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Fedor Michajlovic Dostoevskij

I Demoni

Lettera a Nikolaj Nikolaevic Strachov

Dresda, 24 marzo (5 aprile) 1870

[...]

Ripongo grandi speranze nel romanzo che sto attualmente scrivendo per il "messaggero Russo", ma m'interessa non dal punto di vista artistico, bensì da quello della tendenza; voglio esprimere certe mie idee, anche a costo che la riuscita artistica ne soffra. Mi sento attirato dal desiderio di esprimere ciò che mi si è accumulato in testa e nel cuore; può darsi che ne venga fuori soltanto un pamphlet, ma almeno mi sfogherò fino in fondo. Comunque spero nel successo, e del resto chi potrebbe mettersi a scrivere qualcosa senza sperare nel successo?

E ora Le ripeto ciò che Le ho detto anche in passato: sempre, per tutta la mia vita, io ho lavorato per coloro che mi davano del denaro in anticipo. È sempre andata così, mai altrimenti. Dal punto di vista economico per me non è certo un bene, ma che farci? In compenso, quando ricevevo del denaro in anticipo, io vendevo sempre qualcosa che esisteva già, e cioè mi vendevo soltanto quando l'idea poetica era già nata ed era arrivata ad un certo grado di maturazione. Non ho mai preso del denaro fondandomi sul vuoto, e cioè fondandomi sulla speranza che, per il termine fissato, sarei riuscito a inventare e a comporre un romanzo. Penso che in questo vi sia una differenza. Ma adesso voglio lavorare tranquillamente. Concluderò presto ciò che sto scrivendo per il "Messaggero Russo" e mi metterò a scrivere con vero piacere il romanzo (Dostoevskij si riferisce al romanzo Ateismo o La vita di un grande peccatore, N.d.R.) .

L'idea di questo romanzo è nata in me già da tre anni, ma prima avevo timore di mettermi a scriverlo all'estero, e volevo trovarmi in Russia per cominciarlo. Ma in questi tre anni molte cose sono giunte a maturazione, è maturato tutto il piano del romanzo, e penso che posso cominciare anche qui la sua prima sezione (e cioè quella che io destino all'"Alba"), giacchè l'azione ha inizio molti anni addietro. Non si preoccupi del fatto che io Le parli di una prima sezione; nel suo complesso la mia idea dovrà esprimersi in un'opera di grandi dimensioni, perlomeno quanto quelle del romanzo di Tolstoj. Ma essa consisterà di cinque romanzi distinti, anzi, così distinti che alcuni di essi (eccettuati i due centrali) potranno comparire in riviste diverse, come racconti pienamente conclusi in se stessi. Vi sarà comunque un titolo comune: La vita di un grande peccatore, oltre al titolo di ogni singola sezione. Ogni sezione (e cioè ogni romanzo) non supererà i quindici fogli a stampa. Per scrivere il secondo romanzo dovrò già trovarmi in Russia; l'azione di questo secondo romanzo si svolgerà in un monastero, e sebbene io conosca perfettamente il monastero russo, tuttavia voglio scriverlo trovandomi in Russia... (Comunque io ho fondato su questa idea tutta la mia futura carriera letteraria, giacchè non posso contare di poter vivere e scrivere per più di sei o sette anni ancora).

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Lettera ad Apollon Nikolaevic Majkov

Dresda, 25 marzo (6 aprile) 1870

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Del nichilismo non vale la pena di parlare. Aspetti soltanto che vada completamente in putrefazione questo strato superiore della società che si è distaccato dal suolo russo. Ma sa che ogni tanto mi viene in mente che molti di questi stessi giovani delinquenti, che vanno attualmente in putrefazione, finiranno un giorno per diventare degli autentici e solidi pocvenniki, e cioè dei veri russi? Quanto agli altri, che finiscano pure di marcire! Finiranno per tacere anche loro, colpiti da paralisi. Ma che autentiche carogne!

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Lettera a Michail Nikiforovic Katkov

Dresda, 8 (20) ottobre 1870

Egregio Signore, rispettabilissimo Michail Nikiforovic,

Oggi ho inviato alla redazione del "Messaggero Russo" soltanto la prima metà della prima parte del mio romanzo "I demoni". Ma molto presto invierò anche la seconda metà di questa prima parte. Le parti saranno in tutto tre, ognuna di dieci-dodici fogli a stampa. D'ora in poi non vi saranno più ritardi.

Se Lei ha intenzione di pubblicare la mia opera a partire dal prossimo anno mi sembra indispensabile che io La informi, almeno in poche parole, su quale sarà l'argomento del mio romanzo.

Uno degli avvenimenti più importanti del mio romanzo sarà costituito dalla nota vicenda dell'assassinio di Ivanov compiuto a Mosca da Necaev. Mi affretto a precisare che io non conoscevo affatto né Necaev né Ivanov né le circostanze relative a quel delitto, e ne so soltanto quello che è stato pubblicato sui giornali. E anche se le avessi conosciute, certo non le avrei copiate. Non prendo dalla realtà nient'altro che il nudo fatto. La creazione della mia fantasia può notevolmente discostarsi dalla realtà effettuale, e il mio Petr Verchovenskij può non assomigliare affatto a Necaev; ma mi sembra che nella mia mente, colpita da quel fatto, l'immaginazione abbia creato il personaggio, il tipo corrispondente a quel crimine. È fuori di dubbio che non sia privo di utilità rappresentare un personaggio di quel genere. Ma, da solo, quel personaggio non mi avrebbe sedotto. Secondo me, questi miserabili aborti non sono degni di entrare nella letteratura. Io stesso sono rimasto stupito vedendo che ne è venuto fuori un personaggio per metà comico. Pertanto, sebbene questo episodio occupi una delle posizioni di primo piano nel romanzo, esso finisce tuttavia per essere soltanto uno degli elementi di contorno all'azione di un altro personaggio che potrebbe a buon diritto considerarsi l'autentico protagonista del romanzo.

Anche questo secondo personaggio (Nikolaj Stavrogin) è una natura tenebrosa, uno scellerato. Ma a me sembra che si tratti di un personaggio tragico, anche se è probabile che molti, dopo aver letto il romanzo, si domandino: "Ma che roba è questa?" Mi sono deciso a scrivere un'opera su questo personaggio perché è troppo tempo che volevo rappresentarlo. Secondo me, è un personaggio tipicamente russo. Sarò molto, molto deluso se non mi riuscirà come voglio. E sarò ancora più triste se sentirò condannarlo come un personaggio artificioso. Io l'ho tratto dal mio cuore. Naturalmente è un carattere che solo di rado si presenta nella realtà in tutta la sua tipicità, ma si tratta comunque di un personaggio russo (appartenente ad una determinata classe sociale). Ma aspetti a giudicarmi di aver letto il romanzo fino alla fine, stimatissimo Michail Nikiforovic! Qualcosa mi dice che riuscirò a venire a capo di questo personaggio. Non starò adesso a spiegarlo nei dettagli, perché ho paura di non sapermi esprimere come vorrei. Voglio mettere in evidenza soltanto un fatto: tutto il personaggio verrà descritto in scene e in azioni, e non con dei ragionamenti, e pertanto v'è speranza che ne verrà fuori un personaggio vivo e reale.

Per un pezzo non mi è riuscito l'incipit del romanzo, e così ho dovuto rielaborarlo più volte. È anche vero che nello scrivere questo romanzo mi è capitato qualcosa che non mi era mai successo prima: per settimane intere ho smesso di lavorare all'inizio del romanzo e ho preso a scriverlo dalla fine. E tuttavia ho paura che l'inizio difetti di vivacità. In questi cinque fogli e mezzo (che Le invio) sono riuscito appena ad avviare l'intreccio; comunque, l'azione, l'intreccio si verranno ampliando e sviluppando in misura assolutamente inattesa. Posso comunque garantire che il seguito del romanzo rivestirà un grande interesse, e così com'è adesso mi sembra migliore.

Ma non tutti i personaggi saranno figure sinistre, ve ne saranno anche di luminose. Generalmente parlando, ho paura che molte cose non saranno alla portata delle mie forze. Per esempio, intendo accostarmi per la prima volta ad una certa categoria di persone di cui la letteratura si è finora scarsamente occupata. Prendo per ideale di un tale tipo Tichon Zadonskij. Il mio personaggio è anche lui un santo che vive ritirato in un convento. Lo contrappongo e lo metto anche temporaneamente a contatto con il protagonista del romanzo. Ho molta paura che di non riuscire, giacchè è la prima volta che mi provo in una cosa del genere; comunque, conosco abbastanza bene il mondo del monastero russo.

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lettera a Nikolaj Nikolaevic Strachov

Dresda, 9 (21) ottobre 1870

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Si dice che il tono e la maniera di svolgere un racconto dovrebbero nascere spontaneamente nello scrittore. È certo vero, eppure a volte capita che si proceda a tentoni e si debba cercarli. Per dirla in una parola, nessun'altra opera mi è mai costata tanta fatica quanto questa. All'inizio, e cioè alla fine dello scorso anno, consideravo questo romanzo con una certa baldanzosa sicurezza, come una cosa ormai pronta e fatta, che non mi sarebbe più costata sforzi e tormenti. Ma poi sono stato visitato dall'autentica ispirazione, e a un tratto mi sono innamorato del mio tema, mi ci sono dedicato interamente e ho cancellato quel che avevo scritto. Quindi in estate si è verificato un altro cambiamento: si è fatto avanti un nuovo personaggio che avanzava la pretesa di essere lui il vero protagonista del romanzo, cosicchè il precedente protagonista (un personaggio interessante, ma che effettivamente non meritava il ruolo di protagonista) si è ritirato in secondo piano. Questo nuovo protagonista mi ha talmente affascinato che ho cominciato un'altra volta a riscrivere il romanzo. E proprio ora, quando ho appena mandato alla redazione del "Messaggero Russo" l'inizio dell'inizio, improvvisamente mi sono spaventato: ho paura di aver affrontato un tema superiore alle mie forze. Ho veramente paura, una paura tormentosa! Eppure questo protagonista io non l'ho fatto spuntare come un fungo in mezzo al romanzo; al contrario, mi sono in precedenza appuntato la sua parte in un piano del romanzo (che comprende alcuni fogli a stampa), e tutta la sua parte è stata descritta nelle singole scene , cioè attraverso l'azione e non con delle considerazioni o ragionamenti. Penso pertanto che ne uscirà fuori un vero personaggio, e forse anche nuovo; lo spero, ma allo stesso tempo ho paura. Sarebbe finalmente ora che scrivessi qualcosa di serio. Ma potrei anche fare fiasco.

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Lettera ad Apollon Nikolaevic Majkov

Dresda, 2 (14) marzo 1871

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Il suo lusinghiero apprezzamento sull'inizio del mio romanzo mi ha comunicato un grande entusiasmo. Dio, che paura avevo, e quanta ne ho ancora! Quando Lei leggerà questa mia lettera, avrà probabilmente letto anche la seconda metà della prima parte nel fascicolo di febbraio del "Messaggero Russo". Che cosa ne dirà? Ho paura, ho paura. Per quanto riguarda il seguito, sono addirittura disperato: non so se ce la farò. A proposito: sarà in quattro parti, in tutto quaranta fogli a stampa. Stepan Trofimovic è un personaggio di secondo piano, il romanzo non verte affatto su di lui; ma la sua storia è strettamente intrecciata con gli altri (principali) avvenimenti del romanzo, e per questo io l'ho scelto come pietra di fondazione di tutto il romanzo. Comunque, la beneficiata di Stepan Trofimovic si avrà nella quarta parte: è qui che sarà descritta l'originalissima conclusione del suo destino. Per tutto il resto non sono in grado di garantire nulla, ma di questo passo garantisco pienamente fin da ora. Ma Le ripeto che sono terrorizzato come un topo spaventato. L'idea mi ha affascinato e me ne sono innamorato, ma riuscirò a dominarla e non ne guasterò invece tutto il romanzo? Sarebbe un vero disastro!

S'immagini che ho già ricevuto varie lettere provenienti da varie fonti che mi felicitano per la prima parte. È una cosa che mi ha enormemente, enormemente incoraggiato. Ma, senza volerla adulare minimamente, Le dico esplicitamente che il Suo apprezzamento per me vale più di tutti gli altri. In primo luogo, Lei non intende minimamente adularmi, e in secondo luogo nella Sua critica è inserita una frase veramente geniale: "Sono degli eroi di Turgenev invecchiati". È una frase geniale! Mentre scrivevo, pensavo appunto a qualcosa del genere; ma Lei in tre parole ha espresso, come in una formula, tutto l'essenziale. La ringrazio caldamente per queste sue parole: Lei mi ha chiarito tutta la faccenda.

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