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TommasoCampanella

Poesie

Tommaso Campanella

Poesie

1. Proemio.

1 Io, che nacqui dal Senno e di Sofia,

2 sagace amante del ben, vero e bello,

3 il mondo vaneggiante a sé rubello

4 richiamo al latte della madre mia.

5 Essa mi nutre, al suo marito pia;

6 e mi trasfonde seco, agile e snello,

7 dentro ogni tutto, ed antico e novello,

8 perché conoscitor e fabbro io sia.

9 Se tutto il mondo è come casa nostra,

10 fuggite, amici, le seconde scuole,

11 ch'un dito, un grano ed un detal vel mostra.

12 Se avanzano le cose le parole,

13 doglia, superbia e l'ignoranza vostra

14 stemprate al fuoco ch'io rubbai dal sole.

2. A' poeti

1 In superbia il valor, la santitate

2 passò in ipocrisia, le gentilezze

3 in cerimonie, e 'l senno in sottigliezze,

4 l'amor in zelo, e 'n liscio la beltate,

5 mercé vostra, poeti, che cantate

6 finti eroi, infami ardor, bugie e sciocchezze,

7 non le virtù, gli arcani e le grandezze

8 di Dio, come facea la prisca etate.

9 Son più stupende di natura l'opre

10 che 'l finger vostro, e più dolci a cantarsi,

11 onde ogni inganno e verità si scuopre.

12 Quella favola sol dèe approvarsi,

13 che di menzogne l'istoria non cuopre

14 e fa le genti contra i vizi armarsi.

3. Fede naturale del vero sapiente.

1 Io credo in Dio, Possanza, Senno, Amore,

2 un, vita, verità, bontate, immenso,

3 primo ente, re degli enti e creatore.

4 Non è parte, né tutto, inciso o estenso,

5 ma più somiglia al tutto, ond'ogni cosa

6 partecipò virtute, amore e senso.

7 Né pria, né poi, né fuor, l'alma pensosa

8 (ché 'n vigor, tempo e luogo egli è infinito)

9 può andar, se in qualche fin falso non posa.

10 Da lui, per lui e 'n lui vien stabilito

11 lo smisurato spazio e gli enti sui,

12 al cui far del niente si è servito.

13 Ché l'unità e l'essenza vien da lui;

14 ma il numero, e che questo non sia quello,

15 da quel, che pria non fummo, restò in nui.

16 Lo abborrito niente fa il duello,

17 il mal, le colpe, le pene e le morti.

18 Poi ci ravviva il divino suggello.

19 participabil d'infinite sorti,

20 Necessitate, Fato ed Armonia

21 Dio influendo, che su' idea trasporti.

22 Quando ogni cosa fatta ogn'altra sia,

23 cesserà tal divario, incominciato

24 quando di nulla unquanche nulla uscia;

25 di voglia e senno eterno destinato,

26 che in meglio o in peggio non pôn far mutanza,

27 sendo esso sempre morte a qualche stato.

28 Prepose il minor bene a quel ch'avanza,

29 e la seconda legge alla primera,

30 chi diè al peccato origine ed usanza.

31 Poter peccare è impotenza vera.

32 Peccato atto non è: vien dal niente;

33 mancanza o abuso è di bontà sincera.

34 Vero potere eminenza è dell'ente:

35 atto è diffusion d'esser, che farsi

36 fuor della prima essenza non consente.

37 Necessità amorosa sol trovarsi

38 nei voler credo: ma di violenta,

39 l'azioni e passion non distrigarsi.

40 La pena a' figli da' padri se avventa;

41 la colpa no, se da voglia taccagna

42 imitata non è, poiché argomenta;

43 ma dalla prole a' padri torna e stagna,

44 chi di ben generar non fan disegno

45 e trascurâro educazion sì magna.

46 Ma colpa e pena alla patria ed al regno,

47 che di tempo e di luoco non provvede

48 e di persone, che fan germe degno.

49 Perché dell'altrui pene ognuno è erede:

50 non lo condanna ignoranza o impotenza,

51 ma voglia mal oprante in quel che crede.

52 Dall'ingannati torna la sentenza

53 agl'ingannanti, che 'l Padre occultâro

54 a la fanciulla ancor nostra semenza.

55 Bisogno e volontà, non senso raro

56 mirando, spesso rispose il pio Padre

57 là dove e come i figli l'invocâro.

58 Talché, barbare genti [ed idoladre],

59 se operaste giustizia naturale,

60 non siete esenti dalle sante squadre.

61 Vivo, e non morto, un padre universale,

62 non parzial, né fatto esser Dio mai,

63 a chi s'annunzia più scusa non vale.

64 Al che aspettato e' venne in tanti guai,

65 commosso dagli nostri errori e danni,

66 come per tutte istorie ritrovai,

67 contra sofisti, ipocriti e tiranni,

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68 di tre dive eminenze falsatori,

69 a troncar la radice degli inganni.

70 Voi falsi sempre sol, commentatori,

71 additaste per «tata» alli bambini

72 voi stessi e li serpenti e statue e tori.

73 Poi, contra i sensi proprii a' peregrini

74 non bastò dir che la saetta vola,

75 ma che sia uccello, e Dio gli enti divini.

76 Perdé la Bibbia la mosaica scuola

77 al tempo d'Esdra.........................

78 .........................................

79 I proprii Farisei Cinghie sortìo,

80 Amida i bongi di Chami e Fatoche,

81 l'altro emisfero in empietà finìo.

82 Utili a tutti, chiare leggi e poche

83 per l'arte abbandonâro: la natura,

84 perché nel primo seggio le rivoche,

85 delle scienze ognun vuol ch'abbia cura;

86 non le condanna con le false sètte,

87 ch'abborriscon la luce e la misura.

88 Ammira il sol, le stelle e cose elette

89 per statue di Dio vive e cortigiani:

90 adora un solo Dio, ch'un sempre stette.

91 Scuola alza e regno a Dio da questi vani:

92 servir a Dio, in comunità vivendo,

93 è proprio libertà di spirti umani.

94 La santa Chiesa, il Primo Senno avendo

95 per maestro, e 'l libro che Dio scrisse, quando

96 compose il mondo, i suoi concetti aprendo,

97 sette sigilli or or disigillando,

98 chiamerà tutto l'universo insieme

99 al tempio vivo dove va rotando.

100 Né a Dio, né al tutto, male al mondo preme,

101 ma sì alle parti, donde egli è diverso;

102 ma ride al tutto la parte che geme.

103 Ogni cosa è immortale in qualche verso;

104 sol l'alme vanno d'uno in altro mondo,

105 secondo i merti, più opaco o più terso,

106 finito in questo ognuna il proprio tondo,

107 u' gli spiriti sciolti han le lor vie

108 che portan del fatal ordine il pondo,

109 ed il giudicio aspettan del gran die.

4. Del mondo e sue parti.

1 Il mondo è un animal grande e perfetto,

2 statua di Dio, che Dio lauda e simiglia:

3 noi siam vermi imperfetti e vil famiglia,

4 ch'intra il suo ventre abbiam vita e ricetto.

5 Se ignoriamo il suo amor e 'l suo intelletto,

6 né il verme del mio ventre s'assottiglia

7 a saper me, ma a farmi mal s'appiglia:

8 dunque bisogna andar con gran rispetto.

9 Siam poi alla terra, ch'è un grande animale

10 dentro al massimo, noi come pidocchi

11 al corpo nostro, e però ci fan male.

12 Superba gente, meco alzate gli occhi

13 e misurate quanto ogn'ente vale:

14 quinci imparate che parte a voi tocchi.

5. Anima immortale.

1 Di cervel dentro un pugno io sto, e divoro

2 tanto, che quanti libri tiene il mondo

3 non saziâr l'appetito mio profondo:

4 quanto ho mangiato! e del digiun pur moro.

5 D'un gran mondo Aristarco, e Metrodoro

6 di più cibommi, e più di fame abbondo;

7 disiando e sentendo, giro in tondo;

8 e quanto intendo più, tanto più ignoro.

9 Dunque immagin sono io del Padre immenso,

10 che gli enti, come il mar li pesci, cinge,

11 e sol è oggetto dell'amante senso;

12 cui il sillogismo è stral, che al segno attinge;

13 l'autorità è man d'altri; donde penso

14 sol certo e lieto chi s'illuia e incinge.

6. Modo di filosofare.

1 Il mondo è il libro dove il Senno Eterno

2 scrisse i proprii concetti, e vivo tempio

3 dove, pingendo i gesti e 'l proprio esempio,

4 di statue vive ornò l'imo e 'l superno;

5 perch'ogni spirto qui l'arte e 'l governo

6 leggere e contemplar, per non farsi empio,

7 debba, e dir possa: - Io l'universo adempio,

8 Dio contemplando a tutte cose interno. -

9 Ma noi, strette alme a' libri e tempii morti,

10 copiati dal vivo con più errori,

11 gli anteponghiamo a magistero tale.

12 O pene, del fallir fatene accorti,

13 liti, ignoranze, fatiche e dolori:

14 deh, torniamo, per Dio, all'originale!

7. Accorgimento a tutte nazioni.

1 Abitator del mondo, al Senno Primo

2 volgete gli occhi, e voi vedrete quanto

3 tirannia brutta, che veste il bel manto

4 di nobiltà e valor, vi mette all'imo.

5 Mirate poi d'ipocrisia, che primo

6 fu divin culto e santità con spanto,

7 l'insidie; e di sofisti poi l'incanto,

8 contrari al Senno, ch'io tanto sublimo.

9 Contra sofisti Socrate sagace,

10 contra tiranni venne Caton giusto,

11 contra ipocriti CRISTO, eterea face.

12 Ma scoprir l'empio, il falsario e l'ingiusto

13 non basta, né al morir correre audace,

14 se tutti al Senno non rendiamo il gusto.

8. Delle radici de' gran mali del mondo.

1 Io nacqui a debellar tre mali estremi:

2 tirannide, sofismi, ipocrisia;

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3 ond'or m'accorgo con quanta armonia

4 Possanza, Senno, Amor m'insegnò Temi.

5 Questi princìpi son veri e sopremi

6 della scoverta gran filosofia,

7 rimedio contra la trina bugia,

8 sotto cui tu, piangendo, o mondo, fremi.

9 Carestie, guerre, pesti, invidia, inganno,

10 ingiustizia, lussuria, accidia, sdegno,

11 tutti a que' tre gran mali sottostanno,

12 che nel cieco amor proprio, figlio degno

13 d'ignoranza, radice e fomento hanno.

14 Dunque a diveller l'ignoranza io vegno.

9. Contra il proprio amore scoprimento stupendo.

1 Credulo il proprio amor fe' l'uom pensare

2 non aver gli elementi, né le stelle

3 (benché fusser di noi più forti e belle)

4 senso ed amor, ma sol per noi girare.

5 Poi tutte genti barbare ed ignare,

6 fuor che la nostra, e Dio non mirar quelle.

7 Poi il restringemmo a que' di nostre celle.

8 Sé solo alfin ognun venne ad amare.

9 E, per non travagliarsi, il saper schiva;

10 poi, visto il mondo a' suo' voti diverso,

11 nega la provvidenza o che Dio viva.

12 Qui stima senno l'astuzie; e perverso,

13 per dominar, fa nuovi dèi. Poi arriva

14 a predicarsi autor dell'universo.

10. Parallelo del proprio e comune amore

1 Questo amor singolar fa l'uomo inerte,

2 ma a forza, s'e' vuol vivere, si finge

3 saggio, buon, valoroso: talché in sfinge

4 se stesso annicchilando alfin converte

5 (pene di onor, di voci e d'òr coverte!)

6 Poi gelosia nell'altrui virtù pinge

7 i proprii biasmi, e lo sferza e lo spinge

8 ad ingiurie e rovine e pene aperte.

9 Ma chi all'amor del comun Padre ascende,

10 tutti gli uomini stima per fratelli

11 e con Dio di lor beni gioie prende.

12 Tu, buon Francesco, i pesci anche e gli uccelli

13 frati appelli (oh beato chi ciò intende!);

14 né ti fûr, come a noi, schifi e rubelli.

11. Cagione, perché meno si ama Dio, sommo bene, che

gli altri beni, è l'ignoranza.

1 Se Dio ci dà la vita, e la conserva,

2 ed ogni nostro ben da lui dipende,

3 ond'è ch'amor divin l'uom non accende,

4 ma più la ninfa e 'l suo signor osserva?

5 Che l'ignoranza misera e proterva,

6 chi s'usurpa il divin, per virtù vende;

7 ed a cosa ignorata amor non tende,

8 ma bassa l'ale e fa l'anima serva.

9 Qui, se n'inganna poi e toglie sostanza

10 per darla altrui, ne' vili ancor soggetti

11 ci mostra i rai del Ben, che tutti avanza.

12 Ma noi l'inganno, il danno (ahi, maledetti!)

13 di lui abbracciamo, e non l'alta speranza

14 de' frutti e 'l senso degli eterni oggetti.

12. Fortuna de' savi.

1 Gran fortuna è 'l saper, possesso grande

2 più dell'aver; né i savi ha sventurati

3 l'esser di vil progenie e patria nati:

4 per illustrarle son sorti ammirande.

5 Hanno i guai per ventura, che più spande

6 lor nome e gloria; e l'esser ammazzati

7 gli fa che sien per santi e dèi adorati,

8 ed allegrezza han da contrarie bande:

9 ché le gioie e le noie a lor son spasso,

10 come all'amante pare il gaudio e 'l lutto

11 per la sua ninfa: e qui a pensar vi lasso.

12 Ma il sciocco i ben pur crucciano, e più brutto

13 nobiltà il rende, ed ogni tristo passo

14 suo sventurato fuoco smorza in tutto.

13. Senno senza forza de' savi delle genti antiche esser

soggetto alla forza de' pazzi.

1 Gli astrologi, antevista in un paese

2 costellazion che gli uomini impazzire

3 far dovea, consigliârsi di fuggire,

4 per regger sani poi le genti offese.

5 Tornando poscia a far le regie imprese,

6 consigliavan que' pazzi con bel dire

7 il viver prisco, il buon cibo e vestire.

8 Ma ognun con calci e pugni a lor contese.

9 Talché, sforzati i savi a viver come

10 gli stolti usavan, per schifar la morte,

11 ché 'l più gran pazzo avea le regie some,

12 vissero sol col senno a chiuse porte,

13 in pubblico applaudendo in fatti e nome

14 all'altrui voglie forsennate e torte.

14. Gli uomini son giuoco di Dio e degli angeli.

1 Nel teatro del mondo ammascherate

2 l'alme da' corpi e dagli affetti loro,

3 spettacolo al supremo consistoro

4 da natura, divina arte, apprestate,

5 fan gli atti e detti tutte a chi son nate;

6 di scena in scena van, di coro in coro;

7 si veston di letizia e di martoro,

8 dal comico fatal libro ordinate.

9 Né san, né ponno, né vogliono fare,

10 né patir altro che 'l gran Senno scrisse,

11 di tutte lieto, per tutte allegrare,

12 quando, rendendo, al fin di giuochi e risse,

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13 le maschere alla terra, al cielo, al mare,

14 in Dio vedrem chi meglio fece e disse.

15. Che gli uomini seguono più il caso che la ragione

nel governo politico, e poco imitan la natura.

1 Natura, da Signor guidata, fece

2 nel spazio la comedia universale,

3 dove ogni stella, ogni uomo, ogni animale,

4 ogni composto ottien la propria vece.

5 Finita questa, come stimar lece,

6 Dio giudice sarà giusto ed eguale;

7 l'arte umana, seguendo norma tale,

8 all'Autor del medesmo satisfece.

9 Fa regi, sacerdoti, schiavi, eroi,

10 di volgar opinione ammascherati,

11 con poco senno, come veggiam poi

12 che gli empi spesso fûr canonizzati,

13 gli santi uccisi, e gli peggior tra noi

14 prìncipi finti contra i veri armati.

16. Re e regni veri e falsi e misti, e fini e studi loro.

1 Neron fu re per sorte in apparenza,

2 Socrate per natura in veritate

3 per l'una e l'altra Augusto e Mitridate,

4 Scipio e Gioseppe in parte, e parte senza.

5 Cerca il principe spurio la semenza

6 delle genti stirpar a regger nate,

7 come Erode, Melito, e l'empio frate

8 di Tito e Caifa, ed ogni ria potenza.

9 Chi si conosce degno di servire,

10 persegue chi par degno da imperare:

11 di virtù regia è segnale il martire.

12 Questi regnan pur morti, a lungo andare:

13 vedi i tiranni e lor leggi perire,

14 e Pietro e Paulo in Roma or comandare.

17. Non è re chi ha regno, ma chi sa reggere.

1 Chi pennelli have e colori, ed a caso

2 pinge, imbrattando le mura e le carte,

3 pittor non è; ma chi possede l'arte,

4 benché non abbia inchiostri, penne e vaso.

5 Né frate fan cocolle e capo raso.

6 Re non è dunque chi ha gran regno e parte,

7 ma chi tutto è Giesù, Pallade e Marte

8 benché sia schiavo o figlio di bastaso.

9 Non nasce l'uom con la corona in testa,

10 come il re delle bestie, che han bisogno,

11 per lo conoscer, di tal sopravvesta.

12 Repubblica onde all'uom doversi espogno,

13 o re, che pria d'ogni virtù si vesta,

14 provata al sole, e non a piume e 'n sogno.

18. A Cristo, nostro signore.

1 I tuo' seguaci, a chi ti crocifisse

2 più che a te crocifisso, simiglianti,

3 son oggi, o buon Giesù, del tutto erranti

4 da' costumi, che 'l tuo senno prescrisse.

5 Lussurie, ingiurie, tradimenti e risse

6 van procacciando i più stimati santi;

7 tormenti inusitati, orrori e pianti

8 (tante piaghe non ha l'Apocalisse),

9 armi contra tuoi mal cogniti amici,

10 come son io. Tu il sai, se vedi il cuore:

11 mia vita e passion son pur tuo segno.

12 Se torni in terra, armato vien', Signore,

13 ch'altre croci apparécchianti i nemici,

14 non Turchi, non Giudei: que' del tuo regno.

19. Alla morte di Cristo.

1 Morte, stipendio della colpa antica,

2 dell'invidia figliuola, e del niente

3 tributaria, e consorte del serpente,

4 superbissima bestia ed impudica:

5 credi aver fatta l'ultima fatica,

6 sottoposto al tuo regno tutto l'ente,

7 contra l'Omnipotente omnipotente?

8 Falsa ragion di Stato ti nutrica.

9 Per servirsi di te scende all'abisso,

10 non per servir a te: tu l'armi e 'l campo

11 scegli, e schernita se' da un crocifisso.

12 S'e' vive, perdi; e s'e' muore, esce un lampo

13 di deità dal corpo per te scisso,

14 che le tenebre tue non han più scampo.

20. Nel sepolcro di Cristo, Dio nostro, a' miscredenti.

1 O tu, ch'ami la parte più che 'l tutto

2 e più te stesso che la spezie umana,

3 che i buon persegui con prudenza vana

4 perché al tuo stato rio rendon mal frutto,

5 ecco li Scribi e Farisei del tutto

6 disfatti, ed ogni setta empia e profana,

7 dall'Ottimo, che i buoni transumana,

8 mentre in sepolcro a lor pare distrutto.

9 Pensiti aver tu solo provvidenza,

10 e 'l ciel, la terra e l'altre cose belle,

11 le quali disprezzi, starsene senza?

12 Sciocco, donde se' nato tu? Da quelle;

13 dunque ci è Senno e Dio. Muta sentenza:

14 mal si contrasta a chi guida le stelle.

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9 né per sé si diffonde.

10 Di color giallo, azzurro, rosso e verde

11 prende nome, secondo l'ombra trista

12 più o meno la nasconde,

13 né senza il primo lume può esser vista.

14 Così lo Senno in Dio senza fin puro,

15 moltiplicabile, unico e veloce,

16 tutto ad un tratto vede,

17 forma, insegna e possede;

18 detto qua Verbo, e in Ciel di miglior voce.

19 Partecipato poi dal mondo oscuro

20 e di finita forza,

21 teme, ama, odia ed obblia;

22 né più Dio, ma vien detto

23 natura, senno, ragion, fantasia.

24 E secondo più o men dura ha la scorza

25 o più e manca è schietto,

26 più o manco sa; ma in Dio più si rinforza.

27 Spirto puro, qual luce, di tutti enti

28 ben s'inface, e gli intende in quella guisa

29 ch'essi in se stessi sono;

30 ed a sorgere è buono

31 a giudicar, di quel che gli si avvisa,

32 il resto e gli simili e i differenti.

33 Ma l'impuro infelice,

34 qual rossor rosse scorge

35 le cose, e non come enno,

36 e d'una in altra sembianza mal sorge:

37 laonde il natural mentire indice,

38 ma non lo scaltro, un senno

39 di natura corrotta e peccatrice.

40 Chi tutte cose impara, tutte fassi,

41 qual Dio, ma non del tutto ed in essenza,

42 com'è la Cagion Prima.

43 Ch'alma di tanta stima

44 far cose vive sol con l'intendenza

45 patria e del spazio comprendere i passi;

46 quanti il freddo e caldo hanno

47 gradi, e momenti il moto,

48 e del tempo gli instanti;

49 quanti angeli, e vie il lume, e corpi ha il vòto;

50 le riforme, che a lor vengono e vanno,

51 i rispetti, e sembianti;

52 quanti atomi in ogni ente e come stanno.

53 Chi che si sia purissima, dappoi

54 ch'averia conosciuto tutte cose,

55 non si potria dir certo

56 d'una sola esser certo,

57 quant'arti, parti e rispetti Dio pose

58 in lei, co' tanti ognor divari suoi.

59 Ch'e' non è dentro a quella,

60 e sé dentro a sé ignora:

61 onde con sua misura,

62 né con quella dell'esser, certa fôra,

63 se tutto s'internasse. L'uom, la stella,

64 l'angel, ogni fattura

65 diverso han senso pur d'ogni cosella.

25. Al Primo Senno. Canzone terza.

1 Tanto senno have ogn'ente, quanto basta

2 serbarlo a sé, alla specie, al mondo, a cui

3 per tanto tempo è nato,

4 per quanto Dio ha ordinato

5 pel Fato, a cui serviamo più ch'a nui:

6 ond'altri in fior, altri in frutta, altri guasta

7 di noi nel materno alvo.

8 Come, per usa vario,

9 facciam pur noi dell'erbe,

10 cui pare ingiusto il nostro necessario;

11 così a noi, mentre s'offre or folto or calvo,

12 par che ragion non serbi

13 il fatal capo, che 'l mondo tien salvo.

14 Casa stupenda ha fatta il Senno Eterno,

15 ch'ogni ente, benché vil, non vuol cangiarsi

16 con altri; onde s'aiuta

17 contra 'l morir che 'l muta;

18 ma vorria e crede solo in sé bearsi,

19 ché ignora l'altrui ben, sape il suo interno.

20 O somma Sapienza,

21 che di nostra ignoranza

22 si serve a far ciascuno

23 felice e lieto, e l'universo avanza.

24 Gabbia de' matti è il mondo; e, se mai senza

25 di follie fosse, ognuno

26 s'uccideria, anelando a più eccellenza.

27 La fabbrica del mondo e di sue parti

28 e delle particelle e parti loro;

29 le varie operazioni,

30 che han tutte nazioni

31 degli enti nostri e del celeste coro;

32 vari riti, costumi, vite ed arti

33 de' passati e presenti,

34 degli astri e delle piante,

35 de' sassi e delle fiere;

36 tempi, virtuti, luoghi e forme tante;

37 le guerre e le cagion de gli elementi

38 noti chi vuol sapere,

39 ch'e' nulla sappia, e non con finti accenti.

40 Spirto puro e beato solo arriva

41 a sì saggia ignoranza; né può farsi

42 puro chi non è nato

43 per colpa altrui o per fato.

44 Può di natura il don più raffinarsi

45 con gli oggetti e con l'arte educativa,

46 e farsi ampio e chiaro;

47 ma non leggier, di greve,

48 se di savi e di eroi

49 senno e forza ogn'alunno non riceve.

50 Né si trasfonde, se fiacco ed ignaro

51 figlio hanno; onde puoi

52 considerare altronde don sì caro.

53 La purità natia dunque si tira

54 dall'armonia del mondo e d'ogni corda,

55 che vario suon disserra,

56 tesa in cielo ed in terra;

57 e chi sa ingenerarla, a lor s'accorda,

58 dove, onorato, Dio sua grazia aspira.

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59 Oh felice soggetto,

60 degno di favor tale,

61 che Dio in lui di sé goda!

62 Poscia è felice chi tanto non vale,

63 se, ascoltando, s'unisce a quel perfetto.

64 Ma d'ogni ben si froda,

65 chi nato è impuro e schifa il saggio e schietto.

26. Introduzione ad Amore, vero amore.

1 Il vero amante sempre acquista forza,

2 ché l'immagine amata e la bellezza

3 l'anima sua raddoppia; donde sprezza

4 ogn'alta impresa ed ogni pena ammorza.

5 Se amor donnesco tanto ne rinforza,

6 quanta gloria darìa, gioia e grandezza,

7 unita per amor, l'Eterna Altezza

8 all'anima rinchiusa a questa scorza?

9 L'anima si farìa un'immensa spera,

10 che amar, saper e far tutto potrebbe

11 in Dio, di maraviglie sempr'altèra.

12 Ma noi siamo a noi stessi lupi e zebbe,

13 senza il vero Amore, luce sincera,

14 ch'a tanta altezza sublimar ne debbe.

27. Contra Cupido.

1 Son tremila anni omai che 'l mondo cole

2 un cieco Amor, c'ha la faretra e l'ale;

3 ch'or di più è fatto sordo, e l'altrui male,

4 privo di caritate, udir non vuole.

5 D'argento è ingordo e a brun vestirsi suole,

6 non più nudo fanciul schietto e leale,

7 ma vecchio astuto; e non usa aureo strale,

8 poiché fûr ritrovate le pistole,

9 ma carbon, solfo, vampa, truono e piombo,

10 che di piaghe infernali i corpi ammorba,

11 e sorde e losche fa l'avide menti.

12 Pur dalla squilla mia sento un rimbombo:

13 - Cedi, bestia impiagata, sorda ed orba,

14 al saggio Amor dell'anime innocenti.

28. Canzon d'Amore secondo la vera filosofia.

1 Udite, amanti, il mio cantar. Sempr'era

2 l'Amor universal, s'egli Dio spinse

3 a far il mondo, e non forza o bisogno.

4 La sua Possanza a tanta opra l'accinse,

5 però che dentro a sua infinita spera

6 la Prima Sapienza, ond'io ciò espongo,

7 previde che potea starvi l'essenza

8 de' finiti enti, e disse: - Or vi ripongo. -

9 Ché Amor, a cui ogni essere è bontate

10 ch'al Senno è veritate,

11 vita alla Potestate,

12 l'antevista possibile esistenza

13 repente amò: tal ch'e', c'ha dipendenza

14 dal Senno e dal Poter, la volve a loro:

15 ché poter e saper essi non ponno

16 quel che non vonno. Dunque insieme adoro

17 Possanza, Senno, Amor, Primo Ente e Donno.

18 Il perfetto animal, ch'or mondo è, pria

19 era confusion, quasi un grand'uovo,

20 in cui la Monotriade alma parente,

21 covando, espresse il gran sembiante nuovo.

22 Però Necessità, Fato, Armonia

23 influendo, il Poter, l'Amor, la Mente

24 sopiti sciolse a farsi, in membra tante,

25 natura, fabbri intrinsechi e semente.

26 Onde ogn'ente è perch'esser può, sa ed ama.

27 Non può, ignora o disama

28 chi al morir si richiama;

29 il che di vita in vita è gire errante,

30 ché la spera vital sempr'è più innante.

31 Ma le tre influenze abbreviâro

32 il saper delle parti, ond'esse, incerte

33 degli altri esseri e vite, solo amâro

34 la propria ed abborrîr di farsi esperte.

35 Il Primo Ente divino, uno, immortale,

36 tranquillo sempre, è l'infinito Bene,

37 proprio oggetto adeguato del su' Amore.

38 Or, perché ogn'esser da quel primo viene,

39 è buono e lieto oggetto naturale

40 del proprio amor, talch'egli ama il Fattore,

41 se stesso amando, di cui è certa imago.

42 E però s'ama d'infinito ardore,

43 bramando farsi infinito ed eterno,

44 ché è tal l'Autor superno.

45 Quinci nasce odio interno

46 contra 'l morire in chi non è presago

47 d'esser vicin più al Primo, ond'è sì vago,

48 ch'anzi odiar sé, che lui, può, Bene immenso.

49 Del ben il senso amor spira per tutto;

50 ma alle parti mortai del male il senso,

51 per parziale amor, l'odio ha produtto.

52 Dio cosa nulla odia, ché affanno e morte

53 da lor non teme; ma sua vita propia,

54 da lor partecipata, in sé vagheggia,

55 tutte avendo per buone, e bench'inopia

56 di più sembianza sua nell'alme torte

57 si dica odiar, e' non langue o vaneggia,

58 ch'indi e' ben non mendìca, e n'ha a dovizia

59 per sempre dar; ma il suo Fato pareggia,

60 con ta' detti odii e morti, l'Armonia

61 di sua gran monarchia.

62 Né 'l mondo, a chi ben spia,

63 odia sue parti; ma prende a letizia

64 lor guerre e morti, che fanno a giustizia

65 in altre vite, dove gli è mestiero.

66 Così il pan duolsi e muore, da me morso,

67 per farsi e viver sangue, e questo io chiero;

68 poi muore il sangue alla carne in soccorso.

69 Cosa mala io non truovo a Dio ed al mondo,

70 né téma o gelosia; ma da fiacchezza

Tommaso Campanella Poesie

8

71 nacquero delle parti, o dal difetto

72 di quel ch'a molti è gioia o sicurezza.

73 Una comun materia ha il spazio tondo,

74 di cui far regno amò, stanza e soggetto,

75 ogni attivo valor per eternarsi.

76 Dal che Necessità punse l'affetto

77 del consimile a far lo stesso, e guerra

78 pone il Fato, e disserra

79 l'Armonia cielo e terra.

80 Ecco lite d'amor per amor farsi.

81 Con re il re pugna, non con Davo; ed arsi

82 gli enti ha il fuoco, per fuoco amico farli;

83 e la terra vorria che fusser sui.

84 E dal non esser nasce il contrastarli;

85 dall'esser, amicizia; e un di dui.

86 Amor, che dal Valor e Senno Primo

87 procede e lega que' con dolce nodo,

88 del sommo ben, ch'è l'esser suo mai sempre,

89 è voluntate e gaudio sopra modo

90 di sé a sé, sicur ben, sempre opimo.

91 Amor, infuso del mondo alle tempre,

92 del suo gaudio e comodo è pur desire,

93 che del futuro mai non si distempre,

94 ond'egli perda il sembiante divino.

95 Ma l'amor, che 'l destino

96 fe' alle parti meschino,

97 più tosto è desiderio che gioire,

98 del proprio ben, che va sempr'al morire.

99 Amor dunqu'è piacer d'immortal vita

100 in tutti: ma chi in sé perderla sente,

101 la cerca altronde, e 'l consiglio l'invita

102 a trovar via di non morir repente.

103 L'Inopia dunque, pregna dal Consiglio,

104 regenera amor fieri, ardenza e fame,

105 cupidigia, appetito e zel di quelle

106 cose, ch'intraman della vita il stame.

107 Onde il sol mangia la terra, e di piglio

108 ella al ciel dà e vorria mangiar le stelle.

109 Fa di tal guerra e dir lor semi il Fato

110 spirti, umor, pietre, animai, piante; ed elle

111 mangiansi l'un l'altra: ove amor fassi

112 gioir, mentre rifassi

113 pian pian quel che disfassi.

114 Ché gioia del sentirsi esser serbato

115 atto è; e 'l dolor, del sentirsi turbato,

116 cui sommo è ben la conservazïone

117 e sommo mal è lo distruggimento.

118 Però diciam le cose male o buone,

119 ch'a lor son via, cagion, mostra e fomento.

120 Del nemico la fuga, o la vittoria,

121 e del cibo il restauro non bastando

122 ad eternar, il Senno amante, visto

123 che 'l sol produce, la terra impregnando,

124 tante sembianze, revocò a memoria

125 l'arte divina, e 'l mortal sesso misto

126 partìo in due, che sembra terra e sole,

127 servendosi del caso; ond'ha provvisto

128 che, d'essi uniti, Amor, per be' lambicchi,

129 virtù vital dispicchi,

130 chi d'esser gli fa ricchi,

131 morendo in sé, nella futura prole,

132 per questo amata più ch'amante; e suole

133 qui Amor, vòlto in gioir, scordarsi il Senno,

134 come fan gli altri dell'Inopia figli,

135 seguendola in più e meno: onde vizi enno,

136 come virtuti son presso a' consigli.

137 Però, dovunque Amor del suo ben scorge

138 segnale alcun, che bellezza appelliamo,

139 pria che lasci pensar s'ivi s'asconda

140 il ben che 'l serva, accorre; e qui pecchiamo,

141 ché fuor di tempo e luogo, o più o men porge

142 l'idea vitale, o in terra non feconda;

143 dove pur, preparata al gran fine, gioia

144 sentendo, in più error grande si profonda,

145 ch'ella d'Amor sia oggetto e fin sovrano,

146 non saggio e ésca e mezzano

147 del viver sempre. Ah insano

148 pensier, che ogni viltà produce e noia!

149 Né cieca legge smorza tanta foia,

150 ma il gran Saper, d'Amor viste ir l'antenne

151 al non morir: il che fra noi mancando,

152 all'alto volo gli veste le penne

153 d'eternità, ch'andiam quaggiù cercando.

154 Visto gli eroi e filosofi più pruove

155 che 'l cibo e 'l generar fallano spesso,

156 e 'l figlio tralignante perdé al padre,

157 invece di servar, l'esser commesso,

158 punti d'Amor divin (cui par che giove

159 più propagar le cose più leggiadre),

160 sprezzâr la parte per lo tutto; e 'l seme,

161 pria in tutti gli enti la Bontà lor madre

162 mirando, amando han sparso, e le sembianza

163 di lor senno e possanza

164 (di Dio ampliati ad usanza

165 in tutto almen l'uman genere insieme),

166 in detti, in fatti ed opre alte e supreme.

167 E preser l'alme belle ad impregnare

168 di lor virtù, che trae di vaso in vaso

169 lor vita; ma pu manca a lungo andare,

170 ché solo Dio resiste ad ogni caso.

171 Te, Amor, sfera infinita, alma e benigna,

172 che 'n Ciel di copia, in noi d'inopia hai centro,

173 circondato dal cerchio sensitivo,

174 onde chi sente più, più ama e gode;

175 io, che son teco a tutte cose dentro,

176 canto, laudo e descrivo.

177 Per te si abbraccia il van le cose sode,

178 e le virtù la mole, onde consiste

179 dell'universo l'ordine, distinto

180 per te di stelle e d'uomini dipinto.

181 Per te si gira il sol, la terra piglia

182 vigor, onde poi tante cose figlia.

183 Per te contra la morte si resiste

184 e contra il mal, che tanto ci scompiglia.

185 Tu, autor di gentilezza,

186 distruttor di fierezza;

187 da ten son le repubbliche e gli regni

188 e l'amicizia, ch'è un amor perfetto,

189 che contra il male accomuna ogni bene.

190 Tu se' d'eternità frate alla spene,

Tommaso Campanella Poesie

9

191 soprabbondanza di eterno diletto.

192 Tu vinci la Possanza e l'Intelletto.

29. Della Bellezza, segnal del bene, oggetto d'amore.

1 L'Amor essenzial, cui son radici

2 Senno e Valor nativi, donde in terzo

3 s'integra ogni esser, si conserva e chiama

4 bontà, verità e vita: a grande scherzo,

5 in voglie accidental, diffonditrici

6 dell'essere, come arbor, si dirama,

7 o perché in sé l'ha a perdere, o per mostra

8 di suo' beni a bear altri chi s'ama.

9 Talché un Cupido in Ciel di Copia nasce

10 gioiendo; e con ambasce

11 qui d'Inopia un, che pasce

12 pur letizia di vincere la giostra

13 contra il morire in questa bassa chiostra.

14 Or fra le cose ancor, che tutte buone

15 a sé, al mondo e a Dio, perché salute

16 sono all'altre o fatal destruzione,

17 puose un gran segno la Prima Virtute.

18 Bellezza dunque è l'evidente segno

19 del bene, o proprio all'ente in cui risiede,

20 o di ben ch'indi può avvenire a cui

21 par bello, o d'ambi, e d'altri può far fede.

22 Ecco, la luce del celeste regno,

23 beltà semplice e viva, mostra a nui

24 gran valor, che ci avviva e giova a tanti:

25 sol brutta all'ombra, bel degli enti bui.

26 Di serpi e draghi il fischio e la bravura

27 e la varia pittura

28 a noi ci fan paura,

29 gli rendon brutti, e tra lor belli e santi.

30 L'umiltà di cavalli e di elefanti,

31 segnal di servitù e di poco ardire,

32 fa brutta a loro, ma a noi bella vista

33 del poter nostro e ben di lor servire.

34 L'altrui virtù al tiranno è brutta e trista.

35 Bella ogni casa è dove serve e quando,

36 e brutta dov'è inutile o mal serve,

37 e più s'annoia; e pur l'altrui bruttezze

38 bello è vedere, e guerra in mar che ferve,

39 perché tua sorte o virtù vai notando,

40 impàri a spese altrui mire prodezze.

41 Brutto è, s'augura a noi male o rimembra,

42 vedere infermi, povertà ed asprezze.

43 Il bianco, che del nero è ognor più bello,

44 più brutto è nel capello,

45 ché addita testé avello;

46 pur bello appar, se prudenza rassembra.

47 Belle in Socrate son le strane membra,

48 note d'ingegno nuovo; ma in Aglauro

49 sarìan laide. E negli occhi il color giallo,

50 di morbo indicio, è brutto; e bel nell'auro,

51 ch'ivi dinota finezza e non fallo.

52 S'ella nota ogni ben, strano o natìo,

53 e prìncipi son Senno, Amor e Forza,

54 giocondi sempre ed utili ed onesti,

55 cui le virtù son figlie e gli altri scorza;

56 chi più senno, alta possa ed amor pio

57 mostra, è beltà più illustre: ond'i gran gesti,

58 spontanee morti e cortesie d'eroi

59 paion sì belli, e mai non son infesti.

60 Di savi le dottrine, leggi e carmi

61 (ond'io posso eternarmi

62 e l'altrui glorie e l'armi,

63 e far gli altri prudenti a viver poi)

64 son le più ampie bellezze fra noi.

65 Bello è la nave o il cavalier armato

66 veder, in cui più forze addoppia l'arte;

67 ma più Archimede saggio opporsi al Fato,

68 franger le navi e trasvolar, di Marte.

69 L'arte divina negli enti rinchiusa,

70 che natura appelliam, gli esempi prende

71 da Dio per farli; e la nostra da lei.

72 Però il soggetto brutti o bei non rende

73 nostri artifìci; lo imitar gli accusa.

74 Così degli aurei li marmorei dèi

75 più bei puon dirsi, arte maggior mostrando,

76 e più Tersite in scena che gli Atrei.

77 E di Dante l'Inferno più bel pare,

78 ch'e' più 'l seppe imitare,

79 che 'l Paradiso. E care

80 voci e sensi traslati enno, ampliando

81 l'ingegno e 'l ben incognito illustrando;

82 se no, fien vane, o bei drappi in Gabrina,

83 che segnalano il mal del bene in loco,

84 e fan bruttezza doppia tanto fina,

85 quanto il papato a chi deve esser cuoco.

86 Or, se beltade è di bontà apparenza,

87 sarà oggetto a quei sensi sol, che lungi

88 scorgono, come all'occhio ed all'udito,

89 cui la ragione e i sensi interni aggiungi.

90 Ma del gusto e del tatto alla potenza,

91 e d'ogni senso, in quanto è [a] tatto unito,

92 il bello è bene, e se, com'ella aspira,

93 Sofia s'accoppia al Senno suo marito.

94 Così beltà di ninfa, al vago in atto

95 d'amor ristretta affatto,

96 di dì o di notte fatto,

97 passa in giocondo ben. Donde ella aspira

98 bontà fruisce Amor, bellezza ammira.

99 Bell'è la melodia, ma, quando s'ode

100 dentro al mobile spirto, si fa dolce,

101 se quel moto amplia, ond'e' vive e gode;

102 ma il strano offende, e lo sbatte, e non molce.

103 D'ogni ben che conserva in qualche foggia

104 l'essere in sé, ne' figli o nella fama,

105 beltà il segno si dice: ma la forma

106 per più propria beltà si pregia ed ama,

107 perché la virtù scuopre, ch'intra alloggia,

108 come la mole agli usi suoi conforma,

109 l'avviva e tempra con arte e possanza.

110 Ma, se mal serve all'uso di chi informa,

111 come goffo giubbon, fa laido volto,

112 segnal d'ingegno stolto,

113 o di poter non molto,

114 chi non poté o non seppe ben sua stanza

Tommaso Campanella Poesie

10

115 formar, onde è di vita rea speranza.

116 Ma, s'ella è brutta fuori e bella dentro,

117 come in Esopo, industria asconde e vita.

118 Peggio è, se è bello il cerchio e brutto il centro;

119 pessima è, quando è d'ambi mal fornita.

120 Beltà composta ne' corpi ricerca

121 procerità e di membri simmetria,

122 gagliarda agilitate e color vivi

123 di moti e gesti a tempo leggiadria.

124 Più i maschi che le femmine Dio merca

125 con ta' segni, onde son più belli e divi;

126 però più amati, e quelle amanti piue.

127 Dunque nani, egri, tronchi e goffi, privi

128 son parte di bellezza, e vecchi e smorti,

129 grossi, deboli e storti,

130 e pigri, male accorti.

131 Se brutto in nulla alcuno al mondo fue,

132 tenner tutte virtù le celle sue.

133 Pur ogni bello è fior di qualche bene,

134 e d'alcun bello è fior la venustate.

135 Di tutti quella e questa a mentir viene,

136 ché sta in note all'altrui gusto formate.

137 Giovane bella, sugosa e valente

138 promette lunga vita, e nutrimento

139 al seme, ed a noi gioia, onde può tanto.

140 Se poi non truovi sì dolce il contento,

141 com'ella addita, par brutta repente;

142 e se fraude, fierezza e stranio ammanto

143 l'infetta sì, che più nuoce che giuova,

144 par brutta come un simulato santo.

145 Ricchezze e onor, di virtù testimoni,

146 son be', ma più i demòni,

147 che que' dati a' non buoni,

148 ché di commun rovina son gran pruova.

149 Bello è il mentir, se a far gran ben si truova.

150 Or, s'ogni cosa in noi può, al mal soggetti,

151 bella in qualch'uso farsi, a Dio ed al mondo,

152 dove ha infiniti ognuna usi e rispetti,

153 quanto fien belle, e più l'Autor giocondo!

154 Guerre, ignoranze, tirannie ed inganni,

155 mortalità, omicidii, aborti e guai

156 son begli al mondo, come a noi la caccia,

157 giuochi di gladiatori e pazzi gai;

158 arbor uccider per far fuoco e scanni,

159 uova e polli onde il corpo si rifaccia;

160 far vigne, selve ed api, e tôr lor frutti,

161 reti, qual ragno che le mosche allaccia;

162 finger tragedia, se in vita anch'allegra,

163 passando ogni morte egra,

164 più parti al mondo allegra.

165 Ma più bello è che paian mali e brutti;

166 se non, in caos torneremmo tutti.

167 Alfin questa è comedia universale;

168 e chi filosofando a Dio s'unisce,

169 vede con lui ch'ogni bruttezza e male

170 maschere belle son, ride e gioisce.

171 Canzon, se volontario ogn'ente onora

172 bellezza per natura e non per legge,

173 di' ch'ella sia di quel, che 'l tutto regge,

174 trasparente splendor, ch'ogni bontate

175 derivamento è di divinitate,

176 che bea col bene e col bello innamora.

177 Ond'eretica invidia e stolta accora

178 gli sprezzator di quella,

179 ch'al gran Dio ne rappella

180 da' morti ed a man fatti simolacri,

181 mostrando in tutte cose

182 di Dio immaggini vive e tempii sacri,

183 quanto Senno e Possanza in farle puose.

30. Canzon del sommo bene, oggetto d'amor naturale.

1 Ogni cosa si dice bella o brutta,

2 in quanto bene o male rappresenta.

3 Ogni cosa si dice mala o buona,

4 in quanto causa, dispone a fomenta

5 immortal vita a morte, in parte o tutta.

6 Ché sommo bene o sommo mal consona:

7 quello oggetto final di tutti amori,

8 e questo tutti gli odii muove e sprona.

9 Ogni altro bello e ben or s'ama e prezza,

10 ed or s'odia e disprezza,

11 e par malia e bruttezza,

12 o al medesmo o a diversi amatori,

13 ch'al ben sommo ora spine ed or son fiori;

14 che a nullo ente unqua annoia e sempre rape

15 tutti, ch'è per sé buono sempre e solo.

16 Quanto s'opra, si può, s'ama e si sape,

17 s'indrizza a lui, sì come fuoco al polo.

18 Cercar il cibo e prepararlo al ventre,

19 Palla seguire e Venere in gran pena,

20 e la propria sostanza in lei deporre;

21 città abitar, che tanti gusti affrena;

22 pugnar per lei, e ben far ad altri; mentre

23 sommo ben non movesse il senno a tôrre

24 tante briglie, vorria prenderle nullo.

25 Ma il viver sempre, ch'indi viensi a côrre,

26 in sé o nella fama o nelli figli,

27 dolzor diede a' perigli

28 ed agli agi scompigli.

29 Così noi or la sferza, or il trastullo,

30 perch'egli impari, usiamo col fanciullo.

31 Palla dunque non ha, Venere a Bacco

32 gioie per sé, ma a questo fin più altero:

33 onde attuffan, s'è vòto a colmo il sacco;

34 e spesso è lor preposto il dolor fiero.

35 Se, di vivere in scambio, alcun s'uccide,

36 se stesso o i figli a l'opre sue famose,

37 lo fa per migliorar di vita, essendo

38 il viver nostro e delle nostre cose

39 morir continovo, che mai non side

40 senza mutarsi, a mancando o crescendo

41 ed ogni mutamento è qualche morte,

42 una stato acquistando, altro perdendo

43 d'atto, o di quale, o di quanto, o di essenza.

44 E se con violenza

45 si fa, reca doglienza;

46 e gioia, fatto con natural sorte.

Tommaso Campanella Poesie

11

47 Quel che fu o sarà a ciascun par forte

48 e l'esser sol presente è certo e piace;

49 e se repente a forza il muta, duolsi,

50 sì che il morir comun manco gli spiace

51 che 'l proprio; ch'è 'l mutar, com'io raccolsi.

52 La servitute all'anima gentile

53 morte propria è, che d'uom lo cangia in bruto,

54 e i suoi studi ed azioni in pecorine.

55 E per men mal Caton s'ammazza; e Bruto

56 moria ne' figli tralignanti, vile

57 fatto il suo gran sembiante; onde lor fine

58 diè, qual Marone al suo libro dar volle,

59 pieno d'error, di sua fama rovine.

60 Viver per fama infame è vita amara,

61 morte all'alma preclara,

62 che, sprezzando, ripara

63 più vera vita in gloria. Ove il Nil bolle

64 s'uccise un elefante, e Neron molle,

65 e di Siam le donne non volenti

66 sopravivere al vago. A tai più propia

67 par morte mutar stato che elementi.

68 Pensa altri in fama o in Ciel vivere a copia.

69 Ma nullo annicchilarsi unquanche intese,

70 se non alcuni stolti di Narsinga,

71 che solo in «niba» credono posarse

72 senza affanni. Sentenza che lusinga

73 chi sommo mal la doglia esser contese,

74 che a noi guardiana della vita apparse,

75 e di natura medicina e sferza.

76 Così, se non si mangia per gustarse,

77 né Venere per sé natura fece,

78 ma per servar la spece,

79 a noi stimar non lece

80 la voluttà bontà prima, ma terza,

81 che segue all'esser bene, e pria anche scherza

82 con tal presagio il ben dell'universo,

83 perch'ogni ente si serbi a lui e propaghi.

84 Nel che, non d'arte errante, al buio immerso,

85 ma di natura ogni senso n'appaghi.

86 Ricchezze, sangue, onor, figli e vassalli

87 per ben dà il Fato; e pur rovina a molti

88 son al nome, alla patria ed al composto;

89 e fan gli animi ansiosi, vili e stolti.

90 Del corpo i ben, che 'l Ciel per meglio dàlli,

91 sanità, robustezza e beltà, tosto

92 si perdon anche, o perdon chi l'abusa,

93 quando il ben grande al piccolo è posposto.

94 Fra tutti beni le virtù dell'alma

95 ottengono la palma;

96 onde in corso ed in calma

97 regge gli altri, e di mal mai non si accusa.

98 D'esser virtute ogni potenza è esclusa

99 senza il senno, di lor guida e misura;

100 né il suo senno tien l'ente che ha l'idea,

101 specifica bontà, in più e manco impura;

102 onde è a sé malo e strutto, e non si bea.

103 Il ben ch'all'altrui vivere s'applìca,

104 in sé o ne' discendenti, utile è detto

105 dall'uso; e dall'onore in fama, onesto.

106 D'essi appresi esce l'allegria, il diletto,

107 il ricco danno, e dolce la fatica.

108 S'alcun atto è nocivo e disonesto

109 e par giocondo, avvien ch'ivi fu misto

110 più ben con male; e quel nasconde questo.

111 Dunque ogn'onesto ed utile è gioioso

112 in che serba, e doglioso

113 in che strugge; e dir oso

114 che senz'essi piacer mai non fu visto.

115 Se piace l'acqua all'egro, onde è più tristo,

116 giova al spirto, o alla lingua ove ha angoscia;

117 ma, perché enno assai parti, se a più nòce,

118 s'ammalan tutte per consenso poscia;

119 ond'essa perde d'utile la voce.

120 La dolorosa vita non si fugge,

121 se non in quanto è morte: ch'essa doglia

122 senso è del mal, ch'almen morte minaccia,

123 o fa alla parte dov'è, benché soglia

124 tutte serbar, se 'l mal qui unito strugge.

125 Onde i dolori il senno accorto abbraccia

126 per gioire, e molto mal per più gran bene:

127 e 'l ben par mal, se più di mal procaccia.

128 Viver dunque secondo il senno insegna

129 felicità si tegna;

130 per cui saper convegna

131 tutte le cose che 'l manda contiene,

132 quanto fan di timor, quanto di spene.

133 Ma, perché manca ogni conservamento,

134 ché noi siam parti per lo tutto fatte,

135 e per Dio il tutto, il sennoamante, intento,

136 per farsi divo, a quanto può, combatte.

137 Canzon, dirai che l'uom sol fa beato

138 il senno, senza cui gli ben son mali,

139 né si sente il gioir; ma seco pure

140 il mal fia ben. Né senso han l'alme impure,

141 ma veggon con gli occhiali

142 le cose in altra guisa ch'elle stanno.

143 Né purità può aver chi non è nato

144 per sé, ma ad uso di que' che più sanno;

145 talché si fa felice

146 sol oprando quel che 'l saggio ci dice.

147 Assai sa chi non sa, se sa obbedire.

148 Tutto infelice fia chi non ascolta,

149 ma nacque per servire

150 in quel mal che ben fia di gente molta.

151 Forse fia in altre parti puro poi,

152 ché in varie forme s'occulta e rinasce,

153 e sol d'eternità l'esser si pasce;

154 ché il bene e 'l mal son dolci a' denti suoi.

31. Del sommo bene metafisico.

1 L'essere è il sommo ben, che mai non manca,

2 e di nulla ha bisogno, e nulla pave.

3 Amanlo tutti sempre; e' sol se stesso,

4 perché non ha maggior né più soave.

5 S'egli è infinito, noi di morte affranca,

6 ché fuor non ha, né dentro a lui framesso

7 puote il niente star. Né dunque alcuna

Tommaso Campanella Poesie

12

8 cosa s'annulla, ma si cangia spesso.

9 Lo spazio immenso all'esser d'ogni cosa

10 è base in lui nascosa,

11 che solo in sé riposa,

12 da cui, per cui e in cui son tutte in una;

13 e da cui lontanissima è ciascuna

14 da infinito finita; e perché incinta

15 e cinta, è vicinissima anche, stante

16 in lui viva e per lui, s'è per noi estinta,

17 come pioggia nel mar mai non mancante.

18 Come lo spazio tutti enti penètra,

19 locando, e d'essi insieme è penetrato;

20 così Dio gli enti interna, e 'l spazio, e passa,

21 non come luogo, né come locato,

22 ma in modo preeminente; donde impetra

23 lo spazio d'esser luogo, e 'l corpo massa,

24 e l'agenti virtù d'esser attive,

25 e gli composti in cui l'idea trappassa

26 E perch'egli è, ogni ente è per seguela,

27 qual splendor per candela;

28 ma si occulta e rivela

29 in varie fogge, in cui sempre si vive,

30 come atomi nell'aria. In fiamme vive

31 spiace a' legni mutarsi, e d'esser vampe

32 godan poscia, ch'amor, virtute e senso

33 dell'esser proprio han tutte le sue stampe,

34 per quanto è d'uopo, dall'Autor immenso.

35 L'uom fu bambino, embrione, seme e sangue,

36 pane, erba ed altre cose, in cui godeva

37 d'esser quel ch'era, e gli spiacea mutarsi

38 in quel ch'è mo: e quel ch'ora gli aggreva,

39 di farsi in fuoco, in terra, in topo, in angue,

40 poi piaceralli; e crederà bearsi

41 in quel che fia, ché in tutti enti riluce

42 la idea divina, e pel dimenticarsi.

43 Dunque nullo ama quel che amar gli pare:

44 altro patire o fare,

45 che 'l suo esser sa dare.

46 Ch'un sia due, osta il tutto; e chi esser duce

47 vuole, è, in quanto è simile, o produce

48 imago, onde tal si ama; e non è, in quanto

49 guastarsi in quel ch'è duca abborre, ed anco

50 v'è quell'altro, talch'egli è un altro tanto;

51 e 'l savio è tutti, ancor di morte franco.

52 Non fece gli enti per vivere in loro,

53 qual padre in figli o maestro ne' scolari;

54 né per far mostra altrui delle sue pompe,

55 ch'altri non vi era, e gli architetti rari

56 non mostran a una polce un gran lavoro,

57 né cerca onor chi in sé non si corrompe.

58 Or chi dirà perché, se 'l Senno Eterno

59 di tanto arcano il velame non rompe?

60 S'e' fu sempre, il niente non fu mai;

61 e tutti enti son rai

62 del Primo, in cui trovai

63 mondi, virtuti e idee, nel suo interno

64 fatti e rifatti in più fogge ab aeterno,

65 nuove agli enti rifatti, a' fatti antiche;

66 figure ed ombre di sacre esistenze,

67 chi nella Prima son una ed amiche,

68 quantunque abbian tra lor varie apparenze.

69 Se 'l fuoco fosse infinito, la terra

70 non vi sarìa, o cosa confine e strana.

71 Se Dio è infinito ben, non si può dire

72 che vi sia morte o male o Stigia tana,

73 se non per ben di chi e' per meglio serra.

74 Rispetto è, non essenza, il mal, se mire

75 dolce al capro, a noi amara la ginestra

76 Se ta' rispetti averan da finire,

77 il caos sol d'ogni gioia poi s'imbeve,

78 come ferro riceve

79 il fuoco, e 'l freddo neve.

80 E questo è bello alla virtù maestra,

81 com è bel che 'l distingua la sua destra.

82 Che maraviglia s'alcuno s'ammazzi?

83 Lo guida il Fato con occulto incanto

84 per la gran vita, ove enno i mali e i pazzi

85 semitoni e metafore al suo canto.

86 L'alme, in sepolcri portatili ed adri

87 chiuse, dubbie di morte fa ignoranza

88 d'esser futuro e del passato obblio.

89 Così più galeotti, per sconfidanza

90 di miglior vita, e 'n prigion servi e ladri

91 contentarsi, che uscir odian, vidi io.

92 Or l'alma, che nel corpo opaca alberga,

93 se stessa ignora, e l'altre vite, e Dio;

94 onde per buchi stretti affaccia, e spia

95 che cosa essa alma sia,

96 come ivi e perché stia.

97 Regge ella il corpo e nutre, e con sua verga

98 guida; né sa in che modo il quieti e l'erga,

99 ch'e' non traspare; ed essa è breve luce.

100 Così chi opera al buio, sé non vede

101 né l'opra sua; onde al balcon l'adduce,

102 e mira in altri, argomenta e rivede.

103 Se di piante e di bruti e gli uman spirti

104 formano al buio ospizi tanto adorni,

105 e gli reggon con arte a loro ignota,

106 è forza che tu, Dio, che in lor soggiorni,

107 gli guidi, e gli enti sien, per obbedirti,

108 come penna a scrittor, ch'è cieca, e nota;

109 o come è il corpo all'alma, e l'alme all'Ente

110 Primo, senza di cui non si fa iota.

111 Esser, poter, saper, amar, far, sono

112 passioni in noi e dono,

113 ed azioni in Dio buono,

114 che, amandose e sentendose, ama e sente

115 tutte cose, che 'n lui son conoscente.

116 Gode di lor comedia, ché la festa

117 fan dentro a lui; e da lor gioia non prende;

118 ma e', gioiendo, a lor la dona, e presta

119 senso ed amor, mentr'e' s'ama e s'intende.

120 Ma noi, finiti, anzi in prigion, prendiamo

121 di fuor, da chi ci batte le pareti,

122 ov'entra per vie strette, il saper corto

123 e falso, onde voi, falsi amor, nasceti.

124 Quinci aer, terra e sol morti stimiamo,

125 chi han libera il sentir, non, qual noi, morto;

126 e però amiam chi in carcere ci serba,

127 e chi ci rende al Cielo odiamo a torto.

Tommaso Campanella Poesie

13

128 Burle, onde 'l Fato i nostri e i solar fuochi

129 ritiene in stretti luochi,

130 quanto è uopo a' suoi giuochi.

131 Mai non si muore: godi, alma superba!

132 l'obblio d'antica ti fa sempr'acerba.

133 Oh, felice colui, che sciolto e puro

134 senso ha, per giudicar di tutte vite!

135 Che, unito a Dio, per tutto va sicuro,

136 senza temer di morte né di Dite.

137 Canzon, riconosciamo contra gli empi

138 l'Autor dell'Universo, confessando

139 belle, buone e felici l'opre sue

140 tutte, in quanto [ed] a lui sono ed al tutto

141 parti, rispetti e frutto

142 sì giusto, ch'un sol atomo mutando,

143 girìa in scompiglio. E sempre fia chi fue;

144 dal che farsi contento,

145 più che non sa volere, ogn'ente io sento:

146 come tutti direm con stupor, quando

147 di Lete aperto fia il gran sacramento.

32. Della nobiltà e suo' segni veri e falsi.

1 In noi dal senno e dal valor riceve

2 esser la nobiltade; e frutta e cresce

3 col ben oprare; e questa sol riesce

4 di lei testimon ver, com'esser deve.

5 Ma la ricchezza è assai fallace e lieve,

6 se a luce da virtù propria non esce.

7 Il sangue è tal, che a dirlo me n'incresce:

8 ignorante, falsario, inerte e greve.

9 Gli onor, che dar dovrebbon più contezza,

10 con le fortune tu, Europa, misuri,

11 con gran tuo danno, che 'l nemico apprezza.

12 Giudicar l'arbor da' frutti maturi,

13 non d'ombre, frondi e radici, sei avvezza:

14 poi, perché tanta importanza trascuri?

33. Della plebe.

1 Il popolo è una bestia varia e grossa,

2 ch'ignora le sue forze; e però stassi

3 a pesi e botte di legni e di sassi,

4 guidato da un fanciul che non ha possa,

5 ch'egli potria disfar con una scossa:

6 ma lo teme e lo serve a tutti spassi.

7 Né sa quanta è temuto, ché i bombassi

8 fanno un incanto, che i sensi gli ingrossa.

9 Cosa stupenda! e' s'appicca e imprigiona

10 con le man proprie, e si dà morte e guerra

11 per un carlin quanti egli al re dona.

12 Tutto è suo quanto sta fra cielo e terra,

13 ma nol conosce; e, se qualche persona

14 di ciò l'avvisa, e' l'uccide ed atterra.

34. Che la malizia in questa vita e nell'altra ancora è

danno, e che la bontà bea qua e là.

1 Seco ogni colpa è doglia, e trae la pena

2 nella mente o nel corpo o nella fama:

3 se non repente, a farsi pian pian mena

4 la robba, il sangue o l'amicizia, grama.

5 Se contra voglia seco ella non pena,

6 vera colpa non fu: e se 'l tormento ama,

7 ch'è amaro a Cecca e dolce a Maddalena,

8 per far giustizia in sé, virtù si chiama.

9 La coscienza d'una bontà vera

10 basta a far l'uom beato; ed infelice

11 la finta ed ignorante, ancor ch'altera.

12 Ciò Simon Piero al mago Simon dice,

13 quando volessim dir che l'alma pèra,

14 ch'altre pur vite e sorti a sé predice.

35. Che 'l principe tristo non è mente della repubblica

sua.

1 Mentola al comun corpo è quel, non mente,

2 che da noi, membra, a sé tutte raccoglie

3 sostanze e gaudi, e non fatiche e doglie:

4 ch'esausti n'ha, come cicale spente.

5 Almen, come Cupido, dolcemente

6 ci burlasse, che 'n grembo della moglie

7 getta il sangue e 'l vigor, che da noi toglie,

8 struggendo noi, per far novella gente.

9 Ma, con inganno spiacevole, in vaso

10 li sparge o in terra, onde non puoi sperare

11 alcuna ricompensa al mortal caso.

12 Corpo meschin, cui mente ha da guidare

13 piccola in capo piccolin, c'ha naso,

14 ma non occhi, né orecchie, né parlare.

36. Agl'Italiani, che attendono a poetar con le favole

greche.

1 Grecia, tre spanne di mar, che, di terra

2 cinto, superbia non potea mostrare,

3 solcò per l'aureo vello conquistare

4 e Troia con più inganni e poca guerra;

5 poi tutto 'l mondo atterra

6 di favole, e di lui succhia ogni laude.

7 Ma Italia, che l'applaude,

8 contra se stessa e contra Dio quant'erra!

9 Ella, che mari e terra, senza fraude,

10 con senno ed armi in tutto il mondo ottenne,

11 e del Cielo alle chiavi alfin pervenne!

12 Cristoforo Colombo, audace ingegno,

13 fa fra due mondi a Cesare ed a Cristo

14 ponte, e dell'oceano immenso acquisto.

15 Vince di matematici il ritegno,

16 de' poeti il disegno,

17 de' fisici e teologi, e le prove

18 d'Ercol, Nettunno e Giove.

Tommaso Campanella Poesie

14

19 E pur vil Tifi in ciel gli usurpa il regno,

20 né par che a tanto eroe visto aver giove

21 e corso più con la corporea salma,

22 che col pensier veloce altri dell'alma.

23 A un nuovo mondo dài nome, Americo,

24 nato nel nido de' scrittori illustri,

25 che tu, vie più che gli altri, adorni e illustri;

26 né pur poeta hai di tua gloria amico.

27 Ché 'l favoloso intrico

28 de' falsi greci dèi e mentiti eroi

29 tutti gli ha fatti suoi.

30 Caton predisse questo velo antico

31 che Grecia oppone, o Italia, agli occhi tuoi,

32 che assicura gli barbari a predarne

33 l'arme, la gloria, lo spirto e la carne.

34 I gran dottor della legislatura

35 Giano, Saturno, Pitagora e Numa,

36 Vertunno, Lucumon, la dea di Cuma,

37 Timeo e altri infiniti chi gli oscura?

38 Italia, sepoltura

39 de' lumi suoi, d'esterni candeliere;

40 ond'oggi ancor non chiere

41 il Consentin, splendor della natura,

42 per amor d'un Schiavone; e sempre fere

43 con nuovi affanni quel di cui l'aurora

44 gli antichi occùpa, e Stilo ingrato onora.

45 Privata invidia ed interesse infetta

46 Italia mia; né di servir si smaga

47 chi d'ignoranza e discordia la paga,

48 e la propria salute le ha interdetta:

49 virtù ascosta e negletta

50 a te medesma, e nota a tutto 'l mondo

51 sotto 'l bello e giocondo

52 latino imperio, che di gente eletta

53 fu in lettere ed in arme più fecondo

54 che l'universo tutto quanto insieme

55 con verità, ch'or sotto 'l falso geme.

56 Locri, Tarento, Sibari e Crotone,

57 Sannio, Capua, Firenze, Reggio e Chiuse,

58 Genova e l'altre, di gloria deluse,

59 fa da sé ognuna a Grecia paragone;

60 Roma no, che s'oppone

61 a tutto 'l mondo insieme, a tutte cose:

62 ma pur le favolose

63 o vere laudi greche a sé pospone

64 Venezia, onor di virgini e di spose:

65 nuota in mar, rugge in terra e vola in cielo,

66 pesce, leon alato col Vangelo.

67 Ercole e Giove rubba e gli altri dèi

68 Grecia e lor gesti d'Assiria e d'Egitto:

69 e poi l'imprese e nomi anc'have ascritto

70 a vil Tebani, Cretensi ed Achei.

71 Tu, che verace sei,

72 Platon, ciò affermi; e le scienze, ch'ella

73 falsamente sue appella,

74 confusi i tempi e l'istorie da lei

75 falsificate ammira; e sé, novella,

76 mentir non dubbia aver principio e nome

77 dato alle genti di canute chiome.

78 Se l'altre nazion, con più vergogna

79 spesso Italia a tal favole soscrisse;

80 cui legge ed arti e sacrifici disse

81 Noè, che Giano fu senza menzogna.

82 Chi più intender agogna,

83 sien Fabi o Scipi o altri, ecco una sola

84 romulea famigliola

85 di numero e virtude, a quanti sogna

86 eroi Grecia cantando, sapravola.

87 Generosi Latini, i vostri esempi

88 sien vostra téma contra i falsi e gli empi.

37. D'Italia.

1 La gran donna, ch'a Cesare comparse

2 sul Rubicon, temendo a sé rovina

3 dall'introdotta gente pellegrina,

4 onde 'l suo imperio pria crescer apparse:

5 sta con le membra sue lacere e sparse

6 e co' crin mozzi, in servitù meschina.

7 Né già si vede per l'onor di Dina

8 Simeone o Levi più vergognarse.

9 Or, se Gierusalemme a Nazarette

10 non ricorre, o ad Atene, ove ragione,

11 o celeste o terrestre, prima stette,

12 non fiorirà chi 'l primo onor le done;

13 ché ogni Erode è straniero, e mal promette

14 serbar il seme della redenzione.

38. A Venezia.

1 Nuova arca di Noè, che, mentre inonda

2 l'aspro flagel del barbaro tiranno

3 sopra l'Italia, dall'estremo danno

4 serbasti il seme giusto in mezzo all'onda,

5 qui di discordia e di servitù immonda

6 inviolata, eroi chi ponno e sanno

7 produci sempre: onde a ragion ti fanno

8 vergine intatta e madre alma e feconda.

9 Maraviglia del mondo, pia nepote

10 di Roma, onor d'Italia e gran sostegno,

11 de' prencipi orologio e saggia scuola,

12 per mai non tramontar se', qual Boote,

13 tarda in guidare il tuo felice regno

14 di libertà portando il pondo, sola.

39. A Genova.

1 Le ninfe d'Arno e l'adriatica dea

2 Grecia, che tenne l'insegne latine,

3 le contrade siriache e palestine,

4 e l'onda eusina e la partenopea,

5 l'audace industria tua regger dovea,

6 che superolle; e d'Asia ogni confine,

7 d'Africa e d'America le marine,

8 e ciò che senza te non si sapea.

Tommaso Campanella Poesie

15

9 Ma tu, a te strana, le vittorie lasci

10 per piccol premio ad altri, però c'hai

11 debole il capo e le membra possenti;

12 Genoa, del mondo donna, se rinasci

13 di magnanima scuola, e non avrai

14 schiave a' metalli le tue invitte genti.

40. A Polonia.

1 Sopra i regni, ch'erede fan la sorte

2 di lor dominio, tu, Polonia, t'ergi,

3 che, mentre 'l morto re di pianto aspergi,

4 dal figlio ad altri lo scettro trasporte,

5 dubbiosa che non sia quel saggio e forte;

6 ma in più cieca fortuna ti sommergi,

7 scegliendo, incerta s'aduni o dispergi,

8 prencipe di ventura e ricca corte.

9 Deh! cerca fuor di zelo in umil tende

10 Caton, Minoi, Pompili e Trismegisti;

11 ché Dio a tal fin non cessa mai di farne.

12 Questi fan poche spese e molti acquisti,

13 immortali intendendo che gli rende

14 virtù e gran gesti, non gran sangue e carne.

41. A Svizzeri e Grisoni.

1 Se voi più innalza al cielo, o ròcche alpestre,

2 libertà, don divin, che sito altero,

3 perché occupa e mantien d'altri l'impero

4 ogni tiranno con le vostre destre?

5 Per un pezzo di pan di ampie finestre

6 spargete il sangue, senza far pensero

7 se a dritto o a torto uscite all'atto fero;

8 onde il vostro valor poi si calpestre.

9 Ogni cosa è de' liberi; alli schiavi

10 nobile veste e cibo, come a voi

11 la croce bianca e 'l prato, si contende.

12 Deh! gite a liberarvi con gli eroi;

13 gite omai, ritogliendo a' signor pravi

14 il vostro, che sì caro vi si vende.

42. Sonetto cavato dalla parabola di Cristo in san Luca,

e da san Giacomo dicente: «Fides sine operibus mortua

est», ecc., e da sant'Augustino: «Ostende de mihi fidem

tuam, ostendam tibi opera mea».

1 Da Roma ad Ostia un pover uom andando

2 fu spogliato e ferito da' ladroni:

3 lo vider certi monaci santoni

4 e 'l cansâr, sul breviaro recitando.

5 Passò un vescovo e, quasi nol mirando,

6 sol gli fe' croci e benedizioni:

7 ma un cardinal, fingendo affetti buoni,

8 seguitò i ladri, lor preda bramando.

9 Alfin giunse un Tedesco luterano,

10 che nega l'opre ed afferma la fede:

11 l'accolse, lo vestìo, lo fece sano.

12 Chi più merita in questi? chi è più umano?

13 Dunque al voler l'intelligenza cede,

14 la fede all'opre, la bocca alla mano;

43. Contra sofisti e ipocriti, eretici e falsi miracolari.

1 Nessun ti venne a dir: - Io son tiranno -,

2 né il sa dir; né dirà: - Son Anticristo -;

3 ma chi è più fino, scelerato e tristo,

4 per santità ti vende il proprio danno.

5 Ma il baro, la puttana e 'l saccomanno,

6 d'astuzie sì divote mal provvisto,

7 si crede esser peggior, ché agli altri è visto;

8 e poco è il male, in cui poco è l'inganno.

9 Ti puoi guardar: son facili a piegarsi

10 questi, e i Samaritani a' Farisei,

11 che sé ingannano e gli altri, Dio prepose.

12 Né a voce, né a' miracoli provarsi

13 bontà si dèe, ma in fatti: tanti dèi

14 questa falsa misura in terra pose.

44. De' medesimi.

1 Nessun ti verrà a dire: - Io son sofista -;

2 ma di perfidie la scuola più fina

3 larve e bugie sottil dà per dottrina,

4 e vuol esser tenuta evangelista.

5 Ma l'Aretino con sua setta trista,

6 che bevetter di cinici in cantina,

7 di sue ciarle mostrando fiori e spina,

8 di bene e mal ci fa tutto una lista,

9 per giuoco, non per fraude; ed ha a vergogna

10 parer men tristo degli altri, c'han doglia

11 che di tant'arte si scuopra la fogna;

12 onde serran le bocche altrui, e si spoglia

13 ognor il libro, e veste di menzogna,

14 citato in testimon contro lor voglia.

45. Contra gli ipocriti.

1 Gli affetti di Pluton portan al cuore,

2 il nome di Giesù segnano in fronte,

3 perché non siano lor malizie cónte

4 a chi gli guarda dalla scorza in fuore.

5 O Dio, o Senno e sacrosanto Ardore,

6 d'ogni possanza larghissimo fonte,

7 dammi le forze, c'ho le voglie pronte,

8 onde ognun vegga a chi fa tanto onore.

9 Lo zel ch'io porto al tuo benigno nome

10 ed alla verità sincera e pura,

11 questo veggendo, fa ch'io mi dischiome.

12 Chi può più comportar tanta sciagura,

13 che sacrosanto e divino si nome

14 chi spoglia pur gli morti in sepoltura?

Tommaso Campanella Poesie

16

46. Il «Pater noster».

Orazione di Giesù Cristo

1 Padre, che stai nel Ciel, santificato

2 perché sia il nome tuo, venga oramai

3 il regno tuo; che in terra sia osservato

4 il tuo voler, sì come in Ciel fatto hai.

5 E 'l cibo all'alma ed al corpo pregiato

6 danne oggi; e ci perdona obblighi e guai,

7 come noi perdoniamo agli altri ancora.

8 Né ci tentar; ma d'ogni mal siam fuora.

47. Sonetto trigemino sopra il «Pater noster».

1 Vilissima progenie, con che faccia

2 del Padre, che sta in Ciel, vi fate figli,

3 se, schiavi a' vizi, a' can sète, a' conigli,

4 c'han scorza d'uom a guisa di lumaccia?

5 Ché 'l pecoreccio per virtù si spaccia

6 dagli astuti sofistici consigli,

7 ché di tal bestie son gli aurati artigli,

8 ciò al Sommo Padre insegnando che piaccia.

9 Mira ben, ignorante, qual buon padre

10 soggetta i figli a peggior, né a simìle;

11 né pur al capro le caprigne squadre.

12 Se angeli non avete, il vostro ovile

13 regga il senno comun: perché idoladre

14 dall'uom scorrete ad ogni cosa vile?

48. Sonetto secondo del medesimo soggetto.

1 Dov'è la libertà e 'l valor gentile,

2 ch'a tanta figliolanza si conviene?

3 Dell'uom figlio non è pulce, se bene

4 nasce da lui, ma chi animo ha virile.

5 Se Principe di grande o basso stile

6 cosa comanda opposta al Sommo Bene,

7 chi di voi la ricusa? o non si tiene

8 felice a farla, e dimostrarsi umìle?

9 Dunque, agli uomini, a' vizi ed a' metalli

10 con l'animo e col sangue voi servendo,

11 ma a Dio solo in parole e per usanza,

12 siete d'idolatria nel golfo orrendo.

13 Ahi! s'ignoranza indusse tanti falli,

14 tornate al Senno per la figliolanza.

49. Sonetto de l'istesso.

1 Allor potrete orar con ogni istanza

2 che venga il regno, ove il divin volere,

3 come si fa nelle celesti sfere,

4 si faccia in terra e frutti ogni speranza.

5 Ché i poeti vedran l'età ch'avanza

6 ogn'altra, come l'òr tutte minere;

7 e 'l secolo innocente, che si chere

8 ch'Adam perdéo, darà la pia possanza.

9 Goderanno i filosofi quel stato

10 che d'ottima repubblica han descritto,

11 che in terra ancora mai non se trovato;

12 e i profeti in Sion, fuor di dispitto

13 lieto Israel da Babilon salvato,

14 con più stupor che l'esito d'Egitto.

50. Sonetto primo profetale.

1 Mentre l'aquila invola e l'orso freme,

2 rugge il leon e la cornacchia insana

3 insulta l'agno, in cui si transumana

4 nostra natura, e la colomba geme;

5 mentre pur nasce la zizzania insieme

6 col buon frumento nella terra umana,

7 nutricasi la setta empia e profana,

8 che 'l ben schernisce della nostra speme;

9 ché 'l giorno vien che gli fieri giganti,

10 famosi al mondo, tinti di sanguigno,

11 a cui tu applaudi con finti sembianti,

12 rasi di terra al Tartaro maligno

13 fien chiusi teco negli eterni pianti,

14 cinti di fuoco e d'orrido macigno.

51. Sonetto secondo profetale.

1 - La scuola inimicissima del vero,

2 dal principio divino tralignante,

3 pasciuta d'ombre e di menzogne tante

4 sotto Taida, Sinon, Giuda ed Omero,

5 - dice lo Spirto - a riveder l'impero

6 tornando in terra il Senno trionfante,

7 l'ampolla del quinto angelo, versante

8 giusto sdegno, terribile e severo,

9 di tenebre fia cinta; e l'impie labbia,

10 le lingue disleal co' fieri denti

11 stracceransi l'un l'altro per gran rabbia.

12 In Malebolge gli animi dolenti,

13 per maggior pena, dall'arsiccia sabbia

14 vedran gli spirti pii, lieti e contenti. -52.

Sonetto terzo profetale.

1 Se fu nel mondo l'aurea età felice,

2 ben essere potrà più ch'una volta,

3 ché si ravviva ogni cosa sepolta,

4 tornando 'l giro ov'ebbe la radice.

5 Ma la volpe col lupo e la cornice

6 negano questo con perfidia molta:

7 ma Dio che regge, e 'l ciel che si trasvolta

8 la profezia e 'l comun desir lo dice.

9 Se, infatti, di «mio» e «tuo» sia 'l mondo privo

10 nell'util, nel giocondo e nell'onesto,

11 cangiarsi in Paradiso il veggo e scrivo,

12 e 'l cieco amor in occhiuto e modesto,

Tommaso Campanella Poesie

17

13 l'astuzia ed ignoranza in saper vivo,

14 e 'n fratellanza l'imperio funesto.

53. Invitato a scriver comedie, rispose con questo

sonetto pur profetico.

1 Non piaccia a Dio che di comedie vane

2 siam vaghi noi, ne' tragici lamenti

3 studiosi, e nelle scuole di tormenti,

4 del fine instante delle cose umane.

5 Il giorno vien che le sètte mondane

6 batte e riversa, e mette gli elementi

7 sottosopra per far lieti e contenti

8 gli spirti, vòlti alle rote sovrane.

9 Vien l'altissimo Sire in Terrasanta

10 a tener corte e sacro consistoro,

11 come ogni salmo, ogni profeta canta.

12 Ivi spander di grazie il suo tesoro

13 vuol nel suo regno, proprio seggio e pianta

14 del divin culto e dell'età dell'oro.

54. Sopra i colori delle vesti.

1 Convien al secol nostro abito negro,

2 pria bianco, poscia vario, oggi moresco,

3 notturno, rio, infernal, traditoresco,

4 d'ignoranze e paure orrido ed egro.

5 Ond'ha a vergogna ogni color allegro,

6 ché 'l suo fin piange e 'l viver tirannesco,

7 di catene, di lacci, piombo e vesco,

8 di tetri eroi ed afflitte alme intègro.

9 Dinota ancòra la stoltizia estrema,

10 che ci fa ciechi, tenebrosi e grami,

11 onde 'l più oscuro il manco par che prema

12 Tempo veggo io ch'a candidi ricami,

13 dove pria fummo, la ruota suprema,

14 da questa feccia, è forza ne richiami.

55. Sonetto secondo sopra i medesimi colori.

1 Veggo in candida robba il Padre santo

2 venir a tener corte, e i senatori

3 con lui di simili abiti e colori,

4 e 'l bianco Agno immortal sedergli a canto.

5 E finir di Giovanni il lungo pianto,

6 avendo il gran Leon giudeo gli onori

7 d'aprir il fatal libro, uscendo fuori

8 il bianco corridor del primo canto.

9 Le prime anime belle in bianche stole

10 incontran lui, che, su la bianca nube,

11 vien cinto da' suo' bianchi cavalieri.

12 Taccia il popol moresco, che non vuole

13 udir il suon delle divine tube.

14 L'alba colomba scaccia i corbineri.

56. Sonetto sopra la congiunzion magna, che sarà l'anno

1603 a' 24 di dicembre.

1 Già sto mirando i primi erranti lumi,

2 sopra il settimo e nono centenario

3 dopo alcuni anni, insieme in Sagittario

4 raccozzarsi, a mutar legge e costumi.

5 E te, Mercurio, che l'impresa assumi

6 di promulgar, qual pronto segretario,

7 quel che poi leggi nell'eterno armario

8 già statuirsi ne' possenti numi;

9 sul merigge d'Europa, nel tuo giorno,

10 nella decima casa, eccovi in corte;

11 e 'l sol vosco consente in Capricorno.

12 Oh, voglia Dio ch'i' arrivi a sì gran sorte,

13 di veder lieto quel famoso giorno

14 c'ha a scompigliare i figli della morte!

57. La congiunzione magna cade nella revoluzione

della natività di Cristo.

1 Del spazio immenso a siti originali

2 del ciel stellato i cardini congiunti

3 (donde or per molti gradi son disgiunti)

4 eran di Cristo nelle ore natali;

5 mutava l'anno e i secoli mortali

6 Febo, di Capricorno ne' due punti,

7 dov'ora il veggo; e, nel primo raggiunti

8 trigono, i lumi erranti principali

9 in mobil segni han l'assidi; e 'n consiglio

10 seco han Mercurio; e presto vien più grande

11 a lor poi Marte a ponere scompiglio.

12 Ecco ceder le sètte empie e nefande

13 al Primo Senno; e, s'io fuor di periglio

14 sarò, predicherò cose ammirande.

58. Sonetto cavato dall'«Apocalisse» e santa Brigida.

1 Molti secoli son, che l'uman germe,

2 vinto dal rio costume, al mondo diede

3 genti doppie di sesso e doppia fede,

4 pronti agl'inganni, alle virtuti inferme.

5 In mezzo a tanti mali io per vederme,

6 stavo piangendo, ed ecco che s'avvede

7 Europa in parte, dove men possiede

8 ambo gli porti di lussuria il verme.

9 Quel che aspettavan tutti vati insieme,

10 veggo più venti correre a vendetta

11 contra la belva onde natura geme.

12 Un destrier bianco il suo cammino affretta,

13 di nostra redenzion verace speme:

14 l'adultera il destin, temendo, aspetta.

Tommaso Campanella Poesie

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59. Sopra la statua di Daniele.

1 Babel disfatta, che fu l'aurea testa,

2 venne l'argenteo petto, Persia; a cui

3 ventre e cosce di rame siete vui,

4 Macedoni; a cui Roma ultima resta.

5 Fûr due gambe di ferro note in questa;

6 ma le dita han di terra i piedi sui,

7 significando i regni or sparti e bui,

8 di chi fu schiava, ed or donna funesta.

9 Ahi, terra arsiccia, donde sempre fuma

10 vanagloria, superbia e crudeltate,

11 che infetta, acceca, annegrica e consuma!

12 Ma voi la Bibbia e Daniel negate

13 per schifar questo: ch'è vostra costuma

14 coprirvi di menzogna e falsitate.

60. Al carcere.

1 Come va al centro ogni cosa pesante

2 dalla circonferenza, e come ancora

3 in bocca al mostro che poi la devora,

4 donnola incorre timente e scherzante;

5 così di gran scienza ognuno amante,

6 che audace passa dalla morta gora

7 al mar del vero, di cui s'innamora,

8 nel nostro ospizio alfin ferma le piante.

9 Ch'altri l'appella antro di Polifemo

10 palazzo altri d'Atlante, e chi di Creta

11 il laberinto, e chi l'Inferno estremo

12 (ché qui non val favor, saper, né pièta),

13 io ti so dir; del resto, tutto tremo,

14 ch'è ròcca sacra a tirannia segreta.

61. Di se stesso.

1 Sciolto e legato, accompagnato e solo,

2 gridando, cheto, il fiero stuol confondo:

3 folle all'occhio mortal del basso mondo,

4 saggio al Senno divin dell'alto polo.

5 Con vanni in terra oppressi al Ciel men volo,

6 in mesta carne d'animo giocondo;

7 e, se talor m'abbassa il grave pondo,

8 l'ale pur m'alzan sopra il duro suolo.

9 La dubbia guerra fa le virtù cónte.

10 Breve è verso l'eterno ogn'altro tempo,

11 e nulla è più leggier ch'un grato peso.

12 Porto dell'amor mio l'imago in fronte,

13 sicuro d'arrivar lieto, per tempo,

14 ove io senza parlar sia sempre inteso.

62. Di se stesso, quando, ecc.

1 D'Italia in Grecia ed in Libia scorse,

2 bramando libertà, Catone il giusto;

3 né potendo saziarsene a suo gusto,

4 sino alla morte volontaria corse.

5 E 'l sagace Annibàl, quando s'accorse

6 che schifar non potea l'imperio augusto,

7 l'anima col velen svelse dal busto.

8 Onde anche Cleopatra il serpe morse.

9 Fece il medesmo un santo Maccabeo;

10 Bruto e Solon furor finto coperse,

11 e Davide, temendo il re geteo.

12 Però, là dove Iona si sommerse

13 trovandosi, l'Astratto, quel che feo

14 al santo Senno in sacrificio offerse.

63. A certi amici uficiali e baroni, che, per troppo

sapere, o di poco governo o di fellonia l'inculpavano.

1 Non è brutto il demòn quanto si pinge:

2 sta ben con tutti, a tutti, cortesia:

3 la più sentenza eroica è la più pia:

4 un piccol vero gran favola cinge.

5 Il paiuol della pentola più tinge;

6 nera chiamarla dunque non dovria.

7 Libertà bramo, e chi non la desia?

8 ma il viver sporca chi per viver finge.

9 - Chi si governa mal, spesso si duole. -

10 Se pur lo dite a me, ditelo a tanti

11 gran profeti e filosofi ed a Cristo.

12 Né il saper troppo, come alcun dir suole,

13 ma il poco senno degli assai ignoranti

14 fa noi meschini e tutto il mondo tristo.

64. A consimili.

1 Ben seimila anni in tutto 'l mondo io vissi:

2 fede ne fan l'istorie delle genti,

3 ch'io manifesto agli uomini presenti

4 co' libri filosofici ch'io scrissi.

5 E tu, marmeggio visto ch'io mi ecclissi,

6 ch'io non sapessi vivere argomenti,

7 o ch'io fossi empio; e perché il sol non tenti,

8 se del Fato non puoi gli immensi abissi?

9 Se a' lupi i savi, che 'l mondo riprende,

10 fosser d'accordo, e' tutto bestia fôra;

11 ma perché, uccisi, s'empi eran, gli onora?

12 Se 'l quaglio si disfà, gran massa apprende;

13 e 'l fuoco, più soffiato, più s'accende,

14 poi vola in alto e di stelle s'infiora.

65. Orazione a Dio.

1 Tu, che, forza ed amor mischiando, reggi

2 e muovi gli enti simili e diversi

3 ordinati a quel fine, ond'io scoversi

Tommaso Campanella Poesie

19

4 il Fato, l'armonia di tutte leggi;

5 s'è ver che i prieghi di cosa correggi

6 non decretata negli eterni versi,

7 ma solo i tempi prosperi e perversi

8 d'affrettar o tardar ne privileggi;

9 così prego io, che tant'anni mi truovo

10 di sciocchi e d'empi favola e bersaglio,

11 e nuove ingiurie e pene ognora pruovo:

12 allevia, abbrevia, Dio, tanti travagli;

13 ché tu pur non farai consiglio nuovo,

14 se a libertà antevista quinci saglio.

66. A Dio.

1 Come vuoi ch'a buon porto io mi conduca,

2 se de' compagni dati io veggio a prova

3 altri infedeli, e chi fede ha, si trova

4 che senno in lui pochissimo riluca?

5 e 'l fido e saggio, come lepre in buca,

6 timor nasconde, o fugge, e non mi giova;

7 e, se l'audacia in tal virtù si cova,

8 cattività ed inopia le manuca?

9 L'onor tuo, l'util mio, la ragion sprezza

10 vaneggiante l'aiuto, che m'invii,

11 per cui m'annunzi libertà e grandezza.

12 Credo e farò, se gli empi vuoi far pii:

13 ma vorrei, per alzarmi a tanta altezza,

14 ch'io m'intuassi, come tutt'immii.

67. Ad Annibale Caracciolo, detto Niblo, scrittor

d'egloche.

1 Non Licida, né Driope, né Licòri

2 pôn mai, Niblo gentil, farti immortale,

3 se d'amor infinito oggetto eguale

4 l'ombre non son, né gli cadenti fiori.

5 La bellezza, che in altri ammiri e adori,

6 nell'anima tua diva più prevale;

7 per cui lo Spirto mio spiega anche l'ale

8 verso le note degli eterni ardori.

9 Illustra dunque quel che 'n te risplende

10 con l'amor di virtù che mai non manca,

11 e laudi immense da Dio solo attende.

12 Di far conto con gli uomini omai stanca

13 l'anima mia, la tua richiama, e rende

14 alla scuola di Dio con carta bianca.

68. Al Telesio cosentino.

1 Telesio, il telo della tua faretra

2 uccide de' sofisti in mezzo al campo

3 degli ingegni il tiranno senza scampo;

4 libertà, dolce alla verità, impetra.

5 Cantan le glorie tue con nobil cetra

6 il Bombino e 'l Montan nel brettio campo:

7 e 'l Cavalcante tuo, possente lampo,

8 le ròcche del nemico ancora spetra.

9 Il buon Gaieta la gran donna adorna

10 con diafane vesti risplendenti,

11 onde a bellezza natural ritorna;

12 della mia squilla per li nuovi accenti,

13 nel tempio universal ella soggiorna:

14 profetizza il principio e 'l fin degli enti.

69. A Ridolfo di Bina.

1 Senno ed Amor, innanzi a primavera

2 degli anni tuoi, t'han dato, o Bina, l'ale

3 a volar con Adam, guida fatale,

4 per molti spazi della nostra sfera.

5 Così s'arriva alla virtute intiera,

6 virtù ch'a voi dà gloria, e morte al male:

7 mal, che gran tempo te, Germania, assale:

8 Germania, che de' suoi figli dispera.

9 Ma in te grazie divine, eroica prole,

10 leggendo il cielo, scorge il senno mio;

11 deh! lascia al volgo errante ciance e fole.

12 Tu, con animo ardente, altiero e pio,

13 bandisci guerra alle falsarie scuole,

14 ch'io vincitor ti veggo, e veggo in Dio.

70. A Tobia Adami filosofo.

1 Portando in man la cinica lucerna,

2 scorri, Tobia, l'Europa, Asia ed Egitto;

3 finché i piedi d'Ausonia in luogo hai fitto,

4 dov'io, nascosto in ciclopea caverna,

5 fatal brando a te tempro in luce eterna

6 contra Abaddon, ch'oscura il vero e 'l dritto,

7 di quanto in nostra scuola già s'è scritto

8 a gloria di chi noi fece e governa.

9 Contra sofisti, ipocriti e tiranni

10 d'armi del Primo Senno ornato vai

11 la patria a liberar di tanti inganni.

12 Mal, se torci; gran ben, s'indrizzerai

13 virtute, diligenza, ingegno ed anni

14 verso l'aurora degli eterni rai.

71. Sonetto nel Caucaso.

1 Temo che per morir non si migliora

2 lo stato uman; per questo io non m'uccido:

3 ché tanto è ampio di miserie il nido

4 che, per lungo mutar, non si va fuora.

5 I guai cangiando, spesso si peggiora,

6 perch'ogni spiaggia è come il nostro lido;

7 per tutto è senso, ed io il presente grido

8 potrei obbliar, com'ho mill'altri ancora.

9 Ma chi sa quel che di me fia, se tace

Tommaso Campanella Poesie

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10 Omnipotente? e s'io non so se guerra

11 ebbi quand'era altro ente, ovvero pace?

12 Filippo in peggior carcere mi serra

13 or che l'altrieri; e senza Dio nol face.

14 Stiamci come Dio vuol, poiché non erra.

72. Lamentevole orazione profetale dal profondo della

fossa dove stava incarcerato.

1 A te tocca, o Signore,

2 se invan non m'hai creato,

3 d'esser mio salvatore.

4 Per questo notte e giorno

5 a te lagrimo e grido.

6 Quando ti parrà ben ch'io sia ascoltato?

7 Più parlar non mi fido,

8 ché i ferri, c'ho d'intorno

9 ridonsi e fanmi scorno

10 del mio invano pregare,

11 degli occhi secchi e del rauco esclamare.

12 Questa dolente vita,

13 peggior di mille morti,

14 tant'anni è sepelita,

15 che al numero io mi trovo

16 delle perdute genti,

17 qual, senza aiuto, uom libero, tra morti,

18 di morte e non di stenti:

19 a' quali il mio composto

20 sol vive sottoposto,

21 nel centro ad ogni pondo

22 di tutte le rovine, ahimè, del mondo.

23 Gli uccisi in sepoltura,

24 dati da te in oblio,

25 de' quai non hai più cura,

26 de' sotterranei laghi

27 nell'infimo rinchiuso

28 di morte fra le tenebre sembro io.

29 Qui un mar di guai confuso,

30 pien di mostri e di draghi,

31 ...........................

32 sopra di me si aduna,

33 e 'l tuo furor spirando aspra fortuna.

34 Dagli amici disgiunto

35 sono, e opprobrio al mio sangue,

36 di scorni e d'orror punto,

37 che fiutar non mi vuole

38 né potrebbe, volendo,

39 me abbominato qual pestifero angue;

40 e 'l tradimento orrendo

41 lor fai apparir sole

42 verso cotanta mole

43 di paure e di affanni,

44 perch'io mendìco sol qui pianga gli anni.

45 Signor, a cui son figlie

46 le pietose preghiere,

47 le tue gran maraviglie

48 e grazie in me non mostri;

49 faraile a' morti note?

50 o il fisico a cantar tue glorie altere

51 risuscitar gli puote?

52 o fia ne' ciechi chiostri,

53 chi narri gli onor vostri?

54 o qui al buio alcun scerne,

55 tra obblio e perdizion, tue pruove eterne?

56 Quinci io pur sempre esclamo,

57 sera e dì ti prevengo:

58 - Libertà, Signor, bramo -

59 e tu pur non m'ascolti,

60 ma volgi gli occhi altrove.

61 Povero io nacqui, e di miserie vengo

62 nutrito in mille prove;

63 poscia, tra i saggi e stolti

64 alzato, mi trasvolti

65 con terribil prestezza

66 nella più spaventevole bassezza.

67 Sopra me si mostrâro

68 tutti gli sdegni tuoi,

69 tutti mi circondâro,

70 come acqua tutti insieme;

71 ahi come stansi fermi!

72 né che m'aiuti alcun permetter vuoi.

73 ......................

74 La gente del mio seme

75 m'allontanasti, e preme

76 duro carcer gli amici;

77 altri raminghi vanno ed infelici.

78 Va', amaro lamento,

79 tratto di salmodia,

80 ch'è d'altri profezia,

81 ma di me troppo assai vero argomento.

82 Vanne allo Spirto Santo,

83 di cui se' parto santo:

84 forse avrà per sua figlia alcun contento,

85 che non merta il mio accento.

73. Orazioni tre in salmodia metafisicale congiunte

insieme.

Canzone prima

1 Omnipotente Dio, benché del Fato

2 invittissima legge e lunga pruova

3 d'esser non sol mie' prieghi invano sparsi,

4 ma al contrario esauditi, mi rimuova

5 dal tuo cospetto, io pur torno ostinato,

6 tutti gli altri rimedi avendo scarsi.

7 Che s'altro Dio potesse pur trovarsi,

8 io certo per aiuto a quel n'andrei.

9 Né mi si potria dir mai ch'io fosse empio,

10 se da te, che mi scacci in tanto scempio,

11 a chi m'invita mi rivolgerei.

12 Deh, Signor, io vaneggio; aita, aita!

13 pria che del Senno il tempio

14 divenga di stoltizia una meschita.

15 Ben so che non si trovano parole

16 che muover possan te a benivolenza

Tommaso Campanella Poesie

21

17 di chi ab aeterno amar non destinasti;

18 ché 'l tuo consiglio non ha penitenza,

19 né può eloquenza di mondane scuole

20 piegarti a compassion, se decretasti

21 che 'l mio composto si disfaccia e guasti

22 fra miserie cotante ch'io patisco.

23 E se sa tutto 'l mondo il mio martoro,

24 il ciel, la terra e tutti i figli loro,

25 perché a te, che lo fai, l'istoria ordisco?

26 E s'ogni mutamento è qualche morte,

27 tu, Dio immortal, ch'io adoro,

28 come ti muterai a cangiar mia sorte?

29 Io pur ritorno a dimandar mercede,

30 dove il bisogno e 'l gran dolor mi caccia.

31 Ma non ho tal retorica né voce,

32 ch'a tanto tribunal poi si confaccia.

33 Né poca carità, né poca fede,

34 né la poca speranza è che mi nuoce.

35 E se, com'altri insegna, pena atroce,

36 che l'anima pulisca e renda degna

37 della tua grazia, si ritrova al mondo,

38 non han l'Alpe cristallo così mondo,

39 ch'alla mia puritade si convegna.

40 Cinquanta prigioni, sette tormenti

41 passai, e pur son nel fondo;

42 e dodici anni d'ingiurie e di stenti.

43 Stavamo tutti al buio. Altri sopiti

44 d'ignoranza nel sonno; e i sonatori

45 pagati raddolcîro il sonno infame.

46 Altri vegghianti rapivan gli onori,

47 la robba, il sangue, o si facean mariti

48 d'ogni sesso, e schernian le genti grame.

49 Io accesi un lume: ecco, qual d'api esciame,

50 scoverti, la fautrice tolta notte

51 sopra me a vendicar ladri e gelosi,

52 e que' le paghe, e i brutti sonnacchiosi

53 del bestial sonno le gioie interrotte:

54 le pecore co' lupi fûr d'accordo

55 contra i can valorosi;

56 poi restâr preda di lor ventre ingordo.

57 Deh! gran Pastor, il tuo can, la tua lampa,

58 da' lupi omai difende e da' ladroni.

59 Fa noto il tutto all'ignorante gregge;

60 ché se mia luce e voce, pur tuoi doni,

61 lasci spacciare per peccato in stampa,

62 più dannato fia il sole e la tua legge.

63 Ma, s'altra colpa è pur che mi corregge,

64 sai che non può volarsi senza penne

65 della tua grazia; né, senza, io le merto.

66 Pur sempr'ho l'occhio al tuo splendor aperto;

67 che fallo è il mio, se dentro egli non venne?

68 Ma sciogli Bocca, e fai tuo messaggero

69 Gilardo; e con qual merto?

70 Màncati la ragion forse o l'impero?

71 Parlo teco, Signor, che mi comprendi,

72 e dell'accuse altrui poco mi cale.

73 Io ben confesso che del mondo hai cura

74 e ch'a nulla Sua parte vogli male;

75 quantunque, a ben del tutto che più intendi,

76 senza annullarle, le muti a misura:

77 in che consiste proprio la natura;

78 e tal mutanza male e morte noi

79 di qualità o di essenza sogliam dire,

80 ch'è del tutto alma vita e bel gioire,

81 bench'alle parti tanto par ch'annoi.

82 Così del corpo mio più morti e vite

83 veggo andare e venire,

84 di parti a ben del tutto in vita unite.

85 Il mondo, dunque, non ha male; ed io

86 di mali innumerabili sto oppresso

87 per letizia del tutto e d'altre parti.

88 Ma, se alle particelle hai pur concesso

89 d'invocar chi l'aiuta «proprio Dio»,

90 ché a tutti gli enti il tuo valor comparti

91 e le mutanze lor con segrete arti

92 addolcisci, amoroso temperando

93 Necessitate, Fato ed Armonia,

94 Possanza, Senno, Amor per ogni via;

95 m'è avviso, ch'a pregarti ritornando,

96 truovi rimedio alcun, che rallentarmi

97 possa la pena ria,

98 o 'l dolce crudo amor di vita trarmi.

99 Cosa il mondo non ha che non si muti,

100 né che del suo mutarsi non si doglia,

101 né che del suo dolersi Dio non preghi.

102 Fra' quali molti son cui avvenir soglia,

103 che, come tu ab aeterno vuoi, l'aiuti;

104 e molti ancora, a cui l'aiuto neghi.

105 Come dunque io saprò per cui ti pieghi,

106 s'io presente non fui al consiglio antico?

107 Argomento verace alfin m'addita

108 che quella orazion sia esaudita,

109 che con ragione e puramente io dico.

110 Così spesso, non sempre, nel tuo volto

111 sentenza è diffinita,

112 che 'l campo frutti ben, s'egli è ben cólto.

113 Del mio contrito e ben arato suolo

114 la coltura mi reca gran speranza,

115 ma più lo sol del Senno che 'l feconda,

116 che molte stelle forse sopravanza,

117 esser predestinato sopra il polo,

118 che la preghiera mia non si confonda,

119 e ch'abbia il fine, a cui di mezzi abbonda

120 pur da te infusi e previsti ab aeterno.

121 Con condizion pregò Cristo, sapendo

122 che schivar non potea il calice orrendo.

123 E l'angel suo rispose: al gran governo

124 convenir ch'egli muoia. Io senza prego,

125 risposta ricevendo

126 dal mio diversa, che sovente allego.

127 Canzon, di' al mio Signor: - Chi per te giace

128 tormentato in catena intra una fossa,

129 dimanda come possa

130 volar senza ale. O manda, o tu insegna

131 come la ruota fatale è ben mossa,

132 e se si truova in Ciel lingua mendace. -133

Ma parrai troppo audace,

134 senza l'altra, ch'or teco uscir disegna.

Tommaso Campanella Poesie

22

74. Canzone seconda della medesima salmodia.

1 Se ha' destinato ch'io ben sparga il seme,

2 avrai forse voluto che ben mieta:

3 perché dunque si tarda il giusto fine?

4 Perché le stelle fai e più d'un profeta,

5 i tuo' doni e scïenze vani insieme?

6 Perché le forze e le voglie divine

7 il nemico schernisce? e le rovine,

8 ch'a lui si converrian, a me rivolve?

9 Perché tra 'l Fato un'animata terra

10 bestemmia e nega Dio, s'egli non erra,

11 e me che t'amo in tante pene involve?

12 Quando ignorai e negai, molto impetrai

13 con chi il tuo nome atterra;

14 or ch'io t'adoro, vo traendo guai.

15 Se tu già m'esaudisti peccatore,

16 perch'or non m'esaudisci penitente?

17 Perch'a Bocca, il tuo Nume dispregiante,

18 le porte apristi, e me lasci dolente

19 preda al nemico e riso al traditore?

20 Così m'hai dato il corridor volante?

21 Ogni tiranno è contra i tuoi costante,

22 e 'n ben trattar chi a' suo' piaceri applaude;

23 e tu gli amici tuoi sempre più aggravi,

24 e nel lor sangue l'altrui colpe lavi.

25 Che maraviglia se cresce la fraude

26 moltiplicano i vizi e le peccata?

27 Ché, ad onta nostra, i pravi

28 si vantan, che dài lor vita beata.

29 Io con gli amici pur sempre ti scuso

30 ch'altro secolo in premio a' tuoi riserbi;

31 e che i malvagi in sé sieno infelici,

32 sempre affliggendo gli animi superbi

33 sdegno, ignoranza e sospetto rinchiuso;

34 e che di lor fortune traditrici

35 traboccan sempre al fine. Ma gli amici,

36 se, quelli dentro e noi di fuor, siamo

37 tutti meschini, chieggon la cagione,

38 che fa nel nostro mal tue voglie buone;

39 che se gli altri enti e noi, figli d'Adamo,

40 doveamo trasmutarci a ben del tutto

41 di magione in magione,

42 perché non fai tal muta senza lutto?

43 Senza lutto se fosse, senza senso

44 sarian le cose e senza godimento,

45 né l'un contrario l'altro sentirebbe,

46 né ci sarìa tra lor combattimento,

47 né generazione, e 'l caos immenso

48 la bella distinzione assorbirebbe.

49 E pur nel punto che mutar si debbe

50 la cosa, uopo è che senta, perch'all'altra

51 resista e faccia ch'ella si muti anco,

52 secondo il Fato vuol, né più né manco,

53 chi regge il mondo. Or qui tuo Senno scaltra.

54 Io, teco disputando, vinto e lasso

55 cancello, e metto in bianco

56 le mie ragioni; in altro conto passo.

57 Solevo io dir fra me dubbiando: - Come

58 d'erbe e di bruti uccisi per mia cena

59 non curo il mal, né a' supplicanti vermi

60 dentro a me nati do favor, ma pena;

61 anzi il sol padre e terra madre il nome

62 struggon de' figli e i lor composti infermi;

63 così Dio non sol pare che s'affermi

64 che del mal nostro pietade nol punga,

65 ma ch'egli sembri il tutto; onde ne goda

66 trarci di vita in vita, con sua loda

67 che fuor del cerchio suo mai non si giunga. -

68 O pur, che in Dio fosse divario dolce,

69 dissi ragion men soda,

70 come in Vertunno è, che 'l nostro soffolce.

71 Or ti rendo, Signor, fermezza intègra:

72 ché i prieghi e 'l variar d'ogni ente fue

73 da te antevisto, e non ti è un iota nuovo,

74 ch'un tuo primo voler possa or far due.

75 D'essere e di non essere s'intègra:

76 per l'un la fermo, per l'altro la muovo;

77 che da te sia, da sé non sia, la truovo;

78 per sé si muta, e per te non s'annulla

79 la creatura; e stassi, te imitando;

80 e mutasi, tua idea rappresentando,

81 ché in infinite fogge la trastulla,

82 per non poterla tutta in un mostrare;

83 infinità mancando

84 a questa, nel cui male il tuo ben pare.

85 Le colpe di natura (ancor dichiaro),

86 in cui si fondan l'altre del costume,

87 per la continoa guerra, ch'indi avviene

88 che l'un l'altro non è, non dal tuo Nume,

89 ma dal niente origine pigliâro.

90 Né toglier la discordia a te conviene,

91 né far che l'un sia l'altro, perché 'l bene

92 di tanti cangiamenti sarìa spento,

93 né la tua gloria nota in tante forme

94 gioiose mentre stanno a te conforme,

95 dogliose mentre vanno al mutamento,

96 dove il niente le chiama. Ond'io veggio

97 che il tuo Senno non dorme;

98 ma io, in niente assorbito, vaneggio.

99 Sì come il ferro, di natura impuro,

100 sempre s'arruggia e 'l fabbro invita all'opra,

101 così le cose, dal niente nate,

102 tornan sempre al niente; e Dio sta sopra,

103 ché non s'annullin, ma di quel che fûro

104 in altro essere e vita sien recate.

105 S'e' fregia nostra colpa e nullitate,

106 Dio ringraziar debbiam, non lamentarci;

107 ed io, vie più che gli altri, che son meno,

108 onde di guai mi truovo sempre pieno.

109 Ma, se de' pannilini i vecchi squarci

110 carta facciam, che noi di morte rape

111 d'eternitade al seno,

112 che fia di me, se Dio di noi più sape?

113 - Ma perché più degli altri io fui soggetto

114 alle doglienze della vita nostra?

115 - Ché in questa o in altra aspetti miglior sorte,

116 e in quelli forza e in te saper Dio mostra.

117 - Ma perché l'una e l'altro io non ho stretto?

Tommaso Campanella Poesie

23

118 - Ché se' parte e non tutto. - E perché forte

119 fu e savio chi a Golia donò la morte?

120 - Quel ch'era in lui, in te non è or bisogno.

121 - Perché così? - Ché l'ordine fatale

122 ottimo il volle, che Dio fece tale.

123 Miser, so men quanto saper più agogno!

124 Miserere di me, Signor, se puoi

125 far corto e lieve il male,

126 senza guastar gli alti consigli tuoi!

127 Canzon, di' al mio Signor, ch'io ben conosco

128 ch'ogni cosa esser puote

129 migliore a sé, ma non all'universo;

130 ch'e' già sarìa disperso,

131 se uguali al sol fussero l'altre ruote

132 del mio desir non vòte.

133 Ma più ho da dirli. Aspetta

134 la tua terza sorella, che non tarda;

135 sarai in mezzo eletta

136 e più a grazia impetrar forse gagliarda.

75. Canzone terza della medesima salmodia.

1 Vengo a te, potentissimo Signore,

2 sapientissimo Dio,

3 amorosissimo Ente Primo ed Uno:

4 miserere del nostro antico errore;

5 cessi omai l'uso rio;

6 non sia più l'uno all'altro uomo importuno;

7 tornin, dove io gli aduno,

8 alla Prima Ragion tua; donde errando,

9 siamo trascorsi a diverse menzogne,

10 talché ognun par ch'agogne

11 farsi degli altri dio, gli occhi abbagliando

12 al popol miserando,

13 già di cieca paura

14 sforzato a perseguir chi ben gli adduce;

15 ond'io sto in sepoltura,

16 perché lor predicai la prima luce.

17 Per l'Unità ti priego viva e vera,

18 per cui disfarsi stimo

19 la discordia, la morte e l'empio inganno;

20 per la Possanza universal primera,

21 e per lo Senno primo

22 e per lo primo Amor, ch'un ente fanno:

23 togliene omai quel danno,

24 che da valor, da senno e d'amor finti,

25 tirannide, sofismi, ipocrisia,

26 spande pur tuttavia;

27 che l'alme e i corpi a pugna cieca ha spinti

28 fra lacci e laberinti,

29 ove par che sia meglio

30 non veder l'uscio a chi forza non have;

31 e me n'hai fatto speglio,

32 quando senz'arme m'hai dato la chiave.

33 Per le medesme eminenze ch'io soglio

34 dir di se stesse oggetti,

35 essenza, verità e bontade insieme,

36 ti prego, s'io di maschere le spoglio,

37 quella colpa rimetti,

38 che tôrre i falsi dèi dall'uman seme

39 vantansi, e più ci preme.

40 Chi vide ch'unquanco in terra si faccia

41 il tuo voler, sì come si fa in Cielo?

42 chi d'ignoranza il velo,

43 chi il giogo sotto gli empi, che n'allaccia,

44 in fatti rompe o straccia?

45 Sol libertà può farci

46 forti, sagaci e lieti. E 'l suo contrario

47 valere a consumarci

48 di sei milia anni mostra il gran divario.

49 Poi ti prego, ti supplico e scongiuro

50 per l'influenze magne,

51 Necessità, Fato, Armonia, che 'l regno

52 dell'universo mantengon sicuro,

53 tue figlie, non compagne;

54 per lo spazio, ch'è base al tuo disegno;

55 per la mole all'ingegno,

56 pel caldo e per lo freddo, d'elementi

57 gran fabbri, e per lo cielo e per la terra,

58 pe' frutti di lor guerra;

59 pel tempo e per le statue tue viventi,

60 stelle, uomini ed armenti

61 per tutte l'altre cose;

62 per Cristo, Senno tuo, Prima Ragione,

63 che dalle sorti ascose

64 spezzi la crudel mia lunga prigione.

65 Se mi sciogli, io far scuola ti prometto

66 di tutte nazioni

67 a Dio liberator, verace e vivo,

68 s'a cotanto pensier non è disdetto

69 il fine a cui mi sproni;

70 gl'idoli abbatter, far di culto privo

71 ogni dio putativo

72 e chi di Dio si serve e a Dio non serve;

73 pôr di ragione il seggio e lo stendardo

74 contra il vizio codardo;

75 a libertà chiamar l'anime serve,

76 umiliar le proterve.

77 Né a' tetti, ch'avvilisce

78 fulmine o belva, dir canzon novelle,

79 per cui Siòn languisce.

80 Ma tempio farò il cielo, altar le stelle.

81 Deh! risorga a pietà l'Amor eterno,

82 e l'infinito Senno

83 proponga l'opra al gran Valor immenso,

84 che il duro scempio del mio lungo inferno

85 vede senza il mio cenno:

86 sei e sei anni, che 'n pena dispenso

87 l'afflizion d'ogni senso,

88 le membra sette volte tormentate,

89 le bestemmie e le favole de' sciocchi,

90 il sol negato agli occhi,

91 i nervi stratti, l'ossa scontinoate,

92 le polpe lacerate,

93 i guai dove mi corco,

94 li ferri, il sangue sparso, e 'l timor crudo,

95 e 'l cibo poco e sporco;

96 in speme degna di tua lancia e scudo.

97 Farsi scanni gli uman corpi a' giganti,

Tommaso Campanella Poesie

24

98 gli animi augei di gabbia,

99 bevanda il sangue, e di lor prave voglie

100 le carni oggetto, e le fatiche e i pianti

101 giuoco dell'empia rabbia,

102 maniche a' ferri usati a nostre doglie

103 l'ossa, e le cuoia spoglie;

104 de' nostri sensi, testimoni e spie

105 false contra noi stessi; e ch'ogni lingua

106 l'altrui virtute estingua,

107 e fregi i vizi lor con dicerie,

108 vedrai da queste arpie

109 più dal tuo tribunale.

110 Che pel tuo onor, mia angoscia se non basta,

111 ti muova il comun male,

112 a cui la providenza più sovrasta.

113 Se favor tanto a me non si dovea

114 per destino o per fallo,

115 sette monti, arti nuove e voglia ardente

116 perché m'hai dato a far la gran semblea,

117 e 'l primo albo cavallo,

118 con senno e pazienza tanta gente

119 vincere? Dunque, mente

120 tanto stuol di profeti che tu mandi?

121 ed ogn'anima santa, che già aspetta

122 veder la tua vendetta,

123 falsa sarà per gloria di nefandi?

124 Più prodigi e più grandi

125 il tuo Nume schernito,

126 qual muto idolo, agogna oggi, che quei

127 ch'i mostri han sovvertito

128 di Samaria, d'Egitto e di Caldei.

129 Tre canzon, nate a un parto

130 da questa mia settimontana testa,

131 al suon dolente di pensosa squilla,

132 ch'ostetrice sortilla,

133 ite al Signor, con facce e voce mesta

134 gridando miserere

135 del duol, che 'l vostro padre ange e funesta.

136 Né sia chi rieda a darmi altra novella

137 dal Rettor delle sfere

138 che 'l fin promesso dell'istoria bella

139 (sia stato falso o vero il messaggiere),

140 cantando: - Viva, viva Campanella! -76.

Canzone prima del dispregio della morte.

1 Anima mia, a che tanto disconforto?

2 forse temi perir tra immensi guai?

3 Tema il volgo. Tu sai

4 dirsi morir chi fuor del suo ben giace.

5 Se nulla in nulla si disfà giammai,

6 non può altronde, chi a sé pria non è morto,

7 morte patir o torto,

8 né temer guerra chi a se stesso ha pace.

9 Non ti muova argomento altro fallace.

10 Se nativa prigion te non legasse,

11 legar non ti potria l'empio tiranno,

12 ch'e' non può far tal danno

13 a' sciolti venti, agli angeli, alle stelle.

14 Solo a lui male i tuoi tormenti fanno,

15 ma a te ben, come se ti liberasse,

16 o ti risuscitasse,

17 chi da sepolcro o da prigion ti svelle;

18 ché l'uno e l'altro son l'umane celle.

19 Dentro il gran spazio, in cui lo mondo siede

20 tutto consperso di serena luce,

21 che 'l sommo Ente produce,

22 e di vive magion lucenti adorno,

23 dove han gli spirti repubblica e duce,

24 in libertà felice: sol si vede

25 nera la nostra sede.

26 Dunque, de' regni bianchi, ch'ella ha intorno,

27 fu a' peccatori esilio e rio soggiorno.

28 Il centro preme in sempiterna notte

29 sotto ogni pondo i più rubbelli; e 'l giro

30 or letizia, or martiro,

31 or tenebra ed or lume al mondo apporta,

32 che i proprii dal comun carcer sortîro;

33 né, quindi uscendo, in nulla son corrotte.

34 Ma chi scende alle grotte,

35 tornar non può, perché ivi al doppio è morta;

36 e chi va in alto, al carcer odio porta.

37 Se lo spirto corporeo, che 'l calore

38 ne' bruti e pur negli uomini ha produtto,

39 sempre esala al suo tutto,

40 né riede a noi, quantunque esca a dispetto,

41 ignorando ch'a gaudio va dal lutto:

42 vie più la mente, che di lui men muore

43 tornando al suo Fattore,

44 poi, saggia e sciolta, fugge il nostro tetto:

45 avviso che non erri al coro eletto.

46 E` tutto opaco il corpo che ti cinge,

47 e sol ha due forami trasparenti;

48 né in lor le cose senti,

49 ma sol le specie, e non qua' son, ché l'onda

50 le fa, il cristallo e 'l corno differenti,

51 che 'l lume che le porta àltera e tinge.

52 Né pur tuo specchio attinge

53 a veder l'aria sottil che 'l circonda,

54 né gli angeli, né cosa più gioconda.

55 Indebolite luci e moti e forze

56 delle cose, che batton la muraglia

57 del carcer che n'abbaglia,

58 sentiamo noi, non le possenti o dive;

59 perché sfarìan la nostra fragil maglia.

60 Né virtù occulta ammetton le sue scorze,

61 che per noi non si ammorze:

62 poche sembianze e di certezza prive

63 solo ha chi meglio tra noi parla e scrive.

64 Qual uomo a volo non vorria levarsi,

65 o più saltar a giugner? Ma nol lascia

66 questa di morti cascia.

67 Va col pensiero a più parti del mondo,

68 dove esser brama; ma la grossa fascia

69 non vuol che vada, né possa internarsi

70 [di tutte cose a infarsi].

71 Dunque tien l'alma il tenebroso pondo,

72 l'allegrezza, i desiri e i sensi in fondo.

Tommaso Campanella Poesie

25

73 Di': come al buio hai tu distinto l'ossa?

74 i nervi soprasteso alle giunture?

75 tante varie testure

76 di vene, arterie e muscoli formasti,

77 le viscere, le fibre e legature?

78 come il bodel si piega, stringe e ingrossa?

79 come, di carne rossa

80 vestendo il tutto, la testa scarnasti?

81 come il caldo obbedia? come il frenasti?

82 Non mi risponder quel ch'impari altronde

83 e nell'anatomia, ché non è tuo

84 cotal saper, ma suo,

85 di chi t'avvisa: e pur t'inganni spesso,

86 come n'hai sperimenti più che duo.

87 Or, se [in] te ignori ciò che 'l corpo asconde

88 e in altri spii, risponde

89 non essere, a chi al buio sta, concesso

90 veder che fa, né il luogo, né se stesso.

91 Pur, se 'l vario nutrir t'ha fatto porre

92 la fabbrica in obblio, di' mo: in che modo

93 il nutrimento sodo

94 all'ossa tiri, ed a' nervi il viscoso,

95 ed agl'impuri vasi feccia e brodo?

96 Come odi, e vedi, e pensi, quando a scôrre

97 ten vai nell'alta torre?

98 Di': il respirar, e 'l polso stretto e ondoso

99 come dài al spirto, fatica e riposo?

100 Tu non sai quel che fai, ch'altri ti guida,

101 come al cieco chi vede apre 'l cammino.

102 Il tuo carcer sì fino

103 per tu' avviso e suo gioco il Sir compose.

104 Libera hai volontà sol, don divino,

105 per meritar, pigliando scorta fida,

106 no' Macon, Cinghi o Amida,

107 ma chi formò tua stanza e l'altre cose;

108 e perché prezzi il ben, tra guai ti pose.

77. Canzone seconda del medesimo tema.

1 Quante prende dolcezze e meraviglie

2 l'anima, uscendo dal gravante e cieco

3 nostro terreno speco!

4 Snella per tutto il mondo e lieta vola,

5 riconosce l'essenze, e vede seco

6 gli ordini santi e l'eroica famiglia,

7 che la guida e consiglia,

8 e come il Primo Amor tutti consola,

9 e quanti mila n'ha una stella sola.

10 Questo, ch'or temi di lasciar, albergo

11 tanto odierai, che, se: - Di ferro e vetro

12 per non sentir ferètro

13 né scurità né doglia, - Dio dicesse -

14 tel renderò, ed in lui torna; - a tal metro,

15 crucciata, del voler voltando il tergo:

16 - In pianto mi sommergo -

17 risponderesti; salvo se 'l rendesse

18 tutto celeste, qual Cristo s'elesse.

19 Mirando 'l mondo e le delizie sacre

20 e quanti onor a Dio fan gli almi spirti,

21 comincerai stupirti

22 come egli miri pur la nostra terra

23 picciola, nera, brutta e, più vo' dirti,

24 dove ha tante biastemme orrende ed acre,

25 che par che si dissacre;

26 dove sta l'odio, la morte e la guerra,

27 e l'ignoranza troppo più l'afferra.

28 Vedrai pugnar contro la terra il cielo

29 e 'l caldo bianco e la freddezza oscura,

30 e che d'essi natura,

31 per trastullo de' superi, ne forma

32 vento, acqua, pianta, metal, pietra dura;

33 del ciel scordarsi il caldo, e contra 'l gelo

34 vestirsi terren velo,

35 e come a suo' bisogni lo conforma;

36 e che doglia e piacer gli enti trasforma.

37 Possanza, Senno, Amor da Dio vedrai

38 participar il tutto ed ogni parte;

39 ed usar la Prima Arte

40 Necessitade, Fato ed Armonia,

41 per cui tanta comedia orna e comparte,

42 a Dio rappresentando giuochi gai;

43 e divin fiati e rai

44 (che son l'anime umane) a' corpi invia

45 per far le scene con più leggiadria.

46 Fia aperto il dubbio, che torce ogn'ingegno:

47 perché i più savi e buoni han più flagelli,

48 e fortuna i più felli?

49 Ché Dio a que' die' le parti ardue del gioco,

50 per trarli a maggior ben da' lordi avelli;

51 e del suo mal goder lascia chi è degno.

52 E n'ho visto pur segno,

53 più indotti e schiavi e impuri amar non poco

54 l'error, la prigionia e l'infame loco.

55 Il giuoco della cieca per noi fassi:

56 ride natura, gli angeli e 'l gran Sire,

57 vedendo comparire

58 della primera idea modi infiniti,

59 premiando a chi più ben sa fare e dire.

60 Se i nostri affanni son divini spassi,

61 perché vincer ti lassi?

62 Miriamo i spettator, vinciam le liti

63 contra prìncipi finti, stravestiti.

64 Il carcere, che 'n tre morti mi tieni

65 con timor falso di morir, dispreggio.

66 Vanne al suolo, tuo seggio,

67 ch'io voglio a chi m'è più simile andarmi.

68 - Né tu se' quel che prima ebbi io, ma peggio,

69 che sempr'esali, e rifatto altro vieni

70 da quel che prandi e ceni:

71 onde lo spirto tuo nuovo ognor parmi.

72 Or perché temo in tutto io di sbrigarmi?

78. Canzone terza del medesimo tema.

1 Piangendo, dici: - Io ti levai, - mia testa;

2 le man: - Scrivemmo -; i piè: - T'abbiam portato.

Tommaso Campanella Poesie

26

3 Dispregiarne è peccato.

4 Di più, te il dolor stringe e 'l riso spande;

5 ti prende obblio ed inganno, ché se' un fiato,

6 e la puzza greva, odor cresce e desta,

7 che sparso in aere resta;

8 perché noi, gloria, Venere e vivande

9 sprezzi, ove certo vivi, e molto, e grande?

10 - Compagno, se in obblio le doglie hai posto,

11 quando di terra in erba e in carne sei

12 fatto di membri miei

13 pur questa obblierai, ch'or ti martìra,

14 di farti terra; e poi godrai di lei.

15 Per farne altri lavori ha Dio disposto

16 disfare il tuo composto;

17 ma in tutto il Primo Amor dolcezza spira.

18 Poi sarai mio, se 'l tutto al tutto aspira.

19 S'or debbo a ciò che fosti e sarai mio,

20 porterò un monte: ma l'arte soprana

21 quanto ti trasumana,

22 staremo insieme: né pensar ch'io tema

23 disfarmi in nulla, o in cosa da me strana.

24 L'animal spirto, in cui involto sono io,

25 prende inganno ed obblio,

26 ed io per lui: quando egli cresce e scema,

27 patisco anch'io, ma non mutanza estrema.

28 Desir immenso delle cose eterne

29 e 'l vigor, per cui sempre alto più intendo

30 e terra e ciel trascendo,

31 se nulla eccede di sue cause il fine,

32 mostran che d'aria e dal sol non dipendo,

33 né di cose caduche, ma superne.

34 Ecco che mi discerne

35 da te, ch'ami e sai solo il tuo confine;

36 e pur gran pruove d'altre alme divine.

37 La morte è dolce a chi la vita è amara;

38 muoia ridendo chi piangendo nasce;

39 rendiam queste atre fasce

40 al Fato omai, ch'usura tanta esige,

41 ch'avanza il capital con tante ambasce.

42 L'udito, i denti vuol, la vista cara.

43 Prendi il tuo, terra avara,

44 perché me teco ancor non porti a Stige.

45 Beato chi del tempo si transige!

46 Tu, morte viva, nido d'ignoranza,

47 portatile sepolcro e vestimento

48 di colpa e di tormento,

49 peso d'affanni e di error laberinto,

50 mi tiri in giù con vezzi e con spavento,

51 perch'io non miri in Ciel mia propria stanza,

52 e 'l ben ch'ogn'altro avanza:

53 onde, di sua beltà invaghito e vinto,

54 non sprezzi e lasci te, carbone estinto.-79.

Canzone quarta del dispregio della morte.

1 Filosofia di fatti il Senno vuole,

2 che l'ultime due tuniche or mi spoglia,

3 ch'è del viver la voglia

4 e d'aver laude scrivendo e parlando.

5 Doglia è lasciarle. Ma smorza ogni doglia

6 chi nella mente sua il gran Senno cole,

7 seco vuole e disvòle,

8 di lui se stesso in se stesso beando.

9 Onor non ha chi d'altri il va cercando.

10 Se fusse meglio a tutto l'universo,

11 alla gloria divina ed a me ancora,

12 ch'io di guai fosse fuora,

13 liberato m'avria l'Omnipotente;

14 ch'astuzia e forza contra lui non fôra.

15 Tiranno, incrudelisci ad ogni verso;

16 sbrani e mangi il perverso:

17 ché non è mal là dove Dio consente.

18 Non doni legge al medico il languente.

19 Empio colui non sol, ma ancora stolto,

20 che, 'n croce giubilar Piero ed Andrea

21 veggendo, e che si bea

22 Attilio ne' tormenti e Muzio e Polo,

23 non sa avanzar la setta epicurea,

24 che sol piacer ha del piacer raccolto

25 traendo gaudio molto,

26 pur come fan gli amanti, anche dal duolo;

27 ché 'l Primo Amor ci leva a tanto volo.

28 Fuggite, amici, le scuole mondane;

29 alto filosofar a noi conviensi.

30 Or, c'han visto i miei sensi,

31 non più opinante son, ma testimonio,

32 né sciocche pruove ho de' secreti immensi.

33 Già gusto quel che sia di Cristo il pane.

34 Deh! sien da noi lontane

35 quelle dottrine, che il celeste conio

36 non ha segnato; ch'io vidi il Demonio.

37 Credendosi i demòn malvagi e fieri

38 indiavolarmi con l'inganni loro,

39 benché con mio martoro,

40 m'han fatto certo ch'io sono immortale

41 che sia invisibil più d'un consistoro;

42 che l'alme, uscendo, van co' bianchi e neri,

43 e co' fallaci e veri,

44 a cui più simil le fe' il bene e il male,

45 che più studiâro in questa vita frale.

46 Altri spinge a servir Dio vil temenza,

47 altri ambizione di Paradiso,

48 altri ipocrito viso;

49 ma noi, ch'è Primo Senno e Sommo Bene

50 amabile per sé, tenemo avviso,

51 a cui farci conformi è preminenza,

52 bench'avessim scienza

53 che n'abbia scritti alle tartaree pene.

54 Nel Primo Amor null'odio por conviene.

55 Chi dagli effetti Dio conoscer brama

56 per seco unirsi e lodarlo, sia certo,

57 come in me sono esperto,

58 delle sue colpe segreto perdono

59 conseguisce e scienza dell'incerto.

60 Dio osserva la pariglia: ama chi l'ama,

61 e risponde a chi il chiama.

62 Odia, disprezza il mal, sendo uno e buono;

63 chi a lui si dona, lo guadagna in dono.

Tommaso Campanella Poesie

27

64 Se mai fia ch'uomo ascolte

65 queste sotterra ed in silenzio nate

66 rime mie sventurate,

67 pria che nascan, sepolte,

68 pensier muti e costume;

69 ch'io non ragiono a caso,

70 ma sperïenza e Nume

71 e legge natural m'hanno persuaso.

80. Canzone a Berillo, di pentimento, desideroso di

confessione, ecc., fatta nel Caucaso.

1 Signor, troppo peccai, troppo, il conosco;

2 Signor, più non m'ammiro

3 del mio atroce martiro.

4 Né le mie abbominevoli preghiere

5 di medicina, ma di mortal tosco

6 fûr degne. Ahi, stolto e losco!

7 Dissi: - Giudica, Dio, - non - Miserere. -

8 Ma l'alta tua benigna sofferenza,

9 per cui più volte non mi fulminasti,

10 mi dà qualche credenza

11 che perdonanza alfin mi riserbasti.

12 Quattordici anni invan patisco (ahi lasso!),

13 sempre errore accrescendo

14 a me stesso, ed agli altri persuadendo

15 ch'io per difender verità e giustizia

16 da Dio, c'ho sconosciuto, sia qua basso,

17 qual Cristo, eletto sasso

19 Or ti vorrei pregar che, per discolpa

20 di tanti errori, accetti tante pene;

21 se non è nuova colpa

22 chieder ch'agli empi guai segua alcun bene.

23 Io merito in niente esser disfatto,

24 Signor mio, quando penso

25 l'opere prave mie e 'l perverso senso.

26 Poi, mirando ch'io son pur tua fattura,

27 che tocca riconciarla a chi l'ha fatto,

28 ch'io bramo esser rifatto

29 nel tuo cospetto nuova creatura,

30 questa sola ragion sola mi resta.

31 Onde sol fine al mio lungo tormento

32 chieggio, non quella festa,

33 né del prodigo figlio il gran contento.

34 Io mi credevo Dio tener in mano,

35 non seguitando Dio,

36 ma l'argute ragion del senno mio,

37 che a me ed a tanti ministrâr la morte.

38 Benché sagace e pio, l'ingegno umano

39 divien cieco e profano,

40 se pensa migliorar la comun sorte,

41 pria che mostrarti a' sensi suoi, Dio vero,

42 e mandarlo ed armarlo non ti degni,

43 come tuo messaggiero,

44 di miracolo e pruove e contrassegni.

45 Altri il Demonio, altri l'astuzia propia

46 spinse a far cose nuove,

47 permettente colui che 'l tutto muove,

48 per ragion parte chiare e parte oscure.

49 Laonde chi di senso ha maggior copia,

50 spesso sente più inopia,

51 empiendosi di false conghietture,

52 che i divi ambasciator sien anche tali;

53 e la bontà di Dio, che condescende

54 e si mostra a' mortali,

55 disconosce, discrede e non intende.

56 Osserva, uomo, osserva quella legge,

57 nella qual nato sei:

58 prencipe e sacerdoti sienti dèi,

59 e i lor precetti divini, quantunque

60 paiano ingiusti a te ed a tutto il gregge;

61 se Dio, per cui si regge,

62 diluvi, incendi e ferro usa quandunque

63 par giusto, e così que' ministri d'ira.

64 Dove Dio tace e vuole, taci e vogli;

65 con voti al porto aspira,

66 schifando via, non offendendo, i scogli.

67 Chi schernisce i decreti, ovvero ammenda,

68 o col peccato scherza,

69 o di quel gode, o per la prima sferza

70 da errar non fugge più che dal colùbro,

71 o l'occulta giustizia non gli è orrenda:

72 costui misero intenda

73 ch'è preso all'ami; e que' ch'al lido rubro

74 ostinati perîr, giungi al mio esempio.

75 Quanto ha il peccato in sé bruttezza e puzza

76 pria non conosce l'empio,

77 che, qual Antioco, inverminisce e puzza.

78 Ma tu quei miri, che peccano impune,

79 lieti e tranquilli sempre;

80 ma non penètri le segrete tempre

81 dell'uomo interior, e però sparli;

82 ché forse è di quel mal, che pensi, immune;

83 o pene ha più importune,

84 sdegno, sospetto, zelo, interni tarli;

85 né guardi il fin, né le divine ire,

86 quanto più tarde, tanto più gagliarde.

87 O ciò ne forza a dire:

88 - Necessario è l'Inferno, che sempre arde. -

89 Tardi, Padre, ritorno al tuo consiglio,

90 tardi il medico invoco;

91 tanto aggravato, il morbo non dà loco.

92 Quanto più alzar vo' gli occhi al tuo splendore,

93 più mi sento abbagliar, gravarmi il ciglio.

94 Poi con fiero periglio

95 dal lago inferior tento uscir fuore

96 con quelle forze che non ho, meschino.

97 Meschino me, per me stesso perduto,

98 ché l'aiuto divino,

99 che sol salvarmi può, bramo e rifiuto!

100 Desio di desiar tue grazie tengo:

101 certa, evidente vita,

102 quando voglia possente a te m'invita,

103 e quando è fiacca, avaccio sento il danno;

104 su l'ale del voler non mi sostengo

105 rotte e bagnate. Vengo

106 a que' favor, che sì pregar mi fanno:

107 - Deh! pregate per me voi, ch'io non posso,

108 voi, Piero e Paolo, luminar del Cielo,

Tommaso Campanella Poesie

28

109 Radamante e Minosso

110 della celeste legge e del Vangelo.

111 Merti non ho per quelli gran peccata,

112 che contra te ho commesso.

113 Madre di Cristo, e voi che state appresso,

114 spirti beati, abitator del lume,

115 che 'l mondo adempie e sol la terra ingrata

116 ancor non ha purgata;

117 prego contra ragion, contra il costume,

118 ch'al vostro capital fiero inimico

119 impetrate da lui qualche perdono,

120 ch'a' peccator fu amico;

121 poiché tra gli empi il maggior empio io sono.

122 Ah, come mi sta sempre innanzi agli occhi,

123 come mi fere e punge,

124 come l'alma dal corpo mi disgiunge,

125 e la fiducia dall'alma mi svelle

126 il gran fallo mio, gli atti miei sciocchi!

127 - Tu, che mi senti e tocchi,

128 aria, tu, vivo ciel, voi, sacre stelle,

129 e voi, spirti volanti dentro a loro,

130 ch'or m'ascoltate, ed io non veggio voi,

131 mirate al mio martoro;

132 di voi sicuri, pregate per noi. -133

Canzon grave e dolente

134 delle mie iniquitati,

135 corri a Berillo vivo, da Dio eletto

136 a purgar l'alme da' brutti peccati.

137 Di' che la mia si pente;

138 ch'e' faccia il sacro effetto,

139 invocando per me l'Omnipotente.

81. Della prima possanza.

1 Le potestati umane tanto m'hanno

2 travagliato, ch'omai vengo a pensare,

3 ch'io peccai contra te, Possanza Prima;

4 però che di Saturno più d'un anno

5 tutto del Senno Primo a contemplare

6 mi diedi, e al Primo Amor volsi ogni rima,

7 di te tanto scrivendo

8 quanto per lor ti intendo,

9 di cui dovevo far principal stima.

10 Or io volgo il mio stile

11 alla tua dignitade,

12 perdon chiedendo umìle

13 ed aiuto, o Suprema Podestade.

14 Dove manca Possanza, il patimento

15 ch'al non esser le cose sempre tira,

16 abbonda, e 'l caso avverso, ed ogni male;

17 onde io tant'anni mi truovo scontento.

18 A te, Valor, dunque, oggi alzo la mira,

19 a cui soggiace ogni forza fatale:

20 ché 'l Senno e l'Amor pio,

21 com'or ben confesso io,

22 senza la tua difesa poco vale.

23 Può amar chi ha potenza

24 e sa chi può sapere,

25 ed è chi aver può essenza;

26 dunque, ogni quiddità vien dal Potere.

27 L'intrinseco poter fa che sossista

28 ogn'essere; e l'estrinseco il difende,

29 si è d'altri, o parte; e non da sé, né tutto.

30 Sta il mondo e gli enti magni in questa lista,

31 a cui precede chi da nullo pende,

32 Dio, che interno valor solo ha per tutto.

33 Ma può, se poter vuole

34 e se poter sa; e suole

35 (in sé volgendo quel che 'n lui è produtto)

36 saper, se puote ed ama;

37 e voler, se può e sape.

38 Dunque «tre in un» si chiama,

39 e distinzion d'origine sol cape.

40 Possanza e Senno producono Amore

41 unitamente; e però tutte cose

42 aman l'esser, però che sanno e ponno,

43 ma sanno perché ponno solo. Autore

44 dunque del Senno primo ben si pose

45 il primario Poter, degli enti donno.

46 Ma, perché regge amando

47 ed opera insegnando,

48 e l'esser, quando è desto e quando è in sonno,

49 d'essi tre si compone,

50 saran tre preminenze

51 d'ogni effetto e cagione

52 semplici metafisiche semenze.

53 E`, ciò ch'è, perché puote, sape ad ama;

54 non è, quel ch'esser non può, ignora o abborre,

55 per sé, o per forza d'altri, o del Primo Ente,

56 ch'è monotriade. E quel ch'all'esser chiama,

57 partecipando tre eminenze, corre,

58 pur limitato sempre dal niente,

59 all'esser suo finito,

60 che sta in quello infinito

61 esser, eterno, solo, independente,

62 che creò, come base

63 d'ogni essenza seconda,

64 lo spazio, immenso vase,

65 ch'è penetrato, penetra e circonda.

66 Quando di contener virtù donasti

67 al luogo, e dal tuo Senno senso prese,

68 e dall'Amor amor di farsi pieno,

69 la gran mole corporea ingenerasti,

70 delle virtuti agenti atta all'imprese,

71 in due triadi consimili a quel seno.

72 Poscia i maschi, possenti,

73 che di lei due elementi

74 cielo e terra, formâro: e del più e meno

75 di lor gare e rovine

76 ogni mistura uscìa,

77 Dio influendo a tal fine

78 Necessitate, Fato ed Armonia.

79 La vita, agli enti vari che seguiva,

80 era virtute, in quanto da te nacque.

81 Ma quel che dal non esser timor venne,

82 ogni vizio produsse, e la nociva

83 ragion di Stato, e poi 'l mal proprio piacque,

84 che 'l senso indi impotente a ciò s'attenne.

Tommaso Campanella Poesie

29

85 Ma, se ti svegli omai,

86 in meglio muterai

87 natura madre e i figli, come accenne.

88 L'impotenza e 'l peccato

89 tôrrai da' senni umani;

90 tutti in un lieto stato

91 gl'imperi adducerai vari profani.

92 Darai alla vita di durar virtute,

93 forza alla legge, che 'l gran Senno mise,

94 vigor all'amicizie, d'amor prole.

95 Senza te, gli enti han le bontà perdute;

96 venner l'insidie e l'unità divise,

97 ch'invidia partorîro e false scuole:

98 timidità e pigrizia,

99 sconfidenza, avarizia,

100 viltate e crudeltà, che starsi sole

101 non san l'una dall'altra.

102 Ma, dove è tua fortezza,

103 ogni natura è scaltra,

104 né teme il male, onde di farne sprezza.

105 Canzon, di' al Poter Primo

106 che per mancanza sua sto in tal paura,

107 che meditar non posso la Scrittura.

108 Traggami da questo imo

109 inferno. Ed in effetto,

110 se tutto il mio soggetto

111 ei non sarà, me stesso empio condanno

112 da mo al perpetuo lagrimoso affanno.

82. Sonetto della providenza.

1 La fabbrica del mondo e di sue parti,

2 e di lor particelle e parti loro

3 gli usi accertati, il mirabil lavoro

4 pòn, saggio Autor, buon senza fin provarti.

5 Poi gli abusi de' bruti e di nostre arti,

6 de' mali il gaudio e de' buoni il martoro,

7 l'errar ciascun dal fine, a me ch'ignoro,

8 dicon che 'l Fabbro dal Rettor s'apparti.

9 Possanza, Senno, Amor, dunque, infinito

10 commette altrui il governo e si riposa:

11 dunque si invecchia o si fa negligente?

12 Ma un solo è Dio, da cui sarà finito

13 tanto scompiglio, e la ragion nascosa

14 aperta, onde peccò cotanta gente.

83. Della possanza dell'uomo.

1 Gloria a colui che 'l tutto sape e puote!

2 O arte mia, nipote - al Primo Senno,

3 fa' qualche cenno - di su' immagin bella,

4 ch'uomo s'appella.

5 Uomo s'appella chi di fango nacque,

6 senza ingegno soggiacque, - inerme, ignudo:

7 patrigno crudo - a lui parve il Primo Ente,

8 d'altri parente.

9 D'altri parente, a' cui nati die' forza

10 bastante, industria, scorza, - pelo e squame.

11 Vincon la fame, - han corso, artiglio e corno

12 contra ogni scorno.

13 Ma ad ogni scorno l'uomo cede e plora;

14 del suo saper vien l'ora - troppo tarda;

15 ma sì gagliarda, - che del basso mondo

16 par dio secondo.

17 E, dio secondo, miracol del primo,

18 egli comanda all'imo, - e 'n ciel sormonta

19 senz'ali, e conta - i suoi moti e misure

20 e le nature.

21 Sa le nature delle stella e 'l nome,

22 perch'altra ha le chiome - ed altra è calva;

23 chi strugge o salva - e pur quando l'eclisse

24 a lor venisse,

25 quando venisse all'aria, all'acqua, all'humo.

26 Il vento e 'l mar ha domo, - e 'l terren globbo

27 con legno gobbo - accerchia, vince e vede,

28 merca e fa prede.

29 Merca e fa prede; a lui poca è una terra.

30 Tuona, qual Giove, in guerra - un nato inerme;

31 porta sue inferme - membra e sottogiace

32 cavallo audace.

33 Cavallo audace e possente elefante;

34 piega il leon innante - a lui il ginocchio;

35 già tirò il cocchio - del roman guerriero:

36 ardir ben fiero!

37 Ogni ardir fiero ed ogni astuzia abbatte,

38 con lor s'orna e combatte, - s'arma e corre.

39 Giardino, torre - e gran città compone

40 e leggi pone.

41 Ei leggi pone, come un dio. Egli astuto

42 ha dato al cuoio muto - ed alle carte

43 di parlar arte; - e che i tempi distingua

44 dà al rame lingua.

45 Dà al rame lingua, perc'ha divina alma.

46 La scimia e l'orso han palma, - e non sì industre,

47 che 'l fuoco illustre - maneggiasse; ei solo

48 si alzò a tal volo.

49 S'alzò a tal volo, e dal pianeta il tolse;

50 con questo i monti sciolse, - ammazza il ferro,

51 accende un cerro, - e se ne scalda, e cuoce

52 vivanda atroce;

53 vivanda atroce d'animai che guasta.

54 Latte ed acqua non basta, - ogn'erba e seme

55 per lui; ma preme - l'uve e ne fa vino,

56 liquor divino.

57 Liquor divino, che gli animi allegra.

58 Con sale ed oglio intègra - il cibo, e sana.

59 Fa alla sua tana - giorno quando è notte:

60 oh, leggi rotte!

61 Oh, leggi rotte! ch'un sol verme sia

62 re, epilogo, armonia, - fin d'ogni cosa.

63 O virtù ascosa, - di tua gloria propia

64 pur gli fai copia.

65 Pur gli fai copia, se altri avviva il morto;

66 passa altri, e non è assorto, - l'Eritreo;

67 canta Eliseo - il futuro; Elia sen vola

68 alla tua scuola;

Tommaso Campanella Poesie

30

69 alla tua scuola Paolo ascende, e truova

70 con manifesta pruova - Cristo a destra

71 della maestra - Potestade immensa.

72 Pensa, uomo, pensa!

73 Pensa, uomo, pensa; giubila ed esalta

74 la Prima Cagion alta; - quella osserva,

75 perch'a te serva - ogn'altra sua fattura,

76 seco ti unisca gentil fede pura,

77 e 'l tuo canto del lor vada in più altura.

84. Salmodia che invita le creature in commune e gli

primi enti fisici a lodar Dio.

1 Belle, buone e felici e senza ammenda,

2 onde laude si renda - al Creatore,

3 che tanto amore - ed arte in farle pose,

4 son tutte cose.

5 Voi, tutte cose, a celebrar invito

6 colui, che n'ha largito - ciò che siamo,

7 poi che eravamo - nulla. E per memoria,

8 cantiamo in gloria.

9 Cantiamo in gloria Dio, Prima Potenza,

10 Dio, Prima Sapienza, - Amor Primero,

11 Ben vivo e vero, - senza fin giocondo.

12 Cominci il mondo,

13 cominci il mondo, statua altèra e degna

14 di lui che sempre regna - e gran trofeo,

15 di ciò che feo - armario sacrosanto,

16 un nuovo canto.

17 Di' un nuovo canto tu, che l'universo

18 penetri, ad ogni verso - penetrato,

19 spazio, al creato - esser base immota,

20 che giace o mota.

21 Se giace o mota, la corporea mole,

22 unita o sparta, cole - l'alta idea,

23 per cui si bea - di forme ognor novelle,

24 soavi e belle.

25 Soavi e belle pompe del gran Dio,

26 lodate il vostro e mio - Signor, di cui

27 uscendo nui, - fu il tempo, ch'è il successo

28 degli enti, espresso.

29 Fu agli enti impresso anche 'l vigor nativo

30 che dal nascer descrivo - poi natura,

31 interna cura - ed arte, che dà loro

32 quel Dio ch'adoro.

33 Quel Dio, ch'adoro, a voi laudar conviensi,

34 calor e freddo, immensi - di possanza,

35 per cui sostanza, - guerreggiando, fue

36 partita in due.

37 Partite in due dunque i vostri accenti,

38 magnifici elementi, - cielo e terra,

39 dalla cui guerra - poi nasce ogni misto,

40 che Dio ha provvisto.

41 Dio ha pur provvisto che l'un porti 'l giorno,

42 l'altro la notte, intorno - raggirando,

43 manifestando - il Creator sovrano

44 di mano in mano.

45 Di mano in mano, voi, tenebre e luce,

46 cantate il sommo Duce, - e voi, quiete

47 e moto, avete - parte in tanto carme

48 per più svegliarme.

49 Per più svegliarme, raro e denso, estreme

50 tempre, mentre uno teme - e l'altro spera,

51 prendete sfera - di sorti diverse,

52 e cause avverse.

53 Fra cause avverse e simili, adornate,

54 Fato, Necessitate - ed Armonia,

55 che Dio v'invia - in ogni parte e tutto

56 ciò che ha costrutto.

57 Ciò che ha costrutto in Dio si sta e si muove,

58 e con secrete pruove - ancora sente

59 la Prima Mente - e, come sa, l'adora;

60 ed in lui vive, benché par che mora,

61 grazie a colui che sempre mi ristora.

85. Salmodia che invita il cielo e le sue parti e abitatori

a lodar Dio benedetto.

1 Dal ciel la gloria del gran Dio rimbomba:

2 egli è sonora tromba - a pregi tanti;

3 i lumi stanti - e que' ch'errando vanno

4 musica fanno.

5 Musica fanno per ogni confino,

6 dove il calor divino - il ciel dispiega,

7 ed Amor lega - tante luci, e muove

8 altronde altrove.

9 Altronde altrove tutti van correndo,

10 te, Dio, benedicendo - e predicando,

11 dolce, sonando, - ch'ogni moto è suono,

12 come io ragiono.

13 Così io ragiono. Ahimè! ch'udir non posso;

14 ch'innato rumor grosso - è, che m'occùpa

15 l'orecchia cupa, - ed un molino vivo

16 me ne fa privo.

17 Se mi fa privo, voi, spiriti eletti,

18 che non siete soggetti - a corpo sordo,

19 fate un accordo - al suon di tai strumenti

20 co' vostri accenti.

21 Co' vostri accenti sacri, intellettuali,

22 d'una spiegando l'ali - in altra stella

23 vostra favella: - Santo, santo, santo! -

24 dicete intanto.

25 Dicete intanto, ardenti Serafini,

26 sagaci Cherubini, - e giusti Troni,

27 Dominazioni, - Virtù e Potestati

28 e Principati;

29 principiate, Arcangeli, e seguite,

30 Angeli, che venite - a darmi aiuto.

31 Da voi, perduto - il corpo, in Cielo accolte

32 son l'alme sciolte.

33 O alme sciolte, o patriarchi grandi,

34 profeti venerandi, - in cortesia,

35 la salmodia - di Davide canoro

36 dicete in coro.

37 Dicete in coro, apostoli, che 'l mondo

38 vinto e reso fecondo - di virtuti,

39 e risoluti - fatto avete noi

Tommaso Campanella Poesie

31

40 di seguir voi.

41 Di seguir voi gli martiri non tardi,

42 con l'animo gagliardi - e sparso sangue,

43 fan che non langue - la musica nostra

44 nell'alta chiostra.

45 Dall'alta chiostra, con varie dottrine,

46 anime pellegrine - confessare

47 odo per mare, - per terra e per cielo

48 vero il Vangelo.

49 Vero il Vangelo voi, vergini caste,

50 virilmente provaste - a chi udir vuole:

51 l'eterea mole - or per questo e le stelle

52 son vostre celle.

53 Oh sante celle, murate di luce,

54 che 'l passar vi conduce, - non ritiene,

55 ad ogni bene! - E quelle vie di latte

56 per voi son fatte.

57 Per voi son fatte le scene e l'istorie

58 delle divine glorie, - ché a mirarle

59 e celebrarle - vi dà il primo fuoco

60 possanza e luoco.

61 Per ogni luoco Dio quant'have in mente

62 vuol che si rappresente - in cielo. E poi

63 de' segni suoi - tu, suolo e mar, ti adempi

64 di tempi in tempi.

65 Di tempi in tempi Ariete, Cancro e Libra

66 e Capricorno vibra - l'alte idee,

67 quante si dèe - all'arte; a la natura

68 virtù e figura,

69 virtù e figura per il sol deriva,

70 statua, immagin più diva - del Monarca,

71 lucerna ed arca - di deitate in suso,

72 padre quaggiuso.

73 Padre è quaggiuso, che la terra impregna,

74 perch'a' figli sovvegna. - Poi la luna

75 virtute aduna - d'ogni stella, e dice

76 esser nutrice.

77 E` ben nutrice amorosa e veloce:

78 se 'l gielo e l'ardor nuoce, - il fa soave.

79 Or sembra nave, - or globo, or mezzo tondo

80 per ben del mondo.

81 Per ben del mondo ne' splendor superni

82 degli enti non eterni - è misurato

83 la vita e 'l stato; - e nelli sacri giri

84 parmi che 'l miri.

85 Parmi ch'io miri quella provvidenza,

86 chi da tanta eloquenza - si celèbra.

87 Mia squilla è ebra - per troppo desio

88 di cantar vosco, o stelle, il grande Dio:

89 gloria all'omnipotente Signor mio!

86. Salmodia che invita la terra e le cose in quella nate

a lodar Dio, e declara lor fine e la providenza divina.

1 La terra nostra di far giuoco e festa

2 nullo tempo si resta - al sommo Dio;

3 da che l'unìo - l'amor, pésola in mezzo,

4 gioisce al rezzo.

5 Gioisce al rezzo, e 'l circondante caldo

6 schifando, viver saldo - e freddo gode;

7 rendendo lode - all'Eterno, eternarsi

8 vuol, non disfarsi.

9 Vuol non disfarsi; e 'l sol vorria disfarla

10 non per odio; per farla - mole amica,

11 seco l'intrica, - e con focose braccia

12 cinge ed abbraccia.

13 Cinge ed abbraccia anch'ella lui nel seno:

14 ché, schifandolo, pieno - pur se 'l vede

15 di calor: fede, - che al destin più incorre

16 chi più l'abborre.

17 Chi più l'abborre, poscia più l'aggrada;

18 che sua fuga sia strada - a quel s'ammira.

19 Ch'alla sua mira - e gloria gli rivolge

20 chi il mondo volge.

21 Chi il mondo volge così fece madre

22 la terra, e 'l sole padre - d'infinita

23 prole, ch'addita - del Primero Ingegno

24 l'arte e 'l disegno.

25 L'arte e 'l disegno su esaltate, o monti,

26 della gran madre pronti - alle difese,

27 ossa distese, - e fini a' regni nostri:

28 stanza a' gran mostri.

29 Stanze a' gran mostri e piccioli prestate,

30 acque, che circondate - il nostro suolo:

31 voi date il volo - a' pesci ed alle navi,

32 sì in terra gravi.

33 La terra aggravi, e pur non la sommergi,

34 tu, ocean, che t'ergi - sì superbo.

35 Per divin verbo - dal suo ventre uscisti,

36 e 'l mondo unisti.

37 Tu 'l mondo unisti, ch'è il primo animale.

38 Tra l'etra spirituale - e 'l terren grosso

39 sangue ti posso - dir, che nutre e viene

40 va tra le vene.

41 Va tra le vene e per li fonti spiccia,

42 dove la terra arsiccia - ha più bevuto;

43 indi il perduto - alle campagne rende;

44 poi in alto ascende.

45 In alto ascende a far giuoco al Signore

46 col terrestre vapore - insieme misto;

47 or stella è visto, - ed or, come bombarde,

48 rimbomba ed arde.

49 Rimbomba ed arde ed atterrisce gli empii.

50 Non perdona agli tempii, - o vivi o morti.

51 Tu, Dio, n'esorti - a be' celesti nidi

52 con questi gridi.

53 Con questi gridi gli animai richiami,

54 perché non restin grami - alle tempeste.

55 Gioconde feste - agli angeli, a' demòni

56 fatiche doni.

57 Fatiche doni con saper immenso

58 sotterra al fuoco accenso, - che fracassa,

59 cuoce e relassa, - e dentro fa i metalli,

60 fuor monti e valli.

61 Co' monti e valli, e fiumi e mar, distingui

62 i paesi: altri impingui, - altri fai macri,

63 e dolci ed acri - agli abitanti vari

64 più necessari;

65 più necessari e più capaci ancora

Tommaso Campanella Poesie

32

66 di vite, che si fôra - ugual per tutto;

67 e perché tutto - pur le cose stesse

68 non producesse;

69 ma producesse biade la campagna,

70 s'alzasse alla montagna - il fummo e l'onda:

71 arte profonda - di doppi lambicchi

72 per farci ricchi.

73 Per farci ricchi altrove oro ed argento

74 nasce; altrove frumento, - augelli e fiere,

75 rivi e peschiere, - macchie, salti e boschi,

76 perch'io 'l conoschi.

77 Perch'io conoschi, l'alta Cagion Prima

78 fa mancar al mio clima - molte cose.

79 Commerzio puose, - amor e conoscenza

80 tal providenza.

81 Tal providenza in due quadranti opposti

82 fa che in su il mar s'accosti: - in uno bolle,

83 l'altro s'estolle - per l'acque pendenti,

84 là concorrenti.

85 Son concorrenti di diversi fianchi

86 in cui avvien che manchi: - e in tutti lidi

87 sei ore vidi - alzarsi e sei abbassarsi,

88 per più avvivarsi.

89 Per più avvivarsi fa il medesmo l'aria,

90 e pur qual mar si varia, - dove accolti

91 son vapor molti, - che capir non ponno

92 e spazio vonno.

93 E spazio vonno, e spazio van cercando,

94 purgando, ventilando, - trasferendo

95 e convertendo - il fummo in util pioggia:

96 stupenda foggia!

97 Stupenda foggia, ch'a più parti giove.

98 Fiere ed augelli altrove - e pesci porta:

99 le navi esorta - al corso, noi a consulta;

100 altri sepulta.

101 Altri sepulta in sonno ed altri in sabbia;

102 svelle arbori con rabbia - e gran cittati.

103 Son fecondati - i campi, ove dolce aura

104 il verde innaura.

105 Fa verdi, innaura e purpuree le nubbi

106 il sol, perch'io non dubbi - or, che più pèra

107 la nostra sfera - in mare: in suo ben vale

108 ciò che in su sale.

109 Quando in su sale, in grandini s'ingroppa

110 grosso vapor, che scoppia - in caldo loco;

111 ma non a poco a poco, - qual la neve,

112 che il freddo beve.

113 Il freddo beve, e si congela in brina

114 quel ch'aura mattutina - o sera agguaglia,

115 come si quaglia - in pioggia il fummo, e cade

116 dolce alle biade.

117 Per far le biade e' manca nell'Egitto,

118 onde il Nil fu prescritto - che inondasse,

119 che Assur fruttasse - e l'India in questa guisa,

120 che Dio n'avvisa.

121 Dio pur n'avvisa, che l'Arabia ottenne

122 solo rugiada, e fenne - incenso e manna,

123 nettarea canna, - e ragia, di che degni

124 fûr i miei regni.

125 Tutti anche i regni han piani, balze e selve,

126 pasto e casa di belve. - Oh, maraviglia!

127 quanta famiglia - per te, Signor, nasce,

128 si cresce e pasce.

129 Si cresce e pasce di liquor terrestre

130 il ferro, il sasso alpestre; - un grasso e molle

131 l'erbe satolle, - immobili animali;

132 fa' a que' ch'an l'ali,

133 a que' c'han l'ali, a chi serpe, a chi anda

134 foglie, radici, ghianda, - grani e pomi;

135 altri ne domi, - altri armi, altri fai inermi,

136 né senza schermi.

137 Hanno per schermi i ricci e gli arboscelli

138 spine contra gli augelli, - asini e bovi;

139 altura trovi - in querce, abbeti e faggi

140 per tali oltraggi.

141 Per tali oltraggi han le quaquiglie, e i pini

142 guscio; e vesti d'uncini - contra i colpi,

143 che ghiro non le spolpi, - han le castagne;

144 ma pur le fragne.

145 Però le fragne, ché Dio ha destinato

146 ch'ogni ente non sol nato - sia d'ogn'altro,

147 ma l'uno all'altro - sia cibo ed avello,

148 or questo, or quello.

149 Ma questo e quello, resistendo, addita

150 godersi in ogni vita, - che Dio dona:

151 e, perch'è buona - ogn'altra viva norma,

152 pur si trasforma.

153 Chi la trasforma con tanta sua laude,

154 che sieno molti gaude - gl'innocenti:

155 pochi possenti - orsi e leon vedrai,

156 pecore assai.

157 Pecore assai, che dal caldo e dal gelo

158 solo difende il pelo. - Frutti e fiori,

159 tu, fronda, onori: - a' timidi è soccorso

160 la tana e 'l corso.

161 Le tane e 'l corso ha il cervo, il lepre, il capro:

162 corna il bue: sanne l'apro: - onghie il cavallo:

163 vivezza il gallo, - ch'al fiero leone

164 spavento pone.

165 Spavento pone all'elefante il drago.

166 Oh, spettacolo vago - di lor gesti!

167 Falcon, tu avesti - rostro, e duro artiglio

168 l'aquila e 'l niglio.

169 L'aquila e 'l niglio han pur la vista acuta,

170 come il can lunge fiuta - la sua preda;

171 perché provveda - ode lontano il lupo

172 al ventre cupo.

173 Pel ventre cupo ha forza la balena,

174 molta astuzia ha la iena, - industria l'ape.

175 Oh, come sape - politìa e governo,

176 d'està e d'inverno!

177 D'està e d'inverno han città le formiche;

178 stanze altri sempre apriche - si procaccia;

179 va il ragno a caccia, - e si fa rete [e] stanza

180 di sua sostanza.

181 Di sua sostanza si circonda e cova,

182 prende l'api, e fa uova - quindi uscendo,

183 varie vivendo - vite un verme: ahi lasso!

184 Oltre io non passo.

185 Oltre io non passo, non posso; assai ignoro

Tommaso Campanella Poesie

33

186 l'anatomia, il lavoro, - fraudi ed ire,

187 gioie e martìre - di quanti il mar serra

188 l'aria e la terra.

189 O aria, o terra, o mar, mirar potrei

190 ne' vostri colisei - ta' giuochi io sciolto!

191 Ma chi è sepolto - in corpo, sol s'accorge

192 che poco scorge.

193 Se poco scorge, potrà dirne meno.

194 Ma il sermon vostro appieno - a tutti è aperto;

195 non è coperto - a nazione alcuna

196 sotto la luna.

197 Sotto la luna il nostro dir trascenda

198 al Re della tremenda - maestate.

199 Transumanate - menti, voci e note:

200 ite al Signor, che tutto sape e puote.

Tommaso Campanella Poesie

34

Appendice delle tre elegie fatte con misura latina

87. Al senno latino, ch'e' volga il suo parlare e misura di

versificare dal latino al barbaro idioma.

1 Musa latina, è forza che prendi la barbara lingua:

2 quando eri tu donna, il mondo beò la tua.

3 Volgesi l'universo: ogni ente ha certa vicenda,

4 libero e soggetto ond'ogni paese fue.

5 Cogliesi dal nesto generoso ed amabile pomo.

6 Concorri adunque al nostro idioma nuovo.

7 Tanto più, che il Fato a te die' certo favore,

8 perché, comunque soni, d'altri imitata sei:

9 d'Italia augurio antico e mal cognito, ch'ella

10 d'imperii gravida e madre sovente sia.

11 Musa latina, vieni meco a canzone novella:

12 te al novo onor chiama quinci la squilla mia,

13 sperando imponer fine al miserabile verso,

14 per te tornando al già lagrimato die.

15 Al novo secolo lingua nova instrumento rinasca:

16 può nova progenie il canto novello fare.

88. Il salmo CXI: «Beatus vir qui timet», ecc.

1 Quegli beato è, del Signor c'ha santa temenza;

2 sicuro e lieto il fa sua legge pia.

3 Di costui in terra alligna il seme potente,

4 del giusto il germe ognor benedetto fia.

5 Ne' cui bei tetti ricchezza e gloria abonda,

6 in tutti tempi alberga la giustizia.

7 Pur nelle tenebre a' santi il bel lume si mostra

8 del pietoso Dio splendido tuttavia.

9 Giocondo è sempre il donator largo e benigno;

10 dal buon giudizio non si rimove mai.

11 Il suo nome mai non potrà estinguere morte,

12 né mala fama teme, e vittorioso vola.

13 Sta nel Signor fermo e sempre di speme ripieno:

14 non si movrà innanzi ch'ogni nemico pèra.

15 Il suo divise, e mangiâro i poveri amici;

16 gloria subblima il corno potente suo.

17 Il che vedendo poi, il peccator tristo s'adira,

18 dibatte i denti, e pur rabioso crepa.

19 Del giusto, ancor che al tardo, il disegno riesce,

20 e de' malvagi l'empia voglia père.

89. Al Sole, nella primavera, per desio di caldo.

1 M'esaudì al contrario Giano. La giusta preghiera

2 drizzola a te, Febo, ch'orni la scola mia.

3 Veggoti nell'Ariete, levato a gloria, ed ogni

4 vital sostanza or emola farsi tua.

5 Tu subblimi, avvivi e chiami a festa novella

6 ogni segreta cosa, languida, morta e pigra.

7 Deh! avviva coll'altre me anche, o nume potente,

8 cui più ch'agli altri caro ed amato sei.

9 Se innanzi a tutti te, sole altissimo, onoro,

10 perché di tutti più, al buio, gelato tremo?

11 Esca io dal chiuso, mentre al tuo lume sereno

12 d'ime radici sorge la verde cima.

13 Le virtù ascose ne' tronchi d'alberi, in alto

14 in fior conversi, a prole soave tiri.

15 Le gelide vene ascose si risolvono in acqua

16 pura, che, sgorgando lieta, la terra riga.

17 I tassi e ghiri dal sonno destansi lungo;

18 a' minimi vermi spirito e moto dài.

19 Le smorte serpi al tuo raggio tornano vive:

20 invidio, misero, tutta la schera loro.

21 Muoiono in Irlanda per mesi cinque, gelando,

22 gli augelli, e mo pur s'alzano ad alto volo.

23 Tutte queste opere son del tuo santo vigore,

24 a me conteso, fervido amante tuo.

25 Credesi ch'ogge anche Giesù da morte resurse;

26 quando me vivo il rigido avello preme.

27 L'olive secche han da te pur tanto favore:

28 rampolli verdi mandano spesso sopra.

29 Vivo io, non morto, verde e non secco mi trovo,

30 benché cadavero per te seppelito sia.

31 Scrissero le genti a te senso e vita negando,

32 e delle mosche fecerti degno meno.

33 Scriss'io ch'egli erano eretici, a te ingrati e ribelli;

34 m'han sotterrato, vindice fatto tuo.

35 Da te le mosche e gl'inimici prendono gioia;

36 esserti, se séguiti, mosca o nemico meglio è.

37 Nullo di te conto si farà, se io spento rimango:

38 quel tuo gran titolo meco sepolto fia.

39 Tempio vivo sei, statua e venerabile volto,

40 del verace Dio pompa e suprema face.

41 Padre di natura e degli astri rege beato,

42 vita, anima e senso d'ogni seconda cosa;

43 sotto gli auspici di cui, ammirabile scola

44 al Primo Senno filosofando fei.

45 Gli angelici spirti in te fan lietissima vita:

46 a sì gran vite viva si deve casa.

47 Cerco io per tanti meriti quel candido lume,

48 ch'a nullo mostro non si ritenne mai.

49 Se 'l Fato è contra, tu appella al Principe Senno,

50 ch'al simolacro suo grazia nulla nega.

51 Angelici spirti, invocate il principe Cristo,

52 del mondo erede, a darmi la luce sua.

53 Omnipotente Dio, gli empi accuso ministri,

54 ch'a me contendon quel che benigno dài.

55 Tu miserere, Dio, tu chi sei larghissimo fonte

56 di tutte luci: venga la luce tua.

90. Sulla penna.

1 Mentre vissi, o signor, tacqui e fui muta,

2 e parlo or che di vita priva sono;

Tommaso Campanella Poesie

35

3 m'è d'uopo aver la lingua mia feruta

4 nel mentre che io parlo o che ragiono;

5 son bianca, e pur di nero io vo pasciuta

6 e neri ancor tutti i miei figli sono;

7 io bramo all'opre mie ben spesso il sale:

8 istromento son io di bene e male.

91. [A Torquato Tasso.]

1 Tasso, i leggiadri e graziosi detti

2 de' duoi maggior della tosca favella

3 dilettan ben, perché la vesta è bella,

4 onora l'esquisiti alti concetti;

5 ma via più giova il fuoco de' lor petti,

6 onde nell'alma a virtù non rubella

7 nasce il soave ardor e la fiammella

8 ch'è propria dei ben nati spirti eletti.

9 Voi gli aggiungete e trapassate in dire,

10 ma il cor per l'ale vostre ancor non sente

11 ergersi al ciel e punger da giuste ire.

12 Deh! quando fuor della smarrita gente

13 ci sentirem dal vostro stil rapire

14 al degno oggetto dell'umana mente?

92. [Contro Lutero.]

1 Olla Lutherus erat fervens aquilonis ad oram;

2 illinc in mundum panditur omne malum.

93. [Posteri degeneri.]

1 O servili petti, perché la gloria tanta

2 de' nostri antichi fate che non vi mova?

94. All'Accademia d'Avviati in Roma.

1 Voi, peregrini ingegni, anime belle,

2 chiamate al natural divino oggetto,

3 ben dovreste scaldar il vostro petto

4 ai rai di lui, ch'illumina le stelle.

5 Egli è di carmi di rime novelle

6 amoroso e dignissimo soggetto,

7 talché venir faravvi onta e dispetto

8 delle vili arti e frivole novelle.

9 Che giova sempre d'immaggini e d'ombre

10 essere amanti, senza saggia téma

11 d'adunar quanto un'atra notte sgombre?

12 Per Dio, il piacer, il pro, l'onor vi prema;

13 né più il vulgar terror le menti ingombre:

14 volgete gli occhi alla Virtù Suprema.

95. Ad un novo alumno della religione di Somaschi.

1 O di novella pianta or or inserta

2 del sommo Sire al nobile giardino

3 germe più bello, in cui, se dal mattino

4 conosco il giorno, la speranza è certa,

5 pregoti, essendo al cominciar de l'erta,

6 ravvìvite di Spirito divino,

7 ch'ogni parte del mondo, ogni confino

8 alita, quanto ciascun ente merta.

9 Apri la mente al suo calor fecondo,

10 ché frutti produrrai d'eterna fama,

11 purgate le caligini del mondo.

12 Il vaneggiante spirto a sé ti chiama

13 con lusinghe bugiarde e spasso immondo:

14 vedi ove asconde sua maligna brama.

96. [Per monacazione.]

1 Io, ch'oggi d'Artemisia lascio il nome,

2 finito il corso del natio costume,

3 e mi consacro al pio celeste Nume,

4 cui son mie voglie omai soggette e dome,

5 e rendo al mondo le caduche some

6 presso la guida dall'Eterno Lume

7 ch'all'alto volo mi vestì le piume,

8 spogliati i panni e le superbe chiome:

9 chieggio licenzia a voi del sangue mio:

10 altro padre, altra madre a me conviene,

11 altre suore e fratelli ed altro zio.

12 Entro fra sacri ferri e pie catene;

13 a tutti dico addio; parenti, addio:

14 a rivederci presso al Sommo Bene.

97. A Roma.

1 Da le arme ai corpi e dagli corpi alle alme

2 sorse l'imperio tuo già, Roma altiera,

3 quando tua spada veloce e severa

4 ti die' mille trionfi e mille palme.

5 Lasciasti poscia le ferrigne salme

6 (onde ognun ti stimò pazza e leggiera)

7 al mondo da te vinto; e la via vera

8 prendesti opposta, di cui tanto calme,

9 per vincerlo di nuovo, e dolcemente.

10 Deh! non pianger l'imperio, Italia mia,

11 ch'oggi l'hai vie più certo e venerando;

12 e sola avrai assoluta monarchia

13 in austro, borea, levante e ponente,

14 seguendo Roma il suo fato ammirando.

98. Roma a Germania.

Tommaso Campanella Poesie

36

1 Viveano, senza di natura il lume,

2 di caccia e di rapina le tue genti;

3 le selve avean per stanze con gli armenti:

4 io ti purgai del selvaggio costume,

5 Germania; e poscia, a fin non ti consume,

6 ti donai leggi, e t'allevai con stenti:

7 ti renunziai l'imperio, e gli altri ho spenti,

8 quando fui seggio dell'eccelso Nume.

..9 Poi ti evagenlizzai l'eterna pace.

.10 Che piu' far ti potevo? Ma tu, ingrata,

11 or m'abbandoni, superba ed audace,

12 nuova Samaria o Grecia empia, malnata,

13 cui il vaneggiar con sua ruina piace.

14 Verrà, e ben presto, a te la lor giornata.

99. Sonetto fatto sopra un che morse nel Santo Offizio

in Roma.

1 Anima, ch'or lasciasti il carcer tetro

2 di questo mondo, d'Italia e di Roma,

3 del Santo Offizio e della mortal soma,

4 vattene al Ciel, ché noi ti verrem dietro.

5 Ivi esporrai con lamentevol metro

6 l'aspra severitate, che ne doma

7 sin dalla bionda alla canuta chioma,

8 talché, pensando, me n'accoro e 'mpetro.

9 Dilli che, se mandar tosto il soccorso

10 dell'aspettata nova redenzione

11 non l'è in piacer, da sì dolente morso

12 toglia, benigno, a sé nostre persone,

13 o ci ricrei ed armi al fatal corso

14 c'ha destinato l'Eterna Ragione.

100. A Cesare d'Este che ritenea Ferrara contro al Papa.

1 Tu, che t'opponi alla promessa eterna,

2 che fe' Cristo a sua sposa, del retaggio

3 del mondo tutto, ch'a lei giuri omaggio

4 baciando i piedi di chi la governa:

5 l'arme la man, la man la virtù interna

6 non sai che regga? Dunque, qual vantaggio

7 hai di milizia per cotanto oltraggio,

8 che contro Dio avvilita non si scerna?

9 L'argento e l'oro, tua più vil speranza,

10 fian preda e forza all'esercito santo:

11 lascia, meschin, sì stolta tracotanza.

12 Vedrai quel muro, in cui ti fidi tanto,

13 venirti a dosso: in Ciel se farai stanza,

14 cadrai pur giù nel sempiterno pianto.

101. Sovra il Monte di Stilo.

1 Monte di Magna Grecia, ch'al gran seme

2 non misto a gente unqua a virtù rubella,

3 in Stilo, patria mia, nel tempo ch'ella

4 siede nel lido ove l'Ionio freme,

5 doni albergo secur, sì che non teme

6 d'Annibale la gente cruda e fella,

7 che per tutto scorrea dalle castella,

8 predando i mari e le campagne insieme;

9 Parnasso, Olimpo e Campidoglio scorgi

10 sotto di te, per me lodato tardi

11 di ciò e dell'erbe ch'ai fisici porgi,

12 ch'assicurasti poi Ruggier Guiscardi,

13 fuor che i tuoi dii, sant'Angelo e san Giorgi,

14 rifiutando a tal uopo armi e valguardi.

102. [Pia esortazione.]

1 Deh! mira, ingrato, su quell'alto legno,

2 coronato di spine, in alto asceso,

3 chi per dar vita a te, dal Ciel disceso,

4 vestir manto terren non ebbe a sdegno.

5 Giunto poi di sua vita a certo segno,

6 fu da gente plebea legato e preso,

7 battuto, strascinato e vilipeso:

8 e, morto, di Pluton discese al regno.

9 Indi, al prefisso termine risorto,

10 per liberarci da mortal periglio,

11 mostra il fianco squarciato e lui sol morto.

12 Volgi dunque ver lui devoto il ciglio

13 ché vita ti può dar nonché conforto,

14 benché non sia del Padre Eterno il figlio.

103. Sonetto sopra il presente stato d'Italia.

1 Il fato dell'Italia oggi dipende

2 dall'esser vera o falsa rebellione

3 questa, ch'a' Calavresi Carlo impone,

4 e Sciarava, che 'l Regno e 'l Re n'offende.

5 E s'il Conte, che regge, ancor pretende

6 che lor finte ragion sian vere e buone,

7 entrando in parte dell'esaltazione

8 che dal mal nostro ognun di loro attende,

9 più grave fia l'antevista ruina

10 (dice lo spirto), perché il giusto sangue

11 a vendetta movrà gli uomini e Dio.

12 Ahi cieca Italia nella tua rapina!

13 sin quando il senno tuo sopito langue?

14 s'io ben ti desiai, che t'ho fatt'io?

104. Sonetto sopra il salmo: «Saepe expugnaverunt me», ecc.,

applicandolo l'autore a se stesso.

1 Spesso m'han combattuto, io dico ancora,

2 fin dalla giovanezza; ahi, troppo spesso!

3 Ma d'espugnarmi non fu lor concesso,

4 ch'è Dio che mi sostiene e mi rincuora.

5 Sopra le spalle mie, quasi ad ogn'ora,

6 fabricando processo con processo,

Tommaso Campanella Poesie

37

7 han prolungato il lor maligno eccesso;

8 ma la spada del Ciel per me lavora.

9 Vicino è 'l dì, che le cervici altiere

10 e i colli torti e le lingue bugiarde

11 farà pasto di tigri, orsi e pantere:

12 qual fièn de' tetti, ch'in nascendo s'arde

13 pria che si colga e maledetto père,

14 son verso Dio le tirannie più tarde.

105. Sonetto in lode di carcerati e tormentati per difesa

dell'innocenza.

1 Veggio spirti rivolti al Creatore

2 schernir tormenti e morte, del tiranno

3 armi sovrane, e scherzar con l'affanno,

4 onta e dispetto del moresco core.

5 Di libertà e ragion tanto è l'ardore,

6 che dolcezza il dolor, ricchezza il danno,

7 seguendo l'orme di color che sanno,

8 stimano, armati di gloria ed onore.

9 Rinaldi, il primo, sei notti e sei giorni

10 vince i tormenti antichi e i nuovi sprezza,

11 onde Calavria se ne fregi ed orni.

12 Fan doi germani all'orrida fierezza

13 del mostro di Granata gravi scorni,

14 esempio agli altri d'invitta fortezza.

106. Madrigale in lode di Maurizio Rinaldi.

1 Generoso Rinaldi,

2 vera stirpe del sir di Monte Albano,

3 ristorasti l'onor di tutto 'l Regno;

4 e di Giudei ribaldi

5 mettesti a terra il consiglio profano

6 e l'orgoglio moresco e 'l fiero sdegno.

7 Rendesti al Re di fideltate il pegno,

8 soffrendo tricent'ore

9 con magnanimo core

10 tormenti inusitati, solo e ignudo,

11 se non che Dio di onor ti fece un scudo.

107. Madrigale di palinodia.

1 Vilissimo Rinaldi,

2 vera stirpe di Cacco, empio, inumano,

3 vituperasti tutto quanto il Regno;

4 e di Giudei ribaldi

5 mettesti in alto il consiglio profano

6 e l'orgoglio moresco e l'alto sdegno.

7 Rendesti al Re d'infideltate il pegno,

8 negando con vil core

9 l'onor di tricent'ore;

10 mostrasti ch'eri di virtude ignudo;

11 ma vil timor di morte ti fu scudo.

108. Sonetto fatto sopra li segni, con suoi appendici.

1 Toglie i dì sacri il Tebro e calca Roma,

2 Lombardia il Po. Più volte il sol s'oscura.

3 Scorpion e Tauro cangiano figura.

4 Stelle son viste con l'accesa chioma.

5 Dell'una e l'altra Sicilia gran soma

6 l'Inferno inghiotte. Ogni erba fresca e dura

7 ràdeno i bruchi. Mostra la natura

8 novelli mondi e la barbarie doma.

9 La giustizia si compra e 'l Verbo santo

10 sotto favole e scisme ognor si vende.

11 Il premio a' buoni usurpa il ricco manto.

12 Non c'è profeta: è anciso, ove s'intende.

13 Ben diecemila miglia dal suo canto

14 Febo calato a terra si comprende.

15 A poco a poco rende

16 sua vita il mondo al primo Creatore;

17 viene il giorno fatale al malfattore;

109. Sonetto contro don Aloise Sciarava, avvocato fiscale in

Calavria.

1 Campanella d'eretici e rubelli

2 capo in Calavria mai non s'è trovato;

3 ma l'infamaron, per raggion di Stato,

4 Ruffi, Garaffi, Morani e Spinelli;

5 ma tutti Giudi e tutti Achitofelli

6 Sciarava granatese ha superato,

7 giudice, parte e testimonio entrato,

8 e boia più crudel. Ché, disser elli,

9 nato d'uom moro e femina marrana

10 (descendenti dal perfido ebraismo,

11 venuti a forza alla fede cristiana),

12 scommunicato e puzza d'ateismo

13 mostro, ignorante, senza mente umana.

14 Quinci Carlo potea far sillogismo.

110. Sonetto contro Aloise Sciarava.

1 Mentre l'albergo mio non vede esangue

2 e gli spirti poggiar tremanti al cielo,

3 l'empio mostro, che, sotto a finto zelo,

4 la sua grandezza cerca nel mio sangue,

5 di rabbia scoppia, si spaventa e langue;

6 muta sembiante il suo volpino pelo;

7 va a torno, informa, accusa e cangia stelo,

8 come aggirato vien dal perfido angue.

9 Dio par che dorma, e 'l suo bianco campione

10 da falsi testimoni oppresso giaccia,

11 che vendono il suo mal per devozione.

12 Deh, Signor forte, in me volgi tua faccia,

13 da' autorità più espressa al mio sermone,

14 ond'i ministri di Satàn disfaccia.

111. Sonetto in lode di Spagnuoli.

1 Sciarava m'incitò ch'io maledica

Tommaso Campanella Poesie

38

2 il governo e l'eserciti di Spagna.

3 - Meglio è - diss'io - che muto mi rimagna

4 che ciò, Dio non volendo, faccia o dica. -

5 O figli di Iafet, o gente amica

6 all'altissimo Sir, possente e magna

7 d'armi e consiglio in mar e alla campagna,

8 Dio mi comanda ch'io vi benedica.

9 Di Sem nei padiglion tenendo il campo,

10 i figlioli di Cam ti serviranno:

11 non ti capen doi mondi; il terzo nasce.

12 S'a quello interno lume, ond'io m'avampo,

13 gli aquilin d'Austria fissi guarderanno,

14 del sol, com'hanno il giro, aràn le fasce.

112. Sonetto di rinfacciamento a Musuraca.

1 Temendo il tuo signor possente e forte

2 dici che mi tradisti, o Musuraca:

3 scusa, che solo i parasiti placa

4 della fortuna nell'ingiusta corte.

5 Ma perché pria le vesti mi trasporte?

6 perché in legarmi il tuo stuolo s'indraca?

7 perché tua industria alla mia morte vaca?

8 perché sul capo mio giochi a la sorte?

9 La vita, che dovevi al padre mio,

10 così la rendi, sconoscente, ingrato?

11 Ben ti castigarà l'infamia e Dio.

12 Ahimè! che, a tempo d'infelice stato,

13 resta di amico, di giusto e di pio

14 solo il nome, in coverta del peccato.

113. Sonetto fatto a tutti i carcerati per la medesima

causa.

1 La favella e 'l commercio vi si nega

2 e la difesa, a voi, spiriti eletti;

3 perché sol la virtù de' vostri petti

4 l'orgoglio del tiranno affrena e lega.

5 E s'a fin alto carità vi piega

6 i corpi sparsi e gli uniti intelletti,

7 saran, qual fu la croce, benedetti

8 le forche, il fuoco, gli uncini e la sega!

9 E 'l bel morir che fa gli uomini dèi,

10 ove solo il valor saggio e virile

11 della sua gloria spiega i gran trofei.

12 Qui dolce libertà l'alma gentile

13 ritrova, e prova il ver, che senza lei

14 sarebbe ancor il Paradiso vile.

114. Sonetto in lode di fra Domenico Petrolo.

1 Venuto è 'l tempo omai che si discuopra,

2 Petrolo mio, l'industriosa fede

3 che serbasti all'amico, e già si vede

4 ch'a tutte l'altre questa tua va sopra.

5 Mortifera, infedel, empia, ingrata opra

6 far simolasti, ch'a lui vita diede,

7 deluso il sdegno di gente, che crede

8 che tal sofisma di terra lo cuopra.

9 Prodigo del tuo onor e della vita

10 per l'altrui vita, hai d'ognun più gran fama,

11 che gli die' aperta, ben pugnando, aita.

12 Di cerberi e bilingui cupa brama

13 schernisci or saggio. E` sentenza finita:

14 va felice ogni cosa a chi ben ama.

115. Alli defensori della filosofia greca.

1 Spirti ben nati nella santa scola

2 del Senno Eterno e verità divina,

3 la cui vita nel mondo è pellegrina,

4 e come vento se ne fugge e vola,

5 onde avvien che sua luce unica e sola,

6 che gli intelletti rischiarando affina,

7 con l'empia turba povera e meschina

8 par che schifate, e la bugia v'invola?

9 Non guardi a dietro chi a solcar la terra

10 ha posto mano; né del mondo curi

11 chi morto è al mondo, ove il mortal s'afferra.

12 Deh mirate, per Dio! quanto s'oscuri

13 la fede, onde giuraste di far guerra

14 a' disleali spiriti ed impuri.

116. Sonetto alla beata Ursula napolitana, a cui si raccommanda.

1 Vergine, che ravvivi il sangue santo

2 dell'illustre senese Caterina,

3 nostra sorella, e della gran reina

4 d'undecimila porti il nome e 'l vanto;

5 pregoti, per l'onor del sacro manto,

6 di cui spogliato incorsi in gran ruina,

7 muova, pregando, la Mente divina

8 a compassion del mio angoscioso pianto.

9 Ché, tu ascendendo alla celeste corte,

10 io restarò per testimonio fido

11 di tua bontà, scampato dalla morte;

12 e canterò, tornando al mio bel nido,

13 il fin de' miei travagli, e buona sorte

14 per gloria tua, con memorando grido.

117. Sonetto al signor Giovan Leonardi, avvocato de' poveri.

1 Ai spirti illustri del seculo antico,

2 stentando, ogni poeta aguaglia i soi;

3 ma or il vero è comparso per noi

4 santo Leonardo, in sì noioso intrico,

5 d'offizio, nome e portamenti: io dico

6 il difensor commune, a cui sol poi,

7 degno di Cristo e degl'invitti eroi,

Tommaso Campanella Poesie

39

8 il titulo «de' poveri» gli è amico.

9 Sembra un leon ardente, che si muove

10 a guerreggiar: da bocca gli esce vampa

11 di leggi, d'argomenti e d'altre prove.

12 Ciò ch'egli scrive, a noi libertà stampa;

13 ciò ch'egli parla, nostra vita piove,

14 contra l'ombra di morte accesa lampa.

118. Sonetto primo in lode di fra Pietro Presterà da

Stilo.

1 Sino all'Inferno un cavalier seguio

2 l'avventurato amico a grand'impresa:

3 ma più la bianca fede contrapesa

4 del tuo spirto leal, fra Pietro mio.

5 Se canta il gallo, e 'l caso avvien più rio,

6 di me infelice sempre alla difesa

7 d'amor più ardente si dimostra accesa,

8 vincendo i colpi del mostro restio.

9 Frati, amici, parenti, chi mi nega,

10 chi più ingrato mi trade e mi maligna,

11 chi non volendo nel mio mal si piega.

12 Solo il travaglio e la rabbia maligna

13 titulo in fronte del tuo onor dispiega,

14 re della fede, che mai non traligna.

119. Sonetto secondo in lode del medesimo.

1 Dunque, furor divin, ch'al volgo appare

2 follia, Presterà mio, t'infiamma e guida.

3 Chi d'immortal tanto valor si fida

4 degno carme poter dunque trovare?

5 Con lor cadesti per risuscitare

6 tanti eroi, redentor sorgendo e guida;

7 traditoresca, ingrata ed omicida

8 setta atterrasti e d'iracundia un mare.

9 Gli orribil mostri e 'l serpentin bilingue

10 dove son or? dov'è l'ebraico stuolo?

11 dov'è 'l moresco? e i lor bugiardi offici?

12 Fedel combattitor, mai non s'estingue

13 più il nome tuo, poiché serbasti solo

14 virtù, religion, patria ed amici.

120. Sonetto primo in lode del reverendo padre fra

Dionisio Ponzio.

1 Cantai l'altrui virtuti; or me ne pento,

2 Dionigi mio: non avean senno vero,

3 com'or la tua, ch'avanza anch'il pensiero,

4 contemplo senza voce, afflitto e lento.

5 Maraviglia! sì orrido tormento,

6 che disnodava il corpo tutto intiero

7 di membro in membro, l'animo severo

8 schernia, quasi dicendo: - Io non ti sento. -

9 In me tanto martìr io non soffersi,

10 ch'in te stava il valor e 'l senno mio,

11 e solo al viver tuo fûr ben conversi.

12 S'a te par, io men vado, o frate, a Dio;

13 né chieggio marmi, né prose, né versi;

14 ma, tu vivendo sol, viverò anch'io.

121. Sonetto secondo in lode del medesimo, equiparandolo al

marchese di Vigliena

1 Qual di Vigliena il sir, sperando al frutto

2 de' nostri tempi, in sue membra disfatto

3 fu il Ponzio mio, e con più terribil atto

4 transumanato, e 'n sua gloria ridutto,

5 ch'era lo spirto in ogni parte tutto

6 del mio Dionogi mille pezzi fatto,

7 con funi insin all'ossa stretto e tratto,

8 in una volta per mille distrutto.

9 - Misericordia!- i spiriti d'Averno

10 allor gridâro, stupendosi come

11 tanto tormento non avea l'Inferno.

12 Sfogâro mille Spagne e mille Rome,

13 al tuo martìr unite, l'odio interno.

14 Viva del Ponzio la virtude e 'l nome!

122. Sonetto terzo in lode di fra Dionisio Ponzio, alludendo alle

sue arme, fatto nel tempo della sua confronta.

1 Qual feroce leon, ch'in più catene

2 insidie umane, ma non forza stringe,

3 e, per dar gusto, muro forte cinge,

4 all'uom e alla fortuna con sue pene:

5 se stuol di can plebbei, latrando, viene

6 per noiarlo, a difesa non s'accinge,

7 ma col ruggito e fiero aspetto spinge

8 la vil canaglia che valor non tiene;

9 tal fu Dionigi in mezzo a tanti Ebrei

10 congiurati all'estrema sua ruina,

11 come contra Sanson gli Filistei.

12 L'arme ponziane veggendo, indovina,

13 chi vince a scacchi, il fin de' versi miei:

14 dama fece il leon la sua pedina.

123. Sonetto fatto in lode di tre fratelli Ponzio.

1 Valor, Senno, Bontate io adoro in Cielo,

2 che fanno in tre persone una sostanza,

3 ond'ho l'amar, il saper, la possanza,

4 quanto dell'esser mio velo e revelo.

5 L'altra, c'ho in terra con simile stelo,

6 ond'ho la vita, gli atti e la speranza,

7 è la trina ponziana fratellanza

8 per valor grande, per senno e buon zelo.

9 Ferrante con Dionigi e Pietro fanno

10 un composto d'amor saggio e possente;

Tommaso Campanella Poesie

40

11 ed io sto in mezzo a ciò che ponno e sanno.

12 Taccia de' Gerion l'antica gente:

13 ch'or le tre ierarchie mirando stanno

14 la lor sembianza con l'Omnipotente.

124. Sonetto al Papa.

1 Tu sei del sommo Iddio vicario in terra,

2 Clemente; e perché lasci il Campanella

3 da Marrani e Giudei, gente rubella

4 all'altissimo Sir, metter sotterra?

5 Non vedi congiurati a farli guerra

6 i nemici alla patria Italia bella,

7 ch'egli al valor antico rinovella,

8 dove il zelante suo parlar s'afferra?

9 Né contra Dio, né contra il Re congiura

10 chi i ribaldi ministri suoi riprende,

11 né chi predice lor trista ventura.

12 Geremia e Michea via più gli offende,

13 Briggida con Gioachim: pigli la cura

14 pria contra lor, chi contra quel pretende.

125. Sonetto in lode del signor Cesare Spinola.

1 Pompa della natura, onor d'Iddio,

2 splendor d'Italia e di sue ninfe Adone,

3 tra' cavalier magnanimo campione,

4 difensor di virtù, Spinola mio,

5 t'offero, ringraziando, in atto pio

6 sacrifizio di musico sermone

7 del Campanella per la defensione

8 contra lo stuol traditoresco e rio.

9 La porta apristi donde il Ciel l'inspira

10 forza, amor, vita al sentimento afflitto,

11 d'invidia e gelosia vincendo l'ira.

12 Convenia sol al tuo valor invitto

13 tanta impresa per lui, che 'l mondo ammira

14 più ch'i gran savi suoi Grecia ed Egitto.

126. In lode di don Francesco di Castiglia.

1 L'arbor vittorioso di Castiglia,

2 ch'Italia e Spagna e un nuovo mondo adombra,

3 nel cui tronco innestata più grand'ombra

4 spanda l'austriaca imperial famiglia,

5 n'ha dato un germe, che tutto assomiglia

6 al suo lignaggio, fuor che non ingombra

7 paesi e regni, anzi egli da sé sgombra

8 cure sì grevi e al vero ben s'appiglia.

9 Don Francesco è costui, che, sconosciuto,

10 su l'Adige e 'l Sebeto va cantando

11 or donne sante, or suoi cocenti amori,

12 or l'Antiochia vinta, in stil più arguto,

13 or false corti ed ingrate abiurando.

14 Che fiano i frutti suoi? Questi son fiori.

127. Sonetto al signor principe di Bisignano.

1 D'Italia e Spagna e dell'altro emispero

2 presso e Filippo, monarca sovrano,

3 primo signor è quel di Bisignano,

4 per cui l'affanno mio parmi leggiero.

5 Ch'essendo stato un uom di tanto impero,

6 diece e diece anni, senza colpa, invano,

7 sol per sua larga e generosa mano,

8 nel carcer, dov'io sto, dolente e fiero;

9 pur, quando piacque al Ciel il suo ritorno

10 di dolce libertà all'amata luce,

11 privo degli anni e di prudenza adorno,

12 cessò ragion di Stato, che produce

13 a Dio nemici, a noi danno, al Re scorno.

14 Gran forza e speme tanto esempio adduce!

128. Sonetto in lode del signor Troiano Magnati.

1 Glorioso signor, ch'il nome porti

2 del cavallo TROIAN, dove i MAGNATI

3 suoi Grecia ascose pronti, apparecchiati

4 sovra Asia a vendicar gli antichi torti,

5 il valor di Diomede dentro apporti,

6 d'Ulisse il senno e quegli accenti grati,

7 di Menelao il sembiante e i modi ornati

8 ed ogn'altra virtù degli altri forti.

9 Del che m'avveggo io come Laocoonte,

10 ma non con l'odio suo, non col destino;

11 ché ammiro ed amo le tue virtù cónte.

12 Anzi umilmente pregando m'inchino:

13 apra il fianco fatal, vendichi l'onte

14 fatte a tanti virtuosi e a me meschino.

129. Sonetto alla signora donn'Ippolita Cavaniglia.

1 Per conquistar d'Ausonia il più bel regno,

2 e poi adornarlo, Alfonso ne traspianta

3 da Valenza la ricca e nobil pianta,

4 cui Ferdinando die' luoco più degno.

5 Qui tai frutti apportò, ch'umano ingegno,

6 qual sovra gli altri meglio scrive o canta,

7 di poter raccontarli non si vanta.

8 Che farò io, che puoca virtù tegno?

9 Ippolita, germoglio più gentile

10 de' Cavanigli rami, tu mi dona

11 di Petrarca o Maron l'invitto stile,

12 o pur del Sannazzaro, che l'intuona

13 tant'altamente, ch'il mio verso umile

14 sol le tue grazie in me tante risuona.

130. Sonetto alla medesima.

1 Ippolita magnanima, in cui serba

2 l'alto valor de' Cavanigli tuoi

3 della virtù i tesori, e amor gli suoi,

Tommaso Campanella Poesie

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4 come in un seme suo sta tutt'un'erba;

5 hai presenza degnissima e superba,

6 che sembra armato esercito d'eroi;

7 maestosa bellezza, donde puoi

8 saldar ogni dolore e piaga acerba.

9 Generosa pietà, man liberale

10 al Sommo Ben ti fan simil cotanto,

11 che nata contro al mal ti giurarei.

12 Libero conversar, animo hai santo,

13 favellar grazioso e celestiale.

14 L'altre, femine son; tu donna sei.

131. Madrigale alla signora donna Ippolita.

1 Bastava che pietosa

2 le mie doglie mirassi a ricrearmi,

3 onde tuo servo eterno ne restassi,

4 o donna generosa;

5 ma mille grazie e benefizi farmi

6 volesti ancor. Felici ferri e sassi,

7 che stringete i miei passi,

8 ringraziar non poss'io,

9 né gioir del sol mio:

10 ringrazio voi, e di voi più non mi doglio.

11 Sol non poter servirla ho gran cordoglio.

132. Sonetto alla signora Olimpia.

1 Donna, ch'Olimpia, dal monte onde Giove

2 e 'l cielo stesso il suo nome riceve,

3 degnamente sei detta, il camin greve

4 di tanta altezza a disperar mi muove.

5 Poi dal tuo sommo un dolce fonte piove

6 d'umanità, che fa agevole e breve

7 l'impresa immensa e la mia voglia lieve:

8 onde m'accingo a far le prime prove.

9 Picciolo don ti mando, ma ben pegno

10 d'animo grande, onde virtù n'è vaga

11 tanto più, quando Amor ha nel suo regno.

12 Sul monte Olimpo un picciol ramo paga

13 d'oliva i vincitor, trionfal segno:

14 tu, ch'in te vinci me, così t'appaga.

133. Sonetto alla signora donn'Anna.

1 Se agli altri sei, con sincopata voce,

2 donna Anna, domina anima a me sei,

3 che signoreggi tutti i pensier miei

4 e rendi il viver mio tardo e veloce.

5 Dominio, ahi, tirannesco! ahi, vita atroce!

6 ché, volendo bearmi, non mi bei.

7 Bellezza e nobiltà, ch'agli alti dèi

8 converrebbe, hai superba, ch'a me nòce.

9 Superba, no, magnanima, appellarte,

10 ond'a picciol valor forse non miri,

11 dovevo, e saggia per natura ed arte;

12 pur, benché tal virtù tant'alto aspiri,

13 dalla vera clemenza non si parte,

14 ond'anche spero requie ai miei sospiri.

134. Invitato a cantar le laudi di Cesare, cantò così.

1 In stile io canterei forse non basso,

2 e farei molli i più rigidi cori,

3 signor Aurelio, se tempi migliori

4 lo spirto avesse, tormentato e lasso.

5 Ma a me non lice più gire in Parnasso,

6 né d'olive adornarmi, né d'allori,

7 che in atra tomba piango i miei dolori,

8 sol pianto rimbombando il ferro e 'l sasso.

9 Dite or, ch'io ascolto voi, canoro cigno,

10 cui avvien che in pene e pure in morte canti

11 Cesare invitto e vincitor benigno?

12 Troppo lungi son io dai pregi e vanti

13 d'uom sì felice, a cui tutto è maligno

14 quanto adopran qua giù le stelle erranti.

135. [A un popolo di devoti recatisi a visitare il Santo Sepolcro.]

1 Populo, che di Dio la sepultura

2 venisti a visitar, pria visitato

3 da lui nel petto, dove sta serrato

4 lo spirto tuo, com'in pregion oscura,

5 di pianger il tuo fallo prendi cura,

6 per cui nell'Inferno egli è penetrato,

7 ma libero di morte e di peccato,

8 dove la tua salvezza opra e procura.

9 Di sospiri e di lagrime confuse

10 nel tuo volto fontana oggi si scerna,

11 populo ingrato; non usar più scuse;

12 sìeti dolce onorar questa caverna,

13 piangendo amaramente, ove s'inchiuse

14 chi solo ti può dar la vita eterna.

136. [All'Ostia sacra.]

1 Titulo di vittoria, pan di vita,

2 d'uom vero e vero Dio sostanza e segno

3 della gloria immortal, donato in pegno

4 ad ogn'alma di te quaggiù nutrita,

5 non potea ritrovar la via infinita

6 delli seculi eterni umano ingegno

7 senza l'aiuto tuo, senza il sostegno:

8 tanto la perdizion l'avea impedita.

9 Chi a te s'accosta, sente alzarsi a volo

10 (secreto dei miracoli divini!),

11 gustando te, fin al celeste suolo.

12 Degno sei, Signor mio, ch'a te s'inchini

Tommaso Campanella Poesie

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13 il ciel, la terra e 'l Tartaro; ché, solo

14 vincitor, passi tutti i lor confini.

137. [Grecia e Italia.]

1 Grecia, tre spanne di mar, che, di terra

2 cinto, superbia non potea mostrare,

3 solcò per l'aureo vello conquistare

4 e Troia con più inganni e puoca guerra.

5 Poi di menzogne e favole ne atterra

6 tutte le nazion per inalzare

7 sue false laudi. Or, standola a mirare,

8 contra sé Italia e contra Dio quanto erra!

9 Ella, che trionfò del mondo tutto

10 con senno ed armi sotto la gran Roma,

11 dove anco ha Dio suo tribunal costrutto;

12 ella, che novi mondi trova, e doma

13 dell'Ocean vago ogni tremendo flutto

14 (impresa che trascende ogni gran soma)!

15 Né pur s'ammira o noma

16 Cristofaro Colombo, il cui sagace

17 valor sapientissimo ed audace

18 ne schernisce e disface

19 di fisici, teologi e poeti

20 i libri, e i matematici decreti,

21 Erculi, Giovi e Teti,

22 veggendo e' più con la corporea salma

23 che col pensier veloce altri dell'alma,

24 degno d'eterna palma.

25 Ad un mondo dài nome tu, Americo,

26 del nido a' buon scrittor cotanto amico;

27 ma il favoloso intrico

28 de' falsi eroi e de' bugiardi dèi

29 fa che senza poema ancor tu sei.

30 Quanti dir ne potrei!

31 Il gran dottor della legislatura,

32 Pittagora, e 'l suo Numa, chi l'oscura?

33 Italia, sepoltura

34 dei lumi suoi, d'esterni candeliere,

35 onde il gran Cosentin oggi non chiere,

36 e lo Stilense fere

37 di nuovi affanni, di cui sol l'aurora

38 gli antichi occupa, e quella patria onora,

39 che poi lui disonora.

40 Colpa e vergogna della nostra gente,

41 che al proprio mal, all'altrui ben consente,

42 né pur anche si pente!

43 Privata invidia ed interesse ammaga

44 Italia mia, né mai più si dismaga

45 di servir chi la paga

46 d'ignoranza, discordia e servitute,

47 sempre contrarie alla commun salute!

48 Ahi! nascosta virtute

49 a te medesma, e nota a tutto il mondo,

50 sotto l'imperio soave e giocondo

51 del Lazio almo e fecondo

52 di prole generosa, poich'e' solo

53 in lettere ed in arme fe' più stuolo

54 che l'universo insieme

55 con verità, ch'or sotto il falso geme.

138. Sonetto fatto al signor Petrillo.

1 Bellissimo fanciullo oggi è comparso,

2 qual luce all'oscurissima mia vita,

3 temperando la mia doglia infinita,

4 in sue domande onestamente scarso.

5 Ché, veggendo il mio senno vano e sparso,

6 ch'a nuovo carme inabile s'addita,

7 il vecchio canto a ripigliar m'invita:

8 proposta veramente d'Anacarso.

9 Glorioso garzon, che 'l cor mi pungi,

10 di castissimo amor usando l'arco,

11 e nuovo senno al mio perduto aggiungi,

12 carme ti rendo, d'ogni gusto parco,

13 ch'esce da bocca di dolcezza lungi,

14 ch'agli ultimi sospiri è fatta varco.

139. Sonetto secondo fatto al medesimo.

1 Spirto ben nato, la bellezza è un fiore

2 dell'interno valor, ch'in noi riluce

3 per la massa corporea, onde produce

4 a chi vi mira stimoli d'amore.

5 Presso a puoch'anni, quel ch'appar di fuore,

6 ritorna dentro al suo primiero Duce,

7 s'a lui apportò ben con la sua luce;

8 se non, del tutto poi svanisce e more.

9 Dunque veggiate di donarla a cambio

10 con chi vi dà virtù, bontate e senno,

11 non frivole novelle in contracambio;

12 le quai, send'ombra, deleguar si denno,

13 pria che proviate in sì noioso scambio

14 quanti rei tradimenti vi si fenno.

Tommaso Campanella Poesie

43

Rime amorose

140. Sonetto fatto dall'autore sopra il giuoco di dadi

applicandolo a se stesso.

1 Segnando sua fortuna sopra un punto,

2 guadagnar sempre il giocator si vede,

3 ché quei gli arride in faccia, e sopra siede

4 al segno opposto il dado al giuoco assunto.

5 Travolgendosi poi, resta compunto

6 di danno e scorno, e quanto manco cede

7 tanto più perde, e 'l miser non s'avvede,

8 finché tutt'il suo aver riman consunto.

9 Così, avend'io delle mie estreme imprese

10 nella mia vaga dea fisso la sorte,

11 sto bene, ho nunzi buon, se m'è cortese:

12 se mi si asconde o fa le ciglia torte,

13 novelle ho male e sento mille offese,

14 ostinato a seguirla insino a morte.

141. Sonetto nel quale si ringrazia Amor d'aver ferito

con li suoi dardi l'amante.

1 Qual grazia o qual destin alto ed eterno

2 mi scorse a rimirar quegli occhi, ond'io

3 ne meno l'alma in sì dolce desio,

4 che mal nel viver mio più non discerno?

5 Passata la tempesta e l'aspro verno

6 di quei sospir, che già doglioso e rio

7 ferno un tempo mio stato, or lieto e pio,

8 mi dona Amor nuovo piacer interno.

9 Talché, o soave giorno, o cari strali,

10 che mosse la mia donna in mezzo al core,

11 quando prima ver'lei le luci apersi!

12 Oh, se mi desse il Ciel tanto favore,

13 che potessi mostrarvi, egri mortali,

14 a pieno il mio contento in dolci versi!

142. Sonetto nel quale si manifesta l'inestricabil

laberinto d'Amore.

1 Quando primieramente nel bel volto

2 fui mosso a guardar voi, cara nemica

3 parmi dicesse Amor: - Con gran fatica,

4 misero, da tal nodo sarai sciolto. -

5 Ed or da tanta pena fosse tolto

6 pur finalmente il cor, e quell'antica

7 mia voluntà, cui spesso Amor implica,

8 cessasse dal desir sì cieco e stolto!

9 Lasso! invan mi ritiro all'alto poggio

10 della ragion, ché già cinto d'intorno

11 mi preme l'avversario d'ogni parte.

12 Non fuggir, non schivar, non altro appoggio

13 trovo alla mia salute; e pien di scorno

14 convien mi renda, e più non provi altr'arte.

143. Sonetto sopra un laccio di capelli.

1 Con tante spesse reti e stretti nodi,

2 quante Amor fabricar mai ne sapesse,

3 poi che al regno durissimo successe

4 della Necessità, ninfa, mi annodi.

5 Ed io, che tue bellezze, glorie e lodi

6 nella mente profonda porto impresse,

7 e le virtuti insieme ond'egli intesse

8 tanto lavoro con occulti modi,

9 di tuoi capegli un laccio dimandai

10 (come ogni affetto il simile richiede)

11 per segno di miei dolci lunghi guai.

12 Compita ancor non è la mia mercede,

13 se pria Vulcan, per non disciôrci mai,

14 còlti in sua rete entrambi non ci vede.

144. [A Dianora, suora francescana.]

1 Donna, che in terra fai vita celeste

2 sotto la guida di colui, che in Cristo,

3 amando, trasformossi, e tale acquisto

4 feo, che di crocifisso alfin si veste;

5 tu fai grand'opre sì conformi a queste,

6 che spirto acceso al mondo non s'è visto

7 tanto d'amor divin all'altro misto

8 che l'anime subleva afflitte e meste.

9 Per ringraziar, non per lodarti, io vegno;

10 ché non può lingua umana pienamente

11 narrar le tue virtuti a parte a parte.

12 Stella DIAN, ORA, al mio fragil legno

13 che solca un mar d'affanni, onde non parte

14 l'occhio del mio desire e della mente.

145. [Muro noioso.]

1 Parve a me troppo, ma alla cortesia

2 di lei fu puoco in sogno consolarmi;

3 onde volle anco vigilando darmi

4 quel ben che sopra gli altri si desia.

5 Sì che, mancando ogni consiglio e via,

6 io stando dentro agli ferrati marmi,

7 ella fuori, d'amor prendemmo l'armi.

8 Alta dolcezza entrambi ne assorbìa.

9 - L'orto ameno - dissi io; ella: - La chiave

10 dammi, cor mio -; e tal gioia n'avvinse,

11 che 'l morir ci parea bello e soave.

Tommaso Campanella Poesie

44

12 Quando l'alme trasfuse risospinse

13 muro interposto, ah ben noioso e grave!

14 che amor soverchio in tutto non ci estinse.

146. Sonetto fatto sopra un presente di pere mandate

all'autore dalla sua donna, le quali erano tòcche dalli

denti di quella.

1 Le stampe delle perle, donde il fiato,

2 che mi dà vita, sue figure imprime,

3 nelle pere mandommi fresche e prime:

4 don fra gli amanti assai cupidi amato.

5 Grato odor, dolce umor v'era innestato,

6 ché delle rose sue sparser le cime

7 d'amor un mare e sue ricchezze opime:

8 don, cui gustando, io diventai beato.

9 Quand'io m'avveggio, benché tardo omai,

10 che solo amor può darci il Sommo Bene,

11 lo qual filosofando io non trovai,

12 se virtù di mutar fanciulla tiene

13 pere in ambrosia e i tristi in giorni gai,

14 cangiar vita e costume or mi conviene.

147. Sonetto di sdegno.

1 Donna, dissi talor che gli occhi vostri

2 eran del ciel due fiammeggianti stelle:

3 dicolo ancor, ma di quell'empie e felle

4 ch'apportan peste, ira, serpenti e mostri.

5 E dissi ch'eran fiamme: or, con inchiostri,

6 che sian fiamme il redico, ma di quelle

7 che tormentan l'inique alme rubelle,

8 sulfuree e smorte, ne' tartarei chiostri.

9 E dissi che il sembiante e che il crin era

10 di dea: or questo affermo, ma d'Averno,

11 di Tesifon, d'Aletto e di Megera.

12 Il vero allor conobbi, il vero or scerno;

13 vera fu allor mia voce, or anco è vera:

14 ché allor voi Paradiso, or sete Inferno.

148. Sdegno amoroso.

1 Queste d'ira e di sdegno accese carte,

2 che d'un ingrato cuor son arme ultrici,

3 legga chi fugge Amore, e vegga in parte

4 i frutti suoi, l'infedeltà d'amici,

5 com'io per breve amor diffuse e sparte

6 lagrime ho tante, amare ed infelici.

7 Or, se ferimmi Amor, odio mi sana,

8 ché d'un contrario l'altro s'allontana.

9 Di te vorrei lagnarmi, ingiusto Amore,

10 poiché fusti principio al pianger mio;

11 teco le mie querele e 'l mio furore

12 con giusto ardir di vendicar desio;

13 a te del mio penar pena maggiore

14 conviensi; e 'l vuole e la natura e Dio,

15 ché, se fusti cagion ch'io amassi altrui,

16 or tu devi soffrir gl'inganni sui.

17 Tu con l'aurato strale al manco lato

18 mi facesti, crudel, profonda piaga;

19 tu ne traesti il cor vinto e legato,

20 dandolo in preda a dispettosa maga,

21 che cela il finto amore e simolato

22 sotto l'imagin sua, che mille immaga:

23 immaga mille, e mille amori agogna;

24 a nullo osserva fede, a sé vergogna.

25 Dunque doveasi un tal ricetto a tanta

26 grandezza del mio cuor, ch'ama in eterno?

27 Empio! tu 'l sai con quant'onor, con quanta

28 fede osservai le leggi e 'l tuo governo:

29 governo iniquo, ov'il velen s'ammanta

30 tra puoco dolce, ov'è sol frode e scherno!

31 ingiuste leggi, in cui s'è terminato

32 che si debba ferir un disarmato!

33 Sol mi debbo lodar che pur talvolta

34 ivi pervenni ove tu scherzi e ridi.

35 Ma che miracol fu, se molta e molta

36 turba nel luogo stesso ergi ed affidi?

37 e qual obbligo fia, se rotta e sciolta

38 la fé dell'empio cor subito vidi,

39 e quinci e quindi i fraudolenti amori

40 divisi e sparsi in velenati cuori?

41 A te dunque mi volgo, ingorda arpia;

42 di te giusta cagion ho di dolermi.

43 Misera! or chi ad amar si mosse pria?

44 Pria tu, che l'amor tuo festi vedermi

45 e con lettere e segni; il cielo udìa

46 d'Amore i colpi e i fragili tuoi schermi,

47 e con tanti sospir, con tai parole,

48 che fatto avriano in giù calar il sole.

49 Ahi, quante volte le rilessi il giorno

50 e quante volte accesero i desiri!

51 Le baciava talor, talor intorno

52 l'irrigava di pianto, e co' suspiri

53 poi l'asciugava. Allor palese fôrno

54 le mie pene amorose, i miei martìri.

55 Esse ben sanno il fido petto mio,

56 esse l'instabiltà del tuo desio.

57 Non ti ricordi in quanti effetti e modi

58 io t'ho fatto palese il riamarti?

59 Vuoi che racconti forse, o pur che lodi

60 che oprato ho quel c'ho più potuto oprarti?

61 Or che cagion, che disciogliessi i nodi,

62 t'ho dato io mai? di che potrai lagnarti,

63 se non c'hai puoco amato e falsamente,

64 avendo fisso in mille cuor la mente?

65 Fra mille un solo è quel ch'in tutto ha spento

66 quel puoco amor che simolando andavi.

67 Ahi! misera infedele, hai ardimento

68 di rivolger più gli occhi ove miravi?

69 Dispergi, ingrata, ogni tua speme al vento,

70 ché non terrai più del mio cor le chiavi:

71 ama gli amanti tuoi, ama quell'uno,

72 che mostra amarti più che amò ciascuno.

Tommaso Campanella Poesie

45

73 Io più non amo; anzi, d'amore invece,

74 odio quanto più posso, e fuggo e schivo.

75 Sieguati pur chi vuole; a me non lece

76 seguirti più: più sarò lieto e vivo,

77 vivo marmo sarò; ché tal mi fece

78 il tuo tepido amor e semivivo.

79 Così liquido umor suol congelarsi

80 in duro ghiaccio, e appena può disfarsi.

81 Quest'ultime parole e quest'estreme

82 note sian fine a quel duello antico;

83 e, se fia ch'io per altri sudi o treme,

84 cercarò fede all'amoroso intrico.

85 Bastami sol, per or, che non mi preme

86 cura d'Amor, ma me di me nutrico.

87 E veggio ben c'ho navigato invano;

88 amai sol ombre e fui dal ver lontano.

149. Sonetto fatto dall'autore sopra un bagno mandatoli

dalla sua donna, nel quale ella s'era prima lavata.

1 La faccia di madonna, che di Dio

2 sola può dirsi imagin vera in terra,

3 e le man, providenza che non erra,

4 bagnate in atto a me cortese e pio:

5 tolsi l'acqua, applicaila al corpo mio,

6 già fracassato dopo lunga guerra

7 per gran tormento ch'ogni forte atterra,

8 del medesmo liquor bevendo anch'io.

9 Miraculo d'amor stupendo e raro!

10 Cessò la doglia, io diventai più forte,

11 le piaghe e le rotture si saldâro.

12 Sentendo in me le sue bellezze assorte,

13 le viscere, gioendo, trapassâro

14 in lei, mia dolce vita, dalla morte.

Tommaso Campanella Poesie

46

Rime amorose scritte ad istanza di F. Gentile e altri

150. [A Francesco Gentile.]

1 Convenir troppo l'effetto e l'affetto

2 al tuo nome, o Gentil, ne fa gran fede

3 Amor, che in gentil cuor solo risiede,

4 che fatto ha tempio suo tuo gentil petto;

5 dove altamente il simulacro eretto

6 di Flerida, ch'ogni altra bella eccede

7 quant'ogni stella il sol, render si vede

8 la magion lieta, e lieto l'architetto.

9 Ond'io m'inchino a lei, e per lei ti priego

10 ch'a lei e a te e a noi gentil ti mostri,

11 il fatal pazzo Campanella aitando.

12 Dio ti guardi Flerida e dal suo niego:

13 apri il balcone; ond'ei, senno acquistando

14 dal su' amor, canti con più gloria i vostri.

151. [La voce di Flerida] Madrigale fatto ad istanza del

signor Francesco Gentile.

1 Quando parla uom mortale,

2 pria l'aer muove e poi l'orecchio intuona;

3 indi lo spirto sue figure accoglie.

4 Ma pria l'anima assale,

5 quando Flerida mia canta o ragiona.

6 La dolce voce invola le mie voglie,

7 ché dell'udir le soglie,

8 e sì soavemente,

9 passa, che non si sente,

10 come fa Dio in noi; ond'io revelo

11 ch'ella donna non sia, ma dea del cielo.

152. [I tre nèi di Flerida.]

1 Amor, nei gesti vaghi e riverenti

2 che la Flerida mia non abbia pare,

3 d'un neo sul bel ginocchio il fai notare,

4 sostegno de' leggiadri movimenti.

5 Che 'l lampeggiar del riso e i grati accenti

6 e i dolci baci in terra posson fare

7 un paradiso di dolcezze care,

8 col neo sul labro, per prova non menti.

9 Per cui m'additi un altro anche fiorito

10 vezzoso dio sul consecrato fonte

11 dell'immortalitate all'appetito.

12 Tai del sommo ben mio tre note cónte

13 di delizie nel pelago io smarrito

14 per stelle osservo d'un tanto orizzonte.

153. [Il corpo di madonna paragonato all'universo.]

1 Madonna, han scritto che l'umana testa

2 il ciel sembri, del cui bel Paradiso

3 la bocca è fonte, gli occhi stelle, e 'l viso

4 dove il folgore nasce e la tempesta;

5 Dio, la ragion che sempre mai sta desta;

6 gli angeli, i spirti che portano avviso;

7 e 'l resto e quel di sotto han poi diviso

8 con bella somiglianza e manifesta.

9 L'umana terra sta nell'uman centro,

10 che del suo paradiso il fonte asconde;

11 son gambe, piè, man, braccia, arte e sostegno.

12 Però de' nèi che porti, dui, nati entro

13 l'acque de' Paradisi, hanno il fior, donde

14 lontan, sterile resta il terzo segno.

154. [A Flerida, per il nuovo anno.]

1 Sorgi, Flerida mia,

2 ch'io sento risanarme; onde, tu essendo

3 e tu insieme ed io, forz'è che torni

4 al tuo vigor di pria,

5 sì come penavo io, tu ancor patendo,

6 tu sol, che fai i miei giorni

7 tutti sereni e adorni.

8 Ciò ch'a te piace e giova,

9 in me ancor si ritrova.

10 Passi il tempo fatal del nostr'affanno,

11 venga il sperato ben del novell'anno.

155. [L'universo intero canti Flerida.]

1 Il biondo Apollo e 'l coro di Parnasso,

2 il fonte pegaseo, gli verdi allori,

3 Pindo, Elicona cantin vostri onori;

4 e «Flerida» risuoni ogn'antro e sasso.

5 Tu, d'ogni vil pensier, nonch'atto basso

6 schiva, tu sola ordisci alti lavori;

7 e per te avvien che Lete strida e plori,

8 mentre al Cielo veloce muovi il passo.

9 Flerida sii, cor mio, perch'altri pianga

10 d'invidia e gelosia, ma io teco rida,

11 ancor se ben di lungi e 'n spirto giunto.

12 A quel seno divino, ove s'annida

13 grazia, virtù e beltà, fruisca a un punto

14 quel ch'altri presso stenta, e a pianger sfida.

156. Sonetto alla signora Giulia.

1 Gioia, idea, vita, luce, idolo, amore,

2 mia propria essenza, in cui mi trasformai,

3 sei, Giulia mia; sì ben altro non mai

4 porto in bocca, nell'animo e nel core.

5 Né sol di me lo spirital valore

6 in te han converso i tuoi benigni rai,

7 ma la carne anche e l'ossa, ond'io restai

8 gioco, iride, umbra, luna, imago, ardore.

9 Vivo io, non io, ma tu vivi in me stesso;

10 tu ti chiami Gentil, io del Gentile,

11 cioè dell'esser tuo titulo e segno.

Tommaso Campanella Poesie

47

12 Deh! m'avess'anche il mio fato concesso

13 ch'in te foss'anco il mio restante umìle

14 transumanato dall'Eterno Ingegno.

157. Madrigale alla signora Giulia.

1 Stia pur GIU` LIA e Rachele,

2 e alle bellezze sovrumane e sole

3 di Giulia mia cedan, che 'l nome il vole.

4 Sette e sett'anni ambroggia e dolce mèle

5 sono per servir lei, e cento, e mille,

6 tutti sono d'amor suavi faville,

7 perché servir sì gran beltà infinita

8 è sempiterna gioia, eterna vita.

158. Sonetto alla signora Maria.

1 D'amor oggetto e di bontà evidenza

2 beltà si dice, o bella ninfa mia:

3 bontà non ci è, se non ci è cortesia,

4 né amar si deve chi d'amor è senza.

5 Sei bella ed hai sovrana intelligenza

6 dell'amorosa legge; e perché pia

7 non mi ti mostri? T'appellan Maria,

8 nome di gran pietà: dov'è l'essenza?

9 Deh! non si dichi mai che 'l volto e 'l nome

10 belli ritenghi sol, l'alma, gli affetti

11 contrari essendo, ch'io creder nol voglio.

12 Se mi reputi indegno di te, come

13 pria mi degnasti? Dunque uopo è ch'aspetti

14 nova arte di pietate al mio cordoglio?

159. Madrigale fatto ad istanza del signor Francesco

Gentile alla signora Maria.

1 Tutta leggiadra e bella

2 sei, dolce anima mia,

3 piena di grazia e di beltà; MA RIA,

4 se ben del ciel sei luminosa stella.

5 Ché, avendo il volto e 'l nome

6 di pietade e dolcezza,

7 se poscia il cuor dentro ritien fierezza,

8 ognor di biasmo ed onte carchi some.

9 Non stanno ben insieme

10 bellezza e crudeltade,

11 perché l'una ci toglie libertade,

12 e l'altra affatto nostra vita preme.

13 Sii dunque a me, cor mio,

14 d'amore e cortesia

15 verace albergo, SE VERA Maria;

16 ché mal senza di te viver posso io.

160. [Risposta dell'amata.]

1 Non fu pensier villano,

2 che pose freno all'alto mio desire

3 o dubbitò di vostra gentilezza,

4 dolce signor sovrano.

5 Né a cotanto voler mancò l'ardire;

6 ma per l'inusitata sua vaghezza,

7 fûrno i miei spirti sparti

8 sino all'estreme parti;

9 e quanto più raccôr io lor volevo,

10 tanto più li perdevo.

11 Quando sentii dal cielo occulto canto:

12 - Non violar tu quest'albor sacrosanto. -

13 Io rispondevo in pianto.

14 Ei soggionse che 'l côrre d'un sol fiore

15 senz'altro frutto, fia mio eterno ardore.

161. Sonetto d'Orazio di G. a don G. d'A.

1 - Gli occhi vostri... - diss'io; quivi perdei

2 la voce, ch'era a celebrarvi uscita,

3 quando bocca più degna e più gradita

4 replicò con stupor gli accenti miei.

5 Quasi volesse dir: - Sciocco, tu sei

6 bastante a rimirar luce infinita? -

7 Oltre passando poi, restò smarrita

8 l'anima in grembo a pensier tristi e rei.

9 Allor, qual uom che teme ingiuria o danno,

10 nulla risposi; ond'or dubbie parole

11 mi dan continuo ed angoscioso affanno.

12 Ch'io volea dir: - Le luci ardenti e sole

13 di bei vostr'occhi, alma real, qui fanno

14 sereno giorno, or ch'è sparito il sole. -162.

A Venezia. [Palinodia]

1 Solo Cam con la sua progenie immonda

2 ch'al gran padre, nel vin sepolto, fanno

3 vergogna e vituperio, ora in te stanno;

4 ché 'l seme giusto è uscito omai da l'onda.

5 Tu nave or di Caronte, ch'a la sponda

6 tartarea guidi nell'eterno danno

7 tante alme tristi, che piangendo vanno

8 la tua brama d'un obolo profonda.

9 Da questa metamorfosi ognun puote

10 scorger che 'l Ciel sdegnato a voi l'ingegno,

11 per punir vosco tutta Europa, invola.

12 Ecco dal polo andar lunge Boote,

13 ed a l'altro emisfero il santo regno

14 dal fiero drago; e Dio far nova scola.

163. Disticon pro rege Gallorum.

1 Turca necem fratri, Nero matri, insontibus infert;

2 sontibus at Gallus parcit utrisque pius.