pose fuori della gettata dei cannoni del vascello.

Mentrel'inseguimento proseguivail capitano Nemo si limitava a mantenerela distanza.

Versole quattronon potendo dominare l'impazienza e l'inquietudine che midivoravanoritornai verso la scala centrale.

Ilboccaporto era aperto e mi azzardai a salire sulla piattaforma.

Ilcapitano Nemo stava passeggiando con agitazione.

Guardavala nave che restava a cinque o sei miglia sottovento e si lasciavainseguiretrascinandola verso est.

Manon l'attaccava.

Forseesitava ancora?

Volliintervenire per un'ultima voltama l'avevo appena interpellato cheil capitano Nemo mi impose il silenzio:- Ne ho il dirittoperchésono la giustizia.

Iosono l'oppresso e quello l'oppressore: a causa sua tutto ciòche ho amato e veneratopatriamogliefiglipadre e madretuttoho visto perire!


Tuttoquello che odio è là!


Tacete!

Dettiun ultimo sguardo alla nave da guerra che navigava a tutto vaporequindi raggiunsi Ned e Conseil.

-Fuggiamo!


-esclamai.

-Bene!

-acconsentì Ned.

-Che nave è quella?- Non lo so.

Maquale che siasarà presto colata a picco.

Inogni modo è meglio morire con essa che rendersi complici dirappresaglie di cui non si può valutare l'equità.

-E anche il mio parere - disse freddamente Ned.

-Aspettiamo il buio.

Arrivòla sera.

Unprofondo silenzio regnava a bordo e la bussola indicava che ilNautilus non aveva cambiato la rotta.

Sentivoil rumore dell'elica che batteva le onde con rapida regolarità.

Eravamosulla superficie del mare e un leggero rollio ci cullava.

Ioe i miei compagni avevamo stabilito di fuggire nel momento in cui ilvascello fosse stato abbastanza vicino per farci udire o farcivedereallorché la lunache sarebbe stata piena tre giornidoporisplendesse.

Unavolta a bordo della naveanche se non avessimo potuto prevenire ilcolpo che la minacciavaavremmo almeno fatto tutto ciò che lecircostanze ci avessero permesso di tentare.

Unaparte della notte trascorse senza incidentimentre noitroppoemozionati per parlarespiavamo l'occasione per fuggire.

Nedavrebbe voluto precipitarsi subito in marema io lo convinsi adaspettare.

Secondomeil Nautilus avrebbe attaccato la nave in emersione e in quelmomento la fuga ci sarebbe stata non solo possibilema anche facile.

Alletre del mattinomolto inquietosalii sulla piattaforma che ilcapitano Nemo non aveva ancora abbandonato.

Erain piedia pruavicino alla bandiera che una leggera brezza facevasventolare sopra la sua testa.

Ilvascello era a due miglia da noi.

Siera avvicinato seguendo sempre la luce fosforescente che segnalava lapresenza del battello.

Distinguevochiaramente le sue luci di posizioneverde e rossoe il biancofanale.

Unvago riverbero illuminava la sua attrezzatura.

Fascidi scintilledi scorie di carbone infiammate che sfuggivano dai suoifumaioli stellavano l'aria.

Rimasilassù fino alle sei del mattinosenza che il capitano Nemoavesse l'aria di accorgersi di me.

Lanave ora era appena a un miglio e mezzo econ le prime luci delgiornoil cannoneggiamento ricominciò.

Nonpoteva essere lontano il momento in cuimentre il Nautilus avrebbeattaccato il suo avversariosaremmo fuggiti per sempre da quell'uomoche non osavo giudicare.

Mipreparavo a discendere per avvertire i miei compagni di tenersiprontiquando il secondo salì sulla piattaforma seguito daparecchi marinai.

Furonoprese certe disposizioni che potrei definire i preparativi per ilcombattimento del Nautilus.

Eranosemplicissimi: il parapetto della piattaforma fu abbassato e legabbie del fanale e del timoniere rientrarono nella chiglia in mododi sporgere appena.

Lasuperficie di quel lungo sigaro di ferro non offriva più alcunrilievo che potesse intralciarne la manovra.

Ritornainel salone mentre le prime luci mattutine già si infiltravanonegli strati liquidi.

Quelterribile 2 giugno cominciava.

Ilsolcometro indicava che la velocità del Nautilus era diminuitae io compresi che si lasciava avvicinare.

Ledetonazioni si facevano sempre più violentei proiettilitormentavano l'acqua vicino a noi e vi si immergevano con sibiliviolenti.

-Il momento è giuntoamici - dissi.

-Qua la mano e che la fortuna ci assista!

NedLand era risolutoConseil calmo e io così nervoso cheriuscivo appena a dominarmi.

Passammonella biblioteca.

Nelmomento in cui spingevo la porta che si apriva sul pianerottolo dellascala centraleudii il boccaporto richiudersi bruscamente.

Ilcanadese si slanciò sulle scalema lo trattenni: un sibiloben conosciuto mi aveva avvisato che l'acqua stava giàriempiendo i serbatoi.

Esubito dopoci trovavamo a qualche metro sotto la superficie delmare.

Compresiciò che stava per accaderema era troppo tardi per agire.

IlNautilus non avrebbe speronato la nave nella sua impenetrabilecorazzama sotto la linea di galleggiamentolà dove lascorza metallica non la proteggeva più.

Eravamonuovamente prigionieritestimoni impotenti di quel sinistro drammache si stava preparando.

Avemmoappena il tempo di riflettervi.

Rifugiatinella mia stanzaci guardavamo senza pronunciare una sola parola.

Unostupore profondo si era impadronito della mia mente.

Mitrovavo in quello stato che precede un'attesaspaventosadetonazione.

Attendevoascoltavonon vivevo con altri sensi che con l'udito...

Lavelocità del Nautilus aumentò sensibilmente.

Stavaprendendo lo slancio.

Tuttala chiglia fremeva.

Lanciaiun grido.

C'erastato uno scontroma relativamente leggero.

Sentiila forza dello sperone che penetrava.

Sentiisfilacciareraschiarestracciare.

L'ordignotrascinato dalla potenza dei suoi motoripassava attraverso ilvascello come un ago attraverso la tela!

Nonpotei trattenermi: come un pazzo mi precipitai fuori della mia stanzae piombai nel salone.

Ilcapitano Nemo era lì: mutoaccigliatoimplacabileguardavaattraverso i vetri di babordo.

Unamassa enorme oscurava le acque eper non perdere niente della suaagoniail Nautilus si immergeva a sua volta.

Adieci metri da mesi vedevano la chiglia sventratain cui l'acquasi precipitava col rumore di cascatapoi la doppia linea deicannoni.

Inaltoil ponte era ricoperto di ombre nere che si agitavano.

L'acquasaliva.

Glisventurati marinai si slanciavano sulle sartiesi aggrappavano aglialberisi torcevano.

Unformicaio umano sorpreso dall'invasione dell'acqua!

Paralizzatoirrigidito dall'angoscial'occhio spalancatoil respiro affannososenza fiatosenza voceanch'io guardavo.

L'enormevascello sprofondava lentamente e il Nautilus lo seguivaspiandonetutti i movimenti.

All'improvvisoun'esplosione: l'aria compressa fece saltare i ponti del bastimento.

Lospostamento d'acqua fu tale che il battello sottomarino ebbe unoscarto.

Allorala disgraziata nave sprofondò più rapidamente.

Apparverole coffepiene di vittimele gabbie piegate sotto grappoli diuomini.

Latesta dell'albero di maestra si immerse e fu la fine:la massa oscurascomparve con il suo lugubre carico trascinato nell'enorme risucchio.

Migirai verso il capitano Nemo.

Quelterribile giustizierequell'arcangelo dell'odioguardava sempre.

Quandotutto fu finitosi diresse verso la porta della sua stanzal'aprìed entrò.

Loseguii con lo sguardo.

Sullaparete di fondo notai il ritratto di una donna e di due bambini.

Ilcapitano Nemo vi si inginocchiò davanti.




14

Leultime parole del capitano Nemo.

Ipannelli si erano richiusi su quella spaventosa visionema nelsalone non era tornata la luce.

L'internodel Nautilus non era che tenebre e silenzio.

Fuggivada quel luogo di desolazione con una velocità prodigiosatenendosi a trentacinque metri di profondità.

Dovesi dirigeva?

Anord o a sud?

Dovefuggiva dopo quella terribile rappresaglia?Ero rientrato nella miastanza dove Ned e Conseil mi aspettavanoentrambi silenziosi.

Provavoun orrore indicibile per il capitano Nemo.

Qualunquecosa avesse soffertonon aveva il diritto di vendicarsi in quelmodo.

Miaveva resose non complicealmeno testimone della sua vendetta.

Eratroppo.

Alleundici riapparve la luce elettrica e tornai nel salone.

Eradeserto.

Consultaii diversi strumenti.

Stavamonavigando verso nord a una velocità di ventiquattro nodiqualche volta in superficiequalche altra in immersione.

Dalrilevamento segnato sulla cartavidi che navigavamo al largo dellaManica e che la nostra rotta ci portava verso i mari boreali a unavelocità straordinaria.

Allasera avevamo superato duecento leghe di mare.

Letenebre arrivarono e il mare scomparve nell'ombra fino al sorgeredella luna.

Ritornainella mia stanzama non potevo dormire: la raccapricciante scena didistruzione si ripresentava di continuo ai miei occhi.

Daquel giornochi potrà dire dove ci portò il Nautilusnel bacino del Nord Atlanticosempre a una velocitàincalcolabilesempre in mezzo alle nebbie?

Nonsaprei dirlo.

Iltempo passava senza che potessi calcolarlo.

Sembravache il giorno e la notte non avessero più un corso regolare eio mi sentivo trascinato in quel regno dell'ignoto.

Credoche quella corsa avventurosa del battello durasse dai quindici aiventi giorni e non so per quanto tempo sarebbe ancora durata senza lacatastrofe che mise fine al viaggio.

Ilcapitano Nemo era scomparso e così il suo secondonessun uomodell'equipaggio si mostravasia pure per un istante.

IlNautilus navigava quasi costantemente in immersione equandorisaliva in superficieil boccaporto si apriva e si chiudevaautomaticamente.

Sulplanisfero il punto non era più riportato: non sapevamo dovefossimo.

Devoaggiungere che il canadese era giunto al limite della sua capacitàdi sopportazione: Conseil non riusciva a strappargli una sola paroladi bocca e iotemendo chesotto la pressione della nostalgia o inun accesso di sconfortosi togliesse la vitalo sorvegliavo dicontinuoattentamente.

Sicapisce chein queste condizionila situazione non era piùsostenibile.

Unmattino - non saprei dire di quale giorno - mi ero addormentato nelleprime ore dell'albapiombando in un dormiveglia penoso e inquieto.

Quandomi svegliaividi Ned chino su di me e l'udii mormorare:- Fuggiamo!

Mialzai di scatto.

-Quando?- Questa notte.

Sembrache non ci sia più sorveglianza sul Nautilus.

E'strano.

Sidirebbe che a bordo regni una specie di torpore.

-Ma dove siamo?- In vista di terre che ho appena rilevatoin mezzoalla nebbiaa venti miglia a est.

-Che terre sono?- Non lo soma quali che sianovi ci rifugeremo.

-SìNedfuggiremo questa notteanche se il mare dovesseinghiottirci.

-Il mare è bruttoil vento violentoma venti miglia dasuperare in quel leggero canotto non mi spaventano.

Sonoriuscito a caricarvi un po' di viveri e qualche bottiglia d'acqua.

Eil canadese aggiunse:- Sono risoluto: se sarò scopertomidifenderò a costo di farmi ammazzare.

-Moriremo insiemeNed.

Ilcanadese mi lasciò e io raggiunsi la piattaformasu cui ci sireggeva a malapena a causa della violenza delle onde.

Ilcielo era minacciosoma poiché dietro la nebbia si nascondevala terradovevamo tentare senza perdere tempo.

Ritornainel salone temendo e sperando contemporaneamente di rivedere ilcapitano Nemo.

Comefu lunga quella giornatal'ultima che dovevo passare a bordo delNautilus!


Erorimasto solo.

Nede Conseil evitavano di parlarmi per paura di tradirsi.

Cenaiverso le seisenza appetito.

Misforzai di inghiottire qualcosanonostante la ripugnanza che sentivoper il ciboperché volevo tenermi in forze.

Unamezz'ora dopoNed Land entrò nella mia stanza.

-Non ci vedremo più prima della partenza - disse.- Alle diecila luna non sarà ancora alta.

Approfitteremodell'oscurità.

Conseile io vi aspetteremo al canotto.

Conqueste parole mi lasciòsenza darmi il tempo di rispondergli.

Volliverificare la rotta del Nautilus e passai nel salone.

Stavamoprocedendo in direzione nord-nord-est a una velocitàspaventosaa cinquanta metri di profondità.

Tornaiin camera dove indossai i pesanti abiti da marinaio e radunai le mienoteriponendole in una tasca interna.

Avevoil cuore in gola e non riuscivo a dominarmi.

Indubbiamenteil mio cruccio e la mia agitazione mi avrebbero tradito agli occhidel capitano Nemo.

Eranole nove e mezzo.

Mipremevo la testa con le maniquasi per impedirle di scoppiare.

Chiusigli occhi.

Nonvolevo più pensare a niente.

Ancoramezz'ora di quell'incubo spaventoso...

Migiunsero in quel momento dei vaghi accordi d'organo e subito unpensiero mi folgorò: il capitano Nemo aveva abbandonato la suastanza e si trovava in quel salone che dovevo attraversare perfuggire.

Làl'avrei incontrato per l'ultima volta e lui mi avrebbe vistoforsemi avrebbe parlato...

Unsuo gesto avrebbe potuto voler dire la fine: una sua sola parola esarei rimasto incatenato a bordo.

Ledieci stavano per scoccare: il momento di abbandonare la stanza e diraggiungere i miei compagni era arrivato.

Nonpotevo più esitareanche se il capitano Nemo mi si fossedrizzato davanti.

Apriila porta con precauzionetuttavia mi sembrò chegirando suicardiniproducesse un fracasso infernale.

Miinoltrai strisciando attraverso le corsie oscurearrestandomi a ognipasso per calmare i battiti del mio cuore.

Arrivaialla porta d'angolo del salonel'aprii piano piano.

Ilvasto locale era immerso nell'oscuritàgli accordidell'organo risonavano debolmente.

Ilcapitano Nemo era là.

Nonmi vedeva.

Credoche non mi avrebbe scorto nemmeno in piena lucetanto era assortonella musica.

Avanzaitenendomi sul tappetoevitando il più piccolo urto il cuirumore avrebbe potuto tradire la mia presenza.

Mici vollero cinque minuti per raggiungere la porta di fondo che davanella biblioteca.

Stavoper aprilaquando un sospiro del capitano Nemo mi inchiodòsul posto.

Compresiche si stava alzandolo intravidianchepoiché qualcheraggio dalla biblioteca illuminata filtrava fino al salone.

Venneverso di mele braccia consertesilenziososcivolando piùche camminandocome uno spettro.

Elo sentii mormorare queste parolele ultime che colpirono il mioorecchio:- Bastamio Dio!


Basta!

Miinfilai nella bibliotecami precipitai alla scala centrale eseguendo la corsia superioreraggiunsi il canottodove giàsi trovavano i miei compagni.

-Andiamo!


-dissi concitato.

-Subito!


risposeil canadese.

L'orifiziointagliato nella lamiera del battello fu richiuso e imbullonato conuna chiave inglese di cui egli si era munito.

Anchel'apertura del canotto fu chiusa e il canadese prese a svitare i dadiche ci tenevano ancora uniti al battello sottomarino.

All'improvvisoun suono concitato di voci ci giunse dall'interno.

Checosa era successo?

Sierano accorti della nostra fuga?

Sentiiche Ned mi faceva scivolare un pugnale in mano.

-Sì - mormorai.- Sapremo morire!

Ilcanadese aveva interrotto il proprio lavorocosì che ci fupossibile sentire una parola ripetuta in tono angosciosouna parolaterribile che mi rivelò la causa dell'agitazione che si erapropagata a bordo.

-Maelström!

Ilmaelström!


Potevaun nome più spaventoso raggiungere il nostro orecchio inquella già tanto spaventosa situazione?

Citrovavamoalloranei pericolosi paraggi della costa norvegese?

Sisa cheal momento del flussole acque rinserrate fra le isole Faroëe le Loffoden si precipitano con una violenza irresistibileformandoun vortice a cui nessuna imbarcazione può resistere.

Daogni punto dell'orizzonte accorrono onde mostruose.

Làil Nautilus - involontariamente o volontariamente - era stato portatodal suo comandante.

Ilbattello descriveva una spirale il cui raggio si restringeva sempredi piùcosì che il canottoancora attaccato allachigliaera trascinato a una velocità vertiginosa.

Sentivoquel tremendo capogiro che si prova a ogni movimento circolare troppoviolento e prolungato.

Eravamonell'orridoal culmine del terrorecon la circolazione sospesasenza più reazione nervosagrondanti del gelido sudore dellamorte.

Eche spaventoso fragore attorno al nostro fragile canotto!

Qualiruggiti che l'eco moltiplicava per miglia e miglia!

Inquella situazione disperata il Nautilus si difendeva come un essereumano preso in una trappola mortalema già i suoi muscolid'acciaio scricchiolavano.

Ditanto in tanto si impennavaraddrizzandosi fuori dall'acquae noicon lui.

-Bisogna resistere - disse Ned.

-Dobbiamo riavvitare i bulloni.

Serestiamo uniti al Nautilusabbiamo ancora una speranza di salvarci.

Inquell'istante si produsse uno strappoi bulloni saltarono e ilcanottotolto di forza dal suo alveolovenne lanciato come lapietra di una fionda nel mezzo del vortice.

Batteila testa su una costa di ferro e il colpo fu tale che persiconoscenza.




15


Conclusione


Edecco come si concluse quel viaggio sotto i mari.

Nonsaprei riferire con precisione quello che accadde quella nottecomeil canotto sfuggì al vortice del maelström e comeriuscimmo alla fine a salvarci.

Quandoritornai in me mi ritrovai sdraiato nella capanna di un pescatoredelle isole Loffoden e i miei due compagnientrambi salvieranochini su di me e mi massaggiavano le membra.

Ciabbracciammo con grande effusione.

Nonpossiamo ancora pensare di far ritorno in Franciaperché imezzi di comunicazione tra la Norvegia e il Sud dell'Europa sonorari.

Siamodunque costretti ad aspettare il passaggio del vapore che fa serviziobimensile da Capo Nord.

Traquesta buona gente che ci ha raccoltovado rivedendo la relazionedelle mie avventure che è completa ed esattasenza omissioniné esagerazioni: è il racconto fedele dell'inverosimilespedizione sotto un elemento inaccessibile per l'uomo e di cui ilprogresso renderà certo le vie liberein futuro.

Nonso se sarò credutoma dopo tutto non me ne importa molto.

Inogni caso posso affermare il mio diritto di parlare di questi marisotto i qualiin nemmeno dieci mesiho percorso ventimila leghe edel giro del mondo sottomarino che mi ha rivelato tante meraviglieattraverso il Pacificol'Oceano Indianoil Mar RossoilMediterraneol'Atlanticoi mari australi e boreali.

Checosa sarà avvenuto del Nautilus?

Avràresistito ai gorghi del maelström?

Vivràancora il capitano Nemo?

Proseguiràsotto l'oceano le sue spietate rappresaglie o l'avrà fermatoquell'ultima ecatombe?

Ungiorno le onde porteranno a terra il manoscritto con la storia dellasua vita?

Sapròfinalmente il nome vero di quell'uomo?

Lanazionalità del vascello scomparso ci suggerirà il nomedel paese d'origine del capitano Nemo?Lo spero e spero anche che ilsuo formidabile battello sottomarino abbia vinto il mare nel suo piùterribile abissoche il Nautilus si sia salvato là dove tantenavi sono scomparse.

Secosì èse il capitano Nemo continua ad abitarequell'oceano che è la sua patria d'adozionepossaspegnerglisi nel cuore quel suo odio ferocela contemplazione ditante meraviglie possa infine attenuare in lui la smania dellavendetta.

Scompaiail giustiziere e sia lo scienziato a continuare nella quietel'esplorazione dei mari.

Ilsuo destino è terribilema sublime.

Hopotuto ben comprenderlo iodopo aver vissuto per dieci mesi fuoridel mondo.

Perciòalla domanda posta dall'"Ecclesiaste": "Chi mai hapotuto scandagliare le profondità dell'abisso?"dueuomini tra tutti hanno ora il diritto di rispondere: il capitano Nemoe io.