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POEMIITALICI
ADALFREDO STRACCALI
AFEDELE ROMANI
AGIOVANNI SETTI
SANTICUORI CHE NON BATTONO PIU'
NOBILIMENTI CHE PENSANO ANCORA
DOLCIMEMORIE CHE RESTERANNO
SEMPRE
CapitoloI
Inprima come Paulo dipintore fiorentino s'invogliò d'unmonachino o ciuffolotto e non poté comprarlo e allora lodipinse.
Dibuona ora tornato all'abituro
Paulodi Dono non finì un mazzocchio
ch'egliscortava. Dipingea sul muro
unmonachino che tenea nell'occhio
dallamattinache con Donatello
eser Filippo era ristato a crocchio.
Quellicompravan uova. Esso un fringuello
ingabbia videdietro il bancorosso
cinabroil pettoe nero un suo mantello;
neroun cappuccio ed un mantello indosso.
Paulodi Dono era assai trito e parco;
malo compravase ci aveva un grosso.
Manon l'aveva. Andò a dipinger l'arco
diporta a San Tomaso. E gli avveniva
didire: E` un fraticino di San Marco.
Netornò presto. Era una sera estiva
pienadi voli. Il vecchio quella sera
dimenticòla dolce prospettiva.
Dipingeacon la sua bella maniera
nellapareteal fiammeggiar del cielo.
Eil monachino rossoeccolì era
posatosopra un ramuscel di melo.
CapitoloII
Dellaparete che Paulo dipingeva nella stanzuolaper sua gioiacon alberie campi in prospettiva.
Chéla parete verzicava tutta
d'alberi:pini dalle ombrelle nere
efichi e meli; ed erbe e fiori e frutta.
Esìmeraviglioso era a vedere
chebiancheggiava il mandorlo di fiori
egialle al pero già pendean le pere.
Lustravanonel sole alti gli allori:
suruna bruna bruna acqua di polle
l'ederaandava con le foglie a cuori.
Sorgevain fondo a grado a grado un colle
ogremito di rosse uve sui tralci
onereggiante d'ancor fresche zolle.
Lentilungo il ruscello erano i salci
lunghiper la sassosa erta i cipressi.
Quazappe in terra si vedeanlà falci.
Equa tra siepi quadre erano impressi
dirittisolchi nel terren già rotto
elà fiottava un biondo mar di messi.
Elàstuporedue bovi che sotto
ilgiogo aprivan grandi grandi un solco
noneran grandi come era un leprotto
quache fuggiva a un urlo del bifolco.
CapitoloIII
Comein essa parete avea dipinti d'ogni sorta uccelliper dilettarsi invederlipoi che averli non poteva.
Euccelliuccelliuccelliche il buon uomo
viavia vedevae non potea comprare:
perterrain acquapresso un fiore o un pomo:
colciuffocon la crestacol collare:
uccelliusi alla macchiausi alla valle:
scesidal montereduci dal mare:
conl'ali azzurrerosseverdigialle:
dinevefuocoterraariale piume:
conentro il becco pippoli o farfalle.
Stormidi gru fuggivano le brume
schieredi cigni come bianche navi
fendeanol'acqua d'un ceruleo fiume.
Venianosparse alle lor note travi
lerondini. E tubruna aquilaa piombo
dalcielo in vano sopra lor calavi.
Ellaera lìpur così lungi! E il rombo
delsuo gran volonon l'udian le quaglie
nonl'udiva la tortore e il colombo.
Sicurisulle stipe di sodaglie
tranquillisu' falaschi di paduli
stavanorosignoliforapaglie
cincieverleluìfifecuculi.
CapitoloIV
Comemirando le creature del suo pennello non disse l'Angelus e futentato.
Poiche senza né vischio ebbe né rete
anchenella stanzuolail ciuffolotto
Paulomirò la bella sua parete.
Enon udì che gli avea fatto motto
lavecchia moglie; e non udì sonare
l'Avemariadal campanil di Giotto.
Lecreature sue piccole e care
miravail terziario canuto
nellaserenità crepuscolare.
Enon dissecom'era usoil saluto
dell'angelo.Saliva alla finestra
unsuono di vivuola e di leuto.
Chiarala seral'aria era silvestra:
regamoe persa uliva sui balconi
egiuncava le vie fior di ginestra.
Passeriarguti empìan gli archi e gli sproni
incominciatidi ser Brunellesco.
Cantavanolaggiù donne e garzoni.
C'eratanto sussurro e tanto fresco
intornoa teSanta Maria del fiore!
EPaulo si scordò Santo Francesco
efu tentatoe mormorò nel cuore.
CapitoloV
Dellamormorazione che fece Pauloil quale avrebbe pur voluto alcunuccellino vivo.
Pensava:"Io sono delle pecorelle
MadonnaPovertàdi tua pastura.
Equi non ha né fanti né fancelle.
Evivo di pan d'orzo e d'acqua pura.
Evo come la chiocciola ch'ha solo
quelloch'ha secoa schiccherar le mura.
Oh!non voglio un podere in Cafaggiolo
comeDonato: ma un cantuccio d'orto
sìcon un peroun meloun azzeruolo.
Ch'egliè purcredoil singolar conforto
uncapodaglio per chi l'ha piantato!
Basta.Di beneio ho questo in iscorto
dipintoa secco. E s'io non son Donato
sonprimo in far paesialberie sono
purda quanto chi vende uova in mercato.
Oraal nome di DioPaulo di Dono
stacontentopoderiortia vederli:
maun rosignolo io lo vorrei di buono.
Unodi questi picchi o questi merli
incasache ci sianon che ci paia!
unuccellino verouno che sverli
emi consoli nella mia vecchiaia".
CapitoloVI
Comesanto Francesco discese per la bella prospettiva che Paulo avevadipintae lo rimbrottò.
Cotalefu la mormorazione
sommessain cuore. Ma dagli alti cieli
l'inteseil fi di Pietro Bernardone.
Eccoe dal colle tra le viti e i meli
SantoFrancesco discendea bel bello
sull'erbasenza ripiegar gli steli.
Erascalzoe vestito di bigello.
Edi lungevenendo a fronte a fronte
diceva:"O frate Paulo cattivello!
Dunquetu non vuoi più chepresso un fonte
deltuo pezzuol di pane ora ti pasca
laPovertà che sta con Dio sul monte!
Nonvuoi piùfrate Paulociò che casca
dallamensa degli angelie vorresti
danaroe verga e calzamenti e tasca!
OPaulo uccellosii come i foresti
fratellituoi! Ché chi non hanon pecca.
Nondisfare argentoorodue vesti.
Buonaè codestacolor foglia secca
talequal ha la tua sirocchia santa
lalodolettache ben sai che becca
duegrani in terrae vola in cieloe canta".
CapitoloVII
Comeil santo intese che il desìo di Paulo era di poco ed ei glimostrò che era di tanto.
Cosìdicendo egli aggrandìa pian piano
egli fu pressoe con un gesto pio
glipose al petto sopra il cuor la mano.
Nonvi sentì se non un tremolìo
d'aled'uccello. Onde riprese il Santo:
"Ofrate Paulopoverel di Dio!
E`poco a te quel che desiima tanto
perl'uccellino che tu vuoi prigione
perchégioia a te faccia del suo pianto!
E'bramerebbe sempre il suo Mugnone
oil suo Galluzzoin cui vivea mendico
dandoper ogni bruco una canzone.
Ofrate Pauloin verità ti dico
chemeglio al bosco un vermicciòl gli aggrada
chein gabbia un alberello di panico.
Lascialiandare per la loro strada
cantandolaudiil bel mese di maggio
odoratidi sole e di rugiada!
A'miei frati minori il mio retaggio
lascia!la dolce vita solitaria
imontila celluzza sur un faggio
ilchiostro con la gran cupola d'aria!"
CapitoloVIII
Comeil santo partendosi da Pauloche pur bramava sì piccola cosadisse a lui una grande parola.
Partivarialzando ora il cappuccio:
chécon l'ignuda Povertà tranquilla
Pauloavea pace dopo il breve cruccio.
LasciavaPauloal suono d'una squilla
lontanaquando quel tremolìo d'ale
d'uccellovide nella sua pupilla.
Nelagrimòché ben sapea che male
nonera in quel desìo povero e vano
ch'unicoaveva il fratel suo mortale.
Venìaquel suono fievole e lontano
disquillalì dai montida un convento
chePaulo vi avea messo di sua mano.
Venivail suono or sì or no col vento
daimonti azzurriper le valli cave;
ecullava il paese sonnolento.
SantoFrancesco sussurrò: "Di' Ave
Maria";poi senza ripiegar gli steli
moveasull'erbae pur dicea soave:
"Seicome uccello ch'uomini crudeli
hannoaccecatoo dolce frate uccello!
Ecerchi il solee ne son pieni i cieli
ecerchi un chiccoe pieno è l'alberello".
CapitoloIX
Comeil santo gli mostrò che gli uccelli che Paulo aveva dipintierano veri e vivi anch'essie suoi sol essi.
Elontanando si gettava avanti
amo' di pio seminatorle brice
caduteal vostro descoangeli santi.
Pauloguardavatimidoin tralice.
Lemiche egli attingeva dallo scollo
delcappuccioe spargea per la pendice.
Eccoavveniva un murmureuno sgrollo
difogliecome a un soffio di libeccio.
Scattòil colombo mollemente il collo.
Silevava un sommesso cicaleccio
finche sonò la dolce voce mesta
dellefedeli tortole del Greccio.
Dalcampodal verzierdalla foresta
sceseroa lui gli uccelliai piediai fianchi
ingrembosulle bracciasulla testa.
Venneroa lui le quaglie coi lor branchi
dipiccolinia lui vennero a schiera
sull'acqueazzurre i grandi cigni bianchi.
Esminuivae già di lui non c'era
suimontiche cinque stelline d'oro.
Ecome bruscinar di primavera
rimaseun trito becchettìo sonoro.
CapitoloX
All'ultimocome cantò il rosignoloe Paulo era addormito.
Epoi sparì. Poicome fu sparito
l'usignolocantò da un arbuscello
echiese dov'era ito... ito... ito...
Nestormì con le foglie dell'ornello
nesibilò coi gambi del frumento
negorgogliò con l'acqua del ruscello.
Etacque un pocoe poi sommesso e lento
neinterrogò le nubi a una a una;
poicon un trillo alto ne chiese al vento.
Epoi ne pianse al lume della luna
biancasul gretotremula sul prato;
chealluminava nella stanza bruna
ilvecchio dipintore addormentato.
ROSSINI
PRELUDIO
Disghembo entròcantarellando roco
nellasua stanzae s'avviò pian piano
allafinestra. Avevadentroil fuoco.
Nellavia scuraormai desertaun coro
ebbroe discorde si perdea lontano.
Mail cielo pieno era di note d'oro.
Erala Liraappesa al cieloin riva
dellaGalassiasovra il monte santo.
Alsoffio eterno ella da sé tinniva.
Alsuo tinnir cantava il Cigno immerso
nell'ondebianchee col suo grande canto
placidonavigava l'Universo.
Mano: Rossini non udia che quelle
vociebbre e scabre. L'uggiolìo terreno
velavatutto il canto delle stelle.
Preseuna carta e la lasciò cadere.
S'alzòsedénon la guardò nemmeno.
Lacarta piena era di note nere.
Imprecòmuto. Minacciò per aria
Otelloe Iago. Prese un foglioe disse:
"Chealtro occorre? una romanza? un'aria?
Assisaa piè..." Risee piantò nel cielo
dellasua stanza due pupille fisse.
Pensavaa un roseo fiore senza stelo...
Poisbadigliòpoi chiuse pari pari
gliocchie nella dolcezza di quell'ora
dormìsbuffando il sonno dalle nari.
Queglistridori come d'aspra sega
stupìla Lira risonante ancora
delcilestrino tremolìo di Vega;
esobbalzò dall'angolo solingo
ilclavicembaloe ronzava a lungo...
CANTOPRIMO
I.
Esi levò la Parvoletta in pianto.
Piangeala povera animae mirava
ilsuo fratello rauco gramo franto...
"Setu crescestisequal eroio resto
piccolaperché farne la tua schiava
dime che nacquitu lo saipiù presto?"
Piangeala semplice anima fanciulla:
"Sonopiù grande! Quando tusmarrito
delmondo immensopigolavi in culla
ioera làtra l'ombre mute e sole
fuiio che il tenero umido tuo dito
guidaiver' gli occhi di tua madre e il sole!
Fuiio che primaper un tuo gran male
tidissiSt! ascolta!... Una soave
neniasonava presso il tuo guanciale.
Etu la udistie ti chetaviattento
attentodi sulla tua lieve nave
cheuguale uguale dondolava al vento...
Ioche cosìcon una piumail viso
tivellicaiche tu torcesti alquanto
lelabbrae nacque il primo tuo sorriso!
Ioche picchiando sulla sponda un giglio
battevoil tempoe tu movesti al canto
laboccae nacque il tuo primo bisbiglio!
Ioche giraiper darti gioiail talco
d'unastellinache agitai gli squilli
d'unsistroonde stridivi come un falco
dinido; e quandosoloin mano a Dio
restavia serain casacoi gingilli
tuoibono bonoera che c'ero anch'io!"
II
Lagrimesalse le piovean dagli occhi.
Piangeala povera animauna mano
sultenue seno e l'altra sui ginocchi.
"Oh!la tua buona Parvolache chiudi
solalaggiùnel carcere lontano
pienodi spettri e di fantasmi nudi!
Emi spaurachiusa in fondo anch'ella
comeson chiusa io così pura e saggia
fragranteancora dell'odor di stella
laBestiaahimè! che mangia e ringhia e freme
soprail presepee scalpita selvaggia
tuttala notte! Noi vegliamo insieme
laBestia e io! così che i dolci modi
cheti cantaiche andavi zingarello
difiera in fieraora non più tu li odi.
Allorsul carroio ti mutava in note
d'unaviola e d'un violoncello
lostrido assiduo delle trite rote.
Acuicrescendos'aggiungean fanfare
ditrombe e corniedeccoun infinito
corodi voci alte nel cielo e chiare.
Giungevasempre più canoro il nembo
soprail tuo capo pendulosopito
ch'allortua madre s'accostava al grembo.
Passavail nembolontanava l'inno
conle grandi ali tremole e sonore
lasciandoalfine un soldi sétintinno
pianopiù piano... era dell'arpa mia...
etu la udivi con l'orecchio al cuore
dellatua madreper la lunga via..."
III
Poidisse: "Pensa al giornocosì lento
quand'erimesso a lavorare il ferro.
Movevitu da striduli otri il vento.
Equattro fabbri mezzo neri e nudi
traeanoil masso dal carbon di cerro
elo battean sull'echeggiante incudine.
Erocon te. Battevo lieve l'ale
assecondandoquell'ansar concorde
equello squillo de' martelli uguale.
Toccavoun poco l'arpa tra il lavoro
sonantee il suono tu delle mie corde
udivisotto il muto gesto loro.
Ionel gran bosco ch'urla al nembo ignoto
foche tu senta il canto d'un uccello
chegonfia il collo ed apre il becco a vuoto.
Iofo che in mezzo ad un crosciar di frane
edi valanghelàd'un paesello
soavie piane oda le tre campane.
Ioper te colgo il suono d'ogni cosa.
Sututte io picchio le mie tenui dita
stelledel cielo o petali di rosa.
Ditutte io sento il dolce flutto occulto
ilcadenzato palpito di vita
lagioia e il piantoil riso ed il singulto.
Etu mi scacci! E chiudi me che volo!
chesenza meper te sarebbe il mondo
tuttosilenzio! un grande fragor solo!
Manon so cometutto quel fragore
interminabileio te lo nascondo
dietroil ronzio d'un'ape attorno un fiore".
Parlava;e l'altro udiva in sogno; anch'esso
ilclavicembalo; e fremea sommesso.
CANTOSECONDO
I
LaParvoletta volse gli occhi muta
allesue stelle. Erano nuove ancora
ancoraansanti della lor venuta:
comequand'ella dirigea la prora
traqueste e quellestando presso al bianco
timoniercauto che attendea l'aurora;
oquando sola era a vegliar tra il branco
edi pastori: ella sentìa crosciare
lefoglie secche ad un mutar di fianco.
Solavegliava la crepuscolare
piafanciulletta sulla terra oscura
solettasull'irrequieto mare.
Miravain altoalta gentile e pura.
Edera pieno anche lassù d'erranti
navisull'ondegreggi alla pastura;
dilenti carrid'uomini giganti
pienodi draghipieno di chimere;
erisonava anche lassù di pianti.
Vedevadietro sartie nere o nere
querciepassare il cielo a poco a poco.
Nasceanle stelle al puro suo vedere.
Poisi spegneano come in terra il fuoco.
Raggiavaallora qualche striscia viva
comegli stami dentro fior di croco.
Eral'eternamente fuggitiva...
-Son come te: la prima: avanti giorno:
roridae fresca anche nell'afa estiva -
diceafuggendo. - Fuggo sìma torno
sempre!- Ed il sole ecco appariva truce
esolo; e tutticon un guardo intorno
traevadietro il gran carro di luce.
II
Esi scoprivail mondoa lei! Ma quanto
ellavedevaella volevapiena
dimeravigliae lo chiedea col canto.
Tuttochiedeva l'esile Sirena
condolci lodi: ancheprendeva andando
unaconchiglia od uno stel d'avena;
evi soffiava l'alito suo blando
checiò che amava e trascorrea veloce
sostasseun pocoudisse il suo dimando.
Tuttofluiva verso la sua foce.
Ellaascoltavaella cantava a prova
gittandolor di terra la lor voce.
Inmezzo a tanta meraviglia nuova
eraquaggiù come l'uccelloattento
daun ramo o di sulle sue tepide ova:
studiae rifà le querule acquee il vento
cupoe la pioggia stridulaenel fine
losgocciolare cristallino e lento
ilcrepito di scorze aspre e di pine
isussulti dell'eco ultimiil frale
fruscìodi frondi e sgrigiolìo di brine;
cheimpara a volo il sibilo dell'ale
suestesse aperte... Anch'ellasìla romba
dell'alesuela vergine immortale!
Fermavail volo sopra la sua tomba
tremulo;appiègli accordi avea del mare
chesciacquastridesquillaurlarimbomba.
Cantavaellachiamando al lor passare
losciamea sédegli attimi disperso
enel ronzante piccolo alveare
liberoe suochiudeva l'Universo!
III
Edora è ancoral'esile fanciulla
quellache fu. Tutto le par novello.
Ancornon parla: canta; e non sa nulla.
Tuttoè fanciullotutto è suo gemello
natocon lei; perciò le piacee l'ama;
eperché l'amaè così buono e bello!
Ell'èterrena verginetta grama
mail sole è pure della sua famiglia;
equando valo piange e lo richiama.
Sboccianodoposotto oscure ciglia
occhiridenti. Sono le sue suore;
tuttala notte ella con lor bisbiglia.
Qualcunascende fino a lei: ne muore.
Male ritrova in mezzo alle corolle
essadei fioriancor tremanti il cuore.
Trafiori e fioriin cielo e in terramolle
diguazza anch'ellamuove tra il frastuono
de'quattro fiumiall'ombra del bel colle.
E`il tempo primoil primo tempo buono
ch'èbuona anche la Morte che deforme
seguela vita come l'eco il suono.
Buonaanche leila nera ombra senz'orme
lavecchierella che sa dir le fole
tristabensìma che con quelle addorme!
Ognunla schifa. E la fanciulla suole
benchéla temaesserle pia: s'attarda
spessoa sentire lunghe sue parole:
-C'è buiosì. Non c'è che un lumech'arda.
Sonio la guida del meandro vano;
iocieca. E brutta... Non guardarmi! Guarda
soloil lumino. Io vo con quello in mano. -
CANTOTERZO
I.
Fiorivail cielo azzurro già di stami
difior di croco. "Io era innamorata
ditema tuche amainon mi riami!
T'amaipiù che nessunopiù che tutti.
Doniti feci meglio che una fata:
manon li prendi: a' piedi te li butti!
Fuila tua schiava e t'ebbi come sire;
eppurti fecipovera fanciulla
doniimmortali: e tu li fai morire!
Iot'ho donato i canti dell'aurora
quandosbocciava il tutto sudal nulla:
eppureal mondo niuno li ode ancora!"
Piangeala pura vergine: "Io so molti
moltialtri cantima perché li canto
setu sei come un mortoe non m'ascolti?
Ione so uno così tristo e pio
dolcecome l'amore dopo il pianto...
Matu non oditu non mi amiaddio!
Iovoglio andaree più con te non resto.
Cheè? Gli occhi mi pungono. Non voglio...
Salice!Salice! oh! il mio canto mesto!
Unvecchio canto. E non l'udraimio bene!
Esembra fatto per il mio cordoglio.
Equesta notte sempre al cor mi viene.
Cantateil verde salice! Non t'amo
chét'amo sola. E sola io parto. Avanti
purmi farò ghirlanda d'un suo ramo.
Enon so fare ch'io non pieghio caro
daun lato il capoe che tra me non canti
ilvecchio canto dell'amore amaro..."
II
Ecco...le stelle chine sullo stelo
sirichiudean nei bocci rosa ed oro:
trascoloravain oro e rosa il cielo...
l'uomola vide! Ella sedeva in riva
d'unruscel frescopresso un sicomoro.
L'acquagemeval'albero stormiva.
Edelle stelle aperte era la bella
sola.Il suo florido alito lontano
giungevaall'aspra terraalla sorella.
Allafanciullale cadea dagli occhi
dentroil ruscello il pianto. Ed una mano
teneasul petto e il capo sui ginocchi.
Eranoi suoi sospiri che le fronde
faceanbrusiree le lagrime amare
faceanor sì or no risonar l'onde.
Comeera grandeil suo doloree grave!
Maella lo sentiva tramutare
inun accordo tinnulo e soave.
Ellapiangea l'aurora senza giorno
ellapiangea l'amore senz'amore
ela felicità senza ritorno.
Piangevasotto il sicomoroin riva
delbel ruscello. Al grande suo dolore
l'acquacantaval'albero brusiva.
Soltantoluce ed ombra era a mirarla
ela sua voce era esiledi morta
dimorta quando torna in sognoe parla.
Aprivaun po' le palpebre come ali
d'unafarfallaun po' la bocca smorta:
salice...salice... salice...
III
Ebalzò sucome di sé stupita
elevò alto e vie più alto un canto
toccandol'arpa con le lievi dita.
Filòguizzò nel cielo azzurro ed oro
ilpuro canto e rimbalzò rinfranto
inun immenso singultìo sonoro.
Sfavillò.Si spegneva... era già spento
No:riviveva e distendea le bianche
alinel cielo e palpitava al vento.
Risalivacon palpiti e sussulti
altopiù altoper rinfrangersi anche
inun'ondain un'ansia di singulti.
Gridò.Morì. Sola le cristalline
lagrimel'arpa ora stillava; quando
risorsela dolcezza senza fine
ripreseil cantoalto tra cielo e mare
aplorar fortead implorare blando
spezzarsiunirsisospirareansare;
ungridoe pace. Ecco le goccie d'oro
tinnirsull'arpadalle corde mosse
diquell'acuta gioia di martòro;
eil canto alzarsi e i palpiti argentini
pioveregiùpoi risalire a scosse
aspiria strida...
Ebalzò suRossini.
Tacital'albatacita la strada.
Sulmare alcune lievi nubi rosse.
Soprala terra fresco di rugiada.
Ronzavaquella voce di preghiera
edi dolorequasi ancora fosse
conlui la povera anima; e sìc'era!
Molledi piantoegli percosse i tasti
tuoiclavicembaloe tu palpitasti...
ASSISAA PIE` D'UN SALICE...
I
ICercavasempreed era ormai vegliardo.
Cercavaancoraal raggio della vaga
lampadain terrala caduta dramma.
L'avrebbeforse ora così sorpreso
conquella fioca lampada pendente
egliel'avrebbe con un freddo soffio
spentala Morte. E presso a morte egli era!
eDio gli disse: "Io già non venni a pace
metterein terra; pace noma spada.
Vennia separar l'uomo da suo padre
figlida madresuocera da nuora.
Isuoi di casa l'uomo avrà nemici".
EDio soggiunse: "Non cercare adunque
ciòche le genti cercano; ma il regno
cercadi Diocerca la sua giustizia!
Népensare al dimani: essoci pensi.
Adogni giorno basta la sua pena".
EDio gridò: "Chi ama padre o madre
sumenon è degno di me. Chi ama
piùdi mefiglio o figlianon è degno
dime. E chi non prende la sua croce
esegue menon è degno di me".
Ede' vestì la veste rossa e i crudi
calzarimisee la natal sua casa
lasciòlasciò la saggia moglie e i figli
eper la steppa il vecchio ossuto e grande
sparì.Tra i peli delle ciglia gli occhi
ardeanocupi nelle cave occhiaie
egli sferzava intorno al viso il vento
labianca barba. Tra le betulle irte
andavacurvo sul bordoneed aspra
scrosciavasotto il grave piè la neve.
Ementre andavaa lui più forte il cuore
undì batté; spicciava dalla fronte
ghiacciail sudore ed anelava il petto.
Ond'eisostò nella nevata steppa
inun crocicchioin mezzo a grandi selve.
Echiuse gli occhi sotto i fili d'erba
dellesue ciglia. Ma li aprì stupito...
II
Esi trovò sotto un pallor d'ulivi.
Eduna voce udì soave accanto:
"FrateLeoneDio ti benedica".
Edera un poverelloch'avea rotta
latonica e il cappuccio ripezzato
escalzo andavacon la tasca al collo
sospesacinto d'un capestro i fianchi.
Eranointorno strida di cicale
cantid'uccelli in chiarità di sole.
Eil poverello disse al pellegrino
così:"Frate Leone pecorella
bentu scrivestiove è perfetta gioia.
Quandogiungiamo al nostro loghicciolo
SantaMaria degli Angelie la porta
picchiamoed esce il portinaioe dice:
-Chi siete voi? - Siam due dei vostri frati -
ecolui dice: - Voi non dite vero;
andateviache siete due ribaldi -
senoi gli obbrobri sosteniamo in pace;
frateLeoneivi è perfetta gioia.
Ese picchiamo ancoraed egli ancora
escee ci caccia con gotate e dice:
-Partitevi indio vili ladroncelli! -
sequesto ancora noi portiamo in pace;
frateLeoneivi è perfetta gioia.
Eseda fame stretti purpicchiamo
ein pianto e per l'amor di Dio preghiamo
edegli esce e ci batte a nodo a nodo
conun bastonee noi soffriamo in pace;
frateLeoneivi è perfetta gioia.
Eperò scriviche se il male al mondo
restasoffrirlo è meglio assai che farlo;
meglioche dareè che ti diano; meglio
giacerAbelche stare in piè Caino.
Eperò scriviche non è nel mondo
pregiomaggiorech'essere dispetti
esomigliarein anco noi volere
beffegotateverghefiele e croce
all'uomoin terra ch'era Dio nei cieli".
III
Eper la via moveano i due più oltre.
Eli seguivaa bocca apertaun lupo
grandepeloso. E ne vedeva l'ombra
ilpellegrinoe lo credè venuto
dietroi suoi passi dalla bianca steppa.
Mail poverello: "È frate Lupoun lupo
ch'eraomicida pessimoe la terra
gliera nemica; ma gli accattai grazia
efeci dar le spesech'io sapeva
chetutto il male lo facea per fame".
Cosìdicendo il poverelloil lupo
chiusela bocca che teneva aperta
peranelaree mosse un po' la coda.
Eper la via moveano i due più oltre.
Ela campagna piena era d'uccelli
lietidel sole; e il poverello disse:
"FrateLeonenella via m'aspetta
tantoche un poco io predichi a gli uccelli".
Entrònel campoe cominciò da quelli
ch'eranoin terra; e subito a lui tutta
vennela moltitudine infinita
chev'eradi su gli alberi; ed insieme
coglieanoil frutto delle sue parole
aprendoi becchidistendendo i colli
movendol'alie; e quando fine e' pose
inschiera su frullarono cantando.
Eper la via moveano i due più oltre.
Edun mendico venne loro incontro
echiese loro carità d'un pane
perDio; ma il poverello nella tasca
nonavea panee n'era assai dolente.
Maun libro aveach'era il sol che avesse
ede' lo prese dalla tascae diello
all'uomdigiunoe: "To'" gli disse "e vendi
questoa chi vogliapoi ch'a me non giova:
ecompra panee Dio ringrazia e loda".
Equesti prese il libricciolo e corse
versouna terraper mutarlo in pane.
E'l libro era il Vangelo di Gesù.
IV
Nellacittà rissavano i maggiori
edi minori; e gli uni avean le spade
glialtri i pugnalied erano di cenci
questicopertie que' vestian di ferro;
gliuni più forzagli altri avean più odio.
Edai minori si mescean le donne
fortestrillanti e i figlioletti ignudi.
Equelle labbra quasi rosse ancora
delbere al pettoimpallidian già d'ira.
Edagli obbrobri si veniva al sangue.
Eil poverello si gettò nel mezzo
agl'infeliciferro fosse o cenci
lorvestimentoavessero più forza
ovverpiù odioe per il santo amore
equesti e quelli scongiuròch'è Dio.
Epregò tuttipoveri e banditi
servie padroniartieri ed aratori
verginie sposegiovani e vegliardi
malatie sanigente d'ogni lingua
uominid'ogni parte della terra
quelliche sonoquelli che saranno
lipregò tuttiesso minor di tutti
distar unitidi formar un solo
unsolo in terracome un solo è in cielo.
Cosìpregava e caddero le spade
edi pugnalie ruppero in singulti
uominie donnee gli uomini di ferro
prendeanin collo i cattivelli ignudi
cheognun vedesse tra la turba il Santo.
Etutti insiemetese al ciel le mani
davanolode a Dio ch'aveano in cuore
chemai non mutacui non vede alcuno
néalcun comprendedolcealto... e la terra
tuttaecheggiava Amore! Amore! Amore!
Mail Santo volto al suo compagno: "Frate
Leone"disse"or va per altra via
chéa me conviene ora fuggir celato..."
Esparve. E l'altro uscito dalla terra
andòramingo per ignote strade.
V
Esi trovò nel mezzo a una pineta.
Mistod'incenso v'era odor di mare.
Udìlontano un suono di compieta.
Piangerparea la squilla il dileguare
adoccidente d'assai più che un giorno!
Elà tra il nero era un lucor d'altare.
Pareala selvaun tempio. E quando intorno
tacquela squilla solaecco dei pini
s'udìl'aereo murmure piovorno.
Stridianosulle stipe e sugli spini
tremulii grillie rispondean le rane
aquando a quando di su gli acquastrini.
Enotte vennee fu tutt'ombre vane
l'anticaselvae risonò di rotte
gridadi fiere e forse voci umane.
Unosfrascareun galoppare a frotte
ungrido acutoe poi silenzio ancora
el'ansimare solo della notte.
Esorse il lume d'una strana aurora
notturnache le strigi vagabonde
fecefuggir con muti voli anzi ora.
Trascoloròsotto le pallide onde
iltempio immenso con veloci fiumi
edalte guglie e cupole rotonde.
Eil pellegrinoin mezzo al lento fumi-
garedi luce vivida e spettrale
unuomo vide lento errar tra i dumi.
Venivadal gran Carro boreale.
Solcatod'ombre era il suo volto macro
efisso l'occhioe sempreil passouguale.
Egliavanzava per il luogo sacro
traun'infinita fuga di colonne.
Loaccompagnava il suono del lavacro
delmare eterno... di quell'altro insonne!
VI
Evide il vecchioe gli mormorò: "Pace".
Eil vecchio scosse il capo: "Andailontano
peraver leida tutto ciò che piace!"
"Iofui cacciato": mormorò il silvano.
Epoi soggiunse: "e mi sbalzò sul flutto
d'ogniprocella il folle vento vano.
Cosìmostrai le piaghe mie per tutto.
Altronon fui che pianta di mal orto
piantasilvestra senza fior né frutto.
Ame fu questo che tu vediil porto.
Perquesta selva m'aggirai cattivo
elasso e tristo e cieco e nudo e morto.
Mortonon purma come non mai vivo.
Erail mio nome per fuggir disperso
qualfoglia secca su corrente rivo.
DANTEil mio nome. Ero nel nulla immerso
quandoguardato in viso la ventura
sorsie descrissi tutto l'universo.
Descrissil'uomoe il sonno nell'oscura
selvae il risveglioe l'apparir di fiere
l'unache attraela coppia che spaura.
Miseppellii sotterra per vedere.
Vidiné vivi i più né mortividi
gliuomini bestie e l'anime più nere.
Ebbrodi laid'urlidi guaidi gridi
milasciai sotto capovolto il male
egiunsi a santi solitari lidi.
Aun santo monte su per aspre scale
saliidove la pena era gioconda.
Gliangeli ventilavano con l'ale.
Nelfuoco entrai. N'ebbi la vista monda.
Entrailà dove bene è ciò che piace
el'uomo oblìapoi si rinnovaall'onda
disacre fonti. E ritrovai la pace".
VII
Poidisse: "Ritrovai la beatrice".
Eil vecchio parve domandar qual era
quelmontelungidov'è l'uomfelice.
Spiravaun'aura placida e leggiera
chescivolava sopra i larghi pini
recandoodor di mare e primavera.
Econ sommessi sibili tra i crini
irtisoffiavae giù garrian gli uccelli
nell'ombraneragl'inni mattutini.
Giàsi vedean fioriti gli arboscelli
appièdei pinie l'acqua bruna bruna
movevalàdi limpidi ruscelli.
Eil vincitore della sua fortuna
disse:"Non mossi il piè di qui. Del pianto
odella gioiaquesta selva è una".
Sorgevail sole; e più che dolceintanto
trail sibilare de' chiomati rami
fral'infinito rompere del canto
degliuccelletti e il rombo degli sciami
eil singulto dell'acque andanti e l'almo
odordelle viole e de' ciclami
accompagnatodal respiro calmo
delmare eternosu per la pineta
venivail suono d'un eterno salmo.
VenìaMatelda lieta oprandolieta
cantandocon sue pause per un fiore
sempremovendo verso il suo poeta.
Orala selva antica dell'errore
edell'esilio e d'ogni trista cosa
splendeadi gioia e sorridea d'amore.
Dall'orienteacceso in color rosa
cintad'ulivo sopra il bianco velo
perennementea lui scendea la sposa
pertrarlo in altoal Libano del cielo.
VIII
Esi trovò tra massi di granito
ilpellegrinoirsuti di lentisco
edi gineproe v'odorava il timo
el'acre menta e il glauco rosmarino
daifior cilestri. E vi s'udìa lo zirlo
deitordi e il trillo delle quaglie e il fischio
deimerli. E sparso era un armento bigio
d'onagri.E stavasopra un masso a picco
biancauna vacca avanti il mar tranquillo.
Edera quella un'isola selvaggia
congrande odor di regamo e di salvia.
Pasceasui picchi la solinga capra
pasceanle vacche chiuse nella tanga.
Nérissa mai v'ardevase non l'aspra
vocetalora alta mettea la mandra
degliorecchiuti. E il mare sussurrava
comeun po' stancocon la placid'ansia
quasidi sonnoall'ineguale spiaggia.
Puraltre volte il vento udire il rullo
faceadi cupi timpani e l'acuto
squillodi trombeandando al ciel lo spruzzo
salsodel mare; e un secco fragor lungo
davaai macigni ed allo scogliod'urto.
Fuggianoil vento pallide le nuvole
accavallateall'orizzonte oscuro;
epalpitava scosso da un sussulto
ilcieloil cielo che v'è sempre azzurro.
Mail sole allora limpido come oro
scaldavai pingui cavoli nell'orto
leprime favei fiori del fagiolo.
Edel fior d'uva già per l'alto poggio
spremeal'odore. E i petali di fuoco
giàdei gerani trasparian dal boccio.
Eluccicava l'àlbatro e l'alloro...
IX
Eil pellegrino vide un uomo rosso
chearava. E miti vacche erano al giogo.
Edun altr'uomoche vestìa di fiamma
spargevail seme con man lenta e savia.
Edun altr'uomoche vestìa di grana
coprivail seme con la grave zappa.
El'aratore dalla fronte larga
spargeasudoree lietamente arava
conun sorriso tra la fulva barba.
Lachioma bionda fluttuava all'aria.
Specchiavail sole la pupilla chiara.
Evenner altri da vicini tetti
recandociboche vestìano anch'essi
tunicherosse. Avevano nei cesti
favefumanti e pan raffermo e pesci
seccatial vento. All'ombra di due lecci
sederontutticome deisereni.
Eranoa loro sassi erbosi i seggi
sassile mense. E sparsi per i greppi
parlavanolio e granouve ed armenti.
Egià pasciutibevvero sul pane
acquadi pozzo. Non aveva altre acque
l'isoladuranépur mo' piantate
davanle viti ciò che fa buon sangue.
Néaltro dava l'isolache piante
dipino e tasso buoni per le fiamme
d'ungrande rogo. Un'isola di capre
erasilvestri. Qualche angusta valle
solapativa il ferro delle vanghe.
Eil pellegrino s'indugiavae stette
moltoammirando l'eremita agreste
cheaveva in odio lotterisse e guerre
chesazio e lietotolte ormai le mense
sorgeadicendo: "Nella pace è il bene!"
X
Maimprovvisa ecco nitrì Marsala
passònitrendo la giumenta baia
liberae nuda. Un vento di battaglia
precipitòsull'isola selvaggia.
Erail corsaroera il filibustiere
sfidanteil fuoco in mezzo alle tempeste
erail cavalcatoreera il truppiere
volantevia tra un flutto di criniere
viaper le Pampevia per le foreste
uncontro centoe ora e dopo e sempre!
Erail romano difensor dell'Urbe:
Mariogli diede i fasci con la scure:
eglipassò tra quattro gentiimmune
dallatua rupeo Giovealla tua rupe
Titanoda San Pietro alla Palude
comel'eroe nascosto in una nube!
Erail nocchiero che volgea la barra
delnavil mosso a ricercar l'Italia
dietrouna stella; e nel chiaror dell'alba
s'udìgridare: Italia! Italia! Italia!
Ellaapparia tra fuoco ardente e lava
fumante.Egli vi scese con la spada...
Ela giumenta ripassò nitrendo
squillòquel ringhio come tromba al vento
stetterograndialticol mento eretto
guardandolungiin fila ed in silenzio
gliuomini rossi. Ognun pareva intento
aun'ombra dubbiaad un rumor sospetto...
Mal'aratore il liscio collo e l'anche
palpòplaudendo con le mani cave
allagiumenta e dielle del suo pane...
Epresso lui si fece il vecchio errante
vestitoal modo delle sue campagne.
"Mugikeroe" disse: "io vuo' qui restare".
SVBARBVTO