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PietroBembo
RIME
Sonetto I
Piansi e cantai lo strazio e l'aspra guerra
Ch'i'ebbi a sostener molti e molti anni
Ela cagion di così lunghi affanni
Coseprima non mai vedute in terra.
Diveper cui s'apre Elicona e serra
Usefar a la morte illustri inganni
Dateallo stilche nacque de' miei danni
Viverquand'io sarò spento e sotterra.
Che potranno talor gli amanti accorti
Questerime leggendoal van desio
Ritoglierl'alme col mio duro exempio
E quella stradach'a buon fine porti
Scorgerda l'altree quanto adorar Dio
Solosi dee nel mondoch'è suo tempio.
Sonetto II
Ioche già vago e sciolto avea pensato
Viverquest'annie sì di ghiaccio armarme
Chefiamma non potesse omai scaldarme
Avampotutto e son preso e legato.
Giva solo per viaquando da lato
Donnascesa dal ciel vidi passarme
Eper mirarlaa pie mi cadder l'arme
Chetenendosarei forse campato.
Nacque ne l'alma insieme un fiero ardore
Chela consumae bella mano avinse
Cateneal collo adamantine e salde.
Tal per te sonoe non men pento
Amorepurché tu leiche sì m'accese e strinse
QualchepocoSignorleghi e riscalde.
Sonetto III
Sì come suolpoi che 'l verno aspro e rio
Partee dà loco a le stagion migliori
Giovenecervo uscir col giorno fuori
Delsolingo suo bosco almo natio
Et or su per un colleor lungo un rio
Girlontano da case e da pastori
Erbepascendo rugiadose e fiori
Ovunquepiù ne 'l porta il suo desio;
Né teme di saetta o d'altro inganno
Senon quand'egli è colto in mezzo 'l fianco
Dabuon arcierche di nascosto scocchi;
Tal io senza temer vicino affanno
Moss'ilpiede quel dìche i be' vostr'occhi
Me'mpiagarDonnatutto 'l lato manco.
Sonetto IV
Picciol cantorch'al mio verde soggiorno
Nontogli ancor le tue note dolenti
Benriconosco in te gli usati accenti
maioqual me n'andailassonon torno.
Alta virtute e bel sembiante adorno
Dierlo mio debil legno a fieri venti:
Tostoavrai tuchi suoi novi lamenti
Giungaagli antichi tuoi la notte e 'l giorno.
Già m'hai veduto a questo fido orrore
Venirco' miei pensieri amici appresso
Elietoet io di me vivea signore.
Or mi vedrai col mio nimico expresso
Efar de la mia pena cibo al core
Delciglio altrui sproni e freno a me stesso.
Sonetto V
Crin d'oro crespo e d'ambra tersa e pura
Ch'all'aurasu la neve ondeggi e vole
Occhisoavi e più chiari che 'l sole
Dafar giorno seren la notte oscura
Risoch'acqueta ogni aspra pena e dura
Rubinie perleond'escono parole
Sìdolcich'altro ben l'alma non vòle
Mand'avorioche i cor distringe e fura
Cantarche sembra d'armonia divina
Sennomaturo a la più verde etade
Leggiadrianon veduta unqua fra noi
Giunta a somma beltà somma onestade
Furl'esca del mio focoe sono in voi
Graziech'a poche il ciel largo destina.
Sonetto VI
Moderati desiriimmenso ardore
Spemevocecolor cangiati spesso
Vederove si miriun volto impresso
Eviver pur del ciboonde si more
Mostrar a duo begli occhi aperto il core
Farde le voglie altrui legge a se stesso
Conla lingua e lo stil lunge e da presso
Girprocacciando a la sua donna onore
Sdegni di vetroadamantina fede
Sofferenzalo schermo e di pensieri alti
Lostral e 'l segno opra divina
E meritar e non chieder mercede
Fanno'l mio statoe son cagion ch'io speri
Graziech'a pochi il ciel largo destina.
Sonetto VII
Poi ch'ogni ardir mi circonscrisse Amore
Queldìch'io posi nel suo regno il piede
Tantoch'altruinon pur chieder mercede
Mascoprir sol non oso il mio dolore
Avess'io almen d'un bel cristallo il core
Chequel ch'i' taccio e Madonna non vede
Del'interno mio malsenza altra fede
A'suoi begli occhi tralucesse fore;
Ch'io spererei de la pietate ancora
Vedertinta la neve di quel volto
Che'l mio sì spesso bagna e discolora.
Or che questo non hoquello m'è tolto
Temonon voglia il mio Signorch'io mora:
Lamedicina è pocail languir molto.
Sonetto VIII
Ch'io scriva di costeiben m'hai tu detto
PiùvolteAmor; ma ciòlassoche vale?
Nonho né spero aver da salir ale
Terrenoincarco a sì celeste obietto.
- Ella ti scorgerách'ogni imperfetto
Destaa virtutee di stil fosco e frale
Potràper grazia far chiaro immortale
Dandogliforma da sì bel suggetto.
Forse non degna me di tanto onore;
Anzinessun; pur se ti fidi in noi;
Esserpuòch'arco in van sempre non scocchi.
Ma che diròSignorprima? che poi?
Quelch'io t'ho già di lei scritto nel core;
Equelche leggerai ne' suoi begli occhi.
Sonetto IX
Di que' bei crinche tanto più sempre amo
Quantomaggior rnio mal nasce da loro
Scioltoera il nodoche del bel tesoro
M'ascondequelch'io più di mirar bramo;
E 'l corche 'ndarno or lasso a me richiamo
Volòsubitamente in quel dolce oro
Efe' come augellin tra verde alloro
Ch'asuo diletto va di ramo in ramo.
Quando ecco due man belle oltra misura
Raccogliendole treccie al collo sparse
strinservidentro luiche v'era involto.
Gridai ben ioma le voci fe' scarse
Ilsangueche gelò per la paura:
Intantoil cor mi fu legato e tolto.
Sonetto X
Usato di mirar forma terrena
Quest'anniadietro e torbido splendore
Vidila frontedi celeste onore
Segnatae più che sol puro serena.
Corsemi un caldo allor di vena in vena
Dolceet acerbo e passò dentro al core
Delqual poi vissicome volle Amore
Ch'orpace e gioiaor mi dà guerra e pena.
La pena è solama la gioia mista
D'alcuntormento sempree quella pace
Pocosecuraonde mia vita è trista.
E 'l divin chiaro sguardo sì mi piace
Ch'ioritorno a perir de la sua vista
Comefarfallaal lume che la sface.
Sonetto XI
Ove romita e stanca si sedea
Quellain cui sparse ogni suo don natura
GuidommiAmore fu ben mia ventura
Chepiù felice farmi non potea.
Raccolta in séco' suoi pensier parea
Ch'ellaparlasse; ond'ioche tema e cura
Nonho mai d'altroa guisa d'uomi che fura
Dipaura e di speme tutto ardea.
E tanto in quel sembiante ella mi piacque
Chepoi per meraviglia oltre pensando
Infinitadolcezza al cor mi nacque;
E crebbe allor che 'l bel fianco girando
Mividee tinse il visoe poi non tacque
Tupur qui se'ch'io non so comeo quando.
Sonetto XII
Amorche meco in quest'ombre ti stavi
Mirandonel bel viso di costei
Queldì che volentier detto l'avrei
Lemie ragionma tu mi spaventavi
Ecco l'erbettae i fior lieti e soavi
Chepreser nel passar vigor da lei
E'l cielch'acceser que' begli occhi rei
Chetengon del mio petto ambe le chiavi.
Ecco ove giunse prima e poi s'assise
Ovene scorseove chinò le ciglia
Oveparlò Madonnaove sorrise.
Qui come suoichi se stesso consiglia
Stettepensosa: o sue belle divise
Comem'avete pien di meraviglia!
Sonetto XIII
Occhi leggiadrionde sovente Amore
Movelo stralche la mia vita impiaga
Crespodorato crinche fai sì vaga
L'altruibellezza e 'l mio foco maggiore
E voiman preste a distenermi 'l core
Epiù profonda far la mortal piaga
Sedel vedervi sol l'alma s'appaga
Perchésì rado vi mostrate fore?
Non ti doler di noiche ne convene
Seguirle voglie de la donna nostra:
Dìquesto a leiche 'n tal guisa ne tene.
Pur potess'io; ma con la vista vostra
M'abbagliasìch'a forza le mie pene
Obliotutteov'ella mi si mostra.
SonettoXIV
Portose 'l valor vostro arme e perigli
Guerreggiandopiegâr né mica unquanco
EMarte v'ha tra' suoi più cari figli
Difendervid'Amor non potrete anco.
Non vaiperch'uom di ferro il petto e 'l fianco
Sicoprae spada in mano o lancia pigli
Conluiche spesso Giove e tutto stanco
Ha'l cielnon ch'ei qua giù turbe e scompigli.
Più gioverà mostrarvi umile e piano
evolontariamente preso andarne
com'hofatt'ioche contrastar in vano.
Anzi pregatepoi ch'egli ha in sua mano
Nostravitané pote altro salvarne
Vidoni a cor non da pietà lontano.
Canzone I (XV)
Tutto quel che felice et infelice
Viveròper inanzia voi si scriva
Delmio bene e mal sola radice
Fonteonde 'l mio stato si deriva:
Chetante cose Amor di voi mi dice
Tantene leggon le mie fide scorte
Negliocchiond'è la face sua più viva;
Ch'i'voglio anzi per voi tormento e morte
Cheviver e gioir in altra sorte.
Canzone II: (XVI)
La mia leggiadra e candida angioletta
Cantandoa par de le Sirene antiche
Conaltre d'onestade e pregio amiche
Sedersia l'ombra in grembo de l'erbetta
Vid'iopien di spavento:
Perch'essermi parea pur su nel cielo
Taldi dolcezza velo
Avoltoavea quel punto agli occhi miei.
Egià dicev'io meco: o stelleo dei
Osoave concento!
Quand'im'accorsi ch'ell'eran donzelle
Lietesecure e belle.
Amoreio non mi pento
D'esserferito de la tua saetta
S'untuo sì picciol ben tanto diletta.
Canzone III (XVII)
Or che non s'odon per le fronde i venti
Nési vede altro che le stelle e 'l cielo
Poiche scampo non ho dal mio bel sole
Senon quest'undel suo celeste lume
Convench'io parlie come foco e ghiaccio
Fadi me spesso fuor d'usanza e tempo.
Forse fia questo aventuroso tempo
Ale mie vocie gli amorosi venti
Ch'iomovo di sospiri al duro ghiaccio
Farandel mio languir pietate al cielo:
AMadonna non giàche tanto lume
Ale tenebre mie non porta il sole.
Or dico che di mesì come il sole
Mutagirando le stagioni e 'l tempo
Fal'altero fatal mio vivo lume:
Ch'orprovo in me serenoor nubeor venti
Orpioggiee spesso nel più freddo cielo
Sonfoco e nel più caldo neve e ghiaccio.
Foco son di desiodi tema ghiaccio
Qualorsi mostra agli occhi miei quel sole
Ch'abbagliapiù che l'altroch'è su in cielo:
Serenla pace e nubiloso tempo
Sonl'ire e 'l pianto pioggiai sospir venti
Chemove spesso in me l'amato lume.
Così sol per virtù di questo lume
Vivendoho già passato il caldo e 'l ghiaccio
Senzatemer che forza d'altri venti
Turbasseun raggio mai di sì bel sole
Perchinar pioggia o menar fosco tempo
Graziae mercé del mio benigno cielo.
E prima fia di stelle ignudo il cielo
E'l giorno andrà senza l'usato lume
Ch'iomuti stile o volontà per tempo;
Néspero già scaldar quel cor di ghiaccio
Perprovar tantoai raggi del mio sole
Focogeloserennubeacque e venti.
Quanto soffiano i venti e volge il cielo
Nonvide il sol giamai si chiaro lume
Purche 'l ghiaccio scacciasse un caldo tempo.
Canzone IV (XVIII)
Amor la tua virtute
Nonè dal mondo e dalla gente intesa:
Cheda viltate offesa
Seguesuo dannoe fugge sua salute.
Mase fosser tra noi ben conosciute
L'opretuecome là dove risplende
Piùdel tuo raggio puro;
Cammindiritto e securo
Prenderianostra vitache no 'l prende
Etornerian con la prima beltade
Glianni dell'oroe la felice etade.
Canzone V (XIX).
Come si converriade' vostri onori
S'ionon cantoMadonnae non ragiono
Benme ne dee venir da voi perdono:
Cheda la chiara e gran virtute vostra
Ch'èquasi un solch'ogni altro lume adombra
Eda quella celeste alma beltade
Cuipar non vide o questa od altra etade
Quand'iovo per ritrarle
Taldilettoe sì novo a me si mostra
Chel'alma in tanto resta vinta e sgombra
Disapere lo stil non può formarle
Ch'alver non sian pur come sogno et ombra;
Senon in quanto a voi fan puro dono
Dela mia fede e testimon ne sono.
SonettoXV (XX)
O imagine mia celeste e pura
Chesplendi più che 'l sole agli occhi miei
Emi rassembri 'l volto di colei
Chescolpita ho nel cor con maggior cura
Credo che 'l mio Bellin con la figura
T'abbiadato il costume anco di lei
Chem'ardis'io ti miroe per te sei
Freddosmaltoa cui giunse alta ventura.
E come donna in vista dolceumile
Benmostri tu pietà del mio tormento;
Poise mercè ten pregonon rispondi.
In questo hai tu di lei men fero stile
Néspargi sì le mie speranze al vento
Ch'almenquand'io ti cerconon t'ascondi.
SonettoXVI ( XXI)
Son questi quei begli occhiin cui mirando
senzadifesa far perdei me stesso?
Èquesto quel bel ciglioa cui sì spesso
invandel mio languir mercé dimando?
Son queste quelle chiomeche legando
vannoil mio corsì ch'ei ne more espresso?
Ovoltoche mi stai ne l'alma impresso
perch'ioviva di me mai sempre in bando
parmi veder ne la tua fronte Amore
tenersuo maggior seggioe d'una parte
volarspemepiacertema e dolore;
da l'altraquasi stelle in ciel consparte
quincie quindi apparir sennovalore
bellezzaleggiadrianatura ed arte.
SonettoXVII (XXII)
Gravesaggiocortesealto signore
Lumedi questa nostra oscura etate
Chedesti 'l mondo e 'l chiami in libertate
Daservitutee nel suo antico onore
Solo refugio in così lungo errore
Dele nove sorelle abandonate
Figliuoldi Gioveamico d'onestate
Percui 'l ben vive e 'l mal si strugge e more
O Ercoleche travagliando vai
Perlo nostro riposoe 'n terra fama
E'n ciel fra gli altri Dei t'acquisti loco
Sgombra da te le gravi cure omai
Equa ne venove a diletto e gioco
L'erbail fiumegli augeil'aura ti chiama.
SonettoXVIII (XXIII)
Re degli altrisuperbo e sacro monte
Ch'Italiatutta imperioso parti
Eper mille contrade e più comparti
Lespalleil fianco e l'una e l'altra fronte;
De le mie voglie mal per me sì pronte
Vorisecando le non sane parti
Eraccogliendo i miei pensieri sparti
Sullitoa cui vicin cadeo Fetonte:
Per appoggiarli al tuo sinistro corno
Làdove bagna il bel Metauro e dove
Valore cortesia fanno soggiorno;
E s'a prego mortal Febo si move
Tusarai 'l mio Parnasoe 'l crine intorno
Ancormi cingerai d'edere nove.
Sonetto XIX (XXIV)
Del ciboonde Lucrezia e l'altre han vita
Incui vera onestà mai non morio
L'unpasca il digiun vostro lungo e rio
Donnapiù che mortalsaggia e gradita.
L'altro la faccia bianca e sbigottita
Daltuonche qui sì grande si sentio
Depingacol liquor d'un alto oblio
Evi ritorni vaga e colorita.
E 'l terzo vi stia inanzi a tutte l'ore
Es'aven che Medusa a voi si mostri
Schermovi siache non s'impetre il core.
Per me si desti tanto il mio Signore
Ch'iotrovi loco in grembo a' pensier vostri
Talche 'nvidia non basti a trarmen fore.
Sonetto XX (XXV)
Tommasoi venniove l'un duce mauro
fecedel sangue suo vermiglio il piano
dimolti danni al buon popol romano
cuil'altro afflitto aveaprimo restauro.
Qui miro col piè vago il bel Metauro
girfra le piaggie or disdegnoso or piano
permille rivi giù di mano in mano
portandoal mar più ricco il suo tesauro.
Talor m'assido in su la verde riva
ementre di Madonna parlo o scrivo
adogni altro penser m'involo spesso.
Così con l'alma solitaria e schiva
assaitranquillo e riposato vivo
sprezzando'l mondoe molto più me stesso.
Canzone VI (XXVI).
Felice stella il mio viver sognava
Queldìch'inanzi a voi mi scorse Amore
Mostrandoa me di fore
Ilbenche dentro agli altri si celava
Intanto che 'l parlar fede non trova.
Maperché ragionando si rinova
L'altopiaceri dico che 'l mio core
Presoal primo apparir del vostro lume
L'anticosuo costume
Lasciandoincontro al dolce almo splendore
Simise vago a gir di raggio in raggio
Egiunse ove la luce terminava
Chegli diè albergo in mezzo al vivo ardore.
Manon si tenne pago a quel viaggio
L'arditoe fortunato peregrino;
Anziseguì tant'oltre il suo destino
Ch'ancorcercando più conforme stato
Ala primiera vitain ch'era usato
Passòper gli occhi dentro a poco a poco
Neldolce locoove 'l vostro si stava.
E queicome dicesse: io men vo
Giredritto colàdonde questi si parte;
Chéstando in altra parte
Quelinnocente ne potria perire;
Senvenne a me stranier cortese e fido.
Daindi in quacome in lor proprio nido
Spirandovita pur a l'altrui parte
Mecoil cor vostro e 'l mio con voi dimora.
Néloco mai né ora
Chegli altri amanti si spesso diparte
Edi vera pietade li depinge.
Pònoi un sol momento dipartire;
Contal ingegno Amorcon sì nov'arte
Fèla catenache ne lega e stringe.
Equanto in duo si sprezza o si desia
Èbisogno che sia
Sprezzatoe desiato parimente;
Chel'un per l'altro a se stesso consente.
Cosìsi prova in questa frale vita
Gioiainfinita senza alcun martire.
Canzone VII (XXVII)
Preso al primo apparir del vostro raggio
Ilcorche infin quel dì nulla mi tolse
Dame partendo a seguir voi si volse;
Ecome queiche trova in suo viaggio
Disusatopiacernon si ritenne
Chefu negli occhionde la luce uscia
Gridandoa queste parti Amor m'invia.
Inditanta baldanza appo voi prese
L'arditofuggitivo a poco a poco
Ch'ancorper suo destin lasciò quel loco
Dentropassando; e più oltra si stese
Che'n quello stato a lui non si convenne:
Finchèpoi giuntoov'era il vostro core
Secos'assisee più non parve fore.
Ma queicome 'l movesse un bel desire
Dinon star con altrui del regno a parte
Ofosse 'l cielche lo scorgesse in parte
Ov'altroSignor mai non devea gire;
Làonde mosse il miolieto sen venne:
Cosìcangiaro albergoe da quell'ora
Meco'l cor vostroe 'l mio con voi dimora.
Sonetto XXI (XXVIII)
De la gran querciache 'l bel Tebro adombra
Esceun ramoed ha tanto i cieli amici
Chegli onorati sette colli aprici
Etutto 'l fiume di vaghezza ingombra.
Questi m'è talche pur la sua dolce ombra
Farpote i giorni miei lieti e felici:
Edha sì nel mio cor le sue radici
Chené forza né tempo indi lo sgombra.
Pianta gentilne le cui sacre fronde
S'annidala mia speme e i miei desiri;
Tenon offenda mai caldo né gelo:
E tanto umor ti dian la terra e l'onde
El'aura intorno sì soave spiri
Chet'ergan sovr'ogni altra infino al cielo.
Sonetto XXII (XXIX)
Io ardodissie la risposta invano
Come'l gioco chiedealassocercai;
Ondetutto quel giorno e l'altro andai
Qualuomch'è fatto per gran doglia insano.
Poi che s'avidech'io potea lontano
Esserda quel penserpiù pia che mai
Verme volgendo de' begli occhi i rai
Miporse ignuda la sua bella mano.
Fredda era più che neve; né 'n quel punto
Scorsiil mio maltal di dolcezza velo
M'aveadinanzi ordito il mio desire.
Or ben mi trovo a duro passo giunto
Ches'i non erroin quella guisa dire
VolleMadonna a mecom'era un gelo.
Sonetto XXIII (XXX)
Viva mia nevee caro e dolce foco
Vedetecom'io agghiaccio e com'io avampo
Mentrequal ceraad or ad or mi stampo
Delvostro segnoe voi di ciò cal poco.
Se gite disdegnosatremoe loco
Nontrovo che m'ascondae non ho scampo
Dalgelo interno; se benigno lampo
Degliocchi vostri ha seco pace e gioco
Surge la spemee per le vene un caldo
Micorre al core sì forte l'infiamma
Comes'ei fosse pur di solfo e d'esca.
Né per questi contrari una sol dramma
Scemadel penser mio tenace e saldo
C'haben poi tantoonde s'avanzi e cresca.
Sonetto XXIV (XXXI)
Bella guerriera miaperché sì spesso
V'armateincontro a me d'ira e d'orgoglio;
Chein atti ed in parole a voi mi soglio
Portarsì reverente e sì dimesso?
Se picciol pro del mio gran danno espresso
Avoi torna o piacer del mio cordoglio
Nédi languir né di morir mi doglio
Ch'iovo solo per voi caro a me stesso.
Ma se con l'opreond'io mai non mi sazio
Esservi pò d'onor questa mia vita;
Dilei vi caglia e non ne fate strazio.
L'istoria vostra col mio stame ordita
Senon mi si darà più lungo spazio
Quasinel cominciar sarà finita.
Sonetto XXV (XXXII)
A questa fredda temaa questo ardente
Sperara questo tuo diletto e gioco
Aquesta pena Amorperché dai loco
Nelmio cor ad un tempoe sì sovente?
Ond'èch'un'alma fai lieta e dolente
Insiemespessoe tutta gelo e foco?
Staticontrari e tempreera a te poco
Seseparatamente uom prova e sente?
Risponde: - Voi non durereste in vita
Tantoè 'l mio amaroe 'l mio dolce mortale
Sen'aveste sol questao quella parte.
Confusimentre l'un con l'altro male
Contendee scemal di sua forza in parte
Quelche v'ancideria per sev'aita.
Sonetto XXVI (XXXIII)
Nei vostri sdegniaspra mia morte e viva
S'iopiango e sfogo in voci alte e dolenti;
Talvoi risguardo avete a' miei lamenti
Qualrapido torrente a letto o riva.
S'io taccio; l'almad'ogni speme priva
Bramache 'l nodo suo tosto s'allenti
Certache allor di voi le nostre genti
Ancisoil suo fedel mentre e' fioriva
Diranno; e già non sete voi si vostra
Com'ioda che primier vi scorsi e dissi:
Questaè lo specchio e 'l sol de l'età nostra.
E 'n tante carte poi lo sparsi e scrissi
Ches'a mia voglia ancor poco si mostra
Pursaprà ognunch'io mori' vostro e vissi.
Sonetto XXVII (XXXIV)
Sì come quando il ciel nube non ave
El'aura in poppa con soave forza spira
Senzaalternar di poggia e d'orza
Tuttalieta sen va spalmata nave;
E come poi che 'l tempestoso e grave
Velaremigovernoancore sforza
El'arte manca e 'l mar poggia e rinforza
Sentedubbio il suo stato e del fin pave
Tal ioda speme onesta e pura scorto
Assaimi tenni fortunato un tempo
Mentrenon m'ebbe la mia donna in ira;
E talor che mi sdegna a sì gran torto
L'almaoffesa da lei piagne e sospira
Chegir si vede a morte anzi 'l suo tempo.
Sonetto XXVIII (XXXV)
La mia fatal nemica è bella e cruda
COLAné so qual piùma cruda e bella
Quantoil sol caldo e chiaroe ben tal ella
Nelcor mi siedeche n'agghiacciae suda.
Già bella solo: or di pietà sì nuda
Insiemelassoe sì d'amor rubella
Chevedete tenor di fera stella
Temonon morte le mie luci chiuda
Prima ch'io scorga in quel bel viso un segno
Nondico di mercéma che le 'ncresca
Pursolamente del miostrazio indegno.
Felice voi già preso a più dolce esca
Cuimicidial di lei vaghezzao sdegno
Geloe foco ne l'alma non rinfresca.
Sonetto XXIX (XXXVI)
Mostrommi Amor da l'una parteov'era
Quantanon fu giamai fra noi né fia
Bellezzain sé raccolta e leggiadria
Epiano orgoglio ed umiltate altera:
Bramach'ogni viltà languisca e pera
Efiorisca onestate e cortesia:
Donnain opre crudelin vista pia;
Chedi nulla qua giù si fida o spera:
Da l'altra speme al ventoe tema invano
Fugaceallegrezzae fermi guai
Esimulato risoe pianti veri;
E scorno in su la frontee danno in mano:
Poidisse a me: seguacequei guerrieri
Equesto guiderdon tu meco avrai.
Canzone VIII (XXXVII)
Sì rubella d'amornè sì fugace
Nonpresse erba col piede;
Nèmosse fronda mai Ninfa con mano;
Nètreccia di fin oro aperse al vento;
Nèin drappo schietto care membra accolse
Donnasì vaga e bella; come questa
Dolcenemica mia.
Quelche nel mondoe più ch'altro mi spiace
Radevolte si vede
Fannoin costei pur sovra il corpo umano
Bellezzae castità dolce concento:
L'unami prese il corcome Amor volse;
L'altral'impiaga sì leggiadra e presta;
Ch'eila sua doglia oblia.
Sola in disparteov'ogni oltraggio ha pace
Rosao giglio non siede;
Chel'almanon gli assembri a mano a mano
Avvezzanel desioch'i serro dentro
Quelvago fiorcui par uom mai non colse:
Cosìl'appagae parte la molesta
Securalegiadria .
Caro Armellinch'innocente si giace
Vedendoal cor mi riede
Quelladel suo penser gentile e strano.
Bianchezzain cui mirar mai non mi pento:
Sìnovamente me da me disciolse
Lavera maga miache di rubesta
Cangiaogni voglia in pia.
Bel fiumeallor ch'ogni ghiaccio si sface
Tantafalda non diede
Quantaspande dal ciglio altero e piano
Dolcezzache può far altrui contento
Ese dal dritto corso unqua non tolse:
Nèmai s'inlaga mar senza tempesta
Chesì tranquillo sia.
Come si spegne poco accesa face
Segran vento la fiede;
Similementeogni piacer men sano
Vaghezzain lei sol d'onestate ha spento.
Ofortunato il veloin cui s'avvolse
L'animasagae leich'ogni altra vesta
Menle si convenia.
Questa vita per altro a me non piace
Cheper leisua mercede;
Percui sola dal vulgo m'allontano;
Ch'avvezzal'alma a gir là 'v'io la sento;
Sìch'ella altrove mai orma non volse;
Epiù s'invagaquanto men s'arresta
Perla solinga via.
Dolce delfinche così gir la face:
Dolcidei mio cor prede;
Ch'altruisì prestoa me '1 fan sì lontano
Asprezzadolcemio dolce tormento:
Dolcemiracolche vedcr non suolse:
Dolceogni piagache per voi mi resta
Beatacompagnia.
Quanto Amor vagapar beltate onesta
Nonfu giammainè fia.
Capitolo I (XXXVIII)
Amor èdonne careun vano e fello
Cercandonel suo danno util soggiorno
Altruifedelea sé farsi rubello:
Un desiarch'in aspettando un giorno
Neporta gli anni e poi fugge com'ombra;
Nélascia altro di seche doglia e scorno;
Un falso imaginarche sì ne ingombra
Ordi tema or di speme e strugge e pasce
Chedel vero saper l'alma ne sgombra:
Un benche le più volte more in fasce;
Unmalche vive sempre ese per sorte
TAllorl'ancidipiù grave rinasce:
Un agli amici suoi chiuder le porte
Delcorfidando al nemico la chiave
Efar i sensi a la ragione scorte;
Un cibo amaroe sostegno aspro e grave;
Undigiun dolcee peso molle e leve
Ungioir duroe tormentar soave:
Un dinanzi al suo foco esser di neve
Etutto in fiamma andar sendo in disparte;
Epensar lungoe parlar tronco e breve;
Un consumarsi dentro a parte a parte
Mostrandoaltrui di for diletto e gioia
Erider fintoe lagrimar senz'arte;
Unperché mille volte il dì si moia
Noncercar altra sorte e gir contento
Ala sua ferma e disperata noia:
Un cacciar tigri a passo infermo e lento
Edar semi a l'arenae pur col mare
Pratirigare nutrir fiori al vento:
Le guerre spesse averle paci rare
Lavittoria dubbiosail perder certo;
Lalibertate a ville pregion care;
L'entrar precipitosoe l'uscir erto
Pigroil patti servarpronto il fallire
Dipoco mel molto assenzio coperto
E 'n altrui vivoin se stesso morire.
Canzone IX (XXXIX)
Quanto alma è più gentile
Donnad'Amor e miatanto raccoglie
Piùlietamente onesto servo umile.
Perché se 'l Toscoche di Laura scrisse
Venreverente a far con voi soggiorno
Dolcevi prove piùche non provo io.
Forseleggendo come sempre e' visse
Piùfermo in amar lei di giorno in giorno
Direte:ben è tale il fedel mio.
Basso pensero o vile
Nonscorgerete in luima sante voglie
Sparsein leggiadro ed onorato stile.
Sonetto XXX (XL.)
Siccome sola scalda la gran luce
Eveste 'l mondo e sola in lui risplende;
Cosìnel penser mio sola riluce
Madonnae sol di se l'orna e raccende.
E qual il veloche la notte stende
Feboripiega e seco il dì conduce;
Talellai mali che la vita adduce
Sgombrandoal cor con ogni ben si rende.
Tanta grazia del ciel chi vede altrove?
Rivolgetescrittor famosi e saggi
Tuttein lodar costei le vostre prove.
Ma tuche vibri sì felici raggi
Miobel Pianetaonor di chi ti move
Nontôrre a l'alma i tuoi dolci viaggi.
Sonetto XXXI (XLI)
L'alta cagionche da principio diede
Ale cose create ordine e stato
Disposech'io v'amassie dielmi in fato
Perfar di se col mondo esempio e fede.
Che siccome virtù da lei procede
Che'l tempra e reggee come è sol beato
Acui per grazia il contemplarla è dato
Edessa è d'ogni affanno ampia mercede:
Così 'l sostegno mio da voi mi vene
Odin atti cortesi od in parole;
Esol felice sonquand'io vi miro.
Né maggior guiderdon de le mie pene
Possoaver di voi stessa: ond'io mi giro
Pursempre a voicome Elitropio al Sole.
Sonetto XXXII (XLII)
Verdeggi all'Appennin la fronte e 'l petto
D'odoratefelici Arabe fronde
Corralatte il Metauro; e le sue sponde
Copransmeraldie rena d'oro il letto.
Al desiato novo parto eletto
Dela lor donnaa cui foran seconde
Quanteprime fur maila terra e l'onde
Simostrin nel più vago e lieto aspetto.
Taccian per l'aere i ventie caldo o gelo
Comepriano 'l distempree tutti i lumi
Cheportan pace a noiraccenda il cielo.
D'alti pensierioneste e pure voglie
Lodatearticortesi e bei costumi
Sivesta il mondoe mai non se ne spoglie.
Sonetto XXXIII (XLIII)
O ben nato e feliceo primo frutto
Dele due nostre al ciel sì care piante:
Overgaal cui fiorirl'opere sante
Terrannoil mondo e 'l nostro secol tutto:
Queta l'antica temae 'l pianto asciutto
N'haitu nascendo per molt'anni avante;
Poiquando già potrai fermar le piante
Quelch'or non piacesarà spento in tutto.
Mira le genti stranee la raccolta
Schierade' tuoich'a prova onor ti fanno
Edel gran padre tuo le lode ascolta:
Che per tornar Italia in libertade
Sostienne l'arme grave e lungo affanno
Piend'un leggiadro sdegno e di pietade.
Sonetto XXXIV (XLIV)
Donnech'avete in man l'alto governo
Delcolle di Parnaso e de le valli
Checo' lor puri e liquidi cristalli
RigaIppocrene e 'l bel Permesso eterno;
Se mai non tolga a voi state né verno
Poterguidar cari amorosi balli;
Scrivetequesto su duri metalli
Chela vecchiezza e 'l tempo abbiano a scherno:
Nel mille cinquecento e dieci avea
Portatoa Marte il ventesimo giorno
Feboe de l'altro dì l'alba surgea
Quando al Signor de l'universo piacque
Fardi sì dolce pegno il mondo adorno
E'l chiaro FEDERICO a noi rinacque.
Sonetto XXXV (XLV)
Se dal più scaltro accorger delle genti
Portarcelato l'amoroso ardore
Inparte non rileva il tristo core
Néscema un sol di mille miei tormenti;
Sapess'io almen con sì pietosi accenti quel
Chedentro si chiudeaprir di fore;
Ch'undì vedessi in voi novo colore
Coprirle guancie al suon de' miei lamenti.
Ma si m'abbaglia il vostro altero lume
Ch'inanzia voi non so formar parola
Esto qual uom di spirto ignudo e casso.
Parlo poi mecoe gridoe largo fiume
Versoper gli occhi in qualche parte sola
Edolorche devria romper un sasso.
Sonetto XXXVI (XLVI)
Lasso meche ad un tempo e taccio e grido
Etemo e speroe mi rallegro e doglio:
Mestesso ad un Signor dono e ritoglio:
De'miei danni egualmente piango e rido.
Volo senz'ale e la mia scorta guido:
Nonho venti contrarie rompo in scoglio
Nemicod'umiltà non amo orgoglio:
Néd'altrui né di me molto mi fido.
Cerco fermar il Solearder la neve:
Ebramo libertatee corro al giogo
Difuor mi coproe son dentro percosso.
Caggioquand'io non ho chi mi rileve:
Quandonon giovale mie doglie sfogo:
Eper più non poter fo quant'io posso.
Sonetto XXXVII (XLVII)
Lassoch'i piangoe 'l mio gran duol non move
Tantopresente malquanto futuro;
Chese 'l tuo calleAmorè così duro
Chefia di meche non so gir altrove?
Poichè non valse alle tue fiamme nove
Ilghiaccioond'io credea viver securo;
Seil mio debile stato ben misuro
Certoi cadrò nelle seconde prove.
Che son sì stancoe tu più forte giungi:
Ondeassai temo di lasciar tra via
Questaancor verdee già lacera scorza.
Sostien molta virtù noiosa e ria
SortetAllor; ma frale e vinta forza
Nonpuò grave martir portar da lungi.
Sonetto XXXVIII (XLVIII)
Cantai un tempoe se fu dolce il canto
Questomi taceròch'altri il sentiva;
Orè ben giunto ogni mia festa a riva;
Etogni mio piacer rivolto in pianto.
O fortunatochi raffrena in tanto
Ilsuo desioche riposato viva;
Diriposo e di pace il mio mi priva:
Cosìvach' in altrui pon fede tanto.
Miseroche sperava esser in via
Perdar amando assai felice esempio
Amilleche venisser dopo noi.
Or non lo spero; e quanto è grave ed empio
Ilmio dolorsaprallo il mondoe voi
Dipietate e d'amor nemica e mia.
Sonetto XXXIX (XLIX)
Correte fiumi alle vostre alte fonti:
Ondeal soffiar de' venti or vi fermate:
Abetie faggi il mar profondo amate:
Umidipesci e voi gli alpestri monti.
Né si porti depinta ne le fronti
Almapensieri e voglie inamorate:
Ardendo'l vernoagghiacci omai la state:
E'l Sol là oltreond'alzainchini e smonti.
Cosa non vada piùcome solea:
Poiche quel nodo è scioltoond'io fui preso:
Ch'altroche morte scioglier non devea.
Dolce mio statochi mi t'ha conteso?
Com'esserpuò quel ch'esser non potea?
Ocieloo terra! e so ch'io sono inteso.
Sonetto XL. (L.)
Or c'ho le mie fatiche tantee gli anni
Spesiin gradir Madonnae lei perduto
Senzamia colpae non m'hanno potuto
Levardi vita gli amorosi affanni;
Perché vaghezza tua più non m'inganni
Mondovano e fallaceio ti rifiuto
Pentitoassai d'averti unqua creduto
De'tuoi guadagni sazioe de' tuoi danni.
Che poi che di quel ben son privo e casso
Chesol vollie pregiai più che me stesso
Ognialtro bene in te dispregio e lasso.
Col monte e col suo bosco ombroso e spesso
CeleràCatria questo corpo lasso
Infin ch'uscir di lui mi sia concesso.
Sonetto XLI (LI)
Solingo augellose piangendo vai
Latua perduta dolce compagnia;
Mecone venche piango anco la mia:
Insemepotrem fare i nostri lai.
Ma tu la tua forse oggi troverai:
Iola mia quando? e tu pur tuttavia
Tistai nel verde; i fuggo indiove sia
Chimi conforte ad altroch'a trar guai.
Privo in tutto son io d'ogni mio bene
Enudo e grave e solo e peregrino
Vomisurando i campi e le mie pene.
Gli occhi bagnati portoe 'l viso chino
E'l cor in dogliae l'alma fuor di spene
Néd'aver cerco men fero destino.
Sonetto XLII (LII)
Dura strada a fornir ebbi dinanzi
Quandoda prima in voi le luci apersi:
Tantisol una vistae sì diversi
Esì gravi martir vien che m'avanzi.
Vissi quel dì per più non viveranzi
Permorir ciascun giornoe gli occhi fersi
Duofontie s'io dettai rime ne' versi
Tristinon lieti furcom'eran dianzi.
Nega un parlarun atto dolce umile
Ecorre al velo sìcome a siepe angue
Perorgoglio tAllor donna gentile.
Mirar sempre a diletto almache langue
Nullagià mai gradir servo non vile
Questoè le mani aver tinte di sangue.
Sonetto XLIII (LIII)
O per cui tante invan lagrime e 'nchiostro
Tantial vento sospiri e lode spargo
Nonch'Apollo mi sia cortese e largo
Diquelonde s'eterni il nome vostro;
Ma dicoche non oroo gemmeod ostro
Fercol pastor Ideo la donna d'Argo;
Nécon Giove e Giunone e gli occhi d'Argo;
Iofamosapassar al secol nostro;
E se mercé de' lor fidi scrittori
L'unasen va col pregio di beltade
L'altraebbe là sul Nilo altari e tempio;
Voi perché no' alcun segno di pietade
DarmitAllorch'io vinca il duro scempio
Equesta pennacome puòv'onori?
Sonetto XLIV (LIV)
Se vuoi ch'io torni sotto 'l fascio antico
Chetu legastiAmorforza disciolse
Esparso in parte un desir poi raccolse
Piùdi constanzia che di pace amico;
Rendimi il ricco sguardoonde mendico
Fuigran tempo: e qual pria ver me si volse
Madonnae 'l mio cor timido raccolse
Ingrembo al suo penser saggio e pudico;
Mirando a la sua fede ferma e pura
Ala mia grave e travagliata sorte
Dilor certa e pietosa or ne raccoglia.
Ma non la cange poi chiara od oscura
Vistadel cielche 'n sofferir gran doglia
Nonsarei piùSignorcome giàforte.
Sonetto XLV (LV)
Con la ragion nel suo bel vero involta
L'arditomio voler combatte spesso
Dispeme armato: e muovono con esso
Falsipensieri a larga schiera e folta.
Ivi se la vittoria erra tal volta
Nelprimo incontroe non si ferma espresso;
Hanper lo più gli assalti un fine stesso
Chela miglior si torna in fuga volta:
Allor senza sospetto il vano e folle
Dime trionfa a pieno arbitrioe parte
S'avanzain far le sue brame contente.
Ma tosto il cor doglioso e 'l petto molle
Glimostranquant'è il peggio assai sovente
Diquelche piaceaver alcuna parte.
Sonetto XLVI (LVI)
Questo infiammato e sospiroso core
Diduol traboccae gli occhi ognor più desti
Sonoal pianger: e l'alma i più molesti
Messiintroducee scaccia i lieti fore.
Antifonteche orando alto dolore
Neiturbati sedar già promettesti;
Vedendoor la mia penaben diresti
Chel'arte tua di lei fosse minore.
Ma tu sanavi queich'avean desire
Dilor salute; e molte afflitte menti
Forsequetò la tua leggiadra lingua.
Io son del mio mal vagoe del morire
Sarei:se non ch'i' temo a' miei tormenti
Apportifinee 'l grave incendio estingua.
Sonetto XLVII (LVII)
Spemeche gli occhi nostri veli e fasci
Sfrenie sferzi le voglie e l'ardimento;
Coted'amordi cure e di tormento
Ministra;che quetar mai non ne lasci;
Perché nel fondo del mio cor rinasci
S'iote n'ho svelta? e poi ch'io mi ripento
D'avera te creduto e 'l mio mal sento;
Perchédi tue promesse ancor mi pasci?
Vattene ai lieti e fortunati amanti:
Elor lusingaa lor porgi conforto
S'hanqualche dolci noie e dolci pianti.
Meco: e ben ha di ciò Madonna il torto:
Lelagrime son talie i dolor tanti
Ch'alpiù misero e tristo invidia porto.
Canzone X (LVIII)
Ben ho da maledir l'empio Signore
Ched'ogni mio penser vi fece obietto;
Equante voci in procurarvi onore
M'uscirda indi in qua giamai del petto;
Ei passisparsi voi seguendoe l'ore
Spesea vostr'uso più che a mio diletto;
E'l laccioond'io fui stretto
Quando'l ciel non potea d'altro legarme:
Poiche di tanta e così lunga fede
Ognior più grave oltraggio è la mercede.
Ahi quanto aven di quelloonde si dice:
Chisolca in litoperde l'opra e 'l tempo.
Ognifrutto si trae da la radice;
Manon aprono i fior tutti ad un tempo.
Giàfuch'io m'ebbi caroe gir felice
Speraisolo per voi tutto 'l mio tempo.
Nègiammai si per tempo
Aripensar di voi seppi destarme
NèFebo i suoi destrier si lento mosse
Che'l giorno al desir mio corto non fosse.
Or veggoe dirol chiaro in ciascun loco;
Oronon ogni cosa èche risplende.
Unparlar fintoun guardoun risoun gioco
Spessosenz'altro molti cori accende.
Malfachi tra duo parte onesto foco
Eme del vezzo suo nota e riprende:
Echi l'amico offende
Coprendosé con l'altrui scudo ed arme:
Echi per inalzar falso e protervo
Metteal fondo cortese e leal servo.
Alcun èche de' suoi più colti campi
Nonmiete altro che pruniassenso e tosco
Egente armataond'a gran pena scampi:
Altrisi perde in raro e picciol bosco:
Adaltrui vench'ad ogni tempo avvampi
Ealtri ha sempre il ciel turbato e fosco.
Nonsia del tutto losco
Chid'esser Argo a diveder vol darme.
Malsi conosce non provato amico:
Emal si cura morbo interno antico.
Ma sia che può: dopo 'l gelo ritorna
Larondinettae i brevi dì sen vanno;
Inogni selva egualmente soggiorna
Liberoaugello: e tal par grave danno
Chepoi via maggiormente a pro ne torna.
Ègran parte di gioia uscir d'affanno.
Piùche dorato scanno
Puòla stanchezza un bel cespo levarme:
Nèdi diletto i poggi e la verd'ombra
Menche logge e teatro il cor m'ingombra.
Poichè 'l suon taceè tolto a gran vergogna
Perbreve spazio ancora essere in danza.
Ebbigià per ben dire agra rampogna:
Oraltri in mal oprar se stesso avanza.
Odesidi lontano alta sampogna:
Enulla temechi non ha speranza.
Fuggirè buona usanza
S'uomnon è magoo non sa il forte carme;
Ferach'a rimirar dolce e soave
Lospirto e 'l dente ha venenoso e grave.
Di nessun danno mio molto mi doglio.
Godola buona sorte: e se la ria
M'assalei desir miei sparsi raccoglio;
Eme ricovro a la virtute mia.
Névostra pace piùné vostro orgoglio
Dalsuo dritto camin l'alma desvia.
Chivole in mar si stia
E'l legno suo di speme non disarme:
Ch'iodel mal posto tempo e studio accorto
Fuggoda l'onde ingratee prendo il porto.
Canzone XI (LIX)
O rossigniuolche 'n queste verdi fronde
Sovra'l fugace rio fermar ti suoli;
Eforse a qualche noia ora t'involi
Dolcecantando al suon de le roche onde;
Alternateco in note alte e profonde
Latua compagnae par che ti consoli.
Ameperch'io mi struggae pianto e duoli
Versiad ogni ornessun giamai risponde:
Nèdi mio danno si sospirao geme;
Ete s'un dolor preme
Puòristorar un altro piacer vivo:
Maio d'ogni mio ben son casso e privo.
Casso e privo son io d'ogni mio bene
Chese 'l portò lo mio avaro destino;
Ecome vedinudo e peregrino
Vomisurando i poggie le mie pene.
Bensaiche poche dolci ore serene
Veduteho nell'oscuro aspro cammino
Delviver mio; di cui fosse vicino
Ilfinche per mio mal unqua non vene;
Emi riserva a tenebre più nove.
Mase pietà ti move
Volatu làdove questo si vole;
Esciogli la tua lingua in tai parole:
A piè dell'alpiche parton Lamagna
Dalcampoch'ad Antenor non dispiacque;
Conle feree con gli arborie con l'acque
Adalta voce un uom d'amor si lagna.
Doloreil cibae di lagrime bagna
L'erbae le piaggiee da che pria li piacque
Penserdi voiquanto mai disse o tacque
Varimembrando: e 'n tanto ogni campagna
Empiedi gridiu' pur che 'l piè lo porte:
Esol desio di morte
Mostranegli occhi e 'n bocca ha 'l vostro nome
Giovaneancor al volto ed alle chiome.
Che parlio sventurato?
Acui ragioni? a che così ti sfaci?
Eperchè non più tosto piangie taci ?
Canzone XII (LX)
Quand'io penso al martire
Amorche tu mi dai gravoso e forte;
Corroper gire a morte
Cosìsperando i miei danni finire.
Ma poi ch'i' giungo al passo
Ch'ioporto in questo mar d'ogni tormento;
Tantopiacer ne sento
Chel'alma si rinforzaond'io no 'l passo.
Così 'l viver m'ancide:
Cosìla morte mi ritorna in vita:
Omiseria infinita
Chel'uno apportae l'altra non recide!
CANZONEXIII. (LXI.)
Che ti val saettarmis'io già fore
Escodi vitao niquitoso arcero?
Diquesta impresa tuapoi ch'io ne pero
Ate non pò venir più largo onore.
Tum'hai piagato il core
Amorferendo in guisa a parte a parte
Cheloco a nova piaga non può darte
Nèdi tuo stral sentir fresco dolore.
Chevuoi tu più da me? ripon giù l'arme:
Vedich'io moro: omai che puoi tu farme?
Canzone XIV (LXII)
Voi mi poneste in foco
Perfarmi anz'il mio dìdonna perire:
Eperchè questo mal vi parea poco
Colpianto raddoppiaste il mio languire.
Orio vi vo' ben dire;
Levatel'un martire:
Chedi due morti i non posso morire.
Perocchè dall'ardore
L'umorche ven dagli occhimi difende:
Eche 'l gran pianto non distempre il core
Facela fiammache l'asciuga e 'ncende.
Cosìquanto si prende
L'unmall'altro mi rende;
Egiova quello stessoche m'offende.
Che se tanto a voi piace
Vederin polve questa carne ardita
Chevostro e mio mal grado è sì vivace;
Perchèdarle giammai quelche l'aita?
Vostravoglia infinita
Sanala sua ferita:
Ond'iorimango in dolorosa vita.
E di voi non mi doglio
Quantod'Amorche questo vi comporte;
Anzidi mech'ancor non mi discioglio.
Mache poss'io? con leggi inique e torte
Amorregge sua corte.
Chivide mai tal sorte
Tenersiin vita un uom con doppia morte?
Sonetto XLVIII (LXIII)
Se 'l foco mio questa nevosa bruma
Nontempra; onde verràche sperar possa
Refrigerioal bollorche mi disossa
Nècal di ciò chi m'arde e mi consuma?
L'antica forzache qual leve piuma
SoprapposeOssa a PelioOlimpo ad Ossa
Nonfu d'amor e di pietà sì scossa:
Emarquando più freme irato e spuma
Non cura men le dolorose strida
Dela misera turbache si vede
Perirnel frale e già sdruscito legno
Ched ella i prieghi miei; dura mercede.
Macosì vachi per sua luce e guida
Prendebel ciglio e non cortese ingegno.
Sonetto XLIX (LXIV)
Se deste a la mia lingua tanta fede
Madonnaquanta al cor doglia e martiri;
Nongirian tutti al vento i miei sospiri
Nèsempre indarno chiederei mercede.
Ma 'l vostro duro orgoglioche non crede
Almio malperch'io parli ancora e spiri
Cagionsaràch'i miei brevi desiri
FiniscaMorteche già m'ode e vede.
E io ne prego lei e chi mi strinse
Nelforte nodoallor che prima in noi
Unsol piacer ben mille ragion vinse;
Che potrà sempre il mondo dir di voi:
Questafera e crudele a morte spinse
Unche l'amò via più che gli occhi suoi.
Sonetto L. (LXV)
Rime leggiadreche novellamente
Portastenel mio cor dolce veneno
Etu stil d'armoniadi grazia pieno
Com'ellache ti fa puro e lucente;
Vedetequanto in me veracemente
L'incendiocrescee la ragion ven meno:
Ese nel volto no 'l dimostro a pieno
Dentroè 'l mio mal più che di fuor possente.
Sappia ognunch'io vorrei ben farvi onore:
Talme ne spronae si devea per certo;
Lassoma che può far unche si more?
Era 'l sentier da se gravoso ed erto
Adir di voi: or tiemmi il gran dolore
D'ognialtro schivoe di me stesso incerto.
Sonetto LI (LXVI)
Coleiche guerra a' miei pensieri indice
Eio pur pace e null'altro le cheggio;
Rinforzandola spemeond'io vaneggio
Dolcemia vaga angelica beatrice;
Or in forma di Cignoor di Fenice
S'ioparloscrivopensovadoo seggio
M'èsempre inanzi; e lei sì bella veggio
Chepiacer d'altra vista non m'allice.
Per la viache 'l gran Tosco amando corse
Dicenon ir: che 'ndarno oggi si brama
Lavenache del suo bel lauro sorse.
Ma chi poria tacerquand'altri il chiama
Sìdolcemente? Amor mi spinse e torse:
Durose pungee durose richiama.
Sonetto LII (LXVII)
Se ne' monti Rifei sempre non piove;
Nèciascun giorno è 'l mar Egeo turbato;
Nèl'Ebro o l'Istro o la Tana gelato;
NèBorea i faggi ognior sferza e commove:
Voi perché pur mai sempre di più nove
Lagrimeavete il bel volto bagnato?
Nèparteo torna Solche l'ostinato
Piantocon voi non lasci e non ritrove?
Il Signorche piangete e morte ha tolto
Ridedel mondo e dice: or di me vive
Ilmeglioe 'l piùche dianzi era sepolto.
Ma tu di pace a che per me ti prive
Omia Fedelche 'n pace alta raccolto
Godofra l'alme benedette e dive?
Sonetto LIII (LXVIII)
Certo ben mi poss'io dir pago ornai
D'ognituo oltraggioAmor: e s'a colparte
Distretto'l verso o le prose consparte
Hopur talora; or me ne pento assai.
Che le noteonde tu ricco mi fai
Diquellache dal vulgo mi diparte
Ancormai non veduta; e scorge in parte
Ovetu scorto pochio nessun hai;
Son taliche quetar ben mille offesi
Possonoe di mille alme scacciar fora
Desirvilie 'ngombrar d'alti e cortesi.
Pensar quinci si puòqual fia quell'ora
Ch'i'vedrò gli occhich'or mi son contesi
Ela voce udiròche Brescia onora.
Sonetto LIV (LXIX)
O d'ogni mio penser ultimo segno
Vergineveramente unica e sola
Dicui più caro e prezioso pegno
Amornon haquanto saetta e vola;
Di quella chiara fronteche m'invola
Giàpur pensandoe 'n parte è 'l mio sostegno;
Diquel bel ragionar pien d'alto ingegno
Vedròmai raggioudirò mai parola?
Quando ebbe più tal mostro umana vita;
Bellezzenon vedute arder un core
E'mpiagarlo armonia non anco udita?
Lassonon so; ma poi che 'l face Amore
Là'nd'i ho già l'alma accesaonde ferita
Pongapietàquanto ha 'l ciel posto onore.
Stanza (LXX)
Qual meravigliase repente sorse
DelVolgar nostro in te si largo fonte
Strozzamio caro; a cui del Latin forse
Venapar non bagnava il sacro monte?
Sìrara donna in vita al cor ti corse
Pertrarne fuor rime leggiadre e conte
Cheporia delle nevi accender foco
Edi Stige versar diletto e gioco.
Sonetto LV (LXXI)
LIETA e chiusa contradaov'io m'involo
Alvulgoe meco vivo e meco albergo
Chimi t'invidiaor ch'i Gemelli a tergo
Lasciandoscalda Febo il nostro polo?
Rade volte in te sento iranè duolo
Nègli occhi al ciel sì spesso e le voglie ergo;
Nètante carte altrove aduno e vergo
Perlevarmi talors'io possoa volo.
Quanto sia dolce un solitario stato
Tum'insegnastie quanto aver la mente
Dicure scarcae di sospetti sgombra.
O cara selva e fiumicello amato
Cangiarpotess'io il mar e 'l lito ardente
Conle vostre fredd'acque e la verd'ombra.
Sonetto LVI (LXXII)
NE' tigre se vedendo orbata e sola
Corresì leve dietro al caro pegno;
Nèd'arco stral va sì veloce al segno
Comela nostra vita al suo fin vola.
Ma poiGASPARRO mioche pur s'invola
Talora morte un pellegrino ingegno;
Fatesia contra lei vostro ritegno
Quelch'Amor v'insegnò ne la sua scola;
Spiegando in rime nove antico foco
Ei doni di coleicelesti e rari
Chetemprò con piacer le vostre doglie;
Tal che poi sempre ogni abitato loco
Parlid'ambo duo voinè gli anni avari
Sene portin giamai più che le spoglie.
Sonetto LVII (LXXIII)
Almase stata fossi a pieno accorta
Quandocademmo a l'amorosa impresa
Nonti saresti così tosto resa
Aque' begli occhie crudiche t'han morta.
Io fui dal novo e gran diletto scorta
Eda la luce inusitata offesa;
Manon erano già la tua difesa
Sospirie guancia sbigottita e smorta.
Altro non si poteafuor che piangendo
Chiedermercé: questo fec'io dappoi
Sempre;nè men però languisco ed ardo.
Gir devevi lontan dai guerrier tuoi
Stoltoe non sofferir più d'uno sguardo:
Chenon si vince Amorse non fuggendo.
Sonetto LVIII (LXXIV)
Colamentre voi sete in fresca parte
Adove il chiaro e gran Benaco stagna;
Quidentro m'ardee spesso di fuor bagna
Amorche mai da me non si diparte:
E la mia donnach'ogni studio ed arte
Hadi natura in sésì mi scompagna
D'ognialtro obiettoche talor si lagna
Delsonno il corche sol da se la parte.
Così conven ch'io pensie parlie scriva
Quelch'un bel viso ad or ad or m'insegna:
E'n focoe 'n piantoe come ei vuolmi viva:
Perché veggiate in mesiccome avegna
Diquelche Roma ne' teatri udiva
Cheragion e consiglio Amor non degna.
Sonetto LIX (LXXV)
Poichè 'l vostr'alto ingegnoe quel celeste
Ragionare tacer pudico e saggio
Dafar cortese un uom fero e selvaggio
Ei leggiadri attie l'accoglienze oneste
Vi rendon tanto spazio sopra queste
Formeumane escellentich'io non aggio
Stileda colorir ben picciol raggio
Dele virtuti al vostro animo preste;
Se vi s'arroge il corpoin cui beltade
Poserquanta pon darbenigne stelle;
Conquali rime assai potrò lodarvi?
O de le meraviglie a nostra etade
Lamaggior di gran lungain onorarvi
Sistancherian le tre lingue più belle.
Sonetto LX (LXXVI)
Se 'n dir la vostra angelica bellezza
Neveorperlerubindue stelleun Sole
Subbiettoabondae mancano parole
Achi sua fama e veritate apprezza;
Quai versi agguaglieran l'alta dolcezza
Ch'ogniavaro intelletto appagar sole
Dichi v'ascoltae l'altre tante e sole
Dotide l'almae sua tanta ricchezza?
Coluiche nacque in su la riva d'Arno
Efece a Laura onor con la sua penna
Direbbea se: tu qui giugner non puoi.
Perché se questo stile solo accenna
Noncompie l'opra e ne fa pruova indarno
Ilmio difetto venDonnada voi.
Canzone XV (LXXVII)
Non si vedrà giammai stancanè sazia
Questamia penaAmore
DirendertiSignore
Deltuo cotanto onore alcuna grazia:
Acui pensando volentier si spazia
Perla memoria il core
Evede 'l tuo valore:
Ond'eiprende vigoree te ringrazia.
Amor da te conosco quelch'io sono
Tuprimo mi levasti
Daterrae 'n cielo alzasti;
Eal mio dir donasti un dolce suono:
Etu coleidi ch'io sempre ragiono
Agliocchi miei mostrasti;
Edentro al cor mandasti
Pensierleggiadri e castialtero dono.
Tu se' la tua mercè cagion ch'io viva
Indolce foco ardendo;
Dalquale ogni ben prendo
Dispeme il cor pascendo onesta e viva:
Ese giammai verràch'io giunga a riva
Là've 'l mio volo stendo;
Quantopiacer n'attendo
Piùtosto no 'l comprendoch'io lo scriva.
Vita gioiosa e cara
Chida te non l'imparaAmornon ave.
Canzone XVI (LXXVIII)
Gioia m'abbonda al cor tanta e sì pura
Tostoche la mia donna scorgo e miro
Che'n un momento ad ogni aspro martiro
Inch'ei giacesselo ritoglie e fura:
Es'io potessi un dì per mia ventura
Questedue luci desiose in lei
Fermarquant'io vorrei;
Sunel ciel non è spirto sì beato
Conch'io cangiassi il mio felice stato.
Dall'altra parte un suo ben leve sdegno
Disì duri pensier mi copre e 'ngombra
Chese durassepoca polve ed ombra
Fariadi menè poria umano ingegno
Trovaral viver mio scampoo ritegno:
Esel trovassenon si prova e sente
Penagiù nel dolente
Cerchiodi Stigee 'n quello eterno foco
Cheposta col mio mal non fosse un gioco.
Nè fia per tutto ciòche quella voglia
Checon sì forte laccio il cor mi strinse
Quandoprimieramente Amor lo vinse
Rallentiil nodo suonon pur discioglia;
Mentrein piè si terrà questa mia spoglia:
Chela radiceonde 'l mio dolor nasce
Inguisa nutre e pasce
L'animache di lui mai non mi pento:
Anzison di languir sempre contento.
Canzone vo' ben dir cotanto avanti;
Fratutti i lieti amanti
Quantodolce in mill'anni Amor comparte
Delmio amaro non vai la minor parte.
Canzone XVII (LXXIX)
A quai sembianze Amor Madonna agguaglia
Diròsenza mentire;
Purch'altri non s'adire
O'n mercede appo lei questo mi vaglia.
Unsasso è forte sìche non s'intaglia;
Altroper sua natura
Empiee giamai non sazia occhioche 'l miri.
Cosìcontenti lascia i miei desiri
Sazinon giàdi quella petra dura
Ched'ogni oltraggio uman vive secura
Ladolce vista angelica beatrice
Dela mia vitae d'ogni ben radice.
Là dove 'l sol più tardo a noi s'adombra
Unvento si diparte
Loqual in ogni parte
Iboschi al suo spirar di fronde ingombra
Chela fredda stagion dai rami sgombra.
Cosìdello mio core
Ch'èselva di pensieri ombrosa e folta
Quand'ognipaceogni dolcezza è tolta
Peròche sempre non consente Amore
Ch'unuom per ben servir mieta dolore;
Delsuo dolce parlar lo spirto e l'aura
Subitamenteogni mio mal restaura.
Nasce bella sovente in ciascun loco
Unapianta gentile
Cheper antico stile
Sempresi volge in ver l'eterno foco.
Orpoi che mia ventura a poco a poco
Tantoinnanzi mi chiama;
Faròquasi fanciulche teme e vole:
Comequel verde si rivolge al sole
Elui sol cercae riverisceed ama;
S'iopotessi adempir l'antica brama
Similementeed io sempre ameria
L'altosplendorla dolce fiamma mia.
CXVIII (LXXX)ANZONE
Se 'l pensierche m'ingombra
Com'èdolce e soave
Nelcorcosì venisse in quelle rime;
L'animasaria sgombra
Delpesoond'ella è grave
Edesse ultime vanch'anderian prime:
Amorpiù forti lime
Useriasovra 'l fianco
Dichi n'udisce il suono:
Ioche fra gli altri sono
Quasiaugello di selva oscuro umile
Andreicigno gentile
Poggiandoper lo ciel canoro e bianco:
Efora il mio bel nido
Dipiù famoso ed onorato grido.
Ma non eran le stelle
Quandoa solcar quest'onda
Primierentraidisposte a tanto alzarme
Cheperchè Amor favelle
EMadonna risponda
Làdove piú non puote altro passarme:
S'iovoglio poi sfogarme;
Sìdolce è quel concento
Chela lingua nol segue
Epar che sì dilegue
Locor nel cominciar delle parole:
Nègiammai neve a Sole
Sparvecosìcom'io strugger mi sento
Talch'io rimango spesso
Com'uomche vive in dubbio di se stesso.
Legge proterva e dura
S'adir mi sferza e punge
Quelond'io vivo; or chi mi tene a freno?
Es'ella oltra mia cura
Dalmondo mi disgiunge
Chimi dà poi lo stil pigro e terreno?
Benposson venir meno
Torrifondate e salde:
Mach'io non cerchi e brami
Dipascer le gran fami
Che'n sì lungo digiuno Amor mi dai;
Certonon farà mai:
Sìfur le tue saette acute e calde
Diche 'l m io cor piagasti
Ovenegli occhi suoi nascosto entrasti.
Quanto sarebbe il meglio
Etuo piú largo onore
Ch'i'avessi in ragionar di lei qualch'arte:
Esiccome di speglio
Unriposto colore
Saglietalore luce in altra parte;
Cosìdi queste carte
Rilucessead altrui
Lamia celata gioia:
Eperchè poi si moia
Nonci togliesse il gir solinghi a volo
Dall'unoall'altro polo;
Làdove or taccio a tuo danno; con cui
S'ione parlassiaria
Vocenel mondo ancor la fiamma mia.
E forse avvenirebbe
Ch'ognitua infamia antica
Emille alte querele acqueteresti:
Ch'unotalor direbbe
Coppiafedele amica
Quantidolci pensier vivendo avesti:
Altriben strinse questi
Nodocaro e felice
Chesciolto a noi dà pace.
Orpoich'a lui non piace
Ricoglietevoi piagge i miei desiri
Etu sassoche spiri
Dolcezzae versi amor d'ogni pendice
Daldìche la mia donna
Erròper voi secura in treccia e 'n gonna.
E fe gli onesti preghi
Qualchemercede han teco
Faggiodel mio piacer compagna eterna:
Pietàti stringae pieghi
Adarne segno or meco:
Emova dalla tua virtute interna.
Che'l mio danno discerna:
Sìche s'altro mi sforza
Edi valor mi spoglia;
S'adempiauna mia voglia
Dopotanteche 'l vento ode e disperde:
Cosìmai chioma verde
Nonmanchi alla tua piantae nella scorza
Qualchebel verso viva
Esempre all'ombra tua si leggao scriva.
Già fai tu bensiccome
Faceanquì vago il cielo
Delledue chiare stelle i santi ardori:
Ele dorate chiome
Scopertedal bel velo
Spargendodi lontan soavi odori
Empieanl'erba di fiori:
Esai come al suo canto
Correano'nverso 'l fonte
L'acquenel fiumee 'l monte
Spogliardel bosco intorno si vedea
Ch'adascoltar scendea:
Ele fere seguir dietroe da canto:
Egli augelletti inermi
Sovrain su l'ali star attenti e fermi.
Riva frondosa e fosca
Sonantie gelide acque
Verdivaghifioritie lieti campi
Chifiach'odae conosca
Quantodi lei vi piacque
Emeco d'un incendio non avvampi?
Chiverrà maiche stampi
L'andarsoave e caro
Colbel dolce costume
Equel celeste lume
Chegiunse quasi un Sole a mezzo 'l die
Sovrale notti mie?
Lumenel cui splendor mirando imparo
Asprezzar il destino
Edi salir al ciel scorgo il cammino.
Quando giunte in un loco
Dicortesia vedeste
D'onestàdi valor sì care forme?
Quandoa sì dolce foco
Disì begli occhi ardeste?
Esoch'Amor in voi sempre non dorme
Ochi m'insegna l'orme
Che'l piè leggiadro impresse?
Ochi mi pon tra l'erba
Ch'ancorvestigio serba
Diquella bianca manche tese il laccio
Ondeuscir non procaccio
Edel bel fiancoe delle braccia stesse
Chestringon la mia vita
Sìche io ne peroe non ne cheggio aita?
Gentia cui porge il rio
Quinci'l piè torto e molle
Equindi l'alpe il dritto orrido corno;
Dehor tra voi foss'io
Pastordi quel bel colle
Oguardian di queste selve intorno:
Quantoriluce il giorno
Delmio sostegno andrei
Ogniparte cercando
Reverenteinchinando
Là've più fosse il ciel sereno e queto
E'l seggio ombroso e lieto.
Ividel lungo error m'appagherei
Ebaciando l'erbetta
Dimille miei sospir farei vendetta.
Tunon mi fai quetarnè io t'incolpo:
Purchètra queste frondi
Canzonmiadalla gente ti nascondi.
Sonetto LXI (LXXXI)
Frisioche già da questa gente a quella
Passandovagoe fama in ciascun lato
Mercandohai poco men cerco e girato
Quantoriscalda la diurna stella;
Ed or per render l'alma pura e bella
Alcielquando 'l tuo dì ti fia segnato
Neltuo ancor verde e più felice stato
Tichiudi in sacra e solitaria cella
Eletto ben hai tu la miglior parte
Chenon ti si torrà: fossi anch'io a tale
Nèmi torcesse empia vaghezza i passi:
Contra la qual poi ch'altro non mi vale;
Prega'l Signor per me tuche mi lassi
Senzate frale e sconsolata parte.
Sonetto LXII (LXXXII)
Se la via da curar gl'infermi hai mostro
Almondoche giacea pien d'alto errore
TuFeboallor quando 'l secol migliore
Lasciòle genti al duro viver nostro;
Al buon Lombardoil cui lodato inchiostro
Rendeal moderno stil l'antico onore
Soccorriche già presso a l'ultime ore
Vedela mesta ripa e 'l nero chiostro.
Sì dirà poisanatoad ora ad ora
ComeDelo fermasti vagae come
Pitonmorio mercé del tuo forte arco:
E tutto quelperché de le tue chiome
Èl'arbor sempre verde amico incarco
Spiegheràin versie lodera'l tu ancora.
Sonetto LXIII (LXXXIII)
Ben devria farvi onor d'eterno esempio
Napolivostra; e 'n mezzo al suo bel monte
Scolpirviin lieta e coronata fronte
Girtrionfandoe dar i voti al tempio:
Poi che l'avete a l'orgoglioso ed empio
Stuoloritoltae pareggiate l'onte;
Orch'avea più la voglia e le man pronte
Afar d'Italia tutta acerbo scempio.
Torceste 'l voiSignordal corso ardito:
Efoste talch'ancora esser vorrebbe
Apor di qua da l'alpe nostra il piede.
L'onda Tirrena del suo sangue crebbe;
Edi tronchi restò coperto il lito:
Egli augelli ne fer secure prede.
Canzone XIX (LXXXIV)
Se lo stil non s'accorda col desio
Ched'onorarvi ad or ad or m'invoglia;
Eiprestoardentee quel freddo e restio
Nonsia per ciòSignorchi me ne toglia:
Chenon è questo suo difetto o mio.
Ma'l gran splendor de la virtute vostra
Chepiù m'abbagliaquanto più la miro
Ovunqu'iovadoagli occhi miei si mostra
Talche d'ogni suo ardir l'anima spoglia
Ecol primo penser un altro giostra:
Ond'ioper tema indietro il passo giro
Econ la mia speranza ne sospiro.
Sonetto LXIV (LXXXV)
Animache da' bei stellanti chiostri
Cintade' raggi sì del vero amore
Scendestiin terrache fuor d'ogni errore
Tenvai secura degli affetti nostri;
Con altre voci omaicon altri inchiostri
Moveròpiù sovente a farti onore
Poiche se' giuntaove fia 'l tuo valore
Inaltro pregioche le perle e gli ostri.
Dirò di leich'a quella gelosia
OndeRoma miglior cadderassembra:
Ovendetta di Diochi te ne oblia?
Poi seguiròche se ben ti rimembra
D'Ercolee di Giasonquesta é la via
Digir al ciel ne le terrene membra.
Sonetto LXV (LXXXVI)
Tosto che 'l dolce sguardo Amor m'impetra
Forseperch'io più volentier sospiri
Parmelindi vederche l'arco tiri
Espenda tutta in me la sua faretra.
Ma se Madonna mai tanto si spetra
Chetinta di pietà ver me si giri;
Signormio caro allorpur ch'io la miri
Fame d'uom vivo una gelata pietra.
Poi com'io torni a la prima figura
Iono 'l sento per me: sassel Amore
Checome veltro mi sta sempre al fianco.
Ma 'l sangue accolto in sé dalla paura
Siritien dentroe teme apparir fore:
Peròson io così pallido e bianco.
Sonetto LXVI (LXXXVII)
Già vagoor sovr'ogni altro orrido colle;
Poiche 'l bel visoin cui volse mostrarsi
Quantoben qui fra noi potea trovarsi
Lucead altro paesea te si tolle;
Dura quell'acqua e questa selce molle
Fiaprima ch'io non senta al cor girarsi
Lamemoria del dìquando alsi ed arsi
Nelbel soggiorno tuocome 'l ciel volle.
Por si può ben nemica e dura sorte
Franoi talorae 'l nostro vital lume;
Romperno a l'alma il penser vivo e forte;
Che sperio temao godao si consume
Tornasempre a quel giorno; e le sue scorte
Sonodue stellee gran desio le piume.
Sonetto LXVII (LXXXVIII)
Mostrommi entro a lo spazio d'un bel volto
Esotto un ragionar corteseumile
Perfarmi ogni altro caro esser a vile
Amorquanto può darne il cielraccolto.
Da indi in qua con l'alma al suo ben volto
Lungevicin già per antico stile
Scorgoi bei lumi e odo quel gentile
Spirtoe d'altro giamai non mi cal molto.
Fortunache sì spesso indi mi svia
Tolgaagli occhiagli orecchi il proprio obietto
E'n parte le dolcezze mie distempre:
Al cor non torrà mai l'alto diletto
Ch'eiprova di veder la donna mia
Ovunqueio vadoe d'ascoltarla sempre.
Sonetto LXVIII (LXXXIX)
Caro sguardo serenoin cui sfavilla
Quantanon vide altrove uom mai bellezza;
Parlarsaggiosoaveonde dolcezza
Nonusata fra noi deriva e stilla
Solo di voi pensando si tranquilla
Inme la tempestosa mente avvezza
Mirarviudirvie ciò più ch'altro apprezza
LodandoAmorche col suo strale aprilla.
Amor la punse: e poi scolpio l'adorna
Frontee i begli occhie scrisse le parole
Dentronel cor via più che 'n petra salde:
Perch'ellacom'augelch'a parte vole
Ond'hasuo ciboa lor sempre ritorna
Conl'ali del desio veloci e calde.
Canzone XX (XC.)
Se non fosse il penserch'a la mia donna
Pertanta via mi porta
Sìlunge non avrei la vita scorta.
I' miro ad or ad or nel suo bel viso
Com'iole fossi presso:
Eveggo lampeggiar quel dolce riso
Chemi furò a me stesso:
Ciòne le lontananzeche sì spesso
Fanla mia gioia corta
Amorte mi sottragge e riconforta.
Nè mendove ch'io vadaodo ed intendo
Lesue sante parole:
E'n tanto acqueto i miei tormentie prendo
Vigorsiccome suole
Chiusofioretto in sul mattin dal Sole:
Fidade l'alma scorta
Efreno al duolch'a morte mi trasporta.
Canzone XXI (XCI)
Perchè 'l piacer a ragionar m'invoglia
Edi sua propria man mi detta Amore
Nèdall'unnè dall'altro ardisco aitarmi;
Sgombrimisidel petto ogni altra voglia
Esol questa mercede appaghi il core
Tantoch'io dicae possa contentarmi.
Ch'averdinanzi sì bel viso parmi
Sìpure vocie tanto alti pensieri
Cheperch'io mai non speri
Perforza di mio ingegnoo per altr'arte
Coseleggiadre e nove
Che'n mill'anni volgendo il ciel non piove
Qualio e sento al cor stender in carte;
Purle mie ferme stelle
Portanad or ad orch'io ne favelle.
Era nella stagionche 'l ghiaccio perde
Dalleviolee 'l Sol cangiando stile
Lafaccia oscura alle campagne ha tolta
Quandotra 'l bel cristalloe 'l dolce verde
Micorse al cor la mia donna gentile
Checorrer vi dovea sol una volta.
Miaventura in quel punto avea disciolta
Latreccia d'oro: e quel soave sguardo
Lietocortese e tardo
Armavansì felici e cari lumi;
Chequant'io vidi poi
Vagoamoroso e pellegrin fra noi
Rimembrandodi lortenni ombre e fumi:
Edicea fra me stefsso
Amorsenz'alcun dubbio è qui da presso.
Ben diss'io 'l ver: che come 'l dì col Sole
Cosìcon la mia donna Amor ven sempre
Cheda' begli occhi mai non s'allontana.
Poisentì ragionando dir parole
Erisonar in sì soavi tempre
Chegià non mi sembrar di lingua umana.
Correada parte una bella fontana
Chevide l'acque sue quel dì più vive
Avanzarper le rive:
E'n contro i raggi delle luci sante
Ogniramo inchinarsi
Delbosco intornoe più frondoso farsi:
Efiorir l'erbe sotto le sue piante:
Equetar tutti i venti
Alsuon de' prirni suoi beati accenti.
Quante dolcezze con amanti unquanco
Noneran state certo infin quel giorno
Tuttefur mecoe non le scorsi a pena.
Vinceala neve il vestir puro e bianco
Dalcollo a'piedi: e 'l bel lembo d'intorno
Aveavirtù da far l'aria serena.
L'andartoglieva l'alme alla lor pena
Eristorava ogni passato oltraggio.
Ma'l parlar dolce e saggio
Chem'avea gú da me stesso diviso
Ei begli occhie le chiome
Chefur legami alle mie care some
Dellecose parean di paradiso
Scesequaggiuso in terra
Perdar al mondo pacee torli guerra.
Deh se per mio destin voci mortali
Eson di donna pur queste bellezze
Beatochi l'ascoltae chi la mira
Mase non son chi mi darà tante ali
Ch'iosegua leis'avven ch'ella non prezze
Distarlà 've si piagne e si sospira?
Cosìpensava: e 'n quanto occhio si gira
Vidiunche 'l dolce volto dipingea
Partee parte scrivea
Nell'almadentro le parole e 'l suono
Dicendo:queste omai
Penneda gir con lei tu sempre arai.
Allormi scossie qual io qui mi sono
Talla mia donna bella
M'eranel pettoin vifoed in favella.
Rimanti quiCanzonpoichè dell'alto
Miotesoro infinito
Cosìpoveramente t'hai vestito.
Canzone XXII (XCII)
Se nella prima voglia mi rinvesca
L'animadesiosae pur un poco
Perlevarmi da lei l'ale non stende;
Meraviglianon è: di sì dolc'esca
Movonole favillee nasce il foco
Ch'aragionar di voiDonnam'accende
Voisete dentro: e ciò che fuor risplende
Esseraltro non puòche vostro raggio.
Maperch'io poi non aggio
Inritrarlo ad altrui le rime accorte
Benha da voi radice
Tuttoquelche per me se ne ridice
Male parole son debili e corte:
Chese fosser bastanti
Ne'nvaghirei mille cortesi amanti.
Però che da quel dìch'io feci in prima
Seggioa voi nel mio coraltro che gioia
Tuttoquesto mio viver non é stato.
Ese per lunghe prove il ver s'estima
Quantunquech'io mi vivao ch'io mi moia
Nonspero d'esser mai se non beato:
Sìfermo è 'l pié del mio felice stato.
Ecerto sotto 'l cerchio della luna
Sortegoiosa alcuna
Edun ben quanto 'l mio non si ritrova.
Ches'altri è lieto alquanto
Immantenentepoi l'assale il pianto:
Maio non ho dolorche mi rimova
Dallamia festa pura
VostramercèMadonnae mia ventura.
E se duro destin a ferir viemmi
Conpiù forza talordi là non passa
Dallaspogliaond'io vo caduco e frale.
Che'l piacerdi che Amor armato tiemmi
Sostienil colpoe gir oltra no 'l lassa
Là've sedete voiche 'l fate tale.
Peròs'io vivo a tempoche mortale
Foraad altruinon è per proprio ingegno.
Ioper me nacqui un segno
Adogni stral delle sventure umane:
Mavoi sete il mio schermo:
Eperch'i fia di mia natura infermo
Sotto'l caso di me poco rimane.
Lassoma chi può dire
Letante guise poi del mio gioire?
Che spesso un giro sol degli occhi vostri
Unasol voce in allentar lo spirto
Milassa in mezzo 'l cor tanta dolcezza
Chenol porian contar linguanè inchiostri.
Nècosì 'l verde serva lauroo mirto
Com'eile forme d'ogni sua vaghezza.
Edho sì l'alma a questo cibo avvezza
Ch'alei piacer non puònè la desvia
Cosache voi non sia
Oco 'l vostro penser non s'accompagne;
Equando il giorno breve
Coprele rive e le piagge di neve
Equando 'l lungo infiamma le campagne
Equando aprono i fiori
Equando i rami poi tornan minori.
Giglicaltavioleacantoe rose
Erubinie zaffirie perleed oro
Scopros'io miro nel bel vostro volto
Dolcearmonia delle più care cose
Sentoper l'aere andare dolce coro
Dispiriti celestis'io n'ascolto
Tuttoquelche dilettainseme accolto
Eposso col piacerche mi trastulla
Sedi voi pensoè nulla:
Nègiurereich'Amor tanto s'avanzi
Perch'hala face e l'arco
Quantoper voi mio prezioso incarco:
Edor mel par vederch'a voi dinanzi
Volisuperboe dica:
Tantoson ioquanto m'è questa amica.
Nè tu per girCanzonad altro albergo
Delmio ti partirai
Sequanto rozza feiconoscerai.
Canzone XXIII (XCIII)
Da poich'Amor in tanto non si stanca
Dettarmiquelond'io sempre ragioni
E'l piacer più che mai dentro mi punge;
Ancordiròma se del vero manca
Lavoce mia; Madonna il mi perdoni
Che'n tutto dal nostr'uso si disgiunge.
Ecome salireidov'ella aggiunge
Iobasso e graveed ella alta e leggera?
Bastimattino e sera
L'almainchinarlequanto si convene:
Equalche pura scorza
Segnarallor che 'l gran desio mi sforza
Delsuo bel nomee le più fide arene;
Acciòche 'l mar la chiami
Edogni selva la conosca ed ami
Questo faccia 'l desir in parte sazio
Chevorria alzarsi a dir della mia donna;
Matema di cader lo tene a freno.
Ese per le sue lode unqua mi spazio
Ch'èben d'alto valor ferma colonna
Nonè peròch'io creda dirne a pieno.
Maperch'altrui lo mio stato sereno
Cercomostrarche sol da lei deriva;
Forzaè talorch'io scriva
Com'ognimio penser indi si miete:
Odi quella soave
Aurache del mio cor volge la chiave:
Opur di voi che 'l mio sostegno sete
Stellelucenti e care
Senon quando di voi mi sete avare.
Voi date al viver mio l'un fido porto:
Checome il Sol di luce il mondo ingombra
Ela nebbia sparisce innanzi al vento;
Cosìmi vien da voi gioia e conforto;
Ecosì d'ogni parte si disgombra
Perlo vostro apparir noia e tormento.
L'altroèquando parlar Madonna sento
Ched'ogni bassa impresa mi ritoglie
Equel laccio discioglie
Chegli animi stringendo a terra inclina:
Talch'io mi fido ancora
Quandisarò di questo carcer fora
Fardi me stesso alla morte rapina:
E'n più leggidra forma
Rimanerdegli amanti esempio e norma.
Il terzo è 'l mio solingo alto pensero
Colqual entro a mirarlae cercoe giro
Suoitanti onorche sol un non ne lasso:
Escorgo il bel semblante umile altero
E'l risoche fa dolce ogni martiro
E'l cantarche potria mollir un sasso.
Oquante cose qui tacendo passo
Chemi stan chiuse al cor sì dolcemente.
Poiraffermo la mente
Inun giardin di nuovi fiori eterno:
Edodo dir nell'erba
Allatua donna questo si riserba:
Ellapotrà qui far la fiate e 'l verno.
Dicota' viste vago
Pascomisempree d'altro non m'appago
E chi non saquanto si gode in cielo
VedendoDio per l'anime beate
Proviquesto piacerdi ch'io li parlo.
Daquel dì innanzi mai caldonè gelo
Nontemerànè altra indignitate
Ardiràdella vita unque appressarlo:
Epurch'un poco mova a salutarlo
Madonnail dolce e grazioso ciglio;
Piùdi nostro consiglio
Nonavrà uopoe vincerà il destino:
Chequelle vaghe luci
Asalir sopra 'l ciel gli saran duci
Emostreranli il più diritto cammino:
Epotrà gir volando
Ognicofa mortal sotto lasciando.
Ove ne vaiCanzons'ancora è meco
L'unacompagna e l'altra?
Giànon sei tu di lor più riccao scaltra.
Sonetto LXIX (XCIV)
Felice imperadorch'avanzi gli anni
Conla virtutee rendi a questi giorni
L'anticoonor di Martee 'n pregio il torni
Eper noi riposar te stesso affanni;
Per cui spera saldar tanti suoi danni
Romae fra più che mai lieti soggiorni
Sentirancor sette suoi colli adorni
Dituoi trionfie 'l mondo senza inganni:
Mira 'l SettentrionSignor gentile;
Voceudiraiche 'n fin di là ti chiama
Perfarti sopra 'l ciel volando ir chiaro.
Sì vedrem poi del nostro ferro vile
Farsecol d'oroe viver dolce e caro:
Questofia nostrotuo 'l pregio e la fama.
Sonetto LXX (XCV)
Amormia voglia e 'l vostro altero sguardo
Ch'ancornon volse a me vista serena:
Midannolassoognor sì grave pena
Ch'iotemono 'l soccorso giunga tardo.
Al foco de' vostr'occhi qual esca ardo
Acui l'ingordo mio voler mi mena:
Ese ragion alcun tempo l'affrena
Amorpoi 'l fa più leve e più gagliardo.
Così mi struggo e purs'io non m'inganno
Setesol voi cagionch'io mi consume
Emia voglia ed Amor lor dritto fanno:
Che potreste mutar l'aspro costume
Dele luciond'io vo per minor danno
Amortecome al mar veloce fiume.
Sonetto LXXI (XCVI)
Quando 'l mio soldel qual invidia prende
L'altroche spesso si nasconde e fugge
Levandoogni ombrache 'l mio bene adugge
Vagosereno agli occhi miei risplende;
Sì co' suoi vivi raggi il cor m'accende
Chedolcemente ei si consuma e strugge:
Ecome fiorche 'l troppo caldo sugge
Potriamancarche nulla nel difende.
Se non ch'al suo sparir m'agghiaccioe poi
Convista d'uomche piange sua ventura
Passoin una marmorea figura.
Medusas'egli è verche tu di noi
Facevipetraassai fosti men dura
Ditalche m'ardestruggeagghiaccia e indura.
Sonetto LXXII (XCVII)
O superba e crudeleo di bellezza
Ed'ogni don del ciel ricca e possente
Quandole chiome d'or caro e lucente
Sarannoargentoche si copre e sprezza;
E de la frontea darmi pene avvezza
L'avoriocrespo e le faville spente;
Edel sol de' begli occhi vago ardente
Scematoin voi l'onor e la dolcezza;
E nello specchio mirerete un'altra:
Diretesospirandoeh lassaquale
Oggimeco penser? perché l'adorna
Mia giovenezza ancor non l'ebbe tale?
Aquesta mente o 'l sen fresco non torna?
Ornon son bella: allora non fui scaltra.
Sonetto LXXIII (XCVIII)
Sognoche dolcemente m'hai furato
Amortee del mio mal posto in oblio
Daqual porta del ciel cortese e pio
Scendestia rallegrar un dolorato?
Qual angel hai là su di me spirato
Chesì movesti al gran bisogno mio?
Scampoa lo stato faticoso e rio
Altroche 'n te non ho lasso trovato.
Beato sech'altrui beato fai:
Senon ch'usi troppo ale al dipartire
E'n poca ora mi toi quelche mi dai.
Almen ritornae già che 'l camin sai
Fammitalor di quel piacer sentire
Chesenza te non spero sentir mai.
Sonetto LXXIV (XCIX)
Se 'l viver men che pria m'è duro e vile
Nèpiù d'Amor mi pento esser suggetto
Nèson di duolcome io solearicetto;
Tuttoquesto è tuo donsogno gentile.
Madonna più che mai tranquilla umile
Contai parole e 'n sì cortese affetto
Misi mostravae tanto altro diletto
Ch'asseguirno 'l poria lingua nè stile.
Perchédiceala tua vita consume?
Perchépur del signor nostro ti lagni?
Frenai lamenti omaifrena 'l dolore;
E più cose altre: quando il primo lume
Delgiorno sparse i miei dolci guadagni
Apertigli occhie traviato il core.
Sonetto LXXV (C.)
Giaceami stanco'l fin de la mia vita
Venianè potea molto esser lontano
Quandopietosain atto onesto e piano
Madonnaapparve a l'almae diemmi aita.
Non fu sì cara voce unquanco udita
Nètoccadicev'iosì bella mano
Quant'orda me; nè per sostegno umano
Tantadolcezza in cor grave sentita.
E già negli occhi miei feriva il giorno
Nemicodegli amantie la mia speme
Pareaqual Sol velarsi che s'adombre.
Gissene appresso il sonno: ed ella inseme
Co'miei dilettie con la notte intorno
Quasinebbia sparì che 'l vento sgombre.
Sonetto LXXVI (CI)
Mentre 'l fero destin mi togliee vieta
VederMadonnae tiemmi in altra parte;
Labella imagin sua veduta in parte
Ildigiun pascee i miei sospiri acqueta.
Però s'a l'apparir del bel pianeta
Chetal non torna maiqual si diparte
Ebbiconforto all'alma dentroe parte
Ristettiin vista desiosa e lieta;
Fuperch'io 'l miro in vece ed in sembianza
Dela mia donnache men freddao ria
Ofugace di lui non mi si mostra:
E più ne avròse piacer vostro fia
Che'l sonno de la vitache gli avanza
Sitenga Endimion la Luna vostra.
Sonetto LXXVII (CII)
Perché sia forse a la futura gente
Com'iofui vostro ancoraeterno segno
Questerimedevotoe questo ingegno
Visacroe questa mano e questa mente.
E se non più per tempoo del presente
Secolospemee mio fido sostegno
Acosì riverirvie darvi pegno
Delmio verace amor divenni ardente;
Farò qual peregrindesto a gran giorno
Che'l sonno accusae raddoppiando i passi
Tutto'l perduto del cammin racquista.
Ma o pur non da voi si prenda a scorno
Ilmio dir rocoe i versi incolti e bassi;
Ioper mirar nel Sol perda la vista.
Sonetto LXXVIII (CIII)
Questa del nostro lito antica sponda
CheteVenezia miacopre e difende;
Ementre il corso al mar frena e suspende
Lafer mai sempree la percote l'onda;
Rassembra me: che se 'l dì breve sfronda
Iboschi o se le piagge il lungo accende;
Mibagna rivache dagli occhi scende
Rivach'aperse Amor larga e profonda.
Ma non perviene a la mia donna il pianto
Ched'intorno al mio cor ferve e ristagna
Pernon turbar la sua fronte serena.
La qual vedesse sol un giornoquanto
Perlei dolor dì e notte m'accompagna;
Assaifora men grave ogni mia pena.
Sonetto LXXIX (CIV)
La serache scolpita nel cor tengo:
Cosìl'avess'io viva entro le braccia:
Fuggìsì levech'io perdei la traccia
Nèfreno il corsonè la sete spengo.
Anzi così tra due vivo e sostengo
L'animaforsennatache procaccia
Fard'una tigre sciolta preda in caccia
Traendomeche seguir lei convengo.
E so ch'io movo indarnoo penser casso
Eperdo inutilmente il dolce tempo
Dela mia vitache giammai non torna.
Ben devrei ricovrarmior ch'i m'attempo
Edho forse vicin l'ultimo passo:
Mapiè mosso dal ciel nulla distorna.
Sonetto LXXX (CV)
Mentre di me la verde abile scorza
Copriaquel dentropien di speme e caldo;
Vissia te servoAmorsì lieto e saldo
Chenon ti fu a tenermi uopo usar forza.
Or che 'l volger del ciel mi stemprae sforza
Congli anni e più non sono ardito e baldo
Com'iosoleanè sento al cor quel caldo
Chescemato giammai non si rinforza;
Stendi l'arco per mese vuoich'io viva
Nèti dispiace aver chi l'alte prove
Dela tua certa man racconti e scriva.
Non ho sangue e vigor da piaghe nove
Sofferirdi tuo strale: omai l'oliva
Midonae spendi le saette altrove.
Sonetto LXXXI (CVI)
Se tutti i miei prim'anni a parte a parte
TidiediAmornè mai fuor del tuo regno
Posiormao vissi un giorno; era ben degno
Ch'iopotessi attempato omai lasciarte:
E da' tuoi scogli a più secura parte
Girarla vela del mio stanco legno:
Evolger questi studi e questo ingegno
Adonorata impresaa miglior arte.
Non sonse ben me stessoe te risguardo
Piùda gir teco; i gravee tu leggero;
Tufanciullo e velocei vecchio e tardo:
Arsi al tuo focoe dissi: altro non chero.
Mentrefui verde e forte: or non pur ardo
Seccogià e fralma incenerisco e pero.
Canzone XXIV (CVII sestina)
I più soavi e riposati giorni
Nonebbe uom mainè le più chiare notti
Diquel ch'ebb'io; nè 'l più felice stato
Allorch'io cominciai l'amato stile
Ordircon altro purche doglia e pianto
Daprima entrando all'amorosa vita.
Or è mutato il corso alla mia vita
Evolto il gaio tempo e i lieti giorni
Chenon sapeanche cosa fosse un pianto
Ingravi travagliate e fosche notti:
Co'1 bel suggetto suo cangiar lo stile
Econ le mie venture ogni mio stato.
Lasso non mi credea di sì alto stato
Giammaicader in così bassavita
Nèdi sì piano in così duro stile.
Nè'l Sol non mena mai sì puri giorni
Chenon sian dietro poi tante altre notti:
Cosìvicino al rifo è sempre il pianto.
Ben ebbi al riso mio vicino il pianto
Edio non mel sapea: che 'n quello stato
Cosìcantandoe 'n quelle dolci notti
Forseavrei posto fine alla mia vita
Pernon tardar al fel di questi giorni
Chem'ha sì inacerbito e petto e stile.
Amar tuche porgel dianzi allo stile
Lietoargomentoor gl'insegni irae pianto:
Ache son giunti i miei graditi giorni?
Qualvento nel fiorir svelse il mio stato
Ese fortuna alla tranquilla vita
Entrogli scogli alle più lunghe notti?
U' son le prime mie vegghiate notti
Sìdolcemente? u 'l mio ridente stile
Chepotea rallegrar ben mesta vita?
Echi sì tosto l'ha converso in pianto?
Ch'orfoss'io mortoallor quando il mio stato
Tinsein oscuro i suoi candidi giorni.
Sparito è 'l Sol de' miei sereni giorni
Eraddoppiata l'ombra alle mie notti
Chelucean più che i dì d'ogni altro stato.
Cantaiun tempoe 'n vago e lieto stile
Spiegaimie rimeed or le spiego in pianto
C'hafatto amara di sì dolce vita.
Così sapesse ognunqual è mia vita
Daindi in quache i miei festosi giorni
Chisola il potea farrivolse in pianto;
Chepago mi terrei di queste notti
Senzacolmar de' miei danni lo stile:
Manon ho tanto bene in questo stato.
Che quella ferache al mio verde stato
Diededi morsoe quasi alla mia vita
Orfugge al suon del mi' angoscioso stile:
Nèmai per rimembrarle i primi giorni
Oraccontar delle presenti notti
Volsea pieta del mio sì largo pianto.
Ecco sola m ascoltae col mio pianto
Agguagliando'l suo duro antico stato
Mecosi duol di sì penose notti:
Ese 'l fin si prevede dalla vita
Aduna meta van questi e quei giorni
Ela mia nuda voce fia il mio stile.
Amantii ebbi già tra voi lo stile
Sìvagoche acquetava ogni altrui pianto:
Orme non queta un sol di questi giorni:
Cosìvachi in suo molto allegro stato
Noncrede mai provar noiosa vita
Nèpenfa 'l dì delle future notti.
Ma chi vuolsi rallegri alle mie notti:
Com'ancoquellache mi fa lo stile
Tornara vilee 'n odio esser la vita
Ch'inon spero giammai d'uscir di pianto.
Ellase 'l fache di sì lieto stato
Tostomi pose in così tristi giorni
Ite giorni gioiosie care notti:
Che'l bel mio stato ha preso un altro stile
Perpascer sol di pianto la mia vita.
Sonetto LXXXII (CVIII)
Già donnaor deanel cui verginal chiostro
Scendendoin terra a sentir caldo e gelo
S'armòper liberarneil Re del cielo
Dal'empie man dell'avversario nostro
I pensier tuttie l'uno e l'altro inchiostro
Cangiatavestee con la mente il pelo
Ate rivolgoe quelch'agli altri celo
L'internepiaghe mie ti scopro e mostro.
Sanaleche puoi farloe dammi aita
Asalvar l'alma da l'eterno danno:
Laqual se dal cammin dritto impedita
Le Sirene gran tempo schernit'hanno
Nontardar tu; ch'omai della mia vita
Sivolge il terzo e cinquantesimo anno.
Sonetto LXXXIII (CIX)
In poca libertà con molti affanni
Dilà 'v'io fui gran tempoal dolce piano
Checesse in parte al buon seme Troiano
Vennigià grave di pensieri e d'anni:
E posimi dal fastoe dagl'inganni
Edagli occhi del vulgo assai lontano:
Mache mi valseAmors'a mano a mano
Tupur a lagrimar mi ricondanni?
Qui tra le selvei campie l'erbee l'acque
Allorquand'i credea viver sicuro
Piùferoce che pria m'assali e pungi.
Lassoben veggio omaisì come è duro
Fuggirquelche di noi su nel ciel piacque:
Nèpote uom dal suo fato esser mai lungi.
Sonetto LXXXIV (CX)
I chiari giorni miei passar volando
Chefur sì pochie tosto aperser l'ale:
Poipiacque al cielcui contrastar non vale
Pormidi pacee di me stesso in bando.
Così molt'anni ho già varcato: e quando
Mancardevea la fiamma del tuo strale
Amorche questo incarco stanco e frale
Tuttodentro e di fuor si va lentando;
Sento un novo piacer possente e forte
Giugnerne l'alma al grave antico foco
Talch'adoppio ardoe par che non m'incresca.
Lasso ben son vicino alla mia morte:
Chépuote omai l'infermo durar poco
Incui scema virtùfebbre rinfresca.
IN MORTE
DI MESSER CARLO SUO FRATELLO
E di molte altre persone
Canzone XXVIII ( CLVI)
Alma corteseche dal mondo errante
Partendone la tua più verde etade
Haime lasciato eternamente in doglia
Dale sempre beate alme contrade
Ov'ordimori cara a quello amante
Chepiù temer non puoiche ti si toglia
Risguardain terrae mira u' la tua spoglia
Chiudeun bel sasso: e meche 'l marmo asciutto
Vedraibagnar te richiamandoascolta.
Peròche sparsa e tolta
L'altapura dolcezzae rotto in tutto
Fu'l più fido sostegno al viver mio
Fratequel dìche te n'andasti a volo:
Daindi in qua nè lietonè securo
Nonebbi un giorno mainè d'aver curo;
Anzimi pento esser rimaso solo
Cheson venuto senza te in obblio
Dime medesmoe per te solo er'io
Caroa me stesso: or teco ogni mia gioia
Èspentae non so giàperch'io non moia.
Raro pungente stral di ria fortuna
Fèsì profonda e sì mortal ferita
Quantoquestoonde 'l ciel volle piagarme.
Rimedioalcun da rallegrar la vita
Nonchiude tutto 'l cerchio de la luna
Chedel mio duol bastasse a consolarme.
Sìcome non potea grave appressarme
Alorch'io partia teco i miei pensieri
Tuttie tu meco i tuoi sì dolcemente;
Cosìnon ho dolente
Aquesto tempoin che mi fidio speri
Ch'unsol piacer m'apporte in tanti affanni.
Enon si vide mai perduta nave
Fraduri scogli a mezza notte il verno
Spintadal vento errar senza governo
Chenon sia la mia vita ancor più grave;
Es'ella non si tronca a mezzo gli anni
Forseaverràperch'io pianga i miei danni
Piùlungamentee siano in mille carte
Imiei lamenti e le tue lode sparte.
Dinanzi a te partiva ira e tormento
Comeparte ombra a l'apparir del Sole:
Quelmi tornava in dolce ogni atto amaro
Opur con l'aura delle tue parole
Sgombravid'ogni nebbia in un momento
Locorcui dopo te nulla fu caro;
Nèmai volli al suo scampo altro riparo
Mentreaver si poteoche la tua fronte
El'amicofedelsaggio consiglio.
Persobiancoo vermiglio
Colornon mostrò mai vetro; nè fonte
Cosìpuro il suo vago erboso fondo
Com'ionegli occhi tuoi leggeva espressa
Ognimia voglia sempreogni sospetto:
Consì dolci sospirsì caro affetto
Dele mie forme la tua guancia impressa
Portavianzi pur l'alma e 'l cor profondo.
Orquanto a menon ha più un bene al mondo:
Etutto quel di luiche giova e piace
Adun col tuo mortal sotterra giace.
Quasi stella del polo chiara e ferma
Nellefortune mie sì gravie 'l porto
Fostidell'alma travagliata e stanca:
Lamia sola difesa e 'l mio conforto
Contrale noie della vita inferma
Ch'amezzo il corso assai spesso ne manca:
Equando 'l verno le campagne imbianca
Equando il maggior dì fende 'l terreno
Inogni riscoin ogni dubbia via
Fidatacompagnia
Tenestiil viver mio lieto e sereno:
Chemesto e tenebroso fora stato
EsaràFratesenza te mai sempre.
Odisavventurosa acerba sorte!
Odispietata intempestiva morte!
Omie cangiate e dolorose tempre!
Qualfu giàlassoe qual ora è 'l mio stato?
Tu'l sai; che poi ch'a me ti sei celato
Nèdi qui rivederti ho più speranza;
Altroche pianto e duol nulla m'avanza.
Tu m'hai lasciato senza sole i giorni
Lenotti senza stellee grave ed egro
Tuttoquestoond'io parloond'io respiro:
Laterra scossae 'l ciel turbato e negro
Epien di mille oltraggi e mille scorni
Misembra in ogni partequant'io miro.
Valore cortesia si dipartiro
Neltuo partire 'l mondo infermo giacque
Evirtù spense i suoi più chiari lumi:
Ele fontane ai fiumi
Negarla vena antica e l'usate acque:
Egli augelletti abandonaro il canto:
El'erbe e i fior lasciar nude le piaggie:
Nèpiù di fronde il bosco si consperse.
Parnasoun nembo eterno ricoperse
Ei lauri diventar quercie selvaggie:
E'l cantar de le Deegià lieto tanto
Uscìdoglioso e lamentevol pianto:
Efu più volte in voce mesta udito
Ditutto 'l colle: o BEMBOove se' ito?
Sovra 'l tuo sacro ed onorato busto
Caddegrave a se stesso il padre antico
Laceroil pettoe pien di morte il volto:
Edisse: ahi sordo e di pietà nemico
Destinpredace e reodestino ingiusto
Destina impoverirmi in tutto volto
Perchépiù tosto me non hai disciolto
Daquesto grave mio tenace incarco
Piùche non lece e più ch'io non vorrei
Dandoa lui gli anni miei
Chedel suo leve inanzi tempo hai scarco?
Lassoallor potev'io morir felice:
Orvivo sol per dare al mondo esempio
Quant'è'l peggio far qui più lungo indugio
S'uomde' perdere in breve il suo refugio
Dolcee poi rimanere a pena e scempio:
Ovecchiezza ostinata ed infelice
Ache mi serbi ancor nuda radice
Se'l troncoin cui fioriva la mia speme
èseccoe gelo eterno il cigne e preme?
Qual pianser già le triste e pie sorelle
Cuile treccie in su 'l Po tenera fronde
El'altre membra un duro legno avvolse
Talcon gli scoglie con l'auree con l'onde
Miserae con le gentie con le stelle
Deltuo ratto fuggir la tua si dolse.
Perduol Timavo indietro si rivolse:
Evider Manto i boschi e le campagne
Errarcon gli occhi rugiadosi e molli:
Adriale rive e i colli
Pertuttoove 'l suo mar sospira e piagne
Percossein vista oltra l'usato offesa
Talch'a noia e disdegno ebbi me stesso:
Ese non fosseche maggior paura
Frenòl'ardir; con morte acerba e dura
Allaqual fui molte fiate presso
D'uscird'affanno arei corta via presa.
Orchiamoe non so far altra difesa
Purluiche l'ombra sua lasciando meco
Dime la viva e miglior parte ha seco.
Che con l'altra restai morto in quel punto
Ch'iosenti' morir luiche fu 'l suo core:
Nèson buon d'altroche da tragger guai.
Treguanon voglio aver col mio dolore
Infinch'io sia dal giorno ultimo giunto.
Etanto il piangeròquant'io l'amai.
Dehperché innanzi a lui non mi spogliai
Lamortal gonnas'io men vestì prima?
S'alviver fui veloceperché tardo
Sonoal morir? un dardo
Almenavesse ed una stessa lima
Parimenteambo noi trafitto e roso:
Chesiccome un voler sempre ne tenne
Vivendocosì spenti ancor n'avesse
Un'oraed un sepolcro ne chiudesse.
Ese questo al suo tempo o quel non venne
Nèspero degli affanni alcun riposo;
Aprasiper men danno a l'angoscioso
Carceremio rinchiuso omai la porta
Edegli a l'uscir fuor sia la mia scorta.
E guidemi per manche sa 'l cammino
Digir al ciel; e nella terza spera
M'impetridal Signor appo se loco.
Ivinon corre il dì verso la sera
Nèle notti sen' van contra 'l mattino;
Ivi'l caso non può molto nè poco:
Ditema gelo maidi disir foco
Glianimi non raffreddae non riscalda
Nètormenta dolornè versa inganno:
Ciascunoin quello scanno
Vivee pasce di gioia pura e salda
Ineternofuor d'ira e d'ogni oltraggio
Chepreparato gli ha la sua virtute.
Chimi dà il grembo pien di rose e mirto
Sìch'io sparga la tomba? o sacro spirto
Chequal a' tuoi più fosti o di salute
Odi trastullo; agli altri o buono saggio
Nonsaprei dir: ma chiaro e dolce raggio
Giugnestiin questa fosca etate acerba
Chetutti i frutti suoi consuma in erba.
Secome già ti calseora ti cale
Dime; pon dal ciel mentecom'io vivo
Dopo'l tu' occasoin tenebre e 'n martiri.
Tela tua morte più che pria fè vivo
Anzieri mortoor sei fatto immortale:
Medi lagrime albergo e di sospiri
Fala mia vitae tutti i miei desiri
Sonodi mortee sol quanto m'incresce
Èch'io non vo più tosto al fin ch'io bramo.
Nonsostien verde ramo
De'nostri campi augelloe non han pesce
Tuttequeste limose e torte rive:
Nèpressoo lunge a sì celato scoglio
Filod'alga percote onda marina:
Nèsì riposta fronda il vento inclina
Chenon sia testimon del mio cordoglio.
TuRe del cielcui nulla circonscrive
Mandaalcun de le schiere elette e dive
Disu da quei splendori giù in quest'ombre
Chedi sì dura vita omai mi sgombre.
Canzonqui vedi un tempio a canto al mare
Egenti in lunga pompae gemme ed ostro
Ecerchie metee cento palme d'oro:
Aluich'io in terra amavain cielo adoro
Dirai:così v'onora il secol nostro.
Mentreudirà querele oscure e chiare
Morte;Amor fiamme arà dolci ed amare;
Mentrespiegherà il Sol dorate chiome;
Sempresarà lodato il vostro nome.
A leiche l'Appennin superbo affrena
Là've parte le piagge il bel Metauro;
Dicui non vive dal mar Indo al Mauro
Dal'Orse a l'Austrosimil nè seconda
Vaprima: ella ti mostreo ti nasconda.
SonettoCXXVII (CLVII)
Adunque m'hai tu purin su 'l fiorire
Morendosenza teFratelasciato;
Perché'l mio dianzi chiaro e lieto stato
Orasi volga in tenebre e 'n martire?
Gran giustizia erae mio sommo desire
Dame lo stral avesse incominciato:
Ecome al venir qui son primo stato
Ancorastato fossi al dipartire.
Ché non arei veduto il mio gran danno
Dime stesso sparir la miglior parte;
Esarei teco fuor di questo affanno.
Or ch'io non ho potuto innanzi andarte
Piacciaal Signora cui non piace inganno
Ch'iopossa in breve e scarco seguitarte.
SonettoCXXVIII (CLVIII)
Leonicoche 'n terra al ver sì spesso
Gliocchi levavi e 'l penser dotto e santo;
Etor nel cielo il guiderdon promesso
Ricevial tuo di lui studio cotanto;
A te non si conven doglianè pianto:
Ch'omaipien d'annie pago di te stesso
Chiudiil tuo chiaro dì; ma festa e canto
Delgrande a la tua vita onor concesso.
Qual dalla mensa uom temperato e sazio
Tidiparti dal mondoe torni a lui
Chet'ha per nostro ben tardo ritolto.
Conviensi a meche non ho piùcon cui
Sìsecuro fornir quel poco o molto
Chede la dubbia via m'avanzaspazio.
SonettoCXXIX (CLIX)
Navager mioch'a terra strana volto
Pergiovar a la patria il mondo lassi
Tepiango: e piangon meco i litii sassi
El'erbeche per te crebber già molto.
Tu le palme latine hai di man tolto
Ainostri tuttecon sì fermi passi
Salisti'l colle: or quando più vedrassi
Tantovalor in un petto raccolto?
Grave duol certo; pur io mi consolo
Ch'orti diporti con quell'alme antiche
Chetanto amastie teco è 'l buono e saggio
SAVORGNANche contese alle nemiche
Schiereil suo montee fu d'alto coraggio
Epoco inannzi a te prese il suo volo.
SonettoCXXX (CLX)
Animetra cui spazia or la grande ombra
Deldotto NAVAGERper sorte acerba
Diquesto secol reoche miete in erba
Tuttii suoi fruttio li dispiega in ombra
Qual gioia voi della sua vista ingombra
Talnoi preme dolor: poi sì superba
èstata mortech'i men degni serba
Edel maggior valor prima ne sgombra.
Piacciavi dirquando il nostro emispero
Diedeagli Elisi più sì chiaro spirto;
Edegli qual da voi riceve onore
Raro dopo gli antichi: a questo Omero
Basciòla fronte e cinsela di mirto:
Virgilioparte seco i passi e l'ore.
SonettoCXXXI (CLXI)
Portoche 'l piacer mio teco ne porti
Lavita e noi sì tosto abbandonando
Chefarò qui senza te lasso? e quando
Udiròcosa piùche mi conforti?
Invidio teche vedi i nostri torti
Daltuo dritto sentiergià posti in bando
Gliumani affetti; e vo pur te chiamando
Beatoe vivoe noi miseri e morti.
Deh che non mena il Sole omai quel giorno
Ch'iorenda la mia guardiae torni al cielo
Ditanti lumi in sì poche ore adorno?
Nel quallasciato in terra il suo bel velo
Facon l'eterno Re colei soggiorno
Ondeho la piagach'ancor amo e celo.
SonettoCXXXII (CLXII)
Or hai de la sua gloria scosso Amore
Omorte acerba: or delle donne hai spento
L'altoSol di virtute e d'ornamento
Enoi rivolti in tenebroso orrore.
Deh perchè sì repente ogni valore
Ognibellezza inseme hai sparso al vento?
Benpotei tu de l'altre ancider cento
Elei non torre a più maturo onore.
Fornito haibella donnail tuo viaggio:
Etorni al ciel con giovenetto piede
Lasciandoin terra la tua spoglia verde.
Ben si può dir omaiche poca fede
Neserva il mondoe come straleo raggio
Apena spunta un benche si disperde.
SonettoCXXXIII (CLXIII)
Ov'èmia bellae carae fida scorta
L'usatatua pietàche sol mi lassi
Alcammin duroai perigliosi passi
Dame cotanto dilungata e torta?
Vedi l'almache trema e si sconforta
Perlo tuo dipartiree 'n prova stassi
D'abbandonarmi;e sfida i membri lassi
Perseguir tequal vivaor così morta.
Ben le dice mio corchi t'assecura?
Eforse a lei sua pace turberai
Chedi nostra salute in cielo ha cura .
Ellache fo più qui? risponde: mai
Sostegnotalee ben tantoe ventura
Perdènull'altra: e tu misero il sai.
SonettoCXXXIV (CLXIV)
L'alto mio dal Signor tesoro eletto
De'suoi gemmai più ricchie con più cura
Quellache nè giudicionè misura
Usanel torm'ha toltoond'io l'aspetto.
Che sì mendica e piena di sospetto
Èrimasa quest'alma e 'n così dura
Vitach'assai le fora a gran ventura
Cenerefarsi omai del suo ricetto:
Tal che leggera e di quel nodo sciolta
Potessetanto in su levarsi a volo
Chesi posasse a piè de la sua donna.
O per me chiaroe lietoe dolce solo
Queldìnè può tardars'ella m'ascolta
Chesquarcerà questa povera gonna.
SonettoCXXXV (CLXV)
Quandoforse per dar loco a le stelle
IlSol si partee 'l nostro cielo imbruna
Spargendosidi lorch'ad una ad una
Adiecea cento escon fuor chiare e belle;
I penso e parlo mecoin qual di quelle
Orasplende coleicui par alcuna
Nonfu mai sotto 'l cerchio della Luna;
Benchédi Laura il mondo assai favelle?
In questa piangoe poi ch'al mio riposo
Tornopiù largo fiume gli occhi miei
El'imagine sua l'alma riempie
Trista: la qual mirando fiso in lei
Ledice quelch'io poi ridir non oso:
Onotti amareo Parche ingiuste ed empie!
SonettoCXXXVI (CLXVI)
Tosto che la bell'alba solo e mesto
Titonlasciando a noi conduce il giorno;
Ech'io mi sveglioe rimirando intorno
Nonveggo 'l Solche suol tenermi desto;
Di dolore di panni mi rivesto:
Esospirando il bel dolce soggiorno
Che'l ciel m'ha toltoa lagrimar ritorno:
Laluce ingratae 'l viver m'è molesto.
Talor vengo agl'inchiostrie parte noto
Lemie sventure; ma 'l più celo e serbo
Nelcor: che nullo stile è che le spieghi.
Talor pien d'ira e di speranze voto
Chiamochi del mortal mi scinga e sleghi:
Ogiorni tenebrosio fato acerbo!
SonettoCXXXVII (CLXVII)
S'al vostro amor ben fermo non s'appoggia
Miocorche ad ogni obbietto par che adombre
Pregateleiche ne' begli occhi alloggia
Chedi sì dura vita omai mi sgombre.
Non sempre alto dolorche l'alma ingombre
Scemaper consolarma talor poggia:
Comelumi del ciel per notturne ombre:
Comedi foco in calce esca per pioggia.
Morte m'ha tolto a la mia dolce usanza:
Orho tutt'altro e più me stesso a noia
Anzia disdegnoe sol pianger m'avanza.
COSMOchi visse un tempo in pace e 'n gioia
Poivive in guerra e 'n penee più speranza
Nonha di ritornarqual fu; si moia.
SonettoCXXXVIII (CLXVIII)
Ben devrebbe Madonna a sé chiamarmi
Sunel beato e lieto asilo eterno;
E'n questo pien di noia e pene inferno
Vitamortale omai più non lasciarmi:
Ché non è sotto 'l Sol ben da quetarmi
Sìgli ho tutti col mondo inseme a scherno:
Nèpuò conforto al grave affanno interno
Sendodi fuor chiusa ogni viapassarmi.
Ma s'ella il nodo a l'alma non discioglie
Vedendome di tacito e contento
Voltoa sì triste e lamentose tempre;
E per sé non m'ancidee quinci toglie
Ilduolche del suo ratto sparir sento;
Soranzoi piangoe son per pianger sempre.
SonettoCXXXIX (CLXIX)
Donnache fosti oriental Fenice
Tral'altre donnementre il mondo t'ebbe
Epoi che d'abitar fra noi t'increbbe
Angelsalisti al ciel novo e felice;
L'alta beltà del nostro amor radice
Colsennoond'ei tanto si stese e crebbe
Ventofatal sì tosto non devrebbe
Averdiveltal'un penser mi dice
Per cui d'amaro pianto il cor si bagna;
Mal'altro ad or ad or con tai parole
Provaquetarmi; a che ti struggio cieco?
Non era degno di sì chiaro Sole
Occhiodi mortal vista; or Dio l'ha seco
Dalcui voler uom pio non si scompagna.
SonettoCXL. (CLXX)
Dehperché inanzi a me te ne se' gita
Setanto dopo me fra noi venisti?
Odio non me n'andaiquando partisti
Teco?e tempo era ben d'uscir di vita.
Porgimi almen or tu dal cielo aita
Ch'iochiuda questi dì sì neri e tristi
Mostrandomila viaper cui salisti
Alben nato conciglioalma e gradita.
Mentre i duo poli e 'l lucido Orione
Tistai mirandoche tra lor si spazia
Piùgiù quidov'io piangoe me risguarda:
E per Giesùch'al mondo oggi fe' grazia
Dise nascendoa trarmi di pregione
Eguidar costa sunon esser tarda.
SonettoCXLI (CLXXI)
S'Amor m'avesse detto: ohimèda morte
Fienoi begli occhi prima di te spenti;
Avreidi lor con disusati accenti
Rimedettatoe più spesse e più scorte
Per mio sostegno in questa dura sorte
Eperché le ben chiare ed apparenti
Noterendesser le lontane genti
Del'alma lor divina luce accorte:
Ché già sarebbe oltre l'Iberoe 'l Gange
LaTanae 'l Nilo intesae divulgato
Com'iosolfo a quei raggi ed esca fui.
Orpoi ch'altro che pianger non m'è dato
Piangopur sempree son; tanto duol m'ange;
Nèdi me stesso ad uoponè d'altrui.
SonettoCXLII (CLXXII)
Un anno intero s'è girato a punto
Che'l mondo cadde del suo primo onore
Mortaleich'era il fior d'ogni valore
Colfior d'ogni bellezza inseme aggiunto.
Come a sì mesto e lagrimoso punto
Nonti divelli e schiantiafflitto core
Seti rimembrach'a le tredici ore
Delsesto dì d'agosto il Sole è giunto?
In questa uscìo de la sua bella spoglia
Nelmille cinquecento e trentacinque
L'animasaggiaed io cangiando il pelo
Non so però cangiar pensieri e voglia
Ch'omais'affretti l'altra e s'appropinque
Ch'ioparta quincie la rivegga in cielo.
SonettoCXLIII (CLXXIII)
Quella per cui chiaramente alsi ed arsi
Undicied undici annial ciel salita
Hame lasciato in angosciosa vita:
Oguadagni del mondo incerti e scarsi!
Che s'uom sotto le stelle ha da lagnarsi
Disuo gran dannoe di mortal ferita;
Ison coluich'a morte cheggio aita;
Nèfine altronde al mio dolor può darsi.
Ben la scorgo io sin di là su talora
D'amore di pietate accesa il ciglio
Dirmi:tu pur qui sarai meco ancora:
Ond'io mi riconfortoed in quell'ora
Divolger l'alma al ciel prendo consiglio:
Poitorna il pianto tristoche m'accora.
SonettoCXLIV (CLXXIV)
Era Madonna al cerchio di sua vita
Trigesimoed ottavoquando morte
Laspogliò del bel velo eletto in sorte
Avestir alma sì dal ciel gradita.
Perchécrudeli Parcheancora unita
Mentea trar me del mio non foste accorte?
Cosanon hoch'altro che duol m'apporte:
Colsuo piè freddo ogni mia festa è gita.
Qual alga in marche quinci e quindi l'onde
Sospinganvivo; o qual abete in cima
D'altissim'alpeall'austroal borea segno.
Se quei pur vivech'assai lieto in prima
Perdepoi la sua guida e 'l suo sostegno
Esempre chiamae nessun mai risponde.
SonettoCXLV (CLXXV)
Che mi giova mirar donne e donzelle
Eprati e selve e rivie 'l bel governo
Chefa del mondo il buon motore eterno
Marterracieloe vagheo ferme stelle?
Spenta coleich'un sol fu tra le belle
Etra le saggeor è mio nembo interno:
Formed'orror mi sembra quant'io scerno:
Essercieco vorrei per non vedelle.
Ch'i' non so volger gli occhi a parteov'io
Nonscorga lei fra molte mesteo lasso
Chiudermorendo le sue luci sante.
Ond'io viver non curoanzi desio
Digirle dietro con veloce passo:
Edera me'ch'i' le fossi ito avante.
Canzone XXIX (CLXXVI)
Donnade' cui begli occhi alto diletto
Trasseri miei gran tempoe lieto vissi
Mentrea te non dispiacque esser fra noi
Sevediche quant'io parlai nè scrissi
Nonè stato se non doglia e sospetto
Dopoil quinci sparir dei raggi tuoi
Impetradal Signornon più ne' suoi
Laccimi stringa il mondoe possa l'alma
Chedevea gir inanziomai seguirti.
Tugodiassisa tra' beati spirti
Dellatua gran virtutee chiara ed alma
Sentie felice dirti:
Iosenza te rimaso in questo inferno
Sembronave in gran mar senza governo:
Evò là dove il callee 'l piè m'invita
Latua morte piangendoe la mia vita.
Sì come più di me nessuno in terra
Vissede' suoi pensier pago e contento
Tequi tenendo la divina cura;
Cosìcordoglio equale a quelch'io sento
Nonènè credo ch'esser possa: e guerra
Nonfè giamai sì dispietata e dura
Laspadache suoi colpi non misura
Quantoor a meche 'n un sol chiuder d'occhi
Lemie vive speranze ha tutte estinto:
Ond'ioson ben in guisa oppresso e vinto
Chepur che 'l cor di lagrime trabocchi
Mentred'intorno cinto
Saròde la caduca e frale spoglia
Altronon cerco: o quando fia che voglia
Divita il Re celeste e pio levarmi?
Prega'l tuSantae così poi quetarmi.
Avea per sua vaghezza teso Amore
Un'altarete a mezzo del mio corso
D'oroe di perlee di rubin contesta
Cheveduta al più fero e rigid'orso
Umiliavae 'nteneriva il core
Equetava ogni nemboogni tempesta;
Questalieto mi presee poscia in festa
Tennemolt'anni: or l'ha sparsa e disciolta
Perfar me sempre tristoacerba sorte.
Ahiciecasordaavarainvida morte;
Dunquehai di me la parte maggior tolta
El'altra sprezzi? O forte
Tenordi stelleo già mia spemequanto
Megliom'era il morirche 'l viver tanto!
Dehnon mi lasciar qui più lungo spazio;
Ch'ioson di sostenermi stanco e sazio.
Sovra le notti mie fur chiaro lume
Enel dubbio sentier fidata scorta
Ituoi begli occhie le dolci parole.
Orlassoche ti se' oscurata e torta
Tantoda meconvien ch'io mi consume
Senzai soavi accenti e 'l puro Sole:
Nèso cosa mirarche mi console
Ovoce udirche 'l cor dolente appaghi
Nèmica in questo lamentoso albergo
Loqual dì e nottepur di pianto aspergo
Chiedendoche si volga e me rimpiaghi
Mortenè più da tergo
Lascie m'ancida col suo stral secondo;
Poichècol primo ha impoverito il mondo
Toltaneteper cui la nostra etade
Sìricca fu di senno e di beltade.
Avess'io almen penna più fermao stile
Possenteagli altri secoli di mille
Dele tue lode farne passar una;
Chegià di leggiadrissime faville
S'accenderebbeogni anima gentile:
Eio mi dorrei men di mia fortuna
Emen di mortein aspettando alcuna
Vendettacontra lei da le mie rime.
Eper chieder ancorao se 'l mio inchiostro
Mantovae Smirnas'avanzasse al vostro
Tantoche non pur lei la più sublime
Inquesto basso chiostro
Matal là su facesse oprache 'l cielo
Lasforzasse a tornar nel suo bel velo:
Perchénon fosse uom poi così beato
Conch'io cangiassi il mio gioioso stato.
Se tu stessaCanzone
Diquel vedermi lieto mai non credi
Chepiù vo desiando; a pianger riedi
Edìdel pianto molleovunque arrive
Madonnaè mortae quel misero vive.
SonettoCXLVI (CLXXVII)
O Soldi cui questo bel sole è raggio
Solper lo qual visibilmente splendi
Sesovra l'opre tue qua giù ti stendi;
Rilucia meche speme altra non aggio.
Da l'almach'a te fa verace omaggio
Dopotanti e sì gravi suoi dispendi
Sgombral'antiche nebbiee tal la rendi
Chepiù dal mondo non riceva oltraggio.
Omai la scorga il tuo celeste lume:
Ese già mortal fiammae poca l'arse;
All'eternaed immensa or si consume
Tantoche le sue colpe in caldo fiume
Dipianto lavie mondada levarse
Erivolar a te vesta le piume.
SonettoCXLVII (CLXXVIII)
Se già ne l'età mia più verde e calda
Offesite ben mille e mille volte
Ele sue doti l'alma ardita e balda
Date donateha contra te rivolte;
Or che m'ha 'l verno in fredda e bianca falda
Dineve il mento e queste chiome involte
Midonaond'io con piena fede e salda
Padret'onorie le tue voci ascolte.
Non membrar le mie colpee poi ch'addietro
Tornarnon ponno i mal passati tempi
Reggitu del cammin quelche m'avanza:
E sì 'l mio cor del tuo desio riempi
Chequellache 'n te sempre ebbisperanza
Quantunquepeccatornon sia di vetro.
Canzone XXX (CLXXIX)
Signorquella pietàche ti constrinse
Morendofar del nostro fallo ammenda
Dal'ira tua ne copra e ne difenda.
VediPadre cortese
L'altovisco mondan com'è tenace
Ele retiche tese
Neson dall'avversario empio e fallace
Quantohanno intorno a se di quel che piace.
Peròs'avenche spesso uom se ne prenda
Questotalor pietoso a noi ti renda.
Non si negaSignore
Che'l peccar nostro senza fin non sia.
Mase non fosse errore;
Campoda usar la tua pietà natia
Nonavresti: la qual perché non stia
Inoscuroe quanta è fra nois'intenda
Mengrave esser ti deech'altri t'offenda.
TuPadrene mandasti
Inquesto mare tu ne scorgi a porto:
Ese molto ne amasti
Allorche 'l mondo t'ebbe vivo e morto;
Amanea questo tempo: e 'l nostro torto
Latua pietosa man non ne sospenda;
Magrazia sopra noi larga discenda.
Canzone XXVIII ( CLVI)
Alma corteseche dal mondo errante
Partendone la tua più verde etade
Haime lasciato eternamente in doglia
Dale sempre beate alme contrade
Ov'ordimori cara a quello amante
Chepiù temer non puoiche ti si toglia
Risguardain terrae mira u' la tua spoglia
Chiudeun bel sasso: e meche 'l marmo asciutto
Vedraibagnar te richiamandoascolta.
Peròche sparsa e tolta
L'altapura dolcezzae rotto in tutto
Fu'l più fido sostegno al viver mio
Fratequel dìche te n'andasti a volo:
Daindi in qua nè lietonè securo
Nonebbi un giorno mainè d'aver curo;
Anzimi pento esser rimaso solo
Cheson venuto senza te in obblio
Dime medesmoe per te solo er'io
Caroa me stesso: or teco ogni mia gioia
Èspentae non so giàperch'io non moia.
Raro pungente stral di ria fortuna
Fèsì profonda e sì mortal ferita
Quantoquestoonde 'l ciel volle piagarme.
Rimedioalcun da rallegrar la vita
Nonchiude tutto 'l cerchio de la luna
Chedel mio duol bastasse a consolarme.
Sìcome non potea grave appressarme
Alorch'io partia teco i miei pensieri
Tuttie tu meco i tuoi sì dolcemente;
Cosìnon ho dolente
Aquesto tempoin che mi fidio speri
Ch'unsol piacer m'apporte in tanti affanni.
Enon si vide mai perduta nave
Fraduri scogli a mezza notte il verno
Spintadal vento errar senza governo
Chenon sia la mia vita ancor più grave;
Es'ella non si tronca a mezzo gli anni
Forseaverràperch'io pianga i miei danni
Piùlungamentee siano in mille carte
Imiei lamenti e le tue lode sparte.
Dinanzi a te partiva ira e tormento
Comeparte ombra a l'apparir del Sole:
Quelmi tornava in dolce ogni atto amaro
Opur con l'aura delle tue parole
Sgombravid'ogni nebbia in un momento
Locorcui dopo te nulla fu caro;
Nèmai volli al suo scampo altro riparo
Mentreaver si poteoche la tua fronte
El'amicofedelsaggio consiglio.
Persobiancoo vermiglio
Colornon mostrò mai vetro; nè fonte
Cosìpuro il suo vago erboso fondo
Com'ionegli occhi tuoi leggeva espressa
Ognimia voglia sempreogni sospetto:
Consì dolci sospirsì caro affetto
Dele mie forme la tua guancia impressa
Portavianzi pur l'alma e 'l cor profondo.
Orquanto a menon ha più un bene al mondo:
Etutto quel di luiche giova e piace
Adun col tuo mortal sotterra giace.
Quasi stella del polo chiara e ferma
Nellefortune mie sì gravie 'l porto
Fostidell'alma travagliata e stanca:
Lamia sola difesa e 'l mio conforto
Contrale noie della vita inferma
Ch'amezzo il corso assai spesso ne manca:
Equando 'l verno le campagne imbianca
Equando il maggior dì fende 'l terreno
Inogni riscoin ogni dubbia via
Fidatacompagnia
Tenestiil viver mio lieto e sereno:
Chemesto e tenebroso fora stato
EsaràFratesenza te mai sempre.
Odisavventurosa acerba sorte!
Odispietata intempestiva morte!
Omie cangiate e dolorose tempre!
Qualfu giàlassoe qual ora è 'l mio stato?
Tu'l sai; che poi ch'a me ti sei celato
Nèdi qui rivederti ho più speranza;
Altroche pianto e duol nulla m'avanza.
Tu m'hai lasciato senza sole i giorni
Lenotti senza stellee grave ed egro
Tuttoquestoond'io parloond'io respiro:
Laterra scossae 'l ciel turbato e negro
Epien di mille oltraggi e mille scorni
Misembra in ogni partequant'io miro.
Valore cortesia si dipartiro
Neltuo partire 'l mondo infermo giacque
Evirtù spense i suoi più chiari lumi:
Ele fontane ai fiumi
Negarla vena antica e l'usate acque:
Egli augelletti abandonaro il canto:
El'erbe e i fior lasciar nude le piaggie:
Nèpiù di fronde il bosco si consperse.
Parnasoun nembo eterno ricoperse
Ei lauri diventar quercie selvaggie:
E'l cantar de le Deegià lieto tanto
Uscìdoglioso e lamentevol pianto:
Efu più volte in voce mesta udito
Ditutto 'l colle: o BEMBOove se' ito?
Sovra 'l tuo sacro ed onorato busto
Caddegrave a se stesso il padre antico
Laceroil pettoe pien di morte il volto:
Edisse: ahi sordo e di pietà nemico
Destinpredace e reodestino ingiusto
Destina impoverirmi in tutto volto
Perchépiù tosto me non hai disciolto
Daquesto grave mio tenace incarco
Piùche non lece e più ch'io non vorrei
Dandoa lui gli anni miei
Chedel suo leve inanzi tempo hai scarco?
Lassoallor potev'io morir felice:
Orvivo sol per dare al mondo esempio
Quant'è'l peggio far qui più lungo indugio
S'uomde' perdere in breve il suo refugio
Dolcee poi rimanere a pena e scempio:
Ovecchiezza ostinata ed infelice
Ache mi serbi ancor nuda radice
Se'l troncoin cui fioriva la mia speme
èseccoe gelo eterno il cigne e preme?
Qual pianser già le triste e pie sorelle
Cuile treccie in su 'l Po tenera fronde
El'altre membra un duro legno avvolse
Talcon gli scoglie con l'auree con l'onde
Miserae con le gentie con le stelle
Deltuo ratto fuggir la tua si dolse.
Perduol Timavo indietro si rivolse:
Evider Manto i boschi e le campagne
Errarcon gli occhi rugiadosi e molli:
Adriale rive e i colli
Pertuttoove 'l suo mar sospira e piagne
Percossein vista oltra l'usato offesa
Talch'a noia e disdegno ebbi me stesso:
Ese non fosseche maggior paura
Frenòl'ardir; con morte acerba e dura
Allaqual fui molte fiate presso
D'uscird'affanno arei corta via presa.
Orchiamoe non so far altra difesa
Purluiche l'ombra sua lasciando meco
Dime la viva e miglior parte ha seco.
Che con l'altra restai morto in quel punto
Ch'iosenti' morir luiche fu 'l suo core:
Nèson buon d'altroche da tragger guai.
Treguanon voglio aver col mio dolore
Infinch'io sia dal giorno ultimo giunto.
Etanto il piangeròquant'io l'amai.
Dehperché innanzi a lui non mi spogliai
Lamortal gonnas'io men vestì prima?
S'alviver fui veloceperché tardo
Sonoal morir? un dardo
Almenavesse ed una stessa lima
Parimenteambo noi trafitto e roso:
Chesiccome un voler sempre ne tenne
Vivendocosì spenti ancor n'avesse
Un'oraed un sepolcro ne chiudesse.
Ese questo al suo tempo o quel non venne
Nèspero degli affanni alcun riposo;
Aprasiper men danno a l'angoscioso
Carceremio rinchiuso omai la porta
Edegli a l'uscir fuor sia la mia scorta.
E guidemi per manche sa 'l cammino
Digir al ciel; e nella terza spera
M'impetridal Signor appo se loco.
Ivinon corre il dì verso la sera
Nèle notti sen' van contra 'l mattino;
Ivi'l caso non può molto nè poco:
Ditema gelo maidi disir foco
Glianimi non raffreddae non riscalda
Nètormenta dolornè versa inganno:
Ciascunoin quello scanno
Vivee pasce di gioia pura e salda
Ineternofuor d'ira e d'ogni oltraggio
Chepreparato gli ha la sua virtute.
Chimi dà il grembo pien di rose e mirto
Sìch'io sparga la tomba? o sacro spirto
Chequal a' tuoi più fosti o di salute
Odi trastullo; agli altri o buono saggio
Nonsaprei dir: ma chiaro e dolce raggio
Giugnestiin questa fosca etate acerba
Chetutti i frutti suoi consuma in erba.
Secome già ti calseora ti cale
Dime; pon dal ciel mentecom'io vivo
Dopo'l tu' occasoin tenebre e 'n martiri.
Tela tua morte più che pria fè vivo
Anzieri mortoor sei fatto immortale:
Medi lagrime albergo e di sospiri
Fala mia vitae tutti i miei desiri
Sonodi mortee sol quanto m'incresce
Èch'io non vo più tosto al fin ch'io bramo.
Nonsostien verde ramo
De'nostri campi augelloe non han pesce
Tuttequeste limose e torte rive:
Nèpressoo lunge a sì celato scoglio
Filod'alga percote onda marina:
Nèsì riposta fronda il vento inclina
Chenon sia testimon del mio cordoglio.
TuRe del cielcui nulla circonscrive
Mandaalcun de le schiere elette e dive
Disu da quei splendori giù in quest'ombre
Chedi sì dura vita omai mi sgombre.
Canzonqui vedi un tempio a canto al mare
Egenti in lunga pompae gemme ed ostro
Ecerchie metee cento palme d'oro:
Aluich'io in terra amavain cielo adoro
Dirai:così v'onora il secol nostro.
Mentreudirà querele oscure e chiare
Morte;Amor fiamme arà dolci ed amare;
Mentrespiegherà il Sol dorate chiome;
Sempresarà lodato il vostro nome.
A leiche l'Appennin superbo affrena
Là've parte le piagge il bel Metauro;
Dicui non vive dal mar Indo al Mauro
Dal'Orse a l'Austrosimil nè seconda
Vaprima: ella ti mostreo ti nasconda.
SonettoCXXVII (CLVII)
Adunque m'hai tu purin su 'l fiorire
Morendosenza teFratelasciato;
Perché'l mio dianzi chiaro e lieto stato
Orasi volga in tenebre e 'n martire?
Gran giustizia erae mio sommo desire
Dame lo stral avesse incominciato:
Ecome al venir qui son primo stato
Ancorastato fossi al dipartire.
Ché non arei veduto il mio gran danno
Dime stesso sparir la miglior parte;
Esarei teco fuor di questo affanno.
Or ch'io non ho potuto innanzi andarte
Piacciaal Signora cui non piace inganno
Ch'iopossa in breve e scarco seguitarte.
SonettoCXXVIII (CLVIII)
Leonicoche 'n terra al ver sì spesso
Gliocchi levavi e 'l penser dotto e santo;
Etor nel cielo il guiderdon promesso
Ricevial tuo di lui studio cotanto;
A te non si conven doglianè pianto:
Ch'omaipien d'annie pago di te stesso
Chiudiil tuo chiaro dì; ma festa e canto
Delgrande a la tua vita onor concesso.
Qual dalla mensa uom temperato e sazio
Tidiparti dal mondoe torni a lui
Chet'ha per nostro ben tardo ritolto.
Conviensi a meche non ho piùcon cui
Sìsecuro fornir quel poco o molto
Chede la dubbia via m'avanzaspazio.
SonettoCXXIX (CLIX)
Navager mioch'a terra strana volto
Pergiovar a la patria il mondo lassi
Tepiango: e piangon meco i litii sassi
El'erbeche per te crebber già molto.
Tu le palme latine hai di man tolto
Ainostri tuttecon sì fermi passi
Salisti'l colle: or quando più vedrassi
Tantovalor in un petto raccolto?
Grave duol certo; pur io mi consolo
Ch'orti diporti con quell'alme antiche
Chetanto amastie teco è 'l buono e saggio
SAVORGNANche contese alle nemiche
Schiereil suo montee fu d'alto coraggio
Epoco inannzi a te prese il suo volo.
SonettoCXXX (CLX)
Animetra cui spazia or la grande ombra
Deldotto NAVAGERper sorte acerba
Diquesto secol reoche miete in erba
Tuttii suoi fruttio li dispiega in ombra
Qual gioia voi della sua vista ingombra
Talnoi preme dolor: poi sì superba
èstata mortech'i men degni serba
Edel maggior valor prima ne sgombra.
Piacciavi dirquando il nostro emispero
Diedeagli Elisi più sì chiaro spirto;
Edegli qual da voi riceve onore
Raro dopo gli antichi: a questo Omero
Basciòla fronte e cinsela di mirto:
Virgilioparte seco i passi e l'ore.
SonettoCXXXI (CLXI)
Portoche 'l piacer mio teco ne porti
Lavita e noi sì tosto abbandonando
Chefarò qui senza te lasso? e quando
Udiròcosa piùche mi conforti?
Invidio teche vedi i nostri torti
Daltuo dritto sentiergià posti in bando
Gliumani affetti; e vo pur te chiamando
Beatoe vivoe noi miseri e morti.
Deh che non mena il Sole omai quel giorno
Ch'iorenda la mia guardiae torni al cielo
Ditanti lumi in sì poche ore adorno?
Nel quallasciato in terra il suo bel velo
Facon l'eterno Re colei soggiorno
Ondeho la piagach'ancor amo e celo.
SonettoCXXXII (CLXII)
Or hai de la sua gloria scosso Amore
Omorte acerba: or delle donne hai spento
L'altoSol di virtute e d'ornamento
Enoi rivolti in tenebroso orrore.
Deh perchè sì repente ogni valore
Ognibellezza inseme hai sparso al vento?
Benpotei tu de l'altre ancider cento
Elei non torre a più maturo onore.
Fornito haibella donnail tuo viaggio:
Etorni al ciel con giovenetto piede
Lasciandoin terra la tua spoglia verde.
Ben si può dir omaiche poca fede
Neserva il mondoe come straleo raggio
Apena spunta un benche si disperde.
SonettoCXXXIII (CLXIII)
Ov'èmia bellae carae fida scorta
L'usatatua pietàche sol mi lassi
Alcammin duroai perigliosi passi
Dame cotanto dilungata e torta?
Vedi l'almache trema e si sconforta
Perlo tuo dipartiree 'n prova stassi
D'abbandonarmi;e sfida i membri lassi
Perseguir tequal vivaor così morta.
Ben le dice mio corchi t'assecura?
Eforse a lei sua pace turberai
Chedi nostra salute in cielo ha cura .
Ellache fo più qui? risponde: mai
Sostegnotalee ben tantoe ventura
Perdènull'altra: e tu misero il sai.
SonettoCXXXIV (CLXIV)
L'alto mio dal Signor tesoro eletto
De'suoi gemmai più ricchie con più cura
Quellache nè giudicionè misura
Usanel torm'ha toltoond'io l'aspetto.
Che sì mendica e piena di sospetto
Èrimasa quest'alma e 'n così dura
Vitach'assai le fora a gran ventura
Cenerefarsi omai del suo ricetto:
Tal che leggera e di quel nodo sciolta
Potessetanto in su levarsi a volo
Chesi posasse a piè de la sua donna.
O per me chiaroe lietoe dolce solo
Queldìnè può tardars'ella m'ascolta
Chesquarcerà questa povera gonna.
SonettoCXXXV (CLXV)
Quandoforse per dar loco a le stelle
IlSol si partee 'l nostro cielo imbruna
Spargendosidi lorch'ad una ad una
Adiecea cento escon fuor chiare e belle;
I penso e parlo mecoin qual di quelle
Orasplende coleicui par alcuna
Nonfu mai sotto 'l cerchio della Luna;
Benchédi Laura il mondo assai favelle?
In questa piangoe poi ch'al mio riposo
Tornopiù largo fiume gli occhi miei
El'imagine sua l'alma riempie
Trista: la qual mirando fiso in lei
Ledice quelch'io poi ridir non oso:
Onotti amareo Parche ingiuste ed empie!
SonettoCXXXVI (CLXVI)
Tosto che la bell'alba solo e mesto
Titonlasciando a noi conduce il giorno;
Ech'io mi sveglioe rimirando intorno
Nonveggo 'l Solche suol tenermi desto;
Di dolore di panni mi rivesto:
Esospirando il bel dolce soggiorno
Che'l ciel m'ha toltoa lagrimar ritorno:
Laluce ingratae 'l viver m'è molesto.
Talor vengo agl'inchiostrie parte noto
Lemie sventure; ma 'l più celo e serbo
Nelcor: che nullo stile è che le spieghi.
Talor pien d'ira e di speranze voto
Chiamochi del mortal mi scinga e sleghi:
Ogiorni tenebrosio fato acerbo!
SonettoCXXXVII (CLXVII)
S'al vostro amor ben fermo non s'appoggia
Miocorche ad ogni obbietto par che adombre
Pregateleiche ne' begli occhi alloggia
Chedi sì dura vita omai mi sgombre.
Non sempre alto dolorche l'alma ingombre
Scemaper consolarma talor poggia:
Comelumi del ciel per notturne ombre:
Comedi foco in calce esca per pioggia.
Morte m'ha tolto a la mia dolce usanza:
Orho tutt'altro e più me stesso a noia
Anzia disdegnoe sol pianger m'avanza.
COSMOchi visse un tempo in pace e 'n gioia
Poivive in guerra e 'n penee più speranza
Nonha di ritornarqual fu; si moia.
SonettoCXXXVIII (CLXVIII)
Ben devrebbe Madonna a sé chiamarmi
Sunel beato e lieto asilo eterno;
E'n questo pien di noia e pene inferno
Vitamortale omai più non lasciarmi:
Ché non è sotto 'l Sol ben da quetarmi
Sìgli ho tutti col mondo inseme a scherno:
Nèpuò conforto al grave affanno interno
Sendodi fuor chiusa ogni viapassarmi.
Ma s'ella il nodo a l'alma non discioglie
Vedendome di tacito e contento
Voltoa sì triste e lamentose tempre;
E per sé non m'ancidee quinci toglie
Ilduolche del suo ratto sparir sento;
Soranzoi piangoe son per pianger sempre.
SonettoCXXXIX (CLXIX)
Donnache fosti oriental Fenice
Tral'altre donnementre il mondo t'ebbe
Epoi che d'abitar fra noi t'increbbe
Angelsalisti al ciel novo e felice;
L'alta beltà del nostro amor radice
Colsennoond'ei tanto si stese e crebbe
Ventofatal sì tosto non devrebbe
Averdiveltal'un penser mi dice
Per cui d'amaro pianto il cor si bagna;
Mal'altro ad or ad or con tai parole
Provaquetarmi; a che ti struggio cieco?
Non era degno di sì chiaro Sole
Occhiodi mortal vista; or Dio l'ha seco
Dalcui voler uom pio non si scompagna
SonettoCXL. (CLXX)
Dehperché inanzi a me te ne se' gita
Setanto dopo me fra noi venisti?
Odio non me n'andaiquando partisti
Teco?e tempo era ben d'uscir di vita.
Porgimi almen or tu dal cielo aita
Ch'iochiuda questi dì sì neri e tristi
Mostrandomila viaper cui salisti
Alben nato conciglioalma e gradita.
Mentre i duo poli e 'l lucido Orione
Tistai mirandoche tra lor si spazia
Piùgiù quidov'io piangoe me risguarda:
E per Giesùch'al mondo oggi fe' grazia
Dise nascendoa trarmi di pregione
Eguidar costa sunon esser tarda.
SonettoCXLI (CLXXI)
S'Amor m'avesse detto: ohimèda morte
Fienoi begli occhi prima di te spenti;
Avreidi lor con disusati accenti
Rimedettatoe più spesse e più scorte
Per mio sostegno in questa dura sorte
Eperché le ben chiare ed apparenti
Noterendesser le lontane genti
Del'alma lor divina luce accorte:
Ché già sarebbe oltre l'Iberoe 'l Gange
LaTanae 'l Nilo intesae divulgato
Com'iosolfo a quei raggi ed esca fui.
Orpoi ch'altro che pianger non m'è dato
Piangopur sempree son; tanto duol m'ange;
Nèdi me stesso ad uoponè d'altrui.
SonettoCXLII (CLXXII)
Un anno intero s'è girato a punto
Che'l mondo cadde del suo primo onore
Mortaleich'era il fior d'ogni valore
Colfior d'ogni bellezza inseme aggiunto.
Come a sì mesto e lagrimoso punto
Nonti divelli e schiantiafflitto core
Seti rimembrach'a le tredici ore
Delsesto dì d'agosto il Sole è giunto?
In questa uscìo de la sua bella spoglia
Nelmille cinquecento e trentacinque
L'animasaggiaed io cangiando il pelo
Non so però cangiar pensieri e voglia
Ch'omais'affretti l'altra e s'appropinque
Ch'ioparta quincie la rivegga in cielo.
SonettoCXLIII (CLXXIII)
Quella per cui chiaramente alsi ed arsi
Undicied undici annial ciel salita
Hame lasciato in angosciosa vita:
Oguadagni del mondo incerti e scarsi!
Che s'uom sotto le stelle ha da lagnarsi
Disuo gran dannoe di mortal ferita;
Ison coluich'a morte cheggio aita;
Nèfine altronde al mio dolor può darsi.
Ben la scorgo io sin di là su talora
D'amore di pietate accesa il ciglio
Dirmi:tu pur qui sarai meco ancora:
Ond'io mi riconfortoed in quell'ora
Divolger l'alma al ciel prendo consiglio:
Poitorna il pianto tristoche m'accora.
SonettoCXLIV (CLXXIV)
Era Madonna al cerchio di sua vita
Trigesimoed ottavoquando morte
Laspogliò del bel velo eletto in sorte
Avestir alma sì dal ciel gradita.
Perchécrudeli Parcheancora unita
Mentea trar me del mio non foste accorte?
Cosanon hoch'altro che duol m'apporte:
Colsuo piè freddo ogni mia festa è gita.
Qual alga in marche quinci e quindi l'onde
Sospinganvivo; o qual abete in cima
D'altissim'alpeall'austroal borea segno.
Se quei pur vivech'assai lieto in prima
Perdepoi la sua guida e 'l suo sostegno
Esempre chiamae nessun mai risponde.
SonettoCXLV (CLXXV)
Che mi giova mirar donne e donzelle
Eprati e selve e rivie 'l bel governo
Chefa del mondo il buon motore eterno
Marterracieloe vagheo ferme stelle?
Spenta coleich'un sol fu tra le belle
Etra le saggeor è mio nembo interno:
Formed'orror mi sembra quant'io scerno:
Essercieco vorrei per non vedelle.
Ch'i' non so volger gli occhi a parteov'io
Nonscorga lei fra molte mesteo lasso
Chiudermorendo le sue luci sante.
Ond'io viver non curoanzi desio
Digirle dietro con veloce passo:
Edera me'ch'i' le fossi ito avante.
Canzone XXIX (CLXXVI)
Donnade' cui begli occhi alto diletto
Trasseri miei gran tempoe lieto vissi
Mentrea te non dispiacque esser fra noi
Sevediche quant'io parlai nè scrissi
Nonè stato se non doglia e sospetto
Dopoil quinci sparir dei raggi tuoi
Impetradal Signornon più ne' suoi
Laccimi stringa il mondoe possa l'alma
Chedevea gir inanziomai seguirti.
Tugodiassisa tra' beati spirti
Dellatua gran virtutee chiara ed alma
Sentie felice dirti:
Iosenza te rimaso in questo inferno
Sembronave in gran mar senza governo:
Evò là dove il callee 'l piè m'invita
Latua morte piangendoe la mia vita.
Sì come più di me nessuno in terra
Vissede' suoi pensier pago e contento
Tequi tenendo la divina cura;
Cosìcordoglio equale a quelch'io sento
Nonènè credo ch'esser possa: e guerra
Nonfè giamai sì dispietata e dura
Laspadache suoi colpi non misura
Quantoor a meche 'n un sol chiuder d'occhi
Lemie vive speranze ha tutte estinto:
Ond'ioson ben in guisa oppresso e vinto
Chepur che 'l cor di lagrime trabocchi
Mentred'intorno cinto
Saròde la caduca e frale spoglia
Altronon cerco: o quando fia che voglia
Divita il Re celeste e pio levarmi?
Prega'l tuSantae così poi quetarmi.
Avea per sua vaghezza teso Amore
Un'altarete a mezzo del mio corso
D'oroe di perlee di rubin contesta
Cheveduta al più fero e rigid'orso
Umiliavae 'nteneriva il core
Equetava ogni nemboogni tempesta;
Questalieto mi presee poscia in festa
Tennemolt'anni: or l'ha sparsa e disciolta
Perfar me sempre tristoacerba sorte.
Ahiciecasordaavarainvida morte;
Dunquehai di me la parte maggior tolta
El'altra sprezzi? O forte
Tenordi stelleo già mia spemequanto
Megliom'era il morirche 'l viver tanto!
Dehnon mi lasciar qui più lungo spazio;
Ch'ioson di sostenermi stanco e sazio.
Sovra le notti mie fur chiaro lume
Enel dubbio sentier fidata scorta
Ituoi begli occhie le dolci parole.
Orlassoche ti se' oscurata e torta
Tantoda meconvien ch'io mi consume
Senzai soavi accenti e 'l puro Sole:
Nèso cosa mirarche mi console
Ovoce udirche 'l cor dolente appaghi
Nèmica in questo lamentoso albergo
Loqual dì e nottepur di pianto aspergo
Chiedendoche si volga e me rimpiaghi
Mortenè più da tergo
Lascie m'ancida col suo stral secondo;
Poichècol primo ha impoverito il mondo
Toltaneteper cui la nostra etade
Sìricca fu di senno e di beltade.
Avess'io almen penna più fermao stile
Possenteagli altri secoli di mille
Dele tue lode farne passar una;
Chegià di leggiadrissime faville
S'accenderebbeogni anima gentile:
Eio mi dorrei men di mia fortuna
Emen di mortein aspettando alcuna
Vendettacontra lei da le mie rime.
Eper chieder ancorao se 'l mio inchiostro
Mantovae Smirnas'avanzasse al vostro
Tantoche non pur lei la più sublime
Inquesto basso chiostro
Matal là su facesse oprache 'l cielo
Lasforzasse a tornar nel suo bel velo:
Perchénon fosse uom poi così beato
Conch'io cangiassi il mio gioioso stato.
Se tu stessaCanzone
Diquel vedermi lieto mai non credi
Chepiù vo desiando; a pianger riedi
Edìdel pianto molleovunque arrive
Madonnaè mortae quel misero vive.
SONETTO CXLVI. (CLXXVII.)
O Soldi cui questo bel sole è raggio
Solper lo qual visibilmente splendi
Sesovra l'opre tue qua giù ti stendi;
Rilucia meche speme altra non aggio.
Da l'almach'a te fa verace omaggio
Dopotanti e sì gravi suoi dispendi
Sgombral'antiche nebbiee tal la rendi
Chepiù dal mondo non riceva oltraggio.
Omai la scorga il tuo celeste lume:
Ese già mortal fiammae poca l'arse;
All'eternaed immensa or si consume
Tantoche le sue colpe in caldo fiume
Dipianto lavie mondada levarse
Erivolar a te vesta le piume.
SonettoCXLVII (CLXXVIII)
Se già ne l'età mia più verde e calda
Offesite ben mille e mille volte
Ele sue doti l'alma ardita e balda
Date donateha contra te rivolte;
Or che m'ha 'l verno in fredda e bianca falda
Dineve il mento e queste chiome involte
Midonaond'io con piena fede e salda
Padret'onorie le tue voci ascolte.
Non membrar le mie colpee poi ch'addietro
Tornarnon ponno i mal passati tempi
Reggitu del cammin quelche m'avanza:
E sì 'l mio cor del tuo desio riempi
Chequellache 'n te sempre ebbisperanza
Quantunquepeccatornon sia di vetro.
Canzone XXX (CLXXIX)
Signorquella pietàche ti constrinse
Morendofar del nostro fallo ammenda
Dal'ira tua ne copra e ne difenda.
VediPadre cortese
L'altovisco mondan com'è tenace
Ele retiche tese
Neson dall'avversario empio e fallace
Quantohanno intorno a se di quel che piace.
Peròs'avenche spesso uom se ne prenda
Questotalor pietoso a noi ti renda.
Non si negaSignore
Che'l peccar nostro senza fin non sia.
Mase non fosse errore;
Campoda usar la tua pietà natia
Nonavresti: la qual perché non stia
Inoscuroe quanta è fra nois'intenda
Mengrave esser ti deech'altri t'offenda.
TuPadrene mandasti
Inquesto mare tu ne scorgi a porto:
Ese molto ne amasti
Allorche 'l mondo t'ebbe vivo e morto;
Amanea questo tempo: e 'l nostro torto
Latua pietosa man non ne sospenda;
Magrazia sopra noi larga discenda.
Sonetto LXXXV (CXI)
Sento l'odor da lungee 'l fresco e l'ora
Deiverdi campiove colei soggiorna
Checo' begli occhi suoi le selve adorna
Difrondee con le piante l'erba infiora.
Sorgi dall'onde avanti all'usat'ora
Dimaneo Solee ratto a noi ritorna
Ch'iopossa il Solche le mie notti aggiorna
Vederpiù tostoe tu medesmo ancora.
Ché sai tra quanto scaldi e quanto giri
Beltadee leggiadria sì nova e tanta
Perdonimiqualunque altranon miri.
E se qual alma quel bel velo amanta
Ancorsapessie quanto alti desiri;
L'inchineresticome cosa santa.
Canzone XXV (CXII)
Nè le dolci aure estive
Nè'l vago mormorar d'onda marina
Nètra fiorite rive
Donnapassar leggiadra e pellegrina
Furgiammai medicina
Chesanase pensero infernio e grave;
Ch'ionon gli aggiaper nulla
Diquel piacerche dentro mi trastulla
L'animadi cui tene Amor la chiave:
Sìè dolce e oave.
SonettoLXXXVI (CXIII)
Ombrein cui spesso il mio Sol vibra e spiega
Suoiraggie talor parlae talor ride;
Edolcemente me da me divide;
Ei vaghi e lievi spirti prende e lega;
Mentre venir tra voi non mi si niega
NoncuroAmor se m'ardeo se m'ancide:
Che'n queste chiuse valli e sole e fide
Ognimia penae morte ben s impiega.
Sento una voce fuor dei verdi rami
Dirsì leggiadra donnae sì gentile
Essernon puòche non gradisca ed ami.
Onde 'l superno Re devoto umile
Pregonon tosto in ciel la si richiami:
Ch'iofarei ciecoe 'l mondo oscuro e vile.
SonettoLXXXVII (CXIV)
Fiumeonde armato il mio buon vicin bebbe
Quandodel gorgo e de la destra riva
Fugòlo stuol di Spartache veniva
Diquel cercandoche trovar gl'increbbe;
Qual ti fè dono e quant'onor t'accrebbe
Queldìche 'l corso tuo leggiadra e schiva
VinceaMadonnae 'n contro a te saliva
Co'l Solch'a lei mirando invidia n'ebbe:
E d'un oscuro nembo ricoperse
Laricca navicella d'ogn'intorno
Chedi ventosa pioggia la consperse.
Ma poicome temesse infamia e scorno
Dital vendettail ciel turbato aperse
Rendendoa Teti chiaro e puro il giorno.
SonettoLXXXVIII (CXV)
Se voi sapeteche 'l morir ne doglia
Peròche da noi stessi ne diparte
Sapeteond'èchequand'io sto in disparte
DiMadonnami preme ultima doglia.
Ella è l'alma di mech'ogni sua voglia
Nefasiccome donna in serva parte:
Ioche lei seguoin altro non ho parte
Che'n questa gravee fralee nuda spoglia.
E poi che non pote uom senza lo spirto
Tenersiin vitaognor ch'io le son lunge
Mortem'assaleond'i' m'agghiaccio e torpo.
Vero èch'un crin di lei negletto ed irto
Ch'iomirio l'ombra pur del suo bel corpo
Trifonmio caroa me mi ricongiunge.
SonettoLXXXIX (CXVI)
Molzache fa la donna tuache tanto
Tipiacque oltra misura? e fu ben degno
Poiche sì chiaro e sì felice ingegno
Vestedi sì leggiadro e sì bel manto.
Tienti ella per costume in doglia e pianto
Maisempreonde ti sia la vita a sdegno?
Opur talor ti mostra un picciol segno
Chele 'ncresca del tuo languir cotanto?
Che detta il mio Collegail qual n'ha mostro
Colsuo dir grave e pien d'antica usanza
Sìcome a quel d'Arpin si può gir presso?
Che scrivi tudel cui purgato inchiostro
Giàl'uno e l'altro stil molto s'avanza?
Starneghittoso a te non è concesso.
SonettoXC. (CXVII)
Se la più dura querciache l'Alpe aggia
V'avessepartoritae le più infeste
TigriIrcane nodrita; anco devreste
Nonessermi sì fera e sì selvaggia.
Lassoben fu poco avveduta e saggia
L'almache di riposo in sì moleste
Curesi posee le mie vele preste
Giròdal porto a tempestosa piaggia.
Altro da indi in quache pene e guai
Nonfu meco un sol giornoed onta e strazio
Elagrimeche 'l cor profondo invia.
Nè sarà per innanzie se pur fia
Nonfia per tempo: ch'i sonDonnaomai
Divivernon che d'altrostanco e sazio.
SonettoXCI (CXVIII)
Per far tosto di me polvere ed ombra
Nonv'hann'uopo erbeDonnain Ponto colte:
Tenetepur le luci in se raccolte
Mostrandovid'amor e pietà sgombra.
L'almacui grave duol dì e notte ingombra
Nonpar omaiche più conforto ascolte
Misera:e le speranze vane e stolte
Delcor già stanco in aspettando sgombra.
Breve spazioche dure il vostro orgoglio
Avràfin la mia vita: e non men pento:
Nonviver priache sempre languir voglio.
Morteche tronca lungo aspro tormento
Èriposoe chiunque a suo cordoglio
Sitoglie per morirmoia contento.
SonettoXCII (CXIX)
Sì levemente in ramo alpino fronda
Nonè mossa dal ventoo spica molle
Incolto e verde poggioo nebbia in colle
Ovaga nel ciel nubee nel mar onda;
Come sotto bel velo e treccia bionda
Inpicciol tempo un cor si dona e tolle;
Edisvorrà quel che più ch'altro volle:
Edi speranze e di sospetti abonda.
Gelasudachier pacee move guerra:
NostrapenaSignorche noi legasti
Acosì grave e duro giogo in terra.
Se non che sofferenza ne donasti:
Conla qual chi le porte al dolor serra
Purvivee par che prova altra non basti.
SonettoXCIII (CXX)
Tanto è ch'assenzo e fele e rodo e suggo
Ch'omaidi lor mi pasco e mi nodrisco
Eson sì avezzo al focoond'io mi struggo
Chevolontariamente ardo e languisco.
E se del carcer tuo pur talor fuggo
Perfuggir da la mortee tanto ardisco
Tostone piango ed a pregion rifuggo
Amorpiù durain pena del mio risco.
E fo come augellinche si fatica
Peruscir della reteov'egli è colto;
Maquanto più si scuotee più s'intrica.
Tal fu mia stella il dìche nel bel volto
Miraiprimier dell'aspra mia nemica
Ch'ame tutt'altroe più me stesso ha tolto.
Canzone XXVI (CXXI)
Poscia che 'l mio destin fallace ed empio
Neidolci lumi dell'altrui pietade
Lemie speranze acerbamente ha spento;
Dipena in penae d'uno in altro scempio
Menandoi giornie per aspre contrade
Mortechiamando a passo infermo e lento
Nebbiae polvere al vento
Sonfattoe sotto 'l Sol falda di neve;
Ch'unvolto segue l'almaov'ella il fugge;
Eun penser la strugge
Cocentesìch'ogni altro danno è leve:
Egli occhiche già fur di mirar vaghi
Piangonoe questo sol par che gli appaghi.
Or che mia stella più non m'assicura
Scorgole membra via di passo in passo
Percammin duro e 'n penser tristo e rio:
Ch'iodico pien d'error e di paura
Ovene vodolente? e che pur lasso?
Chimi t'invidiao mio sommo desio?.
Cosìdicendo un rio
Versodal cor di dolorosa pioggia
Chepuò far lacrimar le petre istesse;
Eperché sian più spesse
L'angosciemiecon disusata foggia
U'che 'l piè movou' che la vista giro
Altroche la mia donna unqua non miro.
Co 'l piè pur mecoe co 'l cor con altrui
Vocamminandoe dell'eterna riva
Bagnandofor per gli occhi ogni sentero
Alorch'i penso: ohimèche sonche fui?
Delmio caro tesoro or chi mi priva;
Escorge in parteonde tornar non spero?
Dehperché qui non pero
Primach'io ne divenga più mendico?
Dehchi sì tosto di piacer mi spoglia
Pervestirmi di doglia
Eternamente?ahi mondoahi mio nemico
Destina che mi traiperché non sia
Vitadura mortalquanto la mia?
Ove men porta il calle o 'l piede errante
Cercosbramar piangendoanzi ch'io moia
Leluciche desio d'altro non hanno:
Egridoo disaventuroso amante
Orse' tu al fin della tua breve gioia
Enel principio del tuo lungo affanno.
Egli occhiche mi stanno
Comedue stelle fissi in mezzo a l'alma;
E'l visoche pur dianzi era 'l mio Sole;
Egli atti e le parole
Chemi sgombrâr del petto ogni altra salma;
Fandi pensieri al cor sì dura schiera
Chemeraviglia è bencom'io non pera.
Non pero giàma non rimango vivo;
Anzipur vivo al dannoalla speranza
Viapiù che morto d'ogni mia mercede.
Mortoal dilettoa le mie pene vivo;
Emanco del gioirnel duol s'avanza
Locorch'ognor più largo a pianger riede:
Epensa e ode e vede
Purleiche l'arse già sì dolcemente
Eor in tanto amaro lo distilla:
Nésol d'una favilla
Scema'l gran foco de l'accesa mente:
Eme fa gir gridando: o destin forte
Comem'hai tu ben posto in dura sorte!
Canzonomai lo tronco ne ven meno
Manon la doglia che mi strugge e sforza;
Ond'ione vergherò quest'altra scorza.
Canzone XXVII (CXXII)
Lassoch'i fuggo e per fuggir non scampo
Nè'n parte levo la mia stanca vita
Delgiogoche la preme ovunque i vada:
Ela memoriadi ch'io tutto avvampo
Araddoppiar i miei dolor m'invita
Etestimon lasciarne ogni contrada.
Amorse ciò t'aggrada
Almenfa con Madonnach'ella il senta:
Elà ne porta queste voci estreme
Dovel'alta mia speme
Fuviva un tempoed or caduta e spenta
Tantofa questo esilio acerbo e grave
Quantolo stato fu dolce e soave.
S'in alpe odo passar l'aura fra 'l verde
Sospiroe piangoe per pietà le cheggio
Chefaccia fede al ciel del mio dolore.
Sefonte in valleo rio per cammin verde
Sentocadercon gli occhi miei vaneggio
Afarne un del mio pianto via maggiore.
S'iomiro in fronda o 'n fiore
Veggiounche dice: o tristo peregrino
Lotuo viver fiorito è secco e morto.
Epur nel pensier porto
Leiche mi diè lo mio acerbo destino:
Maquanto più pensando io ne vo seco
Tantopiù tormentando Amor ven meco.
Ove raggio di Sol l'erba non tocchi
Spessom'assidoe più mi sono amici
D'ombrosaselva i più riposti orrori:
Ch'iofermo 'l penser vago in que' begli occhi
Chesolean far miei dì lieti e felici
Orgli empion di miserie e di dolori:
Eperché più m'accori
L'ingordoerrora dir de' miei martiri
Vengolorcom'io gli ho di giorno in giorno.
Poiquando a me ritorno
Trovomisì lontan da' miei desiri
Ch'iorestoahi lassoquasi ombra sott'ombra;
Disì vera pietate Amor m'ingombra.
Qualor due fiere in solitaria piaggia
Girsenpascendo simplicette e snelle
Perl'erba verde scorgo di lontano;
Piangendoa lor comincio: o lieta e saggia
Vitad'amantia voi nemiche stelle
Nonfan vostro sperar fallace e vano:
Unboscoun monteun piano
Unpiacerun desio sempre vi tene.
Ioda la donna mia quanto son lunge?
Dehse pietà vi punge
Dateudienzia inseme a le mie pene.
E'n tanto mi riscuoto e veggio espresso
Cheper cercar altrui perdo me stesso.
D'erma rivera i più deserti lidi
M'insegnaAmorlo mio avversario antico:
Chepiù s'allegradov'io più mi doglio.
Ivi'l cor pregno in dolorosi stridi
Sfogocon l'ondeed or d'un ombilico
Edell'arena li fo penna e foglio.
Indiper più cordoglio
Tornoal bel visocome pesce ad esca:
Econ la mente in esso rimirando
Temendoe desiando
Pregosovente che di me gl'incresca.
Poimi risentoe dico: O penser casso
Dov'èMadonna? e 'n questa piango e passo.
Canzontu viverai con questo faggio
Appressoall'altrae rimarrai con lei:
Emeco ne verranno i dolor miei.
SonettoXCIV (CXXIII)
La nostra e di Giesù nemica gente
Ch'orlietacome fosse un picciol varco
L'Istropassandoin parte ha l'odio scarco
Sovraqueiche la fer già sì dolente;
Di cui trema il Tedescoe 'n van si pente
Ch'alferro corse pigroa l'oro parco;
Evede incontro a sé riteso l'arco
C'haRodo e l'Ungheria piagate e spente;
Tuche ne sembri Dioraffrena e doma
L'empiofuror con la tua santa spada
Sgombrando'l mondo di sì grave oltraggio
E noi di temache non pera e cada
Sopraqueste LamagnaItaliae Roma:
Edirenti Clemente e forte e saggio.
SonettoXCV (CXXIV)
Da torvi agli occhi miei s'a voi diede ale
Fortunariacui del mio bene increbbe;
Dilevarmi al penser forza non ebbe
Ch'ècon voi sempreal volar vostro equale.
Questi vi miraquanto sete e quale:
Ese 'l poteste udirvi conterebbe
Dimedegli altri vostri: e ne devrebbe
Valerse vero amor suo pregio vale.
Che poi che Pisa n'ha disciolti e privi
Divostra compagniasem fatti quasi
Selvesenz'ombrao senza corso rivi.
Pochi degli onor tuoi ti son rimasi
Padovamia: che i più son translati ivi
Colbuon Ridolfo nostroonde fiorivi.
SonettoXCVI (CXXV)
Pon Febo mano a la tua nobil arte
Aisughiall'erbe: e quel dolce soggiorno
De'miei pensiercui piove entro e d'intorno
Quantabeltà fra mille il ciel comparte
Ch'or langue e va mancando a parte a parte
Risanae serba: a te fia grave scorno
Secosì cara donna anz'il suo giorno
Dalmondoch'ella onorasi diparte.
Torna co 'l chiaro sguardoch'è 'l mio Sole
Laguanciache l'affanno ha scolorita
Afar serenqual priadelle vostre ugge.
E sì darai tu scampo alla mia vita
Chesi consuma in leinè meco vvle
Solun dì sovrastars'ella sen fugge.
SonettoXCVII (CXXVI)
Tenace e saldoe non parche m'aggrave
è'l nodoonde mi strinse a voi la Parca
Chefila il viver nostro; e ben è parca
Tuttolo stame far chiaro e soave.
Che qual avinta dietro a ricca nave
Solcatalor la sua picciola barca
L'Egeoturbatoe di par seco il varca
Eprocella sostien noiosa e grave;
Tal io; mentre fra via l'onde avvolgendo
Vipercosse repente aspra tempesta
Passaiquel mar con travagliato legno;
Ma poi fortuna più non v'è molesta
Corrosedato voi lieta seguendo
Fatalee prezioso mio ritegno.
SonettoXCVIII (CXXVII)
Mentre navie cavallie schiere armate
Che'l ministro di Dio sì giustamente
Movea ripor la misera e dolente
Italiae la sua Roma in libertate
Son cura de la vostra alta pietate
IovoSignorpensando assai sovente
Coseond'io queti un desiderio ardente
Difarmi conto a più d'un'altra etate.
Dal vulgo intanto m'allontanoe celo
Làdov'io leggo e scrivoe 'n bel soggiorno
Partendol'ore fo picciol guadagno.
Peso grave non ho dentro o d'intorno:
Cercopiacer a Luiche regge il cielo:
Diduo mi lodoe di nessun mi lagno.
SonettoXCIX (CXXVIII)
ArsiBernardoin foco chiaro e lento
Molt'anniassai felice: e se 'l turbato
Regnod'Amor non ha felice stato
Tennimialmen di lui pago e contento.
Poi per dar le mie vele a miglior vento
Quandolume del ciel mi s'è mostrato
Scintomidel bel viso in sen portato
Sparsico 'l piè la fiammae non men pento.
Ma l'imamgine sua dolente e schiva
M'èsempre innanzie preme il cor sì forte
Ch'ioson di Lete omai presso a la riva.
S'io 'l varcherò; farai tuche si scriva
Sovra'l mio sassocom'io venni a morte
Togliendomiad Amormentr'io fuggiva.
SonettoC (CXXIX)
Se delle mie ricchezze care e tante
Esì guardateond'io buon tempo vissi
Dimia sorte contentoe meco dissi:
-Nessun vive di me più lieto amante;
Io stesso mi disarmo: e queste piante
Avezzea gir per làdov'io scoprissi
Quegliocchi vaghie l'armonia sentissi
Delleparole sì soavi e sante
Lungi da lei di mio voler sen vanno
Lassochi mi daràBernardoaita?
Ochi m'acqueteràquand'io m'affanno?
Morrommi; e tu diraimia fine udita:
Questiper non veder il suo gran danno
Lasciatala sua donnauscìo di vita.
SonettoCI (CXXX)
Signorche parti e tempri gli elementi
E'l Sole e l'altre stelle e 'l mondo reggi
Edor col freno tuo santo correggi
Illungo error de le mie voglie ardenti;
Non lasciar la mia guardiae non s'allenti
Latua pietà; perch'io tolto alle leggi
M'abbiad'Amore disturbato i seggi
Inch'ei di me regnavaalti e lucenti.
Chécome audace lupo suol degli agni
Strettinel chiuso lorcosì costui
Ritentafar di me l'usata preda.
Acciò pur dunque in danno i miei guadagni
Nontornie 'l lume tuo spegner si creda;
Confermo piè dipartirmi da lui.
SonettoCII (CXXXI)
Che gioverà da l'alma avere scosso
Contanta pena il giogoche la presse
Lungastagions'Amor con quelle stesse
Funiil rilegaed io fuggir non posso?
Meglio era che lo straleonde percosso
Fuida' begli occhiancor morto m'avesse:
Chefosse il braccio tuoch'allor mi resse
Damesuperno Padreunqua rimosso.
Ma poi ch'errante e cieco mi guidasti
Tusentiero e Tu luce; ora ti degna
Volerche ciò far vano altri non basti:
E lei sì del tuo foco incendi e segna
Chepoggiando in desir leggiadri e casti
Rivolia tequando 'l suo dì ne vegna.
SonettoCIII (CXXXII)
Signorche per giovar sei Giove detto
Esempre offeso giammai non offendi
Daquel folle tiranno or mi difendi
Delqual fui cotant'anni sì suggetto.
Se per donarmi a te chiaro disdetto
Hofatto a luisovra 'l mio scampo intendi:
Eperché 'l fallo mio tutto s'ammendi
Co'l tuo favor tranquilla il mio sospetto.
Di riaprirsi Amor questo rinchiuso
Fiancoe raccender la sua fiamma spenta
Cerca:tu dammiond'ei resti deluso.
Ché l'ardir suo conosco e l'antico uso:
Eso come scacciato al cor s'avventa:
Edentro v'èquando ne pare escluso.
SonettoCIV (CXXXIII)
Uscito fuor de la prigion trilustre
Edeposto de l'alma il grave incarco
Salirgià mi pareaspedito e scarco
Perla strada d'onor montana illustre:
Quand'ecco Amorch'al suo calle palustre
Mirichiamae lusingae mostra il varco
Nèdi pregarnè di turbar è parco
Perrimenarmi alle lasciate lustre.
Ond'ioPadre celestea te mi volgo:
Tul'alta via m'apristie tu la sgombra
Dele costui contra 'l mio gir insidie.
Mentre da questa carne non mi sciolgo
Scacciada me sì col tuo Sole ogni ombra
Che'l bel preso cammin nulla m'invidie.
SonettoCV (CXXXIV)
Signor del ciels'alcun prego ti move
Volgia me gli occhiquesto soloe poi
S'ioil vaglioper pietà coi raggi tuoi
Porgisoccorso a l'alma e forze nove:
Tal ch'Amor questa volta indarno prove
Tornarmiai già disciolti lacci suoi:
Iochiamo tech'assecurar mi puoi:
Soloin te speme aver posta mi giove.
Gran tempo fui sott'esso preso e morto:
Orpocoo molto a te libero viva
Etu mi guida al fin tardio per tempo.
Se m'ha falso piacer in mare scorto
Verodi ciò dolor mi fermi a riva:
Nonè da vaneggiar omai più tempo.
SonettoCVI (CXXXV)
O pria sì cara al ciel del mondo parte
Chel'acqua cignee 'l sasso orrido serra:
Olieta sovra ogni altrae dolce terra
Che'l superbo Appennin segna e diparte;
Che giova omaise 'l buon popol di Marte
Tilasciò del mar donnae de la terra?
Legenti a te già serve or ti fan guerra
Epongon man ne le tue trecce sparte.
Lassonè manca de' tuoi figli ancora
Chile più strane a te chiamando inseme
Laspada sua nel tuo bel corpo adopre.
Or son queste simili all'antiche opre?
Opur così pietatee Dio s'onora?
Ahisecol duroahi tralignato seme!
SonettoCVII (CXXXVI)
Trifonche 'n vece di ministri e servi
Diloggie e marmie d'oro intesto e d'ostro
Amateintorno elci frondosee chiostro
Dilieti collierbe e ruscei vedervi
Ben deve il mondo in riverenza avervi
Mirandoal puro e franco animo vostro
Contentopur di quelche solo il nostro
Semplicestato e natural conservi.
O almain cui riluce il casto e saggio
Secoloquando Giove ancor non s'era
Contaminatodel paterno oltraggio;
Scendesti a far qua giù matino e sera:
Perchénon sia tra noi spento ogni raggio
Dibel costumee cortesia non pera.
SonettoCVIII (CXXXVII)
Quel dolce suonper cui chiaro s'intende
Quantoraggio del ciel in voi riluce
Nellaccioin ch'io già fuimi riconduce
Dopotant'annie preso a voi mi rende.
Sento la bella manche 'l nodo prende
Estrigne sìche 'l fin de la mia luce
Mis'avvicina: e chi di fuor traluce
Nèrifugge da leinè si difende:
Ch'ogni pena per voi gli sembra gioco
E'l morir vita: ond'io ringrazio Amore
Chem'ebbe poco men fin dalle fasce
E 'l vostro ingegnoa cui lodar son roco
El'antico desioche nel mio core
Qualfior di primaveraapre e rinasce.
SonettoCIX (CXXXVIII)
Così mi renda il cor pago e contento
Diquel desioch'in lui più caldo porto
Ecolmi voi di speme e di conforto
Locielquetando il vostro alto lamento:
Com'io poco m'apprezzoe talor pento
Dele fatiche mieche 'l dolce e scorto
Vostrostil tanto onorae sommi accorto
Ch'Amorin voi dritto giudicio ha spento.
Ben son degni d'onor gl'inchiostri tutti
Ondescrivetee per le genti nostre
Neva 'l grido maggiorche suon di squille.
Però s'avven che 'n voi percota e giostre
L'empiafortuna; i sospir vostri e i lutti
Sìraro don di Clio scemi e tranquille.
SonettoCX (CXXXIX)
Cingi le costei tempie dell'amato
Date già in volto umano arboscelpoi
Ch'ellasorvola i più leggiadri tuoi
Poeticol suo verso alto e purgato:
E se 'n donna valorbel petto armato
D'onestàreal sangue onorar vuoi;
Onoraleicui parFebonon puoi
Vederqua giùtanto dal ciel l'è dato.
Felice luich'è sol conforme obietto
All'ampiostilee dal beato regno
VedeAmor santo quanto pote e vale;
E lei ben natache sì chiaro segno
Stampadel marital suo casto affetto
Econ gran passi a vera gloria sale.
SonettoCXI (CXL.)
Alta Colonnae ferma alle tempeste
Delciel turbatoa cui chiaro onor fanno
Leggiadremembra avvolte in nero panno
Epensier santie ragionar celeste
E rime sì soavie sì conteste
Ch'all'etàdopo noi solinghe andranno
Escherniransi del millesim'anno
Giàdolci e lieteora pietose e meste:
Quanti vi dier le stelle doni a prova
Forseestimar si puòma lingua o stile
Nelgran pelago lor guado non trova.
Solo a sprezzar la vitaalma gentile
Desiodi luiche sparvenon vi muova:
Nèvi sia lo star nosco ingrato e vile.
SonettoCXII (CXLI)
Caro e sovran de l'età nostra onore
Donnad'ogni virtute intero esempio
Nelcui bel pettocome in sacro tempio
Ardela fiamma del pudico amore;
Se 'n ragionar del vostro alto valore
Scemoi suoi pregie 'l dever mio non empio;
Scusimiquelch'in lui scorgo e contempio
Novitatee miracol via maggiore
Che da spiegar lo stile in versi o 'n rime;
Senon quel uncol quale al Signor vostro
Spentotessete eterne lode e prime.
Rara pietàcon carte e con inchiostro
Sepolcrofarche 'l tempo mai non lime
Lasua Fedele al grande Avalo nostro.
SonettoCXIII (CXLII)
Carlodunque venite a le mie rime
Vagodi celebrar la donna vostra
Ch'almondo cieco quasi un Sol si mostra
Dibeltàdi valor chiaro e sublime?
E non le vostre prose elette e prime
Comegemma s'indorao seta inostra
Distendetea fregiarla: onde la nostra
Eciascun'altra età più l'ami e stime?
A tal opra in disparte ora son volto
Cheper condurla più spedito a riva
Ognialtro a me lavoro ho di man tolto.
Voicui non arde il cor fiamma più viva
Devetediromai di sì bel volto
D'almasì saggiaè ben ragionch'io scriva.
SonettoCXIV (CXLIII)
Girolamose 'l vostro alto Quirino
CuiRoma spense i chiari e santi giorni
Cercatepareggiarsì che ne torni
Mengrave quel protervo aspro destino;
Perché la nobil turbaonde vicino
Misetea gradir voi lenta soggiorni
Nèv'apra a i desiati seggi adorni
Allecivili palme anco il cammino
Non sospirate: il meritar gli onori
èvera gloriache non pate oltraggio:
Glialtri son falsi e torbidi splendori
Del men buon più soventee del men saggio
Chesembran quasi al vento aperti fiori
Ofresca neve d'un bel Sole al raggio.
SonettoCXV (CXLIV)
Se col liquor che versanon pur stilla
Sìlargo ingegnospegner non potete
Lanova dogliaonde pietoso ardete
Perchév'infiammi usata empia favilla;
Sperate nel Signorche può tranquilla
Fard'ogni alma turbata: indi chiedete;
Tostoaverràche lieto renderete
Graziecampato di Cariddi e Scilla.
Tacquimi già molt'anni; e diedi al tempio
Lamal cerata mia stridevol canna
Evolsi a l'oprache lodateil core.
Così fanche 'l desir vostro non empio
Obliode l'artee queiche più m'affanna
Ch'adorneluidel mio bel nido Amore.
SonettoCXVI (CXLV)
Varchile vostre pure cartee belle
Chevergate talor per onorarmi
Piùche metalli di Mironee marmi
DiFidia mi son caree stil d'Apelle.
Ché se già non potranno e queste e quelle
Mieprosecura di molt'annio carmi
Neltempoche verràlontano farmi
Eternafama spero aver con elle.
Ma dove drizzan ora i caldi rai
Dell'ardentedottrinae studio loro
Iduo migliorVittorio e Ruscellai?
Questie 'l vostro Ugolincui debbo assai
Misalutate: o fortunato coro
Fiorenzae tuche nel bel cerchio l'hai.
SonettoCXVII (CXLVI)
Donnacui nulla è par bella nè saggia
Nèsaràcredoe non fu certo avante;
Degnach'ogni alto stil vi lodi e cante
E'l mondo tutto in reverenzia v'aggia;
Voi per questa vital fallace piaggia
Peregrinandoa passo non errante
Coidolci lumi e con le voci sante
Fategentil d'ogni anima selvaggia.
Grazie del cielvia più ch'altri non crede
Pioverin terrascopre chi vi mira
Eferma al suon de le parole il piede.
Tra quanto il Sol riscalda e quanto gira
Miracolomaggior non s'ode e vede:
Ofortunato chi per voi sospira!
SonettoCXVIII (CXLVII)
Se stata foste voi nel colle Ideo
Trale Diveche Pari a mirar ebbe
Veneregita lieta non sarebbe
Delpregioper cui Troia arse e cadeo.
E se 'l mondo v'avea con queiche feo
L'opraleggiadraond'Arno e Sorga crebbe
Etegli a voi lo stil girato avrebbe
Ch'eternavita dar altrui poteo.
Or sete giunta tardo alle mie rime
Poveravena e suono umilea lato
Beltàsì riccae 'ngegno sì sublime.
Tacer devrei: ma chi nel manco lato
Mistala man sì dolce al core imprime
Cheper membrar del vostro obblio 'l mio stato.
SonettoCXIX (CXLVIII)
Sì divina beltà Madonna onora
Ch'avanzaogni ventura il veder lei:
Benè tre volte fortunatoe sei
Cuiquel Sol vivo abbaglia e discolora.
E s'io potessi in lui mirarqual ora
Dirivederlo braman gli occhi miei
Perpoco solnon pur quant'io vorrei
Questamia vita a pien beata fora.
Ché da ciascun suo raggio in un momento
Sìpura gioia per le luci passa
Nelcor profondoe con sì dolce affetto
Ch'a parole contarsi altrui non lassa:
Nèposso anco ben dirquanto diletto
Solin pensar de la mia donna sento.
SonettoCXX (CXLIX)
Se mai ti piacqueApollonon indegno
Deltuo divin soccorso in tempo farmi;
Dettaora sì felici e lieti carmi
Sìdolci rime a questo stanco ingegno;
Che 'n ragionar del caro almo sostegno
Dellafral vita mia possa quetarmi:
Lecui lodee scemar del vero parmi
Foranal Mantovan troppo alto segno:
La donnache qual sia tra saggia e bella
Maggiornon può ben dirsie sola agguaglia
Quantifur del ciel doni unqua fra noi:
Ch'io tanto onorar bramo; e se forse ella
Nonave onde gradirmi; almen mi vaglia
Ch'iovivo pur del Sol degli occhi suoi.
SonettoCXXI (CL.)
Se in meQuirinada lodar in carte
Vostrovalor e vostra alma bellezza
Fosserpari al desio l'ingegno e l'arte;
Sormontereiqual più nel dir s'apprezza:
E Smirnae Tebee i duoch'ebber vaghezza
Dicantar Mecenateminor parte
Avriandel grido: e fora in quella altezza
Lostil mioch'è in voi l'una e l'altra parte.
Nè sì viva riluce all'età nostra
LaGalla espressa dal suo nobil Tosco
Talche sen duol Lucrezia e l'altre prime;
Che non più chiara assaiper entro 'l fosco
Dela futura etàcon le mie rime
Gissela vera e dolce immagin vostra.
SonettoCXXII (CLI)
Quellache co' begli occhi parche 'nvoglie
Amordi vili affettie penser casso
Efa me spesso quasi freddo sasso
Mentrelo spirto in care voci scioglie;
Del cui ciglio in governo le mie voglie
Aduna ad unae la mia vita lasso
Lavia di gir al ciel con fermo passo
M'insegnae 'n tutto al vulgo mi ritoglie.
Legga le dotte ed onorate carte
Chiciò brama: e per farsi al poggiar ale
Conlungo studio apprenda ogni bell'arte.
Ch'io spero alzarmiove uom per se non sale
Scortodai dolci amati lumie parte
Dalsuono a l'armonie celesti equale.
SonettoCXXIII (CLII)
Giovioche i tempi e l'opre raccogliete
Delfaticoso e duro secol nostro
Incosì puro e sì lodato inchiostro
Chechiaro eternamente viverete;
Perché lo stile omai non rivolgete
Aquestanovo in terrae dolce mostro
Donnagentilche non di perle e d'ostro
Masol d'onor e di virtute ha sete?
Questa risplenderàcome bel Sole
Fragli altri lumi de le vostre carte
Ele rendrà via più gradite e sole.
Quest'una ha insemequanto a parte a parte
Dara mille ben nate a pena suole
Dibeltàdi valornatura ed arte.
SonettoCXXIV (CLIII)
Signorpoi che fortuna in adorarvi
Quant'ellapossachiaramente ha mostro
Vogliateal poggio del valor col vostro
Giovenettopensero e studio alzarvi.
Ratto ogni linguase ciò fialodarvi
Udretee sacreravvi il secol nostro
Tutto'l suo puro e non caduco inchiostro
Peronorato e sempiterno farvi.
Ambe le chiavi del celeste regno
Volgel'avolo vostroe Roma affrena
Conla sua gran virtùche ne 'l fè degno.
La vita più gradita e più serena
Nedà virtutecaro del ciel pegno:
Divile e di turbato ogni altra è piena.
SonettoCXXV (CLIV)
Se qual è dentro in mechi lodar brama
Signormio caroil vostro alto valore
Talpotesse mostrarsi a voi di fore
Quandoa rime dettarvi Amore il chiama
Ovunque vero pregio e virtù s'ama
S'inchinerebbeil mondo a farvi onore
Securodall'oblio delle tarde ore
Seposson dar gl'inchiostri eterna fama.
Nè men di quelche santamente adopra
Ilmaggior padre vostroandrei cantando;
Mapoi mi nega il ciel sì leggiadra opra.
S'appagherà tacendo ed adorando
Miocorinfin che terra il suo vel copra:
Nonpoca parte uom di se dona amando.
SonettoCXXVI (CLV)
Casain cui le virtuti han chiaro albergo
Epura fede e vera cortesia
Elo stilche d'Arpin sì dolce uscia
Risorgee i dopo sorti lascia a tergo;
S'io movo per lodarvie carte vergo
Presontuosoil mio penser non sia:
Chémentre e' viene a voi per tanta via
Nelvostro gran valor m'affino e tergo.
E forse ancora un amoroso ingegno
Ciòleggendodirà: più felici alme
Diqueste il tempo lor certo non ebbe.
Due Città senza parie belle ed alme
Ledier al mondoe Roma tenne e crebbe:
Qualpuò coppia sperar destin più degno?
RIME DI M. PIETRO BEMBO
DA LUI MEDESIMO RIFIUTATE
Ma poste poi fra l'altre sue per soddisfazione de'nobili ingegni
Capitolo I
Io stava in guisa d'uomche pensa e pave
Campatoda la mortee sente orrore
Delmal passatoe pargli ancor ir grave;
E per memoria de l'antico ardore
Acui sovente e volentier m'involo
D'unfreddo smalto m'avea cinto il core.
Quando io fui sopraggiunto inerme e solo
Damolte belle vaghe donne armate
Chemovean contra me tutto lor stuolo.
Le prime eran bellezza ed onestate
Possentiimperatricie con lor gìa
Virtùcanutae giovenile etate.
E dopo questa gran torma venia
D'altreelette gentilch'avean per scorta
Altointellettoe somma cortesia.
Come non soma quella gente accorta
Conforte nodo già m'avea legato
Ch'eradi speme con piacer attorta.
Mentr'io pensava al mio novello stato
Riserdi tanto inver la lor Reina;
India leicosi presofui donato:
E sentì dir: a questa ora t'inchina;
Ecaro esser ti puote; a questa Donna
Il ciel per tua ventura ti destina.
Aquesta di valor ferma colonna
S'appoggeràlo tuo stanco pensero;
Per questa cangierai costumi e gonna.
Piùti vo' dire ancorae siati vero
Quandoche siae tosto potrai dire;
Ma tu n'andresti forse tropp'altero.
Unbeneun maleuna spemeun desire
Sìfarà d'ambo voi; nè tempoo loco
Potrà da l'un giammai l'altro partire.
Piùsoavetranquilloe dolce foco
Induo cor giovenil non arse ancora;
E quel ch'io parloa quel ch'io sentoè poco.
Diquanto ti son stati infin ad ora
Chesai ch'è moltoAmor e 'l ciel avversi
Di tanto t'è secondae più quest'ora.
Ituoi sospir di lagrime conspersi
Rivolgeraiver questa alto cantando
Inmille prose vago e 'n mille versi.
E benché ella sia talch'assai poggiando
Silevi per se stessa oltra ogni segno
Purnon le spiaceràche cerchi amando
Lasciar del suo bel nome eterno pegno.
Capitolo II
Fiumeche del mio pianto abbondi e cresci
Econ le tue gelate e lucide onde
Lemie sì calde e sì torbide mesci;
Pinich'avete a le soavi sponde
Sìcome io d'altri a mefatto corona
Dele vostre alte e sempre verdi fronde;
Valleove 'l ciel de' miei sospir risuona;
Ov'ogniaugelloov'ogni fera omai
Esterpo e sasso del mio mal ragiona;
Aurach'ad or ad or furando vai
Al'erbe 'l frescoai fior soavi odori
Ame concenti ed angosciosi lai;
E voiche forse a più felici amori
Sareteancora albergoo verde riva
Foltoseggioombre fideamici orrori;
Quando saranno i miei pensieri a riva?
Quandoavrò queto e riposato il core?
Quandofia maiche senza pena io viva?
Vaghi pastorch'al mio novo colore
Millefiato già fermaste il piede
Consegno di pietade e di dolore
Vedete bened altri anco se 'l vede
Quantoè mia sorte dispietata e dura:
Questom'avanza di cotanta fede.
Ahi crudo Amor e mia fera ventura
Perchédate ad un cor ogni tormento?
Avoi che ven dalla mia vita oscura?
Da poi ch'io nacquie foss'io in quel dì spento
Nonebbi un giorno lietoe la mia nave
Semprefu spinta da contrario vento.
Or ch'io sperava un fin dolce e soave
Ditante guerree di si lungo affanno
Viapiù mi trovo in stato acerbo e grave.
Ma così vada; e poi che del mio danno
Oquanto avvien di quelche non si spera
Madonnail mondoil ciel lor prò si fanno
Per me non mostri un fior la primavera
Nè'l Sol un raggioe sia pallido verno
Quantunqueio miroe notte orrenda e nera
E 'l mio malse non èdiventi eterno.
Capitolo III
Dolce maldolce guerrae dolce inganno
Dolcerete d'Amor e dolce offesa
Dolcelanguire pien di dolce affanno.
Dolce vendetta in dolce foco accesa
Didolce onorche par giammai non ave
Principiodella mia sì dolce impresa.
Dolci segnich'io seguoe dolce nave
Cheporti la mia speme a dolce lido
Perl'onda del penser dolce e soave.
Dolce infido sostegnoe cader fido:
Dolcelungo dubbiare saper corto:
Dolcechiaro silenzioe roco grido.
Dolce bramar giustiziae chieder torto:
Dolceandar procacciando i danni suoi:
Dolcedel suo dolor farsi conforto.
E dolce stralche 'l cor d'ambeduo noi
Ferendointrasti làdove altro mai
Nonpassò prima e non passerà poi.
Dolce del proprio ben sempre trar guai
Egir poi del suo mal alto cantando:
Dolciiredolci piantie dolci lai.
Dolce tacendoamandoe desiando
Romperun sassoe raccender un gelo
Pregandosospirandoo lagrimando.
Dolce dinanzi agli occhi ordirsi un velo
Chenon lasci vederperché si miri
Frondain selvaacqua in maro stella in cielo.
Dolce portar in fronte i suoi desiri
Edentro aver il focoe d'ogn'intorno
Mandarda lunge 'l suon de' suoi martiri.
Dolce via più temer di giorno in giorno
Edardir menoe sol d'una figura
Al'alma specchio far la notte e 'l giorno.
Dolce aver più d'altrui che di sé cura
Egovernar due voglie con un freno
E'n comune recar ogni ventura.
Dolce non esser mai beato a pieno
Nèdel tutto infelicee dolce spesso
Sentirsiinnanzi tempo venir meno:
E per cercar altrui perder se stesso.
SonettoI (IV)
Amorche vedi i più chiusi pensieri
Edodi quelch'ad ogn'altro si tace
Quandofiache pietà m'impetri pace
Contanti al danno mio pronti guerrieri?
Lassoche non so più quelch'io ne speri:
Chequanto meno alla mia Donna piace
Ilmio languirtu più tanto fallace
Armiver me folti nemici e feri.
Ma s'ella m'assecurae tu spaventi
Lentandoorgoglioe rinforzando inganno
Nonavran più fine i miei tormenti.
O dubbiosa mercedeo certo affanno!
Ofosser già questi due lumi spenti
Poich'altro maiche lacrimar non fanno.
SonettoII (V)
Ben è quel caldo voler voich'io prenda
PIETROa lodar la donna vostraindarno
Qualfora a dirche 'l Taroil Sileo l'Arno
Piùricco l'Oceano e maggior renda.
E poi convenqual io mi siach'intenda
Adaltra curae 'n ciò mi stempro e scarno;
Nèquanto posso il vivo esempio incarno
Chenon adombran treccieo copre benda.
Chi vede il bel lavoro ultimo vostro
Altolevandiràle costui rime
Lasua SIRENAonor del secol nostro.
La quale oggi risplende tra le prime
Pervoisiccome novo e dolce mostro
Dibeltàdi valor chiaro e sublime.
SonettoIII (VI)
Nè securo ricetto ad uomche pave
Scorgendoda vicin nemica fronte;
Nèdopo lunga sete un vivo fonte;
Nèpace dopo guerra iniqua e grave;
Nè prender porto a travagliata nave;
Nèdir parole amando ornate e pronte;
Nèveder casa in solitario monte
Aperegrin smarrito è si soave;
Quant'è quel giorno a me felice e caro
Chemi rende la dolce amata vista
Dicui m'è 'l ciel più che Madonna avaro.
Nèperch'io parta poil'alma s'attrista:
Tantain quel punto dal bel lume chiaro
Virtùsennovalorgrazia s'acquista.
SonettoIV (VII)
Ben puoi tu via portartene la spoglia
Grevee stanca di mevago destrero:
Malo spirto al suo ben pronto e leggero
Tornasoventecom'Amor le 'nvoglia.
Nè temech'altrui forza unqua li toglia
Queldi gir insin làdolce sentero;
Ond'ioper questo acerbo anco non pero
Colsuo gioir temprando la mia doglia.
E certo sonse non m'inganna Amore
Chescorgendo Madonna i suoi desiri
Diràquesti ne ven da fedel core:
Lo qualperché lontan da me si giri
Nonfia che sempre non mi renda onore
Eme sol bramie sol per me sospiri.
Canzone I (VIII)
Amorperché m'insegni andare al foco
Dove'l mio cor si strugge
Seguendochi mi fugge
Pregandochi 'l mio duol si torna in gioco?
Credea trovar ne l'amorosa tresca
Piùdolce ogni fatica:
Ahidel mio ben nemica:
Che'l piacer mancae 'l tormento rinfresca.
Donneche non sentiste ancor d'Amore
Quantobeate sete
Sevoi non v'accorgete
Miratequanto è grave il mio dolore.
Canzone II (IX)
Io vissi pargoletta in festa e 'n gioco
De'miei penfierdi mia sorte contenta:
Orsì m'affligge Amor e mi tormenta
Ch'omai di tormentar gli avanza poco.
Credettilassaaver gioiosa vita
Daprima entrandoAmoralla tua corte;
Egià n'aspetto dolorosa morte:
Omia credenza come m'hai fallita!
Mentre ad Amor non si commise ancora
VideColco Medea lieta e secura:
Poich'arse per Jasonacerba e dura
Fula sua vita infin all'ultim'ora.
Canzone III (X)
Amor d'ogni mia pena io ti ringrazio
Sìdolce è 'l tuo martire:
Ognid'altro gioire
Signorè dogliae festa ogni tuo strazio.
Ben mi credetti giàche grave peso
FosseAmorla tua salma:
Orveggoe ten chier l'alma
Mercéche tu da me non eri inteso.
Giurereidonne amantiall'alta e fina
Miagioia ripensando
Ch'unaancilletta amando
Lostato agguagli d'ogni gran Reina.
Canzone IV (XI)
Io vissi pargoletta in doglia e 'n pianto
Dellemie scortee di me stessa in ira:
Orsì dolci penfier Amor mi spira
Ch'altromeco non sta che riso e canto.
Arei giuratoAmorch'a te gir dietro
Fosseproprio un andar con nave a scoglio:
Cosìla 'nd'io temea danno e cordoglio
Utilescampo alle mie pene impetro.
In fin quel dìche pria la vinse Amore
Andromedaebbe sempre affanno e noia:
Poich'a Perseo si dièdiletto e gioia
Seguillavivae morta eterno onore.
Canzone V (XII)
È cosa natural fuggir da morte;
Equanto può ciascun tenersi in vita.
Ahi crudo Amorma io cercando morte
Vosempree pur così mi serbo in vita.
Che perché 'l mio dolor passa ogni morte
Corroa por giù questa gravosa vita.
Poiquand'io son già ben presso a la morte
Esento dal mio cor partir la vita
Tanto diletto prendo della morte
Ch'aforza quel gioir mi torna in vita.
Canzone VI (XIII)
Quand'io penso al martire
Arnorche tu mi dai gravoso e forte;
Corroper gir a morte
Cosìsperando i miei danni finire.
Ma poi ch'i giungo al passo
Ch'èporto in questo mar d'ogni tormento
Tantopiacer ne sento
Chel'alma si rinforzaond'io no 'l passo.
Così 'l viver rn'ancide:
Cosìla morte mi ritorna in vita.
Omiseria infinita;
Chel'uno apportae l'altra non recide.
Canzone VII (XIV)
Chi rompe nell'Egeose poi vi riede
Ègran ragionche senza pro si doglia.
Chi torna al ceppoche gli offese il piede
Conviensich'indi mai non si discioglia.
Chi prova Amor un tempoe poi li crede
Altroche pianto è benche non ne coglia.
O miei pensieri imaginati e folli
Voiche speraste? o pur lo che ne volli?
Canzone VIII (XV)
Città con piú sudor postae cresciuta
Piùgrato rende il fioche se ne coglie.
Vittoria con maggior perigli avuta
Piùcare sa le rapportate spoglie.
E nave più da' venti combattuta
Conmaggior festa in porto si raccoglie.
Così quanto ebbe più d'amaro il fiore
Tantoè più dolce poi nel frutto Amore.
Canzone IX (XVI)
Quel che sì grave mi parea pur dianzi
Orm'è sì leveche vago ne sono
Emenzogna parràs'io ne ragiono.
Tu mi furasti il core
Amorcon gli occhi vaghi di costei;
Mentr'ionel lor splendore
Teneamirando intenti i spirti miei.
Lassoche poi non fei
Perriaverloe di mia vita in forsi
Nonstar senz'esso sìcom'io credea
Lomio fero destin sempre colpando?
Perqual poggio non corsi
Evalle e riva pur di lui cercando?
Lagrimee preghi a qual Ninfa non porsi?
Evalse al fin: che s'io l'andai chiamando
Ungiornoallor che men speme n'avea
Alsuon di quel lamento si rivolse.
Mache frutto sen tolse?
Chem'è giovato il mio lungo dolore?
Oquanto in van si spargon molti pianti:
Ocorso pien d'errore:
Osenza legge stato degli amanti!
Chetosto ch'io m'accorsi
Cheviver senza l'alma si potea;
Abegli occhi ne fei cortese dono
Edel mio folle error chiesi perdono.
Canzone X (XVII)
Occhi miei lassiomai ch'altrove è volto
IlSolche facea luce a la mia vita
Purde' suo santi raggi il cor pascendo;
Accompagnateil gran dolor accolto
Ch'alamentarsi trae l'alma schernita
Ilvostro errore 'l suo danno piangendo.
Chese le sue ragioni chiaro intendo
Dovestea miglior tempo esser accorti.
Orche son da partir le vostre pene
Avoi pianger convene
Chefoste dal piacer sì tosto scorti
Dolersia leiche nutrì falsa spene.
Ma io che debbo far? chi m'assicura
Senzal'usato mio dolce conforto
Rimasonudoe 'n solitaria parte?
Seguirno 'l possoahi mia fera ventura!
Equì son men che mezzo; e quello è morto:
Cheseco andò la viva e maggior parte.
Nèmai da corpo un'anima si parte
Nele primiere sue più felici ore
Chese ne doglia talqual io mi doglio.
Oche grave cordoglio!
Madonnaè itaed ha seco 'l mio core;
Etio sto qui pur contra quelch'io voglio.
Come nave in gran marse nube asconde
Lestelleche reggeano il suo cammino
Rimanerrando in dubbio di suo stato;
Cosìson io tra queste orribil onde
D'Amorove mi spinse il mio destino
Rimasolasso con la morte a lato:
Poiche 'l mio nubiloso acerbo fato
M'invidiaque' due cari onesti lumi
Chemi fidaro al periglioso corso.
.. .
.. .
.. .
STANZE
Le seguenti stanze del Bembo recitate per giuoco da luie dalSignor Ottavio Fregoso mascherati a guisa di due
Ambasciatori della Dea Venere mandati a Madonna Elisabetta GonzagaDuchessa d'Urbinoe Madonna Emilia Pia
sedenti tra molte Nobili Donne e Signoriche nel palagio delladetta Città danzando festeggiavano la sera del
Carnassale 1507. Ma M. Giovanbatista Lapini Fisicoso (pedantendr.) intronato compose a compiacimento di
Madonna Laura Piccolomini de' Turchi le Stanze della Pudicizia acontrapposizione di quelle del Bembo. Le quali
Stanze del Lapini furono prima impresse sotto il nome del CardinalEgidio nel Tomo I. delle Rime sceltenel Tomo I.
delle Stanze di diversiraccolte da Lodovico Dolcee nel Tom. VI.delle Rime di molti eccellentissimi Autori. Ma
Agostino Ferentilli nella sua Raccolta delle Stanze di diversiAutori Toscani le restituì al suo vero Autoree afferma
essere state compostecome s'è dettoaistanza della Piccolomini.
I
Nell'odorato e lucido Oriente
Làsotto 'l puro e temperato cielo
Dela felice Arabiache non sente
Sìche l'offenda maicaldonè gelo
Viveuna riposata e lieta gente
Tuttadi bene amar accesa in zelo
Comevuol sua venturae come piacque
Ala cortese Deache nel mar nacque.
II
A cui più ch'altri mai servi e devoti
Questifelici (e son nel ver ben tali)
Hanposto più d'un tempioe fan lor voti
Sopral'offese de' suoi dolci strali:
Emille a prova eletti Sacerdoti
Curanle cose sante e spiritali
Edhanno in guardia lor tutta la legge
Chele belle contrade amica e regge.
III
La qual in somma è questa: ch'ogni uom viva
Intutti i suoi pensier seguendo Amore.
Peròquando alma se ne rende schiva
Lemostran quanto grave è questo errore;
Eche del vero ben colui si priva
Ch'alnatural diletto indura il core;
Esopra ogn'altro come gran peccato
Commettechi non ama essendo amato.
IV
A questo confortando il popol tutto
Onoranla lor Dea con pura fede:
Equanto essa ne trae maggiore il frutto
Netorna lor più dolce la mercede:
Edhan già la bell'opra a tal condutto
Chesenza question farne ogniun le crede:
Ond'ellaalquanto pria che 'l dì s'aprisse
Aduo di lor nel tempio apparvee disse:
V
Fedeli mieiche sotto l'Euro avere
A questo confortando il popol tutto
Onoranla lor Dea con pura fede:
Equanto essa ne trae maggiore il frutto
Netorna lor più dolce la mercede:
Edhan già la bell'opra a tal condutto
Chesenza question farne ogniun le crede:
Ond'ellaalquanto pria che 'l dì s'aprisse
Aduo di lor nel tempio apparvee disse:
V
Fedeli mieiche sotto l'Euro avete
Lagloria miaquanto pote irealzata;
Sìcome non bisogna veltro o rete
Aferache già sia presa e legata;
Cosìvoi d'uopo qui più non mi sete:
Tantoci son temuta e venerata.
Quelche far si deveatutto è fornito:
Daindi in qua si porta arena al lito.
VI
E se pur fiache le mie insegne sante
Lasciandoalcun da me cerchi partire
Del'altre schiere mieche son cotante
Saràtrionfoe non sen potrà gire.
Pervoi conven che 'l mio valor si cante
Inaltre partisì che 'l possa udire
Lagenteche non l'ave udito ancora
Eper usanza mai non s'innamora.
VII
Siccome là dove 'l mio buon Romano
Cassodi vita fè l'un duce Mauro:
Ecol piè vago discorrendo al piano
Partele verdi piaggie il bel Metauro;
Ivison donneche fan via più vano
Lostral d'Amorche quel di Giove il lauro;
Solper cagion di dueche la mia stella
Ardirprime chiamar bugiarda e fella.
VIII
L'una ha 'l governo in man delle contrade
L'altraè d'onor e sangue a lei compagna.
Questenon pur a me chiudon le strade
Deipetti lorche pianto altrui non bagna;
Ch'ancorvorrian di pari crudeltade
Dall'Orsea l'Austroe dall'Indo a la Spagna
Tutteinasprir le donne e i cavalieri:
Tantohanno i cori adamantini e feri.
IX
E vanno argomentandoche si deve
Castitatepregiar più che la vita
Mostrandoch'a Lucrezia non fu greve
Morirper questaonde ne fu gradita:
Talche la gloria miacome al Sol neve
Siva struggendo: e se la vostra aita
Nonmi riten quel regno a questo tempo;
Tuttoil mi vedrò torre in piciol tempo.
X
Però vorrei ch'andaste a quelle fere
Solover melà ov'elle fan soggiorno:
Ele traeste a le mie dolci schiere
Primache faccia notteov'ora è giorno;
Rottigli schermiond'elle vanno altere
Emille volte a me fer danno e scorno;
Dandolor a vederquanto s'inganni
Chinon mi dona il fior de' suoi verdi anni.
XI
Accingetevi dunque all'alta impresa:
Iov'agevolerò la lunga via.
Nonvi sarà la terra al gir contesa;
Chéinfino a lor per tutto ho signoria.
Eperché 'l mar non possa farvi offesa;
Lovarcherete ne la conca mia:
Oprendete i miei cignie 'l mio figliuolo
Cheregga il carroe sì ven gite a volo.
XII
Così detto disparvee le sue chiome
Spirarnel suo sparir soavi odori:
Etutto il cielcantando il suo bel nome
Sparserdi rose i pargoletti Amori.
Strinsersiintanto i sacerdotie come
Fu'l sol de l'Oceano Indico fuori
Senzadimora giù per cammin dritto
Presalor via n'andar verso l'Egitto.
XIII.
Le piramidi e Menfi poi lasciate
Stoltache 'l bue d'altari e tempio cinse;
Viderle mura da colui nomate
Chegiovenetto il mondo corse e vinse;
ERodoe Creta; e queste anco varcate
Eteche da l'Italia il mar distinse;
Epiù che mezzo corso l'Appennino
Entrârnel vostro vago e lieto Urbino.
XIV
E son or questich'io v'addito e mostro
L'unoe l'altro di laude e d'onor degno.
Eperch'essi non sanno il parlar nostro
Perinterprete lor seco ne vegno:
E'n lor vece diròcome che al vostro
Divinconspetto uom sia di dire indegno:
Ese cosa udireteche non s'usi
Udirtra voi; la Dea strana mi scusi.
XV
O Donna in questa etade al mondo sola
Anzia cui par non fu giammainè fia;
Lacui fama immortal sopra 'l ciel vola
Dibeltàdi valordi cortesia
Tantoche a tutte l'altre il pregio invola;
Evoiche sete in un crudele e pia
Almagentil dignissima d'impero
Eche di sola voi cantasse Omero:
XVI
Qual credenza d'aver senz'Amor pace
Senzacui lieta un'ora uom mai non ave
Lesante leggi sue fuggir vi face
Comecosa mortal si fugge e pave?
Eluich'a tutti gli altri giova e piace
Solevoi riputar dannoso e grave?
Edi Signor mansueto e fedele
Tirannodisleal farloe crudele?
XVII
Amor è graziosa e dolce voglia
Chei più selvaggi e più feroci affrena:
Amord'ogni viltà l'anime spoglia
Ele scorge a diletto e trae di pena:
Amorle cose umili ir alto invoglia:
Lebrevi e fosche eterna e rasserena;
Amorè seme d'ogni ben fecondo
Equelch'informae reggee serva il mondo.
XVIII
Però che non la terra solo e 'l mare
El'aere e 'l foco e gli animali e l'erbe
Equanto sta nascostoe quanto appare
Diquesto globoAmortu guardi e serbe;
Egenerando fai tutto bastare
Conle tue fiamme dolcemente acerbe:
Ch'ancorla bella machina superna
Altriche tu non volve e non governa.
XIX
Anzi non pur Amor le vaghe stelle
E'l ciel di cerchio in cerchio tempra e move;
Mal'altre creature via più belle
Chesenza madre già nacquer di Giove
Lietecarefelicipure e snelle
Virtùche sol d'Amor descende e piove
Creòda prima ed or le nutre e pasce
Onde'l principio d'ogni vita nasce.
XX
Questa per vie sovra 'l penser divine
Scendendopura giù ne le nostre alme
Talche state sarian dentro al confine
Dele lor membra quasi gravi salme
Fattoha poggiando altere e pellegrine
Girper lo cielo; e gloriose ed alme
Piùche pria rimaner dopo la morte
Illor destin vincendo e la lor sorte.
XXI
Questa fè dolce ragionar Catullo
DiLesbiae di Corinna il Sulmonese:
Edar a Cinzia nomea noi trastullo
Unoa cui patria fu questo paese:
Eper Delia e per Nemesi Tibullo
Cantar:e Galloche se stesso offese
Viacon le penne de la fama impigre
PortarLicori dal Timavo al Tigre.
XXII
Questa fe' Cino poi lodar Selvaggia
D'altralingua maestroe d'altri versi:
EDanteacciòcchè Bice onor ne traggia
Stilitrovar di maggior lumi aspersi:
Eperché 'l mondo in reverenzia l'aggia
Sìcome ebb'ei; di sì leggiadri e tersi
Concentiil maggior Tosco addolcir l'aura
Chesempre s'udirà risonar Laura.
XXIII
La qual or cinta di silenzio eterno
Forasiccome pianta secca in erba;
S'aluich'arse per lei la state e 'l verno
Comefu dolcefosse stata acerba;
Enon men l'altre illustrich'io vi scerno;
Equal si mostrò mai dura e superba
Versoqueiche potea sovra 'l suo nido
Alzarlaa voloe darle vita e grido.
XXIV
Questa novellamente ai padri vostri
Spiròdesio; di cuicome a Dio piacque
Peradornarne il mondoe gli occhi nostri
Bearde la sua vistain terra nacque
L'almavostra beltà; nè lingueo 'nchiostri
Contarporiannè vanno in mar tant'acque
QuantaAmor da' bei cigli alta e diversa
Gioiapacedolcezzae grazia versa.
XXV
Cosa dinanzi a voi non può fermarsi
Ched'ogni indegnità non sia lontana:
Ch'alprimo incontro vostro suol destarsi
Penserche fa gentil d'alma villana:
Ese potesse in voi fiso mirarsi
Sormonteriasioltra l'usanza umana:
Tuttoquelche gli amanti arde e trastulla
Alato ad un saluto vostro è nulla.
XXVI
Quanto in mill'anni il ciel devea mostrarne
Divago e dolcein voi spiegò e ripose
Volendoa suo diletto esempio darne
Dele più care sue bellezze ascose.
Chinon sacome Amor soglia predarne
Opur di non amar seco propose
Fermine' be' vostr'occhi un solo sguardo;
Efugga poise puòveloceo tardo.
XXVII
Rose bianche e vermiglie ambe le gote
Sembrancolte pur ora in paradiso;
Careperle e rubiniond'escon note
Dafar ogni uom da se stesso diviso:
Lavista un Solche scalda entro e percote;
Evaga primavera il dolce riso.
Mal'accoglienzail sennoe la virtute
Potrebbondare al mondo ogni salute;
XXVIII
Se non fosse il penser crudele ed empio
Chev'arma incontro Amor di ghiaccio il petto
Efa d'altrui sì doloroso scempio;
Epriva del maggior vostro diletto
Voicon l'altrea cui noce il vostro esempio;
Sìcome noce al gregge simplicetto
Lascorta suaquand'ella esce di strada;
Chetutto errando poi convenche vada.
XXIX
Così più d'un error versa dal fonte
Delvostro largo e cupo e lento orgoglio:
Es'io avessi parole al voler pronte
Piangerfarei ben aspro e duro scoglio.
Chenon si dolse al caso di Fetonte
Feboquant'io per voiDonnemi doglio.
Purmi consolachequal io mi sono
Amormi dettaquanto a voi ragiono.
XXX
E per bocca di lui chiaro vi dico
Nonchiudete l'entrata ai piacer suoi:
Se'l ciel vi si girò largo ed amico
Nonvi gite nemiche e scarse voi:
Nonbasta il campo aver lieto ed aprico
Senon s'arae sementae miete poi:
Giardinnon colto in breve divien selva
Efassi lustro ad ogni augello e belva.
XXXI
È la vostra bellezza quasi un orto;
Glianni teneri vostri aprile e maggio:
Alorvi va per gioia e per diporto
IlSignorquando puòsed egli è saggio:
Mapoi che 'l Sole ogni fioretto ha morto
O'l ghiaccio a le campagne ha fatto oltraggio;
No'l curae stando in qualche fresco loco
Passail gran caldoo tempra il verno al foco.
XXXII
Ahi poco degno è ben d'alta fortuna
Chiha gran doni e carie schifa usarli.
Ache spalmar i legnise la bruna
Ondadel porto dee poi macerarli?
QuestoSolche riluceo questa Luna
Lucessein vannon si devria pregiarli.
Giovenezzae beltàche non s'adopre
Valquanto gemmache s'asconda e copre.
XXXIII
Qual fora un uomse l'una e l'altra luce
Disuo voler in nessun tempo aprisse;
E'l senso de le vocia l'alma duce
Tenessechiuso sìche nulla udisse;
E'l pièche 'l fral di noi porta e conduce
Maid'orma non movessee mai non gisse;
Talè proprio coleiche bella e verde
Neghittosatra voi siede e si perde.
XXXIV
Non vi mandò qua giù l'eterna cura
Afin che senz'Amor tra noi viveste:
Nèvi diè sì piacevole figura
Perchéin tormento altrui la possedeste:
Sestata fosse ad ogni priego dura
Ciascunamadreor voi dove sareste?
Ilmondo tuttoin quanto a se distrugge
Chile paci amorose adombra e fugge.
XXXV
Comea cui vi donate voidisdice
Sedegli a voi di se si rende avaro;
Cosìvoidonnea queiche v'hanno in vice
Disole alla lor vita dolce e chiaro
Mostrarviacerbe e torbide non lice;
Equelle mencui più l'onesto è caro:
Ches'io sostenni tementre cadevi
Debbocadendo aver chi mi rilevi.
XXXVI
Il pregio d'onestate amato e colto
Daquelle antiche poste in prosa e 'n rima;
Ele vociche 'l vulgo errante e stolto
Dipeccato e disnor sì gravi estima;
Equel lungo rimbombo indi raccolto
Ches'ode risonar per ogni clima;
Sonfole di romanzie sogno ed ombra
Chel'alme simplicette preme e 'ngombra.
XXXVII
Non è gran meraviglias'unao due
Sciocchedonne alcun secol vide ed ebbe
Acui sentir d'amor caro non fue;
E'ndarno viver gli anni poco increbbe:
Comela Grecach'a le tele sue
Scemòla nottequanto 'l giorno accrebbe
Miserach'a se stessa ogni ben tolse
Mentreattender un uom vent'anni volse.
XXXVIII
Il qual errando in questa e 'n quella parte
Solcandotutto 'l mar di seno in seno
Amolte donne del suo Amor fè parte
Elieto si raccolse loro in seno:
Cheben sapeaquanto dal ver si parte
Coluich'al legno suo non spiega il seno
Mentr'egliha 'l porto a man sinistra e destra
El'aura della vita ancor gli è destra.
XXXIX
Come avrian posto al nostro nascimento
Necessitàd'Amor naturae Dio;
Sequel soave suo dolce concento
Chepiace sìfosse malvagio e rio?
Seper girar il Soleir vago il vento
Insu la fiammaal chin correre il rio
Nonsi pecca da lor; nè voi peccate
Quando'l piacerper cui si nasceamate.
XL
Mirate quando Febo a noi ritorna
Efa le piaggie verdi e colorite;
Sedove avolger possa le sue corna
Esé fermarnon ha ciascuna vite;
Essagiacee 'l giardin non se n'adorna;
Nè'l frutto suonè l'ombre son gradite:
Maquando ad olmo od oppio alta s'appoggia
Crescefeconda e per Sole e per pioggia.
XLI
Pasce la pecorella i verdi campi
Esente il suo monton cozzar vicino:
Ondeggiae par ch'in mezzo l'acque avvampi
Conla sua amata il veloce Delfino:
Pertuttoove 'l terren d'ombra si stampi
Sostendue rondinelle un faggioun pino.
Evoi pur piace in disusate tempre
Viversolinghe e scompagnate sempre.
XLII
Che giova posseder cittadi e regni;
Epalagi abitar d'alto lavoro;
Eservi intorno aver d'imperio degni;
El'arche gravi per molto tesoro;
Essercantate da sublimi ingegni;
Diporpora vestirmangiar in oro;
Edi bellezza pareggiar il Sole;
Giacendopoi nel letto fredde e sole?
XLIII
Ma che non giova aver fedeli amanti
Econ loro partire ogni pensero
Idesirle paurei risii pianti
El'ira e la speranzae 'l falsoe 'l vero:
Edor con opre careor con sembianti
Ilgrave de la vita far leggero;
Ese di rozze in atto e 'n pensier vili
Sovral'uso mondan scorte e gentili?
XLIV
Quanto esser vi dee caro un uomche brami
Lavostra molto più che la sua gioia?
Ch'altroche 'l nome vostro unqua non chiami?
Chesol pensando in voi tempri ogni noia?
Chepiù che 'l mondo in un vi tema ed ami?
Chespesso in voi si vivain se si moia?
Chele vostre tranquille e pure luci
Delsuo corso mortal segua per duci?
XLV
O quanto è dolceperch'Amor lo stringa
Talorsentirsi un'alma venir meno:
Sapercome duo volti un sol depinga
Color:come due voglie regga un freno:
Comeun bel ghiaccio ad arder si constringa:
Comeun torbido ciel torni sereno:
Ecome non so che si bea con gli occhi
Perchésempre di gioia il cor trabocchi.
XLVI
Puossi morta chiamar quelladi cui
Faced'Amor nessun pensero accende:
Nèdice: che son io lassa? che fui?
Nègiova al mondoe se medesma offende:
Nèsi ten caranè vuol darsi a lui
Chegià molt'anni sol un giorno attende:
Nèsacon l'alma nella fronte espressa
Altruicercare ritrovar se stessa.
XLVII
Però che voi non sete cosa integra
Nènoima è ciascun del tutto il mezzo:
Amorè quello poiche ne rintegra
Elega e strignecome chiodo al mezzo:
Ondeogni parte in tanto si rallegra
Chesuoi diletti e gioie non han mezzo:
Es'uom durasse molto in tale stato
Compitamentediverria beato.
XLVIII
Così voi vi trovate altrui cercando:
Efate nel trovar paghe e felici.
Dunqueperché di voi ponete in bando
Amorse son di tanto ben radici
Lesue quadrella? or danno in guerreggiando
Qualmaggior posson farvi alti nemici
Chetorvi il regno? e questo assai più vale:
Evoi lo vi toglietee non vi cale.
XLIX
Ond'io vi do sano e fedel consiglio;
Nonvi torca dal ver falsa vaghezza.
Senon si cogliecome rosao giglio
Cadeda se la vostra alma bellezza.
Vienpoi canuta il crinsevera il ciglio
Lafaticosa e debile vecchiezza.
Evi dimostra per acerba prova
Che'l pentirsi da sezzo nulla giova.
L
Ancor direi: ma temonon tal volta
Vigravi il lungo udire; oltra ch'io vedo
Questaselva d'Amor farsi più folta
Quant'ioparlando più sfrondar la credo.
Dunquevostra mercèche sempre è molta
Dareteagli oratori omai congedo.
L'altroch'a dir rimaneessi diranno
Quandola lingua vostra appresa aranno.
Rime aggiunte
(all'edizione del 1753)
Canzone DI MADONNA VIRGINIA SALVI
Sanese.
Mentre che 'l mio pensier dai santi lumi
Prendeafido riposo
Bennon vid'ioche al mio ben fosse eguale.
Orche 'l ciel vuolch'in pace i mi consumi
Ea forza tenga ascoso
Iltroppo acerbo e doloroso male
Piacciavidarme l'ale
Cosìveloce a ritrovarvi poi
Chesempre vivo in voi
Ene piglio cotanta e tal dolcezza
Che'l mio cor lasso ogn'altra vista sprezza.
M'è a noiaove ch'io mirose sembianza
Divoiben mionon veggio:
Ese di chiari spirti ho sempre intorno
Vagodrappell'acerba lontananza
Fache col duol vaneggio.
Nègioianè piacer fa in me soggiorno
Talchèa voi sempre torno
Ch'iviè la mia ricchezzae 'l mio tesoro
Ivile gemme e l'oro
Sonche cotanto l'alma onora e prezza
Che'l mio cor lasso ogn'altra vista sprezza.
Movo talor le pianteove 'l bel piede
Premendose ne gìa
Letenerelle erbettee i vaghi fiori
Perveders'orma almen di quei si vede;
Mal'alta speme mia
Nullaritrova fuorchè i suoi dolori:
Ese Ninfeo Pastori
Veggiodimando purse del Sol mio
Sannullae mentre un rio
Fangli occhi mestie sono a tale avvezza
Che'l mio cor lasso ogn'altra vista sprezza
Ma che spero io trovare in altri mai
Divoi sembianza vera
Sel'alma bellae 'l valoroso velo
Fesenz'eguale il ciel per più mei guai?
Chedunque 'l cor piú spera
Temprarsenza voi stesso il caldo e 'l gelo
Checon grave duol celo
Frafinto risoe simulato volto?
Nonpotendo veder vostra bellezza
Ilmio cor lasso ogn'altra vista sprezza.
Se pur altro defio di eterno onore
Dipiù lodate imprese
Viface star da mecor miolontano;
Benchèmi dogliopur sento 'l valore
Vostrocon l'ale stesse
Girsen'poggíando ognor per monte e piano;
Veggiola bella mano
Farcon la spada al reo nimico danno
Econ tema ed affanno
Farlocattivoonde sua forza spezza
E'l mio cor lasso ogn'altra vista sprezza
Canzon mia passa i monti
Eratta vanne al chiaro mio bel Sole;
Edì queste parole.
CINZIAvive a te lungi in tanta asprezza
Che'l suo cor lasso ogn'altra vista sprezza.
RISPOSTAALLA Canzone DI M. VIRGINIA SALVI
Canzone XI (XVIII)
Almo mio Solei cui fulgenti lumi
Fanchiaro e luminoso
Quant'oggimirar può vista mortale
Perchèpiù lagrimando ti consumi?
Quantunqueil volto ascoso
Tifiaqual chiami in terra senza eguale
Nonfaiche i vanni e l'ale
Hail bel pensiere li viaggi suoi
ACINZIA sonoe poi
Netragge una sì estrema e gran dolcezza
Cheil mio cor lasso ogn'altra vista sprezza.
Non pur quella benigna alta sembianza
Qualcon la mente veggio
Edin mezzo dell'alma fa soggiorno
Amareggiarl'acerba lontananza
Chel'onorato seggio
Hacosì bella immago al core intorno
Ilbel sembiante adorno
Ela rara beltàche in terra adoro
Incui sol vivo e moro
Gode'l penser lontane sì l'apprezza
Che'l mio cor lasso ogn'altra vista sprezza.
Quantunque in altro clima io giri il piede
Nonperò mi disvia
Amorsì li desirche i primi ardori
Smorzie la data mia sincera fede:
Laviva speme mia
Sempreha sostegno di tempi migliori:
MuseNinfee Pastori
Cantanlodando il degno alto disio;
Ementre il pensier mio
Fermocon l'alma al dolce oggetto avvezza
Ilmio cor lasso ogn'altra vista sprezza.
Però se di lontan gli amati rai
Ela bellezza altera
Sela gentil sembianza e 'l chiaro velo
Scorgel'occhio mental più dolce assai
Chela presenza vera
Perchèpiù ti distempra il caldo o 'l gelo?
Poich'èbenigno il cielo
Qualgiunge l'almerafferena il volto
Qualfia più grato molto
L'aspettatoritorno alla bellezza
Che'l mio cor lasso ogn'altra vista sprezza?
Non mi scompagna un volontario errore
Maun desio d'alte imprese
Chea te deve aggradirmi fa lontano
Viver;ma vivo in te vive 'l mio core
Ele mie voglie accese
Passanmarialti montie largo piano
Edal bel viso umano
Millee più volte 'l duol torno fanno
Tempradunque ogni affanno
CINZIAmia dolcee 'l duol già rompi e spezza
Che'l mio cor lasso ogn'altra vista sprezza.
Canzon ripassa i monti
Edì pietosamente al mio bel Sole
Questequattro parole:
ViviCINZIA gentilfuor d'ogni asprezza
Che'l mio cor lasso ogn'altra vista sprezza.
Canzone XII (XIX)
Quel vivo Solche alla mia vita oscura
Soleafar chiaro giorno
Echetar le tempeste del mio core
Volgei suoi raggi altrovee più non cura
Sealle tenebre torno:
Omia venturaove m'hai giunto Amore!
Perdoglia non si muore
Chivide al mondo mai sì dura sorte?
Solho disio di morte
Nèmorir possoe tempo é di morire
Ecresce la mia vita col desire.
Viverò dunqueed altri indegnamente
Inun punto beato
Vivedel nutrimento di mia vita?
Nonviverònè fia mai sì possente
L'empiocrudel mio fato
Chenon discioglia l'anima smarrita
Questapena infinita;
Oprinsua forza le maligne stelle
D'ognimio ben rubelle;
Chese 'l dolor di vita non mi priva
Nonfia già maiche al mio dispetto i viva.
O fiera rimembranza del mio bene
Delmio tempo felice
Chesì tosto passòch'appena il vidi!
Iovidi già fiorir l'alta mia spene:
Poicon svelta radice
Inuno istante morta la rividi.
Miseroin cui ti fidi
Ioson cadutoch'era al ciel vicino.
Nonso per qual destino
Orvo piangendoor vo traendo guai
Nonper mia colpama che troppo amai.
Donna leggiadrae più chiara che 'l Sole
Chel'età rasserena
Quandosorridee quando un sguardo move
MostrommiAmore femmi udir parole
D'addolcirogni pena
Eveder atti da far arder Giove;
Fiammanon vista altrove
Subitom'arse 'l coreed in costei
Girandogli occhi miei
Divenniciecoe sì da me diviso
Ch'ionon vidi mai morte nel bel viso.
A poco a poco poi sentì legarmi
Dicosì dolcemente
Ch'ebbi in odio la cara libertade:
mecostava Amor per consolarmi
Mostrandomisovente
Duivaghi lumi accesi di pietade;
E'n la maggior beltade
Unpuro e nobil cor pien di mercede
Piendi fermezza e fede;
Poimi giurò sull'arco e sulla face
Sullafaretra darmi eterna pace.
Quanto la tua promessaAmormi piacque
Tantovalor non sento
Ch'iobasti a immaginarlo col pensiero:
Smisurataallegrezza al cor mi nacque;
IlSol il più contento
Nonvide in l'unonè 'n altro Emispero:
Ond'iodivenni altero
Dellasperanza; che se 'l ver mi esalto
Allormontai tant'alto
Chepien di meraviglia fra me stesso
Diceamirando; sono al cielo appresso.
Io caddi poipoichè fui presso al cielo
Caddida tanta altezza
Chela ruina mia non giunse al fine.
Einnanzi agli occhi mi fu posto un velo
Talchèper la chiarezza
Nonvidi delle due luci divine
Lerose in sulle spine:
Ognimia pace mi fu volta in guerra.
Edallor vidi in terra
L'avarafe caduta e cortesia
Epietà morta della Donna mia.
Canzonnon so se alcun cerca la doglia
Chesì a morir m'invoglia;
Rispondiil gran desio senza speranza
Èdel perduto ben la rimembranza .
SonettoV (XX)
APOLLOquando a noi si mostran fuore
L'almelucie le chiome crespe e bionde
Dehperchè sì veloce in mezzo l'onde
Tiattuffie privi noi di sì dolci ore?
Forse paventi in te novello amore
Qualgià sentisti in quellach'or ti asconde
Ladata scorza e l'onorata fronde
Chesprezza Giove irato e 'l suo furore?
Stolto deh non fuggir quelch'altri brama;
Nonschivar quelche tanto piace altrui;
Restaa veder la bella donna meco:
E se naturao 'l ciel pur ti richiama
Inaltra partemostra lorper cui
Fermastiil corsoe fermeransi teco.
Canzone XIII (XXI)
Del procelloso mar rabbuffa l'onde
Orl'austroor boreae freddi ghiacci e nevi
Copronoi montie sono oscuri e brevi
Igiorniperchè Apol suoi raggi asconde;
Nèpotendo aver io sentiero altronde
Cheson senz'ale e piume
Alvivo e chiaro lume
Allerare bellezze alme e gioconde
Alleman biancheal volto unico e divo
CINZIAmia illustreperò tardi arrivo.
Canzone XIV (XXII)
Solingo e vago augello
Ch'haisben sparsi i tuoi soavi accenti
Orodi i miei lamenti:
Iovissi in gioiaor sol del pianger vivo
Chenon già d'altra lasso il cor si appaga.
Equellaond'io fiorivo
Invece dei mio bendel pianto è vaga
Dehguarda alla mia piaga
Dolceaugellinoe se pietà ti piega
L'aliamorose spiega
Eva innanzi al mio Sole
Edolce canterai queste parole:
Dateda Amorda tua beltà infinita
Chiedeun misero Amante o morteo vita.
Capitolo IV (XXIII)
Dolce e amaro destinche mi sospinse
Làdove prima Amor senza contese
Ildolce e amaro nodo al cor m'accinse
Dolce e amaro desirche al cor discese
Trovandoin gli occhi incauti aperta via
Edolce e amaro il focoche m'accese
Dolce e amaro fulgorche vivo uscia
Dalsguardo micidialche speme porse
Alladolce ed amara impresa mia.
Dolce amaro sperarche mi soccorse
Neidolci amari guai; tal che già morto
Deldolce amaro mio mai non m'accorse.
Dolci e amare paroleche conforto
Diederoalle mie dolci e amare pene
Chescritte nella fronte e nel cor porto.
Dolce amaro sembianteche mantiene
Ondela dolce amara piaga antica
Ch'ador ad or via più crescendo viene.
Dolce amaro pensierche mi nodrica
Soldi dolce memoria d'un bel viso
Mad'una dolce amara mia nemica.
Dolci amari contenti in breve riso
Dolcioccchi amari pien di fidi inganni
Chelusingando m'han da me diviso
Dolce e amaro timor d'uscir d'affanni
Dolceamaro sperarnon trovar pace
Dolcee amaro bramar tutti i miei danni.
Dolce e amaro fuggir quelche sol piace
Dolcee amaro chiedendo altrui mercede
Congli occhi dir quelche la lingua tace.
Dolce e amaro ad altrui troppo gran fede
Avere agli occhi suoi negar il vero
Ea se stesso giurar quelche non crede.
Dolce e amaro volerche 'l suo pensiero
Inlibertà d'altrui servo sia messo
Nèal sue spoglie aver alcun impero.
Dolce e amaro d'altruidolersi spesso
Eveggendosi a torto esser offeso
Pernon odiar chi offende odiar se stesso.
Dolce e amaro tacendo esser inteso
Edopo lungo affanno aspro dolore
Aconseguir pietà vedersi acceso.
Dolce e amaro timor d'un predatore
Eavaro del suo ben tener silenzio;
Ondesi vedeche 'l stato d'amore
È qual il mel temprato coll'assenzio.
Canzone XV (XXIV)
Se come quila fronte onesta e grave
Delsacro almo Poeta
Ched'un bel lauro colse eterna palma
Cosìvedessi ancor lo spirto e l'alma;
Stellasì chiara e lieta
Diresticerto il cielcerto non ave.
Tu che vieni a mirar l'onesta e grave
Sembianzadel divin nostro Poeta
Pensas'in questa il tuo desir s'acqueta
Quantofu il veder lui dolce e soave.
Da quellache nel cor scolpita porto
Viritrasse il Pittore
Mentreper gli occhi fuore
Qualsiete dentroagevolmente ha scorto.
SonettoVI (XXV)
Poich'AmoreMadonnae la mia sorte
ognorpiù grave contra a me la fanno
Edor con chiusoor con aperto inganno
Amal cammino han le mie voglie scorte;
Svegliati in tua balìa possente e forte
Midice l'almae pon mente al tuo danno;
Ditanto strazioe di sì lungo affanno
Chet'avanz'altroche vergogna e morte?
Io come uomch'errae dell'error si accorge
Vorreitornar alla smarrita strada
Mal'uso antico pur oltra mi scorge.
Allor una pietade assale il core
Chementre i vonè sodove mi vada
Passanogli annie non passa il dolore.
SonettoVII (XXVI)
Ne' bei vostr'occhi mai non drizzo 'l guardo
Che'l mio corso fatal tutto non miri:
Veggioallorcome attenda i miei desiri
Unfallace sperarper cui sempr'ardo.
E per sprezzar un ghiaccio aspro e gagliardo
Indarnoinfiammi i miei caldi sospiri
Comea troppa mercede indegno aspiri
Equal pigro animal segua il fier pardo.
Ma 'l vostro lume abbaglia indi sì forte
Chemi fa non veder quelche m'è aperto
Ecercar vita in una espressa morte.
E più per scusar me (se scusa merto)
Vostrabellezza incolpoe la mia sorte
Checreder non mi fa quelche m'è certo.
SonettoVIII (XXVII)
Vivo in un dolcee sì cocente foco
Ch'Amorm'ha fatto Salamandra ed esca;
Edun vital venen tanto m'adesca
Ch'iomoroe morte in me non ave loco.
Seguo sì crudo e dilettoso gioco
Chenel proprio martir sempre m'invesca:
ilcolpo è anticoe la ferita è fresca
Echi m'uccidea mio soccorso invoco.
Voglio quelche voler non mi è concesso
Ei miei pensier sì spesso inganna Amore
Cheincredulo omai son fatto a me stesso.
O quante volte m'ha pregato il core
Cheil sleghie quando a farlo mi son messo
Sestesso involvee corre al primo errore.
Canzone XVI (XXVIII)
Luce in amor tant'alto il vostro volto
Donnasola d'amor fidato nido
Chesegno e porto fido
Solsiete alle fortune degli amanti:
Equal s'attrova in mar d'acerbi pianti
Ocinto di martiri
Purchègli occhi a voi giri
Ristorarsente ogni passato danno
Opace eterna impetra al grave affanno.
Quanto il mar cingeo quanto gira il Sole
Parea vostre bellezze non si vede
Chefan tra noi qui fede
Quant'eccellenzasia nel paradiso
poich'unsol vostro sguardoe un vostro riso
Acquetaogni tempesta;
Eda virtù si desta
Chifiso in voi luce benigna mira:
Beatodunque chi per voi sospira.
Stanza I (XXIX)
Donnase vi diletta ogni mia gioia
Sonpiùch'ogn'altro amanteora felice;
Signorse non vi aggrava ogni mia noia
Sonpiùch'ogn'altramisera e infelice;
Debb'iodunque speraranzi ch'io rnoia
Quellodi voiche delle più si dice?
Statepur Signor mio costante e forte
Cheme non cangerà temponè morte.
Canzone XVII (XXX)
Se in pegno del mio amor vi diedi il core
Madonnail dìche a voi prima mi volsi;
Se'n lui mia fe scorgete a tutte l'ore
E'l duolond'io mi struggo i nervi e i polsi;
Sela vostra beltàvostro valore
Sonli saldi lacciuoiche all'alma avvolsi
E'l fin de' miei pensieri altieri e casti;
Dipoca fede perchè dubitasti.
Sì leggiadre cagioni al mio languire
Scorgos'oso mirar ne' bei vostri occhi
Chesoave mi fanno ogni martire
Percui tanto piacer nel petto fiocchi:
Dolcimi son di voi gli sdegni e l'ire:
Dolceche 'n me le sue quadrella scocchi
Amorsì dolci fiamme al cor mandasti:
Dipoca fede perchè dubitasti?
Fermo son di soffrir ogni aspra doglia
Ch'Amorm'affida all'amorosa impresa.
[Mancail resto del M.S.]
SonettoIX (XXXI)
Paolo v'invita quiSignor mio caro
Agoder seco un bello e dolce loco
Epoi con lui vi prego anch'io non poco
Nonci siate di voi stesso avaro.
Il sito sopra ogni altro ameno e raro
Ela dimora d'infinito gioco
N'accendondi vedervi un dolce foco
Perfar con voi questo giorno più chiaro.
Logge alte adombran peregrini chiostri
Percui passando l'aura dolce estiva
Porgediletto a' spirti afflitti nostri.
Dolce mormorio di fontana viva
Pardir: chiamate qui gli amici vostri
PeròconvenSignorch'io ve ne scriva.
Capitolo V (XXXI)
Tornava la stagionche discolora
Perl'Oriente le più basse stelle
DestandoFebo al mover dell'Aurora?
Allor che scosso fuor delle gonnelle
Buonantico nocchier si leva e mira
Sevede nube in cieloo in mar procelle;
E se vento fecondo non gli aspira
Dolentee sonnacchioso all'agio riede
Econ Nettuno e con Eolo s'adira.
Quando 'l pensierch'allor dee trovar fede
Perchè'l corpoche 'l turbagli è men grave
Sedormendo giammai vero si vede
M'aperse il cor con dilettosa chiave
Etrassel fuor del suo carcer terreno
Chetenea chiuso un sonno alto e soave.
E per far ben quel dì lieto e sereno
Comefussenol soma giunse teco
Opetto di valor e grazia pieno.
Parta la stanza nostra un largo speco
Rinchiusoe freddo assaima pien di fiori
Chequando il dì tramontacaggion seco.
Dentro per un usciuolche all'uscir fuori
Mostravafaticoso giù nel basso
Scorgeva'l Sol i suoi raggi minori.
Quivi nel mezzo ignudiad un gran sasso
M'appoggiav'io;e tu sedevi in erba
Ipien di noiae tu pensoso e lasso.
Ma ria fortuna ogni dolcezza acerba
Checosì ragionammo varie cose
Ela memoria or lasso non le serba.
Pur dirò quelch'a me non si nascose
Dopoche 'l vidie qui Talia m'aiuti
Sed'aiutarmi unquanco mai dispose.
Qual uomche parlied in un punto ammuti
Perpoca novitàche poi si cuoce
D'aversì presto i suoi sensi perduti;
Tal mi fec'ioallor che dalla foce
Fugiù nel dirimpetto un'ombra scorta
Checol pensier m'interruppe la voce.
Ma poichè volsi gli occhi in ver la porta
Eccouna donna a noi queta venire
Conlento passoe con maniera accorta.
I volea per vergogna indi fuggire
Sentendomicosì scoperto e nudo
Econ un cenno tu mi desti ardire.
Pur feci a me ver lei del sasso scudo
Gridando:non venirse sei amica
Conparole e con viso altero e crudo.
Fermossi ella sull'uscioe molto antica
Miparve in vistae di pensieri onesti
Mavile a' pannied all'andar mendica.
Chinò giù gli occhi rugiadosi e mesti
Soavementee seco stette alquanto
Dicendoomai convienche tu ti desti.
Poi cominciò: s'io non tenessi il pianto
Fareiper la pietà degli occhi un fiume
Cosìm'addoglia il vostro inganno tanto.
Qual forzaqual vaghezzao qual costume
V'hadi voi stessi sì posti in obblio
Chenon vogliate un tratto veder lume?
Che si fa quì tra così van desio
OFigli ciechi? a che tanta tristizia?
Chegiova al proprio ben farsi restio?
Ad ozio vano darsied a pigrizia
Chealtro è se non odiar fe stesso
Quandoda lor ogni danno s'inizia?
Mirate gli anni vostriche sì spesso
Cangianstato dal ghiaccio alle viole
U'foste sempree sete pur quel stesso.
Tra quanto bagna 'l mare scalda il Sole
Eccedel'uom ogni cosa creata
Sesottopor a se se stesso vuole.
L'aer sospesoe la terra fermata
Esparse furon l'acque sol per lui
Ciòche si volasi calcae si nata.
Ben è del tutto misero colui
Chenon cura di senè del suo stato
Nèpensache faròche sonche fui.
E l'intellettoche dal ciel gli è dato
Lasciche caschi pur senza far frutto
Comevi foglia in selvao fiore in prato.
Or voi del viver vostro che costrutto
Trovatee di voi stessi in questo fondo
Doveogni riso si converte in lutto?
Il gran pianetae 'l bel lume fecondo
Dellasorellae l'altre luci erranti
Chesan parer sì vago il vostro mondo;
E gli animali sì diversi e tanti
Lecontrade vicine e le lontane
E'l variar di lingue e di sembianti.
Sassiselveerbemarfiumie fontane
Eciò che nascee muore insiemeè nulla
Achi spende il suo tempo in cose vane
Colui muor nelle fasce e nella culla
Chevive vaneggiando ogni sua etate
Epur di vento sempre si trastulla.
Vengavi di voi stessi al cor pietate
Innanziche sen vadi Primavera;
Checosì ne può andar anche la State.
Non fatecome suol la maggior schiera
Chesenza sapercome già son vecchi
Menano'l dì pur da mattina a sera:
Aprite a' buon consigli ambo gli orecchi
Comesi deveanzi spronate il core
Priache ragion sotto al senso s'invecchi.
Che penitenza tardi e van dolore
Vitorneranno un dolce in mille amari
Seindurerete in così falso errore.
Uscite fuor del fango de' Volgari
Oveogni netto e candido Armellino
Convienper forza ch'a giugner impari.
Venite mecoche assai bel destino
Parche vi chiamie guiderovvi in parte
Oveun altro èche ha già fatto il cammino.
Queich'ebber fama delle antiche carte
Miseguir tuttionde poi le lor lode
Furcolle mie per ogni loco sparte.
Or dorme in mezzo 'l vizioe così gode
L'umanaindustriaed ha sì grave il sonno
Cheper gridar che facci ella non ode.
Quando primieramente si fondonno
Nelmondo ancor non suo le belle mura
Chepoi crescendo fin al ciel s'alzonno
Non di marcir in ozio ogni lor cura
Posergli antichi buon primi Romani
Ch'oggitanto si cerca e si procura;
Ma di tener tra studi onesti e sani
Unviver quetoe senza magistero
Utilie parchinon fastosi e vani.
Non ardiva sperar sì largo impero
IlTevre ancore fuor delle sue rive
Nolvedea Roma andar superbo e fiero.
Nè si faceano ancor le genti schive
Diseder sopra un cespoe ragionarsi.
Lungoun bel mormorar dell'acque vive.
Dalle foglie e dal fien solea levarsi
ISenatore gir dietro all'aratro
Poidi corna e d'ulive contentarsi.
Era il lor operoso e bel teatro
L'erbettaverdee le fere i lor greggi:
Loggiealte un quercoun pin frondoso ed atro
Che sciolti da' giudizi e dalle leggi
Ch'apoco a poco hann'or tanti argomenti
Epar che'1 mondo ancor non fi correggi
Viveano insieme al ben cornune intenti
Nonmeno che al privato oggi si soglia
Epotean di suo stato andar contenti.
Or non sa che si faccio che si voglia
Lagente sciocca e ciecae vive in fallo;
Nèdi sì grave danno è chi si doglia.
Che contra al buon costume han fatto callo
Gliuomini infermie del suo ben nemichi
Fattisiservi di Sardanapallo.
Non badate voi dunqueo cari amichi
Moveteandatee camminate drieto
Perl'orme impresse da' buon Padri antichi.
Che 'l tempo se ne va veloce e queto
Co'vostri giornianzi correanzi vola
Degl'ingannidel mondo altero e lieto.
O felice quell'almache s'invola
Priache la serao la notte l'aggiungi
Fuordi questa volgar misera scuola.
Dove s'imparacome l'uom s'allungi
Dalpregio veroe non chini la testa
Percercar stradache a buon porto aggiungi.
Qui tacquee come suolse in gran tempesta
Dormenocchierche dormendo non sente
Dolordella ruina manifesta:
Ma poichè nelle angoscie si risente
Evede il gran periglioe trema e duolsi;
Equesto è men ficuro e più dolente;
Così mi fè tremar le vene e i polsi
Verapaura delle cose conte
Poichè'n me stesso alquanto mi raccolsi.
Ella mirommie scorse per la fronte
Ilmio pensiersiccome gemma cara
Chesplendi sotto un vetroo fuor d'un fonte.
Poi disse sorridendo: assai m'è cara
Lacoscienzache così ti punge
Onde'l tuo buon voler mi si dichiara.
E se 'n cor giovanil valor s'aggiunge
Nonti smarrirfigliuol mioche ancor forse
Levostre voci s'udiran da lunge;
Questiche con un cenno ti soccorse
Nelmio venirquando la mente offesa
Tristavergogna di se stesso morse
Fia il tuo fido Piritoo: all'alta impresa
Movipur tu; che a luis'io non m'inganno
Piùdi te giàche di se stesso pesa.
Sicuri seco i tuoi giorni faranno
Felicii suoi con quella Ippodamia
CheMinerva e Diana cessa gli hanno.
Così dettoellae 'l sonno fuggir via.
SonettoX (XXXII)
Dunque son pur que' duo begli occhi spenti
Laddovepose ogni sua face Amore
Ondemosse lo straleonde l'ardore
Ch'arsee piagò tante anime dolenti.
Dunque a' più chiari e preziosi accenti
Chemai s'udiroalla beltàal valore
Postoè silenzioe fine in sì brev'ore
Allegrazieal costumiagli ornamenti.
Le Ninfe d'Adriain cui più non si mostra
Leggiadroeffetto senza la lor Dea
Sonquasi prato senza fiori ed erba;
E dicon: ben puoi gir morte superba
Chein un sol punto hai spento quanto avea
Dibello e di gentil la patria nostra .
SonettoXI (XXXIII)
Per tor in tutto agl'immortali il vanto
D'ognibeltàd'ogni real costume
Efar la terra omai senza il gran lume
Ciecapiena d'orrorcolma di pianto;
Con quel fuo negro e spaventoso manto
Ch'ognicosa mortal copre e rassume
Velòa Madonna l'uno e l'altro lume
Quellacrudelche 'l mondo teme tanto.
Così è mancato ogni tuo ricco fregio
Patriagentile del tuo grave danno
Fattaè compagna ogni lontana parte.
E quando fiache scarca dall'affanno
Tiveggia mai? che sì felice pregio
E'donche raro il ciel quaggiù comparte.
SonettoXII (XXXIV)
Se le sorelleche ne vider prima
Nascendolietevi dan fama e onore
Nonvi avesser disdetto quel liquore
Diche 'l mondo oggi fa sì poca stima;
Dato v'arei con qualche ornata rima
Piùspesso pegno del mio caldo Amore;
Mase io taccioè suonon mio l'errore
Ch'elledel mio poter son poste in cima.
Però fe pur talor avviench'io scriva
FalloAmornon Apolloche m'insegna
Com'anconel suo foco e lauro viva.
Qui i vedrete voi benche fera insegna
Seguechi amae già fu ch'io sentiva:
Oraal suo proprio mal l'alma s'ingegna.
Canzone XVIII (XXXV)
Una leggiadra e candida Angioletta
Cantara par delle Sirene antiche;
Altrepoi d'onestate e pregio amiche
Sederall'ombra in grembo dell'erbetta
Vid'iopien di spavento
Perch'essermi parea pur su nel Cielo
Taldi dolcezza velo
Avvolseil bel piacer agli occhi miei:
Egià voleva dir: sentite o Dei
Semprequelch'ora i sento
Quandom'accorsich'elle eran donzelle;
Tacciol'oneste parolette schive
Dafar innamorar un uom selvaggio;
Taccioquel presto e saggio
Sfavillardi due vaghe e chiare stelle
El'accorte novelle
E'l ballar prontoleggiadretto e nuovo
Delcui pensier pur sol lieto mi truovo.
Mal'atto dolce e strano
D'unapietosa mano
Inaltri fogli ancor convien ch'i scrive.
Amorcosì si vive;
Cosìaggrada il ferir di tua faetta;
Matroppo è breve ohimè quelche diletta.
Canzone XIX (XXXVI)
Come poss'io celato
TenerMadonnail focose l'umore
Ch'usciaper gli occhi foreè già mancato
Enon è chi difesa faccia al core?
Ches'egli avviench'Amore
Rinforziin me l'ardore
Morròvivendoe eterno fia 'l dolore.
Io non so giàche forte
Midesse il cielo allorquand'a soffrire
Pervoi venni in quest'aspra ed empia morte
Che'n vita provoe raddoppia il martire:
Almenpotessi io dire
Senzaperder l'ardire
S'avoi dispiaceo piace il mio morire .
Che seDonnae' vi spiace
Vederdel proprio albergo l'alma fora
Dalcor levate il foco aspro e tenace:
Ese vi piaceche mia vita ancora
Finiscainnanzi l'ora
fatech'io tosto mora:
Che'in doglia star non lice unche v'adora.
SonettoXIII (XXXVII)
Quel dolce avventuroso e chiaro giorno
Che'l mio lungo desio condusse a riva
Diriveder la mia terrestre diva
Chefa di se il ciel lietoe 'l mondo adorno:
Amorose faville all'alma intorno
Accendesìche 'n dubbio ès'ella viva
Mentrech'Amor di se vuol purch' io scriva
Orach'a lui così col pensier torno.
Però s'alcuna volta innanzi a lei
M'abbaglianquelle doi sue luci sante
Nèmi lascian ben dir quelch' i' vorrei;
Non maraviglia: che pur troppo avante
Ardisceallor; ma ella i pensier miei
Dase fa tuttie le mie ragion tante.
SonettoXIV (XXXVIII)
Guidommi Amor in parteond'io vedea
Quellache sol veder sempre vorrei
Specchiarsilietache dagli occhi miei
Efuor d'ogn'altra vista esser credea.
I' son pur bellaa se stessa parea
Soventedirper quel ch'io scorsi in lei:
Poique' suoi crini a me sì dolci e rei
Che'l vento sparsein bei modi accogliea.
Io che son troppo di tal vista ingordo
Lassocome non sopur mi scopersi
Ond'ellasi ritrasse vergognando.
Così in un punto ogni mio ben dispersi
Nè'l trovaiper andarlo ricercando:
Etremo ancorqualor me ne ricordo.
Canzone XX XXXIX)
Quel dìche gli occhi apersi
Permia fera ventura
Donnea mirar vostre bellezze in prima
El'ora ch'io soffersi -
Nècofa era più dura
D'ognimia libertate porvi in cima;
Poteaben morte con l'acuta lima
Romperdegli anni miei
Ilfilche gli attorcea
Nèpur torcer dovea
Pernon lasciarmi a dì sì oscuri e rei
Nèa sì penosa vita
Ch'ioardo sempree indarno chieggio aita.
Lassoben sapevo io
Cheperigliosa usanza
Eraad uom porre in donna ogni sua fede;
Maal cor già pien d'obblio
Porsetanta speranza
Ilvostro sguardoove mia mente siede
Cherattocome quelche troppo crede
Incontroal mio mal corsi;
Efu tanto l'inganno
Cheper maggior mio danno
Pocodi quel pensier vostro m'accorsi;
Nèposso ormai dar volta
Ch'ogniarbitrio e ragion m'avete tolta
Son al fin dei mio giorno
Ch'Amorvi fece accorta
Delstato mioche da voi sola pende
Festial cor vostro intorno
Dipietà fredda e morta
Unghiaccioche a' miei prieghi non si rende
Perchèal desioch'assai per se s'accende
Consì pietosi guardi
Giugnestiaperto foco;
Oarti! o fero gioco!
L'accorgermior del vostro inganno è tardi
Ch'Amor gli usati schermi
Toltom' ha tuttie lasciato il dolermi.
Nè però ch'io mi dogli
Quetaquel fero ardore
Ch'èin mequanto in orgoglio e scema e cresce;
Anzipar che raccogli
Nelcor per nuovo errore
Piùfiamma allorche più lamento n'esce;
Eperchè del mio mal nulla gl'incresce
Delvostro duro affetto
Conviench'io mi lamenti
Ondeperciò che i venti
Nonportanlassosempre ogni mio detto;
Tantapena ne sento
Cheper dolermi doppia il mio lamento:
Nè perch'io non m'avveggia
Oror del mio fallire
Volgola lingua a ragionar di voi;
Mal'almache vaneggia
Colpossente desire
Mispinge a quelch'è tutto suo mal poi;
Qual'erbeo arti maghe han forza in noi
Taccinl'antiche carte
Ch'ioson pur quale io soglio;
Econtro a quelch'io voglio
Conqua' voci non sonè con qual arte
Ase mi tira e mena
Questadel lito mio nuova Sirena.
E pur che 'n lei talora
De'miei lunghi martiri
Pietàscaldasse il fuo freddo pensiero
Nontorrei d'esser fuora
Degliusati sospiri
Pertrovar al mio corso altro sentiero;
Masdegno sotto suo concetto altiero
M'affliggein modo sempre
Ch'orbestemmio mia sorte
Orvo chiedendo morte
Chele mie acerbe voglie omai distempre;
Ellaparche non m'oda
Macon Madonna del mal nostro goda.
Canzonse fie persona
Cheper pietà t'ascolte
Diraiben quante volte
Ipiango quelche per te si ragiona.
Canzone XXI (XL.)
Debb'io mai sempre Amore
Viverlontan da quella
Ne'cui begli occhi impenni e spieghi l'ali?
Devràmai sempre il core
Lontandalla sua stella
Esseralbergo d'infiniti mali?
Sopurche molto vali
Quandoil fier arco tendi;
Peròse mai ti cale
Dimenè prego valse
Rendialla vista il vago obbiettorendi
Acciocch'iopoffa 'l viso
Mirarcui senzason da me diviso.
Che senza l'alma vista
Ioson come terreno
Ovenon scaldi il Solnegletto e incolto;
Ela mia vita trista
Sentovenirsi meno
Tantaè la dogliaov'io mi trovo involto;
Nèa me lo mondo tolto
Sìmi dorreicom'io
Viverlontan mi doglio
Daquellaper cui soglio
D'ogn'altravista aver eterno obblio:
Ch'unsuo bel sguardo solo
Diterra può levarmi in cielo a volo.
Deh dimmi Amorche fora
Senzalei la tua forza
L'arcogli sralie le facelle ardenti?
Le.tue quadrelle indora
Ilsuo chiar raggioe sforza
Seguirtile più sagge e salde menti:
Glisguardi suoi cocenti
Tidanno eterno impero
Sovra'mortalie puoi
Oprarciòche tu vuoi;
Talè virtù fra 'l vivo bianco e nero.
Fammidunque sentire
Comedinanzi a lei si suol gioire.
Fin qui son stato in vita
Sperandopur un giorno
SulMincio ritrovarmi alle grat'onde.
Orla mia speme è gita?
Chetroppo ahimè soggiorno
Eparch'eterna notte omai m'adombre;
Poitemo non si sgombre
Dalbianco e casto petto
Quellamemoriach'ivi
Talortu mi scolpivi
Quand'eraappresso al sommo mio diletto;
Chepria morir vorrei
Chedi me fusse obblioAmorin lei.
PeròSignorse brami
Ch'iosegua il tuo vessillo
Cuida culla seguir fui destinato;
Fache quest'occhi grami
Illimpido e tranquillo
Lumeconfortiche mi fa beato.
Chedico (ahi sfortunato)
Tantosperar non oso.
Maprego solche sia
Dinanzia lei la mia
Fedescolpitae 'l stato mio penoso;
Sequesto amor mi dai
Qualdolcezza pareggia li miei guai?
Questo bastar mi de' Canzon mia rozza
Sedel fervir mi fido
Nanzia begli occhi Amor compone un nido.
Canzone XXII (XLI)
Or che solingo sono
Fraquerceolmied abeti
Oved'Insubria il piano il Lambro inonda;
Benpotrò il roco suono
De'miei martir segreti
Scoprircol piantoche negli occhi abbonda;
SolEcho mi risponda
E'l fin de' mesti accenti
Sottoquest'ombre chiuda
Che'l cor mi trema e suda
Ch'altrinon oda i duri miei lamenti
Esia scoperto al mondo
L'altromio duol profondo.
Fuggite dunque augelli
Cheper le fronde andate
Ivostri dolci amor cantando ogn' ora.
Fuggitepesci snelli
Che'n questo gorgo state
Ebelle schiere di periglio fora
Che'l mio tormento fora
Forsecagion di darvi
Frale chiare acque pena
Ela vostra serena
Pacepotrei col mio gridar turbarvi;
Chel'aspro mio martire
Chil'odefa languire.
Dicoche poichè quella
Lasciaidi cui la vista
Quandos'innalzaal Sol i raggi adombra
Parmiche mi si svella
Delpetto il core trista
Siala mia vitatanto duol l'ingombra.
Nèmai da me si sgombra
L'altomartirche 'l giorno
Ebbial partirch'io fei
Quandosalir vedei
Negliocchi il piantoe mesto il viso adorno
Farsie così pietoso
Cheripensar non l'oso.
Che 'n mezzo a que' begli occhi
Cheson del mondo il Sole
Restaipartendo eternamente preso.
Chedove avvienche tocchi
Ilvago lumesuole
Legarogn'alma in vivo foco acceso;
Mapoi che m'è conteso
Queldolce fguardo umile
Nèvivo sonnè morto
Privod'ogni conforto
El'alma ha tolto di lagnarsi un stile
Cheper l'acerbe pene
Viepiù crudel diviene.
Di lagrimar mai sempre
Dunquecagion avemo
Almapiù non veggendo il nostro obbietto.
Peròfin che mi stempre
Mortenel giorno estremo
Umidigli occhi siane molle il petto:
Che'l sommo mio diletto
Èstar in pianto e doglia
Talche 'l giorno e la notte
Lelagrime interrotte
Mainon mi dianma sempre il cor si doglia
Ela penosa vita
Piùnon ritrovi aita.
Ahi lassos'io sapea
Senzai begli occhi suoi
Moriril dìche 'l Mincio abbandonai
Ildìche mi tenea
Gliocchi negli occhie poi
Sospirandioasciugava i dolci rai;
Ionon moria giammai
Otal fentiva gioia
Quivimorendo il core
Chel'alma a uscir di fore
Sentirnon mi lasciava alcuna noia;
Ch'innanzial suo bel viso
Nonmor chi 'l mira fiso.
Maperchè sempre stanzi
Novoduol mecoond'io
Nonfperi aver mai più tranquillo stato
Nonpote a lei dinanzi
Partiril spirto mio
Ch'allorpartendo si partia beato;
Orlasso travagliato
Sonodal Mincio lunge
Nèdi vederla spero:
Cosìmi molce Amorcosì mi punge;
Estommi travagliando
Temendoardendoamando.
Mesta Canzonch'in ripa al Lambro fosti
Tralagrime raccolta
Quiresterai sepolta.