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AlessandroManzoni

FERMOE LUCIA



INTRODUZIONE

(PRIMA INTRODUZIONE)

"LaStoria si può veramente chiamare una guerra illustre contro laMorte: poiché richiamando dal sepolcro gli anni giàincadaveritigli passa di nuovo in rassegnae li ordina di nuovo inbattaglia: onde i perspicaci ingegni che in questo arringo raccolgonopalme conservano al loro nome quella immortalità che aglialtri conferiscono. Ma questi nobili campioni della memoria non fannoall'obblio se non furti splendidi e rapiscono soltanto le spoglie lepiù ricche e brillantiimbalsamando coi loro inchiostri ifatti dei prencipi e potentatie personaggitessendo come in feraltela le battagliee trapuntando coll'ago finissimo dell'ingegno ifili d'oro e di seta che formano un perpetuo ricamo di azionigloriose. Però non essendo alla debolezza del mio ingegnoconcesse queste vittorieed avendo io osservato nel lungo giro deimiei anni molte e straordinarie vicende le quali mi sono sembratedegne di memoriama di memoria defraudate saranno e per essereavvenute in gran parte a persone meccaniche e di bassa condizione enon avere portata mutatione nelle ruote degli stati: ho stimato dilasciarne una ricordanza ai posteri o almeno ai miei discendenticollo scolpirle in queste carteparendomi che le cose private diquesti tempi sieno meritevoli di quella osservazione che i dottidanno alle cose mostruoseperché in picciolo teatro vi siveggono luttuose tragedie di calamitàe scene di malvagitàgrandiosa. Onde si vede esser vero quel detto che il mondoinvecchiando peggiorama non credo che sarà vero d'ora inpoiperché avendo il male ormai passato i termini dellacomparazioneha toccato l'apice del superlativoe il pessimo non èdi peggioramento capace. Si vedrà anche come l'umana maliziaha saputo superare tutti i ritegnie spezzare tutti i freni piùben tempratiavendo potuto moltiplicare ogni sorta di sevizieperfidie ed atti tirannici a dispetto delle leggi divine ed humane. Econsiderando che questi stati sieno soggetti alla Maestà delre Cattolico che è quel sole che mai non tramontae che sovradi essi con riflesso lume qual luna risplenda chi ne fa le veciegli amplissimi senatori quali stelle fisse vi scintillinoe glialtri magistrati come erranti pianeti portino la luce in ogni partevenendo così a formare un nobilissimo cielosi vedràche gli atti tenebrosi che a malgrado di tante provvidenze si sonomoltiplicati essere altro non possono che arte e fattura diabolicapoiché l'humana potenza del male bastare a tanto non dovrebbe.Narrando adunque come fedele spettatore li accidenti singolari da meosservatitacerò per degni rispetti molti nomi di personaggie di luoghi che potrebbero servire come di indizio e di guida atrovare i personaggi nel covile oscuro della dimenticanza: néper ciò si dirà che questa sia imperfezione allasuddetta mia storia; a meno che non fosse letta da persone ignaredella filosofiae gli uomini dotti ben vedranno che nulla manca allasostanza; perché essendo fuori di ogni dubitazione che il nomealtro non è che purissimo accidente...".

Avevatrascritta fino a questo punto una curiosa storia del secolodecimosettimocolla intenzione di pubblicarlaquando per degnirispetti anch'io stimai che fosse meglio conservare i fatti e rifarladi pianta. Senza fare una lunga enumerazione dei giusti motivi che mivi determinaronoaccennerò soltanto il vero e principale.L'autore di questa storia è andato frammischiando allanarrazione ogni sorta di riflessioni sue proprie; a me rileggendo ilmanoscritto ne venivano altre e diverse; paragonando imparzialmentele sue e le mieio veniva sempre a trovare queste ultime molto piùsensatee per amore del vero ho preferito lo scrivere le mie acopiare le altrui; stimando anche che chi ha una occasione per direil suo parere sopra che che sia non debba lasciarsela sfuggire.

Lemezze confidenze del narratore e le ommissioni frequenti dei cognomidei personaggie dei nomi dei luoghinon fanno a dir vero oscurità:veggio nullameno per esperienza che sono fastidiose a chi leggeeavrei desiderato trovare altrove ciò che è solamenteindicato nel manoscrittoma non mi venne fatto: in qualche luogoperò le indicazioni di luogo sono così chiare emoltiplici che il nome si è potuto trovare certamente efacilmenteed allora l'ho scritto.

Èqui il luogo d'antivenire un'accusa la quale per grave e pericolosach'ella siapotrà leggermente esser data a questo scritto:cioè che non sia altrimenti fondato sopra una storia vera diquel tempoma una pura invenzione moderna. Prego coloro i qualifossero disposti ad ammettere questo sospettoa riflettere che essiverrebbero ad accusare l'editore niente meno che di aver fattoromanzogenere proscritto nella letteratura italiana modernalaquale ha gloria di non averne o pochissimi. E benché questanon sia la sola gloria negativa di questa nostra letteratura purebisogna conservarla gelosamente intattaal che ben provvedono quellemigliaja di lettori e di non lettori i quali per opporsi a ogni sortad'invasioni letterarie si occupano a dar se non altro molti disgustia coloro che tentano d'introdurre qualche novità. Oltre di chequesto generequand'anche non sia altro che una esposizione dicostumi veri e reali per mezzo di fatti inventati èaltrettanto falso e frivoloquanto vero e importante era ed èil poema epico e il romanzo cavalleresco in versi. Per queste ragioniognun vede quanta debba importare all'editore di allontanare da séquesto sospetto. Certoil migliore espediente sarebbe di mostrare ilmanoscrittoma a questo egli non può indursi per altri e purdegni rispetti. Il più degno dei quali si èche se ilmanoscritto fosse mostrato a pochissimi ed amicil'incredulitàdurerebbee se a molti si diffonderebbe l'opinione che la vecchia eoriginale storia è molto meglio scritta che la nuova erifattache v'era in quella un certo garbouna certa naturalezzaun sapore di veritàun'aria di contemporaneità che èsvanita affatto nella copia. Si direbbe che veramente il reo gustodel secolo si fa sentire nello stile del vecchio scrittore ma cheperò vi è una certa fragranza (dico bene?) di linguache ben fa vedere che di poco era spirato quell'aureo cinquecentoquel secolo nel quale tutto era puroclassicolindosemplicenelquale la buona lingua si respirava per così dire coll'ariasiattaccava da sé agli scrittidimodochécosaincredibile e vera! fino i conti delle cucine e gli editti pubblicierano dettati in buono stile. Che se nel secolo susseguente tutto sialteròalmeno almeno la corruttela non era stranieraera unlusso un abuso delle ricchezze patrieuna sazietà del bello oalmeno non si leggevano ancora libri francesiperché laFrancia non aveva ancora quegli insigni scrittori che per disgraziadelle lettere ebbe dappoi.

Nonvolendo adunque mostrare il manoscritto originaleha l'editorepensato un altro mezzo per convincere i lettori della realtàdi questa storia. I dubbj su di essa non possono nascere da altro chedal non trovare verità nel costumenei fattie nei caratteridel tempo rappresentato: poiché se si venisse a concedere chequesta verità si trovaallora il dire che la storia èinventata potrebbe quasi quasi parere più che un biasimo unalodedal che bisogna guardarsi ben bene. Ora per certificare i piùincreduli che i costumi sono veramente quelli del tempol'editorepropone loro di fare ciò ch'egli stesso ha fatto per giungerea questo convincimento. A dir vero molte gli parevano tanto stranech'egli non sapeva risolversi a crederle realmente avvenuteperlochési pose a frugare molto nei libri e nelle memorie d'ogni genere chepossono dare una idea del costume e della storia pubblica e privatadel Milanese nella prima metà del secolo decimosettimo. Tuttele sue ricerche lo condussero a risultati talmente somiglianti a ciòche egli aveva veduto nel manoscritto che non gli rimase piùdubbio della veracità della storia che vi si contiene. Percomodo di chi volesse rifare queste ricerche egli pone qui una sceltadelle letture opportune a mettere chicchessia in caso di giudicare dasé questo fatto.

Notadi librimemorie etc.

......

Madi questi libridirà taluno; alcuni sono difficili aritrovarsie la più parte nojosi a leggersie scritti in unostile tra il goffo e il leziosotra il barbaro e il pedantesco.Alcuni poi sono in latino e come pretendere che si leggano librilatini per convincersi se una storia è vera o supposta? Chinon sa che le signore non imparano pur troppo il latinoe che lesignore appunto sono quelle che più si dilettano di leggerestorie private? dimodoché i mezzi di fare questa verificazionesarebbero appunto interdetti a chi più probabilmente avràletta la storia. Rispondo anche a questa obbiezionepregando illettore a non farmene più altre per non farmi perdere il tempoin ciarlee ritardare così quello che importa cioè ilracconto.

Rispondodunque: che fra i pochi lettori di questa storiavi sarannocertamente moltii quali benché virtualmente sappiano che nelpassato vi sono stati gli anni 1628-29 e -30non hanno peròmai pensato a questi annie che molto meno sanno che cosa in queglianni si facessecome si vivessese vi sia stato un po' di famediguerrae dl pestee di quelle altre coserelle che si vedranno inquesta storia. Questi ch'io dico penseranno dunque a quest'epoca perla prima volta leggendo questa storiae da essa ne ricaveranno tuttele notizie. E appena avranno letta qualche pagina cominceranno atrovare che la tal cosa non è verisimileche la tal altra nonha il colore del tempo e simili scoperte. Ora fra questi lettoriscommetterei che forse non vi sarà una sola signora. Ingenerale elle non conoscono la maniera dotta e ingegnosa di leggereper cavillare lo scrittorema si prestano più facilmente aricevere le impressioni di veritàdi bellezzadi benevolenzache uno scritto può fare; quando non vi trovino nulla disimilechiudono il librolo ripongono senza gettarlo con rabbiaenon vi pensano più. Sicché io confido che la veracitàdi questa storia esse la sentiranno senza discuterlache non sidivertiranno a sottilizzare per trovare il falso dove non è; eper conseguenza la nota riportata di sopra è affatto inutileper loro.

V'èpoi un'altra obbiezione che non si può lasciare senzarispostauna obbiezione che l'editore farebbe a se stesso quandofosse certo che non verrà in capo a nessuno. La pubblicazionedi questa storia non è cosa affatto inutilenon è unaoccasione di far perdere qualche ora a pochi lettori? Lettori mieise dopo aver letto questo libro voi non trovate di avere acquistataalcuna idea sulla storia dell'epoca che vi è descrittae suimali dell'umanitàe sui mezzi ai quali ognuno puòfacilmente arrivare per diminuirli e in sé e negli altriseleggendo voi non avete in molte occasioni provato un sentimento diavversione al male di ogni generedi simpatia e di rispetto pertutto ciò che è pionobileumanogiustoallora lapubblicazione di questo scritto sarà veramente inutilel'obbiezione sarà ragionevolee l'editore avrà undispiacere reale del tempoe che ha fatto gittare agli altrie delmolto più che egli stesso vi ha speso.

 

INTRODUZIONERIFATTA DA ULTIMO

"L'Historiasi può veramente chiamare una guerra meravigliosa contro laMorte; perché togliendoli di mano gl'anni già suoiprigionierianzi già fatti cadaverili chiama in vitalipassa in rassegnae li schiera di nuovo in battaglia. Ma li illustriCampioni che in tal arringo fanno messe di palmerapiscono soltantole spoglie più sfarzose e brillantiimbalsamando coi loroinchiostri i fatti de Prencipi e Potentati e qualificati Personaggitessendo come in feral tela i conflitti di Martee trapontandocoll'ago finissimo dell'ingegno i fili d'oro e di seta che formano unperpetuo ricamo di azzioni gloriose. Però alla mia debbolezzanon è lecito solleuarsi a tal argomentie sublimitàpericolose; essendo che la Politica rinchiusa nelli latiboli delliGabinetti come la Dea cacciatrice negl'horrori del fontesecondo cheattesta Ouidiose qualche Atteone spinge lo sguardo troppo curioso aspiare i suoi segretisprizzandoli l'acqua misteriosa nel frontelotremuta in ceruocon diuenir bersaglio de veltri. Solo che hauendoio hauuto notitia di fatti degni di memoriaauuegnachésuccessi a gente meccaniche et di piccol affareho stimato bene dilasciarne una ricordanza a posteri con scolpirli in queste carte.Nelle quali si vedranno in piccol teatro luttuose Traggedie dicalamitàet scene di malvaggità grandiosaconintermezi di imprese virtuoseet bontà angeliche ches'oppongono all'operationi diaboliche. Et veramente considerando chequesti Stati sijno soggetti alla Maestà del Re Cattolicocheè quel Sole che mai non tramontaet che sopra di essiconriflesso lumequal Luna non mai calante risplenda chi ne fa le veciet gl'amplissimi Senatori quali Stelle fisse vi scintillinoetgl'altri Magistrati come erranti Pianeti portino la luce per ognidouevenendo così a formare un nobilissimo cieloaltracaggione non si può dare delli fatti tenebrosiprepotenzesevitie ed atti tirannici che si vanno moltiplicandose non se artee fattura diabolica: poiché l'humana malitia per se solaforza bastante hauer non dovrebbe per deludere la vigilanza di tantiHeroiche vanno continuamente trafficandosi per il pubblicoemolumento. Perloché descrivendo questo racconto auuenutonelli tempi di mia gioventùabbenché la piùparte delle Persone in esso nominate sijno passate ad altra vitapure tacerò per degni rispetti li loro nomiet il medemo faròdelli luoghisolo indicando li territorij senza specificar il paese.Nè alcuno dirà che questa sij imperfezzione delraccontoa meno non sij persona del tutto ignara della Filosofia:che quanto agl'huomini dottiben vedranno nulla manca alla sostanzadi detto racconto; perché essendo fuori d'ogni dubitatione chei nomi altro non sono se non purissimi accidenti..."

Taleè il proemio d'una curiosa storiache avevamo animosamenteimpresa a trascrivere da un dilavato autografo del secolo decimosettimoad intento di pubblicarla. Ma copiate le poche righe cheabbiam qui poste per saggioil fastidio che provammo d'una prosacosì fatta ci fece avvertire a quello che ne proverebbero ilettorie intralasciare una fatica che sarebbe probabilmentegittata. È ben vero che il nostro anonimo dopo essersi sulprincipio sbizzarrito in concettini e in figurepiglia poi nelracconto un andamento più posato e più pianoe solo ditratto in tratto spicca qualche salterello d'ingegnodove ilsoggetto lo richiede a parer suo. Ma quando egli cessa d'esser gonfiodiviene così pedestre! così sguaiato! Anzicome illettore ha potuto accorgerseneha l'arte di riunire queste qualitàopposte in apparenzae d'esser rozzo insieme e affettato nellastessa paginanello stesso periodonello stesso vocabolo: arte delresto comune a quasi tutti gli scrittori del suo temponel paesedove egli scrisse.

Ogniepoca letteraria ha un carattere generale suo propriouna manieraper dir cosìche si fa scorgere a prima vista negli scrittidozzinalie dalla quale i più distinti e originali non vannomai esenti del tutto. In Italia poispesso e forse ad ogni epocaoltre la maniera generale v'ebbe in ciascuno Stato e principalmentein ciascuna città capitale una maniera particolare per dircosì una sotto-maniera che era una modificazione di quella: neriteneva alcuni caratteri e ne aveva altri suoi proprii. Erano cometante varietà d'una specie. Di tutte queste differenze siponno trovare ad ogni caso molte cagioni nelle varie circostanze deidiversi stati: una cagione comune è l'essere in ciascuno diessi adoperato nei discorsi un dialetto particolare anche tra lepersone colte. Ogni linguaogni dialetto oltre i segni d'idee percosì dire semplici e che hanno segni sinonimi in ogni altralinguaha segni particolarie ancor più frasi che esprimonoo accennano un giudizio o pongono la questione in un modoparticolare. La moltitudine di questi vocaboli e di queste frasiparticolari dà ad ogni dialetto un carattereun colore suoproprioe v'introduce una specie di criterio individuale.

Quandol'uomo che parla abitualmente un dialetto si pone a scrivere in unalinguail dialetto di cui egli s'è servito nelle occasionipiù attive della vitaper l'espressione più immediatae spontanea dei suoi sentimentigli si affaccia da tutte le partis'attacca alle sue ideese ne impadronisceanzi talvolta glisomministra le idee in una formola; gli cola dalla penna e se eglinon ha fatto uno studio particolare della linguafarà ilfondo del suo scritto.

Diquesto colore municipale si è fatto in varii tempi rimproveroa molti scrittori: che deturpasse gli scritti non v'ha dubbio: quantoagli scrittoriprima di rimproverarli così acremente sisarebbe dovuto pensare che non è cosa tanto facile prescindereda quelle formole alle quali sono unite per abito tutte le memorietutti i sentimentitutta la vita intellettuale. Non è cosafacile certamente; e non è pur certo se questo sia un mezzo difar buoni libri.

Questairruzione inevitabile di ciascun dialetto negli scritti generalmenteparlandoha quindi contribuito grandemente a dare agli scrittid'ogni parte d'Italia un carattere speciale: carattere cosìdistinto che un uomo il quale abbia un po' frugato nelle opere buonee triste dei varii tempi della letteratura italianapotrà dalsolo stile d'un'opera argomentar quasi sempre non solo il secolo mala patria dello scrittoree apporsi. Lo stile lombardo per esempioha un carattere suo proprio riconoscibile in tutti i tempie quasiin tutti gli scrittori. Due classi ne ritengono meno degli altri:quegli che hanno fatto uno studio particolare della lingua toscana; equegli altri che trattando materie generalidiscusse dai primiscrittori di Europasi sono serviti di uno stile per dir cosìeuropeo etc. etc.

Nellaseconda metà del secolo decimo settimoquando scriveva ilnostro autorequella maniera che dominava in tutta la letteraturaitaliana e ha conservata una turpe celebrità sotto il nome disecentismo; e che consisteva principalmente in uno sforzo per trovareil maraviglioso ebbe nei diversi paesi d'Italia diversemodificazionie tendenze principali: dove fu principalmente unaaffettazione di sagacità raffinatadove una esagerazioneimpetuosa d'idee di sentimenti e d'immagini. In Lombardiadovepochissime idee erano diffuse e ventilatedonde nessun libroveramente importante era uscito fin alloradove la lingua toscana sistudiava pochissimo e da pochissimie da nessuno per cosìdire le lingue stranierele quali del resto non avendo ancora opereben pensate non potevan comunicare idee in Lombardia dove alcunipochi studii erano coltivati in un modo pedantescoe molti studiitrascurati anzi sconosciutiil linguaggio comune doveva esser rozzoincoltoinesattoarbitrariocasuale; e lo era infatti al massimogrado. Sur un tal fondo si ricamava poi di quelle arguziesiappiccava quella ricercatezza che era la tendenza generale di tuttala letteratura italiana; e ne usciva quel complesso di goffaggineprosuntuosad'ignoranza affermativaquella continuità d'ideestorte espresse in solecismilo scrivere insomma di cui si èdato un saggio. E il nostro autore non era uno dei peggiori del suotempo: era anzi alquanto al di sopra della proporzione media: ma inverità s'io avessi avuta la pazienza di trascrivere la suastoria voi non avreste quella di leggerla.

Lastoria però ci parve interessantee ci sapeva male ch'elladovesse rimanersi sempre sconosciuta. Ci siamo quindi risoluti dirifarla interamentenon pigliando dall'autore che i nudi fatti.

Marigettandocome intollerabilelo stile del nostro autoreche stilevi abbiamo noi sostituito? Qui giace la lepre.

Chegiova dissimulare? Confessiamo sinceramente che anche noi abbiamoadoperata qua e lànon solo nei dialoghima anche nellanarrazione qualche parolaqualche frase assolutamente lombarda. Equesta libertà l'abbiamo presaperché quelle frasiquantunque usitate soltanto in questa parte d'Italiasi fannointendere a prima giunta ad ogni lettore italiano. Se noi avessimoconosciute frasi dello stesso valorele quali fossero non solointelligibilima adoperate negli scritti e nei discorsi per tuttaItaliacertamente le avremmo preferite a quelle nostresagrificandodi buona voglia l'imitazione d'una verità locale alla purezzadella lingua; persuasi come siamo che quel primo vantaggio sia datrascurarsianzi non sia vantaggio quando non si possa conciliarecol secondo.

Oh!dirà qui talunoè questa una giustificazione o unaburla? Come pensate voi a scusarvi di quella picciola libertàquando una così grande e così strana ne avrete presa inogni luogo? quando tutta questa vostra dicitura è un compostoindigesto di frasi un po' lombardeun po' toscaneun po' francesiun po' anche latine; di frasi che non appartengono a nessuna diqueste categoriema sono cavate per analogia e per estensione odall'una o dall'altra di esse? quando perfino conciliandocome ilnostro autoredue vizii opposti avete più d'una volta peccatodi arcaismo e di gallicismo in un solo vocabolo? dimodoché nonsi potrà forse nemmeno dire dove specialmente pecchi questalingua che adoperatee non si può dire se non che ècattiva lingua. Voi fate come chi dopo aver pesto un galantuomo afuria di sassate gli chiedesse poi scusa di avergli fatta qualchepicciola macchia su l'abito.

Ringrazioprima di tuttomolto cordialmente il cortese che mi fa questacensura; perché dessa prova ch'egli ha letto o tutto o almenoin gran parte il mio scritto. E appressolo prego di scusarmi se nongli posso rispondere. Non è già ch'io non abbia ragionida addurre per mia discolpanon è nemmeno perché io mivergogni di diffondermi in un sì frivolo argomento comesarebbe la mia propria giustificazione: giacché lasciando daparte questa miserabile applicazionela questione generale èper sè vasta e importante. E questo appunto è il motivoper cui non posso rispondere al cortese censore; perché leragioni son troppe. Ci bisognerebbe un libro: e il cortese censoresarà d'accordo con me che di libri uno per volta èsufficientequando non è troppo.

Bastaall'autore che altri non creda avere egli scritto male per noncuranzadi chi leggeper dispregio del bello e purgato scrivereche sia diquelli che hanno per gloria lo scriver male. Per gloria! quand'ancheella fosse impresa difficiletanti vi hanno sì ben riuscitoche poca gloria ne debbe toccare a ciascuno. Scrivo male: e siperdoni all'autore che egli parli di sè: è unprivilegio delle prefazioniun picciolo e troppo giusto sfogoconcesso alla vanità di chi ha fatto un libro: scrivo male amio dispetto; e se conoscessi il modo di scriver benenon lascereicerto di porlo in opera. I doni dell'ingegno non si acquistanocomelo indica il nome stesso; ma tutto ciò che lo studioche ladiligenza possono darenon istarebbe certamente per me ch'io non loacquistassi.

Checosa poi significhi scriver bene non credo che alcuno possadefinirlo in poche parolee per meanche con moltissime non neverrei a capo. Ecco però alcune delle idee che mi sembradoversi intendere in quella formola. A bene scrivere bisogna saperescegliere quelle parole e quelle frasiche per convenzione generaledi tutti gli scrittorie di tutti i favellatori (moralmenteparlando) hanno quel tale significato: parole e frasi che o nate nelpopoloo inventate dagli scrittorio derivate da un'altra linguaquando che siacomunquesono generalmente ricevute e usate. Parolee frasi che sono passate dal discorso negli scritti senza parervibassedagli scritti nel discorso senza parervi affettate; e sonogeneralmente e indifferentemente adoperate all'uno e all'altro uso.Parole e frasi divenute per quest'uso generale ed esclusivo tantofamigliari ad ognunoche ognuno (moralmente parlando) le riconoscaappena udite; dimodoché se un parlatore o uno scrittore percaso adoperi qualcheduna che non sia di quelleo travolga alcuna diquelle ad un senso diverso dal comuneognuno se ne avvegga e neresti offeso; e per provare che quella parola sia barbaraoinopportuna non debba frugare un vocabolarioné ricordarsi(memoria negativa che debb'esser molto difficile) che quella parolanon è stata adoperata dai tali e dai tali scrittorima glibasti appellarsene alla memoriaall'usoal sentimento degli altriascoltatorii quali fossero milleconverranno tosto del sì odel no.

Parolee frasi tanto famigliari ad ognuno che il parlatore triviale el'egregio cavino dallo stesso fondoe dopo d'averli uditisuccessivamenteun uomo colto senta fra di loro differenza d'ideedi raziociniodi forza etc. ma non di lingua. Parole e frasiperfinirlatanto note per usoe immedesimate col loro significatochequando uno scrittore ingegnosoper mezzo di analogia le fa serviread un significato pellegrinoquel nuovo uso sia inteso senzaoscurità e senza equivocoed ogni lettore vi senta in unpunto e l'idea comunee quel passaggioquella estensione etc. cheha in quell'uso particolare.

Perbene usare parole e frasi talicioè per bene scrivere sononecessarie due condizioni. Che lo scrittore (lasciando sempre daparte l'ingegno) le conoscache abbia letto libri bene scrittieparlato con persone colteche abbia posto studio nell'udire e nelleggere e ne ponga nel parlare. Ma questa condizione è laseconda. La prima è che parole e frasi adottate esclusivamenteper convenzione generale esistanoche moltissimi scrittori eparlatoricome d'accordoabbiano formata questa lingua ch'eglidebbe scriveregli abbiano preparati i materiali. Se in Italia visia una lingua che abbia questa condizioneè una quistione sula quale non ardisco dire il mio parere. È ben certo che v'hamolte lingue particolari a diverse parti d'Italiache in una sferamolto ristretta di idee certamentema hanno quell'universalitàe quella purità. Io per mene conosco unanella qualeardirei promettermi di parlarenegli argomenti ai quali essa arrivatanto da stancare il più paziente uditoresenza proferire unbarbarismo; e di avvertire immediatamente qualunque barbarismo chescappasse altrui: e questa linguasenza vantarmiè lamilanese. Ve n'ha un'altra in Italiaincomparabilmente piùbellapiù ricca di questae di tutte le altree che hamateriali per esprimere idee più generali etc. ed ècome ognun sala toscana. Se poi anche questa linguala qualefinoad una certa epoca bastava ad esprimere le idee più elevateetc. era al livello delle cognizioni europeelo sia ancorase possasomministrare frasi proprie alle idee che si concepiscono oraseabbia avuto libri sempre pari alle cognizionise abbia seguito ilcorso delle ideeè un'altra quistione su la quale non ardiscodire il mio parere.

Frattantodesidero ardentemente che tutti gli scrittorie i parlatoriconvengano una volta dove sia questa linguae come abbia anominarsi. Dico tuttio il grandissimo numeroperché unoduetrecento non possono aver ragione soli in una tal materia. Laragione non è in quel che si possain quel che convenga farein quel che sia da desiderarsima in quello che è: èquistione di fatto; e il fatto su cui si disputa è appunto seesista o no questo universale o quasi universale uso d'una linguacomune. E a dir vero il solo cercarla è un gran pregiudizioch'ella non vi sia. Certo dove ella v'ènon si fa laquistionee se uno la proponessenon sarebbe pure inteso.



TOMOPRIMO

Cap.I

ILCURATO DI...

Quelramo del lago di Como d'onde esce l'Adda e che giace fra due catenenon interrotte di monti da settentrione a mezzogiornodopo averformati varj seni e per così dire piccioli golfi d'inegualegrandezzasi viene tutto ad un tratto a ristringere; ivi ilfluttuamento delle onde si cangia in un corso diretto e continuato dimodo che dalla riva si può per dir così segnare ilpunto dove il lago divien fiume. Il ponte che in quel luogo congiungele due riverende ancor più sensibile all'occhio edall'orecchio questa trasformazione: poiché gli arginiperpendicolari che lo fiancheggiano non lasciano venir le onde abattere sulla riva ma le avviano rapide sotto gli archi; e pressoquegli argini uno può quasi sentire il doppio e diverso romoredell'acquala quale qui viene a rompersi in piccioli cavallonisull'arenae a pochi passi tagliata dalle pile di macigno scorresotto gli archi con uno strepito per così dire fluviale. Dallaparte che guarda a settentrione e che a quel punto si puòchiamare la riva destra dell'Addail ponte posa sopra un argineaddossato alla estrema falda del Monte di San Micheleil quale sibagnerebbe nel fiume se l'argine non vi fosse frapposto. Madall'opposto lato il ponte è appoggiato al lembo di unariviera che scende verso il lago con un molle pendiosul quale perlungo tratto il passaggero può quasi credere di scorrere unaperfetta pianura. Questa riviera è manifestamente formata datre grossi torrenti i quali spingendo la ghiajai ciottolie imassi rotolanti dal montehanno a poco a poco spinte le rive avantinel lagoed erano abbastanza vicini perché le ghiaje gettateda essi a destra e a sinistra abbiano potuto col tempo toccarsi eformare un terreno sodo. Allora hanno cominciato a correre in unletto alquanto più regolarepoiché questi stessidepositi hanno loro servito d'arginee il successivo loroimpicciolimento cagionato dall'abbassamento dei montidaldiboscamentoe dalla dispersione delle acque gli ha rinchiusi in unletto più angusto. Così il terreno che li divide hapotuto essere abitato e coltivato dagli uomini. Il lembo dellariviera che viene a morire nel lago è di nuda e grossa arenapresso ai torrentie uliginoso negli intervallima appena appenadove il terreno s'alza al disopra delle escrescenze del lago e deltraripamento della foce dei torrentiivi tutto è praticampagne e vignetie questo tratto d'ineguale lunghezza è inalcuni luoghi forse d'un miglio. Dove il pendio diventa piùripido son più frequentie assai più lo erano per lopassatogli ulivi; al disopra di questi e sulle falde antiche deimonti cominciano le selve di castagnie al di sopra di questesorgono le ultime creste dei monti in parte nudo e bruno macigno inparte rivestite di pascoli verdissimiin parte coperte di carpinidi faggie di qualche abete. Fra questi alberi crescono pure variespecie di sorbie di dafaniil camecerasoil rododendroferrugignoed altre piante montane le quali rallegrano e sorprendonoil cittadino dilettante di giardini che per la prima volta le vede inquei boschie che non avendole incontrate che negli orti e neigiardini è avvezzo a considerarle colla fantasia come quasi unprodotto della coltura artificiale piuttosto che una spontaneacreazione della natura. Dove però la mano dell'uomo ha potutoportare una più fruttifera coltivazione fino presso allevettenon ha lasciato di farloe si vedono di tratto in tratto deipiccioli vigneti posti su un rapido pendioe che terminano col nudosasso del comignolo. La riviera è tutta sparsa di case e divillaggi: altri alla riva del lagoanzi nel lago stesso quando lesue acque s'innalzano per le pioggealtri sui varj punti del pendiofino al punto dove la montagna è nudaperpendicolareedinabitabile.

Leccoè la principale di queste terre e dà il nome allariviera: un grosso borgo a questi tempie che altre volte aveval'onore di essere un discretamente forte castelloonore al qualeandava unito il piacere di avervi una stabile guarnigioneed uncomandanteche all'epoca in cui accade la storia che siamo pernarrare era spagnuolo. Dall'una all'altra di queste terredallemontagne al lagoda una montagna all'altra corrono moltestradicciuole ora erteora dolcemente pendentiora pianechiuseper lo più da muri fatti di grossi ciottolonie coperti qua elà di antiche edere le qualidopo aver colle barbe divoratoil cementoficcano le barbe stesse fra un sasso e l'altroe servonoesse di cemento al muro che tutto nascondono. Di tempo in tempoinvece di muri passano le anguste strade fra siepi nelle quali alpruno e al biancospino s'intreccia di tratto in tratto il melagranoil gelsominoil lilac e il filadelfo. Una di queste strade percorretutta la riviera ora abbassandosiora tirando più verso ilmonteora in mezzo alle vigneed ora sulla linea che divide i coltidalle selve. Questa strada è talvolta seppellita fra due muriche superano la testa del passaggerodimodoché egli non vedealtro che il cielo e le vette dei monti: ma spesso lascia un liberocampo alla vista la quale quasi ad ogni passo scopre nuovi ampi ebellissimi prospetti. Poiché guardando verso settentrione tuvedi il lago chiuso nei montiche sporgono innanzi e rientranoeformano ad ogni tratto senio ameni o tetrifinché la vistasi perde in uno sfondo azzurro di acque e di montagne; versomezzogiorno vedi l'Adda che appena uscita dagli archi del ponte tornaa pigliar figura di lagoe poi si ristringe ancora e scorre comefiume dove il letto è occupato da banchi di sabbia portati datorrentiche formano come tanti istmi: dimodoché l'acqua sivede prolungarsi fino all'orizzonte come una larga e lucida spira.Sul capo hai i massi nudi e giganteschie le forestee guardandosotto di tee in facciavedi il lungo pendio distinto dalle variecoltureche sembrano strisce di varj verdiil ponte ed un brevetratto di fiume fra due larghi e limpidi stagnie poscia risalendocollo sguardo lo arresti sul Monte Barro che ti sorge in facciaechiude il lago dall'altra parte. Ma non termina quel monte la vistada ogni partepoiché di promontorio in promontorio declinafino ad una valle che lo separa dal monte vicino; e come in alcuneparti la stradetta si eleva al disopra del livello di questa valleda quei punti il tuo occhio segue fra i due monti che hai inprospetto un'apertura che dalla valle ti lascia travedere qualcheparte dell'amenissimo piano che è posto al mezzogiorno delMonte Barro. La giacitura della rivierai contornie le vistelontanetutto concorre a renderlo un paese che chiamerei uno dei piùbelli del mondose avendovi passata una gran parte della infanzia edella pueriziae le vacanze autunnali della prima giovinezzanonriflettessi che è impossibile dare un giudizio spassionato deipaesi a cui sono associate le memorie di quegli anni.

Suquesta stradetta veniva lentamente dicendo l'ufizioed avviandosiverso casauna bella sera d'autunno dell'anno 1628il Curato di unadi quelle terre che abbiamo accennate di sopra. (Questa è laprima reticenza del nostro storico). Talvolta tra un salmo e l'altrometteva l'indice nel breviario al luogo dov'era rimastoe tenendocosì socchiuso il libro nella destra manoe la destra nellasinistra dietro le spallecontinuava il suo passeggio guardando inqua e in làe ripigliando i pensieri oziosi che erano statisospesi così così nel tempo che aveva recitata l'ultimaparte di ufizio. Uscendo poi da questa meditazione egli girava gliocchi intornoe arrestava lo sguardo sulle cime del monteosservando come aveva fatto tante altre volte sul monte i riflessidel sole già nascostoma che mandava ancora la sua luce sullealturedistendendo sulle rupi e sui massi sporgenti come larghistrati di porpora.

Ripigliatoposcia il breviario e recitato un altro pezzo di vespro giunse ad unarivolta della strada dov'era solito di alzar gli occhi dal libro e diguardare quasi macchinalmente dinnanzi a sèe cosìfece anche quel giorno. Dopo la rivolta la strada andava dirittaforse un centinajo di passie poi si divideva; a destra saliva versoil montee dall'altro lato scendeva nella valle fino ad un torrente.Da questa parte il muro non giungeva che all'anche del passaggeroelasciava libera la vista del pendio sottopostofino al torrenteead un pezzo di monte che lo rinchiudeva dall'altra parte. In faccia acolui che aveva voltata la stradae alla separazione delle duestrade v'era una cappelletta sulla quale erano dipinte certe figurelungheserpeggiantie terminate in punta che nella intenzione delpittoree agli occhi degli abitanti del vicinato volevano dirfiammee fra l'una e l'altra certe altre figure da non potersidescrivereche volevano dire anime del purgatorio; anime e fiammecolor di mattone su un fondo bianco con qualche scrostatura in varieparti. Al rivolgimento dunque della strada alzando gli occhi verso lacappelletta il nostro Curato vide una cosa che non si aspettava e chenon avrebbe voluta vedere. Due uomini stavano uno rimpetto all'altroai due capi della strada: uno seduto a cavalcioni sul muricciuolo conl'un piede appoggiato sul terreno della strada e l'altro penzolonigiù lungo il murol'altro in piedi appoggiato al muro con unagamba sopra l'altrae le braccia incrocicchiate sotto le ascelle.L'abito e il portamento non lasciavano dubbio della loro professione.Avevano entrambi una reticella verde in capo la quale cadeva su unaspalla terminata in un gran fiocco di seta: due grandi mustacchiinanellati all'estremitàil lembo del farsetto coperto eavviluppato da una cintura lucida di cuojoripiena di cartoccini dipolvereed alla quale erano appese due pistole con uncini: unpicciol corno ripieno di polvere appeso al collo come i vezzi dellesignore: alla parte destra delle larghe e gonfie brache una tascadonde usciva un manico di coltellacciodue legacce rosse al disottodel ginocchio a un dipresso come i cavalieri della giarrettiera: unospadone dall'altro lato con una elsa di lamette d'ottoneattorcigliate come una cifra; al primo aspetto si mostravano diquella specie d'uomini tanto comune a quei tempiche avevano nome dibravispecie che ora si è del tutto perduta come tante altrebuone istituzioni.

Chequei due stessero lì aspettando qualcheduno era cosa troppoevidente; ma quello che più spiacque al Curato fu diaccorgersi per certi atti che quegli che aspettavano era egli poichéal suo apparire si erano guardati alzando la testacon un moto chedava a divedere che avevan detto tutti e due a un tratto: egli èdesso: e quegli che stava a cavalcioni tirò la sua gamba sullastrada e si alzòl'altro si staccò dal muro; e siavvicinarono rivolti verso il curato. Questi tenendo sempre ilbreviario aperto dinanzi come se leggessealzava gli occhi perispiare i loro movimenti e vedendoli inviarsi così verso diluimille pensieri alla rinfusa gli corsero pel capo. Domandòsubito in fretta a se stessose tra i bravi e lui vi fosse qualcheuscita di strada a dritta o a sinistrae gli sovvenne tosto di no.Pensava se avesse qualche inimiciziase potesse temere qualchevendettae in quel turbamento il testimonio consolante dellacoscienza lo rassicurava alquanto; ma i bravi si avvicinavano. Posela mano nel collarecome per ricomporlo e intanto piegòindietro la testa e guardò colla coda dell'occhio fin dovepotevase qualcheduno arrivassee non vide nessuno. Diedeun'occhiata al disopra del muricciolonei campi; nessuno: guardòsulla via che gli era dinanzi; nessuno fuorché i bravi. Chefare? tornare indietronon era a tempo: fuggire; era lo stesso chefarsi inseguireo peggio. Non potendo fuggire il pericolo gli corseincontro; perché i momenti di quella incertezza erano alloracosì penosi per lui che non desiderava altro che diabbreviarli: allungò il passorecitò un versetto avoce più altacompose la faccia a tutta quella quiete edilarità che potèfece ogni sforzo per preparare unsorrisoe quando fu accostato dai due galantuominidissementalmente: ci siamo; e si fermò sui due piedi.

"Signorcurato": disse uno di quei duepiantandogli gli occhi infaccia.

"Chimi comanda?" rispose subito il curato alzando gli occhi dallibro e tenendolo spalancato e sospeso con ambe le mani.

"Ellaha intenzione"proseguì l'altro"di sposare domaniFermo Spolinoe Lucia Zarella".

"Nonlo posso negare": rispose il curato col tuono d'un uomo convintod'una trista azione; e soggiunse tosto: "io non c'entro: fannogli aggiustamenti fra di lorovengono da noinoi siamo i servitoridel pubblico..."

"Benebene"interruppe il bravo"questo matrimonio non si devefarema né domani né mai". "MaSignorimiei"replicò il curato colla voce d'un uomo che vuolpersuadere un impaziente"ma signori mieisi degnino dimettersi nei miei panni: se la cosa dipendesse da me..."

"Orsù"interruppe ancora il bravo che pareva avesse giurato di nonlasciargli compire un periodo"se la cosa andasse a ciarleella ne avrebbe più di noi: ma noi non sappiamo névogliamo sapere altro: era nostro dovere d'avvisarla e l'abbiamofatto". "Ma loro signori son troppo giustieragionevoli..."

"Ma"interruppe questa volta quell'altro che non aveva parlato finoallora"ma il matrimonio non si farà e" (qui unabuona bestemmia) "chi lo farà non se ne pentiràperché non ne avrà tempo e..."

"Zittozitto"ripigliò quell'altro"il signor Curato sache noi siamo galantuominie non vogliamo fargli del malese egliopererà da galantuomo. Signor Curatoci ha intesil'illustrissimo Signor Don Rodrigo nostro padrone le fa i suoicomplimenti". "Se mi sapessero suggerire;..." disse ilcurato: "Oh! suggerire a lei che sa il latino!"rispose ilbravo con un riso tra lo sguajato e il feroce. "Ella troveràun mezzoSignor curatoe sopratutto non si lasci uscire una paroladi questo avviso che le abbiamo dato per suo beneperchéaltrimenti sarebbe per lei come se avesse fatto quel tal matrimonio.Buona notte Signor Curato". Così dicendosi svilupparonodal curatoil quale pochi momenti prima avrebbe dato qualche grancosa per isfuggirlie allora avrebbe voluto prolungare laconversazionee avviandosi dalla parte donde egli era venutopresero la stradacantando una canzonaccia che non vogliotrascrivere. Il povero Curato pigliò delle due strade quellache andava a casa suamettendo innanzi a stento una gamba dopol'altrache gli parevano ingranchitee con animo che il lettorecomprenderà meglio dopo d'avere appreso qualche cosa di piùdell'indole di questo personaggioe della condizione dei tempi incui gli era toccato di vivere.

.......

L'impunitàera organizzatae aveva molte altre cause di simil generee latrepidazione nell'eseguire le gride nata da queste causee lasicurezza già antica nei trasgressori educati a soperchiare.Ora questa impunità minacciata ed insultatama non distruttadalle gridedoveva ad ogni minaccia e ad ogni insulto fare nuovisforzi per conservarsiaumentare la sua forzaresistereatterriretenersi unitae così faceva difatti. Quindi la grida al suonascere trovava molta gente che aveva già prese ledisposizioni necessarie per continuare a fare ciò ch'ellaveniva a proibire. Nessuna libertà nelle cose oneste perchécol fine di aver sotto la mano ogni uomo per prevenire e punire ognidelittole gride assoggettavano ogni mossa del privato al volerearbitrario di mille magistratied esecutori d'ogni sorta. Ma chi siera messo in istato di guerra colle gridee cogli ordini d'ognispeciechi aveva già disposti i suoi mezzi di difesa nellaforza apertao nelle astuzie legalio nella protezioneo nellaconnivenza allora comune e scandalosa dei giudicichi poteva evoleva ammazzare o dar la mancia ad un birroquegli era libero nellesue operazionial sicuro delle gridee in caso di rivolgerle anchecontro gli altri quando i suoi mezzi privati non fossero statibastanti. Accadeva a taluno di costoro di morire di morte violentadi esser sbanditivivevano in continuo sospettoche vuol direerano nella condizione di tutti i loro contemporanei. Quegli stessiche non avevano un animo provocatore ed ingiusto si trovavano comecostretti di guardarsi e di stare sulle difeseil che teneva per dircosì una quantità di forze sempre in presenza e dava atutta la società un'aria di sospettodi offesa. Ad ognimomento tutto era prontoper venire alle mani.

L'uomoche teme l'offesa e che vuole offenderecerca compagniquindi latendenza universale a quei tempi di arruolarsi per dir cosìin classiin corpiin maestranzein confraternite. Alcune classigià anticamente costituite avevano anche per questacircostanza una forza preponderante e spaventosaquindi gli altriper non trovarsi sempre individui contra una societàdovevanoesser contenti di trovare un motivo per riunirsidi averedeliberazionimassime comuniprivilegie una bandierae dipoterequando fossero toccatirivolgere le forze solidali di moltia loro difesa. Il clero era geloso sostenitore delle sue immunitàe come ad esso stava in gran parte il decidere fin dove giungesseronon si deve domandare se le estendesse fin dove potevanoe fin dovenon potevano giungere. Che gli ecclesiastici vuoti di spiritosacerdotaleambiziosiviolentiavari riponessero tutta lareligione in questa immunità non è da stupirsenepoiché è chiaro che è cosa molto comoda l'avereuna scomunica da opporre ad una ragionee cessare ogni pericolo conun privilegio d'inviolabilità indefinita. Ma quello che meritapiù considerazione si è come i buoni non cedessero aitristi in questa specie di zelocome uomini pii e d'una virtùmolto superiore alla onestàuomini certamente di altoingegnopotessero combattere acrementelungamentemettere tutto arepentaglio per pretesele quali non sembra che non possanoconciliarsi col minimo grado di riflessionee con un grano di buonafede. Per ispiegare questo fenomeno si dice che erano idee del tempoalle quali i migliori e più sinceri intelletti pagavanotributo come gli altri. Ma questa spiegazione non ha senso se non sitrovano le cagioni per cui essi pure dovessero affezionarsi a questeideequando il loro amore per la veritàe la loro attitudinea trovarla dovevano condurli a scoprire il debole di queste idee. Lequali cagioni appariscono chiare a chi dà una occhiata allostato della società in quei tempi. Tante erano le volontàd'impedire ogni esercizio delle facoltà le piùlegittimed'inceppare ogni dirittoe queste volontà eranocosì potentiche il clero non poteva concepire come avrebbepotuto agire a malgrado di essesenza avere una forza propria.Quindi tribunali civili e criminali per assicurare ai suoi membri unagiustizia imparziale o per opporre una parzialità ad un'altraquindi minacce spirituali e temporali ad ogni attentato contro lepersone o i beni del cleroquindi forza per eseguire le sue leggietc. Malgrado queste immunitàle quali con nome non affattoimproprio allora si chiamavano libertàil Clero si trovava adogni istante inceppato da altre forze organizzatenon èquindi da maravigliarsi se i meno ambiziosi le credessero non solonecessariema insufficentise cercassero di estenderlesevedessero nella diminuzione di quellela diminuzione della religionestessae se gridassero altamente che chi le intaccavavolevarendere impossibile l'esercizio della religione stessa. Tutto questonon è detto per provare che avessero ragione di pensare e dioperare a quel modoma per ridurre il torto alla sua giusta misurae per ricondurlo alle sue vere cagionie per riflettere che vi hannodegli inconvenienti che oltre il male diretto che fannone produconodei grandissimi forzando quasi gli uomini a cercare dei rimedi chenon sono né ragionevoliné perfettamente onestie cheoltre l'effetto per cui sono posti in opera ne producono molti altriimpreveduti e pessimi.

Abbondionon nobilenon ricconon animososi era presto avveduto di esserenella società come il vaso di terra cotta in compagnia dimolti vasi di bronzo sempre in movimento. Aveva quindi secondataassai lietamente la volontà dei suoi parenti che lo avevanoavviato allo stato ecclesiastico. A dir vero il suo fine principalenon era stato quello di servire agli altri col ministero. Egli avevapensato a trovare un modo di viveree a porsi in una classerispettata e fortenella quale il debole fosse difeso dalle forzeriunite degli altri. Ma non basta appartenere ad una classe pergoderne tutti i vantaggicome ognun sa: bisogna anche chel'individuo sappia dirizzare a suo uso il più che puòdelle forze che la sua società può mettere in operaenon v'è organizzazione comune che dispensi l'individuo dalfarsi un suo sistema particolare. Don Abbondio non poteva adottare unsistema nel quale fosse necessaria una qualunque parte dirisoluzionedi attivitàdi resistenzae altronde alla finfine il pover'uomo non domandava altro che quietevivere e lasciarviverecome si dice. Il suo sistema era dunque di evitare tutti icontrastie di cedere in quelli che non avesse potuto evitare. Seegli era assolutamente forzato a prender parte fra due contendentistava dalla parte più forteprocurando però di farvedere all'altro ch'egli non gli era volontariamente avversochepotendo fare a suo modo sarebbe stato neutrale: pareva che glidicesse: - Ma perché non avete saputo essere ilpiù forte? io sarei allora con voi. - Conqueste arti il pover'uomo era riuscito a poter giungere senza fortiburrasche fino all'età di cinquant'anni.

Mail povero Don Abbondio non avrebbe voluto esser conscio a se stessodi esser mosso da principj bassi e da non confessarsi; e si eraquindi fatto (come accade sempre) una dottrina sua propriasecondola quale la sua condotta era ragionevole anzi la sola ragionevole eonesta. Quando poi si vide in virtù di questa sua buonacondottabastantemente al coperto dalle offese altruipensòcome accadead attaccaree divenne un rigido censore delle azioni edegli uomini che non tenevano la sua condottaquando peròquesta sua censura potesse esercitarsi senza alcuno anche lontanopericolo.

Chiera stato percosso e non era in caso di far vendetta era almenoalmeno un imprudenteun ammazzato era certamente un torbidoe senon lasciava parenti irritati della sua morteera un birbante; machi aveva commesso un omicidio poteva esser certo che Don Abbondionon gli avrebbe mai trovato un difetto. Quello poi che più glidava collera era il vedere qualcuno dei suoi confratelli pigliare leparti di un deboledifenderlo contro una soperchieria. Questochiamava egli un comprarsi le brighe a contantiun volereaddirizzare le gambe ai cani. I potentii ricchii facinorosiiprotettorii protettiinsomma i vittoriosi d'ogni genere erano perlui uomini d'oroe ne parlava sempre col mele alla bocca. E sequalche seccatore trovava da apporre ad alcuno di questimettendo ildiscorso sopra qualche grossa bricconeria commessa da alcuno diquesti grandi galantuominiDon Abbondio si metteva a declamarecontro quel vizio di pretendere che gli uomini sieno perfetti. Equanto a quelli che avevano sofferto di quella bricconeriaeglisapeva trovar loro qualche tortoil che non è mai difficileperché tra lo scellerato e l'onestola ragione e il torto nonsi dividono mai con un taglio così netto che l'uno stia tuttoda una partee l'altro tutto dall'altra. E sigillava sempre ildiscorso col suo assioma favoritoproferendo il quale rifletteva concompiacenza sopra di sè: e l'assioma era: che ad un galantuomoche vuol viver quietoche sa stare nel fatto suonon accadono maibrutti incontri.

S'immaginiora il lettore che colpo doveva essere stato questo per Don Abbondio.L'impressione di spavento per quei visi e per quelle minaccel'idead'un pericolo associata a ogni momento dell'avvenireil frutto ditanti anni di studio e di politica perduto in un giornol'unicateoria sulla quale era fondata tutta la sua speranza di quietovivererovinatae un passo strettopericoloso da attraversareunpasso del quale non si vedeva una uscita. Poiché se si avessepotuto mandare in pace Fermo con un bel nol'affare sarebbe statofinitoessendo la coscienza di Don Abbondio bastantementesoddisfatta della idea che a lui era stata fatta violenza. Ma Fermovorrà delle ragionie non istarà quietoe la ragionebuona non si poteva dire a tutto il mondotroverà stranoquesto ritardoe molto più una ripulsamormoreràeche cosa rispondere? E se Fermo ricorre? Angustiato da questipensieri il nostro Curato per sollevarsi un poco si scatenava in suocuore contro chi era venuto a togliergli per sempre la sua pace. Eglinon conosceva Don Rodrigo che di nomee di vistae non aveva avutaaltra relazione con lui che di fargli una grande scappellata quandolo incontrava e di riceverne un mezzo saluto di protezione. Gli eraoccorso talvolta di difenderloquando si parlasse di qualchesoperchieria da lui fattae aveva detto forse cento volte che DonRodrigo era un degno cavaliere. Ma ora gli diede in suo cuore tutti ititoli contro i quali l'aveva difeso in altre occasioni. Ma l'ira suamaggiore era forse contro quei due sposi che in fondo erano la primacagione di una tanta sua angustia. Ragazzi- andavaripetendo - ragazzinon pensano che a maritarsi e nonsi fanno carico dei fastidj in cui pongono un galantuomo.

Collacompagnia di questi pensieri giunse a casachiuse diligentemente laporta e andò a gettarsi su un seggiolone nel suo salottodovela sua serva Vittoria stava parecchiando la tavola per la solitacena. Poche cose a questo mondo sono più difficili anascondersi di quello che sieno i pensieri sul volto d'un curato agliocchi della serva. Ma lo spavento e l'agitazione di Don Abbondioerano così vivamente dipinti negli occhinegli atti e intutta la persona che per distinguerli non vi sarebbero bisognati gliocchi della vecchia Vittoria.

"Mache cosa haSignor padrone?"

"Nienteniente".

Questarisposta di formalitàVittoria se la doveva aspettaree nonla contò per una rispostae proseguì.

"Comeniente? Signor padrone: ella ha avuto uno spavento: vuol darmi adintendere?..."

"Quandodico niente"ripigliò Don Abbondio con impazienza"oè nienteo è cosa che non posso dire". Vittoriavedendolo più presso alla confessione che non avrebbe speratoin due botte e risposteandò sempre più incalzando.

"Chenon può dire nemmeno a me? Oh bellachi si piglieràcura della sua salute? Chi rimedierà?..."

"Tacetetacetee non parecchiate altroche questa sera non cenerò".

QuandoVittoria intese questo fu certa che v'era una cosa da sapersi e chela cosa era gravee giurò a se stessa di non lasciare andarea dormire il Curato senza averla saputa. "Masignor padroneper l'amor di Dio mi dica che cosa ha: vuol ella ch'io sappia daaltra parte che cosa le è accaduto?" "Sì sìda bravaandate a fare schiamazzoa metter la gente in sospetto"."Ma io non dirò niente se ella mi toglie da questainquietudine". "Non direte niente come quando siete corsa aripetere alla serva del curato nostro vicino tutti i miei lamenticontro il suo padronee m'avete messo nel caso di domandargli scusacome quando..." Vittoria sarebbe qui montata sulle furie se nonavesse avuto un secreto da scavaree se non avesse pensato che nullaallontana da questo intento come il piatire sopra cose estranee.Interruppe dunque Don Abbondioma in aria sommessa: "Oh peramor del cieloche va ella mai rimescolando: sono stata bencastigatanon aveva creduto far malee dopo d'allora guarda che misia uscita una parola. Signor padronese io parlo..." "Viavianon giurate". "Ma vorrei poterla soccorrerechi sache io non abbia un povero parere da darle. Io l'ho sempre servita dicuore e con attenzionema ella sa"e qui fece voce dapiangere"ella sa che i misterj non li posso soffrire. Unaserva fedele ha da sapere..."

Infondo il curato aveva voglia di scaricare il peso del suo cuoreondefattigli ripetere seriamente i più grandi giuramenti le narròil miserabile casomentre la buona Vittoriatra la gioja deltrionfoe l'inquietudine del fatto che non poteva esser lietospalancò gli orecchi e ristette colla posata alzata nel pugnoche tenne puntato sulla tavola. "Misericordia!" sclamòVittoria: "oh gente senza timor di Diooh prepotentiohsuperbioh calpestatori dei poverellioh tizzoni d'inferno!""Zitto zittoa che serve tutto questo?" "Ma come faràSignor padrone?" "Oh! vedete"disse il curato incollera"i bei pareri che mi dà costei? Viene adomandarmi come faròcome faròcome se fosse ellanell'impiccio e che toccasse a me cavarnela". "Sa il cielose me ne spiaceSignor padronema bisogna pensarci". "Sicuroe nell'imbroglio son io".

"Purtroppo"disse Vittoria"ma non si lasci spaventare: eh!se costoro potessero aver fatti come paroleil mondo sarebbe loro:Dio lascia fare ma non strafare: e qualche volta cane che abbaja nonmorde". "Lo conoscete voi questo cane? e sapete quantevolte ha morso?..." "Lo conosco e so bene che...""Zittozittoquesto non serve". "Signor padroneella ci penserà questa nottema intanto non cominci arovinarsi la salute per questo: mangi un boccone".

"Mase non ho voglia". "Ma se le farà bene"edetto questosi avvicinò al seggiolone dov'era il curato e lomosse alquanto come per dargli la leva: il curato si alzòella spinse il seggiolone vicino alla tavola: il curato vi si riposee mangiato un boccone di mala vogliafacendo di tempo in tempoqualche esclamazionecome: - Una bagattella! ad ungalantuomo par mio: - ed altre similise ne andòa letto colla intenzione di consultare tranquillamenteeordinatamente sui casi suoi.



Cap.II

FERMO

Laconsulta fu tempestosa e durò tutta la notte. L'egoismoladebolezzae la paura vi si trovavano come in casa lorol'astuziadoveva quindi essere invitatae ricevere L'incarico di proporre ilpartitoe così fu. Senza annojare il lettore colla relazionedi tutte le fluttuazionidei ripieghi accettati e rigettatibasteràil dire che il partito di fare quello che si doveva senza darsi perinteso della minaccia non fu nemmeno discussoche si pensò aquello di assentarsitanto da aspettare qualche beneficio dal tempoma questo anche fu rigettato perché non v'era spazio pereseguirlo. La celebrazione del matrimonio era stabilita pel giornovegnentee una partenza di buon mattinosenza lasciare nessunadisposizione avrebbe avuto tutto il colore d'una fugaed esponeva amolti impiccie rendiconti. Fu però riservato questo ripiegoper l'ultimocercando intanto di guadagnar tempo e di agire sullaparte più debole. Don Abbondio si preparò a questoesperimento; passò in rassegna tutti i mezzi di superioritàe d'influenza che l'autoritàla scienza(in paragone diFermo)e la pratica gli davano sopra quel povero giovanee pensòal modo di farli giuocare. Questi bei trovati di Don Abbondioappariranno più chiaramente nel discorso ch'egli ebbe conFermo. Fermo non si fece aspettaree appena appena gli parve ora dapotersi presentare al Curato senza indiscrezionevi andòcolla lieta impazienza di un giovane che in quel giorno deve sposarequella ch'egli ama. Era Fermo un tessitore di setasorta d'industriache da una grande attività era allora in decadenzama nonperò al segno che l'operajo abile non potesse onestamentevivere del suo lavoro. L'emigrazione di molti lavoranti suppliva percosì dire alla diminuzione del lavoro lasciandone asufficienza a quelli che rimanevano. In progresso di tempo crescendoa dismisura le cause che avevano diminuita quella industriaessa furidotta quasi a niente. Oltre la sua professione aveva Fermo un pezzodi terra che faceva lavoraree che lavorava egli stesso nel tempo incui era disoccupato dal filatojodimodoché non aveva acontrastare col bisogno. Era in quel giorno vestito dalla festa conpiume di vario colore al cappellocol suo coltello dal bel manicoemostrando in tutto l'abito e nel portamento un'aria di festa e nellostesso tempo di braveriacomune a quei tempi anche agli uomini i piùquieticome infatti era Fermo. L'accoglimento seriofreddomisterioso di Don Abbondio fece un contrapposto singolare coi modigioviali e risoluti di Fermo. Ecco una parte del dialogo curioso cheebbe luogo fra quei due: "Son venutosignor Curato"disseil giovane"per sapere a che ora le convenga che noi veniamoalla Chiesa".

"Diche giorno intendete?"

"OggiSignor curato; non siamo intesi così?"

"Oggi?"replicò il curato come se ne sentisse parlare per la primavolta. "Ogginon posso".

"Comenon può? che cosa è accaduto?"

"Primadi tutto non mi sento benevedete".

"Magrazie al cielo il suo incomodo non è serioe quello ch'ellaha da fare è cosa di sì poco tempoe di sì pocafatica..."

"Epoie poie poi..."

"Epoi che cosaSignor curato?"

"Epoi ci sono degl'imbrogli".

"Degl'imbrogli?che imbrogli ci ponno essere?"

"Avetebuon tempo voi altriche non vi pigliate briga di nientee vi fateserviree non avete conti da rendere. Ma io sono troppo dolce dicuoreprocuro di togliere gli ostacolidi facilitare tuttodi farequello che gli altri voglionoe trascuro il mio doveree poi mitoccano dei rimproverie peggio".

"Maper caritànon mi tenga così sulla corda; mi dica checosa c'è".

"Sapetevoi quante e quante formalità sono necessarie per fare unmatrimonio che non levi il sonno a chi lo ha fatto?"

"Maqueste formalità non si sono già fatte?"

"Fattefattepare a voiperché la bestia son io che trascuro il miodovere per non far penare la gente. Ma oraso io quel che dicononposso più fare a questo modo".

"Maviaquale è la formalità com'ella diceche bisognifare? La si farà subito".

"Ecco:nessuno è contento a questo mondo: voi stavate bene collavostra professioneliberoindustriosocol tempo avreste potutocomperarvi un luoghetto vicino al vostro e poi un altroe a poco apoco vivere d'entrata: ecco che vi salta in capo di ammogliarvi".

"Maa che serve questo discorso? appunto perché Dio mi dàun poco di bene voglio maritarmi; io non son venuto adesso adomandarle un parerema a sapere quando mi vuol maritare".

"Sapetevoi quanti sono gl'impedimenti dirimenti?"

"Chevuole che sappia io d'impedimenti? Mi sbrighimi dica che cosamancaed io farò tutto".

"ErrorconditiovotumcognatiocrimenCultus disparitasvisordoligamenhonestasSi sis affinis..."

"Sipiglia ella giuoco di me? Ella sa che io non so il latino".

"Dunquese non sapete le coserimettetevene a chi le sa".

"Mirimetterò alla ragionequando ella me ne dia unae mi dicaquello che vuol da meperché io non capisco niente".

"Tuttiquesti che vi ho dettisono impedimentie non son tuttiehce n'èuna filza".

"Insommaal mio matrimonio c'è un impedimento?"

"Vene possono esser diecidodici".

"Vogliosapere quale è l'impedimento a fare il mio matrimonio".

Fermodisse queste parole con voce tranquilla ma con un rovello interno checercava di contenere.

DonAbbondio non si avvide dello sforzo di Fermoe tra perché loconosceva come giovane buono e l'aveva provato sempre rispettoso equietoe tra perché il dover sempre arzigogolare pretestimentre aveva una buona ragione che non poteva direlo aveva messo dimal umorevi si abbandonò e rispose con tuono di corruccio ed'impazienza. "Vogliovogliotocca a voi dir: voglio?"Queste parole sciolsero l'ultimo freno alla pazienza di Fermo che giàaveva voluto scappare più voltecome il lettore avràveduto nel caldo crescente delle sue risposte. "Lo voglioper..." gridò con una subita trasformazione"es'ella crede di farsi beffe di me perché son povero figliuolole farò vedere che quando mi si fa tortoso fare anch'io unosproposito come qualunque signore".

"Viavia"rispose Don Abbondio spaventato"non siete piùquel buon giovane ch'eravate?"

"Midia ragionese non vuol portarmi fuori di me".

"Sevolete ch'io possa parlare tranquillatevi".

"Sontranquilloe parli".

"Sappiateadunque che è nostro doveredovere preciso di fare ricerchericerche esatte per vedere se non ci sieno impedimenti".

"Mase ve ne fosseperché non me li sa indicare?"

"Manon basta il non sapernebisogna aver fatte quelle tali ricercheepoi bisogna informarsi di molte altre cosealtrimenti?... il testo èchiaro: Antea quam matrimonium denuncietcognoscet qualessint..."

"Nonvoglio latino. Ma perché non le ha fatte prima questericerche?"

"Eccomi rimproverate la mia troppa bontà. Ma adessomi sonvenute... bastaso io".

"Insommaquanto tempo ci vuole?"

"Moltomolto".

"Quanto?"

"Almenoun mese".

"Unmese?" sclamò Fermo con volto burbero e sorpreso.

"Viain quindici giorni si procurerà..."

"SignorCurato..."

"Ebbenevoi non volete intender ragionevedrò se in una settimana..."

"Orbeneaspetterò una settimanami esporrò alle ciarleed ai fastidj di questo ritardo. Ma la prevengo che questo ritardonon mi renderà di buon umorené disposto a contentarmidi ciance. S'ella vuol farmi una ingiustiziasi ricordi che tuttoquello che può accadere è sulla sua coscienza. Lariverisco". E così detto se ne andò facendo uninchino frettolosoe molto meno riverente del solitoe lasciòDon Abbondio più soprappensiero di prima.

Ilpovero sposo cheentrato nella casa del Curato per parlare di nozzee di festanon aveva sentito altro che impedimenti ed imbrogliinmezzo alla stizza che lo rodevaandava però riflettendo suidiscorsi e sul contegno del Curatoe trovava tutto pieno dimistero...

L'accoglimentofreddo e imbarazzatol'impazienza e quasi la collerail tuonocontinuo di rimbrotto senza un perchéquel farsi nuovo delmatrimonio che pure era concertato per quel giornoe non ricusandomai di farlo quando che siaparlare però come se fosse cosada più non pensarvile insinuazioni fatte a Fermo di metterneil pensiero da un canto: il complesso insomma delle parole di DonAbbondio presentava un senso così incoerentee pocoragionevoleche a Fermoripensandovi così nell'uscirenonrimase più dubbio che non vi fosse di piùanzitutt'altro di quello che Don Abbondio aveva detto. Stette Fermo inforse di ritornare al Curato per incalzarlo a parlarema sentendosicaldotemette di non passare i limiti del rispettopensòalla fin fine che una settimana non ha più di sette giorniesi avviò per portare alla sposa questa trista nuova.Sull'uscio del Curato si abbattè in Vittoria che andava peruna sua faccendae tosto pensò che forse da essa avrebbepotuto cavar qualche cosae salutatala entrò in discorso conlei:

"Speravache saremmo oggi stati allegri insiemeVittoria".

"Ma!quel che Dio vuolepovero Fermino".

"Ditemiun pocoquale è la vera ragione del Signor Curato per noncelebrare il matrimonio oggi come s'era convenuto".

"Oh!vi pare ch'io sappia i secreti del Signor Curato?" Èinutile avvertire che Vittoria pronunziò queste parole come siusa quando non si vuole esser creduto.

"Viaditemi quel che sapeteajutate un povero figliuolo".

"Malacosa nascer poveroil mio Fermino".

Pertimore di annojare il lettore non trascriverò tutto ildialogodirò soltanto che Vittoria fedele ai suoi giuramentinon disse nulla positivamentema trovò un modo per combinareil rigore dei suoi doveri colla voglia di parlare. Invece diraccontare a Fermo ciò ch'ella sapevagli fece tanteinterrogazionie che toccavano talmente il fatto noto a Vittoriache avrebbero messo sulla via anche un uomo meno svegliato di Fermoe meno interessato a scoprire la verità. Gli chiese se nons'era accortoche qualche signorequalche prepotenteavessegettati gli occhi sopra Luciaetc.parlò dei rischj che uncurato corre a fare il suo doveredel timore che uno scelleratoimpunito può incutere ad un galantuomofece insomma intendertanto che a Fermo non mancava più che di sapere un nome.Finalmente per timore come si dicedi cantaresi separò daFermo raccomandandogli caldamente di non ridir nulla di ciòche le aveva detto.

"Chevolete ch'io taccia"disse Fermo"se non mi avete volutodir nulla".

"Eh!non è vero che non vi ho detto nulla? Me ne potrete essertestimonioma vi raccomando il segreto". Così dicendo simise a correre per un viottolo che conduceva al luogo ov'ella eraavviata. Fermo che aveva acquistata tutta la certezza che una tramainiqua era ordita contro di luie che il Curato la sapevanon potèpiù tenersie tornò in fretta alla casa di quellorisoluto di non uscire prima di sapere i fatti suoi che gli altrisapevano così bene. Entrò dal curatolo sorprese nellostesso salottoe gli si avvicinò con aria risoluta: "Eh!eh! che novità è questa"disse Don Abbondio.

"Chiè quel birbante"disse Fermo colla voce d'un uomo chenon vuole esser più burlato"chi è quel birbanteche non vuole ch'io sposi Lucia?"

DonAbbondio diede un salto dal suo seggiolone per correre alla portaFermo vi balzò prima di luicome doveva accaderela chiuse esi pose la chiave in tasca.

"Ah!ah! Signor Curatoadessoparlerà ella?"

"FermoFerminoper amor di Dioapriteguardate quel che fatepensateall'anima vostra".

"Chepensare? Mi si è coperta la vista"rispose Fermo; unToscano avrebbe detto: non vedo più lume. E continuò:"lo voglio sapere subitosubito"e così dicendopose forse inavvertitamente la mano al coltello che però nonsi cavò di tasca. "Jesummaria!" sclamò DonAbbondio.

"Lovoglio sapere"gridò ancor più forte il giovane.

"Voletevoi la mia morte?"

"Vogliosapere ciò che ho ragione di sapere".

"Mase parloio son morto. Non m'ha da premere la mia vita?"

"Ah!le preme dunque la sua vita? Bene la sua vita è in mano mia inquesto momento. Parli".

"Ohpovero me! mi promettetemi giurate di non dir niente?"

"Leprometto di fare uno sproposito se non parla subito".

Dibotta in risposta il volto di Fermo diveniva più infocatoillabbro più tremantee l'occhio più stralunato. DonAbbondio vide che non poteva cavarsela che col proferire una parolae articolò: "Don..." "Don"replicòFermo come per ajutare Don Abbondio a pronunziare il resto: "DonRodrigo" disse finalmente il Curato. E non l'ebbe appenaproferitache sentendo cessato il pericolo imminentee vedendo cheFermo non aveva più pretesto da minacciarlola paura sicangiò in collera e cominciò a rimproverarlo. "Avetefatta una bella azione. Mi avete reso un bel servizio". "SignorCurato"interruppe Fermo che provava una gioja trista e ferocedi conoscere il suo nemico"Signor Curatoho fallatoledomando scusama si metta una mano al pettoe pensi se nel mio casoElla avrebbe avuto più pazienza".

"Sìsìvoi sarete cagione della morte del vostro Curato: apritealmenoaprite".

Fermosentiva un vero rimorso di aver minacciato e trattato a quel modo ilCuratoe gli domandò di nuovo perdono sommessamente. "Apriteaprite"replicò il Curato. Fermo si tolse la chiave ditascae la presentò al curato col volto confuso d'un uomo chesente d'aver commessa una violenza. Il Curato la preseaperseeandò verso l'uscio della viamentre Fermo lo seguiva collatesta bassae fremendo nello stesso tempo. Quando furono sullaporta: "Mi promettete ora"disse il curato"di nondir niente?" Fermosenza rispondere gli chiese di nuovo perdonoe

dalui che molto anco volea

chiederee udir qual lume al soffio sparve.

DonAbbondio dopo d'averlo invano richiamatotornò in casacercòVittoria; Vittoria non v'era; egli non sapeva più quello chesi facesse.

Spessevolte personaggi assai più importanti di Don Abbondiotrovandosi in situazioni imbrogliate a segno di non sapere qualedeterminazione prenderee non avendo nulla di opportuno da fareenon potendo stare senza far nulla senza una buona ragionetrovaronoche una febbre è una ragione ottimae si posero a letto collafebbre. Questo disimpegno Don Abbondio non ebbe bisogno d'andarlo acercare perché se lo trovò naturalmente. Lo spaventodel giorno passatol'agitazione della nottee lo spavento replicatodi quella mattina lo servirono a maraviglia. Si ripose sul seggiolonetremando del brivido e guardandosi le unghie e sospirando; giunsefinalmente Vittoria. Risparmio al lettore i rimproveri e le scuse.Basti dire che Don Abbondio ordinò a Vittoria di chiamare duecontadini suoi affidati e di tenerli come a guardia della casae difar sapere che il curato aveva la febbre. Dati questi ordini si posea lettodove noi lo lasceremo senza più occuparci di lui perun lungo tratto di temponel quale egli cessa d'avere un rapportodiretto colla nostra storia. Soltanto per prestarmi alla debolezza diquei lettori che non capiscono che l'uomo timido il quale lascia difare il suo dovere per ispavento merita meno pietà delloscellerato consumato il quale cercando il malee facendolospontaneamente mostra almeno di avere una gran forza d'animoe disentire le alte passionie che potrebbero essere solleciti per quelmeschinocredo di doverli informare che Don Abbondio non morìdi quella febbre.

Fermotoltosi in fretta dalla vista di Don Abbondiouscito del villaggiosi avviò a gran passi quasi senza avvedersene da quella parteche conduceva al palazzotto di Don Rodrigoch'egli desiderava inquel momento d'incontrare come un amico dopo una lunga assenza. Iprovocatorii soperchiantitutti quelli che in ogni modo invadono idiritti altruisono rei non solo del male che fannoma delpervertimento a cui portano gli animi di coloro che offendono. Fermoera come l'abbiam detto un giovane tranquilloed innocuoma in quelpunto il suo cuore non batteva che per l'omicidio. Andava dunque peraffrontare lo scellerato quando pensò che a quella casa benchédiscosta alquanto dall'abitatopure era cosa insensata e piena dipericolo l'avvicinarsi con mire ostili; giacch'ella era una specie dipicciol forte con una guarnigione di bravi. Egli sentì tostoche ad una sola parola irriverente che avesse detta sarebbe statoscacciatoche mostrandosianche senza parlareintorno a quellacasa sarebbe stato provocatoe uccisoe che i suoi uccisori loavrebbero dipinto come un assassino. Ma risoluto alla vendettapensòche l'unico modo di eseguirla era aspettare un momento in cui percaso Don Rodrigo uscisse scompagnato dai suoi bravidi aspettarlodietro una macchia o un muricciuolo. In questa risoluzione si rivolsequasi macchinalmente per tornare a casa a prendere il suo archibugio.Andandoegli s'immaginava di starsene appiattatogli pareva disentire una pedatadi alzare chetamente la testadi vedere DonRodrigoprendeva la mirasparavalo vedeva caderegli lanciavauna maledizionee correva verso il confine per mettersi in salvo. Ementre tripudiava in questa immaginazionegli si attraversòun pensiero: - E Lucia... che ne sarà? -Appena la catena delle idee feroci che lo dominava in quelpunto fu interrottale migliori idee a cui era avvezzo entrarono infolla. Si ricordò la consolazione che aveva tante volteprovata pensando di esser mondo di sanguegli avvisi di suo padrele preghiere ripetute e sollecite di sua madre moribondapensòall'infernoa Dioalla Beata Verginee si risvegliò da quelsogno di sangue con ispavento e con rimorsoe con una specie digioja di non aver fatto niente. - Dio mi ajuterà- dissee deposto ogni pensiero di pigliarl'archibugiocontinuò la sua strada per andare ad informareLucia e la madre del tristo stato delle cose. In mezzo allaripugnanza che sentiva a dovere dare una tal novella alla sua sposaegli ardeva di parlargliene per togliersi un fiero sospetto dalcuore. La prepotenza di don Rodrigo non poteva venire da altrocheda una sua brutale passione per Lucia. E Lucia ne era ella informata?Così arrovellato giunse nel cortiletto della casae sentìun gridio nella stanza superiore dov'era Lucia e s'immaginòche sarebbero amiche e comarie non si volle mostrare. Unafanciulletta che si trovava nel cortile gli corse incontro gridando:"lo sposolo sposo!" "Zittozitto"disseFermo"sali da Luciapigliala in disparte e dilleall'orecchioma all'orecchio ve'che ho da parlarlee chel'aspetto nella stanza terrenae non lo dire a nessun altro".

Lafanciulletta salì subito le scalelieta di avere unaincombenza segreta da eseguire.

Luciausciva in quel momento tutta attillata dalle mani della madre. Leamiche se la rubavanoe le facevano forza perché si lasciassevederema ella si schermiva con quella modestia un po' guerrieradelle foresichinando la faccia sul busto e facendole scudo colgomito. Aveva i neri capegli spartiti sulla fronte con unadirizzatura ben distintae ravvolti col resto delle chiome dietro ilcapo in una treccia tonda e raggomitolata a foggia di tanti cerchietrapunta da grossi spilli d'argento che s'aggiravano intorno allatesta in guisa d'una diademacome ancora usano le donne del contadomilanese. Al collo una collana di molte filadi granate alternatecon bottoni d'oro a filigrana. Un bel busto di broccato a fiorilemaniche corte fino al gomito dello stesso coloreallacciate sopra lespalle con nastri di setae terminate da due gran manichettiunagonnella corta di filaticcio di seta terminata all'allacciatura confitte e spesse pieghedue calze vermigliee due pianelle coperte diseta e ricamate sul piede. Oltre questo che era l'ornamentoparticolare di quel giornoLucia aveva quello quotidiano di unamodesta bellezzala quale era allora accresciuta e per dir cosìabbellita dalle varie affezioni dell'animo suo in quel giorno. Poichéappariva nei suoi tratti una gioja non senza un leggier turbamentoun misto d'impazienzae di timore e quella specie di accoramentotranquillo che ad ora ad ora si mostra sul volto delle sposee chetemperato dalle emozioni gioconde e liete non turba la bellezzamal'accrescee le dà un carattere particolare. La picciolaSantina entrò nella stanzanon fece vista di nullaaspettòun momento in cui Lucia si era staccata dalle donnele disse la suaparolina all'orecchioe se ne andòper timore di nonlasciarsi scorgere di quello che aveva fatto. Lucia disse"torno"e scese in fretta in fretta. La faccia stravolta e il portamentoagitato di Fermo la spaventò. "Che c'è di nuovo?"gli chiese ansiosamente. "Lucia"disse Fermocon una vocenella quale più non si distingueva che la tristezza"Luciaper oggi è finitae Dio sa quando saremo marito e moglie"."Perché perché?" chiese ancor piùspaventata Lucia. Fermo le narrò brevemente tutta la storia diquella mattinatacendo però il nome di Don Rodrigo.

"Ah!non può essere che quel demonio in carne"sclamòLucia pallidae sconfortata. "Chi?" domandò Fermo."Don Rodrigo". "Dunque voi sapevate?..."

"Purtroppo" interruppe Lucia"e non ve ne ho parlato per buoneragioni; ora vi dirò il tutto: lasciate che possiamo essersole con voi". Così detto salì in fretta le scaleritornò nella stanza dove le donne erano radunateecomponendo il volto come potè meglio: "Il signor Curato"disse"è ammalatoe per oggi non si fa nulla".Detto questo salutò le donne e ripartì.

Quandonon ci fosse stata altra cagione di ritardola situazione eraabbastanza imbarazzante in una sposa per motivare la sua subitascomparsa. La società si disciolse: la madre seguì lafiglia per ansietà e per curiosità di saper tuttoe ledonne uscirono per potere verificare il fattoe far congetture.

Mala verità del fatto le troncò tutte. Fermo seppe alloradalle donne gli antecedenti che noi racconteremo nel seguentecapitolo.



Cap.III

ILCAUSIDICO

Itre rimasti a consiglio erano agitatiturbati per la stessa causa main diverso modo. Fermo si trovava nello stato di un uomo il quale adun tratto dalla prosperità e dalla gioja è balzato inuna sventura della quale non conosce che una parte; è ansiosodi sapere il di piùvuole essere informato di tuttoaspettasospira nuove rivelazionie non ne può aspettare che nonaccrescano il suo rammaricoche non peggiorino la sua condizione. Aldoloreal rancorealla rabbiasi aggiungeva ora il martello dellagelosia. Egli aveva sempre avuta piena fede in Luciama un misterodi questo genereun silenzio in questa materia lo tormentavaegliera come spaventato di conoscere che Lucia aveva una cosa sul cuoree ch'egli non ne aveva saputo nulla. Agnesela madre di Lucia erapure stupitascandalizzata di essere all'oscuro d'una cosa simile:ella che sapeva tante cose che non la toccavano per nullaignorareuna cosa tanto importante della sua Lucia! Agnese le avrebbe fatto unrabbuffo terribilese in questo caso il bisogno d'ascoltare nonavesse vinto d'assai quello di parlare. Lucia... ma dalle sue paroleil lettore intenderà lo stato del suo animo. "Parla!parla! Parlateparlate!" gridavano in una volta la madre eFermo. Lucia atterritacosternatavergognosasinghiozzandoarrossandosclamò: "Santissima Vergine! Chi avrebbecreduto che le cose sarebbero giunte a questo segno! Quel senzatimore di Dio di Don Rodrigo veniva spesso alla filanda a vedercitrarre la seta. Andava da un fornello all'altro facendo a questa e aquella mille vezzi l'uno peggio dell'altro: a chi ne diceva unatrista a chi una peggio: e si pigliava tante libertà: chifuggivachi gridava; e purtroppo v'era chi lasciava fare! Se cilamentavamo al padroneegli diceva: "badate a fare il fattovostronon gli date ansasono scherzi"e borbottava poi: "gliè un cavaliere; gli è un uomo che può fare delmale; è un uomo che sa mostrare il viso". Quel tristoveniva talvolta con alcuni suoi amicigente come lui. Un giorno mitrovò mentre io usciva e mi volle tirar in dispartee siprese con me più libertà: io gli sfuggiied egli midisse in collera: "ci vedremo": i suoi amici ridevano diluied egli era ancor più arrabbiato. Allora io pensai di nonandar più alla filandafeci un po' di baruffa collaMarcellinaper avere un pretestoe vi ricorderete mamma ch'io vidissi che non ci andrei. Ma la filanda era sul finire per grazia diDioe per quei pochi giorni io stetti sempre in mezzo alle altre dimodo ch'egli non mi potè cogliere. Ma la persecuzione nonfinì: coluimi aspettava quando io andava al mercatoe viricorderete mamma ch'io vi dissi che aveva paura d'andar sola e nonci andai più: mi aspettava quand'io andava a lavaread ognipasso: io non dissi nullaforse ho fatto male. Ma pregai tanto Fermoche affrettasse le nozze: pensava che quando sarei sua moglie coluinon ardirebbe più tormentarmi; ed ora..." Qui le paroledella povera Lucia furono tronche da un violento scoppio di pianto."Birbone! assassino! dannato!" sclamava Fermocorrendo sue giù per la stanzae mettendo di tratto in tratto la manosul manico del suo coltello. "Ma perché non parlarne atua madre?" disse Agnese: "se io l'avessi saputo prima..."Lucia non rispose perché la risposta che si sentiva in mentenon era da dirsi a sua madre: tutto il vicinato ne sarebbe statoinformato. I singulti di Lucia la dispensavano dall'obbligo diparlare. "Non ne hai tu fatto parola con nessuno?"ridimandò Agnese. "Sì mammal'ho detto al PadreGaldinoin confessione". "Hai fatto bene; ma dovevi dirloanche a tua madre. E che ti ha detto il Padre Galdino?" "Miha detto che cercassi di evitare colui; che non vedendomi non sicurerebbe più di me; che affrettassi le nozze; e che se duravala persecuzione egli ci penserebbe". "Oh che imbroglio! cheimbroglio!" riprese la madre. Fermo si arrestò tutt'ad untratto; guardò Lucia con un atto di tenerezza accorata erabbiosae disse: "Questa è l'ultima che fa quelbirbante". "Ah no Fermo per amor del cielo!"gridòLuciagettandogli quasi le braccia al collo: "No no per amordel cieloDio c'è anche pei poveri! Come volete ch'egli ciajuti se facciamo del male?" "Nono per amor del cielo"ripeteva Agnese. "Fermo!" disse Lucia"voi avete unmestiereed io so lavorareandiamo lontano tanto che costui nonsenta più parlare di noi". "Ah! Lucia! e poi? nonsiamo ancora marito e moglie: il curato vorrà farci la fede distato libero? Non saremo pigliati come vagabondi? dove andarci aporre?" Lucia ricadde nel pianto. "Sentite!" disseAgnese: "sentitemi che son vecchia". Era questa unaconfessione che la buona Agnese faceva di radoin caso di sommanecessitàe quando si trattava di dar fede alle sue parole."Io ho veduto un poco il mondo: non bisogna spaventarsi troppo:il diavolo non è mai brutto come si dipinge; e a noi poveragente le cose pajono talvolta imbrogliate imbrogliate perchénon abbiamo la pratica per uscirne. Masapetec'è dellagente che si ride degli imbrogli. Fate a modo mio Fermo. Pigliatequei quattro capponipoveretti! che doveva sgozzare io questamattina pel banchetto: teneteli bene strettiper le gambeandate aLecco: sapete dove abita il dottor Pettola?" "Lo sobenissimo". "Bene andate da luipresentategli i capponi:perché vedete quando si vede che uno può regalare glisi dà retta. Contategli tutto il fattoe domandategli parere.Eh ne ho visto io della gente che non sapevano dove dar del capocheandando a consultarsi con lui non trovavano la stradae dopod'avergli parlato tornavano a casa vispi come un timollo chesaltellando nella barca per disperazione cade nell'acquae si trovain casa sua. Fate così Fermo". Nelle situazioni moltoimbrogliate il parere che piace più è quello di pigliartempo per avere un altro parere definitivo: ogni consiglio definitivoe determinato presenta ostacolidifficoltànuovi imbrogli:ma questo di consigliarsi di nuovo e meglio è semplicenonnuocee nello stesso tempo dà una lusinga indeterminata cheper questo mezzo si troverà una uscita.

Fermoadunque abbracciò molto volentieri il parere. Lucia viaggiunse la sua approvazione. Agnese superba di averlo dato pigliòi capponiriunì le loro otto gambe come se facesse un mazzodi fiorile avvolse e le strinse con uno spagoe consegnò lapreda in mano a Fermoche date e ricevute parole di speranza uscìper una porticella dell'ortoonde non esser veduto dai ragazzi chegli correrebbero dietro gridando: lo sposolo sposo. Cosìattraversando i campio come dicono colài luoghi andòa prendere il viottolo che guida a Leccofremendoripensando allasua disgraziae ruminando il discorso da fare al Dottor Pettola.Lascio poi pensare al lettore come dovessero stare in viaggio quellepovere bestie così legatee tenute per le zampe nella manod'un uomo agitato da tante passionie che di tempo in tempostendendo con forza il braccio in un momento d'ira o di risoluzioneo di disperazionedava scosse terribili a quei prigionieri e facevabalzare le loro quattro teste spenzolate le quali si andavanobeccando l'una l'altracome succede troppo sovente fra compagni disventura. In poco d'ora Fermo giunse a Leccoe s'avviò allacasa del dottore. All'entrare si sentì sorpreso da quellatimidità che i poverelli illetterati provano in vicinanza d'unsignore e d'un dottoredimenticò tutti i discorsi che avevapreparatima diede un'occhiata ai capponie si rincoròpensando che non veniva colle mani vuote. Entrato in cucina chiesealla fantesca del signor dottore: la fantesca vide le bestiee comeavvezza a simili doni vi pose le mani sopramentre Fermo le andavaritirandoperché voleva che il dottore vedesse e sapessech'egli portava qualche cosa. Il dottore giunse in fatti mentre lafantesca diceva: "date quie passate nello studio". Fermofece un grande inchino al dottoreche lo accolse umanamente con un:"venite figliuolo"e lo fece entrare con sè nellostudio. Era questo una stanza con un grande scaffale di libri vecchie polverosiun tavolo gremito di allegazionidi supplichedipapirie intorno tre o quattro seggiolee da un lato un seggiolonea bracciuoli con un appoggio quadrato coperto di vacchettainchiodatavi con grosse borchiealcune delle quali cadute da grantempo lasciavano in libertà gli angoli della coperturaches'incartocciava qua e là. Il dottore era in veste da cameracioè coperto d'una lurida toga che gli aveva servito moltianni addietro per perorare nei giorni di apparatoquando andava aMilano per qualche gran causa. Chiuse la porta e rincorò Fermocon queste parole: "Figliuoloditemi il vostro caso".

"Vorreidirle una parola in confidenza"rispose Fermo. "Son quiper questo"rispose il dottore: "parlate"; e si posea sedere sul seggiolone. Fermo stette ritto dinnanzi al tavolo con lemani nel suo cappello.

"Vorreisapere da lei che ha studiato..." "Già"interruppe il dottore"già voi altri siete tutti così;invece di contare il fatto spiccio a chi può ajutarvicominciate a fare interrogazioni come se doveste esaminare ilcausidico. Ma viaqualche minuto di più non fa niente:parlate a modo vostro".

"Ellaha da scusarmi signor dottore: noi altri poveri non abbiamo studio.Vorrei dunque sapere se a minacciare un curatoperché nonfaccia un matrimonioc'è penale".

-Ho capito (disse fra sè il dottoreche in veritànon aveva capito) ho capito- e pensò subitoal modo di cavare partito da quello ch'egli aveva immaginato. Si fecedunque serioma in guisa di chi teme per uno che vuol soccorrere:strinse fortemente le labbra facendone uscire un suono inarticolatoche accennava il sentimento che espressero più chiaramente lesue prime parole: "Caso seriofigliuolocaso contemplato.Avete fatto bene a venire da me. Non è mica vedete una diquelle cose che si decidono con leggi vecchiescritte in latinonelle quali ci è sempre una decisione per una parte e perl'altra. È un caso chiarodeciso in una gridaconfermata dauna gridatenetedell'anno scorsodell'attuale signor governatoredel ducato di Milano. Vedetefigliuolo"e qui si alzòpose le mani su un fascio di gridescartabellò un momentoesubito ne prese unae segnando col dito"sapete leggere?"dimandò. "Qualche cosasignor dottore". "Orbeneecco il vostro caso".

"...quelprete non faccia quel che è obbligato per l'officio suo: eccoci siamo: non è questo il caso vostro". "Pare cheabbiano fatta la grida per me". "Vedete figliuolo? ora mòsentite la penale...

Mentreil dottore leggeva ad alta vocepronunziando distintamente le paroleche risguardavano il casoper incutere a Fermo quello spaventosalutare di cui il dottore aveva bisognoFermo compitandolentamenteseguiva coll'occhio la lettura cercando di cavare ilcostrutto chiaroe di vedere proprio quelle benedette parole che gliparevano dover essere il suo ajuto. Il dottore alzò gli occhiintantosquadrò Fermoe gli disse: "Ah! ah! figliuolovi siete fatto radere il ciuffo: avete avuto prudenza: ma volendovenire da me non faceva bisogno: si vede che non mi conoscete: nonsapete quello ch'io sia in caso di fare: vi avrei cavato anche diquesto". Per aver la ragione di questa uscita del dottorebisogna che l'ignaro apprenda e il dotto si ricordi che a quei tempicoloro che facevano il mestiere di bravie che vivevano di soprusifatti spontaneamente o per mandatousavano molti ingegni pertravisarsie non esser riconosciutie togliere così unaprova materiale del delitto. L'uso più comune era quello diportare un lungo ciuffo che ordinariamente lasciavano cadere dietrola testae si gettavano poi sul volto come una visiera al momento diaffrontare qualchedunodi far qualche impresa che era meglio dipoter poi negare. Per togliere questo abuso si erano fatte gridesopra gridele quali proibivano che si portassero capelli lunghisotto pena... e discendendo al particolare ordinavano al barbierecome dovesse tosare unointimando a chi lasciasse capelli piùlunghi dell'ordinario la pena di 100 scudio tre tratti di cordacolla solita estensione di pena maggiore all'arbitrio di S.E. Qualeeffetto producessero queste gride è manifesto dalle diversedate di quelle.

Lagrida si ristampava di tempo in tempo coll'avvertenza che ciòera necessario perché fino allora non aveva giovato a nulla: ecome nella medicinasi cresceva la dose. Il ciuffo era dunque comeun'insegna di bravoe di scapestrato. Da questa foggia è natoun termine metaforico tuttavia in uso nel dialetto milanese: e non visarà forse alcunodei miei lettori milanesi che non siricordi di aver sentitonella sua adolescenzaalcuno de' suoiparentio il maestro del collegioo il servo che lo conduceva ascuolao la fante dare di lui questo giudizio: gli è unciuffo: gli è un ciuffetto. Prego il lettore di perdonarmiquesta digressione e come necessariae in grazia della condizioneche gli ho datae ripiglio il dialogo.

"Inveritàda povero figliuolo"rispose Fermo"ch'ionon ho mai portato ciuffo in vita mia".

"Nonfacciamo niente" riprese il dottorescotendo il capocon unsorriso tra maligno e impaziente: "se non avete fede in menonfacciamo niente. Chi dice bugia al dottorevedete figliuoloèuno sciocco che dirà la verità al giudice. Io non hotempo da perdere. Se volete ch'io v'ajutivoi dovete contarmi tuttodall'a alla zetasinceramentecome al confessore. Dovete dirmi chivi ha dato il mandato: sarà naturalmente persona di riguardo;ed allora io andrò da lui a fare un atto di dovere: non glidirò micavedetech'io sappia da voi che vi ha mandato egli:fidatevi: gli dirò che vengo ad implorare la sua protezioneper un povero giovane calunniato. E tutto si aggiusterà avostra soddisfazione: capite bene che salvando sèsalveràanche voi. Se poi la scappata fosse tutta vostravianon mi ritiroho cavato altri da peggio imbroglie pur ché non abbiateoffesa persona di riguardointendiamocim'impegno a togliervid'impicciocon un po' di spesa. Basta che mi sappiate dire chi èl'avversarioche forse forse troveremo modo di appiccicargli qualchecriminalee forse forse lo metteremo in panni più stretti deivostrie lo faremo venire a domandar grazia. Ma come vi ho dettosenon avete un uomoun uomoil caso è seriola grida cantachiaroe se la cosa si deve decidere fra la giustizia e voi cosìa quattr'occhistate fresco. Io vi parlo chiaro: le scappate bisognapagarle: se volete dormir quietamente sopra questa faccenda; denarie sinceritàparlare col cuore in manoe poi obbedirefarequello che vi sarà suggerito".

Mentreil dottore faceva questa cicalataFermo lo stava ascoltandocoll'attenzione d'un uomo che sognandos'immagina di cercar qualchecosaed ora gli pare d'averla trovatadi mettergli le mani sopraepoi la vede scompariree ne va di nuovo in cerca: tanto era lontanodal sospettare l'equivoco preso dal dottore. Quando questi ebbeterminatoFermo ebbe inteso: e tra un poco di colleraperòquella collera che un buon uomo di contado può avere contra unsignore che sae tra un certo orgoglio di farsi vedere libero daquei timori che il dottore supponevarispose: "Oh signordottore: la cosa non è così: io non ho minacciatonessuno: io non faccio di queste azionie domandi pure a tutto ilmio comuneche sentirà che io non ho mai avuto che fare conla giustizia.La bricconeria l'hanno fatta a me; e vengo da lei perinformarmi come io possa farmi dar ragione; e son ben contento d'averveduta quella grida". "Diavolo!" disse il dottore"che confusione mi avete fatta? tant'è siete tutti cosìpossibile che non sappiate farvi intendere?" "Ma signordottoremi scusi io non le ho contata la cosaora le conterò.Deve sapere ch'io doveva sposare oggi"e qui il povero Fermo sicommosse"doveva sposare oggi Lucia Zarellauna giovane chenon ha mai dato da dire a nessunoe avevamo fatto tutto dagalantuominie il curato che doveva sposarci oggi non volleperché... perché gli fu minacciata la vita. Quelprepotente di Don Rodrigo..."

Ildottore si fece serio davveroe dando sulla voce a Fermo: "Eh!"gridò"che mi venite a contare di queste fandonie? Fatedi questi discorsi tra voi altri che non sapete misurare le paroleenon venite a farli con un galantuomo che sa che cosa vuol direparlare. Andateandate; non sapete quel che vi diciate: io nonm'impaccio con ragazzinon voglio sentire discorsi in aria"."Lo giuro!" "Andate vi dicosiete un ragazzopareche parliate ad un uomo che non abbia mai sentito giurare. Andateionon c'entro: imparate a parlare: non si viene così asorprendere un galantuomo". Con queste frasi spezzateildottore spingeva verso la porta Fermoil quale andava ripetendo: "masentama senta". Il dottore aperta la porta chiamòFelicitae le disse: "restituite subito a quest'uomo quello cheha portato: io non voglio nientenon voglio niente". Felicitadacché era ai servigi del dottore non aveva mai eseguito unordine simile; ma era dato con una tale risoluzionech'ella nonesitò ad obbedire: prese le quattro povere bestiee le diedea Fermoguardandolo con un'aria di compassione spregiante che parevavolesse dire: costui deve stare in cattivi pannine ha fatta unagrossa. Fermo voleva far cerimoniema il dottore fu inespugnabile; eFermo attonitoe trasognatoe stizzito dovette ripigliarsi levittime rifiutatee partirsi di là senza poter riposare ilsuo pensiero in altra determinazioneche di tornarsene a casa suaariferire alle donne il tristo risultato della sua consulta.

Luciaal suo partire era rimasta nel pianto a cangiare la sua veste nuzialecoll'umile abito quotidianoa sentire le consolazioni e i pareridella madree a rispondere singhiozzando alle minute interrogazionich'ella le andava facendomischiandole di qualche rimprovero sul suoaver sempre taciuto. Fra questi tristi discorsi la madre e la figliasi erano sedute insieme presso il suo arcolajo a dipanar seta. Ma lapovera sposa andava pensando a quello che si potesse fare; il primoripiego che viene in mente ai poverelli è quello di averparere ed ajutoe Lucia si sovvenne del Padre Galdino. Andare alconventoch'era distante forse due miglia; ella non ardivainquesto frangentee aveva ragionepensava dunque di cercare qualchegarzoncello disinvolto e fidatoper cui potesse fare avvertire ilbuon Capuccino. Mentre ella stava per informare la madre del suodisegno s'ode picchiare all'uscioe nello stesso momento un sommessoma distinto "Deo gratias..." Luciaimmaginandosichi poteva esserecorse ad aprire; e allorafatto un inchinoentròinfatti un laico cercatore cappuccino colla sua bisaccia pendentealla spalla sinistrae l'imboccatura di essa attorcigliata e strettanelle due mani sul petto. "Frà Canziano" dissero ledue donne. "Il Signore sia con voi"disse il frate: "vengoper la cerca delle noci; e come il raccolto è stato buono voine darete a Dio la sua parteaffinché ve ne dia un altroeguale o migliore l'anno venturo; se però i nostri peccati nonattireranno qualche castigo". "Luciavanne a pigliare lenoci pei padri" disse Agnese. Lucia si alzòe si avviòall'altra stanzama prima di entrarvi ristette dietro le spalle difrà Canziano che rimaneva ritto nella medesima posituraeponendosi l'indice sulla bocca diede alla madre una occhiata chedomandava il segreto con tenerezzacon supplicazionecon fierezzae anche con una certa autorità. Partita LuciafràCanziano disse ad Agnese: "E questo matrimonio? si doveva purefare oggi: ho veduto nel paese come una confusionecome qualche cosache indichi una novità; che c'è?"

"IlSignor curato è ammalatoe bisogna differire"risposein fretta Agnesee per cangiare di discorso richiese come andasse lacerca.

"Pocobenebuona donnapoco bene. Vedete tutto quello che ho. Son tuttequi"e così dicendo si tolse la bisaccia dalle spalle ela fece saltare agli occhi di Agnese; "son tutte quie perraccogliere questo ho mendicato in dieci case". "Mah!l'anno è scarsofra Canzianoe i poverelli mancano di panequando il pane è caro tutto si misura più per sottile".

"Perchél'anno è scarsobuona donna? pei nostri peccati; e per fartornare l'abbondanza che rimedio c'è? l'elemosina. Eh! quandoio era cercatore in Romagnala limosina delle noci era tantoabbondanteche bisognò che un benefattore ci facesse lacarità d'un asinoperché il cercatore non potevadurare. E si faceva tant'olio al convento che i poveri venivano aprendere ogni volta che ne avevano bisogno. Ma in quel paese avevanopiù carità perché avevano avuta una grandescuola. Sapete di quel miracolo?" "No in verità:contate contate". "Oh! dovete dunque sapere che molti anniprima ch'io andassi in quel convento v'era stato un padre che era unsanto; il padre Agapito. Un giorno d'inverno ch'egli passava per unviottolo in un campo d'un nostro benefattoreuomo dabbene anch'eglidunque il padre Agapito vide il benefattore vicino ad un gran noceequattro contadini colle scuri al piede per gettarlo a terra; eavevano già fatta una fossa intorno per iscoprire le radici. -Che fate a quella povera pianta? disse il nostro religioso.- Eh padre sono anni che non fa più frutto edio penso di farne legna. - Non fate non fatedisse ilpadre; sappiate che quest'anno la porterà più noci chefoglie. - Il benefattore che sapeva con chi parlavaordinò subito ai lavoranti che gettassero di nuovo la terrasulle radicie chiamato di nuovo il padre che continuava la suastrada- Padre Agapitogli dissela metà delraccolto sarà pel convento. - Si sparse la vocedella profeziae tutti correvano a guardare il noce: infatti aprimaverafiori a furiae poi noci noci a furia.

MaDio non volle che il benefattore avesse la consolazione di abbachiarequelle nocie lo chiamò a sè prima del raccolto. Laconsolazione toccò al figliuoloma fu corta perché eraun poco di buonocome sentirete. Ora dunqueal raccolto ilcercatore andò per riscuotere la metà che era dovuta alconvento; e colui si fece nuovo affattoed ebbe la temeritàdi rispondere che non aveva mai inteso dire che i frati sapessero farnoci. Il cercatore fece la sua denunzia al convento. Sapete ora checosa avvenne? Un giorno dunque quello scapestrato aveva invitatoalcuni suoi amici dello stesso peloe così gozzovigliandoegli raccontava la storia del nocee rideva dei frati. Queigiovinastri ebbero voglia di andare a vedere quello sterminatomucchio di nocied egli li condusse al granajo. Masentite mòora; apre la portava verso il cantuccio dove era il gran mucchioementre dice: - guardate -guarda eglistesso e vedeche cosa? un bel mucchio di foglie secche di noce.Questo fu un castigoe benché il fatto sia di molti anniaddietroad ogni raccolto di noci se ne parla tuttavia in quelpaese".

Quiricomparve Lucia col grembiule tanto carico di noci che lo potevareggere a faticatenendo i due capi sospesi colle braccia tese eallungate. Mentre fra Canziano si tolse la bisaccia dalle spallelapose in terra e aprì la bocca di quella per introdurvil'abbondante elemosinala madre fece un volto attonito e severo aLuciaper la sua prodigalità; ma Lucia le diede un'occhiatache voleva dire: mi giustificherò. Fra Canziano proruppe inelogjin augurjin promessein ringraziamenti; e rimessa labisaccia si avviò; ma Luciafermatolo: "vorrei unservizio da voi"disse. "Vorrei che diceste al PadreGaldino che ho bisogno di parlargli di somma premurae che mi facciala carità di venire da noi poverettesubito subitoperchéio non posso venire alla Chiesa".

"Nonvolete altro? non passerà un'ora che lo dirò al PadreGaldino".

"Nonmi fallate".

"Statetranquilla"; e così detto partì un po' piùcurvo e più contento che non quando era arrivato.

IlPadre Galdino era uomo di molta autorità fra i suoie intutto il contorno; eppure fra Canziano non fece nessuna osservazionea questa specie di ordine che gli si mandava da una donnicciuola divenire da lei; la commissione non gli parve strana niente piùche se gli si fosse commesso di avvertire il Padre Galdino che ilVicario di provvisione e i sessanta del consiglio generale dellaCittà di Milano lo richiedevano per mandarlo ambasciatore aDon Filippo Quarto Re di Castigliadi Leone etc. Non vi era nulla ditroppo basso né di troppo elevato per un Cappuccino: serviregl'infimied esser servito dai potenti; entrare nei palazzi e neitugurii colla stessa aria mista di umiltàe di padronanza;essere nella stessa casa un soggetto di passatempoe un personaggiosenza il quale non si decideva nullacercare la limosina da pertuttoe farla a tutti quelli che la chiedevano al conventoa tuttoera avvezzo un Cappuccinofaceva tutto a un dipresso colla stessanaturalezzae non si stupiva di nulla. Uscendo dal suo convento perqualche affarenon era impossibile che prima di tornarsene siabbattesse o in un principe che gli baciasse umilmente la punta delcordoneo in una mano di ragazzacci che fingendo di essere alle manifra di loro gli bruttassero la barba di fango. La parola frate inquei tempi era proferita colla più gran venerazionee col piùprofondo disprezzo; era un elogio e un'ingiuria: i cappuccini forsepiù di tutti gli altri riunivano questi due estremi perchésenza ricchezzefacendo più aperta professione diumiliazionisi esponevano più facilmente al vilipendioealla venerazione che possono venire da questa condotta. Laconsiderazione poi data generalmente al loro ordine li poneva nelcaso sovente di giovare e di nuocere ai privatidi essere grandiajuti e grandi ostacolie quindi anche la varietà delsentimento che si aveva per essie delle opinioni sul conto loro.Varj pure e moltiformi erano e dovevano essere i motivi checonducevano gli uomini ad arruolarsi in un esercito cosìfatto. Uomini compresi della eccellenza di quello stato che alloraera esaltata universalmentealtri per acquistare una considerazionealla quale non sarebbero mai giunti vivendocome allora si dicevanel secoloaltri per fuggire una persecuzioneper cavarsi da unimpiccioaltri dopo una grande sventuradisgustati del mondotalvolta principi o fastiditio atterriti del loro potere; moltiperché di quelli che entrano in una carriera per la solaragione che la vedono aperta; molti per un sentimento vero di amor diDio e degli uominiper l'intenzione di essere virtuosi ed utili; equesta loro intenzione (perché quando si è persuasid'una verità bisogna dirla; l'adulazione ad una opinionepredominante ha tutti i caratteri indegni di quella che si usa versoi potenti) questa loro intenzione non era una pia illusionel'errored'un buon cuore e d'una mente leggieracome potrebbe pareree comepare talvolta a chi non sa o non considera le circostanze e le ideedi quei tempi: era una intenzione ragionataformata da unaosservazione delle cose reali; e in fatti con queste intenzioni moltiabbracciando quello stato facevano del bene tutta la loro vita; anzimolti che sarebbero stati uomini pericolosiche avrebberoaccresciuti i mali della societàdiventavano utili conquell'abito indosso. Ho fatta tutta questa tiritèra perchénessuno trovi inverisimile che fra Canzianosenza fare alcunaobbiezionesenza stupirsisi sia incaricato di direnullameno cheal Padre Guardianoche s'incomodasse a portarsi da una donnicciuolache aveva bisogno di parlargli.

PartitoFra' Canziano: "tutte quelle noci!" gridò Agnese;"in questi anni di miseria! e per noi che rimarrà? seifuor di te per la disgrazia". "Mamma"rispose Lucia"perdonatemi; ma voi vedete quanto importi di parlar subito alPadre Galdino che ci può dar parere e soccorso. Se io avessifatta una elemosina come gli altriFra Canziano avrebbe dovutogirare Dio sa quantoprima di aver la bisaccia pienae di tornareal convento; e colle ciarle che avrebbe fatte e sentiteforseavrebbe dimenticata la mia commissione..."

"Viahai pensato benee poi è tutta carità; purchéfaccia buon frutto".

Mentrele donne stavano in questi ragionamentiFermosi avviava verso ilvillaggio ripassando nella sua mente gli strani discorsi del dottorepassando d'una passione nell'altraproponendo ora un disegno orl'altroe non potendo riposarsi in alcuno. - Tutticosì: siete fatti tutti così: andava dicendo fra sè:oggi me lo sento dire per la seconda volta: siam fatti così:come siamo dunque fatti noi poverelli? che cosa pretendo io dacostoro? andava forse a domandare la carità? Pretendo lagiustiziaper bacco(ommettendo molte altre più cheesclamazioniperché Fermo non aveva mai tanto sagrato intutta la sua vitacome fece in quel giorno). Pretendo alla finedelle fini di sposare una donna secondo la legge di Dio. Birbi tutti!tutti ad un modo! tutti d'accordo per mandare gli stracci all'aria!Mase mi riducono alla disperazione... - Con questipensieri giunse alla casetta delle due donne ed entrando colla facciaadiratae vergognosa nello stesso tempo per la trista riuscitagittò i capponi sur un tavolo; e fu questa l'ultima tristavicenda delle povere bestie per quel giorno.

"Belparere che mi avete dato" diss'egli ad Agnese"mi avetemandato da un buon galantuomoda uno che ajuta veramente ipoverelli". E qui raccontò il suo abboccamento coldottore. Agnese voleva replicaree sostenere che il parere erabuonoe che se non aveva avuto buon effetto la colpa doveva esseredi Fermoma Luciainterruppenarrando a Fermo ch'ella sperava diaver trovato un miglior consigliero. Il nome del Padre Galdino diedequalche speranza a Fermo; ma Fermo accolse anche questa speranzacome accade a quelli che sono nella sventura e nell'impaccio. "Mase il Padre"diceva"non vi trova un ripiegolo troveròio in un modo o nell'altro". Le donne consigliarono la pace e lapazienzae la prudenza. "Domani"disse Lucia"ilPadre Galdino verrà sicuramentee vedrete che troveràqualche rimedio che noi poveretti non sappiamo nemmeno immaginare".

"Lospero"disse Fermo; "ma in ogni caso saprò farmiragioneo farmela fare. A questo mondo c'è giustiziafinalmente".

"AddioFermo"disse Lucia; "andate a casaDio ci ajuteràe non è lontano il tempo che potremo star sempre insieme.Usate prudenzanon fatevi vederenon parlate". Agnese aggiunsealtri consiglie Fermo partì colle lagrime agli occhie colcuore in tempestaripetendo di tempo in tempo queste portentoseparole: "A questo mondo v'è giustizia finalmente".Tanto è vero che un uomo sopraffatto da grandi dolori non sapiù quello che si dica.



Cap.IV

ILPADRE GALDINO

Eraun bel mattino di novembre; la luce era diffusa sui monti e sul lago:le più alte cime erano dorate dal sole non ancora comparsosull'orizzontema che stava per ispuntare dietro a quella montagnache dalla sua forma è chiamata il Resegone (segone)quando ilPadre Galdino a cui Fra Canziano aveva esposta fedelmentel'ambasciata si avviò dal suo Convento per salire alla casettadi Lucia. Il cielo era serenoe un venticello d'autunno staccando lefoglie inaridite del gelso le portava qua e là. Dal viottologuardando sopra le picciole siepi e sui muricciuoli si vedevanosplendere le viti per le foglie colorate di diversi rossi; e i campigià seminatie lavorati di fresco spiccavano dall'altroterreno come lunghi strati di drappi oscuri stesi sul suolo.L'aspetto della terra era lieto; ma gli uomini che si vedevano peicampi o sulla via mostravano nel volto l'abbattimento e la cura. Adogni tratto s'incontravano sulla via mendichi laceri e macilentiinvecchiati nel mestierefra i quali molti si conoscevano perforestieri che la fame aveva cacciati da luoghi piùmiserabilidove la carità consueta non aveva mezzi pernutrirli; e che passando a canto ai pitocchi indigeni del cantone gliguardavano con diffidenza e ne erano guardati in cagnesco comeusurpatori. Di tempo in tempo si vedevano alcuni i quali dal voltodal modo e dall'abito mostravano di non aver mai tesa la mano e diessere ora indotti a farlo dalla necessità. Passavano cheti acanto al Padre Galdinofacendogli umilmente di cappellosenzadirgli nullaperché la sola parola che indirizzavano aipassaggeri era per chiedere l'elemosinae un capuccinocome ognunsa non aveva niente. Ma il buon Padre Galdino si volgeva a quelli cheapparivano più estenuatipiù avvilitie diceva loroin aria di compassione: "andate al conventofratello; finchéci sarà un tozzo per noilo divideremo". I contadinisparsi pei campi non rallegravano più la scena di quello chefacessero i poverelli. Salutavano essi umilmente il Padre Galdinoequelli a cui egli domandava come l'andasse: "Come vuole padre?"rispondevano: "la va malissimo". Alcuniche in tempiordinarj non avrebbero osato fermare e interrogare il PadreGuardianofatti più animosi per la miseria dei tempi glidicevano: "Come anderà questa faccendaPadre Galdino?"

"Speratein Dio che non vi abbandonerà. Povera gente! il raccolto èproprio andato male?"

"Granonon ne abbiamo per due mesile castagne sono fallate e il lavorocessa da tutte le bande".

Questavista e questi discorsi crescevano vie più la mestizia delbuon Capuccinoil quale camminava col tristo presentimento in cuoredi andare ad udire una qualche sventura.

Maperché aveva egli in cuore questo presentimento? E perchési pigliava tanto a cuore gli affari di Lucia? E perché alprimo avviso si era egli mosso come ad una chiamata del PadreProvinciale? E chi era questo Padre Cristoforo?

Seil lettore non fa tutte queste interrogazioni per malevola impazienzané per cavillare il povero narratorema per una sinceravolontà d'imparare e di essere informato della storialeggaquello che siamo per dirgli intorno al nostro buon fratee saràsoddisfatto.

IlPadre Cristoforo da Cremona era un uomo di circa sessant'anni; e ilsuo aspetto come i suoi modi annunziavano un antico e continuocombattimento tra una natura prosperosarubestaun'indole prontaardenteavventataimpetuosae una legge imposta alla natura eall'indole da una volontà efficace e costante. Il suo capocalvo e coperto all'intorno secondo il rito capuccinesco di unacorona di capelli che l'età aveva renduti bianchisi alzavadi tempo in tempo per un movimento di spiriti inquietie tosto siabbassava per riflessione di umiltà. La barba lunga e canutache gli copriva il mento e parte delle guance faceva ancor piùrisaltare le forme rilevate della parte superiore del voltoallequali una antica abitudine di astinenza aveva dato più digravità che tolto di espressionee due occhj viviprontiche talvolta sfolgoravano con vivacità repentina: come duecavalli bizzarri condotti a mano da un cocchiere col quale sanno percostume che non si può vincerlapure fanno di tratto intratto qualche saltoche termina subito con una buona stirata dibriglie.

Ilsignor Ludovico (così fu nominato dal suo padrino quegli chefacendosi poi frate prese il nome di Cristoforo) il Signor Ludovicoera figlio d'un ricco mercante cremoneseil quale negli ultimi annisuoivedovoe con questo unico figlio rinunziò al commerciocomperò beni stabili si pose a vivere da signorecercòdi far dimenticare che era stato mercantee avrebbe volutodimenticarlo egli stesso. Ma il fondacole balleil braccio glitornavano sempre alla fantasia come l'ombra di Banco a Macbeth: inmezzo ai convitie alle riverenze dei parassiti; e il pover'uomopassò gli ultimi suoi anni nella angustiaparendogli ad ognitratto di essere schernitoe non riflettendo mai che in veritàvendere e comprare non è cosa turpee che egli aveva fattaquesta professione in presenza di tutto il pubblico senza rimorso.Fece educare signorilmente il figlio come s'usava in alloracercandod'imitarein quanto gli era permesso dalle leggidalleconsuetudinie dal timore del ridicolo. Gli diede maestri diletteree di esercizi cavallereschi; e morì lasciandolo riccoe giovanetto. Ludovico aveva contratte nella sua educazione abitudinisignorilie le ricchezze avevano attirati adulatori che lo avevanoavvezzo ad esigere molti riguardi; quando volle mischiarsi coiprincipali del paesel'accoglimento o piuttosto le ripulse chen'ebbe fecero un contrasto molto spiacevole colle sue abitudini. Arendere la sua situazione più angustiosae ad accrescere ilsuo mal umore inquieto contribuiva anche non poco l'indole sua onestaed iraconda ad un tempoche gli rendeva insopportabile lo spettacolodelle angherie e dei soprusi che commettevano alla giornata quellich'egli non era portato ad amare. Viveva egli lontano da essimacome non poteva non vederlie non sentirne parlaread ognioccasione mostrava apertamente il disprezzo e il rancore che sentivaper essi. Questo sentimento unito alla bontà e all'amore dellagiustizia ch'era grande in luilo portava ad assumere volentieri ledifese degli oppressi; e con molte sconfitte e con qualche riuscitacon molte spesecon molti raggiricon molta audaciae con qualcheguajo che aveva corso si era fatta una riputazione di protettorech'egli era sempre più impegnato a sosteneree che gli avevaprocurato il favore di moltie l'odio caldo e risoluto di alcunipotenti.

Quandoun povero andava a raccontargli un sopruso che gli era stato fattoed a raccomandarsi alla sua protezione parlando come se la tenesseper sicuracome se gli fosse dovutail signor Ludovico si trovavaquasi forzato a pigliare l'impegnodal timore di perdere ad untratto tutta la sua riputazione. Ma non è da domandare se inquesta sua carriera aveva avuto impiccidisgustie pentimenti.Oltre i contrasti fortissimii pericolile inimicizie crescentilespese per le quali aveva molto diffalcato del suo patrimonio; egli sitrovava poi spesso anche in lite colla sua coscienzala quale comeabbiam detto era sincera e bene intenzionata. Talvolta colui cheveniva a richiamarsie che bisognava torre da un impegnonon valevaniente meglio del suo persecutoreed esaminando ben bene i fattidell'una e dell'altra parte si sarebbe trovato che se uno meritava lagalea l'altro avrebbe dovuto andare a fargli compagnia: talvolta ilcaso era chiaroil ricorrente era onestoe meritava soccorsodavvero; ma che? pigliata in mano la sua causaper opporsi ad unabatteria di raggiridi soprusidi violenzedi busseLudovicoaveva dovuto mettere in opera tanti raggiritanti soprusitanteviolenzemenar tanto le mani egli stesso che terminato l'affareripensando ai casi suoiegli si rimaneva con un nemico potente dipiùcon molti quattrini di menoe con dei rimorsi allacoscienza. Questo dopo una vittorianon dico niente poi dellesconfitte: e furono molte. Era poi tormentato dall'idea del biasimoche gli era dato da molti d'imprudente e di accattabrigheinvecedella lode ch'egli si sarebbe aspettata.

Cosìcombattuto sempre tra la sua inclinazionee gli ostacolirispintosoventeurtato ad ogni passostanco ad ogni momento su questastrada ch'egli aveva sceltapiù volte gli era passato per lamente il pensiero che nasce dagli imbrogli e dai contrastiilpensiero di uscirne e di attendere all'anima sua col darsi allasolitudinecioè col farsi fratecosa che in quei tempi sichiamava uscire dal secolo. Ma questo che non sarebbe stato forse cheun disegno per tutta la sua vitadivenne una risoluzione per uno diquegli accidenti che nelle sue circostanze non gli potevano mancare.Andava egli un giorno per una via di Cremonaaccompagnato da unantico fattore di bottega che suo padre aveva trasmutato inmaggiordomoe che gli era stato fidato fino dall'infanzia. Avevacostui nome Cristoforo: era un uomo di circa cinquant'anniavevamoglie ed otto figli; e tutta la famiglia sussisteva colle paghe delpadree col di più che vi aggiungeva la liberalità diLudovicoil quale e per buon cuore e per un po' di boria non avrebbemai lasciato mancar nulla ad un uomo che gli apparteneva. VideLudovico venir da lontano un signor tale col quale egli non aveva maiparlato in vita suama che gli era cordiale nimicoe ch'egli pagavadella stessa moneta: caso molto comune; perché è unodei diletti di questo mondo quello di potere odiare ed essere odiatosenza conoscersi. Costui si avanzava rittocolla testa altacollabocca composta all'alterigia e allo sprezzomostrando di non volerscendere verso il mezzo della via.

Orabisogna sapere che Ludovico aveva il suo lato destro al muroe cheper conseguenza aveva il diritto (bel diritto!) di passare accanto almuroe che l'altro doveva dargli il passoma come abbiam dettocostui accennava tutt'altro che la voglia di farlo. Anzi quandofurono pressoguardando d'alto in basso Ludovicogli disse con ariadi comando: "Tiratevi a basso".

"Abasso voi"rispose Ludovico: "la strada è mia".

"Coipari vostrila strada è sempre mia".

"Sìs'ella appartenesse ai soperchiatori".

"Abassovile plebeoo ch'io ti dò quella educazione che non tipoteva dare tuo padre".

"Voimentite ch'io sia vile: ma non è da stupire che siate cosìprodigo di quello che avete in tanta copia".

"Tumenti ch'io abbia mentito"disse con furia e con disprezzo quelsignore: e questa risposta era di prammaticacome ora sarebbe dire:- benissimo - a chi vi domanda dellavostra salute: indi soggiunse; "e se tu fossi cavaliere come sonioti vorrei far vedere con la spada e con la cappa che tu sei ilmentitore".

"Èbuona sorte per voi l'esser cavaliere; così potete essereinsolente e dispensarvi di sostenere la vostra insolenzacome vileche siete".

Cosìdicendo pose mano alla spada.

"Temerario"gridò quel signore"io spezzerò questa"ela cavò pure così dicendo "dopo che saràmacchiata del tuo sangue". Così si avventarono l'unosull'altro. Cristoforo venne in ajuto del suo padrone e cavòil suo coltello; e due servitori che accompagnavano il signoreandarono addosso a lui e a Ludovico. La gente si ritirava da ognipartee giacché nessuno di quelli che s'abbattevano nella viaera interessato per amiciziao per onore a pigliar parte nelladisputala quale da duello divenne tosto un fatto generale. Ilsignor Ludovico e il suo Cristoforo dovevano difendersi contra treeil combattimento era tanto più diseguale che Ludovico miravapiuttosto a scansare i colpie a disarmare il nemico che aducciderlo; ma il signore voleva la vita dell'avversario. Ludovicoaveva già toccata in un braccio una pugnalata d'un servitore;e il nemico gli cadeva addosso per finirloquando Cristoforo vedendoil suo padrone nell'estremo pericolo s'avventò col pugnale alsignoreil quale rivolta tutta la sua ira contro di lui lo passòcolla spada. A quella vista Ludovico scordato ogni ritegno cacciòla sua nel ventre del provocatoreil quale cadde quasi ad un puntocol povero Cristoforo: i servitori veduto il padrone sul terrenosidiedero alla fuga: e Ludovico rimase solo e feritoe circondato dalpopolo che accorrevavedendo finita la guerra. "Che è?che è? - Come è andata? Son due morti. -Gli ha fatto un occhiello nel ventre. - Chi?a chi?" Grida e confusione; e il povero Ludovicocol compagnouccisoe quel che è peggio col nemico ucciso da luisitrovava in mezzo ad una folla che lo stringeva d'ogni parte. Macomeè facile da supporreil favore era piuttosto per lui che perl'avversarioe tutti cercavano di salvarlo. Il caso era avvenutovicino ad una Chiesa di Capucciniasilocome ognun saimpenetrabile allora ai birrie a tutto quel complesso di cose e dipersone che si chiamava la giustizia. Il povero ferito fu quivicondotto o portato dalla follae quasi fuori di sè pelfurorepel rimorsoe pel dolore i padri lo accolsero dalle mani delpopoloche lo raccomandava ai suoi ospitidicendo: "èun uomo dabbeneche ha fatto freddo un birbone".

Ludoviconon aveva mai prima d'allora versato sangue; e benchél'omicidio fosse a quei tempi cosa tanto comune che gli orecchid'ognuno erano avvezzi a sentirlo raccontaree gli occhi a vederlopure l'impressione che Ludovico ricevette dal veder l'uomo morto perluie l'uomo morto da luifu nuova e terribilefu una rivelazionedi sentimenti ancora sconosciuti. Il cadere del suo nimicol'alterazione de' suoi tratti che passavano in un momento dallaminaccia e dal furoreall'abbattimento e alla severa debolezza dellamortecangiarono in un punto l'animo dell'uccisore. Strascinato alconvento egli non sapeva quasi dove fosse e che si facesse; ecominciò appena a comprendere la sua situazionequando sitrovò in un letto della infermerianelle mani del fratechirurgo (i capuccini ne avevano sempre alcuno) che aggiustavafaldelle e bende sopra due ferite leggieri ch'egli aveva ricevutenello scontro.

Unpadre che assisteva più frequentemente ai moribondie cheaveva spesso reso di questi uficj sulla viafu chiamato tosto sulluogo del combattimento; e tornato pochi momenti dopoentrònella infermeriae fattosi al letto dove Ludovico giaceva:"Consolatevi"gli disse; "almeno è morto benee mi ha incaricato di chiedere il vostro perdonoe di portarvi ilsuo". Questa parola fece rinvenire affatto il povero Ludovicoegli risvegliò più vivamente e più distintamentei sentimenti che erano confusi e affollati nel suo cuoredolore perl'amicopentimento e rimorso di ciò ch'egli aveva fattoenello stesso tempo un senso forte e sincero di commiserazione e diamore per l'infelice ch'egli aveva ucciso: Ludovico allora avrebbevolentieri data la sua vita per ricuperare quella del suo nemico. "El'altro?" domandò al padre. L'altro era spirato.

Frattantole uscite e i contorni del convento erano affollati di popolocurioso: ma giunta la sbirraglia fece smaltire la follae si pose inagguato a una certa distanza dalle porte; ma in modo che nessunopotesse uscirne inosservato. Un fratello del mortodue suoi cuginie un vecchio zio vennero pure armati da capo a piede; e facevano laronda intornoguardando con aria di minaccia gli accorsi del popoloi quali mostravano nei volti quasi una sorta di trionfo e dicontentezza.

AppenaLudovico potè riflettere più pacatamentechiamato unfrate confessorelo pregò che andasse a casa della moglie diCristoforoche l'assicurasse ch'egli non aveva fatto nulla percagionare la morte del suo amicoe nello stesso tempo le desseparola ch'egli si riguardava come il padre della famiglia. Quindipensando ai casi suoiil pensiero di farsi frate che tante voltecome abbiamo detto gli era passato per la mentegli si presentòallorae divenne tosto vera risoluzione. Chiamò il guardianoe gli aperse il suo cuoree n'ebbe in rispostache bisognavaguardarsi dalle risoluzioni precipitatema che s'egli persistevanon sarebbe rifiutato. Allora egli fece chiamare un notajoe fece inbuona forma una donazione di tutto ciò che gli rimaneva (cheera tuttavia un bel patrimonio) alla famiglia di Cristoforo; unasomma alla madrecome se le costituisse una contraddotee il restoai figli.

Gliospiti di Ludovico erano impacciati assai. Consegnarlo allagiustiziacioè alla vendetta de' suoi nemicioltrechél'esser cosa vile e crudele (ragione che è più potentequando è accompagnata da altre)sarebbe stato lo stesso cherinunziare al privilegio di asiloscreditare il convento pressotutto il popoloattirarsi l'animavversione di tutti i capuccinidell'universo per aver lasciato ledere il diritto di tuttitirarsicontra tutte le autorità ecclesiastichele quali allora siconsideravano come tutrici di questo diritto. Per l'altra parte lafamiglia dell'ucciso era potentissimaforte di aderenzeirritataesi faceva un punto d'onore di vendicarsie minacciava della suaindegnazione tutti quelli che mettevano un ostacolo alla vendetta. Equand'anche ai parenti fosse poco importato della morte del lorocongiunto (cosa che la storia non dice però) tutti avrebberoesposta la loro vita per avere nelle mani l'uccisore; e cometoglierlo dalle mani dei capuccini sarebbe stato un esempio insignedi cui si sarebbe parlato per più d'una generazionee cheavrebbe renduta sempre più rispettabile la casacosìerano tutti impegnatiaccaniti a riuscirvi.

Larisoluzione di Ludovico era il miglior ripiego per cavare i frati daquesto viluppo. Vestendo l'abito di capuccinoegli faceva una speciedi riparazionerinunziava a tutte le massime di puntiglio e divendetta che allora si consideravano come leggi eterne e naturali dionorerinunziava ad ogni nimiciziaad ogni garaera insomma unnemico che depone le armi e si arrende. I parenti poi potevano anchecredere e dire che Ludovico si era indotto a ciò perdisperazione e per timore; e ridurre un uomo a rinunziare tutto ilfatto suoa tagliarsi i capellia crescersi la barbaa camminare apiedi nudia non possedere un quattrinoa dormire sulla pagliaavivere di elemosinapoteva parere un castigo bastante ancheall'offeso il più superbo. Il Padre Guardiano andòumilmente dal fratello del mortoe dopo mille proteste di rispettoper l'illustrissima casae di desiderio di servirla in tutto ciòche non fosse contrario alle leggi della chiesaparlò delpentimento di Ludovico (che era vero)e della sua risoluzionecomese chiedesse un consiglio o quasi un permesso. Il fratello diedenelle smanieche il capuccino lasciò passaredicendo ditempo in tempo: "è un troppo giusto dolore": parlòalteramentee il capuccino raddoppiò di umiltà e dicomplimenti; fece intendere che in ogni caso la sua famiglia avrebbesaputo pigliarsi una soddisfazione; e il capuccino che non ne erapersuasonon gli contraddisse però; finalmente domandòimpose come una condizione che l'uccisore di suo fratello partirebbetosto da Cremona. Il capuccinoche aveva già pensato di farcosìmostrò di accordar questo alla deferenza ch'eglie tutti i suoi avevano per l'illustrissima casae tutto fuconchiuso.

Contentala famiglia per le ragioni che abbiam dettecontenti i fraticontenti quelli che avrebbero dovuto punire Ludovicoperchédopo la donazione fatta da lui di tutto il suo averela persecuzioneche gli si sarebbe fatta non avrebbe portato che impicci e fatichecontento il popolo il quale vedeva salvo un uomo che amavadallepersecuzioni di prepotenti che odiava; e che nello stesso tempoammirava un conversione; contento finalmente ma per motivi diversi epiù alti il nostro Ludovico; il quale non desiderava altro chedi cominciare una vita di espiazionedi patimenti e di servizio aglialtri che potesse compensare il male ch'egli aveva fattoeraddolcire il sentimento insoffribile del rimorso. CosìLudovico a trent'anni si avvolsecome si direbbe poeticamentenelleruvide lanediede un eterno addio al mondo ed al barbieree funovizio. Il sospetto che la sua risoluzione fosse attribuita altimore lo afflisse un momento; ma tosto egli fu lieto di potersofferire questa ingiustizia. Ognuno sa che quando uno si affigliavaad una regolalasciava il nome di battesimoe ne prendeva un altro;Ludovico assunse quello di Cristoforo.

AppenaFra Cristoforo ebbe assunto l'abitoil guardiano gl'intimòche andrebbe a fare il noviziato a Modenae partirebbe all'indomani.Il novizio gli si gettò allora ai piedie lo chiese d'unagrazia. "Io parto"diss'egli"da questa cittàdove ho sparso il sangue d'un uomoe vi lascio i congiunti di esso eun fratelloquelli che io ho offesisenza aver fatta unariparazione. Permettetemi che io quanto è da me ripari almenocol fratello l'ingiuriae tolga se si può il rancore dal suocuore". Al guardiano parve che questo passofatto con tutte leprecauzioniriconcilierebbe al tutto il convento colla famiglia egli disse che gli darebbe rispostae andò difilato dalfratello dell'uccisoesponendogli la richiesta di Fra Cristoforo.Dopo qualche sbruffo di collerae qualche esitazione: "vengadomani" diss'eglie indicò l'ora. Il guardiano siassicurò che il novizio non arrischiava nullae gli diede lalicenza desiderata.

Ilsignore superbo pensò tosto che poteva dare molta solennitàa questa riparazionee soddisfare così in un punto lavendetta e l'orgoglioe crescere la sua importanza presso tutta laparentelae presso il pubblico: e fece avvertire in fretta tutti iparenti che all'indomani al mezzo giorno restassero serviti (cosìsi diceva allora) di venire da lui per ricevere una soddisfazionecomune. Al mezzogiorno la casa era piena di signori d'ogni etàe d'ogni sessotutti in grande apparatocon grandi cappe e condurlindane infinite con... Il cortile e le anticamere e la stradaformicolavano di servidi paggie di bravi. Fra Cristoforo videtutto l'apparatone indovinò il motivoe dopo un picciolocontrasto fu contento che la riparazione fosse clamorosa. -L'ho ucciso in pubblicodiss'egli fra sèallapresenza dei suoi nemici: quello fu lo scandalo; questa èriparazione -. Così con gli occhi bassicolpadre compagno al fiancoattraversò la folla che loriguardava con una curiosità poco cerimoniosasalì lescalee con una confusione che cercava di vincere giunse di sala insala alla presenza del fratello il quale era circondato dai parentipiù prossimi.

FraCristoforo gli si gettò ai piedi e disse: "Io sonol'omicida di vostro fratello. Sa Iddio se io vorrei restituirvelo acosto del mio sangue; ma non potendo che farvi inutili scusevisupplico di accettarle per Dioe di perdonarmi". Tutti gliocchi erano rivolti sul povero novizio e sull'uomo a cui egliparlavae s'intese un mormorio di pietàe di rispetto. Ilsignore che stava in atto di degnazione forzata e d'ira compressaesi preparava a goder d'un trionfofu turbatoe chinandosi versol'inginocchiato: "Alzatevi"disse; "l'offesa... mal'abito che portate... non solo questo; anche per voi... Si alzipadre... Mio fratello... non lo posso negare; era... era un po'caldo... maquello che Dio ha voluto... Non se ne parli più...Padre si alzi per amor del cielo"; e presolo per le braccia losollevò...

FraCristoforo alzato quasi a forzae tenendosi pur chino rispose: "Sequegli che io non oso nominare ha fallatoha avuto pur troppo unsevero castigoe spero che Dio misericordioso si saràcontentato di questoe gli avrà dato il suo perdono; ma ioson quie non ho altro motivo per pretenderlo da lei che la suabontàe i meriti del signore".

"Perdono!"disse il signore: "ma padre Ella non ha bisogno... pure giacchélo vuole: certocerto io le perdono di cuorein nome anche ditutti"e qui si guardò intornoe gli astanti: "sìsì" gridarono ad una voce "tutti tutti". Allorail signore mosso dall'aspetto del fratee dal sentimento di tuttigli astantigettò le braccia al collo di Cristoforoil qualestringendolo più basso ricevette da lui e gli rendette ilbacio di pace.

Tuttiallora furono intorno a Fra Cristoforoe la conversazione divennegenerale. Il signore che aveva voluto in questa occasione far pompadi tuttoaveva fatto preparare un rinfresco sontuosoe fatto cennoad un camerieresi riavvicinò a Fra Cristoforo il quale stavain atto di accomiatarsie gli disse: "Padre mi dia una prova diamicizia col gradire una picciola refezionee fare un po' di festacon noi". Intanto giunsero i rinfreschi. Il signore volleservire pel primo il buon novizio: il quale scusandosi con umiltàcordiale: "Queste cose" disse "non sono più perme; ma tolga il cielo ch'io rifiuti i suoi doni: io sto per pormi inviaggiosi degni di farmi portare un paneperché io possadire di aver goduta la sua caritàdi aver mangiato il suopanedi aver questo segno del suo perdono".

Ilsignore commosso ordinò che così si facesse e tostogiunse un cameriere riccamente vestitoche portando un pane sur unbacile d'argento lo presentò al Padreil quale presolo eringraziatolo pose nella sua bisaccia. Il signore alzando la vocedisse al cameriere: "si mandi pane bianco e vino al convento pertutta la comunità". Dopo alcuni momenti Fra Cristoforochiese licenzaed abbracciato di nuovo il signoree tutti quelliche lo stringevano e che volevano pure abbracciarlosi sviluppòda essi a faticaebbe a combattere nelle anticamere per isbrigarsida quelli che gli baciavano il lembo dell'abitoil cordoneilcappuccio; e si trovò nella via portato come in trionfoedaccompagnato da una folla di popolo fino alla porta donde uscìcominciando il suo pedestre viaggio verso il luogo del suo noviziato.

Ilfratello dell'ucciso e il parentadoche si erano preparati adassaporare quel giorno la trista gioja dell'orgogliosi trovaronoinvece ripieni della gioja serena del perdono e della benevolenza. Laconversazione rimase più pacatapiù semplicesenzaapparatocordiale: e invece di trattenersi di riparazionedipuntiglidi ricantare le storie delle soddisfazioni presee deisopramani vendicatinon si parlò che del Padre Cristoforoedelle virtù dei capuccini; e taluno che per la cinquantesimavolta avrebbe raccontato come il Conte Muzio suo avo aveva saputofare stare quel Marchese Stanislao che ognun sa che Rodomonte eraparlò invece della vita penitente di un Fra Benedettomortomolti anni prima. Sciolta la brigatail signoreancora tuttocommosso si maravigliava di tratto in tratto fra sè di ciòche aveva dettodi ciò che aveva sentitoe borbottava fra identi: "Gran FrateFrate singolare! Se rimaneva ancor lìper qualche momentoquasi quasi gli avrei domandato io scusaperch'egli mi abbia ammazzato il fratello!" Però èda notarsi che tutti i convitati partirono di là un po'migliori di quello che vi fossero andatie ch'egli stesso fu pertutta la sua vita un po' meno superbo e un po' più indulgente.

IlPadre Cristoforo camminava con una consolazione quale non avevaprovata mai dopo quel giorno terribilead espiare il quale tutta lasua vita doveva essere consacrata. Ai novizj era imposto silenzio; eCristoforo serbava senza fatica questa leggetutto assorto nelpensiero delle fatichedelle privazioni e delle umiliazioni cheavrebbe incontrate per espiazione del suo fallo. Fermandosi all'oradella refezione presso un benefattoreegli si mangiò con unaspecie di voluttà il pane del perdono: ma ne risparmiòun tozzoe lo ripose nella sporta onde serbarlo come un ricordoperpetuo.

Nonè nostro disegno di narrare la vita fratesca del nostro buonpadre: diremo dunque soltanto ch'egli passò il suo noviziatosostenendo alacremente le dure discipline di quello stadioesottomettendosi bravamente alle provetalvolta assai strane a cuierano posti i novizj; facendo per ragione ciò che gli apparivaragionevolee pensando pel resto che un omicida non doveva essertrattato con molte cerimonie. Divenuto frate professo egli siconsacrò specialmente in quanto dipendeva dalla sua scelta atre sorta di servizi: assistere moribondicomporre dissidj... eproteggere gli oppressi. A questa ultima occupazione era egli portatodalla antica abitudinela quale operava in lui con motivi piùpurie da un resto di spirito guerriero che le umiliazioni e lemacerazioni non avevano sopito. Il suo linguaggio come le sue azionimostravano a chi l'avesse attentamente considerato i segni di questospirito indeboliti ad ogni momento da uno sforzo continuoma non maicancellati del tutto.

Eraa quei tempi comunissima a tutte le classi di persone l'usanzad'infiorare il discorso di quelle parole delle quali quando sivogliono stampare non si pone che l'iniziale con alcuni puntinidiquelle parole che esprimono o ciò che vi ha di piùsozzo o ciò che vi ha di più riveritodi quelle parolele quali quando scappano ad un signorino nella pueriziafanno fareviso dell'arme alla mammae la fanno sclamare: "ohibò!dov'hai tu inteso questo: nella via o dai servitori certamente"(e l'avrà inteso dal signor padre) di quelle parole che nonsono sconosciute nelle sale fastosee che formano la terza parte deicolloquj del popoloal quale dicono alcuni sapienti che converrebbeabbandonarle; ma questi sapienti non dicono beneperchécomunque gli uomini sieno classificatinon vi ha alcuna classed'uomini alla quale convenga ciò che è turpe. Quest'usoera adunque comunissimo in allorae chi ne vuol la prova dia unaocchiata alle leggi che bestemmiavano pene atroci per impedir labestemmiaguardi alla cura che i vescovi prendevano per toglierequesta vergogna dal clero stesso. Il signor Ludovico aveva fatto untale uso di queste frasi che la lingua del Padre Cristoforo duravafatica a rimandarle tutte le volte che si presentavanocioèad ogni primo impeto di passione di qualunque genere; ma il PadreCristoforo faceva stare la sua lingua. Solamente in certi casi rarinei quali la passione era tanto viva che quasi quasi Cristoforotornava per un momento Ludovicoveniva ad un componimento. Siproferivano le parolema trasformate: ad alcune consonanti radicalin'erano sostituite altre che toglievano il senso ordinario allaparolae lasciavano soltanto travedere una lontana intenzionequasiun bisogno di proferirla. Così mutatotrasformatotemperatoera l'animoin modo però che riteneva alquanto dell'anticasua natura.

Abbiamogià detto che la Lucia si confessava dal Padre Cristoforoeche gli aveva confidate le sozze persecuzioni di Don Rodrigo. Èquindi naturale che il Padre accorresse alla chiamata di Lucia conansia tanto più grandeche avendole egli dato consiglio dinon palesar nullae di starsene quieta sperando che la burascapassassetemeva ora che il suo consiglio fosse stato cagione diqualche nuovo pericolo; ed alla sollecitudine di carità chegli era naturalesi aggiungeva quello scrupolo delicato che tormentai buoni.

Mafrattanto che noi siamo stati a raccontare i fatti del PadreCristoforoegli è giuntosi è affacciato alla porta;e le donne lasciando il manico dell'aspo che facevano girare estrideresi sono alzatedicendo ad una voce: "Oh Padreguardiano!"



Cap.V

ILTENTATIVO

Ilqual padre guardiano si fermò ritto sulla sogliae vedendo ledue donne soleabbassò gli occhie si raccolse un momentocome era uso a fare dacché era divenuto capuccinotutte levolte che si trovava solo in presenza di qualche persona di quelsesso terribileche non avesse l'età prescritta allefantesche dei curati. Rialzando poi lo sguardos'accorse al voltoturbato delle due donne che i suoi presentimenti non erano fallaci; esoprastato alquanto sulla soglia come per aspettarne la tristaconfermadisse con quel tuono di interrogazione che si risente giàdi ciò che deve significare una risposta troppo preveduta: "Ebene?" Lucia rispose con uno scoppio di pianto. La madrecominciò dal chiedere scuse infinite al padre guardianodell'avere ardito incomodarloma egli si avanzò e postosi surun sedile contesto di algatroncò tutte le scusee dopo averdetto a Lucia: "quetatevi povera figliuola"domandòdi essere informato di tutto brevemente. Il buon Padre ben siaccorgeva di mettere una condizione un po' dura e difficile; Agnesegli raccontò tutta la trista storia del giorno antecedente frale interruzioni del guardianoche faceva abbreviare le ciarle e chechiedeva schiarimentie che di tempo in tempo diceva qualche paroladi compassione e di conforto a Lucia che singhiozzava amaramente.Quando la storia fu terminata; "Dio benedetto!" sclamòil Padre Cristoforo: "fino a quando li lascerai fare costoro?"Indi volgendosi tosto alle donne: "poverette!" disse: "Diovi ha visitate: povera Lucia! mah! non vi perdete d'animo: Dio viajuteràve lo prometto io: oh non vi ha mica creata perchéfoste tormentata da costui: Dio ha i suoi finie al termine dellecose si vede la sua mano. Ascoltate; io vi prometto di nonabbandonarvi: oh non vi abbandonerò certo; mah! Dio sa quelloche io potrò fare: e chi sa che Dio non voglia servirsi di unuomo da nulla come son io per cambiare un prepotentee per sollevaredei poverelli. Lasciate ch'io pensi un momento che cosa si possa fareper andare incontro al pericolo più pressantee poi Dioprovvederà". Così dicendo appoggiò ilgomito sinistro sul ginocchioe la fronte nella palmae colladestra strinse il mento barbutocome per concentrare e tener fermetutte le forze della sua mente; Lucia stava aspettando con fiducia econ doloree la madre mandava giù giù lo sguardoquanto poteva per ispiare qualche cosa dei pensieri del padreilquale fece mentalmente questo monologo: - Poffarechequell'uomo dovesse giungere a questo segno! Eh non è il primopur troppo! Ma non ci sarà chi possa farlo stare? Vediamo.Quello che più importa sarebbe di far succedere subito ilmatrimonio. Per... dinci: il signor curato fa una gran villaniae iogli parlo fuor dei denti... ciarleciarle: egli sa che io non dòpugnalatee mi lascerà direo mi risponderàbravamente. Ma posso fargli paura anch'io: se trovassi il modo difargli venire un comandoma un comandoe con un buon rabbuffo:Monsignore illustrissimo non vuole di queste infami porcheriesìma intantoche cosa può accadere? No no bisognerebbe metterein salvo questa povera colomba e mettere un freno a quel birbante. Ilfatto è chiaro: la legge c'è; e la giustizia... quandofosse stimolata. Eh qui non facciamo niente: costui gli spaventatutti: toccare Don Rodrigogià! per amor di Dio! chil'oserebbe? Ma il mondo poi non finisce qui: costui fa il tirannospaventa questi poveri foresi che lo credono più potente chenon è! E il cordone di San Francesco ha legate altre spade chequella di costui: se potessi mettere in moto le mie barbe a Milano...E intanto? e poi? e poi? E chi sa se non sarei contraddetto da alcunidei nostri? costui fa il protettore dei cappuccinil'amico delconvento: e i suoi bravi si sono ricoverati talvolta da noi... e chisa come si rappresenterebbe la cosa? e quando si vedesse che sitratta di soccorrere una povera figlia che non può compensarecon altrettanta protezione! Ah! se fosse una gran signora! Ma sefosse una gran signora non sarebbe in questo caso. Oh poveretti noi!Oh che tempi! Quando io credeva che facendomi cappuccino sarei fuoridi questo mondo infame! Eh non se ne va fuori che quando si muore. Efare un tentativo presso Don Rodrigo? Ehn! che cosa varranno leparole d'un povero frate su quel diavolo in carne? Eppure non c'èaltro da fare. Chi sa che adoperando preghierequalche minaccialontana: fargli sentire che c'è qualcheduno che sa quel che sipuò fare contra uno scellerato soperchiatore? Forse non saràche un infame cappriccio venutogli dall'aver tanto fatto impunemente:e quando vedrà che l'affare può diventar serio... Sìnon c'è altronon c'è altro. Se non altro si vedràcome giuoca costuie si guadagnerà tempo.

IlPadre Cristoforo si fermò in questa determinazionepei motiviche abbiamo riferitie che in verità bastavano se non a farnesperar moltoa renderla almeno preferibile ad ogni altra: ma dietroa tutti questi motivi ve n'era un altro che dava un gran peso a tuttiquestie che quantunque agisse così potentemente non eradistintamente avvertito da lui. Il Padre Cristoforo era portato acogliere con premura una occasione di trovarsi a fronte d'unsoperchiatoredi resistergli se non altro con esortazionidiconfonderloe di provargli ch'egli aveva il tortoe di combatterloe di vincerlo come che fosse.

Mentreil buon frate stava ancor meditandoFermo il quale per tutte leragioni che ognuno può indovinare non sapeva star lontano daquella casaerasi affacciato alla portae visto il padre assortoele donne che gli facevano cenno di non disturbarlosdrucciolòper un angolo della porticella nella stanzae costeggiando il muroandò a riporsi tacitamente in un angolo della stanza. Quandoil Padre si alzò per comunicare alle donne il suo disegnos'accorse di Fermoe gli fece un saluto che esprimeva una affezioneresa più intensa dalla pietàe Fermo ne fu commosso.

"Hasaputo?" disse Fermo.

"Purtroppo ho inteso la vostra disgrazia" rispose il Padre; "matu non ti perderai d'animo come queste poverettee sopra tuttoaspetterai che Dio ti ajutie Dio ti ajuterà".

"Benedettele sue parole"rispose Fermo: "ella non è di coloroche danno sempre torto ai poverellie che rimproverano una disgraziacome se fosse una colpa. Ma il signor curato e il signor dottore..."

"Nonpensare a questo che è inutile: io sono un povero fratema tiripeto quello che ho detto a queste donne: per poco ch'io sia non viabbandonerò". "Oh lei non è come gli amicidel mondo. Sciaurati! dopo tante promesse fatte nell'allegriachedarebbero il sangue per meche mi avrebbero sostenuto sempreche seavessi avuto briga con qualcuno per cavaliere ch'ei fosse... e poi:se vedesse come si ritirano: oh nessuno più ne vuol sentire aparlare..."

MentreFermo parlava il Padre Cristoforo lo guardava coi suoi occhiscintillantie prendeva un'aria severa di modo che Fermo si andavaaccorgendo che le parole sue non erano graditeed ora voleva lasciarcadere il discorsoora tentando di raggiustare la faccendasiandava incespicando e pronunziava parole sconnesse... "volevadire: cioè Padrenon m'intendo mica..."

"Eche Fermo! dunque tu avevi cominciato a guastare l'opera miaprimach'ella fosse intrapresa! Tu pensavi a difenderti della violenzacolla violenza! Ringrazia il cielo che sei stato disingannato atempo. Come! tu speravi soccorso da questi che tu chiami amici?Soccorso per liberarti dalla ingiustizia? Poveretto! non sapevi cheogni uomo ama troppo la sua vita e il suo riposo per sagrificarloalla giustiziaalla giustizia altrui? Sì; pel denaroper lavendettapel diletto di far male l'uomo disprezza il pericolo; sìallora egli sente qualche cosa che lo porta con gioja ad affrontareil suo simile: ma perché uno non sia oppressoma perchénon s'impedisca una cosa giustama perché le cose vadano comedovrebbero andaretranquillamente ordinatamentetu credevi chetroveresti chi si armerebbe con te contra un potente? Gli uomini nonprovano per questo quella gioja feroce che fa desiderare diaffrontarsi coll'uomo: o se ve n'ha di tali sono tanto rari...; e -a queste parole Fra Cristoforo strinse fortemente la mano aFermo - e anche questi han torto. Ringrazia il cieloche non ti ha dato il tempo di confidare in questi ajuti tanto da farqualche cosa della quale ti saresti pentito. AscoltaFermoio sonpronto a fare quello che posso per voi; ma vi pongo una condizione".

"Comandipadre guardiano".

"Tumi devi promettere che ti fiderai di meche non affronteraiche nonprovocherai nessuno..."

"Promettetepromettete"dissero le donne.

"Promettoprometto"disse Fermo.

"Ebene" continuò il buon frate; "importa assai che diquesto affare si parli il meno possibile: perché i discorsipotrebbero rendere inutili i miei sforzi per farlo terminar bene: iospero che quelli che tu chiamavi amici non parlerannoper la stessaragione che gli ha distolti dall'operare. Io andrò oggi aparlare con quell'uomo dal quale viene tutto questo malee nondispero di far tutto finire: in ogni casovi prometto di nuovo dinon abbandonarvi mai. Frattanto voi state ritiratischivate idiscorsie sopra tutto non vi mostrate; questa sera o domani avretenuove di me". Detto questo egli interruppe tutti iringraziamenti e le benedizionie partì inculcando di nuovola quiete e la prudenza; e s'avviò al suo convento.

Iviandò in coro a cantare terza e sestas'assise alla parcamensae allora più parca del solito per la carestia checominciava a farsi sentire dappertuttoe dopo raccomandati alvicario gli affari del suo picciolo regnosi pose in via verso ilcovile dell'orso che si trattava di ammansare; senza riporre a dirveromolta speranza nel suo tentativo.

IlCastellotto di Don Rodrigo era posto sul pendio della montagnadiscosto due miglia dalla casetta di Luciaun po' più basso epiù verso settentrionee a tre miglia circa dal convento ilquale come abbiam detto era al piano del fiumee nel paesetto postosulla riva sinistra. Questo castellotto posto sulla cima d'uno diquei piccioli promontorj fra i quali si dividono le grandi montagneera fuori dell'abitato. Intorno al castellotto erano tre o quattrocasette di contadini che lavoravano i fondi di Don Rodrigoe che glifacevano da servitori e da bravi secondo l'occorrenza: vecchj cheparlavano dell'antico onore della casa e delle loro prodezzegiovanilie le proponevano in esempio ai giovani: giovani checercavano di emulare quei fatti gloriosie donne che sentivano pureun nobile orgoglio della loro condizione di suddite ad un cavaliereche sapeva farsi rispettaree di madri e mogli d'uomini che sifacevano temere. Quando peròil che non era caso raroalcunodegli uomini loro tornava col capo rotto a casao si trovavaminacciato della vendetta di qualche offeso furibondoo in un altrodi quegli impiccj in cui doveva farli cader sovente il modo loro diviverele donne urlavano alloramostravano con furore i ragazzi sulvolto ai maritipredicavano la pace e il timor di Dioe non simettevano in silenzio che dopo aver toccata qualche bussa. L'aspettodelle abitazioni di costoro dava un indizio della vita tra il rusticoe l'eroico che essi menavanopoiché guardando dalle porte sivedevano nelle loro stanze terrene appesi alla rinfusa gli archibugje le zappela reticella e il berretto piumato col cappello pastoraledi paglia.

Quandoil Padre giunse dinanzi al Castellotto trovò la porta chiusasegno che il padrone stava a tavola e non voleva esser frastornato.Le rade e picciole finestre che davano sulla via erano chiuse daimposte cadenti per vetustà ma difese da grosse ferriateequelle del piano terreno tanto elevate che un uomo avrebbe appenapotuto affacciarvisi salendo sulle spalle d'un altro.

Tuttoal di fuori era silenzioe un passaggero avrebbe potuto credere chequella casa fosse abbandonatase quattro creatureche erano postein euritmia al di fuorinon avessero dato un indizio di abitazionee nello stesso tempo un simbolo della ospitalità di queitempi. Due grandi avoltoj colle ali tese erano inchiodati ciascunosur una imposta; ed uno già mezzo consumato dal tempo avevaperduta gran parte delle piumee qualche membronon aveva quasi piùnemmeno la figura d'un bel cadavere: e due bravi (quei due medesimiche avevano messa quella bella paura in corpo al curato) sdraiaticiascuno sur una delle panche di pietra poste al di qua e al di làdella portafacevano guardia oziosa al castello del signoreaspettando di godere gli avanzi della sua mensa. Il Padre stava perritirarsi ed aspettare in qualche distanza che la porta si aprisse;ma uno de' bravi avendolo veduto: "padre" gli disse: "ellavuol riverire il Signor Don Rodrigo: aspetti aspettiqui non simandano indietro i religiosinoi siamo amici del convento"ecosì dicendo si alzòe senza dar retta al frate chevoleva ritornarsenebattè due colpi del martello sulla porta;a quel segno giunse borbottando un servo; ma quando ebbe veduto ilPadrelo fece entrare tosto dicendogli che avvertirebbe il padronee attraversato un angusto cortile lo condusse per alcuni salottiquasi fino alla porta della sala del convito. A misura che il fratesi avvicinava col suo ducasentiva un romore crescente di forchettee di coltelliun sordo fragore di piatti di stagno posti l'unosull'altroe sopra tutti un frastuono di voci discordi che tuttevolevano coprire le altre. Il frate desideroso allora più chemai di attendere miglior congiuntura stava litigando sulla porta colservo per ottenere di aspettare in un canto della casa che il pranzofosse terminatoquando la porta si apersee Don Rodrigo che stavadi contro veduta la barba e il cappuccioe accortosi dellaintenzione modesta del buon Frate: "Ehi ehi" disse "nonci scappi Padreavantiavanti". Il padremal suo grado siavanzòin mezzo ai clamori e alle dispute dei convitatiiquali accorgendosi ad un per volta del sopravvenuto lo salutavano conquell'aria di rispetto ironico ed affettato che gli amici di DonRodrigo dovevano avere per un cappuccino.

Bisognaconfessare che nei romanzi e nelle opere teatraligeneralmenteparlandoè un più bel vivere che a questo mondo: ben èvero che vi s'incontrano birboni più ferocipiùdiabolicipiù colossalivi si scorgono scelleratezze piùraffinatepiù ingegnosepiù reconditepiùardite che non nel corso reale degli avvenimenti; ma vi ha pure deigrandi vantaggied uno che basta a compensare molti maliuno deipiù invidiabili si èche gli onestiquelli chedifendono la causa giustaper quanto sieno inferiori di forzeebattuti dalla fortunahanno sempre in faccia dell'empio ancor chetrionfante una sicurezzauna risoluzioneuna superiorità dianimo e di linguaggio che dà loro la buona coscienzae che labuona coscienza non dà sempre agli uomini realmente viventi.Questiquando abbiano dalla parte loro la giustizia senza la forzae vogliano pure ottenere qualche cosa difficile in favore dellagiustizia sono obbligati a pensare ai mezzi per giungere a questoloro finee i mezzi sono tanto scarsie per porli in opera senzaguastare la faccenda si incontrano tanti ostacolifa bisogno ditanti riguardiche da tutte queste considerazioni si trovano postinecessariamente in uno stato di esitazionedi cautelae di studioche gli fa sovente scomparirein faccia ai loro avversarj risolutied incoraggiati dalla forza e dalla abitudine di vinceree spessevolteconvien dirlodal favore o scioccoo perverso deglispettatori. L'uomo retto sentea dir vero con certezza e con ardorela giustizia della sua ragionema questa sua idea è unrisultatouna conseguenza d'una serie di ragionamenti e disentimentiper la quale è trascorso il suo animo: se egli laesprime fa ridere l'avversarioil quale per un'altra serie d'idee ègiunto e si è posto in un risultato opposto: e pur troppotolti alcuni casil'uomo che non ha che sè per testimonio eper approvatoree che vede negli altri contraddizioni e schernoperde facilmente fiduciae quasi quasi è disposto a dubitare:o almeno si trova in quello stato di contrasto che fa comparirel'uomo imbarazzato. Avvien quindi spesse volte che un ribaldo mostrain tutti i suoi atti una disinvolturauna soddisfazione che siprenderebbe quasi per la serenità della buona coscienza sefosse più placida e più compostae che l'uomo onesto enella espressione esterioree nell'animo interno mostra e provatalvolta una specie d'angustia e di vergogna che si crederebberimorso; dimodoché a poco a poco finisce per esseresoperchiato non solo nei fatti ma anche nel discorsoe nel contegnoe sta come un supplichevole e quasi come un reo dinanzi a colui chelo è veramente.

Siè fatta questa riflessione per ispiegare come il buon PadreCristoforoil quale veniva per domandare a Don Rodrigo l'adempimentodella più stretta giustiziae la cessazione della piùvile iniquitàsi rimase come confusoe vergognoso quando sitrovò così solo con tutte le sue buone ragioni in mezzoad un crocchio romoroso e indisciplinato di amici di Don Rodrigoein sua presenza. Era questi in capo alla tavola: alla sua destrasedeva il giovane Conte Orazio cugino di Don Rodrigosuo compagno dilibertinaggio e di soperchieriae che villeggiava con lui: allasinistra il Podestàche Don Rodrigo aveva invitato non senzaperchépotendo trovarsi in un impegno dal quale si sarebbecavato meglio quando la Giustizia fosse tutta disposta in favor suo.Il Podestà mostrava di ricevere l'onore di sederefamigliarmente a tavola d'un cavaliere con un rispetto misto peròd'una certa libertà che gli dava il suo uficio; accanto a luie con un rispetto il più puro e il più svisceratosedeva il nostro Dottor Duplicail quale avrebbe voluto essere ilprotetto di tutti quelli che eran da più di luie ilprotettore di tutti quelli che gli erano inferiori: due o tre altriconvitati di ancor minore importanza attendevano a mangiare e asorridere con una adulazione ancor più passiva di quella deldottore: e quando questi approvava con un argomento o con una lodeche voleva esser ragionataessi non sapevano dire più in làdi: "certamente".

"Dasedere al padre"disse Don Rodrigo; e un cameriere avvicinòuna scranna sulla quale si pose il Padre Cristoforo facendo qualchescusa al signore di esser venuto in ora inopportunaa parlargli d'unaffare d'importanza.

"Parleremoquanto Ella vorràma intanto portate da bere al Padre".Il Padre voleva schermirsima Don Rodrigo in mezzo al trambusto deilitiganti gridava: "No per... non mi farà questo tortopadre: non sarà mai detto che un cappuccino si parta da questacasa senza aver gustato del mio vinoné un creditoreinsolente senza avere assaggiato della legna dei miei boschi".Queste parole produssero un riso universale e interuppero un momentola quistione che si agitava caldamente fra i commensali. Un servoportando sur un bacile un'ampollacome allora usavadi vinoe unlungo bicchiero a foggia di calicelo presentò al Padrechenon volendo resistere ad un invito tanto pressante dell'uomo chevoleva farsi propizionon esitò a mesceree si pose asorbire lentamente il vino.

"Letorno a direSignor Podestà riveritoche l'autoritàdel Tasso non serve al suo assuntoche anzi è contro di lei"riprese ad urlare il Conte Orazio: "perché quelgrand'uomo che conosceva tutte le regole e tutti i puntigli dellacavalleria più soprafina ha fatto che il messo di Arganteprima di esporre la sfida ai cavalieri cristianidomandi licenza aGoffredo..."

"Maquesto"replicava non meno urlando il Podestà"questoè un sopra piùun mero sopra più: giacchéil messo è di sua natura inviolabile per diritto delle gentijus gentiume secondo quel proverbio- ellam'insegna che i proverbi sono voce di Dio secondo quell'altroproverbio che dice: vox populi vox Dei - quelproverbio: ambasciator non porta pena; dico che non avendo ilmessaggero detto nulla in persona propriama solamente presentata lasfida in iscrittosecondo tutte le regolenon doveva mai..."

"Conbuona licenza di questi signori"interruppe Don Rodrigo ilquale questa volta contra il suo solito aveva voglia di troncare laquistione: "rimettiamola nel Padre Cristoforoe si stia allasua sentenza".

"Benebenissimo"disse il Conte Orazio al quale parve cosa moltograziosa il far decidere una questione di cavalleria da uncappuccino; mentre il Podestàa cui pareva un po' osticol'esser sottoposto ad un giudizio mostrava leggermente il suomalcontento con un suono inarticolato accompagnato da una quasiinvisibile mossa di spalle. "Mada quel che mi pare d'avereinteso"disse il Padre"non sono cose di cui io mi debbaintendere".

"Solitescuse di modestia di loro Padri"disse Don Rodrigo; "manon mi scapperà: Eh via! sappiamo bene ch'ella non èvenuta al mondo colla barbae col cappuccioe il mondo lo haconosciuto. Via via. Ecco il fatto".

"Ilfatto è stato..." gridò il Conte Orazio.

"Lasciatepur dire a me che sono neutralecugino"riprese Don Rodrigo."Il fatto accaduto in Milano è: che un Cavalierespagnuolo mandò la sfida ad un cavalier milanese: e ilportatore non trovando il provocato in casaconsegnò lalettera ad un fratello del cavaliere; il qualeletta che l'ebbediede alcune bastonate al portatore..."

"Bendatebene applicate" gridò il Conte Orazio; "fu unavera ispirazione..."

"Deldemonio"interruppe il podestà "battere unambasciatore! persona sacra! anch'Ella padremi dirà sequesta è azione da cavaliero..."

"Inverità signor Podestà ch'io non avrei mai potutocredere che un par suo desse tanta importanza alle spalle di unmascalzone".

"MaSignor conteella mi fa dire dei paradossi ai quali io non ho maipensato. Io parlo dell'offesa fatta alla livrea del Cavalierespagnuoloe non delle spalle del messo: parlo sopra tutto delleleggi di cavalleria. Mi dica un po' se i Fecialiche erano quelliche gli antichi romani mandavano ad intimar le sfide ai popoli concui si mettevano in guerradomandavano il permesso di esporrel'ambasciata; e mi trovi un po' uno scrittore che faccia menzione cheun feciale sia mai stato bastonato".

"Chemi parla di antichi romaniche in queste cose erano rozzieprincipianti?... non v'erano stati ancora paladini nel vero e strettosenso della parola: ma ora che le cose si sono raffinatechel'esperienza ha resi gli uomini ben più delicatie cheabbiamo scrittoroni i quali hanno immaginati tutti i casiescogitabilie hanno scavato coll'acume del loro ingegno finoall'ultimo fondo di queste questionioraio dico e sostengoche unmesso che non domanda la licenza di esporre una ambasciata di sfida èun temerarioviolabileviolabilissimoe che a bastonarlo siacquista indulgenza".

"Ebbenemi risponda un po' a questo. Il portatore non è disarmato? eoffendere un disarmato non è atto proditorio? Dunque ilcavaliere milanese..."

"Pianopianoche bell'equivoco mi fa ella Signor podestà?..."

"Come?"

"Malasci rispondere. Atto proditorio è ferire colla spada uncavaliere disarmato. Confesso che infilzare colla spada un plebeosenza necessità sarebbe azione tanto vilequanto bastonare uncavaliere: ma qui si tratta di bastonate date ad un plebeo; e lei nonmi troverà una regola che imponga di dire guarda che tibastonocome si dice: mano alla spada... E lei Signor Dottoreriveritoinvece di farmi dei sogghigniper darmi ad intendere che èdel mio parereperché non sostiene le mie ragioni colla suabuona tabellaper ajutarmi a fare entrare la ragione in capo aquesto signore?"

"Io..."rispose alquanto sconcertato il dottore"io godo di questadotta disputa; e benedico quel grazioso accidente che ha datooccasione ad una guerra di ingegni sottilie di labbra eloquenti cheserve d'istruzione e di diletto agli ascoltatori; di modo chénon vorreianche potendometter daccordo due combattenti che fannosì bella mostra delle loro forze. Ho dettopotendogiacchéio non m'arrogo di fare il giudice... e se non m'inganno il nobilepadrone di casa ha nominato un giudice... qui il padre..."

"Èvero"disse Don Rodrigo"ma come volete che il giudiceparli quando gli avvocati non vogliono tacere!"

"Sonmuto"rispose il Conte Orazio: il Podestà fece pur cennoche tacerebbe.

"Ah!finalmente! A lei padre"disse Don Rodrigo con una serietàbeffarda.

"Hogià fatte le mie scuse col dire che non me ne intendo"rispose Fra Cristoforo dando il bicchiere ad un servo.

"Scusemagre"gridarono tutti: "vogliamo la sentenza".

-Mascalzoni... cioè poveri traviati; pensava fra sèil Padre Cristoforocredete voi che starei qui a sentire le vostrepappolate se non si trattasse di cavare una innocente dagli artiglidi quel lupo che voi accarezzate vilmente?

Macome s'insisteva d'ogni parte: "Ebbene"disse"poichélor signori non vogliono credermi quand'io dico che non me neintendovedrò di far dire a loro la stessa cosa. Il miodebole parere dunque in tutto questo si èche a ben fare nonvi dovrebbero essere né sfidené portatorinébastonate".

"Nècavalieri spagnuoliné cavalieri milanesivoleva forse direpadre": rispose il Conte Orazio: "ed io aggiungo: nemmenopadri cappuccini. Oh vorrebb'essere un bel viverepadre... come sichiama il padre?"

"PadreCristoforo".

"PadreCristoforo ella ci vorrebbe ricondurre a vivere di ghiande. Senzasfide e senza bastonate! sarebbe un bel mondo! impunità pertutti i paltonierie il punto d'onore andato. Ma scommetto che ilPadre ha voluto scherzare perché sa benissimo che la suasupposizione è impossibile".

DonRodrigo il quale non vedeva volentieri che il suo schiamazzatorecugino facesse tante questioni col podestà che gli premeva ditenersi amicoapprofittò della sentenza del padre Cristoforoper divertire il discorso dalla questionee rivolto al dottore conaria di protezione e di scherno.

"Oh"disse"voi dottore che siete famoso per dar ragione a tuttivediamo un po' come farete per dar ragione in questo al padreCristoforo".

"Inverità"rispose il dottorerivolgendosi al padre"ionon so intendere come il padre Cristoforoil quale è insiemeil perfetto religioso e l'uomo di mondonon abbia posto mente che lasua sentenzabuonaottima e di giusto peso sul pulpitonon valnientesia detto col dovuto rispettoin una disputa cavalleresca:perché ogni cosa è buona a suo luogo: ma credo anch'ioche il padre Cristoforo ha voluto terminare con uno scherzo ingegnosouna questione broccardica".

IlPadre Cristoforo non risposee perché come è facileindovinarlo era stomacato da lungo tempo della disputa e deidisputantie perché sapeva che il dottore non si curava diesser persuaso: e finalmente perché sarebbe stato impacciato arispondere; giacché quantunque nel suo cuore egli pensasseveramente ciò che avevano espresso le sue parole; le ragionidella sua sentenza erano tanto lontane dalle idee di quel tempoch'egli stesso avrebbe durato fatica a trovarle.

Ildottore il quale vide che i due litiganti stanchi di avere impiegatala bocca in parole si erano rimessi a guadagnare sul piatto il tempoperdutoe temendo che non si valessero delle forze riacquistate perricominciare una guerra nella quale egli era già compromessopensò di toccare un'altra materiae disse: "Del restosignori miei giacché si è parlato di cavalierispagnuoli e di cavalieri milanesio viceversagiacché ho uneguale rispetto per gli uni e per gli altri; credo che presto vedremoanche dei cavalieri alemannise le notizie che girano sono fondatecosa che loro signori sapranno meglio di me".

"Lelettere ch'io ricevo da Milano"rispose Don Rodrigo"midanno che è voce comune che gli alemanni ottengono ilpassaggio per andar contro Mantovae che pur troppo si crede che ilpassaggio sarà per di quigiacché i comaschi muovonocielo e terra per fare a noi questo regalo..."

"Nonsi sturbinon si sturbi..." rispose sorridendo il podestà:"non verranno alemanni né a Comoné qui".

"Edio le dico" ricominciò il Conte Orazio"che siassicura che sono già in marcia per Lindòe si nominail generale che sarà il celebre Conte di Colaltoe che si dàla nota dei reggimenti fra i quali vi è quel rinomatissimoreggimento dei più scelti e forbiti diavoli in carne cheabbiano mai portato moschettoil reggimento del famoso principe diValdistanoo Vallistai come lo chiamino..."

"Ilnome legittimo in lingua alemanna"interruppe il podestà"è Vagliensteinocome l'ho inteso più volteproferire dal nostro signor comandante spagnuolo".

"Ebbeneil reggimento di Vaglien... quello che è: e oltre di questo viè il reggimento di Galassodel Barone Aldringhen ed altrisimilitutta gente che ha combattuto contro i Luteranie che non hatimor di Dio né degli uominie che dove passa non lascia unfilo d'erba".

"Perme"riprese Don Rodrigo"non ho voglia di aspettarli quie" continuò sogghignando verso il Conte Orazio"senon avessi un affaruccio da sbrigaresarei già a Milano".

"Ilvostro affare è già bell'e disperatoe se non avetealtro potete partire".

"Voivorreste aver guadagnata la scommessa; ma pianocaro miose glialemanni non vengono in questi giornila scommessa la pagherete".Queste parole e il sorriso infernale con cui furon dette e rispostefurono un lampo pel padre Cristoforo il quale s'accorse fremendo etremandoche l'oggetto della scommessa doveva essere l'innocenteLucia. Il dottore intese forse quanto il padrema non tremòné fremèné fece vista di nulla.

"Attendaa tutto bell'agio ai suoi affarisulla mia parola signor Don Rodrigoe non pensi a privarci della sua rispettabile persona; che giàgli alemanni non sognano nemmeno di passare per di qua. Per mettereil piede sul nostro territorio che ha l'onore di appartenere allamonarchia spagnuolabisogna ottenere il permesso del re CattolicoDon Filippo Quarto nostro signore che Dio guardi. Ora il permesso achi tocca concederlo o negarlo? Niente meno che al Conte Ducaalgran d'Olivaresa quel modello dei politicia quell'uomo che si puòchiamare il favorito dei principi e il principe dei favoriti. Orapensino le signorie lorose un Olivares vuol permettere ilpassaggio..."

"Male dico che si radunano a Lindò..."

"Appuntoquesto è quello che mi persuade di più che nonpasseranno in Italia. Certe cose io le so dal nostro signorcomandante spagnuoloil quale si degna - brav'uomo! -di trattenersi meco con qualche confidenza. Sapranno ch'egliè un figliuolo d'un creato del Conte Ducae che sa qualchecosa di questo gran ministro. Ebbene fra le strepitose doti del ConteDuca la più strepitosa forse è quella di sapernascondere i suoi disegni: di modo che quegli stessi che lo servonopiù da vicinoquegli che scrivono i suoi dispacci non sannomai che cosa passi in quella testae molte volte anche dopo che unaffare è stato conchiusonessuno ha potuto indovinare qualeera in esso l'intenzione del Conte Duca. È una volpecoldovuto rispettoun furbo che farebbe perder la traccia a chichessia;e quando accenna a destra si può esser certi che batteràa sinistraed è perciò che nessuno può maiindovinare quello ch'egli sia per risolvere. Onde quand'io veggotruppe alemanne venire alla volta d'Italiatanto più dicoche sono destinate per altra parte; perché chi regola tuttoanche fuori della monarchia è il Conte Duca; che ha le manilunghe quanto la vista".

"Maper dove crede lei che siano destinate tutte queste truppe?"

"Perdove? non per l'Italia certo. Potrebbero esser destinate a gettarsinella duchea di Borgogna per far diversione ai francesii quali(tutto per invidia del Cardinal di Riciliù contro il ConteDucaperché vede benissimo che non può competere conquella testa) i quali francesi dico per invidia soccorrono gliolandesi che si trovano all'assedio di Bolduc. E questa congetturaper dir tuttola tengo dal signor comandante spagnuolo".

"Masappia signor podestà che le notizie che noi abbiamo daMilanovengono da personaggi in confronto dei quali..."

"Viaviacugino"interruppe Don Rodrigo "che il signor dottoreè impaziente di dare egli una decisione questa volta".

"Iodecido e sentenzio"disse il Dottore"che le cene diEliogabalo sarebbero vinte al confronto dei pranzi del nobile signorDon Rodrigoe che la carestia non ardisce approssimarsi a questacasa dove regna la splendidezza sua capitale nemica".

Tuttifecero plauso al dottore e viva a Don Rodrigo; e tutti subito simisero a parlare della carestia. Qui tutti furono d'una solaopinione; ma il fracasso era forse più grande che se vi fossestato disparere: giacché tutti esprimevano energicamente lastessa opinione con diverse frasima tutti in una volta. "Carestia!"diceva uno"non c'è carestia sono gli accapparratoribirbanti". "I fornaji fornaj" gridava un altro."Impiccarli! dei buoni esempjsenza pietà. E queibirboni impostori che con un'aria pietosa hanno la sfrontatezza didire che il pane è caro perché il raccolto èstato scarsoe che il grano manca! Impiccarliimpiccarli! sono ipeggiori: tutte invenzioni per nascondere gli accapparramenti".

"Hannodetto che non vogliono vendere finché un terzo degli abitantinon sia morto di fame e il frumento non costi cento lire al moggio.Oh scellerati! impiccarli!"

"Ilgrano c'è: questo è un fatto innegabile: dunque bisognafarlo saltar fuori: e il mezzo è pronto: impiccare quelli chelo nascondono".

"Dov'ètutto il male? nella carezza del pane: e chi lo vende caro? i fornaj:e per farli mutar vezzoimpiccarne uno o due".

"Ehci vuol altro che uno o due: sono tutti birbanticol pelo sul cuore.Impiccarliimpiccarli!" Chi ha mai intesa e goduta l'armoniache fa in una fiera di campagnauna troppa di cantambanchiquandoprima di spiegare i suoi talenti dinanzi al rispettabile pubblicoognuno accorda il suo stromentofacendolo stridere più forteche può affine di poterlo sentire in mezzo al romore deglialtriche procura di non ascoltares'immagini che tale fosse laconversazione di economia politica dei nostri commensali. In mezzo aquesto trambusto vennero i servi a torre le mensericevendo e dandourtoni e gomitate: quindi si pose sul desco molle un gran piattopiramidale di marroni arrostitie si portarono fiaschi di vino piùprelibato di quello che in Lombardia si chiama vino della chiavettae del qualeper un privilegio singolareogni proprietario ha sempreil migliore del contorno. Gli elogj del vinocom'era giustoebberouna parte della conversazionesenza però cangiarla del tutto:il gridio continuò per una buona mezz'ora: le parole che sisentivano più spesso erano ambrosia e impiccarli.Finalmente Don Rodrigo si alzò e con esso tutta la rubicondabrigata: e Don Rodrigofatte le sue scuse agli ospitisi avvicinòal padre Cristoforoe lo condusse seco in una stanza vicina.



Cap.VI

PEGGIOCHE PEGGIO

Ognunopuò avere osservato chedalla peritosa sposa di contado finoa... fino all'uomo il più disinvolto e imperturbabilee perdirla in milanese il più navigatotutti hanno certi lorogesti famigliaricerti moti insignificanti dei quali fanno uso quasiinvolontariamente quandotrovandosi con persone colle quali nonsieno molto addomesticatinon sanno troppo che direo aspettano ilmomento di dir cosa la quale non è attesa né saràmolto gradevole a chi deve intenderla. La differenza che passa tragl'intrigati e i navigati (son costretto a prendere entrambi ivocaboli dal dialetto del mio paeseil quale non manca d'uominidell'una e dell'altra specie) la differenza è che i primi coiloro moti incertie vacillanti e goffi mostrano sempre più illoro imbarazzoe vi si vanno sempre più affondandomentrenegli altri questo disimpegno è nello stesso tempo unesercizio di eleganza e di superiorità. Tutte le classi hannouna provvisione particolaree caratteristica di questi attiequesta distinzione era più osservabile nei tempi in cui leclassi erano più distinte per abitudinie anche pel costumedi vestireil quale si prestava naturalmente ad usi diversi diquesto genere. Si potrebbe qui fare una erudita enumerazione diquesti gesticominciando dai personaggi più celebri e dallecondizioni più note degli antichi romanio anche degli Egizjma sarebbe troppo provocare l'impazienza del lettore avido certamentedi seguire la nostra interessante storia. Diremo soltanto che gliatti più usuali dei cappuccini per avere come dicono ifrancesi une contenanceerano di accarezzarsi la barbadifare scorrere il berrettino innanzi indietro dal sincipiteall'occipitedi porre la mano destra nella larga manica sinistra eviceversao di stirarsi il cordoneo di palpare ad uno ad uno igrossi paternostri del rosario che tenevano appeso alla cintola.Questa ultima operazione appunto faceva il Padre Cristoforo quando sitrovò da solo a solo con Don Rodrigo; di modo che si avrebbecreduto che vi ponesse molta occupazionema il lettore sa che ilbuon padre era preoccupato da tutt'altro. Del contegno di Don Rodrigonon occorre parlaregiacché ognun sa che nessuno ètanto scioltofrancosgranchiatoquanto un ribaldo dopo un buondesinare. Stava egli però con qualche curiosità e conqualche sospetto di quello che il padre fosse per dirglisospettoche il contegno un po' irresoluto del padre aveva quasi cangiato incertezza. Gli accennò con sussiego che sedessesi pose eglipure a sederee ruppe il silenzio con queste parole:

"Inche posso obbedirlapadre?"

Questoera il suono delle parolema il modo con cui erano proferite volevadire chiaramente: fratebada a chi tu parlie a quello che dirai.

Iltuono insolente di quest'invito servì mirabilmente a togliereogni imbarazzo al padre Cristoforo; perché risvegliandoquell'uomo vecchio che il padre non aveva mai del tutto spogliatomise in moto quello che v'era in lui di più franco e di piùrisoluto: cosicché invece di farsi animo dovett'egli frenarel'impeto che lo spingeva a rispondere sullo stesso tuonoper nonguastare l'opera delicata che stava per intraprendere.

Ondecon modestama assoluta franchezzarispose:

"SignorDon Rodrigo il mio sacro ministero mi obbliga a passare un officiocon Vossignoria. Io desidero ardentemente che nessuna mia parolapossa spiacerle: e per antivenire ad ogni disgusto debbo assicurarlache in tutto quello ch'io sono per dire io ho di mira il bene di leiquanto quello di qualunque altra persona".

DonRodrigo non rispose che allungando il voltostringendo le labbraaggrottando le cigliae dando ai suoi occhi una espressione ancorpiù minacciosa e sprezzante. Il Padre fece le viste di nonavvedersenee continuòcon qualche esitazioneperchéle parole ch'egli stava per proferire non esprimevano veramentequello ch'egli sentiva:

"Qualchetristi hanno abusato del nome di Vossignoria illustrissima perminacciare un parrocoed atterrirlo dal fare il debito suoesopraffare indegnamente due poveri innocenti. Vossignoria puòcon una parola confondere questi ribaldidisingannare quelli chepotessero aver dato fede alle loro parolee sollevare quelli che nepatiscono. Lo puòe ardisco dirlelo deve. La sua coscienzala sua sicurezzail suo onore sono interessati in questo sciaguratoaffare".

"Dellamia coscienzapadrenon mi si deve parlare che per rispondermiquando mi piaccia di parlarne; la mia sicurezza... ma non possocredere ch'ella abbia avuta l'intenzione ardita di farmi unaminaccia; e suppongo che questa parola le sia sfuggita senzariflessione. Quanto al mio onoreio potrei esser grato a chi nesente premura in cuor suoma sappia che ne ho la cura ioe chechiunque osa prendersi questa cura per meio lo riguardo come coluiche lo offende".

Lafredda ed altiera impudenza di Don Rodrigo avrebbe fatta perder laflemma al Padrese questi non ne avesse fatta una provvisione pertrenta annie se non fosse stato compreso dell'importanza delnegozio che stava trattando. Con questo pensieroriprese: "SignorDon Rodrigo: sa il cielo se io ho disegno di spiacerle: ella pure losa: non volga in ingiurie quello che mi detta la caritàsìuna umile carità: con me ella non potrà venire aparoleio son disposto ad ingojare tutto quello che le piacesse didirmi: ma per amor del cieloper quel Dio innanzi a cui dobbiamotutti comparire (così dicendo il padre aveva preso fra le manie poneva dinanzi agli occhi di Don Rodrigo il teschietto di legno cheera appeso in capo al suo rosarioe che i cappuccini portavano perun ricordo continuo della morte) per quel Dionon si ostini a volereuna miserauna indegna soddisfazione a spese dell'anima suae dellelagrime dei poverelli: pensi che Dio gli ha cari come la pupilla deisuoi occhje che le loro imprecazioni sono ascoltate lassù:risparmi l'innocenza e la..."

"PadreCristoforo"interruppe bruscamente D. Rodrigo: "ilrispetto ch'io porto al suo abito è grande; ma se qualche cosapotesse farmelo dimenticaresarebbe il vederlo in dosso ad uno cheardisse di venire a farmi la spia in casa".

Questaparola fece salire una fiamma sulle guance del frate: ma fatti tuttii vezzi d'un uomo che tranghiotte in fretta una amarissima medicinaegli rispose: "Lo dica purepurché non lo creda; e giànon lo crede. Ella sa che le ingiurie che io posso ascoltare perquesta causa non mi avvilisconoella sa che il passo che io faccioora non è mosso da fini spregevoli: ella non mi disprezza inquesto momento. Faccia Dio che non venga un giorno in cui ella sipenta di non avermi ascoltato. Non metta la sua gloria nel... Qualgloriasignor Don Rodrigo! Qual gloria dinanzi agli uomini! Edinanzi a Dio! Fare il male è concesso sovente all'ultimodegli uomini: il più vile dei banditi può far tremare.Non v'è disonore a ritrarsi dalla iniquità: la codardiasta nel fare delle azioni inique per timore di scomparire dinanzi aitristi. Signor Don Rodrigole parole ch'io proferisco ora dinanzi alei sono numerateun giorno le potrebbero esser fatte scontare aduna ad una da Colui che me le ispira".

"Saella"disse interrompendo con istizza ma non senza qualcheraccapriccio Don Rodrigo"sa ella che quando mi viene ilghiribizzo di sentire una predicaio so benissimo andare in chiesacome fanno gli altri? Ma in casa mia. Oh!" e continuò conun sorriso affettato"io non posso lagnarmi di Dio che m'abbiafatto nascere in basso luogoma ella mi tratta per da più cheio non sono alla fine. Il predicatore in casa! non l'hanno che iprincipi regnanti".

"Equel Dio che domanda conto ai principi della parola che fa lorointendere nelle loro reggiequel Dio le fa ora un tratto dimisericordia mandando un suo ministroindegno e miserabilema unsuo ministroa pregare per una innocente..."

"Insommapadre"disse alzandosi dispettosamente Don Rodrigo; "ionon so quello ch'ella mi voglia dire: io non capisco altro se non chevi debb'essere qualche fanciulla che le preme assai: vada a fare lesue confidenze a chi le piace; e non si permetta di seccare piùa lungo un gentiluomo".

IlPadre Cristoforo vedendo Don Rodrigo alzarsicome perduta lapazienzatemè che questi rompesse affatto il discorsoelevatosi egli pure col maggior garbo che potèe con ariaquasi supplichevoledissimulando quello che potevano avere difrizzante le parole che aveva inteserispose: "Sì la mipreme; ma non più di lei: io veggio in entrambi dei fratellidi redenzionee delle anime che mi sono più care del miosangue. Don Rodrigo io sono un nulla dinanzi a leima il miorispettoma la mia riconoscenza potranno forse valere qualche cosaper la intensità loro se non per la mia persona. Non mi dicadi no: salvi una innocenteuna sua parola può far tutto".

"Ebbene"disse Don Rodrigo"giacch'ella crede ch'io possa far molto perquesta persona; giacché questa persona le sta tanto acuore..."

"Ebbene?"riprese ansiosamente il Padre Cristoforo al quale l'atto e ilcontegno di Don Rodrigo non permettevano di abbandonarsi allasperanza che parevano annunziare le sue parole.

"Ebbene"proseguì Don Rodrigo: "le consigli di venirsi a metteresotto la mia protezione. Non le mancherà più nullaenon son cavalierese alcuno ardisce inquietarla".

"Lavostra protezione!" riprese il padre Cristoforodando indietrodue passiappoggiandosi fieramente sul piede destroe mettendo ladestra sull'ancalevando la manca coll'indice teso verso donRodrigoe piantandogli in faccia due occhi infiammati: "lavostra protezione! bene sta che abbiate parlato così; cheabbiate fatta a me una tale proposta. Avete colma la misurae non vitemo più".

"Comeparlifrate?..."

"Parlocome si parla a chi è abbandonato da Dioe non può piùfar paura. La vostra protezione! Io sapeva che Lucia era sotto laprotezione di Dio: ma voivoi me lo fate sentire ora con tantacertezzache non ho più bisogno di riguardi a parlarvene.Lucia dico: vedete come io pronunzio questo nome colla fronte altaecon gli occhi immobili".

"Inquesta casa..."

"Hocompassione di questa casa: ella è segnata dalla maledizione.State a vedere che la giustizia di Dio avrà rispetto a quattropietre e a quattro scherani! Voi avete creduto che Dio abbia fattauna creatura a sua immagine per darvi il diletto di tormentarla! voiavete creduto che Dio non saprebbe difenderla! Vi siete giudicato. Neho visti di più potentidi più temuti di voi; e mentreagguatavano la loro predamentre non avevano altro timore che divederla fuggirela mano di Dio si allungava in silenzio dietro alleloro spalle per coglierli. Lucia è sicura di voive lo dicoio povero fratee quanto a voiricordatevi che verrà ungiorno..."

DonRodrigo che combattuto tra la rabbiae il terrore non trovava paroleper risponderequando sentì che una predizione stava pervenirgli addossoprese la mano tuttavia alzata del padreecoprendogli la voce gridò:

"Levamitidinanziplebeo incappucciatopoltrone temerario".

Questeparole così chiare acquietarono in un momento il padreCristoforo. All'idea di strapazzo e di villania era nella sua mentecosì benee da tanto tempo associata l'idea di sofferenza edi silenzioche a quel complimento gli cadde ogni spirito d'ira e dientusiasmoe non gli restò più altro da fare che diudire tranquillamente quello che piacesse a Don Rodrigo diaggiungere. Onderitirata placidamente la mano dagli artigli delgentiluomoabbassò il capo e rimase immobilecome quando nelforte della burrasca il vento cadeun'antica pianta ricomponenaturalmente i suoi rami e riceve la gragnuola come la manda ilcielo.

"Villanrifatto!" proseguì Don Rodrigo: "cosìrimeriti accoglienze alle quali non sei avvezzoe che non son fatteper te: ma tu adoperi da par tuo. Ringrazia quel sajo che ti coprequelle spalle di paltonieree ti salva dalle carezze che si fanno aipari tuoi per insegnar loro a parlare. Esci colle tue gambe perquesta volta; e la vedremo".

Cosìdicendoaccennò una porta opposta a quella per cui eranoentrati: il padre Cristoforo chinò il capocome salutandoese ne uscì per quellatranquillamentelasciando don Rodrigoa misurare a passi concitati il campo di battaglia.

Nonè da credere che l'animo del buon frate fosse pacato come ilsuo aspetto; ma in mezzo al turbamento naturale nelle suecircostanzeegli sentiva più di fiducia che non ne avesseprima di quell'infelice colloquio. Le parole di sicurezza ch'egliaveva dette a Don Rodrigonon erano state un'arte per atterrirl'avversario: esprimevano un sentimento sincero e distinto. Glipareva che la superbia e l'iniquità di Don Rodrigo fosserosalite a quell'altezzadove la provvidenza le arrestae le rovina.Questi calcoli riescono spesse volte fallacie l'ingiustizia aquesto mondo talvolta salesalesalequando si crede che giunta alcolmonon possa che precipitare: ma Fra Cristoforo la pensava cosìcome abbiam detto; e sperava più che mai che la cosa siterminerebbe con una uscita inaspettata e favorevole all'innocenza.Ma quale uscita? Non avrebbe egli saputo dirlo: ma credevaconfusamente che una se ne troverebbe.

Quand'ebbechiusa dietro sè la portieravide nella stanza dov'entravaeche riusciva nel cortilevide una persona che si andava tirando pianpiano dietro la parete come per non esser veduta dalla stanza delcolloquio; e s'accorse che era un servo il quale era stato adorigliaree continuò a camminare senza far vista di nullaper uscir nel cortile. Ma il servo fattosigli vicino gli dissesottovoce: "padreho inteso tuttoe le vorrei parlare".

"Ditetosto".

"Nonposso qui: guai se il padrone o altri mi sorprende. Ma io so tantecosee non mi regge la coscienza né il cuore... Vedròdi venir domani al suo convento".

"Diovi benedica; ma intanto?"

"Nonsi farà nulla prima. Vada vada".

"Diovi ricompenserà: io non uscirò domanie mi troveretecertamente".

"Vadavada per amor del Cieloe non mi tradisca".

Ilvolto del buon frate rispose a queste parole più chiaro chenon avrebbe potuto qualunque discorso; il servo rimasee il padreuscì nel cortilequindi nella viae respirò piùliberamente quando si vide fuori di quella caverna. L'inaspettataproposta del servo confermò e crebbe la sua fiducia. -Eccodiss'egli tra sèun filo che la provvidenza mipone in mano. - Così pensando guardò inalto e vide che il sole era poco discosto dalla cima del monte; e chenon rimaneva che un'ora e mezzo di giorno. Allora benchéaffaticato per la via che aveva già fattoe per quello cheaveva detto e intesostudiò il passo affine di poterriportare un avviso qual ch'e' fosse alle donnecome aveva promessoe trovarsi al convento prima di sera. Era questa una delle leggi piùsevere del codice fratesco: e le trasgressioni erano punite conrigoree talvolta le recidive con crudeltàperchéoltre la disciplinal'onore del convento era interessato a preveniredelle assenze che avrebbero fatto dire Dio sa che. Al qual propositosi può osservare che ogni volta che gli uomini hanno potutodividersi in classiin crocchiin picciole societàe farsileggi particolariper lo più invece di approfittare di questaesenzione dalle leggi comuni per istabilire una certa condiscendenzautile a tutti i contraentihanno aguzzati gl'ingegni per trovarerigori e pene più raffinate: di modo che parrebbe quasi chetormentare altrui sia più dolce che assicurar se stesso.

Manella casetta di Lucia dal momento che il padre ne era partito non siera stati in ozio: si eran messi in campo e ventilati disegni deiquali è necessario informare il lettore. Partito il padreFermo e Lucia stavano in silenzio osando appena di sogguardarsi ditratto in trattoe non si parlando che con sospiri: poiché lesperanze che avevano nella spedizione del buon padre erano tantoleggere e indeterminateche temevano entrambi di farle svanire colcomunicarle.

Luciaandava tristamente ammanendo il desinaree Fermo stava in tra duevolendo ad ogni momento partire per togliersi dallo spettacolo diLucia così accoratae non sapendo staccarsi. Ma Agnese dopoaver meditato un pocodopo aver più volte risposto a sestessa di sì col capocon una voce piena di pensiero ruppe ilsilenzio e disse: "Sentitefigliuoli. Se aveste coraggio edestrezza quanto è di mestierise vi fidate di vostra madre(quel vostra fece trasalire Lucia) io m'impegnerei a cavarvidi questo impicciomeglio forse e più presto del padreCristoforocon rispetto del suo studio".

Luciasi fermò sui due piedi con più ansia che speranza inuna promessa tanto magnifica; e Fermo: "Coraggio!" disse:"destrezza! ditedite quel che si può fare".

"Nonè vero"proseguì Agnese"che se voi fostemaritatiil punto principale sarebbe vintoche a tutto il rimanentevi sarebbe rimedio?" "Oh maritati" rispose Fermo: "epoi quel che Dio vuole". Lucia non aperse bocca; ma un rossoreche le velò tutta la faccia parve ripetere parola per parolaciò che Fermo aveva detto.

"Maritatiche foste"continuò Agnese"coi pochi risparmi diFermoe coi nostricolla nostra poca abilitàpossiamovivere anche via di qui: per me non ho che questa poveretta al mondoe grazie al cielo non vi sarei di pesogiacché il pane me loguadagno. Lontani dalla persecuzione di questo tiranno senza timor diDionoi potremmo far casae vivere in santa pacenon èverofigliuoli?"

"Sicuro"rispose Fermo"ma tutto sta nell'essere maritati".

"Ebbenecome vi ho dettocoraggio e destrezza; fare quello che vi diròioe la cosa è facile".

"Facile!"dissero ad una voce quelli per cui la cosa era divenuta tantostranamentee dolorosamente difficile.

"Facilea saperla fare"; replicò Agnese. "Bisogna fare unmatrimonio gran destino". - La buona donnavoleva dire clandestino.

"Cospetto!"disse Fermo: "mi par bene di avere inteso altre volte questaparolama non so che cosa voglia dire. Ma come fare il matrimonio seil curato non vuole? Senza il curato non si può fare".

"Bisognache il curato ci siae questo è facilema non fa bisognoch'egli vogliache è il punto".

"Spiegatevimeglio".

"Eccocome si fa. Bisogna aver due testimonidestri e ben informati. Si vadal parroco. Lo sposo dice: - Signor curatoquesta èmia moglie: - la sposa dice: Signor curatoquesto èmio marito: - il parroco sentei testimonj sentonoeil matrimonio è fattoe sacrosanto come se lo avesse fatto ilpapa. Ma bisogna che il curato sentache non v'interrompaperchése ha tempo di fuggire prima che tutto sia dettonon si èfatto niente. Bisogna dire in frettama chiarosentite: come faccioio: - questa è mia moglie: questo è miomarito: - (e faceva mostra di una volubilità dilingua che in verità possedeva in un modo singolare). Quandole parole son proferiteil curato può strillarestrepitarefare quello che vuolesiete marito e moglie".

"Possibile!"sclamò Lucia.

"Ohvedete"disse Agnese "che nei trent'anni che sono stata almondo prima di voi altrinon avrò imparato niente. La cosa ècerta e una mia amica che voleva pigliar marito contra la volontàdei suoi parentiha fatto così. Poveretta! che arte ha usataper riuscirviperché il curato stava sull'avvisoma hasaputo cogliere il momentoha pigliato colui che volevae se ne èpentita tre giorni dopo".

"Sefosse veroLucia!..." disse Fermoriguardandola con aria diuna aspettazione supplichevole.

"Come!se fosse vero"ripigliò Agnese: "Io mi cruccio pervoie non son creduta. Bene bene; cavatevi d'impiccio come potete:io me ne lavo le mani".

"Ahno! non ci abbandonate"disse Fermo.

"Nono": riprese Agnese: "me ne lavo le mani: sentiteio sondonna che sopporto ogni cosa per quelli a cui voglio benema nonvoler credere alle mie parolee non voler fare quello che dico io;questo non lo posso sopportare".

Chiavesse tentato direttamente con preghiere di smuovere Agneseirritataavrebbe facilmente avuto da fare per molto tempo: ma Luciaottenne l'effetto in un momentosenza porvi astuziafacendo unaobbiezione:

"Maperché dunque"diss'ella"questa cosa non èvenuta in mente al Padre Cristoforo?" Questa interrogazioneimpegnò la buona Agnese a risponderee a giustificare il suoassunto.

"Bisognasaper tutto"diss'ella. "Al Padre Cristoforo che ne samolto più di mela cosa sarà venuta in mente prima chea me: ma io so bene perché non ne avrà voluto parlare".

"Perché?"domandarono i due giovani.

"Perché?...perché... i religiosi dicono che è una cosa che nonistà bene".

"Comepossono dire che non istia benequando dicono che non si puòdisfare"disse Fermo.

"Senon istà bene"disse Lucia"non bisogna farla".

Perrispondere a Fermo era necessario un ragionamento troppo sottile perAgnese: si volse ella adunque a Luciae disse: "Non bisognadirla prima di farlaperché allora sconsigliano: ma quandosarà fattache cosa vuoi che ti dica il Padre Cristoforo? -Ah figliuola è stata una scappatanon me ne tornatea fare una simile! - Tu gli prometterai di nontornarvi: non è vero? non son cose che si facciano due volte.E allora il Padre Cristoforo ti assolverà".

Lucianon si mostrava convinta di questo raziocinio; ma Fermo tuttorincorato disse: "Ebbene quand'è così la cosa èfatta. Luciavoi non mi verrete menonon mi avete voi promessod'esser mia? Non abbiamo noi fatto ogni cosa da buoni cristiani? E senon fosse stato questo... non saremmo noi marito e moglie?"

"Fatta!fatta!" disse Agnese: "adagio. E i testimonj? E trovare ilmodo di acchiappare il signor curatoche da due giorni se ne starincantucciato in lettoe che quando vi vedesse comparire a unmiglio di distanzascapperebbe come il diavolo dall'acqua santa?"

"Hotrovato il modo; l'ho trovato"disse Fermobattendo il pugnosulla tavola e facendo trasalire e fremere le stoviglie apparecchiatepel desinare: "l'ho trovato. Vadoe torno. Bisogna ch'io parlicon Toni; e se posso acconciare la faccenda con luil'èfatta; e vengo subito ad informarvene".

"Maditemi prima quello che intendete di fare" disseprecipitosamente Agnesealla quale pareva pure di dover esserconsultata la prima.

"Nonho un momento da perdere: bisogna ch'io lo colga in casa a quest'ora:altrimentichi sa se potrei trovarlo. Vado e tornoper sentire ilvostro parere; senza il vostro parere non si farà nulla. CaraAgneseio vi considero come se foste la madre che ha patito: sononelle vostre mani. Persuadete Lucia". Così detto sparì.

Nonci voleva meno di queste parole perché Agnese perdonasse aFermo di farle aspettare una confidenza e di intraprendere qualchecosa senza il suo consiglio.

"Ragazzo!"diss'ella quando fu partito "purché non me ne faccia unae non mi guasti tutto. Basta: mi ha promesso di non far nulla senzala mia licenza".

Necessitàcome si diceassottiglia l'ingegno: e Fermo il quale nel sentieroretto e facile di vita che aveva percorso fin allora non aveva maiavuto occasione di far molto uso della sua penetrazionene pensòin questo caso unache avrebbe fatto onore ad un giurisperito. Corsealla casetta di Toniola quale era nel villaggio dove risiedeva ilparrocoa forse trecento passi di distanza dalla abitazione diLucia. Quando Fermo entrò nella cucinala mogliela vecchiamadre di Tonio stavano sedute alla mensae tre o quattro figli rittiintorno aspettando il desinare che Tonio stava cucinando. Ma non sivedeva sui volti quell'allegria che ordinariamente anche i poverellimostrano in quel momento: la carestia aveva costretti i poverelli aduna sobrietà ancor più rigida che per l'ordinarioetutti cogli occhi fissi sulla pentola nella quale Tonio tramestavaaccidiosamente una bigia polenta di fraina (o se volete di poligonumfagopyrum ) pareva che invece di rallegrarsi della vista deldesinare pensassero tristamente a quella buona parte di appetito cherimarrebbe intatta dopo sparecchiato. In quel momento Tonio riversòla polenta sulla tafferia di faggio che stava appronta a riceverlaeil largo orlo che rimase vuoto all'intorno fece ancor piùchiaramente risaltare la povertà del convito. Nullameno ledonne rivolte cortesemente a Fermogli dissero se voleva restarservito: complimento che il contadino di Lombardia non lascia maidi fare quando mangia seduto sulla sua porta a chi s'abbatte apassarvi quand'anche stesse mangiando l'ultimo boccone del suopiatto. "Vi ringrazio"rispose Fermo: "io vengo perdire qualche cosa a Tonio; e se vuoi Tonioper non incomodare le tuedonne vieni a pranzar meco all'osteriae parleremo". Laproposta fu per Tonio tanto gradita quanto meno aspettata; e le donneche in un'altra occasione forse avrebbero avuto che dire su questapartita videro con piacere che si scemasse alla polenta unconcorrentee il più formidabile. Tonio non domandòaltroe partì con Fermo.

Giuntiall'osteria del villaggioseduti a tutto loro agio in una perfettasolitudine giacché la miseria aveva fatti sparire tutti ifrequentatori di quel luogo di deliziefatto recare quel poco che sitrovavavuotato un boccale di vinoFermo con aria di mistero dissea Tonio: "Se tu vuoi farmi un picciolo servizio; io posso evoglio farne uno grande a te".

"Parlaparlacomandami pure"rispose Tonioversandosi da bere"oggiandrei nel fuoco per te".

"Tusei in debito di venticinque lire col signor curato per fitto del suocampo che lavoravi l'anno passato".

"Tusei sempre stato un martorelloFermo: non sai che all'osteria non sifa menzione di debiti? Eccoio mi sentiva una voglia che sareiandato nel fuoco per tema con questo discorso tu mi hai fattopassare tutta l'allegriae quasi non ti son più obbligato".

"Seti parlo del debito"rispose Fermo "è per darti ilmezzo di soddisfarlo. Eh! non ti farebbe piacere? saresti contento?"

"Contento?per diana se sarei contento. Non pel curato vedi: ma per togliermi laseccatura: se la faccenda continua così non potrò piùandare alla Chiesa: non mi vede una volta che non me ne gitti unmottoo almeno almeno non mi faccia un cenno con quella sua bruttacera. E poi e poiegli si tiene in pegno la collana d'oro di miamoglie; e prevedo che quest'inverno se l'avessila cangerei in tantapolenta; non in vino"e qui fece un sospiro"in polenta.Ma..."

"Mama; se tu mi vuoi rendere un servizioio ti darò leventicinque lire".

"Ilservizio è fatto" rispose Tonio; "non fa nemmenobisogno che tu mi dica che cosa è".

Fermogli fece promettere sul bicchiere il segretoe continuò:

"Tusai che io sono promesso a Lucia Zarella. Il curato mi va cercandocento scuse magre per tirare in lungo: io vorrei spicciarmi. Mi hannomò detto che presentandomi al curato con due testimonjedicendo io: questa è mia mogliee Lucia: questo è miomaritoil matrimonio è bell'e fatto. M'hai tu inteso?"

"Tuvuoi ch'io venga per testimonio?"

"Appunto".

"Ilmatrimonio è fattoè fatto"rispose Toniobaldanzosamenteversandosi un altro bicchiere di vino. "Cosìvi fossero molti tribolati come tee in caso di spendere venticinquelire".

"Mabisogna che tu mi trovi un altro testimonio".

"Bisognache lo trovi io ah? io perché son più destro di te.Bene è trovato. Quel martoraccio di mio fratello Gervasofaràquello che gli dirò io: basta che tu mi dia tanto ch'io glipossa pagar da bere; perchéa questo mondoniente perniente: è un proverbio che lo sa anche Gervasolo sanno anchequelli che non sanno dire il Credo".

"Faròdi più"disse Fermo"lo condurremo qui a stareallegro con noi".

"Benone"rispose Tonio.

Fermopagò lo scottoed uscirono quindi entrambi pieni di speranza;Fermo avvisò il compagno che si tenesse pronto per l'indomanisull'imbrunire; gli raccomandò di nuovo il segretoquindi siavviò alla casa di Luciae Tonio alla sua cantando ad altavocecome non aveva più fatto da molti mesi.

Main questo frattempo Agnese aveva penato in vano a persuadere Lucia.In tutto il tempo del desinare (il quale non era grazie a Dio piùscarso dell'ordinarioperché tanto le donnequanto Fermoerano dei più agiati del contorno) e dopo quando le furonoritornate all'aspoAgnese pose in opera tutta la sua eloquenzamainvano.

Luciarispondeva sempre con un dilemma senza però saperlo presentarein forma: "O si può fare"diceva"e perchénon dirlo al padre Cristoforo? o non si può faree non sideve fare". Non già che questo rifiuto non fosse piùamaro a Lucia che lo proferiva che alla madre; ma Lucia non avrebbevoluto per nulla al mondo far contra la sua coscienza. "Abbiamobisogno più che mai"diceva ancora"dell'ajuto diDioe se facciamo ciò che non istà benecome lopotremo sperare?" Così spesero tutto quel tempo inargomentazioni; e uno che le avesse intese disputaree tornar dacapo ognuna a ripetere le stesse ragioniavrebbe potuto credere chela fosse controversia fra due dottipiuttosto che disputa fra duedonnicciuole.

Fermogiunse che si disputava tuttavia. Ma Agnesealla quale allorapremeva più di sapere che di parlare"ebbene Fermo"disse"avete trovato il bandolo? Ditevediamo un po'".

Fermosnocciolò tutto il disegno; e terminò con un "ahn!"interiezione milanese la quale significa: sono o non sono un uomo? sipoteva trovar di meglio? ve lo sareste aspettato? e cento altre cosesimili.

Agnesecrollò il capoe disse: "non avete pensato a tutto".

"Checi manca?" rispose Fermopuntoe spaventato nello stessotempo.

"EPerpetua?" gridò Agnese; "e Perpetua? non avetepensato a Perpetua. Come volete ch'ella vi lasci entrare dal curato?Pensate s'ella non avrà ordini severissimi di tenervi lontanipiù che un ragazzo da una pianta di pomi maturi. Come faretead ingannare Perpetua?"

"Poverome! non ci ho pensatoio".

"Sentitese non ci fosse altra difficoltàa Perpetua ci penso io"rispose Agnesela quale giacché l'iniziativa gli era statatoltaera almeno contenta di mostrare che era necessaria la suasanzione. "Ecco come la cosa si dovrebbe fare. Sull'imbrunirecapite bene che quella è l'ora giustaTonio va alla porta delcuratopicchiaviene PerpetuaTonio le dice di avvertire il curatoch'egli è lì per pagare. Voi altri due intanto viapparecchiate dietro l'angolo della casa a man sinistra. QuandoPerpetua torna per aprire a Tonioio mi trovo sulla portae quandoPerpetua ha detto a Tonio: - andate su -io mi mostro a Perpetuala chiamoe le dico queste parole magiche:- ho da parlarvi di quel tale affare. - Conquest'amo vedete io la tiro con me dalla destra fin dove voglio; mabasterà che io l'allontani tanto che voi possiate pian pianinointrodurvi nella porta lasciata aperta da Tonioe tenergli dietropian pianino per le scalee poi fermarvi nella stanza vicina aquella dove sarà il curatoed essergli addosso poi nelmomento opportuno". Agnese chiuse il discorso alla sua volta conun "ahn?" prolungato in aria di trionfolevando il mentoed avanzando la faccia verso Fermo.

"Benedettavoi...!"

"Mah!"interruppe Agnese: "tutto questo serve pocoperché Luciasi ostina a dire che è peccato".

Fermopos'egli pure in campo la sua eloquenza: fece mille interpellazioni aLuciae rispose sempre egli per mostrare che i dubbj di essa eranovani: ma Lucia fu inconcussa.

"Sentite"diss'ella"fin qui abbiamo fatto tutto col timor di Dio;proseguiamo a questo modoe Dio ci ajuterà. Io non capiscotutte queste vostre ragioni: vedo che per far questa cosa bisognacamminare a forza di bugiedi nascondigli. No no Fermo: io voglioesser vostrama colla fronte scopertail bandolo lo troveràla provvidenza".

Ladisputacome era da supporsidivenne generale. Fermo insistevarimproverando Lucia di poco amoree ripetendo i suoi argomenti conuna forza e una amarezza sempre crescente: Lucia addoloratatenerama ferma li ribatteva singhiozzandoed Agnese predicava all'unadava sulla voce all'altro secondo l'occasione. Tutt'ad un trattouncalpestio affrettato di sandalie un romore di tonaca sbattutasomigliante a quello che produce in una vela allentata il soffioripetuto del ventoannunziò il Padre Cristoforo. Si fecesilenzioe Agnese ebbe appena il tempo d'imporre sotto voce a Luciadi non dir parola del disegno contrastato.



Cap.VII

...

IlPadre Cristoforo arrivava nell'attitudine d'un buon generaleilqualeperdutasenza sua colpauna battaglia importanteafflittoma non iscoratosoprappensieroma non istorditoa corsa e non infugasi porta ove il bisogno lo chiedea premunire i luoghi chepotrebbero esser minacciatia dare ordinidisposizioniavvertimenti.

"Lapace sia con voi"diss'eglientrandotutto ansantema convoce ferma. "Non v'è nulla a sperare dall'uomo: tanto piùbisogna confidare in Dio". Benché nessuno dei tresperasse molto nel tentativo del Padre Cristoforogiacché ilvedere un potente recedere da una soperchieria per preghiera e senzaesser sopraffatto da una forza superiore era cosa più inauditache raranullameno la trista certezza fu un colpo per tutti.

MaFermo ne prese più sdegno che accoramento. Le ripulsereplicate di Luciai suoi disegni così ben meditatie le suesperanze al ventoil non saper più come uscire per altra viad'impaccioun lungo diverbioavevano cresciuta e riscaldata lastizza che egli covava già da due giorni: l'amoreperòe il rispetto che Lucia gli ispirava anche rifiutando ciòch'egli bramava sopra ogni cosaavevan temperata questa stizzaeimpedito ch'ella non iscoppiasse in escandescenza. Ma quando a quellapassione compressa si presentò un oggetto odioso per ognipartequello che ne era l'oggetto principalela passione non ebbepiù freno.

"Vorreisapere"gridò Fermo colla bava alla bocca e come nonaveva mai gridato in presenza del Padre Cristoforo"vorreisapere che ragione ha detto quel caneper sostenere che Lucia non hada esser mia moglie".

"PoveroFermo!" rispose il Padrecon un accento di pietà ed'amorevolezza. "Sai tu che se alcuno potesse costringere queisignori a dire le loro ragionile cose non andrebbero a questomodo".

"Dunqueha detto il cane che egli non vuoleperché non vuole?"

"Nonha detto nemmen questo. Piacesse a Dio che per commettere l'iniquitàgli uomini fossero costretti di confessarla apertamente; l'iniquitàtrionferebbe meno sulla terra".

"Mache parole ha dette quel tizzone d'inferno?"

"Iole ho inteseFermoe non te le saprei ripetere. Dimmise tu dopoun lungo giro uscissi da un sentiero intricatopieno di oscuritàe di spinisapresti tu descrivere la via che hai percorsa? noverarei tuoi passisegnare le giravolte e gl'inciampi? Povero Fermo! Leparole della iniquità potente sono come il lampo che abbagliae fa terroree non lascia vestigio. Essa può minacciarti divendetta perché tu abbi sospetto di leie nello stesso tempofarti intendere che il tuo sospetto è certezza: puòdirti: guai a te se non mi comprendiguai a te se mostri dicomprendermi: può insultaree mostrarsi offesaschernire echieder ragioneatterrire e lagnarsiessere impudente eirreprensibile. Non cercar più altro. Colui non ha proferitoil nome di questa innocentené il tuonon ha mostrato disapere che voi viviatenon ha detto di voler nulla; ma... pur troppoquello che voi mi avete rivelatoquello che io non avrei volutocredereè vero. Mah! confidenza in Dio come v'ho detto:questa è l'ora dell'uomoma va passando. Voipoverettenonvi perdete d'animoe tumio Fermo... oh! credi ch'io so pormi ne'tuoi pannich'io sento quello che passa nel tuo cuore... ma abbipazienza: io so che questa parola è amara: ma è la solache ti possa dire un uomo che non sia tuo nemico. Dio stessoche èonnipotentenon te ne vuol dir altraper ora. Io partoe vi lascionelle mani di Dio... Oh il sole è caduto e arriveròtardi: ma poco importa. Fatevi animo: Dio mi ha già dato unsegno di volervi ajutare. Domani non ci vedremo: io rimango alconvento; ma per voi. MandateLuciaun garzoncello fidatoche girivicino al conventoalla Chiesae pel quale io possa farvi saperequello che occorrerà: io sarò avvertitoe vi faròavvertite: avremo dei mezzi che colui non sospettache finora nonconosco nemmeno io: in Milano ho qualche protezionee la vedremo.Sento una voce che mi dice che tutto finirà presto e bene.Fedecoraggioe buona sera". Detto questo s'avviavafrettolosamentequando udì Fermo diremormorare con vocecontenuta dal rispettoe velata dalla collerama intelligibilmente:"la finirò io". La faccia e l'atteggiamento di Fermonon lasciava dubbio sul senso di queste parole.

"Misericordia!"sclamò Agnese. Lucia si volse supplichevolmente al PadreCristoforocome se volesse dire: - ammansatelo -.

"Tula finirai!" disse rivolgendosi il Padre Cristoforoedappostandosi sulla porta: "no Fermotu non sei da tanto: nontocca a te. Dio solo può finirlae guai a te se tu ardisci diprevenire il suo giudizio".

"Nascaquel che può nasceread ogni modo la voglio finire. Sìla voglio finire. È di carne finalmente lo scellerato".

"Fermoin nome di Dio"disse Lucia.

"Dio!Dio!" disse Agnese. "Voi perdete la testa: non sapetequante braccia egli ha ai suoi comandi? e quand'anche... ohmisericordia! contra i poveri c'è sempre la giustizia".

"Nongli parlate di questo"interruppe il Padre: "egli non sene cura. Ascoltami Fermo: voglio che tu mi ascolti. Io ti leggo incuore: io so che il tuo pericolo non ti fa terrore; so che in questomomento l'idea della morte non ti spaventa né per gli altri néper te. Ma ascolta. Tu eri nella gioja e nella speranza; un uomo tisi è parato sulla viae ti ha gettato nella angoscia e nellamiseria: tu credi che tolto di mezzo quest'uomoti ritroverai alposto dove tu eri prima d'incontrarlo. Povero ingannato! la tua via ècangiatati è forza intraprenderne un'altra: guai a te se tiponi in quella dell'omicidio. Poni che tutto ti riesca a tuo grado:ebbene! che avrai tu fatto? l'odio è dolce ora al tuo cuore:ma sai tu... sai..." e così dicendo prese la mano diFermo e la strinse a segno di dargli dolore... "sai tu come sivolge il cuore dell'uomo che ha versato il sangue? Ve n'ha cherimangono quelli di prima; ma tu non sei uno di loro: guai a te! sonreprobi. Io ho perduto degli amici cariben cari... ma se Dio miconcedesse di poter far rivivere un uomocredi tu ch'io scegliereiuno di essi? Quegli ch'io vorrei poter risuscitare col mio sangue èun uomo a cui io non aveva mai fatto il torto più leggieroeche mi ha insultato. Poni che tutto ti riescaponi che non vi siagiustiziache tu sposi tranquillamente... che la colomba si uniscaallo sparviero. Ma sarai tu Fermo? avrai sposato Lucia? Tu non saraiFermote lo dico io: tu non penserai come ora: in ogni tuo pensieroper quanto importante egli sia per essereper quanto lietooltrequello che ci sarebbe per tuttiper te ci sarà sempre unmorto di più. Avrai tu figli? Guardati dal trovarti in casaquando questa sfortunata farà loro ripetere i comandamenti diDioe dirà loro: non fare omicidio. Potrai tu ricordare contua mogliele speranze e le traversie che hanno preceduto il tuomatrimonio: potrete voi dire una volta: ma Dio ci ha ajutati?Quand'ella si sveglierà al tuo fiancopenserà tremandoche è coricata con uno che ha ucciso; e quando la collera piùleggeraun primo moto d'impazienza apparirà sul tuo volto;ella crederà di scorgervi le prime tracce dell'omicidio. NoFermo; vedi: è notte; io già son colpevole di avereindugiato a tornare al convento; ma io non mi parto di qui se tu nonmi giuri in faccia a quella Vergine" (e accennò unaimmagine attaccata al muro della stanza) "di aver deposto ognipensiero di vendetta".

"Ioper lei ho tutta la stimama colui..."

"Tiparlo io per me? Che hai tu a perdonarmi? A coluisì a coluitu devi perdonare. Io te l'ho dettoe tu non hai più scusa:la maledizione del cielo cadrebbe sopra di te. Tu sei giovane e piùrobusto di mema se tu non vuoi gettare a terra un vecchio che nonti ha fatto mai del maletu non uscirai di qui prima d'aver fattoquel giuramento".

Fermoesitava; Agnese stava attonita ed in aspettazione colla bocca aperta."Ebbene Fermo" disse Luciacome costrettaed in modo cheil Padre non intendesse tutto il senso delle sue parole: "fatequel che vi dice quest'uomo del Signoreed io vi prometto che iofarò tutto quello che si potràtutto quello chevorrete perch'io possa esser vostra moglie".

"Logiuro"disse Fermo.

"Chiamain testimonio quella Vergine"disse il Padre Cristoforo"chetu non attenterai alla vita del tuo nemicoche tu farai tutto perevitarlo".

"Cosìla Vergine non mi abbandoni"disse Fermocommossomarisoluto.

"Enon ti abbandonerà"; rispose il Padre gettandogli lebraccia al collo. "Addio: ricordatevi del garzoncello. Dio siacon voi".

Lucialo salutò piangendo.

"Padrepadre"gridò Agnesetrattenendolo"quanto sonomortificata che in grazia nostra Ella torni così tardi alconvento". Il Padre Cristoforo pensò che il miglior mododi corrispondere a questo complimento era di non perder tempo inaltre parolee partì.

"Melo avete promesso"disse Fermo a Lucia.

"Vel'ho promesso e lo manterrò": rispose Lucia colle lagrimeagli occhi"ma vedetecome me lo avete fatto promettere. Dionon voglia..."

"Perchévolete farmi un tristo augurioLucia? Dio sa che non facciamo tortoa nessuno".

Agnesevoleva riparlare della spedizionee pigliare i concertima Luciapregò che tutto si rimettesse all'indomanie Fermo partìagitato lasciando le donne più agitate di lui.

Intantoil Padre Cristoforobenché fiaccato e frollo delle corsedeidisagidelle inquietudinie delle parlate di quel giornoavevapresa correndo la via per giungere al più presto al convento;e andava saltelloni giù per quel viottolo sassoso tortoereso ancor più difficile dalla oscurità; andava ilpovero frateparte ruminando gli accidenti della giornatae quelloche poteva soprastareparte pensando all'accoglienza che riceverebbeal convento giungendovi a notte già fitta. Vi giunse purfinalmentemezzo sconquassatoe toccò modestamente ilcampanelloaspettando quel che Dio fosse per mandare. Il frateportinajo apersee accolse il nostro figliuol prodigo con quelmaladetto misto di sussiegodi soddisfazionedi clemenzadicommiserazione e di misteroche gli uomini (tranne l'uno permilione) mostrano sempre in faccia di colui che per qualche suo falloo anche per qualche sventura sembra loro stare in cattivi panni. "IlPadre Guardiano le vuol parlare"disse costui al nostro amicoil quale seguì la sua scorta pei lunghi corridoj e per lescalerassegnato a toccare una buona gridata e in angustia diricevere una penitenza la quale gl'impedisse di potere all'indomanitrovarsi col servo di Don Rodrigo e fare per gl'innocenti suoiprotetti ciò che il caso avesse richiesto.

Giuntoalla cella del guardianobussò sommessamentee vista lafaccia seria del guardianosi pose le mani al pettocurvò lapersonachinò la testa sul petto e disse: "Padre sonbalordo". Era questachi nol sapessela formola usata daicappuccini per confessarsi in colpa al loro superiore. Bisogna sapereche il guardiano era contento in fondo del cuore che il PadreCristoforo avesse commesso un mancamento. Un lettore di otto annipotrebbe qui domandareperché faceva il volto seriose eracontento; e gli si risponderebbeche appunto era contento perchéil Padre Cristoforo gli aveva dato il diritto di fargli il voltoserio. La condotta del nostro amico era tanto irreprensibile che ilguardiano non aveva mai avuto occasione di far uso sopra lui dellasua autoritàvoglio dire della autorità di riprenderee di puniree alla prima occasione che ne avevagli pareva di esserdaddovero il padre guardiano. In oltre il Padre Cristoforosenzafare il dottoresenza disputaredava però a divederechiaramente di non approvare alcuni tratti della condotta e dellapolitica dei suoi confratelli e del suo capoe più d'unavolta aveva ricusato di operare di concerto con gli altri;biasimandoli così indirettamentema chiaramente: dal cheveniva che i frati e il guardiano avevano per lui più rispettoche amore. E il rispetto veniva in parte anche dalla fama di santoche il padre Cristoforo aveva al di fuori; e che apportava alconvento onore e limosine. Non è quindi da stupirsi se ilguardiano si dilettasse nel vedersi davanti balordo quel padreCristoforoe gustasse a lenti sorsi l'umiliazione di luie ilsentimento della propria autorità.

"Èquesta l'ora"diss'egli gravemente"di ritornare alconvento?"

"Padreconfesso che dovrei esser rientrato da molto tempo".

"Eperché vi siete dunque tanto indugiato? perché aveteviolata una regola che conoscete così bene?"

"Fuitrattenuto da un'opera di misericordia".

Ilguardiano sapeva che il reo era incapace di mentire; e vide tosto chese avesse voluto andar più ricercandoavrebbe facilmentefatto rivelare al padre Cristoforo cose che tornerebbero in suoonore: onde gli parve meglio fargli una ammonizione generale sulfallo di cui si era riconosciuto colpevole. Gli disse che preporre leopere volontarie di misericordia all'obbedienza era segno diorgoglioe di amore alla propria volontà: che non era benequel bene che non è fatto secondo le regole: che bisogna primafare il doveree poi attendere alle opere di surerogazione; e altrecose di questo genere. Aggiunse poi che eglipadre Cristoforobalordodoveva conoscere di quanta importanza fosse la regola da luiinfrantae per la disciplinae per evitare ogni scandalo; ma cheper l'età suae per esser questo il primo suo fallo contro laregolae perché si teneva certo che non v'era altro che laviolazione della regolasi contentava per questa volta ch'egli primadi coricarsi recitasse un miserere colle braccia alzate; ecosì lo congedòe si gittò sul duro suopagliaccio; più soddisfatto però che se si fosse postosul letto il più delicato: poiché non è da direquanta consolazione si senta nel far fare agli altri il loro doveree nel riprenderli quando se ne allontanano.

Questafu la mercede che il nostro padre Cristoforo ebbe della sua giornataspesa come abbiam detto. Tristo chi ne aspetta altre in questo mondo.Egli recitò il suo buon misereree lo conclusedicendo: "Diofate misericordia a mee a quel poveretto cheio... toccate il cuore di Don Rodrigotenete la mano in testa alpovero Fermosalvate Luciae benedite il Padre guardiano. Abbiatepietà dei peccatoridei penitentidei giustidei fedeliedegli infedelidegli oppressi e degli oppressoridei cappuccinidei zoccolantie di tutti i regolaridi tutti gli ecclesiastici edi tutti i laicidei popoli e dei principidei carceratideigiudicidei banditidei ladridei birridelle vedovedeipupillidei bravidei zingaridegli indemoniatidei vivie deimorti. Così sia". Quindi si gettò anch'egli sulsuo caniledove lo lasceremo dormire; che ne ha bisogno.

Mai nostri tre altri personaggi passarono la notte come sono tutte lenotti che precedono una giornata destinata ad una impresa scabrosa edi incerto esito. Agnese appena levata cominciò a spiegare aLucia tutte le parti del disegnoad istruirla a puntino sul da farsie da evitarsi in ogni operazionee a combattere di nuovo leobbiezioni che Lucia aveva fatte nel giorno antecedente. Ma Luciaascoltò le istruzionipromise di eseguirlee non oppose piùnulla. Data la sua promessaella stimava inutile ogni parola chetornasse a mettere in questione ciò ch'era stabilito: e non èsenza ragione che noi amiamo Lucia come cosa rara non dirò nelsuo sessoma nella specie.

Delresto non è ben chiaro se nella rassegnazione di Lucia nonentrasse anche un po' il pensiero ch'ella sarebbe stata di Fermoesegiacché l'iniquità degli uomini aveva voluto chequesta si facesse come per forzaella non era un po' contenta cheforza le si facesse. La poveretta ad ogni modo era abbattutapienad'incertezzad'angosciae di tristi presentimenti: in quellaagitazione insomma in cui pone una grande aspettazionee che èpiù dolorosa che la prostrazione che nasce dopo la sventura.

Fermonon fu tardo a lasciarsi vederee concertò colle donnel'operazioni della giornataprevedendo ogni contrattempoparandoogni ostacoloe ricominciando ad ogni tratto a descrivere lafaccenda come si racconterebbe una cosa fatta. Appena partito FermoAgnese andò nella casa vicina a cercare un garzoncello suonipotechiedendolo ai parenti per quel giorno per fare un servizio.Quando l'ebbe ottenutolo introdusse nella sua cucinagli diede dacolazionee gl'impose che ne andasse a Pescarenicoe si stesse unpo' in Chiesaun po' sulla piazza del conventoma sempre invicinanzaaspettando che il Padre Cristoforo lo venisse a chiamare."Il Padre Cristoforoquel bel vecchio: tu sai: colla barbabianca: quel che chiamano il santo..."

"Hocapito"disse Menico: "quel che accarezza sempre iragazzie che dà spesso qualche immagine".

"AppuntoMenico: tu lo aspetteraicome t'ho detto: ma non ti sviareve':bada di non andare cogli altri ragazzi al lago a far saltellare iciottolini nell'acquané a veder pescarené agiuocare colle reti appese al muro ad asciugarené..."

"Nonomedina mia: non sono poi un ragazzo".

"Beneabbi giudizioe quando tornerai vediqueste due belle parpagliolenuove sono per te".

"Datemeleorache..."

"Nonotu le giuocheresti. Va' e portati bene che avrai anche di più".

Nelrimanente di quella lunga mattinaaccaddero alcune cose che poseroin sospetto ed in agitazione l'animo già conturbato delledonne. Un mendico più rubesto e di più florido viso chenon fossero per l'ordinario i suoi confratellicon qualche cosa dicoperto e di sinistro nell'aspettoentrò a domandare per Diogettando gli occhi qua e là come per ispiare. Quand'ebbericevuto un pezzo di panelo ripose con molta indifferenza lasciandoquasi travedere che quello non era il suo fine principale. Sitrattenne anzi con una certa impudenza e nello stesso tempo conesitazionefacendo molte inchiestealle quali Agnese si affrettòdi rispondere sempre il contrario di quello che era; e finalmentecongedato se ne andò. Di tempo in tempo poi passavano figuresospettecome di bravi travestitidi servi oziosidi contadini chegirandolavanoe giunti dinanzi alla porta allentavano il passoesogguardavano nella stanzacome chi vuol guataree non darsospetto. Le donne socchiusero la portaper togliersi da questapersecuzione che dava loro molto da pensare. Ma questa precauzione fucausa che il sospetto divenisse più serio e più nojoso:perché avendo Agnese un tratto visto che tra le due impostesocchiuse s'era fatto un po' di spiraglioguatò piùattentamentee vide attraverso la picciola fessura un uomo che stavaadocchiando nella stanza: ella si alzòe l'uomo sparì.

Finalmenteall'ora del pranzo la persecuzione cessò. Agnese rincorata nonudendo più pedate sospettesi alzava di tempo in temposimetteva sull'uscioguardava nella viaa dritta e sinistra; e nonvide più nulla che le desse da pensare. Nullameno ne rimasealle donnee particolarmente alla timidetta Luciauna perturbazioneindeterminatache le tolse una gran parte della risoluzione di cheella aveva bisogno in una tale giornata.

Alleventitrè ore tornò Fermocome era stato convenutoedisse: "Tonio e Gervaso son qua fuorinoi andiamo all'osteria acenarecome siamo intesie al tocco dell'avemmariaverremo aprendervi. CoraggioLuciatutto dipende da un momento". Luciasospiròe rispose: "oh sìcoraggio": conuna voce che smentiva la parola.

Fermoe i due suoi compagnoni trovarono questa volta l'osteria piùpopolata. Sul limitare stessocolla schiena appoggiata ad unostipitecolle mani sotto le ascellecoll'occhio tesoe con unafaccia tra l'annojato e l'agguatantestavasi un uomoche non avevacera né di contadinoné di viaggiatorené dibenestante; non pareva uno sfaccendatoma non si sarebbe potutoimmaginare che faccenda egli s'avesse. Un uomo piùsperimentato di Fermoguardandolo attentamente l'avrebbe detto unservo travestito. Questi non si mossee mirò fisamente Fermoil quale si torse entrando per fianco nella picciola aperturalasciata da quella cariatide. I suoi compagni l'imitarono se volleroentrare.

Adun deschetto stavano seduti due facce di scheranigiuocando allamoragridando quindi tutti e due ad un fiato come si farebbe in unacontroversia fra due dotti: fra i due giuocatori stava un gran fiascodi vino dal quale andavano essi versando a vicenda. Questi pureadocchiarono Fermo con una curiosità molto significante.Finalmente ad un altro desco erano tre vestiti da contadinima conun contegno che indicava abitudini più guerresche checasalinghe. E questi pure gli occhi addosso a Fermo: quindi occhiateda un crocchio all'altrodai crocchj alla porta. Fermo insospettitoe incerto guardava ai suoi due compagni come se volesse cercare neiloro aspetti una interpretazione di questo mistero: ma quelli nonindicavano altro che un buon appetito. L'ostiere stava aspettando gliordini dei sopravvenutiFermo lo fece venire con sè in unastanza vicina; e comandò da cena.

"Chisono quei forastieri?" chiese Fermo a voce bassa all'ostiere chestava stendendo sul desco una tovaglia grossolana.

"Chisono? Che m'importa chi essi sieno?" rispose l'ostiere. "Nonsapete che la prima regola del nostro mestiere è di nonimpacciarsi dei fatti altrui? Tanto è vero che fino le nostredonne non son curiose. Quel che ci preme si è che quelli chefrequentano la nostra casa sieno galantuomini; come sono certamentequesti di cui mi chiedete".

"Mase non li conoscetecome sapete che sieno galantuomini?"

"Leazionicaro mio: l'uomo si conosce alle azioni. Quegli che bevono ilvino e non lo criticanoche mostrano sul banco la faccia del resenza taccolaree che non fanno questioni con gli altri avventoriese hanno una coltellata da consegnare a unolo aspettano fuori elontano dall'osteria per non far tortoquelli sono i galantuomini".

Fermonon ne potè cavar altro: la cena fu servitama l'umorediverso dei convitati fe' sì ch'ella non fosse molto lieta. Idue fratelli avrebbero voluto assaporarne tranquillamente eprolungarne le delizie; e a Fermo parevano mill'anni di uscirneeper andare a fare il fatto suoe perché la presenza e glisguardi di tutti quegli ospiti gli avevano posta addossoo per dirmegliocresciuta l'inquietudine.

"Chebella cosa"disse Gervaso"che Fermo voglia pigliarmogliee abbia bisogno..."

"Zittozitto"disse tosto Fermo"per amor del cielo".

Lacena divenne somigliante ad un pranzo diplomatico; e ci crediamodispensati dal farne la descrizione. Diremo soltanto che Fermoosservando per sè una rigida sobrietàlargheggiònel mescere ai suoi convitatiper metter loro addosso del coraggioper ogni evento.

Terminatala cena dovettero i tre compagni passare un'altra volta dinanzi aquelle facce sconosciutele quali tutte si rivolsero a Fermo come laprima volta. Quand'egli ebbe fatti pochi passi fuori dell'osteriasivolse addietroe vide che due lo seguivano: sostette allora coi suoicompagnipiantando gli occhi in faccia a quelle ombrecome sedicesse: - vediamo che cosa vogliono da me costoro. -Ma i due quando s'accorsero che Fermo si era accorto di essisi fermarono un momentosi parlarono sotto vocee tornaronoindietro. Se Fermo fosse stato tanto presso da intendere le loroparoleavrebbe inteso che uno di essi diceva al compagno: "s'èaddato di qualche cosa: torniamocene per non guastar tutto: ètroppo per tempo: non vedi che il paese è pieno di gente?lasciamoli andare tutti al nido".

V'erainfatti quel movimentoquell'andare e venirequel trambusto che sisente in un villaggio al cader della serae che dopo pochi momentidà luogo alla quiete solenne della notte. Le donne venivanodal campo portandosi in collo i bambinie traendo per mano ifigliuoletti più adultiai quali facevano ripetere lepreghiere della sera: giungevano gli uomini colle vanghe e collezappe sulle spallesi vedevano qua e là fuochi accesi per lepovere cene: si udivano saluti di quelli che s'incontravanoecolloqui brevi e tristi sulla scarsezza del ricolto e sulle sventuredi quell'anno tristissimo. Frattantosi udiva il tocco misurato esolenne della squilla che annunziava la fine della giornata.

QuandoFermo vide che i due indiscreti s'erano ritiraticontinuò lasua strada fra le tenebre crescentiripetendo a bassa voce aifratelli gli avvertimenti sul modo di condurre a buon terminel'impresa. Quando giunsero alla casetta di Luciaera notte fatta.

Frail primo concetto di una impresa terribile e l'adempimentoha dettoun barbaro che non era privo d'ingegnol'intervallo è unsogno pieno di fantasmie di paure. La povera Lucia era da molte orenelle angosce di questo sogno: Agnesela stessa Agnese cosìrisolutae disposta all'operareera sopra pensieroe trovava astento le parole per rincorare la poveretta. Ma al momento in cuil'azione cominciae l'animo che fino allora tollerava i pensieri chegli passavano sopracacciandosi a vicendae tornandoècostretto a comandare una risoluzione e a dirigere le azioni delcorpoallora egli si trova tutto trasformato: al terrore e alcoraggio che lo agitavano succede un altro terroree un altrocoraggio: l'impresa si affaccia alla mente come una apparizionenuovainaspettatasi scoprono mezzi e ostacoli non pensati: ciòche sembrava più difficile si trova talvolta fatto quasi dasèl'immaginazione si ferma spaventatale membra niegano illoro uficio ad un passo che era sembrato il più agevole: ilcuore manca alle promesse che aveva fatte con più sicurezza.

Unmatrimonio clandestino era per Lucia Zarella quello che l'uccisionedi un dittatore per Marco Bruto. Quando s'intese bussaresommessamente alla portaLucia fu presa da tanto terrorecherisolvette in quel momento di soffrire ogni cosadi esser sempredivisa da Fermo piuttosto che eseguire la risoluzione presa; maquando Fermo entrato disse: "son quiandiamo"; quandotutti si mostrarono pronti ad avviarsi senza esitazionecome a cosagià determinataLucia non ebbe spazio né cuore di farcontrasto e come strascinataprese tremando un braccio della madree un braccio di Fermoe s'avviò senza far motto colla brigataavventurosa.

Zittizittinelle tenebrea passo misuratogiunsero in vicinanza dellacasa del nostro Don Abbondio il quale era ben lontanopover'uomo!dal pensare che una tanta burasca si addensasse sul suo capo. Qui sisepararono come erano convenuti: LuciaAgnese e Fermo presero per unviottolo tortuoso che girava attorno all'orto del curatoesdrucciolando poi sommessamente dietro il muro di fianco della casavennero a porsi presso all'angolo di essaFermo e Lucia per trovarsinel luogo più vicino alla porta ed entrare quando il destroverrebbeAgnese per uscire ad incontrare Perpetua nel momentoopportuno. Toni destro col disutilaccio di Gervaso che non sapeva farnulla da sèe senza il quale non si poteva far nullasiaffacciarono bravamente alla porta e toccarono il martello.

"Chièa quest'ora?" gridò una voce alla finestra chesi aperse in quel momento: era la voce di Perpetua. "Malati nonce n'è: dovrei saperlo: è forse accaduta qualchedisgrazia?"

"Son'io"rispose Tonio"con mio fratelloche abbiamo bisogno di parlarecol signor curato".

"Èora da cristiani questa?" rispose agramente Perpetua: "chediscrezione? tornate domani".

"Sentite:tornerò o non tornerò: mi trovavo alcuni pochi soldi edero venuto per pagare al signor curato quel debituccio che sapete: mase non si può aspetterò un'altra occasionequesti socome spenderlie verrò quando ne abbia guadagnati deglialtri".

"Aspettateaspettate: vado e torno: ma perché venire a quest'ora?"

"Sel'ora potete cangiarlaio non m'oppongo: per me son qui; e se non mivoleteme ne vado".

"Nono: aspettate un momento; torno con la risposta".

Cosìdicendo richiuse la finestra: a questo punto Agnese si spiccòdai promessie detto sotto voce a Lucia: "coraggio: è unmomento; come a far cavare un dente"venne a porsi dinanzi lafronte della casaaspettando che Perpetua aprisse per far vista dipassare.

Perpetuavenne infatti tostamenteaperse la portae disse: "dovesiete?" Quando i due fratelli si mostravanoAgnese passòdinanzi a loroe salutò Perpetua fermandosi un momento suidue piedi.

"BuonaseraAgnese"disse Perpetua"donde a quest'ora?"

"Vengodalla filanda"rispose Agnese"e se sapeste... mi sonoindugiata appunto in grazia vostra".

"Ohperché?" rispose Perpetua: indi rivolta ai due fratelli:"entrate"disse"ed aspettate che vengo anch'io".Quegli entrarono.

"Perché"ripigliò Agnese"una donnapettegola! non sanno le cosee voglion parlare... credereste? si ostinava a dire che non vi sietesposata con Beppo perch'egli non vi ha voluto. Io sosteneva che voil'avete rifiutato..."

"Certosono stata ioma chi è costei?"

"Questonon fa... ma non potete credere quanto mi sia spiaciuto di non saperben bene tutta la storia per confonder colei".

"Bugiardabugiarda"disse Perpetua. "È una bugiarderialapiù nera. Sentitecome andò la faccenda: e hotestimonjvedete. EhiToniosocchiudete la portae salite purech'io verrò poi". Tonio rispose di dentro che sì.Perpetua cominciò la sua storiae Agnese si avviòpasso passo verso l'angolo della casa opposto a quello dietro cuierano in agguato i due giovanie quando pur passo passo vi fugiuntalo voltò seguita da Perpetua: e voltatolo tossìper dar segno. Il segno fu intesoe Fermo traendo Lucia la qualecorreva come un leprotto inseguitoin punta di piè vennerofino alla portal'aprirono delicatamente e si trovarono nelvestibolo coi due fratelli che gli stavano aspettando. Chiuserosommessamente il chiavistello per di dentro e salirono insiemementre Agnese moltiplicava le inchieste per trattenere la fante. Iquattro congiurati tutti diversamente commossi ascesero le scaleeposati che furono sul pianerottolo: Toni disse ad alta voce: "Deogratias"ed entrò col fratellomentre Don Abbondio chegli aspettava rispose: "Avanti". Fermo e Lucia ristetterodietro la porta: senza moversisenza alitare: l'orecchio il piùfino non avrebbe potuto ivi intender altro che il battito del cuoredi Lucia. Toni entrato socchiuse la porta dietro di sè. DonAbbondio convalescente della febbree non guarito della paura stavaseduto su un vecchio seggioloneravvolto in una vecchia zimarracoperto il capo d'un vecchio camaurosotto il quale si vedeva unosguardo sospettoso e tesoun lungo nasoe fra due guance pendentiuna bocca quale ognuno l'ha dopo d'aver sorbita una ostica medicina.Aveva dinanzi a sè una vecchia tavola e sulla tavola unapicciola lucerna che mandava una luce scarsa sulla tavola e suidintornie lasciava il resto nelle tenebre. Presso alla lucerna erail brevialee aperto dinanzi a Don Abbondio il Quaresimale....

"Ah!ah!" fu il saluto di Don Abbondio.

"Ilsignor Curato dirà che siamo venuti tardi"disse Toniinchinandosicome pure fece più goffamente Gervaso.

"Venitetardi in tutti i modi"rispose Don Abbondio. "Bastavediamo".

"Sonoventicinque buone lire di quelle con Sant'Ambrogio a cavallo"disse Toni cavando un gruppetto di tasca.

"Vediamo"replicò il curato: le presele volse e le rivolse e lenumeròe furono trovate irreprensibili.

"Orasignor curato mi darà gli orecchini e la collana della miapovera Tecla".

"Ègiusto" rispose don Abbondio; e andò ad un armadio ecacciata una chiaveguardandosi intorno come per tener lontani glispettatoriaperse una parte d'impostariempì l'aperturacolla personaintrodusse la testa per guardare e un braccio perritirare il pegno; lo ritiròchiuse l'armadiosvolse lacarta dov'era il pegnoe guardatolo"c'è tutto?"disseindi lo consegnò a Toni.

"Ora"disse Toni"mi favorisca di una riga di quitanza".

"Nonvi fidate?" rispose bruscamente Don Abbondio. "Ecco voletedarmi anche quest'incomodo".

"Chedice ella mai? S'io mi fidoSignor Curato: ma dalla vita allamorte..."

"Benebenecome volete. Oh che seccatura! Bisognerà ch'io pongainchiostro nel calamajo. Perpetuadov'è costei? Perpetua!"

"Perpetuaera da bassotutta affacendata a prepararle da cena: la lasci stareSignor Curato: cerchi il calamajo che farà più presto".

Cosìbrontolando tirò un cassettino del tavolone tolse cartapenna e calamajoe si pose a scriveredettandosi col capo sullacarta ad alta voce la composizione. Frattanto Tonie Gervaso com'eraconvenuto si posero dinanzi allo scrittore in modo da togliergli laveduta della porta; e come per ozio andavano soffregando coi piedi ilpavimentoper dar agio ai di fuori di venire avanti senza essereintesi. Don Abbondio tutto nella sua quitanza non badava ad altro. Alfruscio dei quattro piedi che era il segno convenutoFermo strinsela mano di Lucia per darle risoluzionela pigliò con sèe pian piano entrarono nella portaLucia più morta che vivae si collocarono dietro i due fratelli. Don Abbondio finito ch'ebbedi scrivere rilesse attentamenteda sèquindi fatta letturaad alta vocee prima di alzare gli occhi dalla carta: "saretecontento?" dissee preso il foglio lo porse a Toni. Toniallungando la mano per pigliarlosi ritirò da una parteGervaso dall'altrae i due sposi apparvero in mezzo come all'alzared'un sipario. Don Abbondio intravvidevidesi spaventòsistupìs'infuriòpensòprese una risoluzione:tutto questo nel tempo che Fermo impiegò a proferire le parolemagiche: "Signor curatoin presenza di questi testimonjquestaè mia moglie".

Lelabbra di Fermo non erano ancor tornate in riposoche Don Abbondioaveva già lasciata cadere la quitanzafatto un saltoafferrata colla manca e sollevata la lucernae tirato colla destra asè un tappeto che copriva il tavologettando a terra ilbreviale e il quaresimalee balzando tra la seggiola e il tavolos'era avvicinato a Lucia; la poveretta con quella sua dolce vocetremante aveva appena potuto dire: "e questo..." che DonAbbondio gli aveva gettato scortesemente il tappeto sulla testa e sulvolto e tenendoglielo colle mani ravvolto e stretto sulla boccaperch'ella non potesse proseguiregridava a testa come un toroferito: "tradimento! tradimento! ajuto! ajuto!" Illucignolo della lucerna che Don Abbondio aveva lasciata cadere aterrasi moriva mandando un ultimo chiaroree la povera Luciaappoggiata a Fermocoperta così di quel ruvido velo parevauna statua sbozzata in cretacui un rozzo fattore dell'arteficecopreda testacon un umido panno. Cessata ogni luce Don Abbondiolasciò la poveretta la quale già per sè nonavrebbe più potuto proseguiree pratico com'era del luogotrovò tosto a tentone la porta della stanza vicinav'entròvi si chiusee continuò a gridare: "tradimento!Perpetua! accorr'uomo! gente in casa! clandestino: tre anni disospensione! una schioppettata! fuori di questa casa! fuori di questacasa! Perpetua! dov'è costei!" Nella stanza tutto eraconfusione: Fermoinseguendo come poteva il curatoaveva trascinatacon sè Lucia alla portae bussava gridando: "apra apranon faccia schiamazzo: aprao la vedremo": Toni curvo a terragirava le mani sul pavimento per trovare la sua quitanzae Gervasospiritato gridavae andava cercando la porta della scala per porsiin salvo.

Inmezzo a questo serra serranon possiamo a meno di fermarci unistante per fare una riflessione. Fermo il quale strepitava in casaaltruiche vi s'era introdotto frodolentementeche assediava ilpadrone in una stanzapare un soperchiatoreun torbido; e pure gliera un poveretto a cui si negava la ragione la più limpidalapiù sacra. Don Abbondio impauritominacciato mentretranquillamente attendeva ai fatti suoi pare l'oppressola vittimal'uomo onestoe pure era egli in realtà il soperchiatore.Così va il mondo; o... voglio direcosì andava nelsecolo decimo settimo.

DonAbbondiovedendo che il nimico non voleva sgomberaresi fece ad unafinestra che dava sul sagratoa gridare accorr'uomo. Batteva la piùbella luna del mondoe l'ombra della chiesa e del campanile sidisegnava sulle erbe lucenti del sagrato: per quell'ombra venivatranquillamente con un gran mazzo di chiavi pendente alla mano ilsagristail quale dopo suonata l'avemaria era rimasto a scopare lachiesa e a governare gli arredi dell'altare. "Lorenzo!"gridò il curato"accorretegente in casa! ajuto".Lorenzo si sbigottìma con quella rapidità d'ingegnoche danno i casi urgentipensò tosto al modo di dare alcurato più soccorso ch'egli non chiedevae di farlo senza suorischio. Corse indietro alla porta della chiesascelse nel mazzo lagrossissima chiaveaperseentròandò difilato alcampanileprese la corda della più grossa campanae tiròa martello.



Cap.VIII

LAFUGA

-Tontontonton- i contadini appenacorcati balzano a sedere sul letto: - che è?che è? La campana: fuoco? banditi? - Le donnepregano e consigliano i mariti di non si muoveredi lasciar correregli altri: gli uomini si alzano dicendo: - vadosoltanto alla finestra -: i garzoni caccian la testadal fenile: i più curiosi e bravi sono già nella viacolle forche e coi fucili: altri gl'imitanoe i poltroni come se silasciassero vincere dalle preghiere ritornano al covile.

FrattantoPerpetua che nelle ciarle s'era dimenticata di se stessama che noinon abbiamo dimenticataaveva inteso come un romoreun gridioeaveva interrotto il discorso per avviarsi verso casacercando invanodi rattenerla Agnesela quale pure stava sulla corda non vedendotornare nessuno; e all'udire quel gridìo fu pure presa da unagrande inquietudine. Ma quando la campana a martello si fece udirecorsero entrambe verso la porta. Toni aveva finalmente ricolta laquitanzae pigliando a tentone Gervaso nelle tenebreaveva pigliatala porta e scendeva saltelloni dalla scala: Lucia pregava fievolmenteFermo di cavarla da quella caverna; e quando egli udì queltocco funesto gli parve pure mill'anni d'esserne fuorie trovòla porta come gli altri. Perpetua correndo affannata con Agnesesiabbattè in Toni e il fratello che uscivanoe gli assalìd'inchieste alle quali essi non dierono rispostaed usciti nellavias'avviarono a casa.

Perbuona sorte Fermo e Lucia usciti nella viapresero la strada oppostaa quella donde veniva Perpetuaed ella entrò a furia in casasenza vederlie vi si chiuse. Agnese che guardando fiso gli avevavisti usciregli raggiunsee tutti e tre voltarono in frettainsilenziopalpitandoil cantoe s'avviarono pure verso casa.Intanto la gente traeva da tutte le parti alla chiesa: già ipiù lesti erano entrati nel campanile e avevano inteso daLorenzo che la gente era in casa del curato. Ma guardando al di fuorividero le porte chiusee tutto quieto: taluni però osservandopiù per minuto s'accorsero che una finestra era appenasocchiusa e intravvidero per lo spiraglio la faccia lunga di DonAbbondioil quale avendo sentita sgombrata la stanza vicinaeconoscendo cessato il pericolocominciava ad essere inquieto emalcontento del troppo soccorso. "Che cosa è stato?"domandò uno degli accorsi: "Sono fuggiti"risposeil curato"tornate a casavi ringrazio". "Fuggitichi?" "Cattiva gentecattiva gentetornate a casanonc'è più niente". Qui cominciarono risa di alcunirimbrotti di alcuni altridomande dei sopravvegnentidiscorsid'ogni genere. Lorenzo lasciata finalmente la corda uscì dallaChiesae si pose in mezzo ai crocchj a render ragione dell'aver cosìmesso a soqquadro tutto il paese. Ma in mezzo ai paesani si videropassare in ordine di battaglia alcuni armati e di sinistro aspetto:erano gli amici che abbiam già veduti all'osteria. A quelliche li vedevano nasceva sospetto che fossero banditie che percagion loro si fosse suonato a stormo: chi si ritiravachi si univain crocchioe già da molti si parlamentava del partito daprendersi.

Masiccome coloro passavano senza molestare nessunoe ad ogn'uomo chevedevano parevan dire: - tu non sei quello -così nessuno volle gittare la prima pietrae a poco a poco lafolla svanìognuno si ritirò a casae Don Abbondio sirimase a schiamazzare con Perpetua.

Mai tre personaggi che c'interessano nascondendosi quanto potevanononrispondendo alle inchieste e fuggendo la folla erano sulla via checonduceva alla casa di Lucia; quando un garzoncello che andavaguardando attentamente tutti quelli che passavanoal vederlimiseun sospiro che pareva volesse dire: - gli ho trovatiuna volta -; si pose dinanzi a loropigliòAgnese pel lembo della vestee disse con voce bassa e affannata:"Tornate indietro per amor del cielo!" Era Menicoe futosto riconosciuto. "Perché?" dissero tutti e tre."Indietroindietrovi dico non tornate a casavenite alconvento; così mi ha detto il padre Cristoforo". Laproposta parve a tutti stranae in altri momenti udendola da unMenico non vi avrebbero posto mente; ma nei momenti di confusione edi pauratutti i consigli pajono buoni. Quelli ristettero: ma Menicocontinuava: "Venite con me pei viottolivi condurrò iousciamo di quivi dirò tutto per istrada". "Ma lacasa..." disse Agnese.

"Nientenientevenite con melo ha detto il Padre Cristoforo: Dio vi liberidal tornare a casa". Essi seguirono il ragazzoil quale in quelpunto era più presente a sè che essi non fosseroedentrati per una callajetta presero un viottoloil qualechi non sifosse curato di strada comodapoteva condurre al convento.

Quantunqueil lettore possa aver facilmente indovinato quale fosse il novopericolo di Luciae donde il buon Frate ne avesse avuto l'avvisopure è dovere dello storico il raccontare per esteso tutta lafaccenda. Per procedere ordinatamente è mestieri tornare a DonRodrigo che abbiamo lasciato soloavendo noi preferito diaccompagnare il Padre Cristoforo.

DonRodrigocome abbiam detto passeggiava a gran passi per la salalepareti della quale come ora diciamo erano coperte da grandi ritrattidi famiglia. Quando Don Rodrigo si voltava ad un capo della salasimirava in faccia un suo antenato guerrieroterrore dei nemicicollegambierecolla corazzacoi braccialicoi guanticol cimiero diferroavente la mano manca posta sul fianco e la destra sullospadone a foggia di bastone. Quando Don Rodrigo era sotto a questoantenatoe voltavaecco in faccia un altro antenatomagistratoterrore dei litigantiseduto sur un'alta seggiola di vellutoconuna lunga toga neratutto nero fuorché un collare con dueampie facciuole: aveva una faccia squallidadue ciglia aggrottateteneva in mano una supplicae pareva dicesse: - vedremo-: di qua una matrona terrore delle sue damigelledilà un abate terrore dei monacitutta gente insomma chespirava terrore. In presenza di queste memorietanto più sirodeva Don Rodrigo che un frate avesse osato prender con lui il tuonodi Nathane ammonirloanzi minacciarlo. Formava un disegno divendettalo abbandonavapensava come soddisfare ad un tempo allapassione e all'onore; e talvoltasentendosi fischiare agli orecchiquella profezia incominciatarabbrividivae quasi stava per deporreil pensiero di soddisfarsi.

Finalmenteper fare qualche cosachiamò un servoe ordinò chefacesse le sue scuse alla brigatadicendo ch'egli era trattenuto daun affare urgente. Quando il servo tornò a riferire che queisignori erano partiti lasciando i più umili ossequj e i piùvivi ringraziamenti: "E il conte Attilio?" domandòsempre passeggiandodon Rodrigo. "È uscito con queisignori". "Bene: sei persone di seguito pel passeggio: lamia spada; il cappello; il pugnale di gala". Il servo partìfacendo un inchinoe Don Rodrigosalì nella sua stanzasicinse una ricca spadadepose il pugnale che aveva in cinturae neprese uno di gala col fodero a rilievi d'oroe con un bel diamantesul pomosi gettò la cappa sulle spallesi coperse colcappello a grandi piumee colla palma lo inchiodò sul capo; esi dispose ad uscire. A dir veroegli non andava né perfaccenda né per diporto; ma sentiva un bisogno indistinto econfuso di uscire in gran pompadi circondarsi della sua forza permostrare agli altri ed a sè stesso ch'egli era pur sempre quelDon Rodrigo. Al piede della scala trovò i sei seguaci tuttiarmatii quali fatta ala ed inchinogli tennero dietro. Piùburberopiù superbiosopiù accigliato del solito uscìegli e si pose a camminare verso Lecco ricevendo inchini profondisimili a genuflessioni dai contadini in cui s'abbatteva: i bravi chelo seguivano non avrebbero lasciato di punire il contegno pocoossequioso d'uno smemoratoo d'un temerario. Don Rodrigo rispondevacon una leggera mossa di capo. I signorotti pure facevano riverenza acolui chesenza contrastoera il più potente di loroe DonRodrigo corrispondeva con una degnazione contegnosa. Quando peròDon Rodrigo s'incontrava nel signor Castellano spagnuolol'inchinoallora era egualmente profondo dall'una e dall'altra parte; sivedevano come due potentati i quali non hanno fra loro nessunarelazione né di pace né di guerrama che perconvenienza fanno onore al grado l'uno dell'altro. Dopo averpasseggiatoDon Rodrigo si presentò in una casa dove siteneva brigatae dove fu accolto con quella cordialitàrispettosa che è riserbata a quelli che fanno pauraefinalmente a notte avanzata tornò al suo castellotto.

IlConte Attilio era giunto da poco; e fu servita la cenaalla qualeDon Rodrigo pareva ancora alquanto sopra pensiero.

IlConte ruppe il silenziodicendo con aria maligna:

"Cuginoquando pagate questa scommessa?"

"Ilgiorno di San Martino non è venuto".

"Bene;ma tanto fa che la paghiate ora; perché passeranno tutti isanti del paradiso prima che..."

"Questoè quello che si ha da vedere".

"Cuginovoi volete nascondervi da me: ma io ho capito tuttoe tanto soncerto di aver vinta la scommessache son pronto a farne un'altra".

"Che?..."

"Cheil Padre...il padre... che so io? quel frate insomma vi haconvertito".

"Questapensata è veramente una delle vostre".

"Convertitocuginoconvertitovi dico. Io per me ne godo: sapete che bella cosasarebbe vedervi tutto compunto e cogli occhi bassi. E che gloria perquel padre! Come sarà tornato a casa pettoruto! Non son micapesci che si pigliano ogni giorno e con ogni rete. Siate certo che viciterà per esempio; e quando andrà a far qualchemissione un po' lontanoparlerà dei fatti vostri. Mi par disentirlo con quella voce nel nasopredicare a questo modo: -In una parte di questo mondoche per degni rispetti nonnominovivevauditori carissimiun cavaliere dissolutoamico piùdelle femine che dei servi di Dioil quale avvezzo a far d'ogni erbafascio..."

"Bastabasta"interruppe Don Rodrigo mezzo sogghignandoe mezzoarrovellato. "Se volete raddoppiar la scommessaio son pronto".

"Diavolo!che aveste voi convertito il padre!"

"Nonmi parlate di colui: e quanto alla scommessaaspettate san Martino".

Lacuriosità del Conte era stuzzicata; egli non fece risparmiod'inchiestema Don Rodrigo le deluse tutterimettendosi sempre algiorno della provae non si arrischiando di comunicare al suoavversario disegni che non erano ancora né incamminatinéassolutamente risoluti.

Maquando Don Rodrigo si svegliò al mattino susseguentedi tuttele passioni che si erano combattute nel suo animo non vi rimanevaaltra che il desiderio di soddisfarsi.

Quelpoco di compugnimentoche il colloquio del padre Cristoforo avevamesso addossoera svanito insieme coi sogni della nottee lamemoria stessa di averlo sentito non serviva che a raddoppiargli lastizza. Le sensazioni posteriori a quel colloquioil passeggio coibravigl'inchinile canzonature del Conte avevanoritornata...................................... e quei tristicredendosi scovertisi ritirarono in buon ordine come abbiamo detto.Ma quel buon servo che aveva già promesso al Padre Cristoforodi tenerlo avvertitoseppe quello che si tramava; trovò ilmodo di correre al conventoinformò il Padreil quale spedìtosto Menicocome abbiamo veduto.

Inostri tre fuggitivi camminarono qualche tempo in silenziodietro illoro picciolo guidatoreil quale superbo di andar così dinotteper un affarecome un uomosuperbo di essere nella brigataquello che dava consiglioche avvisava al da farsiche rincoravache aveva la mente più riposataguardava attentamente la viascegliendo i tratti più brevie i più fuor di manoerivolgendosi alle rivolte con aria d'importanzaa dire: "per diqua".

Avevanofatto un terzo circa della viaed erano lontani dal paesetanto cheguardando indietro non si vedevano più i radi lumi dellelucerne che le donne sporgevano dalle finestre ponendovi la manosopra di traverso per non esser vedute e per mandar la luce sulla viaper dove tornavano a casa gli uomini a subire un interrogatorio: enessuno dei tre aveva ancora avuto animo di comunicare agli altri ipensieri che lo agitavano: s'udiva solo di tempo in tempo Agnesesclamare: - poveri morti benedettiajutateci -Lucia invocare la Verginee Fermo mormorare qualche esclamazione disdegno. Fu la prima Agnese che proferì un periodo compiuto. "Ela casa?" diss'ella: "l'abbiamo lasciata in abbandonosenza nemmeno porvi una custodia: sulla fede di questo ragazzocheDio sa come ha inteso".

"Come!"rispose con un poco di stizza e di albagiaMenico: "come!sentiretesentirete or ora dal Padre Cristoforo. Buon per voi che iovi abbia saputi trovare. Guaj se andavate a casa: mi ha detto ilPadreche doveste uscirne subito subitoe temeva ch'io non fossi intempo". "Bembè sentiremo"rispose Agnese. MaLucia andava stretta al braccio della madrerifiutando dolcementel'appoggio di Fermoed arrampicando la prima sui muricciuoli cheavevano a superare per non essere ajutata da luie in mezzo a tuttele agitazioni tremando pure di trovarsi così di notte per viacon luiper quel pudore che non nasce dalla trista scienza del maleper quel pudore che ignora se stessoe somiglia al sospetto delfanciullo che trema nelle tenebre senza sapere che cosa ci sia datemere. Le parole di Agnese furono il principio d'una conversazionegenerale: addomesticati già un poco alla loro nuova einaspettata situazionesi posero tutti e tre a favellar sotto voce(il che spiacque assai a Menicoal quale pareva pure di meritarfiducia dopo la sua impresa) a favellare dell'accaduto e di quelloche poteva soprastare. La povera Lucia parlò poco: e quelloche me la rende più cara e più pregiata si èch'ella non si lasciò sfuggire una parola che rinfacciassealla madre ed a Fermo l'ostinazione loro a volerla tirare a quellaimpresa ch'era così mal riuscita: non proferì maiquelle parole: "l'aveva detto io".

Finalmenteper viottoli di campie per selve senza sentiero giunsero iviaggiatori ad un torrente che dal monte chiamato Resegone scendenell'Adda e si chiama Bionenome che invano altri cercherebbe in undizionario geografico. Il torrente era al di là dal conventoma non è da dir per questo che Menico avesse fallita lastradagiacché era stato mestieri allungarla per ischifare lavia comune e battuta. Scesero alcuni passi col torrentee quindivolgendo a diritta divennero sulla piazzetta che si apriva dinanzi alconvento ed alla chiesicciuola unita a quello.

"Adessovedrete"disse Menico sottovoce: si affacciò alla portadella chiesala sospinse dolcementee quella in fatti si aperseela lunaentrando per lo spiraglio illuminò la barbad'argentoe la tonaca del Padre Cristoforoche stava ivi ritto adaspettare. Quando egli vide che con Menico v'erano i tre che eglidubbiosamente aspettavadisse a bassa voce: "Dio sia benedetto:siete fuori di pericolo"e gli fece entrare. A canto del nostroPadre Cristoforo si trovava un altro cappuccino. Era questi il laicosagrestano che egli con preghiere e con ragioni aveva determinato avegliar con luia lasciare aperta la chiesae a starvi insentinella per accogliere quei poveri minacciati; e non vi volevameno dell'autorità del padree della sua fama di santo percondurre il laico ad una condiscendenza piena non solo d'incomodomadi pericolo. Quando furono entrati: "Chiudete ora la porta senzafar fracasso"disse il padre Cristoforo. Ma il laico al qualepareva già d'aver fatto troppocrollò la testaedisse: "Chiudersi di notte in chiesa con donne...! mi pare..."e continuava a crollare la testa.

-Vedete un po'diceva fra sè il padre Cristoforo: sefosse un masnadieroFra Fazio non gli farebbe una difficoltàal mondoe una innocente che si vuol salvare dagli artigli dellupo...

"Omniamunda mundis" disse impetuosamente volgendosi a Fra Fazioedimenticando che Fra Fazio non sapeva il latino. Ma questadimenticanza fu appunto quella che ottenne l'intento. Se il Padreavesse voluto addurre ragioniFra Fazio non avrebbe mancato diragioni da opporree la cosa sarebbe andata in lungoDio sa anchecome sarebbe finita; ma quando egli udì quelle parole d'unsuono così pieno e solennee dette così risolutamentegli parve che in esse dovesse essere tutta la soluzione dei suoidubbjrispose: "Ha ragione"e volse a bell'agio la chiavenella toppae i nostri profughi si trovarono chiusi nel santuario insalvo da ogni pericolo.

IlPadre Cristoforo si pose ginocchioni ad orare un momento; e tutti loimitarono: quindi levato: "Figliuoli miei"disse"Iddionon vi vuole ancora in riposoma voi avete un segno della suaprotezionee un'arra ch'egli non vi abbandonerà". E quiraccontò ai poveretti il pericolo a cui erano sfuggitieproseguì: "Vedete che per ora è necessarioallontanarvi di qua: vi siete natiè casa vostranon avetefatto torto a nessunoma il serpente talvolta fa disertare l'uomodalla sua dimorae gli uomini pure si cacciano su questa terra comese vi fossero posti per divorarsi l'un altro. È una provafigliuoli: sopportatela con pazienzacon fiduciasenza rancore; èil mezzo di abbreviarla e di renderla utile. Per me siate certi chepenso a voie che troverò più mezzi per ajutarvi chealtri forse non crede. Frattanto io ho pensato a trovarvi per qualchetempo un rifugio ove possiate starvi in sicuro finché si troviil modo di ritornare sicuri a casa vostrae di giungereall'adempimento dei vostri giusti e santi desiderj. Usciti di quivoi v'incamminerete in silenzio al lago presso allo sbocco del Bioneivi vedrete un battello: direte: - barca: - visarà risposto: - per chi? - replicate- San Francesco -: e la barca viaccoglierà e vi trasporterà all'altra rivadovetroverete un baroccioil quale vi condurrà a salvamento".Chi domandasse come il Padre aveva ai suoi comandi tante personeele aveva potute così disporre ai servigi dei suoi protettimostrerebbe di non sapere che cosa potesse un cappuccino che avevafama di santo. Prese quindi in disparte Agnesele diede una letterale disse a chi doveva consegnarla assicurandola che con quellatroverebbe assistenzae le raccomandòche facesse in modoche Fermo dopo averle accompagnate al luogo della loro dimoraproseguisse il suo viaggio. Quindi consegnò a questo un'altralettera colle opportune istruzioni.

Rimanevada pensare alla custodia delle casele quali erano prive dei lorocustodi naturali. Le chiavi furono consegnate al Padre: quelle diAgnese per esser date in mano d'una sua sorellae quelle di Fermoper un suo cognato. Il Padre ricevette le commissioni d'entrambiprocurando di acquietare la sollecitudine di Agnese.

Iviaggiatori partivano quasi brulli di denaro: ma avevano dei risparmjin casa; indicarono al Padre il luogo del depositoed egli promisedi far loro tenere il tutto sicuramente e presto. Finalmente con vocecommossae contenendo le lacrime: "Dio sia con voi"disse: "partite senza ritardo: il cuore mi dice che ci rivedremopresto".

Certoil cuorechi gli dà rettaha sempre qualche cosa da dire. Mache sa egli il cuore? Appena un poco di quello che è giàaccaduto.

Ilsagrestano aperse la portacommosso anch'eglii viaggiatoripartirono dando e ricevendo un addio con voce sommessa e alterata; ela porta si richiuse. Andarono quegli pian piano com'era stato lorosegnato alla riva del lago; quivi mutate le paroleentrarono nelbattelloe il barcajuolo puntando il remo alla rivalo fecestaccaree remigando a due bracciaprese il largo verso la rivaopposta.

Illago era sgombronon soffiava un respiro di ventoe la superficiedell'acquailluminata dalla luna giaceva piana e liscia senza unaincrespaturacome un immenso specchio. I remi che tagliando l'ondacon tonfo misurato uscivano ad un colpo grondantie segnando diinfinite stille lo spazio sul quale precorrevano per rituffarsinell'acquarompevano solo la piana superficie del lago; l'ondasegata dalla barcariunendosi dietro la poppa segnava una strisciafuggenteche si andava allontanando dal lido. I viaggiatorisilenziosivolgendosi addietroguardavano le montagne e il paeseche la luna illuminava. Si distinguevano i villaggii campanililecapanne: il castellotto di Don Rodrigo colla vecchia sua torrealtosulle capannepareva un feroce ritto nelle tenebre che in mezzo aduna folla di coricati nel sonno vegliasse meditando un delitto. Lucialo videe rabbrividì; discese coll'occhio verso il sito dellasua umile casae vide un pezzo di muro bianco che usciva da unamacchia verde scurariconobbe la sua casettae il fico cheombreggiava la porta: e seduta com'era sul fondo della barcapoggiòil gomito sulla spondachinò su quello la fronte come perdormire; e pianse segretamente.

Addiomonti posati sugli abissi dell'acque ed elevati al cielo; cimeinegualiconosciute a colui che fissò sopra di voi i primisuoi sguardie che visse fra voicome egli distingue all'aspettol'uno dall'altro i suoi famigliarivalli segreteville sparse ebiancheggianti sul pendio come branco disperso di pecore pascentiaddio! Quanto è tristo il lasciarvi a chi vi conoscedall'infanzia! quanto è nojoso l'aspetto della pianura dove ilsito a cui si aggiunge è simile a quello che si èlasciato addietrodove l'occhio cerca invano nel lungo spaziodoveriposarsi e contemplaree si ritira fastidito come dal fondo d'unquadro su cui l'artefice non abbia ancor figurata alcuna immaginedella creazione. Che importa che nei piani deserti sorgano cittàsuperbe ed affollate? il montanaro che le passeggia avvezzo allealture di Dionon sente il diletto della maraviglia nel mirareedificj che il cittadino chiama elevati perché gli ha fattiegli ponendo a fatica pietra sopra pietra. Le vieche hanno vanto diampiezzagli sembrano valli troppo angustel'afa immobile loopprimeed egli che nella vita operosa del monte non aveva forseprovato altro malore che la faticadivenuto timido e delicato comeil cittadinosi lagna del clima e della temperiee dice che morràse non torna ai suoi monti. Egli che sorto col solenon riposava cheal mezzo giorno e al cessare delle fatiche diurnepassa le oreintere nell'ozio malinconico ripensando alle sue montagne.

Maquesti sono piccioli dolori. L'uomo sa tormentar l'uomo nel cuore; eamareggiargli il pensiero di modo che anche la memoria dei momentipassati lietamente affacciandosi ad esso perde ogni bellezzae portaun rancore non temperato da alcuna compiacenza; è tuttadolorosa: reca all'afflitto una certa maraviglia che abbia potutoaltre volte goderee non desidera più quelle contentezzedelle quali non gli par più capace la sua mente trasformata.Dolore speciale: la contemplazione della perversità d'unamente simile alla nostra: idea predominante in chi è afflittodal suo simile. Addiocasa natalecasa dei primi passidei primigiuochidelle prime speranze; casa nella quale sedendo con unpensiero s'imparò a distinguere dal romore delle orme comuniil romore d'un'orma desiderata con un misterioso timore. Addioaddiocasa altruinella quale la fantasia intentae sicura vedeva unsoggiorno di sposae di compagna. Addio chiesa dove nella primapuerizia si stette in silenzio e con adulta gravitàdove sicantarono colle compagne le lodi del Signoredove ognuno esponevatacitamente le sue preghiere a Colui che tutte le intende e le puòtutte esaudireChiesadove era preparato un ritodovel'approvazione e la benedizione di Dio doveva aggiungere all'ebbrezzadella gioia il gaudio tranquillo e solenne della santità.Addio! Il serpente nel suo viaggio torto e insidiososi postatalvolta vicino all'abitazione dell'uomoe vi pone il suo nidoviconduce la sua famigliariempie il suolo e se ne impadronisce;perché l'uomo il quale ad ogni passo incontra il velenosovicino pronto ad avventarglisiche è obbligato di guardarsi edi non dar passo senza sospettoche trema pei suoi figlisentevenirsi in odio la sua dimoramaledice il rettile usurpatoreeparte. E l'uomo pure caccia talvolta l'uomo sulla terra come se glifosse destinato per preda: allora il debole non può chefuggire dalla faccia del potente oltraggioso: ma i passi affannosidel debole sono contatie un giorno ne sarà chiesta ragione.

Labarca giunta alla rivaurtando sull'arena scosse Luciala qualedopo avere asciugate in segreto le lagrimesi alzò come dalsonno. Fermo uscì il primoporse la mano ad Agnesequestauscita la porse a Luciae tutti e tre resero tristamente grazie albarcajuoloil quale rispose: "Nientenientesiamo quaggiùper ajutarci". Fermo voleva cavare una parte dei pochiquattrinelli che si trovava in tasca; ma il barcajuolo li rifiutòcome se gli fosse proposto un furto. Trovarono il barrocciov'asceseroe continuarono silenziosamente la via. La notte aveva giàpassato il mezzoe la luna illuminava tuttavia il cammino che dopoaver seguitoabbandonatoe ripreso più volte il corsodell'Addacorse per lungo tempo di valle in valle fra monti cheandavano sempre diminuendo d'altezza.

L'auroramostrò loro delle collineil cui aspetto sarebbe stato lietoper animi lieti. Ma oltre la sventura che teneva sotto di sè inostri viaggiatorila dura condizione dei tempi avrebbe impeditaogni gioja in qualunque viaggiatore: giacché sur una terraridente non s'incontrava che l'uomo tristo e squallido dalla fameche usciva per domandare soccorso non dovendo trovare quasi che ilsuo simile bisognoso di soccorso.

Agiorno fatto giunsero al luogo della fermata; e discesero ad unaosteria dove li condusse la loro guidala quale pose a riposare ilsuo cavalloper ritornarsenee ricusò pure ogni pagamento.Qui Fermo avrebbe voluto sostare almeno tutta la giornatama Agnesee Lucia lo persuasero a partireed egli partìtutto incertodell'avvenirema certo almeno che un cuore rispondeva al suoeviveva delle sue stesse speranze.





TOMOSECONDO

Cap.I

DIGRESSIONE

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LASIGNORA

Avendoposto in fronte a questo scritto il titolo di storiae fatto credercosì al lettore ch'egli troverebbe una serie continua difattimi trovo in obbligo di avvertirlo quiche la narrazione saràsospesa alquanto da una discussione sopra principj; discussione laquale occuperà probabilmente un buon terzo di questo capitolo.Il lettore che lo sa potrà saltare alcune pagine perriprendere il filo della storia: e per me lo consiglio di far così:giacché le parole che mi sento sulla punta della penna sonotali da annojarloo anche da fargli venir la muffa al naso.

Ladiscussione viene all'occasione della osservazione seguente che mi faun personaggio ideale.

-I protagonisti di questa storia- dic'egli- sono due innamorati; promessi al punto di sposarsie quindi separati violentemente dalle circostanze condotte da unavolontà perversa. La loro passione è quindi passata permolti stadje per quelli principalmente che le danno occasione dimanifestarsi e di svolgersi nel modo più interessante. Eintanto non si vede nulla di tutto ciò: ho taciuto finora maquando si arriva ad una separazione seccadigiunaconcisa comequella che si trova nella fine del capitolo passatonon possolasciare di farvi una inchiesta: - Questa vostrastoria non ricorda nulla di quello che gl'infelici giovani hannosentitonon descrive i principjgli aumentile comunicazioni delloro affettoinsomma non li dimostra innamorati?

-Perdonatemi: trabocca invece di queste cosee deggioconfessare che sono anzi la parte la più elaborata dell'opera:ma nel trascriveree nel rifareio salto tutti i passi di questogenere.

-Bella idea! e perchése v'aggrada?

-Perché io sono del parere di coloro i quali diconoche non si deve scrivere d'amore in modo da far consentire l'animo dichi legge a questa passione.

-Poffare! nel secolo decimononoancora simili idee! Ma ivostri riguardi sono tanto più straniin quanto l'amore deivostri eroi è il più puroil più legittimoilpiù virtuoso; e se poteste descriverlo in modo di eccitarne ilconsensonon fareste che far comunicare altrui ad un sentimentovirtuoso.

-Armatevi di pazienzaed ascoltate. Se io potessi fare inguisa che questa storia non capitasse in mano ad altri che a sposiinnamoratinel giorno che hanno detto e inteso in presenza delparroco un deliziosoallora forse converrebbemettervi quanto amore si potesse poiché per tali lettori nonpotrebbe certamente aver nulla di pericoloso. Penso peròchesarebbe inutile per essie che troverebbero tutto questo amore moltofreddoquand'anche fosse trattato da tutt'altri che dal mio autore eda me; perché quale è lo scritto dove sia trasfusol'amore quale il cuor dell'uomo può sentirlo? Ma ponete ilcasoche questa storia venisse alle mani per esempio d'una verginenon più acerbapiù saggia che avvenente (non mi direteche non ve n'abbia)e di anguste fortunela quale perduto giàogni pensiero di nozzese ne va campucchiandoquietamentee cercadi tenere occupato il cuor suo coll'idea dei suoi dovericolleconsolazioni della innocenza e della pacee colle speranze che ilmondo non può dare né torre; ditemi un po' chebell'acconcio potrebbe fare a questa creatura una storia che levenisse a rimescolare in cuore quei sentimentiche molto saggiamenteella vi ha sopiti. Ponete il caso che un giovane prete il quale coigravi uficj del suo ministerocolle fatiche della caritàconla preghieracon lo studioattende a sdrucciolare sugli annipericolosi che gli rimangono da trascorrereponendo ogni cura di noncaderee non guardando troppo a dritta né a sinistra per nondar qualche stramazzone in un momento di distrazioneponete il casoche questo giovane prete si ponga a leggere questa storia: giacchénon vorreste che si pubblicasse un libro che un prete non abbia daleggere: e ditemi un po' che vantaggio gli farebbe una descrizione diquei sentimenti ch'egli debbe soffocare ben bene nel suo cuoresenon vuole mancare ad un impegno sacro ed assunto volontariamentesenon vuole porre nella sua vita una contraddizione che tutta laalteri. Vedete quanti simili casi si potrebber fare. Concludo chel'amore è necessario a questo mondo: ma ve n'ha quanto bastae non fa mestieri che altri si dia la briga di coltivarlo; e che colvolerlo coltivare non si fa altro che farne nascere dove non fabisogno. Vi hanno altri sentimenti dei quali il mondo ha bisognoeche uno scrittore secondo le sue forze può diffondere un po'più negli animi: come sarebbe la commiserazionel'affetto alprossimola dolcezzal'indulgenzail sacrificio di se stesso: ohdi questi non v'ha mai eccesso; e lode a quegli scrittori che cercanodi metterne un po' più nelle cose di questo mondo: madell'amore come vi dicevave n'hafacendo un calcolo moderatoseicento volte più di quello che sia necessario allaconservazione della nostra riverita specie. Io stimo dunque operaimprudente l'andarlo fomentando cogli scritti; e ne son tantopersuaso; che se un bel giorno per un prodigiomi venissero ispiratele pagine più eloquenti d'amore che un uomo abbia mai scrittenon piglierei la penna per metterne una linea sulla carta: tanto soncerto che me ne pentirei.

-Ma queste sono idee meschinepinzocherescheclaustraliepeggio; idee che tendono a soffocare ogni slancio d'ingegnoe bendiverse dalle idee grandi della vera religione...

-La religione ha avuto scrittori del genio il piùardito ed elevatopensatori profondie pacati ragionatori d'unaesattezza scrupolosae tutti tutti questi senza una eccezione hannodisapprovate le opere in cui l'amore è trattato nel modo chevoi vorreste. Oh ditemi di grazia come mai io posso persuadermi chetutti questi non han saputo conoscere quel che si voglia la verareligionee che voi avete trovata senza fatica la veritàdov'essi con uno studio di tutta la vita non hanno saputo pescare cheun errore grossolano?

-Così voi condannate tutti gli scritti...?

-Sono i giudici che condannano: per me vi dico solo il perchéio abbia esclusi tutti quei bei passi da questa storia. Ma se voletedei giudizje delle condannevoi ne troverete nei casi in cui èlecito anzi bello il condannarecioè quando uno giudica sestesso. Vedete quello che hanno pensato dei loro scritti amorosiquegli scrittori (del cristianesimo intendo) i quali si sonoacquistata fama di grandie nello stesso tempo di piùcastigati.

Vedeteper esempioil Petrarca e Racine.

-Il Petrarca viveva in tempi...

-Non parliamo del Petrarcaperché io spero cheleggeremo presto intorno a lui il giudizio d'un uomo il quale nediràquello che né voi né io non giungeremmo atrovare. Vi trattocome vedetesenza cerimonieperché sieteun personaggio ideale.

-EbbeneRacine. Non è ella cosa convenuta fra tuttigli uomini che hanno due dita di cervelloe che non sono un secoloindietro dagli altriche il pentimento che Racine provò perle sue tragedie è una debolezza degli ultimi suoi annidebolezza indegna di quel grande intellettodebolezza che facompassione?

-Vi sono stati due Giovanni Racine. Uno per aver la graziadei potentiadulò in essi apertamente il vizioch'egliconosceva per talee per giustificare appunto le sue tragediebeffòdegli uomini pei quali aveva in cuor suo un rispetto sentitoesostituì gli scherni personali ai ragionamenti per evitare laquistione: punse acerbamente quanto potè ed umiliò conepigrammi stizzosi certi taliche non la natura certoma ilgiudizio di una gran parte del pubblico aveva fatti suoi emoli; enello stesso tempo si rose internamentesi accoròperdettela sua pace ad ogni critica che sentiva fare delle sue opere:tormentato e tormentatore pei meschini interessi della letteraturaedella sua letteratura. Questi è quel Giovanni Racine chescriveva rime d'amore.

L'altroviveva ritirato tranquillamente nel seno della sua famiglia: se nonsi allontanò affatto dai potentialmeno parlò ad essi(caso raroquasi unico in quei tempi) delle miserie degli uomini cheessi avrebbero dovuto sollevareo non creare: non solo non cercavapiù gli applausinon solo non provocava le lodi degli amicima le sentiva con dolore: non solo non si arrovellava ad ognicritica; ma quando un uomo non provocato lo fece segno ad un pubblicoinsultonon se ne lagnòe invece di ricevere scuserisposecon ringraziamenti. Egli che era stato cortigiano nella suagiovinezzarifiutò di sedere alla mensa di un principe pernon privare i suoi figli della sua compagnia. In pace con sècol genere umanoe coi letteratiegli trascorse vent'anni libero daquelle passioni che avevano agitata la sua prima etàe non sipuò proprio dire per questo che fosse rimbambitopoichéscrisse "Atalia". Questi è quel Giovanni Racinechesi pentiva di avere scritte rime d'amore. Che di questi due uomini ildebole fosse il secondosi può certamente direse ne diconotante! ma per menon posso persuadermene.

-Dunque secondo voiaveva ragione di pentirsi: dunque se nonfosse rimasto che un esemplare delle tragedie amorose di Racinesequesto esemplare fosse stato in vostra manose Racine ve lo avessechiesto per abbruciarloper privare la posterità d'un talemonumento d'ingegnovoi avreste...? non ardisco quasi interrogarvi.

-Io glielo avrei dato subito perché quel brav'uomopotesse aver la soddisfazione di gettarlo sul fuoco. Come! voicredete che si sarebbe dovuto esitare a togliergli dal cuore questaspina? Gliel avrei dato subitoperché il dispiacereragionatoserioriflessivonobile di Racine era un sentimento piùimportanteche non sia stato e non sia per essere il piacere chehanno dato e che sono per dare le sue tragedie fino alla consumazionedei secoli.

-Queste sono ciarle; ma avete pensato che con questi stralcivoi vi andate scemando sempre più il numero de' lettori; e chese avrebbero potuto essere centinajasa il cielo se li conterete adozzine?

-Voi mi ci fate pensare; maa dir veronon arrivo a sentirela forza di questo inconveniente.

-Ma voi volete privarvi volontariamente dei mezzi piùpotenti di dilettaredi quei mezzi che anche in mano dellamediocrità possono talvolta produrre un grande effetto?

-Se le lettere dovessero aver per fine di divertire quellaclasse d'uomini che non fa quasi altro che divertirsisarebbero lapiù frivolala più servilel'ultima delleprofessioni. E vi confesso che troverei qualche cosa di piùragionevoledi più umanoe di più degno nelleoccupazioni di un montambanco che in una fiera trattiene con suestorie una folla di contadini: costui almeno può aver fattipassare qualche momenti gaj a quelli che vivono di stenti e dimalinconie; ed è qualche cosa. Maper non ingannarviavvertite che in tutte queste ciarle che abbiam fatte finoranonabbiam detto nulla o quasi nulla sul fondo della quistione. Voi nonlo avete toccato; ed io sono rimastorispondendoviin quella sferadove vi siete posto: abbiam ciarlato di fuoricome si usa. Che sevolete veder qualche cosa sul fondo della quistioneandate di graziaa quegli scrittori di cui abbiam fatto cenno; o pure pensateci un po'seriamente voi stesso.

-Pensarci? Per giungere a queste belle conseguenze? Sappiatechea porre insieme le idee di un Vandalo e d'una donnicciuola...

-Sparisci; e torniamo alla storia.

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Dovesiamo? Il nostro autore non lo diceanzi protesta di non volerlodire. Abbiam già avvertito che delle due classi fra le qualiera divisa la società al suo tempodi circospetti cioèe di facinorosid'uomini che avevanoe d'uomini che facevano pauraegli apparteneva alla prima. La sua timida discrezione raddoppia peròa questo punto della narrazione: e il progresso della narrazionestessa ne fa vedere il motivo. Le avventure di Lucia nel suo novellosoggiorno si trovano implicate con intrighi tenebrosirematicimisteriositerribilidi persone che deggiono essere state potentie imparentate assai: e l'autore si scopre impacciato tra il desideriodi raccontare quello che sae il terrore di offendere di quellefamiglie il mormorare contra le quali era un peccato punito in questomondo. Quindi egli va col calzare del piomboe narrando i fattisopprime tutte le indicazioni che potrebbero servir di filo a trovarle personee fra queste indicazioni anche quella del luogo. Ma inquesta parte almeno egli non è stato destro abbastanzae noipossiamo annunziare senza timore d'ingannarci il luogo dove si èfermata Lucia: poiché l'autore senza avvedersene ci ha dato unfilo che condurrebbe alla scoperta anche un ragazzo. Egli dice in unpasso del suo racconto che Lucia giunse ad un borgo nobile e anticoal quale di città non mancava che il nome; altrove parla delLambro che vi scorre: altrove ancora dice che v'era un arciprete: conqueste indicazioni non v'ha in Europa uomo che sappia leggere escrivereil quale tosto non esclami: Monza.

Lamadre e la figlia si trovavano dunquedopo la partenza di Fermosolette in una osteria di Monzasenza alcuna pratica del paesesenza alcuna conoscenzanon avendo in così alto mare altrabussola che la lettera del Padre Cristoforo. La lettera era direttaal Padre Guardiano dei Cappuccini. Agnese chiese conto del conventoalla moglie dell'albergatore; la quale non lo diede che dopo avertentata ogni via per avere un pagamento anticipato di un cosìpicciol servizioin tante informazionisul nome e sulla qualitàdelle donnesui motivi del loro viaggiosugli affari che potevanoavere col Padre Guardiano. Ma le donnealle quali era stato dal loroprotettore raccomandata la discrezioneseppero ingannare le ricerchedella ostessala quale fu obbligata di insegnar loro gratuitamentela via del convento. Si mossero quindi tosto benché dovesserorisentirsi del travaglio della notte e del giorno antecedente: lalepre cacciata non sente la stanchezza che quando ha trovato unricovero.

Agnesea cui l'aspetto di Monza non era nuovo perché v'era passatamolti anni addietroné imponente perché avevasoggiornato a Milanocamminava francamente guidando e incoraggiandoLuciala quale andava rasente il muro tutta sospettosa. Girando divia in viae ad ogni rivolta di canto trovando ancora vie e caseera Lucia colpita da una maraviglia mista di non so quale afacomechi vede una brutta grandiosità. Ma il sentimento predominantedi accoramento e di terrore non le dava campo di esprimere quello cheallora provavané di provarlo distintamente e con forza.Giunte alla porta del conventotirarono il campanelloe alportinajo che sopravvenne chiesero del padre guardiano al qualeavevano una lettera da consegnare. Quando Lucia vide una tonacacappuccinesca le parve di essere in paese conosciutoe si riebbealquanto. Il padre guardiano non si fece aspettaresalutò ledonneprese la lettera dalle mani di Agnesee veduta lasoprascrittadisse con una voce che annunziava la compiacenza: "Oh!il mio Padre Cristoforo". Il Padre Cristoforo era stato suocollega nel noviziato; e d'allora in poi essi avevano contratta unaamicizia da chiostrovoglio dire una amicizia cordialeintima piùche fraternasimile a quelle che si narrano di qualche pajo d'uominidell'antichitàdi quelle che si formano in tutte le societàseparate con vincoli particolari dalla società universaledegli uomini. Queste frazioniquesti crocchj creano fra tutti imembri che li compongono un vincolo particolare d'interessidi amorproprio comune e di benevolenzavincolo talvolta debole assai e chenon basta ad impedire odj accaniti e mortalima forte peròabbastanza per contenere gli odj nell'interno della picciola societàe per dare a quegli stessi che si odiano una apparenzae unacondotta da amici ogni volta che essi si trovino in contrasto cogliestranei. Quando poi una conformità di sentimenti e diinclinazionicrea fra due individui di queste società unabenevolenza particolare ella è tanto più forte quantopiù essi si sono scelti in un picciol numero giàseparato dal resto degli uomini.

Ilpadre guardiano aperse la letterae di tempo in tempo alzava gliocchj dal foglio e guardava Lucia e la madre con aria di compassionee d'interessamento.

Quand'ebbeterminatocrollò alquanto il capopensòpassòla mano sul mento barbutoe quindi sulla frontee dissecome chispera di aver trovato quello di che aveva bisogno: "Non c'èaltri che la Signora: se la Signora vuol pigliarsi l'impegno..."Fece quindi a bassa voce ad Agnese alcune interrogazioni alle qualiella soddisfeceindi domandò: "Volete seguirmi? Io sperodi aver trovato ove collocare in sicuro questa buona ragazza".Le donne si disser pronte a far tutto ciò che sarebbe da luisuggerito: e il padre: "venite con me" disse; "statemisoltanto alcuni passi addietro; perchévedeteil paese èmalignoe Dio sa quante storie si farebbero se si vedesse il padreguardiano con una bella giovanevoglio dire con donne per la via".Lucia arrossìe con la madre tenne dietro al guardiano alladistanza ch'egli aveva indicata. Giunti al monasteroil guardiano sifermò sulla sogliale aspettòe raccomandatele allamoglie del fattore la quale le introdusse in una stanzetta che davasulla viaprogredì nel cortile promettendo di tornare amomenti.

L'interrogatoriodella fattora fu come doveva esserepiù imperiosopiùastutopiù pressante d'assai che non fosse stato quellodell'albergatrice; e Agnese schermendosi a stentoandava giàcomponendo una filastrocca nella sua menteperché vedeva dinon potersi sbrigare senza raccontar qualche cosaquando per buonasorteritornò il padre guardiano con faccia giuliva adannunziare alle donne che la Signora si degnava riceverle. La fattorale lasciò partire guardando con dispetto il guardiano ch'eravenuto a farle fuggir di mano una preda che stava per cadere nellaccio.

Attraversandoil cortileil guardiano addottrinò le donne sul modo datenersi colla Signora: "Siate umilie riverentiraccomandatevialla sua protezionerispondete con semplicità alleinterrogazioni ch'ella sarà per farvie quando non sieteinterrogatelasciate fare a me".

Agnesee Lucia stavano in grande aspettazionemista di speranzae dipensiero di questa Signora: ma non ardirono nemmeno domandare alpadre chi ella fosse: probabilmente un lettore di questi tempi nonsarà così modestoe per prevenire la sua impazienza èforza dirgli chi fosse la Signora; macome si usa con chi vuoltroppo pressaresi potrà dargli una rispostala qualesembrando soddisfare a tutta la sua inchiestacontenga peròsolo quel tanto che non si potrebbe tacere.

Erala Signora una giovane donnauscita di sangue principesco che erastata posta dall'adolescenza in quel monisteroe vi aveva assunto ilveloe fatta la professione. Aveva essa l'incarico di vegliare sullefanciulle che erano nel monistero per educazionee il suo titolosarebbe statomaestra delle educande; ma per la sua nascitaper leparentelee per la superiorità che queste le davano sullealtre sorellenon era chiamata con altro nome che di Signora; ed erada tutte riguardatacome la protettricela donna principe delmonistero; e con una distinzione unicadue suore erano destinate aisuoi servigi ed abitavano seco lei in un picciolo quartiere ch'ellateneva invece di cella.

Lasua protezione e la sua influenza si estendeva fuori delle mura delmonistero; e i cappuccini i quali di generazione in generazioneoper meglio dire di vestizione in vestizioneerano ab immemorabiliin rapporto di amicizia col monisterogodevano essi pure di questaprotezione. Ecco perché il padre guardiano fece tostoassegnamento su la Signoraed ecco perché Lucia ècondotta ora dinanzi a lei.

Dalcortile si entrò in una stanza terrenae da questa si passavaal parlatorio; prima di porvi il piede il guardianoaccennando laporta aperta disse sottovoce alle donne: "qui è laSignora"come per farle rissovenire di tutti gli avvertimentiche dovevano seguire. Lucia non aveva mai veduto un monistero:ponendo tutta timorosa il piede sulla soglia del parlatoriosiguardò intorno per vedere dove fosse la Signora a cui sidoveva fare l'inchinoe non iscorgendo personastava comesmemorataquando osservando il padre che andava ritto verso unapartee Agnese che lo seguivaguatòe vide un pertugio altola metà d'una finestrae largo quasi il doppio con una doppiagrata la quale togliendo ogni passaggio alla stanza vicinalalasciava però quasi tutta vederee presso alla grata vide laSignora in piedie le s'inchinò profondamente come avevanogià fatto gli altri due.

L'aspettodella Signorad'una bellezza sbattutasfiorita alquantoe direiquasi un po' conturbatama singolarepoteva mostrare venticinqueanni. Un velo nero teso orizzontalmente sopra la testa scendeva adritta e a manca dietro il voltosotto il velo una benda di linostringeva la fronteal mezzo; e la parte che si vedeva diversamentema non meno bianca della benda sembrava un candido avorio posato inun nitido foglio di carta: ma quella fronte liscia ed elevata sicorrugava di tratto in tratto quando due nerissimi sopracigli siriavvicinavano per tosto separarsi con un rapido movimento. Due occhipur nerissimi si fissavano talvolta nel volto altrui con unainvestigazione dominatricee talvolta si rivolgevano ad un trattocome per fuggire: v'era in quegli occhi un non so che d'inquieto e dierraticouna espressione istantanea che annunziava qualche cosa dipiù vivodi più reconditotalvolta di opposto aquello che suonavano le parole che quegli sguardi accompagnavano. Leguance pallidissimema delicate scendevano con una curva dolce edeguale ad un mento rilevato appena come quello d'una statua greca. Lelabbra regolarissimedolcemente prominentibenché colorateappena d'un roseo tenuespiccavano pure fra quel pallore; e i loromoti eranocome quelli degli occhiviviinaspettatipieni diespressione e di mistero. Una gorgiera biancaincrespata lasciavaintravedere una striscia di collo bianco e tornito: la nera cocollacopriva il rimanente dell'alta personama un portamento disinvoltorisolutorivelava o indicavaad ogni rivolgimentoforme di alta eregolare proporzione. Nel vestire stesso v'era qua e làqualche cosa di studiatoo di neglettodi stranio insomma cheosservato in uno colla espressione del volto dava alla Signoral'aspetto di una monaca singolare. La stoffa della cocolla e dei veliera più fine che non s'usasse a monacheil seno era succintocon un certo garbo secolarescoe dalla benda usciva sulla tempiamanca l'estremità d'una ciocchetta di nerissimi capegli; ilche mostrava o dimenticanza o trascuraggine di tener secondo laregolasempre mozze le chiome già recise nella cerimoniasolenne della vestizione.

Questastessa singolarità si faceva osservare nei motinel discorsonei gesti della Signora. S'alzava ella talora con impeto a mezzo ildiscorsocome se temesse in quel momento di esser tenutaepasseggiava pel parlatorio; talvolta dava in risa smoderatetalvoltalevando gli occhisenza che se ne intendesse una cagioneprorompevain sospiri; talvolta dopo una lunga e manifesta distrazionesirisentivaed approvava con negligenza ragionamenti che la sua mentenon aveva avvertiti.

Questecose non si facevano scorgere a Lucia non avvezza a scernere monacada monacae neppure ad Agnese: l'occhio del padre guardiano eracertamente più esercitatoma perciò appunto eraavvezzo ad osservare senza maraviglia nei grandi sempre qualche cosadi straordinario; e quindi s'era già da molto tempoaddomesticato all'abito e ai modi della Signora. Ma ad un viaggiatoreche l'avesse veduta per la prima volta ella avrebbe potuto parere nonmolto dissimile da una attrice ardimentosadi quelle che nei paesiseparati dalla comunione cattolica facevano le parti di monaca inquelle commedie dove i riti cattolici erano soggetto di beffa e diparodia caricata.

Inquel momento ella eracome abbiamo dettoritta in piedipresso lagrataappoggiata ad essa mollemente con una manointrecciando lebianchissime dita nei fori di quellae colla faccia alquanto curvataosservando quelli che si presentavanoe specialmente Lucia.

"Reverendamadree signora illustrissima"disse il padre guardiano collafronte bassae con la destra tesa sul petto; "ecco quellainnocente derelittaper la quale imploro la valida sua protezione".E sulle ultime parole accennava alle donne che accompagnassero conatti e con inchini la sua supplicazione; la povera Agnese dopo d'averfatto al padre un cenno del volto che voleva dire: - soquel che va fatto - raddoppiava gl'inchinirannicchiandosie risorgendo come se una molla interna la facessemuoveree Lucia s'inchinò pureda inespertama con unacerta grazia che la bellezzala giovinezzae la puritàdell'animo danno a tutti i movimenti. La Signora curvòleggermente il capo verso il padre guardianofece alle donne cennodella mano che bastavae ch'ella gradiva i loro complimentifece atutti cenno di sedersisedette e sempre rivolta al padrerispose:"Ho appreso dai miei antenati a non negare la mia protezione achiunque la meriti: io non ho da essi ereditato che il nome; e sonlieta che anche questo possa almeno essere buono a qualche cosa. Èuna buona ventura per me il potere render servizio a' nostri buoniamici i padri cappuccini". Queste parole furono accompagnate daun sorriso che ad altri avrebbe potuto parere di compiacenzaadaltri di scherno. Il Padre guardiano si faceva a render graziema laSignora lo interruppe: "Non mica complimentipadre guardiano; iservigj fatti agli amici hanno con sè il loro guiderdone; edel resto ad ogni evento io non dubiterei di far conto sul ricambiodei nostri buoni padri. Il mondo è pieno di tristi ed'invidiosi: e nessuno può assicurarsi che non venga unmomento in cui possa aver bisogno di una buona testimonianzaed'ajuto".

Ilguardiano rispose premurosamente con una frase di gesti: la primaparte della quale significava che la Signora non avrebbe mai bisognodi nessunoe la seconda che i padri avrebbero tenuta a guadagno ognioccasione di far cosa grata alla Signora. Questa proseguì: "Mavia; mi dica un po' più particolarmente il caso di questagiovanee così si vedrà meglio che si possa fare peressa".

Luciaarrossò tuttae chinò la faccia sul seno. "Devesaperereverenda madre"cominciò Agnese"chequesta mia povera figliuolaperché io sono sua madre..."

Ilguardiano le gittò un'occhiata e interruppe.

"Questagiovanesignora illustrissimami è raccomandata da un mioconfratello: essa ha bisogno per qualche tempo di un asilo nel qualepossa stare sconosciutao nel quale nessuno ardisca toccarla; equesto per sottrarsi a dei gravi pericoli".

"Pericoli!"disse la Signora. "Quali pericoli? di graziapadre guardiano.Mi dica la cosa per minuto: ella sa che noi altre monache siamo vaghed'intendere storie".

"Sono"rispose il padre"pericoli dei quali la reverenda madrenonconosce nemmeno il nomebeata lei! e parlarne piùdistintamente sarebbe offendere le purissime vostre orecchieecontristare l'illibatezza dei vostri pensierisignoraillustrissima".

"Oh!certamente!" rispose precipitosamente la signorasenza moltobadare all'aggiustatezza della risposta; e si fece tutta di porpora.Era verecondia? Chi avesse osservata una subitanea ma vivaespressione di scherno e di dispetto che accompagnò quelrossore avrebbe potuto dubitarne; e tanto più se lo avesseparagonato con quello che di tratto in tratto saliva sulle guance diLucia.

LaSignora si alzò in frettacome per avvicinarsi piùalle donnee stava per rivolgere il discorso a Luciaquando ilguardianotenendo di non aver mal dettoripigliò cosìil discorso: "Non tutti i grandi del mondosi servono dei donidi Dio a gloria di luie a vantaggio del prossimocome fa laSignora illustrissima. Un cavaliere prepotente e senza timor di Dioha tentato ogni viagiacché deggio pur dirloper insidiarela castità di questa creaturae dopo d'aver veduto che imezzi di lusinga gli andavano fallitinon temè di ricorrerealla forza apertatentando... insomma di farla rapire. Ma Dio nonl'ha lasciata cadere in quei sozzi artiglie le ha invece preparatoun ricovero sotto le ale incontaminate..."

"Mavoi"disse la Signora rivolta repentinamente a Lucia"voiche dite di codesto signore? A voi tocca a dirci se egli era unpersecutoree se aveva gli artigli sozzi".

"Signoramadreillustrissima"balbettò Lucia che sarebbe stataconfusa a dover rispondere su questa materiaquando pure l'inchiestale fosse venuta da una persona sua pari e conosciuta. Ma Agnese vennein soccorso: "Illustrissima signora"diss'ella"ilsuo parlare è troppo alto per questa povera figliuola. Ma ioposso far testimonio che la mia Lucia aveva in orrore coluicome ildiavolo l'acqua santa; voglio direil diavolo era egli; ma ella micompatirà se parlo maleperché noi siam gente come Diovuole; del restoquesta povera ragazza aveva un giovane che leparlavaun nostro paritimorato di Dioe bene avviatoe se ilSignor curato avesse avuto un po' più di giudizio; so cheparlo d'un religiosoma il padre Cristoforo amico intrinseco qui delpadre guardianoè religioso al pari di luie davantaggioepotrà attestare..."

"Voisiete ben pronta a parlare senz'essere interrogata"disse laSignoradando sulla voce ad Agnese. "Non so che fare deiparenti che rispondono pei loro figliuoli". Agnese voleva aprirboccama la signora con tuono ancor più brusco riprese:"Zittozitto; le vostre parole non servono a nulla". Cosìdicendo il suo aspetto prendeva sempre più un non so che disinistrodi feroce che quasi faceva scomparire ogni bellezzaoalmeno la alterava di modo che chi avesse osservato quel volto inquel punto ne avrebbe conservata una immagine disgustosa per sempre.I suoi guardi erano fissi sopra Agnesetorvi e sospettosicome secercassero a raffigurare un nemico. E continuò: "Voi fateconto forseche perché io son qui rinchiusafuori del mondosenza esperienzami si possa dare ad intender qualunque cosa. Poveradonna! appunto perché son quisono men facile ad essereingannata su certe materie. Certolo sposo che i parenti destinanoad una figlia è sempre un uomo compitoe il monastero dove lavogliono rinchiudere è così allegro! in cosìbella situazione! così tranquillo! è un paradiso!Poveretti! portano invidia alla loro figlia; vorrebbero anch'essiritirarsi in quel porto di paceah! a far vita beata: ma... purtroppo sono legati nel mondo. Scusi il mio caldopadrema ella sameglio di mealmeno ella deve saper troppo bene come vanno questecosela menzogna la più imperterritala piùpersistentela più solenne è quella che sta sul labbrodi colui che vuole sagrificare i suoi figlie far loro violenza.Questi sono i peccaticontra i quali si dovrebbe predicare: acostoro bisognerebbe minacciare l'inferno".

Aqueste parolela Signorasi pose a sedere tutta turbataed ognunosi sarebbe avveduto che un pensiero che i discorsi di Agnese avevanfatto nasceredominava allora la sua mentee che gli affari diLucia non erano che un oggetto di considerazione secondaria.

Agneseintanto rimproverava alla figlia che il suo non saper parlare leavesse tirata addosso questa tempestail guardiano voleva pureanimar Lucia a parlarema questa animata già dallacircostanzasi avvicinò alla gratae in tuono modestomasicuro disse: "reverenda signoraquanto le ha detto la miabuona madre è la pura verità. Il giovane che miparlava"e qui arrossò"lo sposava io... di miogeniomi perdoni se parlo da sfacciatama è per difenderemia madre: e quanto a quel signore..."

"Buonafanciulla"interruppe la Signora con voce raddolcita"credoun po' più a voima non vi credo ancora del tutto. Vi ha duelinguaggi che si somigliano; quello che parte dal fondo del cuoreequello d'una figlia oppressa che dice il falso per terroreeprotesta di amare ciò ch'ella abborre più al mondo.Voglio sentirvi da sola a sola. Padre guardianose ella conoscesseper testimonianza degli occhi suoi i casi di questa giovanecertoch'io non istarei ora in dubbio: ma ella non li conosce che perrelazione: e per mepiuttosto che servire alla violenza fatta ad unapovera giovane..."

"IlPadre Cristoforo"disse il guardiano"che mi ha postonelle mani questo affareè uomo tanto oculatoquanto lontanodal favorire una violenzaed alla sua asserzione io credo quanto aimiei occhi. Stimo però cosa molto saviache la Signoraillustrissimaesamini col suo senno consumato questa faccendaespero che l'esame mostrandole la verità dell'espostoladeterminerà ad accordare il suo appoggio a questa famigliaperseguitata".

"Lospero"rispose la Signora con una placidezza garbatae comedesiderosa di far dimenticare il trasporto passato: "lo spero: equel poco ch'io potrò fareprego il padre guardiano diattribuirlo in gran parte alla sua intromissione. Per ora ecco quelloche mi sovviene di poter fare. La fattora del monisteroha collocatada pochi giorni l'ultima sua figliuola. Questa giovane potràoccupare la stanza abbandonata da quellae supplire ai pochi servigjch'ella faceva. Ne parlerò colla madre Badessama daquest'orale dò la cosa per fattasempre che Lucia ne siacontenta". Il guardiano proruppe in ringraziamentiche laSignora troncò gentilmentema lasciando però capireche ella faceva assegnamento sulla riconoscenza dei cappuccini.Chiamò quindi una delle monache che le facevano da damigellee datele le opportune istruzionidisse ad Agnese che andasse allaporta del chiostroper intendersi con la monaca e con la fattoraeper andar quindi a disporre l'alloggio che sarebbe destinato a lei eda Lucia. Il Padre si congedòpromettendo di ritornare adinformarsi della decisione: le tre donne furono tosto a consulta; eLucia rimase sola con la Signora a subire l'esame.



Cap.II

LASIGNORATUTTAVIA

Leparole della Signora nel colloquio che abbiamo trascritto nonannunziavano certamente un animo ordinato e tranquillo; eppure ellas'era studiata in tutto quel colloquio per comparire una monaca comele altre. Ma quando ella si trovò sola con Luciaella sistudiava tanto meno quanto meno temeva le osservazioni di una giovaneforese di quelle d'un vecchio cappuccino. Quindi i suoi discorsidivennero sì stranjper una monaca singolarmenteche primadi riferirli è necessario raccontare la storia di questaSignorae rivelare le passioni e i fatti che rendevano tale il suolinguaggio.

Questifatti sono tristi e straordinarje per quanto a quei tempi difunesta memoria fossero comuni molte cose che sarebbero portentose ainostril'autorità di un anonimo non avrebbe bastato a farciprestar fede a quello che siam per narrare: frugando quindi pervedere se altrove si trovasse qualche traccia di questa storiacisiamo abbattuti in una testimonianza la quale non ci lascia alcundubbio. Giuseppe RipamontiCanonico della ScalaCronista di Milanoetc.scrittore di quel tempoche per le sue circostanze dovevaessere informatissimoe negli scritti del quale si scorge unaattenzione di osservatore non comunee un candore quale non si puòsimulareil Ripamonti racconta di questa infelice cose piùforti di quelle che sieno nella nostra storia; e noi ci serviremoanzi delle notizie ch'egli ci ha lasciate per render piùcompiuta la storia particolare della Signora. Queste cose peròquantunque rese più che probabili da una tale testimonianzaequantunque essenziali al filo del nostro raccontonoi le avremmotaciuteavremmo anche soppresso tutto il raccontose non avessimopotuto anche raccontare in progresso un tale mutamento d'animo nellaSignorache non solo tempera e raddolcisce l'impressione sinistrache deggiono fare i primi fatti della Signorama deve creare unaimpressione d'opposto generee consolante. Avremmodicolasciatodi pubblicare tutta questa storiae ciò per non offenderecoloro ai quali il rimettere nella memoria degli uomini certe colpegià pubblichema dimenticatequando non sieno terminate conun grande esempioo con un gran pentimentosembra uno scandaloinutilecomunque uno le esponga. Senza esaminare il valore di questomodo di sentirenoi lo avremmo rispettatoquando ciò noncostava altro che di sopprimere un libro.

Chese poi altri volesse censurare queste scuse come inutilie ciaccusasse di cader sempre in digressioni che rompono il filo dellamatassae fermano l'arcolajo ad ogni trattoegli obbligherebbe chiscrive a fare un'altra digressionee a rispondergli così: -Il manoscritto unicoin cui è registrata questabella storia degli sposi promessiè in mia mano: se la voletesaperebisogna lasciarmela contare a modo mio: se poi non vi curastepiù che tanto di sentirlase il modo con cui èraccontata vi annojassegiacché dagli uomini si puòaspettar tutto; in questo casochiudete il libroe Dio vi benedica.

IlPadre della infelice di cui siamo per narrare i casiera per suasventurae di altri moltiun ricco signoreavarosuperbo eignorante. Avaroegli non avrebbe mai potuto persuadersi che unafiglia dovesse costargli una parte delle sue ricchezze: questo glisarebbe sembrato un tratto di nemico giuratoe non di figliasommessa ed amorosa; superbonon avrebbe creduto che nemmeno ilrisparmio fosse una ragione bastante per collocare una figlia inluogo men degno della nobiltà della famiglia: ignoranteeglicredeva che tutto ciò che potesse mettere in salvo nellostesso tempo i danari e la convenienza fosse lecitoanzi doveroso;giacché riguardava come il primo dovere del suo stato ilconservarne l'opulenzae lo splendore: erano questi nelle sue ideei talenti che gli erano stati dati da trafficaree dei quali glisarebbe un giorno domandato ragione. Una figlia nata in talicircostanzee destinata a dover salvare una tal capra e tali cavoliera ben felice se si sentiva naturalmente inclinata a chiudersi in unchiostroperché il chiostro non lo poteva fuggire. Tale fu ildestino della Signora dal primo momento della sua vita; e quando unadonzella della signora Marchesa venne con l'aria confusa di chiconfessa un falloa dire al signor Marchese: "è unafemmina"; il signor marchese rispose mentalmente: - èuna monaca -. Si pose quindi a frugare il Leggendarioper cercarvi alla sua figlia un nome che fosse stato portato da unasanta la quale avesse sortito natali nobilissimi e fosse statamonaca; e un nome nello stesso tempo che senza esser volgarerichiamasse al solo esser proferito l'idea di chiostro; e quello diGeltrude gli parve fatto apposta per la sua neonata. Bambole vestiteda monaca furono i primi balocchi che le furono posti fra le mani; eil padrefacendola saltare talvolta sulle ginocchia la chiamava pervezzo: madre badessa. A misura ch'ella si avanzava nella puerizialesue forme si svolgevano in modo che prometteva una avvenenza noncomune agli anni della giovanezzae nello stesso tempo ne' suoi modie nelle sue parole si manifestava molta vivacitàuna grandeavversione all'obbedienzae una grande inclinazione al comandounvivo trasporto pei piaceri e pel fasto. Di tutte queste disposizioniil padre favoriva quelle soltanto che venivano dall'orgoglioperchécome abbiam detto lo considerava come una virtù della suacondizione; egli era superbo della sua figlia come era superbo ditutto ciò che gli appartenevae lodava in essa gli altispiritila dignitàil sussiegoqualità tutte chemanifestavano un'anima nata a governare qualunque monastero. Dellabellezza né egliné la madrené un fratellodestinato a mantenere il decoro della famiglianon parlavano mai; ela Signora ne fu informata dalle donzellealle quali prestòfede immediatamente. Benché la condizione alla quale il padrel'aveva destinata fosse conosciuta da tutta la famigliae da tuttiapprovatanessuno le disse però mai: - tu deviesser monaca -. Era questa come una idea innata; equando veniva il caso di parlare dei destini futuri della fanciullaquesta idea si dava per sottintesa. Accadde per esempio che alcunodella casa correggendola di qualche aria d'impero troppooltracotantegli diceva: "tu sei una ragazzinaquesti modi nonti convengono; quando sarai la madre badessaallora comanderaifarai alto e basso". Talvolta il padre le diceva: "tu nonsarai una monaca come le altre: perché il sangue si porta daper tutto dove si va"; e simili discorsi nei quali la Signoraapprendeva implicitamente ch'ella aveva ad esser monaca.

Confusacon questa ideaentrava però a poco a poco nella sua menteun'altrache per esser monaca era mestieri del suo assensovolontario; e che questa cosa tanto certa non era però fattae che il farla o non farla sarebbe dipenduto da una suadeterminazione: ma queste due idee un po' ripugnanti si acconciavanonella sua mente come potevano: perché se un uomo non dovessestar tranquillo che dopo d'aver messe d'accordo tutte le sue ideenon vi sarebbe più tranquillità. A sei anni fu posta inun monistero e per educazionee per istradamento alla carriera chele era prefissa. Quale coltura d'ingegno potesse riceversi a queitempi in un monasteroè facile argomentarlo dalla colturauniversalee questa si può argomentare dai libri che cirimangono di quell'epoca. Ora basti il dire che nella prima metàdel secolo decimosettimo non uscì ch'io sappia in Milano unlibronon dico insigne di pensieroma scritto grammaticalmente:dimodoché dalla ignoranza universale si può francamentesupporre che alle giovani di quel tempo non si sarà comunicatonemmeno ciò che v'è di più chiarodi piùcertodi meglio digerito nelle cognizioni umanela storia romana.Ma quello che più importa di dire nel caso nostro si èche quella parte di educazione che i fanciulli riuniti in comunitàsi danno sempre fra di lorooperò nella Signora un effettocontrario direttamente alla intenzione ed ai disegni dei suoi. Fra legiovanette educande colle quali ella fu posta a vivereerano alcunedestinate a splendidi matrimonjperché così voleval'interesse delle famiglie loro. Geltrudina nutrita nelle idee dellasua superioritàparlava magnificamente dei suoi destinifuturi di badessae a quello splendido che la fantasia dei fanciullivede sempre nella condizione di quelli che comandano lorola suafantasia aggiungeva qualche cosa indeterminata di piùperchéle era stato detto tante volte: - tu non sarai unamonaca come le altre -. Ma ella s'accorse conmaravigliae non senza confusioneche alcune delle sue compagne nonsentivano punto d'invidia di questo suo avvenire; e alle immaginicircoscritte e scarse che può somministrare anche ad unafantasia adolescente il primato in un monasteroopponevano leimmagini varie e luccicanti di sposodi palagidi convitidivilleggiaturedi vegliedi torneidi abitidi carrozzedilivreedi braccieridi paggi.

Questeimmagini produssero nel cervello di Geltrudina quel movimentoquelronzioquel bollore che produrrebbe un gran paniere di fioriappenacolticollocato davanti ad un'arnia. Sulle prime ella vollecompetere con le compagnee sostenere la superiorità dellacondizioneche le era destinata; ma quanto più ella cercavadi magnificare le sue dignità futuretanto più leesponeva ad un terribile genere di offesail ridicolo; sentimentoche quelle spavalducce applicavano più naturalmente e piùsaporitamente alle dignità che vantava Geltrudeappuntoperché le vedevano esercitate dalle loro superiore; sorta dipersone per le quali la puerizia prova così facilmentel'ammirazionecome lo scherno. E quel che è peggioGeltrudina non poteva rivolgere le stesse armi contro le avversarieperché le ricchezze e la voluttà non sono di quellecose delle quali si ride in questo mondo: si ride bensì di chile desidera senza poterle otteneree di chi ne usa sgraziatamente; equesto ridere mostra l'alta estimazione in cui sono tenute le cosestesse: quei pochi che non le stimanonon esprimono il loro giudiziocon la derisione.

Geltrudinaquindi per non restare al disotto non aveva altro a risponderesenon cheella pure avrebbe potuto pigliarsi uno sposoabitare unpalagioessere strascinataservitacorteggiatache lo avrebbepotutose lo avesse volutoche lo vorrebbeche lo voleva; e lovoleva infatti. Quell'idea che le stava rannicchiata in un angolodella menteche il suo assenso era necessario perch'ella fossemonacae che questo assenso dipendeva da leisi svolse alloraedivenne perspicua e predominante. Con questo pensiero ella si tenevabastantemente sicurama non senza covare un sentimento d'invidia edi rancore contra quelle sue compagne le quali erano ben altrimentisicuree ch'ella avrebbe amate se la loro condizione non le fossestata ad ogni momento un confronto doloroso. Perché questasventurata non aveva un animo ostilenon si dilettava naturalmentenell'odio; ma le sue passioni erano tanto violente e tanto delicateella le idolatrava tantoche tutto ciò che poteva essere adesse di ostacolooffenderlecontristarlediveniva per lei oggettodi avversionee sarebbe stato vittima del suo furore quand'ellaavesse potuto impunemente sfogarlo. In questo stato di guerra mentalegiunse Geltrudina a quella età così criticache separal'adolescenza dalla giovinezza; a quella etàin cui unapotenza misteriosa entra nell'animosollevaingrandisceadornarinvigorisceraddoppia di forza tutte le inclinazioni e tutte leidee che vi trova. Assoluta innocenza di pensiero; massime e pratichedi Religione ragionata; occupazioni utili e interessantiesercizjfrequenti e dilettevoli del corpoconfidenza rispettosa e libera neiparenti o negli educatorisono i mezzi sicuri per trascorrereimpunemente quella età perigliosae per formare una mentetranquillasaggiae forte contra i pericoli della giovinezza e ditutta la vita. Ma le circostanze della povera Geltrude erano bendiverse: tutto tendeva per essa a realizzare ogni pericolo di quellaetà e a renderla turbolentae funesta per l'avvenire.Pochissimi lavorie lo studio del canto sopra parole d'una linguasconosciutanon erano esercizj che potessero impadronirsi dellamente di Geltrudee trattenerla dal vagare in un mondo ideale. Gliesercizj corporali consistevano in un giro quotidiano dell'ortoclaustrale. La confidenza e la comunicazione delle idee era quale puòtrovarsi con persone le quali non pensano a conoscere un animo perdirigerlo nella sua sceltama a fissarlo in una scelta giàdestinata.

Equanto alla Religioneciò che è in essa di piùessenzialedi più intimociò che fa resistere allepassionie vincerle con una dolcezza superiore d'assai a quella chele passioni soddisfatte possono arrecareciò che preservadalla corruttelae mette in avvertenza anche contra i pericoli nonconosciutinon era stato mai istillato né meno insegnato allapicciola Geltrude; anzi il suo intelletto era stato nodrito dipensieri opposti affatto alla Religione. Non vogliamo qui parlare dialcuni pregiudizjche a quei tempi principalmente si ritenevano perverità sacrosantee s'insegnavano insieme con le veritàpregiudizj non del tutto estirpatie Dio sa quando lo sarannopregiudizj dannosi principalmente perché nella mente di moltiassociano all'idea della Religione quella della credulità edella sciocchezzae dei quali perciò ogni onesto devedesiderare e promovere la distruzione; ma pregiudizj che in granparte non tolgono l'essenzialee si possono combinare con unsentimento di pietà profonda e sincerae con una vita nonsolo innocentema operosa nel benee sagrificata all'utile altruidel che tanti esempj hanno lasciati i tempi trascorsie ne offronofors'anche i presenti.

Macome abbiamo vedutoi parenti di Geltrude l'avevano educataall'orgoglioa quel sentimento cioè che chiude i primi aditidel cuore ad ogni sentimento cristianoe gli apre a tutte lepassioni. Il padre principalmenteche aveva destinata questapoveretta al chiostro prima di sapere s'ella sarebbe stata inclinataa chiudervisis'aveva talvolta pur fatta tra sè e sèquesta obbiezioneche forse Geltrude non vi sarebbe stata inclinata:caso difficilema non impossibile; e contra il quale era d'uopopremunirsi. Supponendo adunque che Geltrude allettata dalla vita delsecolo avesse voluto rimanervibisognava trovar qualche cosa che laallettasse ad abbandonarloper non usare della semplice forzamezzodi esito incertosempre odiosoe che poteva lasciar qualchedispiacere nell'animo del padreil quale alla fine non desideravache la sua figlia fosse infelicema semplicemente ch'ella fossemonaca. Il Marchese Matteo non era uomo di teorie metafisichedidisegni aerei: non aveva perduto il suo tempo sui librima conoscevail mondoera un uomo di praticaquel che si chiama un uomo di buonsenso; teneva che bisogna prendere gli uomini come sonoe nonpretendere da essi gli effetti di una perfezione ideale; e che senzal'interesse l'uomo non si determina a nulla in questo mondo. Cosìper prevenire all'interesse che il secolo poteva offrire a Geltrudeegli si era studiato di far nascere nel suo cuore quello dellapotenza e del dominio claustrale. Egli aveva pensato ed operato colladirittura e colla sapienza squisita d'un uomo il quale desse il fuocoalla casa di un nimico posta a canto alla suacon la intenzione chequella sola dovesse andare in fumo ed in faville. Ma il fuocoappiccato ch'ei sia non si lascia guidare dalle intenzionidell'incendiariova dove il vento lo spingee si trattiene adivorare dove trova materia combustibile; e le passioni svegliate unavolta non ricevono più la legge di chi le ha ispiratema sivolgono agli oggetti che la mente apprende come piùdesiderabili. L'orgoglio di giovane vagheggiataadoratasupplicatacon umili sospiridi sposa ricca e fastosadi padrona che comanda adamigelle ed a paggi ben vestitiera ben più dolce chel'orgoglio di madre badessae in quello tutta s'immerse la fantasiaorgogliosa di Geltrudina. Cominciò dunque a far castelli inariaa figurarsi un giovane ai piedia levarsi spaventataefuggire dicendo: - come ha ella ardito di venir qui? -e non ricordava più che il giovane senza una suachiamata non sarebbe certo venuto a disturbarla. Ma quella fuga equell'asprezza non erano a fine di scacciarlo daddovero: il giovanenon perdeva coraggio; nascevano nuovi casie tutto finiva colmatrimoniocome la più parte delle commedie. Richiamava allamemoria quel poco che aveva veduto dei passeggi della cittàevi girava in carrozzainnanzi indietro; ripensava la casa domesticale anticamerele livreeil comandoe rifaceva tutto per suo usoma in un modo più splendido. Questi pensieri l'assediavano neldormitorionel refettorionell'ortonel coro; ella confrontava colbrillante di essilo squallido che aveva sott'occhioe siconfermava sempre più nel proposito di non dire quel "sì"che si aspettava da lei.

Lemonache si accorsero di questa sua risoluzione ch'ella non cercavanemmeno di nascondere affatto; poiché malgrado la fermezza diquesta risoluzioneGeltrudina rifuggiva con tremito dall'idea dimanifestarla al padre di sua bocca; e desiderava ch'egli ne fosseprevenuto d'altra parte: poiché in quel caso non le restavache di sopportare la collera e le minacce del padre; operazionepassiva che le pareva molto più facileche di pronunziarequelle parole: "non voglio". La poverina faceva come coluiche avendo da dire qualche cosa di spiacevole a qualchedunopigliala pennae gli manda le sue idee in un bel foglio di carta. Ma se ladeterminazione trasparivai motivi erano celati alle monache;Geltrude li nascondeva sotto quell'aspetto di indifferenza che lafaccia dei giovanetti presenta quasi sempre all'occhio di chi comandaloro; essa li nascondeva con quella dissimulazione profonda che èdata a quella etàe che forse non ritorna più innessuna altra epoca della vitae che appena appena potrà averriconquistata un diplomatico di ottant'annisecome si dicegliuomini di questa professione sono i più esercitati anascondere i loro pensieri. Con le compagne Geltrude era mancocopertae se esse avessero voluto o saputo osservaredalle materiepiù frequenti del suo discorsodall'entusiasmo al quale siabbandonava talvoltadalla sua picciola stizza se non altro nellaquale l'invidia era trasparenteavrebbero potuto conoscere qualchecosa dell'animo suo: qualche cosaperché nei sogni caldi edarditi della pubertà v'è una parte di straniodifantasticodi individuale che non si confidané s'indovinaa quel che dice il manoscritto.

Vennefinalmente il momento di levare Geltrude dal monasteroe diritenerla per qualche tempo nella casa e nel mondo. Il passo eraspiacevole assai pel Marchese Matteoma inevitabileperchéuna ragazza allevata in un monastero non poteva far la domanda diesservi ammessa ai voti se non dopo esserne stata fuori per qualchetempo. Era questa una formalità destinata ad assicurare allefiglie la libera scelta dello stato; giacché ognun vede chesarebbe stato troppo facile di fare abbracciare il monastico ad unagiovaneche rinchiusa nel chiostro dall'infanzia non avesse maiavuta idea di altro modo di vivere.

Nessunoignora che le formalità sono state inventate dagli uomini peraccertare la validità di un atto qualunque; assegnandoanticipatamente i caratteri che quell'atto deve avere per essere unatto daddovero. Invenzione che mostra affè molto ingegno:invenzione utileanzi necessariaperché la più partedelle quistioni che si fanno a questo mondo sono appunto per deciderese una cosa sia fatta o non fatta. Ma tutte le invenzionidell'ingegno umano partecipando della sua debolezza non sono senzaqualche inconveniente: e le formalità ne hanno due. Accadetalvolta che dove gli uomini hanno deciso che una cosa non puòesser realmente fatta che nei tali e tali modila cosa si farealmente in modi tutti diversi e che non erano stati preveduti. Inquesto casola cosa non valeanzi non è fatta. E non andatea farvi compatire da un sapiente col volergli dimostrare che la èfatta; egli lo sa quanto voi; ma sa qualche cosa di piùvedenella cosa stessa una distinzione profonda; vedee vi insegna che lacosa materialmente è fattalegalmente non è.

Dall'altraparte accade pureche dopo essere stato dagli uomini predettodecisostatuito chedove si trovino i tali e tali caratteri esistecertamente il tal fattosi sono trovati altri uomini piùaccorti dei primi (cosa che pare impossibile eppure è vera) iquali hanno saputo far nascere tutti quei caratteri senza fare lacosa stessa. In questo secondo caso bisogna riguardare la cosa comefatta; e darebbe segno di mente ben leggiera e non avvezza ariflettereo di semplicità rustica affatto colui cheostinandosi ad esaminare il meritovolesse dimostrare che la cosanon è. Guaj se si desse retta a queste chiaccherenon sifinirebbe mai nullae si andrebbe a pericolo di turbare ilbell'ordine che si ammira in questo mondo. Ma questi caratterisenon infallibilisono almeno stati scelti dopo accurate osservazionisenza passioniné secondi finiin tempi nei quali gli uominifossero abbastanza esercitati nel riflettere su quello che vedevanoper circostanziare i fatti che dovevano essere dopo di loro? Ah! quiè la quistione; ma per trattarla con qualche fondamentoconverrebbe fare la storia del genere umano; dal che ci asteniamoeperché a dir veronon l'abbiamo tutta sulle ditae perchésiamo per ora impegnati a raccontare quella di Geltrudein quantoella è necessaria a conoscere la storia ancor più vastadegli sposi promessi.

Peraccertare adunque la libera e reale vocazione d'una figlia alchiostroera prescritto che ella ne stesse assente per qualchetempo; ed era consuetudine che in questo tempo ella dovesse essercondotta a vedere spettacoliad assaggiare divertimentiperconoscere ben bene quello a cui doveva rinunziare per farsi monaca. Eprima di vestir l'abitodoveva essere esaminata da un ecclesiasticoil quale con interrogazioni opportune ricavasse se non le era fattaforzae se ella non si faceva illusionese il suo proposito erainsomma libero e ragionato. Queste formalità peròavevano certamente il secondo inconveniente di cui abbiamo parlato;tutto poteva andare in regolae la giovinetta infelice chiudersicontra sua voglia. La cosa poteva accadere in molti modi: ch'ella siatalvolta accaduta è un fatto troppo notoe troppo vero: chivolesse ostinatamente negarloabbia almeno la discrezione di nonaffermar mai di quelle verità che sono contrastateperchéla sua affermazione diverrebbe un argomento di più contro diesse.

BenchéGeltrudina sapesse benissimo ch'ella andava ad un combattimentopureil giorno della uscita dal monasterofu un giorno ben lieto per lei.Oltrepassare quelle muratrovarsi in carrozzaveder l'apertacampagnae quel ch'è più entrare nella cittàfurono sensazioni più forti che non fosse il pensiero deicontrasti che aveva a sopportare. Per uscirne vittoriosa aveva lapoveretta composto un piano nella sua mente. - Ovorranno ottenere il loro intento colle buonediceva ella tra sèo mi parleranno brusco. Nel primo caso io sarò piùbuona di essipregheròli moverò a compassione:finalmente non domando altro che di non essere sagrificata. Nelsecondo casoio starò ferma; il "sì" lodebbo dire ioe non lo dirò.

-Macome accade talvolta anche ai comandanti di esercitinon avvenne né l'una né l'altra cosa ch'ella avevapensata. I parenti avvertiti dalle monache delle disposizioni diGeltrudefurono serjtristiburberi; e non le fecero per qualchetempo nessuna proposizione né con vezziné conminacce. Solo dal contegno di tutti traspariva che tutti lariguardavano come reae da qualche parola sfuggita qua e làs'intravedeva che la riguardavano come reanon già diricusarsi al chiostrodelitto che non poteva nemmeno venire in capoad alcuno della famigliama di non avviarvisi con buona grazia. Cosìella non trovava mai un varco per venire alla dichiarazione che erapure indispensabile; e i modi secchilaconicialtieri che siusavano con lei non le davano nemmeno il campo di potere avviare undiscorso fiduciale ed amichevole il quale di passo in passo laconducesse a toccare il punto sul quale ella ardeva di spiegarsioalmeno di farsi intendere. Che s'ella sofferendo pazientementequalche sgarbosi ostinava pure a volere famigliarizzarsi con alcunodella famigliase senza lamentarsi implorava velatamente un po' diamorese si abbandonava ad espressioni confidenzialie affettuoseella si udiva tosto gittar qualche motto più diretto e piùchiaro intorno alla elezione dello stato: le si faceva sentire chel'amore della famiglia non era cessato per leima sospesoe che dalei dipendeva l'esser trattata come una figlia di predilezione.Allora ella era costretta a ritirarsia schermirsi da quelletenerezze che aveva tanto ricercatee si rimaneva con l'apparenzadel torto. Si accorava e si andava sempre più perdendod'animo: il suo piano era scompaginatoe non sapeva a qual altroappigliarsipure aspettava. Ma il non veder mai un volto amicomale immagini tristie direi quasi terribili delle quali eracircondata la rendevano sempre più inclinata a ritirarsi inquel cantuccio ameno e splendido che ognunoe i giovaniparticolarmentesi formano nella fantasiaper fuggire dallaconsiderazione di oggetti che attristano. Ritornava ella dunque piùche mai a quei suoi sogni del monasteroe si creava fantasmigiocondi coi quali conversare. Ma i fantasmi non acquistavano formareale; ella era tenuta ritirata quanto nel monastero perché iltempo dei divertimenti doveva venir dopo quella domanda ch'ella nonaveva fatta e che era risoluta di non fare. Rinchiusa per una granparte del giorno con le donzelleallontanata dalla sala ogni voltache una visita vi si presentassenon mai condotta in altre casecome avrebb'ella mai potuto vedersi ai piedi quel tal giovane delmonasterochesenza contare tutte le altre difficoltànonera a questo mondo? Era questo il suo maggioreanzi l'unico suodifettogiacché del restobellezzagraziaricchezzanobiltàeloquenzasinceritàcostanzae sopra tuttoappassionatezzanulla gli mancava. V'era rischio per altro ches'egli tardava troppo ad esistere l'immaginazione di Geltrudestancadi aggirarsi nel vuoto gli trasferisse la bontà che aveva perluial primo ente reale che non fosse troppo diverso da questoimmaginato da rendere impossibile lo scambio.

L'occasionesi presentò in fattie fu fatale a Geltrude. Noi ommettiamo iparticolari di questo sciaurato affarediremo soltanto che la primalettera di risposta ch'ella aveva scritta ad un paggio dellaMarchesacadde in mano di questafu tosto consegnata al MarcheseMatteoe che il trambusto in casa fucome era da aspettarsistrepitoso.

Ilpaggio fu sfrattato immediatamentecom'era giusto; ma il MarcheseMatteo che aveva idee molto larghe sul giusto in ciò chetoccava il decoro della sua famigliaintimando di sua bocca lapartenza al ragazzaccioper non aumentare il numero dei confidentigl'intimò nello stesso tempo che se egli si fosse in alcuntempo lasciato sfuggire una paroluzza sulla debolezza di donnaGeltrudela sua vita avrebbe scontato questo secondo delittoe chenon vi sarebbe stato asilo per lui. Queste minacce erano a quei tempimolto frequentie facevano pure colpo assaiperché ognunoera avvezzo a vederne molte ridotte ad effetto. Ciò non dimeno per esser più certo della segretezza del paggio ilMarchese Matteo nel forte del rabbuffo gli appoggiò duesolennissimi schiaffipensando a ragione che il paggio sarebbe statomeno tentato di raccontare un'avventurala quale per una partepoteva lusingare la sua vanitàquando ella avesse finito conun incidente doloroso e umiliante. Alla donna di casa che avevaintercettato il corpo del delitto furono date molte lodie nellostesso tempo una prescrizione di segretezzanon accompagnata daminaccema in termini che le fecero comprendere che questasegretezza era del massimo interesse anche per lei.

Mail temporale più scuropiù lungopiù terribilevenne a scendere sul capo di Geltrude. Il Marchese Matteo dopod'averla caricata di strapazzich'ella intese con tanto piùdi tremorequanto si sentiva veramente colpevolele annunziòuna prigione indeterminata nella sua stanzae per sopra piùle parlò d'un castigo proporzionato alla colpasenzaspecificarloe così la lasciò in guardia alla stessadonna che aveva scoperti gli altari.

Geltrudeaspreggiatarinchiusaminacciatain una situazione che sarebbestata dolorosa anche alla coscienza più illibatasi trovavaanche la memoria del falloche basta a rattristare la situazione lapiù giocondae l'animo suo fu prostrato. Non sapeva prevederecome né quandola cosa sarebbe finitasi aspettava ad ognimomento il castigo incognito e per ciò più terribile;l'essere come sbandita dalla famiglia le era un peso insopportabilee nello stesso tempo l'idea di rivedere il padreo di vedere lamadreil fratello la prima volta dopo il suo fallo la facevatrasalire di spavento. In questa agitazione continua si svolsee siaccrebbe nell'animo suo un sentimento nativo in tuttima piùforte in lei per indole e reso ancor più forte dallaeducazioneil timore della vergogna: sentimento non solo onestomabelloma essenziale; sentimento però che come tutti gli altripuò diventare passione violenta e perniciosa quando non siadiretto dalla ragionema nutrito di orgoglio. La sola idea delpericolo che la sua debolezzala sua debolezza per un paggioperuna persona meccanicafosse risaputa da alcuna delle sue antichesuperioreda una sua compagnada un congiunto della casaquestaidea le era più terribilepiù odiosadella prigionedell'ira dei parentidel fallo stesso.

Ellasentiva che con la minaccia di svergognarla cosìsi sarebbepotuto ottener da lei quello che si fosse voluto. E sentiva nellostesso tempo quanto fosse peggiorata la sua condizione per la sceltadello stato: giacché il primo requisito per poter resisterealle lusinghe e alle violenze eraavrebbe dovuto essere di non avernulla da rimproverarsi.

Lacompagnia della sua guardiana non le era certo di alcun sollievonella sua ritiratezza angosciosa. Ella vedeva in quella donna iltestimonio della sua colpae la cagione della sua disgraziae laodiava. E la donna non amava la fumosettaper cui era costretta afar vita da carceriera poco dissimile da quella di carceratae chel'aveva resa depositaria d'un segreto pericoloso. La conversazioneera quindi fra di esse quale può risultare dall'odioreciproco. Non restava a Geltrude la trista e funesta consolazionedei sogni splendidi della fantasia: perché questi sogni eranotanto in opposizione col suo stato realee con l'avvenire il piùprobabilee quelle immagini erano tanto legate con la sua sciagurache la mente li rispingeva con incredula avversionee ricadeva comeun peso abbandonatonella considerazione delle circostanze reali.

Cominciòquindi a dolersi davvero di ciò che aveva fattoa paragonarela vita che menava prima del suo fallo con quella che strascinava inallorae a trovare la prima soavea rammaricarsi di non averlasaputa conoscere. L'immagine di colui al quale il suo cuore sgraziatoe leggiero si era abbandonato un momento gli compariva accompagnatadi tanti dispiaceri che aveva perduta ogni forza sulla sua fantasia.Tanto è vero che all'amore per signoreggiare un animobisognaun poco di buon tempoe che le faccende gravie le grandi sciaguregli spennacchiano le alie gli spezzano i dardise ci si permetteuna fraseinvero troppo poeticama che spiega tanto bene ciòche accade realmente nell'animo. Scacciato dal cuore questo nimicoil quale a dir vero non vi aveva preso gran piederaffreddataalquanto l'ira dalla tristezza e dal timore di peggioe dal pensareche al fine il castigo era meritatoil pentimento di Geltrudecominciò ad essere più dolcedivenne un sollievo.Pensò ella al perdono che si ottiene con quelloe sirallegròpensò che ciò ch'ella soffriva potevaessere una espiazionee tutto le parve più leggiero. Si diedequindi tutta ad una divozione la quale in parte era un sentimentointimo e retto dell'animoin parte un fervore della fantasia. Letornava allora alla mente il chiostroe una vita quietaonoratalontana dai pericolila dignità di monacae quella benedettapompa di badessae quella benedetta boria di essere la piùnobile del monasteroultimo rifugio della sua superbiuzzale parveun zucchero in paragone dello stato di umiliazionedi prigioniadidisprezzo nel quale si trovava. L'avversione nutrita per tanto tempoa quella condizione le risorgeva pure con tutte le sue immaginimaella le pigliava per tentazionie le combatteva. In questaincertezzaella desiderava di rivedere il padredi rivederlo conuna faccia diversa da quella di cui le rimaneva una immagineterribilee dolorosadi avere il suo perdonodi essere riammessanella famiglia.

Dopomolto combattimentoprese la pennae scrisse al padre una letterapiena di entusiasmo e di abbattimentodi afflizione e di speranzanella quale chiedeva istantemente ch'egli la visitassee glilasciava intravedere ch'egli rimarrebbe contento di lei. Non giàch'ella avesse presa una risoluzionema non poteva piùreggere alla solitudine e alla proscrizionee sperava confusamenteche in quel colloquio la risoluzione si sarebbe fatta per lo meglio.



Cap.III

V'hadei momenti in cui l'animo massimamente dei giovanièocrede di essere talmente disposto ad ogni più bella e piùperfetta cosa che la più picciola spinta basta a rivolgerlo aciò che abbia una apparenza di benedi sagrificiodiperfezione; come un fiore appena sbocciatoche s'abbandona sul suofragile stelopronto a concedere le sue fragranze all'aura piùleggiera che gli asoli punto d'attorno.

L'animovorrebbe perpetuare questi momentie diffidando della sua costanzacorre con alacrità a formar disegni irrevocabili: felice se latarda riflessione non gli rivela col tempoche ciò che gliera sembrato una ferma e pura volontà non era altro che unaillusione della fantasia. Questi momenti che si dovrebbero ammiraredagli altri con un timido rispettoe coltivare dal prudenteconsiglio in modo che si maturassero colla provae col temponeiquali tanto più si dovrebbe tremare e vergognarsi di chiederequanto più grande è la disposizione ad accordarequesti momenti sono quelli appuntoche la speculazione fredda oardente dell'interesseagguata e stima preziosi per legare unavolontà che non si guardae per venire ai vili suoi fini.

IlMarchese Matteoil quale passato il primo caldo dell'iraera tostocorso a fantasticare nella sua mente se da quel disordine avessepotuto cavar qualche profitto per vincere la risoluzione di Geltrudee che non era mai ristato dal ruminarvi sopra da pois'accorse alleggere di quella lettera che la figlia gli dava essa stessal'occasione desideratae stabilì tosto di battere il ferromentre ch'egli era caldo. Mandò quindi a dire a Geltrudech'ella dovesse venire nella sua stanzaov'egli si trovava solo.Geltrude v'andò di corsache innanzi o indietro è ilpasso della pauragiunse senza alzar gli occhi dinanzi al Marchesesi gittò ai suoi piedied ebbe appena il fiato per dire:"perdono". Il Marchese con una voce poco atta a rincorarele risposeche il perdono non bastava desiderarloche questo lo safare chiunque è colto in fallo e teme il castigochebisognava insomma meritarlo. Geltrude in tanto più turbata edatterrita in quanto ella era venuta con la speranza di tostoottenerlochiese che dovesse fare per rendersene degnae si dissepronta a tutto. Il Marchese non rispose direttamentema cominciòa parlare lungamente del fallo di Geltrude e del torto ch'ella s'eraposta in pericolo di fare alla famiglia. Questo discorso era al cuoredi Geltrude come lo scorrere di una mano ruvida sur una piaga.Aggiunse chequando mai egli avesse avuto alcun pensiero dicollocare la sua figlia nel secoloquesto fatto sarebbe stato unostacolo invincibileperché egli avrebbe creduto suo doveredi rivelare la debolezza della sua figlia a chi l'avesse richiestanon essendo tratto da cavalier d'onore il vender gatta in sacco.Finalmenteraddolcendo alquanto il tuono della vocee le paroledisse a Geltrude che questi eran falli da piangersi per tutta lavitae che ella doveva vedere in questo tristo accidente un avvisodel cieloche le dava ad intendere che la vita del secolo era troppopiena di pericoli per leie che non v'era asiloripososicurezza...

"Ah!sì"interruppe incautamente Geltrude mossa ad un puntodal timoredal ravvedimentoe da una certa tenerezzae sopra tuttodalla corrività della sua fantasia. Il Marchese- ciripugna dargli in questo momento il titolo di padre - laprese in parolale annunziò il più ampio perdonosicongratulò con lei del partito ch'ella aveva presodella vitariposata e felice ch'ella avrebbe menatae la oppresse di quellelodi che fanno pauraperché lasciano indovinare a qualiimproperj esporrebbe il cangiar di risoluzione. Geltrude si stavastordita fra i diversi affetti che si succedevano nel suo cuorenonsapeva che direnon sapeva che si avesse detto: dubitava di essersitroppo avanzatao d'essere stata strascinata più innanzi chenon avrebbe voluto; questo pensiero era però dubbio e confusonella sua mente; ma foss'egli stato limpido e spiegato perfettamentemanifestarloaccennarlodire una parola che contraddicesseall'entusiasmo del Marchesesarebbe stato uno sforzo quasiimpossibile.

IlMarchese fece tosto chiamare la madre e il fratello di Geltrudepermetterlidiceva eglia parte della sua consolazioneper riporreGeltrude nella stima e nell'affetto della famiglia. L'una e l'altroaccorsero immediatamente. La Marchesa era avvezza dai primi giorni anon avere altra volontà che quella del maritofuorchéin due o tre capi pei quali aveva combattutoe ne era uscitavittoriosa. Questa condiscendenza non veniva già da unsentimento del suo dovere né da stima pel Marchesemadall'aver veduto chiaramente da principio che il resistergli sarebbestato un cozzar coi muricciuoli. S'era ella quindi rendutaindifferente su tutto ciò che riguardava il governo dellafamigliacontenta di fare a modo suo nei due o tre articoli cheabbiamo accennati. Del resto i disegni del Marchese sul collocamentodi Geltrude erano così conformi a quello che si chiamavainteresse della famigliae alle mire avare e ambiziose in alloratanto universaliche quel poco di opinione che la Marchesa aveva asua disposizione non poteva non approvarli. L'affezione materna peròle faceva desiderare che Geltrude si facesse monaca di buona vogliacome una buona madre che abbia una figlia tanto scrignuta econtraffatta da non poter esser chiesta da nessunodesidera ch'ellapreferisca il celibato al matrimonio. Al giovane Marchesino era statodetto fino dall'infanzia che le entrate della casa erano appenaappena proporzionate alla nobiltàe che detrarne anche unapicciola parte sarebbe stato un decadere se non nella sostanza almenonell'esterno; egli riguardava quindi assolutamente come un dovere inGeltrude di chiudersi in un chiostro: modo il più economico dicollocarsi: quindi l'aderire ch'egli faceva ai progetti del padre erauna docilità poco costosa. Il Marchese fece cuore a Geltrudee la presentò con volto lieto alla madre e al fratello."Ecco"disse"la pecora smarritae sia questal'ultima parola che richiami tristi memorie. Ecco" aggiunse "laconsolazione della famiglia: Geltrude ha scelto ella medesimaspontaneamente quello che noi desideravamo per suo bene; e non ha piùbisogno di consigli.

Èrisolutaed ha promesso..." qui Geltrude alzò gli occhitra lo spavento e la preghiera al Padrecome per supplicarlo disostare un momentoma egli ripetè francamente: "hapromesso di prendere il velo". Le lodi e gli abbracciamentifurono senza finee Geltrude riceveva le une e gli altri con lagrimeche furono credute di consolazione. Il Marchese Matteo si diffuseallora a magnificare le disposizioni che aveva già fatte dilunga mano per rendere lieta e splendida la sorte della sua figlia.Parlò delle distinzioni ch'essa avrebbe avute nel monasteroedel desiderio che le madri avevano di possederlae di osservarlacome la primala principessa donna del monasterodal momento in cuivi avrebbe riposto il piede. La madre e il fratello applaudivano:Geltrude era come posseduta da un sogno.

"Oh!"s'interruppe il Marchese; "noi stiamo qui facendo chiacchereesi dimentica il principale: bisogna fare una domanda in forma alVicario delle monachealtrimenti non si conclude nulla". Dettoquesto fece chiamare tosto il Segretario. Questi giunse ritto rittointirizzato quanto poteva comportare la fretta di obbedire al SignorMarchese; il quale tosto gli diede ordine di stendere la supplica. IlSegretariorivolto a Geltrude disse: "ah! ah!" per pigliartempo a studiare un complimento di congratulazione: ma il Marchese lointerruppe dicendo: "Prestoprestoscrivete alla buonasenzaconcetti; già conosciamo la vostra abilità". IlSegretario scrissee il foglio fu dato a Geltrude da ricopiarelaquale ricopiòe appose il suo nomecome le comandò ilMarchese. Il quale preso il foglioe consegnatolo al Segretarioperché lo portasse addirittura cui era indiritto; comandòche si preparasse per Geltrude il suo appartamento ordinarioche sidicesse ch'ella era guarita dalla sua indisposizione - erail pretesto preso per dar ragione della sua assenza continua -e che tosto le si facessero apprestare abiti più sontuosi.Quindi rivolto sorridendo a Geltrudele chiese quando ella sarebbestata disposta a fare una trottata a Monza per richiedere allaBadessa di esser ricevuta. "Anzi..." riprese dopo averpensato un momento"perché non v'andiamo oggi stesso?Geltrude ha bisogno di pigliar ariae sarà ancor piùcontenta quando il primo passo sia fatto". "Andiamoandiamo" rispose la Marchesa. "La giornata èbellissima". "Vado a dar gli ordini"disse ilMarchesino e stava per partire. "Ma..." cominciòGeltrudee non potè continuare. "Pianopianocervellino"ripigliò il Marchese rivolto al figlio:"forse Geltrude è stancae vuole aspettare fino adomani. Volete voi che andiamo domani?" domandò aGeltrude con uno sguardo che nello stesso tempo mostrava il sereno eminacciava il temporale. "Domani"rispose con debole voceGeltrudealla quale non parve vero di aver qualche ora di rispittoe che nel proferire quella parola si sovvenne che finalmente quelpasso non era l'ultimoil decisivo; e che si poteva ancora darne unoindietro. "Domani"disse solennemente il Marchese:"domaniè il giorno ch'ella ha stabilito".

Ilresto della giornata fu occupatissimo.

Geltrudeavrebbe voluto raccogliere i suoi pensieririposarsi da tantecommozionirendersi conto di quello che aveva fattodi quello cheera da farsisapere distintamente che cosa volevatrovare il mododi rallentare un po' quella macchina che appena mossa andava contanta celeritàper vedere almeno come ne era condottae perarrestarla affatto se si fosse accorta che la conduceva ad unpentimento; ma non ci fu verso. Le distrazioni si tenevano dietrosenza interruzionee la mente di Geltrude era come il lavorio d'unapovera fante che serva ad una numerosa famiglia e che in un giorno difaccende chiamata di qua di là non può venire a capo dinulla. Mentre s'apparecchiava il quartiere ch'ella doveva abitareella fu condotta nella stanza stessa della Marchesaper essereacconciataadornatavestita del suo più bell'abito;operazione che in quel giorno le recò una noja intollerabile.La Marchesa presiedeva all'acconciamentoe parte lodandoparteriprendendoparte consigliandoparte interrogando Geltrude di coseestranie non le lasciò il tempo di raccozzar due idee. Delresto a misura che l'opera procedeva verso la sua perfezioneGeltrude stessa vi prese un po' d'affettoe vi occupò quelpoco di pensiero che le rimaneva. L'acconciatura era appena finitache venne l'ora del pranzo. I servi la inchinavano umilmente sul suopassaggioaccennando di congratularsi per la ricuperata salute; conuna serietà che non avrebbe lasciato supporre che essisapessero qualche cosa del vero motivo della assenza di Geltrude. Atavola Geltrude fu la regina: servita la primatrattenutacorteggiataella doveva corrispondere a tante gentilezzee facevaogni sforzo per riuscirvi. Il Marchese aveva fatto avvertire alcuniparenti più prossimi del ristabilimento della figliae dellasua risoluzione: le due liete nuove si sparseroe come la famigliadel Marchese spandeva un lustro grande su tutta la parentelacomparvero dopo il pranzo visite di congratulazione. I complimentierano per la sposina - così si chiamavano legiovani che erano per farsi monache - e la sposinadoveva rispondere a quei complimenti; ed ogni risposta era unaconferma. S'avvedeva ben ella che ad ogni momento andava tessendoella stessa una maglia di più alla sua rete; ma oltre ch'ellanon vedeva ben chiaro se quella era una retefare altrimenti lepareva impossibile: poiché come mai in presenza del padreachi si rallegrava di una risoluzione presa da leied annunziata daquelloavrebb'ella potuto dare una risposta dubbiosa? Partite levisite Geltrude entrò con la famiglia nel cocchio dal qualeera stata esclusa per tanto tempo: e si andò a fare la solennetrottata. Lo spettacolo e il romore delle carrozze e deipasseggiatorii discorsi incessanti del padredella madree delfratello che per cortesia rivolgevano sempre la parola a Geltrudesicontendevano l'attenzione della sua mente; e i pensieri sulla suasituazione vi apparivano istantaneamente come lampi in un poverocielo. Rientrato il cocchioin casae fermato sotto le volterimbombanti dell'atrioi servi che scendevano in fretta coidoppieriannunziarono che gran parte della conversazione era giàragunata.

Simontò con tutta la fretta che poteva conciliarsi con una certagravitàe di sala in sala si giunse a quella dellaconversazione. La sposina ne fu il soggettol'idoloe la vittima.Chi si faceva prometter da leichi prometteva visitechi parlavadella madre tale sua parentechi della madre tal altra suaconoscente; chi lodava il cielo di Monzachi la regola delmonastero. Se alcuno non potendo avvicinarsi a Geltrude assediata daaltrio trovandosi distratto a ciarlare in un crocchionon le avevadetto nullasi sentiva tutto ad un tratto preso come da un rimorsotemeva di averle fatta una offesae studiava il momento di farle ilsuo complimento. Finalmente la brigata si sciolsetutti partironosenza rimorsoe Geltrude storditaintronata si rimase sola con lafamigliadalla quale ebbe altri complimenti sui complimenti cheaveva ricevuti. "Ho finalmente"disse il Marchese Matteo"avuta la consolazione di veder mia figlia trattata e distintada sua pari. Domani mattina"soggiunse"converràesser presti di buon ora per andare a Monza come ha stabilitoGeltrude". Geltrude condotta finalmente dalla Marchesa nellastanza che le era preparata vi rimase con una donna che era stataquel giorno destinata ai suoi servigiin vece di quella che avevafatto presso di lei il tristo uficio di carceriera.

Questocangiamento era stato provocato da Geltrude. Vedendo ella in quelgiorno il padre così disposto a compiacerla in tutto fuor chein una cosafu tentata di profittare dell'auge in cui si trovava persoddisfare almeno una delle passioni che si univano a tormentarla. Siè detto ch'ella vedeva di mal occhio la donna che le era stataspia e guardiana; e che v'era fra esse un ricambio continuouna garadi sgarbi. Geltrude in certi momenti di divozione le aveva perdonatoma cento perdoni non ne vagliono un solo. Vedersi in quel giornotrattata con tanta importanza quasi con tanto rispetto da tutta lafamigliale dava un po' di superbiae nello stesso tempo il sentireche con queste lusinghe le si faceva fare quello che forse ella nonavrebbe voluto le dava stizza: mentre il suo animo si trovava fraquesti due tristi sentimentile sovvenne dei modi rozzifamigliariinsolenti che quella donna le aveva usati nella sua prigioniaevolendo lamentarsi di qualche cosase ne lamentò al padre.Questi ne fuo se ne mostrò sdegnatonon istette adomandarle come ella pure avesse trattata la donna; ma promise chedarebbe una buona lavata di capo a coleie fissòimmediatamente ai servigi di Geltrude un'altra donna di casa. Eraquesta la vecchia governante del Marchesino: e Geltrude faceva pocoguadagno nel cambio. La vecchia alla quale il Marchesino era statodato in guardia quando fu tolto alla nutriceaveva per lui una falsaaffezione di madre: in lui aveva poste tutte le sue compiacenzelesue speranzela sua gloria. Dopo il Marchese ella era stata la primaa dire che Geltrude aveva ad esser monaca per non rubare una parted'entrata al Marchesino. Quel giorno ella era e si mostrava tantosoddisfatta che aveva ricevute le congratulazioni dei suoi conservitra i quali era un personaggio d'importanza; e parlava con moltabontà della signorina che aveva conosciuto il suo dovere.

Geltrudea compimento di quella giornatadovette sentire le lodi e i consiglidella vecchia che spogliandola e ponendola a letto le fece la storiadi sue ziee di sue proziele quali s'eran fatte monache per nonintaccare il patrimonio della casae che se n'erano trovate bencontente perché i monasteri dove s'erano chiuse avevan saputotener conto dell'onore che arrecava loro l'aver dame di quella casa.Le raccontò che si era ricorso ad esse per protezionee cheesse dal loro parlatorio avevano ottenuto ciò che era statoinvano domandato dalle prime dame nella loro gran sala diricevimentoparlò degli affari d'onore imbrogliatissimich'esse avevano conciliatidelle visite di grandi personaggiforestieri che avevano ricevutedi che tutta la città avevaparlato. "Ma"soggiungeva"erano donne che sapevanfare"; e qui intrometteva qualche consiglio sulla condotta datenersi a Monza. Prediceva gli onori che Geltrude avrebbe purricevutile distinzionile visite. Verrebbe poi il SignorMarchesino con la sua sposala quale doveva esser certo una grandamae allora non solo il monasteroma tutto il borgo sarebbe inmovimento. Geltrude ascoltava con una noja mista di qualchecuriositàpoiché si trattava probabilmente del suoavveniree benché stanca e stordita non diceva: "finitela"per quella stessa curiosità che impedisce uno di lasciare amezzo una storia mal pensata e male scritta. La vecchia aveva parlatomentre spogliava Geltrudequando Geltrude era già coricata;parlava ancora che Geltrude dormiva. Le cure di rado tolgono il sonnoalla giovinezza; e sono tutt'altre cure che quelle onde era oppressaGeltrude. Il suo sonno fu affannosotorbidopieno di sogni penosima non fu rotto che dalla voce agra della vecchia che venne di buonmattino a riscuoterla perché si preparasse al viaggio diMonza.

"Altoaltosignora sposina; è giorno fatto; e prima ch'ella siavestitarivestitain prontoci vorrà anche un'ora almeno.La Signora Marchesa si sta alzandoe l'hanno svegliata quattr'oreprima del solito. Il Marchesino è già disceso allascuderia e risalito; e si trova in ordine di partire quando che sia.Vispo come un lepratto quel diavoletto: ma! egli era tale fin dabambino: io posso ben dirlo che l'ho tenuto nelle mie braccia. Maquando è all'ordine non bisogna farlo aspettareperchéquantunque sia della miglior pasta del mondoallora egli strepitafa il diavolo: e questa volta avrebbe anche un po' di ragione perchéegli s'incomoda per accompagnar lei. Guarda in quei momenti: non hatema di nessunofuorché del Signor Marchese; ma poifinalmente egli non ha sopra di sè che il Signor Marcheseeun giorno il Signor Marchese sarà egli. Poveretto! con dueparoline però s'acqueta subito. Lestalestasignorinaperché mi sta guardando così come incantata? aquest'ora ella dovrebb'esser fuori del nido".

Geltrudeinfatti desta per forzanon ancor ben certa di vegliareassalita adun punto dalle memorie del giorno trascorsodal pensiero di ciòche si doveva fare in quello che cominciavae dal cinguettio dellagovernantestava cogli occhi socchiusi ed intenti come trasognata:quel destarsi era per la sua mente come il dubbio barlume di unmattino tempestosoquando un leggero diradamento nelle tenebreappena annunzia che il sole è sull'orizzontee a chi guardapiù attentamente il sole stesso appare come un disco bianco eleggiero sospeso dietro le nuvole trasparenti.

Quelleesortazioni però fecero colpo assaiperché la vecchiaaveva toccato un tasto del quale essa stessa non conosceva tutta laforza. Il nome del Marchesino aveva già fermata l'attenzionedi Geltrudema quando dalle parole della governante l'immagine delMarchesino in collera passò nella mente di Geltrudetutti ipensieri onde questa era affollatasi levarono a volo come unostormo di passere alla vista d'uno spauracchioe non restòpiù a Geltrude che la voglia di sbrigarsie di schivarequella collera. Geltrudebisogna confessarlonon amava molto ilfratello; e pei suoi modi asprisprezzantie imperiosie perchédi tutta la casa il Marchesino era quegli che più soventeaveva il monastero in bocca; e perché le compiacenze e ledistinzioni dei parenti sopra di luila tenevano in uno statocontinuo di paragone umiliante. Lo temeva essa peròma finoad un certo tempo non quanto egli avrebbe voluto: e come di lingua ed'ingegnoella era meglio fornita di luidi quando in quando ellasi vendicava con un motto di molti giorni di una pesantepersecuzione. Era quindi fra loro come un continuo stato di guerra.Ma quando dopo la sua prigionia Geltrude comparve davanti al fratellocarica d'un fallo e d'un perdonoalzando timidamente gli occhi sullafaccia del fratellovi scorse una superiorità dalla quale nonebbe pure il pensiero di potersi ribellar mai; si sentìsoggiogata per sempre. Ed ora il solo pensare che il fratello in unmomento d'impazienza potesse profittare del vantaggio che ella leaveva dato col suo falloper gittarle un mottoun rimprovero chealludesse a quellola faceva tremare. Si pose ella quindi a sederein frettae pure in fretta cominciò a vestirsi. Avrebbepotuto la poverina riflettere che quel pericolo era troppo lontano;che il fratello in un momento in cui sperava da lei un tal sagrificioera ben lontano dal dir cosa che potesse offenderla; e che alla fineper grossolano e sventato ch'egli fossenon avrebbe scherzato cosìdi leggieri con l'onore di sua sorellaal quale il suo proprio eratanto vicino; ma un effetto dei falli si è appunto di renderl'animo più soggetto a timori non ragionevoli.

Geltrudesi vestì dunque in frettasi lasciò acconciare ecomparve nella sala dov'era radunata la famiglia ad aspettarla. IlMarchesinoal quale corsero dapprima i suoi occhjse ne stavatranquillosenza dar segno d'impazienza: la Marchesa la quale avevasagrificate tre ore di letto mostrava nell'aspetto quel misto disentimenti che nasce dalla consolazione di aver fatta una impresaedal dispetto degli incomodi sostenuti per venirne a capo. Il Marchesecon lieto viso si fece incontro a Geltrudee le disse. "Avetescelto una bella giornata: buon augurio". "Buon augurio"ripeterono la Marchesa e il Marchesino. Era preparata una sedia abracciuolie il Marchese accennò amorevolmente a Geltrude chevi sedessee perch'ella confusa stava alquanto in forse: "quiqui"diss'egli"certamente: dopo la risoluzione che avetefatta non siete più una ragazzetta: siete come un di noi".Appena Geltrude si fu sedutavenne un servo che le presentòrispettosamente una tazza di ciocolatte.

Prendereil ciocolatte a quei tempieradice il nostro manoscrittoquelloche presso ai romani assumere la veste virile: e tutte questecerimonie erano piccioli filiche legavano sempre più lapovera Geltrude. Essa non confermava con parole la risoluzione chetutte quelle dimostrazioni supponevano: non diceva nullanon facevanullama tutto ciò che si faceva d'intorno a leila ponevain una situazione nella quale il disdirsiappena il mover dubbiosulla sua risoluzioneil fermarsi un momento avrebbe avuto semprepiù apparenza di stranezza scandalosa. Preso il fatalciocolatteil Marchese si alzòpigliò Geltrude indispartee con aria di consiglio amorevole le disse. "Orsùfiglia miadiportatevi bene: scioltezzae buon garbo". E quile diede le istruzioni su quello che doveva fare e diree le feceripetere la formola della domanda. "Benissimoa meraviglia"esclamò quindi e continuò: "Quelle buone suore viaspettano a braccia aperte; e non sanno nullanulla... Non mi datein fanciullagginiin piantinon mi fate la Maddalena penitenteguardatevi da un contegno che lasci sospettar qualche cosa: siatefrancae mostrate di che sangue uscite. La vostra risoluzione vi hameritato il perdono della famiglia; il vostro fallo ècancellato e dimenticato". Quand'anche Geltrude avesse avuto ilcoraggioche non avevadi porre qualche ostacoloquesto discorsoche le faceva sentire dove si sarebbe tosto portata la quistionel'avrebbe immediatamente disposta ad obbedire senz'altreosservazioni. Ella arrossònon rispose nullachinò ilcapogli occhi le si gonfiarono; ma un "via via"dettorisolutamente dal Marchese e l'apparire d'un servo che annunziava cheil cocchio era prontola costrinsero a farsi forzae a ricomporsi.Nello scender le scaleGeltrude fu servita da un bracciere; si montòin cocchioe si partì. Gl'impiccile nojee i pericoli delmondoe la vita beata del chiostroprincipalmente per le giovani disangue nobilissimo furono il tema del discorso durante il tragitto.All'entrare nel borgoal vedere la porta del chiostroGeltrude sisentì stringere il cuorema gli occhi della famiglia eranosopra di lei; quando il cocchio si fermò Geltrude guardandoalla porta la vide già piena di curiosi; e lo studio di nonfar nulla di sconvenevole la occupava tantoch'ella scesee s'avviòquasi senz'altro pensiero. Attraversando il cortile si vide la portadel chiostro apertae tutta occupata dalle monache. In prima filaalcune anziane con la badessa nel mezzo; dietro le altre allarinfusaquelle che erano immediatamente dopo le prime cacciavano ilvolto tra l'una e l'altraaltre dietro ritte sulla punta dei piedi;e per non tacer nullale converse in ultimo sollevate soprasgabelletti. Si vedevano pure qua e là luccicare piùbasso qualche paja di occhj avidissimicome al buco della chiaveedapparire qua e là un po' di volto mezzo ascoso: erano le piùdestre e le più animose delle educande che serpendo tra unamonaca e l'altra s'eran trovate un cantuccio per vedere anch'essequalche cosa: il che era in verità troppo giusto.

Geltrudecome incantata giunse in faccia a tanto teatrocondotta ed animatadai parentie si fermò nel bel mezzo davanti alla madrebadessa. È inutile dire che questa era stata dal Marcheseavvertita per un messo straordinario della visita che avrebbericevuta e del perché. Geltrude fu accolta dalla badessa e datutte le suore con acclamazioni. Dopo i primi salutila badessa nelmodo con cui si fa per formalità una domanda della quale ècerta la rispostale domandò che cosa ella desiderava in quelluogo dove non v'era chi potesse nulla rifiutarle.

"Sonqui..." cominciò a rispondere Geltrudema nel momento incui ella doveva manifestare con certezza un desiderio che eratutt'altro che certo nel suo cuorenel momento in cui le sue paroledovevano decidere quasi irrevocabilmente del suo destinoilcombattimento interno fu sì forte ch'ella non potèproseguiree ristette un istante guardando come incantata labadessae la folla che la circondava. Così guatando ella videdistintamente alcune delle sue compagnee sulla parte che apparivadi quelle faccette e più negli occhi un'espressione mista dimalizia e di compassioneche diceva chiaramente: "Ah! c'èincappata la brava!" Questa vista le risvegliò in cuoretutta l'avversione al chiostrol'orrore per la violenza che l'erafattae con questi sentimenti un lampo di coraggio. E giàella stava cercando una risposta diversa da quella che si aspettavada leicosa troppo difficile a trovarsi in quella circostanza. Alzòun momento gli occhi verso il padre che le stava di fiancoperindovinare che effetto avrebbe prodotto la sua resistenzae come peresperimentare le proprie forzema vide negli sguardi del Marcheseuna espressione sì minacciosache tutto il suo coraggiosvanì. Pensò che la resistenzache il ritardol'avrebbero resa innanzi a tanti occhi un oggetto di scandalodistuporee di derisionepensò al padreal fratelloalmondoal paggio; si consolò riflettendo che dopo quellaformalità le rimaneva ancora una porta aperta per tornareindietroche poteva guadagnar tempoe che avrebbe saputoapprofittarne; e il partito il più facileil piùsicuroil meno terribile in quel momento le parve di direcomefece: "Son qui a domandare d'essere ammessa a vestir l'abito".Nel breve momento d'indugio ch'ella aveva posto a finir la sua fraseun silenzio solenne aveva regnato fra gli astanti: le parole diGeltrude furono seguite da una acclamazione generale. Chetato iltumultola badessa tutta sorridenteporse a memoria questa rispostache le era stata data in iscritto da un bell'ingegno di Monzauomodotto che aveva letti i celebri romanzi del Pasta: "Se ilrispetto non ponesse un freno agli affettiio accuserei in questacircostanza di troppo rigore quelle regole sapientissime che ciproibiscono di dare alcuna risposta a domande di questa natura primadi averne ottenuta la licenza. Bensì senza riguardiaccuseremo il tempo che coi suoi lenti passi ci ritarda il momento didare questa risposta desiderosa non meno che desiderata. E voicarissima figliacon l'acume del vostro ingegno potrete intantodaisegni esterni farvi indovina della decisione che potete aspettarvi datutte le nostre suore; e da me umilissima superiora".

Leacclamazioni ricominciarono: e le suore sorrisero di compiacenzaenon a torto perché la gloria del capo si diffonde sugliinferiori.

Labadessaalla quale non era spiaciuto di aver molti uditoripensòallora che la folla poteva essere incomodasi rivolse ad una suorae disse: "Ehi suor Eusebiadate un po'una voce alla fattoraperché faccia sparire tutto quel minuto popoloe chiuda laporta di strada". L'ordine fu dato ed eseguito: e il minutopopolo partì con dispiacerema con ammirazione. Geltrudepassava intanto dalle braccia della badessa a quelle d'una ed'un'altra suora; e ognuna le faceva un complimentoil quale avevain tutte a un di presso lo stesso senso: - l'avevamsempre detto che sareste nostra -. Passato quel primoimpetola badessa pregò Geltrude e la famiglia di passare nelparlatorio. A questa preghierale converse scesero dagli sgabellila folla si diradòe la badessa con alcune delle anziane siavviò al parlatorio per l'interno del chiostromentre lafamiglia milanese vi andava pel di fuori.

V'hadue modi di scendere il pendio della sventura: l'uno è dicapitombolare ad un tratto nel precipiziol'altro d'andarvi comesaltelloni in più riprese: in questo secondo casoognifermata è una specie di riposo; e l'intervallo che passa trauna caduta e l'altra è talvolta tutto occupato dalla speranza.Geltrude sentì un certo sollievo d'essere uscita di quellastretta comunque ne fosse uscitae corse tosto col pensiero aproporsi di volere prima di fare un altro passo meditar ben bene sele conveniva o no di progrediree di non lasciarsi cogliere cosìalla sprovveduta. Con questo pensiero ella fu condotta nelparlatorio. Qui rinnovati i complimentila badessa pregò gliospiti di aggradire alcune cosuccech'ella faceva porre nella ruotada una conversa; la quale dette il moto alla ruotae ne rivolse labocca verso il parlatorio esteriore.

Duesecoli e più sono passati dopo quel giorno memorabile: cosìche noi crediamo di potere ormai senza indiscrezione manifestare chela ruotarivolgendosiofferse agli sguardied alle mani degliospiti un gran bacile di dolci squisitifabbricati di propria manodalle suore malgrado gli ordini ecclesiasticiin allora recenticheproibivano loro assolutamente un tale esercizio. È da credersiche questi ordini non ottenessero un più grande effetto inprogresso di tempogiacché questa fabbricazione duròfino ai nostri giorni; il che non si accenna qui per censurare conindiscreta severità tutte le monache che si succedettero inquesti due secoli; una tale censura sarebbe anzi a dir vero non soloindiscretama perfidamente ipocritaperché chi scrive hamangiato egli stesso i dolci squisiti di fabbrica monasticaquandoha potuto averne. Si parla soltanto di questo fattoperchépuò dar luogo ad una osservazione piccante: che vi ha talvoltadelle leggi che non sono eseguite.

Dopoun "oh!" come di sorpresadopo alquanto schermirsielagnarsi d'esser trattati in cerimoniail bacile fu manomessoidolci furono gustati con atti che esprimevano l'ammirazionesommelodi furon date con sentimento moltoe rispinte con molta modestia.

Mentrela Marchesa e il Marchesino si abbandonavano con alcune suore allevarie riflessioni che può far nascere un bacile di dolcieGeltrude era costretta di rispondere come poteva ai complimenti chealtre suore le facevanola madre badessa chiamò in disparteil Marchese ad un'altra grata.

"SignorMarchese... per adempire alle regole... per una pura formalità...debbo dirle... che ogni volta che una figlia domanda d'essereammessa... la Superioraquale io sono indegnamente... tiene obbligodi avvertire i parenti che se mai essi forzassero la volontàdella figlia incorrerebbero nella scomunica... Mi scuserà..."

"Benissimobenissimoreverenda madre; troppo giusto: lodo la sua esattezza. Magià ella non può dubitare..."

"Oh!PensiSignor Marchese; non sono pur cose da dirsi: ho parlato permio dovere; ma s'immagini..."

"Certocertomadre badessa". Finito il qual breve dialogoi dueinterlocutori si separarono in frettacome se fosse incomodo adentrambi il continuarloe andarono a mescersi ognuno alla suabrigata. Dopo alcuni altri complimentiil Marchese si accomiatòe Geltrude colle tenere espressioni della badessacon le istanzedelle suore di venir prestofu rimessa in cocchio piùstorditapiù incertapiù sopra pensiero di quello chefosse partita la mattinama con un anello di più alla suacatena; e che anello!

Mala badessa aveva ella qualche dubbio sulla libera elezione diGeltrudeo prestava fede intera alle parole materiali ch'eranouscite dalla bocca di lei? Il manoscritto non ne dice nulla; si perdeinvece a raccontare lunghissimamente dei particolari nojosi che noiommettiamointorno ad alcune brighe del monasteroad alcunerivalitàad alcuni impegninei quali l'aver fra le suore unafiglia di famiglia potentissima poteva essere un gran soccorso.



Cap.IV

Appenacessati gl'inchini che dalla carrozza si dovevano fare in rispostaalle riverenze delle suore che stavano sulla soglia a veder partire isignorie la nuova sorellaappena messo in moto il cigolantecarrozzoneGeltrude fu assalita da nuovi complimenti sul modo concui si era portatasul suo contegnosull'ammirazione che avevaeccitato nelle monachesul giubilo di queste per l'acquisto chefacevanoe per conseguenza sulla felicità di che Geltrudeavrebbe goduto in loro compagnia. Ma tutti gli elogi non furono perGeltrude. La Marchesa sbadigliando parlò con ammirazione dellabadessa: "Come s'è portata!" diss'ella "non miaspettava tanto; ah! che contegno! aah! che dignità! aaah! chedisinvoltura!"

"Sìsì": rispose il Marchese"ma! Geltrude saràaltra cosa". Il discorso sarebbe durato fino all'arrivo incittàse il Marchesino che ne era nojato non l'avessetroncato per parlare dei divertimenti che Geltrude doveva goderenell'intervallo fra la domanda e l'accettazione. E qui comeconoscitore espertissimo di tutto ciò che nella città enei contorni era degno da vedersiegli ne anticipò a Geltrudelarghe e variate descrizioni; e le parlò di molte sposinech'egli aveva incontrate nelle brigatesenza risparmiare la storiadi qualche grossa semplicità di taluna di esseche avevamolto dato da ridere. Il Marchese lasciava chiaccherare il figlioperché in questa faccenda egli aveva più da fare che dadiree tutto ciò che gli risparmiava una occasione didiscorsolo toglieva da un impaccio: quanto alla Marchesamalgradoi trabalzi che una carrozza di quei tempi dava in una strada di queitempiella dormiva saporitamente: cosa che non sorprenderàchi sappia che cosa vuol dire essere svegliato tre ore prima delsolitoe per occuparsi in cosa indifferente.

LaMarchesa fu desta dal rimbombo dell'atrio di casae dall'improvvisofermarsi della carozza. Scesie salite le scaleil Marchese intimòalla madre e alla figlia che prima del pranzo dovessero porsi inassetto per andar subito dopo a restituire la visita alle dame cheavevano favorito la sera antecedente. Detto e fatto; l'acconciaturail pranzole visite si succedettero senza interruzione; e la solitaconversazione terminò la giornata. Dopo cena il Marchese posein campo il discorso dei divertimenti che si dovevano dare aGeltrudee delle conversazioni dove ella aveva ad esser presentatacome sposina. "Bisognerà pensare senza ritardo"soggiunse egli"a scegliere per Geltrude una madrina degnadella nostra casa". La madrinamio giovane lettoreera unadama incaricata di condurre la sposina ai divertimentialleconversazionidi presentarlae di vegliare sovr'essa. Siccome ilMarchese proferendo quelle ultime parole s'era voltato verso laMarchesa come invitandola a proporre la dama che le fosse paruta piùa proposito (atto per parentesi che il Marchese faceva rarissimo) laMarchesa cominciò tosto: "Vi sarebbe..." "Nono"interruppe il Marchese"la prima condizione d'unamadrina è ch'ella vada a genio della sposina; e benchél'uso universale e ragionevole dia questa scelta ai parentipureGeltrude ha tanto giudizio che merita che si faccia una eccezione perlei". E qui rivolto a Geltrude col piglio di chi fa una graziasingolarecontinuò: "Ognuna delle dame che avetevisitate questa mattinae di quelle che si sono trovate questa seraalla conversazioneha le condizioni necessarie per esser madrinad'una figlia della nostra casae ognuna si terrà onorata diesser preferita: scegliete".

Geltrudeincerta com'erae stanca e indispettita dei passi che le si facevanofare sulla via del chiostronon avrebbe voluto far nulla: ma lagrazia era offerta con tanto apparato ch'ella s'avvide che il rifiutosarebbe stato preso per un disprezzo; e nello stesso tempo non volleperdere quel qualunque vantaggio che le dava il potere scegliere.Nominò dunque la dama che in quel giorno le era piùdell'altre piaciutaquella cioè che le aveva fatte piùcarezze d'ogni altrache l'aveva lodata più d'ogni altrachenell'accoglierla e nel conversare con lei le aveva mostrato tuttoquell'aggradimentoquella famigliaritàquell'affetto chealle volte in una prima conoscenza imita i modi d'una anticaamicizia. La dama scelta da Geltrude aveva da lungo tempo fattoassegnamento sul fratello di Geltrude per farne il marito d'una suafiglia ch'ella amava assai. "Ben sceltoben scelto"disseil Marchese: "e Lei"proseguì verso la Marchesa"andrà domani a farne la domanda alla dama; e si ricordidi dire che la scelta è stata fatta da Geltrude: che son certoche la dama aggradirà doppiamente la domanda".

Noinon terremo dietro a Geltrude nei divertimentie nelle conversazionia cui fu condotta o strascinata; né racconteremo tutte leimpressioni e i sentimenti dell'animo suo in queste spedizioni;poiché dovremmo ripetere tante volte la stessa cosaquantefurono le fluttuazionile risoluzionii pentimentii sì e ino della sua menteche furono infiniti.

Talvoltala pompa degli addobbilo splendore delle festela musica che nonesprime alcuna ideae ne fa nascere a migliajaquella esaltazionedi gioja che appare negli uomini radunati per divertirsie per dirtutto le qualità auree di qualche giovane cavaliere ches'indovinavano al solo vederlole comunicava una certa ebbrezzaunaspecie di entusiasmo che le faceva proporre di soffrire ogni cosapiuttosto che di tornare all'ombra trista e fredda del chiostro.Talvolta lo stordimentola faticala seccaggine dell'udire e lacontenzione del rispondere le faceva parer dolce quel silenzio equella pace. Si destava talvolta piena ancora delle immaginisplendide del giorno trascorso; pensava al passo irrevocabile chestava per daree diceva tra sè: - Oh chesproposito! - si sentiva un coraggio a tutta provaeprometteva di tornare indietro. La presenza del padreo delMarchesinouna cosa qualunque da farsi raffreddavano quel primoimpeto; il quale alla sera si trovava talvolta cangiato in un pienoabbattimento. Tornavano allora alla mente le difficoltàsipensava allora che se anche resistendo si avrebbe potuto schivare ilchiostronon era da sperarsi il viver lieto del quale allora sigustava una parte: perché si era in colpaperché tuttala bonaccia presente non era assicurata che da un perdonoe ilperdono dalla risoluzione di pigliare il velo. Come sarebbero andatele cosese la risoluzione si fosse ritrattata? e con quali paroleritrattarla? come cominciare? da che? Geltrude ritirava lo sguardo daquesto mare in tempestae rivolgendolo allora al chiostroilchiostro le pareva un porto.

Coltivavaella allora i sentimenti pii che potevano far piacere il chiostro achi l'avesse scelto volontariamentee in quelli cercava di riposare.Quando dopo questi momenti ella si trovava con la famigliao conaltridiceva spontaneamente e con aria di posata fermezzaparoleche dovevano far credere che la sua scelta era liberissima. Tutte levolte poi ch'ella era posta in una circostanza nella quale ciòch'ella doveva fare o dire doveva essere un nuovo attestato di questasua sceltaella faceva e diceva ciò che lo poteva farcredereciò che la impegnava sempre più. Benchéalcune volte in quelle circostanzeella sentisse una manifestaripugnanza all'impegnarsi davantaggioquantunque ella vedessechiaramente che ciò ch'ella stava per fare le rendeva piùe più difficile il retrocederepure il dire o fare ilcontrario l'avrebbe posta tutt'ad un tratto in una situazione cosìdura e così difficilech'ella non poteva né purepensare di farlo. Ella era come chi trovandosi sur un ripido pendiovedesse all'ingiù sotto di sè un picciol passo dafarsie quindi un luogo di riposoe volgendosi indietro perguardare alla via che bisognerebbe fare per risalire vedesse ilprincipio d'una ertalungadirottadisastrosa. E la poveraGeltrude non dava passo che per discendere. Ma siccome chi nuoce a sestesso nell'avvenire per timore di nuocersi nel momento presentenonvuol mai confessare a se stesso tutto il male che si fanédarsi così tosto per perdutoe ad ogni male che si fasiconsola con l'idea d'un rimediocosì anche Geltrude avevatrovato nella via che le restava da percorrere un momento di piùforte speranza. Questo momento era quello dell'esame che unecclesiastico deputato dal vicario delle monache doveva fare dellasua vocazione; esame nel quale ella si sarebbe trovata sola con luie nel quale ella si teneva certa che qualche occasione si sarebbeofferta per potere svilupparsi da quel lacciose laccio erae inogni casodi conoscere ella stessa più chiaramente il suoanimodi deliberare sulla sua scelta più posatamentepiùsicuramentedi quello che potesse fare coi parenti giàrisoluti senza deliberazionee coi suoi pensieri troppo agitatitroppo confusitroppo inesperti per deliberare.

Ilmomento che Geltrude desiderava non senza qualche terroreilMarchese lo affrettava con istanzeperchécome si èdettoegli era uomo esperimentatoe sapeva che a volere che unaffare sia spicciatobisogna muoversi; e il momento venne. Un belmattino il Marchese annunziò a Geltrude che in quel giorno ilSignor... ecclesiastico mandato dal vicario delle monacheverrebbead esaminare la sua vocazione. Ma come quella conferenza avrebbeavute conseguenze seriee Geltrude vi doveva esser sola conl'ecclesiasticocosì il Marchese stimò che fossenecessario aggiungere all'annunzio qualche avvertimento che lasciasseuna impressione nell'animo della figliae le servisse di compagnia edi guardia nell'assenza forzata d'ogni altro custode.

"OrsùGeltrude"diss'egli; "finora voi vi siete diportata daangelo: ora si tratta di coronar l'opera. Oggi voi dovete fare ungran passo; pensate che da esso dipende l'onore di vostro padredella famigliail vostroe il vostro destino di tutta la vita.Tutto quello che si è fatto finorasi è fatto divostro consensoanzi a vostra richiesta. Se in tutto questofrattempo vi fosse nato qualche pentimentoqualche dubbioavrestedovuto manifestarlo; ma oravoi ben vedete che non è piùtempo di far ragazzate. Io mi sono impegnatoin faccia al mondoemi sono impegnato perché voi mi avete dato motivo di crederedi esser certo che poteva impegnarmi senza rischio di avere unasmentita. Ricordatevi che la più picciola esitazione che voipotreste mostrare oggimi porrebbe nella necessità discegliere fra due partiti dolorosi: o di rinunziare alla miariputazionelasciando credere che io ho presa leggermente unaleggerezza vostra per una ferma risoluzioneche ho fatte tantepubblicità senza riflessione... che so io... che ho pretesofar violenza alla vostra vocazione... o di svelare i veri motividella richiesta che voi avete fattae del vostro pentimento. Ilprimo partito non può assolutamente stare con ciò chedebbo a me e alla casa. Astretto di appigliarmi al secondodovreianche poi trattarvi come una figlia colpevoleche avrebbecorrisposto al primo perdono con un'altra gravissima colpa..."

Iltuono solenne e misterioso con cui il Marchese aveva cominciato ilsuo discorso aveva già messa in apprensione Geltrude: e nellaangoscia dell'aspettazione i tratti del suo volto erano immobilitesiravvolti come le foglie d'un fiore nell'afa che precede laburasca: ma la gragnuola assidua e crescente di quelle paroleminacciose percotendolala abbattè affattoe la fèsciogliere in uno scoppio di pianto. "Via via... che èstato?" disse avvedendosene il Marcheseil quale era in quellafaccenda tanto occupato delle conseguenze che ella poteva avere perlui che non pensava che ella potesse toccare altri tanto sul vivo."Che è stato? io ho parlato in una supposizioneimpossibile... pure doveva pensare anche ad un tal caso... per quantogiudizio abbiateio doveva mettervi in avviso sull'importanza dellerisposte che oggi siete per dare. Il Signor... vi domanderà sela vostra risoluzione è liberase i parenti non vi hannocomandatoconsigliato... che so io?... ed io doveva avvisare dipesare ben bene la rispostaperché ella sia tale da non porminella necessitàdi farne un'altra ioe... ma viavialeson ciarle; voi farete il vostro dovere da bravacome avete fattofinora; e non si parlerà tra di noi che di consolazioni. Vianon piangetericomponeteviio vi lascio sola: rasserenatevinonfate che il Signor... vi trovi in uno stato che possa dare deisospetti... mi fido di voi". Così dicendo partìlasciando Geltrude a tutta l'agitazione che poteva dare un taldiscorso ad una giovane del suo carattere in quella circostanza.Geltrude pianse amaramentesi sdegnòvolle meditare suquello che aveva a dire; ma questa meditazione era così pienadi doloridi incertezzee d'angustieche la poveretta prescelse didivertirne a forza il pensierodi rivolgerlo a qualche cosa diestraneoe di aspettare il consiglio dalla cosa stessa e dalmomento. Ma qual si fosse il partito al quale ella dovesseappigliarsi nell'abboccamentoella stessa sentiva ripugnanza evergogna a presentarvisi in un aspetto che annunziasse una qualcheperturbazionee risolvette di avere un aspetto tranquillo e decente;e lo ebbe in brevissimo tempo. Pretendono alcuni che le figlied'Adamo riescano molto meglio a dominare l'espressione esterna delloro animo che l'animo stesso; e che in questa parte riescano meglioassai che non quegli individui del genere umano che si chiamano dipreferenza uomini. Ma tutte queste quistioni di paragone tra l'unsesso e l'altronon saranno mai messe in chiaroe né pureben poste fin che gli uomini soli ne tratteranno ex professo negliscritti: giacché essi peccano tutti verso le donne o digalanteria adulatoriao di ostilità grossolana. Con questaosservazione non s'intende già di sprezzare temerariamentetante opere profonde che sono state scritte sul merito comparativodel bel sessoe le riflessioni infinite e bellissime su questoargomento che sono sparse in tante altre opere; ma per quanto unamateria sia stata egregiamente trattataè sempre lecito didesiderare qualche cosa di più.

"IlSignor...!" A questo annunzio Geltrude balzò in piedivergognosae agitatafacendogli le accoglienze che usano le personevergognose e agitate. Il Marchese lo accompagnavae dato uno sguardoa Geltrude si ritirò: la madrina passò nella stanzavicina: la porta di comunicazione aperta in modo che ella potesse daquella vedere e non intendere.

Ilettori d'una storia hanno il privilegio di conoscere i personaggiprima di vederli operaredi sentirli parlare; ed è questa unadelle ragioni per cui la lettura d'una storia è molte voltepiù chiara e meno difficoltosa che la condotta negli affaridella vita. Per servire a questo privilegio noi diremo qualche cosadel Signor...

Eraun buon uomo; e la bontà gli era sì naturaleche glipareva la cosa la più naturale del mondo: siccome ve n'avevasempre nelle sue intenzioni e nelle sue azioniegli ne supponevasempre nelle intenzioni e nelle azioni degli altri: nel che il buonuomo aveva torto. Non vogliam dire con questo ch'egli avrebbe dovutogiudicare sfavorevolmente degli altrisupporre il maleattenersi aquell'indegno proverbio che dice- chi pensa malepensa una volta sola -: ohibò: questo èun eccesso più comunee peggiore. Avrebbe dovuto lasciar digiudicare nelle cose che non lo toccavano; e in quelle nelle quali ilsuo giudizio doveva influire sulla sorte altruiavrebbe dovutosospenderlo fino a tanto che da un attento esame egli avesse potutoformarlobuono o tristoma con quella maggior certezza che èdata a quello stromento guasto che si chiama ragione umana. Il casodi Geltrude mostrerà come egli avesse il torto di pensar beneprima di pensare. Il Marchese parlandogli della figlia ch'egli avevaad esaminare ne aveva esaltata la pietàl'amore del ritiroil desiderio di conservarsi nel chiostro per esser pura e santa. IlSignor... aveva creduto con gioja al primo momento tutte queste coseliete; e andava a far l'esame nel quale si trattava di decidere se lavocazione era vera o falsa colla prevenzione dolcissima ch'ella eravera: il buon uomo si consolava di avere a sentire l'espressione diun animo pio e ferventedi godere dello spettacolo di una buonarisoluzionementre avrebbe dovuto pensare ad accertarsi se larisoluzione esisteva. - Oh! - diràtaluno- se egli non avesse creduto al Marcheseavrebbe dovuto supporre così di primo slancio che Geltrude erauna fintao il Marchese un tiranno impostore. E doveva egli pensarcosì senza alcun fondamento? - Ohibòdinuovo: non doveva pensar nulla; vi pare egli cosa tanto difficile? Maper non averlo saputo fareil buon uomo preparò l'animo suonulla più che ad adempiere una cerimoniauna formalitàe faceva tutt'altro; e doveva saperlo. Il Signor... pregòGeltrude di riporsi a sederesedettee vedendo in essa quellaleggiera perturbazione ch'era da aspettarsi in quel casopensòdi rincorarla con un modo scherzevolee le disse: "Signorinavedo che le fo paura: non me ne maraviglio: io vengo a fare la partedel diavolo; perché ella saprà che io debbo ora metterein dubbio quella risoluzione che a lei forse pare certafermairrevocabile; io debbo ora farle guardare attentamente il rovesciodella medagliaal quale ella forse non ha mai pensato; io debbointerrogarla minutamenteper esser certo che ella non pigli qualcheillusione per ispirazione".

"Signore"rispose Geltruderealmente rincorata dalle parole e dal tuono delbuon uomo"io ho desiderato ardentemente questo abboccamento.Da questo dipende la scelta della mia vita e io spero che da ciòche io sentirò da leida ciò che io le risponderòverrò io stessa a conoscere più chiaramente quale siala mia vocazione".

"Benebene"rispose con gioja e quasi con ammirazione il Signor..."così mi piace. Quelle proteste veementiquelleaffermazioni enfatiche alla prima sono talvolta fuochi di paglia;fervori di fantasia. Per decidere bisogna dubitareo fare come se sidubitasse. La pregoper orasi faccia forza: per quanto ellacredesse di aver risolutotorni da capo e si metta bene in testa chesi tratta di risolvere ora. Il mio dovere è d'interrogarla sumolti capie si compiaccia di rispondermi con semplicità econ riflessione. Come le è venuta questa risoluzione diabbandonare il mondoe di farsi monaca?"

Seil buon ecclesiastico avesse avuta l'intenzione di aflliggerediumiliaree di confondere Geltrudenon avrebbe potuto scegliere unainterrogazione più opportuna di questa: ma egli era benlontano dal supporre l'effetto ch'ella doveva produrree l'avevafatta nella semplicità del suo cuoree per adempire alleregole del suo uficioche la prescrivevano. Geltrude rimase comecolpita: che rispondere? parlare della cagione vera e primariaraccontare l'istoria del paggio?... Dio liberi! Quella storia ellavoleva schivarla a tutto costo. Ma tacendolacome spiegare la suadomanda di farsi monacae tutti i passi conformi a quella domanda?Addurre violenzeminacce dei parenti? Ma non ne avevano usateequesta menzogna (giacché in quel momento Geltrude era dispostaa farne unae pensava solo a scegliere quella che l'avrebbe cavatapiù presto d'impaccioe che non sarebbe stata scoperta inseguito) questa menzogna avrebbe certamente cagionata unaspiegazioneche sarebbe tutta tornata in disonore di Geltrude. Ches'ella avesse attribuita la sua risoluzione al desiderio dicompiacere ai parentiai loro consiglia leggerezza proprialaspiegazione diventava pure inevitabile; e in quel momento le paroleche Geltrude aveva intese poco prima dal padrele ripassarono inprocessione nella memoria. Le parve dunque che il solo mezzo peruscire da quel gineprajo fosse di dare una risposta che piacesseall'interrogantee al padreche non lasciasse oscurità népunti da discutere nell'avvenire: sentì che per dare una talrisposta bisognava mostrare che la risoluzione fosse tuttavia ferma;vide le conseguenzema ci si risolse. Avvezza com'era a trarsi dallecircostanze difficili con ripieghi che la ponevano in circostanze piùdifficili ancoraa consumare per dir così il tempo avvenireper vivere in quel momentoella cedette all'abitudinee alladifficoltàmentì contra se stessae disse: "Èla mia vocazione: fino dai miei primi anni io mi sono sentitainclinata a servir Dio nel chiostro lontano dai pericoli e dalle curedel mondo". Queste parole furon porte con l'apparenza della piùferma persuasione; e l'indugio ch'ella aveva posto al rispondereparve al Signor... un segno una prova di riflessione posata. E inquel momento furon contenti ambedue: egli di vedere una cosìbuona disposizioneella di essere uscita d'impaccio come che fosse.Da quel momento Geltrude non pensò nelle altre risposte che aconfermare la prima; e edificò il Signor... oltre ogni suasperanza. Quando egli le chiese se i parenti non avessero usateminacce o troppo instanti preghiere per determinarla alla sceltadello stato religioso... "No no"; rispose con vivacitàGeltrude: "i miei parenti desiderano certo che io sia monaca; mami hanno lasciata liberami hanno lasciata libera". IlSignor... si scusò di averle fatta una simile interrogazione."Il Signor Marchese"diss'egli"quel cavaliere cosìdegno! s'immagini s'io posso pensare di lui una cosa simile! maioho fatto il mio dovereper quanto strano mi paresse in questacircostanza". L'esame finì con le giulive congratulazionidel Signor...il quale come per iscaricarsi la coscienza di averfatto qualche cosa per distorre un'anima buona da un pioproponimentole disse tutto ciò che gli suggeriva il suo zelocordiale per confermarla in quello; e partì con la persuasionedi non aver mai trovata un'anima così ben disposta. Del restonoi siamo ben lontani dal dare l'unica colpae nemmeno la primariadella riuscita di quell'esame all'ingegno corrivo del buon uomo. Coitristi antecedenti di Geltrudee col suo caratterela cosa dovevaavere a un di presso quell'esitoqualunque fosse l'esaminatore.

Geltrudeancor più fortemente compresa dall'idea del pericolo che aveapassatoche dal pensiero dell'impegno che avea presocorse tostodal Padre. Questi era in uno stato di aspettazione inquieta: maGeltrude tutta commossa (le commozioni si scambiano facilmente nonsolo da chi le osservama da chi le prova) gli raccontòfrettolosamente l'esito della conferenza; e il Marchese respirò.Le fece animola colmò di lodila soffocò dipromesse; tutto questo con una eloquenza di tenerezza sentita;giacché in quel punto egli era lieto non solo di avereottenuto il suo fine; ma le parole di Geltrude sembravano di chi haliberamente sceltoed è contento della sua scelta; e labenevolenza per chi fa quello che uno desiderain modo da togliergliogni inquietudine ed ogni rimorsoè una virtù concessaa tutto il genere umano.

Daquel giorno in poi Geltrude non ebbe più che due occupazioni;l'una interioreed era di persuadere a se stessa ch'ella eracontenta della sua sceltadi fermarsi quanto più poteva su leimmaginazioni che potevano renderle gradevole il monasterodicercare un po' nella divozioneun po' nel pensiero delle distinzioniche vi avrebbe avuteconsolazionicelesti o mondanetutto purchéfosse consolazioni. L'altra occupazione era di accelerare quanto piùsi poteva tutte le operazioni preliminari alla vestizioneper uscirdi casaper esser chiusa una voltaper precludersi ogni strada altornare addietroper non sentirsi più nascere in cuorequell'intollerabile: - potrei forse ancora -.Questo suo desiderio s'accordava troppo con quelli del Marcheseperch'egli non cercasse ogni via di soddisfarlo; e in fatti eglisollecitò a tempo e a contrattempo tutte le dispense per farpresto.

Cosìmi sembra che sarà bene che facciamo pur noi in questoracconto. Diremo dunque che Geltrude entrò nel monastero diMonzae che assunse l'abito; che scorso il tempo del noviziato nelquale la sua risoluzione parve sempre più spontanea e fermaperché ella mostrava tutto ciò che poteva farlocrederee divorava nel suo cuore tutto ciò che avrebbe potutofar credere il contrariotrascorso questo tempoella fece lasolenne professionecon una pompa straordinariae quale siconveniva alla casa. Il sacrificio fu consumatoil dono fu posto sul'altarema era di frutti della terra; la mano che ve lo aveva postonon era monda; il cuore non lo offriva; e lo sguardo del cielo nondiscese sovr'esso.

Èuno dei caratteri più ammirabili e più divini dellareligione cristianadi potere in qualunque circostanza dare all'uomoche ricorra ad essaun rimediouna normae il riposo dell'animo.Quegli stessoche per violenza altrui o per suo falloo per suamalizia s'è posto in una via falsa può ad ogni momentoapprofittare di questi beneficj. Poichése la via ch'egli haintrapresa è iniquala religione glielo fa conosceregli dàl'idea chiara ed assoluta del dovere ch'egli ha di ritrarsenee laforza di farloche che ne possa conseguire; e se la via èsoltanto difficilepericolosaspiacevolema senza adito alritornoda questa stessa dura necessità di proseguire inessala religione cava un motivo e dei mezzi per renderla regolarepraticabilesicuradiciamolo pure arditamentesoave e deliziosa.Disapprovando i motivi che l'hanno fatta intraprendereperchéerano falsiessa ne somministra un altro nuovo ed inconcusso percontinuarlae dà ad una scelta temeraria o infelice mairrevocabiletutta la santitàtutti i confortitutta lasapienza della vocazione. Con quest'ajuto Geltrude a malgrado dellaperfidia altruie dei suoi errori d'ogni genere avrebbe potutodivenire una monaca santae contenta: e il secolo stesso anzi l'etàin cui ella visse ha dato esempj dei quali si è conservata lamemoriadi donne che strascinate al chiostro con l'arte e con laforzae dopo d'essersi per alcun tempo dibattute come vittime sottola scurevi trovarono la rassegnazione e la pace; una pace quale sitrova di rado negli stati eletti più liberamente. Che dico?Geltrude stessa fu uno di questi esempje insigne; ma ben tardi edopo aver commessi ben altri errori anzi delittidopo sofferta benaltra forza che quella di cui abbiamo parlato. Ma per non precorrereora agli eventi col raccontodiremo che Geltrude dopo la suaprofessionecontinuava ad opporre nel suo cuore un ostacolo airimedj e alle consolazioni che la religione avrebbe date alla suasciagurata condizione: e questo ostacolo erano le consolazionich'ella andava cercando altrovee particolarmente nelle cose chepotevano lusingare il suo orgoglio.

Illettore non avrà forse dimenticato che la famiglia onde uscivaGeltrude era molto potentee che questa era la cagione principaleper cui ella era stata tanto desiderata nel monastero. In fatti ilmonastero aveva acquistato nel marchese Matteo un protettoredichiarato il quale risguardava ormai come parte del suo onorel'onore del luogo dove si trovava una sua figlia. Ma questo vantaggiole suore lo pagavanoe per verità la cosa era giusta. Lopagavano in tanti sgarbiin tanti scherniin tante fantasticagginiche avevano a sopportare da Geltrudela qualericordandosi di tempoin tempo delle arti usate da quelle per ajutare a tirarla in quelluogo dove di tempo in tempo ella non si poteva patiresi sfogavaavventando beccate agli uccelli che avevano cantato per farla venirenella loro gabbia. E queste beccatelle le suore le toccavano senzarisentirseneper non perdere tutto il frutto del loro acquisto.Geltrude vedendosi così distintacosì sopportatatanto più libera delle altre provava talvolta un certoconforto iracondo nel valersi di questi vantaggie nell'esercitarein tal modo la sua superiorità. Una superiorità d'unaltro genere era pure per essa una occasione continua di cercareconsolazioni nell'amor proprioed era la sua bellezza: ma qualiconsolazioniper amor del cielo! pari a quelle che provava Robinsonnella sua isola in contemplare le monete ch'egli aveva trovate neifrantumi del vascello sul quale era naufragato. Anzi non pariperchéquel solitario le gettò in disparte con disprezzodopo d'averfatto ad esse un'apostrofe su la loro inutilitàe non vipensò più; ma la bellezza era per Geltrude un rodimentocontinuouna occasione di regressi affannosi nel passatoe disguardi disperati nell'avvenire. Ben è vero che ella si andavaparagonando con le altree si trovava più bellach'ellarideva di tratto in trattoe si sarebbe creduto ch'ella ridesse divogliadegli occhi sciarpellati della madre badessae del mentoincartocciato della madre cellerariama in verità che quelriso non lasciava alla poveretta il dolce in bocca. Spendeva unaparte del suo tempo nell'adornarsi come potevae cosìingannava alcun poco la sua noja; cercava di ridurre l'abbigliamentomonastico alle fogge secolarescheo di accordarlo all'aria del suovoltoe a dir vero questo le riusciva facilmente perché lanatura le aveva dato un volto che per poco che gli si lavorasseattorno stava bene. Per far questo aveva Geltrude trovato un mezzomolto ingegnoso. Gli specchj come ognun sa erano proibiti neichiostri come i lumi nelle polverieree Geltrude nei primi tempi nonosava ancoracome fece in appressoconculcare tutte le regole; mala infelice scaltrita aveva fatta porre dietro ad un quadrettoch'ella teneva appeso nella sua camera una lastra di lattalevigatissimae a quella si consultava segretamente. Ma quando dallesue consulte ella aveva conchiuso che anche in quell'abito ella eraavvenente assaiquand'anche ella se lo udiva ripetere dalle piùmondane o dalle più adulatrici fra le sue compagneil suocuore ne rimaneva tutt'altro che soddisfatto. E quando poi il suocuore le rinfacciava anche quella poca parte di piacere cosìmescolato e corrotto ch'ella aveva gustatoella sentiva piùrabbia che pentimento. Così la meschina si precludeva l'aditoalle consolazioni reali di cui il suo stato era ancora capaceperchéper giungere a quelle la prima condizione è di non curare ilresto; come il naufragoche vuole afferrare la tavola galleggianteche può condurlo in salvamento sulla rivadeve puresciogliere il pugno e abbandonare le alghe e gli sterpi nuotanti cheaveva abbrancatiper una rabbia d'istinto.

Adessere badessa si richiedeva l'età di quarant'anni; equest'erbaper magra che fosseera pure anco ben lunge dal becco diGeltrude. Ma oltre le distinzioni e le franchigie per cosìdire ch'ella godeva per la condiscendenza delle suoree dellesuperiorele era tosto stato conferito il grado più elevatoche fosse compatibile con la sua giovinezza: era stata eletta Maestradelle educande. E per una distinzione singolare le erano stateassegnate due giovani suore conversele quali erano come ai suoiservizjquasi damigelle. Quel posto era per Geltrude una occasionecontinua di esercitare le passioni più pericolose ch'ellacovava. Fra le educande che le erano state affidate si trovavanoancora alcune di quelle che le erano state compagnee Geltrude cosìvicina ad esse di età non aveva ancora dimenticati irisentimenti e le rivalità puerili del sodalizio: ed ora glisfogava talvolta con tutta la forza che le dava la sua autorità.Nei momenti spesso assai lunghi di tristezza e di pentimento dellostato che aveva abbracciatoella provava un certo rancore contraquelle giovanette destinate per la più parte ad una vitalibera e splendida che non era più per lei; le risguardavacome nemichele spiaceva di vederle liete d'una letizia che non erasperabile per essae faceva di tutto per toglierla lorocosa assaifacile ad una superiora. Sentiva ella bene la pazza ingiustizia diquesta sua passionema vi si abbandonava. E in quei momentipoverette quelle educande! Talvolta dopo d'aver lasciato tornareindietro il suo pensiero nei diletti del mondodopo avervelolasciato riposare per lungo tempoella ne sorprendeva alcune cheparlavano fra di loro di ciò ch'ella aveva pensatoe allorachi l'avesse udita sgridarle ferocementel'avrebbe creduta invasad'uno zelo inconsideratoe d'una staccatezza indiscreta eantisociale. Talvolta invece predominava nell'animo suo l'orrore alchiostroalle regolealla disciplinaall'obbedienzaallasolitudinea tutte quelle cose in mezzo delle quali ella si trovavaper forzae allora non solo ella sopportava la svagatezza clamorosadelle sue allievema la animava; si mesceva ai loro giuochie glirendeva più liberi; entrava nei loro discorsie gli portavaal di là delle intenzioni con le quali esse gli avevanoincominciati.

Inqueste agitazioniin questo stato di guerra continua con se stessae con ogni cosa circostante ella passò i primi anni delchiostronon senza qualche ritorno di divozionee di regolaritàtemporariadal quale ricadeva ben presto nelle sue abitudinipredominanti. Questa vita di noja e di contrasto era tanto penosachesenza forse esserne ben conscia a se stessaella si trovavadisposta ad abbracciare qualunque distrazionequalunque cangiamentodi sensazioni fosse stato possibile. Ma la clausurale grateleregolela facevano camminare con una regolarità esteriore; isuoi pensieri soltanto vagavano in piena licenza; ma non v'era unaoccasione per concedere impunementeo con lusinga d'impunitàuna simile licenza alle sue azioni. Finalmente la sventura diGeltrude volle che l'occasione si presentasse; e Geltrude si portòin quella come era da temersie come diremo nel seguente capitolo.



Cap.V

Ilquartiere dove abitavano le educande e con esse Geltrude e le suedamigelleera annesso al monasteroma appartatoe comunicava conesso per mezzo d'un corridojo. Era un cortiletto quadratoricinto aterreno da un porticato continuosul quale per tutti e quattro ilati girava un basso ed unico piano di abitazione. Il lato appoggiatoa quella parte del chiostro ove dimoravano le suoreera un lungostanzoneche serviva alla scuola ed alla ricreazione delle educande;un altro lato era occupato pure da un lungo stanzone che serviva didormitorio: il terzo diviso in varie camere era l'appartamento dellaSignora e delle sue damigelle; il quarto finalmente piùstretto degli altri era tenuto dal corridojo che conducevanell'interno del chiostroil quale abbracciava il cortiletto da trelati. L'altroe appunto quello occupato dall'appartamento diGeltrudeera contiguo ad una casa privata e signorileo per megliodire ad una parte rustica e non finita di quella casa. Era dessaelevata al di sopra del quartiere delle educandema quello che se nepoteva vedere da quindi pareva piuttosto una catapecchiauncasolaraccioche una parte di casa civile: erano tetti e tettuccidiseguali di altezza e di forma soprapposti l'uno all'altro come acaso. Ma in uno di quei tetti v'era un pertugioun abbainoche davaluce ad un solajoe adito a passare su quei tettie dal quale sipoteva guardare nel cortiletto delle educande.

Eraseveramente prescritto alle monache dagli ordini ecclesiasticichedovessero togliere ai vicini ogni vista nel loro chiostro; ma o fossecheper essere quella parte di casa disabitatale monache nonavessero mai badato a quel pertugioo fosse che la spesa perliberarsi da quella servitù eccedesse la possibilitàdel monasteroo che non si potesse venirne a capo senza quistioniil fatto è che da quel pertugio si guardava nel cortilettodelle educande; e un altro fatto assai tristo si è che ilpadrone di quella casa era un giovane scellerato: e questa parolaapplicata ad un uomo di quei tempi ha un senso molto più fortedi quello che generalmente vi s'intende nei nostri; perché aquei tempi tante cagioni favorivano la scelleratezzache in coloro iquali vi si distinguevanoella giungeva ad un segno del quale graziea Dionon si può avere una idea dalla esperienza comune delvivere presente. I mezzi d'impunità erano allora varj edinfiniti; la frequenza dei delitti ne aveva diminuito il ribrezzo ela vergogna: gli animi erano avvezzi ed allevati per dir cosìnel sangue: da questi fatti era nato un pervertimento quasi generalenelle ideee allo stesso tempo la perversità delle ideerendeva quei fatti più comunie più tollerati. Lavendettaper esempioera comunemente stimata non solo lecitamaonorevolema comandata in alcuni casi; e benché i ministridella religione non l'avessero mai fatta piegare nelle istruzionipubbliche a questa massima perversabenché non avessero anzicessato giammai di inveire contra la vendetta e contra le massime chela autorizzavanopure l'opinione quasi generale del mondo sussistevacol favore di una distinzione che a malgrado della sua assurditào forse a cagione della sua assurdità non è ancora deltutto caduta in disuso: si diceva che i preti facevano il lorodovereche dicevano benissimoche la vendetta secondo la religioneera viziosama ch'ella era un dovere secondo le leggi dell'onore:così si diceva e non dai più perversiné daipiù stolti. Ora queste leggi dell'onore erano in allora moltodraconiane; e domandavano sangue per molti casi; senza che questoonore così delicato si stimasse poi offesose pernecessitàil sangue si fosse dovuto versare a tradimentoo per mano di sicarj. Ne veniva di conseguenza che gli omicidj eranomolto frequentiche uno commesso diveniva causa di un altroe cosìall'infinitoe che l'orrore al sangue si diminuiva con l'abitudineanche negli uomini che non erano sanguinarie che si era formatocome un sentimento universale che una certa misura di animositàdi crudeltà e di delitti fosse una condizione necessariainevitabile della società; chi avesse detto che quello era unmale temporarioe speciale sarebbe stato deriso come un ottimistaun utopistaun sognatore metafisico: appena uno si sarebbe degnatodi rispondergli: "gli uomini sono sempre stati e saranno semprecosì". Portate le idee comuni a questo punto di licenzain moltie di tolleranza e di rassegnazione in quasi tutti glialtriegli è chiaro che gli uomini i quali avevano unatendenza distinta alla perversitàper giungere al colmo diessapigliavano le mosse da un punto ben più avanzatobenpiù vicino al termine che non sieno le idee comuni dei nostrigiorni; trovavano meno ostacoli e più incitamenti che ainostri giorni a giungervie vi giungevano. L'omicida ai nostrigiorniquand'anche fosse impunito sarebbe un oggetto di orroreoggetto forse di più profondo orrore sarebbe chi senzacommettere l'omicidio di propria mano ne avesse dato l'ordine ed ilprezzo; e tali reioltre le pene legalidovrebbero temere diperdere tutte le dolcezze della comune società. Quindi l'uomoche in qualunque condizioneaspira a goderleha pure da questo latoun freno potente. Ma allora v'erano molti casi in cui l'avere uccisoo fatto uccidere non toglieva alla riputazione d'un uomo: l'omicidavolontario era ammesso a giustificarsi e a render ragione dinanzialla opinione pubblica: non si trattava che di provare che il casorichiedeva l'omicidioche il delitto era una azione tollerataoprescritta dalle leggi della opinione stessa. La speranza di poterfare questa giustificazionedinanzi ad una opinione già tantoperversamente indulgentee di farla accettare col terrore dovevaessereed era uno stimolo ai tristi potenti per correre allegramentela loro via. Bastava quindi un leggero interesseuna picciolapassione a spingere anche i meno tristi fra i tristi ad attentatiaiquali ora si risolverebbero a fatica gli uomini i più avvezzial delittobenché vi fossero tratti da un interesse moltomaggioreda una passione molto più violenta. Sarebbe unsoggetto degno di curiositàla ricerca delle cagioni per cuiquelle idee e quei costumidopo aver regnato per troppe etàin quasi tutte le nazioni d'Europasieno poi stati da migliaia discrittorie da milioni di parlanti attribuite poi esclusivamenteagli Italiani. Ma noi invece di avviarci in una nuova digressioneneabbiamo ora unae anzi lunghetta che noda farci perdonare:torniamo quindi alla storia.

Ilpadrone della casa contigua al quartiere delle educandeera dunqueun giovane scellerato: e si chiamava il signor Egidio: perchédi cognomicome abbiam dettol'autor nostro è moltosparagnatore. Suo padreuomo dovizioso bastantemente non aveva avutaaltra mira nell'educarloche di renderlo somigliante a se stesso:ora egli era un solenne accattabrighe: Egidio non aveva quindisentito dall'infanzia a parlar d'altro che di soddisfazioni e di farestarenon aveva veduto quasi altro che schioppi e pugnali; e dallebraccia della nutrice era passato in quelle degli scherani. La madrech'era di un carattere mansueto e pioavrebbe potuto forse temperarein parte questa educazione ma ella era morta lasciando Egidio nellainfanziadopo una lenta malattia cagionata dai continui spaventi. Ilpadre fu ucciso dopo una brevissima quistione da un suo emolo membrodi una famiglia emola della sua da generazioni; ed Egidio restòsolo e padrone nella giovinezza. La prima sua impresa fu di risarcirel'onore della famigliacon una schioppettata nelle spalledell'uccisore di suo padre. Questa impresa però lo pose daquel momento in un continuo pericolo; e per assicurarsiegli dovettecrescere il numero de' suoi bravie non camminar mai che in mezzo adun drappello. Suo padre aveva non solo nel paesema altrove amiciassaie conformi a lui di massime e di condotta: Egidio gli ereditòtuttie gli coltivòtanto più che aveva bisogno dellaloro assistenza. Ma i garbugli e il macello non piacevano a luicomeal padreper se medesimi: l'educazione lo aveva addestrato a nontemerlie a corrervi anzi ogni volta che un qualche fine ve lospingesse: ma non erano un fineun divertimentoun bisogno per lui.La sua passione predominante era l'amoreggiare; a questa siabbandonava con quelle precauzioni però che esigeva lo statodi guerra in cui egli si trovavae per questa egli veniva aigarbugli ed al macelloquando non si poteva fare altrimenti.

L'abbainoche guardava nel cortiletto del chiostro non era frequentato danessuno tanto che visse il padreil quale non si curava di spiare ifatti delle educande. Soltanto egli vi aveva condotto una voltaEgidio adolescenteper fargli osservare che quello era un dominiosul chiostro; e quivi stendendo la mano sui tetti sotto posticomeAmilcare sull'araaveva fatto promettere a quel picciolo Annibaleche mai in nessun tempo egli non avrebbe sofferto che le monache sitogliessero quella servitù. Egidio divenuto padronesirisovvenne dell'abbainoe gli parve un dominio assai piùimportante che suo padre non lo aveva creduto.

Unconsorzio di donzellettele quali non eran tutte bambineparve acolui uno spettacolo da non trasandarsi quando lo aveva così aportata; e la santità del luogoil riserbo con cui erantenutel'innocenza lorotutto ciò che avrebbe dovuto esserefrenofu incentivo alla sua sfacciata curiositàla quale nonaveva disegni già determinatima era pronta a cogliere e afar nascere tutte le occasioni. Si affacciava egli dunque all'abbainocon quella frequenza e con quella libertàche non bastasse afarlo scoprire da chi non avrebbe voluto. Nelle ore in cui Geltrudenon faceva guardia alle educandee queste ore tornavano soventegettò egli gli occhi sopra una delle più adulteetrovato il terreno dolcesi diede a chiaccherellare con essa: mapochi giorni trascorseroche quellafidanzata dai suoi parenti adun talefu tolta dal monasteroe così la tresca finìsenza che nessuno l'avesse avvertita. Egidio animato da quel primosuccessoed allettato più che atterrito dalla empietàdel secondo pensieroardì di rivolgere e di fermare gli occhie i disegni sopra la Signora; e si diede ad agguatarla. Un giornomentre le educande erano tutte congregate nella stanza del lavoro conle due suore addette ai servigi della Signorapasseggiava essa solainnanzi e indietro nel cortiletto lontana le mille miglia da ognisospetto d'insidiecome il pettirosso sbadato saltella di ramo inramo senza pure immaginarsi che in quella macchia vi sia dei panionie nascosto dietro a quella il cacciatore che gli ha disposti. Tutt'adun tratto sentì ella venire dai tetti come un romore di vocenon articolata la quale voleva farsi e non farsi intendereemacchinalmente levò la faccia verso quella parte; e mentreandava errando con l'occhio per quegli alti e bassiquasi cercandoil punto preciso donde il romore era partitoun secondo romoresimile al primoe che manifestamente le apparve una chiamatamisteriosa e cautale colpì l'orecchioe la fece avvertireil punto ch'ella cercava. Guardò ella allora piùfissamente per conoscere che fosse; e i cenni che vide non lelasciarono dubbio sulla intenzione di quella chiamata. Bisogna quirender giustizia a quella infelice: qual che fosse fin'allora statala licenza dei suoi pensieriil sentimento ch'ella provò inquel punto fu un terrore schietto e forte: chinò tosto losguardofece un cipiglio severo e sprezzantee corse come arifuggirsi sotto quel lato del porticato che toccava la casa delvicinoe dove per conseguenza ella era riparata dall'occhiotemerario di quello: quivi tirando lunghesso il murorannicchiata eristretta come se fosse inseguitasi avviò all'angolo dov'erauna scaletta che conduceva alle sue stanzevi salsee vi si chiusequasi per porsi in sicuro. Posta a sedere tutta ansantefu assalitada una folla di pensieri: cominciò prima di tutto a ripensarese mai ella avesse dato ansa in alcun modo alla arditezza di coluietrovatasi innocentesi rallegrò: quindi detestando ancorasinceramente ciò che aveva vedutose lo andava raffigurando erimettendo nella immaginazione per venire più chiaramente acomprendere comeperché ciò fosse avvenuto. Forse eraequivoco? forse l'aveva egli presa in iscambio? Forse aveva volutoaccennare qualche cosa d'indifferente? Ma più ella esaminavapiù le pareva di non avere errato alla primae questo esameaumentando la sua certezzala andava famigliarizzando con quellaimmaginee diminuiva quel primo orrore e quella prima sorpresa. Cosastrana e trista! il sentimento stesso della sua innocenza le dava uncerta sicurtà a tornare su quelle immagini: ella compiacevaliberamente ad una curiosità di cui non conosceva ancora tuttal'estensionee guardava senza rimorso e senza precauzione una colpache non era la sua. Finalmente dopo lunga pezza ella si levòcome stanca di tanti pensieri che finivano in unoe desideròdi trovarsi con le sue educandecon le suoredi non esser sola.Esitò alquanto su la strada che doveva fare: ripassando pelcortilettoella avrebbe potuto lanciare un guardo alla sfuggitadietro le spalle su quei tetti per vedere se colui era tanto arditoda trattenervisie così saper meglio come regolarsi...mas'accorse tosto ella stessa che questo era un sofisma dellacuriositào di qualche cosa di peggioe senza piùesitares'avviò pel dormitorio alla stanza dove erano leeducande: quio fosse caso o un resto di quella esitazione ella siaffacciò ad una finestra che aveva dirimpetto appunto queitettivi guardòvide il temerario che non si era mossopartì tosto dalla finestrala chiusee uscì da quellastanza dicendo in fretta alle educande con voce commossa: "lavorateda brave"; e se ne andò difilato a passeggiare nelgiardino del chiostro. L'atto repentinoe la commozione della vocenon diedero nulla da pensare né alle educande né allesuoreavvezze le une e le altre agli sbalzi frequenti dell'umoredella Signora. Ma ella stava peggio nel giardino che già nonfosse nelle sue stanze. Le venne un pensieroche avrebbe dovutoavvertire dell'accaduto chi poteva opporsi a tanta temerità. -Ma; e se mi fossi ingannata? - Questo dubbionon le veniva che allor quando la manifestazione di ciò cheaveva veduto le si presentava alla mente come un dovere. -Prima di parlare - diceva fra sè -voglio esser certa; troverò il modo di farlo conprudenza. E finalmente - concluse fra sè in unaccesso di passioni diverse - finalmente che colpa ciho io? questo monastero non l'ho piantato io qui vicino a questacasa. Così non foss'egli stato piantato in nessun angolo dellaterra! Dovevano pensarvi quelle che sono venute a chiudervisi di lorovoglia. Vada come sa andare. Io non voglio pensarci.

Questeparole volevano direforse senza che Geltrude stessa lo scorgesseben chiaroche d'allora in poi ella non avrebbe pensato ad altro. Ilnostro manoscrittosegue qui con lunghi particolari il progresso deifalli di Geltrude; noi saltiamo tutti questi particolarie diremosoltanto ciò che è necessario a fare intendere in cheabisso ella fosse cadutae a motivare gli orribili eccessi d'unaltro genereai quali la strascinò la sua caduta. L'assediodello scellerato Egidio non si rallentòe Geltrude cominciòa mettersi sovente nella occasione di mostrargli ch'ella disapprovavale sue istanzequindi passando gradatamente dalle dimostrazionidella disapprovazione a quelle della non curanzada questa allatolleranzafinalmente dopo un doloroso combattimento si diede pervinta in cuor suoe con quei mezzi che lo scellerato aveva saputitrovare e additarle lo fece certo della sua infame vittoria. Cessatoil combattimentola sventurata provò per un istante una falsagioja. Alla nojaalla svogliatezzaal rancore continuosuccedevatutt'ad un tratto nel suo animo una occupazione fortegraditacontinuauna vita potente si trasfondeva nel vuoto dei suoi affetti;Geltrude ne fu come inebbriata; ma era la coppa ristorante che lacrudeltà ingegnosa degli antichi porgeva al condannato perinvigorirlo a sostenere il martirio. L'avvenire gli apparìcome pieno e delizioso. Alcuni momenti della giornata spesi a quelmodoe il resto impiegato a pensare a quelliad aspettarliaprepararli gli sembrò una esistenza beatachenon lascerebbené curené desiderj; ma le consolazioni della malacoscienzadice il manoscrittoprofittano altrui come al figliuolodi famiglia le somme ch'egli tocca dall'usurajo. L'accecamento diGeltrude e le insidie di Egidio s'avanzavano di pari passoegiunsero al punto che il muro divisorio non lo fu più che dinome.

Giàprima di arrivare a questo estremonel carattere di Geltrude eraaccaduto un gran cangiamentotutte le inclinazioni viziose che vierano come addormentate si risvegliarono più forti e piùadultee a tutte queste si aggiunse l'ipocrisia. Cominciòella nei primi momenti a divenire più attenta nell'esteriorepiù regolarepiù tranquilla; cessò daglischernie dal rammarichio; di modo che le suore si congratulavano avicenda della mutazione felice. Ma quando all'effetto naturale delfallo si aggiunse la scuola viva e diretta dello scellerato giovaneognuno può immaginarsi quali diventassero le idee di Geltrude.Tutto ciò che era doverepietàmorigeratezza era giàda gran tempo associato nella sua mente alla violenza ed allaperfidiaed aveva un lato odioso e sospetto: i ragionamenti chetendevano a mostrare che tutto ciò era una invenzionedell'astuziaun'arte per godere a spese altruiaccolti dal cuore epresentati all'intellettofurono ricevuti in esso come amici savj esinceri. Vi ha nelle teorie del vizio qualche cosa di piùpensatodi più profondodi più verosimile che nonappaja nelle massime del dovere espresse in un modo volgare etalvolta inesatto: di modo che il pervertimento può parerefacilmente un progresso di ragione. Ben è vero che al di làdi quelle teorie ve n'ha una più profonda e vera che mostra laloro fallacia; ma questa non è dato trovarla se non ad unameditazione potenteo ad un sentimento retto; ma Geltrude non avevané l'uno né l'altro di questi ajuti. Ella fu dunque unadocile e cieca discepolae conobbe e ricevè tutte quelle ideegenerali di perversità a cui l'ignoranza e la irriflessione diquei tempi permetteva di arrivare.

Manon andò molto che il maestro ebbe a domandarleo ad imporlenuovi passi nella carriera ch'ella aveva intrapresa. Geltrude aveva apoco a poco trasandate quelle cure di apparente regolarità chesi era prescritte; la licenza a cui si era abbandonata le rendeva piùinsopportabile ogni contegno; e così si rilasciò tantoche negli atti e nei discorsi divenne più libera e piùirregolare di prima. Insieme a quelle cure cominciò senzaavvedersene a trascurare anche le precauzioni che aveva da primamesse in opera per nascondere quello che tanto le importava dinascondere; e le trascurò tanto che ella s'accorse chiaramenteun giorno che le due damigelleche le stavano più vicineavevano qualche sospetto. Tutta atterrita ella comunicò la suascoperta a colui che era il suo solo consigliere. Questi ne fu pureatterritoma a mille miglia meno di Geltrudee per la diversitàdelle circostanzee perché tanto era minore il suo pericoloche non quello della donnae per la diversità dell'animo:perché quello di Egidio era duro e grossolano; e in Geltrudeil timore della vergogna era una passione furiosa come si èveduto dalla sua condotta anteriore. Pensò egli quindi piùfreddamente al modo di scansare il pericoloe ne trovò unoche era per lui una nuova occasione di soddisfare alle sue passioni.Per riuscirviegli coltivò il terrore di quella poverettalefece tanta paura del maleche nessun rimedio le paresse troppodoloroso: e finalmente propose l'infame rimedio che fu di renderpartecipi del segreto e di associare alla colpa le due che lasospettavano. Lo scellerato pose in opera tutta la sua astuziasivalse di tutto il predominio che aveva sull'animo di Geltrudeadoperò tutte le dottrine che le aveva insegnate e ch'ellaaveva ricevute. L'albero della scienza aveva maturato un frutto amaroe schifosoma Geltrude aveva la passione nell'animo e il serpente alfianco; e lo colse. Con la direzione del serpenteella trasfuseprudentemente a gradi a gradi nelle menti delle due suore ilpervertimento che era necessario per renderle sue complicie consumòil proprio avvilimento nella loro colpa. Venuta in questo fondolasventurata perdette con ogni dignità ogni ritegnoeagguerrita contra ogni pudore si trovò disposta ad agguerrirsiad ogni attentato; e l'occasione non tardò a presentarsi.

Unadelle due suore addette alla Signora quando cominciò ad averequalche sospettolo confidò ad un'altra suora sua amicafacendosi promettere il segreto: promessa che le fu tenuta perchéla Signora era troppo potentee il segreto troppo pericoloso; e lavoglia di ciarlare fu vinta dalla paura. Non era che un sospettoegli indizj eran deboli e potevano anche essere interpretatialtrimenti; ma la curiosità della suora fu risvegliatae nonlasciava mai di tempestare quella che le aveva fatta la confidenzaper vedernecome si dicel'acqua chiara. Quando però lasuora che aveva ciarlato divenne complicesi studiò non solodi eludere le inchieste della curiosama di disdirsie di farlecredere che il sospetto era ingiurioso e stoltoe ch'ella stessa siera pienamente disingannata. Ciò non ostante la curiosaritenne sempre quel sospettoe non lasciava sfuggire occasione digettar gli occhi nel quartiere delle educandee di origliarepervenire a qualche certezza.

Accaddeun giorno che la Signora venuta a parole con costei la aspreggiòe la trattò con tali termini di villaniache la suoradimenticata ogni cautelasi lasciò sfuggire dalla chiostradei denti: ch'ella sapeva qualche cosae che a tempo e luogol'avrebbe detto a cui si doveva. La Signora non ebbe più pace.

Cheorrenda consulta! le tre sciaguratee il loro infernale consiglierodeliberarono sul modo di imporre silenzio alla suora. Il modo fupensato e proposto da lui con indifferenzae acconsentito dallealtre con difficoltàcon resistenzama alla fineacconsentito. Geltrude fece più resistenza delle altreprotestò più volte che era pronta a tutto soffrirepiuttosto che dar mano ad una tanta scelleratezzama finalmentevinta dalle istanze di Egidio e delle duee nello stesso tempo dalsuo terrorevenne ad una transazione con la quale ella si sforzòdi fingere a se stessa che sarebbe men rea: pattuì ella dunqueche non si sarebbe impacciata di nullaed avrebbe lasciato fare.

Presigli orribili concertideterminato dalle esortazioni di Egidio alsangue l'animo di quella che fu scelta a versarlo; costei siravvicinò alla suora condannata e le parlò di nuovo diquegli antichi sospettiin modo da crescerle la curiosità. Ela curiosità era stimolata in essa dal desiderio di vendicarsidella Signora; ma per farlo con sicurezzaaveva essa stessa bisognodi esser sicura. La traditricemostrando che non le convenisse distare più a lungo assente dalla Signora per darle sospettolasciò la suora nel forte della curiositàe nellasperanza di scoprire qualche cosa; e come questa insisteva pertrattenerlale propose di venire la notte al quartieredovel'avrebbe potuta nascondere nella sua cellae dirle il di piùe forse renderla testimonio di qualche cosa. La meschina cadde nellaccio. Venuta la notte ella si trovò nel corridojodove lasuora omicida le venne incontro chetamentee la condusse nella suacella: quivipreso il pretesto dei servigj della Signora perpartirsipromettendo che tornerebbe tosto; la fece nascondersi trail letticciuolo e la muraraccomandandole di non muoversi finch'ellanon la chiamasse. Uscì quindi a render conto del fattoall'altra suora e allo scellerato che aspettavano in un'altra stanzae pigliato da Egidio l'orribile coraggio che le abbisognavaentrònella cella armata d'uno sgabello con la sua compagna. Nella cellanon v'era lumema quello che ardeva nella stanza vicina vi mandavaper la porta aperta una dubbia luce. La scellerata parlando con lacompagnaperché la nascosta non si muovessee parlando inmodo da farle credere ch'ella cercava di rimandare la sua compagnacome importunaandò prima pianamente verso il luogo dove lainfelice stavasi rannicchiataquindi giuntale presso le si avventòe prima che quella potesse né difendersi né gettare ungrido né quasi avvedersicon un colpo la lasciò senzavita.



Cap.VI

Accorseal romore Egidio che stava alla bada nella stanza vicinaed incontròle colpevoli che fuggivano spaventatecome avrebbero fatto se percaso e a mal loro grado si fossero trovate presenti ad un misfatto.Egidio le fermòe chiese premurosamente se la cosa era fatta."Vedete"rispose tremando l'omicida. "Ebbene!coraggio"replicò lo scellerato"ora bisogna fareil resto"; e dava tranquillamente gli ordini all'una e all'altrasu le cose da farsi per togliere ogni vestigio del delitto. Avvezzecome elle eranoad ubbidire a colui che aveva acquistata unaorribile autorità su gli animi loroa colui che faceva lorosempre paurae dava loro sempre coraggio; e rianimatee come illusedall'aria naturale con la quale egli dava quegli ordinicome se sitrattasse di una faccenda ordinaria; raccomandando ora la prestezzaora il silenzioelle fecero ciò che era loro comandato. "Ela Signoraperché non viene ad ajutarci?" dissel'omicida: "tocca a lei quanto a noie più"."Andate a chiamarla"rispose Egidio: l'omicida che cercavaanche un pretesto per allontanarsialmeno per qualche momentodaquel luogo e da quell'oggetto che le era insopportabilesi avviòalla stanza di Geltrude. Questa si stava nelle angosce di chi sentel'orrore del delittoe lo vuole. Sedevasi alzavaandava adorigliare alla porta: intese il colpoe fuggì ella pure arannicchiarsi nell'angolo il più lontano della sua stanzaorribilmente agitata tra il terrore del misfattoe il terrore chenon fosse ben consumato. L'omicida entròe disse: "abbiamofatto ciò ch'era inteso: non resta più che di riporrele cose in ordine: venite ad ajutarci". "No noper amordel cielo"rispose Geltrude. "Che c'entra il cielo?"disse l'omicida. "Lasciamilasciami" continuòGeltrude. "Come!" replicò l'omicida "chi èstata quella...?" "Sì è vero" risposeGeltrude; "ma tu sai ch'io sono una povera sciocca nellefaccende; non son buona da nulla; lasciami stare per amor..."Gli atti e il volto di Geltrude riflettevano in un modo cosìorribile l'orrore del fattoche l'omicida non potè sopportarela sua presenzae tornò in fretta presso a coluil'aspettodel quale pareva dire: - non è nulla -."Non vuol venire"diss'ellacon un moto convulso dellelabbrache avrebbe voluto essere un sorriso di scherno: "nonvuol venire: è una dappoca". "Non importa"rispose Egidio; "non farebbe altro che impacciare; ecco tutto èfinito senza di lei". "Resta ancora..." vollecominciare l'omicidama non potè continuare. "Ebbene"disse Egidio"questa è mia cura; datemi tosto manoepoi lasciate fare a me". Le donne obbedirono: Egidio carico delterribile peso ascese per una scaletta al solajo: e l'omicidio uscìper la porta che era stata aperta al sacrilegio. Quando lo scelleratofu nelle sue casecioè in quella parte disabitata che toccavail monasterodiscese per bugigattoli e per andirivieni dei qualiegli era praticoad una cantina abbandonatao che non aveva forsemai servito; quivi in una buca scavata da luiil giorno antecedentedepose il testimonio del delitto; lo ricopersee pigliati da unmucchio che ivi eracoccimattoni e rottamive li gettòsopra per ricoprirloproponendosi di trasportare poco a poco su quelsito tutto il mucchioun monte se avesse potuto. Le due donnerimaste soleesaminarono in silenziose tutto era nello stato diprima; e poi... che avevano a dirsi? L'omicidaruppe il silenziodicendo: "andiamo a cercare la Signora"; l'altra le tennedietro senza rispondere.

Bussaronosommessamente alla porta di Geltrudela quale vi stava in agguatoedisse macchinalmente: "chi è?" "Chipotrebb'essere?" rispose l'omicida: "siam noiapri evienie vedrai che le cose sono tutte come jeri". Geltrudeaprìe venne con loro nella più orrenda stanza diquell'orrendo quartiere: volse in giro entrando un'occhiatasospettosae disse: "che faremo qui?" "Quel chefaremmo altrove"rispose l'omicida. "Perché nonandiamo nella mia stanza?" replicò Geltrude. "Èvero"disse quella che non aveva mai parlato; "èvero; andiamo nella stanza della Signora". Ognuna delle tresciagurate sentiva nella sua agitazione come il bisogno di farqualche cosadi appigliarsi ad un partito che avesse qualche cosa diopportuno; e nessuna sapeva pensare quello che fosse da farsi: quandouna faceva una propostale altre vi si arrendevanocome ad unarisoluzione. Geltrude si avviòle altre le tennero dietroetutte e tre sedettero nella stanza di Geltrude.

"Accendeteun altro lume"disse questa.

"Nono"rispose questa volta l'omicida: "ve n'è anchetroppo: abbiamo ristoppate le finestreè veroma se qualcheeducanda vegliasse..."

"Santissima...!"proruppe con un moto involontario di spaventoGeltrudee nonterminò l'esclamazionespaventata in un altro modo del nomepuro e soave che stava per uscirle dalle labbra.

"Eperché dunque"continuò rimessa alquanto"perchéavete lasciato il lume nell'altra stanza?"

"Perché..."rispose l'omicida: "non si ha testa da far tutto".

"Andatea prenderlo".

"Andateandate... andiamo insieme".

Ledue serventi partironoGeltrude le seguì fino alla portaaspettando che tornassero col lume. Lo deposero sur una tavolalospenseroe sedettero di nuovo intorno a quello che ardeva da prima.Stavano così taciteguardandosi furtivamente di tratto intratto; quando gli sguardi s'incontravano ognuna abbassava gli occhicome se temesse un giudicee avesse ribrezzo d'un colpevole. Mal'omicida più agitatae agitata in modo diverso dalle altrecercava ad ogni momento di cominciare un discorsovoleva parlare delfatto e del da farsi come di cosa comuneparlava sempre in pluralecome per tenere afferrate le compagne nella colpaper essere nullapiù che una loro pari. Concertarono finalmente la condotta datenersi quel primo giornoperché nei concerti presiantecedentemente non avevano preveduti che i pericoli materiali: nonavevano pensato che al modo di commettere il delitto segretamenteedi cancellarne ogni traccia esterna; ma il delitto aveva loro appresaun'altra cosa; che il sangue si sarebbe rivelato nei loro attinelloro contegnonel loro volto. Stabilirono dunque che Geltrude sidirebbe indispostache avrebbe un forte dolor di capoche starebbechiusa all'oscuro nella sua stanzae le altre si rimarrebbero adassisterla. Ma in questo concerto stessoquante difficoltàquanti dibattimenti! Il punto più terribile era di decidere aquale delle due serventi sarebbe toccato di avvertire le suore dellaindisposizione di Geltrudeper evitare chenon vedendola comparireo la badessao qualche suora non venisse nel quartiere a chiedernenovella. Ognuna voleva rigettare su l'altra questo incarico.L'omicida aveva una buona ragione per esimersi; ma questa ragionepoteva ella parlarne? Dire: - io sarò piùconfusapiù tremanteperché... - Cercavaella dunque pretesti come l'altrama li sosteneva con piùfurore. Geltrude indovinòanzi sentì quella ragioneepersuase l'altra ad assumersi l'incaricodicendole che sarebbe statofacile e spedito annunziare la sua indisposizione dalla finestra aduna delle suore che governavano le educandepregando nello stessotempo che non si facesse romore per non disturbarla.

Egidiointanto eseguiva gli altri concerti che erano stati presio per dirmeglio ch'egli aveva proposti; giacché il disegno era tuttosuo. Occultata la vittimaegli uscì di notte fittaaccompagnato da alcuni suoi scheranicome soleva non di rado perqualche spedizione. Gli dispose in un luogo distante da quello a cuiaveva disegnato di portarsie gli lasciò come a guardialasciando loro credere che andasse ad una delle sue solite avventure.Quindi per lunghi circuiti si condusse ad un campo disabitato colquale confinava l'orto del monasteroe ne era diviso dal muro. Ividopo d'aver ben guardato intorno se nessuno vi fossesi trasse disotto il mantello gli stromenti da smurare che aveva portati nascosticon le armi; e pian piano in una parte del muro già intaccatadal tempoe ch'egli aveva fissata di giornoaperse un pertugiotanto che una persona potesse passarvi. Riprese i suoi ferrisiravvolse nel mantelloe camminando non senza terrore minacciatocom'era da più d'un nemicoraggiunse i suoi scherani; simostrò ad essi lietos'avviò con essigittòper via qualche motto misterioso di altre avventuree tornòalla sua casa. Il mattino vegnente una suora mancò; si corsealla sua cella; non v'era; le monache si sparpagliarono a ricercarla;ed una che andava per frugare nell'ortovide da lontano... -Possibile? un pertugio nel muro. - Chiamòle compagne a tutta voce: si corse al pertugio; "èfuggita; è fuggita". La badessa venne al romore: lospavento fu grande; la cosa non poteva nascondersi; la badessa ordinòtosto che il pertugio fosse guardato dall'ortolanoche si mandasseper muratorionde chiuderloe che si spedisse gente per raggiungerela sfuggita. Il lettore sa che pur troppo ogni ricerca dovevariuscire inutile. L'occupazione che questo affare diede a tutte lemonache fece che le tre che erano la trista cagione di tuttofosserolasciate in paceo per meglio diresole.

Èfacile supporre che da quel giorno in poi il carattere di Geltrude(giacché di essa sola esige la nostra storia che ci occupiamo)fu sempre più stravolto. Combattuta continuamente tra ilrimorso e la perversitàtra il terrore d'essere scovertaeun certo bisogno di lasciare uno sfogo alle sue tante passionietutte tumultuosedominata più che mai da colui che ellarisguardava come l'origine dei suoi più gravipiù verie più terribili malie nello stesso tempo come il suo solosoccorsol'infelice era nel suo interno ben più conturbataeconfusa che non apparisse nel suo discorsoper quanto poco ordinatoegli fosse. Una immagine la assediava perpetuamentee non èmestieri dire quale. Tentava ella di rappresentarsi alla fantasia lasventurata suoraquale l'aveva veduta infocata di collera e con laminaccia sul labbro quell'ultimo giorno. Ma l'immagine s'impallidivasempre nella sua menteinvano ella cercava di raffigurarla con latesta altacon l'occhio accesocon una mano sul fianco; la vedevaindebolirsinon poter reggereabbandonarsicaderese la sentivapesare addosso. Per togliere ogni sospettoe nello stesso tempo perdare un altro corso alle sue ideeprocurava ella di toccar materieliete o indifferenti di discorso; ma ora il rimorsoora la colleracontra tutti quelli che le erano stata occasione di cadere in tantoprofondoora unaora un'altra memoria si gettavano a traverso allesue ideele scompaginavanoe lasciavano nelle sue parole un indiziodel disordine che regnava nella sua mente. E quella regola neidiscorsiquel contegno nei modi ch'ella non poteva averenaturalmentee per ispirazione dalla pace dell'animonon aveva imezzi per trovarlo nella esperienza e per comandarselo. La suaesperienza non era altro che del chiostrodi quel poco che avevaveduto nel tempo burrascoso passato nella casa paternae di ciòche aveva imparato dall'infame suo maestro; le sue idee erano unguazzabuglio composto di questi elementied ella non aveva potutoattingere d'altronde cognizioni per fare almeno una scelta in questielementi. Le sue parole e il suo contegno sarebbero state unoscandalo insopportabile in un secolo meno bestiale di quello; maallora la stranezza universale non lasciava spiccare la sua al puntoda farne un oggetto di maraviglia singolare.

Dueanni erano già trascorsi da quel giorno funesto al tempo incui la nostra Lucia le fu raccomandata dal padre cappuccinoilqualecome pure ogni altro del monasteroe di fuoriconosceva benela Signora per un cervellinoma era lontano dal sospettare quale intutto ella fosse.

Siamostati più volte in dubbio se non convenisse stralciare dallanostra storia queste turpi ed atroci avventure; ma esaminandol'impressione che ce n'era rimastaleggendola dal manoscrittoabbiamo trovato che era una impressione d'orrore; e ci èsembrato che la cognizione del male quando ne produce l'orrore sianon solo innocua ma utile.

Abbiamolasciatase il lettore se ne ricordaLucia sola nel parlatorio conla Signora. Il dialogo fra quelle due così dissimili creaturecontinuò a questo modo:

"Ora"disse la Signora"parlate con libertà. Qui non c'èné madre né padre; e ditemi il veroperché lebugie che mi potreste direle ravviserei tosto come una anticaconoscenza: non temete di nulla: qualunque sia il vostro casoio viproteggeròpurché siate sincera con me". Luciapose la picciola destra sul cuoree con quell'accento che toglieogni dubbiorispose: "Signorala verità è quelloche ha detto mia madree che ha scritto il padre Cristoforo: io nonho mai giurato finorama se Ellareverenda signora vuole ch'iogiuri in questa occasioneio son pronta a farlo".

"Nondite piùche vi credo"rispose la Signora. "Macontatemi dunque tutta questa storia". E qui cominciò adaffogare Lucia d'inchiestevolendo sapere tutti i particolari dellapersecuzione di Don Rodrigoe delle relazioni di Lucia con Fermo.

Questacuriosità era come ognuno può figurarselo assai molestaalla povera Lucia. All'istinto del pudore ed alla ripugnanza naturaledi parlare di se stessa su questa materiasi aggiungeva il timoreanche di dire qualche cosa di sconvenevole in presenza dellareverenda madre. Lucia che aveva parlato con un uomoe che gli avevadato promessa di sposarloche aveva tentato un matrimonioclandestino si riguardava come una donna esperta e più forseche non convenivanelle cose del mondocome una scaltritaccia alparagone di una monacavelatarinchiusaseparata dal consorziodegli uominie pigliava le inchieste della Signora a un di pressocome si fa a quelle talvolta indiscretissime dei ragazzidalle qualiuno si sbriga alla megliocercando di non rispondere direttamente edi mandare in pace l'interrogante.

Equanto le domande erano più avanzateLucia le attribuivaancor più ad una pura e santa ignoranza. Rispose dunque sopraFermoche quel giovane l'aveva chiesta a sua madre e che essendo alei dalla madre proposto il partitoella lo aveva accettatovolentierie che tanto bastava per conchiudere un matrimonio. Ma perciò che risguardava Don Rodrigoper quanto Lucia ponesse curaa schermirsile fu pur forza entrare in qualche particolareperispiegare alla Signora la persecuzione ch'ella aveva soffertaecontra la quale cercava un ricovero.

"Eglipativa dunque davvero per voi"domandò la Signora.

"Ionon so di patire"rispose Lucia"so bene che avrebbefatto meglio per l'anima e per il corpo a lasciarmi attendere aifatti mieisenza curarsi d'una tapinella che non si curava niente dilui".

"Poveretto!"sclamò la Signoracon una certa aria di compassionenellaquale pareva tralucesse quasi un rimprovero a Lucia.

"Poveretto?"riprese questa"Poveretto? Oh Madonna del Carmine! Ella locompatisceillustrissima!"

"Sìpoveretto"rispose la Signora. "Convien dire che voi nonabbiate mai avuto chi vi volesse malegiacché sentite tantoorrore per chi vi ha voluto bene. Birbonecattivotiranno! Cheparolonefigliuolaper una quietinacome parete! E la caritàdel prossimo?... Se gli aveste provati i tiranni davvero...! Vorreiun po' che mi ripeteste le ingiurie che vi dicevaper vedere quantaragione avete di chiamarlo con questi nomi".

"Leingiurie dei signori"rispose Lucia con quella sicurezza chenon manca mai a chi comincia un discorso con una persuasione viva edintima"le ingiurie dei signorisono tremende pei poverelli;ma se gli era pur destino che quel signore dovesse aver qualche cosaa dirmisa il cieloche io sarei ben contenta che m'avesse dettoogni sorta d'ingiurie piuttosto che quello che mi è toccatosentire da lui. Io non avrei rispostole avrei sofferteè ildestino di noi poverelli; e quando egli si fosse stato stancol'avrebbe finita; ed ora io non sarei qui lontana dalla mia patriacome una sbandataa domandare un ricovero per amor di Dio; sarei...pensiSignoras'io posso dir bene di lui. Non ch'io gli desideridel maleno grazie a Dioma quanto al bene ch'egli mi potevavolere... Santissima Vergineche razza di bene! Io non vorrei dircose da non dirsi in sua presenzasignora madreeso ben io quelche dico; ella sa molto di cose altedi quelle che si trovano suilibrima le cose del mondo non è obbligata a conoscerleecerte cose che potrei contare sarà meglio tacerle".

"Viho detto di parlare con sincerità: dite pur tutto";rispose la Signora ridendoe senza quell'imbarazzo che le avevacagionata una proposizione somigliante nella bocca del padreguardiano.

"Sperodunque di poter parlare con prudenza"riprese Lucia"madi poterle far toccare con mano che cosa poteva essere il bene diquel Signore. Sappia che io non sono stata la primaa cui per malasorte egli abbia badato. Eh!... le cose si sanno purtroppo: e d'unapoveretta in particolareio non ho potuto a meno di non saperloperché eravamo amichee me ne piange il cuore tuttavia.Questa poveretta - non la nomino - diederetta al bene di quel signore; e sa ella che ne avvenne? Cominciòa disubbidire ai suoi parenti; quando fu ammonita si rivoltò;la casa le venne in odionon ebbe più amichedisprezzavatuttie diceva - puh villani! - comeavrebbe potuto fare una gran dama. Quando i parenti s'avvidero diqualche cosasulle prime negòe poirispose in modo dafargli tacere per paura. Comparve con un vestito troppo bello per unaricca sposae credeva la poveretta che tutti avrebbero fatte lemaravigliee l'avrebbero inchinatae tutti la sfuggivano: i ragazzile facevano dietro mille visacci. Un fior di giovanemi compatiscase parlo maleche voleva ricercarla in matrimonionon la guardòpiù; nessuno le parlavanessuno voglio dire della gente comesi deveperché i cattivi se le avvicinavano per la via conuna famigliarità come se le fossero sempre stati amiciefinoa parlare con poca riverenzai birrila salutavano ridendoele gittavano parole da non dire. Poveretta! di tratto in trattopareva più lieta che non fosse mai statama le lagrime chespargeva in segreto! e quante volte la vedevamo da lontano piangentee si nascondeva da noi: e io mi ricordava di quando ell'era allegracome un pescedi quando ridevamo insieme alla filanda. Basta: ladisgraziata non potè più vivere nel suo paesee un belmattinofece un fagottelloe finì a girare il mondo".

"Girare!"interruppe la Signora"non è poi la peggior disgrazia".

"Etutto questo"continuò Lucia"senza parlare daltetto in su; perché all'altro mondoDio sa come andranno lecose. Ma povera la mia Bettina! oh poveretta meho detto il nome...spero che Dio le farà misericordia; perché poifinalmente è stata tradita. Ma per me dico davveroche se perandare in paradiso bisognasse fare la vita di quella povera figliala mi parrebbe ancora molto dura".

"Maquel signore"riprese la monaca"era egli di stucco? nonla sapeva far rispettare? lasciava la briglia sul collo a queitangheri?"

"Fortunatalei"rispose Lucia"che non sa come vanno queste cose. Ilsignore dopo qualche tempo non si curò più di quellameschina; e si venne a sapere che un giorno ch'ella si lagnava conlui d'essere disprezzataegli le rispose: - siprovino un po' a farvi qualche sgarbo in mia presenzae vedranno -.Tutto quello che la poverina doveva patire fuori della sua presenzanon era niente. Ma tutto questo non bastava a disingannarla:soffrivama non sapeva staccarsi da colui. Finalmente bisognòche fossi tormentata io per farle conoscere il suo stato. Quandocostuisfacciato!... cominciò a pormi gli occhi addossoallora..."

"Èun vile birbante"interruppe la signora"avete ragione:avete fatto bene a voltargli le spallee io vi proteggerò".

"Diogliene renda il merito. Le diceva ben io che se avesse saputo..."

"Sìsìè un birbante: son tutti così costoro. Dateloro retta sul principio: voivoi sola siete la loro vita: che cosasono le altre? nulla; voi siete la sola donna di questo mondoepoi;... Fortunata voi che potete sbrigarvene. Vi avrebbe volutavedere amica di Bettina... amica! e sprezzarvi tutte e due; e vi sodire io come vi avrebbe trattate; peggio che da serve. Se avestefatto il primo passo..."

Luciateneva gli occhi sbarrati addosso alla signoracome stupefattach'ella ne sapesse tanto addentro. Geltrude rinvenne e s'avvide chequesto suo modo di disapprovare il seduttore non era piùconveniente alla sua condizione di quello che fosse stato quel primocompatimentoe che invece di togliere il sospetto o almeno lostupore che quello poteva aver fatto nascerelo avrebbe accresciutoe si ripigliò dicendo:

"Delrestoson cose che io non posso conoscere; ma già l'avreteinteso anche dai predicatori che quelli che seducono le poverefigliuole sono i primi a sprezzarle. E se da principioio homostrato qualche dispiacere per coluiè perché non vieravate bene espressa; io credeva che alla fine egli avesseintenzione di sposarvi".

"Sposarmi!sposarlo!" esclamò Luciamaravigliata di questo pensieroche supponeva l'accordo di due volontàd'una delle quali ellasentivae dell'altra sapeva che ne erano le mille miglia lontane.Geltrude credette che Lucia non alludesse ad altro ostacolo che alladifferenza delle condizioni. "E perché no?" risposee abbandonandosi alla intemperanza della sua fantasia continuò:"Perché nosposarvi? Se ne vede tante a questo mondo.Sareste la Signora Donna Lucia: che maraviglia! non sareste la donnapiù stranamente nominata di questo mondo. Avete sentito comemi chiamava quel buon uomo con la barba bianca che vi ha condottaqui? - Reverenda madre.- Iovedetesono la suareverenda madre. Bel bambino davvero ch'io ho". E a questa ideasi pose a ridere sgangheratamente: ma tosto aggrondatasie levatasia passeggiare nel parlatorio... "madre!..." continuò..."avrei dovuto sentirmelo direnon da un vecchio calvo ebarbato:...



Cap.VII

Comeuna troppa di segugi dopo aver tracciata invano una lepreritornasbaldanzita con le code pendentiverso il padrone; paventosa di luima pronta ad abbajare e a ringhiare per dispetto contra ogni altro incui si abbatta per via; così in quella notte romorosatornavano gli scherani con gli artigli vuoti al castello di DonRodrigo; dove convien tornare a noi puremessa in salvo alla megliola bella fera che quel birbone inseguiva. Don Rodrigo passeggiavainquieto aspettando il ritorno de' suoi braviaprendo di tempo intempo la finestrae guardando al lume della luna e tendendol'orecchio. Fremeva d'impazienzache la spedizione tornassema inquesta impazienza misto al desiderio v'era anche un po' di terrore;perché questa era la più grossa che Don Rodrigo avessefatta fino allora. Se allo sparire di Luciail rapitore fosse statoconosciutose la fama ne fosse giunta a Milanol'affare potevaesser serio: il governatore avrebbe potuto pubblicare un bando contrail rapitorecome accadeva talvolta in simili casipromettendo unpremio a chi lo desse vivo o morto nelle mani della giustizia.Veramente Don Rodrigo aveva veduto passeggiare sicuramente piùd'uno colpito da un tal bando; e sapeva d'aver egli pure i mezzi diquesta sicurezzaperché cinto da scheranie temuto com'eranessuno avrebbe voluto per un premio torsi un'impresa come quella diattaccarloe porre la vita a certissimo pericolo: pure un bando eraalmeno una seccatura forte.

Dall'altraparte pensava egli che essendo gli offesi povera gentenessuno sisarebbe curato di prendere impegno per essi... Ma c'era di mezzo quelbenedetto frate (Don Rodrigo non diceva veramente benedetto) quelfrate che era un briganteun ficcanasouno che si dilettavad'impacciarsi nei fatti altruie che avrebbe potuto trovare appoggifar comparire le cose... Ma anche pel frate v'erano rimedje sipoteva combatterlo con le stesse sue armi d'impegnie di brighe. -Quel che importa per ora- continuava DonRodrigo- è che il Griso faccia il suo doveree che questa smorfiosetta non mi faccia uno scandalo che levi aromore il paese. Diavolo! Ho avuto un pensiero molto ardito; ma quelche è fatto è fattoe non mi voglio ora ritirare perbacco! Non voglio? non posso: coraggio coraggio Don Rodrigo! bisognaammansarla con le buone; la madre?... eh quando vedrà dei beidanari lampanti: e poi osi un po' far chiasso: vorrei vedere!... Ilparroco non fiaterà... ha già avuta una bella pauraedora sarebbe anch'egli in colpa... eh già colui è unbirbone che farebbe di tutto per salvar la pelle... Non vengonocostoro?... Sta a vedere che si saranno ubbriacati... No no il Grisonon è un ragazzoe avrà condotte le cose con giudizio:non è mica una bagattella... non vorrei che me la malmenasse:non è avvezzo a spedizioni di questa sorte: ha sempre avutoche fare con uomini... basta gli ho fatta una buona ammonizione.Stà... per baccoè la mia gente... - Cosìpensando corse alla finestrae vide i segugj venir quatti quatticol Griso alla testa: tese l'occhioper distinguere fra essi laleprema la lepre non v'era.

-Diavolo!... diavolo! diavolo! Il Griso me ne daràconto.

Apertaai bravi la porta dal loro compagno che vi stava a guardiaedentrati e andati a riposare com'era giustoperché il riposo èdovuto alla fatica tolleratanon all'effetto ottenutoil Griso comeportava la sua caricache in quel momento nessuno degli altrigl'invidiavasalì in fretta a render conto a Don Rodrigo.

"Ebbene?"disse tosto questi dispettoso: "ebbene? signor bravosignorcapitanosignor spaccone..."

"Èdura"rispose il Griso con rispettoma non senza rancore"èdura di sentir rimproveri dopo aver faticato fedelmentee cercato difare il suo dovere..."

"Madunque?..."

IlGriso si fece da capoe raccontò tutti i preparativicome laspedizione era ben condottae come la casa fu trovata vuotae comesonò a stormo senza ch'egli potesse ben saperne il perchée come si era tornati senza aver fatto nullama senza aver lasciatotraccia.

"Mancomale"rispose Don Rodrigo; e si posero a far congetture senza potersifermare ad una che li accontentasse. "Basta"conchiuse DonRodrigo: "domani piglia informazioni; sarà meglio chemandi uno dei contadini fidatinella bettola più vicina allacasa di Luciatanto che domani io vegga la cosa chiara". Cosìcongedò il Griso che se ne andò anch'egli a dormire.

Dormipovero Grisodormi che tu devi averne bisogno. Povero Griso! Correrequa e là tutto il giornostare all'agguatodirigere una manodi zotici mal disciplinatipigliar sopra di te tutto il pensieroetanta parte della fatica; porti a rischio di aver qualche nuovodisparere con la giustiziae di veder questa volta messo a prezzo iltuo capoper rapto di donna honesta; stare al caldo e algelo; e poie poi raccoglier rimbrotti. Ma tu non cominci oggi aviveree devi sapere che il mondo è tristoche gli uominisono ingrati. Va a riposartipovero Griso: un giorno poiquando tiporrai a letto per morirese a letto morrai; forse questa giornatati verrà in mente; forse il pensiero di non aver potuto oggifarti onoree di essere stato sgridato per ricompensasaràquello che ti darà meno di gravezza. Ma non pensare ora aquestoperché forse non dormiresti.

All'aurorail Griso fu in campotutto desideroso di venire in chiaro di ciòche fosse avvenuto di Luciaper soddisfare alla curiosità delpadrone e alla sua propriae per avvisare i mezzi di riparare allamala riuscita del giorno antecedente. Non era la sola vanitàné il dispetto che stimolavano il Griso; ma v'entrava lariconoscenza per Don Rodrigo che lo aveva postoe lo teneva sotto lesue ali in salvo dalla giustiziae che gli dava facoltà dicamminare francamentee di farsi temere; da questa riconoscenza eranato nel suo cuore un affettoun attaccamento per Don Rodrigoche irimproverie le asprezze di questo potevano affliggerema nondistruggere; né rendere inoperoso. Scelse adunque il Griso gliuomini più opportuni a raccogliere notiziee gli spedìattornoed egli stesso andòper ispiare schiarimenti suifatti misteriosi della notte trascorsa.

Magli abitanti del villaggio che s'erano trovati in quel trambustononne sapevano essi stessi la cagionee quello che avevano veduto nonera per essi che una sorgente di curiositào al più unmotivo di congetture e di fandonie. Quando il mattino rivelòla fuga di Lucia e di sua madre e di Fermoi sospetti divenneroancor più complicatie la curiosità piùanimata: ognuno domandava a tutti quelli in cui si abbattevae se neformarono come accade molte storieperché s'ignorava la vera.Quei pochi che la sapevano o tutta o in partee che avrebbero potutosoddisfare o almeno metter sulla via la curiosità degli altriquei pochi se ne stavano zittie si facevano più nuovi deglialtri. Toni fece un severo precetto a Gervaso e alle sue donne di nonparlaree fu egli stesso molto fedele a questo suo precetto di cuisentiva l'importanza; appena uno sperimentato osservatore avrebbepotuto arguire ch'egli sapeva qualche cosa più degli altri dalpoco chiedere ch'egli facevae dal suo ristringersi nelle spalleprotestando di non saper nulla quando altri ne lo chiedeva. "Ioattendo ai fatti miei"rispondeva Toni"che volete ch'iosappia?" Don Abbondio era ricorso al suo ripiego diplomatico diporsi a letto e di sviare così i curiosi. Se ne stava egli oracheto chetomaladicendo la mala venturache negli ultimi suoigiorni gli faceva scontare quel poco di bene che aveva goduto neglianni passatie rendeva inutili tutte le cure della sua prudenza. Ditempo in tempo rimbrottava Perpetua e accagionava della sua disgraziala cervellinaggine di quella. Ma Perpetua non penuriava di argomentiper provare al padrone che la colpa doveva ricadere tutta sopra dilui; e il combattimento finiva per stanchezza d'ambe le parti. Questipiati però non uscivano dalle mura di Don Abbondioperchéera interesse troppo evidente d'ambe le parti di sopire l'affare e distornare i sospetti dalla verità. Ma tra coloro che eranostati in parte testimonj ed attori di tutta quella scena ve n'era unoa cui l'esperienza non aveva potuto ancora dare le profonde idee diprudenza che il tempo e i casi avevano apprese a Toni e a DonAbbondio. Sa il cielo se il lettore si ricorda di quel garzoncellospedito da Agnese al Padre Cristoforoe mandato da questo adavvertire Lucia del pericolo che le soprastavadi quel piccioloMenico che era stato nelle tenebre guida dei fuggitivi. Menico ilquale era pur dolente della fuga delle sue parentima che almeno inquesta sventura aveva avuta la felice occasione di far qualche cosanon ebbe pace finché non confidò quello che aveva fattoa dei ragazzi suoi coetaneii quali venivano a contargli lecongetture che avevano intesee ai quali egli aveva da raccontarequalche cosa di più fondato. I ragazzi corsero a casae siseppe tosto che LuciaAgnese e Fermo erano andati la notte alconvento. Le congetture divennero allora un po' più uniformi epiù fondategiacché tutti avevano qualche sentoredella turpe caccia che Don Rodrigo dava a Lucia.

Glispioni del Griso riseppero tosto con gli altri queste particolarità;e il Griso gli spedì tosto a Pescarenico per cavare piùsicure notizie.

Ibarcajuoli avevano detto qualche cosa. Povera gente! avevanocooperato ad un'opera buonae l'assoluto silenzio era un peso troppodifficile da portarsi. Si riseppe dunque che i fuggitivi avevanoattraversato il lagoe che avevano continuato il loro viaggio perterra. Queste cose vennero pure agli orecchi del Grisoil quale potèannunziare a Don Rodrigo che poco mancava a sapere su che alberol'uccello fosse andato a posarsi.

DonRodrigo era uscito quella mattina col conte Attilio e col solitoseguito di bravie s'erano aggirati pei campi e per le ville conl'apparenza d'andare a caccia ma con l'intenzione di scoprire quelloche si facessee di stornare i sospetti mostrandosio almeno diostentare sicurezzae d'incutere spavento. I sospetti erano giàmolto sparsie Don Rodrigo sotto l'apparente rispettoe sui visiinchinati dei contadini in cui si abbattevapotè scorgerequalche cosa di misterioso che annunziava un pensiero celato dicognizionee una gioja compressa per la trista riuscita del suoinfame tentativo. Don Rodrigo faceva osservare quelle facce al suocompagnoe si rodeva; ma non ardiva né poteva fare alcunrisentimento perché all'oscurarsi del suo sguardo gl'inchinidiventavano più umilie gli aspetti più sommessienon ci sarebbe stato verso di appiccare una lite senza tropposcoprirsi.

Giuntia casa i due cacciatori leggiadri trovarono il Griso che gliaspettava con le notizie. Quand'egli ebbe fatta la sua relazioneDonRodrigo si volse al cuginocome per chiedergli consiglio. Il ConteAttilio era uno sventatoma l'affare era tanto serio ch'egli stessolo era divenutoe disse: "Se mi aveste chiesto parere quandoavete cominciato a divagarvi con questa smorfiosada buon amico viavrei detto di levarne il pensieroperché era cosa da cavarnepoco costrutto; ma ora l'impegno è contrattoc'entra ilvostro onoree quello della parentela: ora si direbbe che vi sietelasciato metter paurae che non l'avete saputa spuntare. Dal modocon cui vi conterrete in questa occasione dipenderà la vostrariputazione e il rispetto che vi si porterà nell'avvenire".

"Aveteragione".

"E"continuò il Conte Attilio; "fate pur conto sopra di mecome sopra un buon parente ed amico: non si tratta ora più discommesse e di scherzi".

"Aveteragione. Grisoche cosa dicono questi villani?"

"Ilsignor padrone può ben credere che in faccia mia nessunoavrebbe osato proferire una parola poco rispettosa; ma so cheparlanoe si mostrano contenti".

"Ah!contenti" rispose Don Rodrigo"vedrannovedranno. IlPodestà è tutto mio... ma nulladimeno... che ne ditecugino?... sarà bene di prevenirlo favorevolmente".

"Certo"rispose il Conte Attilio"non bisogna tralasciare nessunaprecauzione".

"Epoi"continuò Don Rodrigo"non bisogna metterlo inimpaccio. Siccome si parlerà della fuga di costoroe lagiustizia forse non potrà schivare di far qualche ricercabisognerebbe trovare una storia che spiegasse la fugae cherivolgesse i sospetti in tutt'altra parte".

"Sipotrebbe per esempio"disse il Conte Attilio"spargervoce che quel villano ha rapita la ragazza e fargli mettere un bandoin modo che non ardisse più di comparire in paese".

"Nonva male"rispose Don Rodrigo"ma..."

"Semi permettono questi signori"disse umilmente il Griso"avreianch'io un debole parere".

"Sentiamo"dissero entrambi.

"Fermo"rispose il Griso"è lavoratore di seta; e questa èuna gran bella cosa".

"Comec'entra la seta?" domandò il Conte Attilio.

"Ilavoratori di seta"continuò il Griso"non possonoabbandonare il paeseè un criminale grosso. Ecco che ilsignor Podestà quando vogliacome è giustoservirel'illustrissima casapotrà fare un ordine di cattura contraFermo come lavoratore fuggitivo; poi si dirà che se Fermoritornaguai a lui; e Fermo non sarà tanto gonzo da venire agiustificarsi in prigione".

"Mabravo il mio Griso"proruppe Don Rodrigomentre lo stessoConte Attilio faceva un sorriso di approvazione.

"Mabravo: va che ti voglio fare aiutante del dottor Duplica. Per baccoch'egli non l'avrebbe trovata più a proposito".

"EhSignore"rispose il Grisocon affettata modestia"hoavuto tanto che fare con la giustiziache qualche cosa devosaperne".

"Delresto"continuò Don Rodrigo"per quanto grande sial'abilità legale del Grisonon voglio ch'egli balzi di scannoil nostro dottore. Fa ch'egli venga oggi a pranzo da me e m'intenderòcon lui. Tu intanto abbi cura di vedere il bargello e di dirgli chequesta volta venga più presto del solito a ricever la manciaconsuetae che mi troverà di buon umoree avrà unregalo di più... Così si potrà andare innanzi afare tutto quello che sarà necessario... Purché la cosanon si risappia a Milano..."

"Chediavolo di paura vi nasce ora"interruppe il Conte.

"Carocuginola cosa non è finita; costei la voglio..."

"Vabene".

"Enon so dove bisognerà andare a cercarlache passi bisogneràfare..."

"Ebenea Milano hanno altro da pensare che a questi pettegolezzi. C'èla carestiac'è il passaggio delle truppec'è millediavoli. E poi quand'anche se ne parlasse a Milanosarebbe la primache avremmo spuntata?"

"Vabenema quel fratequel frate vedetechi sa quali protezioni potràavere; e vi assicuro che non istarà quieto fin ché...Quel frate è il mio demonioe... non posso farlo ammazzare".

"Ilfrate lo piglio sotto alla mia protezione"rispose sorridendoil Conte Attilio. "Non pensate a lui: me ne incarico io".

"Ehse sapeste!..."

"Viaviache ora non saprò fare stare un cappuccino. Vi dico chese avete in me la più picciola fedenon prendiate pensiero diluiche non ve ne potrà dare. Domani a sera sono a Milano; edopo due o tre giorni udrete novelle del frate".

"Nonmi state a fare un guajo che mi ponga in maggiore impiccio..."

"Quandovi dico di fidarvi di mefidatevi; ma se volete vi dirò primail modo semplicissimo che ho pensato per torvelo d'attornomodotanto semplice che l'avreste immaginato anche voi se non foste un po'conturbato".

InfattiDon Rodrigo combattutotrainato da sentimenti diversie tutti reitutti vilitutti faticosiera un oggetto di pietà senzastima agli occhi stessi del Griso e del Conte Attilioe avrebbeeccitato orrore e stomaco nell'animo di chiunque gli avesse menosomigliato che quei due signori. La passione di Don Rodrigo perLucianata per ozioirritata e cresciuta da poi dalle ripulse e daldisdegnoera diventata violenta quando conobbe un rivale. Lafantasia ardente e feroce di Don Rodrigo si andava alloraraffigurando quella Lucia contegnosaingrugnataseverase l'andavaraffigurando umanasoaveaffabile con un altroegli immaginava gliatti e le paroleindovinava i movimenti di quel cuore che non eranoper luiche erano per un villano; e la vanitàla stizzalagelosia aumentavano in lui quella passione che per qualche temporiceve nuova forza da tutte le passioni che non la distruggonooch'ella non distruggeda tutte quelle che possono vivere con essa.Tutte queste passioni lo avevano allora spinto ad impedire conminacce il matrimonio di Luciasenza ch'egli avesse risoluto quelche farebbe da poima per impedirlo a buon contoperché ellanon fosse d'un altroper guadagnar tempoper isfogare in qualchemodo la rabbia e l'amorese amore si può dire quel suo.Quindi allorché egli riseppe dalla narrazione del Griso cheLucia e Fermo erano partiti insiemei dolori della gelosia e dellarabbia lo colpirono più acutamente che mai. Egli pensava qualprova Lucia aveva data di amore per Fermo e di orrore per luiabbandonando così timidacosì inesperta la sua casapaternai luoghi conosciutiandando forse alla ventura; pensava chein quel momento essi erano in cerca d'un asilo per essere riunititranquillamentee risolveva di faredi sagrificare ogni cosa perimpedirlo. Dall'altra parte avvezzo bensì a non rifiutarsi maiuna soddisfazione quando non gli doveva costare altro che unabricconeriama avvezzo a commetterne in un campo ristretto econosciutosi atterriva al pensiero di uscirnedi dovereintraprendere una ricerca difficile e pericolosa per porsi poi ad unaimpresa chi sa quanto vastachi sa quanto difficile e pericolosa.Tanta era l'agitazione di Don Rodrigoch'egli pensava in quelmomento non senza terrore alle Gride contra i Tiranni. (Cosìchiamavano le Gride coloro che sopraffacevano come che fosse ideboliquasi con questa espressione querula e paurosa volesseroconfessare l'impotenza di contenere quelli e di difender questi.) Benè vero che quelle gride erano per lo più inoperoseeDon Rodrigo lo sapeva per esperienzacome noi lo sappiamo ora daltrovare ad ogni nuova pubblicazione di esse la dichiarazione espressache le antecedenti non avevano prodotto alcun effetto. Ma peròqueste gride stesse potevano essere un'arme potentequando una manopotente le afferrasse contra chi le avesse violate; e v'era di mezzoun frateun personaggio cioè alla influenza ed alla attivitàdel quale nessuno poteva anticipatamente prevedere un limite: equesto frate pareva risoluto a proteggere ad ogni costo gliinnocenti.

Inquesta tempesta di pensieri Don Rodrigo passeggiava per la stanzafacendo ad ogni momento nuove interrogazioni al Grisoe affettandosicurezza dinanzi al Conte Attilio; finalmente conchiuse col dire:"Per ora non c'è altro da fare che di sapere precisamentedove sono andati: tocca a te Griso; e poie poi... non son chi sonose... non è vero cugino?"

"Senzadubbio"rispose il Conteal quale alla fine non premevarealmente in tutta questa faccenda che di far pensare che nellostesso caso egli avrebbe saputo giungere ai suoi fini senzaesitazione e senza fallo. Così fu sciolta la conferenzae ilGriso partì.

DonRodrigo pensò che in quel giorno sarebbe stata cosa moltoutile l'avere il podestà a pranzoper mostrare sicurezzaeper far vedere ai malevoli che la giustizia era per lui; e lo feceinvitarepregando il Conte Attilio di non disgustargli quelbrav'uomo con tante contraddizioni. Venne il podestàe ildottore; si stette allegrisi parlò ancora della marcia delletruppee della carestia: ma degli affari del paesedella campana amartellodella fugané una parola. Soltanto Don Rodrigoaccennò indirettamente questa faccenda nel modo il piùgentile ed ingegnosocome si vedrà. Fece egli in modo che ilpodestà lodasse particolarmente il vino della tavola: cosa nondifficile ad ottenersiperché il vino era buonoe il podestàconoscitore. Allora Don Rodrigo: "Ohsignor podestàgiacché ho la buona sorte di posseder cosa di suo aggradimentomi permetterà..."

"Nonmainon maiSignor Don Rodrigose avessi saputo ch'ella sarebbevenuta a questi terminiavrei dissimulata la mia ammirazione perquesto incomparabile..."

"Benebenesignor Podestàella non mi farà il torto..."

"DonRodrigo conosce la stima..."

IlConte Attilio interruppe la garala quale era già realmentecomposta: Don Rodrigo parlò all'orecchio ad un servoe ilpodestà tornando poi a casatrovò sei tarchiaticontadini che erano venuti a deporre nella sua cantina le grazie diDon Rodrigo.

Datol'ordine segretoDon Rodrigo ritornò al discorsoincominciatobenché sembrasse mutarlo affattoe passare dalvino all'economia politica; ma chi appena osservi la serie delle sueideescorgerà il filo recondito che le tiene.

"Chedice"continuò adunque Don Rodrigo"che dice ilsignor podestà di questo spatriare che fanno i nostri operaj?"

"Chevuole ch'io le dica?" rispose il podestà: "ècosa da non potersi comprendere. Quanto più si moltiplicano legride per trattenerlitanto più se ne vanno. Non si sacapire: è una pazzia che gli ha presi: sono pecoreuna vadietro all'altra".

"Eppure"continuò Don Rodrigo "pare che questa cosa stia molto acuore di Sua Eccellenza".

"Capperi!veda con che sentimento ne parla nelle gride. Ma costoroparte perignoranzaparte per malizia non danno rettaarmano mille pretestima la vera ragione si è la poca volontà di lavorareeil disprezzo temerario delle leggi divine ed umane".

"Maper buona sorte"disse il dottor Duplicaa cui Don Rodrigoaveva detto non tutto ma quanto bastava a fargli intendere come DonRodrigo desiderava di esser servito"per buona sorte abbiamo unsignor podestà che non si lascerà illudere da pretestie saprà tenere mano ferma..."

"Manofermasignor podestà"riprese Don Rodrigo: "manoferma: il primo che c'incappafarne un esempio".

"Ioso"disse con gravità misteriosa il Conte Attilio"cheSua Eccellenza tiene gli occhi aperti su questo sviamento degliarteficie sulla esecuzione delle gride che lo proibiscono perchéil Conte mio zio del Consiglio segretoqualche volta in confidenzasi è spiegato con me... basta non voglio ciarlare; ma soncerto che quando tornato a Milano andrò a fare il mio doveredal Conte mio zioegli non lascerà di farmi milleinterrogazioni... In verità avere dei parenti in alto èun onorema un onore un po' pesante. Non si può parlare conloro che non vogliano ricavare qualche notizia: non si sa comesbrigarsene".

"Miraccomando ai buoni uficj del signor Conte"disse umilmente ilPodestà: "una buona parola trasmessa da una bocca tantogarbata in orecchie tanto rispettabili..."

"Èpura giustizia renduta al meritoSignor podestà: peròse la parola ha da ottenere il suo effettoda far colposaràbene che si vegga qualche dimostrazione esemplare dello zelo delSignor podestà in questa materia".

"Èmio doveree starò sull'avviso".

"Ohle occasioni non mancheranno"disse il dottore; "perchécome diceva sapientemente il signor podestàè unapazzia universale in costoro". Quindi prendendo l'aria grave epensosa di chi passa dai fatti ad una idea generalecontinuò:"Vedano un po' le signorie loro come son fatti gli uominieparticolarmente la gente meccanica che non sa riflettere. Comincia amettersi fra gli artefici questa smania di sviarsidi cambiar cielo.La sapienza di chi governa vede il malee tosto applica il rimediodella proibizione e delle pene. Si può far di più?eppure costoropresa una volta quella dirittura di andarsene aprocessioneproseguono ad andarsene come se nessuno avesse parlato.Come si spiega questo? Col dire che sono pazzi. Ma coi pazzi comebisogna fare? Castigarli".

Èfacile supporre che con questi ragionamenti il signor podestàsi trovò disposto a credere poio a fingere di credere alleinsinuazioni incessanti del dottor Duplicae alle deposizioni deglionorevoli suoi ministriche Fermo si era spatriato incontravvenzione alle gride. Il signor podestà non si lasciòscappare una occasioneche gli si era tanto raccomandato diafferraree nel giorno susseguente fatte fare ricerche di Fermolequali riuscirono inutililo notò come fuggitivogli feceintimare alla casa l'ordine di ritornaree nello stesso temporilasciò l'ordine di catturarlo s'egli ritornava. Non importadi accordare quei due ordini: basta che con questi si ottenessel'effetto desideratoche era di toglier la volontà a Fermo diritornare.

Intantoil Griso non ommetteva cura per iscoprire il covo dei fuggitivi; edecco come vi riuscì. Mandava egli esploratori qua e làper le piazze e per le taverne per raccogliere i discorsi chepotevano dar qualche lume su questo avvenimento. Colui che avevacondotto il baroccio dei profughinon tacquee di confidenza inconfidenzail Griso venne a risaperee potè riferire a DonRodrigo: che i fuggitivi erano andati a Monzache Fermo avevaproseguito il viaggio fino a Milanoche Lucia ed Agnese erano stateraccomandate al guardiano dei cappuccini.

Parvea Don Rodrigo che la matassa non fosse tanto imbrogliata com'egliaveva temutoe che il bandolo si potrebbe ravviare senza troppadifficoltà. Monza non era più lontana che venti miglia;Fermo era separato dalle donne; quando si prendessero buoni alleatisenza dei quali Don Rodrigo sentiva di non poter far nulla a quattromiglia del suo castellottol'impresa non era disperata. V'era peròancora di mezzo un cappuccino; ma si sarebbe veduto fino a che segnoegli era da temersi.

"Oramio bravo e fedel Griso"disse Don Rodrigo"non bisognametter tempo in mezzo. Ho bisogno di sapere al più prestopresso a chiin qual parte di Monza costei è andata aposarsi; e tu devi andare sul luogo a pigliarne informazioni sicure".

"Signore..."

"CheèGriso? non ho io parlato chiaro?"

"Signoreillustrissimo... io son pronto a dar la vita pel mio padronema soanche ch'ella non vuole arrischiar troppo i suoi sudditi"

"Ebbenenon sei tu sotto la mia protezione?"

"Quisono sicuroqui Vossignoria illustrissima è conosciutaetutti mi portano rispetto; ma in Monzas'io fossi riconosciuto... SaVostra signoria chenon dico per vantarmi; ma sa che chi mi potesseconsegnare alla giustiziacrederebbe di aver fatto un gran colpo?"

DonRodrigo stette un momento sopra pensiero. È una certaconsolazione per chi considera lo stato insopportabile di angoscia edi terrore in cui a quei tempi gli uomini arditi e perversi tenevanoi deboliil vedere che i perversi pure erano in continua angosciaedovevano starsi sempre come si dice con l'olio santo in saccoccia. MaDon Rodrigo dopo un breve silenziofece con buone ragioni vergognaril Griso della sua pusillanimità.

"Chediavolo!" disse Don Rodrigo"tu mi riesci ora un can dapagliajoche non sa che abbajare sulla portaguardandosi indietrose quei di casa lo spalleggianoe non ardisce di allontanarsiquattro passi? Ebbenepiglia con te un pajo di compagni... ilPelatoe... il Saltafossi... e va. Io non ho nimicizia con nessunoin Monza: chi dunque ti vorrebbe toccare? La faccia di bravo non timancae cospetto non incontrerai nessuno che non sia contento dilasciarti passare. Quanto alla giustiziadovresti vergognarti diavervi pensato un momento. Bisognerebbe che i birri di Monza fosserobene stanchi di vivere per azzuffarsi con tre malandrini che vannotranquillamente pei fatti loro".

"Siaper non dettoillustrissimo signore: io parto immediatamente".

"Bravo:hai amici in Monza?"

"EhSignore io ho amici e nemici per tutto il mondo. Sono stato inprigione con uno che sta per bravo dal Signor Egidio... e abbiamofatta una amicizia da spartire colle perticheconosco..."

"Benetu avrai da questi informazionie ajuti al caso. Una mano laval'altrae le due il viso. Coraggioe prudenza: comprare e nonvendere; andare e tornare".

"Vadoe torno; e se osassi..."

"Che?"

"PregarVossignoria illustrissima di non dire ad alcuno che il Griso hadubitato un momento. Vede beneognuno nel suo mestiere ha a cuore lasua riputazione".

"Vavabalocco che sei: credi tu che io abbia bisogno di essere pregatoper tenere in credito la mia gente?"

IlGriso partì coi due compagnispiòe raccolse cheLucia era nel monasterosotto la protezione della Signorache peròla Signora l'aveva ricevuta per compiacere al padre guardianochenessuno pensava che altrimenti ella si sarebbe pigliata a pettoquesta faccenda giacché Lucia non le apparteneva per nullache Lucia abitava nel monasteroma fuori del chiostroche silasciava poco vederee sempre di chiaro giorno: che la madre avevadisegnato di tornarsene a casa lasciando Lucia così beneappoggiata. Tutte queste cose riferì il Griso a Don Rodrigoil quale lodatoloe ricompensatolosi pose seriamente a pensarequale risoluzione fosse da prendersi.

Tentareun ratto a forza apertain Monzasu un terreno che egli nonconosceva benein un monasteroa rischio di tirarsi addosso lasignorae tutto il suo parentadodel quale Don Rodrigo conoscevamolto bene la potenzae la ferocia in sostenere le protezioni unavolta abbracciateera impresa da non porvi nemmeno il pensiero. PureLucia fra pochi giorni sarebbe rimasta sola senza la madree a chiavesse avuta pratica del paeseaderenzenotizie per conoscere leoccasioni e per approfittarseneper evitare i pericolil'impresapoteva forse essere agevole non che possibile. Bisognava dunquericorrere ad un alleato potente e destroad un uomo avvezzo acondurre a termine spedizioni di questo genere; e Don Rodrigo sideterminò in un pensieroche gli era passato più volteper la menteche non aveva mai abbandonatoil pensiero diraccomandare i suoi affari al Conte del Sagrato.

Lericerche che abbiamo fatte per trovare il vero nome di costui giacchéquello che abbiamo trascritto era un soprannomesono stateinfruttuose. Al prudentissimo nostro autore è sembrato diavere ecceduto in libertà e in coraggio col solo indicare conun soprannome quest'uomo. Due scrittori contemporaneidegnissimi difedeil Rivola e il Ripamontibiografi entrambi del CardinaleFederigo Borromeofanno menzione di quel personaggio misteriosomalo dipingono succintamente come uno dei più sicuri eimperturbabili scellerati che la terra abbia portatoma non ne dannoil nomee né meno il soprannome che noi abbiamo ricavato dalnostro manoscritto insieme con la narrazione del fatto che glielofece acquistaree che basterà a dare una idea del caratteredi quest'uomo. Abitava egli in un castello posto al confine deglistati venetisur un monte; e quivi menava una vita sciolta da ogniriguardo di leggecomandando a tutti gli abitatori del contornononriconoscendo superiore a sèarbitro violento dei negozjaltrui come di quelli nei quali era parteraccettatore di tutti ibanditidi tutti i fuggitivi per delitti quando fossero abili acommetterne di nuoviappaltatore di delitti per professione. "Lasua casa" per servirci della descrizione che ne fa il Ripamonti"era come una officina di commessioni d'ammazzamento: servìcondannati nella testae troncatori di teste: né cuoco néguattero dispensati dall'omicidio; le mani dei vallettiinsanguinate".

Ela confidenza di costuinutrita dal sentimento della forza e da unalunga esperienza d'impunità era venuta a tantoche dovendoegli un giorno passar vicino a Milanovi entrò senzarispettobenché capitalmente banditocavalcò per lacittà coi suoi canie a suon di trombapassò sullaporta del palazzo ove abitava il governatoree lasciò alleguardie una imbasciata di villanie da essergli riferita in suo nome.

Avvenneun giorno che a costui come a protettore noto di tutte le causespallate si presentò un debitore svogliato di pagaree sirichiamò a lui della molestia che gli era recata dal suocreditoreraccontando il negozio a modo suoe protestando ch'eglinon doveva nullae che non aveva al mondo altra speranza che nellaprotezione onnipotente del signor Conte. Il creditoreun benestanted'un paese vicinonon era sul calendario del Conteperchésenza provocarlo giammainé usargli il menomo atto didisprezzopure mostrava di non volere stare come gli altri allasuggezione di luicome chi vive pei fatti suoi e non ha bisogno nétimore di prepotenti. Al Conte fu molto gradita l'opportunitàdi dare una scuola a questo signore: trovò irrepugnabili leragioni del debitorelo prese nella sua protezionechiamò unservoe gli disse: "Accompagnerai questo pover uomo dal signortalea cui dirai in mio nome che non gli rechi più molestiaalcuna per quel debito pretesoperché io ho riconosciuto checostui non gli deve nulla: ascolterai la sua risposta: nonreplicherai nulla quale ch'ella siae quale ch'ella siatorneraitosto a riferirmela". Il lupo e la volpe s'avviarono tosto dalcreditoreal quale il lupo espose l'imbasciatamentre la volpestava tutta modesta a sentire. Il creditore avrebbe volentieri fattosenza un tale intromettitore; ma punto dalla insolenza di quelprocedereanimato dal sentimento della sua buona ragioneeatterrito dalla idea di comparire allora allora un vigliaccoe diperdere per sempre ogni credito; rispose ch'egli non riconosceva ilsignor Conte per suo giudice. Il lupo e la volpe partirono senzanulla replicaree la risposta fu tosto riferita al Conteil qualeudendola disse: "benissimo". Il primo giorno di festa lachiesa del paese dove abitava il creditore era ancora tutta piena dipopolo che assisteva agli uficj diviniche il Conte si trovava sulsagrato alla testa di una troppa di bravi. Terminati gli uficji piùvicini alla porta uscendo i primi e guardando macchinalmente sulsagrato videro quell'esercito e quel generalee ognun d'essispaventatosenza ben sapere che cagione di timore potesse avere sirivolsero tutti dalla parte oppostastudiando il passo quanto sipoteva senza darla a gambe. Il Conteal primo apparire di personesulla porta si era tolto dalla spalla l'archibugioe lo teneva conle due mani in apparecchio di spianarlo. Al muro esteriore dellachiesa stavano appoggiati in fila molti archibugj secondo l'uso diquei tempi nei quali gli uomini camminavano per lo più armatima non osavano entrar con armi nella chiesae le deponevano al difuori senza custodia per ripigliarle all'uscita. Tanta era la fedepublica in quella antica semplicità! Ma i primi che uscirononon si curarono di pigliare le armi loro in presenza di queldrappello: anche i più risoluti svignavano dritto drittodinanzi a un pericolo oscuroimprevedutoe che non avrebbe datotempo a ripararsi e a porsi in difesa. I sopravvegnenti giungevanosbadatamente sulla sogliae si rivolgevano ciascuno al lato che gliera più comodo per uscirema alla vista di quell'apparatotutti si volgevano dalla parte opposta e la folla usciva come acquada un vaso che altri tenga inclinato a sbiecoche manda un filo soloda un canto dell'apertura. Si affacciò finalmente alla portacon gli altri il creditore aspettatoe il Conte al vederlo glispianò lo schioppo addossoaccennando nello stesso punto colmovimento del capo agli altri di far largo. Lo sventurato colpitodallo spaventosi pose a fuggire dall'altro latoe la folla nonmenoma l'archibugio del Conte lo seguivacercando di coglierloseparato. Quegli che gli erano più lontani s'avvidero chequell'infelice era il segnoe il suo nome fu proferito in un puntoda cento bocche. Allora nacque al momento una gara fra quel miseroela turba tutta compresa da quell'amore della vitada quell'orrore diun pericolo impensato che occupando alla sprovveduta gli animi nonlascia luogo ad alcun altro più degno pensiero. Cercava eglidi ficcarsi e di perdersi nella follae la folla lo sfuggiva purtroppo s'allontanava da lui per ogni partetanto ch'egli scorrazzavasolo di qua di làin un picciolo spazio vuotocercando ilnascondiglio il più vicino. Il Conte lo prese di mira inquesto spaziolo colsee lo stese a terra. Tutto questo fu l'affaredi un momento. La folla continuò a sbandarsinessuno sifermòe il Conte senza scomporsiritornò per la suaviacol suo accompagnamento.

Sequel fatto crescesse in tutto il contorno il terrore che giàognuno aveva del Contenon è da domandare; e l'impressionecomune di stuporee di sgomento fu tale che nessuno poteva pensareal Conte senza che il fatto non gli ricorresse al pensiero; e cosìfu associata al nome quella ideache tutti avevano associata allapersona. Il Conte sapeva che lo disegnavano con questo soprannomemalo sofferiva tranquillamentenon gli spiacendo che ognunoavendo aparlare di lui si ricordasse di quello ch'egli sapeva fare; o forseche avendo in qualche romanzo di quei tempi veduta qualche menzionedi Scipione l'Africanoo di Metello il Numidicoamasse di avercom'essi il nome dal luogo illustrato da una grande impresa.

Tenevaegli dispersi o appostati assai bravi nello Stato milanese e nelvenetoe dal suo castello posto a cavaliere ai due confini dirigevagli uni e gli altrifacendo ajutare o perseguitare quegli che sirifuggivano da uno Stato nell'altrosecondo l'occorrenzatramutandone alcuno talvoltaquando qualche operazione lodomandasseo anche quando alcuno avesse in uno stato commessaqualche iniquità tanto clamorosa che la giustizia per averlonelle mani facesse sforzi straordinarjche esigessero sforzistraordinarj per difenderlo. Allora la fuga del reo era una buonascusa ai ministri della giustizia del non far nulla contra di luiela cosa finiva quietamentetanto che dopo qualche tempo non se neparlava piùné meno sommessamentee il reoricompariva con faccia più tosta che mai. Questo maneggioserviva non poco ad agevolare tutte le operazioni del Conteperchéle si compivano tutte senza molto impaccio dei ministri dellagiustiziai quali potevano sempre allegare l'impossibilità diporvi un riparo. Quanto alle operazioni che il Conte eseguiva dipropria manola giustizia non se ne mostrava accorta; ed era regolaricevuta di prudenzache erano di quelle cose in cui ognidimostrazione avrebbe prodotti più inconvenienti che non ildissimularle.

Lesue corrispondenze erano varieestesesempre crescenti. Pochi eranoi tiranni della cittàe di una gran parte dello stato che nonavessero qualche volta fatto capo a lui per condurre a terminequalche vendetta o qualche soperchieria rematicamassimamente se lapersona da colpirsio il fatto da eseguirsi era nelle sue vicinanze.E non bastafino ad alcuni principi stranieri tenevano comunicazionecon luie a lui avevano ricorso tal volta per qualche uccisioned'importanzae quando il caso lo richiedesse gli mandavano rinforzi:fatto attestato dal Ripamontie strano certamente per chi misura laprobabilità degli avvenimenti e dei costumi dalla solaesperienza dei suoi tempi; ma fatto che cammina benissimo con tuttol'andamento di quel secolo. Nella sua professione d'intraprenditoredi scelleratezzeera egli pieno di affabilità nelcontrattaree nell'eseguire mettevaed esigeva una sommapuntualità. Accoglieva con molta riserva certamente per nonincorrere nel pericolo al quale era sempre espostoma con moltapiacevolezzaquelli che venivano a domandare l'opera suadeponevacon essi il sopraccigliostipulava con parole spiccema pacatenonandava in furia contra chi non avesse voluto stare alle suecondizionima rompeva pacificamente il trattatonon volendo nédisgustare alcuno senza utilitàné atterrire coloroiquali avevano per la scelleragine più inclinazione nellavolontàche determinazione di coraggio. Ma stretti i patticolui che non gli avesse ben fedelmente serbati con luidoveva esserbene in alto per tenersi sicuro dalla sua vendetta.

DonRodrigo conosceva il Conte non solo di fama (chi non lo conosceva difama?) ma di personaper essersi talvolta avvenuto in lui. In tuttiquesti incontri Don Rodrigo sentendo la sua inferioritàavevadeposto ogni orgoglio e aveva cercato con molte espressioni dirispetto di porsi in grazia al Conte; non ch'egli pensasse allora cheun giorno avrebbe cercato il suo ajutoma soltanto per non farsi untale nemico.

Confermatonel suo perverso proposto di attingere la innocente Luciae convintoche le sue mani non erano abbastanza lunghesi risolvette DonRodrigo di andare in cerca di chi volesse prestargli le sue; fattaquesta risoluzionenon v'era da titubare sulla scelta delpersonaggioperché il Conte era appunto per lui quel cheil diavolo fece.



Cap.VIII

Ilmattino vegnentesenza por tempo in mezzoDon Rodrigo a cavalloinabito da cacciacol fedel Griso che camminava a fianco delpalafrenoe con una quadriglia di bravisi mosse verso il castellodel Contecome altre volte Giunone verso la caverna di Eolo; se nonche la Dea pagava in Ninfe l'opera buona del re dei ventie DonRodrigo sapeva bene che avrebbe dovuto recarla a Doppie. La via eradi cinque miglia all'incirca; e Don Rodrigo la faceva lentamenteeper dare agio alla scorta pedestre di seguirlo; e perché ilcammino quasi tutto montuoso e disuguale e sassoso anche dov'erapiano obbligava il ronzino ad andare di passoe a cercare il luogodove posare la zampa con sicurezza. I villani che si abbattevano suquella viaal vedere spuntare il convogliosi ritiravano dall'uncanto verso il muroper dare a Don Rodrigo il comodo d'un liberopassaggio; e quando erano giunti al medesimo punto della stradasiristringevano ancor più al murocon aria quasi di chiederescusa a Don Rodrigo d'essersi trovati sul suo cammino. Don Rodrigoche già cominciava a godere nella sua mente un'anticipazionedella potenza che gli avrebbe data l'alleanza che andava a contrarregli guarda con un volto fosco e sprezzantecome se dicesse: -vi siete rallegrati troppo presto a mie spese; lo so; mavedrete chi sono -. Giunto dinanzi al convento che sitrovava su la sua stradaDon Rodrigo rallentò ancor piùil passoe si rivolse tutto a sinistraguardando fieramente se maiil Padre Cristoforo girasse fuori del nido: ma non v'era nessuno: laporta della chiesa era apertae si sentivano i frati cantarel'uficio in coro. In mezzo alla sua ira Don Rodrigo si risovvennedelle promesse del Conte Attilioe dei disegni che questi gli avevacomunicati sul modo di liberarlo da quei frate: pensò che inquel momento forse la trappola era già tesa; e passando dallacollera alla compiacenzafece un sogghigno accompagnato da un "ah!ah!" il cui senso non fu chiaramente compreso che dal fidatoGriso; il quale per mostrare la sua sagacitàe per far vedereai compagni ch'egli era molto internato nei segreti del padronesivolse a questo pur sogghignandoe facendo col volto un cenno chevoleva dire: - a quest'ora il frate saràservito -.

Pochipassi dopo il convento giunse la brigata ad uno di quei tantitorrenti che si gettano nel lagodai monti che lo ricingono. Questosi chiamava e si chiama tuttavia il Bionenome che non si troveràin alcun dizionario geografico; e a dir vero colui che lo porta nonmerita per nessun verso di esser memorato. Scappa fuori da un monteche è quasi poggiato nel lagoe per un brevissimo elarghissimo letto manda per lo più qualche filo d'acquaedopo le grandi pioggee allo scioglimento delle nevimena un largofiume d'acqua che in un momento si perdee un flagello diciottoloniche rimangono. In quel momento non vi scorrevano che dueo tre rigagnoli sparsi in un deserto di sassi: noi avremmo voluto chela nostra storia registrasse a questo passaggio qualche incontroqualche avvenimento inaspettatoper poterne illustrare queltorrentee togliere il suo nome dalla oscuritàma la storianon ne registra: e noi solleciti della verità più ched'ogni altra cosa non possiamo dire altro se non che il cavallo diDon Rodrigo attraversò il letto in retta lineatenuto pelfreno dal Griso il quale dovette porre i piedi nel guazzoscontandocosì com'era giusto un poco l'onore di star più vicinoal signore; mentre gli altri bravi passarono un po' più in giùsur un ponticello stretto a piedi asciutti.

Varcatoil Bioneandarono per un miglio circa sulla via pubblica che conduceal luogo dove allora era il confine dello stato veneto; e quindipresero un viottolo ripido a sinistra che conduceva al castello delConte. Appiedi della ultima salita che dava al castello v'era unarozza e picciola taverna; e sulla porta della taverna un impiccatellodi forse dodici anniil quale al veder gente armata entròtosto a darne avviso; ed ecco uscirne tre scheranacci nerboruti edarcigni i quali deposte sul tavolo le carte sudice e ravvolte cometegole con le quali stavano giucando; stettero a guardare consospetto chi veniva. Don Rodrigo aveva già tirata la brigliadel suo ronzino per rivolgerlo sulla salitaquando uno dei trefacendogli cenno di ristare gli chiese molto famigliarmente: "dovesi va signor miocon questa bella compagnia?" In altro luogo edin altra occasione Don Rodrigo che aveva la superiorità delnumeroe che non era avvezzo a sentirsi così interrogare dapaltonieriavrebbe risposto chi sa come; ma egli sapeva di esserenegli stati del Contee s'avvedeva che parlava con dipendenti daquelloonde fingendo di non trovare nulla di strano in quel modorispose umanamente: "Vado ad inchinare il signor Conte".

"Echi è Vossignoria?" replicò l'altro con tuono piùamichevole ma non meno risoluto.

"Sonoil signor Don Rodrigo..."

"Bene;ma sappia che su per quell'erta non camminano altri armati che quellidel signor Conte; e s'ella vuole riverirlopotrà venir solo afare una passeggiata con me".

DonRodrigo intese che bisognava anche scendere da cavalloericordandosi di quel proverbio: si Romae fuerisromano vivitomorenon si fece pregaree disse: "avrò moltopiacere di far questi pochi passi a piede: e voi intanto"disserivolto alla sua scorta"starete qui aspettandomi a refiziarvie a godere della compagnia di questa brava gente". Mentre quivisi parlamentavascendevano per l'erta a varie distanze uomini delConte che dall'altura avevan veduti armati a fermarsi; ma colui ches'era offerto di accompagnare Don Rodrigoaccennò loro cheerano amicie quegli ritornarono. Don Rodrigo scesoe date lebriglie in mano al Griso cominciò a salire con la sua guida;la quale non volendo forse avere offeso un uomo che poteva esser piùamico del Conte che non si sapessefece una qualche scusa a DonRodrigo di averlo fatto scendere. "Se il Signor Conte"disse colui"fosse stato avvertito della sua visitaavrebbedato ordine perch'ella fosse accolta con le debite cerimonie; perchéella deve sapere quanto il mio padrone sia cortese coi gentiluominiche sanno il vivere del mondo; ma Vossignoria non è aspettatae noi abbiamo dovuto fare il nostro dovere che è di nonlasciar passare a cavallo che gli amici vecchi del signor Conte".

"Certocerto"rispose Don Rodrigo: "io sono buon servitore delsignor Contee non pretendo che egli abbia a far complimenti conme".

-Questi è un signore davvero- pensavatra sè continuando la sua salita Don Rodrigo. - Vedeteun po'come sa farsi rispettareed esser padrone in casa sua. S'iovolessi fare una legge similenon so se vi potrei riuscire: ma èpoi anche vero che fa una vita da romito. A voler godere un po' ilmondo non bisogna star tanto in sulle suené metter tantacarne a fuoco. - Così Don Rodrigo siracconsolava della sua inferiorità; e nel resto del camminoandava rimasticando i discorsi ch'egli aveva preparati pel Conte.Giunti al castellola guida v'entrò con Don Rodrigoe lofece aspettare in una saladove stavano sempre servi armatiprontiagli ordini del Conte. Dopo pochi momentila guida tornòinvitando Don Rodrigo ad entrare dal padrone; e di sala in salasempre incontrando scheranilo condusse a quella dove stava il Contedel Sagrato.

DonRodrigo s'inchinò profondamente con quell'aria equivoca chepuò egualmente parere bassezza o affettazionee il Conte chein mezzo a tanti affari non aveva potuto conservare le abitudinicerimoniose di quel tempogli corrispose con una leggiera e rapidainclinazione del capo; e gli fece cenno di sedersi sur una seggiolala quale era posta in luogo che dall'altra stanza si potesse scorgereogni moto di colui che vi era seduto. Dopo molte cerimonieallequali il Conte badò pocoDon Rodrigo sedette; e il Conte purea qualche distanza.

Erail Conte del Sagrato un uomo di cinquant'annialtogagliardocalvocon una faccia adusta e rugosa. Si sforzava fino ad un certosegno d'esser garbatoma da quegli sforzi stessi traspariva unarusticità feroce e indisciplinata.

"Dovreiscusarmi"cominciò Don Rodrigo"di venir cosìa dare infado a Vossignoria Illustrissima".

"Lasciqueste cerimoniacce spagnuolee mi dica in che posso servirla".

"Nonso se il Signor Conte si ricordi della mia personama io ho presentedi essere stato qualche volta fortunato..."

"Miricordo benissimoe la prego di venire al fatto".

"Adir vero"riprese Don Rodrigo "io mi trovo impegnato in unaffare d'onorein un puntiglioe sapendo quanto valga un parere diun uomo tanto esperimentato quanto illustrecome è il SignorContemi sono fatto animo a venir a chiederle consiglioe per dirtutto anche a domandare il suo amparo".

"Aldiavolo anche l'amparo"rispose con impazienza il Conte."Tenga queste parolacce per adoprarle in Milano con queglispadaccini imbalsamati di zibettoe con quei parrucconi impostoriche non sapendo essere padroni in casa lorosi protestano servitored'uno spagnuolo infingardo". E qui avvedendosi che Don Rodrigofaceva un volto seriotra l'offeso e lo spaventatosi raddolcìe continuò: "intendiamoci fra noi da buoni patriottisenza spagnolerie. Mi dica schiettamente in che posso servirla".

DonRodrigo si fece da capo e raccontò a suo modo tutta la storiae finì col dire che il suo onore era impegnato a fare starequel villanzone e quel fratee ch'egli voleva aver nelle mani Lucia;che se il Signor Conte avesse voluto assumere questo impegnoeglinon dubitava più dell'evento. "Non intendo però"continuò titubando"che oltre il disturboil SignorConte debba assoggettarsi a spese per favorirmi... è troppogiusto... e la prego di specificare..."

"Pattichiari"rispose senza titubare il Contee proseguìmormorando fra le labbra a guisa di chi leva un conto a memoria:"Venti miglia... un borgo... presso a Milano... un monastero...la Signora che spalleggia... due cappuccini di mezzo... signor mioquesta donna vale dugento doppie".

Aqueste parole succedette un istante di silenziorimanendosi l'uno el'altro a parlare fra sè. Il Conte diceva nella sua mente: -l'avresti avuta per centocinquanta se non parlavi d'infadoe d'amparo -; e Don Rodrigo intanto faceva eglipure mentalmente i suoi conti su le dugento doppie. - Diavolo!questo capriccio mi vuol costare! Che Ebreo! Vediamo... le ho: ma hopromesso al mercante... via lo farò tacere. Eh! ma con costuinon si scherza: se promettobisognerà pagare. E pagherò:...frate indiavolatote le farò tornare in gola... Lucia lavoglio... Si è parlato troppo... non son chi sono... -Fatta così la risoluzionesi rivolse al Conte edisse: "Dugento doppiesignor Contel'accordo è fatto".

"Cinquee cinquedieci"rispose il conte. E questase mai per caso lanostra storia capitasse alle mani di un lettore ignaro del linguaggiomilaneseè una formola comuneche accennando il numero delledita di due mani congiuntesignifica l'impalmarsi per conchiudere unaccordo. E nell'atto di proferire la formolail Conte stese la manoe Don Rodrigo la strinse.

"Ledarò"disse Don Rodrigo"uno dei miei uominicheconosce benissimo la personae starà agli ordini diVossignoria..."

"Nonfa bisogno"rispose il Conte del Sagrato: "mi basta ilnome"e qui cavò una vacchetta sulla quale sa il cieloche memorie erano registratee fattosi dire un'altra volta il nome eil cognome della nostra poverettalo scrissee notò pure ilmonastero.

"Manon vorrei che nascessero abbagli".

"Soquel che posso promettere"rispose il Conteil quale coglievaogni destro di dare una idea inaspettata del suo potere e dellacertezza dei suoi mezzi.

"Certo"replicò Don Rodrigo"pel Signor Conte non v'ècosa impossibile".

"Adun mio avvisoella mandi persone fidate con le dugento doppiee lapersona sarà consegnata".

"Cosìfarò; e mi raccomando... vede bene... non vorrei che... ilSignor Conte darà ordini precisie impiegherà personedi giudizio".

"Alcorpo di mille diavoli! Ella non sa dunque come io son servito: tuttii miei uomini sono ben persuasi che colui il quale in una similecircostanza pigliasse la più picciola libertàsarebbepunito con le mie mani".

"Nonne dubito"rispose Don Rodrigo.

"Segretoe fedeltà ai patti!" disse il Conte.

"Sonuomo d'onore"rispose Don Rodrigoe si accomiatò. Uscìdel castelloscese alla tavernatrovò la sua scortapagòlargamente lo scottoe si avviò verso casa.

Nonaveva egli ancora oltrepassata la soglia del castello del Contechequesti aveva già dato principio all'impresaprendendo lapennae scrivendo una lettera a quell'Egidio di Monzache illettore conosceper invitarlo a venire al Castello per un negozio disomma premura.

Èd'uopo sapere che il Conte era uno di quei vecchi amici del padre diEgidio coi quali questi aveva mantenuta corrispondenza; anzi era ditutti il più intrinseco e il più riverito. Il giovaneEgidio appena rimasto solo aveva implorata l'assistenza del Conte peradempire la vendetta del padree il Conte che nel giovanetto avevagià intravedute disposizioni non ordinariee che avevapensato di farne uno degli agenti che teneva in varie parti delpaeselo aveva in quella occasione soccorso di denari e d'uominiesempre in seguito gli si era mostrato pronto ad ajutarlo dove fossestato di mestieri.

Siformò quindi fra loro l'intelligenza di darsi mano a vicendain ogni occorrenza; nel che Egidio faceva le sue parti con moltozeloe con una certa sommessione verso il Conteper la sua etàper la sua famae per gli obblighi che Egidio gli avevae perchéin ogni frangente contava d'avere in lui un difensore invincibile.Per ciò il Contequando Don Rodrigo gli parlò diMonzacorse tosto col pensiero ad Egidioe conoscendo peresperienza la devozionee risolutezza di luisapendo che la suacasa era contigua al monasterofece ragione che la impresa era comecompiutae promise a Don Rodrigo con quella asseveranza che abbiamovedutae che gli diede una maraviglia non affatto sgombra didiffidenza.

Ilmesso partì; e il giorno susseguente Egidio si mosse di buonmattinoe verso il mezzogiorno salì in trionfo fino alcastello del Conte con due cavalierie con quattro pedoni chel'accompagnavanodistinzione riserbata a quegli che erano non soloamicima alleati e la gente dei quali era impiegata al bisognoadeseguire i disegni del Conte. In fatti gli uomini di Egidio e quellidel Conte s'erano trovati insieme in più d'una impresaederano per lo più antiche conoscenzee avvezzi in ogni caso afar conto su uno scambievole ajuto. Quindi a misura che Egidioavvicinandosi al castelloincontrava di quei bravi che visoggiornavanoquesti dopo d'aver umilmente inchinato l'amico delpadronefacevano festa pur camminandoal suo corteggioed era unaripetuta stretta di manie un dare e rendere di saluti a cui siappiccavano i più bisbetici e scomunicati nomi del mondo."Benvenuto il Tanabuso!" "Bentrovato il Montanaruolo!""Oh addioStrozzato!" "Buon giorno Biondino bello!""BravoNibbionemi consolo di vederti bene in gamba!""Eh! Spettinatograzie al cieloin gambasano e salvo aglistatuti di Milanofin che viene la mia ora!" "Bravoun'altra volta! Ehi! e quel tale che ti faceva l'amore dietro tuttele siepi?" "Mandato a dormire senza cena"rispose ilNibbionestendendo il braccio sinistro e appoggiando orizzontalmentela mano destra alla guancia. "Bene"rispose lo Spettinato:"così va fatto: meglio pagare che riscuotere". "Cosìm'ha insegnato mio padre"replicò il Nibbione. Conquesti bei ragionamenti giunse la trista brigata alla vista delcastello; quivi si trovò il Conte che avendo veduto salirel'amico gli si faceva incontro. Quando Egidio lo scorsebalzòda cavallogittò la briglia a uno de' suoi uominie corse alui: si abbracciaronoentrarono insieme nel castello: gli scheranidell'uno e dell'altro seguitarono riverentemente in silenzioedentrati pure in frottaandarono tutti insieme a gozzovigliaresecondo gli ordini dati dal Conte.

Quandoi due amici furono soli nella stanza appartatadove il Contetrattava gli affari più reconditiscoperse ad Egidio ilmotivo della chiamata in questo modo.

"Miocaro Egidioe posso dir figlio. Ho un affare a Monzapel quale m'èd'uopo un amico fidatoe un uomo destro e valente; e ho posti gliocchi sopra di te".

"Vorreivedere"rispose Egidio"chi sarebbe in Monza colui cheardisse vantarsi di esservi più amico di me".

"Lamentita gliela darei io"replicò il Conte.

"Oramettetemi alla prova".

"Hobisogno di avere in mano una persona"disse il Conte.

"Vivao morta?" domandò Egidio.

"Vivaviva"rispose il Conte"è un affare allegro".

"Bene"disse Egidio"purché non sia il Castellano néalcuno di sua famigliané il feudatarioné ilpodestàné un ufiziale spagnuolo..."

"Ih!ih!" disse il Conte"che vorresti tu ch'io facessi diquesta gente? Quando io gli avessi tutti in questo castellofareiaprire tutte le porte per lasciarli andare. Non sono buoni da nullané vivi né morti".

"Cheso io?" riprese Egidio: "Benepurché non siaancorané l'arcipretené tampoco un pretenéun fratené una monacaperché non vorrei aver chefare col Cardinaleche sarebbe uomo da mettere a soqquadro tuttaRoma e tutta Madridfinché non ne avesse veduta l'acquachiara: purché non sia nessuno di questivi promettoumanamente parlandoche siete servito".

"Ebbene"disse il Conte "quello ch'io vorrei che tu prendessi non ènessuno di questi uccellacci che hai nominati: è il piùpicciolo reatino che tu possa immaginare. Solamenteèrimpiattato in una certa fratta che ci vorrà destrezza assai acavarnelo".

"Vediamo"rispose confidentemente Egidio.

IlConte cavò la sua vacchettae dopo aver rivolta qualchecartalesse: Lucia Mondellae continuò: "è unacontadina di questi contorni che si trova in Monza nel monasterocontiguo alla tua casasotto la protezione della Signora; protezionemolto fredda però; e raccomandata al guardiano deicappuccini".

"Neho inteso parlare"; rispose Egidioil quale ne sapeva sul contodi Lucia molto più del Contema non voleva mostrarsene piùintesoperché i suoi rapporti con la Signora erano un segretoal quale non ammetteva nemmeno gli amici più intrinseci.

"Prenditu l'impegno?" domandò il Conte.

"Senzadubbio"rispose Egidio.

"Ela Signora?"

"LaSignoracome vi hanno detto benissimo non si piglia molto a cuorequesta donna; così almeno ho inteso dire da quelli di casa miache bazzicano con l'ortolanoo con qualche altro mascalzone delmonastero. E poifaremo la cosa in modo che né la Signora néaltri possa sospettare donde il colpo venga".

"Saitu ch'ella si allontani dal monastero qualche volta? Hai mezzo perfarla uscire?"

"M'impegnodi trovarlo. E non vi posso promettere né pel tal giornonéper la tale settimana; ma piglierò il tempoe sarete servito;e non andrà molto".

"Bravo!e hai tu bisogno d'uomini in ajuto?"

"Hobisogno certo d'uomininon tanto per compire l'operacome perdistornare i sospetti. Quando io vi darò avvisovoi mimanderete dei vostri uomini forestieridei più destri edeterminati; costoro si lasceranno vedere qualche tempo prima; siparlerà in paese di loro: quando la donna saràscomparsa..."

"Vabenesi dirà che è stata rapita da forastierisconosciutida Bergamaschi".

"Rapitao fuggita con essi: quel che si vorrà: o anche l'uno e l'altroperché ho veduto in più d'un caso che il raccontare unastoria in diverse maniere serve molto a confondere le testee atener lontani i sospetti dalla verità del fatto".

"Tuparli come un vecchioe sai operare da giovane"rispose ilConte. "Io ti manderò gli uomini che mi richiederai: enon avranno altro ordine che di ubbidire ai tuoi".

Cosìfu conchiuso l'orribile accordo: Egidio annunziò al Conte chel'indomani ripartirebbe di buon mattinoe che appena giunto a casaavviserebbe ai mezzi di condurre a buon fine l'impresa.

Lasicurezza però di Egidio diede al Conte una maraviglia nonmolto dissimile da quella che Don Rodrigo aveva presa della sua. Siaspettava bene il Conte che Egidio avrebbe abbracciata l'impresaetrovato il modo di compierlama ch'ella dovesse parergli cosìagevolenon lo avrebbe immaginato. Si preparava anzi a fargli animoe a suggerirgli i mezzi per vincere gli ostacoli che Egidio gliavrebbe opposti; e fra questi il primo gli pareva che dovesse esserela Signora: ma il lettore sa che questo che al Conte sembravaostacolo dovette tosto affacciarsi alla mente di Egidio come un mezzovalidissimo. Ed è questo uno dei molti vantaggi dei lettori distorie: il sapere certe cose ignorate dai personaggi piùimportanti di esse; il veder chiaro dove i più accorti edoculati personaggi camminano all'oscuro: vantaggio che dovrebbeispirare ad ogni lettore bennato molta riconoscenza a coloro cheglielo procuranoche alla fin fine sono gli scrittori di quellestorie.

Nelresto di quel giorno il Conte trattenne in festa l'amicoin quellafesta però che poteva essere in quel luogo e fra quei due.All'indomanidopo molti affettuosi congediEgidio partìpromettendo che ben presto manderebbe al Conte buone novelledell'affare; discese al lagoentrò nel battello del Contetraghettato all'altra riva dell'Adda coi suoisi ripose a cavalloeprese la via di Monza.

Inquel tempo di provocazionidi vendettedi agguatidi tradimentil'uomo che si allontanava quattro passi da casa suacamminava semprecon sospetto a guisa d'un esploratore in vicinanza del nemico; e piùd'ogni altro i facinorosi e soverchiatori di mestierequelli cheavevano in ogni parte conti accesi di offese o di minaccecom'eraEgidio. Benché mandasse alcuni passi innanzi a battergli lavia uno de' suoi cavalieriil quale spiava se ci fossero insidieose giungessero nemicipure andava egli stesso guardandosi a destra ea sinistracercando di penetrare con lo sguardo ogni siepealzandosi di tempo in tempo su le staffe per veder dietro i muri deicampipiegandosi per vedere dietro ogni cappellettavolgendosi ditempo in tempo a vedere dietro le spallee affisando da lontanochiunque venivaperché poteva essere un nemicoo il sicarionascosto di un nemico.

Allametà circa della viaincontrò egli una caravana dicarretti e di pedonie li riconobbe da lontano per quelli che eranoveramente cioè pescivendoli che tornavano da Milano dopo averesmaltita la loro mercee che camminavano di conserva per assicurarsidai masnadieri. Esaminando però attentamente ogni personadella caravanaa misura che gli passava dinanzigli parve diriconoscere una donnache si stava accosciata sur un carrettocoperta il capo d'un fazzoletto rannodato sotto il mentola qualeveggendo venire armati guatava con una curiosità mezzospaventata. Egidio la mirò più fisamentes'avvide ches'era appostoche era dessae si rallegrò pensando che aMonza troverebbe un impiccio di meno nell'esecuzione del suo mandato.

Erala nostra povera Agnese che avendo in vano aspettato le lettere oalmeno imbasciate promesse dal Padre Cristoforoimpaziente di venirein chiaro del come andassero le cosequal partito si dovessefinalmente pigliare; tornava al paeseper saperne qualche cosaperdare nello stesso tempo una occhiata alla casa ed alle masserizie.Lucia alla quale i pericoli passatila fugail trovarsi comesmarrita lungi dalla sua casa fra gente nuovail timore continuo dipeggio avevan restituita quasi tutta la timidezza della infanziaaveva più volte afferrata la gonna della madre per nonlasciarla partireaveva piantoe pregatomafinalmente stancaessa pure della incertezzae più ansiosa di saper qualchecosa di quello che non ne confessasserassicurata dal trovarsi in unasilo così guardatoe così santos'acquetòelasciò che la madre ne andasse; e Agnese se n'era venutasenza cruccio della figlia che le pareva d'aver lasciatacome sidicesu l'altare. Noi torneremo indietro con la buona donna verso lenostre montagnelasciando andare lo sciagurato Egidio al suoviaggio.

QuandoAgnese si trovò al punto dove la strada che conduceva al suotugurio si divideva da quella che dovevan fare i pescivendoli pergiungere a casa lorocioè quando ebbe passato il pontedell'Addascese di carrettoe preso il suo fardello cominciòa piedi le due miglia che le restavano di viaggiocamminando nonsenza sospetto. Si confortava però pensando che Don Rodrigonon l'avrebbe voluta far rapiree che non sarebbe nemmeno statotanto scellerato da farle far male alcunosenza suo profitto. Giuntavicino a casav'andò quanto più celatamente potèper viottolie infatti non fu scorta da veruno; picchiòlefu aperto da quella sua cognata che stava a guardare la casatrovòle cose in ordine; chiese novelle del Padre Cristoforo alla cognatache non potè rispondergli se non che da quel primo giorno nonlo aveva più veduto comparire; e dopo d'avere esitato qualchemomentosi fece animoe prese la via del convento. Tutta ansiosa sifece alla portae tirò il campanelloal suono del qualeecco venire un occhio ad una picciola grata della porta a spiare chisia arrivatosi alza un saliscendosi apre mezza la portae alluogo dell'apertura un lungovecchioe magro frate portinajo con labarba bianca sul petto che dice:

"Chicercate buona donna?"

"Ilpadre Cristoforo".

"Nonc'è".

"Staràmolto a tornare?"

"Mah!"

"Dov'èandato?"

"APalermo".

"A...?"

"APalermo"ripetè posatamente il frate portinajo.

"Dov'èquesto luogo?" domandò di nuovo Agnese.

"Eh!hee!" rispose il portinajostendendo il braccio e la manodestra e trinciando l'aria verticalmente per significare una lungadistanza.

"Ohdiavolo!" sclamò Agnese.

"Ohibòbuona donna"disse pacatamente il frate: "che c'entracolui? non chiamatelo qui fra di noiche poniamo ogni cura pertenerlo lontano".

"HaragionePadrema io sto fresca".

"Bisognaaver pazienza"rispose il frate ritirandosi per richiudere laporta.

"Ma"disse Agnese in frettaritenendolo"che cosa è andato afare in quel paese?"

"Apredicare"rispose il cappuccino.

"Maperché è andato via così all'improvviso senzadirmi niente?"

"Gliè venuta l'obbedienza dal padre provinciale".

"Eperché l'hanno mandato lui che aveva da far quie non unaltro?"

"Sei superiori dovessero render ragione degli ordini che dannonon visarebbe obbedienza".

"Vabenissimo; ma questa è la mia ruina".

"Civuol pazienzabuona donna. Pensate al contento che proveranno queidi Palermo a sentirlo predicare: perchévedete il padreCristoforo è cima di predicatori; è un santo padre inpulpito".

"Ohil bel sollievo per me!"

"Vedetese v'è qualche altro nostro padre che possa tenervi luogo diluirendervi qualche servizionominateloe lo andrò achiamare".

"OhSanta Maria!" rispose Agnese con quella riconoscenza mista distizza che fa nascere una offerta dove si trovi più di buonavolontà che di convenienza: "chi ho da far chiamaresenon conosco nessuno: quegli sapeva tutti i fatti mieimi dava tuttii pareriaveva amore per noi poveretti".

"Dunqueabbiate pazienza"rispose di nuovo il fratedisponendosiancora a partire.

"...Mama..." domandò ancora Agnese"quando sarà diritorno?... così a un dipresso?"

"Mah!"rispose il frate. "Quando avrà terminato il quaresimalecioè a Pasquaaspetterà un'altra obbedienza per saperese deve restar là dove è andatoo tornar quioportarsi ad un altro luogo dove comanderanno i superiori: perchévedetenoi abbiamo conventi in tutte le quattro parti del mondo".

"Ohla bella storia!" sclamò Agnese.

"Questoè quello che vi posso dire"rispose il fratechiudendoquesta volta la porta sul volto ad Agnesela quale dopo esserrimasta ivi un qualche tempo come smemoratariprese tristamente lavia della sua casapensando come potrebbe riparare una tanta perditae arzigogolando i motivi di una sì subitanea disparizionesenza poter mai venire ad una congettura un po' soddisfacente.

Noncosì il lettoreil quale quando voglia continuare la sualetturatroverà qui tosto la spiegazione di tutto il mistero.Il Conte Attiliotornato a Milanos'era tosto portato ad inchinareil conte suo Zio del consiglio segreto. Era questi un vecchioambiziosogeloso della parte di potere che gli era venuto fatto diafferraree geloso non meno dell'onore della sua famiglia e di tuttoil parentadoal modo che s'intendeva l'onore a quei tempi.

Eraegli per due sorellezio dei due cuginie quindi chiese tosto adAttilio novelle dell'altro nipote Don Rodrigo.

"Chefa quello sventato? Ma non serve ch'io ne chiegga a te che sei unosventato come luie devi sempre trovarlo irreprensibile".

"Miha imposto di baciare umilmente la mano all'Eccellenza del signorzioalla quale è sempre devotissimo".

"Sìsì... mantiene bravi tuttavia?"

"OhSignor ziobravi... non si può veramente chiamarli bravi:tiene un corteggio di servitori conveniente alla sua nascitae aldecoro della parentela".

"Sìsì... ma Sua Eccellenza il signor Governatore non vuole icorteggi a questo modoe si lascia qualche volta intendere chetoccherebbe ai Ministrie ai loro parenti dare l'esempio".

"Mavede bene signor zioil mondo diventa peggiore di giorno ingiorno..."

"Ohquesto sì; ma non tocca a te il dirlo".

"Adogni modoil mondo è pieno di gente che non porta rispetto néalla nascita né al nomese uno non lo sa far rispettare".

"Anchequesto è vero; ma quando si ha uno Zio nel consiglio segreto eall'orecchio di Sua Eccellenza non si deve temere di soperchiatori".

"Certoche con l'amparo del signor Zio noi potremmo aversoddisfazione di qualunque offesa: ma intanto gl'impegninascerebberoe il Signor Zio che ha tanta bontà di cuoreavrebbe disturbi ad ogni momento per causa nostra. Così itemerarj si contengono col solo timore".

"Temerarjtemerari: io so molto bene che Don Rodrigo non è molestato danessunose non cerca egli di molestare altrui".

"Eh!signor Zio ella sa quanti si trovano che presumono di esseresuperiori ad ogni autoritàe si fanno arditi contrachicchessia. C'è per esempio un frate nel convento diPescarenicoeh! signor Zionon si può immaginare chesuperbia abbia costui".

"Chec'entra questo frate con Rodrigo?"

"Civuole entrare per forzasignor Zio. Costui è pieno dipremuraprobabilmente spiritualeper una foresotta di queicontornie la guarda con un sospetto... guai se alcuno le siavvicina. Che cosa va a mettersi in capo questo frate? Che Rodrigogli voglia rapire l'affetto di questa sua colomba. E tutto questoperché forse Rodrigo l'avrà guardata qualche voltapassando: ma come le dicola carità di questo frate èmolto permalosa. Ora non può credere le cose che ha dettecostui di Rodrigoi visacci che gli ha fattiil tuono di minacciacon cui lo guardacome se fosse un ragazzo plebeo".

"Equesto frate sa che Don Rodrigo è mio nipote?"

"Ecome lo sa! Si figuriche non faccio per censurare mio cuginoma èil suo debolelo dice ad ogni occasionee lo compatisco; quando siha un onore di questa sortenon si vorrebbe tenerlo celato".

"Enon ci è nessuno che faccia ricordare a questo frate che DonRodrigo è mio nipote?"

"Ehpensi! tutte le persone di giudizio glielo fanno ricordare".

"Eche dice egli?"

"Dice...dice che il cordone di San Francesco non ha paura nemmeno degliscettri della terra".

"Comesi chiama questo frate?"

"FraCristoforo da Cremona. Fa il Santoma è conosciuto per unuomo torbido; ha sempre voluto cozzare con la gente bennata; ingioventù ha avuti incontri con cavalieri; ha un bell'omicidiosu la coscienza e si è fatto frate per salvare la pelle: uncervello caldo".

IlConte Zio prese la pennae anche il nome di Fra Cristoforo furegistrato sur una terribile vacchettacon due righe di commento.

"Sicuramente"borbottava poi il Conte riponendo la sua vacchetta; "il cordonedi San Francesco! Lo so anch'ioma t'insegnerò iofratecheper adoperarlo a propositonon fa bisogno d'averlo ravvolto intornoalla pancia".

"Peruscirne con poco impegnoe con tutto il decoro della parentela"disse il Conte Attilio"il mio sottomesso parere sarebbe cheV.E. con la sua consumata politica trovasse il modo di fargli cambiarariae di sopire il negoziosenza entrare in esamiin discorsiinrelazioni; perché io conosco questo fratee son certo che alcaso non ci metterebbe su né sale né aceto a dare unamentita a un cavaliere; è un uomoSignor Zioda dare unoschiaffo con forzae da riceverne uno con umiltà: questicervelli alla lunga possono impacciare chi che siae mettere inimpegni..."

"Chidomanda pareri a Vossignoria?..." interruppe il Conte Zioannuvolando la fronte. Il nipote che lo conoscevaperchéavendo spesso bisogno di lui lo aveva esaminato con l'occhio acutodell'adulatoreaveva benissimo preveduto che quel personaggio sisarebbe offeso della intenzione di consigliarlo; ma sapeva nellostesso tempo che il consiglio gli sarebbe rimasto nella memoriachesarebbe stato seguito perché era conforme alle idee delpersonaggio; e quanto all'offesa sapeva per esperienza che una umileparola di adulazione bastava a farla dimenticare.

"Ah!ah!" sclamò eglicome ridendo della sua propriadappocaggine"È veroè vero; sono pure unosventato; ma: i paperi vogliono menare a ber l'oche". Il ConteZio fu contentissimo della riparazione; e disse: "Benebeneipareri tu gli hai da sentire: e l'ordine che io ti dò ora èdi non far parola con alcuno di questo impegno". Il nipotepromise l'obbedienzae si congedò certo e lieto dellariuscita.

IlConte Zio rimasto solopensò tosto al modo di sciogliere ilnodo prima che si ravviluppasse a segno che fosse mestieri ditagliarlo. Il grande scopo di questo signore era di ottenere un po'di potereil più che fosse possibile: e uno dei mezzi piùvalidi per ottenerne era di far credere che ne avesse molto. Egliconosceva per lunga esperienza l'efficacia di questo mezzoe incerti momenti in cui il prurito di far mostra della sua profonditànella politicasuperava nel suo animo la circospezione che gliconsigliava a nasconderla (il qual prurito quasi invincibileperparentesiè cagione a molti furbi di scoprirsi da sèe di rovinare così i loro affari; che è un peccato) inquei momenti dicoegli era solito di fare intendere la sua teoriacon una frase di Virgilio che gli era rimasta in mente dalla scuolae che egli interpretava a suo modo: possunt quia posse videntur.- Chi aveva intese queste parole dalla sua boccapoteva esser certo di essere ai primi posti della confidenza delConsigliere segreto. Questa dottrina poicome accadeera in luidivenuta abitoe passione. In questo frangente si trattava di nonpermettere che un cappuccino affrontasse e facesse stare un parentedel Signor consigliered'impedirlo senza tirarsi addosso icappuccinie di far credere a chi era informato della inimiciziaeai cappuccini stessiche il frate era stato vintoe aveva dovutoritirarsi. - Giovanastri senza giudizio-pensava egli fra sè - la darò ioad intendere a quel Rodrigo. - Ma intanto bisognavaandare al riparoe tutto pesato il Conte Zio fece pregare con queirispetti e con quei pretesti di cerimonia che si usavanoil PadreProvinciale di passare alla sua casa. Il Padre Provinciale non sifece aspettare.

Duepotenzedue dignitàdue vecchiezzedue esperienzeconsumatesi trovavano a fronte. Il Padre provinciale che non sapevache cosa il Consigliere segreto volesse fare di lui né in nomedi chiper quali interessi avesse a parlarglistava in guardia; eil Consigliere si proponeva di farlo fare a modo suoe di farlopartire contento di aver servito un così potente signore.

Dopole prime accoglienze che furono al solito sviscerateedignitosamente umilipoi che il Cappuccino ebbe espressamagnificamente la sua stima pei Consiglierie il Consigliere peiCappucciniil Conte entrò in materiacercando pure al solitodi tasteggiare il suo interlocutoree di procedere per viad'interrogazioni che obbligassero ad una rispostae di eludere nellostesso tempo le interrogazioni dell'altroil tutto con l'apparenzadella più schietta cordialità.

"Misono presa questa sicurtà d'incomodare Vostra Paternitàreverendissima"diss'egli"per un affare che deveconchiudersi a comune soddisfazione. E senza piùle diròsinceramente di che si trattasenza raggiricol cuore in manocomeuso con tutti e specialmente con le persone che veneroparticolarmente. Ecco il fatto. Nel loro convento di Pescarenicopresso Leccov'è un certo padre Cristoforo da Cremona?"

"VostraEccellenza è bene informata"rispose il Provinciale.

"Midica un po' schiettamente in amiciziaPadre Molto Reverendocheinformazioni tiene di questo soggetto?" riprese il Consiglieresegreto aspettando la risposta. Ma il Padre Provinciale non era usodi rispondere alla prima chiamatae molto meno in un caso simile.S'accorse egli che il Conte voleva cavare da lui tutte le notiziepossibili prima di fargli conoscere il suo disegnoe propose dicondurre per quanto potesse il discorso nel modo opposto. -Perché - pensava il Padre - chisa per qual cagione questo signore vuol essere informato del PadreCristoforo. Potrebbe forse avergli posto addosso gli occhi perservirsene in qualche maneggioe allora non mi converrebbescreditarlo; potrebbe volergliene per qualche puntiglioe allora nonmi converrebbe pigliar le parti di fra Cristoforo prima di saper benedi che si trattae fino a che punto lo potrò sostenere. Inogni caso prima di farmi cantaredovrà cantare egli piùchiaro.

-Fatte rapidamente queste riflessioniil Padre rispose: "SeV.E. vuol compiacersi di dirmi più chiaramente perchéle preme il Padre Cristoforospero di poterle dare tutte lecognizioni che posso averne io medesimo".

-Sempre politico il Padre Provinciale- dissein suo cuoreil Conte. - Eh già gli sannocavare dal mazzo. - E tosto rispose ad alta voce:

"Eccoil fattoPadre molto reverendo. Questo padre Cristoforo non le hadato più volte da pensare per cavarlo da impegni in cui s'eraposto per poca prudenzae per voglia di accattar brighe? Dicaliberamentenon è un cervello un po' caldo?"

-Ho inteso- disse fra sèil Padre -è un impegno: Benedetto Cristoforo! ma bisogneràsostenerlo. - E rivolgendosi al Conte risposeindirettamente al solito:

"Liberamentecom'Ella desidera le dirò che il nostro Padre Cristoforol'hosempre conosciuto per buon religiosoesemplarezelantee nei suoidoveri di cappuccino irreprensibile".

-Ah! Ah! - disse ancora fra sè il Conte- bisogna dunque tirarti con gli argani! - Econ le labbra disse al Padre: "Ella sa pure che siamo amiciefra noi non si deve parlare politicamente. Io sono informato moltobene che questo religioso è un po' inquietoama di comprarsile quistionie di cozzare con le persone di qualità. Cose chenon vanno benenon vanno benePadre molto reverendo: Ella conosceil mondoe m'insegnerà che queste cose non vanno bene".

-È tutta mia colpa- disse sempre insoliloquio il Padre; - doveva pensare che quelbenedetto Cristoforo con quel suo fuoco mi avrebbe strascinato inqualche impiccio: lo sapeva che era un uomo da far girare di pulpitoin pulpitoe da non lasciar mai quieto per tre mesi in un conventovicino a case di signori. Ma vediamo in che stato è la cosaecome si può rimediare. - E per pigliar temporispose al Conte:

"SeVostra Eccellenza è informata di qualche mancamento di questopadreLe sarò grato di farmene partecipeacciò ch'iopossa mettervi rimedio".

"Pensieridegni della sua prudenzapadre molto reverendo: principiis obsta.Ecco il fattosenza andirivieni. Questo religioso ha preso a cozzarecon mio nipotee la cosa potrebbe farsi più seria. Senzaparlare di meche ho troppa venerazione per Vostra paternitàe per tutta la compagniaper fare nulla senza sua intelligenza inquesto proposito; mio nipote ha molte aderenze. Quand'anche io non mene volessi impacciarei parenti di padre e di madre... sonopersone... sono famiglie..."

"Cospicue"disse il padre.

"Eaccreditate"continuò il Conte: "e mio nipote ha ilsangue caldo. Io le parlo da buon amico. Mio nipote è giovanee questo religiosoda quel che sento" e qui cavò la suavacchettal'apersevi diede un'occhiata per lasciar supporre alpadre che vi erano notate di gran cosee continuò con un'ariamisteriosa: "questo religioso ha ancora tutte le inclinazionidella gioventù. I giovani non hanno giudizioe tocca a noiche abbiamo i nostri anni... pur troppo eh?..."

"Eh!pur troppo"disse il padre.

Chifosse stato presente a quel dialogo avrebbe potuto scorgere in quelmomento una mutazione curiosa nel volto dei due personaggiche perla prima volta prendeva l'espressione d'un sentimento sincero: quinon avea luogo la politicae il cuore parlava.

"Ellaè cosìpadre"continuò il Conte. "Toccadunque a noi il rappezzare gli sdruciti che i giovani fanno".

"Trame e lei (così disse il signor Conte) tra me e lei si potràsopir l'affare".

Questeparole furono molto gradite al Provinciale. È veroed ognunolo sache a quei tempi i membri d'una congregazione religiosa eranoaffatto indipendenti da ogni podestà secolaree non avevanoquindi nulla a temere da essa. E quando questa si trovava incollisione con alcuno di loroe voleva prescrivere qualche cosalapiù fortela sola minaccia che usasse e che potesse usare siera che avrebbe richiesto al papa che i renitentiquelli cheavessero contrafatto agli ordini fossono mandati fuori dello statocome diffidenti di S.M.; il che si può vedere nelle gridecontra gli omicidibanditii bravidove questa minaccia èfatta ai regolari che gli ricoveravanoe ponendoli così inluogo d'asilo gli involavano dalle mani della forza secolare. Inun'epoca posteriore fu pensato al modo di render più fortequesta minacciae di estendere la pena; e questo sforzo meritad'esser ricordato e come un attestato insigne della impotenza dellaforza civile a raggiungere gli ecclesiasticie come un esempionotabile di stolta e feroce iniquità. L'onore di questotrovato appartiene al Signor Don Luigi de RevavidesMarchese diFromista e Caracena Conte di Pinto. Estese egli questa minacciad'esser trattati come diffidenti di S.M. anche ai parenti piùprossimi di quegli ecclesiasticiche avessero raccettati nei luoghisacri ed immuni certi banditi. 23 Agosto 1651ed altre. Ma i modi dinuocere non erano quegli soli che le grida prescrivevanoe lainimicizia di un uomoe di una famiglia potente era un semenzaio dipericolid'incertezzee di disturbi. Il Provinciale si trovòdunque d'accordo col Conte nel desiderio di sopir l'affare; non sitrattava più che del modo di farlocon la convenienza delledue parti. E siccome la cosa non aveva fatto grande scandaloe sitrattava più d'antivenire che di ripararecosì la cosanon era difficile. Dopo che i due sorboni ebbero ancora moltointerrogatopoco rispostomercanteggiatoe giuocato di schermailPadre Provinciale disse al Conte che per considerazione della personadi Luiper amor della pace egli trasmuterebbe il Padre Cristoforo diquel convento in un altro lontanocon la condizione che nessuno sivantasse di questo come d'una vittoria: e il Conte lo promise;l'affare fu conchiusoe i due contraenti si separarono contentil'uno dell'altroe ognun d'essi di se medesimo.

Grancura ponevano quei vecchj pensatori in un negoziodi gran parolespendevanoci pensavano assaiandavano per le lunghev'impiegavanoil tempo conveniente; ma bisogna anche confessare che facevano poicose grandi. In fatti questo abboccamento produsse l'effetto di faretrottare il nostro povero Padre Cristoforo da Pescarenico a Palermoche è un bel passeggio.

Fudunque spedita al Guardiano l'obbedienza da intimarsi al PadreCristoforoe con l'obbedienza l'ordine di farlo tosto partireladirezione della strada da farsi per non toccare Milanoe l'avviso didargli un compagno nella missioneche nello stesso tempo osservassetutte le sue azioni. Mentre il nostro povero Frate pensava ai mezzidi soccorrere i suoi protettiil guardiano lo chiamò a sèe con molta consolazione gl'intimò l'obbedienzagli comandòdi prendere il suo bordonegli presentò il compagno che eragià avvertitoe gli disse "vade in pace".Cristoforo non pensò nemmeno a domandare un rispitto che eracerto di non ottenere: pensò alla povera Luciae si accorava;ma tosto si accusò di aver mancato di fiducia in Dioe diessersi creduto necessario a qualche cosa; alzò gli occhi e ilcuore al cielosi abbandonò alla provvidenza; salutòumilmente il guardianoprese la sua sportasi cinse le reni con unacorreggia di pelle come usavano i cappuccini viaggiatoridisse unaparola cortese al padre compagnouscì del conventoe si posesu la via che gli era stata prescritta.



Cap.IX

QuandoEgidio si avvenne nella nostra povera Agneseandava appuntofantasticando sul modo di soddisfare al più presto ai desiderjdel suo degno amicoe di dargli con la prontezza del servizio unaprova di audacia e di destrezza singolare; e nei varj disegni cheruminava il pensieroquesta Agnese gli si gettava sempre a traversocome il maggiore impedimento. Come staccare da essa Lucia che lestava sempre appiccata alla gonnella? Rapire Lucia quando fosse incompagnia della madre era esporsi ad un vero scandalo: la resistenzache la madre avrebbe tentato di opporre poteva render necessariaqualche violenza che avrebbe renduto l'affare più seriooalmeno avrebbe fatto perder tempoforse sfuggire l'opportunità;le sue grida potevano attirare dei guastamestierio almeno deitestimonj; e ad ogni modo essa rimanendo in Monza avrebbe sclamatoricorsoparlato e fatto parlare. Al contrario quando Lucia nonavesse in paese persona a cui calesse di lei particolarmenteidiscorsi sarebbero stati d'un giornoed era molto più agevoledare all'avventura quella spiegazione che fosse convenuta e chenessuno avrebbe potuto smentire. Si andava dunque Egidio risolvendoad aspettare che Agnese si fosse allontanata da Monzama non sapendoquando ciò fosse per accaderesi rodeva di dover rimettere adun tempo non ben determinato l'impresa e l'onore dell'impresa. Maalla vista di Agnese che tornava a casaEgidio si sentìlibero d'una grande incertezzarisolvette di por mano al disegnoappena sarebbe giunto a Monzae continuò a maturare il suodisegno: i suoi pensieri camminavano più speditie permettere del paro ad essi il suo cavallo gli diede una voce ed uncolpo di spronedicendo ai seguaci a piedi che erano obbligati ditrottare un po' affannosamente: "animo figliuoliche lagiornata è bella". Giunto a Monzaentrato in casascavalcatodeposte le armi più gravi e più lungheegli corse tosto per la via da lui solo conosciuta alla portaabominevole che egli aveva aperta nel solajoentrò con lesolite precauzioni nel solajo dell'abitazione vicinafece i solitisegnila signora che stava sull'avvisointeseavvertì lesue complici; le quali andarono a chiudere le porte del quartiere checomunicavano col chiostroe la sciagurata corse incontro ad Egidiotutta ansiosa.

"Sialodato il cielo" diss'ella "che vi riveggo! Oh che giorniho passati! e che notti! Che paura ho avuta questa volta!" ementre ella parlava una specie di consolazione angosciosae dirincoramento agitato dipingevano sulle sue guance come due pezze dirossore che contrastavano tristamente col pallore di tutta la faccia.

"Lesolite sciocchezze?" disse Egidio con impazienza.

"Oh!sciocchezze! So io quel che soffro; e fossero anche sciocchezzeachi tocca aver compassione di me? Mai mainon avete volutocompiacermi. Se provaste un'ora quello ch'io sento tutto il giorno!tutta la notte! Non posso piùnon posso più vivere concolei così vicina. Qua giùqua sottoa pochi passinella vostra cantina: e quando voi non ci siete...! l'ho vedutasempresempre: l'ho veduta smuovere a poco a poco il mucchio disassie poi metter fuori il capoe poi venir su... avrei gridato senon avessi temuto di far correre tutto il monastero... e poi entrarequa dentro per questo pertugiosenza mai volersi fermaree poisedersi qui... quello sgabello son ben sicura d'averlo bruciato: epure quando colei arrivasi trova sempre a quel postoed ella vi siadagiae non vuol partire. Mi pare che se fosse lontana dove io nonsapessinon potrebbe venire così a tormentarmi".

"Donneindiavolatevive o morte"disse lo scellerato: "ecco leaccoglienze gioconde che mi fate".

"Nonandate in collera"disse Geltrude"perché chialtri ho io? a chi mi posso confidare?" e continuò convoce più sommessa"quelle altre non mi consolerannovedetese racconterò loro che siete in collera con mestatein pacee fatemi questo piacere una volta. Voi sapete far tantecose! Non sarete più contentoquando mi vedrete tranquilla?"

"Masono queste cose da pensaree da dire?" rispose Egidio. "Èun affare finitoche non dà più impaccioe volerneandare a cercare uno di questa sorta? perché? per una pazzia?Che volete ch'io faccia? Ch'io desti il cane addormentato? Senza unaragione al mondo? come l'ho da portare? dove?"

"Scendeteuna notte solo"disse Geltrude"già voi non avetepaura- fortunati gli uomini! - prendetelaportatela al fiumegittatela in un pozzo abbandonato..."

"Beldivertimento! bella festa invero!" disse Egidio con un sorrisodi rabbia e di scherno "bella commissione che mi date! Pazzie! Etutto per tirar fuori quello che è ben nascosto! Saviodisegno! Sapete voi dirmi un luogo dove possa star piùnascosta che ora non è?"

"Èvero"disse Geltrude"gran cosa che non si sappia chefare d'un morto!"

"Chefarne?" rispose Egidio"niente: sta bene dov'è.Dimenticatelapensate quello che pensano tutte le vostre suore: èandata alle Indie su una nave olandesee pensa a vivereallegramente; lo credono tutti..."

"Manon è vero"rispose Geltrude.

"Chefa questo?" disse bruscamente Egidio.

"Fatutto"replicò tristamente Geltrude; e proseguì:"anch'io prima... credeva che purché lo sapessimo noisolila cosa sarebbe come se non fosse avvenutama ora..."

"Oraè tempo di finirla"interruppe sempre aspramente Egidio.

"Ohecco come son trattata!" disse con accoramento Geltrude; "mistrapazzate perché patisco; siete voi quello che mistrapazzatevoi... Che colpa ho io se sono una poveretta? Vorreianch'io non curarmi di nullaesser come voi... voi siete un uomovoi mi date animo... ma no no... voi avete troppo coraggiotroppapresenza di spirito... mi fate quasi... paura... penso... penso chese... mi odiaste... ah i morti non vi danno travaglio!"

"Chepazzie! che pazzie!" disse Egidio con istizza sempre crescente.

"Ebbene"disse Geltrude in tuono supplichevole"compiacetemilevatemiquesta spina del cuoreallontanate colei da questa abitazione; voivedete ch'io non posso allontanarmi io".

"Via"rispose Egidiofingendo di acconsentire alla domanda "vicompiacerò; è un impiccioè un fastidioèun pericoloma per voi lo farò".

"Ohdavvero!" disse Geltrude"non lo dite per acquetarmicomeavete fatto altre volte... vi ricordate?... promettetelo da vero".

"Possaessere...!"

"Nongiurateper amor del Cielo"interruppe Geltrude comespaventata; "non fate imprecazioniperché noi siamo inuno stato che una picciola parola può bastare...potrebb'essere intesa ed esaudita in quel momento che la proferiamo".

"Viave lo prometto da uomo onorato"rispose Egidioaffettandotranquillità: "ve lo prometto; e non se ne parli più.Ho bisogno anch'io che voi mi compiacciate in un affare d'importanza;e non mi si deve dire di nonon si deve opporre nemmeno un dubbio".

"Cheposso fare?" chiese con istanza e non senza inquietudineGeltrude.

"Quellavillanotta che v'è stata data in guardia"risposeEgidio"quella Lucia..."

"Ebbene?..."

"Hopromesso di consegnarla ad un amico al quale non voglio néposso rifiutar nulla; e voi dovete darmi ajuto a liberarmi dalla miaparola".

Aquesta propostaGeltrude incrocicchiò le mani con forzalepresse al pettosi strinse tuttalevò al cielo uno sguardonel quale brillava momentaneamente un raggio dell'antica innocenzaecon voce supplichevole e commossa disse: "Ah no: non ne facciamopiùnon ne facciamo più per pietà. Chi sa chequel che abbiamo fatto non possa ancora essere perdonato? V'eraunascusama qui non ve n'è. Perché fare ancora dellecoseche si vorranno dimenticare e non si potrà? Non neabbiamo abbastanza?"

"Ah!ah!" rispose Egidio"così siete disposta acompiacermi? Adesso vi nascono gli scrupoli eh! Più conto fated'una villanache conoscete appena da otto o dieci giorni che di me.Questa è quella che voi amate".

"Ioamarla!" rispose Geltrude"io colei! non la possosoffrireè una superbanon fa che parlare della suainnocenzae quando ne parla mi guarda con certi occhi come sesapesse qualche cosae fingendo rispetto volesse insultarmi. L'hoaccoltasapeteperché bisogna nel nostro stato farsi piùamici che si può: no ch'io non l'amo: ma lasciatemela percaritàquesta lasciatemelami diventerà caraequando un altro pensiero verrà a tormentarmiriposeròi miei occhi sopra di leie dirò fra di me: - eccoanche questa l'avrei dovuta sagrificare; ed è qui".

"Pazziepazzie"disse Egidio: "parlate come una bambina sciocca.Lasciate che sul principio si lamenti e un giorno poi rideràdei suoi terrorie sarà contenta".

"Nonon sarà contenta"rispose Geltrude con la rapidarisoluzione di chi ha il vivo sentimento che le parole che ha uditesono menzogne.

"Vabeneva bene"disse Egidio con uno sdegno in parte veroinparte diabolicamente affettato: "non ne facciamo più: egià vedo che non possiamo andar d'accordo: è tempoperduto con voi: siamo troppo differenti nel pensare: ma a tutto sipuò rimediare; i mattoni son lì tutti come contati; ead ogni volta mi dò la briga di riporli al loro posto antico:basta che io porti un po' di calceil muro sta come primatutto èfinito".

"Nonono..." riprese affannosamente Geltrude: "...ditechevolete ch'io faccia?"

"Èvero"continuò l'uomo abbominevolecome se persistessenel suo proposito"è vero che vi sono anche quellealtre..."

"Zittozitto per pietà" disse Geltrude"che non sentano:volete farmi diventare il ludibrio di quelle..."

"Quellequelle" riprese Egidio "saranno certamente piùpronte a rendermi un servizio".

"Ditediteche volete ch'io faccia?"

"Chiamatele"rispose imperiosamente Egidio"e troveremo insieme il mezzo dicondurre a capo questa grande impresa".

"Dite..."

"Chiamateledico"riprese Egidioe Geltrude strascinata ancora una voltaun passo più innanzi nella via della perversitàavvezza ad ubbidireubbidì e andò a chiamare le suecomplici. Egidio sapeva quello che aveva detto; e quelle duesciagurate erano in fatti più tranquillamente e piùrisolutamente perverse di Geltrude. Geltrude dei loro discorsidelloro contegno sentiva talvolta orroredisprezzone riceveva unaspecie di scandalo; ma questi sentimenti ricadevano terribilmente sula sua coscienzaperché ad ogni volta Geltrude era costrettaa ricordarsi che dessa era quellache aveva fatti far loro i primipassi nel cammino dove ora la precorrevano. Non parlo che di questisentimentiperché gli altri tutti orribili e tutti fastidiosiche dovevano nascere in quegli animi in quella situazione non sono dadescriversi: basti dire che con tante cagioni di vicendevoleripugnanza una sola cosa le teneva unitela partecipazione d'unsanguel'avere una sola coscienza: vivevano insieme come losbigottimento e l'audaciail desiderio di rimpiattarsi e ildesiderio di assalireil rimorso e il delitto vivono insiemenell'anima d'un masnadiero.

Rivisitateaccuratamente le portetentati i chiavistelli per accertarsi chefossero ben chiusile tre sciagurate s'avviarono insieme verso illuogo più rimoto del quartiere dove Egidio le stavaaspettando. L'orrendo concilio fu ragunato: le sciagurate aspettavanoansiose di udire ciò che Egidio avesse a propor loroe nellostesso tempo stavano col capo levato all'indietro origliando se unqualche romore si sentissese qualche suora venisse a bussareperaccorrer tostoper intrattenerla con qualche pretesto prima diapriree dar così tempo ad Egidio di sparire senza lasciarealcun sospetto. Egidio espose loro in due parole il suo desiderio:ch'egli aveva bisogno di tenere Lucia per servire un suo caro amicoche esse dovevano dargli ajutoche la cosa doveva esser fatta prestoe in modo che il sospetto non cadesse né sovra di esse nésovra di lui.

Inuna brigata di onesti che deliberi qualche risoluzione da prendersiognuno diventa più onestoil sentimento comune rinforzaquello d'ogni individuo che parlile parole d'ognuno divengono piùrigidepiù degnepiù scrupolosesuppongono sempre unconvincimento profondo della persuasione della virtù; e cosìpur troppoin una brigata di tristiognuno diventa piùtristoperché chi ragiona dinanzi ad un uditorio per piccioloch'e' siageneralmente parlandonon teme nulla più che distonare dagli altri. Geltrude che alla prima proposta di quel fattone aveva conceputo tanto orrorerisoluta ora di obbedire allospirito infernale che la possedevanon avrebbe voluto che altrimostrasse più ardorepiù prontezzapiùsagacità nel farlo; Geltrude avvezza ad essere strascinataea far sempre qualche cosa di più di ciò che sulprincipio aveva ricusato di farerispose tosto che pigliava essal'impegnoche ne aveva i mezzi più di chicchessia. Le altretriste protestarono tosto che esse erano pronte a secondarla intutto. Egidio le chiese se essa avrebbe saputo far andare Lucia solain una strada solitaria. "Domani"rispose Geltrude."Domani è troppo presto"disse Egidio; "larete non potrà esser tesa che dopo domani". "Dopodomani"rispose ancora Geltrude. La congrega si sciolseedEgidio corse tosto a spedire un messo al Conte del Sagratoperchiedergli i bravi dei quali avevano convenuto. Il messo partìnella notte stessagiunse all'alba al castello; il Conte diede tostogli ordini ai bravi che dovevano andare all'impresa: impose loro diobbedire ad Egidioe di non nominarlodi aspettare i suoi comandie di non andare a casa sua né di cercarlo in alcun luogoe ibravi scesero all'Addae s'imbarcarono. Nello stesso tempo spedìegli una carrozza leggiera da viaggio con un cocchiere qualeconveniva a tal signore; gli ordinò di farsi tragittare su unaltro punto del fiumedi non mostrare di avere alcuna relazione conquegli altri amici che partivanodi appostarsi vicino a Monza nelluogo che era indicato nella lettera di Egidioe di aspettare puregli ordini di questo.

Quantoalle ciarle da spargersi per via e alle fermateonde far stornaredal vero le congetture dei curiosiil Conte ne lasciòl'invenzione alla prudenzaed alla sagacità dei suoi uomini;perché gli aveva scelti tra i più provatie piùdestrie tali che sapessero conformare la condotta e i discorsi allecircostanze che egli non poteva prevedere. Contemporaneamentea paroper un'altra via il messo di Egidio tornò al suo padroneegli portò la risposta nella quale il Contecon un gergo daloro soli inteso lo avvertiva di ciò ch'egli aveva ordinato.Egidiolasciato riposare il messolo rispedì alle postedov'erano giunti gli uomini del Contee li fece istruire di ciòche avevano a fare. Tutta quella giornata fu spesa in preparativi. Ilgiorno appresso (la nostra storia lo registraed era il ventuno dinovembre) Egidio diede avviso a Geltrude che tutto era in prontoech'ella dovesse mantenere la sua parolaoperar tosto secondo leistruzioni ch'egli le aveva date.

Geltrudescese nel suo parlatorio appartatoe fece chiamare Lucia. La nostrapoveretta innocente corse volonterosa alla chiamata. Dopo la partenzadella madrerimasta come smarritasenza consigliosenz'altroappoggio che quello della Signoranon si sentiva mai tanto sicuracome presso di lei. Ben è vero che quel non so che d'inusitatoe di strano ch'ella aveva trovato nei discorsi e nel contegno di essagli aveva lasciata una impressione d'incertezza e quasi di timoremaella era tanto lontana dal sospettar pure le vere cagioni diquell'inusitatoche le prime riflessioni della madre l'avevanorassicurata; e Lucia non ne aveva cavata altra conseguenza se non chei signori erano molto differenti dai poverelli. Si presentòella dunque a Geltrude con quell'aria di fiducia affettuosaconquella gioja riconoscenteche il debole sente alla presenza delforte che è per lui; le andò incontrocome la pecorava incontro al pastore che le si avvicinache allontana le altre estende la mano per accarezzarla; e non sa la poveretta che egli halasciato fuori del pecorile il beccajo a cui l'ha venduta in quelmomento.

Lafesta ingenua di Luciae la sua aria fiduciale era un rimprovero euna distrazione terribile per la Signorala quale tosto interruppealcune semplici parole di affetto e di riconoscenza che l'innocentetutta peritosa aveva incominciateprotestò di non volerringraziamentie postasi in aria di premura e di mistero le annunziòche l'aveva fatta chiamare per comunicarle cose molto importanti.Lucia si fece tutta attentae Geltrude ripetendo la lezione del suoinfernale maestro cominciò ad impastocchiarla con una storiamisteriosadi pericolie di speranzedi mezzi posti in opera daleidi ostacolidi ajutitutto per liberare Lucia dallapersecuzione di Don Rodrigoe per farla essere tranquillamente sposadi Fermo: accennando molto di più che non dicessee allegandomotivi di prudenza per non dir tuttoripetendo ad ogni momento cheun po' di coraggio e molta precauzione poteva tutto salvaree unapicciola indiscrezione perder tutto; che l'occasione era prontaeper coglierla non bisognava perder tempo; e terminò con direche le bisognava in quel momento un uomo da cui potesse aspettarsi unconsiglio fidatoe un ajuto operosoche il solo uomo del mondo chefosse da ciò era quel padre guardiano dal quale Lucia erastata scorta al monastero; che ella aveva bisogno di parlare con luima che le mancava il mezzo di farlo avvertire con sicurezzagiacchédopo d'aver riandate tutte le personetutti i modi per questaspedizionetrovava in tutti il pericolo di farsi scorgeredisventare il segretodi metter sull'avviso quelli a cui importava ilpiù di tener tutto nascostoe di perdere cosìl'opportunitàanzi di avvicinare i pericoli: che insomma percondurre bene a fine questa faccendaera necessario che Luciaprendesse un po' di risoluzionesi snighittissee facesse tostoesegretamente e sola questa commissione. Lucia a questa propostarimase sopra di sèpoiché allontanarsi dal monasteroandarsene soletta per un paese che era per lei come l'Americaera ungran pensiero: fece adunque come si fa ordinariamente quando non sivorrebbe aderire ad una proposta: si mise a discuterlaper poterconchiudere che non era la sola cosa da potersi fare: disse che laSignora avrebbe potuto trovare altre persone fidate e discretedomandò schiarimentivolle sapere più addentro come lacommissione fosse necessariae come essa fosse la sola che lapotesse eseguire. Ma la Signora memore sempre della scuola di Egidiomostrò prima di offendersirispose ancor piùmisteriosamente alle domandelagnandosi di Lucia che pretendessefarle rivelare ciò ch'ella non potevae che non volessefidarsi di chi senza un interesseper pura pietà si prendevatanta cura di lei; e conchiuse finalmente col dire: "Sono ben iola buona donna a pigliarmi di questi travagli: si tratta di voifinalmente; io me ne lavo le mani: ho fatto ancora più ch'ionon dovessi". Lucia commossa in un punto di vergogna e ditimorestava per piangere; e la signora vedendola arrivata a quelpuntoripigliò il suo discorsola sgridò piùamorevolmentela rimproverò di poco coraggio; le promise chenon le sarebbe mai mancata se ella avesse avuta fede in lei; einfervorata com'era nell'impresa di tradire la poveretta per servirelo scellerato Egidiocon ipocrisia sfrontata le disse che pensasseai rimproveri che ella farebbe un giorno a se stessa di avere perirresolutezzaper infingardaggine rifiutato il mezzo della saluteerovinata se stessala madree l'uomo a cui ella s'era promessa.Lucia non seppe più resisteresi accusò di averresistitole parve che avrebbe rifiutato il soccorso del cielorifiutando quello che le era offertopiena di una novella fiduciadisse: "vado tosto". Geltrude l'accomiatòlodandolafacendole animoe ripetendo le più liete promessee indicandole la via per andare al convento. Lucia ritenendo a forzail pianto chiese scusa alla Signora della sua poca fedee della suaingratitudine. "Sono una poveretta senza pratica"diss'ella; "ma già ella tutte queste brighe non se ledeve pigliar per mema per Quello di lassùche glielerimeriterà tutte"e abbandonandosi alla gratacollebraccia tesecontinuò: "se non fossero questi ferrimipare che le getterei le braccia al colloed ella non se lo avrebbe amaleperché è tanto buonaed io lo faccio per cuore".

"SìsìLuciaaddioaddio"disse Geltrude.

"Diola benedica" rispose Luciae staccatasi dalla gratasi volsee si avviò verso la porta del parlatorio.

-Che orrenda parola! - disse in suo cuoreGeltrude: Dio gliele rimeriterà tuttee alzando gliocchi vide Luciache stava per passare la soglia. FinchéLucia aveva litigato contra le persuasioni di Geltrudequestaimpegnata ad ottenere l'intento di Egidioanimata dalla disputastessa non aveva pensato ad altro che a giungere al suo finemaquando vide il cangiamento di Luciaquando vide la sua fede sicurainteraamorosae pensò che la tradivaquando vide lavittima andare così senza sospetto all'orribile sagrificiounsentimento improvvisoindistintoirresistibile le fece pronunziarequasi macchinalmente queste parole: "Sentite Lucia". Luciaristettesi rivolseritornò alla grata. Manel momento cheLucia spese a fare quei pochi passil'immaginazione di Geltrudeaveva già veduto Egidio furibondo per essere stato ingannatoaveva già udite le sue imprecazionile sue minacces'era giàpentita del suo pentimentoe quando Lucia ristette alla grata perintendere ciò che Geltrude avesse di nuovo a dirle; Geltrudeconfermata nella iniquità: "senti Lucia"le disse"ricordati bene di tutte le avvertenze che ti ho date; procuradi tirarti in mente la strada che tu hai fatta venendo qui; se fossiin dubbiodomanda con indifferenza e con franchezza a qualche buonadonna che passi per via; va in modo di non dar sospetto: fatti animoché già non è il viaggio di Madrid: va e tornapresto".

"Oh"disse Lucia"Dio mi accompagnerà"; e si volse dinuovos'avviò verso la portae passò la soglia.Geltrude corse a chiudersi nella sua stanza. Quivi l'abbandona ilnostro autore; né in tutto il resto del manoscritto ne fa piùmenzione. Noi peròtrovando descritti dal Ripamonti gliultimi casi di questa sventuratastimiamo che monti il pregiod'interrompere un momento la narrazione principaleper accennarli.Ci sembra anzi una specie di dovere per noiquando abbiamoraccontati i delittidi non tacere il pentimentodi non tacere chel'orrore a noi così facilmente ispirato da quellilareligione ha potuto ispirarlo ancor più forte e piùprofondo all'anima stessache gli aveva acconsentiti e commessi.Riferiremo quei casi in compendio; chi volesse conoscerli piùin particolareli troverà esposti in bel latino nella Storiapatria del Ripamontial libro sesto della quinta decade. Siccomeegli non vi pone alcuna datacosì non possiam dire di quantosieno posteriori alle cose già da noi narrate.

Lacondottail linguaggiol'aspetto abituale delle tre sciaguratesuorele loro stesse precauzioniper distornare i sospettinefecerocom'era naturalenascere dei nuoviche dopo d'averserpeggiato nel monasterosi diffusero al di fuori. Due vicini diquello che ebbero la sciagura di ricevere qualche prima confidenza diquei sospettiun fabbro ed uno spezialeaccennarono copertamente inqualche discorsoche in un monastero del paese accadevano coseorrende e turpi: l'uno e l'altro furono trovati uccisi. Un terroremisterioso invase tutti gli animi nel monastero e fuori; ai susurriche già cominciavano a farsi sentire nelle brigatesuccesseun silenzio cupo e significantee nelle relazioni più intimegli sguardii cennile parole sospese esprimevano o accennavano unsospetto e uno spavento comune. Questi romori così vaghi egenerali com'eranofurono riferiti al cardinale Federigo Borromeoarcivescovo di Milano. Egli dolente e turbato d'essere cosìtardi avvertitosi portò a Monza sotto colore d'una visitageneralee venne a colloquio colla Signoraper esplorare dalle sueparole lo stato dell'animo suo; e ne uscì con più gravee più fondato sospetto. D'allora in poila Signorairritatadai sospetti che vedeva starle sopraagitata dalle certezze dellacoscienza; esaltata per così dire dal suo stesso turbamentoperdè tutta la prudenza della colpale sue azioni divenneroaffatto indisciplinatei suoi discorsi stranifuriosiinverecondi.La giurisdizione criminale su le persone addette allo stato religiosoera allora esercitata dai vescovi. Il cardinale fece torre la Signorada quel monasteroe trasportarla in un convento di convertite nellacittà. Ivi l'infelice infuriò per qualche tempo: tentòdi fuggiretentò di uccidersiricusò il cibodiededel capo nelle muraglie; urlava tutto il giornobestemmiava piùdi tutto il cardinale: contra il quale tale era l'odio di leich'ella ebbe a dir poscia che tutte le inimicizie che gli uominichiamano mortalierano un giuoco appo di quella ch'ella sentiva perlui.

Intantolo scellerato vicino ripose il piede nel monasteroe parte collapersuasioneparte colle minacce astrinse le altre due sue vittime aseguirloe di notte con esse fuggì. Mao fosse disegnopremeditato di quell'animo atroceo ebbrezza di scelleragginepocodistante dal paesein riva al Lambrouna dopo l'altra le trafissecon un pugnalegittando l'una nel Lambroe l'altra in un pozzorasciutto ed abbandonato nei campi. Ma le ferite non furono mortalied entrambe le donne furono salve per diversi eventi e rinvenuteeriposte a guarire in un altro monastero del borgo.

LaSignora all'annunzio di tali atrocitàtuttatutto ad untratto si mutò; rivolse in orrore di se stessain pentimentoin dolore ineffabilein lagrime inesauste tutto quell'impeto difurore; e da quel momento fino al suo ultimo respiro non si stancòmai di espiare almeno ciò che non poteva più riparare.Il Cardinale ch'ella chiamò poi il suo liberatoredovetteporre un freno ai rigori ch'ella esercitava contra se stessa; lavisitò da poi e la consolò sovente. Pagò eglipoi sempre le spese del suo mantenimentoperché i parenticome se col rifiutare quella sventurata avessero potuto scuotersi dadosso la colpa che avevano nella sua rovinanon vollero piùudirne parlare. Le due compagne la imitarono nella penitenza. Ma ilmiserabile pervertitore di tuttebandito nella testadopo d'avereerrato qua e làcangiato più volte d'abitie di nomechiese asilo in città ad un amicoche lo accolse; ma comeamico d'un tale uomoo per timoreo per ottener grazia di qualchealtro delittolo fece uccidere in un sotterraneo della casaepresentò la sua testa al giudicecome era prescritto dagliordini di quel tempoi quali nel caso dei banditi costituivanocarnefice ogni cittadinoe offerivano o danario impunitàper altri delitti in mercede all'assassinio.

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Luciauscì nella viae s'incamminò con grande attenzionecon gran riserbocon un gran battito al cuoretutta raccolta in sèstudiando la stradacon le indicazioni che aveva avutee con lamemoria che le restava della strada già fatta. Giunse cosìall'uscita del borgo (perché il convento dov'ella s'avviavaera al di fuori in picciola distanza): riconobbe la porta per dov'eraentrata la prima voltae prese a sinistra la via che l'era statainsegnata.

Tuttele strade del Milanese erano a quel tempo anguste tortuosee nelpian paese profonde e come quivi si dice invallatea guisa di unletto di fiumefra due rive di campi alte non di rado un uomoeorlate di piante che intrecciate al pedale di rovidi biancospiniedi pruni riunivano in alto i rami loro in volta dall'una all'altraparte: e tali sono ancora in gran parte le strade comunali. QuandoLucia si trovò soletta in una strada similesi pentìquasi di essersi tanto rischiatae studiò il passo pergiunger prestoproponendo fermamente di non ritornar dal convento acasa senza una qualche scorta. Ma voltato uno di quei tantiandirivienivide una carrozza da viaggio ferma nel mezzo della viae fuori della carrozza innanzi allo sportello che era aperto dueuomini che guardavano su e giù per la via come incerti delcammino: e per quella presunzione comune che coloro i quali vanno incarrozza sieno galantuominiLucia si sentì tutta rincorataele parve d'aver trovata una salvaguardia alla metà appunto delcamminonel luogo più lontano dall'abitatoe dove il bisognoera più grande.

Continuòadunque più animosamente a camminare; e quando fu presso allacarrozza tanto che si potessero distinguer le paroleintese uno diquelli che stavano al di fuori dire con una pronunzia e con unlinguaggio che lo fece conoscere a Lucia per bergamasco: "Eccouna buona donna che c'insegnerà la strada". Giunta a parodella carrozzaquel medesimo le si volse con un atto piùcortese che non fosse la sua facciae le disse: "buona giovanesapreste voi insegnarci la strada di Monza?" Mentre costuiparlaval'altro s'era posto dinanzi a Lucia in modo da sbarrarle laviama come un uomo che sta per udire: "Loro signori"rispose Lucia"sono voltati a rovescio: Monza è per diqua" (alzando la mano e stendendo il pollice al disopra dellaspalla): "girino la carrozzae vadano per questa stradaesaranno a Monza in poco più d'un miserere". Cosìdettovoleva continuare il suo camminoe s'avvicinava alla riva perpassare senza urtare quel forastiero che stava lì ritto comeun terminee senza dirgli che facesse largocosa che alla nostrapovera forese sarebbe sembrata troppo famigliare. "Un momento"disse colui che le aveva già parlatoritenendola dolcemente:"noi siamo ben impacciati in queste strade dell'altro mondo: nonpotreste voi farci la cortesia di salire in carrozza con noied'insegnarci la strada fino a Monza?"

"Signorimiei"disse Lucia arrossandoe maravigliandosi della proposta"io ho fretta d'andare pei fatti miei; vadano per di quae nonpossono fallire". "Voi siete bene schifa"rispose ilmalandrinoe mentre egli proferiva queste poche parolel'altro cheera nella viaafferrò d'improvviso Lucia pei fianchilasollevòe con l'ajuto del compagno la pose a forza nellacarrozzadove fu tosto presaritenutaposta a sedere da due che vierano: il malandrino che aveva parlato la seguìl'altrochiuse lo sportelloe il cocchiere sferzò i cavallie lacarrozza partì di galoppo. Lucia al sentirsi presa levòun gridolo raddoppiò quando si sentì alzata e ficcatanella carrozzama quando vi fuuna manaccia villana le cacciòun fazzoletto sulla boccae le soffocò il grido nella gola:Lucia si divincolava ma era tenuta da tutte le partifaceva forzaper pingersi verso lo sportelloper farsi vedere alla stradaaicampima due braccia nerborute la tenevano per di dietro comeconficcata al fondo della carrozzadue braccia nerborute ve larispingevano per dinanzimentre tre bocche d'inferno dicevano con lavoce più dolce che era lor concesso di formare: "Zittozittonon abbiate pauranon vogliamo farvi male; non ènientenon è niente". Lucia tra per la sorpresatra perlo terrore che andava sempre crescendotra pei pensieri tuttioscurie tutti orrendi che le passavano in furia per la mentetraper lo sforzo che faceva e quello che pativasentì mancaregli spiriti: le sue idee si abbujaronocominciò a veder comeconfusi fra di loro quegli orridi visacci che le stavano dinanziunsudore freddo le coperse il voltoallentò le braccialasciòcadere indietro la testaabbandonò la persona al fondo dellacarrozzae svenne.

"Coraggiocoraggio" dicevano gli scheranima Lucia non intendeva piùnulla.

"Diavolo!"disse uno dei malandrini; "par morta".

"Nienteniente"disse un altro"ci vorrebbe un po' d'aceto damettergli sotto il naso".

"Èlì covato l'aceto..." disse il terzo: "se potesseservire quel fiasco di vino che è riposto lì sotto ilsedile".

"Chevino?" riprese il secondo"aceto vorebb'essere".

"Vedeteche mala ventura"disse ancora il terzo; "se giungessiarso di sete in una osteria disabitataa cercar vinotrovereiacetoe qui che aceto ci vorrebbe..."

"Tacigaglioffoche non è tempo da sciocchezze"interruppe ilsecondo.

"Ohe!"disse il primo"non dà segno di vita: se fosse mortadavvero avremmo fatta una bella spedizione".

"Noiabbiamo eseguiti gli ordini puntualmente"rispose il secondo;"se fosse accaduta una disgrazia non è nostra colpa".

"Chemorta?" disse il terzo: "è un picciolo fastidio chele è venuto: eh! le donne ne hanno per meno d'assai: or oratornerà in sè".

Mentrequegli sciagurati tenevano questo consiglioed esprimevano la loroinquietudine in uno stile degno del loro animola carrozza erauscita dalla via più battutaaveva imboccata una stradella ditraverso pei campie continuava rapidamente il suo cammino.

Intantocolui che aveva afferrata Luciaed era un bravo di Egidio rimastonella strada quando la carrozza partìsi guardòintornoe certo che nessuno lo aveva scorto spiccò un saltosul pendio d'una rivaabbrancò un ramo della siepecon unaltro salto fu sull'alto della rivae si appiattò in unpolloneto di castagni che conservavano ancora tanto delle lor foglieda nascondere un birbone. Il primo grido di Lucia era stato intesonei campi di qua e di là da pochi lavoratori che v'eranoequesti accorsero alla riva per guardare nella strada che fossemacercando di adocchiare nascosti dalla siepe per non entrare inqualche impiccioper non toccarneper non essere citati cometestimonjper non arrischiarsi in sommache è il pensiero ilpiù comune nei tempi in cui i violenti fanno la legge.Mettevano la faccia ai fori della siepe e guatavano: altri vide unacarrozza che si allontanava di galoppoe stette lì qualchetempo a seguirla col guardo a bocca aperta; altri non vide nulla e sifermò pure qualche tempoaltri che era accorso ad un puntodella via per cui la carrozza non era ancora passatala vide veniretrascorrerevide una bocca d'arcobugio che usciva dallo sportelloesi ritirò tostofingendo di non aver nemmeno badato. Tornatipoi a casaraccontarono quello che avevano vedutoe si sparse lavoce che qualche cosa era accaduta. Il bravo d'Egidio quando sentìtutto quieto intorno al suo nascondiglione uscì per unaparte che dava su una via diversae con l'aria d'un uomo che non haintesa una novità se ne andò a render conto al padronedell'esito felice della spedizione. Egidio lo ricompensò diquattrini e di lodie lo mandò tosto attorno per raccontarela novella nel modo che ad entrambi e ai loro amici conveniva chefosse credutao almeno per confondere il giudizio pubblico estornarlo dalle congetture che potevano condurlo alla verità.Il bravo tolse con sèsenza saperloquella dea che ha tantiocchi quante pennee tante lingue quanti occhi(e debb'essere unabella dea) e si avviò. Il campo più opportuno ad un taluomo e ad un tale ufficiola tavernaera allora deserto a cagionedella carestia che di giorno in giorno cresceva e si diffondeva intutte le parti del Milanese: mangiare e bere non era più pernessuno un oggetto di divertimento; era divenuto per tutti un bisognodifficile da soddisfare. Andò dunque in su la piazzaluogosempre popolato di oziosima più che mai in quell'annocalamitosoin cui erano forzati all'ozio anche i più operosi.Quella piazza di Monza come tutte le piazzetutte le vietutti icampi della Lombardia presentava il più tristo spettacolo.Poveri di professione che dopo d'avere invano domandato un soccorsoad uomini divenuti poveri anch'essistavano in fila l'uno appressodell'altro appoggiati ad un muro soleggiato stringendosi di tempo intempo nelle spalleaggrinzaticenciosiaventi un bordone nelladestrae tenendo stretta tra il braccio sinistro e le costole unaarida scodella di legnoaspettando l'ora d'andare a ricevere quelpoco nutrimento che si poteva distribuire alle porte dei conventidei monasteridi qualche facoltoso caritatevole. Qua e làcrocchj di artigiani senza lavorodi contadini quasi senza ricoltodi possidenti altre volte agiati ma che in quell'anno sapevano didover combattere con la fametutti tristisparutiscorati: i piùrubestii meglio pasciuti che si vedessero erano qualche bravichevivevano delle provvigioni dei potenti a cui servivanoe ai qualinessun fornajo avrebbe osato di dare un rifiuto o di richiedere unpronto pagamento. I discorsi abituali di quei crocchj erano miseria edisperazione: vociferazioni contra i fornaj e contra gliaccapparratoriimprecazioni mormorate sommessamente contro ipotenticontra i magistratiracconti di grano partitodi granoarrivato ed occultatodi morti di famee di tumulti in altre terredello stato. Pochi giorni prima una gran parte del popolo si erasollevata in Milano; e dopo quel sollevamento estinto con lepromessee seppellito coi supplizjsi erano pubblicate leggi qualiil popolo le desiderava. Questo fatto era stato in tutta la Lombardiaed era ancora il soggetto dei discorsi; e il fatto come leconseguenze era narrato diversamentecome suole accadere: ognunoarrecava qualche nuova circostanza che dava luogo a qualche nuovariflessione. Ma in quel momento in Monza l'avvenimento localeoccupava tutti i pensierie tutte le bocche: in tutti i crocchj siparlava di Lucia. Il bravo si avvicinò ad uno di quellicomeuno sfaccendatoe stette ascoltando. "Erano due carrozze disignori bergamaschi" diceva un barbassoro"accompagnate dauomini a cavallo: la giovane si mise a fuggire pel campo di MartinoStoppama fu raggiuntae portata via di peso". E continuòcon voce più sommessa in aria misteriosa: "debb'esserequalche gran tiranno bergamasco". "Io ho inteso da chi l'hainteso da uno che v'era"disse un altro"che le carrozzeerano tree che la gente le fece fermare; ma quei signori miserofuora gli archibugie allorami capitei galantuomini hanno dovutodar luogo". "Poh!" disse il bravo"vedete un po'come le cose si contano. A me ha detto uno là (accennando uncrocchio lontano) che la giovane era daccordoche si era trovata lìper andarsenee che quegli che l'ha portata via era un suoinnamorato". "Oh"disse uno"se la cosa fossecosìse ne sarebbe andata senza schiammazzo". "No"rispose il bravo"perché aveva promesso ad un altro perfar piacere ai suoi parenti; e voleva far credere di esser rapita.Così dicono quelli che pretendono d'essere informati"."Ohe!" disse un altro barbassoro"che la fosse unamostra per ingannare i merlotti!" Questa opinione dopo un brevedibattimento prevalse; perché essendo quella che supponeva nelfatto una malizia più raffinataveniva a supporre piùfino accorgimento in chi la teneva: e chi l'avesse rifiutata potevapassare per un semplicione da lasciarsi ingannare alle piùgrossolane apparenze di virtù.

Quandoil degno servitore di Egidio vide che la sementa non era gittata interreno sterile e che avrebbe fruttatosi spiccò da quelcrocchio dicendo: "Oh avete il buon tempo voi altri: per mem'accontenterei che sparissero tutte le giovani purchévenissero pagnotte abbastanza". Quegli altri ad uno ad uno sen'andarono chi qua chi là a riferire la storia; si disputòassai; le opinioni rimasero divisema la più preponderante fuquella che dava occasione di ragionare profondamente sulle astuziedelle donne che fanno la semplicesulla dabbennaggine della Signorache aveva raccolta quella mozzina. Il tiro della povera Lucia furaccontato con mille particolari; si riferirono di lei mille altreastuzie. Il romore giunse ben presto al monastero: già lafattora tornata a casanon trovando Luciasulle prime pensòch'ella fosse andata alla Chiesa del monastero; non vedendola poiricomparirestava per andarne in cercaquando s'intese che Luciaera stata rapitao si era fatta rapire. Il monastero fu sottosopra.La Signora (quando ci siamo rallegrati di non aver più aparlarne ci era uscito di mente che avremmo dovuto far qui menzionedi essa: ma ce ne sbrigheremo in due parole) la Signora a tuttoaddottrinata fece le maravigliemandò gente in cercanonvolle credere che Lucia le avesse fatto un tiro di questa sortadisse che era pronta a metter la mano nel fuoco per quella ragazza.Mandò finalmente a chiamare il padre guardiano che gliel'avevaraccomandata. Ma il padre guardiano al quale pure erano giunti idiversi romori del fatto era in istradaper udire dalla Signora comela faccenda fosse. La Signora si mostrò con lui come con glialtri tutta maravigliata: disse che sperava ancora che Luciaverrebbeche sarebbe una di quelle tante ciarle che mettono attornogli scioperati. "Se m'avesse ingannato..." aggiunse; "manon lo posso credere di quella ragazza. Ad ogni modo io sono tantopiù afflitta di questo tristo accidentein quanto io avevapensato seriamente ad ajutare questa povera giovanee credeva diaver trovato ajuti nelle mie aderenze per metterla al sicuro dal suopersecutore. Aveva anzi molto desiderio di sentire il parere delpadre guardianoma ora questi disegni non servono più anulla".

Èchiaro che la Signora gittò queste poche paroleper potere incaso spiegare la commissione da lei data a Luciase mai questapotesse un giorno rivelarla; per potere allora far vedere che non erastato un pretesto per allontanarlae darla in mano ai rapitori. Madella commissione la Signora non ne parlò al guardiano;probabilmente perché non voleva che si dicesse che Lucia siera posta su quella strada per suo ordinee ne nascesse qualchesospetto. Se questa fosse una storia inventatanon mancherebbecertamente qualche lettore il quale troverebbe un gran difetto diprevidenza nella perfidia ordita da Egidio e dalla Signorapoichése Lucia avesse un giorno potuto parlarese si fosse risaputo chequando fu presa ella andava per ordine di Geltrudequanto maggiorsospetto non sarebbe caduto sopra di questaper avere essa taciutaal guardiano una circostanza tanto importantedella quale dovevacosì ben ricordarsiche non avrebbe certo dissimulata seavesse operato schiettamente. Quei lettori i quali vorrebbero che inuna storia anche le insidie fossero fatte perfettamentese laprenderebbero coll'inventore: ma questa critica non può averluogo perché noi raccontiamo una storia quale èavvenuta. Del resto questo stesso difetto ci dà il campo diporre qui una riflessione consolante in mezzo ad un sì tristoracconto: che è un disegno sapientissimo della Provvidenzaregolatrice del mondoche le perfidie le più studiate a dannoaltrui non sono mai tanto bene studiatetanto bene eseguite che nonrimanga sempre qualche traccia della mano che le ha ordite. L'uomoche intraprende una buona azionequando sia un po' avvezzo ariflettere prevede sovente che non sarà senza inconvenienti: ibirbanti avrebbero una parte troppo buona nelle cose di questo mondose dovessero nelle loro birberie essere esenti da ogni perplessità.



Cap.X

Lacarrozza correva tuttavia velocementegl'indegni guardiani di Luciaconsultavano non senza sollecitudine su lo stato di essaguardandolafisamentecercando nel suo volto pallido e immobile le apparenzedella vitaaspettando ansiosamente ch'ella ne desse alcun segno;quando la poveretta cominciò a rinvenire come da un sonnoprofondodiede un sospiroe aperse gli occhi. Penò qualchetempo a distinguere i luridi oggetti che la circondavanoe araccappezzare le idee già confusee incerte che avevanopreceduto il suo deliquioa confrontarle con le primeche siaffacciavano alla sua mente ritornata: finalmente a poco a pocoriprendendo le forze riprese tutto il pensieroe comprese la suaorribile situazione. I bravisenza ardire di porle le mani addossoe guardandola con un certo rispetto le andavano facendo animoeripetendo: "coraggionon è nientenon vogliamo farvimale: siamo galantuomini". Il primo uso che fece Lucia dellavita fu di gittarsi con forza verso lo sportello per vedere dovefossese gente passassese potesse lanciarsi al di fuori ad ognipericolo: ma appena potè scorgere che il luogo ch'ellaattraversava rapidamente era un boscoche anima vivente non v'era:che le braccia villane che l'avevano già conficcata la primavolta al fondo della carrozzave la conficcarono di nuovo. Levòella allora un altro gridoma la stessa manaccia tornò infuria con lo stesso fazzolettoe il padrone di quella manaccia dissenello stesso momento: "Facciamo i nostri patti: noi non vifaremo malenon vi toccheremoma voi non cercherete né difuggire né di gridare: già è inutilema pure sevoleste tentarlonoi siamo quiamici o nemicicome vorrete".

"Lasciatemiandare"disse Lucia con voce soffocata dallo sdegno e dallospavento: "lasciatemi andare subitosubito: io non son vostralasciatemi andare".

"Nonpossiamo"rispose il malandrino.

"Dovemi conducete? dove sono? voglio andare al convento dei cappuccini".

"Ohibòohibò"disse sogghignando colui"che le ragazzenon istanno bene coi cappuccini. Venite con noi di buona voglia".

"Nono"rispose Lucia alzando la voce; ma il fazzoletto fu alzato.

"Lasciatemiandare per amor di Dio"ripigliò ella con voce piùfioca. "Dove mi conducete?"

"Incasa di galantuominivicino a casa vostra"rispose ilmalandrino.

"Nono"disse ancora Lucia: "lasciatemi andare".

"Mase questo è contra i nostri ordini"rispose un altro.

"Chivi può dare questi ordini?" domandò Lucia:"ricordatevi della giustiziaricordatevi dell'infernoricordatevi della morte".

"Pensieritristi"replicò quello dal fazzoletto: "voi civolete far malinconiae noi vi conduciamo a stare allegra".

"SantissimaVergine ajuto!" gridò Luciama il malandrino con voltoiracondo le protestò che s'ella gridava un'altra voltailfazzoletto sarebbe rimasto sulla sua bocca fino a ch'ella fossegiunta al luogo destinato. E sforzandosi d'esser garbato aggiunse:"già siamo vicini: parlerete con chi puòcomandare: noi siamo servitori che facciamo il nostro dovere: èinutile che ci diciate le vostre ragioni".

"Ohper amore di Diodella Madonna"riprese Lucia in tuonosupplichevolecon voce interrotta da singultie senza pur pensaread asciugare le lagrimeche le rigavano tutta la faccia: "peramore di Diolasciatemi andare: io sono una povera creaturache nonvi ha mai fatto male: vi perdono quello che mi avete fattoepregherò Dio per voi: se avete anche voi una figliaunamoglieuna madrequalche persona cara a questo mondopensatequello che patirebbero se fossero in questo stato: pensate all'animavostra; fate una buona opera che vi può salvare: fatemi questacaritàacciocché Dio vi usi misericordialasciatemiqui".

"Nonpossiamo" risposero tutti e tre; commossi alquanto da quellamento. "Non possiamo"ripetè il capo; "manon abbiate paurafatevi animo; già non vi conduciamo in undeserto: state tranquilla: se volete parlare noi vi risponderemo; sevolete tacerenoi non parleremo: non temetenessuno vi toccherà";e così dicendo si ristringeva contra la carrozza lasciando piùspazio a Lucia perché stesse meno disagiataperché nonfosse oppressa da una vicinanza ch'egli stesso sentiva in quelmomento quanto dovesse essere incomoda e ributtante. Gli altri duesi andavano pure ristringendo dal loro latofacendo luogo a Luciaetenendosi come in distanzastornando gli occhi da quel voltoaccoratoma fermi nel loro atroce proposito di eseguire lacommissione: come il villanello che a fatica si è arrampicatoall'albero per togliere un uccelletto dal nidoe lo tiene nellemanie lo sente dibattersi e tremaree sente il cuore della poverabestiola battere affannosamente contra la palma che lo stringe; provapure qualche pietà: allenta le dita alquanto per non affogarela povera bestiolaper non farle male; ma aprire il pugnolasciarlatornare al suo nido: oh no! il figlio del padrone gli ha chiestol'uccellettogli ha promessa una bella moneta s'egli sapeva snidarloe portarglielo vivo. Lucia dopo avere ancora indarno pregato; "ditemidove mi conducete"richiese di nuovo.

"Incasa di galantuominie non vi possiamo dire altro"risposequegli che le stava vicino. Lucia vedendo che le preghiere riuscivanoinutili come la resistenzae stanca dell'ambasciae dello stentoincrocicchiò le braccia sul pettosi strinse nell'angolodella carrozzain silenzio: e perduta ogni speranza di soccorsoumanosi rivolse a Dio da cui tutto sperava; e pregòfervidamente da prima col cuore; indi cavato di tasca il rosario cheteneva sempre con sècominciò a recitarlo con vocesommessa. I bravi tacevanoguardando di tratto in tratto quelloch'ella facevae sospirando tutti il fine di quella spedizione: eLucia di tempo in tempo fermandosi nella sua preghiera a Diopervoltarsi a coloro in forza dei quali ella si trovavae ricominciavaa supplicarli: ma non udiva rispondersi altro che: "nonpossiamo". La sua preghiera era esauditama il momento non eravenuto.

Eranogià due ore che la carrozza correvasempre per istradedeserteattraversando boscagliee campi abbandonati alla felce edalla scopa (una gran parte del territorio milanese era allora ridottaa quello stato dalle guerredalle gravezze insopportabilidall'ignoranzadalla specie di barbarie insomma in cui erano gliabitantie i legislatori). Il sole declinava verso l'orizzontequando Lucia sentì un romore continuo sempre crescentecomedi un'acqua rapidamente corrente. Era l'Adda infatti a cui lacarrozza si avvicinava: il bravo che stava sulla serpe accanto alcocchiere urtò col gomito chiamando quelli di dentro; uno diessi pose la testa fuori dello sportelloe l'altro gli disse: "ilbattello c'è". "Ah! bravo" dissero tutti e trequei di dentro. Luciavedendo che si stava per fare qualche cosa dacui doveva decidersi il suo destinoricominciò le suepreghierema il vicino lieto di essere alla fine della suaincombenzae di non aver più a combattere con le istanze diquella infelicele impose silenzio dicendo: "Zitto zitto;abbiamo altro in capo che di darvi retta ora: siamo occupati".La carrozza si fermò presso la rivaquel della serpe fece unsegno a cui fu risposto dal battelloe tosto ne uscirono tre bravicon una vecchiae si avviarono verso la carrozza. Lucia strillavaibravi le comandavano di tacere replicando: "non abbiate pauraegià tutto è inutile; son tutti nostri amici".Lucia allora si rannicchiò tutta alla carrozza invocando laVergine nel cuoree proponendo di lasciarsi piuttosto uccidere chedi uscire volontariamente da quel luogoil quale per quanto orrendole fosse le pareva un asilo poiché vi aveva passate due oreenon sapeva dovea che sarebbe strascinata quando ne fosse fuori.Mentre si stava così tutta rannicchiataudì chiamarsida una voce femminileaperse gli occhi e vide allo sportello lavecchia rivolta verso di lei. Una donna parve in quel momento a Luciaun angiolo del paradiso: si sollevòe con voltosupplichevolee con una certa fiducia le disse: "Oh bravadonnache fate voi qui? ajutatemise questi sono vostri amicipregateli che mi lascino venire con voi; salvatemisalvatemi".

"Scendetee venite con me"rispose la vecchia; indi rivolta ai braviraggrinzando la fronte e scontorcendo la bocca: "Maladetti"disse"le avete fatto paura?"

"Mala vedete sana e salva...?" rispondeva il capo; quando Luciachinandosi e sporgendosi dalla carrozza a prendere con le mani lebraccia della vecchia: "non dite niente"interruppe"quelche è stato è statopurché mi lascino venirecon voi".

"Scendetevenite"disse la vecchia.

"Macon voi sola"rispose Lucia.

"Andiamoandiamo"disse ancora la vecchiae presa Lucia la strascinavamentre i bravi della carrozza l'ajutavano a scendere quasiportandola.

"Nono"disse Lucia.

"Zittozitto"disse la vecchia"venite colle buone".

"Mavoi siete d'accordo con questi scellerati"gridava Lucia.

"Zittozitto"continuava a dire la vecchiae così Lucia fuportata al battello.

Guardòintorno e non vide altro che la boscaglia la riva e il fiume e ilbattello; alzò gli occhie vide al di sopra delle cime deimonti la cima tagliata a sega del Resegonealle falde delquale era la sua casadov'era sua madredove aveva passati i primisuoi anni nella pace; e l'accoramento le tolse anco la forza digridare; tutta grondante di lagrimeaffannataquasi fuor di sèfu posta a sedere nel battello sotto la tenda: la vecchia le si poseaccanto: il capo di quelli che erano venuti in carrozza saltòpure nel battellostette al di fuori coi bravi venuti per acqua; iquali tosto puntati i remi alla riva ne fecero allontanare ilbattellopigliarono l'alto del fiumediedero dei remi nell'acquaeil battello partì. Appena Lucia ebbe ripreso un po' di fiatosi pose ginocchioni dinanzi la vecchiadomandandole dov'eracondottapregandola di farla deporre su qualche rivapregandola peinomi i più temuti ed amati dai cristiani; ma la vecchiainflessibileimmobilenon rispose altro che "zittozitto".Lucia ricominciò a pregare Colui che ode anche quando nonrispondesi abbandonò alla sua provvidenza. Dopo forse duealtre ore di viaggioil battello approdò: la notteprecipitavae Lucia sbigottitatremantenon sapeva più inche mondo si fosse: fu tolta in questo stato dal battelloposta inuna lettigae portata al castello del Conte del Sagrato.

Lavecchia accompagnava la lettigaentrò insieme in casalafece deporre in una stanzadove rimase sola con Luciadicendo acoloro che l'avevano portatache andassero ad avvertire il SignorConte. Ma il Signor Conte aveva già intesa dal Tanabuso larelazione del rapimentodel viaggio e dell'arrivo. "Ebbene"aveva egli detto al Tanabuso"fatto?"

"Fatto"rispose Tanabuso.

"Adovere?"

"Adovere".

"Nonc'è stato bisogno di spiegar le unghie?"

"Tuttoè andato quietamente"; e qui fece il Tanabuso la suanarrazione. E aggiunse: "Tutto è corso a versocom'ellavedesignor padrone; ma una sola cosa ci ha dato un po' didisturbo".

"Cheè?" chiese il Conte.

"Quellaragazza"rispose il Tanabuso... "quella povera ragazza...un tal guaireun tal piangereun tal pregare... restar lìcome morta...guardarci un po' come diavoliun po' con gli occhipietosi... che... che..."

"Che?"disse il Conte; "sentiamo un po' questa che vuol essere nuovaribaldonaccio".

"Chemi ha fatto compassione".

"Ohe!"disse il Conte"bisognerà che ti dia doppia mancia perquello che ha patito il tuo povero cuore".

"Possaio diventare un birro se non è così"rispose ilTanabuso; "mi ha fatto compassione. Dico la verità Signorpadroneavrei avuto più caro che l'ordine fosse stato didarle una schioppettataalla lontanaprima di sentirla discorrere".

"Ora"riprese il Conte"lascia da parte la compassionecacciati lavia tra le gambevanne diritto al castello di quel Don Rodrigo...Sai dov'è posto?". Il Tanabuso accennò di sì:"fagli dire che sei mandato da medagli questo segno nellemanie torna a casa. La giornata è stata faticosama tu saiche il tuo padrone vuole esser servito ma sa anche pagare..."

"Ohillustrissimo!..."

"Tacie vanne tosto... ma noaspetta: dimmi un poco come ha fatto costeiper moverti a compassione. Che abbia un patto col demonio?"

"Nientenientesignor padroneera proprio il crepacuore che aveva quellapovera ragazza. Se non avessi avuto un comando del mio padrone..."

"Ebbene?..."

"L'avreilasciata andare".

"Oh!andiamo a vederla costei; e tu aspettapartirai domattina... dopoaver ricevuto i miei ordini... tanto fa che quello inspagnolatoaspetti qualche ora di più... Domattina sii all'erta pertempo".

IlTanabuso partìfacendo un inchinoe il Conte s'avviòalla stanza dove Lucia stava in guardia della vecchia.

Bussòdisse: "son io"e tosto il chiavistello di dentro corseromoreggiando negli anellie la porta fu spalancata. Lucia si stavaseduta sul pavimentoacquattataaccosciata nell'angolo della stanzail più lontano dalla portanel luogo che entrando le erasembrato il più nascostosi stava quivi aggomitolatacon lafaccia occultatae compressa nelle palmetutta tremante dispaventoe quasi fuor di sè: al romore che fece la portaalla pedata del Conte che entrava trasalìma non levòla faccianon mosse membroanzi fece uno sforzo per ristringersiancor più tutta insieme; e stette con un battito semprecrescente aspettando e paventando quello che avvenisse.

"Dov'èquesta ragazza?" disse il Conte alla vecchia.

"Eccola"rispose umilmente la malnata.

"Come?"disse il Conte"l'avete gettata là come un sacco dicenci".

"Ohs'è posta dove ha voluto".

"Ehi!quella giovane"disse il Conte avvicinandosi a Lucia: "dovediavolo vi siete posta a sedere? alzatevi; non voglio farvi male...lasciatevi vedere".

Lucianon si mosse.

"Peggioper voi"disse il Conte; "se volete fare il bell'umore.Ah! ah! non sapete dove siete. Pretendereste voi di resistermi?Abbassate subito quelle mani ch'io voglio vedervi".

Questeparole furono dette con un tuono così minacciosoche le manidi Lucia obbedirono quasi senza il comando della volontà: eLucia lasciò vedere la sua faccia spaventata e dolente. Alzòella allora gli occhi al volto del Conte che la stava guardandoattentamente; e dopo un momentogli disse con una vocein cui altremito dello sgomento era mista la sicurezza d'una indignazionedisperata: "Che male gli ho fatto io?"

"Eche male voglio io fare a voiscioccherella?" rispose il Contecon voce più mite. "Credete forse d'essere condotta almacello? Verrà un giorno che riderete di tutto questo vostrospaventoe riderete forse anche di meche vi rispondo ora cosìsul serio".

"Ridere!oh Dio!" rispose Lucia "ridere!" e guardando unmomento come smemoratadiede in un nuovo scoppio di pianto.

"Sìsìtutte voi altre fate così"replicò ilConte.

"Maperché"riprese Lucia"mi fa ella patire le penedell'inferno? Mi dica che cosa le ho fatto? Oh non mi faccia piùpatire così: Dio glielo potrebbe rendere un giorno..."

"Dio:Dio: sempre Dio coloroche non hanno niente altro: sempre rinfacciarquesto Diocome se gli avessero parlato. Dov'è questo vostroDio?"

"Èda per tuttoè qui"rispose Lucia: "è qui avedere s'ella si muove a pietà di meper usarle pietàin ricambio un giorno. Oh abbia misericordia d'una poverettamilasci andarelasci ch'io mi ricoveri in qualche Chiesasu lemontagnein un bosco. Oh lo vedo; tutto dipende da lei: con unaparola ella mi può salvare: dica questa parola. Non so dovesonoma troverò la strada per andare da mia madre. Oh Dio!non è forse lontana: ho visto i miei monti: oh s'ella sentissequel ch'io patisco! non conviene ad un uomo che ha da morirefartanto patire una creatura innocente: mi lasci andare; oh se pregheròDio per lei! la benedirò sempre". E animata nel suodiscorso si levò da sederesi pose in ginocchiogiunse lemani al pettoe continuò: "Che cosa le costa dire unaparola? Non iscacci una buona ispirazioneun sentimento di pietà.Oh Dio perdona tante cose per un'opera di misericordia!"

-Che pazza curiosità ho avuto di venirla a vedere -pensava tra sè il Conte. - Dugentodoppie! ne ho bisogno. Costoro vogliono esser ben pagati; eh! hannoragione: espongono la loro vita: ma vorrei piuttosto togliernecinquanta a quattro usuraje farli scannare tutti e quattro.

"Nonmi dica di no"continuava Luciasempre singhiozzando"sonouna povera figlia. S'ella provasse a pregarea pregarea cercarmisericordia senza poterla ottenere! E se le accadesse unadisgrazia!... ma nono io pregherò per lei il Signore e laVergine... mi lasci andare..."

"Statedi buon animo"rispose il Contesenza intenzione di nullaprometteresenza sapere egli stesso che senso avessero le sueparolema spinto da un bisogno di far cessare quell'angoscia e quellamentodi consolare quella creatura.

"Oh"disse Lucia"Dio la benedicaella mi lascia andare".

"Statedi buon animo"ripetè il Conte"cercate diriposare... domani... parleremo..."

"Evoi"rivolto alla vecchia"voi"disse"fatech'ella non abbia da lagnarsi pure di una parola torta. Ora vi siallestirà la cena... ristoratevie dormite tranquilla".

"Nono"rispose Lucia"mi lasci andar subito..."

"Domani...domani ci parleremo"replicò il Contee con un rapidomovimento andò verso la portaed uscì.

Luciatutta piena della speranza di ottenere la sua liberazione si alzòe volle correr dietro al Contema quando si trovò sull'uscionon ardì movere un passo più in lànéchiamare: tornò indietro come spaventatae si raccosciòdi nuovo nel suo angolo.

"Voletedunque cenare?" le disse la vecchia.

"Nono; badate bene a non partire di qua" rispose Lucia"ricordatevi di quello che vi ha detto il vostro padrone:chiudete la porta". La vecchia obbedìe tornata:"mettetevi a letto e dormite dunque"disse.

"No:io non mi voglio movere di qui" replicò Lucia.

"Chepazzie?..."

"Nonvoglio"replicò di nuovo Luciarisolutamente: quelcoraggio di disperazione ch'ella si sentiva da quando a quando erastato accresciuto e corroborato da quella compassione ch'ella avevaveduta nel Contedalle parole di speranza che egli le aveva dateedagli ordini ch'egli aveva lasciati con impero alla vecchia.

-Ih! ih! che fummo ha costei- disse tra sèla mala vecchia. - Maladette le giovani che hannosempre ragione e quando sono svergognate e quando fanno le smorfiose.

"Badatea non ispegnere quella lucerna"disse Lucia.

"Sìsì"rispose la vecchiae senza più rivolger laparola a Lucia si coricò brontolando.

Luciarimase nel suo angolo. Era questo per leiin quella orrenda giornatail primo momento di riposo; ma quale riposo. I pensieri che l'avevanoassalita tumultuosamentead intervalli nel giornotornarono tuttiin una volta ad assediare la povera sua mente. Le memorie cosìrecenticosì vivecosì atroci di quelle oredi quelviaggiodi quell'arrivosi affollavano alla sua fantasia;l'avrebbero oppressa se fossero state memorie d'un pericolotrascorso: e che dovevano farenel mezzo del pericolo stessonelladuratanella orribile incertezza dell'avvenimento! Qual passato! equal presente! quel silenzioquella compagniaquel luogo. Qualnotte! e per giungere a qual domani! L'infelice intravedeva benqualche cosa della orditura spaventosa del laccio dove era statatiratama rifuggiva dal pensiero di scoprirne più in là.Di quando in quando le parole di speranza del Conte la rincoravano:le andava ripetendo fra sès'immaginava di essere l'indomanifuori di quell'antro con sua madrema un altro avvenire possibilerispingeva questa immaginazionee a tutta forza veniva a collocarsinella sua mente. Tremavasi faceva animosperavadisperavapregava: le forze del corpo finalmente cedettero ad un talecombattimento dell'animoe Lucia fu presa da una febbre violenta. Lesue idee divennero più vivepiù fortima piùinterrottepiù mescolatepiù variesi urtarono piùrapidamentee la confusione togliendole una parte della coscienzarese sofferibile una angoscia che altrimenti ella non avrebbe potutosofferire e vivere. Nel calore della febbrele parve ad un trattoche la preghiera sarebbe stata più accettacertamenteesauditase con la preghiera ella avesse offerte in sagrificioquelle che altre volte erano state le sue più liete speranze.L'unica speranza di quel momentoquella di uscire da quel pericolole parve con questo divenire più fondatapiù ferma:aperse gli occhjli girò con sospetto e con ansietànel barlume di quella stanza; tese l'orecchioe non udì altroche il russare della vecchia; si levò chetamentestetteginocchioni; e votò alla Vergine di viver castasenza nozzeterrenes'ella poteva uscire intatta da quel pericolo. Proferito ilvotooquello che a Lucia parve taleella si sentì comeracconsolata; si raccosciò nel suo angoloe passò ilresto della notte in un letargo febbrileinterrotto da sussultieda vaneggiamenti.

IlConte partito da quella stanza andò secondo il suo costume avisitare i posti del suo castelloa vedere se le guardie erano posteai luoghi stabilitise tutto era in ordinee si chiuse nella suastanza. Ma l'immagine di Lucia non l'aveva mai abbandonato nel suogiro; ma quando egli si trovò solo nella sua stanzasenza piùnulla da fare che d'ascoltare i suoi pensierie di dormire se avessepotutoquella immagine più vivapiù potente si pose asedere nella sua mentee vi stette.

-Che sciocca curiosità da femminettam'èvenuta- andava egli pensando- diandare a vedere questa giovane? Ho dovuto sentire dalla sua bocca diquelle cose che nessun uomo vivente avrebbe ardito dirmi sul volto.Le ho sentitee mi seccano. Perché non è figlia d'unospagnuolo? o di qualcuno di quei sozzi birbanti che m'hanno bandito:che avrei goduto di sentirla guairedi vederla tremante ai mieipiedi. Ma costei non mi ha mai fatto male... Eccolo andavaripetendo... pareva sapesse che questa era la corda da toccare perfarmi compassione... Compassione!... ma certo io ho avutocompassione: la sento ancora... e qualche cosa di peggio... Chediavolo ho io addosso questa notte?... Ha fatto compassione perfinoal Tanabuso! Oh aveva ragione quella bestiaquando disse che sarebbestato men male averle data una schiopettata... Poveretta! unaschiopettata... no credo che mi avrebbe fatto compassione anchemorta. Eh sciocchezza! i morti almeno non si stanno a guardarenonsi sentononon vi si mettono ginocchioni davanti... è unconto saldato. Dicono mo' i preti che un giorno hanno a risuscitartutti quanti! Poh! imposture! imposturenon è veronon èvero. Vorrebb'essere una bella processione.

Equi cominciarono a schierarsi dinanzi alla sua memoria tutti quellich'egli aveva cacciati o fatti cacciare dal mondodal primoch'egliessendo ancor giovanetto aveva passato con una stoccata per unarivalità d'amorefino all'ultimo che aveva fatto scannare perservire alla vendetta di un suo corrispondente; tutti coi loro voltinell'atto del moriree quelli che egli non aveva vedutima uccisisoltanto col comandola sua fantasia dava loro i volti e gli atti.

-Viaviasciocchezze- diceva: -sono io diventato un ragazzo? domani a giorno chiaro rideròdi me. E se domani a sera costoro mi tornassero in mente? che dovessipassar sempre la notte così? Diavolo! comincio ad invecchiare:vorrebb'essere un tristo viveree un tristo... morire. Che cosa m'hadetto quella poveretta? "Oh Dio perdona tante cose per un'operadi misericordia..." Che sa mai quella contadina? L'ha intesodire dal curato e lo ha creduto. Imposture. Ho sempre dettoimposturee quando aveva proferita questa parolabastava... maadesso non serve... tornano sempre quei pensieri. Sono io quello?Sono stato tanto tempo un uomonon ci ho pensato; ho avuto l'animodi farne tantetante... Ebbene! ne ho fatte troppe... se non leavessi fatte... in verità sarebbe meglio. A buon conto l'operadi misericordia sono in tempo di farla. Poniamo che appena fatto ilgiorno io entri nella sua stanza: la poveretta si spaventa; ma io ledirò subitosubito: "vi lascio in libertàvifarò condurre a casa". Oh come si cangerà involto! che cose mi dirà! mi darà delle benedizioni chemi faranno bene. Voglio badar bene a tutto quello che mi dirà.e ricordarmene per pensarvi la notte. Oh! sono fanciullaggini... ma abuon conto io non posso dormire. Ma quando verrà giorno! Chenotte eterna! Mi pare quella notte ch'io passai ad agguatare dietroun angolo quel temerario di Vercellino che doveva tornare dal festinodi corte... Eccoio stava lì chetocheto; quando sentiva unapestaguardava fisofiso; non era eglied io ritto e cheto nel mioangolo: sento una pedata che mi par quellasporgo il capoguardoècolui: fuoriaddosso col mio stocco: mandò un gemitoe micadde sulle gambegli diedi una spintae me ne andai... Oh checoraggio aveva allora! era un uomo! e in un momento sono diventato...che cosa son diventato? che è accaduto? non son sempre quello?Ecco anche quel Vercellino vorrei non averlo ammazzato. Se dovevapensare così un giornoera meglio che avessi pensato cosìsempre. Vieni o luce maledettach'io possa uscire da questo covacciodi tribolie andare a vedere quella ragazza. Ma devo lasciarlaandare? Vedremo: vedremo come mi sentirò. Se potessi dormirealmeno un'oraforse mi sveglierei coll'animo di questa mattina!

Inquesti e simili pensieri passò il Conte del Sagrato quasitutta la notte; finalmentenon essendo il giorno lontanolastanchezza lo vinsee si assopì. Ma i pensieri che avevanoriempiuta la sua vegliatrasmutati ora alquanto e rivestiti di formepiù strane e più terribili lo accompagnarono nel sonno.Era già levato il solee il Conte stava affannoso sotto ilgiogo di quei sogni rammentatoriquando a poco a poco egli cominciòa risentirsi scosso come e quasi chiamato da un romore monotonocontinuoinsolito: stette alquanto tra il sonno e la vegliaefinalmente tutto destoe gettato un gran sospiroriconobbe un suonofestoso di campanee pensò che potesse esserené glisovvenne di cosa che potesse essere allora cagione di festa. Si alzòsi vestì rapidamentee prima d'andare alla stanza di Lucia(che la risoluzione gliene era rimasta) si fece alla finestra dellasua stanza che dominava il pendioprima rapidopoi più lentoe quasi piano fino al lago; e qua e là villaggi sparsie casesolitarie. Guardò intornoe vide contadini e contadine inabito da festa per tutti i viottoli avviarsi verso la strada checonduceva al Milanese; altri uscire dalle portee parlarsi quelliche s'incontravano in aria di premura e di festa. - Chediavolo hanno in corpo costoro? - diss'egli fra sèe tosto chiamato uno de' suoi fidatidomandò la cagione diquel movimento e di quel concorso; e intese che s'era risaputo lasera antecedente che il Cardinale Federigo Borromeo arcivescovo diMilano era giunto improvvisamente a Lecco per visitare le parrocchiedi quei contorni; che quella mattina doveva trovarsi ad una chiesa(che nominòed era alla metà della viadistante circadue miglia dal castello) e che tutti accorrevano a vedere quell'uomoil quale dovunque si portasse attraeva sempre folla.

IlConte congedò con un cenno del capo il fidatoe rimase ancoraun momento alla finestra a guardaredicendo fra sè: -Come sono contenti costoro! E perché? Perché èarrivato un uomo che si porrà un bell'abitoe daràloro delle parolee alzerà le mani tagliando l'aria in croce.Oh! come saltano: sembrano cavriuoli: eh! avranno forse...certodormito meglio di me! Tanto contenta questa canaglia... ed io...Voglio andare anch'io; voglio veder quest'uomoche li fa esser tantovogliositanto contenti. Andròandrò. Voglioparlargli; voglio un po' sentire se ha qualche cosa anche per me!vedere quel voltosentire queste sue parole che fanno sparire leafflizioni. Voglio vedere se ha ancora quegli occhj che hanno fattoabbassare i miei... cospetto... cinquant'anni sono. Era uno stranogiovanetto! E ora che sarà? ne dicono tante cose! Oh saràpeggio d'allora certamente! Ma che ho io paura di brutti musi? Ioandare da lui: a che fare? che dirgli? Certo mi mostrerà dueocchj più arrovellati di quel giorno... Non importa: voglioandare a sentire che parole ha costuiper render la gente cosìallegra.

L'occhiatache aveva fatta tanta impressione e lasciato un così profondomarchio di rimembranza nella mente del Conte era stata data nellaoccasione che ricorderemo brevemente. Federigo Borromeogiovanettoallora di 15 anni si trovava nella chiesa di Giovanni in Conca nelgiorno solenne di quel santo; e aveva pregato e invitato poscia daifrati s'era posto a sedere nel presbitero e quivi assisteva pensoso eriverente al rito che si celebrava. Quando una brigata di giovanettidi adolescenti delle principali famiglie della cittàentrataa turba nella Chiesa per curiositàe visto in quel luogo ilgiovane Federigoche sempre con l'esempioe talvolta con le parolegli faceva vergognare del loro vivere superbo scioperato molle eviolentos'accordarono di fargli fare una trista figuradivendicarsie di divertirsi un momento a sue spese. Rotta la follas'avvicinarono all'altaree appostatisi in faccia a Federigosidiedero a fare i più strani e beffardi atti del mondostorcerle bocchetorcere il collo come chi irride un ipocritacacciare unpalmo di linguasghignazzare. Il Conte che fu poi del Sagrato eratra essianzi queglino erano con lui; perché egli non era maistato secondo in nessun luogoe in nessun fatto. Federigocontristato e mosso a pietà ed a sdegno nello stesso tempomanon confusogirò su quella turba un'occhiata che esprimevatutti questi affetti con una gravità tranquillama piùpotente dell'impeto indisciplinato di quei provocatori; quindipiegate le ginocchia dinanzi all'altarepregò per essiiquali partirono col miserabile contegno di chi è stato vintoin una impresa in cui il vincere stesso sarebbe vergognoso.

Torniamoal Conte vecchio: il quale stette in fra duese doveva prima andarealla stanza di Lucia. Dopo aver pensato qualche tempo: - no- diss'egli fra sè -: non lavedrò: non voglio obbligarmi a nulla; voglio venirne all'acquachiara con questo Federigo. Potrei lasciarla andaree pentirmi. Secomincio a fuggire da uno spauracchioa desistere da un'impresaèfinitanon son più un uomo. Parlato che avrò concostuimi convincerò che sono sciocchezzee sarò piùforte di prima... o se... costui... mi facesse... cangiare... sonsempre a tempo. Andiamosarà quel che sarà.

Chiamòun'altra donna alla quale in presenza del Tanabuso impose che siportasse sola alla stanza di Luciache vedesse che nulla lemancassee che sopratutto ordinasse alla vecchia guardiana ditrattarla con dolcezza e con rispetto: e che nessun uomo ardisseavvicinarsi a quella stanza.

Datoquest'ordinepensò se dovesse pigliar seco una scorta; e -oh! via- disse- per deipreti e per dei contadini? Vergogna! Se vi sarà alcuno che nonmi conosca non avrà nulla da dirmi: per quelli che miconoscono...!

Cosìil Conte soloma tutto armato uscì dal castelloscese l'ertae giunse nella via pubblicala quale brulicava di viandanti: laturba cresceva ad ogni istante: a misura che la fama del Cardinalearrivato si diffondeva di terra in terratutti accorrevano. Ma inquella via affollata il Conte camminava solo: quegli che se lovedevano arrivare al fiancos'inchinavano umilmentee si scostavanocome per rispettoe allentavano il passo per restargli addietro:taluno di quelli che lo precedevanorivolgendosi a caso a guardarsidietro le spallelo scorgevalo annunziava sotto voce ai compagnie tutti studiavano il passoper non trovarglisi in paro. Giunto alvillaggiosulla piazzetta dov'era la Chiesae la casa del Parrocotrovò il Conte una turba dei già arrivaticheaspettavano il momento in cui il Cardinale entrasse nella Chiesa percelebrare gli uficj divini. E qui pure tutti quelli a cui siavvicinavasvignavano pian piano. Il Conte affrontò uno diquesti prudentiin modo che non gli potesse sfuggire e gli chiesebruscamente come annojato che era di quel troppo rispettodove fosseil Cardinale Borromeo. "È lì nella casa delcurato"rispose riverentemente l'interrogato. Il Conte si avviòalla casa fra la turbache si divideva come le acque del Mar Rossoal passaggio degli Ebreied entrò sicuramente nella casa.Quivi un bisbigliouna curiosità timidaun'ansiaun nonsaper come accoglierlo. Eglirivolto ad un prete gli disse chevoleva parlare col Cardinalee chiedeva di essergli tostoannunziato. Il prete che era del paesefu contento d'avere unacommissione del Conte per allontanarsi da luie riferìl'imbasciata ad un altro prete del seguito del Cardinale. Quegli siritirò a consultare coi suoi compagni; e finalmente di malavoglia entrò per dire a Federigo quale visita si presentava.



Cap.XI

Giuntia questo punto della nostra storia noi ci fermiamo per qualchemomento con giojacome il viaggiatore del deserto s'indugia adiletto alla frescura ristoratrice d'una oasis ombrosadov'egliabbia trovata una sorgente di acqua viva. Poiché ci siamoavvenuti in un personaggiola memoria del quale apporta una placidacommozione di riverenzauna nuova giocondità anche alla menteche già stia contemplandoe scorrendo fra gli uomini i piùeletti che abbiano lasciato ricordo di sè sulla terra: orquanto più un po' di riposo nella considerazione di luidebb'essere giocondo a noi che da tanto tempo siamo condotti daquesta storia per mezzo ad una rudestolidaschifosa perversitàdalla quale certamente avremmo da lungo tempo ritirato lo sguardoseil desiderio del vero non ve lo avesse tenuto a forza intento!

FederigoBorromeo fu uno degli uomini rarissimi in qualunque tempoi qualiadoperarono una lunga vitaun ingegno eccellenteun animoinsistente nella ricerca "di ciò che è pudicodiciò che è giustodi ciò che è santodiciò che è amabiledi ciò che dà buonnomedi ciò che ha seco virtùe lode di disciplina".Nato coi più bei doni dell'animoil primo uso che egli fecedella sua ragione fu di coltivarli con ardore e con costanzadicustodirli con una attenzione sospettosacome se fino d'allora egliponesse cura a conservare tutta bellatutta irreprensibile una vitache in progresso di tempo avrebbe avute età cosìsplendide: e infatti la vita di lui è come un ruscello cheesce limpido dalla rocciae limpido va a sboccare nel fiume: tuttociò che si sa di lui è gentilezzae sapienza: e glierrori stessi che la prepotenza dell'universale consenso avevaimposti alla sua mentesono sempre accompagnati e quasi scusati dauna intenzione purae l'applicazione di esse alle cose della vita èstata per lui un esercizio di tutte le virtù. Fanciullo gravee sobriogiovane pensoso e pudicouomo operoso quant'altri maifossesenza mai nulla intraprenderené maneggiarenécondurre a fine per un interesse privato di qualsivoglia generevecchio soave e candidoegli ebbe in ogni età le virtùpiù difficiligli ornamenti più rarima non in modoche escludessero i pregi più comuni in quella età atutti gli uomini. Nutrito tra le pompe e lo splendore dellericchezzefra quel basso corteggio che coglie i fortunati del secoloalle prime porte della vitaper corromperliper cattivarliperfarli fruttareegli scorse dai primi suoi giorni che l'umiltàe la staccatezza sono veritàbellezzae le prescelse: postosotto la disciplina del suo celeste cugino San Carloin presenza diquella virtù severae malinconical'animo puerile diFederigo non fu disgustato dalla severitàe sentìl'ammirazione e la docilità volonterosa per la virtù.Si diede ardentemente allo studio dalla fanciullezza: ma i metodistolti d'insegnamentoma la confusione e la stoltezza delle coseinsegnateil sopracciglio comicamente grave dei maestri losvogliarono dall'apprendere; e fu questoo doveva essere il primosegno della eccellenza del suo ingegno. Stomacato dei libri e dellelezioni si diede tutto all'armi e ai cavalli; ma durò inquegli esercizj sol tanto quanto bastasse a mostrarlo disposto adogni esercizio che domandi una prontezza di qualunque genere. Ilfanciullo voleva saperee andava interrogando tutti quegli che eglicredeva sapienti; e da tutti gli veniva rispostoche i libri e lascuola soltanto potevano condurlo alla scienza. Sospinto da questauniformità di consensoegli tornò voglioso ai libri edai maestri; e finì a stare con quelli perseverantementevincendo con la volontà le ripugnanze delle quali egli nonpoteva allora comprendere la ragione profonda. Giovanetto fra igiovanetti nello studio di Paviaegli trovò quivi stabiliteconsuetudinimassimeopinioni che distribuivano lode e biasimo alladifferente condotta; e non ne fece alcun conto: regolò la suacondotta coi suoi principjcome avrebbe fatto in un eremosenzaesitazionesenza braveria; e solo da primaopposto quasi in tuttoal tipo prescritto dall'opinionerifiutando tutte le cose che davanola gloriafacendo quelle che rendevano ludibriofu in poco tempooggetto della venerazione dei suoi condiscepoli. Uomo fatto poicardinalearcivescovosempre continuò in quella disciplinadi meditare ciò che fosse il comandatoe il meglioe dieseguirlonon riguardando nei giudizj degli uomini se non ciòche potesse essere una vera ed utile correzione per luio il segnodi una irritazione e di una resistenza dannosa ai resistentie chepotesse essere impedimento al bene ch'egli intendeva di operare. Fuquindi moderato ed umile tra il favore e gli applausiplacido efermo tra i contrastinon avendo di mira che la cosa da farsie ilperchée l'effetto. Veduta la bellezzal'utilitàela possibilità d'un disegnoegli lo intraprendevane curavaattentamente il complesso e i minimi particolari con quella unitàdi attenzione che non sorprende chi rifletta alla unitàch'egli aveva del fine. Edificò dai fondamenti la biblioteca acui volle dare il nome di Ambrosianala dotò di libridimanoscrittidi macchinedi monumenti d'artevi raccolseprofessorie nello stesso tempo poneva cura che le reliquie dellasua mensa piuttosto povera che frugale fossero diligentementeraccoltee date ai poverelli; tutto era per lui benevolenzae curadegli altri. Così egli chiamò da lontano professori dilingue orientali per introdurre se avesse potutoogni coltura inquella rozzaostinatae presuntuosa barbarie nella quale eglisentiva di vivere; spedì uomini dotti quanto allora si potevaper l'Italiaper la Franciaper la Germaniaper la Spagnaper laGrecianella Siriaa fare incetta di libridi manoscrittidi ognicosa che potesse essere stromento di studio e di coltura: e diede adessi istruzioniavviamenticonsigli: e per la medesima accuratezzadi ben farein questa stessa carestia di cui abbiamo giàtoccato qualche cosa in questa storiaegli oltre i soccorsi chedistribuivaalla sua casaalle case dei poverellipensòanche di mandare attorno sacerdotiche raccogliessero i poverelliche mancanti di soccorso cadevano sfiniti per le viee dessero loroi conforti della religione: e insieme coi sacerdoti mandòfacchini che portassero panevinominestrauova freschebrodistillatiacetoper nutrireper confortare coloro che cadessero perinedia; e tutti questi particolari erano meditati da luiperchétutto quello che fosse utile era per lui importantee l'idea grandee generale della carità era dal suo cuore applicata tuttaintera nei minimi suoi particolari. Così amava egli oltre ognicompagnia quella dei dottie dei poveriper vivere semprenell'esercizio delle sue più nobili facoltà. E da tantaoperositàda tante cure del suo ministeroda tanti impicciin cui era tirato dalla confusione che in quelle cure stesse avevanointrodotta la confusione delle ideee le passioni degli uominieglisapeva togliere ancora assai tempo per impiegarlo nello studio degliscritti i più stimati di qualunque tempo e di qualunquenazionee nel lavoro dei molti scritti ch'egli ha lasciati.

Noinon vogliamo qui esaminare tutti i pregi di quest'uomo; basti il direch'egli ebbe principalmente le virtù più difficilicioè le più opposte ai vizj che signoreggiavano lagenerazione dei suoi contemporanei. Già forse l'amoredell'argomento ci ha trasportati ad una prolissità nojosa; manon possiamo a meno di non avvertire una di queste virtùperché è quella che non certo per la sua importanza maper la rarità ci sembra degna di osservazione; ed è latranquillità e il contegno mirabile di Federigo. In un tempoin cui opinionifattidiscussioniodjamiciziedelittigiudizjtutto era avventato e precipitosoin cui le virtù stesseavevano qualche cosa per dir così di spiritatoe difantasticoFederigo fu temperatoaspettatoreponderatolento nelcrederenell'operarenell'affermaretutto condì con unatemperanzache raddolcì in parte quell'impeto indisciplinatoe fu se non altro ammirata da quegli stessi che ne erano incapaci.

Ècosa degna di maraviglia e di osservazione che il nome di un taluomogià ai nostri tempiin una posterità cosìpoco remotasia non dirò dimenticatoma certo non ripetutocosì sovente come si fa degli uomini più illustrichea questo nome sia appena associata una idea languida d'un meritoincertod'una eccellenza indeterminatache questo nome pronunziatofuori della patria di Federigoe della società di quelli chepiù particolarmente si applicano alle cose nelle quali egli fuattoreo passi inavvertitoo riesca anche nuovoe invece dirisvegliare la memoria di una rara preminenza faccia nascere lacuriosità di sapere che abbia fatto colui che lo portavaeche l'elogio che noi vi abbiamo unito abbia avuto bisogno dischiarimento e di prove. E forse ancor più stupore devenascere al pensare che un uomo dotato di nobilissimo ingegnoavidodi cognizionie perseverante nello studiosommamente contemplativoe nello stesso tempo versato nelle società più variedegli uominie attore in affari importantiabbia posta ogni curanel comporre opere d'ingegnone abbia lasciato un numero che loripone tra i più fecondi e i più laboriosi; e chequeste opere d'un uomo che aveva tutti i doni per farne d'immortalinon sieno ora quasi conosciute che dai loro titolinei cataloghi diquegli scrittori che tengono memoria di tutto ciò che èstato scritto in un tempoin un paese. Ma la spiegazione di questofenomeno si può forse trovare nella condizione dei tempi incui scrisse Federigo. A produrre quelle parole o quei fatti cherimangono presso ai posteri oggetto di una ammirazione popolare nonbasta la potenza di un ingegno né la costanza di una volontà:è duopo che queste facoltà possano esercitarsi soprauna materia la quale abbia da sè qualche cosa di splendidodimemorabile: gli uomini di tutte le età rimasti insignigiunsero a quel grado di famao accompagnati da una folla d'uomininon insigni com'essima pure partecipi dei loro studjcuriosi dellestesse cognizioniornati in parte della stessa coltura: o almenocombattendo contra erroriabitudiniideeche avessero qualche cosad'importantedi problematicoin quelle dottrine che sono unesercizio perpetuo dell'intelletto umanotrovarono in somma unamassa di notizie e di opinioniun complesso di colturasul qualefondarsidal quale progredireal quale applicare gli aumenti e lecorrezioni per cui la memoria del genio rimane.

Chese pure è viva tuttavia la fama e le opere di uomini vissutiin tempi rozzissimilo è perché quei tempi eranosommamente originalie quelle opere ne conservano il carattereemostrano ai posteri un ritratto osservabile d'una età chenessun'altra cosa potrebbe rappresentarci. Ma Federigo Borromeo vissein tempi di sommauniversale ignoranzae di falsa e volgare scienzaad un trattofra una brutalità selvaggia ed una pedanteriascolasticain tempi nei quali l'ingegno che per darsi alle letterea qualunque studio di scienza moralecominciava (ed è questala sola via) ad informarsi di ciò che era credutoinsegnatodisputatoa porsi a livello della scienza correntesi trovavaingolfatoconfuso in un mare tempestoso di assiomi assurdiditeorie sofistichedi questioni alle quali mancava per prima cosa ilpunto logicodi dubbj frivoli e sciocchi come erano le certezze. Nonv'è ingegno esente dal giogo delle opinioni universalie giàuna parte di queste miserie diventava il fondamento della scienzadegli uomini i più pensatori. Che se anche i più acutiprofondi fra essiavessero veduta e detestata tutta la falsitàe la cognizionedi quel sapereavessero potuto sostituirgli ilverogiungere al punto dove si trovano le idee e le formole potentisolenniperpetue; a chi avrebbero eglino parlato? E chi parlalungamente senza ascoltatori? Il genio è verecondodelicatoe se è lecito così direpermaloso: le beffeilclamorel'indifferenza lo contristano: egli si rinchiude in sèe tace. O per dir meglio prima di parlareprima di sentire in sèle alte cose da rivelarsiegli ha bisogno di misurare l'intelligenzadi quelli a cui saranno rivelatedi trovare un campo dove sia tostoraccolta la sementa delle idee ch'egli vorrebbe far germogliare: lasua fiduciail suo ardimentola sua fecondità nasce in granparte dalla certezza di un assensoo almeno di una comprensioneoalmeno di una resistenza ragionata. Veggansi per esempio le opere dieloquenza di due sommi ingegnivissuti in circostanze ben diversenella età posteriore a quella di FederigoSegneri e Bossuet.Veggasi quali ideequale abitudine di linguaggioquali pregiudizjanche suppongano le orazioni funebri di questo negli ascoltatori diquelle; veggasi dalle prediche del Segneri che opinioni egli dovevadistruggerein che sfera d'idee egli doveva attignere i suoi mezzile sue prove per persuadere quegli ingegnia quali costumanze eglidoveva alludere; nella differenza dei due popoli ascoltanti ècertamente in gran parte la spiegazione della somma distanza fra leopere di due ingegni ognuno dei quali era grande. Prima che un popoloil quale si trova in questo grado d'ignoranza possa produrre uominiper sempre distintiè d'uopo che molti sorgano a poco a pocoda quella universale abiezioneche riportino su gli errorisu lainerzia comune molte vittorie d'ingegno difficilie che sarannodimenticate; che attirino con grandi sforzi le menti a riconoscereverità che sembrano dover essere volgariche preparino agliintelletti venturi una congerie d'idee delle quali o contra le qualisi possano fare lavori degni di osservazione; e che finalmente colprogressocon la esattezzacon la fermezza e perspicuitàdelle idee migliorino a poco a poco il linguaggio comunedimodochéi sommi ingegni possano avere uno stromento che renderanno perfettoma che pure hanno trovato adoperevolepossano per quell'istintod'analogia che ad essi soli è concessoarrivare a quelleformole inusitatema chiarearditema sommamente ragionevolinelle quali sole possono vivere i grandi pensieri. Questo fa d'uopo;ovvero che la coltura più maturapiù perfezionata d'unaltro popolo venga ad educare quello di cui abbiamo parlato. Alloragl'ingegni singolari attirati dalla luce del vero da qual parte ellasi mostrisi levano dalla moltitudine dei loro concittadinietendono al punto che essi scorgono il più alto. Comincianoallora le ire di moltie i lamenti di altri contra l'invasione delleidee barbarecontra la dimenticanza delle cose patriecontra laservilità agli straniericontra il pervertimento dellinguaggio e del gusto; e non si può negare che queste ire equesti lamenti non atterriscano alcunie non gli contristino a segnodi far loro abbandonare la via di studio intrapresa; giacchéfargli ritornare al falso conosciuto è cosa impossibile. Mav'ha pure di quegli ingegni ai quali è per così direcomandato di fare; e questi tenendosi in comunicazione con un'altraetà o con un'altra società d'uominidicono ai lorocontemporanei cose che questi ascoltano da prima con disprezzo e conindifferenzaquindi in parte pure con qualche curiositàquando la fama viene dallo straniero ad avvertirli che fra loro v'èuno scrittoreimparano un poco mal loro gradoe sono poi quasitutti concordi sul merito dello scrittore quand'egli ha dato l'ultimosospiro.

Cosìun secolo forse dopo Federigocominciò a rinascere in Italiaun po' di colturae fra quella a sovrastare alcuni scrittori deiquali vivono le opere e la memoria; ma i principj di quelrisorgimento non furono un progressoun perfezionamento delle ideeallora dominanti; fu una nuova coltura introdotta in opposizione alleidee predominanti; sul che tutti concordano. Ma intorno alla sorgentedi questa nuova coltura v'ha due opinioni estremamente disparate.Alcunianzi moltissimihanno credutoe detto che dal fondo dellaricchezza letteraria del secolo decimosesto e dai pochi sommiscrittori più antichi sieno state tolte le idee le quali hannorinovellato lo spirito della letteraturae ricondotto il coltopubblico al senso comune; e che principalmente dai canzonieri delPetrarca e del Costanzo sia stata tolta la luce che dissipò letenebre del seicento. Infatti i primi riformatorisi poserocomealla faccenda più premurosaad imitare quelle rime chel'immortale Costanzo vergòper placarese fosse statopossibilequell'empia tigre in volto umanosu la quale ècosì diviso e combattuto il sentimento della posterità.Poichéquando si pensa ai dolori intimiincessanticocentiche quella tigre fece tollerare a quel celebre sventuratonon si puòa meno di non sentire per essavoglio dire per la tigreun certoorroreun rancore vendicativo. Ma quando poi si venga a riflettereche senza quei dolori non sarebbero stati partoriti quei sonetti equelle canzoniche senza quei sonetti e senza quelle canzonil'Italia si rimarrebbe forse forse tuttavia nell'abisso del gustoperversoallora si prova una certa non solo indulgenzamariconoscenza per colei che con la sua crudeltà fu occasionefu causa d'un tanto utile e glorioso effettosi vede allora quantosia vero che le grandi cognizioni non vengono all'intelletto degliuomini che per mezzo di grandi dolori. Questo è dettonell'ipotesi di coloro i quali tengono che la rivoluzione nellelettereil ritorno ad un certo qual senso comuneche ebbe luogo nelprincipio del secolo decimottavoabbia cominciato dalla poesiaesia venuto nella poesia dallo studio ripreso dei cinquecentistiedel Costanzo in ispecie.

Manon si deve dissimulare che v'ha alcuni altri (pochissimi invero) iquali tengono invece che la lettura degli insigni scrittori francesiche fiorirono appunto nel tempo in cui le lettere in Italia erano piùstolide e più vuotecominciò a risvegliare alcuniitaliania dar loro idea d'una letteratura nutrita di ricercheimportantidi ragionamenti serjdi discussioni sincered'invenzioni che somigliassero a qualche cosa di umanoe di realediretta a far passare nell'ingegno dei lettori una persuasioneragionata di chi scrivevaa condurre i molti ad un punto piùelevato di scienzadi sentimento a cui erano giunti alcuni con unameditazione particolare. Scorgono costoro che questi italianicominciarono ad imparare dalla lettura di quei librie furono dalconfronto nauseati degli scrittidei giudizjdegli intentideimetodidelle riputazionidi tutta insomma la letteratura italianadi quel tempo; e cominciarono a porre essi nei loro scritti una curapiù esatta a cercare un vero importantee lo fecero con unamente più disciplinatapiù addestrata a questaricercae diffusero a poco a poco nei cervelli dei loro concittadiniil buon senso che avevano attinto. Questa tengono essi che fosse nonla sola cagionema la principalela prossima della rivoluzionegenerale e osservabile nel gusto letterario degli italiani. I pochi iquali tengono questa opinionesi trovano in un bell'impiccio; perchémettendola fuorisono certi di acquistarsi il titolo di cattivicittadini; e fanno compassione; perché è doloroso iltrovarsi tra la necessità o di negare la veritàconosciutao di acquistarsi un titolo brutto e odioso. E in veritànoi vorremmo avere qualche autoritàqualche appiccoqualcheentratura coi loro avversariper poterli pregare di provare soltantocon ragioni di fatto che quella opinione è falsae dilasciare da banda quel titolo affatto estraneo alla questioneefuori di proposito. E infattise fosse a propositodovrebbeapplicarsi a tutti gli uomini di qualunque nazione sienoi qualiriconoscano che la loro possa essere stata coltivata con gli studjd'un'altra: ora noi non applichiamo generalmente questa misura;poiché quando troviamo negli scritti d'un francese quellaopinione che la Francia barbaraincoltaabbia ricevuta la lucedelle lettere per mezzo dei grandi scrittori d'Italia; noi nonchiamiamo quella opinione una ingiuria fatta da quegli scrittori allaloro patriama una generosa confessione del vero; non gli chiamiamocattivi cittadinima uomini veggenticandidiimparziali.Ricordiamoci adunque che l'adoprar peso e pesomisura e misuraècosa abbominevole; e siamo coi nostri così giusti e indulgenticome siamo con gli stranieri; senza pregiudizio perògiovaripeterlodelle buone ragioniche si potranno dire quando a Diopiacciaper provare a questi nostri che pigliano un granchio.

Pervedere una volta quale di queste due opinioni sia la piùragionevolebisogna esaminare due gran fattio due serie di fatti.La prima; in che consistesse principalmente la corruttela dellelettere nel seicentose questa corruttela sia stata una deviazioneforzata dalla via tenuta nel cinquecentoquali idee si sianoperdutequali pervertite da un secolo all'altro; giacché lacorruttela delle lettere non può essere altro che smarrimentoo pervertimento d'ideea meno che non si voglia ammettere unaletteratura che non sia composta d'idee. L'altra; qualidopo quellaabbominazione del seicento siano state le idee introdotte negliscritti italianile quali hanno riprodotta una letteraturaragionevole e splendidahanno avvertita l'Europa che le lettere inItalia non erano più come lo erano state per un secolounabuffoneriaun mestiere guastatol'hanno costretta a rivolgersi conattenzione a questa parte per udire con la speranza di unaistruzioned'un diletto razionalequali siano le idee uscitedall'Italia e ricevute in parte del patrimonio comune della colturaEuropea. Raccolti i sommi capi di queste idee della letteraturaitaliana risortabisognerà ancora cercarne la sorgente;vedere se sieno state ripresesvolte dagli scritti del cinquecentoo da che altra parte sieno venute a fare impeto nella letteraturaitaliana. Quanto alla prima questione... ma qui una buona ispirazioneci avverte che siamo fuori di strada; che musando così inciarle di discussione mentre si tratta di raccontarenoi corriamorischio di perdereabbiamo forse già perduti i tre quarti deinostri lettori; cioè almeno una trentina; tanto più chequesta fatale digressione è venuta appunto a gettarsi nellastoria nel momento il più criticosulla fine d'un volumedove il ritrovarsi ad una stazione è un pretestounatentazione fortissima al lettore di non andar più innanzidove è mestieri di una nuova risoluzioned'un generosoproposito per riprendere e quasi ricominciare il penoso mestiere delleggere. Noi tronchiamo dunque subitamente questa digressionepregando quei pochi i quali l'avessero letta fin qui a fare le nostrescuse a quelli che per noja avranno gettato il libro a mezzo diquesto capitolopregandoli anche di assicurarli che saltando tuttoil capitolo avrebbero la continuazione della storiae di prometterloro in nostro nomeche noi vi ci getteremo in mezzo a pièpari al principio del prossimo volumeche la continueremo senzainterruzioneseguendo fedelmente il manoscrittoe mescolandovi delnostro il meno che sarà possibile.





TOMOTERZO



Cap.I

IlCardinale Federigosecondo il suo costume in tutte le visitestavasi in quell'ora ritirato in una stanzadove dopo aver recitatele ore mattutineimpiegava quei momenti di ritaglio a studiareaspettando che il popolo fosse ragunato nella Chiesaper uscir poi acelebrarvi gli uficj divinie le altre funzioni del suo ministero.Entrò con un passo concitato ed inquieto il cappellanocrociferoe con una espressione di volto tra l'atterrito e ilmisteriosodisse al Cardinale: "Una strana visitaMonsignoreillustrissimo".

"Quale?"richiese il Cardinale con la sua solita placida compostezza. "Quelfamoso banditoquell'uomo senza paura e che fa paura a tutti... ilConte del Sagrato... è qui... qui fuorie chiede con istanzad'essere ammesso".

"Egli!"rispose il Cardinale: "è il benvenutofatelo tostoentrare".

"Ma..."replicò il cappellano"Vostra Signoria Illustrissimalodebbe conoscere per fama; è un uomo carico discelleratezze..."

"Enon è egli una buona ventura"disse il Cardinale"chead un tal uomo venga voglia di presentarsi ad un vescovo?"

"Èun uomo capace di qualunque cosa"replicò il cappellano.

"Eanche di mutar vita"disse il Cardinale.

"Monsignoreillustrissimo"insistette il cappellano "lo zelo fa deinemicisono arrivate più volte fino al nostro orecchio leminacce di alcuni che si sono vantati..."

"Eche hanno fatto?" interruppe Federigo.

"Mase costuicostui che tiene corrispondenza coi più determinatiribaldicostui che non si spaventa di nullavenisse ora... fossemandatoDio sa da chi per fare quello che gli altri..."

"Oh!che disciplina è questa"interruppe ancora sorridendoserenamente il vecchio"che un officiale raccomandi al suogenerale di aver paura? Non sapete voi che la pauracome le altrepassioniad ogni volta che le si concede qualche cosadomandaqualche cosa di più? e che a questo mododi cautela incautelabisognerebbe ridursi a non far più nulla dei doverid'un vescovo?"

"Maquesto è un caso straordinario"continuò ilcappellano caparbio per premura: "Vostra Signoria non puòcosì esporre la sua vita. Costui è un disperatoMonsignore illustrissimo; lo rimandi; troveremo qualche onestascusa..."

"Ch'iolo rimandi?" rispose con una certa maraviglia severa ilCardinale. "Per farmene un rimprovero per tutta la vitaerenderne poi conto a Dio? Via via. Già egli ha troppoaspettato. Fatelo entrar tostoe lasciatemi solo con lui".

Ilcappellano non ebbe più coraggio di replicaree fatto uninchino partì per obbediredicendo in cuor suo: - nonc'è rimedio: tutti i santi sono ostinati -epiteto che nel senso in cui l'adoperiamo il più soventesignifica uno che non vuol fare a modo nostro.

Uscitonella stanza dov'era il Contequi pure solo in un cantomentretutti gli altri presenti si stavano raggruppati in un altroaguardarlo e a parlare sommessamenteil cappellano gli si accostòe gli disse che Monsignore lo aspettava; facendo nello istesso tempoin modo da non essere veduto dal Conteun cenno delle spalle e delvolto agli altriche voleva dire: - Quell'uomobenedetto; accoglierebbe Satanasso in persona.

IlConte allora prese tosto una cintura con la quale teneva appesol'archibugioe facendolosi passare sul capo se lo tolse dallaspallasi cavò dalla cintura dei fianchi due pistolesistaccò uno spadonee fatto un fascio di tuttosi accostòad uno dei preti che si trovavano nella stanzagli consegnòquel fascio dicendo: "sotto la vostra custodia". "Signorsì"disse il preteenon senza impaccioallargandoben bene le manie ponendo cura che nulla ne sfuggisselo prese condelicatezza come avrebbe fatto d'un bambino da portarsi al Fonte.Restava ancora un pugnaledi cui il manico d'avorio intarsiato d'orosporgeva tra il farsetto e la veste: e gli occhi erano rivolti sulConteper osservare se egli compisse la buona opera di disarmarsi edesse anche questo al curato: ma il Conte non n'ebbe purel'immaginazione: togliersi il pugnale era un pensiero troppo stranoper lui: gli sarebbe sembrato di andar nudo.

Ilcappellano aperse la portieraed introdusse il Conte; il Cardinalesi alzògli si fece incontrolo accolse con un volto serenoe accennò con gli occhi al cappellano che partisse; ed eglipartì. Il Conte s'inchinò bruscamentee guardòil Cardinaleabbassò gli occhitornò ad alzargli inquel venerabile aspetto. Federigo era stato vezzoso fanciullogiovane avvenentebell'uomo; gli anni avevano fatto sparire dal suovolto quel genere di bellezza che al suono di questo nome si ricordaprimo al pensiero; e già gran tempo prima ch'egli toccasse lavecchiezzale astinenze e lo studioavevano tramutate ed offuscatealquanto le forme di quel volto; ma le astinenze stesse e lo studiol'abitudine dei solenni e benevoli pensieriil ritegno e la paceinterna d'una lunga vitail sentimento continuo d'una speranzasuperiore a tutti i patimentiavevano sostituita nel volto diFederigo a quella antica bellezzauna per così dire bellezzasenilela quale spiccava ancor più in quella semplicitàsontuosa della porpora che nuda di ornamenti ambiziosi tuttoravvolgeva il vecchio. Stava questi aspettando che il Conte parlasseonde pigliare dalle prime parole di lui il tuono del discorso;giacché Federigo benché non sentisse quel genere dipaura che il suo buon cappellano aveva voluto ispirarglipure sapevamolto bene che bisbeticoombroso e restio personaggio avessedinanzi; e avendo presa di questa venuta una speranza indeterminatadi qualche benenon avrebbe voluto dire né far cosa chepotesse guastare. Stava egli dunque tacitoed invitava il Conte aparlare con la serenità del voltocon un'aria di aspettazioneamicacon quella espressione di benevolenza che fa animo agliirresolutie sforza talvolta i dispettosi a dire cose diverse daquelle che avevano pensate; ma il Conte stava sopra di sèperché era venuto ivi spinto piuttosto da una smaniada unainquietudine curiosache dal sentimento distinto di cose ch'eglivolesse dire ed udire dal Cardinale. Dopo qualche momento peròruppe egli il silenzio con queste parole: "Monsignoreillustrissimo... dico bene? In verità sono da tanto tempodivezzato dai prelati che non so se io adoperi i titoli che siconvengono... che si usano".

"Voinon potete errate"rispose sorridendo gentilmente Federigo"semi chiamate un uomo pronto a tutto farea tutto soffrire per esserviutile".

"Sì?"rispose il Conte"davveroMonsignore? Tale è illinguaggio comune... dei preti principalmentei quali dicono sempreche non vivono per altro che per servire altrui. Ma per voi... tuttidicono che non è un semplice linguaggio di cerimonia. Ebbenese fossi venuto per accertarmene? per vedere se egli è veroche voi siete così dolcecosì pazientecosìinalterabilmente umile? Se fossi venutoper soddisfare ad una miacuriosità?"

"Nono"replicòsempre sorridendo ma con una seriaespressione di affetto il buon vescovo"non è curiositàin voi di vedere quest'uomiciattolo che mi procura la giojainaspettata di vedervi: sento che una cagione più importantevi conduce".

"LosentiteMonsignore? qual cagione di grazia? dicono tanti che voisapete discernere i pensieri degli uomini? discernetemi il mioper... via mi fareste piacere: mostratemi che vedete nel mio cuorepiù ch'io non vegga: parlate voi per meche forseforsepotreste indovinare".

"Eche?" disse il Cardinale come affettuosamente rimproverando:"Voi avete una buona nuova da darmie me la fate tantosospirare?"

"Unabuona nuova! io! una buona nuova! ho l'inferno in cuoree vi daròuna buona nuova! Ah! ah! voi non vedete qua dentro. Voi non sapeteche io son venuto qui strascinato senza sapere da chiche aveva ilbisogno di vederviche vorrei parlarvie che in questo stessomomento io sento in me una rabbiauna vergogna di essere dinanzi avoi... cosìcome una pinzochera... Oh ditemi un po'; quale èquesta buona nuova".

"CheDio vi ha toccato il cuoree vuol far di voi un altr'uomo";rispose tranquillamente il Cardinale.

"Dio?ci siamo"replicò il Conte. "Dio! quella parola chetermina tutte le quistioni. Dov'è questo Dio?"

"Voime lo domandate"rispose Federigo"voi? E chi l'ha piùvicino di voi? Non lo sentite in cuoreche vi tormentache viopprimeche vi abbatteche v'inquietache non vi lascia stare; evi dà nello stesso tempo una speranza ch'Egli vi acquieteràvi consoleràsolo che lo riconosciateche lo confessiate?"

"Certo!certo!" rispose dolorosamente il Conte"ho qualche cosache mi tormentache mi divora! Ma Dio! Che volete che Dio faccia dime? Foss'anche vero tutto quello che dicononon ho altraconsolazione che di pensare che nemmeno il diavolo non mi vorrebbe".

IlConte accompagnò queste parole con una faccia convulsae congesti da spiritatoma Federigo con una calma solenneche comandavail silenzio e l'attenzionereplicò: "Che può farDio di voi? Quello che d'altri non farebbe. Ricevere da voi unagloria che altri non gli potrebbe dare. Fare di voi un grantestimonio della sua forza... e della sua bontà. Poichéfinalmenteche vi accusino coloro ai quali siete oggetto di terroreè cosa naturale; è il terrore che parlae si lamentaè un giudizio facilepoiché è sopra altruifors'anche in taluno sarà invidia; forse v'ha chi vi malediceperché vorrebbe far terrore anch'egli: ma quando voiaccuserete voi stessoquando il giudizio sarà unaconfessioneallora Dio sarà glorificato. Questo puòfar Dio di voi; e salvarvi".

"No:Dio non vuol salvarmi"replicò il Contecon un doloredisperato.

"Nonvuole?" disse il Cardinale. "Io che sono un uomomiserabilemi struggo del desiderio della vostra salute: voi non neavete dubbio; sento per voi una carità che mi divora; e Dioche me la ispiraquel Dio che ci ha redentonon sarà grandeabbastanzaper amarvi più ch'io non vi ami?"

Lafaccia del Conte fino allora stravolta dall'angoscia e dalladisperazionesi ricomposesi atteggiò al dolore; e i suoiocchi che dall'infanzia non conoscevan le lagrimesi gonfiaronoeil Conte pianse dirottamente.

"Diogrande e buono!" sclamò Federigoalzando gli occhi e lemani al cielo: "che ho mai fatto io servo inutilepastoresonnolentoperché tu mi facessi degno di assistere ad un sìgiocondo prodigio?" Così dicendoegli stese la mano perprendere quella del Conte. "No"gridò questi"no:lontanolontano da me voi: non lordate quella mano innocente ebenefica. Non sapete quanto sangue è stato lavato da quellache volete stringere?"

"Lasciate"disse Federigoafferrandogli la mano con amorevole violenza"lasciate ch'io stringa con tenerezza - e conrispetto - questa mano che riparerà tantitortiche spargerà tante beneficenzeche solleveràtanti poverelliche si stenderà umiledisarmatapacifica atanti nemici".

"Ètroppo!" disse il Conte singhiozzando. "LasciatemiMonsignore... buon Federigo: un popolo affollato vi aspetta... tantiinnocentitante anime buone... tanti venuti da lontano per vederviper udirvi; e voi vi trattenete... con chi!"

"Lasciamole novantanove pecorelle"rispose Federigo amorevolmente; "sonoin sicurosono sul monte: io voglio ora stare con quella che erasmarrita. Quella buona gentesarà ora forse piùcontenta che se avesse tosto veduto il suo vescovo. Chi sa che Dio ilquale ha operato in voi il prodigio della misericordianon diffondaora nei cuori loro una gioja di cui non conoscono ancora la cagione?Son forse uniti a noi senza saperlo: forse lo Spirito pone nei lorocuori un ardore indistinto di caritàuna preghierach'egliesaudisce per voiun rendimento di graziedi cui voi sietel'oggetto non ancor conosciuto".

Alfine di queste parole stese egli le braccia al collo del Conteilquale dopo aver tentato di sottrarsidopo aver resistito un momentocedette come strascinato da quell'impeto di caritàabbracciòegli pure il Cardinalee abbandonò il suo burbero volto su lespalle di lui. Le lagrime ardenti del pentito cadevano sulla porporaimmacolata di Federigo; e le mani incolpevoli di questo cingevanoquelle membrapremevano quelle vesti su cui da gran tempo nonavevano posato che le armi della violenza e del tradimento.

Scioltida quell'abbraccioil Cardinale disse con un affetto ansioso alConte: "parlate: parlate; apritemi il vostro cuore: ditemi ipensieri che più vi tormentano; quello che hanno di piùamaro si perderà passando su le vostre labbra; il dolore chevi resterà sarà misto di gioconditàsaràuna giocondità esso medesimo: non vi lasceranno altra punturache il desiderio di riparare al già fatto. Dite: forse v'èqualche cosa a cui si può riparare ancora:..."

"Ahsì"interruppe il Conte; "v'è una cosa a cuisi può riparare tosto: il fatto è turpeèatrocema non è compiuto. Lodato Dioche non lo è.Per farvelo conoscere è d'uopo ch'io appaja dinanzi a voipermia confessionequello ch'io sono: uno scellerato... e un vilebirbone; ma non importa: quello che importaè di cessare unacrudele iniquità". Federigo stava ansioso attendendoeil Conte narrò dell'infame contratto di Luciadel rapimentodell'arrivo di essa al suo castellodelle sue supplichee dei primipensieri che a cagione di queste gli erano venuti. Il buon vescovoimpallidì alla storia dei patimenti e dei pericoli di quellapoveretta; ma quando intese ch'ella si trovava ancora al castello:"Ah!" disse "è salvaè intatta:togliamola tosto da quell'angoscia: ah voi sapete ora che cosa sonole ore dell'angoscia! abbreviamole a questa innocente. Voi me ladate...?"

"Dio!"sclamò il Conte; "che uomo son iose mi si richiede comeun dono ciò ch'io non ho in poter mio che per la piùvile prepotenza! se mi si chiede per misericordia di non essere piùun infame!"

"Ilmale è fatto"rispose Federigo: "quello che èda farsi è il benee voi lo potete; voi lo volete; Dio vibenedica. Dio vi ha benedetto. D'una iniquitàvoi poteteancor fare un atto di virtùe di beneficenza. Sapete voi diche paese sia questa poveretta?"

IlConte glielo disse; Federigo allora scosse il suo campanello; allachiamata entrò con ansietà il cappellanoil quale intutto quel tempo era stato come sui tribolie veduta la facciatramutataumilecommossa del Contee su quella del Cardinale unacommozione che pur traspariva da quella sua tranquilla compostezza;restò colla bocca apertagirando gli occhi dall'unoall'altro; ma il Cardinale lo tolse tosto da quella contemplazionemezzo estatica e mezzo stordita dicendogli: "Fra i parrochi quiradunati vi sarebbe mai quello di...?"

"V'èMonsignore illustrissimo"rispose il cappellano.

"LodatoDio!" disse il Cardinale: "chiamateloe con lui il curatodi questa chiesa".

Ilcappellano uscì nell'altra stanzadove i preti congregatiaspettavano il suo ritorno con la speranza di saper qualche cosa d'uncolloquio che gli teneva tutti sospesi. Tutti gli occhi furonorivolti sopra di lui: egli alzò le manie movendole l'unacontro l'altra con un gesto come involontariotutto trafelato comese avesse corso due migliadisse: "Signorisignori: haecmutatio dexterae Excelsi. Il signor curato della chiesa e ilsignor curato di... sono chiamati da Monsignore".

Ilcurato di Chiuso era un uomo che avrebbe lasciato di sè unamemoria illustrese la virtù sola bastasse a dare la gloriafra gli uomini. Egli era pio in tutti i suoi pensieriin tutte lesue parolein tutte le sue opere: l'amore fervente di Dio e degliuomini era il suo sentimento abituale: la sua cura continua di fareil suo doveree la sua idea del dovere era: tutto il bene possibile:credeva egli sempre adunque di rimanere indietroed eraprofondamente umilesenza sapere di esserlo; come l'illibatezzalacarità operosalo zelola sofferenzaerano virtùch'egli possedeva in un grado raroma che egli si studiava sempre diacquistare. Se ogni uomo fosse nella propria condizione quale eraegli nella suala bellezza del consorzio umano oltrepasserebbe leimmaginazioni degli utopisti più confidenti. I suoiparrocchianigli abitatori del contorno lo ammiravanolocelebravano; la sua morte fu per essi un avvenimento solenne edoloroso; essi accorsero intorno al suo cadavere; pareva a queisemplici che il mondo dovess'esser commossopoiché un grangiusto ne era partito. Ma dieci miglia lontano di làil mondonon ne sapeva nullanon lo sanon lo saprà mai: e in questomomento io sento un rammarico di non possedere quella virtùche può tutto illustraredi non poter dare uno splendoreperpetuo di fama a queste parole: Prete Serafino Morazzone Curato diChiuso.

All'udirsichiamareegli si spiccò da un cantuccio dove stava pregandotacitamentee si mosse senz'altra premura che di obbediresenz'altra curiosità che di vedere se vi fosse per lui qualcheopera utile e pia da intraprendere.

L'altrochiamato era quel nostro Don Abbondioil quale per togliersid'impiccio era stato in gran parte cagione di tutto questoguazzabuglio: egli non poteva saperené avrebbe mai pensatoche questa chiamata avesse la menoma relazione con quei tali promessisposidei quali credeva di essere sbrigato per sempre. Si avanzòanch'egli incerto e curiosoanche inquieto di dovere trovarsi conquel famoso Conte: pure lo rassicurava la faccia ispirata delCappellanoquelle sue parole che annunziavano oscuramente cosegrandie ciò che più stava a cuore di Don Abbondiocose quiete.

Ambeduei curati furono tosto introdotti nella stanza dove il Conte stava colCardinale. Don Abbondio s'inchinò umilmente ad entrambieguardava l'uno e l'altro ma specialmente il Conte; e aspettava che sidicesse qualche cosa per esser certo che non v'erano imbrogli. IlCardinaleprese in disparte il curato di Chiusoe dettoglibrevemente di che si trattavagli espose la sua intenzione di spedirtosto in lettiga una donna al castello a prender Luciaaffinchéquesta alla prima nuova della liberazione si trovasse con una donnail che sarebbe stato per quella poveretta una consolazione e unasicurezzanon meno che decenza per la cosa; e lo pregò disceglier tosto fra le sue parrocchiane la donna più atta aquesto uficio per saviezzae la più pronta per caritàad assumerlo. "Ne corro in cercaMonsignore illustrissimoeDio compirà l'opera buona". Detto questo uscì; iradunati nell'altra stanza lo guardarono curiosamentema nessuno lofermò per interrogarlogiacché si sapeva ch'egli eracosì avaro delle parole inutilicome pronto a parlare senzarispetto quando il dovere lo richiedesse.

IlCardinale si volse allora a Don Abbondioe con volto lieto glidisse: "Una buona nuova per voiSignor curato di... Una vostrapecorella che avrete pianta come perdutaviveè trovata; evoi avrete la consolazione di ricondurla al vostro ovileo per orain quell'asilo di che Dio la provvederà".

"Monsignoreillustrissimonon so niente"; rispose Don Abbondioil primopensiero del quale era sempre di scolparsi a buon contoe dilavarsene le mani.

"Come!"disse Federigo"non conoscete Lucia Mondellavostraparrocchianache era scomparsa...?"

"Monsignoresì"rispose tosto il curatoche non voleva passare perun pastore spensierato.

"Orbenerallegratevi"disse il cardinale"che Dio ce larestituisce: e questo signore" continuò (accennando ilConte) "è lo stromento di che Dio si serve per questaopera buona. In altro momento voi mi informerete dei casi e dellequalità di questa giovane".

-Ahi! ahi! - pensava fra sè DonAbbondio. - Bell'impiccio a contare la storia! Questadonna è nata per la mia disperazione.

"Perora"proseguì Federigo"quello che preme èdi riaverla e di riporla nelle braccia di sua madree in casa suase potrà esservi sicura. Andrete voi dunque con questo miocaro amico" (e così dicendo prese la mano del Conte ilquale lasciava dire e fare troppo contento che un tal uomo logovernasse e parlasse per lui) "andrete al suo castelloaccompagnando una buona donna di questo paese che ricondurràquella giovane nella mia lettiga. Per far più prestodaròordine tosto che due delle mie mule sieno bardate per voi e per lui.Vedete"continuò egli coll'accento di chi ècompreso di ciò che dice"vedete che in mezzo alletribolazioniai contrastiagli affanni del nostro ministeroDio ciprepara talvolta consolazioni inaspettatee servi inutili che noisiamo! pure ci adopera in opere nelle quali il bene èvisibileci vuole cooperatori della sua provvidenza misericordiosa".

Leparole del Cardinale potevano esser bellema in questo caso eranoveramente perdute. Don Abbondio all'udire un tal ordine sentìtutt'altro che consolazione; si trattava di ricondurre in trionfoalla presenza dell'arcivescovo quella Lucia nelle cui avventure eglisi trovava intrigato un po' sporcamentenella cui storia era partee in un modo e per motivi di cui l'ultima persona a cui avrebbevoluto render ragione era certamente quel Federigo Borromeo. Maquesto non era ancora il peggio: si trattava di far viaggio con quelterribil Contedi entrare nel suo castello senza saper chiaramente ache fare: tutto ciò che il curato aveva inteso raccontare intanti anni della audaciadella crudeltàdella bizzarriadella iracondia di costui si affacciava allora alla suaimmaginazione: e metteva in moto tutta quella sua naturale paura. Maquesta timidezza stessa poi non gli permetteva di rifiutaredi fareostacolo ad un ordine così preciso dell'arcivescovoin facciaa colui che ne sarebbe offeso. Vedendo poi quello pigliareamorevolmente la mano del terribil ConteDon Abbondio stavaguatandocome un ospite pauroso vede un padrone di casa accarezzaresicuramente un suo cagnaccio tarchiatoispidoarrovellatoe famosoper morsi e spaventi dati a cento persone; sente il padrone dire chequel cane è bonaccio di naturala miglior bestia del mondo;guarda il padrone e non osa contraddire per non offenderloe per nonesser tenuto un dappoco; guarda il cane e non gli si avvicina perchéteme che al menomo atto quel bonaccio non digrigni i denti e non siavventi alla mano che vorrebbe palparlo; non fa moto per allontanarsiperché teme di porgli addosso la furia d'inseguire; e nonpotendo fare altromanda giù il caneil padronee la suasorte che l'ha portato in quel gagnoin quella compagnia: tali eranoi sensi e gli atti del nostro povero Don Abbondio. Pure componendosial meglio che potèfece egli un inchino al Cardinale peraccennare che obbedirebbee un altro inchino al Conte accompagnatocon un sorriso che voleva dire: - sono nelle vostremani: abbiate misericordia: parcere subjectis -.Ma il Conte tutto assorto nei suoi pensierisbalordito egli stessodi tanta mutazioneintento a raccogliersia riconoscersiper cosìdireagitato dai rimorsidal pentimentoda una certa giojatumultuosacorrispose appena macchinalmente con una piegatura dicapoe con un aspetto sul quale si confondevano tutti questisentimenti in una espressione oscura e misteriosache lasciòDon Abbondio ancor più sopra pensiero di prima.

IlCardinalesi trasse in un angolo della stanza col Conte che tenevaper manoe gli disse: "Vi par egliamicoche la cosa vadabene così? Siete contento di queste disposizioni?"

"Eche?" rispose il Conte commosso e umiliato"dopo avertanto tempo fatto il male a modo miodovrei ora dubitare dilasciarmi governare nel ripararlo? e da Federigo Borromeo?"

"DaDio tutti e due"rispose questi"perché siamo duepoveretti. Andate"continuò poi con tuono affettuoso esolenne; "andatefigliuol mio diletto a toglier di pene unacreatura innocentea gustare i primi frutti della misericordia; iov'aspettovoi tornerete tosto non è vero? noi passeremoinsieme tutte le ore d'ozio che mi saranno concesse in questagiornata?"

"Seio tornerò?" rispose il Conte. "Ah! se voi mirifiutasteio mi rimarrei ostinato alla vostra porta come ilmendico. Ho bisogno di voi! Ho cose che non posso più tenerchiuse in cuoree che non posso dire ad altri che a voi. Ho bisognodi sentir quelle parole che voi solo potete dirmi".

Federigoin risposta gli strinse la manosi avvicinò ad un tavolinoscosse un'altra volta il campanello; e tosto entrò un ajutantedi camera; cui egli impose che facesse tosto apprestar la lettiga laquale stesse agli ordini del curato di Chiusoe facesse bardare duemuleche dovevano servire di cavalcatura ai due presenti. Datol'ordineriprese la mano del Conte e s'avviò verso la portadella stanza; ma veduto passando il nostro Don Abbondio che stavatutto pensieroso e come ingrugnatopensò il buon cardinaleche quegli forse avesse avuto per male di vedere quel facinoroso cosìaccarezzato e distintoe sè negletto in un canto. Si fermòtostoe rivolto al curato con un sorriso amorevolee quasi discusae con quel tratto cortese tanto raro a quei tempiin cui imodi comuni erano trascuratezza superbao cortigianeria iperbolicagli disse: "Figliuolovoi siete sempre con me nella casa delnostro Padre comune; ma questiquesti... perierat et inventusest". Don Abbondio rispose con un sorriso forzato al qualevoleva far dire: - certo è una granconsolazione -: ma in cuor suo tra sè e sèrispose con una frase proverbiale lombarda: - meglioperderlo che trovarlo -.

IlCardinale si avviò ancora verso la portiera; quando fu pressol'ajutante di camera spalancò le impostee Federigotraendoper mano il Conte che lo seguiva con gli occhi bassi e con la fronteumiliatauscì nell'altra stanza dove il clero che loaccompagnava nella visitae quello raccolto dalle parrocchie delcontornostava ragunato aspettando. Tutti gli sguardi furono levatiin un punto ai volti di quella coppia mirabilesui quali era dipintauna commozione diversama egualmente profonda: una giojaunatenerezzauna estasi tranquilla sui tratti venerabili di Federigoesu quelli del Conte i vestigi d'una grande vittoria e d'un grandecombattimentoil contrasto tra le feroci passioni che partivano e lenuove virtùun abbattimento che mostrava tuttavia il vigoredi quella selvaggia e risentita natura. A più d'uno deiriguardanti sovvenne allora di quelle parole d'Isaia: Il lupo el'agnello pascoleranno insieme; il leone participerà allaprofenda del bue. Il Cardinale s'arrestò un momento pocoal di là della sogliaabbracciò ancora il Conteilquale non ebbe tempo di ritirarsie gli disse: "v'aspetto";salutò della mano Don Abbondioe mostrò di volersiavviare alla sacristia: parte del clero lo precedettealtri locircondaronoalcuni gli tennero dietroe la comitiva partìgiunse alla sacristiadove il cardinale si vestì degli abitisolennied uscì nella chiesa affollata a celebrare gli uficjdivini. Quando fu cantato il Vangeloil Cardinale parlòdall'altare al popolocome era suo costume. In quel tempo in cui lacarestia era l'idea la più famigliaree l'affare il piùimportantesi diffuse egli con eloquenza cordiale a parlare dipazienza e di liberalità; a far sentire ai poverelli il beneche potevano cavare dai patimenti irrimediabiliagli agiati il beneche potevano farsi col rimediare a quei patimenti che avesseropotuto: e le parole dell'uomo di Dioprodussero ivi come da pertutto il doppio effetto ch'egli cercava; perché quelle paroleerano rese ancor più potenti dal soccorso e dall'esempio. Lelargizioni abituali di Federigo le quali non avevano altro limite cheil suo averegli avevano data una fama già antica di caritàsingolare: ma le angustie di quel tempo avevano resa la sua caritàancor più attivae più ingegnosa; e da per tutto siparlava del gran numero di poveri da lui nudriti quotidianamentenella cittàe dei mezzi da lui trovati per soccorrerlipernon perderne uno se fosse stato possibile. Peregrinando poi nelladiocesi per visitarlaegli non avrebbe avuto il cuore di vederedelle miserie senza sollevarledi esortare altrui alla pazienzaalla caritàcon le mani chiuse: quindi i poverelli dei paesidov'egli arrivava erano certi di trovare un soccorsodi non patireper quel tempo che avrebbero avuto fra loro il pastore. Nèquesto solo esempio si contentava egli di dare: sobrio in ogni tempoin quelli della carestia egli si misurava ancor piùscarsamente il cibo: voleva detrarre a sè tutto ciò chepoteva sollevare altrui; non gli pareva di compatire davvero ai suoipoveri se non pativa con essi; voleva mostrare col fatto che i disagidel vitto erano pur tollerabiliche si poteva anche in mezzo aquelli benedire il Signoreche si poteva non solo sostenerli conrassegnazionema eleggerli volonterosamente. I quali sensi sonoespressi in quelle sue belle parole: Sarebbe cosa moltodisdicevole vedere grasso il pastore e macilenti le pecore. Manel discorsoche Federigo tenne in quel giorno uscivano di quando aquando come dall'abbondanza del suo cuore parole piùmagnifichepiù tenere sulla misericordiasulla conversionesulla vita futurale quali erano intese da quelli che lo avevanoveduto col Contee in parte anche dal popolonel quale s'era sparsaconfusamente la notizia della gran mutazione: e quelli che eranosoliti di udirlo ebbero a dire che in quel giorno v'era nel suo direqualche cosa d'ispirato e di celeste oltre l'ordinario. Terminato ildiscorsocompiuto il Sagrificioattese egli alle altre funzioni delsuo ministero per lunghissima oracon quell'ardore suo solitoconquella intensità volonterosa e continuache non lasciavanemmeno da sospettare che vi fosse nelle sue azioni uno sforzo dalodareun tedio vintouna tolleranza virtuosa della fatica.

Intantoil Conte e il curato erano rimasti soli nella stanza: e la coppia erain un altro senso non meno mirabile di quella di prima.

DonAbbondio nojato del presente e inquieto dell'avvenireruminava frasè che cosa potesse dire a coluiper assaggiarloperconoscere l'umore della bestiagiacché di voglia o di forzadoveva trovarsi con quellae accompagnarla nella sua caverna: ma ilpover uomo non sapeva raccappezzare un pensierouna frase che stessebene. - Potrei- andava masticando frasè- potrei dire: mi rallegro... buono! se midomanda di checome posso rispondere? mi rallegro vuol dire chefinora non c'era da rallegrarsivuol dire che egli era un granbirbone. Costui è un matto furioso. E se la piglia pertraverso? È meglio parlare di cose estranee. - Eappena avuta questa ispirazioneDon Abbondio stava per dire: lagiornata è un po' rigida; ma non è da stupirsene; siamotra le montagne e ai ventidue di novembre. Ma si pentì tostoanche di questa risoluzione: perché diceva egli fra sè:- non vedi come è accipigliatomeditabondoturbato? Se gli fo motto di simili corbelleriemi puòrispondere in furiae togliermi il coraggio di andare... andare!bisogna andare. Oh che faccenda! oh che impiccio! Oh quando potròcontarla a Perpetuae dire: è andata bene!

Cosìsi angariava il pover uomocercando nella sua mente qualche materiadi discorsoe rigettando questa perché troppo arditaquellaperché troppo volgare; come un povero scrittore che abbia afare con un pubblico difficile. Se il Conte avesse potuto sospettareche la mente di Don Abbondio era ad una simile torturagli avrebbetosto cercate le parole più atte a dare sicurezza anche aipusillanimi; avrebbe fatto in modo d'infondere ogni coraggio a DonAbbondio: poiché il timore ch'egli ispirava sarebbe stato perlui in quel momento un rimprovero dolorosoun ricordo di tutto ciòche v'era stato in lui di feroce e d'ingiustodi ciò ch'egliallora detestavae voleva riparare. Ma per disgrazia di DonAbbondioera il Conte talmente occupato dei suoi pensieritalmentedistratto da tutto ciò che non eraegliil cardinaleeLuciache non si avvedeva per nulla della tempesta che bollivanell'animo del suo compagnoe a dir vero non si ricordava quasich'egli fosse presente.

Giunsealla fine l'ajutante di cameraa dire che tutto erA in pronto. DonAbbondio guardò allora al Conteil quale alla prima parolaintesa s'avviò; s'accorse allora di Don Abbondioe lo riverìcome si fa a persona che sopraggiunga; e quindi trovandosi giàpresso alla porta continuò il suo cammino seguendo l'ajutantedi camera. Don Abbondio che aspettava questo momento per vedere se ilConte gli usasse un atto di cerimonia anzi di civiltàepigliarne buon auguriofu contristato della poca buona creanza delConte; e gli tenne dietro con l'animo sempre più sconsolato.Ma il Contecome abbiam dettoera troppo sopra pensiero perricordarsi del cerimoniale.

Scesinel cortiletto della casa parrocchialetrovarono la lettigaconentro la donna istrutta dal buon curato; e presso alla lettiga le duemule tenute per la briglia da due palafrenieri. Salirono entrambi insilenzio; i lettighieri uscirono per porsi sulla via che conduceva alcastelloe i due cavalieri su le mule sempre guidate a mano dai duepalafrenierila cui compagnia fu molto gradita a Don Abbondioseguirono posatamente la lettiga.



Cap.II

Lacasipola del curato eraed è tuttaviaattergata allachiesicciuola di quel paesello: la cavalcata per porsi in via dovevagirare il fianco della chiesae passare davanti alla fronte sullaquale è voltato un arco che appoggiandosi dall'altra parte sulmuro della strada forma tetto sopra di questa. Già su la portadel curato cominciava la folla di coloro che non potendo capire inChiesané stare in luogo dove si vedesse quello che vi sifacevacercavano almeno di starvi più presso che si potesse.Quella pompa singolare si affacciò alla turbae i lettighieriche erano contadini del luogo domandarono il passo ai primi che loimpedivanocon un certo garbo inusitato che era loro ispirato dalsentimento indistinto che servivano a qualche cosa di santo e digentiledall'aver veduto il cardinaledalla commozione che apparivasu tutti i volti. La folla faceva largo guardando ognuno quellacomitiva con maraviglia e con curiositàe il Conte con unriserbo che non era più quel solito terrore. Così pianpiano la comitiva si avanzavaquando giunse sotto il porticodovesi dovette rallentare ancor più la marcia per la folla dipopolo chiusa fra i due muri; il Conteguardando nella Chiesa dallaporta che era spalancatasi trasse il suo cappello piumatoeinchinò la fronte fino su la chioma della mula: atto cheeccitò un mormorio di gioja e di stupore nel popolo che potevavederloe si propagò per tutta la follaognuno raccontandoneil motivo ai suoi vicini. Don Abbondio si trasse pure il suo grancappello senza piumes'inchinòsentì i suoiconfratelli che cantavanoe provò forse per la prima volta unsentimento d'invidia in una tale occasione. - Ohquante volte- diss'egli in cuor suo- questefunzioni mi son parute lunghe come la fame; e non vedeva l'orad'andarmene in sagrestia a piegare la mia cotta; e adesso torreivolontieri di star lì a cantar fino a sera; in quella santapace; e invece bisogna andare... Ma Dio benedetto! - sclamòegli internamente come l'uomo che è vivamente penetrato dalsentimento che gli si fa torto- giacchém'avete ficcato in questo impiccioalmeno almenoajutatemi.

Superatatutta la follail corteggio seguì pianamente il suo cammino;ma siccome la disposizione d'animo dei due personaggi a cavallo erasempre la stessaanzi i pensieri dell'uno e dell'altro diventavanosempre più intensi a misura che si avvicinava la metacosìil cammino si faceva in silenzioe noi non possiamo riferire che isoliloqui dell'uno e dell'altro.

-Gran cosa(è il soliloquio di Don Abbondio) grancosache a questo mondo vi debbano essere dei ribaldi e dei santiche gli uni e gli altri debbano avere l'argento vivo addossochequando hanno una ribalderiao un'opera santa da faredebbano sempretirare per forza in ballo gli altriquelli che vorrebbero attendereai fatti loro; e che tanto gli uni quanto gli altri debbano venir trai piedi a mepover'uomoche non m'impaccio degli affari altruieche non cerco altro che di starmene quieto a casa mia! Quel birbonedi Don Rodrigo s'ha da ficcare in capo di sturbare un matrimonioproprio nella mia parrocchiae m'ha da venire una intimazione diquella sorte! Un pazzo che ha nascita e quattrinicasa ben piantatae parenti in altoe potrebbe godersi la sua vita tranquillasignorilmente: attendere a dare dei buoni pranzistare allegroefare degli allegri: signor no: ha da desiderare la donna d'altritanto per venire a molestarmi. Oh questa ragazza benedetta vuolessere la mia morte! Deve proprio capitare in mano di costui (e cosìdicendo guatava sottecchi il Conte quasi per vedere se potevaarrischiarsi a strapazzarlo mentalmente); e costui che èsempre stato lontano dai vescovi come il diavolo dall'acqua santahada venir qui in personaa cercare l'arcivescovosenza che nessunoce lo abbia mandato per forzaproprio per metter me in impaccio: equesto arcivescovobenedett'uomo che vorrebbe dirizzar le gambe aicania cui pare che il mondo rovini quando la gente sta fermachedeve sempre far qualche cosa eglie far fare qualche cosa aglialtri; subitosubitotutto va benegran consolazionela pecorasmarritacredere tuttodarvi dentroe far trottare il curato. Chesi abbiano concluso fra loroDio lo sa: macospetto non bisognaandar così in furia a questo mondo. La santità nonbastaci vuole un po' di prudenzae sì che dovrebbe avereimparato: ha avuto delle belle brighea forza di cercarnee divoler fare andar le cose a modo suo: ma pare che vi c'ingrassi: nonne lascia scappare una; la carità va bene; ma la prima caritàdovrebb'essere per un povero curatoche un vescovoun vero vescovodi giudizio lo dovrebbe tener prezioso come la pupilla degli occhjsuoi. Chi sa costui che cosa gli ha contato? che fini ha?potrebb'essere una trappola: ahi! ahi! ahi! Ma se anchecome sperofosse convertito costui (e qui guardava il Conte) dovrebbe sapereMonsignore illustrissimo che dei peccatori inveterati non è dafidarsi così subitobisogna provarli: i primi momenti sonobruschi; e la forza dell'abito fa ricadere uno quasi senza che se neavveggae intanto... chi è sotto è sotto: ahi! ahi!ahi! S'aveva mò a mandar così un povero curatogalantuomo sotto la bocca del cannone?

DonAbbondio era a questo punto della sua meditazione quando la cavalcatagiunse alla taverna dove cominciava la salitae ne uscirono bravisecondo il solitoi quali videro con istupore il Conte con un pretedietro una lettiga. Pensarono che potesse esserenon lo sepperoindovinaree non fecero altro che inchinarsi al Conteil quale conviso serio proseguì il suo cammino. Ma Don Abbondiocontinuava: - ci siamo. Oh che faccie! Questa èla porta dell'inferno! E costui vedete che faccie stralunate faanch'egli! Un po' pare Sant'Antonio nel deserto quando scacciava letentazioniun po' pare Oloferne in persona! Dio m'ajuti; e lo deveper giustizia.

Infattii pensieri che si affollavano nella mente del Conte passavano per dircosì rapidamente sulla sua facciacome le nuvolette spintedal vento passano in furia a traverso la faccia del sole; alternandoad ogni momento una luce arrabbiatae una fredda oscurità.Pensava a quello che avrebbe detto e fattomettendo il piede nel suocastellotrovandosi con quegli dai quali in un punto s'era fattocosì diverso. Avrebbe voluto rendere gloria a Dioconfessareil cangiamento che era accaduto nel suo animorinnegare la suascellerata vita in faccia a quelli che ne erano stati i testimonjicomplicigli stromenti. - Ma... - dicevaun altro pensiero- guai se costorocredono unmomento ch'io non sia più quello da stendere in terra coluiche ardisse resistermi!

Cosìpensando egli pose macchinalmente la mano al luogo dov'era solitotenere una pistolae si ricordò di averle lasciate con lealtre armi in casa del curato. - Ohe! -continuava fra sè - Perché miobbedirebbero costoro? e se veggiono che questo pane infame èfinito per lorochi sa che cosa la rabbia può suggerire acostoro! E quello che importa è di non far paroledi nonperder tempodi ricondurre Lucia tranquillamente: quella poveretta!il pegno del mio perdono! - Se in questa casase inquesta cavernacessa un momento la disciplinail terrore delpadronediventa un inferno! peggio di prima! Costoro saltano ilconfinee sono in sicuro: eh gli ho avvezzi io così! -Ma che! dovrò io dunque umiliarmi a fingere dinanzi acostoro! a questi scellerati! Scellerati? costoro? chi sono costoro?i miei scolarii miei amiciquelli che ho ammaestrati io! Facciamoil bene per l'unica via che è aperta. Bisogna dissimulare; sidissimuli. - Così pensando egli si guardòattornoe visto che nessuno dei suoi era in vicinanzaalzòla voceordinò ai lettighieri di restarescese da cavallosi avvicinò alla lettigae salutata la buona donna che v'eraseduta le disse sottovoce: "L'opera di carità che voifate oravuol esser condotta con prudenza assai. Lasciatevi regolareda me in tutto; e sopra ogni cosa non dite parola che a quellapoverettae a chi ardisse interrogarvidite che parli con me. Voientrerete nella stanza dov'è quella giovanele diretebrevemente che siete venuta a liberarla; non ne dubiteràquando vedrà il suo curato: sarà spaventatapoveretta!vedete di annunziarle la cosa in modo che la sorpresa non le facciamale; la lettiga verrà nella stanzae ripartiremo tosto".La buona donna rispose che farebbe come le era detto. Mentre il Contele dava questa istruzione Don Abbondioil quale fino allora si eraspaventato ad ogni bravo che s'incontravae che per consolarsiguardava ai lettighieri e ai palafrenieristava tutto in incertezzaper questa fermatae sospirava. Il Conte spiccatosi dalla lettiga siavvicinò alla mula di Don Abbondio che aspettava quello cheavvenisse con gli occhi sbarratie gli disse sotto voce: "SignorCurato; ella non ha bisogno che io le insegni ad esser prudente; main questa casaè necessaria una prudenza che io solo purtroppo posso conoscere appieno. Se le sta a cuore la riuscita diquesto pio disegnonon dica parolanon faccia cenno che possa darea divedere nulla a costoroné di quello che si vuol farenédi quello ch'io penso. Perdonisignor curatose non le dico di piùse non le faccio più scuse dell'incomodo ch'ella patisce permia cagionema Ella ne spera la ricompensa dal cieloe verràtempo in cui io potrò tranquillamente esprimerle la miariconoscenza".

Lavoce dell'uomo che sgombra le rovine e le maceriee che chiama ilpoveretto che è stato colto dalla caduta d'una fabbricae visi trova sepolto vivoè appena più dolce al suoorecchio che fosse quella del Conte al povero nostro Don Abbondio.

"Ah!signor Conte"diss'egliconfondendo il sentimento che volevaesprimere con quello che provava realmente"Ella mi dàla vita. Dio sia benedetto! queste sono grazie di lassù. Toccaa me farle scusa se sono stato incivile..."

"Zittoper amor del cielo"interruppe il Conte: "ad altro tempole cerimonie: Ella non faccia vista di nullasi contenga in modo chenessuno possa sapere qui s'ella giunge in casa d'un amico... o d'untiranno". "Lasci farelasci fare a me"; rispose DonAbbondio. Il Conte salì di nuovo su la mulae volto ailettighierie ai palafrenieri disse loro: "Silenzioeobbedienza: non dite né rispondete una parola in quelcastello; non parlate nemmeno fra voi; silenzio insomma... e il primodi voi che fiata... Ma no!" continuòravvedendosiintuono più dolce"figliuoli non fiatateperchépotreste far molto male a voi e ad altri. Andiamo". Ilettighieri che deposta la lettiga avevano ascoltata a bocca apertaquesta arringaripresero le cinghie su le spallecontinuarono laloro stradale mule seguirono: e si giunse alla porta del castello.

Glischerani del Conte che al suo avvicinarsi al castello s'incontravanosempre più frequentigià stupiti di quel suo uscirsolo al mattino in un giorno di tanto movimento e di tanto concorsolo erano ancor più allora di vederlo tornare al seguito d'unalettiga chiusaa paro d'un pretecon quelle cavalcaturesconosciute: ma quello che portava al sommo il loro stupore si era divedere il loro padrone senz'armi. Quella partenza aveva dato luogo amolte congetturee fatta nascere una aspettazione di qualche cosa dinuovoma il ritorno invece di soddisfare la curiosità lacresceva e la impacciava davantaggio. Era una preda? Come l'avevafatta il padrone solo? e perché il vincitore tornavadisarmato? O che diamine era? Chinandosi umilmente davanti al padroneche passavacercavano essi di spiare sul suo volto qualche indiziodi questa faccendama il volto del Conte era impenetrabile: e glischerani rimanevano a guardarsi l'un l'altro con la bocca aperta.

Allaportail Conte scese dalla mulae fece cenno di fare altrettanto aDon Abbondio che lo guardava attentamenteappunto per non perdere uncenno; e veduto questo si lasciò tosto sdrucciolare dalla suamula. Il Conte disse ai palafrenieri: "aspettate qui";disse al curato di seguire la lettiga; andò egli dinanziedisse ai lettighieri: "seguitemi". Tutto si fece com'egliaveva imposto: il Conte entrò col suo seguito nel cortilesiavviò alla stanza dov'era Luciaed entrato in quella che leera vicina; fece restare i lettighierisi chiuse dentroe comandòche la lettiga fosse posta a terra. Aprì allora lo sportellodiede la mano alla buona donnala fece uscire e disse sotto voce inmodo da non essere inteso che da quelli che lo vedevano: "Inquella stanza è la giovane da condursi via: e con lei unavecchia malandrina... una vecchia. Io la chiamerò fuori: voientratee voi pure Signor Curato. Annunziate a quella giovane che èliberache deve partir tosto con voiche la cosa deve passarequietamente; non perdete tempo: quando ha intesoquando èdispostabussatela lettiga verrà nella stanza: fatelasedere in essaponetevi al suo fiancotirate le cortinee venitequi: io vi aspetto: andrò innanzipoi la lettigapoi ilsignor curato; dritto alla porta; quivi saliremo sulle nostre muleeripartiremo. E voi"disse rivolto ai lettighieri: "zitti".Così detto condusse la buona donna e il curato sulla sogliadella porta chiusa che dava alla stanza di Luciabussò: s'udìla voce della vecchia che disse: "chi è egli?" "Io":rispose il Conte: la vecchia aprìe vide le due facceinaspettate col padronerestò come incantata. "Uscite"le disse il Conte; quella uscì tostoe i due salvatorientrarono. "Fermatevi qui" disse allora il Conte allavecchia; e non disse altro: egli la vecchia e i lettighieri stetterotutti immobiliegli a tender l'orecchio e a numerare i momentiilettighieri ad aspettaree la vecchia a smemorare.

Luciaaveva passata la notte in un letargo agitato da sogni tormentosi e darisvegliamenti più tormentosi ancora. Al mattino la vecchiadestandosiaveva chiamata Luciae non udendo rispostas'era levatain fretta aveva aperte le finestree avvicinatasi alla captivachinatasi a guardarlale aveva chiesto se dormissese volessetogliersi da quel cantuccioe ristorarsi di cibo che doveva avernebisogno. "Nolasciatemi quietaricordatevi del vostropadrone"era stata la sola risposta di Lucia. La vecchiabrontolando s'era ritiratae per far qualche cosa s'era posta arifare il suo letto; quindi era andata ad una tavola dov'erano lereliquie della cenavi si era sedutae s'era messa a mangiareaccompagnando questa operazione con le parole e con gli atti ch'ellacredeva più opportuni ad eccitare l'emulazione di Luciae avincere il suo proposito: poiché la vecchia non potevasupporre che si resistesse a lungo ad una tentazione di questa fattaprincipalmente dopo un lungo digiuno come quello che aveva patitoLucia. Cominciò dunque a sclamare: "Ih! quanta roba! cen'è per quattro bravi! e che grazia di Dio!" Quindi steseun mantile e cominciò a trinciare un pezzo di stufatoregolando ogni movimento in modo che il romore eccitasse nella mentedi Lucia una immagine chiara di quello ch'ella faceva. E questa suacura era spinta al segno (la delicatezza dei lettori ci perdoni seper seguire fedelmente il manoscritto in tutto ciò che puòessere una rappresentazione del costumeripetiamo anche questaparticolarità) che postasi a mangiareella andavarimasticando nella sua bocca sdentata il bocconeproducendo conaffettazione quei suoniche a ragione proscrive Monsignor dellaCasa; perché ella s'immaginava che in quei suoni vi fossequalche cosa di appetitoso: la sua educazionee le sue anticheabitudini avevano talmente elevata sopra le sue idee l'idea dimangiare di quei bocconi che non sono concessi a tuttiche tutto ciòche era associato a questa idea era per leiimportanteleggiadroirresistibile. "Buono!" diceva di tratto in tratto. "Buono!viva l'abbondanza! muoja la carestia! Bella cosa vivere in casa deisignori!" E pure di tratto in tratto dava una occhiata allasfuggita al cantuccioma vedendo Lucia insensibilesi adiravadell'inutilità dei suoi artifici così reconditi; emescolava alle esclamazioni di ammirazione e di gioiaun brontoliosordo di "ehn! ehn! smorfiasmorfiasmorfia!" Vennefinalmente all'ultima prova e al più forte esperimento: presecon la sua destra rugosa e scarnata un fiasco che stava sulla tavolacon la sinistra un bicchieree fattili prima cozzare un tratto etintinniresollevò il fiascolo inclinò sulbicchierelo riempìse lo pose alla boccatracannòun sorsoritirò il bicchierebattè due o tre volte unlabbro contra l'altroe sclamò: "Ah! questorisusciterebbe un morto! Bella felicità averne dinanzi un buonfiasco! Al diavolo i rangolie i pensieri! Non mi duole piùnemmeno d'esser vecchia; ma se fossi giovane ih! come vorreigodermela!" Detto questo ripose il bicchiero alla boccalovuotòe cheta cheta si volse al cantuccioe rimase tra lostupore e la stizzavedendo che anche l'incanto più forte nonaveva prodotto alcun effetto.

"Nonvolete mangiare un boccone e bere un sorso?" diss'ella a Lucia."No": fu la risposta proferita in modo da non lasciare allavecchia la lusinga che la insistenza produrrebbe maggior effetto.Finalmente la vecchia si levò dalla tavolaprese una scrannala portò presso una finestrae tolta la sua rocca si pose afilarepensando ai casi suoi ed aspettando la venuta del padrone conmolta inquietudine.

Percomprendere i pensieri stranamente molesti che ronzavano nella mentedella vecchia filatrice è necessario avere una idea di quellamentee dei casi che l'avevano modificata.

Eracostei nata (come dice il volgo di Lombardia) sotto le tegole delConteo per dir meglio del padre del Contedieci anni prima diquesto. Ciò ch'ella aveva intesociò ch'ella avevaveduto dai suoi primi anni le avevano dato un concetto grandeindeterminatopredominante del potere e del lustro dei suoi padroni.La massima principale ch'ella aveva attinta dalle istruzionidagliesempjda tuttoera che bisognava obbedir loro: che ciòfosse per doverefosse per interessefosse per destino eranoquestioni che non s'erano mai presentate al suo spirito: ella sapevache bisognava obbedire. Ebbe ella poi l'onore di sposare il custodedel castello quando i padroni non facevano ivi che una brevevilleggiaturaabitando in Milano la maggior parte dell'anno.L'uficio del marito doveva presentare cento occasioni cherinforzassero ed estendessero l'idea che la nostra allora giovanedonna aveva del potere della famiglia per lei sovrana; e le partich'ella doveva prendere nei servizj del marito le furono occasione diapplicare la sua obbedienzadi esercitarlae di avvezzarla a tutto.Quando il Conte divenne padronequel potere divenne ancor piùgrande e più attivoin proporzione dell'attivitàviolenta dell'animo di lui; e coloro che erano ministri di questopotere dovettero divenire ancor più obbedientie piùsoperchiatoriessere più spaventati e fare piùspavento; pochi servitori ai quali la coscienza disse che era tropposi ritirarono; quegli che rimasero crebbero nella perversitàcome una pianta velenosa cresce di grandezza e di forza maleficaquando si trova in un terreno confacente. Il marito della nostraeroina episodica fu di quelli che rimasero.

Quandopoi il Contecarico già di delittie bandito capitalmentevenne ad abitare stabilmente il castelloche fu per lui un asilo edun campo allo stesso tempoper condurvi quella vita della qualeabbiamo dato un cennoè facile immaginarsi quale dovesseessere allora l'attività e l'obbedienza di coloro che stavanoal suo servizio e presso a lui. La sciagurata fu madre di una figliache a suo tempo fu sposata ad uno scherano del Contee di due figliche furono scheranie furono soprannominati il Nato-in-casa e loSpettinato. Alla morte del maritoella rimase senza serviziodeterminatoma destinata a tutti quelliche potevano essereprestati da una donna accostumata com'ell'era. Tener disposto ilpranzo pei bravi a qualunque ora tornassero da una spedizionemedicare i feritiaccudire insomma ad essiera la sua occupazionepiù ordinaria: quasi tutte le sue idee erano ricavate dai lorocolloquj; ma tutte erano dominate da una idea principalequella dinon dispiacere al padrone. Le impressioni della infanzia l'avevanoabituata ad una riverenza tremante per luivissuta ai suoi servizjella non poteva immaginare che fuori di lui vi potesse essere peressa un asiloun sostegno; e aveva tanto inteso diretanto avevaveduto degli effetti della collera di luiche il minimo grado diquella collera la metteva in un'angoscia mortale. In tutto ciòche ella aveva a fare e a dire non aveva quindi da gran tempo altracura che di accontentarloogni altra regola taceva dinanzi a questounico interesse che era quasi divenuto un istinto: anzi ogni altraregola si era a poco a poco quasi smarrita affatto dalle sue idee.Quei pochi pensieri e documenti di religione che le erano stati daticonfusamente nella infanzia erano obliterati dal disusodal nonsentirli mai rammemorare; e l'idea di giusto e d'ingiusto che pure èdeposta come un germe nel cuore di tutti gli uominisvolta nel suofin dal principio insieme con le passioni del terrore e dellacupidigia servileaccomodata per abito ai principj che tuttogiornosentiva predicareed alle azioni che vedeva compiersi e alle qualiella partecipavaera divenuta una applicazione mostruosa di tuttequeste idee e di tutte quelle passioni. La volontàcapricciosairregolareviolenta del Conte era per lei una specie digiustizia fatale; spiacergli era colpa o sventuramale insomma. Laragione o il torto stavano per essa nella approvazione o nelmalcontento del terribile padrone: poiché quale altro motivodi ragione comune poteva aver luogo in quella casae fra quellepersone? quale principio generale di equità avrebbe potutoessere invocato da coloro che non li riconoscevano nei rapporti congli altriche li violavano tutti? E come mai avrebbe potuto averragione una volta quella che servendo alle soperchierieerallegrandosene rinunziava di fatto ad ogni principio di dirittoenello stesso tempo non aveva forza alcunanon aveva una minaccia persostenere un diritto quando il suo interesse la portasse a sentirlo ead ammetterlo? A tutte queste abitudini di servitùe diannegazione perversasi aggiungeva un sentimentoin originemiglioreche li rinforzava; il sentimento della riconoscenza.Avvezza costei a ricevere il suo sostentamento dal Contericonoscevala vita come un dono della volontà di lui: come un beneficiodella sua potenza. E avvezza pure a risguardarsi dalla infanzia comecosa del suo signore provava un certo orgoglio di consenso per quellasua potenzapel terrore ch'egli incutevale pareva di esserequalche parte di un sistema molto importante. La gioja orrendach'ella aveva provata tante volte nella sua vita pel buon successodelle imprese del Contegioja che nasceva da tutti i sentimentiabituali che abbiamo descrittil'avevano resa non indifferentemapropensa ai patimenti altruied ella gli procurava con compiacenzaogni volta che il timore del padrone le avesse permesso o consigliatodi farlo. Bersaglio sovente degli strapazzi e degli scherni deibraviella aveva imparato a tollerarerodendosi quando non potevaripetere; ma quelle poche volte che le era lecito di straziarliimpunemente senza dispiacere del padronele uscivano dalla boccacose tanto argutetanto profondetanto inaspettateche il diavolovi avrebbe trovato da imparare.

Intendeteora perché la vecchia guardando Luciafaceva saltare il fusocon istizzae di tempo in tempo lo lasciava oscillare penzolone perariatutta assorta nei pensieri del terrore? Dagli ordini che ilpadrone le aveva dati partendoe dal tuono con cui gli avevaproferitiella aveva compresoche al padrone premeva quellaragazzach'egli l'aveva fatta pigliare e la riteneva chi sa perché?ma che voleva ch'ella fosse contenta. Vedendo ora che tutti i suoitentativi per raddolcirla erano inutiliche la obbedienzail garboquasi servilegl'inviti amichevoli non avevano servito a nullastava in angoscia pensando a quello che avrebbe detto il padronequando tornando avrebbe trovata Lucia in quello stato diabbattimento. Poter dire: - io non ci ho colpa -non era un pensiero che rassicurasse la vecchiaperchéella era solita a vedere che il padrone misurava il suo tratto congli uomini dalla soddisfazione o dalla noja che sentivae non daaltro. Che colpa avevano tanti ch'egli aveva mandati all'altro mondo?e alla sorte dei quali ella stessa aveva applaudito? Tentava elladunque di tempo in tempo Lucia con qualche parola dolcenella qualea dir vero ella stessa poneva poca fiduciadopo d'aver veduto Luciaresistere alla tentazione del mangiare: e in fatti non otteneva daLucia altra risposta che un "no" talvolta replicatoalquale ella ammutoliva: e si stava come abbiam dettoaspettando conla venuta del padrone la rivelazione del destino.

Mala povera Luciacome nella notte non aveva mai fatto un sonno pienointeroe per dirla con un calzante modo milanese non aveva maipotuto dormire serratocosì a giorno fattonella lucechiaranon era desta perfettamente. Le memoriei terrorilesperanze si agitavano e si succedevano nella sua mente conquell'impeto volubilecon quel vigore incerto dei sognie il corposbattutoestenuato dai travaglidal digiuno e dalla febbre nonconcedeva allo spirito il pieno esercizio della coscienza.

Inquesto stato era Lucia sempre rannicchiataquando fu bussato dalContela porta s'apersela vecchia uscìe la buona donnaentrò con Don Abbondio. Tutto questo fu un istante; ma unistante di nuovo batticuore per Lucia alla quale se lo stato presenteera intollerabileogni mutazione era però una contingenza dispavento. Fissò ella gli occhi nei sopravvegnentivide unadonna e si rincoròvide un pretee le sue speranze siaccrebbero; guardò più attentamente: - èegli o non è? son'io trasognata? È il mio curato! -La buona donna si avvicinò a Lucia che senza quasipensarvi si alzòe salutatala con un volto di pietàcortesesi pose l'indice della destra su le labbrae stesa la mancala abbassava e la rialzava lentamente come si dipinge il Salvatoreche acquieta i flutti del mare di Tiberiadee disse con vocesommessaallegramente: "veniamo a liberarvi".

"Èdunque la Madonna che vi manda?" disse Lucia con un giubiloancora incertoma pur vivissimo.

"Puòessere"rispose la buona donna.

"Chisiete? come avete potuto...?" cominciò Lucia alla buonadonna; indi tosto rapita da un'altra brama di saperesi rivolse alcuratoe continuò: "e leisignor curato: come...?"

"Ah!vedete?" rispose Don Abbondio: "son qui ioil vostrocuratoa liberarvidal lago dei leonisenza riguardi per meinuna giornata freddaa cavallo..."

"Emia madre?" domandò ancora Luciaa cui le idee sisuccedevano in folla.

"Lavedrete prestooggi"rispose Don Abbondio: "ma primadovete vedere ben altro personaggio..."

"Chi?dove?" richiese Lucia.

"Monsignoreillustrissimoche ci aspettache vuol vedervi. Ma abbiate giudizio:badate a quel che dite; voi non potete avere pratica di quello che vadetto e taciuto ai signori grandi. Vi chiederà delle vostrevicende: non istate a troppo ciarlare: vi può far del bene; mabisogna guardarsi dal toccar certe corde: non parlate del matrimonioperchévedetese sapesse che avete voluto sorprendere ilcuratofare un matrimonio clandestinoguaiguai...!"

"Chiè Monsignore illustrissimo?" domandò Lucia.

"Èil cardinale arcivescovo"rispose Don Abbondio"un uomodi Dioma bisogna saperlo pigliareperché..."

"Andiamotosto"disse la buona donna.

"Èvero"disse Don Abbondio"andiamo perché qui non ètroppo sano stare: ma ricordatevi di quello che v'ho detto".

"Comefaremo ad uscire?" disse Lucia: "e se ci veggono?"

"Nontemete"disse la buona donna: "il padrone del castelloviene egli stesso a cavarvene: qui fuori è la lettigavoientrerete con mee partiremo col signor curato".

"Hoda vederlo ancora il padrone?" chiese ansiosamente Luciaper laquale il Conte era ridivenuto orrendoda poich'ella aveva veduti duevisi umani. E continuò: "ho paura di lui: ho paura".

"Chepaura?" disse Don Abbondio"siete con meed è mioamico. Risolvetevi".

"Nonlo vedrete"disse la buona donna: "noi ci chiudiamo nellalettiga e si partee in un momento siamo a Chiuso".

"Ah!Chiuso!" sclamò Lucia: "dov'è quel buoncurato! andiamoandiamo. Oh Madonna santissimavi ringrazio! Me losentiva in cuore che non mi avreste abbandonata!"

Labuona donna aperse un filo della porta tanto da poter far un cennoche fu tosto veduto dal Conteil quale comandò ai lettighieridi andare nell'altra stanza. Queglino vi portarono la lettigaLuciavi entròe la buona donna dopo leisi tirarono le cortineilettighieri uscironoil curato dietro: nell'altra stanza il Conte siaccompagnò con luidisse alla vecchia: "aspettatemi quiun'orae se non torno andate a fare i fatti vostri". Nelcortilealla porta del castelloil Conte e il curato a cavallolalettiga davantigiù per la discesae diritto a Chiuso. Amisura che la caravana si avanzava nel suo viaggiotutti quelli chela componevanorespiravano più liberamente. Appena la buonadonna fu nella lettigaal momento che i portatori la sollevavano perpartireella raccomandò a Lucia di non parlare finch'ella nongliene desse avviso. Ma poi che dallo scalpito delle mule cheseguivano s'accorse che era varcata la sogliacominciò aguardare un po' fuori delle cortinee vista la strada liberaruppeella stessa il silenzio dicendo a Lucia: "Povera giovane!l'avete passata brutta! Ma Dio ha pensato a voie tutto èfinito".

Questeparole diedero campo a Lucia d'interrogare la buona donna; checercava di soddisfare alle sue domandedicendo quel poco che sapevae come lo sapeva. Lucia a poco a poco vedeva un po' più dilume nelle sue strane e terribili avventure: le risposte della buonadonna la rimettevano sulla viae l'ajutavano a spiegare tantimisteri della sua sventura e della sua inaspettata salute; tanto chein quel viaggio Lucia potè farsi una idea del suo statocomprendere qualche cosaed uscire da quella affannosa confusioned'idee nella quale lo stranol'insolitodi quello che si vede e sisoffre non lascia riposare la mente in alcunanon lascia altracertezza che quella di esisteree questa stessa diviene un tormento.

"Ohquando potrò vedere mia madre!" sclamò Luciaappena si sentì rassicuratae potè discernere quelloche era realequello che era possibile. La buona donna le promiseche appena suo marito tornerebbe dalla Chiesaella lo determinerebbead andarne in cercaad informarlaa condurla presso di lei.

DonAbbondio pigliava fiato ad ogni passo; la conferenza che il Cardinaleavrebbe con Luciagli dava un po' di briga per le cose che sidovevano rivangare di quel tale matrimonio: vedeva in lontano deipericoli per parte di Don Rodrigo; ma il sentimento predominante eraallora la gioja di uscire sano e salvo da quella spedizione. Pieno diquesto sentimentoDon Abbondio aveva una parlantina che nessuno gliavrebbe supposta vedendolo così silenzioso nella prima andata;e non avrebbe rifinito di ciarlare col Contese questi avesse fattotenore ai suoi inviti. Ma il Conte benché lieto di ricondurreLucia al Cardinaleera tuttavia troppo compreso da tanti sentimentiper prestarsi alla garrulità di Don Abbondio. Ed oltre ilresto era anche un po' umiliato internamente dell'inquietudine cheaveva provata nella spedizionedelle precauzioni che aveva prese incasa suadi una prudenza che gli pareva pusillanimità. Ma ilConte non si conosceva: s'era fatta nel suo animo una rivoluzionedella quale egli non s'era reso ben conto: v'eran nati deisentimentivi s'erano svolte delle disposizioni ch'egli non avevaancora potuto ben raffigurare: e non s'avvedeva che questapusillanimità era una nuova sollecitudine pia e gentile peruna debole innocenteuna delicatezza fin allora estrania all'animosuoun timore che non si sarebbe presentato a quell'animo se non sifosse trattato che d'un proprio pericolo.

Giunseroa Chiuso che il Cardinaleil clero e il popolo erano ancora nellaChiesa. La buona donna fece andar la lettiga a casa suadovediscesee condusse Lucia già tutta rassicuratae tosto lefece animo a ristorarsi dopo un sì lungo digiuno. L'invito eraben altrimenti gradevole che non nella bocca della vecchia delcastelloe Luciache sentiva il bisogno di nutrimentoaccondiscesecon riconoscenza. Intanto Don Abbondio e il Conte entrarono nellacasa del curatoe quivi si stettero ad aspettare il Cardinale.

Questinon tardò molto a venireprecedendo velocemente il clero chegli faceva codazzoed entrato nella stanzae veduti i due tornatichiese tosto con ansietà: "È qui?"

"Èqui"rispose il Conte.

"L'abbiamocondotta sanamente"rispose Don Abbondio.

"Diosia lodato!" sclamò il cardinale: "e ve ne rimeritientrambi". E preso in disparte il Contementre gli altri siritiravano: "Non siete più contento ora?" glichiese. "Vedetese Dio ancor non sa che fare di voi?"Quindi per quella gentile e minuta sollecitudine ch'egli mettevaanche nelle cose più gravi: "voi dovete essereaffaticato"disse al Conte"certo voi non miabbandonerete oggi: e... ma questa mattina voi non avete certopensato a far colazione?"

"Nodavvero"rispose il Conte.

"Benebene"rispose il Cardinale"io voglio cominciare aprovare se posso farmi obbedire da voi"e traendolo per la manosi avvicinò al buon curato di Chiusoche se ne stava chetofra gli altrie gli dissecon aria sorridente:

"Signorcuratovoi siete tanto umile che sarebbe dabbenaggine il non far dapadrone in casa vostra. Io invito il signor Conte a pranzare connoi".

Ilcurato che non lasciava mai scappare l'occasione di rispondere con untesto della Bibbiadisse levando le mani al cieloe poi stendendoleamorevolmente verso il Conte: "Benedictus qui venit in nomineDomini".

DonAbbondio invitato anch'eglisi rifiutò dicendo di non volereabbandonare per lungo tempo il suo ovile; uscì dalla casa delcuratoentrò in quella dove era ricoverata Luciaalla qualeraccomandò ancora fortemente di non parlare di matrimonio colcardinalequindise ne andò a casa. Intanto la refezione fuprontae il cardinale si sedette a mensatenendosi presso da unlato il curatodall'altro il Conte e poscia gli altri ecclesiasticidel suo seguito in un ordine consueto. La frugalità diFederigo era tanto al di qua della temperanzache virtù inluisarebbe divenuta indiscrezione se egli avesse voluto imporlaagli altri: quindi nel suo palazzo la mensa dei famigliari non simisurava dalla sua; anzi in paragone di questa si poteva dir lauta.Quando poi visitando la diocesi egli era ospite dei parrochiquestisapevano troppo bene che un trattamento fastoso non era il mezzo dientrare in grazia a quell'uomoe si regolavano in conseguenza. Ilcurato di Chiuso poi aveva un modo di pensare molto singolare. Egliriteneva che trattare sontuosamente un uomo il quale predicava atutta possa la povertà e la modestiasarebbe stato un dirglicoi fatti se non in parole: - io vi credo un ipocrita-. Per altra partela borsa del curato eraordinariamente e tanto più in quell'annofornita a un dipresso come quella d'un figlio scialacquatore che abbia il padrespilorcio: e l'aspetto poi della miseria universale era tantoterribilee tanto presente ad ogni momento che un trattamentofastoso avrebbe fatto ribrezzo anche a chi non avesse avuta la caritàdelicata e profonda del Cardinale Federigo e del Curato di Chiuso. Datutti questi fatti venne di conseguenza che la tavola di quel giornosomigliò molto più alla tavola ordinaria del cardinaleche a quella dei suoi famigliari.

Maquella conversazioneresa così singolare dalla presenza delContefu gioconda. Il Cardinalebenché atterrato dallefatiche e angustiato dalle cure continuee dalla vista continua deimalipure aveva sentita in quel giorno una consolazione chetraspariva nella sua facciae si diffondeva nei suoi discorsiepassava nei suoi commensali. Il Conte stessoquantunque la sua vitaintera pesasse in quel giorno su la sua memoriaquantunque tantifatti si presentassero alla sua mentespogliati di quella mascheracon cui gli aveva veduti nel momento della esecuzionee lasciasseroora vedere la loro forma vera e spaventosapure sentiva una certapace in quel nuovo consorzio fra quelle idee che gli facevanointravedere una nuova vita di menteun nuovo interesseuna serie dipensieri coi quali si potesse vivere. Dopo la mensa usava ilCardinale nelle sue visite di prendere un breve riposoe poi dicontinuare le faccende pastorali per le quali era venuto. Ma in quelgiorno non v'era riposo per lui che nello stare più che potevaunito all'animo del Conte per uniformarlo al suo; e la vigna di quelbuon prete Morazzone era tanto ben coltivata che aveva poco bisognodella ispezione di Federigo. Si levò egli dunquee preso permano il Conte che lo seguì volenterososi chiuse in unastanza con lui. Del colloquio ivi tenutosi non v'è traccia nelnostro manoscrittoné a dir vero noi ne facciamo caricoall'autoremaravigliati come siamo ch'egli abbia potuto pescarqualche cosa di quel primo abboccamento; quando il Ripamonti stessoun famigliare del Cardinalee biografo di lui protesta che dellecose passate tra questo e il Conte nel secondo colloquio nulla hatrapelato. Quel poco però che il Ripamonti dice degli effettidi questo secondo colloquio serve molto a dare una idea dellaimportanza della mutazione d'un uomo in quei tempie a dipingermeglio il Conte. Noi crediamo far cosa opportuna traducendo quel pocodal bel latino di quello scrittore poco conosciutoe che meriterebbecertamente di esserlo più di tanti altrie perché intanta perversità di ideedi cognizionidi giudizje distileegli (che che ne dica molto leggiermente il Tiraboschi) fu unodi quelli che più si avvicinarono a quella castigatezza e aquella semplicità che da se stessa si attacca alle parole doveè espresso il vero; e perché in qualche parte delle suestoriee principalmente nella vita del Card. Borromeoe nellaDescrizione della peste di Milanosi trovano osservazioni e pitturedi costumeche invano si cercherebbero altrovee che possonoarricchire la storia tanto scarsa dell'animo umano. Ecco il passo delRipamonti.

"Chesia stato detto in quel colloquionon è a nostra notizia;perchéné fra noi v'era chi fosse ardito d'inchiederneil Cardinale; né mai quell'altro ne fece motto conchicchessia. Certo dopo il colloquiotanta e sì repentina fula mutazione d'animo e di costumi di quell'uomoche nessuno dubitòdi attribuire il prodigio alla efficacia di quel colloquio; e tuttaquella famiglia di scherani vide in quel fatto la mano del Cardinalee lo colse in odio come colui che le aveva tolto il suo guadagno.L'altra famiglia pure che sparsa ed appostata nei due Stati vivevadegli ordini sanguinolenti di costuis'accorse dal cessare delleorribili paghe della nuova mansuetudine di lui. Ad un tempomoltidei principali della città uniti con lui in occulta societàdi atroci consigli e di funeste faccendepoiché videro lefaccende già accordate e avviate rimanersi a mezzo abbandonateda luis'apposero tosto ch'egli aveva cangiato vitanépoterono disconoscere l'autore d'un tanto cangiamento. E dovetteropure avvertirlo alcuni principi stranieri che da lontano avevanoadoperato quest'uomo a qualche grande uccisionee gli avevano piùvolte mandati ajutie ministri: ma sospesi andavano fantasticando lacagione del cangiamento; fin che fu loro manifestata dalla fama. Iosiccome non avrei voluto per ingrandire il fatto aggiungervi nulladel mio; così non debbo pure toglier fede a ciò che ètoccato con mano. Vidi io stesso poco dopo quell'uomo ancora in saldae rubesta vecchiezza; non aveva dell'antica ferocia che i vestigj ele marche con che la natura manifesta le inclinazioni e le pecched'ognuno: ma queste marche stesse apparivano temperate e quasicoperte dalla recente mansuetudine: e indicavano una naturadisciplinata e vintacome da una forza poderosa".

Lenotizieche si ricavano da questo passoquantunque ravvolte intermini tanto generalici sono sembrate adatte a supplire almeno inparte alla scarsezza del nostro autoreil quale dopo aver eccitatatanta curiosità su quel personaggio e sulla sua conversionenon ne accenna altro effetto che la liberazione di Lucia; forseperché gli altri gli sono paruti estranei al suo raccontoofors'anche perché a parlarnegli conveniva rimescolare piùmaneggje toccare più persone che non comportasse la suasquisita prudenza.

Riferisceegli però compendiosamente le prime disposizioni che il Contediede in quel giorno stesso al nuovo governo della sua famiglia; enoi le ripeteremo dietro la sua relazione. Staccatosi dal Cardinaleegli si avviò soloa piedee disarmato com'era al castelloe fece la strada e l'entrata con quella sicurezza e fortezza d'animoche non aveva avuta nella spedizione del mattino: perché eglinon aveva ora una innocente da mettere in salvo: i pericoli se ve neavevaerano tutti per lui; e il disprezzo dei pericoli fatto giàin lui un sentimento abitualeacquistava allora una nuova forzaunanuova ragione dai suoi nuovi pensieri. La sua condotta di tanti annilo aveva posto in una situazione tale che per assicurare la sua vitaegli aveva mestieri di molto più mezzi e riguardi che nonabbisognassero al comune degli uomini; e una delle prime riflessioniche gli erano occorse dopo il suo proposito di nuova condotta si erache una gran parte di questi mezzi non poteva più conciliarsicon questa sua nuova condotta. Ma egli aveva sentito con persuasione(e probabilmente fu questo uno dei capi che egli discusse in quelcolloquio col Cardinale)aveva sentito che le ingiustizie passatenon potevano rendergli necessarie nuove ingiustizieche egli dovevaassicurare la propria vita solo perché questo era un dovereeche era un dovere soltanto fin dove per adempirlonon si dovessericorrere che a mezzi leciti; che i pericoli che potevano nascere perlui nel suo nuovo genere di vita inoffensiva ed espiatoria erano unaconseguenza del male da lui fatto a man salva per sì lungotempouna punizione ch'egli doveva subire. Quindi tutta la vigoriad'animo ch'egli impiegava altre volte nell'offenderes'era oratrasformata in una vigorosa disposizione a tollerare: era undissimile ma eguale anzi più forte coraggio: e continuòa produrre l'effetto solito di questo donoquello di far rispettarecolui che ne è fornito.

Entratoil Conte nel castellocomandò che si ragunassero tutti isuoi... non sapeva trovare un nome che tutti gli abbracciasse..."Tutti gli uomini" dissedopo d'avere esitato un momento.L'apparizione misteriosa del mattinola ripartita e l'assenzaavevano destata una grande curiosità: erano già corsifino al castello romori che annunziavano la conversione del Conteeil tripudio di tutti gli abitanti del vicinatoe di quelli che eranoconcorsi in quel giorno all'arrivo del Cardinale: tutti i bravichesi trovavano al castelloo nei primi dintornivennero alla chiamatacon molta ansietà. Congregati che furonoil Conte con visofermocon voce risolutae senza tergiversaredichiarò atutti ch'egli aveva proposto di mutar vitache si doleva e sivergognava della passatache a tutti chiedeva perdono degli orribiliesempje degli incitamenti che aveva loro dati a mal farechequanto era in lui egli gli avrebbe tutti ajutati con un nuovoesempioe coi mezzi ch'erano in sua facoltà ad operarediversamente: che quelli i quali fossero del suo parererimanendocon luipotevano esser certi ch'egli avrebbe avvisato tosto al modod'impiegare la loro opera in un modo utile ed onestoe ad ogni modoavrebbe diviso con essi fino all'ultimo tozzo di pane; ma cheprotezione per ribalderie non ne avrebbe più data ad alcuno: eche finalmente quelli ai quali non piacesse di sottoporsi a questanuova regoladovessero partirsi dal suo servizioch'egli eradolente di perderglima risoluto.

Lapiù studiata orazione di Demostene non produsse mai tantovarie e forti impressioni nel popolo d'Atenequanto il brevediscorso del Conte in quel picciolo popolo selvaggio. Ma per quantodiversi fossero i pensieri che sorbollivano in quei cervelli ad untale annunziol'effetto esterno fu un solo: un cupo silenzio. Moltidi quei ragunati erano contadini del Contestabiliti sui suoipoderiavvezzi dall'infanzia ad obbedirglie taluni fra di essierano divenuti scellerati per obbedienzatutti questi non vedevanoun avvenire un po' sicuro che rimanendo con luie questirisolvettero di sottomettersi alle nuove condizionie di rassegnarsia divenire galantuomini. Altri fuorusciti di mestierevenuti daaltri paesisenza famigliané avviamentobestemmiavano incuor loro la risoluzione del padronema tanto era il predominio cheil carattere di lui aveva preso sull'animo loroche non ardivanofare un motto di lamento. Questa idea di conversione era confusa neiloro cervellaccie non potevano nemmeno immaginarsi che in un uomocome il Conte potesse produrre l'effetto di fargli sopportare unarisposta arrogante: pensavano che una temerità usatagliprodurrebbe il solito effettocon la sola differenza che iltemerario morrebbe ora per le mani d'un santo. Così incertil'uno dell'altronessuno osava fiatare il primo; e la sommissionedei primi che si manifestava sui loro volti e nel contegnotoglievaancor più a quei secondi l'animo di poter dire o far nulla chepotesse spiacere al Conte. Quel tripudio poiquel rincoramento ches'era manifestato nella popolazione gli rendeva ancor piùirresolutiavrebbero potuto ridersi di questa gioja impotente finchéavevano il Conte per loroalla lor testama quando la folla era conluie sarebbe stata contra lorosi trovavano come smarriti.

Dopoquel breve silenzioil Conte si rivolse a quello che più gliera vicinoe gli chiese risolutamente quale fosse il partito ch'eglisceglievae così di mano in mano con tutti. Dava lodi epromesse a quelli che chiedevano di rimanereammoniva gli altriequando ripetevano di voler partirechiedeva loro quanta parte disalario fosse loro dovuta; vi aggiungeva una gratificazionescrivevala somma sur una cartolina che teneva nella mano sinistrala dava acolui che voleva partiregli comandava di andare dall'intendente afarsi pagaree di uscir tosto dal castello. Tutti pigliavano lacartae se ne andavano senza far motto. In tutti questi parlamentiil carattere del Conte aveva fatto naturalmentee senza che il Contelo sapesse beneciò che fatto a disegno sarebbe stato unmiracolo di presenza di spirito e di artificiosa prudenzae forsenon avrebbe potuto così bene riuscire. Nelle ammonizionich'egli dava a coloronelle esortazioni a meglio rifletterenellepreghiere stessefino nelle scuse non v'era mai un momento in cui ilsuo interlocutore potesse sentire una superioritàintravederein lui punto di debolezzad'irresoluzionedi abbassamentocheinvitasse nemmeno uno di quegli animi ad elevarsi e a cadergliaddosso. Quale divenisse il castello dopo la partenza di quei piùfacinorosiil manoscritto non lo dicené ci è venutofatto di trovarne notizia altrove. Il nostro autore dice che il Conteandò ogni giorno ad abboccarsi col Cardinale finchédurò la visita di esso in quei contorni: di un solo di questiabboccamenti egli riferisce le particolaritàe il nome delConte del Sagrato non ricompare poi più nel manoscritto.



Cap.III

Quandoil Cardinaleterminate le funzioni di quella mattinasi ritiròdalla Chiesa nella casa del curatotutto il popolo che era stivatonella chiesao ammucchiato al di fuorisi sciolse poco a pocoeognuno s'avviò a casa. Quando il marito della buona donnaentrò nella suala donna gli corse incontrogli presentòla ospite inaspettatae gliene fece in succinto la storia. Il maritofu molto lieto che la sua donna fosse stata prescelta a quell'uficioed avesse una parte nella storia di quel giornoe fu anche toccoassai dalle sventure della nostra Lucia: di modo che quando la donnagli propose di andare al paese di Luciach'era discosto circa tremigliae di annunziare ad Agnese ciò ch'era accadutoe dicondurla alla figlial'uomo accolse la proposta con giubilo: lefunzionila predica del Cardinalela solennità e la pompastraordinaria avevano messo un certo entusiasmo nell'animo d'ognunodegli spettatori: e questo sentimentomesso in comune in quelconcorso di popoloritornava con maggior forza sull'animo di tutti:non è quindi da farsi maravigliase Tommaso Dalceppoall'udirsi proporre una faccenda che era tanto in armonia con quelsuo sentimentonon pensò né alla faticanéall'incomodoma gioì nella conformità di quello chesentiva e di quello che doveva fare. Mangiò un boccone inpieditolse una mula che aveva in istallae partì di volo.

Labuona donna (perché la bontà vera e abituale ispiratutti i pensieri della gentilezzala quale non è altro chel'espressione o la finzione della bontà) la buona donna pensòche Lucia dopo tante scosse avrebbe gustata volentieri la solitudinee il riposoe offerse di ritirarsi in un'altra stanza. Lucia accettòl'invito al riposo con nuove parole di riconoscenzae rimasesoletta.

Maquantunque per gli orrendi disagj del giorno e della notteantecedente il suo corpo avesse bisogno di quietepure Lucia nondormìné cercò di dormiree il riposo nonconsistette in altro che nella facoltà di trattenersi coi suoipensieri senza quel battito continuosenza sussultisenza terrorenon però con giocondità. V'ha dei mali e dei pericoliai quali succede la gioja in chi gli ha sofferti o veduti da presso:tali sonole burrasche di maregli stenti e i rischi della guerrala rabbia di Scillae i sassi dei Ciclopiquelle cose di cui Eneadisse benissimo: forsan et haec meminisse iuvabite che ilCaro tradusse un po' lunghettamente:

Everrà tempo

Undìche tante e così rie venture

Nonche altrovi saran dolce ricordo.

Ilcuore si rallegra doppiamente nel paragone d'una quiete presente conuna angoscia passatale immagini della quale sono grandisemplicifortie miste del ricordo di una certa fortezza. Ma v'ha un'altraspecie di mali e di pericolii quali dopo avere orribilmentetormentato con la presenzarestano nojosi anche nella memoria: queimali e quei pericoli nei quali vi si è rivelato un gradoignorato di perversità umanaaumento di scienza molto tristo:nei quali si è conosciuta in sè una suscettibilitàdi profondo ed amaro patireche diventa esperienzache porta adosservarea distinguere in tutti gli oggettiin tutti i casi ciòche potrebbero avere di penosoe si associa così a tutte leidee: quei mali e quei pericolinei quali non v'è statonessuno splendido esercizio di attività moraleche destanouna pietà senza maravigliache non si possono sentire arammemorare senza ribrezzoe senza vergognapersino da chi vi si ètrovato e n'è uscito innocente; e i mali di Lucia erano diquesta seconda specie.

Certonella inaspettata salute di quel giorno v'era per Lucia una giojaela riconoscenza all'ajuto del cielo che santificava quella giojalarendeva ancora più viva: ma era stata una gioja ben turbolentae confusa nei primi momenti; ed ora col crescere della calma quellagioja era alterata continuamente dalle rimembranze recenti e daipensieri dell'avvenire. L'animo che è liberato da una grandesventuraè come la terra daddove è sterpato ungrand'albero: per qualche tempo ella appare sgombrae vuota: ma apoco a poco comincia ad esser segnata qua e là di piccioligermogliquindi a coprirsi di erbaccee mostra chiaramente chequello che si chiama riposo della terra è una metaforao unerrore. Così i guai che erano stati sepolti e come soffocatinell'animo quando una grande sciagura lo riempiva e per dir cosìlo aduggiavacominciano a spuntare e a ricomparire poco da poi chela sventura è cessata.

Luciaripensava con amarezza i mezzi che l'infame Rodrigo aveva saputimettere in opera a perseguitarlae si angustiava di quello cheavrebbe potuto fare nell'avvenire. Come essere al riparo di un sìscellerato tirannovivendo presso a lui? o dove andare? come trovareil sostentamento in quei tempi così scarsie quando irisparmj degli anni addietro fossero tutti consumati? Ma l'idea piùpenosa per Luciae quella che rendeva tutte le altre piùpenose (giacché abbiamo promesso di non tacer nulla al lettoredi quello che è venuto a nostra notizia) il pensiero invanorespintoe che si mesceva a tutti gli altriera quello del votofatto nella notte antecedente. Lucia non confessava a se stessad'esserne pentitama lo era; le sembrava orribile sconoscenza ilrammaricarsi dell'offerta posta sull'altare per ottenere un grandonorammaricarsene quando il dono era ottenutole sembrava chequesto sentimento le avrebbe attirate nuove sventuree questemeritatee quindi riprovava il sentimentoma non poteva farloscomparire. L'invincibile di tutte le difficoltàl'amaro ditutte le privazionil'inestricabile di tutti gl'impacci le parevache venisse dal non poter essere di Fermo; con lui tantiinconvenienti sarebbero svanitie tutti gli altri sarebbero divenutitollerabili! ma il pensiero di Fermo era per lei una tentazionequasi un delittoe doveva sempre rispingerlo. La poveretta non eraistrutta abbastanza per conoscere che quella promessa fatta in unaagitazione febbrilesenza meditazionequasi senza piena coscienzanon era un voto; e che ella già legata con una promessasolenne a Fermo non aveva il diritto di sciogliere senza consenso esenza colpa di luiun legame già stretto da due volontàlibere e concordi; e ignorava anche i mezziche la religione laquale consacra i voti dell'uomooffre per liberarlo dai votiquandoil loro adempimento invece d'essere una occasione di maggior benedivenga un ostacolo. Lucia aspettava con ansietà amorosa dirivedere la madrema tremava di doverla abbracciare con questosegreto nel cuoreripugnava di rivelarglielo; e sentiva che ilsilenzio sarebbe stato impossibile.

Erala poveretta in questi pensierie sa il cielo fin quando vi avrebbeduratoquando lo scalpito d'un quadrupede che si fermò nelcortilettoun salire precipitoso per la scaletta di legnoleannunziò Agnese: la porta si aprì impetuosamente; Luciafu nelle braccia di sua madree tutte le altre idee svanirono. Noinon descriveremo le sensazioni delle due donne in quel rivedersi.Questa è la frase della quale si servono tutti i narratoriquando si trovano ad un punto simile al nostro; e fanno bene. Illettore conosce i casi e il carattere di quelle due poverettee deveimmaginarsi ciò che hanno sentito e detto. Dopo i primi sfoghicominciarono le inchieste e i raccontie il soggetto di essi èpure già conosciuto. Una sola di queste rivelazioni vuolessere ricordata particolarmente: Lucia non sapeva nulla della fugadi Fermoe questa notizia che la madre le diedele cagionòle più varie e opposte commozioni. L'assenza di Fermo eracerto dolorosa per lei; ma quando seppe ch'egli era in sicuroprovòquasi una torbida consolazione nel pensiero che la tentazione eralontanache l'esecuzione del suo voto diveniva più facileche se non altro non verrebbe così presto la necessitàdi parlarne. Lucia ed Agnese erano in colloquioquando il buoncurato entrò nella casacercò di Tommaso (perchéegli non s'intratteneva col bel sesso che in casi di sommanecessità)e gli disse che il Cardinale domandava Luciae labuona donna che era stata a prenderla. Questa andò adavvertire le donne della chiamata: Lucia si alzò per partirela madre le tenne naturalmente dietroe le tre donne uscirono dallacasae attraversando una folla di curiosigiunsero alla casa delcuratoe furono condotte alla presenza di Federigo.

Quandoil buon vescovo doveva parlar con donnecosa che lo impacciava purealquantoaveva per massima di non riceverne mai una solaquando nonfosse decrepitae voleva che una matrona le fosse sempre dicompagnia. Nel caso presente invece d'una matrona ve n'aveva dueetutto era più che in regola. Pure secondo il suo costume eglifece tenere spalancata la portae si pose in un luogo dove potesseesser veduto da chi era nell'altra stanzae così accolse letre donne che erano impacciate almeno al pari di luima pertutt'altri motivi. Il riserbo abitualee il contegno modesto diFederigo non potè fare che non gli apparisse sul volto un nonso che di affetto soave nell'accogliere Lucia e nel farle animo:ringraziò pure cordialmente la buona donna del pio uficio dalei prestatoe chiese chi fosse la terza: quando seppe che era lamadre di Luciasi rallegrò pure con leie la salutòcortesemente. Quindi pregate le due ultime di scostarsi alquanto sitrattenne con Lucia sulle sue vicendeinterrogandola con quelladelicatezza che richiedeva il pudore di Lucia e il suo; poichéin quella canizie egli conservava la purità ombrosa di unafanciulla. Ma le inchieste ch'egli faceva a Lucia non erano mosse dauna vana curiositàe ne pure dal solo interessamento perquella infelice innocente: erano venute all'orecchio di Federigo vocisordeconfuse sul conto della Signorache gli davano da pensare: ein questa occasione egli sospettava con angoscia che la condottadella Signora con Lucia potrebbe rivelare qualche cosa di quelladonna che era per lui un tristo mistero. Lucia con tanto piùdi schiettezza e di libertàquanto essa non sospettavanemmeno di accusarecredeva anzi di lodaresoddisfece alle domandedi Federigonel quale il sospetto crebbe.

Finqui per Don Abbondio le cose andavano benone. Le circostanzeessenziali della storia stavano senza parlare del matrimonioricusatoe Lucia aborriva il discorso del matrimonio. Ma ilCardinale che disegnava di riparlare altra volta con Lucia e nonvoleva in quel giorno così burrascoso per lei tenerla piùa lungochiamò a sè le due donne presenti e lontane; edisse a ciascuna ciò che era più opportuno: ringraziòdi nuovo la buona donnaconsolò Agnesee l'animò adammirare la provvidenza che dopo d'averle dato tanti timori per lafiglial'aveva liberata con modi inaspettatie l'aveva fattaconoscere ad uno che aveva il doveree qualche mezzo perproteggerla. Quella benedetta Agnese fra le risposte che diede con unimbarazzo che in lei era un po' comicoperché voleva nonavernedisse anche queste tremende parole: "Giàlacolpa in gran parte è del Signor curato". "Come? diche curato?" domandò il Cardinale. "Oh bella! delnostro"rispose Agnese. Il Cardinale domandò unaspiegazionee Agnese spiattellò tutta la storia delmatrimoniosenza far motto del clandestino. Federigo che non volevafare alcuna dimostrazione prima d'avere inteso il curatoper nonmanifestare un giudizio che forse avrebbe dovuto ritrattaretacquema si legò al dito anche questa. Si rivolse alla buona donnae le chiese se fino a tanto ch'egli avesse provveduta Lucia d'unasilonon le sarebbe stato grave di tenerla presso di sè. Labuona donna fu contentissimail Cardinale la ringraziò; epensò a darle qualche segno di ricompensa; e veduto dal suoabito e dal contegno che un dono di moneta l'avrebbe umiliatapreseda un picciolo scrigno un libretto di orazioni ben ornatoe unrosario preziosoe la pregò di ritenere queste memorie dellasua riconoscenza. La buona donna ripose con molta gioja il dono chesi conserva tuttavia dai suoi discendenti con molta pietàesi fa vedere con molto amor proprio. Le donne partirono: Federigoaccudì a quello che gli rimaneva di faccende per la visita; esul far della sera partì da Chiuso accompagnato da una granfollae s'incamminò alla volta di Maggianicopaese famosoper le sue campane.

Maquella dea che ha (mirabile a dirsi!) tanti occhi quante penneetante lingue quanti occhie (ma questo pare più naturale)tante bocche quante linguee finalmente tante orecchie quanti occhilingue e bocche (debb'essere una bella dea) questa ultima sorella diCeo e di Enceladopartorita dalla Terra in un momento di colleraveloce al passo e al voloche cammina sul suolo e nasconde il capotra le nuvoleche vola di notte per l'ombra del cielo e della terrané mai vela gli occhi al sonno; e di giorno siede suicomignoli dei tetti o su le torrie spaventa le cittàportando attorno il finto e il vero indifferentementecostei avevagià prima della notte diffusa nei paesi circonvicini la storiadelle avventure di quel giorno. Per fare intendere al lettore questaparticolaritàabbiamo usurpato formole che a dir veroappartengono esclusivamente alla poesiama saremo scusati da coloroi quali sanno che ad imprimere vivamente una immagine nelle fantasieil mezzo più efficace è l'allegoriae singolarmentequella già nota e consecrata delle antiche favole: poichéquando si vuol fare immaginar bene una cosabisogna rappresentarneun'altra: così fatto è l'ingegno umano quando ècoltivato con diligenza. Siccome però a voler cavare dalleallegorie il senso vero ed ultimoquello che si vuol trasmettereènecessario in ultimo pensare alle cose che le allegorie fannointenderecosì non lasceremo di dire che tutti gli abitantidel contornoche erano convenuti quel giorno in Chiusotornando lasera alle case lororaccontarono ciò che avevano vedutoripeterono ciò che avevano intesocommentarono le circostanzeche per sè non avrebbero bastato a dare idea d'un fattocompiutoe inventarono gli episodj che erano indispensabili per darecontinuità alla storia. Ma il fondo delle loro relazioni eravero; e questo fondo aveva abbondantemente di che eccitare una grandemaraviglia e un grande interesse. Il Conte del Sagrato era nome d'unaterribile celebrità nei contornie assai più lontano;e una conversione tanto inaspettatae che doveva portare tanticangiamenti era un argomento all'universale di una pia maravigliadiesultazionee di riconoscenza a Dioe di nuova venerazione perl'uomo di Dio che ne era stato lo stromento. E quello che rendevaancor più interessante quella conversione era l'averne vedutoun effetto immediatoun testimonio vivogià tantointeressante per sè: una povera giovane restituitavolontariamente dal carcere privato alla libertà e allebraccia di sua madre. Ma pei parrocchiani di Don Abbondiol'interesse era ancor più grande che per gli altri; per essila povera giovane era Luciaquella Lucia che avevano veduta fra loromodestabellairreprensibileallegrache avevano piantasommessamente smarritadella quale si sussurravano mille notiziediversee tutte lagrimevolie della quale ora i suoi vicinipotevano dire: "l'abbiamo veduta noi oggi con Agnese andare dalCardinale che le voleva parlare in persona".

Almattino seguente la fama si posò anche sul comignolo delcastellotto di Don Rodrigo; ed è facile immaginarsi che lanovella ch'ella portava fece sull'animo suo tutt'altro effetto chesull'animo di quella povera moltitudine. Quella Lucia ch'egliaspettava da un giorno all'altro d'avere segretamente negli artigliora pubblicamente libera; sventate e divolgate ad un punto le suetrame abbominevoli; e quel suo alleato nel quale egli fidavache conla sua cooperazione doveva dare l'autorità del terrore alfattoe far morire il biasimo anche nelle bocche dei piùarditiora disertatodivenuto un oggetto di fiducia per gliavversarj. Don Rodrigo si sforzava di rideree guardava in faccia aisuoi bravi per attingere coraggio o indifferenza; ma s'accorgeva chei bravi guardavano in faccia a lui con la stessa intenzione; e pernon trovare il coraggioil mezzo più sicuro è d'esserein molti a cercarlo: anche quel poco che ognuno si sentivase ne va:il Griso stesso era avvilito. Costoro s'erano tutti radunati nelcastellocome in un asiloperché non pareva loro di starbene in nessun altro luogo. Girando il mattinos'erano avveduti chetirava un'aria estraniainusitata: avevano osservata su tutti ivoltiuna esaltazioneuna risolutezza che aveva abbattuta la loroche veniva in gran parte dall'abitudine di mostrarla soli. Primad'allora quando un contadino s'avveniva in uno scheranoe vedeva inlui non solo la forza sua e le armi che portavama tutta la potenzadei suoi compagni e del capopassava a canto con una umileriverenza; se fosse stato insultato lo avrebbe tollerato in paceperché era certo che gli altri che lo avessero vedutosarebbero stati molto contenti di esserne fuorie non avrebbe avutoun ausiliario: ora l'occasione di esternare un sentimento unanimeaveva fatta sentire a tutti una fratellanzauna comunione di idee edi causa; ognuno era certo che la cosa era intesa da mille come dalui; e ognuno comunicando agli altri il suo nuovo coraggionericeveva da essiper la ragione inversa di quello che era accadutoai bravi e a Don Rodrigo.

Laliberazione di Lucia era l'argomento dei discorsi di tutti quelli ches'incontravano; la gente si fermava in crocchj a parlarne; un bravoche passasse in veduta dei crocchjaveva tutti gli occhj addosso asè: e la espressione di tutti quegli sguardi era unaquelladell'orrore. Tutti parlavano sicuramente della pietà cheavevano provatadel timore che avevano avuto per quella innocentemettevano fuori i pensieri che avevano compressio comunicati sottovocealla sfuggitae trovando una conformità negli altrisentivano che a quei pensieri era unita una forza. La giustizia avevatrionfatoil cielo s'era manifestato per l'innocentee questamanifestazione che pareva una promessa d'aiuto accresceva ancor piùl'animo di tutti. Un potente scellerato aveva pubblicamente abjuratacol fatto la iniquitàe l'aveva così vilipesa eindebolita nello stesso tempo. L'iniquità era conosciutaeperdendo un protettore terribileaveva acquistato un nemico purterribile: un Cardinaleun santoun nobileuno che aveva mezzi dipersuasionedi forzadi autoritàdi aderenze.

Quellapoi che rinforzava l'effetto di tutte queste considerazioniera lanotizia sparsa che il Cardinale veniva a visitare anche quellaparrocchiache si fermerebbe qualche tempo nei contorniche cisarebbe folla d'uomini condotti dallo stesso sentimento pioavversoalla ingiustizia. E già si diceva che il castellano di Leccoquello Spagnuolo di cui il podestà aveva tanta stimasidisponeva ad incontrare il Cardinalein gran pompacoi suoisoldati: tutta la forzatutto lo splendore era per la pietà eper la giustizia. Ognuno pensava che gli scellerati avrebbero dovutoconvertirsi come il Conteo perdersi d'animoe fuggire.

DonRodrigodopo una breve esitazioneprese quest'ultimo partito. Laviolenza quando è assistita dalla fortunaama a mostrarsiella ha con sè come un argomento della sua bontàodella sua ragionevolezzapoiché ottiene il suo intento; maquando è abbandonata dalla fortunaquando non valgono altriargomenti che quelli del dirittodel senso universale dellagiustiziache le mancanoquando appare non solo come ingiustiziama come sbaglioallora la violenza vorrebbe nascondersi anche a sestessa. Don Rodrigo pensava che cosa mai avrebbe potuto fare diconvenienteche stesse bene in quei giornie non trovava nullanemmeno un soggetto di discorso con chi venisse a visitarlo. Ed'altra parte s'immaginava bene che nessuno sarebbe venuto. Queisignori che lo avevano adulato fin allorasi sarebbero alloraavveduti ch'egli era un ribaldoil podestà doveva in queimomenti far dimenticare le sue relazioni con l'uomo che avrebbedovuto reprimere e punire; al più il dottor Duplicail qualenon voleva mai inimicarsi senza speranza un signoresarebbe statoquei giorni a poltrire in lettoper potergli dire un giorno che unamalattia gli aveva tolto il bene di ossequiare il Signor Don Rodrigo.Questi non vedeva così distintamente tutte questedisposizionima le sentiva confusamente come per istinto. D'altrapartecome condursi col Cardinale? Tutti i signori del contornosarebbero andati a visitarloed egli rimanersi solo a casa? Chedirebbe lo Zio del consiglio segreto? Andare dinanzi al Cardinaleegli? gran Dio!

Ordinòdunque che tutto si apparecchiasse pel ritorno in cittàe alpiù presto. Quando la carrozza fu prontavi fece salire trebravi: il Griso come il più terribile fu posto alla vanguardiasulla serpetutto armato; al resto della famiglia fu dato ordine divenire a Milano l'indomanie si partì. Dopo i primi passi DonRodrigo vide coi suoi occhila via piena di viandanti che andavanoin folla a Maggianicoaltri per vedere il Cardinaleper assisterealla solennità: giovanivecchibenestantie poveri inquantità che sapevano di non tornare con le mani vuote. Guardòalla sfuggitae conobbe in un punto su tanti volti quale era ilsentimento universale per lui: fremettesi promise di vendicarsimas'accorse che la menoma dimostrazione in quel momento poteva farnascere una guerra della quale l'evento finale non sarebbe statodubbio: dissimulò dunqueritirò la testa nellacarrozzaguardò i suoi bravie lesse sui loro volti pallidiil desiderio di esser fuori di quella processione e lontani dalpaese. Sentì un romore dietrostette in silenzio tendendol'orecchioe comprese ch'erano urli e fischi. Allora mormoròfra i denti: - vorrei che il Griso avesse giudizioche non mi facesse scene -. Avrebbe voluto dare alGriso questo consiglio della paurama la paura gli comandava di nonmuoversidi non farsi vedere; e stette in quella ansietàinoperosa fino a che la carrozzagiunta al punto dove la strada sidividevaimboccò quella che conduceva a Milanoe si separòdalla folla che traeva a Maggianico. Don Rodrigo e i suoi scheranirespirarono allora dallo spavento; ma i pensieri che rimasero a DonRodrigo non furono molto più sereni. Il cocchiere sferzòi cavalli per allontanarsi al più prestoe tutti iviaggiatorisenza dir mottolo lodarono in cuoree sirallegraronosentendo che la carrozza andava celerementesenzaimpedimenti in una strada solitaria. Buon viaggio!

Intantoil buon Federigo attendeva in Maggianico a spicciare le faccende e acelebrare le funzioni solite della visita. Il Conte del Sagrato eravenuto quivi di buon mattino con la follae dopo il Cardinale eraegli il personaggio che traeva a sè tutti gli sguardi. Iterrazzani e i concorsi si avvicinavano a lui per curiosità eper interessee si ritraevano per una antica abitudine di spavento;ma visto poi il curato che passando su la piazzae accorto del Contegli si accostòe si fermò a salutarlo cordialmentepiù rassicurati si ravvicinavano ancoracome una troppa dipulcini ombrosi non avvezzi ancora a conoscere la massaja fuggono inconfusione al suo comparirepoi vedendola tranquilla senz'atto diminacciae vedendo la chiocchia alla quale si riparavanoandarlevicino senza sospettole tengono dietroe tornanoperò nonsenza esitazioneall'oggetto che gli aveva spaventati. Federigoaveva dato ordine che appena giunto il Conte gli fosse annunziatoelo accolse nei primi momenti di riposo. Frattanto egli e Lucia eranoil soggetto di tutti i discorsi: i paesani di quella chiedevanoavidamente notizie della ultima storia della poverettaeraccontavano in cambio le sue prime vicende. Questi discorsi furonoriferiti al Cardinaleche fu lieto assai della partenza di DonRodrigo; e si fermò sempre più nel disegno di fartornare Lucia alla sua casa per avvisare poi ivi ai mezzi di porlaper sempre in sicuro. Prima di partire da Maggianico pregòegli il curato di portarsi a Chiusoe di far sapere a Lucia ch'eglipensava a leie che stesse di buon animo

...

Dopoduetre o quattro giorni spesi dal Cardinale nella visita dialtrettante Chiese (questa indeterminazione è nelmanoscritto); venne la volta di Don Abbondio; il quale non dico chedesiderasse questa visita; ma se l'aspettava. Quando si seppe che sulvespro di quel giorno il Cardinale arriverebbe al paesecoloro cheerano rimasti a casa (giacché una gran parte del popolo andavaquotidianamente dov'egli si trovava) si suscitarono e ragunati simossero per andargli incontro. Don Abbondio era stato quei dìun po' malato; giacché credo di avere accennato altrovechela sua salute era soggetta ad alterazioni improvvise quanto quellad'un diplomatico: ma in quel giorno dovette risolversi di star bene;si pose alla testa di quella follae andò sulla via per laquale Federigo doveva venire.

Nonerano ancora molto distanti dal paese quando si cominciò avedere l'altra folla che venivae a distinguere la lettiga e ilcorteggio a cavallo; l'incontro e l'accompagnamento si avvicinaronoi due romori si mischiaronole due turbe si trasfusero in unae nelmezzo si trovò la lettiga ferma del Cardinalee Don Abbondioallo sportello a fare il suo complimento. Nelle accoglienze e nellerisposte di Federigo cercò il nostro scaltrito Don Abbondio discrutinare se Lucia avesse chiaccherato qualche cosa del matrimonio:ma invano: la sincerità ponderata di Federigo rendeva il suovolto impenetrabile come avrebbe potuto fare la piùimperturbata dissimulazione. Nella sua lunga e affaccendata carrieraaveva egli da gran tempo imparato con quella scienza sperimentale chefa sapere e sentiree conoscere le cosedelle quali si aveva primasoltanto la formolaaveva dico imparato che le relazioni d'una partesola non mettono mai chi le ascolta in caso di dare un giudiziochela parte la quale parla la prima o maliziosamente o senza volerloaltera sempre gli elementi necessarj di questo giudizio: di modo chese uno da questa prima relazione riceve una persuasionee ladimostraquando poi ascolta l'altra parte è per lo piùcostretto a dire con un'aria un po' scimunita: "Ah! io nonsapeva; non m'immaginava; non mi avevano detto".

Eaveva esperimentato che molte volte da due relazioni contraddittorieed egualmente confuse o artificioseaveva ricavato facilmente ilmezzo di venire a quella verità che non era stata nudamenteespressa né dall'una né dall'altra; piùfacilmente che non l'avesse potuto mai ricavare da una sola relazionefatta con la buona fede e giudiziosamente. Si era quindi fatta unalegge di sospendere realmente il suo giudizio fin che non avesseinteso colui di che altri si doleva; e di non contare intanto pernulla quello che gli era stato riferito. Quindi non aveva ancora unaopinione in mente su questo fattoe sincero com'eranon lasciavatrasparire nessuna opinione: a segno che Don Abbondio non vedendonegli atti e nel volto di lui nulla che indicasse malcontento osospettotenne per fermo che il Cardinale non sapesse nullae ne fumolto consolato.

Ilcorteggio raddoppiato andò verso la Chiesae quivi ilCardinale entrato come potè tra i plausi e gli urtie pregatoalquantocominciò le sue funzioni da un breve discorso ch'erauso di fare al popolo sulla visita ch'egli stava per intraprendereequindi si ritirò nella casa del Curato.

Perquanto quei buoni terrazzani avessero voglia di accogliere il lorovescovo con dimostrazioni straordinarie di venerazione e di affettopremurosonon lo poterono fareperché i plausi e gli urtifino all'ultimo grado erano diventati l'accoglimento ordinario perluie quel primo entrare nelle Chiesech'egli andava a visitarenon era la minima delle sue pastorali fatichené il piùleggiero pericolo. Da per tutto era mestieri prima di tutto ch'egliavesse molta sofferenzae quindi che quelli del suo corteggio gliservissero da guardiediradando la turba come potevanoallontanandoquelli che volevano baciare o tirare la sua vestefacendo in modo insomma che a forza d'amore e d'ossequio il buon uomo non fossesconquassato. Questa amorevole persecuzioneormai anticaavevacominciato per lui dai primi giorni del suo episcopato: poichéquando egli fece il suo ingresso nel Duomo di Milano (chea dirlasenza vanitàè un ampio edificio) egli fu talmentecompresso che molti nobili che lo circondavano trassero le spade perallontanare la folla; tanto v'era allora d'incomposto anche nellariverenza e nella protezione; e malgrado questa minacciaforseinvece d'un vescovo santosarebbe rimasta in duomo una reliquiasedue preti tarchiati e giovani non avessero tolto da quella stretta ilCardinalee sollevatolo sulle loro braccia non l'avessero portato insalvo fino all'altare. Come dovessero poi stare le ossa di quei duegalantuomini ognuno se lo può immaginare.

Mase le accoglienze dei paesani di Lucia al Cardinale non poteronoessere più clamorose né più calde che le altreavevano però una espressione di una riconoscenza specialecheFederigo potè distinguere: anzi egli intese più d'unavolta nelle benedizioni che gli erano dateunito al suo nome suonarequello di Lucia. Il buon vecchio tripudiò in cuoree perquella gioja che dà sempre agli onesti il vedere l'espressionepubblica d'un sentimento onesto ed umanoe perché con un talfavore del popolo gli parve che Lucia potesse con sicurezza tornarealmeno per allora a casa sua. Ritiratosi pertanto come abbiam dettonella casa di Don Abbondioil Cardinale s'informò da lui e daqualche altro prete su lo stato delle cose per rapporto a Luciaepotè esser certo che ogni pericolo era cessato per leigiacché il suon gran nimicoe gli scherani di questo sen'erano iti con la coda tra le gambee quand'anche fossero statisfrontati a segno di rimanerei difensori di Lucia sarebbero statidieci volte in numero più del bisogno. Quando ebbe questacertezza Federigo ordinò che l'indomani di buon mattino la sualettiga andasse a prendere Lucia e la madree impose all'ajutante dicamera che si portassero provvigioni di vitto alla casetta delledonne perché le poverette e Lucia principalmente non provassequei mancamenti e quei disagi che le avrebbero renduti increscevoli iprimi momenti del ritornoe prolungato in certo modo il sentimentoamaro dell'assenza.

All'indomanialzatosi al solito di buon mattinoattese il Cardinale alle consueteoperazionis'intrattenne alquanto col Conte del Sagratoil qualenon aveva mancato di venire a quella stazione della visitacomenegli altri giorni; poscia andò nella Chiesa come era uso. Lefunzioni non erano ancora terminate che Lucia giunse con Agnese allasoglia della casetta paterna. Agnese aveva parlato per tutta lastrada; la sua gioja pel ritorno trionfalela gioja di ricondurresalva a casa la figlia da tanti pericoliquella d'esser divenutaconoscenza di Monsignore illustrissimol'aspettazionedell'accoglimento che le farebbero i parentii conoscentitutti ipaesanierano sentimenti espansivi e distintiche si prestavanoassai bene alla sua loquacità naturale. Ma i sentimenti diLucia erano mistiintralciatiripugnanti: erano di quelli sui qualila mente s'appoggia con una insistenza dolorosaper distinguerli eper dominarli: di quei sentimenti che non cercano di essercomunicatiné trovano ancora la parola che li rappresenti.Rivedeva ella la sua casaquella dove aveva passati tanti annitranquilliche aveva tanto desiderato e sì poco sperato dirivedere; ma quella casa che non era stata per lei un asiloquellacasa dove aveva data una promessa che non credeva di poter atteneredove aveva tante volte fantasticato un avveniredivenuto oraimpossibile. Era terribilmente in forse di Fermo: Agnese non le avevapotuto dire se non quello ch'ella stessa sapeva confusamente; cheFermo cioèdopo il tumulto di Milano del giorno di SanMartinoaveva dovuto fuggire dalla cittàe uscire dalloStato per porsi in salvo. E quand'anche Fermo fosse tornatotranquillamentele ansietà di Lucia si sarebbero cangiatemanon avrebbero cessatoperché ella non poteva più essersua. Tremava ancora nel pensiero che Fermo potesse essere informatodel suo rattodella sua prigioniae non sapere esattamente com'ellaaveva fuggito ogni pericolo: la poveretta mentre aveva rinunziato aFermoavrebbe voluto ch'egli sapesse ch'ella era in tutto degna dilui. Avrebbe voluto che Fermo fosse informato del voto ch'ella avevafatto senza ch'ella glielo dicesseche egli l'approvasse con doloreche non pensasse mai ad altrané più a leio permeglio dire (giacché questa non era l'idea precisa di Lucia)avrebbe voluto che Fermo facesse tutti i giorni una risoluzione dinon più pensare a lei. L'assenza del Padre Cristoforoaccresceva ed esacerbava tutti questi cordoglj: le mancava l'aiutoeil consiglio; quegli a cui ella confidava anche i mezzi pensieriquegli le cui parole la rendevano sempre più tranquillae piùconscia di se stessa. Quanto a Don Rodrigoegli era messo almeno perqualche tempo fuori del caso di far paura; e la rimembranza diquest'uomotrista certo e schifosa per Lucianon accresceva peròle sue inquetudini. Pensava però che Don Rodrigo sarebbetornatoe rimastoe che il Cardinale non avrebbe potuto sempre averl'occhio sopra di lei per difenderla; e da questo pensiero deducevala necessità di trovare qualche dimora più sicuraesperava che il Cardinale stesso ne avrebbe tolto l'incarico.

Cosìdopo d'avere abbracciata la Zia che l'accolse piangendoLucia lalasciò con Agnese che se ne impadronì per raccontarletante tante cosee si ritirò nella sua stanza. Ivi dopod'aver ringraziato Dio dell'averla ricondotta quivi oltre e contra lasperanzasi mise a rivisitare tutte le sue masseriziecome perprovare se potesse ricominciare la sua vita passata; ma non v'eraoggetto nella casanon v'era angolo al quale non fossero associateidee divenute dolorose e ripugnanti. Lucia prese come macchinalmenteil suo arcolajoe sedette a dipanare la matassa di seta che avevalasciata a mezzo quando Fermo venne a pigliarla per la spedizione delmatrimonio clandestino.

Dopopochi momentiecco giungere Perpetua affannata a dire che Monsignoretornato di Chiesa aveva chiesto se Lucia era arrivatae che udendodi sì aveva ordinato che fosse tosto chiamata. "Il signorCurato poi"aggiunse Perpetua sottovoce"mi ha imposto didirvi o Lucia che vi ricordiate del parere che vi ha dato a Chiuso:ehn? sapete? di non dir nulla di quel tale affare; Agnesem'intendete? del matrimonio? guardatevi dal parlarneperchéperchéi Cardinali passanoe i curati restano". Le duedonne si guatarono in viso come per dire l'una all'altra: -ora mò? non siamo più in tempo -.Ma Agnese fatta una faccia tosta disse a Lucia: "certo nonbisogna dir nulla"; e mettendo la bocca all'orecchio di Luciacontinuò: "del matrimonio clandestino. Guajvedièun guajo grosso". Lucia con queste due ingiunzioni l'una dellequali era ineseguibilee l'altra poteva dipendere dalle domande cheil Cardinale le avrebbe fattes'incamminòtutta pensierosa eagitatacon le due donne alla casa del curato. Per la viaincontrarono la folla che uscitadalla Chiesa si diffondeva nelcontorno; e Lucia fu accolta con acclamazionie fermata ad ognipasso con salutifra quali vergognosa con gli occhi bassi e gonfjentrò nella casa parrocchialee fu tosto condotta nellastanza dov'era Federigoil quale la ricevè con le soliteprecauzioni.

Dopoalcune inchieste cortesi sul suo viaggiosul piacere ch'ella avevaprovato nel rivedere la sua casaFederigo la interrogò dinuovo sull'affare del matrimonio: Lucia dovette rispondereeraccontò tutta la faccenda fino al clandestinodove si fermòcome un cavallo che ha veduto un'ombrae ristà con una sostaimprovvisa e singolare che non è quella solita d'allora che ègiunto al termine del suo viaggio. Federigoche s'avvide di qualchecosadomandò a Lucia che risoluzione avesse presa ellasuamadrelo sposo quando si videro chiusa la via a quella unione chedesideravano e che chiedevano legittimamente. Agneseudendo questocominciò a far certi visacci a Lucia cercando di non lasciarliscorgere al Cardinale (cosa non molto facile)e questi visaccivolevano dire: - rispondi: "nienteabbiamoaspettato con pazienza". - Lucia stavainterdetta: Federigo che vedeva tutto (l'avrebbe veduto un cieconato)disse ad Agnese con un contegno tranquillo e serio: "Perchénon lasciate essere sincera la vostra figlia?" e volto a Lucia:"parlate liberamente"continuò: "Dio vi haassistita: dategli gloria col dire la verità". Luciaallora spiattellò tutta la storia del clandestino; e lanarrazione divenne allora lisciaverisimilee ben congegnata.

"Aveteconfessata una colpa"disse tranquillamente Federigo: "Diove la perdonie... a chi v'ha dato una tentazione così fortedi commetterla. Ma d'ora in poibuona figliuolae voi buona donnanon fate più di quelle coseche non racconterestevolentieri".

Quindipassò a chiedere a Lucia dove fosse Fermo; che ora ilmatrimonio poteva e doveva esser tosto conchiuso.

Questoera un punto ancor più rematico. "Le dirò io..."cominciava Agnesema il Cardinale le diede un'occhiata la qualesignificava ch'egli sperava la verità più da Lucia cheda leionde Agnese ammutì; e Lucia singhiozzando rispose:"Fermopovero giovane non è qui: s'è trovato inquei garbugli di Milanoe ha dovuto fuggire; ma son certa ch'eglinon ha fatto maleperché era un giovane di timor di Dio".

"Mache ha fatto in quel giorno?" chiese ancora il Cardinale: "qualeè la sua colpa?"

"Nonne sappiamo di più"rispose Lucia.

IlCardinale giacché altri non v'era a cui domandaresi volse adAgnese la quale rianimata disse: "Se volessipotrei inventareuna storia per contentare Vossignoria illustrissimama sono incapaced'ingannare una gran persona come Ella è; e non sappiamoproprio niente di più".

"Diobuono!" disse il Cardinale: "insidiecolpesciagureincertezzeecco il mondo dei grandi e dei piccioli. Ma voi"disse a Lucia"che pensate adunque di fare intanto?"

"Io"rispose Lucia"io vedo che il Signore ha deciso altrimenti dimeche non mi vuole in quello stato; e ho messo il mio cuore inpace. E se trovassi dove vivere tranquillamentefuor d'ognipericolo...se potessi esser ricevuta conversa in un monastero...:consecrarmi a Dio..."

"Ohche furia!" sclamò Agnese.

"Voivi siete promessabuona giovane"disse Federigo: "visiete allora risoluta a promettere senza riflessioneleggiermente?"

"Questono"disse Lucia arrossando.

"Bene"disse Federigo: "potrebbe ora dunque esser leggiero ilritrattarvi. Se quest'uomo fosse innocentese potesse sposarvichemutamento è accaduto nelle vostre relazioni? Nessun altro cheuna serie di sventure ad ambeduee non è questa una ragioneper separarvi. Questo non è il momento di pigliare unarisoluzione. Sospendetefate ricercheaspettate che Iddio vi rivelipiù chiaramente la sua volontà. L'asilo intanto ve lotroverò io".

Luciafu tentata più d'una volta di rivelare il votoma unavergogna insuperabile la ritenne. Federigo l'assicurò che nonsarebbe partito da quei contorni prima d'avere stabilito qualche cosaper leie dopo qualche altra parola di consolazione e di avvisolalasciò partire con Agnese.

Feceposcia venire a sè il curatoil qualeinchinandosi alCardinale gli guardò in faccia per vedere se v'era scritto ilmatrimonioma non potè rilevar nulla. La sua incertezza peròfu brevegiacché le prime parole di Federigo furono queste:"Signor curatoperché non avete voi unita in matrimonioquella giovane Lucia col suo promesso sposo?"

-Donne ciarlone! - voleva sclamare DonAbbondioma s'avvide tosto che questa non era una risposta chestesse benené una risposta; e disse titubando: "Monsignoreillustrissimomi scusi... ma non posso parlare".

"Come?"disse il Cardinale con volto serio e dignitoso: "non sentite chevoi siete ora qui per render conto al vostro superiore? e che avendotralasciatonegato di fare ciò che nella via ordinariaerail vostro dovereavete a dirne una buona ragioneo a confessarvicolpevole?"

Questeparole fecero tosto rientrare in sè Don Abbondio. Egli avevaperitanza dell'arcivescovoe paura di Don Rodrigoe come questosentimento era incomparabilmente più forte nell'animo suocosì aveva quasi fatto svanire il primo. Pensava Don Abbondioche Federigo rimproveravama che Don Rodrigo davae al paragone irimproveri gli parevano poca cosae l'autorità stessa nongl'imponeva troppo quando pensava al rischio della persona. Ma quandovide l'autorità spiegarsie volere essere riconosciuta sitrovò come annichilato: la riverenza presente divenne in quelmomento più forte del terrore lontano.

Replicòadunque umilmente: "Monsignoreio sono il più sommessodegli inferiori di Vossignoria illustrissima... ma ho detto così...Vede beneMonsignoreognuno ha cara la sua pelle. Non tutti isignori sono santicome Vossignoria. Bastadirò tutto: ma soche parlo ad un prelato prudenteche non vorrebbe perdere un poverocurato".

"Ditesicuramente"replicò il Cardinale"io desidero ditrovarvi senza colpa".

"Devedunque sapere Monsignore illustrissimo"ripigliò DonAbbondio "che la vigilia appunto del giorno stabilito per quelbenedetto matrimonio (parlo a Vossignoriacome in confessione) io mene tornava a casa tranquillamentesenza una cattiva intenzione almondosallo Dioquando... quando mi si presentarono in su la via(al mio Superiore e ad un Signore tanto discretodico tutto) mi sipresentarono faccia a facciacome sono solo io ora dinanzi aVossignoria illustrissimadue uominiper parlare onestamenteconcerti visi... parevano coloro che posero San Vincenzo su lagraticola; con archibugipistolespadonispuntoni...parati afesta insomma... Vossignoria non ha mai veduto nulla di somigliantee mi si affacciaronodicomi fermaronoe mi intimarono in nomed'un certo Signore (i nomi non servono a nulla) che io mi guardassibeneper quanto aveva cara la vita (mi pare che fosse un parlarchiaro) dal fare quel tal matrimonio. Ecco la storia genuina. Ioadunque ho stimato che l'ostinarmi contra la forza sarebbe stato undare occasione a costoro di commettere un sacrilegioe cheio misarei renduto reo d'un vero suicidio".

"Nonavete avuto altro motivo?" domandò pacatamente Federigo.

"NonbastaMonsignore?" replicò Don Abbondio. "O forsemi sono male spiegato: dico che se avessi fatto il matrimoniocostoro mi avrebbero data una schioppettata nella schiena. Eh!Monsignore!"

"Evi par questa una ragione bastante per ommettere un dovere preciso?"

"No?"disse precipitosamente Don Abbondio con una sorpresa tanto viva chequasi sarebbe paruta stizza. "La pelle! la pelle! non èuna ragione bastante?"

IlCardinalealzando gli occhi in faccia a Don Abbondio disse con unaindegnazione composta: "Ma quando vi siete presentato allaChiesaalla Chiesa dei martiri per ricevere questa missione cheesercitatequando avete assunti volontariamente questi doveri delministerola Chiesa vi ha ella fatto conto della pelle? Vi ha elladetto che quei doveri erano senza pericoli? Vi ha detto che dove ilpericolo cominciasse ivi cesserebbe il dovere? O non v'haespressamente dichiarato che vi mandava come un agnello fra i lupi?Vi ha promessa la sicurezza temporale per ricompensa? o la vitaeterna? Non sapevate voi che v'erano dei violenti nel mondo? Lapelle! Offeritela per le mani dei violenti in sagrificio alla fede ealla caritàe la Chiesa la raccoglierà come un nobiletesorola conserverà di generazione in generazionedisacerdozio in sacerdoziocome un oggetto di cultocome untestimonio della forza che le è stata data dall'altocome untempio dove lo Spirito avrà operate le sue maraviglie. Ma perconservarla qualche tempo di piùper salvarla a spese dellacarità e del dovere! non faceva certo mestieri della unzionesantadella imposizione delle manidella grazia del sacerdozio.Come! al soldato che riceve pochi soldi di pagache combatte per unacausa che non conosce non è lecito dire: ho voluto salvare lavita! non è lecitoè turpe; supporre ch'egli lo possapensareè una ingiuria e non una scusa! e sarà scusaper noi! Dio buonoper noi che predichiamo le parole della vitacherimproveriamo ai fedeli il loro attacco alle cose terrenechefacciam loro vergognache gli chiamiamo ciechi perché nonsentono il valore della promessao perché operano come se nonlo avessero compreso! Che più? per questa stessa vita deltempola Chiesa non ha ella pensato a voi? non vi nutrisce elladella sostanza dei poveri? non vi munisce di riverenza e d'ossequio?non vi copre ella d'un abitoche prima pure che si sieno vedute levostre opere vi attrae la venerazioneperché vi segna come unuomo trasceltocome uno di quegli che non hanno altra professioneche di fare il bene? E perché vi distingue ella cosìse non a fine che possiate farlo? QUEGLI da cui abbiamo la missione el'esempioil precetto e la forza di eseguirloquando venne su laterra ad illuminare i ciechia congregare i dispersiadevangelizzare i poveria curar quelli che hanno il cuore spezzatoaben farea salvarepose Egli per condizione di aver salva la vita?"

DonAbbondio teneva bassi gli occhiil capole mani; il suo spirito sidibatteva tra quelli argomenticome un pulcino negli artigli delfalco che lo tengono elevato in una regione sconosciutain un'ariache non ha mai respirato. Vedendo poi che il Cardinale taceva comechi aspetti una rispostadopo aver molto cercatoarticolòfinalmente queste parole: "Non so che dire: avrò fallato:è giusto che i superiori abbiano ragione. Quando la vita nonsi ha da contare per nullanon so che dire. Vossignoriaillustrissima parla bene... Bisognerebbe però"aggiunsecon voce meno spiegata "essersi trovato al busillis".



Cap.IV

Ebbeappena Don Abbondio proferite queste ultime parole che se ne pentìs'accorse d'aver detta una insolenzae si aspettò che questavolta Monsignore monterebbe affatto in bestia. Ma alzandodubbiosamente lo sguardofu molto maravigliato in vedere la facciadi quell'uomoch'egli era destinato a non poter mai néindovinare né comprenderein vederla passare da quellagravità riprensiva ad una gravità tutta compunta epensosa. "Pur troppo!" disse il Cardinale: "tale èla nostra miseria. Dobbiamo ripetere dagli altri quello che forse nonsapremmo dare noi; dobbiamo riprendere altruie sa Dio quello cheavremmo fatto noi nel caso stesso. Ma guaj se io dovessi prender lamia debolezza per misura del dovere altrui! Pure è certo ch'iovi debbo l'esempio: non debbo essere il fariseo che impone altruiinsopportabili carichich'egli non vuol pure toccare colla punta deldito. Or bene: se voi m'avete veduto trascurare qualche miaobbligazione per pusillanimitàditemelo francamentecorreggetemifatemi ravvedere".

VedendoFederigo che Don Abbondio non rispondevae sospettando ch'egli forsefosse rattenuto dal timore di offenderloriprese con tuono umile ecordiale: "Diteche dinanzi a quel Dio che ci ascoltaio viprotestoche non che sdegnarmenevi sarò gratoe v'avròpiù caro che mai non vi avessi". Ma i pensieri di DonAbbondio erano tutt'altri da quelli che s'immaginava il Cardinale.

-Oh che tribolatore! - pensava Don Abbondio. -Anche sopra di sè! purché frughirimescoliesaminicritichiè contento. Ora io andrò a farglil'esame di coscienza! Farebbe meglio a non farmi tanta inquisizionesui fatti mieiche dei suoi io non mi piglio briga. - Macome bisognava pure dir qualche cosa ad alta voceecco ciòche disse Don Abbondio.

"OhMonsignoremi burla! Chi non conosce il petto fortel'animocoraggioso di Vossignoria illustrissima?" A questa dichiarazionefece poi nel suo cuore Don Abbondio questo commento: - Anchetroppoche un po' di giudizio starebbe meglio: lasciare andarl'acqua all'ingiùe non andare a comprarsi le brighenellefaccende cercare tutti i musi duri per cozzare e fino nelle visiteandare a pescare tutti i pericolischivare le strade pianee andarein cerca dei greppi e dei precipizi per fiaccarsi l'osso del collo.

IlCardinale rispose al complimento di Don Abbondio: "Io non vidomandava una lode che mi fa tremareperché chi puòsapere come mi giudichi Chi vede tutto? ma voi dovete sapere chequando a servire il prossimo in quelle cosedove egli ha ragione neinostri servigj è necessaria una risoluzione coraggiosaalloraquesta risoluzione è di stretto dovere. Ditemi dunque: cheavete voi fatto dopo quella intimazione che avete detto?"

"Cheho fattoMonsignore?" disse Don Abbondio. "Mi son messo aletto con la febbre". E aggiunse in cuor suo: - Stiamoa vedere che rimprovero mi farà per aver avuta la febbre.

"Vitolse essa il sentimento e la favella?" domandò ilCardinale.

"Monsignorno"rispose Don Abbondio: "ma le so dire che fu una febbrefiera: sono spaventi che non gli auguro a nessuno".

"Lacarne è inferma"ripigliò Federigo: "ed èquesta la nostra miserabile condizione: ma lo spirito fu egli pronto?Che avete voi fatto per quei due poverettidei quali voie voi soloallora conoscevate il pericolo?"

"Mache cosa doveva farecol nome di Dio?" disse Don Abbondio.

"Debboio dunque dirvelo?" ripigliò Federigo: "non l'avetesentito? non lo sentite pur ora? Al vedere un tanto pericolo venirsopra due anime innocentiche vi sono date in custodiale vostreviscere non si sono commosse? Non avete tremato per essi? Non aveteprovato il tormento della carità? Il vostro corpo si abbattèsotto lo spavento: guai al tristo superboche ne pigliasse argomentodi beffa e di dispregio: per questa debolezza che non è dellavostra volontànon sento altro che una pietàrispettosa: ma nella umiliazione del vostro terrorema nelle angoscedella vostra infermitàcome non avete pensato alle angosceche erano minacciate a quelli sui quali voi dovevate vegliare? Che!il lupo s'era mostratole pecore pascevano con sicurezzae voi nonavete pensatonon dico a difenderlema né pure a farleavvertite. Coi cenni l'avreste dovutoquando la parola vi fossemancata".

"Eccocome vanno le cose"disse Don Abbondio: "io mi confondodavanti a Vossignoria illustrissimae faccio torto alla mia causaper non saper ben dire le mie ragioni. Non le ho detto che quei due(due lì presentima a contarli tuttisono un reggimento)quei due mi hanno proibito espressamentesotto pena della vita diparlare".

"Diobuono!" riprese Federigo"voi avete credutovoi credeteancoravoi sostenete dinanzi a me che una tale proibizione dovesseessere per voi un comandamento? Che doveste obbedire? Cosìdunque basterebbe un violento in ogni parrocchia per fare che ilministero fosse tutto sospesoi pastori muti e schiavi? i deboliabbandonati? Che dovevate voi fare? Chiedere a Dio la forza che viera necessariae Dio ve l'avrebbe accordata; non perdere un momento:avvertire quei due poveretti della iniquità potente che stavaall'erta contra di lorostrascinarvi in Chiesae fare a malgradodell'uomo quello che Dio vi comandavaconsacrare la loro unioneechiamare sopra di loro la benedizione del cielo: dovevate soccorrerlidi consigliodi mezzi per porsi al riparo con la fugacercar loroun asilofare quello che implorereste se foste perseguitato da unpiù forte di voi: dovevate informar tosto il vostro vescovodel lorodel vostro pericolodell'impedimento che una violenzainfame poneva all'esercizio del vostro ministero. Ioio allora avreitremato per voi; io avrei posto in opera tutto quello che Dio mi hadato di ajutidi aderenzedi autoritàper difendervi: ionon avrei dormito fin che non fossi certo che non vi sarebbe torto uncapello. Ah! per quanto l'iniquità trionfiv'è pureancora un po' di forza per la giustizia: ma i poverelliinespertiignarisfidatinon sanno dove andarla a cercare: bussano alla primaporta; e se la trovano chiusasordacrudelesi disanimano affattoe non sanno come adoprarsi. Quell'uomo che ardì tanto credetevoi che avrebbe tanto ardito se avesse saputo che le sue tramelesue violenze erano note fuor di quinote a me? Vi dico che sarebbestato contento di ritrarsie voi dopo aver fatto il debito vostrosareste stato sicuro. Quella inquetudine che avete provatal'avreiprovata ioincessanteintensaingegnosa: io vi avrei promosso inluogofin dove certo le braccia di costui non si sarebberoallungate. Ma voi non avete fatto nulla. Nulla! Dio ha salvata questainnocente senza di voi: l'ha salvata... se dico troppose il miogiudizio è temerariosmentitemiche mi consolerete... l'hasalvata a mal vostro grado".

DonAbbondio taceva: il Cardinale continuò: "Èdoloroso il terroresono increscevoli le angosceè amara lapressura: voi lo sapete: ma sapete voi misurare la paura e le angosceche ha sofferte una vostra parrocchiana innocente?"

DonAbbondiodagli anni della pubertà in poinon aveva maioccupato tanto poco di spazio come in quel momento: ad ogni paroladel Cardinale egli si andava ristringendoimpicciolendoavrebbevoluto sparire. Tacque egli per qualche momentonon trovando ragioneda opporre in quel campo dove il Cardinale aveva posta la questionee dove la teneva a forza. Finalmente per dir qualche cosa pensòa cangiarla e a ricriminare. Disse dunque con quella debolezza ostileche fa svanire anche la pietà che la debolezza ecciterebbenaturalmente:

"Quelliche vengono a rapportaread accusarenon dicono tuttoMonsignoreillustrissimo. Questo bel fiore di virtùquesta poveragiovane è venuta per sorprendere il parroco e per fare unmatrimonio clandestino. E quel suo sposoera una buona lanaèandato a Milanoe sa il... cielo che cosa ha fatto: a buon conto hadovuto fuggire".

"Iolo sapeva"disse il Cardinale; "ma voi come osate parlaredi questi fatti che aggravano la vostra colpache ne sono laconseguenza? Voi chiudete a dei poverelli la via legittima pergiungere ad un fine legittimoe siete voi quello che fate lor caricose ne hanno presa una illecita? Certo il vostro rifiuto non gliscusa: ma pensate voi bene in questo momento quale sia l'animo dicolui a cui si nega quello che gli è dovuto? L'uomo ètanto artificioso per giustificare i mezziche lo possono condurreai suoi desiderj! che debb'esser quando i desiderj sono giusti? Non èquesta la più forte delle tentazioni? Mal fa chi soccombeanche a questa: ma che dite di colui che la dà? E quellosventurato giovane; bene avete dettosa il cielo che cosa ha fatto!Ah! tutti errano pur troppoanche quelli che dovrebbero raddrizzaregli errori altrui: v'ha tanti scellerati impunitiDio volesse che lapenache il terrore della pena non cadesse mai sugli innocenti! Mache ch'egli abbia fattoegli profugoesacerbatocol sentimentodella giustizia negatapregate Dioio prego per lui e voiche gliperdonie non vi accagioni di quello che egli possa aver fatto. Eraegli prima d'ora uomo di rissee di misfatti? e di rivolta? Io lodomando a voie Dio ascolta la vostra risposta".

"Questonon lo posso dire"rispose Don Abbondio.

"Evoi non tremate?" ripigliò il cardinale. "Voi nonpensate che se quest'anima la quale era stata affidata a vois'èpervertitavoi avete una terribile parte nel suo pervertimento? Untiranno l'aveva contristataprovocataesacerbata: era unatentazione: ma non la più forte; ma poteva divenire unaoccasione di offertadi sagrificiodi rassegnazione. I poverellisannodebbono pur troppo saperloche v'ha dei soverchiatoriviolenti: hanno inteso dire fino dall'infanzia che Dio gli lasciaspaziare alcun tempo su la terra per esercizio dei buonihannoappreso ad adorareanche nella iniquità degli uominilagiustiziae la misericordia di Dio entrambe infallibilimariserbate entrambe a momenti ch'Egli solo conosce. E quante volte lapersecuzione dell'empio non accresce in essi la fede? Ma quello chela turbaquello che inverte la loro coscienzaquello che travolgeil loro propositoè l'abbandono per parte di coloro chepredicano la fedela coscienzail proposito. Un tiranno ha sbalzatoquesto sventurato giovane lontano dalla sua casal'ha staccato daquei mezzida quelle consuetudinida quella vita nella quale eglipoteva esser facilmente onesto. Ah! allora più che mai egli haavuto bisogno di consiglioe di soccorso! Allora una voce forte eamorosa doveva farsi sentire a quell'anima tentata; doveva dirle:bada! l'iniquità trionfante non ti confonda: ella non èeterna: la tua collera non ti vinca: ella non è giustaperchénon ha ancora veduto la fine. Quell'infelice era sopraffatto dallospettacolo dell'ingiustizia d'un uomo; un altr'uomo doveva renderglivisibile la caritàperch'egli la credesseperchél'amasseperché non si staccasse da essa. Chi doveva esserquest'uomo? - Ma egli ha vedutaha sentital'ingiustizia solal'ha veduta impunitatemuta: ha veduto colui dalquale aveva imparato a detestarlaritirarsicedereassecondarlaquando si è mostrata nella sua forza; dopo averla abborritaegli ne è stato abbagliatone ha fatto il suo Dio. Non ditech'egli era disposto alla perversitàe che ha colta la primaoccasione per darsi ad essa. Sarebbe questa una scusa dolorosamauna scusa per voise aveste fatto quello che per voi si potevaqualche cosaper ritrarlo da quella viaper ritenere nel bene isuoi pensieri dubbiosi. Che avete voi fatto? Che confortochericordoche esempio ha egli portato con sèpartendosi? Cheha egli avuto da voi? Un rifiuto. Chi non ha cura dei suoihanegato la fedeè peggiore dell'infedele. La sentenza èterribilema non viene da me: è del vostro Maestroe delmio".

IlCardinale cessò di parlarema nel suo volto composto alsilenzio si dipingevano ancora i sentimenti che avevano mosse le sueparolee che le sue parole avevano accresciuti: l'ira senza peccatola commiserazioneun riflesso di terrore sopra se stesso al ricordodi quei doveriche gli erano comuni con quello ch'egli riprendevadell'averli sconosciuti. Don Abbondio sulle primequando avevaveduto che s'intonava un rabbuffoaveva sentito un turbamentounastizzauna tristezza tutta carnale; non poneva mente al senso dellaammonizionema al tuono con cui era fatta: e non s'affannava d'altroche di sentirla finire. Ma dalle dallela pioggia continua di quelleparole dopo d'avere sdrucciolato su quella terra aridal'aveva purepenetrata: erano conseguenze impensateapplicazioni nuovema d'unadottrina antica pur nella mente di Don Abbondio; il quale cominciòdavvero a comprendere quanto la sua condotta fosse stata diversa daquella leggech'egli stesso aveva sempre predicata. Taceva egli; manon più di quel silenzio impersuasibile e dispettoso: tacevacome quegli che ha più cose da pensare che non da dire. IlCardinale s'accorse dell'effetto delle sue parole; ne sentìconsolazione e pietàin un puntoe riprese:

"Questeperòsignor curatonon debbono essere le ultime nostreparole su questo affare. Sa il cielo come io avrei desiderato ditener con voi tutt'altro discorso. Siam vecchi entrambi: sa il cielose m'è doluto di dover contristare con rimproveri questavostra canizie; quanto avrei voluto piuttosto racconsolarmi con voidelle nostre cure comunidei nostri guajcol pensiero della beatasperanzaalla quale già già tocchiamo. La mezza notteè vicina; lo Sposo non può tardare: colmiamo d'olio lenostre lampadeaffinché non sieno estinte al suo arrivo.Riempiamo il nostro cuore di carità: essa sola èeterna; essa sola può raddolcire quel momento. Amiamoe saremforti; amiamo e le debolezzeche pur ci rimarrannosaranno copertee perdonate".

Federigofece ancora pausa a queste parole: Don Abbondio non ruppe ilsilenzioma il Cardinale vide ch'egli gli assentiva con l'animoecontinuò:

"Ilmale avvenuto è irrevocabile; ma non irreparabile; speriamo.Le sventure di quei due poveretti possono ancora tornare in lorobenee in bene vostro. Chi sa quante occasioni Dio vi prepara disoccorrerlidi divenir per essi un padredi compensare il torto chela vostra negligenza può loro aver fatto. Deh! non le lasciatesfuggire. Deh! non indurate il vostro cuore; non restituite loronelle occasionil'amarezza che può avervi data questariprensioneche io v'ho fattasa il cieloper amor vostro non menoche pel loro. Pur troppoio l'ho più volte esperimentato inquesta difficile altezza: il debole che si richiama al superiorechegli fa conoscere la sua ragioneche ottiene una giustiziatroppospesso momentaneapeggiora spesso la sua condizione. Quegli che èstato ripreso per sua cagionetace dinanzi alla riprensionecede alsuo maggiorema trova poi il mezzo di fare espiare al debole quelbreve trionfo. Son tanti i mezzi di fare avere torto al debole! ecolui che ne aveva assunta la protezioneè tanto distratto daaltre curedi sì corta vistache è facile farglicredere ch'egli si è ingannato alla primache ha protetto unimmeritevole. Deh! non fate così: poiché quand'ancheriusciste a farmi travederenon sono io quello che v'ha dagiudicare. Amate quegli infelici perché son vostri figliperquello che hanno soffertoper l'occasione che v'hanno data di udirla voce sincera del vostro pastoreper l'amore che possono attirarvida Dio. Amateli cordialmentee saprete sempre quello che avrete dafare per essi".

"Monsignore"disse Don Abbondiocon voce commossa"dinanzi a voi e dinanzia Dio prometto di fare per essi tutto quello che potrò. MaVossignoria illustrissima pensi a mettere un buon guinzaglio a quelcane. Vossignoria ha avuta la degnazione di dirmi che avrebbe trematoper me povero prete: sappiaMonsignoreche v'è da tremareancoraperché quando Vossignoria sarà a far del benealtrovecostui tornerà qui a fare alla peggio".

"Diol'ha già atterrito senza di voisenza di me"interruppeFederigo"voi lo avete veduto fuggire: non è questo unpegno dell'aiuto celeste? Ma io non lascerò di mettere inopera ogni mezzo umano che sia in poter mio. Porrò in sicuroquella povera giovaneche non lo sarebbe forse qui: chiederòconto di quegli che le era promesso; e s'egli è innocente...se le mie parole possono giovargli... Dio buono son tanto sospette leparole in bocca nostra! Pure io spero in Dio. Quanto a quel Signorespero pure di poter fargli sentire che v'è chi non ha paura diluie può fargliene. Ad ogni modoricordatevi ch'egli nonpuò uccidere che il corpoe temete Quel solo che puòperdere il corpo e l'anima".

"Ahl'anima! è vero pur troppo!" disse Don Abbondiolasciando interrotta la frase che il suo pensiero compì aquesto modo: - ma se quel birbante mi dovesse uccidereil corposarebbe dura -. "A proposito del corpo"disse poi dopo un momento"non per dare un parere a Vossignoriaillustrissimama per amore di quella regolarità che tanto lepiacemi faccio lecito di avvertirla che l'ora è avanzataeche il mio povero pranzo non aspetta che Vossignoria".

"Andiamo"disse il Cardinalecon un sospiro.

Abbiamodetto che il Conte del Sagrato era venuto ogni mattina a quellaChiesa che il Cardinale visitava in quel giorno. Stava alquanto conlui in quell'ora di riposo che precedeva il pranzoe poi ripartiva.Ma in questo giorno egli era venuto con un disegno che fu cagione difarlo rimanere più tardi. Sapeva il Conte che Lucia dovevatornare alla sua casa: il Cardinale lo aveva informato di questoanzi gliene aveva chiesto consiglio: perchédove si trattavadi pericolie di cauteladi bravi e di tiranninon v'era uomo piùal caso di dare un buon consiglio: e il Conte aveva confortato ilCardinale ad installare pure sicuramente Lucia nel suo pacificoalbergo. Prevedendo egli dunque che quel giorno Lucia si sarebbetrovata dal Cardinalenon vi si presentò all'ora consuetamastette nella Chiesa aspettando l'ora in cui il Cardinale era solitodi desinaree quando questa gli parve dover esser giuntaentrònella cucinadove Perpetua stava in grandi faccendee le chiese conumile affabilità di poter ivi trattenersi ad attendere che ilpranzo fosse finito per chiedere udienza a Monsignore. Chi entra inuna cucina in un giorno di cerimoniaè sempre il mal venuto;ma il Conte aveva una antica riputazione di ribalderiae una recentedi santitàche imposero anche a Perpetuala quale perlevarsi dattorno nel modo più gentile quell'incomodo arnesepropose al Conte d'entrare nella sala del pranzo.

"Sifaccia avanti"diss'ella "sulla mia parola: Monsignore lavedrà molto volentieri; e anche il mio padronee tutta lacompagnia: non faccia cerimonie".

Mail Conte disse di nuovo che desiderava di attendere ivi in un canto.Perpetua lo fece sedere al posto d'onore della cucina nel banco sottola cappa del camino; dicendo: "Vossignoria starà comepotrà: veramente avrebbe fatto meglio d'entrare coi signoriche quello è il suo posto: bastacom'ella vuole: mi scusi senon posso fare il mio dovere a tenerle compagniaperché oggiho tante faccende: ella vede". Il Conte sedetteringraziòe cavato un tozzo di pane che aveva portato con sèsi diede amangiare. Quando Perpetua vide questonon lo volle patire. "Come?un signore suo pari! non sarà mai detto ch'ella faccia questotorto alla mia cucina. Eccosi serva: mangi di questo: e lasci farea me per mandare in tavola il piattosenza un segno: non facciacomplimenti: che serve?" E come il Conte rifiutavaPerpetua glisi avvicinò all'orecchioe gli disse a bassa voce: "ViaSignor Conte; che scrupoli son questi? so quello che posso fare: lapadrona sono io qui". Ma tutto fu inutile. Il Conte ringraziòdi nuovoe continuò a rodere ostinatamente il suo pane.

Quandopoi da quello che accadeva in cucinas'avvide che erano cessati icibi e levate le mensefece chiedere udienza a Federigodal qualefu tosto fatto introdurre.

"Monsignore"diss'egliquando gli fu in presenza"questo è un giornodi festa singolare per questo paese e per voima in questaallegrezza comuneioio ho una parte ben diversa da tutti glialtri; il gaudio puro e sgombro della liberazione d'una innocente nonè per colui che l'aveva vilmente oppressaangariata. A meconviene dunque un contegno e un linguaggio particolare; lasciatech'io faccia oggi la mia parte; approvate che io vada ad implorare unperdono da quella innocentech'io mi umilj dinanzi a leiche leconfessi il mio orribile tortoe che riceva dalla sua boccainnocente dei rimproveri che non saranno certo condegni alla miainiquitàma che serviranno in parte ad espiarla".

Federigointese con gioja questa proposizione; e pel Conte a cui questo passosarebbe un progresso nel bene e una consolazione nello stesso tempo;per Luciaalla quale lo spettacolo della forza umiliatavolontariamente sarebbe un confortoun rincoramento dopo tantiterrorie pel trionfo della pietàe per l'edificazione deibuoni; e finalmente perché una riparazione pubblica eclamorosa attirerebbe ancor più gli sguardi sopra Luciae sulsuo pericolosarebbe una più aperta manifestazione delsoccorso che Dio le aveva datola renderebbe come sacrae cosìpiù sicura da ogni nuovo attentato dello sciarrato suopersecutore. Approvò egli adunque con vive e liete parole laproposizionee aggiunse: "Dite: dite se l'offesa la piùardentemente bramatala più lungamente meditatala meglioriuscita reca mai tanta dolcezza quanto una umile e volontariariparazione?"

"Ah!la dolcezza sarebbe intera"rispose il Conte"se lariparazione potesse esserlo; se il pentimentose l'espiazione la piùoperosala più laboriosapotesse fare che il male non fossefattoche i dolori non fossero stati sentiti".

"Mav'è ben Quegli"rispose Federigo"che puòfar di più; che può cavare il bene dal maledare peidolori sofferti il centuplo di giojafargli benedire a chi gli hasofferti. E quando voi fate per Lui e con Luiquel poco che v'èconcesso di fareEgli farà il resto: Egli farà che delmale passato non resti a quella poveretta che un argomento diriconoscenza e di speranzae a Voi di una afflizione umile esalutare".

Dettoquesto il Cardinalechiamò il curatoe gl'impose che facesseavvisare Lucia del disegno del Contee le dicesse ch'egli stesso lapregava di accoglierlo. Partito il curatoFederigo richiese il Conteche aspettasse tanto che Lucia potesse essere avvertita.

Dopoqualche momento il Conte uscì dalla casa di Don Abbondio es'avviò a quella di Lucia tra una folla di spettatorifra iquali era già corsa la notizia di ciò che si preparava.

Laforza che spontaneanon vintanon strascinatanon minacciata siabbassa dinanzi alla giustiziache riconosce nella innocenza deboleun poteree domanda grazia da essaè un fenomeno tanto belloe tanto raroche beato chi può ammirarlo una volta in suavita. Quei buoni terrieri (in quel momento erano tutti buoni) non sisaziavano di guardare il Contelo seguivanolo circondavano intumultolo colmavano di benedizioni. Tanta è la bellezzadella giustizia: per tarda ch'ella siainnamora sempre quando èvolontaria: quelli che dopo aver fatti patir gli uomini si vendicanodell'odio loro che gli tormenta col fargli patire ancor piùnon pensano che quell'odio è pronto a cangiarsi in favoreinriconoscenzaal momento che una risoluzione pietosaun ravvedimentoanche senza confessione faccia cessare i patimenti.

IlConte camminava ad occhi bassi e col volto infiammatotutto compuntoe tutto esaltatoche poteva sembrare un re condotto in catene altrionfoo il capitano trionfatore. Don Abbondio camminava al suofiancoe pareva... Don Abbondio.

Giuntialla casetta di Luciail curato fece entrare il Contee con ambe lemani ritenne la follao almeno le comandò che si rattenessetanto che potè chiuder l'uscioe lasciarla al di fuori.

Luciatutta vergognosa condotta dalla madre si fece incontro al Conteilqualetrattenendosi vicino alla porta nell'atteggiamento di uncolpevolele disse con voce sommessa: "Perdono: io son quelloche v'ha offesatormentata: ho messe le mani sopra di voivilmentea tradimentosenza pietàsenza un pretestoperchéera un iniquo: ho sentite le vostre preghieree le ho rifiutate; hovedute le vostre lagrimee son partito da voi senza esaudirvivi hofatta tremare senza che voi m'aveste offesoperché era piùforte di voie scellerato. Perdonatemi quel viaggioperdonatemiquel colloquioperdonatemi quella notte; perdonatemi se potete".

"S'iole perdono!" rispose Lucia. "Dio s'è servito di leiper salvarmi. Io era nelle unghie di chi mi voleva perderee ne sonouscita col suo ajuto. Dal momento ch'ella m'è comparsainnanziche io ho potuto parlarleho cominciato a sperare: sentivain cuore qualche cosa che mi diceva ch'ella mi avrebbe fatto delbene. Così Dio mi perdonicome io le perdono".

"Bravafigliuola!" disse Don Abbondio"così si deveparlare: fate bene a perdonareperché Dio lo comanda; e giàquando anche non volesteche utile ve ne verrebbe? Voi non potetevendicarvie non fareste altro che rodervi inutilmente. Oh se tuttipensassero a questo modosarebbe un bel vivere a questo mondo!".

"Èvero"disse Agnese"che questa mia poveretta ha patitomolto... ma bisogna poi anche dire che noi poveretti non siamoavvezzi a vedere i signori venirci a domandar perdono".

"Diovi benedica"disse il Conte"e vi compensi conaltrettanta e con più consolazione i mali che io vi ho fattitutti quelli che avete sofferti". Indi soggiunse titubando:"Come sarei contento se potessi far qualche cosa per voi!"

"Preghiper me"disse Lucia"ora ch'è divenuto santo".

"Quelloch'io sono statolo so pur troppo anch'io: quello ch'io ora siaDiosolo lo sa!" rispose il Conte... "Ma voiin questa vostraorribile sciagura... in questa mia scelleratezza... non avete avutosoltanto timorie crepacuori... La vostra famiglia... una famigliaquieta e stabilita... i vostri lavoril'avviamento... voi avetesofferti danni d'ogni genere... se osassi... se potessi parlare dicompensar questiio che v'ho fatto tanto male che non potròcompensar mai... ma Dio è ricco... frattanto: datemi questaprova di perdono... accettate"e qui cavò con peritanzaquasi puerileun rotolo di tasca... "accettate questa picciolarestituzione... non mi umiliate con un rifiuto".

"Nono"disse Lucia: "Dio mi ha provveduta abbastanza: v'hatanti poverelli che patiscono la fame: io non ho bisogno..."

"Deh!non mi rifiutate..." replicò il Conte con umile istanza:"se sapeste! questa somma... questo numero... pesa tanto in manomia... e sarei tanto sollevato se l'accettaste... Non mi faretequesta graziaper mostrarmi che m'avete perdonato?" e vedendoche il volto d'Agnese esprimeva il consenso che il volto e le paroledi Lucia negavanopresentò alla madre il rotoloimplorandopur con lo sguardo il consenso di Lucia.

"Grazie"disse Agnese al Conte; "e tu"continuò rivolta aLucia"ora non parli bene. Questo signore lo fa pel benedell'anima suae noi poveri non dobbiamo esser superbi". Cosìdicendo svolse il rotoloe sclamò: "Oro!"

"Vostramadre ha ragione"disse Don Abbondio: "accettate quelloche Dio vi mandae se vorrete farne del bene non mancherannooccasioni. Così facessero tutti! Così Iddio toccasse ilcuore a qualchedun altro e gli ispirasse di compensare anche mepovero pretedelle spese che ho dovuto fare in medicine per quellamaledetta..." Voleva dire - paura - maebbe paura di parlare imprudentemente e si fermò.

"Viringrazio della vostra degnazione"disse il Conte a Lucia"edel vostro perdono. E se mai in qualunque caso voi credete ch'iopossa esservi utilevoi sapete... pur troppo... dove io dimoro. Ilgiorno in cui mi sarà dato di fare qualche cosa per voisaràun giorno lieto per me: mi parrà allora che Dio mi abbiaveramente perdonato".

"Eccoche cosa vuol dire avere studiato!" disse Agnese: "appenaDio tocca il cuoresi parla subito come un predicatore".

Luciaringraziò pure il Conteil quale dopo d'aver ripetute paroledi scusa e di umiliazione e di tenerezzasi congedòuscìcon Don Abbondioe sulla porta si divisero. Il Conte tra leacclamazioni della folla prese la via che conduceva al suo castelloe Don Abbondio tornò a casa.

Appenale due donne furono soleAgnese svolse il rotoloe in fretta infretta si diede a noverare. "Dugento scudi d'oro!" sclamòpoi: "quanta grazia di Dio! Non patiremo più la famecertamente".

"Mamma"disse Lucia"poiché quel signore ci ha costrette adaccettare questo donoe ha preteso che fosse una restituzione...quei denari non sono tutti nostri. Non siamo noi sole che abbiamosofferti danni... non sono io sola che abbia dovuto fuggireintralasciare i miei lavori. Io sono tornata finalmente... e se nonistarò quiho almeno chi pensa a mechi non mi lasceràmancare di nulla... Un altro è lontanoe che Dio sa quandopotrà tornare. Mi parrebbe di aver rubati quei denarisealmeno almeno non gli dividessi con lui".

"Glieliporterai in dote"disse Agnesestudiandosi di rotolare comeprima gli scudiche facendo pancia da una parte o dall'altrasfuggivano dalle sue mani inesperte.

"Nonparliamo di queste cosemamma"disse Lucia sospirando; "nonne parliamo. Se Dio avesse voluto... ah! le cose non sarebbero andatea quel modo. Non era destinato che fossimo... non ci pensiamo percarità".

"Mas'egli torna"voleva cominciare Agnese.

"Èlontanoè profugoramingo... ah! c'è altro dapensare: forse egli stentaforse non ha pane da mangiare. Forse conquesto ajutoegli potrà collocarsi bene altrovefarsi unavviamentouno stato..."

"Ohe!"disse Agnese"tu non pensi più a lui?..."

"Pensoa toglierlo d'angustiae di bisogno"rispose in fretta Lucia."Questo lo possiamo fareal resto provvederà Iddio".

Agneseera onesta e buonae per quanto le piacessero quei begli scudigiallognolinon avrebbe potuto possederli con un contento puro etranquillo quando le fossero divenuti in mano un testimonio di dura ebassa avarizia. Consentì ella dunque a destinarne la metàa Fermoe promise a Lucia che avrebbe cercato tosto il mezzo difarglieli tenere sicuramente. Ma Agnese era rimasta colpita di quellanuova rassegnazione di Lucia all'assenza del suo promesso sposoenon lasciò di tentarla con interrogazionidirettetortuosecalzantisubdoleper venirne all'acqua chiara. Lucia peròseppe per allora e per qualche tempo schermirsi dal soddisfare allacuriosità maternaallegando sempre che era inutile il pensarea cose che le circostanze rendevano impossibili.

IlCardinale aveva risoluto di partire quella sera di làperportarsi ad una parrocchia vicina; ma partiva col dispiacere di nonavere ancora potuto provvedere Lucia d'un asilo; e quantunque tuttoparesse ivi sicuro per essapure il cuore del buon vecchio non eraabbastanza tranquillo. Per avere la certezza che desideravaegli nonsi rivolse a Don Abbondio; perché teneva per fermo (e nessunodirà ch'egli giudicasse temerariamente) che Don Abbondio perrispondere "Monsignor sì" o "Monsignor no"avrebbe consultato piuttosto l'interesse e la sicurezza sua propriache quella di Lucia.

Commiseegli adunque al suo Cappellano crocifero di aggirarsi fra il popoloe di osservare lo stato delle cosela disposizione degli animidivedere se v'era rimasta in paese gente di mala intenzionese insommasi poteva partire col cuore quietolasciando Lucia nel luogodovealcuni giorni prima non era stata sicura. Il Cappellano fece ciòche gli era stato imposto; parlò al sagrestanoagli anzianial consolee da tutti fu accertato che nulla v'era da temere. Anziappena si ebbe sentore di questa inquietudine del Cardinalein unmomento giovani e vecchi s'offersero di guardare la casa di Lucia;con quella risoluzionecon quell'ardore con cui si veggono offrirele alleanze ad un principe vittorioso. "Son qua io"diceval'uno... "tocca a me"diceva l'altro: "io soncugino"gridava un terzo: "io io che non ho paura dibrutti musi"schiamazzava il quartoe così fino alcentesimo. Non si sarebbe potuto credere che Lucia pochi giorni primaavesse dovuto fuggire segretamente da quello stesso paese. Perchécostoro non si presentavano quando v'era il bisogno? Eh! perchév'era il bisogno.

Avutaquesta sicurezzail Cardinale partìfacendo ancora ripeterea Luciach'egli non si sarebbe scostato da quei contorni primad'aver provveduto alla sua sorte. Infatti egli andò sempre inquei giorni ripensando al modo di compire questa sua operaericercando in ogni personain ogni circostanza se poteva farne unmezzo al suo benefico intento. A forza di attendere e di ricercarel'occasione si presentò. Visitando una di quelle parrocchiericevette Federigo fra le altre visite che accorrevano da ogni partequella d'una famiglia potente di Milano che villeggiava in quellevicinanze. Don Valerianocapo di casaDonna Margherita sua moglieDonna Ersilia loro unica figliae Donna Beatrice sorella del capo dicasarimasta vedova nel primo anno di matrimonioe ritornata avivere ritiratamente in casa. Dei primi tre il Cardinale non avevaconoscenza molto vicina: sapeva soltanto che la famiglia benchémolto distintapure non faceva terroreche Don Valeriano non avevariputazione di soverchiante e di tiranno; e questo merito negativobastava in quei tempi a conciliare ad una famiglia potente la stima ela fiducia dei più savj. Oltre di cheDonna Beatrice era notaa Federigo assai più da vicino; le abitudini di una vita tuttaconsecrata alla pietà e alla assistenza dei poveri le avevanodata senza ch'ella se ne curasseuna riputazione di santitàe il Cardinale in più occasioni incontrandosi con essa nellestesse intenzionie nelle stesse occupazioni aveva avuto campo diaccertarsi che quella riputazione non era menzognera. Quando adunquequesta visita gli fu annunziatapropose egli di trovare il modo cheLucia andasse in quella casa; ma non dovette studiar molto a condurreil discorso dov'egli desiderava; perché l'affare di Lucia erastato tanto clamoroso che Don Valeriano non mancò di parlarneper fare un complimento al suo liberatore. Questi allora dopo d'avermodestamente rifiutate le lodi ch'egli sapeva di non meritareraccontando semplicemente il fattoe togliendone tutto ciòche la fama vi aveva aggiunto in suo onoreaggiunse che peròtutto non era finitoche quella povera giovane uscita da un tantopericolo non era pure in sicuronon aveva un asiloe che certamenteavrebbe compiuta una opera incominciata da Dio chi l'avesse raccolta.Don Valeriano guardò in faccia a Donna Margheritala qualeassentì con una occhiata: Donna Beatricenon guardata dalorogli guardò entrambi con ansietà per vedere seavevano intesose avrebbero fatto vista d'intendere: Donna Ersiliacontinuò a guardare la croce del Cardinalela porporaaseguire con l'occhio la mano per osservare l'anelloche erano lecose per le quali s'era fatta una festa di venire a far quellavisita. Don Valeriano offerse al Cardinale di prendere Lucia alservizio della casao come il Cardinale avrebbe desiderato. IlCardinale accettò lietamente: fece avvertire Lucia ed Agnesele quali vennero all'obbedienza: Lucia fu consegnata a DonnaMargheritae posta ai servigj di Ersilia. Don Valeriano fu moltocontento d'avere esercitata una protezioneDonna Margherita di averein casa sua una persona alla quale potè metter nome: quellagiovane che mi è stata affidata dal signor CardinalearcivescovoDonna Beatrice di vedere in sicuro una innocentee dipoterla soccorrere e consolareDonna Ersiliad'avere una donna alsuo serviziocon la quale potere parlare senza che le fosse datosulla voce. Lucia pure fu contenta di avere una destinazione che latoglieva da quel contrasto doloroso tra il voto e il cuore; Agnese divedere la sua figlia in salvoe in casa di signorie finalmente ilCardinale di aver messa quella pecorella al sicuro dalle zanne dellupo.

Noiprofittiamo di questa contentezza dei nostri personaggi d'antica e dinuova conoscenzae prendiamo questo momentoin cui anche la buonaed infelice Lucia trova un po' di riposo in una qualunque conformitàtra la sua situazione e lo stato dell'animo suoper lasciarla con lasua nuova compagniae parlare d'altri fatti indispensabili allaintegrità della storia. Prima però di staccarci daFederigonon possiamo a meno di non raccontare un tratto accadutonella visita da lui fatta in quei contorni; perché questoracconto quale lo troviamo nel nostro manoscritto e altroveserveassai a dipingere i costumi di quel tempo tanto lontani dai nostrieosservabilissimi per una certa pienezza d'entusiasmoper unaesplosione di sentimenticlamorosaper un impeto veementecometroppo spesso al malecosì pure qualche volta verso ciòche era veramente stimabile. Oltre di che Federigo èpersonaggio tanto amabilenelle sue azioni anche le piùcomuni v'è sempre una tale espressione di gentilezzadibontàche fa riposarvi sopra la fantasia con diletto; ecogliere ogni pretesto per rimanere il più che si possa in unatale compagnia. Che se qualche lettore osasse dire che noi ve loabbiamo trattenuto troppo a lungoosasse confessare d'aver provatoun momento di nojabisognerebbe concluderne delle due cose l'una: oche noi raccontiamo in modo da annojare anche con una materiainteressante; o che questo lettore ha un animo ineducato al bellomoraleavverso al decenteal buonoistupidito nelle basse vogliecurvo all'istinto irrazionale. Ma il primo di questi due supposti èmanifestamente improbabilea parer nostro. Veniamo al racconto.

DalleChiese delle quali abbiamo parlato si era Federigo trasportato avisitar quelle della valle di San Martino che era allora nel dominioveneto e nella diocesi milanese; e per tutto dov'egli si andavafermandooltre la folla dei parrocchianila chiesala piazzalaterra formicolavano di moltitudine accorsa dai luoghi circonvicini.In una di quelle terre avendo egli sbrigate nella sera stessa del suoarrivole principali faccendeaveva egli disegnato di partire primadel pranzoper giungere più tosto alla stazione vicina. Erala chiesa dov'egli si trovavaposta sulla cima d'un lento pendio cheterminava in una vasta pianura. Celebrati i santi misteri si volseegli dall'altare per favellare al popoloe stendendo dinanzi a sèil guardo che dalla elevazione dell'altare poteva trascorrere per laporta spalancata sul pendio e nel piano sottopostovide dallabalaustrata del presbiteronella chiesasul pendionel pianounacalca non interrottacome un selciato continuo di teste e di volti;se non che al di fuori quella superficie uniforme era interrotta datende alzate che facevano parere quel luogo un campoo una fiera;guardando poi più fisamente scerse fra quella moltitudineabiti diversi di ricchezza e di foggia che dinotavano una varietàdi condizioni e di paesi. Chiese egli a chi lo serviva più davicino che cosa volesse dire quel concorso; e gli fu detto che eragente accorsa da tutta la diocesi di Bergamoe dalla cittàstessa per vederloper udirlo. "E perché"diss'egli"non gli accoglieremo noi gentilmente come siconviene con ospiti?" Quindi dette alcune parole di insegnamentoe di salute ai popolani che non avendo avuto viaggio da fare avevanoi primi occupata tutta la chiesapropose loro che facessero glionori di casae cedessero il luogo a quegli estranei che eranovenuti da lontano per sentire un vescovo. La voce corse tosto per lachiesa e per lo spazio di fuori; questi uscivano e cedevano il luogocon pronta cortesiaquegli entravano con ritegno e con rendimenti digrazie: contadini e signori parevano in quel momento gente beneeducata. Cangiata a poco a poco l'udienzail Cardinale parlòa quei sopravvenuti come gli dettava la sua abituale caritàela simpatia particolare che aveva eccitata in lui quella ardente ecomune volontà la quale egli si sforzava di credere mossa intutto dal suo ministero e per nulla da una inclinazione alla suapersona. Terminato il discorsobenedisse egli tutto quel concorsolo accomiatòe si dispose a partire. Salito sulla sua mulasi mosse col suo seguito in mezzo a quella moltitudinema dopoalquanto viaggioquando credeva d'abbandonarlas'avvide che lamoltitudine lo seguiva. Si volse egli alloraristette in faccia aquellae la benedisse di nuovo come per congedarla ultimamente. Marimessosi in vias'accorse che non era nientee che la processionecontinuava. Li fece pregare di ritornarsenee di non aggravareinutilmente la stanchezza del cammino già fattoma tutto fuinutile: gli era come un dire al fiumetorna indietro. Si erano giàfatte più miglia di camminol'ora era tardaquando ilCardinale che era digiuno e già da lungo tempo combatteva conla famesentendo mancarsi le forzee visto che quel giorno gli eraforza desinare in pubblicosi fermò sulla cima d'una salitadove vide spicciare una sorgente da una roccia che fiancheggiava ilcammino: e chiese così a cavallo che gli fosse servito ilpranzo. L'ajutante di camera tolse da un cestello un pezzo di paneeglielo presentòFederigo lo prese indi chiese che gli fosseriempiuto un bicchiere a quella sorgente. Mentre questo si facevacominciò Federigo a banchettarenon senza un qualche pudoreper tutti quegli spettatorie chiuse il banchetto col bicchiered'acqua che gli fu porto. Quando tutta quella folla vide quali eranole mense d'un uomo così doviziosoe così affaticatoinsorse un grido di maravigliaun gemito di compunzione: e questisentimenti crebbero quando fra quegli accorsi alcuni i qualiconoscevano più degli altri le costumanze del Cardinaleaffermarono che questo era il suo solito pranzoquando doveva farloin camminoe che quello che gli era imbandito in casa non nedifferiva di molto. I poveri si rimproveravano la loro intolleranzadel disagioi ricchi la loro intemperanza; e quivi tosto molti fraquesti distribuirono ai bisognosi i danari che si trovavano indosso.Il Cardinale così ristorato pregò i più viciniche finalmente tornasseroe persuadessero gli altri a tornareealzata la mano su tutta la turba che egli dominava da quella alturala benedisse di nuovostendendo poi verso di quella affettuosamenteambe le mani in atto di saluto. La turba rispose con nuoveacclamazionie non osando più resistere al desiderio diquell'uomosi rivolsee tornò addietro. Federigo proseguìil suo cammino.

Vengaora un uomo ben eloquente e si provi a dare uno splendore di gloria aquel pranzo del Cardinalea renderlo un argomento frequente diammirazione e di memoria: non gli verrà fatto. È forseda dire che queste virtù di semplicità e di temperanzanon danno mai alla fantasia degli uomini di che ammirare? Non già;poiché si parla tuttavia delle magre cene di quel Curio malpettinatocome lo chiamò Orazio; è viva e comune lamemoria del salino di Fabricioe del suo piattello sostenuto da unpicciuoletto di corno. E perché dunque il tozzo di pane diFederigo e il suo bicchier d'acqua non potranno ottenere una simileimmortalità di gloria? Se alcuno ha in pronto una cagioneragionevole di questa differenzala dica; per me non ho potutotrovarne che unaed è: che il Cardinale Federigo non ha maiammazzato nessuno. La più parte degli uominiparlo degliuomini coltinon consente ad ammirare le virtù frugali edastinenti che in coloro i quali eccitano con virtù ferociun'altra ammirazione di terrore: non considera quelle come virtùche quando sieno unite ad un profondo sentimento d'orgoglioe didisprezzo per qualche parte del genere umano. Se quel tozzo di panefosse stato mangiato da un generale in presenza di venti milacadaverisarebbe in tutti i discorsiin tutti i libri; nessunfedele umanista avrebbe potuto evitare di farvi sopra almeno unaamplificazione in vita sua. Eppure la ragione dice che quel tozzo dipanesolo cibo d'un uomo che avrebbe potuto nuotare nelle delizieeche se ne asteneva per un sentimento profondo della dignitàumanae per dar pane a chi ne mancavaquel tozzo di pane mangiatotra le fatiche d'un ministero di misericordiadi pacee di pietàdovrebb'essere una rimembranza più cara agli uomini che nonquel salino e quel piattello che copriva la mensa d'un uomo che erasobrio per potere esser forte contra gli uomini; che godeva di essereun povero Fabricio per essere un potente Romano. Le idee di cui sicomponeva il sentimento temperante di questo erano superbeostilisprezzantisuperficiali: quelle di Federigo umanegentilibenevoleprofonde. In quello stesso convito di Pirrodove Fabriciodiede quelle prove della sua fermezza e della sua astinenzalasciòegli trasparire manifestamente quel suo animo: ivi all'udire ledottrine epicuree esposte da Cineadisse egli quelle atroci paroletanto lodate dagli antichiechi lo crederebbe? dai moderni: "OhErcole!" (il santo era degno del voto) "Oh Ercole!"diss'egli: "fa che queste dottrine sieno ricevute dai Sanniti eda Pirro fin tanto che saranno nemici del popolo romano". Ma ilnostro mangiator di pane avrebbe avuto orrore di sèse avessepotuto anche un momento desiderare la perversità ai suoinemiciai nemici del suo popolo. Egli desiderava la giustizialafortezzala sobrietà a tuttila desiderava per loroper sèper la gloria del Dio di tuttila desideravae tutta la sua vita fuspesa a promuoverla. La sua benevolenza non era nazionalenéaristocraticaegli non aveva bisogno di odiare una parte del genereumano per amarne un'altra: si faceva povero non per insultarenonper dominarema per dividere la condizione dei suoi fratelli poverie per migliorarla. A dispetto di tutta la storiadi tutta la moraledi tutta la rettoricaFederigo Borromeo era più grand'uomoche Fabricio; o per meglio dire Federigo era veramente grand'uomoper quanto un sì magnifico epiteto può stare con un sìmisero sostantivo.



Cap.V

Hovisto più volte un caro fanciullo(vispo a dir vero piùdel bisognoma che a tutti i segnali promette d'essere ungalantuomo) l'ho visto affaccendato sulla seraa cacciare al copertoun suo gregge di porcellini d'India che egli aveva lasciato spaziareil giorno in un giardinetto. Il fanticino avrebbe voluto farli andartutti di brigata al covilema era fatica perduta; uno si sbandava adestrae mentre il picciolo pastore correva per raggiungerlounaltrodue treuscivano dalla frotta a sinistra; dopo qualcheimpazienza egli si persuadeva che non sarebbe riuscito a quel modo;spingeva dentro prima i più vicinie poi tornava a pigliargli altri ad uno a due a trecome gli veniva fatto. Così pureabbiamo dovuto far noi coi nostri personaggi: per seguire Lucia nellesue dolorose vicendeci è stato forza perder di vista Fermo:ora che Lucia è uscita dal pericoloe posta in sicuroe glialtri tutti qual più qual meno allogatinoi torneremoindietro sulle tracce del suo promesso sposo. L'abbiamo lasciato ches'avviava da Monza a Milanomunito d'una lettera del PadreCristoforo ad un padre Bonaventurail mattino del giorno undici dinovembre. Al dolore di avere abbandonata la casaal rancore d'averlaabbandonata per la violenza d'un ribaldoal tribolo di trovarsitapino sur una strada senza sapere dove si poserebbe il capoaipatimentiai disagialle stizzeagli sconcerti della notte passatas'era aggiunto ora un doloreche esacerbava tutti gli altri; ildistacco da Luciae un pensiero che diceva: - chi saquando ci rivedremo -. Andava dunque il povero Fermotutto sconsolatopensando a tutti i suoi guaie in capo a tuttiquesti pensieri si trovava sempre quel Don Rodrigo che era la primacagione dei guaj: e Fermo allora lo malediceva con tutti i tirannicon tutti i dottoricon tutti quelli che avrebbero dovuto proteggereil poveroe lo lasciavano opprimere. I curati non li maledicevamaritirava da loro la sua benedizione. Si ricordava poi di Domeneddioe del Padre Cristoforoquesto gli accadeva ad ogni volta che siabbatteva in una qualche immagine dipinta sur una di quellecappellette che erano allora frequentissime su le strade: alloraFermo tornava in sèe si sforzava di perdonare: di modo chein quel viaggioegli ebbe ammazzato in cuore Don Rodrigo erisuscitatolo almeno venti volte.

Amisura che Fermo si allontanava dalle colline e si avvicinava allacittàl'aspetto del cielo e del paese gli diveniva piùtriste e saturnino: di tempo in tempo la via profonda fra due ripesolcata da rotaje che erano diventate rigagnolie tutta fango neglialtri spazj era presso che impraticabile: a quei passi un sentieroerto a guisa di scaglioni su la ripasegnava che altri passeggeri sierano fatta una via nei campicosteggiando quella che avrebbe dovutoessere la via.

Fermosalito il primo di questi sentierida quel luogo più elevatoguardando dinanzi a sèvide la guglia del Duomoe ristetteattonito: conobbe tosto quello che doveva esseree ristette ancora arimiraredimentico per un momento di tutti i suoi travagli e assortoin quella contemplazione: poichécome tutti i contadini diLombardiaegli aveva fino dalla infanzia inteso parlare di quelDuomocome della maraviglia del mondo: e in allora i viaggi eranocosì rarie le comunicazioni così infrequenticheFermo dubitava assai se in vita sua avrebbe veduta mai quellamaraviglia.

Madopo qualche momento d'estasiguardandosi intornoe seguendo lacatena dei montivide sorgere fra gli altri le punte del suoResegone e si sentì tutto rimescolare il sanguesimosse macchinalmente per correre da quella partee tosto ravvedutogli volse le spallee continuò tristamente il suo cammino. Adognuno in cui si abbattevadomandava egli se quella era la via checonduceva a Milanonon tanto per esser certo della via quanto perassaggiare quegli abitatori sconosciutiper sentire il lorolinguaggiogiacché gli pareva di trovarsi in un paese stranoe per dirla nel suo linguaggio pareva perduto. Gli era risposto cheandava beneed egli continuava. Finalmente cominciò a vederecampanilicupoletorritetti e si accorse d'esser vicino. Alloras'accostò ad un viandante che veniva da Milanoe dettoumilmente: "in graziaVossignoria"gli fece una domandapiù precisae alla quale eglicon le sue idee contadineschestimava che ogni milanese dovesse saper rispondere: "Dove siva"disse Fermo"per andare dal Padre Bonaventura?"

L'uomoa cui Fermo s'era voltato e ch'egli aveva pigliato per un cittadinoera un agiato abitante del contornoil quale andato quel mattinoalla città per sue faccendene tornava senza aver fattonullae non vedeva l'ora di trovarsi a casa sua.

"Carogiovane"rispose questi con una dolcezza studiataedissimulando la noja che gli dava l'essere fermato"carogiovanebisognerebbe che mi spiegaste più chiaramente chi èquesto Padre Bonaventura che voi cercate".

"Nonlo conosce?" replicò Fermo: "è il PadreBonaventura cappuccino".

"Ven'ha tanti!" disse l'interrogato; "sapreste dirmi di checonvento egli sia?"

Fermoallora si trasse di seno la lettera del Padre Cristoforoe la mostròa quel signoreil quale letto sulla soprascritta: nel convento dellaConcezione in Porta Orientaledisse a Fermo: "Bravo giovanesiete fortunatoil convento è qui vicino: pigliate questoviottolo a mancina; è una scorciatoia: vi troverete tostoall'angolo di una fabbrica lunga e bassa: camminate lungo ilrigagnoloe vi troverete alla porta orientale. Entratepigliateancora la mancinae dopo forse cento passivedrete una piazzettacon dei bei faggi; ivi è il convento di quei buoni padri. Diovi accompagni". Ciò dettofece egli un grazioso salutocon la manoe continuò il suo cammino lasciando Fermostupefatto del garbo con cui i cittadini parlavano ai foresi: perchéi modiil voltoil tuono di quel signore non erano di una semplicecortesia ospitale; v'era un non so che di riverente e dicortigianesco; si sarebbe detto che quel signore parlava ad un uomod'alto affaree che voleva farglisi vedere amico sviscerato. MaFermo non sapeva che quello era un giorno d'eccezionein cui lecappe s'inchinavano ai farsetti.

Entròegli nel viottolo che gli era stato additatoe dopo un breve camminosi trovò all'angolo del Lazzeretto; e dinanzi alla portaorientale.

Nonbisogna però che a questo nome il lettore si lasci correre perla fantasia le immagini che ora gli sono associate: ma che cerchi diraffigurare con la mente gli oggetti quali erano al tempo di Fermo.

Aldi fuori della portainvece dell'ampia e diritta via fiancheggiatadi pioppi che si vede al presenteuna stretta e tortuosa strada laquale da principio seguiva la linea del lazzerettoe poi correvasghemba fra due siepi. Una portaccia sostenuta da due pilastricoperta da una tettoia per riparare le impostee fiancheggiata dauna casipola pei gabellieri. A destra e a sinistra di chi entrava duesalite ai bastioninon come ora inclinate regolarmentefra duecordoni parallelied orlate d'alberima tortuosenon battuteconuna superficie ineguale di rottami e di cocci gettati a caso. Ilcorsoampio e irregolare come al presenteaveva nel mezzo unfossatelloche fra due rive erbose prosaicamentesenza essercampestrimenava un'acqua lentabruna e carica d'immondizie: dimodo che il corso era partito in due strade strette e tortecoperteor di fanghiglia ora di polvere secondo l'ora del tempo e lastagione. A pochi passi dalla portadove è ancora la contradadi Borghetto (chi non la conosce è un tartaro) questofossatello passava sotto una voltae lasciando libero il mezzoriusciva lungo alcune casipole a destra di chi entravae quindipassando in un'altra tombaattraversava sotterraneamente la salitadel bastionee si gettava nel fosso che lambe il muro della città.Al primo entrare si affacciavano a destra le casipole di cui abbiamoparlatoe ch'erano abitazioni di lavandajaddossate all'abbazia diSan Dionigi la quale occupava una parte di quello che ora ègiardino pubblico: verso il mezzo del giardino attuale v'era allorauna strada che divideva il terreno dell'abbazia dal terreno d'unmonasterodi cui il chiostro rimane tuttavia in piedicon unafacciata la quale vorrebbe dire: - sono un palazzo -con tre altri lati che par che dicano: - siamo uncasolare dirupato -ed un complesso che non sa benequello che si voglia dire. Questa via era posta quasi dirimpetto aquella di Borghettotuttavia esistente; nel mezzo del quadrivio erauna colonna con una crocee si chiamava la croce di San Dionigi.Delle fabbriche poi che allora costeggiavano il corsoben pocherimangono ancorae sono le più povere e disadatte: i palazzie le case ornate che ora si veggono son tutte nate molto tempo dopo.Quando Fermo entrò vide la casa dei doganieri desertaedeserta quella prima parte del corso; e se non avesse inteso unromore lontano che accennava un grande movimentoavrebbe credutod'entrare in una città abbandonata. Guardandosi indietrocomeaccade a chi trova solitudine dinanzi a sèmentre aspettavadi trovar follavide troppe di gente che veniva. Andando innanzilungo le case dei lavandajsenza saper che cosa pensare di quelloche gli apparivavide egli lunghe strisce biancheche avrebbecredute esser neve se fosse stata egualmente diffusa; ma eranostrisce le quali terminavano a quella e a questa porta di quellecasipole. Abbassandosi a guardare più attentamentee toccandosi accertò che ell'era farinae disse tra sè: -Grande abbondanza dev'essere in Milanose in quest'anno visi sciupa la grazia di Dio a questo modo. - Procedendocosì come trasecolatoe passando presso la croce perattraversare il corso e incamminarsi dal lato destrodov'era ilconventoparve di vedere al piè della colonnae sugliscaglioni del piedestallocerte cose sparse qua e làche nonerano ciottolie se fossero state sul banco d'un fornaioegli nonavrebbe dubitato un momento di chiamarle pani: ma non ardiva credercosì tosto ai suoi occhiperché per esser pani erantroppo fuor di luogo. Guardò più da vicinosi abbassòne ricolse uno: era un pane tondobellissimoe d'una pastadi cuiFermo non ne aveva ancor mangiato molte volte: "È panedavvero!" sclamò egli ad alta vocetanto ne fumaravigliato. "Così lo seminano in questo paese? e non sifermano a raccorlo quando cade? che venga da sè come ifunghi?"

Fermoaveva camminato dieci migliae sentiva appetito; e già alprimo entrare si era proposto di fermarsi alla prima bottega difornajo che avrebbe incontrata: ché non sapeva che in quelgiorno a quell'ora in Milano v'era pane da per tutto quasi fuorchéda' fornaj. Trovandone ora così a propositostette egli unmomento a pensare se gli fosse lecito profittare di quella ventura; edisse tosto: - L'hanno gettato alla balìa deicani che passano: è meglio che ne profitti un cristiano: allafin finese viene il padroneglielo pagherò. - Fattoquesto proponimento raccolse un panese lo pose in una tascaneraccolse un secondoe lo pose nell'altra; e raccolto il terzocominciò a mangiare. Frattanto vide gente che venivadall'interno della cittàe adocchiò curiosamente i piùviciniavido di scoprire qualche cosa che gli rendesse chiaro quelpoco che aveva veduto fino allora. Erano un uomo e una donna che sitraevano dietro un ragazzottotutti e tre curvati sotto una caricae in un aspetto strano. Avevano l'abito e il volto infarinatoilvolto per sopra più stravoltocamminavano come affaticati edogliosicome se fossero stati pestie parevano venire da qualchetrambusto. L'uomo portava a fatica su le spalle un sacco di farinache bucato qua e là ne lasciava sfuggire degli sprazzi ad ogniintoppo del portatore. Il ragazzotto teneva fermo sul capo con ambele mani un cesto colmo di pani: il ragazzotto non potendo fare ilpasso lungo a paro dei suoi genitori rimaneva indietro di tempo intempoe quando egli affrettava il passo per raggiungerlie giungevabalzelloniqualche pane cadeva. Ma la figura la più strana ela più sconcia era quella della donna. Mostrava essa tutte legambe fino al ginocchioe queste gambe si vedevano uscire da un grancorpo che procedeva barcollando; da lontano sarebbe sembrato unapancia immensa; ma Fermo vide che la donna teneva con le due mani illembo della gonna rivolta in sue piena di farinala quale puretraboccava ad ogni passoe lasciava il segno di quel viaggiofaticoso. Mentre Fermo guatava quello spettacolo singolaresopraggiunsero alcuni che venivano da fuorie accostatisi a queicaricatichiesero dove si andava a pigliare il pane. "Innanziinnanzi"rispose la donna. Quando quegli furono passatiFermointese la donna mormorare: "Questi foresi birboniverranno aportarci via tutto".

"Unpo' per uno"disse l'uomo: "abbondanzaabbondanza".

"Setu lasci ancor cadere uno di quei panibrutto dappoco..." dissela madredigrignando i dentie raggrinzando il naso verso ilragazzoche in un salterello ne aveva seminato un paio.

"Comeho da fare?" rispose il ragazzo.

"Eh!buon per te che ho le mani impedite!" ripigliò la donnae così dicendodimenò i pugnicome se desse una buonaspellicciatura al poveretto; e con quel movimento fece volare unospruzzo di farinada farne più che i due pani lasciati caderedal ragazzo.

"Viavia"disse l'uomo: "qualcheduno gli raccoglierà:abbiamo stentato tanto tempoora che viene un po' d'abbondanzagodiamola in santa pace".

Laconversazione non si sarà probabilmente terminata a quelleparole; ma gl'interlocutori s'allontanavano da Fermoed egli nonpotè intenderne altro.

Daquel poco però ch'egli aveva intesoe vedutoe che vedevatuttaviapotè egli comprendere che il popolo era sollevatoeche quello era un giorno di conquista eroicavale a direche ognunopigliava secondo le sue forzedando busse in vece di danari.

Nelnostro sistema d'imparzialitàe di fedeltà storicanoi dobbiamo confessare che il primo sentimento di Fermo fu unsentimento di compiacenza. Egli aveva tanto patito nello statoordinario della società; l'aveva veduto così favorevolee comodo per la iniquitàe provato così inerte e senzaajuto per la ragione deboleche si sentiva naturalmente inclinato adogni cosa che lo rivolgessee lo cangiasse. Il cangiamento al fardei contipoteva essere un male peggiorema intanto non era piùquel male di primama intanto i pari di Don Rodrigosi trovavanouna volta nelle angosce che avevano date agli altrie i pari diFermo facevano valere le loro ragioni. Per altra parte Fermocometutti quelli che avevano sofferto della carestiane accagionavaprincipalmente la scelleratezza di alcunie la negligenza crudeleola connivenza di alcuni altri; e gli pareva giusto che la forzavenisse in ajuto della parte oppressa dalla scelleratezza e dallaconnivenza. Gli passava bene per la mente che quella cuccagna nonsarebbe stata che pei birboni più vigorosi e piùsvergognatiche i veri languenti per fame non si sarebbero gettatiin quel tumultoe così la parte la più debole e la piùdegna di soccorso avrebbe continuato a patiree in quel giornoprincipalmente sarebbe stata forzatamente priva anche dei soccorsidella carità volonterosama impotente; vedeva bene col suobuon senso che quell'orrendo sciupio non avrebbe certo diminuita lascarsezzae che quella farina calpesta per le vie non sarebbe piùandata in nutrimento di nessuno; ma queste riflessioni fugaciequasi inavvertite non bastavano a soffocare quel gaudio del garbuglioe dell'anarchia che si alzava nel cuore buonoma irritatoe nellamente non perversa ma pregiudicata di Fermo. Nulladimeno egli proposedi starsene fuorie si rallegrò di essere raccomandato ad uncappuccino; il quale gli darebbe ricoveroe buoni pareri.

Passatodinanzi alla crocesi portò egli sulla sinistra del corsocamminando lentamente verso il convento: ad ogni passo vedeva egliarrivare nuova gente alla rinfusa; altri trionfante e carico dellespogliealtri che quatto quatto si ritirava dal tumulto. Dove sorgeora quel bel palazzo con una ampia loggia v'era allorae v'eraancora non son molti anniuna piazzettae in fondo ad essa lachiesa dei cappuccinie la porta del convento: noi facciamo i nostricomplimenti a quei lettori i quali non hanno veduto niente di tuttoquesto; ciò vuol dire che son molto giovani; ed essendo almondo da poco tempo avranno fatto anche poche minchionerie.

Quelcompito signore a cui Fermo aveva domandato del Padre Bonaventura gliaveva dato così chiaro indirizzo che era impossibile andare infallo: del resto tutte le chiese e i conventi dei cappuccini avevanocome una fisonomia specialee chi ne aveva veduto uno ne avrebbericonosciuto un altro a prima vista. Fermo s'avvicinò allaportacavò la lettera di senoe tirò il campanello.S'aperse lo sportelloe il portinajo alla grata domandò chiera.

"Unodi fuori che ha una lettera pel padre Bonaventura"risposeFermo.

"Nonè in convento"disse il portinaio.

"Milasci entraree starò ad aspettarlo"replicòFermo.

"Fateuna cosa"disse il frate: "andate ad aspettare in Chiesao dove voleteche per ora non si entra"; edetto questochiuse lo sportello.

Fermorimase interdetto: egli si era proposto quel convento come un puntodi riposoe un ricovero dai pericoli di una città nella qualeegli non conosceva nessunonon aveva che faree che era in tumulto.Sulla prima egli volle seguire il consiglio del portinajoericoverarsi in chiesa; ma lo spettacolo di quella moltitudine scioltada ogni leggedi quella attività clamorosadi quellafratellanza di tanti che non avevan fra loro altra relazione che lacomplicità di quel momentolo attirava; la curiositàvinsee Fermo disse fra sè: - andiamo a vedere-. Mentre egli si avvia tra la folla al centro dellacittà e del trambustonoi parleremo brevementese saràpossibiledelle cose che furono l'origine e il pretesto di esso.

Eraquello il secondo anno di scarso raccolto: nel primo era statapiuttosto scarsità che carestia: le provvigioni rimaste deglianni grassi antecedenti avevano supplito tanto o quanto al difetto diquelloe la popolazione era giunta al nuovo raccoltonon satollaenon affamata; ma certo affatto sprovveduta. Orail nuovo raccoltonel quale erano riposte tutte le speranzefu scarsocome abbiamdettoe lo fu d'assai più del primoin parte per maggiorecontrarietà delle stagionie in parte per colpa orrenda degliuomini. Si guerreggiava allora in Italiae non lontano dal Milanese;il quale si trovò soggetto ad alloggiamenti di truppe e agravezze straordinarie. Queste furono tanto intollerabilie leestorsionile rubberieil guasto della soldatesca portati a talsegnoche molte possessioni rimasero abbandonatemolte campagneincoltee molti contadini andarono accattando quel vitto cheavrebbero procacciato a sè e ad altri col lavoro delle lorobraccia. E dove pure s'era coltivatole seminagioni erano statescarseperché l'agricoltoretentato dall'urgente bisognoaveva sottratta e consumata una parte e la migliore del grano chedoveva esser destinato a quelle.

Ottenutoappena il raccoltola guerra stessa che era stata la principalecagione a renderlo scarsofu la prima a divorarne una gran parte. Ledepredazioni parzialile provvigioni per l'esercitoe losprecamento infinito delle une e dell'altre fecero tosto un talesquarcio in quel misero raccoltoche la fame fu prevedutaquasisentita sotto la messe stessa. I territorj che circondano ilmilanesein parte afflitti dalla guerrae tutti dalla sterilitàcomune di quell'annonon lasciavano speranza di cavarne ajuto diviveri. Sorse quindi quel sentimento di ansia e di terrore nei piùdi gioja avara e crudele in alcuniche nasce da una cognizioneconfusa ma viva della sproporzione tra il bisogno di nutrimentoe imezzi di soddisfarlotra il grano e la fame: e questo sentimentoprodusse il suo effetto naturaleinevitabile: la ricerca premurosae l'offerta stentata del grano; quindi il rincaramento.

Questasproporzione è uno di quei mali che spaventano la terraperché pesano ad un tempo sur una moltitudine: quando un talmale esistei migliori mezzi per alleggerirlo (giacchétoglierlo non è in potere dell'uomo) sono tutte quelle coseche possono diffonderlo più equabilmentefarne sopportare almaggior numeroa tutti i viventise fosse possibileuna picciolaporzioneaffinché nessuno ne abbia una porzione superiorealle forze dell'uomofare che quel male sia un incomodo per tuttipiuttosto che l'angoscia mortale per moltie la morte per alcuni.Quindi il primoil più certoe il più semplice mezzodi alleggiamento comune è l'astinenza volontaria deidoviziosiche si privino di una parte di nutrimento per lasciarne dipiù alla massa del consumo universale. Poi tutto quello chepuò aumentare nelle mani degl'indigenti i mezzi di acquistarsiil vittoin proporzione dell'aumento delle difficoltàcioèdel rincaramento. Aumento quindi delle mercedie nuovi guadagniofferti per mezzo di nuovi lavori ai molti a cui cessano in quellecircostanze i lavori e i guadagni usati. Questo mezzo peròsarebbe uno scarso rimediosarebbe anzi un accrescimento del malese non fosse accompagnato dalla cura attentaassidua disomministrare il vitto anche a quei molti che per debolezzao perinfermità non lo possono ottenere col lavoro: si avrebberoallora dei lavoratori ben nutritie degli impotenti morti di fame: ela beneficenza sarebbe crudele per molti. A questi ultimi non si puòprovvedere altrimenti che con l'elemosina tanto sapientementecomandata dalla religione: quella elemosina di cui molti scrittorihanno enumeratie censurati amaramente gli abusi. Nè a torto;poiché è utile scoprire e censurare gli abusi dovunques'intrudano: è però cosa trista e dannosa che in unsoggetto di tanta importanza non si sieno quasi considerati che gliabusi; e sarebbe da desiderare che alcuno pigliasse la bella e forsenuova impresa di ragionare del buon uso della elemosinadi mostrarecom'ella sia uno dei mezzi più potentipiù sempliciecerto più irreprensibili a tutti quei fini che si propone unasaggia e ragionata economia pubblica.

Questiche abbiamo accennati sono certamente i principali e piùsicuri rimedj alla penuria delle sussistenze; e quando si fosseroposti in operail meglio da farsisarebbe sopportare quella parteinevitabile di patimento con tranquillitàe conrassegnazionegiacché tutte le iretutte le declamazionitutti i falsi ragionamenti non ponno far nascere una spiga difrumento né accelerare di cinque minuti il nuovo raccolto chedeve mettere alla disposizione degli uomini una nuova massa disussistenze.

Maoltre i mezzi per render tollerabile quel maleve n'ha pur troppoemoltissimiper esacerbarloper accrescerloper rendere piùtrista e complicata una situazione che lo è già tantoper sè; e questi mezzi sono stati per l'ordinario piùadoprati dei primi; e si possono ridurre a due capi principali: leidee del popoloe i provvedimenti dei magistrati. Nella epoca di cuiparliamole idee e i provvedimenti concorsero potentemente aprodurre quel tristo effetto in un grado singolare.

Neitempi di carestiala carestia è il soggetto di tutti idiscorsi: fatto ben naturalema degno di molta osservazionee dicommento. Tutti ragionano delle cause del maletutti propongono iveri rimedjtutti dissertano di principi generalidi commerciodimonopoliodi accapparramentodi importazionedi esportazionedicircolazione. Ma la maggior parte non si è occupata mai invita sua di questa materia: i primi pensieri sono giudizjel'applicazione dei principj precede alla ricerca di essi. Guaj alloraa quegli che hanno pensato a questi principj nel tempo in cui nessunovi pensava; guaj a quegli che danno più degli altri un sensopreciso a quelle parole che tutti proferisconoguaj a quegli chehanno esaminati con una vista generale i fatti che sono l'argomentodella discussione comune! Essi soli non sono ammessi a parlare: essidebbono vedere pazientemente discorrere i sofismi precipitatiebaldanzosi della ignoranzaperché chi può fermare ilsofisma? la ragione in bocca loro è paradossoe quando non siavesse altro da opporlebasterebbe quella accusa che le si fa diessere stata sui libri. La parola che suona altoche signoreggia inquelle dolorose circostanze è quella della irriflessione: macessata la carestiacessano tutti i discorsi: nessuno ne vuol piùparlare né sentire a parlare: i librise quell'epoca ne haprodotti che trattino di quella materiasono per lo più unsoggetto di contraddizione per un momentoe rimangono dopo quasidimenticati: la società è in quel caso simile ad unpovero scapestratoil quale trovandosi all'estremonon ha parlatod'altro che di novissimi e di penitenza: convalescente accoglieancora il prete per urbanità; guarito allontana da sètutti i pensieri di quel momento del terrore.

Cessiil cielo che alcuno rinfacci ostilmente l'ignoranza ad un popolo chenon ha mai avuto maestri né oziol'irritazione fanatica ad unpopolo che non trova pane col suo lavoro. Ma quegli che meritanorimproveri acerbie severiquegli che per bene loro e d'altruivorrebbero essere sborbottati come ragazzacci caparbjtanto che sicorreggesserosono coloroi quali potrebbero meditare a loro agiosui fatti similiesaminare le conseguenzei giudizji sistemi chene hanno cavati gli scrittoripesare le osservazioni e le opinionie procacciarsi così una opinione ragionata; e non lo fannomai; ma al momento del serra serra escono in campo a sentenziarefuriosamentecominciano a pensare con la voce e studiano dallacattedracopronovilipendonocalunniano le voci che nascono da unantico pensieroripetonoin un linguaggio meno incolto e piùstrano i giudizj stortile idee appassionate del popoloediffondono ed accrescono la stortura e la passionesi oppongonoferocemente a tutti quei raziocinj che potrebbero illuminarel'opinione dell'universale sulla natura e sulla misura del malericondurre gli spiriti ad una riflessione più tranquillaestornare quelle risoluzioni che lo peggiorano: e infervorati inqueste degne impresenon si spaventano col pensiero della loroignoranza; anzi ne cavano argomento di gloriae di fiducia; e atutte le obiezioni(o alla metà delle obiezioni perchédi rado lasciano terminare una frase ad un galantuomo) rispondono conquell'inverecondo sproposito: "noi non vogliamo teorie";non riflettendo nemmeno che quelle che essi sputano tutto il dìsono pur teoriediverse da quelle dei loro avversarjin ciòsoltanto che non sono fondate sulla cognizioneo almeno sullaricerca dei fatti.

Lestorture del popoloe di questi che abbiamo detto intorno allacarestia sono moltiplici per sèe infinite nelle loroapplicazioni e nei loro rivolgimenti; molte si possono vedereenumerate in alcuni libri che le hanno esaminate e ribattute con piùsagacità e pazienza che profitto; ma si possono forse ridurrea due capi principali. Il primo è l'opinione che il male nonesistache il difetto di sussistenze sia soltanto una apparenza natada combinazioni perfide degli uomini. Questa opinione viene sempreespressa e ripetuta con una formola concisacome tutte quelle cheracchiudono un errore o un equivoco: - il grano c'è-. Proposizione ambigua che può intendere unaverità fatua e inconcludenteo una affermazione temeraria efanatica. Poiché se con quelle inconsiderate parole si vuoldire che esiste una indeterminata quantità di biadesi diceil veroma che cosa s'insegna? che cosa si vuol concludere? quellanon èné può essere la questione. Ognun sa chei grani si raccolgono una volta l'annoo a certe distanzee che siconsumano alla giornata: tra l'un raccolto e l'altro ci debbe dunqueesser grano più o meno: se non ce ne fosse assolutamentenonsi parlerebbe più di stentarema di moriree tuttie inpochi giorni. Se poi dicendo: - il grano c'è -s'intende (come s'intende) che ne esista una quantità egualeal consumo ordinarioproporzionata al bisognoo al desiderio dellapopolazione; come mai una tal cosa si afferma senza conosceresenzapoter conosceresenza cercar di conoscere il fatto su cui si formail giudizio: la quantità del grano esistente? Eppure un fattoche con le più minute indaginicoi calcoli piùscrupolosicon l'esame il più freddo non si conosce mai conprecisioneè continuamente affermato con sicurezzasenzaindaginisenza calcolisenza esame: un fatto che appena si puòconoscere approssimativamente per gli indizj del prezzodellaricercadella distribuzionedel consumosi afferma assolutamentecontra la testimonianza di tutti questi indizj.

L'altrastorturaconseguente da questae pur madornale è nelsupporre che il male sia il caro prezzo del grano: mentre questo nonè che un effetto del male verola sproporzione tra il grano eil bisogno; è un effettoe un dolorosodeplorabilefunestoacerboaccumulate quanti epiteti vorrete; non saranno mai troppi; mail sostantivo è: rimedio. Il caro prezzo è un rimedioconsiderato parzialmente per un territorioperché vi attraeil grano dai paesi dove è meno scarsoe quindi a minor costo:è rimedio considerato generalmenteperchéforzandopur troppo migliaja d'uomini a diffalcare una parte del consumoordinarioè cagione che si risparmjsi distribuisca pertutto l'anno fino al raccolto la scarsa e mancante vittovaglia. Seuna forza qualunquepotesse illudereaddormentare fino alla finetutti i terroritutte le cupidigiedi modo che in un anno scarsogeneralmenteil prezzo rimanesse basso come negli anni abbondantine avverrebbe certamente che il consumofin che grano vi fossesarebbe eguale a quello degli anni abbondanti: si viverebbelietamente a discrezione per qualche tempo: e l'ultimo effetto diquesto terribile beneficio sarebbe di fare sparire tutta laprovvigione qualche mese prima del raccolto.

Illinguaggio di coloro che hanno ben fitte in testa queste due stortureè accetto al popolo che patisce; e la cosa è tropponaturale: non riconoscendo il male nella natura delle coseattribuendolo tutto alla perversità umanaessi mostrano nellostesso tempo una compassione che pare più sincera per chisoffreun grande orrore per chi fa soffriree fanno sempreintravedere la possibilità d'un rimedio pronto ed assoluto.

Maquegli i quali veggono chiaramente la realtà del malenonhanno cose gradite da dire a chi lo sopporta; poiché chi dopod'aver suggeriti alcuni rimedj per minorare il maleconfessa chemolto è senza rimedioe raccomanda la rassegnazionepuòdifficilmente far credere che compatisce; chi nega all'addolorato chela causa primaunica del suo dolore sia nella volontàscellerata di alcuniconverrà che abbia ben fama di onesto edi umano perché l'addolorato si contenti di crederlo cieco einsensatoe non lo chiami atrocefautorecomplice di quelli checreano il dolore. Sono i chiaroveggentiin quel casocome unmedicoche giunga al letto d'un infermo circondato da una famigliaamante e ignorantedove si trovi un ciarlatano il quale assevera cheil male è tutto nella cecità o nella impostura deimedicie ch'egli tiene un'ampollina dov'è la salute. Se ilmedico il quale vede che la malattia è incurabilesi lasciauscire dalla chiostra dei denti questo suo parerela famiglia loriguarderà come un pazzo crudele che desidera di veder morirele persone.

Questefalse idee che a malgrado di tanti scritti ragionatie dell'aumentodi tante cognizionivivono tuttavia latenti e come addormentatenella mente di moltissimipronte a ricomparire quando una penuria(che Dio tenga lontana) dia loro occasione di mostrarsierano benpiù universalipiù pertinacemente tenutepiùfuribondamente applicate nei tempi della nostra storia; nei qualil'ignoranza era tanto più generalee la scienza che era puredi pochiconsisteva in un peripateticismo inteso come si potevaeapplicato come si voleva a tutte le quistioni possibili di ognigenerein tempi in cui non esisteva ancora l'economia politicavoglio dire la scritta e ridotta in trattatiperchél'economia politica di fatto esiste nella societànecessariamentepiù o meno spropositata.

Glisventurati abitanti della campagna avevano veduta la scarsitàdel raccoltoavevano vedute e sofferte le atroci dissipazioni dellasoldatescae gli sventurati abitanti della città le avevanopure intese raccontare: ma quando la carestia cominciò a farsisentirené gli uni né gli altri volevano accagionaredi un tanto male una causa passatae irrevocabile. Come se nonavessero veduto nullao tutto dimenticatoessi attribuivano il caroprezzo soltanto alla crudele ingordigia di quegli che possedevano ilgrano. E una circostanza speciale avrebbe dovuto pure avvertirli diesaminare più freddamentese l'esame freddo fosse possibilein quei casi. L'anno antecedente era pure stato scarso; e si era pertutto quell'anno gridato contra gli accapparratori come contra lasola cagione della carezza; si era detto che il grano abbondavamaera tenuto chiusostivatomurato nei granaj degli avari.

Oral'anno era passatosi era fatto il nuovo raccolto; sarebbe statacosa molto naturale ricercare se quel grano era stato finalmentevendutoo no. Nel primo casoavrebbero dovuto gli uominiconchiudere che s'erano dunque ingannati nell'affermare che il granoabbondavapoiché s'era venduto a caro prezzo fino alraccoltoappena aveva bastato. Che se il grano dell'anno antecedentenon era vendutoesisteva dunque; i capitali degli avarii granajerano occupati; come dunque potevano essi fare ancora nuove incette?Ma la popolazione sfogando sempre il suo dolore con imprecazioninonpensava che le ultime contraddicevano alle prime. Si diceva anche chemolti accapparravano i grani per ispedirli in altri paesi; e inquesti altri paesi si gridava che i grani erano spediti a Milano.Tutti quelli che ne possedevanoerano oggetto di minaccia e diabbominazione: i possessori che non lo vendevano erano tiranniquegli che lo comperavano per rivenderloi fornaj che ne facevanoprovvistascellerati che volevano ritirarlo dal commercio e imporgliil prezzo che sarebbe piaciuto alla loro avidità. Che ognunoprovvedesse la quantità che poteva essergli necessaria fino alraccoltoera cosa impossibile. Quindi se la popolazione avessevoluto o potuto rendersi un conto esatto delle sue ideee dei suoidesiderjavrebbe trovato ch'ella voleva che il grano non fosse innessun luogo. Il prezzo straordinario al momento stesso del raccoltocrebbe nell'autunnocrebbe straordinariamente al cominciaredell'invernoe col prezzo crebbe il fremito e il clamore del popoloil quale accusava già apertamente i magistrati di negligenzaanzi di connivenza con coloro che lo affamavano.

Nonè però da dire che i magistrati non facessero dallaparte loro molti spropositima questi erano in numero e ingrossezzaancora ben lontani dai desiderj e dalle richieste delpopolo. Il maneggio delle cose forza a riflettere anche quelli chesono più nemici della riflessione; e chi deve operare ocomandare direttamentescorge talvolta anche a mal suo gradoanchechiudendo gli occhil'impossibilità o l'assurdità d'unprovvedimentoche è domandato con furore dai molti che lostimano giustoe lo credono agevole. Oltre di che l'effettoimmediato di quegli spropositi era di esacerbare la condizioneuniversale; si sentiva crescere il male; e l'aumento si attribuivanon già alla efficacia funesta degli spropositi fattima alnon farne abbastanza. Era stato tassato il prezzo massimo del risoalire quaranta imperiali il moggio per la città di Milano: laconseguenza fu che quegli che possedevano risoe potevano venderlo amolto maggior prezzo per tutto altrovenon ne spedirono piùun grano alla città; e questa si trovò senza riso.Altro editto che tassa il riso allo stesso prezzo massimo per tuttolo stato: altra conseguenzache i possessori ricusino di vendere adun prezzo comandatoquella merce a cui la rarità ne haassegnato un maggiore. Ordine di vendere il genere a chiunque neoffra il prezzo tassato: industria dei possessori a nasconderlo perpoter rispondere: "non ne ho". Pene severeindeterminatearbitrarie a chi lo nasconde: nuova industrianuovi aguzzamentid'ingegnonuovi trovati per evitare le penesenza esserdanneggiato. Comparvero alloracome dovevano compariredi quegliuominii quali conoscono a perfezione l'arte di eludere gli edittiarte tanto più facilequanto più gli editti sonoassurdi. Costoro osservato lo stato delle cosefatte le lororagionitrovarono che comperando il riso ad un prezzo molto maggioredell'assegnato arbitrariamente si poteva fare ancor molto guadagno:offersero quel prezzo ai possessorii quali non rispondevano di nonaver riso da vendere a chi lo pagava più di quello checomandava la legge. Questi nuovi compratoritrovavano poi il modo dirivendere il riso a maggior prezzo agli stati vicinidove non v'eratassao di conservarlo nascosto in onta degli editti: il modoconsistecome ognun sanello studiare non tanto la volontàunica donde è uscita la leggequanto le volontàmoltiplicivariepiù vicine che debbono eseguirlae neltrovare i mezzi di eludere queste volontào di comperarne lacomplicità.

Quelloche si è detto del riso accadeva di tutti gli altri grani:come il possederliil farne commercioera un rischio dell'avere edella personaun soggetto di terroreun peso di sospetto pubblicoquasi un marchio d'infamiacosì avvenne che questo commercionon fosse quasi più ricercato che dagli uomini i piùesperti ad eludere il rischioi più agguerriti contra l'odioe contra l'infamia; i quali sapevano come tutte queste coseaffrontate e sofferte con una certa sapienza particolare possonofruttare danari.

Lascarsità del frumentoe i mezzi posti in opera per renderlopiù comune lo avevano fatto salire ad un prezzo esorbitante.Si vendeva cinquanta lire il moggiose crediamo al Ripamonti alloravivente: settanta anzi ottanta se vogliamo stare al detto diAlessandro Tadinomedico riputatissimo di quei tempi che scrisseanch'egli (a dir vero con le gomita) una storia della pestee dellacarestia che l'aveva preceduta. Ma supponendo anche esageratal'asserzione di quest'ultimoil prezzo attestato dal Ripamonti eratale da porre in angustia una gran parte della popolazione.

Imali nei loro cominciamentiproducono nell'uomogeneralmenteparlandouna irritazione più forte del dolore. Sclama egli daprima che i mali sono intollerabiliche sono giunti all'estremoetanto fatanto s'ingegnatanto s'arrabattache coi suoi sforzicrea egli questo estremo che naturalmente non sarebbe arrivato:s'accorge allora che si può soffrire molto di più diquello ch'egli aveva creduto dapprimaogni nuovo colpo gli rivelauna nuova facoltà di patire e di accomodarsich'egli nonsospettava in se stesso; e salta per lo più dalla rabbiaall'abbattimento senza aver toccata la rassegnazione.

Persua sventura il popolo milanese trovò in quella occasionel'uomo secondo i suoi desiderjl'uomo che partecipava delle sueideee che assecondandole gli procurò una gioja corta efallacea cui doveva succedereun nuovo dolore senza disingannounnuovo furorel'ebbrezza del delittolo spavento delle peneequindi la tranquillità stupida della disperazione impotente.

IlGovernatore di MilanoGonzalo Fernandez di Cordovasi trovavaallora a campo sotto Casale per una guerraatroce nella condottaorrenda nelle conseguenzee nata da certi pettegolezzidei qualiparleremo più tardi e più laconicamente che saràpossibile. Nella sua assenzagovernava lo stato il gran cancelliereAntonio Ferrer. Questi stordito dai richiami continui e crescenti delpopolostordito dal vedere che tutti i provvedimenti già datiinvece di togliere il male lo avevano accresciutonon sapendo piùche faree persuaso che qualche cosa bisognava pur fares'appigliòal partito di quelli che non veggono nelle cose reali un elementoragionevole di determinazione: fece un'ipotesi. Suppose che ilfrumento si vendesse trentatrè lire il moggioné piùné meno. Ammessa l'ipotesitutte le cose si raddrizzavanoecorrevano a verso. Il prezzo del pane si trovava proporzionato allefacoltà della massima partecessavano quindi i patimentileminaccele angustie; era un altro vivere. Animato e rallegrato dallospettacolo che la sua fantasia aveva creatoAntonio Ferrerfece unaltro passo: pensò che quel lieto vivere si sarebbericondottose si fosse potuto far discendere il pane al prezzocorrispondente a quel prezzo ipotetico del frumento. Procedendo colpensierotrovò che un suo ordine poteva produrre questoeffetto; e conchiuse che bisognava dar l'ordine. Il poveruomo nonbadò che cosa fosse conchiudere dal supposto al fattooperarecome se le cose fossero in un stato diverso da quello in cui erano:non pose mente a distinguere che quel tale prezzo moderato era unbene in quanto fosse stato conseguenza naturale della proporzione trala ricercae la quantità esistentema non un bene per sèe in ogni modo. Non pensò a niente di tutto questo: fece comeuna donna di mezza età che per ringiovinire alterasse la cifradella sua fede di battesimo. L'ordine fu datopromulgatoedeseguito.

Ordinimeno iniqui e meno insani avevano trovato nelle volontànellanatura stessa delle coseostacoli invincibilied erano rimastisenza esecuzionema alla esecuzione di questo vegliava il popolo ilquale come era ben naturale l'aveva accolto con un grido diesultazione; e vedendo finalmente esaudito e convertito in legge ilsuo desiderionon sofferiva che fosse da burla. Il popolo accorsetosto ai forni a domandare il pane a quel prezzo legalee lo domandòcon quell'aria di risolutezza e di minaccia che danno la forza e lalegge insieme unite.

Seera naturale che il popolo esultassenon lo era meno chestrillassero i fornaj: un politico avrebbe potuto dire che quello erail caso di fare soffrire un picciol numero per sollevare etranquillare una gran moltitudine: ma il male era che questo picciolnumero era appunto quello che dovevae che poteva solo dare in fattoquello che la legge comandava e prometteva in parole: e a produrrel'effetto non bastava che i fornaj avessero ricevuto un ordineprecisonon bastava che avessero molta paurache fossero disposti asopportare l'ultima rovina delle sostanze per salvare la persona: eranecessario che potessero. Ora la cosa comandata era non solo dolorosaper essima diveniva di giorno in giorno più difficile; madoveva arrivare un momento in cui sarebbe stata impossibile. Ilpopolo stesso affrettava questo momento: quantunque gridasserisolutamente e tenesse confusamente che quel prezzo stabilito eraequoragionevolesentiva però anche confusamente che essoera come in guerra con tutto il resto delle coseche era l'effettod'una volontà e non della naturae prevedeva pureconfusamente che la cosa non avrebbe potuto andar così semprené a lungo.

Approfittavaquindi del momento di baldoriaassediava continuamente i fornicomedice il Ripamontisi affaccendava a carpire quel pane che gli eradato quasi da una ventura momentaneae la sua pressa indiscretagareggiava con la fretta e col travaglio dei fornaj. Cosìquella cieca moltitudine consumava improvidamente in poco tempoesparnazzava in parte la scarsa e preziosa provvigione la quale peròdoveva servirgli per tutto l'anno. I fornaj costretti ad affacchinaree a scalmanarsi per discapitareponevano in opera tutte le arti perfar perder tempo ai chieditori di panesenza irritarli all'estremoadulteravano il pane con tutte quelle sostanzeche senza troppolasciarsi distinguerene accrescessero il pesoe intanto nonrifinivano di domandare che la legge fosse abrogata. Ma AntonioFerrer stava immoto a tutti i richiamicome Enea agli scongiuri diDidone.

Generalmenteparlando è impresa delle più ardue quella di smuovereun uomo da una sua ipotesi: con meno fatica gli si faràrinnegare l'evidenza dei fattiperché finalmente l'evidenzal'ha trovata; ma l'ipotesi l'ha fatta egli; e l'ha fatta non per ozioné per ispassoma per un gran bisogno che ne avevaperuscire da un impaccio. Oltre questa cagione generalesi puòsupporre senza temerità che quell'uomobenché daglieffetti avesse dovuto conoscere quanto il suo ordine era stato pazzonon voleva rivocarlo eglie perdere così tutto il favore delpopolo anzi cangiarlo in furore; giacché certamente il popolol'avrebbe creduto subornato e corrotto se avesse tolto ciò cheegli aveva stabilito come giusto. Prevedeva egli dunque che la cosanon sarebbe duratama lasciava ad altri la briga di dichiararlacessata legalmente. Come però spesse volte bisogna risponderequalche cosa ai richiami che non si vogliono soddisfareAntonioFerrer rispondeva ai fornaja tutti quelli che per uficio eranocostretti parlargli dello stato angustioso delle coserispondeva chei fornaj avevano guadagnato assai assai in passatoe che era giustoche tollerassero allora quella picciola perdita. I fornajrepplicavano che non avevano fatti questi guadagnie che nonpotevano più reggere alla perdita presente; Antonio Ferrerripigliava che avrebbero guadagnato nell'avvenireche sarebberovenuti anni miglioriche insomma il tempo avrebbe rimediato a tutto.



Cap.VI

Iltempo è una gran bella cosa: gli uomini lo accusano èvero di due difetti: d'esser troppo cortoe d'esser troppo lungo; dipassare troppo tardamentee d'essere passato troppo in fretta: ma lacagione primaria di questi inconvenienti è negli uoministessie non nel tempoil quale per sè è una granbella cosa: ed è proprio un peccato che nessuno finora abbiasaputo dire precisamente che cosa egli sia.

Inquesto caso però il tempo non poteva essere d'alcuno ajutoanzi a dir verogl'inconvenienti erano di quelli che col durare sifanno più gravi. I fornaj avevano protestato fin da principioche se la legge non veniva toltaessi avrebbero gettata la pala nelfornoe abbandonate le botteghe; e non lo avevano ancor fattoperché sono di quelle cose alle quali gli uomini si appiglianosolo all'estremoe perché speravano di dì in dìche Antonio Ferrer gran cancelliere sarebbe restato capaceo qualchealtro in vece sua. Alla finei Decurioni (un magistrato municipale)vedendo che la minaccia de' fornaj sarebbe divenuta un fattoscrissero al governatore ragguagliandolo dello stato delle coseechiedendogli un provvedimento. Probabilmente il Signor GonzaloFernandez di Cordova avrà avuto molto a cuore di trovare unmezzo per nutrire stabilmente molti uomini; ma in quel momentoimpedito egli e assorto in una faccenda più urgentequella difarne ammazzare molti altrinon potè occuparsi della primaene diede l'incarico ad una commissionech'egli compose delpresidente del Senatodei presidenti dei due magistrati ordinario estraordinarioe di due questori. Si riunirono essi tostoo come sidiceva allora spagnolescamentesi giuntarono: e dopo milleriverenzepreambolisospiriproposizioni in ariareticenzetergiversazionispinti sempre tutti verso un punto solo da unanecessità sentita da tutticonscj che tiravano un gran dadoma convinti che altro non si poteva fareconchiusero ad aumentare ilprezzo del paneriavvicinandolo alla proporzione del prezzo realedel frumento; e si separarono nello stato d'animo d'un minatore cheavesse dato fuoco ad una mina non caricata da luiprevedendo beneuno scoppioma non sapendo né quando né quale eglisarebbe.

Questavolta i fornaj respiraronoma il popolo imbestialì: s'era giàavvezzo a quel vantaggio che aveva apportato l'editto del grancancelliere; e cominciava già a trovare che il vantaggio eratroppo scarsoche la giustizia non era intera; e aspettava ad ogninuova deliberazione che il prezzo sarebbe ancora diminuito. Ilsentimento di furore che produsse l'aumentofu universale: questosentimento veniva espresso da migliaia d'uomini con lo stesso impetocon la stessa intensitàcon le stesse parole. La sera delgiorno che precesse a questo in cui Fermo arrivò in Milanoleviele piazze erano sparse di crocchjnei quali conoscentieignoti parlavano altamente d'un fatto comune nel quale avevano dolorie idee comuni. Migliaja d'uomini si coricarono quella sera dopod'aver dette ed udite molte volte le stesse frasie si svegliaronoil mattino vegnente con una persuasione piena e fervida che si facevaloro un torto tirannicocon un impulso indeterminato ma potente afar qualche cosae con la confidenza che fra tanti unanimi la cosada farsi si sarebbe determinata.

Fraqueste migliaja vi aveva alcuni i quali meno irritatipensarono congioja che in quel giorno l'acqua sarebbe stata torbidae si sarebbepotuto pescaree fecero proponimento di non lasciarla posare fin chenon fosse fatta la pesca.

Icrocchj precedettero l'aurora: fanciullidonneuominivecchjoperajmendichisi ragunavano a casoe cominciavano o proseguivanonaturalmente lo stesso discorso: qui erano voci confuse di moltiparlantilà uno predicavae gli altri applaudivano: da pertutto racconti diversi ma egualmente violenti delle cabale e delleiniquità che avevano macchinato il nuovo editto: da per tuttolo stesso linguaggio di lamentid'imprecazionidi minacce; e da pertutto per ultima conseguenza una parola la più moderata nelsuonoma la più fortequella che esprimeva la cosae lafaceva: così non può andare. Non mancava più cheuna occasioneun avvenimentoun movimento qualunque per ridurre afatti quelle parole; e l'occasione non si fece aspettar molto.Uscivano secondo il solito dalle botteghe dei fornaj quei fattoriniche con una gerla carica di pane andavano a portarne la quantitàconvenutaai monasterialle case dei ricchiinsomma (per dirla conun termine milaneseche la lingua toscana dovrebbe ricevere poichénon è altro che una applicazione speciale e analoga d'unvocabolo toscano) alle poste loro. Uno di questi passava per quelcrocicchio che si chiamava il Leone di Porta Orientaledove eraadunato molto di quel popolo. Al primo vedere quel fattorino e quellagerla: "ecco"gridarono cento voci: "ecco se c'èil pane". "Sìsìpei tiranni che nonvogliono darne alla povera gente"grida uno della folla. Unaltro s'avanzas'appressa al fattorinoalza la mano all'orlo dellagerlala fa abbassare con una strappatae con l'altra mano toglieun pane e dice: "siamo cristiani anche noi; abbiamo damangiare". "Anche noi"; rispondono cento vocimoltis'avventano al fattorinoe gridano: "giù quella gerla".Il garzoncello arrossisceimpallidiscetremavorrebbe dire: -lasciatemi stare -; ma non ha temposviluppale braccia in fretta dalle ritorte che servono di manichi alla gerlala lascia nelle mani di quelli che l'avevano presa; e a gambe. Ilpane fu diviso in frettama senza tumulto e senza risse fra coloroche erano più vicini alla presa. Ma quelli a cui non eratoccato nullairritati e aizzati dalla vista del guadagno altruieanimati dalla facilitàe dalla impunità della impresasi mossero a troppe alla busca di altre gerle vaganti: tutte quelleche si abbatterono in questi cercatorifurono ritenute e svaligiatecome la prima. Ma questa poca preda non bastava alla voglia di tuttiné il fatto fin allora a coloro che avevano fatto conto su ungarbuglio più grande. S'intese una voce che diceva: "andiamoai forni".

"Aiforni! ai forni! sono il buco dei ladrila fucina della carestia"."Ai forni! ai forni!" rispose il coro.

Inquella via tortaangustae frequentata che va dal Leone di Portaorientale al duomov'era già a quei tempi un forno chesussiste tuttaviacon lo stesso nomeche in toscano viene a dire:forno delle gruccee nel suo originale milanese è espressocon parole di suono tanto eteroclito e bisbetico che l'alfabetocomune della lingua italiana non ha il segno per indicarlo.

Quivisi addrizzò la folla.

Ifornaj che avevano veduto tornare il fattorino svaligiato erabbaruffatoe intesa la sua relazionestavano già insospettoe pensavano a guardarsi. All'avviso della visita che siavvicinavamandarono in folla ad avvertire il Capitano di giustiziae a chiedergli ajuto. Questi che stava all'erta aspettandosi che lasua presenza sarebbe domandata in qualche luogoaccorse tostoe conalcuni alabardieri arrivò che la moltitudine cominciava aspessarsi dinanzi alla bottega. "Largolargo"gridava ilcapitanogridavano gli alabardierie si appostarono sulla porta. Lafolla si condensava vie piùquei di dietro spingendo i primi."Figliuolia casa... che cosa è questa?... animo... viagente dabbenebuoni figliuoli... ahi canaglia!" Una pietralanciata dalla retroguardia degli assalitori colpì la cucuzzadel Capitano all'ultima sillaba di figliuoli.

"Ahi!ah! canaglia. Quel temerario... Alabardieridisperdete questibirboni".

"Indietroindietro"gridavano gli alabardierisospingendo i primimainvano.

"Animo!animo!" gridava il capitano"rispingeteli almeno tanto chechiudiamo le porte; da bravi! Indietro! indietro!" Glialabardieriunitifecero impeto tanto che i fornaj potesseroafferrare le imposte e farle girare sui cardinia misura che questesi racchiudevano gli alabardieri si ritiravano insiemee gli uni egli altri si chiusero al di dentro.

"Apri!apri!" urlava la folla al di fuoripercotendo le porte. "Via!via!" si rispondeva da quei di dentro che si tenevano calcatialle imposte per fermarle contra gli urti. Il Capitano di giustiziaintanto fattosi visitare ad un alabardiere e toccato egli con la manoil luogo della percossafu certo che non era altro che unabernoccolaonde rincorato salì le scalee si fece ad unafinestradove presa una imposta di dentrocome scudo e cacciandofuori da quella il capoe la mano per ottener silenzio: gridava aquanto fiato aveva in corpo: "Che timor di Dio è questo?"

Unavociferazioneimmaneconfusanella quale non si distinguevanoaltre parole che"pane! pane! apri! apri!" copriva la vocedel Capitano.

"Chedirà il re nostro signore?" gridava egli.

"Pane!pane! apri! apri!"

"Indulgenzaplenariaperdono a chi torna a casa"gridò egli dinuovosporgendo il capo con precauzione: ma viste più maninella folla che si movevano a lanciargli un secondo biscottinosiritirò. Alcuni garzoni del fornos'avvisarono di rompere ilselciato d'un cortiletto; e tolte molte pietresalirono con quelleal piano superioree fattisi alle finestreminacciarono di gettarlesugli assalitori se non si ritiravano.

"Ahcani! vi faremo in pezzi"; urlava il popoloe non si ritirava:le pietre cominciarono a scendere; molti ne furono malconcie dueragazzi ne rimasero morti. Il furore crebbe la forza dellamoltitudine: le porte furono spezzatele ferriate delle finestre delpian terreno scassinate e diveltee la bottega aperta agliassalitori. I fornajgli alabardieriil Capitano si rifuggirono infretta sul solajodove s'appostarono alle uscite che davano suitettiper farsela da quella partealla megliose il pericolo sifosse avvicinato anche a quel rifugio.

Perbuona loro venturai vincitori si curavano per allora più dipreda che di carnificina. I primi entrati si gettarono sui cassonidel panee li posero a sacco: la folla si sparse dalla bottega neimagazzini ov'erano le farine: quelli che afferrarono i sacchiglisciolsero e perché non avrebbero potuto caricarli e portarselivia con tutto quel pesogittavano una parte della farinaeportavano il resto: altri raccoglievano come potevano quella farinariponendola negli abiti loronei cenci che trovavano. Alcuni i qualierano venuti con più profonda intenzioneandarono al bancolo spezzaronotolsero le ciotole dei danarigli intascarono amanatee sdrucciolando tra la folla andarono a casa a vuotarlepertornare a nuove faccende.

Frattantolo stesso assalto si dava ad altri forni: in alcuni i padroniresistevano e si chiudevano a difesain altridistribuendo tutto ilpane a quegli che si facevano innanzi stornavano il saccheggiofinitoe la distruzione.

Lecose erano a questo punto quando Fermo si avanzava sulla via appuntodi quel forno dove aveva cominciato ed era maggiore il tumulto.Andava egli ora speditoor ritardato tra una folla di gente cheprocedeva verso il campo di battagliae di gente che tornava carica:guatava andandoe origliava per conoscere un po' piùchiaramente lo stato delle cose. V'era un ronzio confuso di clamori edi discorsi: noi riferiremo quei pochi che Fermo potèintendere a misura che mutava di viciniprocedendo tra la calcaesostando di tratto in tratto per una qualche fermata improvvisa dellamoltitudine.

"Eccoscoperta l'impostura infame di quei birboni che dicevanoche nonc'era panené farinané frumento. Adesso si vede lacosa sincerae non ce la potranno più dare ad intendere. Vival'abbondanza!"

"Vidico ioche tutto è nienteè un buco nell'acquasenon si fa una buona giustizia di quei birboni. Metteranno il pane abuon mercatoma hanno proposto di attossicarlo per ammazzare lapovera gente. Hanno posto il partito nella giuntae io lo so dicertol'ho inteso con questi orecchi da una mia comare che èamica della lavandaja d'uno di quei signori".

"Largolargosignoridieno il passo ad un povero padre di famiglia cheporta da mangiare a cinque figliuoli che muojono di fame". Cosìdiceva uno che barcollava sotto un gran sacco di farina; e i vicinisi stringevano per dargli il passo.

"Nonono"diceva sommessamentee con aria misteriosaall'orecchio d'un suo compagnoun altro. "Io son uomo di mondoso come vanno queste cosee me la batto. Questi baggiani che fannoora tanto schiamazzodomani staranno tutti cheti a casa loroognunodiràio non c'eraoppure: è stato il tale che mi hastrascinato: no no: largo da questi garbugli. Ho già vedutecerte faccedi uomini che fanno l'indiano e notano tuttie domanipoi:... si cavano le listee chi è sotto è sotto".

Questeparole diedero un momento da pensare a Fermoma il vortice lotrasportava; e un discorso ch'egli intese subito doporinnovando eriscaldando l'indegnazione ch'egli sentiva con tutti gli altrisoffocò le considerazioni di prudenza che gli consigliavano ditornare indietro.

"Sisa tutto"diceva una voce più sonora dell'altra: "èscoperta la gran cabala orrenda. È il vicario di provvisioneche ha mandato un gran cavaliere travestito da merciajo a parlare colre di Francia: e si sono intesi: il re ha fatto promettere al vicariouno scudo d'oro per ciascun milanese che sarebbe morto di fame; ecosìquando il paese sarebbe stato vuotoil re venivainnanzi per diventar padrone egli".

"Eraordita la trama di farci morir tutti: tanto è vero chemettevano attorno che il gran cancelliere è un vecchiorimbambitoper togliergli il creditoe comandare essi soli".

"Finorava benema se avremo giudiziobisognerà far prima la festa atutti i fornie poi andare dai mercanti di vino: sono tutti birbonid'un pelod'accordo coi fornaj per far morire la povera gente difame e di sete".

"Ahtiranni! cani! scellerati! metterli in una stia a vivere di veccia edi logliocome volevano trattar noi".

Inmezzo a questi discorsi giunse Fermoa forza d'urti dati e ricevutidinanzi a quel forno. Lo spettacolo era lurido e spaventoso. Le muraintaccate da sassi e da mattonile finestre sgangheratediroccatala portaquella casa pareva un gran teschio disotterrato; allefinestrealla porta si vedeva gente affaccendata a compire l'operadella distruzionea strappare il resto delle imposte: al di dentroerano altri che con asce spezzavano le gramolei burattii cassonile panchele madiealtri che prendevano a fasci i rottamilecorbele palei registri delle partitei mobilie portavano tuttoal di fuori. I guastatori si avviarono con questo peso alla vicinapiazza del duomoe quivi accatastate tutte quelle materiev'appiccarono il fuocoponendosi intorno a godere quel falòacclamando con bestemmiecon canti di trionfocon promessa diricominciare ben tosto altrove.

Fermoseguì la processionee si fermò dinanzi al rogo inmezzo a quella folla ondeggiante a vedere e ad udire. Alcuniallargando intorno a sè un po' di spazio con le gomitafacevano quel che potevano per danzare; altri sopraggiungevano connuove spoglie da ardersie fattisi far largo a forza di urti e diurlile gettavano sul mucchio ardente: si alzavano nuove fiammetizzoni accesi saltavano qua e làe più forti ululatisorgevano in mezzo al rombazzo confuso e continuo. Fermo non credevané era possibile di crederetutto quello ch'egli aveva intesodire in quel giorno; ma tutti quei discorsile sue idee antecedentila persuasione universale gli davano l'intima persuasione che un grandisegno di affamare il popolo fosse stato ordito e scoperto.Partecipava egli dunque dell'ebrezza comunegridava a quando aquando con gli altrie se non attizzava la fiammastava pure acontemplarla con dilettomangiando intanto un altro di quei pani cheaveva raccolti e posti in tasca al primo entrare in città.

"Muojala carestia!" si urlava da ogni parte; "muojano gliaffamatori! viva l'abbondanza! viva il pane! viva! viva!" A dirvero la distruzione dei burattidelle madieil disfacimento deifornie lo scompiglio dei fornai non pare che fossero i mezzi piùspediti per far vivere il pane: ma questa è una sottigliezzametafisica che non poteva venire in mente ad una moltitudine.

Ilfuoco non era per anco estintoquando corse all'improvviso una voceper la follache al Cordusio (così è chiamato uncrocicchio poco distante dalla piazza dove si faceva la baldoria)s'era scoperto da un fornajo un altro grande ammasso di pane e difarina. La folla si diresse in tumulto verso quella parte: si gettònella via corta ed angusta di Pescheria Vecchiasi condensòsotto l'arco che la terminasi diffuse nella piazza dei mercanti.Quivi mentre si passava accanto alla loggia che tiene il lungo dellapiazzauna mano si alzò sopra le teste della turba e sirivolse verso una statua colossale che occupava una nicchia or vuotanella parte più apparente della loggiae una voce gridònello stesso tempo: "quello era un re! un re che rendevagiustizia prontae faceva impiccare i tiranni e i cabaloni"."Viva! viva!" rispose uno stormo di voci. Non è peròda credere che tutti quei gridatori sapessero bene a chie perchéapplaudivano; l'unica idea distinta che ne avevano era di un remorto.

Ilpezzo di marmo che ricevette quell'applauso era niente meno che unastatua di Don Filippo IIla quale durò in quella nicchiaancora centosettant'anni circadipoi fu trasformata alla meglio inun Marco Brutoe finalmente smozzicata e ridotta ad un torso informeche fu strascinato e gittato non so dove: e avrebbe pur meritatod'esser conservato pel suo destino singolare d'aver rappresentato duepersonaggiil nome dei quali fa nascere tosto idee disparatissimeeche pure ebbero più punti di rassomiglianza che non appaja aprima vista. Tutti e due gravi e rigidi sermonatori l'uno difilosofial'altro di religionetutti e due commisero senza rimorsocon giattanzadi quelle azioni che la morale comunee il sensouniversale della umanità abbomina; tutti e due credettero chenel loro caso una ragione profondaun intento di perfezione rendessevirtù ciò che è comunemente delitto. Tutti e duecon una opposizione ardente e attivahanno promosserafforzateestese le cose che volevano impedire ed estinguere nei lorocominciamenti; e tutti e due hanno avuti in vita e dopo morte fautoriche hanno approvata la loro condottagli hanno lodati d'aver fattimali infiniti per ottenere il contrario dei loro fini. Tutti e due sisono immaginati che la maggiorità dei loro contemporaneiavrebbe secondate con gran favore le loro intenzionie tutti e duesi maravigliarono con indignazione di trovare avversioneresistenzada tutte le parti. Tutti e due sono stati in diverse epoche tenuti ingran venerazionee in quelle epoche non era un viver lieto.Preghiamo il cieloche quando hanno da nascere uomini di quelcaratteresi trovino collocati in una condizione dove abbiano dafaticare assiduamente per vivereche al più possanodissertare in un picciolo crocchioe che non giungano mai a far coseper cui debbano avere statue dopo la morte.

Ilcorteo clamoroso dovette condensarsi e insaccarsi onde passare comeper una trafila nella via angusta dei Fustagnaje quindi sboccare alCordusio. Quivi era già ammassata un'altra follae ilsaccheggio d'un forno era avviato: i sopravvegnenti incalzavanoquelli che erano già signori del campoe si trasfondevano inessicome potevano.

Tuttoad un tratto una voce orrenda uscì dalla folla: "andiamodal Vicario di Provvisionea fare una giustizia". Quella vocefu come una scintilla caduta nel mezzo d'una polveriera. "DalVicario di Provvisione" gridarono tutti: e parve un rammentarsid'un accordo già fattopiù che una risoluzione di quelmomento. La casa del Vicario era sventuratamente vicinissima a quelluogo: in un punto la via fu pienae la casa cinta d'ogni parte.

IlVicario di Provvisione stava in quel momento facendo un chilo agro estentato d'un pranzo mangiato di mala voglia con un po' di paneraffermo rimasto del giorno antecedentee fra pensieri tristidistuporedi inquietudinedi incertezza.

Unoo due benevoli(perché nei garbugli sempre vi trascorrequalche onesto che cerca poi di impedire un po' di male) precorserolo stormoed entrati nella casaavvertirono del pericolo. I servialle portealle finestre: non si vedeva altro che un nuovolo digente che appressavache era lì: in fretta in frettasiavvisa il padronementre questi delibera di fuggirecome fuggiregli è detto che non è più a tempo: appena iservi possono chiudere e sbarrare la porta al momento che i primidella vanguardia stavano per porre piede sulla soglia: si chiudonotutte le imposte delle finestrecome quando il tempo imperversaecomincia a cader la gragnuola; e intanto si sente l'ululato orribiledella moltitudineche vuole entraree i colpi che già sidanno alla porta. "Il Vicario! il tiranno! lo vogliamovivo omorto!"

IlVicario errava di stanza in istanzaraccomandandosi a Dio e ai suoiservitori che tenessero fermoche trovassero modo di farlo scappare:ma la casa era cinta da tutte le parti. Il poveruomo salì sulsolaio e da un bugigatto del muro tra la soffitta e il tetto guatòansiosamente nella viae la vide stivatafitta di nemiciudìle grida e le minaccee si ritirò tremante e quasi fuor di sènell'angolo il più ripostoche potè rinvenire. Ivirannicchiato e tremanteporgeva l'orecchioe quando poi udiva icolpi violenti nella portalo turava spaventatopoi come fuori disèstringendo i dentie raggrinzando tutta la faccia tendevacon impeto le braccia e i pugni come se volesse tener ferma la portacontra gli urtipoi si dava per disperato ed aspettava la morte. Glipassavano per la mente gl'impegni che aveva fatti per giungere aquell'uficiola consolazione che aveva provata nel giungerviemalediceva di cuore tutti quei pensieri antichi. Finalmente stettetranquillo e come istupidito.

Intantoal di fuori altri percoteva le imposte della portacon travi: altriera andato in cerca di scarpelli e di martellie dava colpi inregola nel muroper aprirvi una breccia; altri lanciava sassi allefinestrealtri con le pale conquistate ai forni ne stuzzicava leimposte per aprirlegrida orrende accompagnavano tutte questeoperazioni. Quegli stessi però che con le gridaleincoraggiavano e le applaudivanoin fatto vi ponevano ritardo con lapressa delle persone non lasciando agio al giuoco delle leve e degliarieti: per buona sorte accadeva questa volta nel maleciòche è troppo frequente nel bene: che i fautori i piùardenti divengano un impedimento.

Nelmezzo della turba un vecchio malvissuto mostrava un martellodeichiodie una funedicendo che voleva egli configgere alle impostedella porta il Vicario quando fosse stato acchiappato ed ucciso.

"Eccoecco quello che farà la cosa spiccia; largolargo": erauna lunga scala che altri portavano per appoggiarla al muroe salirealle finestredove l'entrata sarebbe stata più facile. Perbuona sorte quel mezzo che avrebbe facilitata l'impresa non erafacile a porsi in opera: i portatori spinti alcuni di qua alcuni dilà e divisi da una calca brulicante e irrequieta eranocostretti or l'uno or l'altro di abbandonare il pesoil quale cadevasulle spallesulle teste dei più viciniche lo rispingevanogridapercosseurli da tutte le parti. Ma intanto la porta eraquasi sconfitta dai gangherie i fori nel muro andavano allargandosie sprofondendosigià poco mancava a vedersi l'interno dellacasa.

Fermosi trovava in mezzo alla calcama questa volta strascinato eassorbito dal vortice piuttosto che venuto di sua voglia; le gridache chiedevano il sanguei volti che ne mostravano la abbominevolesetelo avevano riempiuto di turbamento e di orrore; egli detestavain quel momento quella che gli era paruta giustizia del popololatrovava più atroce della fame.

"Andiamoandiamo"diceva egli ai suoi vicini; "è unavergogna! vogliamo noi fare il boja? assassinare un cristiano? Comevolete che Dio ci dia il pane a buon mercato se commettiamo di questeiniquità?".

"Ah!traditore della patria!" disse uno che era vicino a Fermorivolgendosi a lui con un viso d'indemoniato: "aspettaaspettatu sei un amico del Vicarioe dei tiranni..."

Perbuona sorte in quel momentoalcuni che portavano una scala feceroimpeto tra Fermo e il suo nemicoe gli disgiunsero. Fermoapprofittando di quella confusione nata nella confusione siallontanòcercando di uscire dalla follae di andarsene.Quegli che gli aveva fatto quel complimento non si curò dirintracciarloné lo avrebbe potuto. Ma un altro che sitrovava accanto a luie che lo aveva seguitogli disseall'orecchio: "buon giovanestate zittose non volete farviammazzare; ma aspettate quietamenteche forse potrete far del bene".Fermo gli rispose affettuosamente coll'espressione del voltoerimase in mezzo alla calca.

Maquegli stessi benevoli che erano venuti ad annunziare il pericolonon avevano posto tempo in mezzoed erano tosto volati al castelloper avvertire di ciò che accadevae domandare soccorso. Futosto spiccata una troppa di soldatiche accorse al luogo deltumulto.

Magiunta che funon seppe che farsi. Le parti estremedell'attruppamentoalle quali sole i soldati potevano accostarsierano una ciurma disarmatae oziosamista di uomini di donne e difanciulli: parevano piuttosto spettatori che altro: all'ordine didissiparsi non rispondevano che con un cupo e profondo mormorio. Farfuoco sopra quella genteparve a quelli che comandavano ildrappelloche sarebbe stata cosa crudelee piena di pericolo assaipiù grave di quello che si voleva far cessare: attraversare laprima calcae giungere in ordinee uniti al centro del tumultodove la rivolta era operosa; non era cosa possibileil solo tentaredi procedere avrebbe sparpagliati i soldati tra la moltitudineepostili così separati a discrezione di quellairritata. Isoldati stettero dunque oziosi; quelli che erano più pressogli guardavano senza timoregli beffavanole grida continuavanoegli smuratori proseguivano la loro impresa romorosasenza darsipensiero della truppa.

L'impresasarebbe stata pur troppo condotta al terminee già lotoccavase dalla parte opposta non fosse giunto un piùefficace soccorso. "Una carrozza! uh! uh! chi è questotiranno che ardisce venire ad insultare la povera gente? dalli!dalli! sassatesassate!" "Zitti! zitti! è Ferrer!non vedete la livrea? è un galantuomo! amico della poveragente: eccolo! eccolo! ecco mette la testa allo sportello! èegli. Viva Ferrer! Viva Ferrer!" La carrozza s'era fermata incapo della calcaa canto ai soldati; e nella carrozza v'era di fattiquell'Antonio Ferrer gran cancelliereche era stato una delleprincipali cagioni di tutto quel guastoma che almeno veniva perporvi qualche rimedio e si valeva della popolarità che gliavevano acquistata i suoi spropositi per minorarne i tristi effetti.Sia benedetto Antonio Ferrer! degli spropositi molta gente ne famanon sono molti coloro che adoperino il vantaggio che possono avernecavatoa fare un po' di bene o ad impedire un po' di male. AntonioFerrer metteva fuori dello sportello una faccia tutta umiletuttabenignatutta amorosauna faccia che egli aveva creduto di tenerein serbo pel momento in cui si sarebbe trovato al cospetto di DonFilippo Quarto: ma fu obbligato a spenderla in questa occasioneimpreveduta. Cercava egli di parlarema i picchjgli scalpitigliurlii viva stessi che si facevano a lui soffocavano la sua voce.Andava egli dunque ajutandosi col gestoora avvicinando la puntadelle mani alla boccae tenendole poi supineper render grazie allabenevolenza pubblicaora rivolgendole e abbassandole lentamente perrichiedere (ma con un garbo ineffabile) un po' di silenzio e ditranquillità; ora allargandole dinanzi a sèperdomandare se fosse possibile un po' di passaggioaccennando nellostesso tempo col volto ch'egli veniva per far cosa grata a quelli acui domandava il passaggio.

"VivaFerrer! l'amico della povera gente! non abbia pauraella è ungalantuomo! Vogliamo pane!"

"Sìfigliuolipanepane! abbondanza!" rispondeva Ferrerponendola destra sul cuore per dare la forza del giuramento alle sue parole.

"Checosa ha detto?" domandavano quelli che non erano viciniabbastanza per intendere il suono delle parole.

"Hadetto pane! abbondanza!" rispondevano quelli che avevano inteso;e queste parole girarono in un momento fino all'altra estremitàdella calca.

"Ciarle!ciarle!" gridavano alcuni. "Viva Ferrer! è ungalantuomo!" gridavano altri. "Noi vogliamo Ferrer! comandiFerrer! morte ai birboni!"

"Sìfigliuoli miei cari!" diceva il vecchioalzando la voce quantopoteva: "comanderò io: si farà giustizia: il panea buon mercato. Intanto fatemi un piaceredatemi un po' dipassaggio. Vengo per mettere in prigione il vicario di provvisione".

Questanuova parola fu pure trasmessa di bocca in bocca. "Sì sì:bravo! in prigione!" "No no! lo vogliamo morto!" "No!in prigione! giustizia! Largo! largo!" "Sono imposture! chil'ha da giudicare? Sono tutti d'una razza!" "Via! via!""Ferrer è un galantuomo! in prigione!"

Laproposta inaspettata del gran cancelliere aveva divisi in un momentoi pareri e gli animi di quei comizj tempestosio per dir meglioaveva fatta scoppiare una divisione che già esisteva. Alcuni oper una ebbrezza di furore e di crudeltào per una freddaspeculazione di anarchia volevano persistere nel propostosanguinario: ma i piùplacati in parte e raddolciti dalvedere che un alto magistrato veniva a riconoscere la giustizia dellaloro causae a compirla legalmentevinti dalla affezione chesentivano in quel momento pel vecchio Ferrercommossi da quella suacanizie e dal contegno supplice e carezzevole che tanto piace allamoltitudine in un uomo che le si è sempre mostrato in unaspetto di gravità e d'imperoinnamorati anche dallasicurezza animosa del vecchio che non aveva dubitato di affrontareuna tanta burrascagridavano che gli si facesse luogoe che ilvicario gli fosse rilasciato. Fermo era tra questie gridava atesta: "prigionegiustizia!"

Isentimentile gridai movimenti di questa parte piùplacabile erano mossi e regolatisenza ch'ella se ne avvedessedaalcunii quali senza aver fra di loro intelligenze precedentioperavano pure di concertocondotti da una intenzione comune.

V'hadegli uomini onestiai quali nelle sommosse popolarialleaffoltatealle vociferazioni d'una moltitudine alleggiatasonocolpiti da un orrore paurosonon ponno sostenerne la vistalavicinanzae vanno a rimpiattarsise è possibiledove non negiunga nemmeno il mormorio.

Ven'ha altrii quali sentono un orrore egualmente fortema che non liconfondeche non toglie anzi cresce loro l'attività. Iltumulto è per essi un nemico terribiledi cui vanno in cercaper opprimerloo per ammansarlo: accorrono dove la confusione èpiù bollenteil brulicame più fitto: non si curano odimenticano in quel momento da che parte sia la ragione e il tortodimenticano il proprio pericoloe non hanno altro di mira che difrastornare le risoluzioni ferocid'impedire delitti: sono delpartito degli oppressi e dei minacciatiquali essi sieno;difenderlisalvarlitrafugarlireprimere i violentiacquetare lecose è il loro scopo. Di questa specie d'uomini moltorispettabile erano coloro che abbiamo accennati: l'oggetto dei lorosforzi era di stornare la carnificina preparata al Vicario diProvvisione: sentirono essi tosto che la venuta e la proposta diFerrer era un mezzo potente alla loro miraanzi l'unicoal punto incui erano le cosee tutticome d'accordofecero tutto ilpossibileper cavare ogni vantaggio da quell'incidente avventurato.Ripetevano e spargevano le parole del gran cancelliereviaggiungevano i commenti e le interpretazioni che erano piùaccomodate alle idee ed alle passioni della moltitudinegridavanoquelle parole che potevano diventare un grido universalee comandarele azioni: lodavanoe dirigevano quegli che erano giàinclinati alla moderazioneammonivano con dolcezza gli ostinatiogli svergognavano anche minacciosamente dove gli ostinati erano inminor numeroe la forza e il favore erano per la moderazione. I lorosforzi non furono inutilie poco a poco apparve manifestamente chela moderazione aveva il maggior numero di partigiani.

"Giustizia"e "Ferrer!" erano le due parole che più risuonavanotra il clamore vario e indisciplinato.

Alcunitra i guastatori avevano già deposti gli stromenti didistruzionee ristavano dall'impresa. "State quieti! aspettate!viene Ferrer a metterlo in prigione"si gridava da mille partia quegli che proseguivano a dar colpi alla porta e al muro. Alcuniaggiungendo i fatti al consigliocercavano di toglier loro di manole leve e i martellie le travi: quindi una lotta tra gli uni e glialtri che ritardò la presa della fortezzae diede tempo alsoccorso di arrivare.

Ferrersi volse al cocchiere e gli disse in frettasotto voce madistintamente:...

Poicontinuando a rivolgersi al popolo: "Signori"diceva: "unpoco di passaggiovedo... capisco... sono angustiati... incortesia... sì signori... paneabbondanza... in prigionelocondurrò ioin castello..."

"Passo!passo a Ferrer!" "Vogliamo impiccarlo noiil vicario! èun birbone!" "No no: in prigione! giustizia!"

Intantoil cocchiereimitando anch'egli la condotta del padronesorridevaalla moltitudinee con una grazia delicatissima moveva la frusta adestra e a manca per accennare a quelli che erano dinanzi ai cavalliche si ritirassero un poco sui lati: alcuni si ritiravanovolontariamentee quei bene intenzionati che abbiam dettoposti nelmezzo rimovevano gli altri poco a pocoe la carrozza dava qualchepasso. Ferrer andava sempre ripetendo le stesse frasitalvoltadicendo le parole che soddisfacessero alle grida che sentiva piùdistintamente.

"Giustiziam'impegno iovengo a pigliarlo prigione: è giusto: il renostro signore vuole che si castighino quelli che fanno del male aisuoi fedelissimi vassalli... a questi bravi galantuomini: largo digrazia: gli faremo il processo: giustizia pronta: pane a buonmercato: abbondanza! abbondanza!"

Cosìpassopassola carrozza giunse dinanzi alla casasu la portae sifermò.

Quiviera il punto difficileil momento sommo dell'impresa: ma il nostroFerrer era un valente in quel giornoe doveva uscirne vincitore.



Cap.VII

Inun disegno qualunque o di pensiero o di azione (quando sia di queidisegni che hanno a riuscire) dopo superati alcuni ostacolidopoavute certe arre di buon successogiunge un momento in cui le ideediventano più sicure e più vigorosela cosa appare piùfattibileil già fatto confortae indica nello stesso tempoquello che resta a farsila probabilità di ottenere lo scopone rinnova il desiderio che la vista degli ostacoli aveva indebolitoe lo spirito acquista quasi una placida sveltezzauna risoluzionepronta che governa gli avvenimenti.

Ildisegno di salvare un uomo debb'essere uno di quelli che danno insommo grado all'animo di chi l'ha conceputo e lo sta eseguendo questaalacritàquesto vigore intensoquesta gioja crescente. Lamorte e lo scampole angosce estremee un sollievo inaspettatoitormentie il riposoun cadavero sfigurato in cui nulla piùappare che l'insulto fatto all'immagine di Dioe l'aspetto d'unvivente che si ricompone alla speranzaalla vitaalla riconoscenzadebbono essere incessantemente presenti a quell'animofargli sentirevivamente che l'una delle due sta per avverarsi; intendere tutte lesue potenze a fare che il bene s'avverie sia cessato lo spaventosoirreparabile.

Laportaquando la carrozza vi si fermòera in uno statomiserabile: i gangheri in parte scassati fuori del murole impostescheggiateammaccateforzate nel mezzo e scombaciate l'unadall'altralasciavano tra loro una fessura dalla quale si vedeva unpezzo di catenaccio torto e quasi divelto con gli anelliche tenevaancora insieme quelle impostea un di presso come già RomoloAugustolo teneva insieme l'impero d'occidente. Dinanzi a questa portasi tenzonava tuttavia tra quelli che volevano abbatterla ed entraredi forzae gli altri che volevano ch'ella fosse aperta soltanto algran cancelliere. L'arrivo di questoattestando in certo modol'assenso della folla alla sua missionee facendone vedere ilcompimento probabile e vicinosconcertò i disegni violentidei primii quali finalmente si rimasero.

"Giustizia!giustizia!" si gridava. "Giustizia"rispondevaFerrer"in castelloin prigione". Uno di quegli amicidella quiete si avvicinò allo sportelloe disse al grancancelliere: "Faccia prestoe con coraggioché siamoqui molti galantuomini a darle ajuto". "Bravi"rispose Ferrer: "fate far largostatemi intornoe fate in modoche la porta s'apra tostoe ch'io entri solo". "Lascifare"rispose quelloe intanto egli ed i suoi compagnirispinsero i furibondie occuparono tutto lo spazio fra la carrozzae la portasi divisero quindi a rispingere e a contenere a destra ea sinistra la follae lasciarono così una picciola piazzettatra la carrozza e la porta. Uno di essi intanto s'era posto allafessurae procurava di fare intendere a quei di dentro che quegliche parlava era un amicoche era giunto un soccorsoil grancancelliereche si aprisse o si finisse di aprire la porta: che ilVicario stesse pronto per entrare in carrozza ed esser salvo. Quei didentro inteserorespiraronoe risposero che aprirebbero; e che sicorreva a cercare il padrone.

Unaltro aperse lo sportello della carrozzae il vecchio Ferreringran toga discese.

Dauna parte e dall'altra gli affollati stavano in punta di piedi pervederlomille faccemille barbe s'alzavano per sopravanzare quegliche erano davanti. Il momento di curiosità e di attenzionegenerale produsse un momento di generale silenzio. Ferrer appoggiatoa due benevoli pose piede sul predellinoe quivi fermatosi unmomentoe dato uno sguardo a destra e a sinistracome da unabigonciasalutò la moltitudineindi posta la destra al pettogridò: "Avrete pane quanto ne vorrete: lo prometto io:vengo a far giustiziavengo a prenderlo prigione": e a questeultime parolestese la destra in atto severo verso la porta diquella casacome accennando che veniva a portarle un rigorosogiudizioe pose piede in terra fra le acclamazioni che n'andavanoalle stelle.

Laporta fu tosto apertao per meglio dire quei di dentro fecero uscirea stento il catenaccio incurvato dagli anelli squassatieallargarono la fessurabadando bene a ragguagliarla appuntino allospazio che occupava il gran cancelliere.

"Prestopresto"diceva egli"signoriaprite benech'io entrievoi ritenete la gente per amor di Dio"diceva agli altri"ch'io entri solo... Cosìcosì state"diceva ancora a quei di dentro"non ispingete... eh! raccomandole mie costole... chiudete ora... noeh! eh! la togala toga".

Latoga sarebbe rimasta acchiappata fra le imposte se Antonio Ferrer nonne avesse ritirato con molta disinvoltura lo strascicoche sparvecome la coda di una biscia che si rintanainseguita.

Leimposte furono ravvicinatee appuntellate per di dentromentre difuori la porta era difesa dai benevolii quali andavano perògridando: "presto presto".

"Prestopresto"diceva pure Ferrer ai servitori: "dov'èquest'uomo benedetto? venga vengason qui per salvarlo". IlVicario scendeva le scale mezzo guidato e mezzo tirato dai suoiiquali gli persuadevano ch'era giunta la salute. Quand'egli vide ilgran cancellieremise un gran respirosi sentì scorrere unpo' di vita per le gambee affrettò il passo incontro al suosalvatore. "Stia di buon animo ch'io vengo per salvarla"disse Ferrer. "Son perdutoson perduto"rispose ilVicario: "come uscire di qui? la strada è piena di genteche mi vuol morto". "Ho qui la mia carrozza: venga tostoeconfidi in Dio"disse Ferrer; e presolo per mano lo condusseverso la porta.

"Guardateun po'come stanno le cose là fuori"disse egli alloraad un servo: si tolsero i puntellisi separarono un po' le impostee un servofacendo capolinodisse a quelli che facevano guardia aldi fuori: "Siamo a tempo?..." "Sìsìma tostotosto"risposero quelli: il varco fu aggranditoeFerrer uscì col Vicariodicendo: "Qui sta il busillis:Dio ci ajuti".

Queidella guardiacolle manicolle cappecoi cappellifecero come unvelouna reteuna nuvolaper togliere il Vicario alla vista dellamoltitudine: il Vicario entròFerrer gli tenne dietrolosportello fu chiuso; la moltitudine seppeindovinò quello cheera accadutoe sollevò un grido confuso di viva ed'imprecazioni.

Intutto questo frattempo una parte di quelli che volevano salvo ilVicarios'era impiegata a preparare un po' di via alla carrozzafacendo ritirare la moltitudine: il cocchiere stava prontoe simosse cautamente peròtosto che sentì chiudere losportelloe dirsi: "Andiamo".

Ferrervoleva raccomandare al Vicario di tenersi rincantucciato nel fondodella carrozzama vide che il suo consiglio era stato prevenuto:egli si affacciava ora a destra ora a sinistrarispondendo allemille gridae di tempo in tempo passando colla faccia accantoall'orecchio del Vicario gli diceva qualche parolina che dovevaessere intesa da lui solo.

"Sìsìlo promettoin castelloin prigione! un esempiounagiustizia esemplare. Tutto questo per bene di Vossignoria. No nononiscapperàè in mano miasi farà un buonprocessoun processo severoe se è reo... voglio dire...sarà castigato rigorosamente. Sì sì unoscelleratoun birbante; ma si farà giustizia. Vossignoriaperdoni. Lo faremo saltar fuori il frumentolasciate fare; a buonmercatobrava gentefedelissimi vassalli. Il re nostro signore nonvuole che si patisca la fame. Avete ragione. La passerà malese ha fallatola passerà male. Stia di buon animo; che siamoquasi fuori".

Infatti la carrozza era giunta in capo alla viaad ogni passo la folladiveniva più radae la carrozza cominciava a scorrereliberamente. Fra i più avanzati alcuni avevano presa la corsae battevano la strada alla carrozza per vedere se la s'avviava alcastello davvero; altri la seguivano lentamentealtri si rimanevanoaddietro.

Quiviil Ferrer vide quei soldatiche erano stati spettatori oziosi deltumultoe stavano ancora lì ritti e ordinaticome perimporre alla moltitudineper mantener l'ordinema in vero per nonsaper che farsi: Ferrer guardò all'ufiziale con un cenno delvoltoche voleva dire: - bell'ajuto che m'aveteprestato -: l'ufiziale fece un inchinoe si strinsenelle spalle: Ferrerin un momento di vanagloriamormorò frasè: - oggi è proprio il caso di direCedant arma togae -.

Quandola carrozza ebbe preso il largo affattoil Vicarioriavuto un po'il fiatorese grazie umilie sincere prima a Dio poi al vecchioFerrer che lo aveva cavato d'un bel fondo.

"Eh!eh!" diceva Ferreral quale i pensieri della vanagloria eranostati interrotti dai pensieri d'una politica nella quale eraincanutito. "Eh! Che dirà il re nostro signore? Che diràil Conte Duca?" - Il Conte Duca-soggiunse tra sè a bassa voce - che nonvuol romoriche s'adombra se una foglia fa un po' piùstrepito del solito.

"Ah!per me"disse il Vicario: "non voglio più saperneme ne lavo le manirassegnerò il mio postoe andrò avivere in una grottasur una montagnaa far l'eremitalontanolontano da questa gente bestiale". "Vossignoria faràquello che sarà più conveniente al servigio del renostro signore"disse Ferrer.

"Ah!il re nostro signore non mi vorrà veder morto"risposeil Vicario: "lontanolontano da costoro: in una grotta".

Inpochi momenti la carrozza fu in castelloe il Vicario respiròdavvero quando sentì alzarsi dietro di lui un ponte levatojoe si trovò in luogodove non si vedevano che soldati.

Glistorici originali contemporanei non parlano più nulla di lui;ma noi valendoci del privilegio che hanno gli storici di secondamanodi inventare qualche cosa di verisimile per rendere compiuta lastoriae supplire alle mancanze dei primiaffermiamo sicuramentecome se ne fossimo stati testimonjche il Vicario uscito dalcastello quando la sedizione fu affatto compressacontinuò adessere Vicario pel tempo che gli rimaneva a compiere la sua caricaeda poi procurò di diventare tutto quello che potè.

Dobbiamopur notare un'altra reticenza più importante e che dàluogo ad indovinare con minor timore d'ingannarsi. Non si trovascritto che il processo del Vicarioche il Ferrer aveva promessodugento volte in quel giornosia stato fatto; e si puòscommettere che non sia stato fatto. Su di che non possiamo lasciaredi dire il nostro parereperché avendo noi accompagnato ilFerrer coi nostri voti e coi nostri applausi in quella spedizionenon intendiamo per nulla di aver lodata una gherminellaun raggiro.Ferrer fece molto bene a promettere che il Vicario sarebbe giudicatoperché quella era una promessa ragionevolee che potevaimpedire un delitto. Ma fece molto male o Ferrer o chiunque si fossequegli o queglino che non si curarono di fare o impedirono che sifacesse una cosa la quale era stata promessa solennementee avrebbepure dovuto esser fatta quand'anche non si fosse promessa. Poichéo il Vicario era reonon dico delle pazzie che gli venivano appostema di qualche cosaed era bene punirlo: o egli era del tuttoinnocenteed era cosa ottima mettere in chiaro la sua innocenzaconvincere la moltitudine della sua spaventosa credulitàefarle sentirefarle confessare che le era stato risparmiato unastolida atrocità. Invece si mentìle prevenzioni dellamoltitudine non furono toltele fu dato per sopra più ilrancore d'essere stata ingannatae col fare di questo mezzo disalute un ingannosi tolseper altre occasioni similial mezzo lasua efficaciala quale consisteva tutta nella fede data alle parole.

-Masento dirmiqueste cose non vanno giudicate con questamisura: non sono come le parole che si danno tra privati: si trattavad'impedire un malee ogni parola era buona: passato il pericolol'attenere quella parola era cosa difficilepericolosastrana; siavrebbe dovuto propalare molte cose che dovevano stare segreteinsomma tutto il sistema era un ostacolo.

-Tanto peggio per un sistema che mette i suoi autorie isuoi agenti in impiccidai quali non si possono cavare che dando unaparolache il sistema poi impedisce di mantenere. Dovremmo noidunque ammettere che i primi falli scusinoanzi santificano quelliche vengon dopo?

-Eh! con questi argomentinon si farebbe nulla. Ilfondamento della vera sapienza pratica consiste nel prendere gliuomini come sono. - Queste parole proferite cosìspessoe sempre così a propositoqueste parole nelle quali isapienti devono certamente intendere un sensopoiché lepronunziano con tanta sicurezza che passando tanto per le bocchedegli uomini non hanno mai perduta la loro forzae sciolgono tuttele questionitroncano a maraviglia anche la presentee cidispensano dall'internarci in una digressione la quale sa il cieloquanto avrebbe durato. Prendiamo dunque gli uomini come sonoraccontando quello che hanno fatto.

Lafolla che al moversi della carrozzas'era tutta messa in movimentoper tenerle dietrocominciò a sparpagliarsiquando lacarrozzavincendo della manosi allontanò e disparve. Adogni crocicchio per cui si passavaad ogni via che metteva caposulla via per dove procedeva la follauna parte di essa se nescompagnava e ne usciva a destra o a sinistra: chi per andarsene acasa o ai fatti suoi per la più brevechi per voglia discialarsi un po' al largodopo tante ore di pressa. Di quegli cherimanevano addietroalcuni si stavano come trasognatipensando alleimprese di quel giornonon sapendo bene render conto a se stessi sedovessero essere soddisfatti o noparendo loro che la cosa fosseimperfettache si fosse terminato senza conchiuder nulla di serioeguardandosi intorno per vedere se la cosa voleva continuare inqualche modo. Altri si riunivano in piccioli crocchje procedendolentamentee talvolta sostandotenevano ragionamento sul fatto esull'avvenire. Si disputava del supplizio che sarebbe dato al Vicariodi provvisione: chi gli pronosticava le forchechi il taglio dellatestaperché era cavaliere; i più moderati sicontentavano del bando. Si stabiliva il prezzo del panesi facevanoleggi ancor più severe contra gli accapparratorie contra ifornajsi benediceva Ferrere si maledicevano tutti gli altrimagistrati. In questi crocchj s'inframmettevano di quei pescatori neltorbido che avevano dilatata e tenuta viva la sommossa in quelgiornoe gettavano accortamente i germi per l'indomanioramostrando di fidarsi poco delle promesse fatte in un momento diterroree facendo intendere che le promesse non sarebbero attenutese non fossero rimasti uniti quelli che le avevano fatte uscire conla forza; ora asserendo che nel tal luogoalla tale oradell'indomani vi sarebbe gran concorsoe preparando così unconcorso al quale nessuno aveva pensato ancora. Quelle tali faccedelle quali già al mattino ne aveva riconosciuta alcuna quelprudente le cui parole avevano dato da pensare a Fermoandavano orain ronda più che maiorigliandosguaraguatandointromettendosi ai discorsi per andare a riferire qualche cosa aimagistratii quali tra la battisoffia e la stizza stavanoconsultandoe aspettando di conoscere un po' meglio lo stato dellecosedi vedere le acque un po' abbassate per piantare un qualcheargine.

Fermodopo avere finché potèseguita la carrozza che avevasalvato il Vicario dal furore del popolo e lo conduceva legalmente inprigionesi fermò a riaversi un pocoa ricapitolareariconoscere i suoi pensieriche erano tutti esultanti. Quel disgustoche gli avevano recato le grida del sangue e i preparativi dellacarnificinaaveva dato luogo alla gioja di vedere la giustiziael'umanità vittorioseil delitto punito senza delittie ladignità del magistratoil potere legale unito col votopubblicoe divenuto suo amicoe suo ministro.

Fermovedeva aprirsi il secolo dell'oroe durava fatica a rinvenire dallostupore di una tanta mutazioneavvenuta negli affari del mondoenei suoicome egli credeva. Ieri sera fuggitivo a cercare unnascondiglioperché? perché aveva ragione; senzaforzasenza altro soccorso che di consiglidi consolazionie dibuona volontà: oggi in mezzo ad una moltitudine di uomini cheparlavano come luie parlavano altoe solioggi egli avevaesercitato con gli altri la giustizia e la clemenzaaveva cooperatoa far punire un colpevole potentea salvarlo da una pena ingiusta ecrudeleaveva gridato tutto il giornoaveva detto sempre il suopareree se pure aveva trovato contraddizionealla fine il suo votoaveva trionfato. Pieno di entusiasmo pel passatoe di piùgrandi speranzeegli si mischiò ad uno di quei crocchjedopo essere stato uditore per qualche momentosi fece interlocutoree poco stante divenne predicatore.

"Signorimiei cari"diss'egli perché al forese sono signori tuttii cittadini che non domandano l'elemosina. "Signori miei carisentano un poco anche meche ho delle cose giuste da dire. Ecco senon è vero che oggi si è veduta la prova che a saperfare si ottiene più giustizia in un giorno che in cento anni astar lì senza muoversi. Come sarebbe andata se non ci fossimotrovati insieme tanti galantuomini? Si sarebbe tirato innanzi allostesso modo fino a che fossimo tutti morti di fame. Per lungo tempofanno mostra di non intenderee poi per darvi un osso in boccamettono fuori una buona grida che dice di sìe pochi giornidopo viene un'altra grida che dice di no: e intanto passa il tempoei cenci vanno all'aria. È una lega malandrina: e igalantuomini che si trovano fra quelli che menano la poltaanch'essinon ponno parlare; come quel bravo Ferrersia benedetto! che ètutto dalla nostraeppure non poteva far niente; e oggi l'abbiamoveduto come era contento di poter dire la sua ragionee di vedersisostenuto; come parlava col cuore in manoe che faccia ridente avevaper trovarsi in mezzo ai galantuomini. Dunque ha potuto fare le cosegiustee mettere in prigione un tiranno; ma eh! eh!... ce n'ètanti altri; e la cosa è chiaraperché lo dicono anchele gride: che il mondo è pieno di tiranni che fanno ilDecalogo al rovescioche vogliono tutte le cose a modo loroed èun modo da caniche vanno in volta coi loro braviil fiore dellacanagliacon certi uomini che cominciano in questo mondo a farsi lafaccia che avranno a casa del diavoloe con questi fanno e disfannoe tiranneggiano la povera gentee se un povero figliuolo cerca dimaritarsi onestamentesignor noessi non vogliono perché...perché... birbonibirbononi! E se uno non vuol fare a modoloro lo fanno bastonaree se dice - ahi! - ibastoni si cangiano in coltelli; e quando un povero figliuolos'imbatte in colui che lo ha tiranneggiatobisogna che gli faccia dicappelloe che metta la testa fino in terracome se passassedinanzi al suo Santo protettore. Eppure le gride cantano chiaroedio lo soche ne ho sentito leggere una da un avvocato... una buonalanaanch'eglitutti d'accordo; perché anche i giudiciache cosa credete che guardino i giudici? alla ragione? Eh! guardanoai calzonie se sono di seta quegli che li porta ha ragionese sonodi fustagno ha torto. Dunque dico iosiccome le gride non servono anulla bisogna finirla; e dirlo al Ferrerma dirglielo in piazzaein moltiche faccia fare il processo a tutti costoroe poiperchéci vuol altro che una carrozza a condur prigione tutti costorobisognerà far venire oltre tutti quelli che maneggianoe chesono come Ferrerche hanno il timore di Dio e vogliono le cosegiuste: e condurli alle case di questi tiranniloro signori liconosceranno meglio di mee farli metter tutti allo scuroe farloro un buon processoe giustizia sommariae poi far lo stessoanche fuori dalle porte di Milanoche vi so dir io che il bisogno ègrande. Dico benesignori miei?"

"Ditebenebenissimo!" risposero molte voci: "parla come unlibro": disse uno. "Eh! eh! che tabella hanno questi difuora!" disse un altro. "Poh! poh!" mormorava unaltrocrollando le spalle"non bisogna metter troppa carne afuoco: ci siamo mossi pel pane; e se si mettono in campo altri piatinon avremo più nemmeno i pani".

Laproposta divenne l'oggetto d'una discussione generale: il crocchio sisuddivise in piccioli crocchjdove altri narrava fatti di tirannialtri proponeva i mezzi di porre ad esecuzione il disegno di Fermoaltri faceva obiezioni. Intanto il sole era cadutoil barlume andavacedendo il luogo alle tenebree molti stanchi già dideliberaree non raffigurando più la faccia dei lorointerlocutori (cosa che scema molto il diletto del conversare) sispiccavano a uno a due a tre; e se ne andavano con la promessa dirivedersi. Quei che s'erano aggruppati intorno a Fermoed erano ipiù affetti al suo disegnosi separarono quando uno ebbedetto; "Buona seraio vado a casa": "anch'io"disse un altro: "anch'ioanch'io: a rivederci domani: da buonifratelli: non mancate: addio: addio: buona serabuona sera".

Fermorimaso solo pensò ai casi suoi. Quando si dice che l'amorelesperanzei timorilo sdegnol'ambizioneed altri divertimenti disimil generetolgono la famela setela stanchezzasi deveintendere che le tolgono temporariamenteche le sospendonoperchéa torle realmente e in modo utilesono necessarj ingredienti ditutt'altro generecome per esempiocibobevandariposo. Fermoaveva passata vegliando la notte antecedente su un barrocciodisagiatola mattina su la via da Monza a Milanoe il resto di quelgiorno a girare per le vieo a dimenarsi per la calca; avevamangiati in tutto il giorno due di quei pani che aveva trovati su lesue orme come la manna nel desertoe di liquido non aveva gustatopure una goccia. E siccome dopo esser stato qualche tempoosservatore silenziosoaveva poi schiamazzato la parte sua perqualche oracosì la sua gola era come d'aprile un campo chesia in grande necessità di pioggiae invece vi abbia tiratoun gran vento. Quindi le immagini grandiose di assembramentidideliberazioni publichedi carrozzedi prigionidi Don Rodrigo infugadiedero luogo nella sua mentee vi si presentò in veceuna scrannaun fiascoun po' di companaticoe un letto; e dietroalle immagini tosto il pensiero del come procacciarsi le cose.

Intutt'altra occasione Fermo balzato dai suoi monti nella cittàdi nottesenza conoscenti sarebbe stato impacciato assaimal'attività e i successi di quel giorno gli avevano data unagran fiducia nelle sue forzee avevano fatto di lui un uomo assaipiù disinvolto dell'ordinario.

-Osterie in Milano ce n'è- diss'eglifra se medesimo: - e con la lingua in boccae conquattro soldi in tasca non si perisce in nessun luogo. Oh! e lalettera da dare al Padre Bonaventura? È tardia quest'ora ilconvento sarà chiusoe sa il cielo quanto è distantee avrei a domandare forse venti volte la via prima di giungervi: epoi... quand'anche fosse giorno chiaroche andrei a fare ora dalPadre Bonaventura? Se è tanto amico del Padre Cristoforosaràun santo anch'egli: buona gente nel confessionaleal letto d'unmoribondo: ma delle cose di questo mondo... so ben ionons'intendono niente. So già quello che mi direbbe: "figliuolmiosono tempi cattivistatevene fuorinon andate nella gente".Poh! se tutti dovessero dar retta a chi dà di questi parerinon si farebbe mai nulla a questo mondo. Non sono poi un ragazzo.Vediamo se saprò trovare un'osteria.

Cosìpensando Fermo andava innanzi lentamente guardando in su a destra e asinistra per iscoprire qualche insegnaqualche frasca spenzolata cheindicasse l'ospitalità venale di cui egli aveva bisogno.

Maquando Fermo si era mossosi era pur mosso su la sua traccia un uomoche aveva intesa la sua predicae da poi gli era sempre stato acanto in modo da osservarlo senza esserne osservato: questi appenaFermo ebbe dati venti passi cogli occhi in ariagli si accostòsi fermò a considerarlo un momento come se lo vedesse in quelpunto per la prima voltae gli disse: "Buon giovanevoi misembrate forese: avete bisogno di qualche cosaposso servirvi?"

"Oh!che brav'uomo"rispose Fermo: "appunto ho bisogno ditrovare un'osteria per bere un trattoe per dormire questa notte".

"Vene insegnerò io una a propositoe v'accompagnerò"disse lo sconosciuto.

"Visarò bene obbligato"replicò Fermo: "ma mispiace del vostro..."

"Eh!burlate"disse l'altro: "si può fare meno? Una manolava l'altraè un proverbio che l'avrete anche nel vostropaese: quale è il vostro paese? non per cercare i fattivostrima perché mi parete stancoe dovete aver fattoviaggio assai".

"Sonoinfinoinfino da Lecco"rispose Fermo.

"Perbacco! venite ben da lontanopovero giovane"disse la guida;"ma l'osteria è vicinae potrete riposarvici a momenti.Siete fortunatonon dico per farmi valerema siete fortunatod'essere incappato in un galantuomo che vi condurrà bene".

"Visono obbligato"rispose Fermo: "e vi fermerete a bere untratto con me".

Ilresto della via fu speso in rifiuti cerimoniosi dello sconosciutoaiquali Fermo replicava con istanze sempre più forti; tanto cheentrarono insieme in una picciola osteriae attraversato uncortilettolo sconosciutocome sperto del luogos'accostòad una portae alzato il saliscendo apersee introdotto Fermoentrò con lui nella cucina.

Dueo tre lucerne appese ad altrettanti staggi appiccati ai correntidella soffittailluminavano la stanzanella quale erano sparsecinque o sei tavole: su alcune si mangiavasi giocava su alcunealtree si gridava dappertutto: e si vedevano correre danariiquali se avessero potuto parlareavrebbero detto probabilmente: -questa mattina noi eravamo nella ciotola d'un fornajo -.Sotto la cappa del camino stava seduto l'oste il quale stava adudirenon parlava che quando era chiamatoevitava tutti i discorsidelle cose del giornoe se pure veniva stimolato a dire il suoparererispondeva per lo più: "non so niente; io faccioil mio mestiere". Quando egli sentì muovere ilsaliscendoguatò a chi entravariconobbe tosto la guidaefissò gli occhi scrutatori in faccia del guidato.

"Viconduco un bravo avventore"disse la guida"trattatelobene".

"Èmio impegno"disse l'oste: "che cosa comandano questisignori?"

Fattaquesta solita interrogazioneegli esaminò ben bene il volto ela persona di Fermodicendo fra sè: - tu vienicon un cacciatore: o cane o lepre sarai; ma non sono l'oste dellaluna pienase non ti conosco alla prima parola che dirai -.

"Avetedel vino sincerosanofatto in coscienza?" disse Fermo.

"Quantoa questo"rispose l'oste: "potete star sicuro: non ne homai tenuto altro: ne ho del più e del meno caro; ma per lasinceritàtutto il mio vino è lo stesso: se venisse unragazzo lo tratterei come tratto voi". Così disse l'oste;e aggiunse fra sè: - ho inteso: tu sei lepre;va che sei caduto in buone mani -.

"Dunqueportate del buono"disse Fermo: l'oste partìe unmomento dopo tornò con un boccale.

"Chevogliono da mangiare questi signori?" diss'egliriponendo ilboccale sur una tavola.

"Checosa avete?"

"Peresempio un buon pezzo di stufato?"

"Portatelo stufato"disse Fermo.

"Ma!"disse l'oste già in atto di partiree sostando"panenon ne ho in questa giornata".

"Eh!al pane ha pensato la Provvidenza"disse Fermo; e in aria ditrionfo si cavò di tasca il terzo ed ultimo di quei paniraccolti sotto la croce di San Dionigi.

"Vabene"disse l'ostee partì. Fermo allorapreso per unbraccio lo sconosciuto guidatoregli fece forza perchésedessee bevesse con lui. Poco stante l'oste portò damangiare; e Fermo astrinse il guidatore a fargli compagniae si posea mangiare con un appetitoche si fece sentire molto grande quandola prima sete fu ammorzata.

Atutte quelle tavole si gridava: quindi la conversazione era divenutacome generale: perché molti discorsifacendosi sentiredall'una tavola all'altraprovocavano rispostele quali facevanopoi nascere dei dialoghi continuati. Come poi il soggetto di tuttiquei colloquj separati era un solole vicende di quel giornocosìin poco tempo anche il colloquio divenne comune a tutti quelli cheivi si trovavano riuniti a caso. Fermo parlò assaiperchécome abbiam detto era giunto quivi con una gran setee il vino nonmancava.

Losconosciuto aveva già intese dalla bocca di Fermoeregistrate attentamente nella memoria molte cose che erano per luitesori; ma gli mancava una notizia importantee pensò aprocacciarsela. Disse dunque a Fermo: "converrà che voiavvisiate l'oste che avete intenzione di dormir qui affinch'egli viprepari la stanza".

"Èvero"rispose Fermoe chiamato l'oste: "avete"disse"una buona stanzaun buon letto da darmi? da poverofigliuoloma una cosa pulita".

"Stareteda principe"disse l'ostee fattosi ad un armadietto che eraappeso ad una parete ne tolse un pezzetto di cartaun picciolocalamajoe una pennaquindi accostatosi a Fermo: "in grazia"disse"il vostro nome?"

"Ilmio nome?" rispose Fermoa cui il vino sincero dell'oste avevaportate tutte le passioni ad un grado lirico. "Che cosa voletefare del mio nome? Avete paura ch'io non vi paghi? Se fossi untiranno con dieci bravi al mio servizio potreste dubitarema sono unpovero figliuoloe non son uomo da dare un canto in pagamento anessuno".

"Boh!non dico per questo"rispose l'oste: "ma v'è unagrida molto severa che "ordina ed espressamente comanda"sono parole della gridae la so a memoria: "comanda"dice "a tutti gli osti e tavernajcamere locande etc. cheogni notte" dice "giorno per giornodia notizia erelazione di tutte le persone che alloggeranno etc. specificando"dice "il giorno dell'arrivo di ciascunonome e cognomee diche nazione saràa che negozio viene" dice...

"Questaè bella"interruppe Fermo: "ecco se non èper sapere i negozj degli altri. Vengo per un negozio bricconesenzamia volontàvengo per un negozio che a raccontarlo civorrebbe una sera; ma colui che mi ha fatto veniresi ètessuto il capestroe presto presto desidererà di non essersimai impacciato nei fatti miei".

"Ondenon per mia curiositàma per cagione della grida"continuava l'oste; ma Fermo l'interruppe ancora dicendo:

"Questaè una grida che non contaperché non è micabuonaè fatta contra la povera genteper sapere i fatti deigalantuominied è una di quelle che s'hanno a disfare: dunquenon ne parliamo piùe vi assolvo io. Riempitemi inveceun'altra volta questo boccaleche il vino lo trovo a mio genioe loriconosco per galantuomo senza domandargli il nome".

"Maio sono obbligato..." ricominciò l'ostedando allosconosciuto un'occhiata che voleva dire: - siatemitestimonio ch'io faccio il mio dovere.

"Viavia"gridarono in un punto molte voci: "quel giovane haragione: sono tutti balzelliangherielegge nuovalegge nuovaoggi!"

L'ostesi strinse nelle spallee guardò ancora allo sconosciutoilquale disse pure: "via non vedete che è un galantuomo?andate a preparargli la stanza".

"Bravocompagno! bravi amici!" sclamò Fermo"adesso vedoproprio che i galantuomini si danno la mano e si sostengono".Partito l'ostesi parlò della grida e delle gridee poiancora del pane e dei tiranni. Lo sconosciuto che fino allora nonaveva presa gran parte alla conversazioneuscì in campoanch'egli con le sue riflessionie con le sue proposte.

"Perme"diss'egli"se dovessi comandare iotroverei tosto ilmezzo di fare stare gli ammassatorie i fornaje di far trovarepane per tutti. Ecco come vorrei fare. Vorrei che si pensasse allapovera gente che non ha frumento e che deve provvedere pane di giornoin giornoe che non ne avessero a mancar maiche ognuno avesse lasua razione fissata. Vi dovrebbero essere dei galantuominideisignorima buonie caritatevoliche tenessero conto di tuttiestabilissero ad ognuno la sua porzione secondo il bisognoe a prezzofisso. Per esempio io andrei a farmi notare"e cosìparlandopreso un coltello rivolse la punta verso la tavola e ladimenavacome se scrivesse: "e si dovrebbe scrivere: -Ambrogio Fusotto: - di che professione? -Spadaio. - Maritato? - signorsì: - quanti figli? - quattro. -Tante libbre di pane al giornoe darmi un buon vigliettocol quale io andrei tutti i giorni a prendere il mio pane da unfornajoa prezzo fisso. Ma bisognerebbe fare le cose giustesenzaparzialitàe in proporzione della famiglia. A voi per esempiodovrebbero scrivere: tanto pane tutti i giorni per... il vostronome?"

"FermoSpolino".

"Bravo:la professione?"

"Lavoratoredi seta".

"Benissimo;ma avete moglie?"

"Nonl'ho"disse Fermo"ma se Dio vuole..."

"Dunque"disse lo sconosciuto"abbiate pazienza; ma voi dovete avere unaporzione più picciola".

"Ègiusto"rispose Fermo"ma poi quando io pigliassi moglieche sarà prestocome spero..."

"Razionedoppia"disse lo sconosciuto.

"Cosìva bene"rispose Fermo.

Losconosciuto aggiunse ancora poche parolepoi si avvisò tuttoad un tratto che la moglie e i quattro figli sarebbero stati inpensiero pel suo ritardoe si levò per partire: tre volte eraegli sorto in piedie tre volte Fermo presolo per le falde delmantello l'aveva fatto ripiombare sulla panca: ma alla quarta eglialzandosi saltò al di sopra della pancae se ne andòtra le istanzee i ringraziamentie i salutiinvero un po'affoltati del nostro povero Fermo.

Questirimasto solo alla sua tavola(ci duole raccontarloma la cosa fucosì) vuotò solo in varie riprese il fiasco che avevafatto riempire di nuovo per due bevitorilo vuotòalternandoi sorsi con le parolee ponendoselo a bocca ogni volta che l'idea laquale s'era presentata splendida e risoluta alla sua mente sioscurava e fuggiva tutto ad un trattoo la frase per vestirla nonvoleva lasciarsi trovare; a quel modo che uno scrittorenelle stesseangustiericorre alla scatolapiglia una presa in furiala portaal nasochiude la scatolala riapree ricomincia lo stesso giuoco.Puresiccome allo scrittore infervorato nelle sue ideevengonotalvolta nel maggior calore della composizione certi lucidiintervallinei quali una voce interna dice ad un tratto: - ese fossero minchionerie? - così anche il nostropoverettoin mezzo a quella baldanza di pensieriin quellacrescente esuberanza di forzesentiva di tempo in tempo che a quelleforze mancava un certo fondamentoe che appunto nel momento dellapiù grande intenzione parevano pronte a cadere.

Quelpo' di senno che gli era rimasto lo faceva accorgere che il piùse n'era ito; a un dipresso come l'ultimo lumicino rimasto accesodopo una grande illuminazione fa intravedere gli altri spenti.Sentiva Fermo un bisogno di trovarsi coricatoe di dormireequalche cosa nello stesso tempo lo avvertiva che gli sforzi necessarjper arrivare a quel punto di riposo divenivano più difficilidi momento in momento. Fece dunque una risoluzione in uno di questilucidi intervalli: appoggiò ambe le mani spalancate sullatavolasi sollevò alquantodiede un sospirotentennòalquantoe finalmente fu in piedi.

"Prestopresto oste"diss'egli: "conducetemi alla mia stanzaperché... io sono un buon figliuolo... e mi piace far le cosecon giudizio... e gli stravizzj:... quando il sole è andato aletto... tutti i galantuomini... mi diceva mio padre..."

L'osteche desiderava questa risoluzione di Fermonon si fece aspettare:staccò una di quelle lucernee tenendola alzata con lasinistrae preso con la destra il braccio di Fermo: "andiamo"dissee si avviò reggendo e traendosi dietro il suo ospite.Fermoperò s'arrestava di tratto in trattoegettandosiverso la brigatacol braccio che gli rimaneva libero andavaiscrivendo nell'aria certi salutia guisa d'un nodo di Salomoneaiquali le braccia e le voci della brigata rispondevano in modo pocodissimile. Ma l'oste scotendololo tirava verso una porticinatantoche potè entrarvi e mettersi su una scaletta angusta di legnoper la quale dando a Fermo un avviso ad ogni scalinolo tirònella stanza. Quivi Fermo si guardò intornoe disse: "bene!bravo! galantuomo! son contento". Poscia forzandosi di fissarein faccia all'oste due occhietti che luccicavano e si oscuravano avicenda come luccioleappoggiandosi sul destro piede per chinarsiverso l'ostee ricadendo poi indietro sul sinistrostendendo versola faccia dell'oste la mano coll'indice e col medio tesi piegati almezzoe apertiper farle quella carezza di protezione amorevole chein milanese si chiama una mezz'onciasenza però poter maigiungere ad afferrare quella guancia liscia e rubiconda dell'ostedisse con una cera tra amichevole e corrucciata:

"Ah!osteoste! furbaccio! tu mi hai voluto fare un tiro da nimico... mala ti è venuta busaperché... perché io sono unmariuolo... e tu però non hai trattato beneperché...tu dovresti tener la parte dei buoni figliuoli... e non di quelli chefanno le grideperché... quelli che fanno le gridenonvengono a bere il tuo vino... povero minchione che tu sei... e non tidanno un becco d'un quattrino perché... sono superbieavrebbero paura di sporcarsi la tonaca e... non sono gente di buonacompagnia... che basta veder il Ferrerche è il meglio ditutti e pare... un dottore di medicina ammalato... dunque chi ti faandare la bottega... chi èchi non è... sono i buonifigliuoli".

L'osteil quale non avrebbe creduto che Fermo fosse ancora in caso dimettere insieme tante parole con un senso tal qualepensò diapprofittare di quel momento lucido per fargli intendere la ragionee schifare un impaccio a tutti e duee gli disse:

"Sìsìio son tutto pei buoni figliuoli; ma vedete bene...

quelliche comandanovogliono essere obbediti; mi capite... abbiategiudiziofacciamo le cose qui fra noi da buoni amici; ditemi tostoil vostro nomela patriala professioneil negozio per cui sietevenuto: in un momento è finitae poi andate a letto e buonanotte".

"Ah!cane!" disse Fermo levando la voce; "tu mi torni in campocol negozio... adesso capisco tu sei della lega... aspettaaspetta..."

Cosìgridando Fermosi avviava barcollante verso la scala ma l'oste lorattenne: e vedendo che s'egli insisteva Fermo avrebbe gridato semprepiù e sarebbe stato inteso dalla brigatala quale certamenteavrebbe prese le parti di quelloricordandosi che in quel giorno ilpotere era nelle mani di quelli che erano soliti obbediree non sipoteva prevedere quando sarebbe loro ritoltopensando chequand'anche al ritorno della tranquillità un ordine revochi edichiari nulli tutti gli atti della rivoltale busse toccate unavolta sono irrevocabilistimò che la faccenda piùpressante era di acquetar Fermo; e con voce più sonora diquella di Fermo gli gridò: "ho detto per ridere: non loavete capitoche ho detto per ridere?"

"Ah!ora tu parli beneda buon figliuolo"rispose Fermoacquetandosi tosto: "per ridere;... sono proprio cose daridere... dunque le gride".

"Dunqueandate a dormire"disse l'oste"che troverete un letto dagalantuomo. Via spogliateviprestoda bravo".

Ementre andava così facendo animo a Fermo con la voceilmalandrino diceva fra sè: - pezzo di minchione!se vuoi affogareaffogaper me son certo di cavarmenema turesterai solo nell'impaccio -.

Fermointanto si andava spogliandoe interrompeva questa operazione conmille cianciee con mille atti straniche l'oste sofferivapazientemente per una buona ragione. Quando Fermo s'ebbe tratto ilfarsettol'oste lo presepose le mani su le tasche per vedere sev'era la postemae fatto certo del sìvolle tentare di avereil suo conto prima di abbandonar Fermo quella seraprevedendo chel'indomani probabilmente Fermo avrebbe avuti altri affarie lapostema sarebbe stata in deposito presso a gente che non si sarebbedata premura di pagar l'oste. Disse dunquetenendo il farsetto: "Voisiete un buon figliuolon'è vero? volete le cose giuste?"

"Buonfigliuolo..." rispose Fermo. "Dunque"replicòl'oste"saldate ora il vostro conterelloperchédomattinaio debbo correre qua e là per mie faccende"."Oh! questo sì"disse Fermo"questo ègiusto: son mariuoloma galantuomo". L'oste si diede fretta didomandare quello che gli venivaajutò Fermo a cavare i danaridalla tascaa noverarlitolse il suo pagamentoe dato delle mani aFermo per ajutarlo a salire sul lettogli disse"buona notte".Fermo si lasciò cadere sul lettomormorò fra i denti:"buoni figliuoli"e cominciò a russare.

L'ostestirata la coltre di sotto il corpo di Fermogliela accomodòindosso alla meglio; quindiripresa la lucerna con la sinistragliela sollevò sul capoe stesa la destra contra il lucignoloperché la luce cadesse sul dormentesi fermò acontemplarlo un momentonell'atto che vediamo dipinta Psiche quandosorge a spiare furtivamente le forme del consorte sconosciuto: edisse: "Matto minchione! tu l'hai voluto: sei andato proprio acercarla col lanternino; tal sia di te".

Dettequeste parole come per isfogoe per una apologia anticipatasimosseabbassò la sua lucernae la pose dinanzi a sèuscìvolse la chiave nella toppae chiuse così Fermonella stanzae s'avviò per la scala verso la cucina. Ma nelfare tutte queste operazionie nello scenderecontinuava tra sèla allocuzione che aveva cominciata dinanzi a Fermofavellando conl'assente come aveva fatto coll'addormentato.

-In un giorno come questo - proseguiva egli -colla mia prudenzaio era venuto a capo di salvare la caprae i cavolidi passarmela liscia; e il diavolo doveva mòproprio portarti alla mia osteria per guastarmi il mestiere. Se tufossi venuto soloavrei potuto lasciarti addormentare su la tuapancae quando tutti fossero partitiportarti fuorae collocartiin un canto della strada al frescoe domattina poi ti sarestisvegliato un po' ingranchitoma fuor d'impicci tu ed io. Ma tuinvecepezzo d'asinohai pensato anche a condur teco un testimonio.

Aquesto punto della sua arringa mentalel'oste si trovò incucinagirò un'occhiata per vedere se tutto era in regolafece un cenno con l'occhio all'ostessa che nella sua assenzapresiedeva con la prudenza e con l'imparzialità del mestierela brigata procellosa; e quindi staccò il mantello da uncappellinajoe se lo pose indossocontinuando tuttavia:

-E che testimonio! Pare che tu avessi paura di passartelasenza impicci; volevi proprio far le cose a dovere per tirarti unategola sul capo. - Qui staccò pure il cappelloe lo pose in capo. - Va che sarai servito: tua colpa:tangheriche volete girare il mondosenza saper da che parte nascail sole.

Quitolse da un canto un buon randellos'avviò alla portae uscìnella viasempre continuando la sua orazione.

-Io ho fatto quello che ho potuto per salvartie tu bestiain ricompensaper poco non mi hai messa a romore l'osteria. Oracavatene come potrai: per mechi che sieno per essere i pazzi checomanderanno domaniio sono a cavallo: faccio la mia deposizioneesono in regola: quelli che hanno comandato cosìsonosoddisfatti; e quelli a cui non piace non ne sapranno niente.

Levie brulicavano ancora di genteche andava e veniva in troppa; comele onde del mare quando il più sperto pilota non saprebbeaffermarese la burrasca sia sul finireo sul ricominciare: mal'oste cercando il largo fra gli scoglicamminando a sghembo tra unabrigata e l'altraponendo cura di non urtare nessunoe dissimulandogli urti che ricevevase ne andava al suo camminocontinuandointanto fra sè. - E tu prega il cielo chedomani tiri l'aria d'oggise nostai fresco. Hai voluto affogareaffoga; ma afferrar me per una gambaper trarmi sott'acqua con te...ah! non era azione da galantuomo. Tu mi volevi esporrese nol saiatrecento scudi di penao a cinque anni di galerao a maggior penapecuniaria o corporalead arbitrio di Sua Eccellenza.Obbligatissimo alle sue grazie.



Cap.VIII

Aqueste parole giunse egli alla soglia del palazzo del Capitano diGiustizia. Entròsalìfu introdotto e fece ad unufizialela sua relazionecome era capitato all'osteria uno che nonaveva voluto dare il suo nomee come egli oste dopo d'averloammonito di obbedire alle gridedovette tacere per non far nascereuno scandalo.

"Losapevamo"rispose l'ufizialecon aria di importanza e dimistero: "ma voi avete ben fatto di compiere il vostro dovere.Ora badate a non lasciarlo partire costui".

"Coldovuto rispetto a Vossignoria"rispose l'osteil quale contutta la sua prudenzanon aveva potuto a meno di non prendere un po'di quegli spiriti arditi di che era piena l'aria in quel giorno"coldovuto rispettoio faccio l'oste e non il birro: ho fatto il miodovere: a lor signori tocca ora".

"Vabeneva bene"rispose l'ufizialeil quale con tutta la suaarroganza non aveva potuto a meno di non tremare un po' in tuttaquella giornatae non sapeva ancora bene a che punto le cose sifossero. L'oste ne andò pei fatti suoi.

Laprima informazionecome il lettore se n'è addato certamenteera venuta da quella falsa guidala qualeper darne piena contezzanon era niente meno che un bargello travestitoin traccia d'uno chegli desse una occasione di farsi onore e meritoeseguendo gli ordiniassai difficili che gli erano imposti: e quest'uno fu il nostropovero Fermo.

Nelmomento in cui la sommossa era al maggior grado di fermento el'assedio posto alla Casa del Vicariomolti magistratiscapolandofurtivamente per vicolie per vie deserte s'erano riuniti nelle saledel consiglio segretoe quivi avevano consultato non senza tremoresulla urgenza del caso. I pareri erano varjproposti con esitanzaeabbandonati facilmentee non si conchiudevama quando sul declinardel giorno venne la relazioneche il Vicario era in salvoche lafolla cominciava a dissiparsiun vecchio machiavellista delconsiglio segreto: "ah!" disse"signori miei: ora ilpartito è chiaro: centomila panie quattro capestri".Tutto quello che fu detto da poi non fu che un commento a questeparolee deliberazione sul modo di condurle ad effetto. Si ordinòche fossero mandate guardie ai forni rimasti intatti fin alloraperassicurarlie per obbligare i fornaj a far pane in abbondanza perl'indomani. Furono destinate persone autorevolie accette al popolole quali di buon mattino assistessero ai forni in uno colle guardiee aggiungendo la persuasione alla forzacercassero di regolare ladistribuzione del panee mantenessero la tranquillità: ilprezzo del pane fu riabbassato a quella prima tassa immaginata dalFerrer. Si mandarono soldati a sgombrare la via dov'era la casa delVicariodai pochi che v'erano rimasti: e la via fu quindi sbarratae i soldati vi si posero a stazioneper togliere alla sedizione ilcampo dov'ella aveva già ottenuta una vittoriae doveprobabilmente ella si sarebbe presentata di nuovo per ricominciare labattaglia. Finalmente furono spediti attorno tutti i membri di quellache il popolo chiamava onorata famiglia con l'ordine di metterle mani su qualcheduno dei capio dei più turbolentima peròin modo che il colpo fosse sicuroe non potesse dare occasione ad unnuovo ribollimento.

L'ordineera più facile da darsi che da eseguirsi: e per non parlareche di ciò che si lega alla nostra storiaquel falso Ambrogioaveva girato lungo tempo qua e làsu e giùsempre inmezzo alle occasionisenza poterne cogliere unavedendo i rei acentinajasenza poterne fare un prigionee si rodeva come uncacciatore che viaggiando vegga levarsi a destra e a sinistradallemacchietordistarnee pernicie non abbia lo schioppo con sè;quando gli capitò nelle ugne il povero Fermoe vi rimasecome abbiamo veduto. Il bargello malandrino andò tosto ariferirecome aveva colto in flagranti uno che predicavacome l'aveva condotto all'osteriacome quegli aveva negatoobbedienza alla gridaricusando di dare il nomecome poi egli uomobenemerito glielo aveva cavato di boccae come finalmente la bestiaera nel covoe non si trattava che di andarla a prendere. IlCapitano di giustiziaavrebbe voluto che fosse presa subito subitosenza tardare: - ma -pensava eglimettendo di tratto in tratto la mano sulla sua bernoccola: -bisogna prima assicurarsi che tutte le cose sieno quiete. -All'aurora tutto era disposto in modo che non si credeva piùche la forza potesse trovare ostacolie allora fu spedito ilbargello con un notajo e due birri all'osteria della luna piena.Saliti alla stanza di Fermoche dormivail bargello lo riconobbedisse al notajo: "è l'uomo"e partì. Fermorussava già da sette oree non avrebbe finito cosìprestose una mano che gli scoteva la spallae una voce chegridava: "Fermo Spolino"non lo avesse fatto risentire.

Apersegli occhj a stentoe guatò: era giorno fatto e la luce cheentrava per le impannate fece vedere a Fermo un uomo ravvolto in unacappa nera stargli al capezzale da un latoe due in farsetto armatil'uno dall'altro lato del capezzalee l'altro a piedi del letto.Mentre Fermo andava raccapezzando le sue ideee cercando diricordarsi delle circostanze che gli pareva di dover sapereperpotere comprendere quelle che gli erano affatto nuove e stranes'udìdire dall'uomo della cappa nera: "altosuFermo Spolinoalzatevi e venite con noi".

"Chevuol dir questo?" disse Fermo quando potè aver lafavellae nello stesso tempo dubitando che fosse un sognoscuotevala testa e dimenava tutte le membra per destarsi affatto.

"Ah!avete inteso una voltaFermo Spolino?"disse l'uomo dallacappa nera"alzatevie venite con noiche non abbiam tempo daperdere".

"FermoSpolino!" disse Fermo Spolino. "Chi v'ha detto il mionome?" - Che sia uno stregone costui vestito dinero? - mormorò tra sè; "Ehi!l'ostel'oste!" gridò quindi a quanto fiato aveva incorpo.

"Menociarlee su!" disse uno di quei birri.

"Cheprepotenza è questa?" disse Fermo"ah! adesso miricordo... badate bene a quello che fate: non è piùcome una volta..."

"Badatevoia far presto"disse il notajo"se non volete esserportato via in camicia".

"Eperché mò?" disse Fermo.

"Ilperché lo direte al Signor Capitano di giustizia".

"Iosono un buon figliuolonon ho fatto niente..."

"Tantomeglio per voi; così dopo due parole vi lasceranno andare peifatti vostri".

"Milascino andare adessosubito"disse Fermo"io non honulla che fare con la giustizia".

"Loportiamo via?" disse uno di quei birri al notajo.

"FermoSpolino!..." disse il notajo con aria di consiglio minaccioso.

"Comesa Lei il mio nome?" disse Fermo.

"Senon fate presto..."

"Vogliosapere perché vengono a fare questa sorpresa a un galantuomo.Che cosa ho fatto? parlino: io son uomo che intende la ragioneedarò conto di tutto". Ma i birri fattisi bruscamentevicini a Fermo stavano per porgli le mani addossoquando egli gridò:"non toccate la carne d'un galantuomoche..."

"Dunquealzatevi subito"disse il notajo.

"Ebbenemi alzerò"disse Fermo; "ma io non voglio andaredal Capitano di giustizia. Io non ho che fare con lui. Voglio essercondotto da Ferrer; quello lo conoscoe saprò fare intenderele mie ragioni".

"Prestovestitevivenite con noie direte tutta la vostra ragione a vostrobell'agio".

Fermovedendo che la resistenza era inutiletolse sul letto i suoi pannie cominciò a vestirsicercando intanto di scoprire la cagionedi un avvenimento così nojoso e così inaspettato: ma lasua mente ravvolgendosi per cercarla fra le memorie della seraantecedentesi confondevacome un padre che s'aggiri in una foltamascherataper riconoscere un suo ragazzaccio. Poco a poco peròcominciò egli a ricordarsi della gridadel nomee delnegoziodelle istanze dell'ostee dei suoi rifiuti; ma comediavolol'uomo nero sapeva egli appuntino quel nome e cognome cheFermo non aveva mai voluto pronunziare? E poicome erano cangiate lecose a segnoche colui il quale doveva in quella giornata fare illegislatorela cominciasse coi birri al fianco per andare inprigione? - Qualche mistero ci dev'essere-disse Fermo tra sè: - e intanto sepotessi con un po' di buona grazia uscire dalle mani di costorosarebbe meglio. - Con questa intenzione volgendosi alnotajo con un volto tra il gioviale e il furbogli disse:

"Senon si trattasse che di dire il mio nome... jeri seraveramente ioera un po' brilloe abbiamo parlato per metàil vinoedio.. ma ora non ci avrei difficoltà; ed ella dovrebbe essercontentacosì rimarremmo in libertà tutti e due".

"Bravobravo figliuolo"disse il notajo"voi pensate congiudizio: se farete le cose con garbo ne uscirete presto e bene; malo direte a chi ha l'autorità di farvi rilasciar subito: èuna formalità da nulla; ma io non posso far niente".

"Ham!"disseo piuttosto fece Fermo scotendo la testae ricominciòa pensare - Diamine! Che cosa fanno tutti quei buonifratelli di jeri? mi lasciano in ballo a questo modo! - Fraquesti pensieri stava egli di tempo in tempo con le mani alzate traun bottone e l'altrointerrompendo l'azione del vestirsi. Ma ilnotajo s'era tirato verso la finestrae aprendo le impannate (chéi vetri in quel tempo erano riserbati soltanto alle case signorilianzi alla parte più signorile di esse) guardò nella vianon senza inquietudinee vide che le cose non erano già piùcome le aveva trovate nel venire: i popolani sbucavano come vespedalle casee si riunivano a sciami: il ronzio sordo crescevaequello che al notajo parve un segno mortalele ronde che giravanoper impedire l'attruppamentocominciavano a procedere con moltabuona creanza.

Chiusel'impannata in furialanciò dal suo cuorepoiché neaveva uno anch'egliuna imprecazione contra il Capitano di giustiziache lo aveva messo in quell'intrigoun'altra contra Fermo che in unmomento così urgente per lui notajopareva che volesseperdere il tempo a bella postaindi fece un cenno ai birrichesbrigassero la faccenda. I birri rinnovarono più forti leminacce a Fermoquestiaccortosi della inquietudine dei nemiciconcepì buona speranzaconchiuse chese l'interesse diquelli era che si facesse prestoil suo doveva essere di tirare inlungoe procurò di perder temposenza dare a coloro unpretesto di venire all'estremo. Ma finalmente si trovòvestito: e allora ponendo le mani nelle tasche del suo farsetto:"oh!" disse"io aveva una lettera: voi me l'aveterubata".

"Lalettera è qui"disse il notajo traendola di seno infrettae senza pensare in quel momento a ribattere l'irriverenza delrimprovero: "è ella questa?" soggiunse mostrandola.

"Questaappunto"rispose Fermostendendo la mano per prenderla.

"Pianopiano"disse il notajo; "ho piacere che l'abbiatericonosciutama non ve la posso dare: vi sarà restituita amomenti da chi si devepurché abbiate giudizio: andiamoandiamo".

"Vogliola mia lettera"disse Fermo: "che bricconeria èquesta? a forza di trattare coi ladriavete imparato il mestiere".

Ibirri volevano gettarsi addosso a Fermo; ma il notajosporgendo infuori il mento e la mandibola inferioreallargando le naricisbarrando gli occhie scotendo il capo in frettafece lorointendere di non muoversi. L'uomo era in angoscia: pensava che nonv'era da perder tempoche il pericolo crescevache il tragittosarebbe stato rischiosoe che il miglior modo di farlo sicuramenteera di condurre Fermo con la persuasione. Gli diede quindi laletteradicendo: "ecco ch'io mi fido di voi; ma abbiategiudiziovenite con buona maniera che sarà meglio per voi;quando sarete riconosciuto per un galantuomosarete messo tosto inlibertà: è un affare di mezz'ora. Andiamoda bravo".Così detto aprì la portae precedette il corteggio.Fermo non avendo più nessun pretesto d'indugiogli tennedietroe i birri fecero la retroguardia. Scesa la scalettailnotajo fece un cenno ai birrie disse a Fermo: "abbiatepazienzafanno il loro dovere"; e mentre gli proferiva questabella parolai birri afferraronol'uno la destra l'altro lasinistra di Fermoe le allacciarono con certi strumentiche (perquell'uso comune d'ingentilire le cose col nome) si chiamavanomanichinied erano congegnati in modo che colui che gli avevaintorno ai polsi era fortemente tenuto senza che apparisse alcunsegno di violenza; e il tenuto e il tenente potevano parere due amiciche passeggiassero stretti per la mano.

"Chetradimento è questo?" sclamò Fermo"a ungalantuomo par mio!..." Ma i due amici stringendo i manichinigli fecero sentire che con essi si poteva non solo tenere unrassegnatoma ancora martoriare un ricalcitrante; e nello stessotempo il notajoraccomandando ai birri di non far male a quel poverogiovanecercava di persuaderlo con buone parole. Fermo vide che fintanto che egli si trovava solo con quei treera follia il competerefece la gatta mortae disse: "andiamo".

-Andiamo - soggiunse fra sè- evedremo se quei fratelli di jeri son tutti morti.

"Andiamo"disse il notajocon un volto tutto grazioso: "fidatevi di meche vi voglio bene; e voi"continuò rivolto ai birri"non lo stringeteè un buon figliuolo e mi preme;andiamo quietamente"disse ancora a Fermo"non fate vistadi nullanon guardate né a destra né a sinistraenessuno s' accorgerà di quello che èe voiconserverete il vostro onorenessuno potrà rinfacciarvi chesiete stato nelle mani della giustizia; e a momenti sarete inlibertà".

Ilfine di quella ammonizione era di persuader Fermo a lasciarsicondurre tranquillamentema l'effetto ch'ella produsse invece fu difar sentire sempre più a Fermoche si temeva di luie dellecircostanzee di determinarlo ad approfittarne. Non si vuol dire perquesto che Fermo fosse più accorto del notajo: ohibò:ma è destino di quelli che vanno al disottoed hanno paurache tutte le parole ch'essi dicono per ajutarsidieno lume ed animoall'avversario.

Uscitinella viaFermo tra i due birrie il notajo dietroFermo cominciòtosto a gettare la testa a destra e a sinistraguardando con ansiase v'era da sperare ajuto. "Giudiziogiudizio"diceva ilnotajoa bassa voceaccostandosi a Fermo: "non vi fatescorgerel'onorefigliuolol'onore". I birri intantoaffrettavano il passo tirando Fermo e ripetendo"andiamoandiamo". La via formicolava di gentee Fermo cercava dirallentare il passo per osservare quelli che andavanoe venivanoeper udire se non si parlava più nulla delle cose del giornoantecedenteper accertarsi se la disposizione degli animi eraaffatto mutata. Quando intese "fornipaneFerrergiustiziaabbondanza"e vide una brigata di otto o dieci che gli venivaincontroe che i birri volevano schifareportandosi nel mezzo dellastradaalzò la voce e scotendo le braccia e il capo gridò:"Ohe! fratelli! mi menano su; e non ho fatto niente: solo perchéjeri ho gridato: pane e abbondanza: non mi abbandonatefratelli:patisco per la patria: son legato; ad uno per volta vi faranno lastessa festa: fratellidate uno scappellotto a costoro che mistringono le mani: ahi! ahi! sono un galantuomonon ho fatto nientedi male".

Labrigata si fermò sulla viama i birri stringendo pur Fermolo strascinavano nel mezzoe affrettavano il passo: la brigataallora si volsee si divisealtri a fiancoaltri dietro guardandopure e ascoltando: quegli che erano sparsi nella via accorrevanoesi faceva folla. Il notajo tutto tremantecercava di rimandarequegli che gli si avvicinavanodicendo: "è unmalandrinoun ladro colto sul mestiereche svaligiava la casa d'unpover uomo". Ma intanto tutti quelli che venivano dalla parteove il corteggio doveva passareaccorrevanoe si fermavanodi modoche la via si trovò sbarrata. Fermo predicava tuttaviadomandando misericordia: i birri sul principio comandaronopoichieseropoi pregarono i sopravvegnenti che dessero il passo: ma ipiù lontani cominciarono a mormorarequindi a fremerequindiad urlare: i più viciniparte per buona volontàpartespintiurtavano i birrii quali dopo aver fatto indarno ogni sforzoper tenersi insiemee per non lasciare la predafurono separatidalla folladovettero abbandonare i manichinie non cercarono piùche a perdersi nella moltitudine per uscirne salvi.

"Bravifratelli"gridava Fermo: "saldiancora un momentoahi!strappatelifate che mi lascinosiamo fratelli".

Ilnotajo veduta la mala paratasi fermòe poi si volseindietroper uscire da quella parte dove il concorso era ancor radocercando intanto di far l'indianoe componendo il volto ad una certacuriositàe maraviglia scioccacome s'egli giungesse ivi acasoe non c'entrasse per nulla. Ma l'abito lo tradivae smentivail volto; per meglio nascondersi si volse egli ad uno dei molti chelo guardavano fisoe disse: "che cosa è questafaccenda?"

"Uh!corbaccio!" rispose invece dell'interrogatouno che era piùlontano. "Corbaccio! uh corbaccio!" fu ripetuto intorno. Ilnotajo impallidì: allora alle grida si aggiunsero gli urti diquelli che gli stavano a fianco: tanto che il pover'uomo ottenne inbreve quello che invero desiderava ardentemente: d'esser fuori diquella calcama più colle gomita del prossimo che con le suegambe.

QuandoFermo si vide tolto alle ugne dei suoi guardianie confuso nellafolla dei suoi liberatorisi scosse i manichini dai polsie ilprimo suo pensiero fu di approfittare di quella confusioneperfuggire in luogo di salvamento. Si ricordò tosto che il suonome era scritto sui libracci del Capitano di giustiziae feceragione ch'egli non sarebbe sicuro né in Milano né aMonza né a casa suané in alcuna parte dello Stato. -Se mi pigliano la seconda volta- diss'eglifra sè - sto frescoe lo merito... Ma doveandare? - domandò a se stesso. - ABergamo - si rispose. - E la strada?Domanderò a qualcheduno di questi galantuomini: chi m'haajutato non mi vorrà tradire. - Mentre eglipensavada molte parti gli veniva gridato: "presto prestoagambeamico". Egli seguì il consiglio alla prima: entròper una via sconosciutae si diede a correresenza saper dove; maquando si trovò fuori della follaallentò il passoecominciò ad affisare i volti di quelli che incontravapertrovarne uno che gli garbassee gli desse fiducia a fare la suainchiesta. Ma la scelta andò in lungoe Fermo ebbe a farerapidamente forse venti giudizj fisionomici prima di fissarsi ad unoche fosse l'uomo per lui. Quel grassotto che stava ritto su la portadella sua bottegacon le gambe apertecon le braccia dietro laschienae le mani l'una nell'altra su le renicol ventre in fuoriil mento levatoe la giogaja pendentesollevando alternativamentesu la punta dei piedi la sua massa tremolantee lasciandola caderesu le calcagnaaveva una cera di cicalone curiosoche invece dirisposta avrebbe dato interrogazioni: quegli che girava posatamenteadocchiando e origliando pareva uomo da ripiombare un poverofigliuolo nella fossa dei lioni e non d'aiutarlo ad uscirne deltutto: quell'altroche s'avanzava col labbro spenzolatoe con gliocchi immobilinon che segnare spicciamentee precisamente la viaaltruiappena pareva conoscer la sua: e quel ragazzotto che a dirvero mostrava una intelligenza superiore all'etàmostravaperò ancor più malizia che intelligenzae si sarebbepotuto scommettere che nella domanda che gli fosse fatta egli nonavrebbe veduto altro che l'occasione di burlare e di confondere unpovero forese. Tanto è vero che all'uomo già impacciatoogni cosa è nuovo impaccio; e che ogni movimentoche si dàad una matassa scompigliata per ravviarne il bandolopuò farnascere nuovi nodi. Ciò che rendeva più critica lasituazione di Fermoera l'essere egli affatto nuovo della cittàdimodoché non sapeva nemmeno per qual porta si uscisse perpigliare la via sulla quale egli voleva porsie gli convenivachiedere a dirittura la via di Bergamo; inchiesta sospettachepoteva attirare gli sguardi sopra di luie rimetterlo in guaj.Giacché la sedizione che era stata la salute di Fermocominciava appena a rialzare il capoin qualche angolo della città;e in tutto il rimanente la forza era tuttavia nelle mani avvezze adusarla: e per comprimere appunto la sedizione nel suo ricominciareeper disperderlagiravano ronde di soldatie sbucavano da ogni partei colleghi di coloro che i liberatori di Fermo avevan posti in fuga:e se per disgrazia quegli stessi si fossero di nuovo abbattuti inFermoe lo avessero afferratoe' poteva scuoteree guairequi nonv'era da sperare soccorso.

Finalmentecome la necessità aguzza l'ingegnoFermoadocchiato uno cheveniva in gran frettasi risolvette di voltarsi a luistimandogiudiziosamente che l'uomo premuroso d'andare ad una sua faccendarisponde tosto e direttamente a chi lo interrogaperchéquello è il modo più spiccio per isbrigarsene.Fattosegli dunque a canto gli disse: "in graziasignore: qualeè la strada che conduce a Bergamo?"

"Eh!amico"rispose frettolosamente l'altro: "vi convieneuscire dalla porta orientale..."

"Benee per andare alla porta orientale?"

"Entrateper questa via a mancina; e sboccherete alla piazza del duomo..."

"Bastasignore: il resto lo so: Dio gliene rimeriti".

"Nienteniente"disse il cortese preoccupatoe continuò la suavia.

Fermocon un passo più sicuroe più spedito entrò perquella che gli era stata segnatagiunse alla piazza del duomol'attraversòdiede passando una occhiata al mucchio diceneree di carboni spentifredde reliquie della baldoria delgiorno antecedenteposcia raffrontando i luoghi con le memorie dijeririconobbe la via per la quale era venuto insieme con la follatrionfantee si pose in quella nell'attitudine d'un generale cheripassa sconfitto e fuggitivo pel campo dove aveva vinto pocoinnanzi. Rivide il forno delle grucce smantellatoe guardatoda soldatie passò innanzi senza badare ai crocchj checominciavano di nuovo a formarsiné alle grida che giàsi facevano intendere. Viavia; giunse dinanzi al convento deicappucciniguardò sospirando la porta della chiesae dissefra sè: - quel frate m'aveva però datoun buon pareresenza saperloquando mi disse ch'io aspettassi inChiesa; ma! non ho avuto giudizio -. Quando fu pressoalla porta rallentò il passo perché la celeritànon lo chiarisse un fuggitivoe preso il contegno placido d'uomo chevada pei suoi negozjnon senza battito al cuorepassò laporta. Uscito al largorespiròma pure andava guardandosiindietro ad ogni tratto per vedere se non era inseguito: la stradamaestra non gli andava a genio: e al primo viottolo che scorse vis'internòvolendo piuttosto allungare e raddoppiare ilcammino che farlo sempre in sospetto.

Quetataun poco la paurasorsero nel suo cuore mille pensieri di rimproveromille di sollecitudine per l'avveniree quindi mille proponimentiche il lettore s'immaginerà facilmente. Con questa tristacompagnia passando di viottolo in viottolodi casolare in casolarechiedendo la strada di tempo in tempoe cercando di stare piùvicino che poteva alla maestrasenza toccarla maidopo aver fatteforse quindici migliasenza essersi allontanato più distantedalla città da cinque o seicominciò a sentirefortemente gli stimoli della fame: e avendo veduto nella bottegucciad'un villaggio alcuni paniben diversi da quei bianchissimi che ilgiorno antecedente aveva trovati sulle sue ormene comperòcon uno di quei pochi quattrinelli che gli rimanevanoe proseguìil suo cammino. Finalmentedopo averne fatto altrettantoe nonrimanendo più che due ore di giornoegli sentì dinuovo la famee per giunta la stanchezza: e la sollecitudine diporsi in salvo diede luogo al desiderio di cibo e di riposo. VedevaFermo da qualche tempo attraverso i campi e le piante un campanileepresolo per meta si avviò direttamente verso quello. Giunto alpaese(Fermo non ne sapeva il nomema era veramente Gorgonzola)vide che era posto su la strada maestrastette in forse un momentodi tornarne fuori; ma alla fine il bisogno vinse. - Nonsaranno venuti a cercarmi fin qui: - diss'egli fra sè:- e qui nessuno mi conosce.

Colconforto di questa riflessioneentrò in una osteria perristorarsi con qualche ciboe per riposarsiseduto peròefin che durava il giorno; perché ai letti ed alle nottidell'osteria aveva preso orroree all'ultimo si sarebbe piuttostoaccontentato di dormire al serenosotto un nocein un campo.Sedettee chiese qualche cosa da mangiaree un mezzo boccale divino calcando la voce sulla parola mezzocome per far sentire allagola che quello era la misura prescritta irrevocabilmentee perfarle ricordare gli spropositi del giorno passato.

V'eranoin quella stanza alcuni oziosii quali venivano ivi per abitudineeallora s'erano ragunati anche per la speranza che arrivassequalcheduno da Milanoil quale portasse le nuove più recenti.Si sapeva in cento maniere secondo l'uso antico ed universaleilguazzabuglio del giorno antecedentee s'era pur bucinato che ilmattino la pentola aveva cominciato a ribollire; sicché lacuriosità era infiammata. Gli occhi furono tosto addosso aFermoma visto ch'egli era un foresenessuno pensò a luiper sua buona ventura; perché chi gli avesse chiesto: "acasoverreste voi forse da Milano?" nella disposizione d'animoin cui era Fermopossiamo ingannarcima egli diceva certamente labugia. In vecesenza essere importunato di richiestepotèegli mentre mangiava saporitamentesentire i discorsi che sifacevanoe rimettersi un po' al corrente delle cose del mondodopouna lunga giornata di ritiratezza.

"Eh!eh!" diceva uno"i milanesi non son mica uomini di stoppa:e non la finiranno prima che sia loro fatta ragione davvero".

"Pure"disse un altro"il vicario se lo sono lasciato levare dallemani".

"Sì"ripigliò un altro; "ma gli sarà fatto ilprocesso".

"Stiamoun po' a vedere"saltò in campo un quarto"sequesti cittadini superbi non penseranno che ai loro interessio sevorranno una legge nuova anche per la povera gente di fuorache perdiana ha pure il ventre anch'ellae lavora più di loro perfar crescere il pane".

"Basta"riprese il primo: "si potrà vedere: mi pento di nonessere andato a Milanoquesta mattina".

"Sevai domanivengo anch'io"disse un altropoi un altropoi unaltro.

Aquesto punto della conversazione si sentì il passo d'uncavallo; e i nostri interlocutori indovinarono facilmente chi potevaportaree ne furono molto lieti pensando che saprebbero le notizievere di Milano. Era infatti quegli che eglino avevano prevedutounmercante che andando più volte l'anno a Bergamo pei suoitraffichi era uso fermarsi a passar quivi la nottee come trovavanell'osteria quei soliti frequentatori del paeseera divenutoconoscente quasi di tutti.

Accorseronella stradasi affollarono a gara attorno all'arrivatouno presele brigliel'altro la staffa: "Buon giorno""buonasera""avete fatto buon viaggio: che c'è di nuovo aMilano?"

"Eh!eh! ecco quelli dalle notizie"disse il mercante"quelliche le vanno fiutandocome i bracchi le pernici. E poie poilesaprete voi a quest'oraforse più di me". Cosìdicendo scese da cavallolo diede e lo raccomandò ad ungarzoncelloed entrò nella cucinacircondato dai curiosi.

"Davveroche non sappiamo niente"disse il più antico di queiconoscenti.

"Possibile?"rispose il mercante: "benedunque sentirete. Ehi osteil mioletto solito è in libertà? Bene: dunque non sapete chejeri è stata una giornata brusca in Milano? ma brusca vidico!..."

"Questolo sappiamo".

"Vedetedunque"continuò il mercante"che le sapete lenotizie. Voleva ben dir io che stando qui sempre ad agguatare quegliche passanoe a frugarli come se foste gabellieriqualche cosa vipotesse scappare".

"Maoggiche cosa è accaduto?"

"Ahoggi"disse il mercantesedendo. "D'oggi non sapeteniente?"

"Niente".

"Nientedavvero? dunque vi racconterò io. Osteil mio boccone solitoe prestoperché voglio coricarmi subitoe domattina pormi inviaggio per tempo. Oggipoco mancò che la giornata non fossebruscacome quella di jeri. Maun po' colle buoneun po' collecattive... m'intendete eh? olio ed aceto; e si fa l'insalata".

"Infine che cosa è accaduto?" domandarono in una volta due otre di quegli ansiosi.

"Abbiatepazienza"disse il mercante"che se l'oste mi daràdi che ammollare le labbravi conterò tutto".

"Ohbravo!"

L'osteportò la refezione: il mercante si versò un bicchier divinosi accarezzò la barba e lo tracannò: e trinciandola vivanda che gli era stata imbanditacominciò la suanarrazione e la continuò mangiando; mentre i suoi conoscentistavano intorno alla tavola con le bocche aperte; e Fermo indispartesenza far vista di dar molta attenzioneascoltava peròcon più ansia e sospensione degli altri.

"Dovetedunque sapere"cominciò il mercante"che questamattina per tempo cominciarono a congregarsi molti furfantigentesenza casa né tettodi quelli che jeri avevan fatto tutto ilchiasso; e si misero a girare in troppa per la cittàper farnumeroe tornar da capo. Da principio fecero bravate e insolenzedove capitavanofar le corna alle spalle ai soldatifare i visacciai galantuominirompere il muso ai birri: in un luogo strapparonodalle mani dei birri uno che era menato su: un capo popolo che avevapredicato jeri che si avessero a scannare tutti i signorie tutti ibottegaj: pezzo di briccone! ma se v'incappagli medicheranno ilpomo d'Adamo con un sovatto. Quando parve a costoro d'aver fattopopolo a bastanzaandarono alla casa del vicariodove jeri avevanofatte tutte quelle belle prodezzema" (e qui a guisad'interjezione fece con la lingua quel suono con cui i cocchieriusano di dare ai cavalli il segnale della partenza).

"Ma?"dissero gli ascoltatori.

"Ma"continuò il mercante"trovarono la via sbarrataedietro le sbarre una buona confraternita di micheletti cogliarchibugi spianatie i calci appoggiati ai mustacchi: e... che cosaavreste fatto voi altri?"

"Tornareindietro".

"Benone:così fecero anch'essi; ma quando furono al Cordusiodinanzi aquel forno che jeri avevano cominciato a saccheggiare; dite mòse non sono birbi: si distribuiva il pane pulitamente; v'erano deibuoni cavalieri che invigilavano perché tutto andasse inordine: e costoro: "dalli dallisaccheggiosaccheggio":in un momentocavalierifornajavventoritutti sossoprachi quachi là; e cominciò il saccheggio che durò pocoperché poco v'era da rubare. Quando non rimasero piùche le panche e gli utensili; "fuocofuoco"si cominciòa gridare; tavolemadieimpostetutto il legname si pigliava afurore per portarlo in mezzo al Cordusio e dargli il fuoco. Ma undannato peggio di tutti gli altridite un po' che proposta diabolicamise in campo?"

"Che?..."

"Che?di abbruciar tutto nella casae la casa insieme. Ma un galantuomoebbe una ispirazione del cielo: entrò nella casasalìle scalee trovato per buona sorte un gran crocifissolo appesefuori d'una finestrae v'accese intorno due candeleche aveva tolteda capo del letto del fornajo. A quello spettacolo: tutti rimasero insilenzio: v'era bene pochi diavoli in carneche per fare chiasso ebaldoriaavrebbero dato fuoco anche al paradiso; ma quando videroche tutti gli altri non erano ebrei com'essi; dovettero tacere.Intanto venne tutto il capitolo del duomo in processionea crocealzatae vestiti pontificalmenteche era un gran bel vedere; ecominciarono a predicare: "figliuoli dabbeneche cosa fate? èuna vergognadove è il timor di Dio? questo èl'esempio che date ai vostri figliuoli? siamo in Milanoo in terradi Turchi? Viatornate a casada braviche quel che è statoè stato. Avrete abbondanza: il pane di otto once ad un soldo:la grida è stampata".

"Eravero poi?" domandò uno degli ascoltanti.

"Verocome il Vangelo. Volete voi che i canonici venissero in paramenti adir bugie? Allorala gente cominciò a sfilaree i soldaticon buona manieragli andarono sparpagliando di più e fecerospazzare la piazza del Cordusio. Ebbene... pareva che non fosserocontenti: andavano girandolando per le viecome se aspettasserol'occasione di porsi insieme di nuovo. Ma ecco che venne l'ultimamedicinache fece l'effetto".

"Efu?..."

"Efuunguento di canape: bastò nominarloper far guarire tantimatti. Si fece pubblicareed è vera anche questache quattrocapi erano stati presi jer serae saranno impiccati. Ah! ah! vi dicoio che ognuno studiava la via più corta per andarsene a casaper non diventare il numero cinque. Quando io sono uscito da Milanopareva un monastero".

"Dunquegli impiccheranno?" domandò un altro uditore.

"Senzafalloe presto"rispose il mercante.

"Ela gente che cosa farà?" domandò ancora quegli.

"Anderàa vedere"rispose ancora il mercante. "Avevano tantasmania di veder morire qualcheduno all'aria apertache volevano farla festa al Signor Vicario di Provvisione. Puh! che spettacolo uncavaliere ammazzato di mala grazia! Invece avranno quattro birbantiserviti con tutte le formalità. Quattro! quattro finoramachi sa?... Vi so dire che tutti quelli che jeri e questa mattinahanno mangiato pane fresco in Milanose ne stanno coll'olio santo insaccoccia. Per meho testimonj che tutta la giornata di jerietutta la mattina d'oggi me ne sono stato chiuso in casa: e poisi sache noi altri mercanti siamo nemici dei torbidi..."

"Anch'ionon mi son mosso di qui"disse un ascoltante.

"Nonsiamo qui tutti?" disse un altro: "la cosa parla da sè".

"Ohecome andrà per Bartolommeo che è andato a Milanoappunto jer l'altro?" disse un secondo.

"Seavrà avuto giudizio"rispose il mercante"ne saràstato fuorie non gli accadrà nulla".

"Ilguaio è"disse quegli"che sta male a giudizio".

"Alloranon so che dire"; rispose il mercantein aria di chi sirassegna alle sciagure degli altri.

"Seio mi fossi anche trovato in Milanoper casoper caso"disseun terzo"me la sarei battuta subito a casa".

"Infatti"ripigliò il primo"in quei garbugli v'è semprepericoloe poivia bisogna dire il verosono cose che non istannobene. Confesso la verità che i baccani non mi sono maipiaciuti".

"Èstata una provvidenza vedete"disse il mercante "chel'abbiamo fatta finir presto: altrimentiarte per artesaccheggiavano tutte le botteghe di Milano coloro".

"Maper noi foresi non si farà niente?" domandò unaltro: "i milanesi a buon conto hanno il pane a buon mercato: enoipovera gente?"

"Saràquel che Dio vorrà"disse il mercantevuotando l'ultimobicchiereed asciugandosi la barba col mantile. "Non sapete chejeri hanno guastatae gittata tanta farina quanta basterebbe a darda mangiare per due mesi a tutto il ducato?"

"Dunque"disse quegli"ha da patire il buono pel cattivo?"

"Manon avete inteso che gl'impiccheranno?" rispose il mercante.

"L'hosempre detto io"disse un altro "che a muover garbugli sifa peggio. Se i milanesi avessero avuto un po' di giudiziodovevanoporre le mani addosso a quegli che cominciarono a parlare di farchiassoe legarli come salsiccee condurli alla giustizia".

Laconversazione continuavama Fermo ne aveva udito a bastanza: egli sene era stato cheto chetocon l'animo d'un autore che trovandosisconosciuto presso tre o quattro uomini di buon gustosente fare ilprocesso all'ultima sua opera: quel poco boccone tanto desiderato gliera tornato in veleno: però dal veleno pensò a cavareil rimedio d'un buon consiglio; si alzòcon ariaindifferentepagò il suo scottoe uscì dall'osteriarisoluto di non fermarsi fin che non fosse giunto sotto le ali delleone serenissimo di San Marco. Si avviò su la strada maestrapremuroso di giunger prestoconfidando nelle tenebre checominciavano a stendersi su la terra; ma appena dati alcuni passipensò che il passaggio al confine sarebbe stato pericoloso piùdi notte che di giornoe si sovvenne che vi doveva esser l'Adda dapassare. Sconfortato uscì della viaentrò nei campieandando al lume della lunaprocurò di dirigere il suo camminoverso quella parte dove gli pareva che l'Adda dovesse passare.Finalmente sentì il romore del fiumee camminando sempreverso quellogiunse presso alla sponda. Ma quivi non v'era modo ditransitareonde il povero Fermo dopo aver guardato intorno se maiper caso qualche battello si trovasse su la rivae non ne vedendotornò tristamente indietroed entrato in un bosco checosteggiava il fiumes'arrampicò sur un alberoe vi siappiattòaspettando con ansietà l'apparire del giorno.Ma la notte era appena incominciatae il povero Fermoebbe molteore da meditare in quella sua incomoda stazione. Don RodrigoDonAbbondioil VicarioFerrerla guidal'oste di Milanoil notajoi birriil mercantei curiosipassavano a vicenda nella suafantasia; ma nessuno di costoro conduceva seco una memoria che nonfosse di rancore o di sconforto. Solo due immagini avevano un aspettoconsolatoree spargevano un po' di luce tranquilla su quel quadroconfuso. Se noi inventassimo ora una storia a bel dilettoricordevoli dell'acuto e profondo precetto del Venosinociguarderemmo bene dal riunire due immagini così disparate comequelle che si associavano nella mente di Fermo; ma noi trascriviamouna storia veridica; e le cose reali non sono ordinate con quellasceltané temperate con quella armonia che sono proprie delbuongusto; la naturae la bella naturasono due cose diverse.Diciamo dunque con la franchezza d'uno storicoche mentre quasitutti i personaggicoi quali Fermo era stato in relazionesischieravano e si affollavano nella sua immaginazione con un aspettopiù o meno odiosoo tristamente misteriosodi modo chedopoaverli contemplati qualche tempo come forzatamenteessa glirispingevae cercava di farli sparirev'era però dueimmagini nelle quali essa riposavacon una specie di refrigerio: duevolti i quali ricordavano ed esprimevano candorebenevolenzaaffettoinnocenzapace: quei sentimenti chiari e soavi nei qualitanto si gode la fantasia degli infelici: e queste due immagini eranouna treccia nerae una barba biancaLucia e il Padre Cristoforo.

Mai pensieri che questi volti stessi facevano nascereeran tutt'altroche di una gioja pura: alla immagine del buon frateFermo sentivavivamente la vergogna della cervellinaggine che aveva spiegata nelgiorno passatoe della turpe sua intemperanza: e contemplando Luciaoltre la stessa vergognaegli sentiva nel fondo dell'animol'assenzal'incertezza del rivedereil terrore della dimenticanza.Meno potentemeno scolpitama pure mista anch'essa di compiacenza edi doloregli appariva pure l'immagine di quella povera Agnesechelo aveva voluto per figlioe che a cagione di questo buon pensierosi trovava ora fuor di casae assediata da quelle sollecitudini chenon hanno alcun compenso di consolazione.

Conquesta lanterna magica dinanzi alla mente vegliò Fermo tuttaquella notte: quand'anche i pensieri non gli avessero tolto il sonnoil disagio e il pericolo della posturae il freddoche cominciava afrizzare lo avrebbero tenuto lontano. Finalmentequando la lucecominciò a dar forma e colore alle coseFermo guardandoattentamente al fiumevide un pescatore che costeggiava la spondaeche slegava un battello; scese dall'alberoe si avviò aquella partee vi giunse prima che il pescatore salpasse.

"Amicovolete voi farmi il piacere di traghettarmi all'altra riva?"disse Fermo al pescatore che guardava non senza sospetto losconosciuto che a quell'ora gli si accostava.

"Volentieri"rispose il pescatoredopo aver guardato diligentemente intorno senon v'era alcun testimonioe lo accolse nella barcalo condusseall'altra rivasenza fargli altro motto. Fermo prima di scendere arivacavò una mezza lirae la diede al pescatore chedopoaver fatta qualche cerimoniala presee condusse la sua barca allargo.

Perchénessuno si faccia maraviglia della pronta e discreta cortesia delpescatoredobbiamo avvertire che quest'uomo era avvezzo ad essererichiesto sovente dello stesso servizio da contrabbandierie dafuorusciti; e la massima forse la più importante della suapolitica di pescatore era di non farsi nemico nessuno di costoroperché la sua barca e la sua vita era quasi sempre in lorobalìa. Prestava egli adunque ad essi quel servizio tutte levolte che potesse farlo senza correre rischio dalla parte digabellieridi soldatio di esploratorialtre classi ch'egli dovevarispettare per un altro punto della sua politica. Pigliòdunque Fermo per uomo d'una delle due prime condizionisenza darsibriga di appurare qualee lo servì.

Fermoposto piede sulla terra di San Marcorespirò davvero; eallaprima insegna che videentrò a ristorarsi col cuore piùlargo. Sentì quivi pure relazioni e ragionamenti su gliavvenimenti di Milano: a dir vero egli avrebbe potuto rettificare inmolte parti i fatti e le riflessioni; ma da quei fatti egli avevaappunto imparato a tacere. Continuò la sua stradagiunse aBergamofece inchiesta di quel suo cuginoe gli si presentò.

Eraquesti lavoratore di setacome Fermoe uno di quei tanti chevedendo mancarsi il lavoro a cagione delle discipline assurde che aquei tempi erano prescritte nel milanesee dei pesi insopportabilid'ogni genereavevano portata la loro industria in un altro statodov'erano bene accolti e protetti. Massajoe diligente in sei annida che si trovava a Bergamoaveva egli fatta una provvigione che gliera di grande soccorso in quell'anno malvagio. Rivide egli conpiacere Fermo che aveva instradato nei lavori della setae a cuiaveva fatto da padree lo accolse lietamenteprese parte alle suetraversiee gli promise intanto di procacciargli lavoro. "Senon ne troveremo"soggiunse"starai con memangeremoinsieme un po' di pane; e quando torneranno gli anni grassimipagherai di tuttoe farai un buon marsupio anche per te". Sequel brav'uomo avesse letto Virgilio non avrebbe mancato di dire inquesta occasione: Non ignara mali miseris succurrere disco:perché in fatti questo era il suo sentimento.

Lasceremoper ora Fermogiacché si trova in una situazione tollerabilee torneremo alla sua e nostra Lucia.



Cap.IX

Dobbiamoora far conoscere al lettore i personaggi coi quali si trovava Lucia.

DonValerianocapo di casaultimo rampollo d'una famiglia illustre chepur troppo terminava in luiuomo tra la virilità e lavecchiezzaera di mediocre staturae tendeva un pochetto al pingueportava un cappello ornato di molte ricche piumealcune delle qualispezzate al mezzo cadevano penzoloni e d'altre non rimaneva che untorso: sotto a quel cappello si stendevano due folti sopracciglidueocchi sempre in giro orizzontalmentedue guance pienotte per sèe che si enfiavano ancor più di tratto in tratto e siricomponevano mandando un soffio prolungatocome se avesse daraffreddare una minestra: sotto la faccia girava intorno al colloun'ampia lattuga di merletti finissimi di Fiandra lacera in qualcheparte e lorda da per tutto: una cappa di... sfilacciata qua e làgli cadeva dalle spalleuna spada col manico di argento mirabilmentecesellatoe col fodero spelato gli pendeva dalla cintura; duemanichini della stessa materiae nello stesso stato della gorgierauscivano dalle maniche strette dell'abitoe un ricco anello didiamanti sfolgorava talvoltanell'una delle due sudicie sue mani:talvolta; perché quell'anello passava anche una gran partedella sua vita nello scrigno d'un usurajo; e in quegli intervalliDon Valeriano gestiva alquanto meno del solito.

Questocontrasto nel suo abito esteriore nasceva da altri contrasti del suocarattere e delle sue circostanze. Don Valeriano portato al fasto ealla trascuraggine era anche ricco e povero. Già da moltotempo aveva egli divorato a furia di sfarzoe lasciato divorare afuria di negligenza e d'imperizia il suo patrimonio libero; e sarebbeegli rimasto povero del tutto e per semprese un suo sapienteantenato non avesse anticipatamente provveduto a quel casoistituendo un pingue fedecommesso. Don Valeriano quindibenchénell'animo non fosse molto dissimile dal selvaggio di Montesquieunon potevacom'egliabbatter l'albero per coglierne il frutto: enon poteva far altro che lanciar pietre al frutto per farlo cadereacerbo e ammaccato. Viveva di prestiti: e per trovarne dovevaricorrere ai più spietati usuraj; e subire le piùrigide leggi che essi sapessero inventaree per supplire alla leggecomune che non dava loro alcun mezzo di ricuperare il prestatoe perpagarsi del rischio. E siccome nelle idee di Don Valeriano le pompe eil fasto tenevano il primo luogocosì alle pompe e al fastoerano tosto consecrati i denari che toccavano le sue mani; e ilnecessario pativa.

Inmezzo a queste cure incessanti Don Valeriano non aveva lasciato dicoltivare il suo ingegnoe senza essere un dotto di mestierepotevapassare per uno degli uomini colti del suo tempo. Possedeva unalibreria di varie materiela quale per poco non aggiungeva ai centovolumi; e aveva impiegato su quelli abbastanza tempo e studio peravere una cognizione fondata nelle scienze più importanti epiù in voga: teneva i principje quindi non era maiimpacciato nelle applicazioni. L'astrologia era uno di quei ramidell'umano saperenei quali Don Valeriano era versato.

Sapevanon solo i nomi e le qualità delle dodici case del cieloleinfluenze che hanno in ciascuna i diversi pianeti: ma conosceva anchein parte la storia della scienzala quale è parte dellascienza stessa: ne conosceva i cominciamentiil progresso: come eranata nell'Assiriae ci doveva nascere: giacché essendo ilcielo un gran libroe il cielo dell'Assiria molto serenoènaturale che ivi si cominci a leggeredove i libri sono piùchiari e intelligibili; sapeva a memoria un buon numero delle piùstupende e clamorose predizioni che si sono avverate in varii tempi:e aveva in pronto gli argomenti principali che servivano a difenderela scienza contra i dubbj e le obiezioni dei cervelli balzani degliuomini superficiali e presuntuosi che ne parlavano con poco rispetto;perché anche a quel tempo v'era degli uomini cosìfatti. Della magia aveva pure una cognizione più che mediocreacquistata non già con la rea intenzione di esercitarlamaper ornamento dell'ingegnoe per conoscere le arti cosìdannose dei maghi e delle streghee potere così entrare aparte della guerra che tutti gli uomini probi e d'ingegno facevano aquei nemici del genere umano. Il suo maestro e il suo autore era quelgran Martino del Rio il quale nelle sue Disquisizioni magiche avevatrattata la materia a fondoaveva sciolti tutti i dubbje stabilitii principj che per quasi due secoli divennero la norma della maggiorparte dei letterati e dei tribunaliquel Martino del Rio che con lesue dotte fatiche ha fatto ardere tante streghe e tanti stregonieche ha saputo col vigore dei suoi ragionamenti dominare tanto sullaopinione publicache il metter dubbio su la esistenza delle stregheera diventato un indizio di stregheria. A un bisogno Don Valerianosapeva parlare ordinatamente e anche luculentamente del maleficioamatoriodel maleficio ostile e del maleficio sonniferoche sono icardini della scienzae conosceva i segreti dei congressi dellestreghecome se vi avesse assistito. Aveva più che unatintura della storia in grandeper aver letta più d'una voltaquella eccellente storia universale del Bugatti; possedeva poisingolarmente quella del tempo dei paladiniche aveva studiata neiReali di Francia. Per la politica positiva aveva egli principalmenterivolte le opere dell'immortale Botero; e conosceva assai bene lapolitica di Spagnadi Franciadell'Imperodei Veneziani e di tuttii principali stati Cristiani; e poteva pur dare una occhiatina anchenel Divano. Per la politica speculativa il suo uomo era stato pergran tempo il Segretario Fiorentinoma questi dovette scendere alsecondo posto nel concetto di Don Valeriano e cedere il primo a quelgran Valeriano Castiglione che in quello stesso anno aveva dato allaluce la sua opera dello Statista Regnante dove tutti gliarcani i più profondie i più reconditi precetti dellaragione di stato sono trattati con un ordine nuovo e sublime. Ebisogna confessare che il nostro Don Valeriano prevenne il giudiziodel mondo sul merito del Castiglione: poco dopo Urbano VIII lo onoròdelle sue lodiLuigi XIII per consiglio del Cardinale di Richelieulo chiamò in Francia per esservi IstoriografoCarlo Emmanueledi poi gli affidò lo stesso ufizioil Card. Borghese e PietroToledo vicerè di Napolilo pregaronoinvano peròdiscrivere storiee fu finalmente proclamato il primo Scrittore deisuoi tempi.

Quantoalla storia naturalenon aveva a dir vero attinto alle fontie nonteneva nella sua bibliotecané Aristotelené Plinioné Dioscoride; giacché come abbiam detto Don Valerianonon era un professorema un uomo colto semplicemente: sapeva peròle cose le più importanti e le più degne diosservazione; e a tempo e luogo poteva fare una descrizione esattadei draghi e delle sirenee dire a proposito che la remoraquelpescerelloferma una nave nell'altoche l'unica fenice rinascedalle sue ceneriche la salamandra è incombustibileche ilcristallo non è altro che ghiaccio lentamente indurato.

Mala materia nella quale Don Valeriano era profondo assolutamenteerala scienza cavallerescae bisognava sentirlo parlare di offesedisoddisfazionidi pacidi mentite: Paris del Pozzol'Urreal'Albergatoil Muziola Gerusalemme liberata e la conquistatae idialoghi della nobiltàe quello della pace di Torquato Tassogli aveva a mena dito; i Consigli e i Discorsi cavallereschi diFrancesco Birago erano forse i libri più logori della suabiblioteca. Anzi Don Valeriano affermavao faceva intendere spessoche quel grand'uomo non aveva sdegnato di consultarlo su certi casipiù rematici; e parlando talvolta di quelle opere con quellavenerazione che meritavanoe che per verità ottenevano datuttiDon Valeriano aggiungeva misteriosamente: "Basta: homesso anch'io un zampino in quei libri".

Magli studj solidi non avevano talmente occupati gli ozj di DonFerranteche non ne restasse qualche parte anche alle lettere amene:e senza contare il Pastorfidoche al pari di tutti gli uomini coltidi quel tempoegli aveva pressoché tutto a memorianon glierano ignoti né il Marinoné il Ciampoliné ilCesarininé il Testi: ma sopratutto aveva fatto uno studioparticolare di quel libretto che conteneva le rime di ClaudioAchillini; libretto nel qualediceva Don Ferrantetuttotuttofino alla protesta sulle parole FatoSorteDestino e somigliantiera pensiero pellegrinoed arguto. Aveva poi un tesorettounaraccolta manoscritta di alcune lettere dello stesso grand'uomo; e suquelle si studiava di modellare quelle che gli occorrevano discrivere per qualche negozioo per isciogliere qualche ingegnosoquesito che gli veniva proposto: e a dir vero le lettere di DonFerrante erano ricercate con qualche aviditàe giravano dimano in mano per la scelta e la copia dei concetti e delle immaginiarditee sopra tutto pel modo sempre ingegnoso di porre laquestionee di guardare le cose; stavano però male digrammatica e di ortografia. Vi sarebbero molte altre cose da direchi volesse compire il ritratto di questo personaggio; ma per amoredella brevitàce ne passeremotanto più ch'egli nonha quasi parte attiva nella nostra storia. Veniamo dunque alla suasignora Consorte. Donna Prassedeper ciò che risguarda ilsapereera molto al di sotto di suo marito. Il suo ingegno a dirvero non era niente straordinarioed essa non si era mai data unagran briga di coltivarloalmeno sui libri. Ma siccome la mente umananon può vivere senza ideecosì Donna Prassede aveva lesuee si governava con essecome dicono che si dovrebbe fare cogliamici.

Neaveva pochema quelle poche le amava cordialmentee si fidava inesse interamentee non le avrebbe cangiate ad istigazione dinessuno. Avrebbe anche avutocom'era giustouna gran voglia difarle predominare in casa; e pare che il carattere straccurato di DonFerrante avrebbe dovuto servire a maraviglia a questo desiderio dellaconsorte; ma v'era un grande ostacolo. La più parte delle ideein questo mondo non possono esser messe ad esecuzione senza danari:ora Don Ferrante poco o nulla curandosi del governo della casaavevaperò ritenuto sempre presso di sè il ministero dellefinanze; e a dir vero gli affari ne erano tanto complicatiche ormainessun altro che egli avrebbe potuto intendervi qualche cosa.

AvevaDonna Prassede il suo spillaticopattuito nel contratto nuzialeeallo spirare d'ogni termine dopo un po' di guerraun po' dischiamazzomolte minacce di svergognare il marito in faccia aiparentiveniva essa a capo di riscuotere la somma che le era dovuta.Ma fuor di questotutta l'eloquenzatutta l'insistenzatutte learti di Donna Prassede non avrebbero potuto tirare un danajo dallaborsa di Don Ferrante. Le entrateprima che si toccasseroeranoimpegnate a pagar debiti urgentio destinate a soddisfare qualchegenio fastoso di Don Ferrante. Non rimaneva dunque a Donna Prassedealtro dominio che su la sua personasul modo d'impiegare il suotemposu le persone addette specialmente al suo servizio: cose tuttenelle quali Don Ferrante lasciava fare; poteva ella in somma daretutti gli ordini l'esecuzione dei quali non portasse una spesao chenon fossero in opposizione alle abitudini e alle volontàrisolute di Don Ferrante. La sua gran voglia di comandareristrettain questo picciol campo vi si esercitava con una energia singolare.Donna Prassede profondeva pareri e correzioni a quelli che volevanoe ancor più a quelli che dovevano sentirla: e per quantodipendeva da lei non avrebbe lasciato deviar nessuno d'un punto dallavia retta. Perchéa dire il veroquesta smania di dominionon nasceva in lei da alcuna vista interessata; era puro desideriodel bene; ma il bene ella lo intendeva a suo modolo discernevaistantaneamente in qualunque alternativain qualunque complicazionedi casi le si fosse affacciata da esaminare: e quando una volta avevaveduto e detto che quello era il benenon era possibile ch'ellacangiasse di parere; e per farlo riuscire predicava ed operavafintanto che avesse ottenuto l'intentoo la cosa fosse divenutaimpossibile: nel qual caso non lasciava di predicare per convinceretutti che avrebbe dovuto riuscire.

Sottodue padroni così diversi di inclinazioni e di occupazionilafamiglia era come divisa in due classi; anzi in due partitiognunodei quali aveva nella famiglia stessa un capo; le due persone cioèche erano più innanzi nella confidenza dell'uno e dell'altropadrone. Prospero il maggiordomo di casae il favorito di DonFerrantefaceto e rispettosodisinvolto e compostodotto a tuttofare e a tutto soffrireabile a trattare gli affarie a parlarnesenza mai proferire le parole che potevano far sentire gl'impicciooffendere la dignità del padronesapeva suggerir a propositoun invito da fare onore alla casatrovare un cammeo preziosounquadro raroogni volta che una rata di pagamento stava per entrarenella cassa di Don Ferrantee sapeva trovare un prestatore ognivolta che la cassa era asciutta.

L'antesignanodell'altro partitola governatrice favorita di Donna Prassede eranominata molto variamente. Il suo nome proprio era Margheritamadalla padrona era chiamata Ghitadalle donne inferiori a leie daipaggi di Donna Prassede Signora Ghitina; e dai servitori di DonFerrante quando parlavano fra di loro non era mai menzionataaltrimenti che la Signora Chitarra. Pretendevano costoro che il suocollo lungola sua testa in fuorile sue spalle schiacciatelavita serrata dal bustoe le anche allargate la facessero somigliarealla forma di quello strumento: e che la sua voce acutascordataesaltellante imitasse appunto il suonoche esso dà quando èstrimpellato da una mano inesperta.

Esercitavaessa sotto gli ordini immediati della padrona la più severavigilanza sulle persone che dipendevano da questaed era ministra ditutto il bene ch'ella poteva fare in casa e fuori. Ma quanto allagente di Don Ferranteessa non poteva fare altro che notare tutte leazioni disordinate che essi commettevanodisapprovare con qualchecennoo al più con qualche frizzoe riferire poi il tuttoalla padronala quale pure non poteva fare altro che gemere con lei.Prospero com'è naturale era l'oggetto principale di avversioneper Donna Prassedema inviolabile com'egli erase ne burlava incuore; non lasciando però di corrispondere con riverenzeprofonde agli sgarbi della padronache rendeva poi con usura intutte le occasioni alla Signora Chitarra. Benché questi duecapi col loro predominio fossero passabilmente incomodi ognuno allaparte della famiglia che dirigevapure l'una parte e l'altra avevasposate le passioni e le animosità del suo capo; l'una facevacrocchio a mormorare dell'altra; quando si trovavano in presenzasiscambiavano visaccie talvolta parolaccecercavano scambievolmentedi farsi scomparire e d'impacciarsi a vicenda nella esecuzione degliordini ricevuti. Don Ferrante però aveva appena qualchesentore di questa guerra sordaperché egli non osservavamoltoe Prospero non si curava di parlargli di malinconie e lequerele della mogliele attribuiva Don Ferrante ad inquietudine dicaratterea giuoco di fantasiacome le domande di quattrini.

Luciasi trovava esclusivamente sotto l'autorità di Donna Prassedela quale certamente non intendeva di lasciare questa autoritàin ozio. Si proponeva ella a dir vero di farsi ben servire da Lucianella parte che le aveva assegnata; ma oltre questo fineche erasemplicemente di giustiziaDonna Prassede ne aveva un altro dicarità disinteressata a suo modoche le stava a cuore ancorpiù del primoed era di far del bene a Luciao di Lucialaquale le pareva averne gran bisogno. Perché tutto ciòche Donna Prassede nella sua villeggiatura aveva uditoper la vocepubblicadella innocenza di quella giovanele affermazionimagnifiche ed energiche di Agnese quando era venuta a proporle lafigliail voltoil contegno modestola condotta stessa cosìirreprensibile di Lucia non bastavano a produrre un pienoconvincimento nella mente di Donna Prassede; e non poteva essapersuadersi che una giovane contadina avesse levato tanto romore disèfosse passata per tanti accidentisenza averne cercatonessunosenza essersi gittata un po' all'acquacome si dicesenzaessere almeno una testa leggiera.

DonnaPrassede teneva per regola generale che a voler far del bene bisognapensar male: la sua voglia di dominaredi operare su gli altricheanche ai suoi occhi proprj prendeva la maschera di caritàdisinteressataera come il ciarlatanoche non dice mai a chi vienea consultarlo: "voi state bene"; perché allora a cheservirebbe l'orvietano? Oltracciòl'aver ricoveratasottratta al pericolo d'una infame persecuzione una povera giovaneera un'opera certamente non senza gloria; però in questo DonnaPrassede non era più che uno stromento quasi passivoe laparte che le era toccata non domandava altro che un po' di buonavolontàsenza efficacia di azionee senza esercizio disennoera più un assenso che una impresa. Ma dopo averricoverata la povera giovaneemendare anche il suo cervello un po'balzanorimetterla sulla buona stradaquesto sarebbe stato non solocompirema rassettare l'opera del Cardinale Federigo; il quale era adir vero un degno prelatoun uomo del Signoredotto anche suilibrima quanto ad esperienza di mondoa discernimento di personenon ne aveva molto: questa insomma sarebbe stata gloria; e perchéDonna Prassede potesse ottenerlaera necessario che Lucia avesse ilcervello un po' balzanoe avesse fatto almeno qualche passo su unacattiva strada. Per averne qualche prova positivaDonna Prassederichiese qua e là informazioni intorno a quel Fermo a cuiLucia era stata promessae sulle avventuresulla fuga del qualeDonna Prassede aveva intese in villa voci confusediscordima tuttepoco buone. Le informazioni furono quali dovevano essere: che quelgiovane era un facinorosovenuto a Milano per metterlo sossopraperfare il capopopoloch'era stato nelle mani dei birria un pelodalla forca; e se ora respirava tuttavia in paese stranierolodoveva alla sua audacia nel resistere alla giustiziae alla celeritàdelle sue gambe. Questa notizia confermò il giudizio di DonnaPrassedee le diede materia per le sue operazioni. Dimmi con chitratti e ti dirò chi seiè un proverbio; e come tuttii proverbjnon solo è infallibilema ha anche la facoltàdi rendere infallibile l'applicazione che ne fa chi lo cita. Luciaaveva dunque infallibilmentenon già tutti i vizjchesarebbe stato dir troppoma una inclinazione ai vizj di Fermo:questo fu il giudizio di Donna Prassede. E il bene da farsi era nonsolo d'impedire che Lucia ricadesse mai nelle mani di Fermoch'ellaavesse con lui la menoma corrispondenza; bisognava andare allaradiceal più difficileguarire Luciafarle far giudiziotogliere da quel cervellino l'attacco per colui; attacco che a dirvero era il solo vizio essenziale di Lucia. Questa allora sarebbedivenuta al tutto una buona creatura; e chi avrebbe avuto tutto ilmerito dell'impresa? Donna Prassede.

Laprima parte di questo disegnola parte materialela vigilanzaesteriore sopra Lucia era particolarmente affidata alle cure diGhita. Doveva essa tenerle sempre gli occhi addossoaccompagnarlaalla Chiesaspiare s'ella parlava a qualchedunose qualcheduno lefaceva un cennoosservare attentamente che qualche messo nascostonon le si accostasse. Compresa e piena dell'uficio che le eraimpostoGhita nella via andava sempre con gli occhi sbarratiesospettosi; e siccome il volto di Lucia attraeva spesso e fermava glisguardicosì la guardiana si trovava spesso nel caso di fareil viso dell'arme ai guardatorio almeno di far loro intenderech'ella vegliavae che la loro mina era sventata: e quandos'avvedeva che la sua aria di sospetto e di minaccia femminileinvece di stornare i tentativiavrebbe provocata l'insolenzapericolo comunissimo a quei tempiallora accelerava il passoe lofaceva accelerare a Lucia. In Chiesa poise uno di quegli che sitrovavano sui banchi vicini aveva guardato attentamente a Luciaoaveva tossitoGhitacontinuando a mormorare le sue orazioninonpensava più che a guardare il suo deposito. Aveva inoltrel'incarico di frugarequando lo poteva senza essere scopertanelletasche di Luciaper vedere se mai ella ricevesse qualche lettera.Questa precauzione avrebbe potuto sembrare inutilegiacché(e qui dobbiamo apertamente confessare una cosa che finora si èappena indicata e lasciata indovinare) la nostra eroina non sapevaleggere: ma Ghita pensava che le precauzioni non sono mai troppe.Quello poi che in questo procedere vi poteva essere d'indelicatononriteneva Ghita per nulla; essa non vi sospettava nemmeno nulla disimile; non conosceva né la parola né l'idea; anzi laparola in questo senso non esiste neppure ai nostri giorni nellalingua purae noi adoperandola sappiamo d'essere incorsi in unbrutto neologismo. Finalmentedoveva Ghita cercare di scovare neidiscorsi di Lucia se mai ella avesse qualche speranzase qualchepratica fosse orditafarla ciarlare artificiosamente su tutti quegliincidenti che avevano dato a Ghita qualche sospetto.

Ebbenesignori mieitutta questa gran macchina di cure e di operazionitutto questo lavorare sott'acqua non dava quasi nessun incomodo aLucia; o per dir meglio ella non se ne avvedeva; e benché nonpotesse a meno di non sentire qualche cosa di minuto e di pettegolonella sollecitudine continua di Ghitapure lo attribuiva alla indoledi leie non mai a un disegno profondoe comandato. I pensieri diLuciaquel pensiero ch'era divenuto lo scopo principale della suavitala portavano alla ritiratezzaad astenersi da ognicomunicazione; e quindi ella non era avvertita dolorosamente di ciòche altri facesse per rivolgerla ad un punto al quale ella tendevanaturalmente. In altri tempi quella situazione così nuovacosì opposta alle sue abitudinicosì lontana dalle sueaffezionile sarebbe stata penosissimama la facilitàch'ella vi trovava di ottenere quel suo scopo faceva ch'ella vistesse con rassegnazionee quasi vi riposasse se non con piacerealmeno col desiderio di farsela piacere. E il suo scopo era tuttaviaquello di cui abbiamo già parlato: scordarsi di Fermo. Sistudiava ella quindi di rinchiudere tutte le sue idee nella casa doveera stata allogatadi ristringerle alle sue occupazionisi mettevacon grande intensione a tutte le cose che le erano comandatesirallegrava tutte le volte che vedeva dinanzi a sè molti doveriche occupassero tutta la sua giornatache non le dessero agio dicorrere con la mente a desiderj vani e colpevolidi smarrirsi nellememorie d'un passato irreparabile.

Lememorie tornavano però sovente a tormentarla; l'immagine dellamadre erasempre la prima a presentarsi; e mentre Lucia si fermava acontemplarla con sicurezzacon una mesta affezionel'immagine diFermo che le stava dietro nascostasi mostrava. Lucia volevarispingerla tosto; ma l'immagine che non voleva andarsene aveva unbuon pretestoed era sempre lo stessoper obbligare Lucia atrattenerla almeno un momento: le ricordava in aria trista e nonsenza rimprovero i pericoli che Fermo aveva corsie quelli che forsegli soprastavano ancorale rimostrava che quando anche un nuovodovere può far rinunziare ad un affettogià cosìlecitogià così caronon devenon vuol peròtogliere la pietàla sollecitudinela carità delprossimo. Lucia combattevarivolgeva la mente ad altre immaginimatutte erano tinte di quella primatutte la richiamavano. I luoghile persone: Don Abbondio avrebbe dovuto pronunziare quelle paroleper cui ella sarebbe stata di Fermo: i consiglile curedel PadreCristoforo per chi erano? per Lucia e per Fermo: fino il monastero diMonzafino il Castello del Contefino il cardinale Federigotuttosi legava a Fermoe molte volte Lucia ripensando a tutto questosiaccorgeva ch'ella si era immaginata di raccontar tutto a Fermo. Contutto ciòella combattevae la guerra sarebbe statase nonsempre vintapure meno aspra e meno dolorosa; Lucia avrebbe potutose non ottenere lo scopo almeno andargli sempre da pressose questoscopo non fosse stato anche quello di Donna Prassede.

Labrava signoraper toglier Fermo dall'animo di Lucianon avevatrovato mezzo migliore che di parlargliene spesso. La faceva chiamarea sèe seduta sur una gran seggiola con le mani posate edistese sui bracciuoli di qua e di là dei quali pendevano lemaniche della zimarra di dammasco rabescato a fioriche era statol'abito di moda nei bei giorni di Donna Prassedenel tempo in cuiv'era buona fede e semplicitàin cui tuttifino i giovanierano savj ed onesticol volto imprigionato tra un cappuccio ditaffetà nero che copriva la frontee una enorme lattuga chegirava intorno alla gola e sul mentoDonna Prassede ricominciava lasua predica per provare a Lucia ch'ella non doveva più pensarea colui. La povera Lucia protestava da principio con voce angosciosae timidach'ella non pensava a nessuno. Donna Prassede non volevamai stare a questa ragionee ne aveva molte da opporre: "Socome vanno le cose"diceva ella"conosco il mondo: socome son fatte le giovani: se v'è un ribaldoè sempreil più accetto. Fate che per qualche accidente non possanosposare un galantuomoun uomo di giudiziosi rassegnano tosto; mase è uno scavezzacollo: non se lo possono cavar dal cuore. Ehfiglia mianon basta dire: - non penso a nessuno -:vogliono esser fattifatti e non parole". Così seguendouna sua ideache è anche quella di molti altriche per farpassare in una testa ripugnante i proprj sentimentibisognaesprimerli con molta efficaciaadoperare i termini i piùforti ed anche esageratiDonna Prassede non risparmiava i titoli alpovero assentelo nominava come un oggetto d'orroredi schifofaceva sentire che sarebbe stata cosa inconcepibilemostruosachealcuno potesse avere interessamentoe peggio inclinazione per colui.

Cosìella otteneva appunto l'intento opposto a quello ch'ella siproponeva. Lucia cercava di dimenticar Fermo; ma quando una parolasgraziatae nemica glielo voleva a forza rimettere nella mente in unaspetto odioso e spregevoleallora tutte le antiche memorie sirisvegliavano ed accorrevano per rispingere una immagine tantodiversa dalla immagine in cui quella mente era stata avvezza acompiacersi. Il disprezzo con che il nome di Fermo era proferitofaceva ricordare a Lucia la condottail contegnoil buon nome diFermotutte le ragioni per cui ella lo aveva stimato; l'odio facevarisorgere più risoluto l'interesse; l'idea confusa deipericoli ch'egli aveva corsianche dei falli ch'egli poteva averforse commessipericoli e falli che Donna Prassede rinfacciava aLucia con eguale amarezza come un egual motivo di avversionesuscitavano più viva e più profonda la pietàeda tutti questi sentimenti rinasceva quell'amoreche Lucia sistudiava tanto di estinguere. L'amoreacconsentito o combattutochesiadà a tutti i discorsi una forza e un vigore suo proprio.Lucia diventava coraggiosae giustificava Fermo: e Donna Prassedeapprofittava di quelle parole come d'una confessione per provare aLucia che non era vero ch'ella non pensasse più a lui. E conquesta prova in mano lavorava sempre più animosamentesull'animo di Luciafacendole vedere chi era colui ch'ella ardivapure di difendere. E che doveva ringraziare il cielo che la cosafosse finita a quel modoaltrimenti le sarebbe toccato un bel fioredi virtù. Buon per lui che le gambe lo avevano servito benealtrimentiavrebbe fatto una bella figuraavrebbe tenuta compagniaa quei quattro altri galantuomini... Quando la grossolana signoratoccava tasti d'un suono così orribilela povera Lucia nonpoteva più fare altro che prendere con la sinistra ilgrembialeportarlo al volto per nasconderloe per ricevere lelagrime che le sgorgavano dirottamente.

SeDonna Prassede avesse parlato così per un odio anticoperfare vendetta di qualche affronto crudelel'aspetto del dolore cheproducevano le sue parole gliele avrebbe forse fatte morire in boccao cangiare in parole più dolci; ma Donna Prassede parlava perfare il benee non si lasciava smuovere: a quel modo che un gridosupplichevoleun gemito di terrore potrà ben fermare l'armed'un nemicoma non il ferro d'un chirurgo. Fatte ingojare a Luciatutte le amare parole ch'ella credeva necessarie pel bene di leiDonna Prassedeche non era trista in fondola rimandava con qualcheparola di conforto e di lodee rimaneva sempre soddisfatta di avereacconciato un po' il cuore di quella giovane. Acconciato come unagala di mussolostirata da un magnano. La povera Lucia riconoscendola buona intenzione pregava però caldamente che queste proved'interessamento le fossero risparmiate.

DonnaPrassede aveva nel fondo del suo cuore un altro disegno sopra Luciache sarebbe stato il compimento dell'opera. Silietta si compiacevamolto nella compagnia di quella giovane che era la sola in casa chele desse rettae la lasciasse parlare; e Donna Prassede pensava chesi sarebbe fatto un gran benefizio a Silietta e a Lucia stessase sifosse potuto farle nascere la vocazione di andar conversa nelmonastero dove Silietta doveva esser monaca.

QuiviLucia sarebbe stata fuori d'ogni pericolo per sempree la buonaopera di Donna Prassede sarebbe stata più evidentepiùconosciuta; Lucia sarebbe divenuta un monumento parlante dellasapiente benevolenza della sua padrona. Non ne aveva peròfatta la proposizione a Luciama con quell'arte sopraffina chepossedevacercava tutte le occasioni per far nascere spontaneamentenel cuore di Lucia questo desiderio.

Apoco a poco queste insinuazioni divenivano più frequenti e piùchiare; e Luciacominciava a comprenderlema però senza chele cominciasse la voglia di acconsentirvi. V'era nulladimeno per essaun gran vantaggioche Donna Prassede cadeva meno spessoe con menoimpeto su quel primopiù doloroso argomentotanto piùdolorosoperché Lucia non aveva con chi esilararsi dellatristezza angosciosa che quei discorsacci le cagionavano. La nostraAgnese era lontanaa casa suadove pensava sempre a Lucia; e andavaspesso alla villa di Donna Prassede per saper le nuove di Lucia; e lenuove le erano sempre date ottimecoi saluti della figlia. La buonadonna si struggeva di rivederlama andar fino a Milano! In queitempicon quelle stradecon quella scarsezza di comunicazionicoibravicoi boschiquella era quasi una impresa di cavalleriaerrante; e Agnese si rassegnava all'idea di esser lontana da suafigliacome ai nostri giorni farebbe una madre della condizione diAgneseche avesse una figlia collocata in Inghilterra.

Lapovera donna aveva un'altra faccenda su le braccia: la corrispondenzacon Fermo. Quantunque egli non trovasse bel paese quello dove non eraLuciapuresapendo com'egli stava sui registri di Milanononardiva scostarsi dall'asilo. Faceva scrivere ad Agneseperchiedergli nuove della figlia; dicofaceva scrivereperché inostri eroisimili in ciò a quelli d'Omeronon conoscevanol'uso dell'abbicì. Agnese si faceva leggere e interpretare leletteree incaricava pure altri della risposta. Chi ha avutooccasione di veder mai carteggi di questa speciesa come son fatti ecome intesi. Colui che fa scriveredà al segretario un temaravviluppatoe confuso; questi parte frantendeparte vuolcorreggereparte esagerare per ottener meglio l'intentoparte nonlo esprimere come lo ha inteso; quegli a cui la lettera èindirittase la fa leggere; capisce poco; il lettore diventa allorainterpretee con le sue spiegazioni imbroglia anche di piùquel poco di filo che l'altro aveva afferrato: di modo che le dueparti finiscono a comprendersi fra loro come due filosofitrascendentali. Il peggio è quando la situazione della qualesi vuol render conto è complicatae i disegni e le proposteche si voglion faresono contingenti e condizionate. Tale era ilcaso di Fermo. Il suo disegno era di stabilirsi a Bergamodi viverquivi della sua professionee di farsi con quella anche un po' discortadi preparare un buon letto a Luciae che allora essa venissea Bergamo con la madre ed ivi si concludessero le nozze. Ma i tempinon erano propizii: l'amoreche dipinge le cose facilibastavabensì a persuadere a Fermo che il suo disegno si sarebbepotuto eseguire in seguito; ma non poteva nascondergli che per alloraera ineseguibile.

Bisognavaadunque che Fermo facesse intendere ad Agnese questo miscuglio disperanze fondate anzi certee di impaccio attualedi sìnell'avveniree di no nel presente. Agnese ricevette la lettera dopoil ritorno da Monzaintese e fece rispondere come potè. Ilratto di Lucia fece tanto strepitoche la voce ne giunse a Fermomaper buona ventura insieme con quella della liberazione. Pure ognunopuò immaginarsi quali fossero le sue angustie. Se Lucia fosserimasta nel suo paeseFermo certamente non si sarebbe tenutodall'andarvi: di nascostodi nottetravestitoper balzepergreppicome che fossevi sarebbe andato. Ma egli seppe anche cheLucia era partita per Milano; e in tale circostanza non solo ilpericolo diventava per Fermo incomparabilmente maggiorema iltentativo incomparabilmente più difficilee l'evento quasidisperato. Dovette egli dunque contentarsi di chiedere schiarimentiad Agnese. La buona donna trovò il mezzo di fargli avere permezzo d'un mercante quei cento scudi che Lucia aveva destinati a luied una letteranella quale v'era l'intenzione di metterlo al fattodi tutto l'accaduto. Ma questa lettera non isgombrò leinquietudinie le ansietà di Fermo; anzi i cento scudi leaccrebbero: - giacché -pensavaegli- ora che Lucia per una ventura inaspettatapossiede tanto che basta perché noi possiamo viver qui maritoe moglieperché non viene ellae mi manda invece questidenaricome un donocome una elemosinacome... (e qui Fermo sisentiva scoppiare)... come un congedo? Voglio io denari da lei? E seella non è miapensa ch'io possa da lei ricevere qualchecosa? - Per quanto Agnese avesse cercato di fargliscriver chiaro che Lucia dallo spavento in poi si trovava quale eglil'aveva lasciataFermo alla vista di quei denarie dati a quelmodoera assalito da mille dubbi torbidi e strani. Le lettere cheegli faceva scrivere a Luciacadevano tutte in mano di DonnaPrassedela quale certo non le consegnava a cui erano indirittemapel megliole leggevae si regolava su le notizie che ne ricavava.Fermo sempre più inquieto chiedeva ad Agnese la spiegazione diquei dubbii e del silenzio di Lucia. Quand'anche Agnese avesse saputoscrivere non avrebbe potuto soddisfare il poverettoperché lacagione del silenzio le era ignotaed essa pure non capiva bene ilcontegno di Lucia con Fermo. La spiegazione di tutto era nel votofatto da Luciae che essa non aveva confidato né meno allamadre. La corrispondenza andava sempre più imbrogliandosi finche essa fu interrotta dagli avvenimenti che racconteremo nel volumeseguente.





TOMOQUARTO



Cap.I

Dallafine dell'anno 1628 alla quale siamo pervenuti con la narrazioneinsino alla metà del 1630i nostri personaggiquale perelezionee quale per necessità si rimasero a un dipressonello statoin cui gli abbiamo lasciati; e la loro vita non offre inquesto tempo quasi un avvenimento che ci sembri degno di menzione.Qualche fattobenché molto grave per taluno dei nostri eroinon produsse però mutazione nello stato degli altri. Parequindi che noi dovremmo saltare a piè pari al punto in cui lanostra storia ripiglia un movimentoe un progresso generale.

Lastoria pubblica però di quell'anno e mezzo è piena disuccessi; e noi non possiamo dispensarci dal riferirlida essi e conessi nacquero gli eventi privati che formeranno la materia ulterioredel nostro racconto. Quei successi varii e moltiplici si riducono atre principali: fameguerrae peste: lo dichiariamo sul belprincipioaffinché quei lettori che amano cose allegrepossano gettar tosto il libroe non abbiano poi a lagnarsi di nonessere stati avvisati in tempo.

Dopola bella spedizione del giorno di San Martinoparve per qualchetempo che l'abbondanza invocata da una parte con tanti urlipromessadall'altra con tanta sicurezzafosse venuta davvero. Il pane a quelmodico prezzo che abbiam detto; e questa volta non per una ipotesiviolentama per un compenso che i Decurioni coi denari della cittàavevano stabilito ai fornaj: i forni sempre ben provveduti: tuttosarebbe andato benese le cose avessero potuto durare cosìfino al raccolto: vale a dire se l'impossibile fosse divenutopossibile.

Ècosa istruttiva e curiosa l'osservare per quali modi i disegniassurdi vadano a malele volontà insipienti sieno frustratenotare i principji progressila varietà degli inciampi edelle resistenzegli effetti non premeditati nel disegnoe chenascono necessariamente ad impedire l'effetto voluto e promesso. Noiabbiamo fatte molte ricerche negli atti pubblici e nelle memoriedegli scrittoriper tener dietro alla storia di quei provvedimentiannonarj; ma il filo che a gran fatica abbiam potuto prendere daquella matassa scompigliata appena ci ha condotti per un brevetrattoci ha fatti raccappezzare gli effetti più prossimi. Edeccoli quali risultano da autentici documenti.

Quelliche avevano denari oltre il bisogno quotidianocorrevano in folla aiforni a comperar e ricomperare paneai mercati a comperar e aricomperare farineper farne provvigioni. Appariva quindimanifestamente che il ribasso del prezzo fatto ad intendimento didare pane ai poveritendeva invece a farlo tutto venire in poteredei facoltosi. Grida dei 15 novembreche proibisce il comperar panee farine per più che il bisogno di due giornisotto penepecuniarie e corporali ad arbitrio di S.E.ordine agli anzianiinsinuazione a tutti di denunziare i contravventoriordine aigiudici di fare perquisizioni per le case. Come si facciano denunziee perquisizioni è cosa facile da capirsi; ma quello chenessuno potrà capire davvero né immaginaresi ècome con questi mezzi si potesse colpire tanti contravventori daimpedireo da diminuire sensibilmente quella tendenza a fare scortaper l'avvenire.

Unconsumo così straordinario in tempi di grande scarsezza dovevarendere difficile a rinvenirsi la materia prima sufficiente: quindila grida del 23 di novembre che sequestrava in mano degli affittuarje di chi che altri fosse la metà del riso da essi posseduto(il riso allora entrava nella composizione del pane comune) e lariteneva agli ordini del Vicario e dei dodeci di Provvisione perl'uso della città. Ma questa città che aveva assuntol'impegno di mantenere il pane al prezzo d'un soldo per otto oncepagando la differenza tra il prezzo reale dei graninon possedevatesori inesaustiera anzi imbrattata di debitie non sapeva dovedarsi di capo per aver danari: perché dunque essa potessemantenere l'impegnoGrida dei 7 dicembreche obbliga i possessoridel riso a venderlonon brillatoal prezzo di L. 12a chi avràordine dal Tribunale di provvisione. A chi ne vendesse a maggiorprezzo pena la perdita del risouna multa di altrettanto valore emaggior pena pecuniariaed anche corporale sino alla galeraall'arbitrio di S.E. secondo le qualità dei casi e dellepersone. Così si era provveduto all'abbondanza della città.Ma i foresi sono essi pure soggetti alla legge di mangiare pervivere: e giacché le gride tiravano per forza da tutte leparti tanto pane in cittàera cosa troppo naturale che iforesi accorressero alla città a provvedersene. Questa cosanaturaleè chiamata un inconveniente dalla grida dei 15 didicembrela quale vieta il portar fuori della città pane pelvalore di più di venti soldi per voltasotto pena dellaperdita del panedi scudi venticinqueed in caso d'inabilitàdi due tratti di corda in publicoe maggior pena ancora all'arbitriodi S.E. per ogni volta. Ai ventidue dello stesso mese la stessaproibizione fu estesa ai grani ed alle farine.

Aquesto puntocon nostro rammaricoe forse con un maligno piaceredei lettorici mancano ad un tratto gli atti autentici; e tutte lememorie storiche che ci è stato possibile di consultare nonhanno più nulla né sul prezzo del panené suglialtri regolamenti dell'annona. Fanno soltanto il quadro dello statodel paese in quell'anno 1629fino al raccolto; ed ecco la copia diquel tristo quadro.

Chiuseo deserte le botteghee le officine; gli operaj vaganti per le viesmuntiscarnatitendendo la mano ad accattareo esitando ancoratra il bisogno e la verecondia. Misti agli operaj i contadini venutialla cittàtraendo i vecchj e le donne coi fanciulli incolloe mostrandoli ai passaggerie chiedendo che si desse loro davivere con una querimonia impazientecon isguardi abbattuti e purtorvi. Misti agli operaj e ai contadini molti di quei bravigiàrilucenti d'arme e spiranti una leziosaggine ardimentosaoraabbandonati dai loro signorierravano mezzo coperti d'un resto deiloro abiti sfarzosidomandando supplichevolmentee guardando consospetto per non tendere inavvertentemente la mano disarmata etremante a tale su cui l'avessero altre volte levata repentina aferire. Spettacolo che avrebbe rallegrate molte irese il sentimentodi tutti non fosse stato assorto nella miseria e nel patimentocomune.

Nèquesti solima di altra varia origine nuovi mendichi confusi coimendichi di mestiere si aggiravanoo si strascinavano per la cittàe nell'abitoe nei modi mostravano indizj dell'antica condizione edella professione che altre volte procuravano loro un vitto certo e amolti agevole. Da per tutto cenci e lezzo; da per tutto un ronziocontinuo di voci supplichevolicome se si fosse camminato in mezzoad una processione. Qua e là a canto ai murisotto le grondemucchj di pagliae di stoppie pestetritefetentimiste d'immondociarpameche avevano servito nella notte come di canile ai mendichicacciati dalla fame alla cittàdove non avevano un asilo daposare il capo. Molti si vedevano rodere con uno sforzo ripugnanteerberadicicortecceche avevano raccolte nei pratinei boschicome un viatico fino alla città dove speravano di trovar pureun vitto più umano. Di tratto in tratto alcuno di quegliinfelici si vedeva ristarevacillaretendere dinanzi a sè lemani aperte come per cercare un appoggioe cadere; ed erano taloramadri coi bamboli in collo. Raricosternatiin silenzioraccogliendo gli sguardi a sèquasi per non vedereabbassando la fronte come se provassero vergogna di tanta miseriaturandosi le narici giravano fra quella turba coloro che altre volteeran chiamati ricchied ora pure davano invidia perchéavevano ancor tanto da preservarsi se non dal disagioalmeno dallapenuria mortale. Altri di essi che poco innanzi passeggiavano con unfasto minacciosocon un corteggio insolente di spadacciniorasolettiin abito negletto e come da corrucciocon gli sguardidepressicoi volti non avresti saputo dire se storditi o compuntiattraversavano in fretta le viee sparivano. Altri esaurito giàil contante che avevano destinato al soccorso dei poverellivintidalla crescente misericordiaaprivano di nuovo lo scrignointaccavano le scorte riserbate ai loro bisognie uscivano; eassaliti da richieste superiori alla liberalità ed allefacoltà loroguatavanoper discernere tra miseria e miseriatra angoscia e angoscia quelle a cui era dovuto più pronto ilsovvenimento. Appena il muovere della mano manifestava una intenzionedi liberalitàuna gara tumultuosa e incalzante di gridadisospintedi mani levate si faceva intorno a loro; gli estenuati estupidi dall'inedia pigliavano come una forza istantanea dalla nuovasperanzae si pignevano innanzi con violenza; i più robustigli rigettavano con furorealle preghiere alla invocazione dei nomipiù santi si mescevano le bestemmie della disperazione; ivecchj rispinti tendevano da lontano le palme scarne; le madrialzavano i fanciulli scoloratimale ravvolti nelle fasce stracciatee ripiegati per languore nelle loro mani. Quei caritevoli dovevanolasciarsi rapire più tosto che distribuire i soccorsi; espogliati in un momento di ciò che avevano portato con sèfra le benedizionie le rampognerovesciando le tasche vuoteuscivano a stento dalla folla più contristati del maleirrimediabileche soddisfatti del poco bene che avevan potuto fare;e se ne tornavano non avendo più altro da dare in risposta anuove richieste che un aspetto di commiserazioneun cenno delle maniche esprimeva una buona volontà inutileuna ripulsa dolente.

Inmezzo ad una tanta confusione di guaje ad una tanta insufficienzad'ajutisi mostrava però a luogo a luogo un ajuto piùgenerale e più ordinato che annunziava una grande copia dimezzie una mano avvezza a profondere con sapienza. Era la mano delnostro Federigo. Oltre le elemosine in vitto e in danaroch'eglidistribuiva (il Tadino afferma che nel suo palazzo due mila poveriricevevano ogni giorno una capace scodella di riso) aveva l'ingegnosocompassionatore deputati sei preti che girassero a coppia per pigliarcura dei poveri sfiniti per le vie. Ad ogni coppia aveva assegnato unquartiere della città tripartita; ogni coppia era seguita dafacchini che portavano grandi corbe con panevinominestrauovafreschebrodi stillatiaceto medicato d'aromi. S'accostavano queipreti ai poverelli che giacevano abbandonati sul pavimentoesoccorrevano ad essi secondo il bisogno: a questo esinanito daldigiuno il cibo era il più necessario ed efficace rimedio:quell'altro svenuto per più antica inediae già pressoal morirenon avrebbe avuto vigore abbastanza per patire néper prendere il cibo; e faceva mestieri di più sottili epotenti ristorativi per richiamarlo alla vitae rendergli a poco apoco le forze. Quando alcuno d'essi era rinvenuto o riconfortatounodei preti gli amministrava i sacramentie le consolazioni dellareligionequindi guardava intorno a sè per vedere in qualcasa del vicinato avrebbe potuto procurargli un ricoverotrovatolove lo faceva portare. Se il padrone era doviziosoil prete in nomedel Cardinale lo supplicava che volesse ricettarecollocare inqualche angolo della casanutrire quel derelitto che Dio glimandava; ma quando il languente era portato in una casadove nonsembrasse che in un tale anno potessero sovrabbondare provvisioni perusi di caritàquivi il prete pregava il padrone a ricoglieree ad ospiziare per prezzo colui che vi era presentato; e sborsava ilprezzo generoso anticipatamente. Notava poi il luogoe tornava avisitare il raccomandatoa curare che nulla gli mancasse; cosìmentre l'un prete soccorreva i giacenti nella vial'altro percorrevale case dove erano raccolti quegli altri. La riverenza dell'abitosacerdotalel'autorità di Federigo come presente a quegliuficj prestati per suo ordinee la santità degli uficjstessicontenevano la folla tumultuosain modo che quei pretipotessero esercitarli tranquillamente e ordinatamente. Era questo percerto un alleggiamento ai pubblici malie grande se si consideri cheveniva da un solo avere e da una sola volontàma rispetto aibisogni scarso e inadeguato. Intanto che in tre angoli della cittàalcuni pochi erano levati da terrae ravvivatiin cento particadevano le centinajae molti per non esser più rialzati chesulle spalle dei sotterratori. Nè le morti continue diradavanoquella folla miserabilela fame incalzava da tutte le parti delterritorio nuova folla alla città; le vie che vi conducono quae là segnate di cadaveribrulicavano sempre di nuovipellegrini che dal piano circostantedai colli meno vicinidaimonti lontani venivano strascinandosi; diversi d'abitoe dipronunziaoggetto l'uno all'altro non più di pietà madi orroreluridi tuttiognuno più sbigottito dal trovarsi inmezzo a tanti compagni di disperazionea tanti rivali d'accatto.Attraverso costoro passavano pure altri non meno luridi pellegriniche fuggivano dalla cittànon già sperando di trovarein altra parte più facile sostentamentoma per morirealtroveper mutare un cielo divenuto odiosoper non veder piùquei luoghi dove avevano tanto patito. Così crescendo sempreil numero dei poveri a misura che la popolazione s'andava scemandoera trascorso l'inverno e già avanzata la primavera. E queipoveri si andavano sempre più condensando nella città;accorrevano la più parte negli alberghi; e avrebbe dovutoessere bene spietatoma anche ben sicuro il padrone che negasse loroquella ospitalità: quivi giacevano le notti ammucchiati su lapagliasul letame: le casele vie si riempivano di malatidicadaveridi cencie di puzzo: dimodoché si cominciò atemere che alla fame tenesse dietro la contagione. Il tribunale dellaSanità instava presso quello della Provvisione perchési antivenisse questa nuova sciagura; e proponeva che seguendol'esempio e dilatando l'opera di Federigoraccolto tutto ciòche poteva esser destinato al pubblico soccorsosi distribuissenutrimento a quelli che ne mancavanoe gl'infermi si raccogliesseroe si collocassero in diversi ospizj per rendere più facile ilservizioe per evitare i pericoli di una troppo grande riunione. Manella Provvisione prevalse il partito di raccattare tutti gliaccattoni validi e infermi nella fabbrica del Lazzeretto.

Imedici conservatori del Tribunale della Sanitàprotestaronocontra questo disegnoallegando che in una tanta turba ammassata inun luogo e costretta in picciole stanze l'epidemia sarebbe statainevitabile; ma alle proteste non si diede rettacome afferma ilTadino uno di quei medici. E se vogliamo credergli in tuttolacagione principale di far prevalere quel partito fu il desiderio diservire ad un interesse privatoo a quello che alcuni privaticredevano il loro interesse. Erano nel Lazzeretto deposte molte mercivenute da paesi sospetti di pestee si ritenevano quivi per lepurghe e per le prove; coloro a cui quelle merci appartenevanobrigarono perché il Lazzeretto fosse destinato ad un altrousoe con questo pretesto le merci fossero loro rilasciate: e furonoesauditi.

IlLazzeretto (se mai questa storia venisse alle mani di chi non sia maistato a Milano) è una fabbrica quasi quadrata: i due latimaggiori tirano a un di presso cinquecento passi andanti; gli altridue poco meno; un fossato scorre e volta intorno all'edificio: ognilato ha nel mezzo una portae un ponte sul fossato: tutti i latidell'edificio nella parte rivolta al di fuori sono divisi incameretteche sono in tutto 296: nell'interno gira per tre lati unporticato: lo spazio interiore è sgombro; fuorché nelmezzodove sorge un tempietto ottangolare. All'aprirsi dell'estateil Lazzeretto fu sgombro dalle mercidisposto pel nuovo usoedaperto ai mendicanti. Da principio vi accorsero volonterosi i piùfamelici e desolati: ma altriche dal trovarsi in più picciolnumero ad accattare speravano più frequenti soccorsie aiquali ad ogni modo era meno amaro lo stentare in libertà checampacchiare rinchiusinon risposero all'invito. Dall'invitocome èl'usosi venne alla forzasi mandarono birri che agguatassero chimendicavae chi dall'aspetto appariva un pezzentelo legassero pelsuo miglioree lo trasportassero a forza al Lazzeretto: e per ognunadi queste prede era stato assegnato al predatore una ricompensa didieci soldi: tanto è vero che anche nelle più grandistrettezze non mancano mai danari per fare delle minchionerie. Inpoco tempo il Lazzeretto tra volontarj e sforzati rinchiuse poco menodi dieci mila poverellid'ogni etàe d'ogni sessodellacittàdel contadodi più lontane regioni; uomini cheavevano passata la loro vita in una operosa semplicità; escherani pasciuti in una scioperaggine facinorosa; donnefanciullegiovanetti nutriti nella verecondia e nella inesperienza del tuguriodei campidella officina domesticanelle consuetudini della pietà;altri fino dall'infanzia disciplinati nella scola del trivioall'accattoalla rubaalla buffoneriaalla truffaal dileggio;non sapendo né ricordandosi di Diose non quel tanto ch'eranecessario per bestemmiare il suo nome. Si trattava di allogaredialimentaree di contenere con una eguale disciplina un raccozzamentocosì numeroso di tali e d'altri più diversi emoltiplici elementi; e la cosa sarebbe riuscita ottimamentese labuona intenzionelo zeloe l'affaccendamento di alcuni potesserobastare ad ogni impresa.

Ilnumero dei ragunati nel Lazzeretto fece che fossero stivati a venti atrenta per ogni cellaove si giacevano prostrati come bestiediceil Tadinosopra una paglia imputridita. Il pane che si distribuivaad essi avrebbe dovutosecondo gli ordini della Provvisione esserbuono; perché quale amministratore ha mai ordinato che sifaccia e si distribuisca pane cattivo? Ma si tenne da tutti che quelpane fosse adulterato con sostanze insalubrinon nutritive; cosa piùche probabile in tanta scarsezza; e con tanta difficoltàd'invigilare.

Quantoal governo di quella brigatav'erano pure ordini perchéognuno si contenesse con modestiasi lasciassero i vizje l'ozioche ne è il padreperché quegli che potevanoesercitassero quivi l'arte loroe gli altri almeno non mettesseroscompiglio. A malgrado però degli ordinimirabil cosa! coloroche erano stati vagabondi prima d'entrare nel Lazzerettovagabondavano quivi come potevano; e attendevano a molestare glioccupati: quegli che v'erano stati cacciati a forza riempivano tuttodi quereledi bestemmiedi tumulto. In somma l'angustialasporciziala caldurail cibo malsanole acque stagnantila nojal'accoramentoil furorela sfrenatezza d'ogni genere fecero ivitanto sperperoche in poco tempo la mortalità si manifestòpiù grande fra quei poveri a cui si era così provvedutoche non fosse stata nei dispersi e abbandonati. In alcuni giorni ilnumero dei morti in alcune camerette oltrepassò la decina.

IlTribunale della sanità rimostravaindefessamentetutta lacittà mormoravala confusione e la strage cresceva ognigiornola cosa era divenuta insopportabile a quelli che la facevanoa quelli per cui era fattai deputati non avevan più testa;si tenne consultae il partito il più savioil piùovvioil partito indeclinabile parve a tutti di disfare ciòche s'era fatto con tanta fiducia e con tanto apparato; il Lazzerettofu apertoe i poveri lasciati all'antica licenza di erraremendicando. S'affoltarono ai cancelli con un tripudio iracondo; unagioja furente e spensierata si dipingeva come a forza in queglisguardi foschi e mezzo estintisu quei tratti indurati nellaespressione del dolore: il sentimento della libertàracquistata suppliva in quel primo momento a tutte le speranzeatutti i bisogni.

Lacittà tornò a risuonare dell'antico clamorema piùinterrotto e più fievole; rivide quella turba più radama più ancora miserevolepiù sformatapiùorrenda per la diminuzione stessa; la quale faceva risovvenire adogni pensiero che dei tanti scomparsi nessuno era uscito da quellagramezza che per la morte.

Questofu nell'estate: il raccolto venne finalmente a salvare coloro neiquali l'inedia non era degenerata in morbo incurabile; la mortalitàsi andò a poco a poco scemando; quegli che erano statisospinti dalle necessità al mendicare ritornarono alle anticheloro occupazioni.

Sicominciava a respiraree i mali già consumati nel passatodivenivano un soggetto di commemorazione e di trattenimentograve sìma non senza qualche dolcezza pel pensiero di averli varcatinonsenza qualche fiducia di miglior tempoparendo agli uomini di avereesauriti in breve spazio i patimenti che avrebbero dovuto diffondersiin una lunga duratadi aver quasi pagata una gran parte di tributoanticipato alla sventura; quando nuovi mali richiamarono sul presentel'attenzione e il terrore di tutti.

Nonla guerra propriamente dettama un passaggio di truppepiùfunesto agli abitanti che nessuna guerra più accanitadesolòuna parte del Milanese; e condusse la peste dalla quale nessun angolodi quel paese fu salvo.

Ciconviene ora accennare brevemente le origini di tanta rovina.Vincenzo I Gonzaga duca di Mantova era morto nel 1612lasciando trefigli. Il primo Francesco morì nello stesso annoe non rimasedi lui che una figlia per nome Maria; Ferdinando che dopo di luitenne lo stato morì senza prole legittima nel 1626; VincenzoII l'ultimo dei fratelli gli succedette in età di 32 anni giàconsumato dagli stravizzjsenza speranza di prolee manifestamentevicino al sepolcro. Già molte ambizionimolte cupidigiemolti sospetti stavano all'erta aspettando ch'egli vi scendesse. Maegli aveva instituito erede per testamento Carlo Gonzaga Duca diNeversdel resto suo parente il più prossimo. E perassicurare l'effetto di questa disposizioneaveva segretamente fattoscrivere al Nevers che mandasse a Mantova il figliopur egli CarloDuca di Rethel affinché al momento che il Ducato verrebbe avacarepotesse pigliarne il possesso in nome del padre. Ma oltre ilDucato di Mantovadalla successione del quale erano per investituraescluse le femineVincenzo lasciava pur quello del Monferratoalqualepel complicatoconfusoincertovariamente applicabilediritto pubblico d'alloraMarianipote di Vincenzo poteva averqualche ragione. Per togliere ogni soggetto ed ogni pretesto didissensionipensò il Duca Vincenzoo chi pensava per luiadare quella Maria in moglie al Duca di Rethel che aveva fattochiamare. L'aspettato giovane arrivò che il Duca Vincenzo eraagli estremi: le nozze che questi aveva proposto si fecero nellanotte dopo il 25 Dicembre 1628mentre egli moriva.

Lamorte e il matrimonio terminano per lo più le tragedie e lecommedie del teatro; ma danno sovente principio alle tragedie e allecommedie della vita reale. Al mattino lo sposo comparve in grandeabito da luttoassunse il titolo di Principe di Mantovae padronedelle armi e della Cittadellafu senza difficoltàriconosciuto dagli abitanti. Ma v'era altri a questo mondo cheavevano qualche cosa da dire in quella faccenda.

LuigiXIII re di Franciao per dir meglio il Cardinale di Richelieusosteneva il Neversuomo d'origine italianama nato francese; anziaveva egli il cardinaleper mezzo di legati avuta gran parte neltestamento del Duca Vincenzo.

DonFilippo IVo per dir meglio il Duca d'Olivaresnon poteva patireche un principe francese venisse a stabilirsi in Italiae sostenevale pretensioni di Don Ferrante Gonzaga parente più lontano delDuca Vincenzo.

CarloEmmanuele Duca di Savoja aveva pure antiche pretensioni sulMonferrato; i Veneziani ai quali dava ombra la grande potenzaspagnuola in Italia favorivano il Duca di Rethel ma con trattaticonpromesse e con minacce; e Urbano VIII inclinato a quel Duca e sopratutto alla paceajutava come poteva queste due cause conraccomandazionie con proposte di accomodamenti.

Finalmentel'imperatore Ferdinando II pretendeva che il Duca di Nevers eredetrasversalenon aveva potuto senza il suo consenso impossessarsi difeudi dell'impero la successione ai quali era rivendicata da altri.Richiedeva quindi che il possesso degli stati fosse depositato pressodi luifinch'egli gli aggiudicasse per sentenzae citò ilDuca di Nevers con tutte le formalità allora in uso. V'eranopoi altre pretensioni secondarie e più intralciate chepassiamo sotto silenzio per non annojare il lettoreil qualecomincia forse a mormorare; e certamente non saprà abbastanzaapprezzare la fatica che facciamo per ristringere in brevi paroletutta questa parte di storia.

IlDuca d'Olivaresistigato continuamente dal Cordova governatore diMilanostrinse un trattato col Duca di Savoja contra il novello Ducadi Mantova. Questi si pose sulla difesasi venne alle maniCarloEmmanuele invase il Monferratoe Cordova pose l'assedio a Casale. IlDuca di Mantova stretto da due nemici potenti invocava gli amici; mai Veneziani non volevano muoversi se il re di Francia non mandava unesercito in Italiae il re di Francia o il Card. di Richelieueraimpegnato nell'assedio della Rocella. Presa questaparati o vinticerti intrighi imbrogliatissimi di Corteil re e il cardinales'affacciarono all'Italia con un esercitochiesero il passo al Ducadi Savoja; si trattònon si conchiusesi venne alle maniiFrancesi superaronoe acquistarono terrenosi trattò dinuovoil passo fu accordatoil re e il Cardinale s'avanzaronotrassero agli accordi il Cordova spaventatogli fecero levarel'assedio di Casalevi posero guernigione francesee tornarono acasa trionfantie accompagnati da due sonetti dell'Achillini. Ilprimoquello che comincia col famoso verso:

Sudateo fochi a preparar metalli

ètutto di lode; l'altro è di consiglio; perché la poesiaha sempre avuto questo nobile privilegio di ravvolgere avvisisapientissimie insegnamenti reconditi negli idoli lusinghieri dellafantasiae nella magica armonia dei numeri.

L'Achilliniconsigliava il re di Francia vincitore della Rocella e liberatore diCasale di tentare l'impresa del Santo Sepolcroné piùné meno. Però il Cardinale di Richelieu non ne fecenulla: convien dire che avesse altro in testa.

Mai Veneziani che allo scendere dei Francesis'erano dichiarati emossiistavano per legati e per lettere presso il Cardinale perchél'esercito da lui condotto non tornasse indietroe adducevano milleragioni per provare che non era da far conto su quei trattati; ma ilCardinale badò alla prosa dei Veneziani come ai versidell'Achillini. La guerra continuò infatti contra il Duca diMantova. Questi aveva fatte e andava facendo tutte le sommessioniimmaginabili all'imperatore affine di placarloe di piegarlo adaccordargli l'investitura. Ma Ferdinando stava fermo in esigere che iDucati fossero a lui ceduti in deposito; e irritato dalle ripulse delduca più che ammansato dalle sue riverenze; irritato di piùdell'aver questi domandato il soccorso francesestimolato dallacorte di Madridsi dichiarò anch'egli nemico del Duca diMantova.

L'esercitoAlemanno di circa trentasei mila uominiragunato sotto il comandodel Conte di Colaltoebbe ordine di portarsi all'impresa di Mantova:la vanguardia che già da qualche tempo aveva occupatoostilmente il paese de' Grigionisi diffuse per la Valtellinae ai20 di settembre entrò nello Stato di Milano.

Lamilizia a quei tempi era ancora in molte parti d'Europa composta ingran parte di venturieri che si ponevano al soldo di condottieri diprofessionei quali andavano poi coi loro drappelli al servizio diquesto o di quel principe. Oltre le paghe sulle quali non era da fareassegnamento certoquello che determinava gli uomini ad arruolarsiera la speranza del saccheggio e tutte le vaghezze della licenza.Disciplina generale non v'era in un esercitoné avrebbepotuto conciliarsi con le varie autorità private deicondottieri: e questiprima di tutto non si curavano di mantenereuna disciplina particolare nei loro reggimentiperché nonavevano per questa parte responsabilità verso nessuno; equand'anche alcuno di essi a cose pari avesse pur desiderato dicontenere i suoi soldati in un qualche rispetto per le proprietàe per le persone degli abitantiquesto disegno sarebbe stato per lopiù o contrario ai suoi interessio superiore alle sue forze.Perché soldati di quella sorte o si sarebbero rivoltatioavrebbero tosto deserte le bandiere di un comandante nemico dellaviolenza e del saccheggio. Oltre di che siccome i principi nelcomperare i soldati pensavano più ad averne in gran numero perassicurare le impreseche a proporzionare il numero alla lorofacoltà di pagarela quale era ordinariamente molto scarsacosì le paghe erano per lo più ritardate e mancanti; ele spoglie dei paesi dove passava l'esercito divenivano come unsupplemento tacitamente convenuto degli stipendj. Quindi i soldati diquel tempo e per le tendenze che gli avevano tratti a sceglierequella professionee per le abitudini di essa erano come unacollezione di tutte le nequizie che può dare la natura umananel suo maggior grado di pervertimento. Ma quelli che allorascendevano nel Milanese erano poi il più bel fiore di quellafarina; erano in gran parte gli stessi che guidati dall'atroceWallenstein avevano poco prima desolata la Germaniain quelleguerretanto impropriamente chiamate di religionepoichéqueste stesse masnade che avevano combattuto per la parte chepretestava di sostenere la religione cattolica erano composte inparte di Luterani.

L'annunziodella venuta di costoro portò il terrore nei distretti perdove avevano a passare: nelle altre parti si diceva: "poveragente! stanno freschi: chi sa come gli acconciano coloro! vedrete chenon lasceranno loro altro che gli occhi per piangere; sia lodato Dioche non passeranno per di qua". Ma chi sapeva che quell'esercitoportava la peste con sèe l'aveva già disseminata neiluoghi dove aveva stanziatosentiva qualche cosa di più cheuna fredda pietà per altrui. La maggior parte peròdegli abitanti del Milanese o non lo voleva credereo non se necuravao con quella fiducia senza motivi così stranae cosìcomunediceva: "Poh! che ha da venire la peste da noi?"

Colicosulle rive del lago di Como presso alla foce dell'Addafu la primaterra che toccarono quei demonj; edopo d'averla messa a saccol'arsero addiritturase per rabbia di non avervi trovato abbastanzabottinoo pel diletto di fare una baldorianon si sa. Di làsenza curarsi d'itinerario né di poste assegnatema guardandosolo dove fosse più da sperarsi bottinosi gettarono sopraBellanolieto paese sulle falde d'un monte e alla riva del lago. Gliabitanti ammoniti dall'esempio recente e dalla prossima ruina avevanoo nascoste sotterrao trasportate in fretta sui monti le cose piùpreziosee le più facili a trasportarsi; e molti di essis'erano appiattati lassùabbandonando le case. Con tanto piùdi furore v'entrarono quelle masnadee delle cose lasciatepreserotutto ciò che poteva loro servire e sperperarono ed arsero ilrestomobilibottitravi. Quegli che erano rimasti colla speranzadi preservare i loro averine videro la distruzioneviderol'abominevole sfrenatezzae per sopra più soggiacquero aglistrapazzialle percosse e alle ferite. Nè i campi all'intornofurono risparmiati; la vendemmiasomma speranza dei terrazzani inquell'anno calamitoso sparve in un momentocoll'uve furono sterpatele vitigli alberi abbattuti col fruttomolti casali incendiati.Appena cessavano di farsi udire le trombe che avevan sonata lapartenza d'un reggimentoun nuovo squillo dall'altra parteannunziava terribilmente l'arrivo di altra simileanzi peggiorebrigata. I sopravvegnentitrovando la distruzione dove avrebberovoluto portarlasi vendicavano su le cose e su le persone checapitavano loro alle manicome di un furto che fosse stato lorofatto: e tanta cupidigia frustrata tornava tutta in furore. Qualchememoria del guasto di quel paese ci rimane in alcune lettere diSigismondo Boldoni scrittore riputatissimo ai suoi tempie che forseavrebbe acquistato un nome più esteso e più autorevoleanche presso ai posteri se non fosse morto all'uscire dellagiovinezzae sopra tutto se quei pochi anni gli avesse vissuti in unsecoloin cui fosse stato possibile concepire nuove idee d'unaprecisione e d'una importanza perpetuae per esporletrovare quellostile che vive. Questi sulle prime non aveva voluto fuggiree partecercando di avere ad alloggio ufizialiparte chiamando soccorso disoldati italiani ivi stanziati era venuto a capo di preservare la suacasae di difenderla poi quando fu minacciata: e racconta agli amicii suoi pericolie gli altrui disastri. V'è pure in una diquelle sue lettere un tratto singolare che merita d'esser ricordato.Il tenente del colonnello Merodeil cui reggimento era venuto pelprimoentrato nel giardino di Sigismondoaccennò unboschettoe domandò che razza di piante fossero quellee chefrutto portassero. - Ahi barbaro! - pensòil Boldoni: - non conosce l'alloro- econchiuse fra sè che da tal gente non era da sperarsimisericordia.

Desolatoquel territoriole feroci locuste si gettarono nella Valsassina. Èun gruppo di montagne e di vallipaese poco visitato dal soleintersecato da torrentipetroso e selvatico negli accessima perentro rivestito in gran parte di ricchi pascolie più fertileche non l'annunzi il suo nome: ha varie terrequale sul pendioquale nel fondo a luogo a luogo assai vasto perché si possachiamarlo pianura: e sur alcuni monti più erbosi sono sparsebianche e picciole casetteche da lontano raffigurano quasi ungregge sbandato al pascolo. Non vi mancavano possessori agiatima lapiù parte degli abitanti erano e sono tuttavia mandriani iquali vi dimorano nelle stagioni più mitie passano al pianoi mesi più rigidi. La fama spaventosa della sorte di Bellanoprecedeva le truppee i valligiani s'erano presso che tuttirifuggiti sulle somme alture lasciando deposte sotterra presso lecase le loro ricchezzee cacciando dinanzi a sè le mandrieche sono la principale. Ma i saccheggiatoriai quali non bastavaquello che era stato loro abbandonato e a cui le arti dipreservazione degli abitanti avevano suggerite nuove arti di offesa edi depredazionesi diedero a rintracciarli. Quelli che erano statipiù lenti a fuggireo che furono sorpresi nei loronascondiglistrascinati giù pei greppi a minaccea percossericondotti nei villaggierano quivi sottoposti alle tortureche puòinventare la cupidigia più crudeleperché rivelasseroi tesori nascosti. Due passioni ben diversema egualmente potentil'avidità e il terrore supplivano alle convenzioni dellinguaggioe si spiegavano fra di loro in un rapido e terribiledialogo. I gemitile voci supplichevolile mani giunte al pettoostese al cielo non impetravano che nuovi strazj: l'infelice che siprostrava ad abbracciare le ginocchia dei suoi oppressorierarialzato a forza di percosse. Colui che aveva riposto sotterra odanaro o suppellettileo a cui il vicino per far pompa di previdenzae di sicurezza nei suoi ripieghi aveva confidato il luogo del suodepositosi stimava felice di avere con che acchetare quellaperversità; accennava premurosamentecon aria di sommessa equasi amichevole intelligenza ai soldati che lo seguisseroemostrava loro la terra di recente smossao l'armadio murato difresco; e cercava di sguizzare fra mezzo i saccheggiatori che ciechiper ingordigia si gettavano a gara sulla preda.

DallaValsassina il temporale discese nel territorio di Lecco.



Cap.II

Lecontingenze infelici della vita umana son tanteche non di radol'uomo oppresso da una sventurapuò consolarsi col pensierod'altro male o di peggioche senza quella sventura gli sarebbecapitato infallibilmente. Se la infame passione di Don Rodrigo nonfosse venuta a turbare i placidi destini di Fermo e di Luciaessidopo d'aver passato un anno d'inopiacontra la quale chi sa se leloro facoltà avrebbero bastatosi sarebbero ora trovatiprobabilmente con un bambinelloesposti nel loro paese a quellaorrenda furia militarecostretti a fuggire; e quando avesseroschivati tutti i pericoli della personatornando poi a casa nonv'avrebbero trovate che le muraglie e quelle mezzo diroccatee isegni perversi e luridi del sozzo torrente che v'era passato. Questiguaj sembrano ora leggieri al paragone di ciò che Lucia eFermo hanno sofferto in quella vece; ma allora non v'essendo ilparagonee non potendo essi nemmen per sogno immaginare comepossibili tutte le traversie che abbiamo narratequel minor malesarebbe ad essi paruto il colmo della infelicità. Comunquesiain mezzo a tanti mali fu una ventura per entrambi l'esserlontani da casa loro in quel brutto momento.

EAgnese? Agnese si trovava mò proprio nell'intrigo. "Vengono;hanno saccheggiata Cortenovahanno dato il fuoco a Primalunadisertato IntrobbioPasturoBarziosi sono veduti a Ballabiosonquison qui"; così la fama andava di momento in momentocrescendo e avvicinando il terrore. Alcuni di quei poveri valligianiche invece di rintanarsi sui monti dove forse non sarebbero statisicuriavevano stimata miglior via di fugaprecorrere il nemicogiungevano ansantispaventatiin disordinecome reliquie d'unesercito disfatto e inseguitoe raccontavano cose orribili dellacrudeltà dei soldatiprincipalmente contra coloro che fosseroo paressero opulenti. Agnese aveva ancora una ventina di quegli scudid'oro che il Conte del Sagrato le aveva donati così apropositoe quasi per ispirito di profezia. Che in quell'annosenzaquell'ajuto di costala poveretta sarebbe stata ridotta a morire distentoo a pitoccare disperatamente come tanti altri. Ma dopo d'aversentiti i vantaggi della ricchezzaAgnese ne provava ora tutte lecure e i terrori. È ben vero ch'ella aveva sempre dissimulataprudentemente quella ricchezzae il solo che fosse del segreto eraDon Abbondio che era stato testimonio del donoe al quale essaricorreva per fargli di tempo in tempo cambiare uno scudo in picciolamoneta. Ma una indiscrezione poteva avere tradito il segretoo unsospetto averlo indovinatoe allora il pericolo sarebbe statoterribilee la fuga mal sicura. Poiché era cosa nota che neiluoghi dove la soldatesca era già passatauominiai quali inverità non si saprebbe trovare un epitetoo per invidiaoper isperanza di premio avevano guidati quei masnadieri alnascondiglio di qualche lor paesano denarososegnandolo cosìallo spoglioed ai tormenti. Per queste ragioni Agnese fluttuava inun dubbio tempestoso: più voltevedendo passare qualchefrotta de' suoi paesani che tiravano verso i montis'era mossa permettersi in loro compagnia; e poi ristavapensando con raccapriccioai pericoli che l'asilo stesso poteva avere per lei. Ma dove trovarequello che le desse la sicurezza particolare di ch'ella avevabisogno? Maneggiando e rimaneggiando quegli scudi d'orosvolgendolie rincartocciandolitogliendoli di seno per riporveli megliolesovvenne di colui che glieli aveva datidelle sue profertedel suocastello posto al confine e in alto come il nido dell'aquila; e sifermò tosto nel pensiero di cercarsi l'asilo colà.Aveva già sotterratenascoste sul solajoriposte alla megliole masserizie più grosse; sbarrò come potè lefinestre; tolse un fardello dove aveva ragunato ciò che le sueforze bastavano a portare; ravvolse per l'ultima volta quegli scudid'oroe li cacciò sotto il bustotra la camicia e la pelleuscì di casachiuse la portapiù per non trascurareuna formalità che per fiducia che avesse in quei gangheri e inquelle impostesi mise la chiave in tascae s'avviò.Trovandosi così soletta in istrada pensò quanto lesarebbe stato prezioso un compagno in quel tragitto. Ma voleva essergalantuomogalantuomo a tutte provesuperiore ad ogni sospetto epiù forte d'ogni tentazione. - Dove trovarloanche questo? Il curato? Perché no? la casa parrocchiale èa pochi passi; tentiamo.

Chinon ha veduto Don Abbondio in quel giorno non ha una idea veradell'impaccio. I nemici che si avvicinavano erano i piùterribili che egli avesse mai avuti a frontee quelli contra cuierano più inutili tutte le sue armitutti i suoi stratagemmi.Non era gente da ammansarsi colla pieghevolezzae colla sommessionemolto meno da contenersi coll'autorità. Non v'era salute chenella fuga; ma primo di tutti a risolverla Don Abbondio era poirimasto indietro di molti per le difficoltà che trovava nellafuga stessae per le condizioni ch'egli vi aveva voluto porre.L'ertezza del cammino lo spaventavae questo spavento gli avevafatto perder qualche tempo a voler persuadere or l'uno or l'altro deisuoi parrocchiani che lo portassero in lettiga; ma in veritàquello non era momento da trovar lettighieri. Era pure andatopregando tutti quelli che avevano buone spalleche per amore delloro curato si caricassero delle sue masseriziedelle sueprovvigionianche dei suoi mobiliper portarli in alto e riporli insalvo; ma si era indirizzato ad uomini occupati a scegliere fra ipochi loro averi quello che si poteva trafugarelasciando con doloreil resto alle voglie dei ladri: e nessuno aveva spalle da allogare aDon Abbondio. Pensava finalmente a nascondere il tutto sul luogomala cosa era per sè difficilee il tempo stringeva. Di piùnon aveva ancora saputo scegliere un asiloe senza farne mostraeratormentato dallo stesso timore che Agnese. Girava il pover uomo perla casa tutto affannato e stralunatonon sapendo che farsise laprendeva quando col duca di Niverscome diceva egliche avrebbepotuto rimanersi in Francia e voleva a forza esser duca di Mantovaquando col duca di Savoja che voleva ingrandirsiquandocoll'imperatore che stava su certi puntiglie quando con Don Gonzalodi Cordova che non aveva saputo mandare quei diavoli per un'altrastrada. Bestemmiava ancor più la durezza dei suoi parrocchianiche non volevano dargli ajuto. - Oh che gente! -sclamava - che gente! ognuno pensa a sè! nonc'è carità! - Si faceva alla finestraechiamava quelli che passavano con una certa voce mezzo piagnolenteemezzo rimbrottevole. "Venite a dare una mano al vostro curatose avete viscere di misericordia; non siate così cani.Ajutatemi a portar via quei pochi stracciquei pochi stracci"ripetevaperché nessuno sospettasse ch'egli avesse cosepreziose da salvare. "Aspettatemiche venga anch'io con voi;aspettate almeno che siate quindici o ventitanto da potermiguardarech'io non sia abbandonato. Volete voi lasciarmi solo in mandei cani? Meritereste che il vostro parroco fosse spogliatoammazzato. Misericordia! Fermatevi dunque". - Eh!tiran di lungo. Oh che gente!

Bisognadire che Don Abbondio fosse ben accecato dalla paura per parlare aquel modo. Quegli a cui egli faceva quelle preghiere e queirimproveripassavano dinanzi alla sua casa curvi sotto il peso dellerobe loroquale trascinandosi dietro la sua vaccherellaqualetraendosi dietro i figli che a stento lo seguivanoe la donna cheportava quegli che non potevano camminarequale reggendo un vecchioo un infermo. Altri tornavano scarichi dal monte a raccogliere altremasseriziefinché reggessero le forzee lo permettesse ilpericolo. Alcuni di loro non rispondevano a Don Abbondioaltridiceva: "eh sì! s'ingegni anch'ella signor curato".- Oh povero me! oh che gente! - ripetevaegli. - Ognuno pensa a sè: ognuno pensa a sè;e a me nessuno vuol pensare.

Perbuona sorte Perpetua aveva conservato assai più sangue freddoe operava e dava consiglicome Catterina prima aveva fatto nel campoalle rive del Pruth quando Pietro stretto tra i Turchi e i Tartarinon trovando uscita né consiglioera caduto d'animononsapeva a che partito appigliarsie non aveva più energia cheper isfogarsi in querele e in rimproveri. Perpetua ben convinta chenon era da fare assegnamento sopra altriaveva fatto due fardelliuno per sèuno per Don Abbondio; e poi in fretta e in furiasparpagliava il resto delle masserizie nei bugigatti piùnascosti della casasul solajo sotto il pagliajodietro i tini.Quando questa faccenda fosse terminata alla meglioella avevaproposto di presentare a Don Abbondio il fardelletto destinato perluie d'intimargli di partiregiacché in quel momento eracosa evidente che il padrone non era in caso di governarsi e pel suomeglio bisognava comandargli. È però vero che Perpetuaaveva creduto di riconoscere una simile necessità in millealtri casiche a gran pezza non erano urgenti come il presente.

Inquesto frattempo sopravvenne Agnesee comunicata la sua risoluzionefece intendere a Don Abbondio ch'ella poteva essere opportuna ancheper lui.

"DitedavveroAgnese?" disse Don Abbondio.

"Èun buon pareresignor padrone"disse Perpetua: "andiamosenza perder tempo".

"Senzaperder tempo"disse Don Abbondio"perché costoropossono giungere da un momento all'altro. Ma saremo sicuri in casa diquel signore? Eh!"

"Andiamo"disse Perpetua"sicuri come in chiesa: gli parlerò io:siamo amici: è stato nella mia cucina quieto come un agnello:è diventato un uomo del Signore".

"Malenon me ne vorrà fare: che dite eh? sarebbe un peccato senzacostrutto: quelle poche volte che ho dovuto trovarmi con luisonosempre stato così compito! Andiamoma la mia povera roba!"

"Anch'ioho dovuto lasciar quasi tutto il poco fatto mioche sono una poveravedova"disse Agnese.

"Siafatta la volontà di Dio"disse Don Abbondio: e intantoPerpetua gli diede il fardellodicendo: "porti questoch'ioporto quest'altro".

"Ohpoveretto me!" disse Don Abbondio. "Che ci avete messo?"

"Camiciee abiti"rispose Perpetuaindi fattasi all'orecchio di DonAbbondiodomandò sotto voce: "i danari li ha in tasca?"

"Sìzitto zitto per amor del cielo"rispose Don Abbondioe preseil fardello. "Sentite Perpetua"riprese poi tosto almomento di partire: "tirate fuori qualche altro abito che Agnesefarà questo servizio al suo curato di portarlo".

"Manon vedeche ho preso con me tutto quello di mio che potevaportare?" disse Agnese.

"Ohme poveretto!" mormorò Don Abbondio"ognuno pensa asè. Andiamoandiamo. Perpetua chiudete bene la porta: allacustodia di Dio. Aspettate... ma no nopeggio: sono la metàLuterani! misericordia!"

DonAbbondio rispondeva così ad una proposizione che s'era fatta eche alla prima gli era paruta un bel trovato per preservare la casa.Voleva staccare dalla chiesa il quadro del Santo protettoreeaffiggerlo al di fuori su la portaper indicare che la casa erasacrae per fare in modo che non potesse essere intaccata che permezzo d'una profanazione: ma s'avvide tosto che quel mezzo di difesamolto debole per sè contra soldati avidi di rapinapoteva inquesto caso divenire una provocazione a far peggio: giacchéfra quei soldati v'era di molti ai quali uno sberleffo fattocoll'alabarda all'immagine d'un Santo sarebbe sembrato un'operameritoriauna espiazione anticipata del saccheggio.

Datauna occhiata lacrimosa alla casaDon Abbondio s'incamminòcolle due vecchie amazonie per tutta la via non fece altro chesospirarelagnarsi dell'abbandono in cui l'avevano lasciato i suoiparrocchianidomandare a Perpetua dove avesse riposta la tal cosa ela tal altrae se credeva che non le avrebbero trovate: enumeraretutte le ragioni per le quali il Conte sarebbe stato peggiore d'uncane se gli avesse fatto malee divisare dove si sarebbe potutocercare un asilo se quello a cui si andava fosse stato mal sicuro.

Giuntipresso al castello videro un gran movimentogente che andavagenteche venivauomini in arme appostatialtri che giravano in ronda atre a quattrotanto che Don Abbondio cominciò a scrollare ilcapo e a dire: "Che è questa faccenda?" Ma Perpetuagli spiegò tosto che quegli erano evidentemente uomini chevegliavano alla sicurezza del castelloe di quelli checome sivedevaandavano ivi a rifuggirsi.

"Ohimè!ohimè!" disse Don Abbondio: "vedo che qui si voglionfare delle pazzie; appunto quando più si vorrebbe stare zittirannicchiati senza né meno fiatarefarsi scorgere. Basta;vedremo: se fanno pazzie per tirarsi addosso la burrascadei montice n'èe i precipizj non mi fanno paura: quando si tratti disalvare la pelleho coraggio anch'io quanto chi che siaandrei inmezzo al fuoco".

Dettesotto voce queste parole Don Abbondio proseguiva lentamenteguardando con attenzione a quegli armatie cercando di comporre ilvolto alla indifferenzae di non lasciar trasparire il suo pensieroche diceva dentro: - Scommetterei che questo gradassoha caro che sia venuto un flagello così orribile per avere ilpretesto di fare un po' di rimescolamento. Oh che gente! Oh chegente!

Delresto le cose erano quivi come Perpetua le aveva immaginate. Alcastello del Conte era rimasta unita una antica opinione di sicurezzae di potenza; e i nuovi costumi del signore ne avevano cancellataaffatto l'idea di oppressione e di terrore; dimodoché la gentedel contorno dalla banda del Milanesevi accorreva come ad un asiloforte e pietoso nello stesso tempo. Il Conte lieto di esser unoggetto di fiducia a quei deboli che aveva tanto spaventati edoppressiraccolse tosto i primi che si presentarono. Ma un tal uomonon avrebbe potuto considerare la sua casa come un asilo disarmatoun nascondiglio di paurané starsi colle mani in mano quandoad ogni momento poteva presentarsi un'occasione di menarlesantamente. Fece addirittura tirar giù dal solajo le armiirrugginitele fece ripulire in frettane distribuì aiservitori. Quindi a misura che accorrevano fuggiaschieglitrasceglieva gli uomini capaci di portare le armidava loromoschetti e partigiane: quando la provvigione fu esauritane feceraccogliere all'intorno: e scompartiva gli uficj a quei nuovisoldati; altri mandava in rondaaltri più lontano peresplorarealtri stavano raccolti per porsi in difesa. Quando uno eraentrato nel castelloed era passato in rivista dal signoredivenivaverso lui come un soldato col suo antico ufiziale: tanto il Contepossedeva quella forte risolutezza che piega le volontàequella parola che toglie il pensiero di fare diversamente da quelloch'ella suona. Aveva allogate le donne e i fanciulli nelle stanze piùriposte; i letti erano pei vecchje per gl'infermi: una gran salaserviva di magazzino per le robe che erano portate su dai rifuggiti:tutto era collocato in ordinecon numeridei quali ilcorrispondente era dato ai padroni; ed alla porta della sala eraposto come un corpo di guardia; chi aveva portate provvigionivivevadi quellee i poveri erano nutriti dal Conte con razioni che sidistribuivano regolarmente come in un campo. Eglicome l'Ariostosognò di Carlo in Parigidi qua di lànon istava maifermo: dava ordinivisitava postimetteva a luogo quelli chearrivavanogovernava ogni cosa; e dove nascesse qualche garbuglioqualche contesasi mostravae tutto era finito.

Eraappunto su la porta quando giunsero i nostri pellegrini; gliriconobbe tutti e tree gli accolse tutti con pronta cordialità;ma alla madre di Lucia fece una accoglienza particolare nella qualetraspariva come una gratitudine perché ella gli desse ora unaoccasione di compensare alquanto in quello stesso castello laterribile ospitalità che vi aveva trovato la figlia. "Beneavete fattobrava donna"disse il Conte"di cercare quiun ricovero. Bene avete fatto di ricordarvi di me: fate stima diesser in casa vostra. Voi ci portate la benedizione".

"Ohappunto!" rispose Agnese: "sono venuta a darle incomodo".

IlConte le chiese con premura novelle di Luciae udite che le ebbesirivolse a Don Abbondioe disse: "La ringrazio Signor curatoch'ella degni scegliere un asilo in questa casa".

-Manco male che conosce i suoi meriti - pensòDon Abbondioe cominciò per rispondere: "In questifrangenti... in queste circostanze... non si... tutto è..."Ma vedendo che la frase così cominciata non poteva venire abenela convertì in un inchino profondo.

"Songià arrivati alla sua parrocchia coloro?" domandòil Conte.

"Dioliberi!" rispose Don Abbondio: "Dio liberi! Non sarei quivivo e sano ad implorare la protezione del Signor Conte".

"Sifaccia cuore"ripigliò questi: "qua su nonverranno; ma se volessero tentar la provasiamo pronti a riceverli.In ogni caso la sua presenza è preziosaSignor curato: ellapotrà animare questa brava gente alla difesa della vita ditanti debolidella pudicizia di tante donne che confidano in noi".

-Un corno- disse fra sè Don Abbondio.

"Ellapotrà"proseguì il Conte"assistere quellifra noi che lasciassero la vita in questa impresa di misericordia".

"SignorConte"disse Don Abbondio"sarà quel che Diovorrà". E così dicendo girava la testa a guardarequal fosse la più vicina e la più alta delle cime chedominavano il promontorio su cui era posto il castelloper fissarsiuno scampo dove in quel caso poter benedire i combattenti.

Nonrimaneva nel castello più che un letto libero; e fu datocom'era giustoa Don Abbondio prete e vecchio. Ma il Contememoredella notte che Lucia aveva quivi passatanon avrebbe potutosofferire che la madre di leidormisse su la paglia. Fece quindiportare il suo letto nel dormitorio delle donnee disporlo quivi perAgneseintimando ai servi che si guardassero bene dal dire chequello era il letto del padrone: e nella sua stanza fece in quellavece portare una bracciata di paglia.

Quindicigiorni circa passarono i nostri rifuggiti nel castello; quindicigiorni di batticuore e di sospettodi spauracchi subitaneie dirincoranti non è verodi vigiliedi allarmidipericoliche grazie al cielo tutti svanirono senza danno. Ilcastello era fuor di stradae quei pochi demonj di lanzichenecchisbandati che capitavano alle falde del promontorioveggendo su perla via uomini in armee non sapendo quanti più ve ne fosse inaltopiù curiosi allora di preda che di battagliase netornavanopel loro meglio. Oltracciò la parte dell'esercitoche nella marcia si diffondeva lungo l'estremo confine aveva uninteresse urgente di tenersi raccoltae all'ertae di nondisperdersi troppo a buscare. Sull'altro confine era raccolta unaforza dei Venezianila quale sotto il comando di Marco Giustinianiprovveditore all'armi in Bergamo era destinata a costeggiarel'esercito alemanno per tutto quel tratto del suo passaggio chetoccasse i confini della Repubblica; e a questa forza avevano datonome di Squadrone volante. Alla presenza di questi che certo nonerano amicie che vedendo un bel trattopotevano far da nemicibisognava camminare con giudizio; e questa fu principalmente lacagione per cui il castello non fu molestato.

Maanche questa che in fatto era salutefu pel volgo inerme che vi eraricoveratoe per Don Abbondio principalmente un aumentod'inquietudine. Poichése il confine veneto fosse statosguernitoDon Abbondio certamente l'avrebbe varcatoe sarebbeandato innanzi fino a che non avesse più inteso parlare dilanzichenecchi. Ma ora il poveretto non aveva più rifugio:l'accesso ai montioltre la faticaera pieno di pericolipeipredoni che potevano trovarsi su la via: e attraversare lo Squadronevolante sarebbe stato lo stesso che correre in bocca al lupo: giacchéquella era una marmaglia ragunaticcia d'uomini tagliati a un dipressoalla misura dei lanzichenecchi; e nel paese che le era dato aproteggere faceva il peggio che poteva.

Ognunopuò immaginarsi come il povero Don Abbondio passasse queiquindici giorni. Stavasi colle donne coi vecchj e coi fanciulli nelluogo più riposto del castello: di tempo in tempo la paura locacciava fuori a domandar novellee rare erano quelle che nonaccrescessero lo spavento. L'aspetto dell'armidei preparativi didifesa da una parte lo rincorava alquantodall'altra gli eraintolerabile facendogli immaginare tutte quelle bagattelle inmovimento a far carne. Si percoteva il petto e le guance pensandoalla minchioneria che aveva fatta. - Mi son messo ingabbia da me stesso- diceva tra sèsospirando. - Oh che bestia! mi sono lasciato condurreda due pettegole. - E in questo pensiero s'infuriavatanto che più d'una volta tirò da parte Perpetua perisfogarsi in improperj contra di essa. Ma quando Perpetuagiustificandosi alzava la voceDon Abbondio la faceva tacereecessava di garrire anch'egli tutto impaurito che non nascesse qualchescandaloe il Conte tornando all'antica natura non facesse ildiavolo. Don Abbondio sedeva alla tavola del Conteche inquell'accampamento era come la tavola dello stato maggiore: v'erano isignori del contorno che facevano da ufizialile signoree qualcheprete. La tavola era lieta: il Conteda buon generalemetteva incampo e intratteneva discorsi atti ad ispirare risoluzionearavvicinare gli animia mettere i pensieri in comuneperchéi pensieri solitarj sono più vicini allo scoraggiamento.Bisognava dunque parlaree rideree si rideva; ma per Don Abbondioera un supplizio: e quando il Conte gli rivolgeva in particolare ildiscorso per animarlo un pochettoegli allora sforzandosi dimangiare e di riderefaceva in una volta due smorfie che gli davanouna figura veramente compassionevole.

Matutte le cose hanno finalmente un termine: passano i cavalli diWallensteinpassano i fanti di Merodepassano i cavalli d'Anhaltpassano i fanti di Brandeburgoe poi i cavalli di Montecuccoliepoi quelli di Ferraripassa Altringerpassa FurstenbergpassaColloredopassano i Croati; quando piacque al cielopassòanche Galasso che fu l'ultimo. Lo squadrone volante dei Veneziani simosse anch'esso per tener dietro al movimento dell'esercito alemannosu la riva opposta dell'Addafin dove ella era confine fra i duestatie portarsi poi sull'Oglio a fare la stessa processione. Quandole due retroguardie furono distanti una giornata dal castellogliospiti ne uscirono come uno stormo di passere si sparpagliaall'intorno dai palchi aerei e fronzuti d'una gran quercia dove eranoaccorse a ricoverarsi dalla tempesta. Don Abbondio avrebbe volutogittarsi d'un volo al suo nidoper mirar tosto cogli occhi proprj ilsuo doloree il guasto che v'era stato fattoe nello stesso tempoperché i barberinivedendo la casa abbandonatanon venisseroa portar via quello che i barbari avevan potuto lasciare. E poiperquanto il Conte avesse dato segni e prove d'esser divenuto ungalantuomoDon Abbondio non l'aveva potuto guardar mai in voltosenza ricordarsi dell'uomo brusco che era stato altre voltee nonistava con lui di buon animomassime in picciola brigata. Madall'altra parte lo riteneva la paura di abbattersi in qualchelanzichenecco sbandatorimasto addietro alla buscae di affogare inporto. Era quindi sempre su le mossesempre s'indugiavadomandandonovelle dei contorni a tutti coloro che giungevano al castello; e lenovelle erano dolorose. Quei pochi rimasti colla speranza di guardarle caseo discesi troppo prestoerano trovati sbigottitistorditidalle percosse e dallo spavento: ogni arredoogni masseriziasparitae in quella vece nelle caseun impatto di strametizzonidi mobili arsigreppi di stovigliesfracellate per istrazio dopoavervi bevuto il vino rubatoschifezze d'ogni genereun tanfo chetoglieva il respiro; dimodoché ognuno tornando con ansia allacasa derelittane usciva alla prima con fastidioe doveva farsiforza a poco a poco per rientrarvi a renderla di nuovo abitabile. Inqualche luogo il padrone avanzando così per la casa suaudivaun gemito; guardava con sospetto che fosse: era un soldato chelanguiva infermoche spirava: e il padrone ristava a quellospettacolo con un senso misto di ribrezzo e di pietàdirancore e di spaventoscorgendo nel volto lividonelle membramacchiate del giacente l'immagine confusa ma terribile della pesteche fino allora forse egli aveva sprezzata come un sogno lontano.

IlConte argomentando da queste relazioni che Agnese se si fosseaffrettata di tornarenon avrebbe però trovato nulla daguardarela ritenne per due o tre giorni; e intanto raccolse diquello che gli rimanevaun po' di provvigionefece mettere insiemeun po' di biancheriaqualche mobilequalche attrezzo di cucinaecaricatone un barocciovolle che Agnese partisse su quello conquella poca scortae la fece accompagnare da due suoi tarchiatiserviordinando loro che ajutassero la povera donna a ripulire lasua casa. Agnese partì dopo molte ripulse cerimoniose e millerendimenti di graziee Don Abbondio e Perpetua le andarono incompagnia.

Lastrada fu trista per lo spettacolo continuo della distruzioneedella disperazione; ma la giunta fu più trista ancora. Allaesclamazione cento volte ripetuta di "povera gente"succedette il "povero me": parola che generalmente parlandoesce da una parte più profonda.

Cogliajuti del ConteAgnese potè quel primo giorno spazzare il suopovero abituroricogliere qualche masserizia sparsa qua e lànell'orto e nel camposcavare ciò che aveva deposto sotterra;e tra con questi rimasuglie con quel di più che il Conte leaveva dato appressoallogarsi in casa se non come primaalmeno inmodo da poterci stare passabilmenteanzi da eccitare l'invidia deisuoi paesani. Ma il povero Don Abbondio questa volta ebbe campo eragione più che mai di sclamare: "oh che gente! oh chegente!" La sua casa era la più mal trattata delvillaggioperché era la più apparente; e gli ospitieroi sospettando che ci dovesse esser più che altrovericchezza nascostavi avevano impiegato più ostinate cure ametter tutto sossopra. Il sospetto non era mal fondatoné lecure erano state inutili: e Perpetua mettendo il piede su la sogliatra mezzo i mobili spezzatii fogli laceratie le piume delle suegallinescerse tosto con raccapriccio frantumi e brani di quellecose ch'ella pensava aver meglio appiattate; e dovette confessare chei lanzichenecchi avevan più ingegno a scovarech'ella nonavesse a nascondere. Don Abbondiospinto innanzi dall'ansia divedere i fatti suoie rispinto dal ribrezzo e dall'orroremettevail capo alla porta d'una stanzae lo ritraevadava tre passieristava. Quale spettacolo! Ogni stanza oltre il guasto chepresentavadava tosto l'idea del guasto generale; i segni d'un vastosaccheggio erano ristretti in un picciolo angolocome ideesottintese in un periodo scritto da un uomo di garbo. Sul focolaredella cucina per esempio si vedevano più tizzoni spentiiquali accennavano ancora d'essere stati un bracciuolo di seggiolailpiede d'un trespoloun'imposta d'armadiouna doga del botticinodove Don Abbondio teneva il vino che per una lunga esperienza avevariconosciuto il migliore amico del suo stomaco. Di questi e di tantialtri mobili non restavano che rottamiun po' di ceneree dicarboni spenti; e con quei carbonicome per compensoe per uncomplimento al padronei guastatori avevano schiccherate le paretidi visacciingegnandosi con berretti quadri e altre divise diraffigurarne dei pretie studiandosi di farli orribili e ridicolosi;intento che per verità non poteva fallire a tali artisti.

DonAbbondio mettendosi le mani in que' due suoi ciuffetti grigj su letempiebalzò di casa come un forsennatoe andò diporta in porta a gagnolarea scongiurare quegli che tornati daqualche giorno avevano assestate alla meglio le case lorochevenissero a dare un po' di governo alla sua; e nello stesso viaggioguardava anche chi fosse più fornito di roba salvata dallarapinae accattava in prestito da chi una pancada chi una coltreda chi un piattoda chi una pentola; tanto che cogli ajuti e con leprestanze potè accamparsi quel giorno in casa perriconquistarla e riordinarla poi tutta a poco a poco. Passati queiprimi giornie nel tempo appunto delle brighe e delle speseDonAbbondio ebbe con se stesso e con Perpetua una guerra assaifastidiosa. Perpetuaparte con la sua vista acuta come il fiuto d'unbraccoparte con la sua abilità a far ciarlare la gentescoperse che molte masserizie del suo padrone non erano giàstate sciupate dai barbarima erano sane e salve in paese nelle manidei barberini; ne fece tosto avvertito Don Abbondioperché sifacesse rendere il suo. Ma Don Abbondio non voleva sentir toccarequesta corda: non già che non gli spiacesse assai vedersi cosìrubato a man salvae sapere il fatto suo in mano d'altri: ma quegliche se lo tenevano erano i più terribili e bizzarri arieti delsuo gregge: quegli dai quali Don Abbondio aveva sempre sofferto ognicosa piuttosto che provocarli al cozzoche aveva sempre accarezzatie lodati come i più savj ed esemplari. Sicché sopra ilrovello e il danno aveva egli a tollerare anche le baruffe conPerpetuae di queste baruffe ve n'era una tutte le volte che DonAbbondio si lagnava di qualche mancanzadomandava qualcheduno diquegli utensili che altri aveva fatti suoi.

"Vadaa cercarlo al tale che lo ha"diceva Perpetua"e che nonlo avrebbe tenuto fino a quest'ora se non avesse che fare con un...buon uomo".

"Zittozitto Perpetuazitto".

"Zittozitto"rispondeva Perpetua: "e così ella silascerebbe mangiar gli occhi del capo. Rubare agli altri èpeccatoma a lei è peccato non rubare".

"Ohche spropositi! oh che spropositi!" sclamava Don Abbondio. "Masapete pure... Col nome del cielo... volete la mia morte!..."

Labaruffa andava talvolta in lungoma Don Abbondio rimaneva semprevincitoreperché quando si trattava di pauraegli mostravauna risoluzione e una virtù tale che Perpetua sentiva di nonpoter competeree taceva la prima. Tutto quello che fece DonAbbondiofu di gittare in predica qualche motto sul dovere direstituire e su la trista sorte di chi va all'altro mondo caricodell'altrui; ma lo diceva con certe perifrasicon un riserboconuna delicatezza da fare onore ad un predicatore di corte. E pureappena quelle parole erano uscitegli pareva che fossero statetroppe e troppo arditee per riparare un qualche brutto effetto chene potesse venirepassava tosto a parlare dell'irae dellamansuetudinee del gran male che è l'infierire contra quelliche non vogliono né possono far difesa.

Mafra mezzo alle cure del passato cominciava a nascere una che dovevatutte sommergerle: si cominciava a sentire che i disastri manifesti esoli fino allora deplorati di quel passaggionon erano i soli néi più terribili. In tutta quella striscia del Milanese che lasoldatesca aveva attraversatasi videro tutt'ad un tratto uominid'ogni età e d'ogni sesso infermarsi e cadere come mosche dopouna pioggia autunnale. I segni che accompagnavano quella infermitàerano sconosciuti a quasi tutta la generazione vivente: solo alcunivecchionicon parole ravvolte e sospettose accennavano di averveduti quei segni altra volta. Erano i pochi i quali potesseroricordarsi d'essere vissuti nella peste che cinquantatrè anniprima aveva desolata una parte d'Italiae specialmente il Milanesedove a distinguerla da altre simili calamità fu poi chiamatae lo è tuttavia: la peste di San Carlo. Tanto è fortela carità religiosa! Tra le memorie così varie e cosìsolenni d'un disastro universaleella può far primeggiarequella d'un uomoperché a quest'uomo ha ispirato sentimentied azioni più memorabili ancora dei mali: può riunire esubordinare alla memoria di lui tutti gli avvenimentiperchéin tutti lo ha spinto ed intromesso a parte dei patimentiin capodei soccorsiesempioconsigliovittima volontaria; di ciòche per tutti è una sventura fare per lui come un'impresa; farch'essa prenda il nome da luicome una provincia da un suoconquistatore.

Iltribunale della sanità in Milano era composto d'un presidentee di sei conservatoriquattro dei quali tolti da magistraturediversee due medici: questi ultimi erano allora Lodovico Settalaequell'Alessandro Tadinogià da noi citatoe che lo saràancor più in seguito. Il primoquasi ottuagenarioera unodei pochi testimonj viventi della peste di San Carlo; nétestimonio puramente passivo; mafisico fin d'allora molto riputatobenché giovanissimone era stato uno dei piùaffaccendati e intrepidi curatori. Questiche stava all'ertaerichiedeva avvisi dalle terre che l'esercito aveva toccateebbe infatti i primi della mortalità; e fu il primo a riferire neltribunale che la peste s'era manifestata nel territorio di Lecco.Sopraggiunsero poi altri avvisi: il tribunale spedì uncommissario perché osservasse e facesse relazione: questi incompagnia d'un medico di Comovisitò alcuni dei luoghiindicati; raccolse informazioni superficiali e contradditorie;credette a quelle che attribuivano la mortalità ad un solitoeffetto dell'autunno in quei luoghie rassicurò il tribunale.Ma ecco giungere avvisi da altri luoghi al tribunaleil qualefinalmente delegò due commissarj ad una visita generale deipaesi sospetti; Alessandro Tadinoe Giovanni Visconti Auditore.Quando questi arrivaronoil male s'era già tanto dilatatoche le prove si offerivano senza ch'essi le andassero cercando.Trovarono le villequale sbarrata per timore del contagio vicinoquale mezzo abbandonata; famiglie accampate o dispersegiàpiangenti la morte di qualche congiuntoe tremanti per la propriasalute: s'inchiesero del numero dei mortied era terribile;visitarono gl'infermi e i cadaverie rinvennero i segni chetremavano di rinvenire: assunsero informazioniriseppero che ivi piùpresto s'era manifestato il maledove i soldati avevano stanziatopiù a lungoo in più gran numero; che i primi percossierano stati quelli che avevano spogliati i morti per appropriarsi levestimentao che avevan comperata dai rimasti indietro qualche robatolta ai loro paesanio che in qualunque modo avevano avuto contattocon quegli ospiti. Riscrissero quindi al tribunale che i sospettierano divenuti una dolorosa certezza; e nello stesso tempo diederoquegli ordini che seppero per curare gl'infermie preservare i nontocchifacendo tagliare straderinchiudere altri nelle casealtriattendare alla campagnafissando provvigioni ad un paeselasciandoistruzioni in un altropiantando in un altro la forca peidisobbedienti; il tutto in fretta e in furia come si poteva in queitempiin quelle circostanzeda quegli uomini sopra quegli uomini.La nuova si diffuse tosto nella cittàe vi fu accolta conbeffe incredulee con disprezzo iracondoe dal popolo e dallamaggior parte di coloro che avrebbero potuto e dovuto dareprovvedimenti in tanto pericolo. Bisogna però eccettuareespressamente il cardinal Federigoil quale ai primi romori dipesteprescrisse al clero regolamenti di preservazionee di caritàe ingiunse ai parrochi specialmente che ammonissero i fedeli delgrave peccato che avrebbe commesso chi per tema di danno o d'incomodooccultasse il suo o l'altrui morbo contagiosoo per insensataavarizia trafugasse vestimenta o cose di qualunque genere infette osospette.



Cap.III

Ilgiorno 22 d'ottobre di quell'anno 1629Pietro Antonio Lovatofantein un reggimento italiano alloggiato nel territorio di Leccoentròin Milanocarico di vesti rubate o comperate dai soldati alemanni; eandò a porsi in una casa di suoi parenti nel borgo di PortaOrientale. Appena giunto s'ammalò; fu portato allo spedale: emorì nel quarto giorno. Nel cadavero si scoperse un carboneche diede sospetto di peste; i parenti del mortospaventatidall'idea di divenire sospetti anch'essie di essere assoggettatialle precauzioni sanitarieaccorsero ad asseverare che quel tumoreera stato cagionato dalla fatica del viaggio e della soma. Tuttaviagli abiti del Lovato e il letto dov'era giaciuto furono arsi nellospedale; ma non si pensò a più lontani provvedimenti.Tre giorni dopodue serventi dello spedaleche avevano governatoquell'infermoe un buon frate che lo aveva assistitosi posero giùcon febbreche fu giudicata pestilente.

Allorail tribunale della sanità fece sequestrare la famiglia delLovato dalle molte altre famiglieche abitavano nella stessa casa.Quest'ordine fu dato per abbondare in cautelaa quel che lasciòscritto il Tadino; ma se la cautela fu abbondantecerto non fu atempo; poiché egli stesso racconta come un Carlo Colonnasonatore di liutoche dimorava sotto quel tettos'ammalò bentostoe visitato da luimorì in breve spazio con tutti isegnali del contagio.

Tuttigl'inquilini di quella casa furono allora mandati al lazzeretto. Madall'arrivo del Lovato erano già corsi forse venticinquegiorninei quali i parentii vicini che avevano praticato con luiavevano praticato pure con altri senza sospetto e senza riguardo.Furono ricercate tutte le robe del Lovato e del Colonna; e fatteardere quelle che si poterono rinvenire. Ma una parte era statatrafugatadispersanascostacon quella destrezzacon quelladiligenza che tutti noi figli d'Adamo sappiamo mettere nel far male anoi stessi. I conservatori della sanità lo riseppero da unadonna che si moriva per avere avuto di quella abilità; e nonpoterono fare altro che concepire un gran sospetto per l'avvenire.Ben presto ogni più tristo sospetto cominciò adavverarsi: la più parte dei sequestrati nel lazzerettos'infermaronoe tutti coi medesimi tremendi segnali; e molti di essimorivano in poco d'ora. Lo stesso accadeva di quando in quando invarj quartieri della cittào per comunicazioni avute collagente di quella casa funestao per nuovo arrivare d'uomini dalleparti del contado dove la peste era più diffusa. Ma le nuovedi quegli accidenti giungevano al tribunaletarde per lo piùincertecontraddette. Il terrore del lazzeretto aguzzava tuttigl'ingegnie faceva sormontare ogni altro terrore: si dissimulavanogli ammalatisi occultavano i cadaverisi procuravano falseattestazioni. Quegli poi che avevano ottenuto l'intento di evitare illazzerettoo la quarantena in casae di conservare le robe deicongiunti o degli ospiti lorocadevano poi talvolta repentinamentenelle vienelle chiese soprappresi dalla pestee manifestavano inse stessi il malore che insensatamente avevano voluto nascondere inaltri. Il tribunale avvertitofaceva portare gl'infermi e i sospettial lazzerettoe sequestrare gli altri nelle case.

Malo schiamazzare che si faceva contra quel tribunale non è dadirsi: i suoi atti erano oggetto di amara censura e di derisione; lepersone oggetto di avversione e di disprezzo. A volerlo ora dopo duesecoligiudicare con discrezionebisogna vedere ciò ch'essopoteva fare per distornare la pesteo per diminuirne il guasto; eciò che fece. Oraprima di tutto è cosa troppoevidente che il tribunale della sanità non poteva impedire cheentrasse la peste nello statoquando v'entrava un esercito nel qualeera appiccata. Fin da quando si seppe che la calata di questoesercito era risolutaquei poveri galantuomini- equesto fu veramente un abbondare in cautela - rappresentaronoal Signor Don Fernando Gonzales di Cordova la rovina cheinfallibilmente ne sarebbe venuta al paese: ma Don Fernando Gonzalesdi Cordova rispose chiaramente che il fine politico per cui si facevapassare quella truppaimportava più che non la sanitàpubblica. Non parlò dunque con esattezza quel valentuomoilquale in un librettoper altro lodevolissimoricercando le cagioniper cui quella peste fu tanto micidiale in Lombardianota per laprima "una somma spensieratezza nel lasciare indolentementeentrare nella patria la pestilenza": e fa nascere questaspensieratezza "dalla ignoranza e dalla sicurezza nei loroerroriche formò il carattere dei nostri avi". La non fuspensieratezza; fu posponimento volontarioabbandono pensato dellasalute degli uomini; e quelli che lo commisero non sono nostri avi. Aciascheduno quel che gli si viene.

Madata questa inevitabile ospitalità ad appestatipoteva iltribunale impedire ogni contatto dei paesani con quelli? Qui purel'impossibilità è manifesta: poiché si trattavadi migliaja d'uomini che violentemente si ponevano nelle caseoccupavano i lettiprendevanoadoperavanobrancicavanomalmenavano le cose e le persone che potevano aver nelle mani.

Entratocosì il contagio negli abitantipoteva il tribunalecircoscriverlo tosto a quei primi infettiisolarlocostringerlo neiluoghi dove si manifestavaottenere quei due scopi egualmente sacrie tanto difficili a conciliarsil'assistenza agli infermie lapreservazione dei sani? Quando si consideri che i soldati avevanopercorse forse cento cinquanta miglia del Milanesee s'erano diffusia destra e a sinistra per trovare alloggiamentie per rapinare; chein varie parti di quel tratto la pestilenza si manifestò ad unpuntoin moltissime personesi vedrà che anche quest'ultimoscopo era se non impossibiledifficilissimo ad ottenersi daltribunalequand'anche questo avesse avuti a sua disposizione mezzigrandissimie avesse trovata da per tutto una prontaattivaesapiente cooperazione; del che non era niente.

Maper conchiudere finalmenteadoperò il tribunale tosto o tentòtutti quei mezzi che aveva se non per distruggerese non per ridurrea pocoalmeno per iscemare in qualche parte il contagioe persalvare i paesi non ancor tocchi? Qui bisogna distinguere fra lepersone stesse del tribunale.

Idue mediciconvinti dal primo momento della gravità delpericoloinsistettero tosto e sempre perché si dessero prontiprovvedimenti; ma non furono secondati dai loro colleghi. Proposeroper esempio che fosse proibito sotto pene severissimeil comperarrobe dai soldati alemanni; "ma"dice ingenuamente ilTadino"non fu possibile persuaderlo al presidente pieno dimolta bontàche non poteva credere dovesse succedere incontridi morte di tante migliaja di personeper il commercio di questagente e loro robbe". Così l'avere a quel primo avviso delSettalaanzi dopo gli iterati avvisi che giungevano dal territoriodi Leccospedito un ignorante commissariocol solo carico diriferirefu atto di trascuranza inescusabile; per non parlare dimolti altri atti di egual valore. Certo una condotta simile in similicircostanze d'un tribunale della sanità ai nostri giorniecciterebbe uno scandalo universale; o per meglio dire non vi sarebbeora forse in Europa tribunale della sanità che operasse a quelmodo.

Ma- e qui appare il carattere singolare di quei tempi -non erano queste le accuse che gli uomini d'allora facevanoal tribunale; lo accusavanoindovinate mò; di corrivitàe di precipitazionelo accusavano di credere pazzamente ad un maleche non esistevadi atterriredi contristaredi tormentare conordini inutilmente i cittadini. Dopo tante calamitàparlareanche di peste pareva un raffinamento di crudeltà; il popolobene o mal vestito gridava ad una voce che quell'orrendo sospetto erauna invenzione di alcuni medici per guadagnare sul pubblico terrore.Molti fra i medici stessifacendo eco alla voce del popolola qualein questo caso - se è lecito fare una eccezionead un proverbio - non era certamente voce di Dioridevano al nome di pesteattribuivano la mortalità ai disagjdegli anni scorsied avevano in pronto molti nomi per qualificarevariamente gli accidenti di quel male nelle varie persone; quandoqualche infermorimovendo tristamente la coltremostrava loro untumore che gli dava da pensareessi sogghignando gli domandavano senon aveva mai veduto foruncoli; quando si parlava di taluno estintorepentinamenteo dopo brevissimo languoredomandavano se non sierano mai conosciute apoplessie. Con una disposizione universale diquesto generegli ordini del tribunale dovevano incontrare da pertutto ostacoliresistenzeinesecuzione. Così era in fatti; eper immaginarsi a qual segnobasti sapere che gli ufiziali stessidel tribunalequelli che dovevano fare eseguire gli ordinieranocome l'universale convinti che fossero pazzie. Come però eranoordiniche davano ad essi una autoritàe ordini spiacenti achiunque vi si doveva assoggettareuna gran parte di quegli ufizialifaceva un traffico della inesecuzione.

Eravenuto il carnevale; e agli animi avidi di tripudio diveniva ancorpiù insopportabile la tirannia del tribunale che per unsupposto ostinatoper un suo capriccio vi poneva inciampo in millemodi. Non consta veramente che giungesse all'eccesso di proibire lemascherate; ma faceva far visite incessantima prescrivevasequestrima separava gente da gentema non rifiniva di tappezzaregli angoli delle vie di ordini minacciosimalinconicima insommavoleva intrudere a forza quella idea di peste in tuttoamareggiava eteneva su la corda ogni galantuomo. Più ancora fremevanocoloro che come sospetti erano rinchiusi nel lazzeretto; eripensavano tristamente ai divertimenti dai quali erano tenuti inbando; si rodevano di non poterecome i loro concittadinigettarealle finestrealle carrozze delle signore uova industriosamenteripiene di acqua odorosa o fetidasecondo il genio leggiadro ospiritoso del dilettante: sollazzo renduto più piccante daldivieto annuoe dalla destrezza che si doveva impiegare a far lecose in modo da non esser sorpresie da schifare la multa diventicinque scudi se il reo era un galantuomoe due tratti di cordase scarseggiava di scudi. Pensarono dunque al modo di divertirsialmeno in quel tristo ricinto; e con danari ottennero facilmente daiministri del tribunaledi confondersi e di praticare liberamente fraloro; ottennero di più che si desse adito nel lazzeretto a chivoleva venire a rallegrarli: vi si fecero feste e balli: la licenzafu tanto più sfrenata in quanto aveva costato desiderjedenari: e quel luogo che in verità pare dovesse ispiraretutt'altri pensieridivenne un ridotto di tresche romorosee disozzi baccani.

Similmentemolti in casa di cui moriva uno appestato con denaro ottenevano daiministri del tribunale che la casa non fosse dichiarata sospettaottenevano di poter sottrarre all'incendio prescritto dagli ordini lerobe del defunto. Vedendo poi molti di costoro che guadagnoritraevano dalla loro condiscendenzapensarono a farla comperareanche a chi non ne aveva bisogno; e quel traffico tanto insensato ecolpevole si cangiò di più in concussione. Minacciavanoessi del lazzeretto o della quarantena famiglie dove era mortoqualchedunoquantunque con nessun indizio di pestee per altro malemanifesto; prolungavano ad arbitrio le quaranteneintimavano laqualità di sospettie le conseguenze di questa qualitàcoi più vani pretesti a chi conveniva loro; e il solo mezzod'uscire da quegli artigli era di ugnerlicome si dice.

Questevessazioni crescevano il malcontento e i clamori: di tutto si davacagione al tribunalee alla opinione che vi fosse la peste; giacchétolta questa opinione sarebbero necessariamente cessati colleprescrizioni di cautelagl'incomodi e gli abusi di quelle. Ormai chiavesse voluto parlar seriamente di peste sarebbe stato accolto nonpiù con risatema con minacce e con insulti: quei medicichelo ardivano erano nominatinotatimostrati a dito come pubblicinemici.

Sail cielo quante quei poveri galantuomini avranno dovuto ingozzarne;le quali sono sepolte nell'obblio con chi le ha fatte e con chi le hapatite. Uno di quei casi però parve ai contemporanei degnod'esser tramandato ai posteri; e in servizio di quei posteri cheforse non l'avessero mai intesolo racconteremo di nuovo anche noi.

LudovicoSettala era generalmente riputato il primo medico del suo tempo inLombardia; e questa riputazione gli è conservata tuttora dacoloro che sono in caso d'avere una opinione ragionata su questofatto. Oltre questa superiorità di dottrinaera eglicelebrato e venerato per bontà di costumiper uno grande zeloe un gran disinteresse e beneficenza nell'esercizio della suaprofessione. Vecchio venerabileautore di molte opere la piùparte latinelodato dagli esteriuomo che per amore del luogonatale aveva rifiutati gl'inviti splendidi del duca di Bavieradelgranduca di Toscanadel cardinal legato di Bolognadei signorivenezianiprotofisicolettore di filosofiaegli avrebbe potutoslanciare impunementeanzi con applauso qualunque sproposito. Maegli abusò di tanta popolarità; volle dire una cosaverache importava a tuttie che nessuno voleva intendere; e ne fuseveramente punito. La popolarità e il favore si cangiòin avversione. Egliil primo a denunziare la pesteaveva semprepersistito nel proporre provvedimentiaveva messa ogni cura nelfarli eseguiree più sicuro degli altri per una lungaabitudine di autorità aveva sempre predicato in ogni occasionee con chi che sia che pur troppo il male era certoe che l'ostinarsia negarlonon poteva fare altro che dargli più campo adilatarsi. Un giorno sul finire del Marzo 1630appunto quando ilcontagio che aveva lentamente serpeggiato nel vernocominciava amostrarsi più frequenteessendo il buon vecchio portato inlettiga a visitare suoi malaticominciarono alcuni del popolo aseguirlo nella viaa mostrarlo agli altria sussurrargli intorno.Si fece follae allora si cominciò a gridare piùchiaramente: "è il capo della lega: è quegli chevorrebbe che ci fosse la peste: per sostenere il suo puntiglio: perfar lavorare i suoi medici impostori. Uh! Uh! È quegli chemette la paura in corpo alla gente con quel suo cipiglio aggrondatocon quella sua barbaccia. L'amico della peste: il protettore delcontagio. Uh! Uh! È ora di finirla: Si vorrebbe insegnargli aspaventare tutta una città colle sue imposture".

Ilettighieri vedendo la mala parataapprofittarono della vicinanzad'una casa conoscente del loro padronee ve lo portarono in salvo daquel tumultoda quello sdegno che minacciava di diventar furore; iviil vecchio dovette rifugiarsi come un omicida per avere avutoragionee voluto far del bene.

Daavvenimenti di questa sorte si trae troppo spesso una conseguenzafalsa e perniciosa: che è pazzia far del bene a noi uomini.Far del bene è sapienza; la pazzia è proporsi per fineo per premio la nostra riconoscenzae la lode che noi diamo eritogliamo a capricciocome un ragazzo il suo balocco.

Pocodissimili dai ragionamenti che il popolo urlava nelle vie eranoquelli che i signori schiamazzavano nelle sale. I dotti poiconvenendo per la più parte nella opinione comunelasostenevano però con argomenti un po' più reconditiesi scatenavano contra il tribunale e contra quei pochi medici con unosdegno e con uno scherno più filosofico. Per darcene unsaggiol'autore del manoscrittoriferisce una disputa occorsa inuna brigata signorile tra il nostro Don Ferrantee un MagnificoSignor Luciodel quale l'autoretacendo il cognomeaccenna alcunequalità. Era costui professore d'ignoranzae dilettanted'enciclopedia; si vantava di non aver mai studiatoe ciò nonostanteanzi per questo appuntopretendeva decidere d'ogni cosa;"perché i libri" diceva egli "fanno perdere ilbuon senso". Ammetteva bene una scienza che si poteva acquistarecolla esperienzae comunicare per mezzo della parola: teneva che sipossano scoprire verità; anzi non è da dire quanteverità egli credesse di conoscere; ma nei librinon so perquale raziociniosupponeva che non si potesse consegnare altro chebugie.

Sistrepitava in quella brigata contra i regolamenti della Sanitàche divenendo di giorno in giorno più risoluti cominciavano anon far distinzione di personee assoggettavano anche i potenti aduna vigilanza incomoda.

"Tuttoquesto"diceva il Signor Lucio"in grazia dei librideisistemidelle dottrineche hanno scaldata la testa d'alcuni i qualiper nostra sciaguracomandano. Non è ella cosa che fa rabbiae pietà nello stesso tempoil vedere quel buon vecchio diSettalache potrebbe fare il medico con giudizioe servirsi dellasua buona pratica acquistata in sessant'annie del buon senso chegli ha dato la naturavederlodicoperduto dietro sogni ridicoliincaparbito contra il sentimento d'un pubblico interoinnamorato diquella sua idea pazza del contagio; perché? perché l'hatrovata nei suoi autori. Scienziatiscienziati; gente fatta a postaper creare gl'impicci".

"Pianopiano"disse Don Ferranteil quale benché occupato adissertare in un altro crocchio aveva intesa quella scappata delSignor Lucio. "Pianopiano; se si tocca la scienza son qua io adifenderla".

"DonFerrante fa da buon cavaliere a prender le parti d'una dama che glicomparte tanti favori"disse una signorae il tratto riscosseun mormorio di applauso da tutta la brigata.

"Quand'ancheciò fosse vero"disse Don Ferrantedopo aver pensatosoltanto per un mezzo minuto"una tale parzialitàsarebbe da attribuirsi non al mio debol meritoma alla innatabenignità del sesso. Comunque sia"continuò egli"son qui a provare che la scienza non ha colpa in queglispropositi che si metton fuori sotto il suo nome".

"DonFerrantecon tutto il suo ingegnonon mi potrà sostenere"rispose il Signor Lucio"che tutte quelle belle ragioni che sidicono da alcuni per far credere che vi sia la pesteil contagioche so ionon sieno cavate dalla scienza".

"Dicadalla superficieSignor Luciodalla superficie"rispose DonFerrante. "Anzi la scienzachi la scava un po' al fondodicetutto il contrarioe insegna chiaramente che il contagio èuna cosa impossibileuna chimeraun non-ente".

"Soncose che le donne possano intendere?" domandò quellasignora.

"Lamateria è un po' spinosa"disse Don Ferrante; "mavedrò di renderla trattabile. Dico dunque che in rerumnatura non vi ha che due generi di cose; sostanze e accidenti:ora il decantato contagio non può essere né dell'uno nédell'altro genere; dunque non può esistere in rerum natura.Le sostanze... prego di tener dietro al filo del ragionamento... sonosemplici o composte. Sostanza semplice il contagio non è; e siprova in due parole: non è sostanza aerea; perché sefossevolerebbe tosto alla sua sferae non potrebbe rimanersi adanneggiare i corpi; non è acqueaperché bagnerebbe;non è igneaperché brucierebbe; non è terreaperché sarebbe visibile. Sostanza compostané meno;perché tutte le sostanze composte si fanno discernereall'occhio o al tatto; e fra tutti i signori medici non vi saràquell'Argo che possa dire d'aver vedutonon vi sarà quelBriareo che possa dire di aver toccato questo contagio. Oh benissimo;vediamo ora se può essere accidente. Peggio che peggio. Cidicono questi signori che il contagio si comunica da un corpoall'altro; sarebbe dunque un accidente trasportato. Ah! ah! unaccidente trasportato: due parole che cozzanoche ripugnanochestanno insieme come Aristotele e scimunito; due parole da faresgangherar dalle risa le panche delle scuoleda fare scontorcere lafilosofiala quale tieneinsegnapone per fondamento che gliaccidenti non possono mai mai passare da un soggetto all'altro. Mipare che la cosa sia evidente".

"Intanto"disse il signor Lucio"senza tutti questi argomenticolsemplice buon sensotutti i galantuominie il popolo stesso sannobenissimo che questo contagio è un sogno".

"Nonlo sanno; perdoni"rispose Don Ferrante"lo indovinanoacasocome atomi senza cervello che girando senza sapere doveconcorressero a comporre una figura regolare. Mi dica un po' digraziase sapranno poi dire la cagione vera di questa mortalità".

"Ohbella!" disse il signor Lucio; "la cagione è chiara:in tutti i tempi si muore; in alcuni le morti sono piùfrequenti perché v'ha più malattie; e questo èil caso nostro".

"Sì"disse Don Ferrante; "ma le malattiela cagione prima dellemalattie?"

"Nèqui pure c'è sotto gran misterio"rispose il signorLucio: "la carestiala mala vita hanno cagionate le malattie".

"Tuttobene"disse Don Ferrante"ma la cagione prima?"

"Ionon so che cosa ella intenda per cagione prima"disse DonLucio.

"Oravede ella se bisogna poi ricorrere alla scienza"disse DonFerrante. "Per trovare la cagione prima delle malattiedellacarestiadi tutti questi infortunjquella che spiega tutto e che fatuttobisogna andar molto in fondoanzi molto in altobisognacercarla negli aspetti dei pianeti. Perché non si vuol farecome il volgoche guarda in suvede le stellee le considera cometante capocchie di spilli confitti in un torsello: ha bene intesodire che le stelle influisconoma non va poi a cercare nécome né quando. Abbiamo il libro aperto dinanzi agli occhiscritto a caratteri di luce; non si tratta che di saper leggere. Edecco che due anni fa comparve quella gran cometa causata dallacongiunzione di Saturno e di Gioveapparet cometa magnus incardine dextrola quale indicava chiaramente che l'annosusseguenteche è poi l'anno passatodoveva regnare unaterribile carestiacome si è trovata la spiegazione inquest'annocon quelle parole tanto chiare e tanto terribili: Famesin Italia morsque vigebit ubique. Che se i dotti le avesserotrovate primanon sarebbero mancati gli increduli che se nefacessero beffe; ma dopo il fatto anche i più ostinati debbonotacere. Ed oraa furia di osservaree di calcolareda quellacongiunzione funesta si è ricavata un'altra predizioneegualmente chiara; così non fosse!..."

Tuttistavano ansiosamente attenti; Don Ferrante levò la destra comese stesse per proferire un giuramentola sua fronte si corrugò;la sua voce prese un tuono lugubre e solennearticolò laformola terribile: "mortales parat morbos; miranda videntur".

"Opoveretti noi!" disse una signorae rivolta al suo vicinochiese che cosa volesse dire quel latino.

"Leprime parole"rispose egli"voglion dire che il morbopare mortale: il resto è una esclamazione che non significaniente".

DonFerrante continuò: "Ecco la cagione prima dellamortalitàecco dove sta l'errore di questi pochi medici chevoglion fare il singolaree resistere all'evidenzae credono dispaventarci con un grande apparato di dottrinacome se alla fineavessero a fare soltanto con gente che non abbia mai toccato il limendella filosofia. Non basta parlarea proposito e a spropositodivibicidi esantemidi antracidi buboni violaceidi foruncolinigricanti: tutte cose belle e buonetutte parole rispettabili: mache non fanno niente alla questione..."

"Eppure"disse il Signor Luciorisolutamenteperché gli pareva diavere alle mani una buona ragione"eppure anche quei medici nonnegano che l'aspetto dei pianeti presagisca malanni..."

"Equi li voglio"interruppe Don Ferrante; "qui dà infuora lo sproposito. Confessano questi signoriperché anegare un tal fatto ci andrebbe troppo coraggioconfessano che tuttoil male è causato dalle influenze malignee poie poivengono a dirci che si comunica da un uomo all'altro. Chi ha maiinteso che si possano comunicare le influenze? in quel caso gliuomini sarebbero gli uni agli altri come tanti pianeti. Confessanoche il male è causato dalle influenzee dicono poi: statelontani dagli inferminon toccate le robe infettee schiferete ilmale: come se le influenze discese dai corpi celesti in questo mondosublunare potessero schifarsi: come se quando le stelle inclinano alcastigo si potesse declinare la loro potenza con certe precauzioniridicole; come se giovasse sfuggire il contatto materiale dei corpiterreniquando chi ci perseguita è il contatto virtuale deicorpi celesti. Per mecredo che anche questo accecamento dei medicie appunto dei medici che hanno la mestola in manosia un effetto diquella costituzione maligna che domina in questo anno sciaguratoaccioché per giunta di tanti mali ci tocchi anche il flagellodei regolamenti".

Tuttiquegli uditori erano persuasi fin da prima che il male non eracontagiososapevano che era comparsa quella cometaavevano intesodire che l'aspetto dei pianeti in quell'anno era funesto; ma da tuttequeste idee non avevano mai pensato a cavare quel sugo che DonFerrante espresse nella sua bella argomentazione. Uscirono tutti diquivi più atterriti di primae nello stesso tempo piùirritati contra i regolamentie più disposti a trascurarecome inutilitutte le cautele. Lo stesso contraddittore signor Luciopartì da quella disputa più pensoso; perché lepredizioni astrologiche erano di quelle cose ch'egli riponeva non neisogni della scienzama nei canoni del buon senso.

Quandoora si considera quali cose fossero a quei tempi tenute generalmenteper verecon che fronte sicura sostenutee predicatecon chefiducia applicate ai casie alle deliberazioni della vitasi provafacilmente per gli uomini di quella generazione una compassione mistadi sprezzo e di rabbiae una certa compiacenza di noi stessi; non sipuò a meno di non pensare che se uno di noi avesse potutotrovarsi in quella età con le idee presentisarebbe stato inmolte cose l'uomo il più illuminatoe nello stesso tempo ilbersaglio di tutte le contraddizioni.

Madietro questa compiacenza viene anche facilmente un sospetto. E seanche noi ora viventi tenessimo per verissime cose che sieno per darmolto da ridere alle età venture? cose da far dire un giorno:pare impossibile che quei nostri vecchj con tanta pretensione dicoltura fossero incocciati di errori tanto marchiani. E perchéno? Guardandoci indietronoi troviamo in ogni tempo una persuasionegeneralequasi unanime d'idee la cui falsità è per noimanifesta; vediamo queste idee ammesse senza dibattimentoaffermatesenza proveanzi adoperate alla giornata a provarne altredominantiin somma per unaduepiù generazioni; divenute poi illudibrio delle generazioni susseguenti. Sarebbe una storia moltocuriosa quella di tutte le idee che hanno così regnato nellediverse etàdelle originidei progressie della cadutaloro. Si vedrebbero le più solenni stravaganzeraccolteinsiemee tenute da una circostanza comunedi essere stateuniversalmente avute in conto di verità incontrastabili. Sidirebbe: nel tal secolo il negare la tal cosa che ora nessunovorrebbe affermarevi avrebbe fatto mandare ai pazzerelli; nel talaltro l'affermare la tal altra che ora nessuno vorrebbe porre indubbio vi avrebbe fatto andar prigione; in quellola talproposizione vi avrebbe fatto perdere ogni creditoin quell'altroera appena lecito avventurarla al tale grand'uomoe con moltaprecauzionecon aria dubitativaaggiungendovi per correzione la talaltra cosache ora per noi e fin d'allora era forse per lui stessouna sciocchezza badiale. Si vedrebbe un tale erroreproposto daprima con timiditàsostenuto con modestiacombattutoacrementediffuso lentamente fra i contrastiaver poi dominato conlunga ed universale tirannia: tal altro annunziato con pompacomeuna scopertae tosto ricevuto: tale natocresciutoe morto in unpaesetale recato da di fuorie ricevuto con gratitudinetalesorto tra il popolo illetteratoe a poco a poco ammesso dai dottiridotto da essi in sistemae restituito agli inventori con corredodi dottrine; talescavato in un libro vecchio; tale immaginato da uncorpoda un uomo autorevole; tale messo fuori da un uomo senzacreditoe senza meritoaver fatto grande fortuna perchéconforme ad altre idee storte già dominantie ad una generaledisposizione degli ingegni: e per troncare con una delle specie piùsingolari una lista che sarebbe troppo difficile e troppo lungo ilcompieresi vedrebbe tale errore tenuto fermamenteamatopredicatocon ardore fanatico dagli uomini i più colti e pensatori diun'epocae rispinto dal popoloe dalla folla dei dotti minoriquando per amore di prevenzioni diversee quando per le vere e buoneragioni: dimodoché su quel punto i posteri non trovano dacompatire in un'epoca che gli uomini pei quali hanno più diammirazione.

Talvoltasenza proteste senza richiami. Talvolta però ne troviamoalcunima o non ascoltatio derisio trattati seriamente male:cosa che ci fa strabiliarevedendo noi ora quanto fosseroragionevolicome esprimessero verità le più ovvieanzi tanto ovvie che l'annunziarle ora con importanza farebbe ridereper un altro verso.

Questirichiami si trovano per lo più sparsigittati come dipassaggioper occasionenelle opere di sommi scrittorio con piùdiretta intenzionecon qualche maggiore insistenza in libri strani esconnessidove ardite verità sono confuse con arditispropositie con istravaganze volgari. Dal che si vede quanto fosseprepotente l'autorità di quelle idee; giacché nonardivano impugnarle che gli uomini difesi da una gran famao i fantiperdutiper così dire della letteraturagli scrittori chenon temevano piùo che ambivano la riputazione incomoda epericolosa di amici del paradosso. Volendo poi tener dietro al corsoe alle vicende di quelle idee si trova generalmente che dopo queiprimi assalti staccati comparve qualche scrittore pensante e metodicoa combatterle in regola. Alloraun trambusto da non dire: quelleidee disturbate seriamente nel loro antico e legale possessosonosempre state difese con sicurezzae con ardore. Si sarebbe dettoch'elle non fossero mai state così forticosìinconcusse come in quel momento: ma noi posteri che vediamo la cosafinitapossiamo giudicare che forza era quella. Egli era come quandouno va di notte con un lumicino a dar fuoco ad un vespajo: gliabitatori sbucano in furia; è un batter d'aleun avventarsiun ronzio terribile; pare che vadano ad una conquista o che celebrinouna vittoria: ma guardate il nidoe vedrete ch'egli arde;v'accorgerete che tutto quel concitamento nasce dall'impaccio di nonsapere dove andarsi ad alloggiare.

Ècosa degna di osservazione come tutte quelle guerre si rassomiglino:in tutte i difensori furono costretti a variare ad ogni momento ilsistema della difesa; ad abbandonare ogni giorno argomenti proposticon somma fidanzae ad inventarne dei nuovia misura che i primierano malconcie renduti inservibili. Alcuni di quei nuovi argomentifurono talvolta molto ingegnosi; ma per chi voleva rifletterel'epoca stessa della scoperta era un pregiudizio contro di essi;poiché sarebbe cosa troppo strana che dopo cento o dugent'annidi persuasione e di consenso in una opinione si trovino tutto ad untratto le ragioni fondamentali che la fanno esser vera. Un altropunto notabile di conformità che hanno avuto quelle guerre fuquestoche sempre si sono andati a scavareun po' tarditutti irichiami antichi contra quelle ideeper far vedere che lo scrittoreil quale veniva in campo a combatterlenon diceva nulla di nuovo. Equelli che si presero di tali brighenon s'avvedevano che era undarsi della scure in sul piè: venivano a provare che la veritàera già stata annunziata da molto tempoche era stata postaloro dinanzie che essi non l'avevano avvertitao l'avevanorifiutata avvertitamente.

Mauna storia siffattaoltre la curiositàpotrebbe avere ancheuno scopo importante. Osservando riunite tante opinioni false ecredute si verrebbero certamente a scoprire molti caratteri generalicomuni a tuttecosì nella indole lorocome nel modo con cuisono invalsenelle circostanze che le hanno fatte ricevere esostenerenei rapporti loro con altre opinionio con interessieccetera. Questi caratteri scopertipotrebbero poi servire come diuno scandaglio per noi: si potrebbe osservare se fra le ideedominanti al nostro tempove n'abbia alcune nelle quali questicaratteri si trovino; e cavarne un indizio per osservarle con piùattenzionecon uno sguardo più libero e più fermoecon un certo sospetto per vedere se mai non fossero di quelle che unaetà impone a se stessa come un giogo che le età venturescuotono poi da sè con isdegno. Giacchéè cosatroppo probabile che anche noi ne abbiamo di tali: e sarebbepretensione troppo tracotante il crederci esenti da una sciaguracomune a tutti i nostri predecessori. Io credo che molte delle nostreopinioni attuali si troverebbero avere di quei caratteri; anzi alcunodi essi vi è tanto manifestamenteche senza studioallaprima occhiata si può scorgere. Citiamone uno dei piùestrinseci ed apparentie che si ravvisa in tutti gli erroriantichiora riconosciuti tali: un orrore della discussioneun'ombrauna ritrosaggineuna subita attenzione a rispingere conira o con beffe ogni dubbioun ricorrere tosto all'autoritàdei mortie al consenso dei vivi per chiamar tante voci in soccorsoa coprire quella che voleva rendere un suono diverso. Oramettiamociun po' la mano alla coscienza; quante dottrine non predichiamo e nonsosteniamo noi a questo modo! Se v'ha chi lo negaè facilenon dirò farlo ricrederema costringerlo a somministrare eglistesso una prova novella del fatto che non vuol confessare. Se unovenisse ora a direper esempio: è egli veramenteinappellabilmente provato che... Eh ma! signori voi mi fate giàla cera brusca! Perdonatenon vado oltretronco la frase sacrilega;ripiglio il manoscritto del mio autoree torno alla storia.



Cap.IV

Andavanointanto coll'avanzare della primavera sempre più spesseggiandogli ammalamenti e le morti. I magistraticome chi al raddoppiar dichiamatee al continuo battere della lucesi risenta da un altosonnocominciavano a riandare ciò ch'era accadutoa guardareciò che accadevaa sospettarequindi a risolversi chebisognava far qualche cosa. Ordinarono contumaciebollettepurghedi mercifecero porre cancelli alle portedelegarono nobili che viassistesserointimarono pene a chi trasgredisse gli ordini dellaSanitào turbasse con minacce o con insulti quegli che glieseguivanoconsultarono sui mezzi di fornire alle spese semprecrescenti del Lazzerettoe di tutti gli altri servizje di nutrireuna gran parte della popolazione alla quale cessavano i lavori e imezzi di sussistenza. Ma la difficoltà era appunto nel trovarequesti mezzi.

IlMarchese Spinola de los Balbasos governatorestavasi a campo sottoCasaleoccupato nel suo principal mestiere d'eroe. I Decurionispedirono deputati a rappresentargli le urgenze dello Statol'esaurimento delle casse municipalil'impossibilità diaumentare le impostequando le correnti non erano pagate perinabilitàe ad implorare che l'erario reale assumesse questespese straordinarie ed inevitabili. Il Marchese accoglieva i deputaticon molta buona grazia. Del resto rispose spiacergli assai di nontrovarsi a Milano a fare ogni uficio per sollevare quella poveracittàma sperare che i Decurioni avrebbero fatto cose grandi;pensassero essida quei bravi uomini che eranoal modo di fardanari; esser questo il tempo di non guardare a spesedi profondereper la salvezza della patria; tutte le risoluzioni che essi avrebberoprese a questo fine e in questo sensoegli le avrebbe approvate. Sule domanderispose che avrebbe pensato. Più tardi poinelmaggior fervore della pesteil governatore pigliò il partitodi lavarsene le mani; trasferì con lettere patenti la suaautorità nel gran cancelliere Ferrer; ed affidò a lui eagli altri magistrati la fame e la pestenon ritenendo per sèche la guerra. In quelle angustie i Decurioniaccattavano somme aprestitone chiedevano in elemosinaponevano contribuzioniparticolari ai più facoltosiaumentavano i carichineinventavano di nuovi: ma il ricavo non bastava ai bisognie le coseandavano come potevano. La confusione cresceva di giorno in giorno:quella qualunque azione dei magistrati che nei tempi ordinarj servivaa mantenere quel qualunque ordinediveniva ora di giorno in giornopiù debolepiù incertapiù intralciatae inmolte parti cessava affatto: e nello stesso tempo tutti gli elementidi disordine diffusi in quel corpaccio socialeacquistavano un nuovovigore.

Iribaldi sentirono quanto guadagno di licenza e d'impunitàpoteva trovarsi per essi nel pubblico turbamentonello sbalordimentodei magistratie degli uomini quietie ne approfittarono. Nèbasta; l'autorità publicaistituita per reprimere queiribaldifu costretta a servirsi di loroe ad affidare a quelle maniuna porzione spaventosa di forza legale. Convenne arruolare in frettae in furia uficiali d'ogni genere pel servizio straordinariocommissarjguardiemonatti: così con antica denominazionemilanese erano disegnati gli uomini condotti a trasportare allazzeretto gl'infermia sotterrare i cadaveria purgare ed arderele robe infettea vivere insomma della peste in mezzo alla peste. Aquesto tristo e pericoloso uficiodal quale rifuggivano anche gliuomini avvezzi ai più bassi e penosisi offrivano i piùsicuri scelleratipei quali l'attrattiva delle paghedella rapina edella licenza era più potente che il timore della morte. Sulprincipio fu pure fattibile contenerli entro qualche regolamacoll'estendersi della peste andò crescendo la loro licenza; ea grado a gradole casele cosele persone furono in loro balìa.

Itempi delle scelleratezze straordinarie sono per lo piùillustrati da virtù più solennipiù risolutestraordinarie anch'esse; e di tali non mancò il tempo di cuiparliamo. Si videro esempj di rassegnazione sentita ed animosadiliberalità costosadi carità ardentee per cosìdire spensieratadi zelodi attività infatigabile; esempjtutti ispirati dalla religionee dati in gran parte dai suoiministri.

Finodal mese di novembre del 1629il cardinal Federigoragionando dalpulpito sul pericolo vicino della pesteaveva proferite questeparole: "non dubitatefate animoche né da menéda miei preti non sarete giammai abbandonati". Venuto il casoegli attenne in tutto la promessa.

Dandoper suppostoo accennando come cosa già nota che l'esporre lavita pei fratelli è un obbligo del ministeroegli prescrisseai parrochie a tutti gli ecclesiastici nuove regole sul modo diamministrare i soccorsi della religione; indicò le cautele dausarsidistribuì somme da erogarsi in ajuti temporali.Corresse severamente e svergognò quelli che si ritiravanodall'assistere agli infermi: il primo che disertando la suaparrocchias'era rifuggito in campagnalo richiamò egli conrampogne e con minacce d'interdetto al suo posto; né trovo cheda poi gli sia più convenuto di ricorrere al rigore per similemotivo. Egli con quella sua consueta composta operositàattendeva in casa alla direzione di tutte le opere imposte al cleronon rispingendo mai chi avesse bisogno di conferire con lui;percorreva la città accompagnato da uno che portava moneta dadistribuirsi in elemosina; fermandosi sotto le finestrealle portedei poverelli per informarsi dei bisognie sovvenireper ascoltarele querelee dar consolazioni e coraggio: visitava il lazzerettodava consiglie colla sola presenza ratteneva per qualche momentoalmeno la sfrenatezza dei ribaldied eccitava i ministri publici adadempire coraggiosamente agli uficj loro. Rimaso quasi unicosuperstite di tutta la sua famiglia vescovileconsigliatotempestato dagli amicidai parentidai medicida uomini potentiperché non si esponesse a tanti rischje si ritirasse inqualche sua villanon fu scosso un istante dal suo proposito; tantoche ne ebbe taccia di ostinato: fatto notabile davveroe che puòesser di esempio e di consolazione a quegli che si rammaricano diveder censurate le loro azioni. Rimase egli dunque fino alla fine; manon per questo lasciò di trarre profitto dalle sue ville:scelse tra i giovanetti che si educavano al ministero ecclesiasticoalcuni distinti per morigeratezza e per diligenza; e gli mandòquivi per sottrarli al comune pericoloe in tanta strage serbarealmeno il meglio ad un migliore avvenire.

Lacondotta del clero non fu difforme dall'esempio del pastore: non vifu appestato che desiderasse invano l'assistenza del sacerdote: pretie frati nel lazzerettonelle casenelle vie accorrevano al bisognone andavano in cerca; e il cardinale stessoe nei pubblici sermonie nel suo trattatello della pesteloda con gratitudine i molti chein quell'opera avevano perduta la vitae i superstitiche nonl'avevano però risparmiata.

Fraquel nobile volgo si distinse un uomo che avrebbe un nome storicosela storia fosse consecrata a descrivere lo stato delle societànei diversi tempie a segnalare i fatti e i caratteri che piùservono a far conoscere la natura umana. Nei molti cappuccini che sioffersero ad assistere gli appestativ'era un Padre Felice Casati digrande autorità presso ogni sorta di persone per la severasantità della vitaper una straordinaria potenza d'animoeper fama di sapere. I Decurioni impacciati com'eranopensarono cheun tanto frate poteva essere impiegato a più vasta opera cheegli stesso non pensasse; e lo scongiurarono d'assumere il governodel lazzeretto. Egli andò a chiedere il consiglio di Federigoil quale abbracciatolo a più ripreselo animò adaccettare l'incarico. Il Presidente della Sanitàche era piùimpacciato d'ogni altrocondusse nel giorno di Pasquail PadreFelice con altri capuccini al lazzerettoe quivichiamati gliuficialilo presentò ad essi dicendo: "questi èil presidente del lazzerettoanche sopra il presidente".Mirabile spettacolo! vedere un magistratoavvezzo alle gare ansiosee agli ostinati puntigli delle preminenzeabbassarsivolontariamentediscendere al secondo gradomettere un altro sopradi sè. Ma vi voleva la peste.

Colcrescere della mortalitàcol popolarsi del lazzerettoandavano scemando le mormorazioni e le beffe del popolo; la parolapeste era profferita più sovente e fuor di scherzo: al vedereinfermi condotti al lazzerettoe case sequestratemolti chedapprima avevano schiamazzato contra quei provvedimenticominciavanoa trovar ben fatto che si allontanasse da loro ciò chefinalmente sentivano essere un pericolo.

Perqualche tempo il contagio aveva serpeggiato soltanto nelle case deipoveri; finalmentedilatandosiattinse quelle dei nobili; e questiesempjperché più esposti alla osservazioneprodussero una impressione più generale e più forte. Epiù d'ogni altro caso fè specie l'udire che era cadutoinfermo di contagio quel Ludovico Settala che lo aveva da tanto temposegnalato indarnoe con suo pericolo. Avranno eglino detto allora:"il povero vecchio aveva ragione"? Probabilmente l'avrannodetto quei soliche fino da principio gli avevano creduto; perchéessi soli potevano dar ragione al povero vecchiosenza dar torto ase stessi. Il povero vecchioe un suo figliuolo guarirono: lamoglieun altro figliuoloe sette persone di servizio morirono dipeste.

Amalgrado d'una sì terribile evidenzav'era ancora alcuniostinati: per far capaci anche costoroil tribunale della Sanitàricorse ad uno strano espedienteusò un linguaggio tipicoadattato veramente all'intelletto di chi doveva esser persuaso e dichi voleva persuaderedegno insomma dei tempi. Era morta di pesteuna famiglia intera: la Sanità diede ordine che un giornofestivo in cui il popolo era solito concorrere alla chiesa di SanGregorio posta dietro il lazzerettotutti quei morti vi fosserotrasportati sovra un carroignudi. La lurida pompa attraversòla folla; alcuni torcevano con orrore e con fastidio gli sguardialtri accorrevano a guatare con ansiosa curiosità; e questividero su quei cadaveri i lividorie i buboni pestilenticomunecagione ad una famiglia di quelle comuni esequie. Non restòfinalmente chi dubitasse che il male era contagioso.

Mail ricredersi fu più fanaticopiù funesto che non erastata l'ostinazione: da una verità riconosciuta cominciòun periodo di demenza e di atrocità publicanon inauditocertamente nella storia dei traviamenti umanima per durata e percasinotabile e spaventoso.

Riconosciutauna volta l'esistenza del contagio in Lombardianon pare che sidovesse scrutiniar moltoandar molto lontano a cercarne la causa:ell'era in prontoimmediatanaturalemanifesta; la calata delletruppe alemanne. Ma non fu così. Quegli uomini avevanodisputatorisoe sbuffato per sei mesi; non avevano mai volutoammetterené sofferire che altri supponesse relazione tra lavenuta dell'esercitoe il nuovo malore che regnava in Lombardia:confessare ora finalmente questa relazionesarebbe stato unconfessare d'essere stati bestialmente ostinati e ciechi. Non volleroquindi né ricordarsiné parlarené udirparlare di quella circostanza; e rifiutando la causa naturaleneimmaginaronocome suole avvenireuna stravaganteuna che sarebberidicolase quella immaginazione non avesse avute conseguenzecheudite o letterendono altrui ritroso al risoper qualche tempoancora da poi che il racconto è cessato. S'immaginarono che lapeste fosse disseminata con unguentinon soné essi pursapevano qualida uomini perversicollegati sotto qualche capopotente e nascostoe tutti in società di patti col demonio. Adiffondere questa insana credenza contribuiva la disposizioneuniversale a supporre cause soprannaturaliche ammesse una voltaspiegano tutto senza difficoltàstornando gli ingegnidall'esame delle cose e delle relazioni realiil quale fa nasceredubbj spinosi da ogni parte. E fra queste cause soprannaturali unache più facilmente si ammetteva era l'intervenzione deldemonio: ogni fenomeno che uscisse dalla sfera angusta dellecognizionie della esperienza comuneera opera del demoniononsolo nel malema nelle cose innocuema nelle pregevolima nellebuone: del che rimane tuttavia un vestigio in più d'undialetto e d'una lingua cheper dinotare un uomo di abilitàstraordinaria in qualunque generehanno tuttavia questa formola:egli è un diavolo; ha il diavolo addosso. Contribuival'opinione universalecongenere a questa che abbiam dettasullaesistenzasulla frequenza delle streghe e degli stregoni: opinioneche applicata poi a tanti infelicifaceva nascere dei sospetti chenella persuasione divenivano fattie davano così allaopinione stessa la forza e l'autorità della esperienza.Contribuiva la facilità a credere delitti enormistraniintenzioni e disegni di una perversità infernalegratuitacapricciosa: facilità nata in parte da una esperienza tropporeale: non eran rari gli uomini che a forza di conceder delitti allepassioni loro eran giunti a segnodi farsi una passione e una gloriadel delitto stesso. Dei veleni poi l'uso era tanto frequentecomeattesta il cardinal Federigo in un suo trattatello su quella peste ilquale si conserva manoscritto nella biblioteca ambrosianache neeran comuni gli artefici e le officine.

L'ignoranzae l'irriflessione portavano poi leggiermente una tale corrivitàa creder misfattial di là delle nozioni dell'esperienza; especialmente in ciò che risguardava le nazioni straniere;l'orgogliouna stolta rivalitàtalvolta una infame politicafacevano inventare alla giornata le più atroci imputazioniole interpretazioni più assurde di fatti reali: queste eranogettate in mezzo ad una popolazione che non aveva né lenotizie di fattoné le idee generali necessarie per farvisopra un esamené l'abitudine di esaminare: erano creduteripetutee disponevano le menti a crederne altreformavano uncriterio publico falsocorrivoed avventato. Contribuivano certetradizioni confusema ridette con asseveranza fra il popolodisimili trame scoperte nella peste del 1576e in altri tempi d'egualesciagura. Contribuivano le stoltee ancor più inescusabilierudizioni di molti dotti d'allorache andavano a pescare nellestoriee in narrazioni ancor più favoloseogni menzione dipesti propagate con sortilegje con velenio come dicevanomanofatte: materia pur troppo abbondante; giacché da quellapeste cheal dir di Tucididegli Ateniesi supponevano cagionata daveleni gettati nei loro pozzi dai Peloponesifino alla peste di Romache nel consolato di P. Cornelio Cetegoe di M. Bebio Tamfilocominciòal dir di Livioda un pianto del simulacro diGiunone Lacinia in Lanuvioe da altri simili avvenimentinon vi fupestequasi fino ai nostri giornidella quale il popolo che lapativa non desse cagione in gran parte a frodi umaneo a prodigjsuperstiziosi. Ma quello che fissò ad un punto d'errore questavagabonda ed inquieta credulitàfu una lettera sottoscrittadal re Don Filippo Quartospedita fino dall'anno antecedente alMarchese Ambrogio Spinolanome ancor celebre per le spedizioni diFiandrache era stato surrogato al Cordova nel governo di Milano. Inquella lettera si dava avviso al governatore che quattro Francesisorpresi nell'atto di spargere unguenti pestiferi nella Corte diMadriderano sfuggitiné dove si sapeva: dovesse egli quindistare all'erta se mai fossero capitati a Milano.

Alprimo divolgarsi di quell'avviso non vi si badò più chetanto: ma il contagio che nelle credule mentiera stato associatoalla idea di quelle unzioni come un effetto di essecomparendo orarealmenterisvegliò tosto la ricordanza della sua immaginatacagione; l'idea di unzioni veneficheche era rimasta infecondamiseradicisi svolsefruttificòcome un germe malignoprofondamente sepoltose il vomero lo sollevae lo appressa allasuperficie del terreno. Unguentipolvericometemalietramecongressidemonioerano le parole che tornavano in tutti idiscorsi. Si venne tosto a sapere che il demonio aveva pigliata apigione una casa in Milano; si disegnava il quartieresi ripeteva ilnome del locatore. Che più? Un uomo e si diceva chifermatosiun giorno su la piazza del duomo aveva veduto giungere in carrozza atiro sei con gran corteggio un gran signore col volto fosco edabbronzatocogli occhi infiammaticoi capegli ritticol labrosuperiore teso alla minacciaun viso insomma di quei che il buonmilanese non aveva mai veduti. Mentre questi guatavail cocchio eraristatoe a colui fatto invito di salire: egli aveva condisceso; edopo un certo giro il cocchio s'era fermato a quella tal casaed iviegli era smontato con gli altri. La casa era degna del fittajuolo:andirivienidesertilucetenebrelà solitudinequi larvesedute a consiglioamenità di giardinie orrore di caverne.Quivi al galantuomo erano stati mostrati grandi tesorie promessise volesse servire a quel signore nella grande impresa ch'eglimacchinava. Ma il galantuomoavendo ricusatoera stato rimesso nelcocchioe ricondotto alla piazza del duomo. Questa storia non fusoltanto creduta in Milano dov'era natama si diffuse per tuttaEuropae in Germania se ne incise un disegno. L'arcivescovo elettoredi Magonza chiese per lettera al cardinale Federigo Borromeo chefossero tutti codesti portenti che si narravano di Milano: il buoncardinale riscrisse che erano sogni e delirj.

Quand'eccoil mattino del 17 maggio i primi che uscirono di casa alle lorofaccendevidero le muraglie sparse di macchie viscidegiallastreinegualicome impresse da spugne lanciate; le porte pure imbrattatedella stessa materiae intrisi i martelli. Per quanto sia dadiffidare delle affermazioni di quel tempoquesto fatto peròsembra indubitabile; giacché i contemporanei lo riferisconocome testimonj di veduta; e nessuno lo pone in dubbio; e fra que'testimonj si trova il Ripamonti il quale non poteva essere illusodalla prevenzionepoiché da tutte le sue parole trasparechiaramente ch'egli non partecipava alla persuasione comune.D'altronde è ovvia una spiegazione naturale di quel fatto.V'ha in ogni tempo degli uomini pei quali il terrore pubblico èun divertimento; e che studiano le occasioni di crearloo diaccrescerlo; e ve n'aveva una trista abbondanza a quei tempiin cuigli animi erano esercitati singolarmente ad ogni cosa ostileavvezzia cercare una superiorità propria nell'abbattimento altruiuna gloria nel fare il male con destrezzacon audaciae conpericolo. È probabile che uomini di questa bella indoleabbiano vegliata una notte a quelle gloriose pittureper vedere nelgiorno l'effetto che produrrebbero sulle fantasie dei loroconcittadinie per ridere sicuramente d'una pauradella quale essiconoscevano l'illusione. E in quel trattatello del Cardinal Federigoè scritto che alcuni ebbero poi a confessare di avere unti piùluoghi per farsi beffe della gente. È poi anche probabile chele fantasie insospettite ingrandissero la realtàe vedesserounzioni artificiali e recenti in ogni macchiaanche in quelle sullequali più volte prima di quel giorno saranno passati i lorosguardi distratti e inavvertiti.

Iprimi scopritori delle macchie chiamarono tosto altri ad osservarle:in un momento le vie brulicarono di gente che accorrevae siaddensava innanzi a quelle macchie come ora ai quadri piùlodati in una esposizione publica. Il terrore e lo sdegno invaserotutti gli animi: il sospettoerrante ed incerto alla primasideterminò tosto a varie certezze; giacché lamoltitudine si accontenta bensì dell'indeterminato neiragionamenti; ma nei fatti vuole del positivoe lo vuol tosto. Peralcuni il capo degli untori (il bisogno creò allora ilvocabolo) era senza dubbio il tal principeche voleva far morire gliabitanti del ducatoper impossessarsene a man salva; per altri erail Cordova che voleva vendicarsi degli urli e dei fischj con che nelsuo partire l'aveva accomiatato il popolo memore della fame duratanel suo governo; altri nominava D. Giovanni Padilla figlio delCastellano di Milano; altri il duca di FriedlandVallenstein; altridisegnava un nobile che si trovava a Roma; e questa voce crebbetantoche fu detto e creduto che egli era stato presoed eramandato a Milano per subirvi il supplizio: l'universale lo aspettavacon ansietài parenti tremando e nascosti; e tutto era unsogno. Alcuni disegnavano altri nobili come complicialcunidisegnavano uomini sconosciuti; alcuni accertavano che tutto venivadai Francesi. Il furore era al colmonessun supplizio si stimavatroppo crudele pel capo e pei complici. Nè è da farsenemaraviglia; un tal sentimento è troppo facile a nascere in unpopolo il quale crede che v'abbia degli uomini che tentano diavvelenarlo in massa. Dal che si vedeche a volere impedire glieffetti talvolta tanto iniqui e tanto crudeli di simili esacerbazionipopolariè scarsoe tardo rimedio l'intercedereilpredicare la moderazioneil perdonoquando gli animi sono persuasidella realtà dell'attentato; bisogna cercare di prevenire lapersuasionee sopra tutto guardarsi dal secondarla ripetendociecamente i primi romori publici. Ho detto si vedee dovetti dire:si dovrebbe vedere; giacché osservando le piaghe dei nostrimaggiori non dobbiamo chiuder gli occhi alle nostre; e questacorrività a credere senza prova attentati contra il publicocontra una parte di essoad attribuire alle persone fatti e paroleimmaginarie è una piaga viva tuttodì; e dico viva neipopoli più coltie dico anche negli uomini più coltidi questi popoli. È cosa strana e trista che nelle cosecontemporanee anche molti uomini colti si accontentino di ragioni chegli farebbero ridere applicate in una storia ad avvenimenti lontani.Nei nostri tempi in cui i fatti si sono affoltati con una terribileceleritàè incredibile l'influenza che hanno avuta inessi queste opinioni così leggermente ricevute: le piùinverisimili son divenute spesso norma infallibileimpulso potentedi condotta e di azioni: effetti terribili di cause immaginariefurono poi cagioni di azione pur terribilevastae prolungata. Suquesta corrività non posso trattenermi dal trascrivere alcuneparole d'oro da un libro d'un uomo singolarmente osservatoreilquale si trovò ravvolto in avvenimenti d'una terribilecomplicatezza: "Si je ne l'avois pas vu moi-memeetplusieurs foisje ne le croirois pas: il a été faitpar des hommes de bien à des hommes atrocesdes inculpationsqui n'ètoient ni vraies ni vraisemblables."

Tornandoal nostro propositov'ebbe pure alcuni i quali pensaronoe disseroche tutto quell'infardamento doveva essere una burla; el'attribuirono a scolari dello studio di Pavia. Ma questa opinionenon fece presa: quella che supponeva una intenzione più reauna intenzione atroce era troppo conforme alle altre ideedell'universale: e del resto nelle grandi sciagure gl'ingegni sipascono volentieri di supposizioni orribili. Quegli che opinavano perla burla non osarono troppo insistereper non esser presi essistessi in sospetto di complici o di fautori dell'attentato. Dal noncredere un delitto all'approvarlo il salto è grande; ma lalogica delle passioni è agilee sa farne senza difficoltàanche dei maggiori. Il suo modo di procedere in questo caso ètale. Quando a persone inebbriate d'odio e di indegnazione contra ilsupposto autore d'una grande iniquità contra il pubblicovoinegate che quegli ne sia colpevolel'idea che rimane nei vostriuditori è che voi intendete di scusarlo. Ora nelle menti loroatrocità del delittocertezza del delittoreità deltale o dei tali sono idee affatto indivisibili; e quindi scusare lapersona è per essi scusare la cosa. Scusare poiapprovarefavorireesser compliceesser caposono salterelliche la logicafa quasi senza avvedersene.

Maciò che reca maraviglia anche a chi avendo letti i libri diquel tempo ha potuto avvezzarsi al ragionare dei loro autorisi èl'udire taluno di quei medici stessi che avevano sostenutoinsegnatoosservato alla giornata come il contatto trasmettesse ediffondesse rapidamente la pesteudirli dico poi attribuirne ladiffusione alle unzioni. Ai 19 di Maggioil tribunale della sanitàcon publica gridaofferse premio ed impunità a chi rivelassegli autori delle unzioni. Altre consimili furono poi publicated'ordine del governatore e del senato.

Inmezzo alle suspicioniai furorialle accuse avventate e crudeliinmezzo pure alla licenza che né le sventurené le ireavevano frenatasorse una smania generale di placare la collera diDio con una processione publica nella quale si portasse per la cittàil corpo di San Carlo. Il Vicario e i Dodici di Provvisioneisessanta decurioni fecero di ciò richiesta al CardinaleFederigo; il quale ricusò da primaadducendo motiviche daun tal labbro pare che dovessero portare la persuasione; ma talvoltala ragionevolezzao l'opportunità delle parole toglie ogniforza anche alla autorità. Allegava l'uomo savio che il popoloaspettava da quella supplicazione solenne la liberazione dalla pestenon con una speranza condizionata e rassegnatama con una certezzasuperstiziosa; e che a questaquando fosse delusasuccederebbe unaincredulità egualmente superstiziosauna indegnazione empia.Un altro motivo da lui addotto era anche conforme ai più caripregiudizj del publico: e pur non valse. "Una tale ragunata dipopolo"diceva egli"potrà essere una troppocomoda occasione per questi untoriquando sia pur vero che ven'abbia". Giacché Federigoquantunque fosse lontanodall'ammettere tutte le ragioni che persuadevano su quel punto lamaggior parte dei suoi contemporaneiquantunque anche in iscrittoabbia mostrato la frivolezzae l'illusione di alcunee segnate lecagioni e i modi dell'errorepure sbalordito da tante gridasopraffatto da tante testimonianze non ebbe il coraggio di pensareche il delitto era tutto immaginario: e con tutta la nostra riverentepropensione per quell'uomonon possiamo dargli una tal lodeche purfu meritata da alcuni suoi contemporaneidei quali non già inomima una memoria confusa ci è stata conservata dagliscrittori. Ecosa singolare! tutti quegli scrittorimeno ilRipamontiinsorgono contra quei pochi increduli; di modo che se noiposteri sappiamo che alcuni uomini furono esenti da un funesto errorecomunelo sappiamo soltanto per l'accusa di cecità e distranezza che gli scrittori credettero di portare contro di quelli alnostro riverito tribunale.

Un'altraragionee savia davveroallegava il buon vescovo: che un pericoloben più certoe ben più funesto sarebbe la frequenzal'addensamentoe la mistura di tante persone: e che era troppo datemersi che un mezzo cercato per ottenere la liberazione della pestene divenisse un terribile propagatore. Ma le insistenzeleimportunità furono tali ch'egli acconsentì. Su di chenoi non osiamo né assolverené censurare la suamemoria: perché non possiamo sapere quali sarebbero state leconseguenze d'una ripulsa diffinitiva. Quegli uomini avrebbero potutofare a furore la loro processione senz'altro permesso; e farla menoordinata e di più funesto effettoavrebber potuto fare Dio sache. A chi volesse giudicare a rigore il nostro Federigonoi nonauguriamo di aver mai a competere con un qualche migliajo di furiosiostinati.

Tregiorni furono spesi in preparamenti: si ornarono in fretta le vie percui doveva passare la processione: i ricchi cavarono fuori le piùpreziose suppellettili; le fronti delle case povere furono addobbatedai vicini doviziosio per cura del publico. Il tribunale dellasanità bandì che nessuna persona di terra sospettapotesse entrare quel giorno in Milano; anzi per accertarel'esecuzione del bandofece chiudere le porte della città. Eparimentiperché nessuno dei cittadini infetti o sospettipotesse in quel giorno uscire e mischiarsi alla follafeceinchiodare le porte delle case già sequestrate. Con questiordini si credette che fosse bastantemente ovviato ai pericoli di unaaccolta così numerosa. Un momento di riflessione avrebbedovuto bastare a sbandire una tale fiducia da qualunque intellettoumano: e tanto più fa stupore come ell'abbia potuto prevalerein coloro i quali avevano dovuto vedere e sperimentare quanto rapidifacilimoltiplici fossero i modi per cui il contagio si comunicava;e quanto scarsi in paragone i mezzi di riconoscere tosto le personele cose a cui si era comunicato. Certo non potevano nutrire la pazzalusinga di aver saputo discernere e sequestrare tutti gli infetti;dovevano anzi tenersi pur troppo certi che molti giravanoliberamentemolti si sarebbero trovati in quella folla i qualiavevano già nei loro corpio nelle vesti appiccato ilcontagio; non ignoravano che un solo di questi sarebbe bastato adinfettare una città intera: e si fidarono a quei loroprovvedimenti.

All'albadel giorno 11 di giugnofestivo a quei tempi nella diocesi milanesepel nome di San Barnabail clero e il popoloragunatosiparzialmente nelle diverse chieseconvenne in drappelli al Duomodonde tutti poi insieme si mossero a processione. Andava innanzi unagran troppa di popolo misto di etàdi condizionee di sesso;quali portando un ceroquali un rosario; molti in segno dipenitenzascalzi. Venivano quindi con ceri le confraternite vestitedi fogge varie di colori e di formepoi le arti distinteeprecedute ognuna dal suo confalone; poi le varie congregazioni deifratineribigie bianchipoi il clero secolaredistinto inparrocchie e in capitolicon varie divise; quindi fra lo splendoredi folti cerie tra un nembo incessante d'incensoportata daquattro canonicil'arca dove giacevano le reliquie invocate di SanCarlo. Dai cristalli che chiudevano i lati traspariva il corpocoperto di splendidi abiti pontificalie il teschio mitratoin cuifra lo squallore delle vuote occhiajedel ringhio spolpatodelleforme mutilatedella cute abbronzataaggrinzata su l'ossatraluceva ancora qualche vestigio della faccia anticaesplorato conangosciosa venerazione dai vecchj che avevano veduto vivo il santopastore. Gli altri cercavano di raffigurare in quelle reliquie unaimmagine più presente e più reale di quella faccia chedalla infanzia avevano osservata e venerata nelle imitazionidell'arte. Dietro le spoglie del morto pastoreveniva il suo cuginoed imitatore Federigoconsunto egli pure e pallido di vecchiezzadipenitenzae di accoramentoin quell'aspetto di compunzione chenessuna ipocrisia può contraffarepoiché èl'effetto involontario d'un sentimento che non conosce i modi peiquali si esprime. Le affezioni temporali pel parenteappena sifacevano sentire in quell'animoassorbite dalla riverenza del santoe dalla invocazione all'intercessore; il nome comunetutte lememorie dei tempi vissuti insiemesi perdevano nella fede: non erapiù che un vescovo che pregava l'uomo vivente presso Dioperché pregasse pel suo popolo. Colui che aveva cercato distornare quella cerimoniavi portava ora forse l'animo il piùfervente: le ragioni che l'avevano renduto ritroso ad approvare unarisoluzione imprudente non venivano ora a distrarre con ricordisuperbi e dispettosi la sua mente dall'intento ragionevole e santo diquella risoluzione: il cultoe la preghiera. Perchéegli eradi quei pochi che adoperano le loro ragioni sol tanto quanto possonosperare di ottenere con esse una utile persuasione; avuto o disperatoquesto intento non le vanno più rivangando con un inquietobrontolamento: rodersio insuperbirsi d'essere stati saggi indarnonon pare ad essi un esercizio ragionevole dell'intelletto; farvederee far confessare agli altri che essi avevano meglio pensatodi loronon pare ad essi uno scopo. Certo anche quei pochi sonosoggetti all'errore; ma di quanto scemerebbero in numero gli errorie quanto meno sarebbero funesti nell'effetto quegli che rimarrebberose tutti gli uomini osservassero le cose con una mente disinteressatad'orgoglio.

Dopol'arcivescovo venivano i magistratie i nobiliquali rivestiti diricche divisecome a dimostrazione solenne di cultoquali in segnodi penitenza a piè nudocoperti di sacco coi cappuccirovesciati sul voltoforati come a finestra dinanzi agli occhiecadenti in acuta punta sul petto. Quindi ancora un'altra gran frottadi popolo; e alla coda i vecchj stanchile donne rimaste addietrocoi fanciulligli attrattii zoppii deboli; molti ritardati dalfermento della peste che già covavano senza saperloo senzavolerlo saperee che toglieva loro a grado a grado le forze.

Laprocessione sboccata dalla porta maggiore del Duomos'incamminòper la via de' cappellajal crocicchio detto il Bottonutodoveallora era una crocee quindi con un giro internotoccando tutti iquartierie sostando a tutti i crocicchj dove erano allora le crocialcune delle quali rimangono tuttaviatornò al Duomo per lapiazza dei mercanti. Tutta la via era adombrata da una strisciaperpetua di telesostenuta da pali e da correnti composti come apergolato; i pali rivestiti di rami frondosi tagliati di fresco; etra gl'intervallidrappelloni di varie stoffe rannodati e pendenti;le pareti tutte coperte di tappetidi stratidi quadri; i davanzalidelle finestre ornati di fiori o a mazzio vegetanti nei vasie diarredi antichio preziosie da per tutto ceri ardenti cherestituivano la luce esclusa da quei folti adornamenti. Fra tantapompa si vedevano alle finestre molti di quei poveri sequestratialcuni scarnatie coi segni della morte in voltotendere a stentole braccia supplichevoli all'arca che passava. Da quelle case uscivaun ronzio di voci che accompagnavano gli inni dei passeggeri; e ditratto in tratto un risalto di gemitiuno sclamar di preghiere cheterminavano in singhiozzi ed in guaj. Nè alle finestresoltantoma sui tetti delle case vicine e soprastanti si vedevano diquegli spettatori ai quali non era stato concesso di mescersi allasupplicazione comune; e sur alcuni tetti si distinguevano all'abitodrappelli di monache ivi tirate dalla curiosità e dalladivozione. Gli altri quartieri della città desertimutisenon dove giungeva a poco a poco il mormorio della processione chepassava non lontanoe pure a poco a poco diveniva piùfievolee moriva. Quegli abitanti tendevano l'orecchio appoggiatialle finestreo sollevati sul letto mortale; per distinguere ilsuono della preghiera nella quale erano ricordati anch'essiquasiper udire in quel muto abbandono un romore che gli assicurasse chealtri pure viveva e si moveva in quella città di cui nonvedevano che la solitudine. La processione tornò al duomo dopoun giro di dodici ore. L'arca rimase esposta sull'altare maggiore delduomo per otto giorni.

Iltristo presagio del Cardinal Federigo non tardò ad avverarsi.Prima della processione le case chiuse erano intorno a cinquecento;pochi giorni doposi notavano quelle dove il contagio non fosseentrato. V'era due mille persone nel lazzeretto; in breve crebbero adodici mila: non bastando le stanze e i porticifurono in frettacostruite capanne di legno nel vasto ricinto: né quelle purebastando furono eretti tre altri lazzeretti in diversi punti fuoradelle mura della città. La mortalità comune che eraprima di cento trenta persone alla giornataper rapidi salti venne amille ottocento. Due fosse erano state scavate pei cadaveriampiesi dicevaenormiquasi per lusso di previdenza; sperando che ingiorni non lontanilieti per un gran timore cessatoquella stessaterrache ne era stata cavata servirebbe in gran parte a ricolmarle:ma i cadaveri depostipoi ammucchiatipoi gettati a fasciovenivano rapidamente adeguandosi al terreno: convenne scavarne cinquealtre.

Lacagione d'un così subito e portentoso aumento del male fu dataa voce di popolo agli untori: si disse con asseveranzae siripetè con furoreche quegli uomini congiurati allo sterminiodella cittàprendendo il destro della processionechel'aveva posta tutta unita per così dire in loro balìaavevano unti in quel giorno quanti avevano potutoe sparso tutto ilcammino di polveri veneficheper le quali il contagio s'eraappiccato alle vestiai piedi scalzianche alle scarpe dei divoti einavvertiti pellegrinanti. L'opinione delle unzioni che fino alloranon aveva prodotta che una vaga inquietudinee ciarledopo questoch'ella prendeva per un gran fattocominciò a partorire benaltri effetti. Due principali furono distintie notati dalRipamontiuomoche in molti punti liberandosie segregandosi dallaopinione publica dei suoi tempivolse la mira delle sue osservazionialle cose appunto che nessunoo quasi nessuno avvertivaesaminòquella opinione stessamutò sovente i termini dellaquestionefu solo a discernere e a dire molte veritàe feceintendere che molte ancora ne dissimulavamolte ne indeboliva pernon irritare il giudizio pubblicoil qualecome trasparechiaramente dalla sua storiagli faceva una gran paura e una grancompassione nel tempo stesso. Un effetto fu che i magistratitutti ipotentiingolfati in ispeculazioni politichedivagati e avviluppaticolla mente nei segreti delle cortiper arzigogolare quale deiprincipiquale dei re stranieri potesse essere il capo della tramanon pensavano a quello che era da provvedersi nelle urgenticongiunture della peste; e spaventati poi dalla vastitàsuppostae dalla oscurità stessa delle insidie siabbandonavano sempre più a quella stanca trascuratezza che ècompagna della disperazione. L'altro effetto più deplorabileatrocefu di estenderedi facilitaredi irritare i sospetti e digiustificare di santificaretutte le offese più crudeli chequei sospetti potevano suggerire. Non solo dallo stranierodalnimicodalla via publica si temevama si guardava alle manidell'amicodel servodel congiuntoma si poneva il piede consospetto per la casama orribil cosa! si tremava al contatto dellamensadel letto nuziale. Il viandante straniero che non ben sapendofra che uomini si trovavasi rallentasse a baloccare sul camminooche stanco si sdrajasse per riposareil mendico che per cittàsi accostava altrui tendendo la manocolui che inavvertentementetoccasse la parete d'una casal'affrettato che urtasse altri perviaerano untori; al terribile grido d'accusa accorrevanoquanti avevan potuto udirlo; l'infelice era oppressostraziatotalvolta morto dalle percosseo strascinato alle carceri tra gliurli e sotto le battiturebenediceva nel suo cuore affranto quelleportee vi entrava come dalla tempesta nel porto. E quante voltesaranno accorsi alle gridaavranno partecipato al furore comunediquegli stessi che più tardi poi dovevano esser vittime d'unsimile furore.

Cosìl'irreligione esacerbava la sciagura che una applicazione falsa edarbitraria della religione aveva estesa ed accresciuta. Dicol'irreligioneperché se l'ignoranza e la falsa scienza dellecose fisichee tutte le altre cagioni di cui abbiamo parlato disopra poterono far ricevere comunemente l'opinione astratta diunzioni e di congiurefurono certamente le disposizionianti-cristiane di quel popolo corrotto che rendettero quella opinioneattivae feroce nell'applicazione. Nessuna ignoranza avrebbe bastatoa così orrendi effettiquando fosse stata congiunta con quelsentimento pio che dispone gli animi alla tranquillità ed allariflessioneche avverte a pensar di nuovo quando il pensiero diventaun giudiziouna azione su le persone; se fosse stata insommacongiunta con quella carità che è pazientebenignache non s'irritache non pensa il maleche tutto soffre. Mal'intolleranza della sventurala disistima e l'obblio delle speranzesuperiori a tutte le sventure del tempol'orrore pusillanime efurioso della morteerano le cagioni che mantenevano negli animi unairritazione avida di sfogo e di vendettae quindi sempre in cerca difatti che ne dessero l'occasionequindi ancora pronta a trovarquesti fatti ad ogni momento.

IlRipamonti riferisce due esempj di quel furor popolareavvertendobene i suoi lettori di averli trasceltinon già perchéfossero dei più atroci fra quegli che accadevano allagiornatama perché di quei due egli fu testimonio.

Tregiovani francesiun letteratoun pittoree un meccanico in malpunto venuti per istudioe per guadagnostavano contemplando ilduomo al di fuori. "È tutto marmo"dicevano; e comeper accertarsistesero la mano a toccare la liscia superficie.Bastò! la folla agglomerata in un istante gl'involse; furonostrettitenutipercossi con tanto più di furoreperchéle vestila chiomail voltole grida stesse gli accusavanostranierie quel che era peggiofrancesi. A calcia pugniastrascichifurono menati in carcere. Per buona sorte le carceri eranvicinee vi giunsero vivi; e per una sorte ancor più felicei giudici gli trovarono innocentie gli rilasciarono. L'altro casofu più funesto. Un giorno solennenella chiesa diSant'Antoniofrequente di popolo quanto poteva comportare queltempoun vecchio più che ottogenario aveva orato lungamenteginocchioni. E forsepensando agli anni suoie al contagio cheminacciava ogni personaegli avrà offerto a Dio il sacrificiod'una vita ormai tanto caduca. Ma un destino più maturo dellavecchiezzapiù sollecito della pesteil furore degli uominigli stava sopra. Stanco egli volle sedersi; e prima con la cappaspolverò alquanto la panca. "Il vecchio unge le panche!"gridarono alcune donne che videro quell'atto. Il vecchio! e a quelnome che richiama pensieri di compassione e di riverenzail sospettoin quel momento non lasciò associare altre idee che di una piùfredda maliziad'una perversità incallita. Il grido passòdi bocca in bocca; tutti si levarono; una turba fu addosso alvecchio. Lo preserogli stracciarono i capegli bianchigliacciaccarono di pugni il volto e le membra: avrebbero ficcati ipugnali in quel corpo quasi esanime; se un furore più pensatonon gli avesse consigliati di serbarlo alle carceriai giudicialletorture. "Io lo vidicosì strascinato"dice ilRipamonti"né altro seppi della fine; ma stimo ch'eglisia tosto morto dagli strazj. E alcuni" aggiunge questoscrittore"che mossi a pietà di così indegnocasochiesero contezza dell'essere di quello sventuratorisepperoche egli era un uomo dabbene".

Imagistratii quali avrebbero dovuto reprimere e punire quell'iniquofurorelo imitarono e lo sorpassarono con giudizj motivati eponderati al pari di quei popolari che abbiam riferiticoncarnificine più lentepiù studiatepiùinfernali. Passare questi giudizj sotto silenzio sarebbe ommettereuna parte troppo essenziale della storia di quel tempo disastroso; ilraccontarli ci condurrebbe o ci trarrebbe troppo fuori del nostrosentiero.

Gliabbiamo dunque riserbati ad un'appendiceche terrà dietro aquesta storiaalla quale ritorniamo ora; e davvero.



Cap.V

Unaseraverso il mezzo d'AgostoDon Rodrigo tornava alla sua casa inMilanodove era sempre rimasto dal giorno che vi era tornato dallavilla in forma di fuggitivo. A quella villa non voleva ricomparire senon in aspetto di vendicatoree in modo da restituir con usura aitangheri lo spaventoe l'umiliazione che gli avevan fatto provare:ma i tempi non erano mai stati propizj.

Quellaelazione d'animi aveva durato qualche tempo; di poi la fame cresciutaaveva prodotti gli sbandamentie il vagabondare di moltie neirimasti un fermento di disperazione: erano cani tuttavia ringhiosienon ancora disposti ad accosciarsi sotto la mano alzata del signore;poi eran passati i lanzichenecchiche avevano spogliato ilcastellotto; poi era venuta la peste; non v'era insomma stata mai unatranquillità di cose in cui Don Rodrigo avesse potuto farsisentire. La sera di cui ora parliamotornava egli da uno stravizzonel quale con alcuni suoi degni amici aveva egli cercato disommergere le malinconie e i terrori della peste. E siccome le ideedi quella entravano per tutti i sensisi trovavano accumulate nellamentesi associavano per forza ad ogni suo intenderesicchénon era possibile farne astrazione; in quelle idee stesse s'eranoessi sforzati di trovare qualche soggetto d'ilarità. Avevanoricapitolate burlescamente le virtù di qualche loro amicodefunto; e Don Rodrigo in ispecie aveva molto divertita la brigatacon l'orazione funebre del conte Attilio.

Siraccontavano o anche s'inventavano prodezze d'ogni genere compiutecol favore della confusionee dello spavento publico; si disegnavanonuove vittime; e la vile e impunita sfrenatezza si vantavaanticipatamente dei nuovi trionfi che meditava. Tornando da tuttaquesta allegriaDon Rodrigo sentiva però una gravezza ditutte le membrauna difficoltà crescente nel camminareunaansietà di respirouna inquietudineun grande abbattimento;ma cercava di attribuir tutto questo al sonno. Sentiva un'arsurainternauna nojaun peso degli abitima cercava di attribuirloalla stagioneed al vino. Giunto a casachiamò il fedelGrisouno dei pochi famigliari che gli erano rimastie gli comandòche gli facesse lume alla stanza dove sperava di finir tutto con unbuon sonno. Il Griso vide la faccia del suo signore stravoltad'unrosso infiammato e splendentee gli occhi luccicanti; e si tennelontano con una certa aria di sospetto; perché ogni mascalzoneaveva in quel tempo dovuto farsi l'occhio medico.

"Hobevutoho bevuto"disse Don Rodrigoche non potè nonavvedersi di quell'atto e del pensiero nascosto; "siamo statiallegri: sto benebenoneGriso: ho sonno: oh che sonno! Levami unpo' dinanzi quel lume che mi abbaglia. Diavoloche quel lume mi diatanto fastidio! Debb'essere quella vernaccia certamenteche te nepare? eh Griso? Domani sarò vispo come un pesce"."Sicuro"disse il Griso tenendosi sempre discosto: "masi corichi prestoche il dormire gli farà bene".

"Hairagione; ma sto bene ve' Griso: levami quel lume dinanzi". IlGriso non se lo fece ripeteree partì col lumeal momentoche Don Rodrigo si gettava sul letto.

Quandovi fula coltre gli pareva un montee se la rigettò dadosso: sentiva un sopore come invincibilee quando stava perassonnaresi risentiva come se un importuno venisse a scuoterlo pernon lasciarlo dormire: il caldo crescevacresceva la smaniae ilterrore rispinto ritornava più forte: così passòqualche ora. Finalmentepresso al mattino s'addormentò. Etosto gli parve di trovarsi in quella chiesa dei capuccini diPescarenicodinanzi alla qualese vi ricordaegli sogghignòin passandonella sua gita al Conte del Sagrato. Gli pareva d'essereinnanzi innanzi nella chiesacircondato e stretto da una gran folla;non sapeva come gli fosse venuto il pensiero di portarsi in quelluogoe si rodeva contra se stesso. Guardava quei circostanti; eranosparuti e lividicon gli occhi spentiincavaticolle labbrapendenticome insensati; e gli stavano addossoe lo stringevanoquasi col loro pesoe sopra tutto gli pareva che o con le gomitaocome che fosse lo premessero al lato sinistro al di sopra del cuoredove sentiva una puntura spiacevoledolorosa. Voleva dire: "largocanaglia"faceva atti di minaccia a coloro perché glidessero passaggio ad uscire; ma quegli né parevano muoversiné mutare sembianzané risentirsi in alcun modo:stavano tuttavia come insensati. Alcuni su la facciasu le spalleche nude uscivano dalle vesti laceremostravano macchiee buboni.Don Rodrigo si ristringeva in sèritirava le manile membraper non toccare quei corpi pestilenti; ma ad ogni movimento incappavain qualche membro infetto. E non vedendo la via d'uscirestrepitavaansaval'affanno l'avrebbe destato; quand'ecco gli parve che tuttigli occhi si volgessero alla parte della chiesa dov'era il pulpito:guatò anch'eglie vide spuntare in su dal parapettoun nonso che di liscio e lucido; poi alzarsi e comparir più distintoun cocuzzolo calvopoi due occhiuna facciauna barba lunga ebiancaun frate ritto ed alto: era Fra Cristoforo. Tanto piùDon Rodrigo avrebbe voluto fuggire; ma la folla degli incantati erafitta ed immobile. Gli parve allora che il frate girando gli occhj sul'uditorio senza fermarli sopra di luisclamasse ad alta voce: "Perli nostri peccatila fame! Per li nostri peccatila guerra! Per linostri peccatila peste! La peste! Povera gente! ella vi rode tuttidal primo fino all'ultimo: tutti avete i segni della morte in volto:beati quelli fra voi che sono preparati a riceverla. Ma..." equi pareva a Don Rodrigo che il frate ristessecome sopraffatto daun pensiero repentino e profondo: ed egli stava ansioso attendendo.Gli pareva che gli uditori non facessero pur vista di scuotersieche il frate tutto ad un trattoguardando a luie comeravvisandolofermandolo col guardo e con la mano alzatacome unbracco sopra una pernicedicesse ad alta voce: "Tu seiquell'uomo! Or ci sei giunto; ascolta. Quanto ti sarebbe costato ilrinunziare a quel capriccio infame? Torna indietro con la mente edillo. Un picciolo pensiero di pietà; ma tu non hai voluto. Tuhai messo da una parte su la bilancia l'angoscial'obbrobrioilcrepacuoreil terrored'un'anima innocente; hai pesato; e hai detto- non è niente: pesa più il miocapriccio -. Ora le bilance sono rivolte: l'angoscia siversa sopra di te: prova se è niente". A queste paroleDon Rodrigovoleva gridarenascondersifuggiree si destòspaventato. Stette un momento a ravvisarsi; vide che era un sogno; maaprendo gli occhi sentì ancor più vivo il ribrezzo e ildolore della luce; forzandosi di guardare intornovide il lettolescrannei travicelli della soffitta confondersi in forme strane;sentì nelle orecchie un ronzio nojoso e violentoal cuore unbattito acceleratoaffannoso; si sentì più spossato epiù arso che alla sera antecedentesentì piùviva quella puntura che aveva provata in sogno; esitò qualchetemposenza osare di vedere che fosse; finalmente sorse a sederescoperse tremando la parte dogliosacercò di fissarvi losguardoe a stentoma con qual raccapriccio Dio 'l sascorse unsozzo gavocciolod'un livido pavonazzo; il segnale manifesto delcontagio.

L'uomosi vide perduto: il terrore della morte lo invase; ma con un sensoancor più vivoil terrore di cadere in balìa altruid'essere presomaneggiatotratto intorno come un cenciosenzapotersi far sentired'essere portato al lazzerettogittato econfuso fra tanti oggetti d'orroreoggetto d'orrore egli stesso.Voleva deliberare sul modo di evitar questa sorte toccata a tantialtri; ma sentiva le sue idee confondersi e intenebrarsidivenirtanto più incerte quanto più erano atterrite; sentivaavvicinarsi sempre più il momentoin cui egli avrebbe avutosol tanto di coscienzaquanto bastava a disperare: provò unbisogno di soccorso istantaneo; afferrò un campanello cheteneva presso al lettoe lo scosse con violenza. Ed ecco comparireil Griso che stava all'erta. Si fermò egli presso all'uscioguatò attentamente il padronee il sospetto divenne certezza.

"Griso"disse Don Rodrigo sollevandosi"tu sei sempre stato il miofido".

"Signorsì"rispose il Grisocol laconismoe col tuono ambiguodel tristo che dal preambolo s'accorge che l'uomo avvezzo aproteggerlogli vuol domandare protezionee fargli far qualche cosaper riconoscenza.

"StomaleGriso".

"Mene accorgoSignore".

"Seguariscoti farò star meglio che tu non sia mai stato".

IlGriso non rispose nullaed aspettò che Don Rodrigocontinuasse.

"Nonvoglio fidarmi d'altri che di te. Fammi una caritàGriso".

Eranoforse anni che Don Rodrigo non aveva proferita questa parola.

"Vediamo"disse il Griso.

"Saitu dove abita il Chiodochirurgo?"

"Loso benissimo".

"Èun galantuomoche se è ben pagatotien segreti gli ammalati.Vallo a cercare; digli che lo pagherò benemeglio di chi chesiaquanto vorràe fammelo venir qui segretamentechenessuno se ne avvegga".

"Benpensato"disse il Griso: "vado e torno".

"SentiGrisodammi prima un bicchier d'acqua: mi sento arso che non neposso più".

"Nosignore"disse il Griso: "niente senza il parere delmedico; non c'è tempo da perdere: stia quietoaspetti unmomentoson qui col Chiodo".

Cosìdicendotolse la chiave dalla toppauscìchiuse Don Rodrigoin istanza e se ne andò.

DonRodrigo rimase in una agitata aspettazionein una incertezzasospettosae iracondacol terrore crescente.

L'abbominevoleGriso aveva già fatto nella notte i suoi conti pel caso cheora si era avverato. Allontanò tosto di casa con un ordinefinto del padronel'altro servo; e corse al posto più vicinodi monatti. Ivitratti in disparte due che erano suoi conoscenti einsieme dei più scelleratipropose ad essi una occasione didividere spoglie opime. Quegli accettarono prima d'intendere lecondizioni: ma il Griso le espresse tosto; non si trattava d'altroche di venire a prendere Don Rodrigoe di portarlo al lazzeretto.Dieder tosto di mano ad una bussoladelle quali era provvigione aquel postose la caricaronoe seguirono il Griso.

DonRodrigo stava con l'orecchio tesospiando ogni romore per sentire seil chirurgo giungeva; e questo sforzo d'attenzione sosteneva alquantoil vigore delle sue membrasospendeva il senso del malee teneva insesto la sua mente. Tutto ad un tratto intese egli uno squillo acutocontinuoche si avvicinava: erano le campanelle che i monattiportavano legate ai piedi a foggia di sproni. Un orrendo sospettocorse al suo pensiero; si levò egli a sedere in furia; e inquel momento sentì la chiave girar nella toppae videaprirsientrare i monatticol Griso.

"Ahtraditore! via canaglia!" urlò Don Rodrigo; e tosto sigettò dall'altra parte per afferrare le pistole che tenevaappese a fianco del letto. Ma un monatto gli fu sopralo feceraccosciare sul covilegli tenne le manie gridò con unorribile ghigno di collera:

"Ah!birbone! contra i ministri del tribunale!"

"Tienloben saldo"disse il compagno"finché lo portiamovia: egli è frenetico".

Losventurato Rodrigo lo divenne: si divincolavamandava urlilanciavabestemmie contra i monattie più contra il Grisoch'eglivedeva frugare insieme con quel compagno nei cassettonispezzar leserrature dello scrignocavarne il danaroe far le parti; mentrecolui che teneva il padrone dava un'occhiata a questo per tenerlobenee una occhiata a quegli altridicendo: "fate le cose dagalantuominialtrimenti..."

Ilcorpo e la mente di Don Rodrigogià dissestati dal malenonressero allo sforzoal dibattimentoe a tanta passione: il meschinocadde tutto ad un tratto come sfinito e stupido; guardava peròcome un incantato; e di tratto in tratto dava qualche scossaousciva in qualche imprecazione. Fatte le partii monatti lo poseronella bussolae lo portarono al lazzeretto.

IlGriso rimase a scegliere quel di più che poteva essere il casosuo; fece un fardelloe sfrattò. Ma in quella furia delfrugareegli aveva presi presso al letto i panni del padroneescossigli per vedere se vi fosse denaro; né in quel momentoaveva badato a quello che si facesse. Se ne accorse però ilgiorno dopoche preso dagli stessi accidenti checon occhio cosìspietatoaveva mirati nell'infelice suo padronecadde infermo inuna osteriadove era andato a gozzovigliare; abbandonato da tuttifu spogliato dai monatti anch'eglitrattato come aveva trattatoaltruie strascinato sur un carro al lazzerettodove finì.

Lasciandoora Don Rodrigo nel suo tristo ricoveroci conviene andare in cercad'un personaggio separato da lui per condizioneper abitudinie perinclinazionie la storia del quale non sarebbe mai stata immischiataalla suase egli non lo avesse voluto a forza.

Fermodel quale intendiamo parlareaveva campucchiato quell'anno dellacarestiaparte col suo lavoroparte coi soccorsi di quel suo buonparente; alla fine per non essergli troppo a caricointaccò icento scudi di Luciama col proposito di restituirese mai Lucianon fosse più quella per lui. Il passaggio della soldatescainterruppe quelle scarsee imbrogliate comunicazioni di pensieri edi notizie che passavano tra lui ed Agnese. Dietro la soldatescavenne la pesteai primi avvisi della quale i magistrati di Bergamointerdissero il commercio col territorio milanese finittimomandarono commissarj ad invigilare al confinefecero por guardie ecancelli. Purecome era accaduto nel milanesela disobbedienza fupiù attentapiù destrapiù ingegnosa che lavigilanza; gli abitanti del confine bergamasco non credevano népur essi molto alla pestee trattavano di soppiatto coi loro vicini:e con molta fatica e con molto pericolo ottennero di potere avereanch'essi la peste in casa. Entrata che fuinvase poco a poco ilcontadopoi i sobborghi di Bergamopoi la città. La peste diBergamoe nei modi con cui si propagòe in tutti i suoiaccidentipresenta molti tratti di somiglianza notabile con quelladel Milanese. Come in questo paesecosì nel bergamascodoposcoverta la peste si trovò ch'ella si sarebbe dovuta prevedereper evidenti segni astrologicie per inauditi portenti; v'ebbe purela incredulità di molti abitantie la negligenza delleprecauzioniv'ebbero i dispareri fra i medicil'inesecuzione degliordinie il rilasciamento nei magistrati stessinato da una falsafiducia che il male fosse cessato. Quivi pure una processionecontrastata con ragioni saviee voluta con fanatismodiffuserapidamente il contagio nella città; quivi pure molte vitegenerosamente sagrificate in pro' del prossimo da cittadinieparticolarmente da ecclesiastici; quivi pure licenzae avanie degliinfermieri e becchini che ivi erano chiamati nettezzini comein Milano monatti; quivi pure preservativi e rimedii strani osuperstiziosi. Quivi pure come in Milano subitanei spaventi per vocisparse di sorprese nemiche sognate dalla paurao inventate dallamalizia; e finalmenteper non dir tuttoquivi pure all'udire che inMilano v'era gente che disseminava il contagio con unzioninacque unterrore che il simile non avvenisseanzi parve di vedere unti icatenacci e i martelli delle portee le pile delle Chiese. Ma lacosa non andò oltre; e come in questo particolarecosìnel resto gli accidenti tristi che abbiam toccati furono in Bergamomen gravimeno portentosi: l'incredulità fu meno ostinatamen clamorosala trascuranza men crassala superstizione menoferocela violenza meno bestialee meno impunita. Di questadifferenza v'era molte cagionialcune presentialtre antichequalenelle personee quale nelle cose; la ricerca delle quali cagioni èfuori affatto del nostro argomento.

Quelloche ora importa di sapere si è che Fermo contrasse la pesteela superò felicemente. Tornato alla vitadopo d'averladisperatadopo quell'abbandono e quell'abbattimentosentìegli rinascere più che mai fresche e rigogliose le speranzele cure e i desiderj della vita; cioè pensò piùche mai a Luciaalle antiche affezioniagli antichi disegniallaincertezza in cui era da tanto tempo dei pensieri di essae allanuova terribile incertezza della salutedella vita di lei in queltempo dove il vivere e l'esser sano era come una eccezione allaregola. Tutte queste passioni crescevano nell'animo di Fermo di paripasso che il vigore nelle sue membra; e quando queste furono benriconfortateegli con la risolutezza d'un giovane convalescentedisse in se stesso: - andròe vedrò iocome stanno le cose -. Il pericolo della cattura glidava poca molestia; da quello che si passava in Bergamoegli vedevache la peste assorbiva o affogava tutte le sollecitudinich'ella eracome un'obblivione o un giubileo generale per tutte le cose passate;vedeva che i magistrati avevano ben poca forza e poca voglia d'agirecontra i delitti della giornatae tanto meno contra reati ormairancidi; e sapeva per la voce pubblica che in Milano il rilasciamentod'ogni disciplina buona e cattiva era ancor più grande. Oltredi cheegli si proponeva di cangiar nomedi procedere con cautelae di scoprir paesee prender voce nel suo paesetto nataleprima cheavventurarsi in Milano. Con questo disegnoegli lasciò indeposito presso un buon prete (quel suo fidato parente era morto dipeste) gran parte degli scudi che gli rimanevanone prese pochetticon sèsi tolse un pajo di paniun po' di companatico e unfiaschetto di vino pel viaggioe si mosse da Bergamo sul finire diLugliopochi giorni da poi che Don Rodrigo era stato portato allazzeretto.

Ipochi che erano guariti dalla pestesi trovavano in mezzo all'altrapopolazionecome una razza privilegiata. Una grandissima parte dellagente languiva infermamorivae quegli che non avevano contratto ilmale ne vivevano in un continuo terrore; come ogni oggetto poteva coltocco esser cagione di mortecosì di tutto si guardavano; ipassi erano misurati e sospettosii movimenti ritrosiirresolutifretta ed esitazione in un tempoun allarme incessanteunadisposizione a fuggire; e con tutto questo il pensiero sempre vivoche forse tante precauzioni erano inutiliforse il male era giàfatto. I pochi risanati invecenon temendo più del contagiocamminavano ed operavano senza tutte quelle precauzionie l'aspettodella incertezza altrui cresceva in molte occasioni la fiducia e lascioltezza loro; erano come i cavalieri dell'undecimo secolo copertid'elmodi visieradi corazzadi coscialidi gambierecon unabuona lancia nella destraun buon brocchiere alla sinistraunabuona spada al fiancouna buona provvigione di giavellottisur unbuon palafreno agile all'inseguimento ed alla ritrattain mezzo aduna marmaglia di villani a piedeignudi d'armaturae poco copertidi vestimentiche per offesa e per difesa non avevano che duebraccia e due gambee il resto delle membra non atto ad altro che atoccar percosse. L'immunità dal pericolo ispira il sentimentoe dà il contegno del coraggio; è la parte meno nobilema spesso una gran parte di esso; e questa verità si èsapientemente trasfusa nella nostra linguadove il vocabolo sicuroche in origine vale fuor di pericolofu traslato a significare ancheardito. Con questa baldezza temperata però dalle inquietudiniche noi sappiamoe dalla pietà di tanti mali altruicamminava Fermo in un bel mattino d'estateper coste amene donde adogni tratto si scopre un nuovo prospettoper verdi pianuresotto uncielo ridentetra il fresco e spezzato luccicare della ruggiadaall'aria frizzante dell'albae al soave calore del sole obbliquoappena comparso sull'orizzonte. Ma dove appariva l'uomodove sivedevano i segni della sua dimoradel suo passaggiospariva tuttala bellezza di quello spettacolo: erano villaggi desertianimatisoltanto da gemitiattraversati da qualche cadavere che era portatoalla fossasenza accompagnamentosenza romore di canto funebre: quae là uomini sparuti che erravanoinfermi che uscivanodisperati dal coviglioper morire all'aria apertabirbonicheagguatavano dove fosse da spogliare impunemente. Fermo cercòdi schivare tutte le parti abitatevenendo pei campi: sul mezzogiorno si riposò in un boscovicino ad una sorgenteivi sirifocillò col cibo che aveva portato seco; lasciòpassare le ore più infocate; riprese la sua strada; cominciòa riveder luoghi notimisti alle memorie della sua fanciullezzaedue ore circa prima del tramonto scoperse il suo paesetto. Alla primavista Fermo ristette un momentocome sopraffatto dalle rimembranzee dai pensieri dell'avveniree ripreso fiato procedetteentrònel paese. L'aspetto era come quello di tutti gli altri che Fermoaveva dovuti vedere; ma la tristezza fu ben più forte che eglinon l'avesse ancor provata. Guardò se vedeva attorno qualchesuo conoscentequalche persona viva: nessuno; le porte chiuseoabbandonate; avanzandoscorse un uomo seduto sul limitareloguardòdurò fatica a riconoscerlotravisato com'eradal male; ma non fu riconosciuto da esso che gli piantò infaccia due occhj insensatie non fece motto. Fermo lo chiamòper nomenon ne ebbe rispostae più che mai accorato siavviò alla sua casa. Ella eraquale l'avevano lasciata ilanzichenecchi: senza impostediroccata qua e làqua e làaffumicatae dentro vuota ma non già pulitache vi rimanevaancor lo strame che era stato letto ai soldati. Ne uscì Fermoin fretta inorriditoritraendo l'occhio dallo spettacoloe la mentedai pensieri e dai ricordi che quello spettacolo faceva nasceree siincamminò alla casa d'Agnesecon l'ansia di rivedere un voltoamicodi udire da lei ciò che tanto gli stava a cuoree colbattito di non ritrovarladi non ritrovar pure chi gli sapesse dires'ella viveva.

Pergiungervidoveva Fermo passare su la piazzetta della chiesadov'erapure la casa del curato. Quando fu in luogo donde la piazza si potevavedereguardò egli alla casa del curatoe vide una finestraapertae nel vano di quella un non so che di bianco-giallastro incampo nerouna figura immobile appoggiata ad un lato della finestra.

EraDon Abbondio in personae ad una certa distanza poteva parere unvecchio ritratto di qualche togatoscialbo per naturaper l'artedel pittoree per l'opera del tempoappeso di traverso fuori almuroper la buona intenzione di ornare qualche solennità.Fermo che aveva sospettato chi doveva esserearrivato su la piazzalo riconobbee da primatornandogli a mente che egli era una dellecagioni delle sue traversiesentì rivivere un po' di stizzae volle passar di lungo. Ma tosto l'antico rispetto pel curatoqueldesiderio di sentire una voce umana e conosciuta così potentein quelle circostanzela speranza di risapere da lui qualche cosache gl'importassevinsero nell'animo di Fermoche si arrestòfece una riverenzae dirizzando il volto alla finestradisse: "Ohsignor curatocome sta ella in questi tempi?" Don Abbondioaveva guatato costui che venivagli era sembrato di riconoscerlo: maquando sentì la voce che non gli lasciava più dubbio"per amor del cielo!" disse"voi qui? Che venite afare in queste parti? Dio vi guardi! Vi pare eglicon quella pocabagattella di cattura...?"

"Ohviasignor curato"disse Fermo non senza dispetto: "mivuol ella fare anche la spia?"

"Parloper vostro bene"disse Don Abbondio"che nessuno cisente. Chi volete che ci senta? Non vedete che son tutti morti? Chevenite a cercare fra queste belle allegrie? Andatetornate dovesiete stato finora; non venite a porre in imbroglio voi e me; perchéquando si tratti di castigar voie di tormentare me pover uomo visarà dei vivi ancora".

"Signorcuratomi saprebbe ella dar qualche nuova di Lucia?"

"OhDio benedetto! ancor di questi grilli avete in capo? Oh poveri noi!Che serve che vengano i flagellise gli uomini non voglion fargiudizio! E la pestefigliuolola peste? Non sapete che c'èla peste?"

"Elladeve ricordarsisignor curato"disse Fermocon voce alquantorisentita"che Lucia ed io... non erano grilli..."

"Oh!"disse Don Abbondio"figliuol carovoi avete sempre avuto iltimor di Diospero che non sarete cangiato. Per questo vi parlo conlibertàda vero padreperché vi ho sempre volutobene. So io quel che dicoquesto non è paese per voi: se vidovesse accadere qualche disgrazia(e già pur troppo non laschivereste) che crepacuore per me! La cattura è terribile;v'è un fuoco contro di voi! E poi la peste..."

"Lapeste l'ho avuta"disse Fermo: "son guaritoe non ho piùpaura".

"Vedeteche avviso vi ha mandato il cielo; per farvi pensare al sodo...Anch'io l'ho avutae son qui per miracolo".

"Madi Lucia non mi sa ella dir nulla?"

"Figliuolcaroche volete ch'io vi dica? Non ne so nulla: è in Milano;cioè v'era: di chi può dirsi orav'è? Saràmorta: muojono tutti".

"Manoi siam pur vivie..."

"Permiracolofigliuoloper miracolo. E il frutto che ne dobbiam trarreè di cacciar tutte le bazzecole dalla testa. In Milanofigliuolo! chi vive in Milano? questo è un purgatoriomaquello è l'inferno. Non vi passasse mai pel capo..."

"EAgnesesignor curato?"

"Agneseè qui: e per miracolo non ha contratta la peste finora; ma siguardasi guarda; ha giudizionon vuol vedere nessuno; non leandate fra piediche le fareste dispiacere".

"Sialodato Dio; ma ella né mi vuole ajutarené vuole chealtri m'ajuti".

"Chedite figliuolo? io son tutto per voie parlo perché vi vogliobene; e perciò vi torno a dire: non vi passasse mai pelcapo... Dio guardi! In Milano! Sapete come state! Una cattura diquella sorte! un impegno! e con tanti nemici che avete! Dio liberi! epoiso io quel che dicopotreste trovare... chi sa? gente che vuolbenema... gente che si piglia impegni di proteggeree poi...Sostenere... cozzare... basta parlo con tutto il rispetto... ma Diosolo è da per tutto... Si vuolesi comandasi promettesifa l'impegno... si scompiglia la matassae si dà in mano alcurato perché la riordini... e chi ne va col capo rotto èil curato... Fate a modo miotornate dove siete stato finora"."Basta"disse Fermo: "non mi aspettava da lei piùsoccorso di quello che mi abbia avuto. Io non intendo tutti questisuoi discorsi; ma poi che ella non ha altri consigli da darmisicontenti ch'io faccia a modo mio".

"NoFermoper amor del cielonon mi fate un marrone: non mettete inimbroglio me e voi. Abbiate compassione d'un pover uomo che habisogno di quiete; e sarebbe giusto finalmente che la godesse. Quelloche ho patito iovedetenon lo ha patito nessuno. Ne ho passated'ogni sorte: spaventicrepacuorifatiche: è venuta lacarestiae m'è toccato di veder persone morirmi di fame sugli occhi. Ho dovuto fuggire di casae nessuno mi volle ajutare; hotrovato cuori duri come selci; e i soldati m'hanno sperperato ognicosa. E sono stato... e ho dovuto... e basta... sono stato ricoveratoda un degno signore... basta so io quello che ho patito. E poi lapeste! ho dovuto assistere agli appestati... e... ne ho avute iodelle curesa il cielo! ma l'ho presa anch'ioe son qui vittimadella mia carità: d'allora in poi non son più quello.Perpetua è mortami ha abbandonato in questi guaj; e mi toccaservirmi da me povero vecchio e malandatocome sono. Ecco che appenacominciava a star benee voi venite per darmi nuovi travagli..."

"Signorcurato"disse Fermo"io le desidero ogni bene; e deltravaglio ella ne può bene aver dato a mema non io a leiinfede mia. La spia ella non me la vorrà fare; del resto io mirimetto nelle mani di Dio. Attenda a guarir benesignor curato".

"Sentitesentite"continuava Don Abbondioma Fermo aveva giàfatta una riverenza di risoluto congedoe camminava verso la casettadi Lucia.

-Oh povero me! questo vi mancava! - continuòa borbottare fra sè Don Abbondioritirandosi dalla finestra.- Povero me! Se costui va a Milanose trova Luciasetornano alle loro antiche preteseecco rinnovato l'imbroglio. Uncardinale che dirà: "voglio che si faccia il matrimonio"un signore che dice: "non voglio": ed io tra l'incudine eil martello.

Basta...- disse poi soffiando dopo d'avere alquanto pensato-... muore tanta gente... che dovessero rimanere almondo tutti quelli che si divertono a mettere le pulci nell'orecchiodi me pover uomo!

IntantoFermo arrivò alla casetta d'Agnesela quale casettase illettore se ne ricordaera fuori del villaggiosolitaria. Alla vistadi quel luogo una nuova tempesta sorse nel cuore di Fermo; diede egliun gran sospiroe bussò.

"Chiè là?" gridò da dentro la voce d'Agnese:"state lontano; non bazzicate intorno alla porta; verrò aparlarvi dalla finestra". "Sono io"rispose Fermo; maAgnesenon aspettando a basso la risposta aveva fatte in fretta lescalee apriva la finestra. "Son io; mi conoscete?" disseancor Fermoquando la vide. "Oh Madonna santissima!"sclamò Agnese: "voi!" "Io"rispose Fermo;"sono il benvenuto?"

"Ohfigliuolo!" sclamò di nuovo Agnese"quanto vi avreidesiderato se non avessi avuto paura per voi! Ma ora che venite voi afare?"

"Asaper nuove di Luciae di voi"rispose Fermo. "A vederese tutti si sono scordati di me. Che n'è di Lucia?"

"Figliuolosono mesi che non ne ho notizia: prima di quel tempo ella stava benedi salute; ma ora chi può sapere...?"

"Ioandrò a vedereio vi porterò nuova di vostra figlia"disse Fermo risolutamente.

"Voi?"disse Agnese: "ma e... mi capite. Basta..."

"Voleteaprirmi e parleremo più liberamente?"

"Ela pestefigliuolo?"

"Grazieal cielo ella non ha ammazzato meed io ho ammazzato leie son sanoe salvo come mi vedete. Aprite con sicurezza".

"Scendoad aprire"rispose Agnese; "oh con quanta consolazionev'avrei riveduto. Ma orabisogna ch'io vi preghi di starmi lontano".

"Comevorrete"rispose Fermo.

"Statead aspettarmi nel mezzo della strada; quando aprirònon viaffacciate alla porta; lasciatemi rientrarepoi entreretee viporrete in un angolo lontano da mee ci parleremo; le parole nonhanno bisogno di toccarsi. Oh quante cose ho da dirvi!"

"Edio a voi"rispose Fermo.

Agnesecalò in fretta le scalegiunta alla portaavvisòancora Fermo che stesse discostoaprìrientrò fino infondo alla stanza; Fermo entrò pureprese un trespololoportò in un angolovi si pose a sedereguardando intornoricordandosi di tanti momenti passati in quel luogoe sospirando;Agnese andò a richiuder la portae venne a sedersinell'angolo opposto. E subito cominciò come una sfidad'inchieste.

"Comevi siete fidato di venir da queste parti?"

"PerchéLucia non mi ha mai risposto?"

"Comeavete potuto fuggire?"

"Eperché non venire dove io era in sicuropiuttosto chemandarmi denari?"

"Chiv'ha strascinato in quei garbugli?"

"Quantotempo Lucia è stata in quello spavento? e come è andatapropriamente la cosa?"

Fattele prime interrogazioni più pressanti ognuno cominciò arispondere brevemente a quelle del compagno. Fermo finalmente pregòAgnese ch'ella raccontasse per disteso tutta la sua storiapromettendo di soddisfarla egli poi della propria. Così Fermoconobbe per la prima volta daddovero le triste vicende di Luciael'esito inaspettato. Tremòfremèimpallidìcento volte a quel racconto; ora diede dei pugni all'ariaed oragiunse le mani in atto di ringraziamento; maledisse la Signorabenedisse il Cardinalediede maledizioni e benedizioni al Conte delSagratoinvocò ora la vendettaora il perdono del cielosopra Don Rodrigo. Ma un punto rimaneva tuttavia oscuronéAgnese sapeva dilucidarlo. Perché non è venuta con me?con me suo promesso? con me che dovevache poteva divenir suomarito? che ostacolo v'era più? non sarebbero mancati che idenari; e il cielo gli aveva mandati. Agnese non seppe direse nonciò ch'ella aveva pur pensato: che Lucia fosse rimasta tantostordita e sgomentata da quegli orribili accidentiche non lerimanesse più forza da voler nullae fosse disgustata d'ognicosa.

"Oh!andrò io a saperlo da lei"disse Fermo"vogliovederne l'acqua chiara. Ella era mia; mi si era promessa; io non hofatto niente per demeritarla; e se non mi vuol più..." equi avrebbe pianto se gli uomini non si vergognassero di piangere"se non mi vuol più; me lo ha a dire di sua propriabocca; e mi deve dire il perché".

Agnesecercò di racconsolarloe lo chiese della sua storiacheFermo le narrò sinceramente. Questa storia fece molto piaceread Agnesee le rimise Fermo nell'antico buon concetto. "Volevaben dire io!" sclamava ella di tratto in tratto. "Sesapeste come la raccontavano quiin cento maniere l'una peggiodell'altra. Ma voi non me l'avete mai fatta scrivere ben chiara".

"Evoimadonna"disse Fermo"non mi avete mai datasoddisfazione sopra quello che io voleva sapere".

"Basta"disse Agnese"lodato Dio che abbiam potuto parlarci una volta;valgon più quattro parole sincere di due ignoranti che tuttigli scarabocchj di questi sapienti. Ma voi come vi fidate di andare aMilanodove vi hanno tanto cercatodove...?"

"Chimi conoscerà?" rispose Fermo"non m'hanno visto cheun momento; e il nome... ne piglierò un altro; non ci vuolgran lettera per questo; e poi chi volete che pensi a me ora? Hannoda pensare alla peste. Sono tutti in confusione. Muojono come lemoschea quel che si dice... Ah! pur che viva Lucia!"

"Diolo voglia!" sclamò Agnese; "e lo vorràiospero. Quella poveretta innocente ha tanto patito! Dio gli conteràtutto quel maleper salvarla ora. Ah! Fermoio ho buona speranza;andate pure; mi sento tutta riconfortata dell'avervi veduto. Sentouna voce che mi dice che i guaj sono alla fine; e che passeremoancora insieme dei buoni momenti".

Fermochiese del Padre Cristoforoe Agnese non le seppe dir altro se nonch'egli era a Palermo che è un sito lontanolontanodi làdal mare. Scontentoe perché sperava da lui ajuto econsiglioe perché desiderava di raccontare a lui pure lastoria genuina; e perché avrebbe riveduto volentieriquell'uomo pel quale sentiva tanta venerazione e tanta riconoscenza.Disse però: "brav'uomo! vero religioso! è meglioch'egli sia fuori di questi guai e di questi pericoli".

Agneseofferse a Fermo l'ospitalità per quella nottecon molteprescrizioni sanitarie però di lontananzadi cauteladi nontoccar questodi non avvicinarsi a quell'altro luogo.

Fermoaccettò l'ospitalità ben volentieri e promise tutti iriguardi che Agnese desiderava. Era venuta l'ora della cena; e lamassaja si diede ad ammanirla. Pose al fuoco la pentola per cucinarvila polenta: Fermoda giovane ben educatovoleva risparmiare lafatica alla donnae fare egli il lavoro: ma Agneselevando la mano:"guardatevi bene dal toccar nulla"disse; "lasciatefare a me". Fermo ubbidì; ed ella prese la farinalagettò nell'acquala rimenavadicendo: "Eh! altre volteera Lucia! basta il cuor mi dice che la mia poveretta verràcon mee presto; e che staremo tutti in buona compagnia". Fermosospirava. Agnese versò la polentaraccomandando sempre aFermo di non si muoveredi non toccare; poi andò a mugnere lavaccatornò con una brocca di lattedicendo: "vedete:quella povera bestia da sei mesi è la mia unica compagnia".Prese un bel pezzo di polentalo ripose sur un piattellolo sporsea Fermostando più lontana che potevae stringendosi conl'altra mano la gonna d'intorno alla persona perché nonistrisciasse agli abiti di Fermo; quindi allo stesso modo gli sporseuna scodella di latte. Nel tempo della cena si parlò deidisegni di FermoAgnese gli diede istruzioni sul nome dei padroni diLuciagli comunicò le notizie confuse ch'ella aveva sul luogodella loro dimora; e questi discorsi gli tennero a veglia qualche oradopo la cena. Finalmente Agnese indicò all'ospite la stanzadov'egli doveva coricarsi: era quella di Lucia: Fermo amòmeglio di andarsi a gettare sul picciolo fenileadducendo motivi diprecauzione per la salute. Prima dell'alba erano entrambi in piedi.Agnese diede a Fermo due panie due raviggiuolifattura delle suemanigli riempì di vino il fiaschetto ch'egli aveva portatocon sèdicendo: "in questi tempi potreste morir di fameprima di trovare chi vi desse da mangiare". Il congedo fu qualeognuno può immaginarselopieno di tenerezzadi accoramentoe di speranza. Fermo partìviaggiò tutto quel giornoe avrebbe potuto la sera entrare in Milanoma pensò cheavrebbe trovato più facilmente un ricovero al di fuori.Ristette di fatti in una cascina desertaa un miglio dalla città.Dormì su le stoppiee all'albalevatosisi avviòefece la sua seconda entrata in Milanoche gli comparve in un aspettopiù tristo e più strano d'assai che non era stato laprima volta.



Cap.VI

S'ioavessi ad inventare una storiae per descrivere l'aspetto d'unacittà in una occasione importantemi fosse venuto a tagliouna volta il partito di farvi arrivaree girar per entro unpersonaggiomi guarderei bene dal ripetere inettamente lo stessopartito per descrivere la stessa città in un'altra occasione:che sarebbe un meritarsi l'accusa di sterilità d'invenzioneuna delle più terribili che abbian luogo nella repubblicadelle letterela qualecome ognun sasi distingue fra tutte per lasaviezza delle sue leggi. Macome il lettore è avvertitoiotrascrivo una storia quale è accaduta: e gli avvenimenti realinon si astringono alle norme artificiali prescritte all'invenzioneprocedono con tutt'altre loro regolesenza darsi pensiero disoddisfare alle persone di buon gusto. Se fosse possibileassoggettarli all'andamento voluto dalle poeticheil mondo nediverrebbe forse ancor più ameno che non sia; ma non ècosa da potersi sperare. Per questo incolto e materiale procedere deifattiè avvenuto che Fermo Spolino sia giunto due volte inMilano appunto in due epochediversamente singolarie che l'una el'altra volta abbia ricevuta dall'aspetto di quella città unaimpressioneche noi dobbiamo pur riferiretrattandosi d'uno deinostri protagonisti. Nè in questo solo ma anche fra i duesoggiorni di Fermo in Milanoanche fra le due partenze v'è unprincipio singolare di somiglianza: cui ella spiacessese la piglicon le coseche hanno voluto essere a quel modo.

Peruna via desertafiancheggiata da campi imboschitigiunto a pièdelle muraFermo sostette pensosoe preso da quella specie dispavento che si prova al trovare una vastaostinata solitudine inmezzo alle tracce dell'abitato: tese l'orecchiogirò gliocchi intorno: nessun indizio d'uomininessun segno di vitanessunmovimento; se non che d'in su la muraad intervallisorgevanocolonne di fumoche s'allargavano in globi scuribigifoltiequindi abbattute dal vento si curvavanoscendevano giù al difuoridiradandosi e diffondendosi nell'ariae si stendevano sulpiano esteriore in nebbia lentacrassafetente. Erano i mucchj divesti infettedi cencidi lettidi spazzature d'ogni sorta che sifacevano portare al bastionee quivi abbruciare. Tale era ilfastidio che quella nebbia diffondeva nell'ariache Fermobenchéavvezzo a sensazioni di quel genere si turò le nariconribrezzo; ma ben tosto ritirò la manopensando cheall'entrare e all'avanzarsi nella cittànon solo il lezzomaogni sorta di fastidio l'avrebbe assalito da tutte le partie chebisognava risolversi ad affrontarlonon pensare a ripararsene. Fuoridella porta era una capannuccia di legnostazione delle guardie ed'un deputato che doveva guardare a chi entrava ed uscivarichiederele bolletteescludere i sospetti. Ma in quella comune disperazioneogni disciplina era dismessa; il deputato a quella porta era cadutodi peste il giorno antecedentele poche guardie stavano nellacapannabadando più a tener lontani i passeggieri dalle loropersone che ad esaminarli. Dinanzi alla porta era un cancellomaspalancatoe Fermo vi passò senza che alcuno lo chiedesse dinulla. Procedendo per quel primo spazio della città tra ibastionie il canale chiamato navigliospazio occupato da orti (ose volete da ortaliche sarà più vicino al propriovocabolo municipaleortaglie) con entrovi sparso qualche conventoequalche casipolanulla vide Fermo per qualche tempo che desseindizio esser quello un luogo abitato da uomini. Il primo indizio dipersona viva gli vennementre egli passava tutto costernato perquella stradaccia che dal Ponte di Santa Teresacorrendo tra ilnaviglioe alcune casuccieva alla piazza di San Marco. Un gemitoche si sforzava d'essere una chiamata uscì d'una di quellecase; Fermo alzò gli occhje vide un tapino alla finestra chescuoteva una funicella alla quale era appeso un sacchetto chescendeva presso al pavimento della strada. Fermo si fece vicinoeudì una voce fioca: "carità ai poveri sospetti".Cavò egli una monetae la ripose nel sacchetto; ma coluiinvece di tirar la fune a sèdisse con un tuono misto disupplica e d'impazienza: "un po' di pane: ci hanno chiusi incasa come sospettie ci hanno dimenticati; e moriamo di fame".Fermo aveva ancora uno dei pani di Agnese: lo cavò tostoe lolegò alla fune. Il rinchiusobenedicendolola trasse infrettae Fermo lo vide afferrare quel panecon ambe le maniporselo a boccae addentarlo avidamente. Dopo due passi udìun romore confuso che si avvicinavae cominciò a distinguereun cigolar di ruoteun calpestio di cavalliuno squillare di centocampanelliun baccano di grida; guatò dinanzi a sèedecco in capo alla strada dov'egli camminava spuntare due uomini apiede (eran chiamati apparitori) che con le mani alzate accennavanoe ad alta voce gridavano ai passeggeri di ritirarsi. Dietro a questivide comparire cavalli che allungando la cervicee puntando lezampeavanzavano a stento; e ad ogni passo le campanelle che essiavevano appese intorno alle teste e ai collimandavano un tintinnioacuto e assordante: e a fianco dei cavallivide monatti in laceredivise rosseessi pure con le campanelle ai piediche a forza dipunte e di flagelli e di bestemmie li forzavano a camminareaproseguire la corsa ritardata dal peso crescente dei cadaveri cheraccolti sul passaggio erano gettati sui carri. I cadaveri v'eranoammonticatie intrecciati insiemequasi come un gruppo di serpi chelentamente si svolga al tepore della primavera: nudi la piùparteo male avviluppati in lenzuola cenciose. Dopo un carro cheattraversò la viane venne un altroe poi un altro: dieci necontò Fermo. Di tratto in trattosi vedevano i cadaveriaduna forte scossatremolare sconciamentee scompaginarsi; le gambele bracciale teste con le chiome arrovesciate si svincolavano dalmucchioe spenzolavano dal letto del carrotalvolta involte nelleruote traevano seco i cadaveri sotto di quellecome per mostrare chequello spettacolo poteva divenire ancor più disonesto e piùmiserando. Fermo ristette alquantofin che il convoglio fossepassato; e ripresa da poi la viae giunto in capo a quella su lapiazza di San Marcopresso il ponte che ne piglia il nomevide dinuovo per di dietro quel sozzo corteggioche per la via delpontacciosi avviava alla fossa scavata fuori della porta comasina.

Maun altro spettacolosu quella piazzaattirò i suoi sguardie gli diede a pensare: erano due travi alzate e infisse nel suoloeuna corda passava dall'uno all'altro capo fra due carrucole. Fermoriconobbe (ella era cosa famigliare a quel tempo) l'abbominevolestromento della tortura; ma non sapeva perché fosse collocatoin quel luogo. La sua maraviglia crebbe da poi quando ne incontròuno per ogni piazzain ogni via spaziosa. V'erano postiaffinchéi deputati delle porte e delle parrocchiemuniti a questo d'ognifacoltà più arbitrariapotesseroimmediatamente farvitormentare chi loro paresseo sequestrati che uscisseroo ministridisubbidientio violenti di qualunque sorta. Era uno di quei rimediiimmoderati e inefficaci di cui principalmente in quel tempo si facevascialacquo: era un dispotismo che non toglieva l'anarchia. Dopo avereinutilmente guardato su quella piazzase potesse scorgere alcuno acui chiedere conto della via dove abitavano i padroni di Luciailnostro pellegrino si volse a mano mancae costeggiando il conventodi San Marcogiunse al Ponte al quale Ludovico il Moro diede il nomedi Beatrice sua moglie; e per quello entrò nella cittàpropriamente detta. Quale città! Non istropiccìo dipasseggerinon romore di carrozzenon grida di venditorinéstridore di officinema in quella vece gemitilamentiurli cheuscivano dalle casestrepito di carri funebribestemmieminacceoquel che dava un suono ancor più atroceil baccano festosoela ilarità infernale dei monatti. Lo spazzo sparso e talvoltaingombro di mobilidi coltricidi vestidi strame appestatodicencidi fasce saniose e sanguinate; e a quando a quando di cadaveriabbandonati! Radi per le vie si vedevano camminare i cittadini chequalche necessità faceva uscire di casa: una parte erafuggita; un'altra parteal numero circa di quattordici milaabitavao moriva nel lazzeretto; un'altra languiva nelle case; eforse cento venti mila erano i morti a quell'ora; prima della pestela popolazione della città era stimata dugento mila persone;numero al quale non risalì mai più dopo quel disastro.Andavano quei pochiscompagnatiin silenziocon la faccia luridacoi capegli lunghi ed incolticon le barbe arruffateperchéda quando nella casa dell'infelice barbiere Giangiacomo Mora s'eracreduto scoprire la fucina principale delle unzioniognuno fuggiva ibarbieri divenuti tutti sospetti. Andavano quei viandanti succinti infarsettodeposte le cappele toghele cocolleogni ampiovestimento che svolazzandopotesse moltiplicare coi casi dicontattoi rischj della contagione. Ognuno cercava di tenere ilmezzo della via; si aveva orrore delle pareti che potevano esserunte; si temeva che dalle finestre si gettassero sui passeggeripolveri venefiche; e troppo spesso realmente si gettavano i lettilevestile suppellettili dei morti di contagio; talvoltaorribilcosa! i morti stessi; talvolta gli infermi trasportati dalla frenesiadel morboo spinti dalla disperazionesi gettavano da sè.Nessuno che parlassenessuno che stesse a musare: non v'era creaturaferma fuor che i cadaveri. Il solo vivente che il nostro pellegrinovedesse immoto nella via presso al murofu un uomo che sedeva acanto ad una porta in atto di chi assorto in qualche cura non badi aciò che accade intorno a lui. Era un prete che posato sur untrespoloudivadalla porta socchiusa la confessione d'un appestato.I viandanti portavano per lo più in mano certe pallecrivellate di piccioli fori con entro spugne intinte di acetimedicatidi spiritie ad ogni momento le fiutavano; e si aveva granfiducia in quei preservativi: tenevano nell'altra mano un bastonenon tanto per appoggiarsicome per rimuovere chi avesse troppovoluto accostarsi; alcuni perfino tenevano invece del bastoneunapistolaaccennando ai sopravvegnenti che dessero luogo; con quellostromento atto ad ottenere una più certa e più prontaobbedienza. Se due amici s'incontravano a casoil saluto era unostringersi nelle spalleun alzar delle maniun sospirounaocchiata quasi di maravigliache voleva dire: - voisiete ancor vivo! - ogni altra più intimaaccoglienza era dismessae in due mesi non accadde forse mai che duemani si stringessero ad espressione di amicizia. I mediciichirurghi si distinguevano per un capuccio che portavano come dadisciplinatiper calarlo sul volto quando s'appressassero ad uninfermoavevano guanti alle mani per preservarle nel toccare deipolsinel medicare; e sospeso a cintola un fiaschetto d'aceto perlavarsi ad ogni visitae per lavare i danari che erano loro dati inmercedee che molti con crudele avarizia imponevano esorbitantenonvolendo toccare un polso a meno d'uno zecchino. Su quelle poche facceche si vedevano in volta era per lo più scolpitocompenetratoe come divenuto fisonomial'accoramentolo stuporela sfidanza; le forme irrigiditee come stagnanti in una tristaquiete; e gli sguardi non avevano vita che dal terrore e dalsospetto. Pochissimi però fra quei pochi andavano con passopiù alacree mostravano una fronte men costernata: erano iguariti dalla peste; altri che portavano al collo o amuleti dai qualisperavano d'esser preservatio una boccetta di vetro con entroargento vivopersuasi che questo metallo avesse la virtù diassorbire ogni influsso maligno; altri che prima d'uscire avevanmangiata una nocedue fichi secchie un po' di rutache da essiera riputato efficacissimo preservativo. E pur troppo tutti questirimedii producevano un effetto; ma era di crescere la mortalitàrendendo men guardinghi in tutto il resto coloro che avevan fedenell'uno o nell'altro di essi. Fermobenché ansioso digiungere al luogo dov'eradov'egli sperava ancor tremando che fossecolei per cui sola aveva intrapreso quel viaggiodesideroso anche diabbreviare il più che fosse possibile un così tristocamminonon aveva mai però scorto un volto che gli facesseanimo ad interrogare. Finalmente essendo capitato in uno di costorosi risolse di rivolgersi a luie fece atto di accostarglisi. Macostuiche a malgrado del preservativoera però dei cautilevò il suo bastone che terminava in uno spiedoeappuntandolo in dirittura alla pancia di Fermodisse con vocerisoluta: "lontano!" Fermo non si mosse; ma a quelladistanza pregò il cittadino che volesse udire una parolasoltanto una parola; e gli chiese dove fosse la tal viala tal casa.Non era molto lungi di là; e il cittadino diede brevemente aFermo l'indirizzo ch'egli desiderava; ma quando questidopo averloringraziatosi mosse per andare innanzil'uomo cauto ripetè:"lontano"; girò il bastone descrivendo intorno a sèun quarto di cerchio a mezz'ariae segnando così a Fermo lagiravolta che doveva fare per non passargli troppo vicino. Fermoproseguì il suo cammino con un'ansia e con una sospensioned'animo cresciuta dal saper vicino il termine dov'egli sarebbe uscitod'un terribil forse. Ma per quanto la sua mente tendesse a ricaderein quel pensierone era pure ad ogni momento stirata via daglioggetti fra i quali egli doveva scorrere. Dove che i suoi sguardicadessero non incontravano che dolore e ribrezzo. Le porte o chiuseper guardiao spalancate per desolazione; molte segnate d'una crocerozzamente tirata col carbone: quei segni eran posti dai commissariidella Sanitàper indicare ai monatti che vi eran morti daprendere. Dove lo sgombro era già fattole croci si vedevanocancellate; e mettevano ancor più ribrezzo le tracce del segnodi salute e di morteguaste e confuse con le tracce delle palmeimpure dei monattio dei sozzi arredi che egli avevano adoperato aquell'uso. Qualcheduno pur si mostrava alle finestrequalche voce siudiva; erano guai di languentio urla di frenetici; erano chiamate esuppliche ai monattiperché venissero a togliere qualchecadavere. Nei principii della pesteil terrore di vedersi in casaquegli uomini senza leggeaveva fatto che molti nascondessero icadaverigli seppellissero negli ortinelle cantinedovecome chefosse; ma poi crescendo il funesto da farsie il fastidio vincendoil terroresi desideravano i monatti per liberarsi da uno spettacolointollerabileda una infezione talvolta invecchiata. E quegliscellerati che da prima usavano introdursi a forza dove non eranorichiestiora negavano talvolta di entrare pregatise allepreghiere non si aggiungeva la ricompensa. Posto il piede nelle casevi si portavano non da padronida guastatori: ma era venuto il tempoche delle ribalderie e delle nefandità lorogià temutepiù della pestenon si faceva più caso: ladisperazione aveva ottuso nei più ogni altro sentimento. Puredinanzi a qualche casadove la sciagura non aveva estinto affattoogni coraggioné confusi tutti i pensieristavano distesicadaverideposti ivi ad aspettare il passaggio del carro funebre; ealcuni pur piamente compostiravvolti in qualche lenzuolo e celatial ribrezzo dei passeggieri. E tali depositichein tempiordinariifarebbero altrui torcere il guardoerano allora quasi unconforto pel guardotroppo offeso dallo spettacolo di altri corpiche pure avevano ricettata un'anima immortalee giacevano gettatibrutalmente dalle finestretravolti dalle caduteo caduti daicarrimostrando tutte le più diverse e dolorose immaginidella mortesalvo l'immagine del riposo.

AvevaFermo già scorse due viee passata la metà delviaggioquando presso alla rivolta d'un cantoudì unfrastuonoe vide due o tre che camminavano dinanzi a luidareaddietro l'un dopo l'altroe riprendere la strada donde eranousciti. Giunto al cantoguardò che fosse la cagione di questilor pentimentie vide nel mezzo di quella via quattro carri fermati;e come in un mercato di grani si vede un andare e venire di gente daimucchj ai carriun caricareun rovesciare di sacca; così erala pressa in quel luogo; monatti che entravano nelle casemonattiche uscivano recandosi un carico su le spalle; e lo ponevano su l'unoo su l'altro carro: talvolta ripigliavano il peso già depostosul carro degli infermie lo gettavano su quello dei morti; era unoche preso semivivo su le loro spalleaveva esalato l'ultimo respirosu quel letto abbominato. Alle finestreo presso ai carri si vedevaqualche congiunto pio e animoso piangere i suoi morti che partivanoo dare un tristo addio agli infermi. Il resto della via era sgombroe muto; se non che da qualche finestra partiva di tratto in trattouna voce sinistra: "qua monatti": e con suono ancor piùsinistro da quel lurido e affaccendato bulicame si sentiva venire perl'aria morta un'aspra voce di risposta: "adesso".

Fermoa quello spettacolostette in forse se dovesse egli pure tornareindietro; ma egli era presso al termine della viad'una via che astento aveva potuto farsi indicare; se l'abbandonavachi sa quandoavrebbe trovato chi volesse rimetterlo su quellae chi sa qualiinciampi dello stesso genere avrebbe trovati anche in tutt'altra: conquesti pensieri e con animo già agguerrito a tali visteegliproseguì. Giunto a paro del convoglioaccelerava il passoecercava di non guardar quegli orrori se non quanto era necessario percansarli; ma il suo sguardo vagabondo si abbattè in un oggettodal quale usciva una pietà che invogliava l'animo acontemplarlo; e quasi senza avvedersene egli rallentò ilpasso. Sur una di quelle soglie stavasi ritta una donna il cuiaspetto annunziava una giovinezza matura ma non trascorsa; e vitraspariva una bellezza velata ed offuscata da un lungo patiremanon iscomposta; quella bellezza molle e delicata ad un tempoegrandiosaeper così diresolenneche brilla nel sanguelombardo. I suoi occhi non davano lagrimema portavan segno diaverne tante versate; come in un giardino antico e trasandatounafonte di bianchissimi marmi che inariditatien tuttavia i vestigidegli antichi zampilli. V'era in quel dolore un non so che di pacatoe di profondoche raffigurava al di fuori un'anima tuttaconsapevolee presente a sentirloe quel solo aspetto sarebbebastato a rivolgere a sè gli sguardi anche fra tanta miseria;ma non era il solo aspetto della donna che ispirasse una sìrara pietà. Tenevasi ella in braccio una fanciulletta di forsenove annimortama compostaacconciacon le chiome divise erassettate in su la fronteravvolta in una veste biancamondissimacome se quelle mani l'avessero ornata per una festa promessa da tantotempoe concessa poi come un premio. Nè era tenuta a giacerein abbandonoma sorretta fra le bracciacol petto appoggiato apettocome se vivesse; se non che il capo posava su le spalle dellamadre con un abbandono più forte del sonno: della madreperché se anche la somiglianza di quei volti non ne avessefatto fedel'avrebbe detto chiaramente l'affetto che si dipingeva suquello che era ancora animato. Fermo ristette senza quasi avvedersenecon gli occhi fissi in quello spettacolo. Ed ecco un turpe monattoavvicinarsi alla donnae far vista di prendere dalle sue bracciaquel peso; ma pure con una specie d'insolito rispettocon unaesitazione involontaria. Ma la donnaritraendosi alquantoin attoperò che non mostrava né sdegno né dispregio:"no"disse"non la mi toccate per ora; iodeggiocomporla su quel carro: prendete". E così dicendoaperseuna manomostrò una borsae la lasciò cadere nellamano che il monatto le tese. Poscia continuò: "promettetemidi non torle un filo dattornoné di lasciar che altris'attenti di farloe di porla sotterra così. L'avrei benposta io; ma ella deve riposarsi nel luogo santo; né io possoportarvelav'è lassù chi mi aspetta". Mentre ladonna parlava il monattodivenuto ubbidiente forse più peruna nuova riverenzache pel guadagnoaveva fatto sul carro un po'di luogo al picciolo cadavere. La donna diede un ultimo bacio allafigliala collocò ivi come sur un lettove la compose; erivolta al monatto disse: "ricordatevi: Dio vedrà se mitenete la promessa; e ripassando di qua sta serasalite a prender mepuree non me sola".

Cosìdetto rientrò in casae un momento dopo comparve allafinestracon un'altra più tenera fanciulla nelle bracciavivama coi segni della morte in volto. Stette a contemplare lafiglia giacente sul carrofin che il carro si mossefinchérimase in vista; e allora ritiratasi depose sul letto quell'altracara innocentee vi si sdrajò poi al suo fianco a morireinsieme; come la pianta s'inchina col fiore appena sbucciatoalradere della falce chedove passaagguaglia tutte l'erbe del prato.

Fermosi mosse pur eglipiù altamente compunto che non fosse maistato in tutto quel viaggioe per la prima voltamolle di lagrime."O Signore!" diss'egli"esauditela! pigliatela convoisarà una ventura per quella travagliata l'uscire di tantiguai... Una ventura! E Lucia!" Con questa parola in sul cuoreegli s'affrettò su quella viaalla qualese il cittadino loaveva bene indirizzatometteva capo quell'altra a cui egli agognavae tremava di arrivare. Ed eccoda quella parte appunto venire unfrastuono sordopoi più risuonantema confusoun suonodiverso di voci altebrevie imperiosedi fiochi lamentidi guailunghidi singhiozzi femminilidi garriti fanciulleschi.

Aquel suonoal pensiero del luogo donde partivaFermo si sentìcolpito d'una tristezza più nera che maid'una tristezzasospettosaatterritatanto che non potè tenersie quasismarrito andò a corsa verso il crocicchio che faceva la vianella quale egli si trovava con quella a cui era avviato. Quando fupressovide nella via a mano dirittaper quella appunto ov'eglidoveva entrareuna torma di gente guidata o cacciata al lazzerettoda un commissarioe da molti monatti.

Amisura che quella trista processione passava dinnanzi a Fermoil suoocchio inquietoquasi appannatocorreva e ricorreva per lamoltitudinetrasceglieva e spiava con terrore ogni volto femminilesi spingeva verso quelli che arrivavanotornava a quegli che eranopassati... Lucia non v'era. Fermo su le prime respirò comeuscito d'un grande spavento; ma tosto ricadde nella sua ambasciapensando che egli andava non a veder forsema ad udire di peggio.Erano languidi che si strascinavano a stentoalcuni sostenuti dallebraccia di figlidi padridi fratellidi mogliche per pietào per disperazione sprezzavano il pericolo del contatto; alcunispinti a forzaresistenti in vanogridanti in vano che volevanomorire sul loro lettoe rispondendo bestemmie impotenti allebestemmie imperiose dei conduttori; altri cheappoggiati ad unbastoneandavano in silenzio dove erano comandatisenza doloresenza speranzainsensati; donne coi pargoli in collo; fanciullispaventati dalle gridada quei comandida quello spettacolo piùche dal pensiero oscuro della mortei quali ad alte stridaimploravano la madree le sue braccia fidatee di restare nel notosoggiorno. Ahi! e forse la madreche essi credevano d'aver lasciataaddormentata sul suo lettovi s'era gittata oppressa tutt'ad untratto dal morbopriva di sensoper esser portata sur un carro allazzerettoo alla fossase il carro giungeva più tardi.Talvoltaoh sciagura degna di lagrime ancor più amare! lamadre tutta occupata dei suoi patimentisi stava dimentica d'ognicosaanche dei figlie non aveva più che un amore: di morirein riposo. Pure in tanta confusione si vedeva ancora qualche esempiodi costanza; e di pietà: parentifratellifigliconsortiche sostenevano i cari loroe gli accompagnavano con parole diconforto; né adulti soltantoma garzoncellima giovinetteappena adolescenti che facevano scorta a fratellini piùteneri; e con senno e con misericordia virile li confortavano adessere obbedientipromettevano di accompagnarli in luogo ove siterrebbe conto di loro per farli guarire.

QuandoFermo vide la processione quasi tutta passatae sgombra la sua viasi volse ad uno dei monatti che chiudeva il corteggioe gli chieseconto della casa di Don Ferrante. Il monatto non rispose se non: "vain maloratanghero". Fermo aveva tutt'altro in testa che dirisentirsie non replicò: guardò al commissariogliparve un volto più cristiano; fece a lui la stessa inchiesta;e il commissarioaccennando con un bastone la via dalla quale egliveniva disse: "l'ultima casa nobilea destra"; e passò.

Quelleparole per sè indifferentie che non esprimevano se non lanuda notizia che Fermo aveva desideratalo colpirono peròcome se fossero una sentenza ambigua e temuta. Egli impallidìdopo d'averle intesee tremò d'esser giunto al termine cheaveva tanto bramatopel quale aveva intrapreso quel viaggiodolorosoe sostenuto di passare per tanta gramezza. S'avanzòper quella via a passo interrottogiunse dinanzi alla casaladistinse tosto fra le case vicine più umilie piùdisadattesi appressò alla porta che era chiusapose la manoal martellove la tenne sospesacome avrebbe fatto se la tenesse inun'urnaprima di cavarne la polizza dove fosse scritta la sua vitao la sua morte. Finalmente alzò il martelloe bussò.

Siapre una finestrae vi compare una donna: era la signora Ghitacheguardò con sospetto se fossero monattimalandriniqualchecosa di tristodi quello che girava in quel tempo: vide quellosconosciutoe prima ancora d'intendere che egli volessedisseorispose: "Qui non c'è niente".

"Signora"disse Fermo con voce tremante"sta qui una foreseche sichiama Lucia Mondella?"

"Nonc'è più; andate"rispose la Signora Ghita.

"Nonc'è più!" gridò Fermospaventato da quellaambigua risposta. "Dov'è ella? per amor del cielo".

"Allazzeretto grande".

"Conla peste!"

"Conla peste: che maraviglia? andate".

"Daquando v'è ella? e come si può trovarla? Oh Dio! eraella molto aggravata?"

"Nonè tempo da rispondere a tante cose"disse col suo tuonoagro la signora Ghita. "V'ho detto anche troppo pel tempo checorre. Vi replicoandate". E così dicendofece vista dichiudere la finestra.

"Nono"disse Fermo: "che carità è questa?voglio saper nuove di questa creatura; non parto di qui se prima..."Ma mentre egli parlavala finestra era stata chiusa.

"Quellasignora! una parolauna parola!" gridò Fermoma nonebbe risposta.

Costernatoda un tale annunzio di sventurasmanioso del non aver potuto népur conoscere quanta ella fosseincerto qual fosse il piùpronto mezzo per trovar conto di Luciase insister quivi conpreghiere o con minacceo andare a dirittura al lazzerettoFermostava appoggiato alla portatenendo la mano sul martellotalvoltalo alzavaper picchiare alla disperatapoi pentitolo ritenevalostringeva nella mano come se volesse storcerlocome per isfogare lasua passione. In questa agitazioneegli per quell'istinto che inqualunque angustia muove l'uomo a cercar soccorso all'uomosirivolse alla stradaper vedere se mai gli cadesse sott'occhioqualche vicinoa cui chiedere informazioneindirizzoconsiglio. Maquel che vide fu una vecchiadietro a lui forse a venti passilaquale con un volto che esprimeva terroreodioimpazienza e maliziasbarrando la bocca come se volesse gridarema tenendo anche ilrespirosollevando due braccia scarneallungando e ritirando duemani grinze e adunchecome s'ella traesse a sè qualche cosaaccennava manifestamente di voler chiamar gente in modo che unqualcheduno non ne fosse avvertito. Alla guardatura della vecchiaFermo s'accorse tosto ch'egli era quel tale; e più stupito cheatterrito dal vedersi oggetto di tante passionivoleva gridare: "chediamine..."quando la vecchiavedendo ch'egli s'era accorto dileie disperando di poterlo sorprenderelasciò uscire ilgrido che aveva compresso fin allora: "Ajuto! Ajuto! L'untore!L'untore! dalli! dalli!"

"Tacibugiarda strega"sclamò Fermo alla vecchiae le simosse incontro per farle paura e metterla in fuga. Ma nello scostarsidalla porta vide che la fuga diveniva necessaria per lui: lo strillodella vecchia era stato intesoe dalla parte verso la quale ella loaveva mandatousciva gentee guardava dove fosse l'untoregenteche forse a qual fosse più pietoso chiamar di soccorso nonsarebbe uscita dalle tane dove si stava rimpiattata per paura; ma pergraffiare e per prendere un untore era pronta; tanto era il furorecontra quegli che si credevano la cagione primaria di tanti mali.Nello stesso istante s'aperse di nuovo la finestrae di quivi lasignora Ghita gridava a testa: "cacciate quel garritorechedev'essere un di quei ghiottiche vanno facendo le poltronerie alleporte e alle muraglie".

Alcunicominciavano già a correre verso Fermourlando: "pigliapigliadallidalli". Fermo vide la mala parata; per buonasorte il lato della strada dove stava la vecchiaera quasi sgombrod'altra gente: uno che era accorso per di là volle gittarglisiaddossoma egli lo stramazzò a terra d'un urto; e a gambe.Allora la folla vie più ad inseguirlo. E non era ancora giuntoal capo della via che già sentiva quelle grida amare risuonarpiù forti all'orecchiosentiva appressarsi il calpestio deipiù leggieri ad inseguirlo. In quell'estremoegli che sapevacome ognuno lo sapevaqual fosse la sorte di chi cadeva nelle manidel popolo o dei giudici col nome di untorerisolse di non lasciarsipigliare alle spalle da quei furibondima di rivolgersidi mostrarloro il visoe di difendere disperatamente la sua vita.



Cap.VII

Cosìdispostovolse indietroma senza però ristarsi ancora dalcorrereil volto più torvo e più cagnesco che avesseancor fatto in vita sua per guatare qualiquantia che distanzafossero quei suoi persecutori; ma con maravigliae con un sentimentoconfuso di gioja gli vide tutto ad un tratto restar sui due piediingrande esitazione e su quelle figuracce alle brutte contrazioni delfurore succedere le brutte contrazioni della paura. E tosto piùpresente a se stessoscerse dinanzi a sè e non lontanounapparitoree dietro lui un carro coperto di cadaveriintese icampanellilo scalpitole ruotele canzonacce dei monattituttoquello strepito che un momento prima percoteva le sue orecchie senzasaputa della mente. Il terrore degli inseguenti per quella comparsafece tosto pensare a Fermo che per lui ella era salute: sentìegli che non era momento da far lo schifo: affrettò la corsaverso il carrotolse la mira ad un picciolo spazio sgombro che videin quello; spiccò un salto; ed eccovelo rittopiantato suldestro piedecol sinistro in ariae con le braccia alzate tuttaviadal lancio di tutta la persona.

"Bravo!bravo!" sclamarono ad una voce i monattialtri che seguivano ilconvoglio a piedialtriseduti sui carrialtriper dire laorribile cosa come ella eraseduti sui cadaveri trincando d'un granfiascone che andava in giro. "Bravo! bel colpo!"

Gl'insecutoriall'avanzare del carro avevano per la più parte volte lespallee fuggivanogridando pure "dalli! all'untore!" semai qualcheduno più coraggioso di essivolesse venire acompiere la buona opera; e a quei gridi rispondevano dalle finestreuomini e donne accorse al romore: "dalli! all'untore!"Alcuni però dei primi tentennavanoquasi non potesserorassegnarsi a vedere la fiera uscir salva dalla loro cacciaedigrignavano i dentifacevan gesti di minaccia a Fermo che gliguardava immobile dal carro.

"Lasciafare a me" gli disse un monatto; e strappato di dosso a uncadavere un laido cenciolo rannodò in frettae presolo perun dei capi lo alzò verso quei ferocicome una fiondafeceatto di gittarlogridando: "aspetta canaglia". Aquell'atto tutti dieder di volta inorriditie Fermo non vide piùche schiene di nimicie calcagna che ballavano rapidamente per aria.Fra i monatti si sollevò un urlo di trionfouno scroscioprocelloso di risaun "uh!" prolungatocome peraccompagnare quella fuga.

"Ahah! vedi tu se noi sappiamo proteggere i galantuomini"disse aFermo quel monatto: "val più uno di noi che cento di queipoltroni".

"Certoio vi debbo la vita"disse Fermo: "e vi ringrazio di tuttocuore".

"Nienteniente"disse un altro di quei demonii: "te lo meritisivede che sei un bravo giovane. Fai bene d'ungere questa canaglia:ungiliestirpali costoro che non son buoni a qualche cosa che mortio birboni; che hanno bisogno di noie ci malediconoe vanno dicendochefinita la moriaci vogliono fare impiccar tutti. Hanno a finireprima essi che la moria; e rimarremo noi soli a gavazzare in Milano".

"Vivala moriae muoja la marmaglia"sclamò un altroe conquesto bel brindisisi pose il fiasco a boccae tenendolo con ambele mani fra i trabalzi del carrone tracannò un lungo sorsoindi porse il fiasco a Fermodicendogli: "bevi alla nostrasalute".

"Vel'auguro di buon cuore"disse Fermo; "ma non ho sete; nonpotrei bere in questo momento".

"Tuhai avuto una bella pauraa quel che pare"disse quel monatto:"m'hai cera d'un pover'uomo; altri visi voglion essere a farl'untore".

"Ognunos'ingegna come può" disse un altro.

"Dammiquel fiasco"insorse un terzo; "voglio vuotarlo iochel'ho conquistato nella cantina di quel vecchio avaro lì..."e così dicendo prese il fiasco dalle mani di quell'altro; eprima di beresi volse a Fermogli affissò gli occhi infaccia con un'aria di pietà sprezzantee gli disse: "Conviencredere che il diavolo col quale tu hai fatto il pattosia bengiovaneben dappocopoiché se non eravamo noi a salvartiegli ti dava un bell'ajuto". E ridendo del suo bel trattolevòil fiascoe se lo appiccò alle labbra. Lo vuotòeposcia tenendolo con la destra pel collolo mosse rapidamente ingiro al di sopra del capoquindi lo gittò lontano afracassarsi su le pietre del pavimentogridando: "viva lamoria". Quindi intonò di nuovo la canzone che l'accidentedi Fermo aveva interrotta; e tosto a quella voce si accompagnaronotutte le altre di quel turpe coro. La musica infernale mista altintinnio dei campanellie allo strepito del carro rimbombavaorrendamente pel vôto silenzioso delle viee stringevaamaramente il cuore dei pochi rinchiusi nelle case dinanzi alle qualiil carro trascorreva.

Fermovi stava ritto tuttavia ansante per la corsae per la tema avutaagitato di dentro in una successione fluttuante di passioni e dipensieri. Da prima provò un vivo ristoro del vedersi in salvoquindi dabbene come egli eraringraziò Dio che lo avessescampato da un tanto pericolo; ma non lasciò per questo disentire un gran rancore per quei bestiali suoi persecutori; qualchemomento dopo cominciò a parergli ben fastidiosa la compagniadi quei morti da cui era circondatoe di quei vivi pei quali sentivaad un punto riconoscenzae orrore.

Pensòda poi chese ben salvoera pure ancor bene impacciatopensòal modo di uscire dal fastidio senza incappare di nuovo nel pericoloe di trovare il lazzerettodal quale egli era lontano forse chi saquanto; e forse se ne andava sempre più allontanando.Domandarne a quei suoi ricettatoriil cuore non glielo diceva;sarebbe stato un esporsi a mille inchiesteattirarsi Dio sa qualiparoleimpegnarsi in un colloquio né aggradevolenétroppo sano. Fermo era già anche troppo imbarazzato in quellapoca conversazioneche aveva dovuto fare con essi; vedeva che quegliche lo avevano salvato erano sul conto suo nello stesso inganno diquelli che lo volevano morto; non si curava di sgannare coloroenello stesso tempo sentiva troppa ripugnanza a dir cosa che gliconfermasse nel loro errore. Cercava quindi di lasciar cadere idiscorsisenza però mostrare né ripugnanzanésospettoné fare atto che gli alienasse l'animo di quegli chealla fine erano i suoi protettori in quel momento. Chi poteva saperea che filo tenesse quel loro favore e la loro condiscendenza; forsealla sola idea che Fermo fosse un propagatore della peste; il favoredegli uomini benevoli è talvolta così fragilecosìpermalosola buona gente si stanca talvolta per sì poca cosadi proteggere un disgraziato; pensate poi una feccia di ribaldi comequelli. Per tutte queste ragioni Fermo fu molto contento quando videche essi non lo stimavano degno della loro attenzione; e fu gratoalle sue orecchie (che cosa non può divenir grata in questomondo!) quel cantoche lo toglieva dall'intrigo di quellaconversazione. Intanto il carro s'era già allontanatoabbastanzaperché Fermo non temesse più di esserraggiunto dai suoi nemici; i quali del resto s'eran dispersi; nonrestava che il pericolo di abbattersi in uno di quelli che loriconoscessee gli aizzasse di nuovo la gente addosso; pericololontanoma che poteva crescere in proporzione della strada che Fermoavrebbe ancora a percorrere. In questa tempesta di pensieri egligirava attorno uno sguardo sospettoso e irresolutoquando gli parvedi riconoscere il luogo per dove passavarichiamò le suememorieguardò più fisamente... - questavia non mi è nuovadi qua son passato certamente -.Fermo non s'ingannava: il carro diretto alla gran fossa scavatadietro il lazzeretto e denominata il Foppone di san Gregorioscorreva nella via chiamata allora il borgo ed ora il corso di portaorientaleper cui Fermo era entrato con molta maravigliaed uscitocon molta paura un anno e mezzo prima. Ad ogni passonuovi oggettialtra volta vedutirendevano più vivo e più chiaro ilriconoscimento di Fermo; ma dove ebbe la perfezione fu al passaredinanzi alla piazzaal convento dei capuccini. Allora riconobbe laporta orientale; si risovvenne che al di fuori di quella era illazzeretto; e per quanto pieno di doloredi difficoltàed'angosce fosse l'affare che lo strascinava in quel luogopure ilpovero giovane si sentì tutto rincorato nel pensiero d'esservigiunto senza studiosicuramentein carrozzaquale ella si fosse;questo gli parve un buon principioe un buon augurio. Oltrepassatoil conventoFermo pensò che sarebbe meglio spacciarsi daquella compagnia e uscir dalla porta a piede. Vide che i monattiinvasati nel loro canto non badavano a luifece un cenno di saluto edi ringraziamento ad uno che gli era più vicinoe balzòdal carro in sul pavimento. Quel monatto lo accompagnò con unsaluto schernevole della mano e del voltodicendogli: "vavapovero untorello: tu non sarai quello che spianti Milano". Perbuona sorte non v'era anima vivente nella via che potesse udirequelle parole. Fermo s'indugiòtirando presso al murotantoche il carro si allontanasse; e a passo lento giunse presso allaporta; vide spuntare l'angolo di quel recintodove erano addensatipiù guai che non ne fossero sparsi nella dolorosa cittàch'egli aveva percorsa: passò il cancelloe gli si spiegòdinanzi la scena esteriore del lazzeretto; il principio appenaecome la mostra dei guaie già una vastadiversainenarrabile scena.

Anoicome certamente al lettoreincresce ormai un così lungoavvolgerci tra tanto doloree tanto fastidio: quindi ci guarderemodal tentare anche di descrivere a parte a parte quella scena: bastinoalcuni tratti generali a dare un'idea comunque dello spettacolo ches'offerse agli sguardi di Fermo. Fin dove il suo occhio potevagiungere nello spazio che circonda al di fuori il lato meridionale el'orientale del lazzerettoquello spazio era sparso di languentiacui non erano bastate le forze per giungere fino al lazzerettodimorti che ivi giacevanoera percorso da gente che entravadainfermi che ne uscivanoe che erravano sbandatila più partefuori di sèquale imperversatoquale istupidito. Altripareva tutto infervorato a raccontare le sue sciaurate fantasie altapino che giaceva oppresso dal maleo ad un altro infelicepreoccupato da altre fantasie; un altro si mostrava assorto etranquillo in un immaginato contento; e quella apparenza di gioja edi serenità in mezzo a tanta miseriapure ne accresceval'orrore; tanto è terribile all'uomo il vedere in altrioscurato quel lume divino che lo fa esser uomo. Altri per untrasporto che fu notato in altre pestilenzevogliosi d'immergersinell'acquesi gettavano nel fossato che gira attorno al lazzeretto;e vi morivano affogatio vi rimanevano disensati; talunocanticchiandole orei giorni interi. Tra quella confusionegiravano monatti a prendere i mortia contenerea rispingereaguidare nel lazzeretto i miseri così vivigiravanocommissarjdelegatia dare ordinia dirigere come si poteva imonatti. E Fermo scorrendo tra quella folla per avviarsi alla portadi quel lato che tira lungo la strada maestraFermo doveva pure perquanto intollerabili gli fossero quegli oggettifissare sovr'essi losguardo perché fra essiuno di essipoteva essere quello dich'egli andava in traccia. Giunto su quella portaristettesopraffatto dal nuovo spettacolo che gli si parava dinanzi edattorno. Dinanziil vasto campo interno del lazzerettoingombroqua e là di trabacchedi capannecoperto e animato da unpopolodel quale il veduto al di fuori non era che un saggio; e adestra e a sinistra le due interminate fughe di porticato spessepuree gremitee brulicanti a quel modo: uno sciameun trambustoun rimescolamento da far vertigineda offendere con subita fatica losguardoquando fosse pure stata una festa. Il cuore di Fermo fusoverchiato a quella vista; ed egli stette un momento in fra due sedovesse tornarsenee abbandonare una ricerca che superava le sueforze. Ma l'affetto dal quale egli era stato tratto su quel limitareaveva pigliato ancor più forza dalla incertezzae l'immaginedi Luciaforse inferma quiviabbandonataera divenuta piùforte e più pietosa nell'animo di lui. Pensò che seegli si ritraeva allora da quel luogovi sarebbe stato ben tostosospinto di nuovo da tutti i suoi pensieri: partirsi senza aver nullasaputo di Luciaaspettarne le novellefin quandoda chi? partirdal luogo dove soltanto si poteva sperare di trovarla: fuggire dadove ella era forse a pochi passi di distanza... Fermo si mosserivolse una viva preghiera al Signore e si gittò in mezzo aquella confusioneabbandonandosi alla scorta di Lui. Non aveva alcunfilo per dirigersiné una ragione per cominciare la suaricerca più tosto a destra che a sinistranel campo che sottoil portico; ma il campo gli era in facciae s'ingolfò inquello alla ventura.

Neiprincipii della pestilenza il lazzeretto era stato scompartito inquartieri pei ministri e per quelli che entravano ad esser curati: lefemmine separate dai maschje ogni sesso suddiviso in sospettiininfettiin quarantenanti. E già fin d'allora quell'ordinecome abbiam detto non s'era potuto interamente serbare; ma nelbollore della pestee nel crescere della moltitudinetutto s'erarimescolatocome una botte fecciosa nella furia del temporale. Oltredi che quello scompartimento non era stato fatto che nel fabbricatoin tempo che nessuno prevedeva che questo non sarebbe bastatochel'immenso circuito interno sarebbe divenuto spessotraboccanteinsufficiente anch'essoe quando questo cominciò a popolarsi(e cominciò con una folla) non fu possibile applicare ad essole divisioni già stabilite. Pure le sollecitudini deisopraintendenti e principalmente del Padre Feliceper mantenere quelprimo ordinenel fabbricatone facevano se non altro rimanerequalche traccia; la massa principale e il fondo per così diredegli abitatori di ciascun quartiere era del sesso e della condizionea cui quello era stato destinato. Se Fermo fosse stato informato diciòsi sarebbe diretto a destraal lato settentrionale cheguarda al cimitero di san Gregorio; il qual lato era assegnato alledonne. Ma Fermocome abbiam dettoera nuovo affatto di quellabolgiae non aveva una guida; quindi procedeva a casomettendo ilpiede dove scorgeva un passaggiodove il passaggio era menointricato d'inciampi compassionevoli o ributtanti. Andava d'unacapanna nell'altras'appressava ad ogni giacigliodove vedesse unadonna; guatavae seguiva la sua strada. Da per tutto lo stessospettacolo così terribilmente variatoe cosìterribilmente conforme: corpi immobili nella morteo dibattuti nelleangosce mortali; miseri che brancolavano a stentoo balzavano diluogo in luogo infuriati. I soli che si vedessero camminar rittiecon un passo regolare erano monattie religiosivarii di vesti e dietà: gli uni e gli altri intrepidioccupati delle lorofaccendecome se fossero faccende ordinariecon una fortezza checerto era cresciuta negli uni e negli altri da una circostanzacomunela consuetudine ormai antica di quegli orrori; ma era nata daprincipiiquanto lontani! negli uni una selvaggia ed empia durezzanegli altri una carità più forte della commozione. Lapiù parte di essi s'era conservata a quei serviginon perubbidienza(e certo un volonteroso e pronto obbedire in talicircostanze non è una virtù volgare) ma per un impulsospontaneo: molti avevan fatto broglio per esser deputati allazzeretto; avevan reputato guadagno la perdita della vitae questoguadagno era già toccato ad un buon numero di essi: talunoperfinopassando dal disprezzo della morte al desiderioe daldesiderio alla ricercatrascurò le cautele che pure eranocompatibili con l'operaquasi per non lasciarsi sfuggire il premio.Il che si chiamerebbe volentieri un bell'eccessochi non riflettesseche la religione proscrive tutti gli eccessi; perché ilsaggioil temperatoil ragionevole ch'ella comanda o consigliaèpiù nobile e più bello di qualunque esaltazionefantastica.

Nelsuo tristo giroFermo s'abbattè in un luogo dove quellacarità offriva uno spettacolo singolare. Vide nel campo unpicciol parcouna steccajacome per tenervi ragunato un gregge. Siavvicinò; v'era in fatti un gregge di capre; e il vecchiopastorecon una lunga barba bianchissimasuccinto e affaccendatoera un capuccino. Le capre davano la poppa; ma quali erano i picciolilattanti! bambinelli che raccolti in quel recinto presso la madrespiratao staccati dal petto inanimato eran quivi portati a vivere.Quel nuovo pastore sprimacciava un letticciuolo di paglia ad unbambinone accostava un altro alle mamme; i belati rispondevano aivagiti; e alcune di quelle nuove nutrici già avvezze a taliallievi si avvicinavanoe si acconciavano ad essi come con sensoumano; alcune perfino distinguevano quello che era loro toccato ilprimodistinguevano il suo gridoe si ritraevanostrepitavano seun altro bambino veniva presentato alle loro poppe.

Fermoristette ivi alquanto a contemplare la novità dellospettacoloe a riposarvi gli occhi affaticati d'orrore. Ma movendosidi quivi vi si trovò ingolfato di nuovo; e rifinito dallalunga costernazionedalla fatica e dal digiunoegli pensava giàad uscire di làper riprendere se non altro nuove forze colriposoper andare in traccia di cibo. Quando vide lontano per mezzoa quella varietà di cose e di movimenti un altro capuccino chepresso ad una gran pentola andava riempiendo scodellee le portavanelle capanneo le distribuiva presso di sè nel campo aperto.

Risolseallora di condursi da quella partee di chiedere al frate un poco diquel nutrimentopersuaso ch'egli non lo negherebbe ad un affamatoquantunque sano. Camminando sempre verso quel luogoe tenendo dimira il pentoloneperché il frate andando attorno spariva ditratto in tratto ai suoi occhi per gli oggetti frappostilo videfinalmente sedersi anch'eglisu la porta d'una capannucciaerecarsi in mano una scodellae mangiare. Era il frate rivolto con lafaccia verso Fermo che veniva; e questi guardandolo piùattentamente credette di scorgere una somiglianza singolaredellapersonaperché non era tanto vicino che potesse nulladiscernere dell'aria del volto. In quel baleno sentì egli unagiojauna speranza improvvisa; ma ricordandosi tosto ciò cheAgnese gli aveva detto di Palermodi quel paese di là dalmarecacciò quella speranza come una illusione. E pure adogni passo la somiglianza diveniva più fortepiù vivail frate diveniva il Padre Cristoforo.

Eraproprio il Padre Cristoforo. Alle prime novelle che s'erano avute inPalermo della peste dichiarata in Milanoil nostro buon frate a cuiquarant'anni di tonaca e di capuccio non avevan potuto togliere dallamente una rimembranza del tempo in cui portava cappa e spadae cheaveva desiderato per quarant'anni di finir la sua vita spendendolapel prossimocolse con trasporto quella occasione e scrisse a Milanosupplicando d'essere chiamato al servizio degli appestati. Fuesaudito: il Conte Zio del Consiglio segreto era mortoe del restoin quella confusionee in quel bisogno di soccorsianche unpuntiglio avrebbe potuto essere pospostoo dimenticato.

FraCristofororicevuta l'obbedienzavenne a dirittura a Milanosipresentò al conventofu mandato al lazzerettoe vi stava daun mese. Aveva quivi una sua capannucciae s'era fatto all'intornocome un picciolo distrettopel quale giravafacendo il confessorel'infermiereil cuocoagli appestati che si succedevano in quellospazio; e in quel mese aveva forse veduta rinnovarsi otto o diecivolte la popolazione di quel suo distretto.

"PadreCristoforo!" gridò Fermo con un tuono tra l'esclamazionee la chiamataa quaranta passi di distanzaquando fu certo chevedeva realmente quell'uomo che egli avrebbe tanto desideratose nonavesse creduto cosa impossibile che un tal desiderio potesse esseresoddisfatto.

"Vengo"rispose tosto il Padrecredendo d'esser chiamato come gli accadevaad ogni istanteper qualche servizio dei suoi infermi; e messa aterra la scodellalevò la testaper vedere se qualche altrosegno gl'indicasse il canto donde era venuta la chiamata. Ma videinvece un giovane sano e diritto che s'avvicinava; e riconobbe tostoFermoil quale giunto a luitra la consolazione e la maraviglia nonseppe dir altro che: "Padre Cristoforo!"

"Tuqui!" sclamò questi: "che vieni a cercare in questoluogo? la peste? la morte?"

Mentreil frate proferiva queste paroleFermo lo guardava fisamenteesentiva amareggiarsi la consolazioneche aveva provata nel primoistante di quel ritrovamento. Il volto del frate era mutatoben piùe bene in altro modo che non avessero potuto fare per sè queiventi mesi cresciuti alla sua vecchiezzané le fatiche. Gliocchi già così vivaci erano spentile guance scarnesparutetinte d'un pallore cadavericola voce aveva un non so chedi crocchiante; e in tutto si vedeva una natura sopraccaricataequasi esaustasostenuta e alimentata da una costanza interiore.Fermo con la trista pratica che aveva dovuta acquistares'addiedetosto che il suo buon protettore era colpito dalla pestesicchéinvece di rispondere lo richiese ansiosamente: "Ma ellapadrecome sta ella?"

"ComeDio vuole"rispose il vecchio"non parliamo di questo. Matudimmicomeperché sei tu in questo luogo? Perchévieni così ad affrontare la peste?"

"L'hoavutae ne sono uscito salvograzie a Dio. Vengo a cercare...Lucia".

"Lucia!"sclamò il Padre: "Lucia è qui?"

"Èqui"rispose Fermo"se pure... v'è ancora".

"Èella tua moglie?" domandò il Padre.

"Ahno!" rispose Fermo con un sospiro; "ma s'ella vive... losaràspero;... ne son certo... perché no? Oh padre!quante cose avrei da raccontarle!"

"PadreVittore!" gridò il vecchio ad un suo giovane confratelloche girava quivi poco distante; e che accorse tosto: "PadreVittorefatemi la carità di attendere a questi miei poverettimentre io me ne sto ritirato un quarto d'ora; se però alcunomi volessecompiacetevi di chiamarmi". Il Padre Vittore accettòl'incaricoe il Padre Cristoforo disse a Fermo: "Vien quadentro con me: sii breve: le faccende son moltecome tu vedie iltempo è scarsomisurato... Ma che? tu sei ben rifinito: haitu bisogno di cibo?"...

"Adire il vero..."rispose Fermo.

"Pigliadi quello che dà il convento"disse il frate con unafrase usuale capuccinesca. E tolta una scodellala riempìdella minestra del pentolonee la porse a Fermo: soggiungendo:"Quando la provvigione è finitaIddio ne manda: piùvolte quando ci siam trovati lì lì per rimanere inseccoci son venute le carra di robasenza che sapessimo da chimandate; né ancora lo sappiamo. Entrae mangia questa carità;e avrai anche uova e panee un bicchiere di vino: tu ne hai bisognoa quel che veggio". Così dicendo raccolse anch'egli lascodella che conteneva il resto del suo pranzoed entrò conFermo nella capannucciae sedette con lui sul saccone che gliserviva di letto.

Fermotra un cucchiajo e l'altro raccontò succintamente la storia diLuciao la parte che gli era nota; come il frate di Monza l'avevaposta in guardia della Signoracome ella era stata rapita... "GranDio!" sclamò a quel punto il padre Cristoforo: "edio... io l'ho indirizzata in quel paese! Ma voi sapete ch'io latoglieva da un pericolo evidentee credeva di porla a salvamento.Parla"seguì poi con voce animata"finisci questastoria dolorosa".

Fermoin poco più parole che noi non ve ne impieghiamoproseguìa narrare come Lucia fu condotta al castello del Conte del Sagratocome mirabilmente da questo renduta alla madrecome collocata poi incasa di Don Ferrante. E qui il frate respirò piùliberamente. Fermo narrò pure le sue impresenon senzavergogna; la sua fugae la sua dimora in Bergamola sua risoluzionedi venire a sapere che accadesse di Luciail suo viaggio a Leccolesue ricerche di quella mattinae la notizia ch'egli aveva ricevutada quella signora alla finestrache Lucia era al lazzeretto. "Onde"conchiuse"vengo a cercarla qui; vengo a vedere s'ella èvivase si ricorda di mese mi vuole ancora..."

"Ogiovane!" disse il Padre Cristoforo"e in questi tempifra questi oggettitu hai potutotu puoi ancora occuparti di talipensieri?"

"Macaro padre mio..." cominciò per rispondere il giovane; enon seppe dir più: perché sentiva egli bene una grandeimportanza in quei suoi pensieri; erano per lui un affare moltoserio; ma era impacciato a trovar le parole convenienti per esprimereuna tale idea ad un vecchio capuccinoche era venuto quivi a viverea morirenel ribrezzoe nelle fatiche per servire a sconosciuti.Parlar d'amoreaccennarlo pure con circollocuzioniaddurre l'amorecome un motivo importantecome una faccendain quel luogoad untal uomopareva a Fermo una vergogna: e in fatti però nonavrebbe potuto parlar d'altroperché l'amore era il motivoche l'aveva condotto lì. Ma il buon frate lo cavò tostod'impacciorispondendo per lui. L'interrogazione mista quasi dirimprovero che gli era uscitanon veniva dal fondo della sua mente:erano di quelle parole volgariche precedono la riflessionee dellequali anche gli uomini avvezzi a riflettere contraggono l'uso dallaconversazione comune.

"Tuhai ragione"diss'egli a Fermo che esitava: "tu hai benfatto. Quei che stanno per moriredebbono pensare alla mortenonaltro; ma l'uomo che è nel vigore della salute e dell'etàl'uomo che può vivere ancoradevepensando alla morteprovvedere alla vita; non per cercare in essa un contento che nonv'èma per condurlasecondo l'ordine di Diofino allamorte. Tu seguivi quest'ordine quando cercasti una compagna dellavitauna compagna d'affettodi occupazionidi travaglidiconsolazioni e di preghiere. Iddio permise che il mondo vi separasse.Fu ella una prova? o era volere di Dio che voi vi santificastedivisiche dopo esservi avviati insiemegiungeste a Lui per diversestrade? Egli lo sa. Tu intanto ben fai di stare in quel propositoragionevole da cui la sola violenza ti aveva allontanato: ben fai diandare in cerca di quella creatura alla quale tu hai promessod'essere un compagno e un appoggio. Ma come sei tu indirizzato atrovar qui Lucia? hai qualche indizio della parte dov'ella furipostadel quando venne?"

"Nullacaro padrenullase non che ella è stata condotta allazzeretto".

"Ohpoveretto!" disse il padre Cristoforo: "egli è comese ti fosse stato detto che un anello è caduto nel lagoe tuvi ti attuffassi a caso per ripigliarlo".

"Gireròcercheròguarderò"disse Fermo.

"Ascolta"disse il frate; "gli appestati che son guariti in questo luogo(ahi che picciola parte di quelli che vi sono entrati!) quegli fraloro che ponno reggersi e camminaredebbono oggi esser condotti alGentilinoal di là della cittàfuori di portaTicinesea fare la quarantena: v'era ben destinata qui una parte delfabbricato a tale uso; ma il fabbricato e il recinto non bastano comevedi agli infermi. Questi che debbon partire si vanno ora ragunandointorno alla Chiesa che è nel mezzoper moversi di làtutti insieme: jeri sono stati avvertiti e... sta: odi tu una squillatra questo doloroso mormorio? è il terzo tocco dellacampanella che li chiama. Va dunque colà; osserva tra quellabrigatase tu vedi colei che tu cerchi; se ella è fra lespighe rimaste in piedi dopo la messe. Se non ve la scorgi; fa cuoretuttaviae cammina innanzi verso questa banda (e accennò amano manca). Quella banda del fabbricato"seguì poi"èstata da principio destinata alle donne. Oraa dir verotutto èconfuso; pure quella poveretta certamentesarà rimasta alluogo dove l'avranno collocata; e se v'è ancora speranza ditrovarlaè da quella parte. Cercala ivi; Dio ti conduca: eche che avvenga delle tue ricercheprima d'uscire da questo recintovieni ancor qui a darmene conto: anch'io vorrei saper s'ella vive!"

Ilpadre Cristoforo proferì queste parole con una commozionecompressae presa la mano di Fermoche aveva finito di ristorarsie s'alzavalo condusse su la porta della capannae gli segnòpiù distintamente il lato dove doveva fare le sue ricerche.

"Vado"disse Fermo; "lo scorrerò tuttoguarderò distanza in stanzadi capanna in capanna; se non è quivigirerò tutto il lazzerettoe se non la trovo..."

Ea questa sospensione tutto ad un tratto s'oscurò in voltostravolse gli sguardie mandò un soffio di furore dallelabbra tremanti.

"Senon la trovi?" disse il padre in contegno di gravitàedi aspettazionetenendolo forte per mano.

"Senon la trovofarò di trovare qualche altro. O in Milanoonel suo scellerato palazzoo in capo del mondo o a casa del diavololo troverò quel furfanteche ci ha separati: quel birboneche se non fosse stato egliLucia sarebbe mia da venti mesi; e seeravamo destinati a morirealmeno saremmo morti insiemealmenoavremmo potuto soccorrerci; essa non sarebbe qui abbandonataio nonsarei qui mezzo disperato. Lo troverò coluie se la peste nonha fatto già una giustizia..."

"Ese lo trovi?" disse il padrecon una gravità fatta piùsevera e quasi sdegnosa.

"Nonè più il tempo"continuò Fermosempre piùcieco di collera"non è più il tempo che unpoltrone coi suoi bravicoi suoi giudicicoi suoi amici prepotentifaccia tremare: è venuto il tempo che gli uomini s'incontrinoda solo a solo..."

"Sciaurato!"gridò il padre Cristoforocon una voce che aveva ripigliatatutta l'antica pienezza e sonorità: "sciaurato!" eil suo capo gravato sul petto s'era sollevatole guance sicoloravano dell'antica vita e gli occhi mandavano le antiche faville."Guardasciaurato!" e così dicendomentre con unamano stringeva e scoteva forte la mano di Fermogirava l'altradistesa in cerchio dinanzi a sèverso la scena dolorosa cheli circondava. "Guarda chi è Colui che castiga! Colui chegiudicae non è giudicato! Colui che percote e che perdona!Ma tuverme della terratu vuoi far giustizia! Tu saituqualesia la giustizia? Vasciauratovattene! Io sperava... sìhosperato cheprima di morireDio m'avrebbe data questa consolazionedi sentire che la mia povera Lucia fosse vivaforse di vederlae disentirmi promettere ch'ella manderebbe una preghiera là versoquella fossa dov'io sarò. Va; tu m'hai tolta la mia speranza.Dio non l'ha lasciata in terra per te; e tucerto non hail'ardimento di crederti degno che Dio pensi a consolarti. Avràpensato a lei; poiché ella era di quelle anime a cui sonriservate le consolazioni eterne. Va; non ho tempo di piùdarti retta".

Ecosì dicendogettò da sè la mano di Fermoe simosse verso una capanna d'infermi.

"Ahpadre!" disse Fermo con voce affranta"mi vuol ella mandarvia a questo modo?"

"Come!"riprese con voce non meno severa il capuccino: "ardiresti tu dipretendere ch'io rubassi il tempo a questi afflittiche aspettanoch'io parli loro del perdono di Dioper ascoltare le tue voci dirabbiai tuoi disegni di vendetta? Ti ho ascoltato quando tu poteviaver bisogno di confortochiedevi consolazionee indirizzo; mi sontolto alla carità per la carità; ma ora tu hai la tuavendetta in cuore; che vuoi da me? Vattene; ho veduti morire quidegli offesi che perdonavano; degli offensoriche avrebber volutopotersi umiliare dinanzi all'offeso: ho pianto con gli uni e con glialtri; ma con te che posso fare?... se tu non gli perdoni da veroe..."

Ilsuono di queste ultime voci era raddolcitoe l'aspetto del vecchionel proferirlepure in mezzo alla severità annunziava unatenerezza pronta a scoppiare.

"Ahgli perdono!" disse Fermo piangendo: "così Dioperdoni a me! così possa io tornar qui a dirle che Lucia èvivache Lucia vivrà".

"Vienqua" disse il padrepigliandolo per mano; e lo ricondusse nellacapannucciae lo fece seder come prima presso di sè. Fermostava tutto intento e commosso.

"Saitu"disse il padre"perché io porto quest'abito?"

Fermoesitava: "Lo sai tu?" riprese il padre.

"Loso"rispose Fermo.

"Tusai che questa mano ha ucciso!"

"Sìma un prepotente che l'aveva aizzatouno di quei..."

"Taci"interruppe il frate. "Credi tu che se vi fosse stata una buonaragioneio non l'avrei trovata in quarant'anni? perchésonquarant'anni ch'io vi pensoe grazie a Dioper quarant'anni ne hoavuto doloree mi sono accusato: e ho pregato Dio che in segno delsuo perdono eternoEgli mi punisse in questa vitache pigliasse lamia in sacrificiocome io aveva ardito disporre di quella d'un uomo;che mi facesse morire in servizio d'altrui; e spero d'essereesaudito. Non creder tu ora dunque di poter consolarmi: consolatipiuttosto di essere tu in tempo a perdonare: non ispender vaneparole; ascolta piuttosto le mie; v'è dentro il pensiero ditutta la mia vitadella men trista parte di essa. Sai tu perchéio ho ucciso? Perché v'era una cosa ch'io amava troppo. Sìfigliuolociò ch'io chiamava il mio onoreio lo amavaardentementesopra ogni cosacome avrei dovuto amar Dio. E quandola vita d'un uomo... gran Dio! la vita d'uno fatto a vostra immagine!si trovò in confronto col mio onoreio gliel'ho sagrificata.M'hai tu inteso!"

Fermotutto commossorispose sinceramente: "padre sì". Infatti egli intendeva qualche cosa di molto ragionevoleche bisognaamar Dio sovra ogni cosae non ammazzare. Ma l'intento di queldiscorso non passava nel suo intelletto: l'uomo che esprime le ideeche sono state per lui soggetto d'una lunga e ripetuta meditazioneèoscurosenza volerloanche per gente più colta che non fosseil nostro giovane montanaro.

Ilpadre Cristoforo continuò: "Il mio affetto era stoltoesuperbo: il tuo è ragionevole e buono; la mia era passione nonsolo d'uomo furiosoma di ragazzo stolido; perché che volevaio? che voleva io ad ogni costo? camminar rasente il muroe nonpigliare il mezzo della via; e tutu pensi da uomo savio adesiderare per tua compagna una di quelle donne che il cielo destinacome un premio ai buoni; quella che tu scegliestie che ti scelse.Ma il tuo affetto diventa ingiustodiventa stolido com'era il miose tu non lo sottometti al volere di Colui che solo puòrenderlo santo. E un tale amorebada bene alle mie paroleun taleamorequando tutto ti andasse a secondaquando tu ottenessi ciòche più desideriun tale amore tostoo tardipiùtosto che tarditi tornerebbe in amaro: come; io non lo soma senzadubbio: e parlo dal tetto in giù. Or pensa che bel confortoavresti di questo amoreseperduto ciò che te lo fa parertanto dolcenon te ne rimanesse che un odionessuna speranza ched'una vendettanessun frutto che un omici..."

"Nonlo dica"interruppe Fermocome atterrito.

"Rendigrazie a Dio"riprese il padre"che tu non abbi apentirti che d'un pensiero. Ma il pentirsi del fatto... ah! èben amaro! E il non pentirsi è orrendoorrendo più chenon si possa comprendere in questa vita. Fermo! giuri tu il perdono?"

"Ah!lo giuro"rispose Fermo in tuono solenne.

"Achi giuri tu di perdonare?"

"Aquell'uomo..."

"Achi?"

"Sìpadrea Don Rodrigo".

"SìFermoa Don Rodrigo: è un nome che fu posto sul fonte dellarigenerazione ad una creatura redenta col Sangue d'un Dio; èun nome che forse è scritto sul libro della vita: perchéDio perdona; guai a tese non fosse!" Dette queste paroleilvecchio stette pensoso un momentotenendo tuttavia la mano di Fermopoi abbandonatalaprese la sua sportane trasse dal fondo un pezzodi pane aridoe scoloratolo mostrò a Fermoe disse:

"Veditu questo pane? Lo conservo da quarant'anni; l'ho mendicato nellacasa di quello sventurato... l'ho avuto dai suoi come un pegno dipacee di perdono. Ah! se avessi potuto prenderlo dalle sue mani!Prendi"- e porse il pane a Fermo -"conservalo ora tu: è il dono ch'io possolasciarti per mia memoria. E secome speroIddio ti vuol condurreper quella via alla quale pare che Egli ti avesse chiamatose tusarai padre; mostra questo pane ai tuoi figliconta loro la miatrista storiadi' loro che preghino pel povero capuccinoche morìpentito. Saranno provocatisaranno offesi; di' loro che perdoninosempresempretuttotutto. Tu rimani a vivere in un secolodoloroso: i giorni che noi veggiamo son cattivi; quei che sipreparano saranno peggiori: i figli dei provocatoridei superbideiviolentilo saranno più dei padri loro. Gran Dio! questoflagello non corregge il mondo: è una grandine che percuoteuna vigna già maledetta: tanti grappoli abbatte; e quei cherimangonoson più tristipiù agrestipiùguasti di prima. Tu stessoo Fermotu stessoqui dove l'uomo nondovrebbe aver cuore che per la misericordiatu odiavi ancora!"

Fermonon disse nullama il suo volto esprimeva il pentimento.

"Orva"disse il padre alzandosi"Iddio benedica le tuericerche".

"Vuoldirepadrech'io la troverò?" richiese Fermoansiosamentecome se parlasse ad uomo che ne potesse saper piùdi lui.

"Cercalacon perseveranza"rispose il padre"cercala con fiduciae con rassegnazione. Iddio può fare che tu la trovima non tel'ha promesso. Ti ha promesso di perdonare tutti i tuoi fallise tuperdoni a chi t'ha offesoti ha promesso di renderti felice persempre al fine di questa vitase tu osservi la sua legge. Non tibasta? Va; e qualunque sia il frutto della tua ricercavieni adarmene contezza: noi ringrazieremo Dio insieme".

Cosìdicendoegli pose le mani su le spalle di Fermoe stette un momentocolla faccia elevata in atto di preghiera e di benedizione. Poistaccandosidisse; "Intanto io pregherò per voi;assistendo a questi vostri fratelliio pregherò per voi".Fermo si prostrò ginocchionistette un momento con le manicompresse al volto piangendoe pregando; s'alzòguardòintornouscì dalla capannae si diresse alla Chiesacomegli aveva indicato il capuccino. Egli era scomparsoe andavacercando intorno dove fosse più bisogno della sua assistenza.



Cap.VIII

All'intornodel picciolo tempio v'era un picciolo spazio sgombro di capanneeFermo giungendovilo vide occupato da una folla distinta in ragazziin donnee in uominitutti composti e in gran silenziofra ilquale si udiva distintamente una voce alta ed oratoria che veniva daltempio. Questoelevato d'alcuni gradi al disopra del suolononaveva allora altro sostegno che le colonne disposte in circolo; nelmezzo v'era un altare che si poteva vedere da tutti i punti dellazzerettoper mezzo agli intercolunnj vuotiche in oggi sonomurati. Rittosu la predella dell'altare stava un capuccinoaltodella personafra la virilitàe la vecchiezza; teneva con ladestra una croce posata al suolo che gli sopravvanzava il capo ditutto il traverso; e con l'altra mano accompagnava di gesti ildiscorso che andava facendo. Era questi il Padre Felicesopraintendente del Lazzeretto. Fermogiunto sull'orlo di quellaadunanza avrebbe voluto avanzarsi a trascorrerlae cercare ciòche gli stava a cuore; ma senza contare un altro capuccino checonun aspetto tanto severo anzi burberoquanto quello dell'oratore erapietosostava ritto in mezzo alla brigata per tener l'ordine; quellaquiete generalequell'attento silenzioe quella unica vocebastarono ad avvertire il nostro ansioso che ogni movimento sarebbestato in quel luogo scompiglioe irriverenza. Stette egli dunquealla estremità della brigata ad aspettaree udì laperorazione di quel singolare oratore.

"Diamoadunque"diceva egli"un ultimo sguardo a questo luogo dimiserie e di misericordiapensando quanti vi sono entratiquanti nesono stati tratti fuora per la fossaquanti vi rimangonoquantopochi al paragone siam noiche ne usciamo non illesima salvimacolla voce da lodarne Iddio. L'anima nostra ha guadato il torrente;l'anima nostra ha guadate le acque soverchiatrici: benedetto ilSignore! Benedetto nella giustiziabenedetto nella misericordiabenedetto nella mortebenedetto nella salvezzabenedetto neldiscernimento ch'Egli ha fatto di noi in questo sì vastosìsmisurato eccidio! Ah possa essere questo un discernimento diclemenza! possa la nostra condotta da questo momento esserne unindizio manifesto! Attraversando questo mare di guajdiamo unosguardo di pietàe di confortoa quegli che si dibattonotuttavia con la tempestae dei qualiah quanto pochipotranno comenoi afferrare un porto terreno. Ci vedano uscirnerendendo grazieper noied elevando preghiere per essi! Attraversando la cittàgià sì popolosanoi scarsa restituzione dell'immensotributo ch'essa mandò in questo luogomostriamo agli scarsisuoi abitatori un popolo scemato sìma rigenerato. Procediamocon la compunzione nel voltoe coi cantici su le labbra. Quegli cheson ritornati nella pienezza dell'antico vigoreporgano un bracciosoccorrevole ai fiacchi; gli adulti reggano i tenerii giovanisostengano con riverenza e con amore i vecchjai quali la saluteritornata non apporta che pochi giorni di stento. E se in questosoggiorno di provain questo stesso crogiuolo di purgazione abbiampeccato; se abbiamo abusato anche dei flagellise abbiamo sciupati idoni e le ricchezze dello sdegnocome già quelli dellabenignità; ebbene! non abbiam però potuto esaurire iltesoro del perdono: ricorriamo ad esso di nuovo.

Perme..."

Equi l'oratore fece pausastraordinariamente commosso; poi tolse unacorda che gli stava ai piedise la avvinghiò al collo come adun malfattorecadde ginocchionie proseguì:

"Permee per tutti i miei compagnii qualisebbene immeritevolisiamostati per una ineffabile degnazione trascelti all'alto privilegio diservir Cristo in voi; secome è pur tropponon abbiamodegnamente corrisposto ad un tanto favorese non abbiam degnamenteadempiuto un sì grande ministero... perdonateci! Se lafiacchezzao la ritrosia della carne ci ha resi men pronti ai vostribisognialle vostre chiamateperdonateci! se una ingiustaimpazienza se una noja colpevole ci ha fatto talvolta nei vostri malimostrarvi un volto severoe fastiditoperdonateci! Se la corruttelad'Adamo ci ha fatto trascorrere in qualche azione che vi sia statacagione di tristezzae di scandaloperdonateci! Nessuno porti fuordi qui altra amaritudine che delle sue proprie colpe!"

Cosìdettostette egli ginocchionicome aspettando un segno che l'umilee cordiale suo prego era accetto ed esaudito. Un singhiozzounpiantoun gemito universale si levò da quella turba arispondere. Dopo qualche momento il frate s'alzòprese lacroce ad ambe manie l'inalberò; scese dalla predellaequivi depose i sandali; gridò ad alta voce: "andiamo inpace"; poi intonò il Miserere; e scalzoportandodinanzi a sè quell'alta croce pesantescese gli scaglioni deltempio dalla parte rivolta alla porta meridionale del lazzeretto chesbocca dinanzi alla mura della città; e s'incamminòverso quella. Dietro lui s'avviò la torma dei fanciullettidiquelli cioè che potevano reggersie sapevano condursi da sè;poi le donnealcune delle quali tenevan per manoo nelle bracciafanciullineo bambinie con fioca voce cantavano il salmo intonatodal guidatore; poi gli uomini pur cantando; poi carri diconvalescentie delle bagaglie di quei che partivano: quelle che intanta confusione s'eran potuto serbaree raccogliere. Ultimo venivaquell'altro capuccino che abbiamo menzionatocon un gran vincastroin mano; e coi cenni di quellocon gli occhi e con la vocetenevain sesto il convoglio. Era questi un Padre Michele Pozzobonelliilcoadiutore più autorevolee come il primo ministro del PadreFelicein quel regno di desolazione.

Fermotosto ch'ebbe veduto questo scender dal tempioe notato da che partes'avviavaentrò di nuovo fra le capanne per pigliare i passiinnanzisenza dare né ricever disturbo e sboccar poi di nuovosu la strada per dove la processione doveva passare. Dalla portameridionale al tempio v'era infatti come una stradauno spazio ches'era lasciato sgombro di capanne per dar passaggio ai carri degliinfermi che per lo più entravano da quella portae da quellospazio poi si distribuivano a dritta e a sinistracome si poteva.Fermo riuscì su quellaal mezzo in circa; e vide venire ilvecchio crociferolo vide passarevide passare i ragazzie poi conun gran battito al cuoreesaminò le donne che pur passavano;e lo potè fare a suo agioperché elle procedevano adue a due. Passapassa; guardaguarda: qui non v'èqui népure; più che la metà è passata; poche nerimangono; compajono le ultime della fila femminile; ecco gli uomini:Lucia non v'era. Quanta speranza svanita! Rimanevano però icarri ancora: Fermo gli vedeva venire; e i primi erano carichi didonne. Stette dunque aspettandolasciò passare la schieradegli uomini; guardò ad uno ad uno quei carri. Passavanolentamentesi arrestavano talvolta come accade nelle processioni enelle marce d'ogni genere; di modo che Fermo potè aver latrista certezza che nessuna di quelle donne era sfuggita alla suavista; e che Lucia non v'era. Le braccia gli cadderoquando si videfinire in mano l'unicoo almeno il più forte filo delle suesperanze. Anche prima di vedere trascorrere quella per lui sìtrista rassegnaegli sentiva pur troppoquanto era piùprobabile che Lucia fosse nel numero dei tanti portati fuora dallazzeretto sui carriche dei pochi risanati: ma purecome si suoleegli metteva il suo desiderio sul guscio della speranzae facevatraboccare le bilance da quella parte. Ma oraegli credeva di dovereesser certo che Lucia non era tra i guaritiné tra iconvalescenti: la contingenza più lieta per luil'unica suasperanza (quale speranza!) era ormai ch'ella fosse ivi languentemaviva.

Passatotutto il convogliopassato il Padre MicheleFermo si mise senzatroppo pensare dove andassesu quella via rimasta sgombrae le suegambe lo portarono dinanzi al tempio.

Quivigli vennero alla mente le parole del buon frate Cristoforo: -Se non ve la scorgifa cuore tuttavia... Cercala conrassegnazione. - Si prostrò su gli scaglionidel tempiofece a Dio una preghierao per dir meglioun viluppo diparole scompigliatedi frasi interrottedi esclamazionididomandedi protestedi disdetteuno di quei discorsi che non sifanno agli uominiperché non hanno abbastanza penetrazioneper intenderliné sofferenza per ascoltarli; non sonoabbastanza grandi per sentirne compassione senza disprezzo. Si levòdi là più rincorato e si avviò. Dal tempio allaporta che divide il lato settentrionale a cui tendeva Fermoscorrevacome dalla parte oppostaun viale sgombro di capanne; e sisarebbe potuto chiamare la via dei mortiperché ivi facevanocapo e giravano i carriche portavano alla fossa di San Gregorio lecentinaja che perivano ogni giorno nel lazzeretto. Fermo scelsequella via come la meno impeditae la più breve; e studiandoil passo alla megliotra l'incontro continuo dei carri e l'inciampofrequente di altri tristissimi ingombripervenne a pochi passi dallaporta. Ma quivi un occorrimento di carri vuoti che entravanodicolmi che uscivano faceva in quel punto un tale imbarazzoche Fermoanziché affrontarloo aspettare lo sgombrostimòmeglio di entrare tra le capanne per riuscire di quindi alfabbricato. Le capanne in quel luogo eran tutte abitate da donne; edegli procedeva lentamente d'una in altraguardando. Or mentrepassandocome per un vicolotra due di questel'una delle qualiaveva l'apertura sul suo passaggioe l'altra rivolta dalla parteoppostaegli metteva il capo nella primasentì veniredall'altraper lo fesso delle assacce ond'era connessasentìvenire una voce... una vocegiusto cielo! che egli avrebbe distintain un coro di cento cantantie che con una modulazione di tenerezzae di confidenza ignota ancora al suo orecchioarticolava parole cheforse in altri tempi erano state pensate per luima che certamentenon gli erano mai state proferite: "Non dubitate: son qui tuttaper voi: non vi abbandonerò mai".

SeFermo non mise uno stridonon fu perché lo rattenesse ilriguardo di fare scandaloil timore di farsi troppo scorgere ed'essere preso o cacciato; fu perché gli mancò la voce.Le ginocchia gli tremarono sottola vista gli s'appannò unmomento; ma come accade per lo più quando dopo una gransorpresa rimane qualche cosa d'importante da farsi o da saperel'animo gli ritornò tostoe più concitato di prima. Intre balzi girò la capannafu su la portavide una donnainclinata sur un lettoche andava assestando.

"Lucia!"chiamò Fermo con gran forza e sottovoce ad un tempo: "Lucia!"

Trabalzòella a quella chiamataa quella vocecredette di sognaresi volseprecipitosamentevide che non era sognoe gridò: "OhSignore benedetto!" Fermo rimase su la porta tacito e ansanteeLucia pure dopo quel grido stette immota in silenzio più tempoche non bisogni a raccontare in compendio le sue vicende dal punto incui l'abbiamo lasciata.

Ellaera sempre rimasta nella casa di Don Ferrante; e fino ad un certotempo sotto la vigilanza severa di Donna Prassede. Ma allo spiegarsidella peste questa signoramesse da un canto tutte le altre curedimenticate tutte le brighenon solo le sue propriema anche quelledi cui prima andava tanto volentieri in cercanon ebbe piùche un pensierodi guardarsi dal pericolo comune. Pensò ellacheper fare del benela prima condizione è di essere invitae per alloravolle assicurar questa. Quanto al prossimononpensò più a regolarloma soltanto a tenerselo lontanotanto che non gli comunicasse la pestilenza. Don Ferrante invecepersuaso che tutte le precauzioni immaginabili non avrebbero potutofare che la congiunzione di Saturno con Giove non fosse avvenutanéstornare le conseguenze di un avvenimento di quella sortenon cangiònulla al suo tenore solito di vita: e contrasse la pestilenzache inun giorno lo spicciò. Donna Prassede s'era ritirata con lasignora Ghitanella stanza più remota della casa; Prosperoche alla morte di Don Ferrante era certo di dovere andare a spassopensava a farsi un po' di fardelloil resto della famiglia seguivail suo esempio; e il povero astrologo sarebbe morto abbandonatoseLucia non avesse avuta la carità di prestargli qualcheservigio. Il giorno stesso in cui Don Ferrante morìLucia fupresa da un gran soporerimase come insensatae cadde senza forze:donna Prassede ordinò tosto che ella fosse portata nella viaad aspettare un carro o una bussola che la portasse al lazzeretto.Così fu fattoe così avvenne. Lucia deposta in quellacapannucciastette alcuni giorni fuori di sèsenza prenderciboné rimediilottando il vigore della natura con laviolenza del male; e non riprese l'uso delle sue facoltà senon quando il male fu superato. Ma quale risvegliamento! in queltumulto di mortein quello scompiglio di guaisenza vedere un voltoconosciutosenza udire una voce famigliare! Purein quel tempocome in tutte le grandi calamità la vista o il raccontoel'aspettazione continua dei mali rendeva preparati a tutto anche glianimi i meno agguerriti; questa preparazionela gran ragione dellanecessitàla cascaggine stessa che il male aveva lasciataaddosso a Luciala fecero avvezzare ben tosto alla sua situazione;la fiducia in Dio gliela raddolcì. La capannuccia non capivache due lettio covili che fossero: in pochi giorni Lucia cangiòpiù volte di compagnia. Finalmentequando ella cominciava apotersi reggerevi fu portata una donna che era moglieanzi vedovad'un ricco mercante di stoffemadreanzi orba di due figli: lapeste le aveva tutto portato via. Questa rimasta sola in casaesentendosi pure colpita dal morboaveva chiamato un commissariodella sanità che conosceva per sua buona sortee che per unasorte ancor più rara era un galantuomo; e gli avevaraccomandata sè e la sua casa. Egli la fece chiudere esigillarepromise di vegliarlae fece portare la donna allazzerettocon tutta quella cura particolare che si poteva in quellecircostanze. Lucia assistette la sua compagnache superò purela malattia; e come è facile ad intendersitra quella cheprestava sì pietosi servigje quella che gli ricevevaambedue desertebuone ambedues'era formata una strettissimaamicizia. La vedovaprima di venire al lazzeretto aveva nascostanella sua casa una buona somma di danarie vi aveva lasciate moltemercanzie protette dal sigillo publicoe ancor più dallaindifferenza dei monatti per le robe che non fossero di pronto uso odi facile smercio. Trovandosi quindi sola e doviziosaella avevaproposto a Lucia di tenerla con sècome una sua figliaeLucia ringraziando Dio che le aveva preparato un asiloe la buonadonna che glielo offerivalo aveva accettatoma solo per qualchetempotanto che potesse aver notizie di sua madree pensare aprendere una risoluzione stabile. Ciò ch'ella aveva promessoalla sua compagna era di non abbandonarla finch'ella non potesseuscire dal lazzeretto; e per ciòLucianon s'era unita aiconvalescenti che erano partiti quel giorno alla guida del PadreFelice. Ma la buona vedova avvezza a quella dolce compagniaeatterrita dal solo pensiero di restarne privanella desolazioneesprimeva di tempo in tempo quel suo terroree si faceva rinnovareda Lucia la promessa in cui trovava la quiete dell'animo suo. E perdissipare appunto una di queste dubitanze Lucia aveva dette le soaviparole che colpirono l'orecchio di Fermoe che abbiamo riferite.

Fermoera dimorato su la porta; e di là il suo secondo sguardo s'erarivolto su la persona alla quale quelle parole erano state dirette; efu molto contento quando vide a che sesso ella apparteneva.

"Ah!siete viva; e v'ho trovata!" diss'egli quando potèricuperar la parola; ed entrò nella capanna.

"Voi!"sclamò Lucia.

"Sonvenuto qui per cercarvie v'ho trovata!" rispose Fermo.

"Ela peste?"

"L'hoavuta".

"Ah!"fece Lucia con un gran respiroche significava assai più cheun: - me ne rallegro infinitamente -."Ma come... qui?"

"Sonvenuto a cercarvi in Milanoappena ho potuto; m'hanno detto cheeravate qui; ci son venuto".

"OhSignore!" disse Luciastringendo le mani giuntealzando gliocchi al cieloe con una voce che i singhiozzi stavano perinterrompere. Poicome entrata di repente in un altro pensierochiese ansiosamente: "Sapete qualche cosa di mia madre?"

"L'hoveduta jeri; è sanavi salutae potete credere... era tuttain pensiero per voie sospira di vedervi".

Luciarispose con un altro respiro di consolazione.

Fermocontinuò: "sospira di vedervie crede... tiene persicuro... Ma voi... voimi parete stupita... ch'io sia venuto acercarvi. Io... son sempre lo stesso... non vi ricordate...? che èavvenutoLucia?"

"Tantecose!" rispose ella sospirando.

"Ecco!"disse Fermo: "sa il cielo che cosa v'avranno detto di me!"

"Cheimporta"rispose Lucia"quel che dica la gente?"

"Dunque..."

"Dunque...io credeva... che dopo tanto tempo... dopo tanti guai... non avrestepiù pensato a me".

"L'avetecreduto? e me lo dite? quando son qui..."

"L'hocreduto"disse Lucia troncando in fretta le parole appassionatedi Fermo"l'ho credutoperché sarebbe stato meglio... èmeglio".

Luciaaveva sempre tenuti gli occhi bassi; ma proferendo non senza faticaqueste parolechinò anche la testae la tenne appoggiata sulpettocome per riposarsi d'un grande sforzo.

"Èmeglio!" disse Fermostordito e contristato di quel misteroeguardando fiso nel volto di Lucia per trovarvi la spiegazione diquelle tronche ed oscure parole. "È meglio! che cosa v'hofatto io? è colpa mia se... Non sono io quello a cui avetepromesso? Che vi mancava perché foste mia? un momento... e...ma gli ho perdonatonon siete voi più quella...? Dopo tantosperare! dopo tanto pensare a voi! dopo... Parlate chiaro: dite chenon mi volete più; dite il perché; non mi fate..."

"Fermo"disse con voce più riposata e solenneLucia che mentre egliparlavaaveva cercato di raccogliere tutte le sue forze. "Fermo!ascoltatemi tranquillamente: pensate dove siamo: vedete questa buonacreatura che ha bisogno di quiete: ascoltatemi. Io non saròmai di nessuno... e non posso più esser vostra".

"Nonon l'avete detta voi questa parola"; rispose Fermo"noche non l'ascolto: che ho fatto io? perché? chi ve l'ha detto?chi è entrato fra voi e me? chi c'è entrato? vogliosaperlo".

"Zittozittonon andate avantiper amor del Cielo"disse Lucia."Quando lo sapretese siete ancora quello di primase temeteDio come una voltanon direte così".

"Parlateper amor del cielo!"

"Sapetevoi in che casiin che spaventi io mi son trovatain che pericoli?"

"Losolo soe... gli ho perdonato".

"Orasappiate quello che nessunoné pure mia madreha uditofinora dalla mia bocca. In una notte... Vergine santissima! qualnotte!... lontana da ogni soccorso... senza speranza diliberazione... sola... io solain mezzo... all'infernoho guardatoin suho domandato l'ajuto di quel Solo che può fare imiracoli... ho domandato un miracoloe ho dovuto fare unapromessa... mi son votata alla Madonnache se per sua intercessioneio usciva salva da quel pericolonon... sarei mai stata sposa d'unuomo".

"Ahi!che avete fatto!" sclamò dolorosamente Fermo: "cheavete fatto!"

"Hoottenuto il miracolo"riprese Lucia: "la Madonna mi hasalvata".

"Bastavapregarlae vi avrebbe salvata. Che avete fatto! Che avete fatto! Nondovevate fate un tal voto".

"L'hofatto: che giova parlarne più? Che giova pentirsi? Pentirsi?No noDio liberi! Egli pure è sempre a tempo a pentirsid'avermi salvata. Può lasciarmi cadere ancora in un pericoloe allorachi pregherò io? che promessa potrei fare?"

"Lucia!"disse Fermo"e se non fosse il voto...? dite; sareste la stessaper me?"

"Uomosenza cuore!" rispose Luciacontenendo le lagrime"quandomi avreste fatte dire delle parole inutilidelle parole che mifarebbero maledelle parole che sarebbe forse peccatisareste voicontento? Partitescordatevi di me: non eravamo destinati; cirivedremo lassù". Dopo queste parolele lagrimesoverchiaronoe fra i singhiozzi ella continuò: "dite amia madre ch'io son guaritache ho trovata questa buona amica chepensa a me; ditele che spero ch'ella sarà preservata da questiguaiche Dio provvederà a tuttoe che ci rivedremo. Partiteper amor del cielo; e non vi ricordate di meche quando pregate ilSignore".

"Lucia!"disse Fermo con tuono riposato e solenne egli pure; "noi siamodue poveri figliuoli senza studio: quel brav'uomoquel granreligiosoquel nostro padreil padre Cristoforo..."

"Ebbene?"

"Èquinel lazzerettoad assistere gli appestati".

"Èqui!" disse Lucia: "ah! non mi fa maraviglia: oh se potessivederlosentir la sua voce! È egli sano?"

"Èin piedi"disse Fermo"ma il suo volto... Dio voglia chesieno gli annie le fatiche!"

"Voil'avete veduto!" disse Lucia.

"L'hovedutoe gli ho parlato"rispose Fermo: "egli mi ha fattoanimoa cercarvimi ha fatto promettere che tornerei a rendergliconto delle mie ricerche. Corro da lui: egli ci ha sempre ajutati; espero che ci ajuterà anche in questa occasione".

"Chedite voi? che volete ch'egli faccia? preghiamo Dio che ci ajuti...che vi ajuti a sopportare. Ditegli che io ho sempre pregato per lui;che se può venga a trovarmia consolarmie voi... voi..."- Non tornate più qui per amor del cielo-voleva ella direma non lo disse. Dopo fatto quel votoLucia aveva sempre creduto di essersi legata irrevocabilmentee nonaveva supposto mai che alcuna autorità potesse annullare unpatto col cielo; aveva rispinto come colpevole il pensiero stessoenon aveva mai confidato a persona il suo doloroso segreto. Ma quandoFermo parlò d'una speranza nel padre Cristoforoquella stessasperanza confusa entrò nel cuore di Lucia; le balenònella mente un: - chi sa? -intravidecome non impossibile che il Padre Cristoforo potrebbe trovar qualchemezzo... e in quel dubbio ella stimò inutile di direrisolutamente a Fermo: "non tornate". Egli partìsenza far altre parolecome un uomo che pensa di tornar ben tostoes'avviò alla capanna del buon frate.

Lavedova compagna di Lucia era rimasta con gli occhi sbarrati aguardare quel personaggio sconosciuto e ad udire quel dialogo nuovoper lei; giacché Luciala qualecome si è potutovedere in altre parti di questa storiaera molto discretanon leaveva mai parlato né della sua promessa di matrimonionéper conseguenza delle vicende conseguenti. Ma ora non potèscusarsi di fargliene il racconto; e a dir verola disposizioned'animo di Lucia in quel momento s'accordava assai bene con le vogliecuriose e benevole ad un tempo della vedova. Quelle memorie compressee rispinte per tanto tempos'erano ora presentate tutte in tantafolla e con tanto impeto all'animo di Luciache il parlarne divenivaper lei quasi uno sfogo necessario. Dopo aver dunque risposto allameglio ai rimproveri che la vedova le fece di un tanto segreto tenutocon leicominciò il racconto che fu spesso interrotto daisuoi singhiozzie dalle esclamazioni e dalle inchieste dellaascoltatrice.

Fermointanto era giunto alla capannuccia del Padre Cristoforoe avendoloveduto lì fuori pressoche pregandochiudeva gli occhi ad unmorentesi era ritirato nella capannuccia senza dar voce néfar segno che turbasse quel pio e doloroso uficio. Quando ilpoveretto fu spacciatoFermo si mostròe il Padre Cristoforoandò a luiche tosto gli raccontò la lietissimascoperta ch'egli aveva fatta di Lucia viva e sanae quell'altrascoperta che era venutacome a tradimentoa guastargli una tantaconsolazione. Benché egli in questa parte del racconto volesseaver l'aria di chi propone un dubbio superiore ai suoi lumiaspettando il giudizio d'un sapientepure non lasciò scapparenessuna occasione di qualificare d'imprudenza e di pazzia quel votoche veniva per lui così male a proposito. Così facevasentire che per la parte sua il giudizio era bell'e fatto; e intantoguardava attentamente al volto del Padre Cristoforo per iscoprire unpensierodal quale avrebbe potuto dipendere la sua sorte. Ma nonpotendo leggervi nullaterminò con una aperta domanda: "Chene dicepadre?" Il Padre stava pensoso: combattuto fra ildesiderio di rivedere Luciae la speranza di consolarla forsee iltimore di rendersi colpevoleabbandonando per qualche tempo i suoiinfermi.

Dopoessere così rimasto alquantopronunziò ad alta voce laconclusione del dibattimento che era stato tra i suoi pensieri. "Houn dovere con quella creatura"diss'egli. "Dio l'aveva inaltri tempi indirizzata a meed ora non me l'ha fatta venir cosìpresso perché io ricusi di esserle utile. Andiamo".

Lasciòper la seconda volta i suoi ammalati alla cura del Padre Vittoreesi mosse con Fermo.

Questiandava innanzi tacito facendo la guida per quel triste labirintoedirigendosi al viale per cui era passato la prima voltae il Fratepur tacito gli teneva dietro.

Glioggetti che ad ogni mutar di passo si succedevano alla vistatenevano occupato l'animo di quella compunzione che non trova parole;e in quel momento su quel mesto spettacolo pareva che scendesse epesasse una mestizia più cupa e più gravedell'ordinario.

Unanuvola comparsa all'occidente aveva a poco a poco coperto tutto ilcielo: e alla oscurità crescenteavresti detto che il giornoera finitose il sole lontano ancor forse due ore dal tramonto nonavesse mostrato come dietro ad un velo spesso ed immobileil suodisco grande e biancastrodonde partivanonon vivi raggi e direttima un barlume scialbo e circonfuso che mandava una caldura morta egravosa. L'aria non dava un soffio: non si vedeva muovere una tendadelle trabacchené piegar la cima d'un pioppo nelle campagned'intorno. Solo si vedeva la rondinesdrucciolando rapidamentedall'altorasentare con l'ali teseper un picciol tratto lasuperficie ingombra e confusa di quel terreno; e tosto risalirevolteggiare per l'aria in cerchii velocie piombar di nuovo. Un'afafaticosa prostrava gli animi con una oppressione straordinaria: lalotta del morire era più affannosa; i gemiti dei languentierano soppressi dall'ambascia; il movimento delle opere era stancorallentatocome sospeso: quella dubbia luce dava al colore dellamorte e della infermità un non so che di più livido; unnon so che di più squallido all'abbattimento ond'eranoatteggiate le figure dei sani: e su quel luogo di desolazione non eraforse ancor passata un'ora amara al par di questa.

Eppurequegli che sopravvissero rammentarono quell'ora con gioja per tuttala vita; era la preparazione d'una burascache scoppiò lanottee menò poi per due giorni una pioggia continuadopo laquale il contagio cessò quasi ad un tratto.

Sottoil fascio di quella comune gravezzaprocedevano il giovane e ilvecchiocon la fronte bassa il primo e con l'animo diviso fra lostudio della viafra l'orrore delle cose che vedevae l'ansietàdel suo destino futuro; e l'altro levando di tratto in tratto alcielo la faccia smunta come per cercare un più libero respiroe per secondare con quell'atto una speranza interna.

"Èqui"disse Fermo con voce tremante accennando la capanna; ev'entrarono che Lucia col volto lagrimoso stava proseguendo il suoracconto.

Alriveder Fermo ella trasalìe al vedere il Padre Cristoforobalzò dal saccone di paglia ov'era sedutae gli si gettòincontro su la porta.

"OhPadre!... Signore Iddio! come sta ella?" soggiunse poi tostovedendogli i segni della morte in volto.

"ComeDio vuolemia buona figlia"rispose il Frate: "e prestospero starò bene affatto".

"Come?..."disse Lucia.

"ComeDio vorrà"riprese egli tosto. "Parliamo ora divoiper cui son venuto".

"OhPadre! quanto tempo! quante cose!" disse Lucia.

"Quantecose!" ripetè il Frate: "e certo se fossimo làai vostri montiseduti in su la porta della casetta di quella buonaAgnesemi lascerei andar volentieri a farne lunghi discorsi. Ma quiil tempo è misurato". E tosto trattala in disparte in unangolo della capannacontinuò:

"Fermomi ha detto che avete fatto voto di non maritarvi".

"Èvero"rispose Luciaarrossando.

"Avetevoi pensato allora"proseguì il vecchio"che voiavevate un impegno solenne di matrimonioe che offerivate allaVergine una libertà della quale avevate già disposto? Eche riprendevate una parola già datasenza sapere se quegliche l'aveva ricevuta avrebbe consentito a restituirvela?"

"Hofatto male?" chiese Luciacon sorpresae con un rimorso chenon era tutto doloroso.

"Avetevoi confidato a nessuno questo vostro nuovo impegno?" interrogòdi nuovo il Frate: "avete chiesto consiglio?"

"Nonho ardito"rispose Lucia.

"Edora"proseguì egli"che vi dice il vostro cuore diquel voto?"

"Chevuol ella che me ne dica?" rispose Lucia arrossando piùche mai e chiudendo quasi del tutto gli occhi ch'erano giàchini a terra.

"Senon lo aveste fattolo fareste?"

"Se...non fossi in quel pericolo... in un grande pericolo... e poise nonè permesso... non lo farei".

"Senon lo aveste fattosareste tuttavia risoluta di sposare quell'uomoa cui avevate promesso?"

"Iocredeva... che fosse male il pensarvi... ma poi ch'Ella me nedomanda... ah Padre sì!"

Fermointanto adocchiava ansiosamente verso quell'angoloe la vedovaanch'essa stava in una tacita aspettazione. Il Frate si fece presso aloroaccennando a Luciache lo seguì con gli occhi bassi.Allora egli con voce spiegata le rivolse questa nuova interrogazione:

"Credetevoi che la santa madre Chiesa ha ricevuta da Dio l'autorità disciogliere e di legare?"

"Locredo"rispose Lucia.

"Credetevoi dunque che ella possa in suo nome ricevereconfermareorimettere i voti che gli son fattiinterpretando la sua volontàin questo come nel perdono dei peccatie usando una potestàche tiene da Lui?"

"Locredo"rispose ancora Lucia.

"Domandatevoi alla Chiesa di essere sciolta dal voto di verginità cheavete fattoo inteso di fare alla Madre santissima di Dio?"

"Lodomando"rispose Lucia con una prontezzaalla quale Fermo nonebbe nulla a desideraree che potrà parere forse troppa a chinon essendo stato presente a quell'attonon rifletta che lasolennità della richiestal'aria autorevole di chi l'avevafattanon lasciavan luogo a titubamenti leziosie che ivi laverecondia doveva essere tutta nella sincerità.

"Edio"disse allora il buon Fratecon tuono ancor piùsolenne"prego umilmente la Vergine regina di tutti i santiche abbia sempre per aggradito il sentimento del vostro divoto etravagliato sacrificioe lo offra al suo e nostro Signore; e conl'autorità che la Chiesa mi ha affidatavi sciolgo dal votoannullando ciò che vi potè essere d'inconsideratoeliberandovi da ogni obbligazionese ne avete contratta".

Nonparleremo dell'effettoche queste parole produssero nell'animo deidue giovani: la buona vedova era tutta commossa. Il Frate continuòrivolto a Lucia: "Siate moglie pudicamoglie affettuosa mogliecontenta di quella contentezza che conduce all'eterna. Questo Iddioha voluto e vuole da voi". Quindi levò le mani verso idue giovani come per parlare ad ambedue. Essi caddero ginocchioni aisuoi piedied egli tutto assortoe quasi senza avvedersi diquell'attostese le mani su le loro testee stette un momentopensoso. Erano nel fondo della capannacome chiusi tra quello e illetto della vedova che teneva gli occhi fissi su di loro: i giovaniinginocchiati con la fronte bassae il Frate ritto dinanzi a lorocon le spalle rivolte alla porta.

"Figliuoli"disse egli"che ho amatie che amerò semprericordatevi che se la Chiesa vi assolve da un sagrificionon lo faper procurarvi le consolazioni di questa vita che deve esser tutta unsacrificio; ma per mettervi su la via della santificazione. Amatevicome compagni di viaggiocol pensiero di avere a lasciarvicon lasperanza di ritrovarvi ancora e per sempre. Rendete grazie al cieloche vi ha condotti a questo stato non con le allegrezze turbolente epasseggierema coi travaglie fra le miserie per disporvi ad unagioja raccolta temperatae continua. E nei vostri discorsi qualchevoltae sempre nelle vostre preghierericordatevi..."

Questeparole che rinchiudevano come un presentimentoe un tristo addiorinnovarono nell'animo di Lucia l'impressione dolorosa che le avevaprodotta l'aspetto di chi le proferiva. Levò ella gli occhiquasi involontariamentetutta commossaa riguardarlo di nuovo; mainsieme con l'oggetto che cercava il suo sguardo un altro inaspettatole se ne offerse su la porta della capannaalla vista del quale ellamandò uno strido repentino. Tutti gli occhi si rivolsero aquella parte donde le era venuta quella subita commozione.



Cap.IX

Rittosul mezzo dell'usciostava un uomo smortorabbuffato i capegli e labarbascalzonudo le gambele bracciail pettoe nel resto malcoperto di avanzi di biancheria pendenti qua e là a brani e afilaccica; stava con la bocca semi-aperta guatando le personeraccolte nella capanna con certi occhi nei quali si dipingeva ad unpunto l'attenzione e la disensatezza; dal volto traspariva un mistodi furore e di paurae in tutta la persona una attitudine dicuriosità e di sospettouno stare inquietouna disposizionea levarsinon si sarebbe saputo se per fuggireo per inseguire. Main quello sfiguramento Lucia aveva tosto riconosciuto Don Rodrigoetosto lo riconobbero gli altri due. Quell'infelice da una capannaposta lungo il vialenella quale era stato gittatoe dove erarimasto tutti quei giorni languente e fuor di sèaveva vedutopassarsi davantiFermoe poi il Padre Cristoforo; senza esserveduto da loro. Quella comparsa aveva suscitato nella sua mentesconvolta l'antico furoree il desiderio della vendetta covato pertanto tempoe insieme un certo spaventoe con questo ancora unasmania di accertarsidi afferrare distintamente con la vista quelleimmagini odiose che le erano come sfumate dinanzi. In una talconfusione di passionio piuttosto in un tale delirio s'era eglialzato dal suo miserabile stramee aveva tenuto dietro da lontano aquei due. Ma quando essi uscendo dalla via s'internarono nellecapanneil frenetico non aveva ben saputa ritenere la traccia loroné discernere il punto preciso per cui essi erano entrati inquel labirinto. Entratovi anch'egli da un altro punto poco distantenon vedendo più quegli che cercavama dominato tuttavia dallastessa fantasiaera andato a guardare di capanna in capannatantoche s'era trovato a quella in cui mettendo il capo su la porta avevarivedute in iscorcio quelle figure. Quivi ristando stupidamenteintentoudì quella voce ben conosciuta che nel suo castelloaveva intuonata al suo orecchio una predicatroncata allora da luicon rabbia e con disprezzoma che aveva però lasciata nel suoanimo una impressione che s'era risvegliata nel tristo sognoprecursore della malattia. Quella voce lo teneva immobile a quel modoche altre volte si credeva che le biscie stessero all'incanto; quandoLucia s'accorse di lui. Dopo la sorpresa il primo sentimento diquella poveretta fu una grande paura; il primo sentimento del PadreCristoforo e di Fermo: bisogna dirlo a loro onorefu una grandecompassione. Entrambi si mossero verso quell'infermo stravolto persoccorrerloe per vedere di tranquillarlo; ma egli a quelle mossepreso da un inesprimibile sgomentosi mise in voltae a gambe versola strada di mezzo; e su per quella verso la chiesa. Il frate e ilgiovane lo seguirono fin sul vialee di quivi lo seguivano pure colguardo: dopo una breve corsaegli s'abbattè presso ad uncavallo dei monatti che scioltocon la cavezza pendentee col capoa terra rodeva la sua profenda: il furibondo afferrò lacavezzabalzò su le schiene del cavalloe percotendogli ilcollola testale orecchie coi pugnila pancia con le calcagnaespaventandolo con gli urlilo fece muoveree poi andare di tuttacarriera. Un romore si levò all'intornoun grido di "pigliapiglia"; altri fuggivaaltri accorreva per arrestare ilcavallo; ma questo spinto dal dementee spaventato da quei chetentavano di avvicinarglisis'inalberavae scappava vie piùverso il tempio.

Idue dei quali egli era stato altre volte nemico tornarono tutticompresi alla capannadove Lucia stava ancora tutta tremante.

"Giudiziidi Dio!" disse il padre Cristoforo: "preghiamo perquell'infelice". Dopo un momento di silenzioil pensiero chevenne a tutti fu di concertare insieme quello che era da farsi: e iconcerti furon questi: che Fermo partirebbe tostogiacché ivinon v'era ospitalità da offerirglicercherebbe un ricoveroper la notte in qualche albergoe all'indomani si rimetterebbe invia pel suo paeseporterebbe ad Agnese le nuove della sua Luciaandrebbe poi a Bergamo a disporre la casa dove intendeva distabilirsi con la moglie e con la suocera; e tornerebbe poi adaspettare Lucia nel suo paesedove dovevano celebrarsi le nozze: neavvertirebbe intanto Don Abbondioil quale era da sperarsi cheinvece di frapporre nuove difficoltàsarebbe vergognoso diquelle che aveva frapposte altra volta. Quanto a Luciaella protestòprima d'ogni cosa che non si staccherebbe dalla sua buona compagnafinché questa non fosse affatto guaritae ristabilita nellasua casa. Il Padre la lodòFermo non v'ebbe nulla a ridireela vedova tutta commossapromise che accompagnerebbe essa Lucia acasae la consegnerebbe a sua madre.

"Evoglio farle il corredo"aggiunse all'orecchio del Padre a cuiaveva fatto cenno di avvicinarsi.

"Diovi benedica"le rispose il buon vecchio.

"Etu"disse poi a Fermo"che stai qui tardando? il tempocome vedisi fa più neroe la notte si avvicina: affrettatidi cercare un ricovero".

Conviendire ancora ad onore di Fermoche in quel momento non gli dolevatanto lo staccarsi da Lucia appena trovataè veroma ch'eglicontava di riveder prestoquanto dal Padre Cristoforoche restavalì a morire.

"Cirivedremopadre?" disse il buon giovane.

"SeDio vorràe quando Egli vorrà" rispose il fratevincendo una commozione che andava crescendo. "Vava che nonc'è tempo da perdere".

Fermodisse con voce accorata; riveriscoal Padre che lo benedissee glistrinse la mano: disse addio a Lucia e alla vedovasopprimendo un: -a rivederci presto -che gli veniva su lelabbra; poi spiccatosi in frettapartì.

"Viraccomando l'una all'altrabuone creature"disseil frate; efece atto pure di andarsene: ma nel dare a Lucia uno sguardo dicommiatovide nell'aspetto di lei mista alla commozione una grandeinquetudine; s'avvisò tosto di ciò che poteva essernela cagionee disse: "Di che state inquieta?"

"Quell'uomo...!"disse Lucia.

"Poveretto!"rispose il frate"non è più in caso di far pauraa nessuno: non lo vedrete piùsiatene certa. Pure"soggiunsedopo d'aver pensato un momento"per ogni altroeventosarà meglio ch'io vi raccomandi a qualcheduno deinostri".

Cosìdettouscìgirò un poco in rondafinché trovòun capuccinoe condottolo alla capannagli mostrò le duedonnee gli disse: "sono due derelitte; vi prego di averne unacura particolare. Vi lascio con Dio"disse poi alle donneeuscì dalla capanna. Lucia lagrimando lo seguivaed egli leimponeva che tornassee così si trovarono entrambi sullagrande stradadove videro una folla di monattiche accorreva intumultogridando "aspettaaspetta"ad altri monatti cheguidavano un carro verso la porta. Il carro si fermò quasidavanti ai nostri due amici: quei monatti sopraggiunsero tostoansanti; e due che portavano un morto lo gittarono sul carrodicendoun d'essi: "mettetelo bene in fondo costuiche non torni acavalloa farci tribolare".

"Chediavolo è stato"disse più d'uno di queicarrettieri.

"Ildiavolo"rispose il monatto"l'aveva in corpo costui: èandato su e giù finch'ebbe fiato: se durava ancorafacevacrepare il cavallo: ma è crepato eglie allora per amore oper forza ha dovuto scendere".

IlPadre Cristofororivolto allora a Lucia le disse: "ricordatevidi pregare per questa povera anima voie vostro maritoper tutta lavitae di far pregare i vostri figliuolise Dio ve ne concede.Tornate alla vostra compagna. Iddio sia sempre con voi". Dettequeste paroleprese in fretta il vialeper andarsene alla suastazione; Luciacompunta di quella separazionee atterrita dallospettacolotornò a capo basso e col petto ansante alla suacapanna; e Don Rodrigo su la cima d'un tristo mucchiofra lostrepito e le bestemmieusciva dal lazzeretto per andarsene allafossa.

Usciamoneuna volta anche noi; e teniam dietro a Fermoil quale alloggiòla notte come potèil giorno seguente benché lapioggia venisse a secchie si rimise in camminoe si condusse finpresso al suo paesedove giunse il terzo dìmolleaffaticatosciupatoma pure più lieto che non fosse stato daun gran pezzo. Il rivedersi di lui e d'Agnesela gioja di questaalle novelle che gli eran datesono di quelle cose che i narratoripassano in silenzionel supposto ragionevoleche il lettore se lepuò immaginare. Con Don Abbondio le cose non furono cosìchiare. Prima di tutto egli si fece pregare alquanto prima di aprirela porta a Fermo; anzi non vi si ridusse che allorquando la voce diquesto gli parve un po' alteratae le parole tinte un po' diminaccia. Apertoglilo accolse con quella cera che un uomoimbrattato di debiti mostra ad un creditore che vorrebbe sapere millemiglia lontanoma che pure non vorrebbe irritare al segno che quegligli desse un libello.

"Sietequi voi!" disse Don Abbondio.

"Sonqui"rispose Fermo"grazie a Dioe sono ad avvertirlache presto sarà qui anche Lucia Mondellacon la quale ellaavrebbe dovuto sposarmiè un anno e dieci mesie con laquale ora ella mi sposerà. Meglio tardi che mai".

"Ohsanto Dio benedetto!" sclamò Don Abbondio.

"Signorcurato"ripigliò Fermo: "quel signore che diedetanto fastidio a noi poveretti ed anche a leinon ne darà piùa nessuno".

"Chevuol dire?" chiese Don Abbondio.

"Vuoldire"rispose Fermo"che Don Rodrigo a quest'oradebb'esser all'altro mondo".

"Chilo dice? chi lo dice?"

"Lodico io"rispose Fermo"che l'ho veduto al Lazzerettocol male addossoacconciato pel dì delle festeche facevapietà".

"Ehfigliuolo! si guariscesi guarisce dalla peste. Siam guariti anchenoi".

"Ledicoche a quest'ora sarà morto sicuro".

-Se fosse la vacca d'un pover'uomo- disseDon Abbondio fra sè e sè.

"Basta"soggiunse Fermo con quel tuono risoluto che spiaceva tanto al suoascoltatore; "bastaquel che è statoè statomafinalmente quel che si doveva fare prima s'ha a fare orae si farà".

"Maun parereun parere d'amico"disse con una amabile modestiaDon Abbondio"non ha da potervelo dare un vecchioche vi vuolbene?"

"Cheparere?"

"Conquella cattura che avete su le spallecompatiteminon vi convienestar qui: maritatevi altrove; e Dio vi benedica".

"Letorno a dire che nessuno pensa né alla catturané ame: ho girato il mondoe so anch'io che impicci portae che tempodomanda il maritarsi lontano da casa sua: qui abbiamo le nostre casequi si può concluder tutto in un momentosenza impicci; bastache ella voglia; e le dico io ch'ella vorrà".

"Mafigliuoloma figliuolo..."

"Lariverisco"rispose il figliuoloe lasciando Don Abbondio inquei pensieri che il lettore conoscegli volse le spalle; e se neandò a Bergamo a disporre le sue faccendee la casa per lasposa.

Questafrattantoguarita la vedovaera uscita con essa dal lazzerettoilquale di giorno in giorno si andava spopolando. Perché comeabbiamo accennatodopo quella dirottail contagio mollòcome suol dirsirepentinamente; e così venne a cessare latrista trasmigrazione della cittadinanza al lazzeretto; quei chev'eranoin poco tempo morironoo risanarono. La vedova trovòla sua casa intattav'entrò con Lucia: ivi stettero insieme afare un po' di quarantena; deposero ed arsero i panni della malattia;il fondaco somministrò la materia dei nuovi vestimenti: e lavedova attenendo quello che aveva promesso al padre Cristoforo vollead ogni costo provvedere Lucia d'un bel fornimento d'abiticon tuttoil lusso contadinesco; e vi lavorarono insieme per tutto quel tempoche stettero rinchiuse. Il giorno stesso dell'arrivo in casalavedova per servire alle giuste premure della sua ospite mandòai capuccini a chieder conto del Padre Cristoforo. Come il lettorel'avrà indovinatoil nostro buono e caro amicoera morto allazzeretto. Lasceremo pure che il lettore s'immagini il dolore diLucia; e senza più perderci in lungagginidiremo che un belgiorno ella giunse alla sua casettain compagnia della vedovainuna delle più belle carrozze che usassero i mercanti d'allora.In quel frattempoil contagio era cessato quasi da pertuttoe tuttele precauzioni erano dismesse. Agnese non istette dunque alla lontanadalla figliacome aveva fatto con Fermoma le gettò lebraccia al colloe fece tosto una grande amicizia con la vedova.Fermo che era tornato e che stava quivi aspettando l'arrivodesideratosi trovava in casa d'Agnese in quel momento. Leaccoglienzeil tripudio di tutti non è da dirsie idiscorsii racconti non sono da ripetersi: son cose che il lettorein parte sain parte può immaginarsi. Il giorno seguenteandarono tutti e quattro da Don Abbondioil quale al tocco dellaporta accorse alla finestrae veduta quella brigatascese gemendoe grattandosi in capoad aprire.

Leaccoglienze furon freddee imbarazzate: e a dir vero faceva propriorabbia a vedere quella faccia svogliata e soffusa per dir cosìd'un mal umore e d'una stizza repressain mezzo a tanti aspettiallegri. Ma Fermo che conosceva il male del pover uomogliamministrò tosto la medicina con queste parole: "Quelsignore è poi morto davvero". Don Abbondio non siabbandonò alla gioja da spensieratoma volle sapere con chefondamento si affermasse una tale... notizia.

"L'hoveduto io pur troppo"disse Luciaraccapricciando ancora alricordarsene. Don Abbondio volle sentire il raccontosi feceripetere molte circostanzee quando fu ben certo che Don Rodrigo eraveramente passato all'altra vitamise un gran respiroi suoi occhis'animaronotutti i lineamenti del suo volto si spiegarono come unfiore che sbuccia al raggio di primavera.

"Èmorto!" sclamò egli: "Oh provvidenza! provvidenza!Ecco se Domeneddio arriva certa gente. È morto senzasuccessioneper un giusto giudizioe anche per un gran benefiziodella provvidenza; perché se colui avesse lasciato gente dellasua razzabisognerebbe dire: è morto un buon cavaliere:peccato! un degno gentiluomo. Cosìsi può finalmentedire il suo cuore. Ah! Non c'è più quel burberoquelsoperchiatorequello spaventacchio. Questa pestilenza è stataun flagellofigliuoliun flagello; ma è stata anche unascopa: ha spazzato via certa gentechefigliuoli mieinon ce neliberavamo più: birbonifreschiverdivigorosiche speraredi far loro le esequiesarebbe stata una prosunzione peccaminosa; sisarebbe detto che il prete destinato ad asperger loro la cassa stavaancora facendo i latinucci; e in un batter d'occhio sono iti:requiescant. Ah!... Mache facciamo noi qui"soggiunsepoicome ravvedendosi"qui in piediin questo andito? venitefigliuolivenite nella mia saletta; venga signora miaben venuta inqueste parti; andiamo a sederee a discorrere tranquillamente deifatti nostri. Perché"continuò egli camminando"quello che s'ha da fare voglio che lo facciamo presto; che ètroppo giusto. Non mi piacevedetefar penare la gente. Eprincipalmente voifigliuoli cari": e qui eran giunti nellasalae fatti sedere da Don Abbondioche proseguì:"principalmente voiai quali ho sempre voluto bene. Ma chevolete? Alle volte bisogna far bella cera a quegli che si vorrebberoveder lontani le mille migliae cera brusca a quelli che si amano:si pare amici dei birbonie nemici dei galantuomini; masantocielo! bisogna vestirsi dei panni d'un povero galantuomo. Basta; èfinita; veniamo a noi. Figliuolinon bisogna perder tempo; oggichegiorno è?... Venerdì: posdomani rinnoveremo lepubblicazioni; perché quelle altre già fattedopotanto temponon valgono più nulla; e poi voglio avere io laconsolazione di maritarvi; e subito subitovoglio darne parte a SuaEminenza".

"Chiè Sua Eminenza?" domandò Agnese.

"Ilnostro arcivescovo"rispose Don Abbondio"quel degnoprelato: non sapete che il nostro santo padre Urbano ottavoche Dioconservifino dal mese di Giugnoha ordinato che ai cardinali sidia il titolo di Eminenza?"

"Edio"replicò Agnese"che gli ho parlatocome parloa Vossignoriaho inteso che tutti gli dicevano: Monsignoreillustrissimo".

"Ese gli aveste a parlare ora"replicò Don Abbondio"dovreste dirgli: Eminenzasotto pena di passare per malcreatao per ignorante. Così ha voluto il papa: è ben vero chealcuni principi sono in collerae non vorrebbero questa novità:matra loro magnati se la strighino: io povero pretazzuolo non ho diquesti affanni. Torniamo al fatto nostro. Voglio che stiamo allegri:abbiamo avuto tanto tempo di malinconia. Farete un po' di banchetto:eh?"

"Dapoveri figliuoli"rispose Fermo.

"Edio verrò a stare allegro con voi; verròvedete"disse Don Abbondio.

"Ohsignor curato"rispose Fermo"intendevamo bene dipregarla..."

"Edio vi ho prevenuti"riprese Don Abbondio"per farvivedere che vi sono amico; che vi voglio benequantunque m'abbiatedato anche voi qualche travaglio: non parlo di te che sei unmalandrinaccio"disse rivolto a Fermosorridendo"maanche voi con quell'aria di quietina": e qui rivolto a Luciaealzata la mano con l'indice tesoe stretto il rimanente del pugno lamoveva verso di essa in atto di amichevole rimbrotto; e continuò:"bricconcellaanche voi mi avete voluto fare un tiro: quellasera: quella sorpresa: quel clandestino: basta non ne parliamo più;quel ch'è stato è stato: non è colpa vostra; èun mio destinoche tutti più o meno debbano darmi qualchefastidio: tutto è finito: pensiamo a stare allegri".

Luciasorrise; Agnese stava per aprir la bocca ad argomentare contra DonAbbondioe provargli che il torto era suo; ma Fermo le fece cenno ditacere; e rispose egli in vece con un complimento al curato; e conqualche altro complimentoil congresso finì con universalesoddisfazione.

Iltempo che scorse tra le pubblicazioni e le nozzefu impiegato daglisposi ai preparativi pel traslocamento a Bergamoe pel trasportocolà del loro modico averee Agnesela quale come il lettorese n'è avvedutopareva sempre voler dominare nei discorsimain fattopovera donnaviveva per gli altrie faceva a modo deisuoi figljanche in questo caso si arrabbattò per la causacomune: la vedova anch'essa non lasciava di dare una mano.

Forsetaluno di quegli che credono di veder meglio negli affari altruiaprima giuntache non vegga colui di chi sono gli affaridopo avervimolto pensatodomanderà per qual motivo quella famigliavolesse abbandonare il luogo natalela sua casucciail suo picciolfondoora che era tolto di mezzo colui che gl'impediva di posarvisitranquillamente. Per tre ragioni principalmente. La prima: quantunqueFermo allora non ricevesse alcuna inquietudine per quella sua impresadi Milanoe la cattura fosse un titolo inoperoso; pure un sospettouna reminiscenzaun mal uficiopoteva far risorgere l'anticaquerelae rimetterlo in Dio sa quale impiccio.

Lasecondaè una di quelle ragioni che nel parlare astratto nonsi contano quasi per nullama che nel caso concreto sono piùpotenti a determinare che molte altre. Ciò che Fermo avevasoffertoe temuto nel suo paesegliel'aveva reso spiacevole: il suopaese gli ricordava le angherie d'un soverchiatorei pericoli dellaprigionee di peggiopoi il furore del popoloche lo cercava amorte. Memorie di questo genere disgustano l'uomo dai luoghi che lerichiaminoe se quei luoghi sono la patriane lo disgustano tantopiùappunto perché gli guardava prima con fiduciaecon affezione. Anche il bambolo riposa volentieri sul seno dellanutricerifugge a quello da tutti i terroricerca con aviditàla poppa che lo ha nutricato fin allorae s'accheta quando l'hapresa: ma se la nutriceper divezzarlointinge la poppa d'assenzioil bambino torce con dolore e con pianto il labbro da quella nuovaamaritudinee desidera un cibo diverso.

Finalmentei nostri sposi erano entrambi lavoratori di seta: triste circostanzegli avevano costretti a dismettere per molto tempo la loroprofessione; ma né l'uno né l'altro aveva amoreall'ozio; e il loro disegno era di ripigliare tosto il lavoro pervivere tranquillamente e onestamentee per nutrire ed allevare ifigliuoli che speravanocome tutti gli sposi fanno. Ora l'industriadella setacome tutte le altre era già decadutaspaventosamente nel milaneseprima di quelle recenti sciagure; equeste le avevan poi dato l'ultimo crollo. Non è questo illuogo di descrivere quello stato di cosee di toccarne le cagioni.Già molte nemiche d'ogni industria e d'ogni prosperitàappajono anche troppo in questa lunga storia: chi volesse conoscerele più immediate leggase non le ha lettele belle memoriestoriche del conte P. Verri sulla economia pubblica dello Stato diMilano; e se vuol conoscere più a fondofrughi nei documentioriginalida cui quel valentuomo ha cavate le sue memorie. Basti anoi il dire che l'uomo il quale aveva abilità e voglia dilavorarestentava nel Milanesee che nel Bergamascocome in altristati vicini si offerivano esenzioniprivilegiied altriincoraggiamenti ai lavoratori che volessero trasportarvisi. Questadifferenza fece uscire una folla di operaje rivivere in queglistati molte manifatture che perirono nel milanese dove avevanofiorito. Differente per conseguenza era anche l'aspetto dei duepaesi. In Bergamo (non vogliam dire che fosse il paradiso terrestre)dopo la pestilenzasi vedevano tuttavia i tristi segnie i tristieffetti di quella: la spopolazionele terre incoltel'ardirecresciuto nei ribaldile abitudini dell'ozioe del vagabondare: main quella petulanza stessa v'era una certa aria di allegria nata senon dalla abbondanzaalmeno dalla sufficienza dei mezzi e deicapitali: quegli poi che avevano voglia di far bene trovavano in queicapitali una facilità grande e pronta. Ma nel Milanese unacagione viva e incessante di miseria sopravviveva alle miserie dellapeste; un sistema che onorava l'orgoglio oziosoche favoriva lasoverchieria perturbatriceche alimentava tutti gli studj delraggiroe delle ciarleun sistema oppressivo e impotenteinsensatoe immutabileun sistema di rapine e di ostacoliimpedival'industriala pacee l'allegria.

Sceltadunque un'altra patriai nostri eroierano però impacciatidel come convertire in danaro i pochi beni che dovevano lasciare nelpaese dove erano nati: ma la fortuna - non osiamo direla provvidenza - la fortuna che voleva favorirli intuttocome uno scrittore che voglia terminar lietamente una storiainventata per oziotrovò un ripiego anche a questo. I beni diDon Rodrigo erano passati per fedecommesso ad un parente lontano; ilquale era un uomo di ben diverso conio; un galantuomoun amico delcardinal Federigo. Prima di andare a prender possesso di quellaereditàtrovandosi egli col cardinale gliene parlò."Avrete forse una occasione di far del bene e di riparare ilmale che ha fatto Don Rodrigo"gli disse il cardinalee gliraccontò in succinto la persecuzione fatta da quello sgraziatoai nostri sposie il danno di ogni genere che ne avevan patito. "Seson vivi tuttora"soggiunse"non vi prego di far loro delbeneche con voi non fa bisogno; ma di darmi notizia di loroe didire a quella buona giovane ch'io mi ricordo sempre di leie miraccomando alle sue orazioni". Il galantuomoappena giunto alcastellottosi fece indicare il villaggio degli sposie si presentòal curato. Don Abbondio al vedere il nuovo padrone di quella altrevolte caverna di ladroniumanocorteseaffabilerispettoso versoi pretivoglioso di far del benenon si può dire quanto nefosse edificato. E quando quel signore lo richiese di Fermo e diLuciae gli manifestò le sue intenzioni benevoleDonAbbondionon solo si prestò volentieria secondarlema lofece con una ispirazione molto felice.

"Signormio"diss'egli "questa buona gente è risoluta dilasciar questo paese; e il miglior servizio ch'ella possa render loroè di comperare quei pochi fondi che tengono qui. A lei potràconvenire di aggiungerli ai suoi possessi; e quella gente si troveràfuori d'un grande impiccio".

Ilsignore gradì la propostaanzi con molto garbo richiese DonAbbondio se non sarebbe dispiaciuto di condurlo a vedere quei fondie insieme a conoscere quella brava gente.

"Èun onore immortale"disse Don Abbondio facendo una granriverenza; e andò in trionfo alla casa di Lucia con quelsignoreil quale fece la propostache fu molto gradita. Il prezzofu rimesso a Don Abbondioa cui il signore disse all'orecchiochelo stabilisse molto alto. Don Abbondio così fece; ma ilsignore volle aggiungere qualche cosa: e per interrompere iringraziamenti dei venditorigli invitò a pranzo nel suocastello pel giorno dopo quello delle nozze.

Quelgiorno benedetto venne finalmente: gli sposi promessifurono maritoe moglie; il banchetto fu molto lieto. Il giorno seguente ognuno puòimmaginarsi quali fossero i sentimenti degli sposi e quelli di DonAbbondioentrando non solo con sicurezzama con accoglimentoospitale ed onorevole nel castelloche era stato di Don Rodrigo: arender compiuta la festamancava il Padre Cristoforo: ma egli eraandato a star meglio.

Nonpossiamo però ommettere una circostanza singolare di quelconvito: il padrone non vi sedè; allegando che il pranzare aquell'ora non si confaceva al suo stomaco. Ma la vera cagione fu (ohmiseria umana!) che quel brav'uomo non aveva saputo risolversi asedere a mensa con due artigiani: egliche si sarebbe recato adonore di prestar loro i più bassi servigiin una malattia.Tanto anche a chi è esercitato a vincere le più fortipassioni è difficile il vincere una picciola abitudine dipregiudizioquando un dovere inflessibile e chiaro non comandi lavittoria.

Ilterzo giornola buona vedova con molte lagrimee con quellepromesse di rivedersiche si fanno anche quando s'ignora se e quandosi potranno adempiresi staccò dalla sua Luciae tornòa Milano: e gli sposi con la buona Agnese che tutti e due orachiamavano mammapreso commiato da Don Abbondiodiedero un addioche non fu senza un po' di crepacuore ai loro montie s'avviarono aBergamo. Avrebbero certamente divertito dalla loro stradaper faruna visita al Conte del Sagratoma il terribile uomo era morto dipeste contratta nell'assistere ai primi appestati.

Lapicciola colonia prosperò nel suo nuovo stabilimentocollavoro e con la buona condotta. Dopo nove mesi Agnese ebbe unbamboccio da portare attornoe a cui dare dei baci chiamandolo"cattivaccio". Ella visse abbastanza per poter dire che lasua Lucia era stata una bella giovane e per sentir chiamare bellagiovane una Agnese che Lucia le diede qualche anno dopo il primofigliuolo. Fermo pigliava sovente piacere a contare le sue avventuree aggiungeva sempre: "d'allora in poi ho imparato a nonmischiarmi a quei che gridano in piazzaa non fare la tal cosaaguardarmi dalla tal altra". Lucia però non si trovavaappagata di questa morale: le pareva confusamente che qualche cosa lemancasse. A forza di sentir ripetere la stessa canzonee di pensarviad ogni voltaella disse un giorno a Fermo: "Ed ioche debboio avere imparato? io non sono andata a cercare i guaje i guai sonovenuti a cercarmi. Quando tu non volessi dire"aggiunse ellasoavemente sorridendo"che il mio sproposito sia stato quellodi volerti bene e di promettermi a te". Fermo quella voltarimase impacciatoe Lucia pensandovi ancor meglio conchiuse che lescappate attirano bensì ordinariamente de' guai: ma che lacondotta la più cautala più innocente non assicura daquelli; e che quando essi vengonoo per colpao senza colpalafiducia in Dio gli raddolciscee gli rende utili per una vitamigliore. Questa conclusione benché trovata da unadonnicciuola ci è sembrata così opportuna che abbiamopensato di proporla come il costrutto morale di tutti gli avvenimentiche abbiamo narratie di terminare con essa la nostra storia.

17settembre 1823