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Platone

Ipparco

Platone Ipparco

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Platone

IPPARCO

Socrate: Dimmi: che cos'è l'avidità di guadagno? Che cosa può essere, e chi sono questi avidi?

Amico: Penso che siano quelli che fanno conto di trarre guadagno da cose di nessun valore.(1) Socrate: Ritieni,

dunque, che essi sappiano che sono prive di valore, oppure che lo ignorino? Perché, se lo ignorano, tu definisci gli avidi

di guadagno gente priva dì intelligenza.

Amico: Tutt'altro che privi di intelligenza! Io piuttosto li definirei uomini scaltri, furfanti e incapaci di resistere al

guadagno; pur riconoscendo come prive di valore le cose dalle quali ardiscono trarre profitto, tuttavia osano, a motivo

della loro sfrontatezza, cercare il guadagno.

Socrate: Intendi forse dire che l'avido di guadagno è simile, per esempio, a un contadino che pianta un albero e, pur

sapendo che esso non ha alcun valore, fa conto di trarne guadagno, una volta fatto crescere? è forse questo che dici?

Amico: Da tutto, certo, o Socrate:, l'avido di guadagno pensa di dover trarre profitto.

Socrate: Non rispondermi così, alla leggera, come se qualcuno ti facesse torto, ma prestami attenzione e rispondi,

come se ti interrogassi di nuovo dal principio: sei disposto o no ad ammettere che l'uomo avido di guadagno sia

consapevole del valore di ciò da cui fa conto di trarre vantaggio?

Amico: Sì. Lo ammetto.

Socrate: Chi è, dunque, colui che, esperto del valore degli alberi, sa in quale stagione e in quale terreno questi

debbano essere piantati - tanto per introdurre, anche noi, alcune di quelle dotte espressioni con cui gli abili avvocati

abbelliscono i loro discorsi?

Amico: Penso si tratti del contadino.

Socrate: Con l'espressione far conto di trarre vantaggio intendi, forse, qualcosa dì diverso dal pensare di dover trarre

vantaggio?

Amico: è proprio questo che intendo.

Socrate: Allora non tentare di ingannarmi, benché io sia ormai vecchio, mentre tu sei così giovane, dandomi risposte

come quelle di poco fa, a cui neppure tu credi, ma dimmi la verità: è possibile secondo te che uno, il quale sia contadino

e, quindi, sappia che l'albero da lui piantato è privo di valore, pensi di trarre vantaggio da esso?

Amico: Per Zeus, no di certo.

Socrate: E ancora: pensi che un cavaliere, consapevole di dare al proprio cavallo biada di scarsa qualità, ignori che

sta rovinando l'animale?

Amico: No, di certo.

Socrate: Pertanto, da questa biada di nessun valore non crede di poter guadagnare.

Amico: No.

Socrate: E ancora: credi che un pilota, il quale abbia fornito la sua nave di vele e timoni di nessun valore, ignori di

subire, in seguito, dei danni e di correre il rischio di perdere la sua stessa vita, insieme con la nave e con tutto quanto

essa si trovi a trasportare?

Amico: Assolutamente no.

Socrate: Pertanto, egli non pensa di trarre guadagno da un equipaggiamento di nessun valore.

Amico: Senz'altro, no.

Socrate: Ma uno stratega, consapevole che il proprio esercito possiede armi di nessun valore, crede dì trarre da esse

vantaggio e pretende di guadagnare?

Amico: Niente affatto.

Socrate: Allora un suonatore di flauto, che disponga di flauti di nessun valore o un citaredo o un arciere con una lira

e un arco di bassa qualità o, in generale, un qualsiasi altro artigiano o uomo di talento, dotati di strumenti e attrezzi privi

di valore, credono di trarre guadagno da queste cose?

Amico: Non mi sembra proprio.

Socrate: Ebbene, chi sono mai coloro che chiami avidi di guadagno? Non certo questi che abbiamo passato in

rassegna, ma quanti, pur riconoscendo di possedere cose di nessun valore, pensano di poterne trarre un guadagno; ma,

così, caro mio, stando alle tue parole, non esiste fra gli uomini alcuno che possa essere detto avido di guadagno.

Amico: Eppure io, o Socrate:, intendo per avidi di guadagno quelli che, a causa della loro insaziabilità, sempre

bramano senza moderazione oggetti assolutamente futili e di poco o nessun valore e cercano di trarne profitto.

Socrate: Ciò naturalmente avviene, carissimo, senza sapere che si tratta di oggetti di nessun valore, perché, su

questo, il nostro ragionamento ci ha smentiti, dimostrandoci che è impossibile.

Amico: Sono d'accordo con te.

Socrate: Se, dunque, non sanno, è chiaro che ignorano, mentre pensano che cose prive di valore ne abbiano molto.

Amico: Sembra così.

Socrate: Ma non è forse vero che gli avidi amano il guadagno?

Amico: Sì. è vero.

Socrate: E tu affermi che il guadagno è il contrario della perdita.

Amico: Sì, certamente.

Socrate: Vi è, dunque, qualcuno, per il quale perdere sia un bene?

Amico: Nessuno.

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Socrate: Anzi, è un male.

Amico: Sì.

Socrate: Gli uomini sono, dunque, danneggiati dalla perdita.

Amico: Sì. Sono danneggiati.

Socrate: Di conseguenza perdere è un male.

Amico: Sì.

Socrate: Ma il guadagno è il contrario della perdita.

Amico: Sì. è il contrario.

Socrate: Allora il guadagno è un bene.

Amico: Sì.

Socrate: Perciò tu chiami avidi di guadagno quelli che amano il bene.

Amico: A quanto pare.

Socrate: Non sono proprio pazzi, allora, Amico, quelli che definisci avidi di guadagno. Anzi, tu stesso ami o non

ami ciò che è bene?

Amico: Sì. Lo amo.

Socrate: Ma c'è qualche bene che non ami e qualche male, invece, che ami?

Amico: No, per Zeus, non c'è.

Socrate: Allora, ami tutto ciò che è bene allo stesso modo.

Amico: Sì.

Socrate: Coraggio, domandami se anche io non mi comporto allo stesso modo, perché anche io converrò con te sul

fatto di amare ciò che è bene. Ma, oltre a me e a te, tutti gli altri uomini non ti sembrano amare ciò che è bene e aborrire

ciò che è male?

Amico: Mi sembra proprio così.

Socrate: Ma non avevamo riconosciuto che il guadagno è un bene?

Amico: Sì.

Socrate: In questo modo, però, tutti appaiono avidi di guadagno, mentre nessuno di cui parlavamo prima lo era.

Quale, dunque, dei due ragionamenti si dovrà seguire, per non cadere in errore?

Amico: Questo, Socrate:, credo succederà solo se si comprenderà correttamente chi sia l'avido di guadagno: è giusto

considerare tale chi si prodiga in tal senso e cerca di trarre guadagno dalle stesse cose da cui gli uomini per bene non

oserebbero farlo.

Socrate: Ma, vedi, o dolce Amico: poco fa convenimmo sul fatto che guadagnare equivalga ad ottenere vantaggio.

Amico: Ebbene, che cosa vorresti dire con questo?

SOCRATE: Che, oltre a ciò, giungemmo anche a un'altra ammissione: tutti e sempre non vogliono altro che il bene.

Amico: Certamente.

Socrate: Perciò anche i buoni vogliono ottenere ogni tipo di guadagno, se è vero che il guadagno è un bene.

Amico: Tuttavia, o Socrate, non quei guadagni dai quali finiranno con l'essere danneggiati.

Socrate: Con l'essere danneggiati intendi il subire una perdita, o che altro?

Amico: Niente d'altro: mi riferisco al subire una perdita.

Socrate: L'uomo viene, dunque, danneggiato dal guadagno o dalla perdita?

Amico: Da entrambe le cose: perché ci si rimette a causa di una perdita, ma anche a causa di un cattivo guadagno.

Socrate: E ti pare mai che una cosa utile e buona possa essere cattiva?

Amico: No, affatto.

Socrate: Non abbiamo, forse, riconosciuto, poco fa, che il guadagno è il contrario del male, rappresentato dalla

perdita?

Amico: Sì. Lo ammetto.

Socrate: E che, inoltre, essendo il contrario di un male, è un bene?

Amico: Sì. Lo abbiamo riconosciuto.

Socrate: Ecco, allora: tu cerchi di ingannarmi, dicendo di proposito il contrario di quanto poco fa avevamo

convenuto.

Amico: No, per Zeus, o Socrate:, ma, al contrario, sei tu che inganni me e, non so come, nel corso della discussione,

riesci a rivoltarmi in un senso e nell'altro.

Socrate: Ti prego di tacere. Non agirei certamente bene se non prestassi ascolto ad un uomo nobile e saggio.

Amico: A chi dovresti dare ascolto e, soprattutto, che cosa dovresti ascoltare?

Socrate: Si tratta di un mio e di un tuo concittadino, figlio di Pisistrato,(2) del demo di Filaide:(3) Ipparco,(4) il

maggiore e il più sapiente tra i figli di Pisistrato, il quale, tra le molte altre belle prove della sua sapienza, fu il primo a

introdurre in questo paese i poemi di Omero e costrinse i rapsodi a recitarli alle Panatenee,(5) gli uni dopo gli altri e in

ordine, come ancora oggi essi fanno; dopo averlo mandato a prendere con una nave a cinquanta remi, fece venire ad

Atene Anacreonte di Teo,(6) mentre Simonide di Ceo (7) lo aveva sempre al suo fianco, persuadendolo a restare con

grandi ricompense e doni. Si comportava così con l'intento di istruire i cittadini, per poter regnare su uomini che fossero

i migliori possibile, nella convinzione che a nessuno si dovesse negare il diritto alla sapienza, da quell'uomo eccellente

che era. Dopo che ebbe istruito gli abitanti della città e tutti lo ammiravano per la sua sapienza, con l'intenzione di

istruire anche quelli che vivevano in campagna, fece per loro disporre delle Erme (8) lungo le strade, a mezzo cammino

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fra la città e i singoli demi; e, dopo aver scelto dal bagaglio del suo sapere le massime che riteneva più sagge, in parte

apprese, in parte da lui stesso trovate, di sua mano le mise in versi elegiaci e le fece incidere sulle Erme, come

documenti della sua arte e della sua sapienza, affinché, per prima cosa, i concittadini non si meravigliassero delle

sapienti iscrizioni di Delfi, come il «Conosci te stesso», il «Nulla di troppo» e altre simili, ma considerassero più sagge

le parole di Ipparco; e poi perché, nel percorrere le strade avanti e indietro, leggendo e gustando la sua sapienza,

lasciassero i campi per recarsi in città ed essere istruiti anche nel resto. Le iscrizioni sono due: nella parte sinistra di

ciascuna Erma è inciso il nome di Ermes, che dice di trovarsi a metà strada tra la città e il demo, mentre nella parte

destra si legge: «Monito di Ipparco: procedi con giusti pensieri». Vi sono poi anche molte altre belle massime incise su

altre Erme; in particolare, quella sulla via Stiriaca, (9) nella quale si legge: «Monito di Ipparco: non ingannare l'amico».

Dunque non oserei di certo ingannare te che sei un mio amico, né, tantomeno, disobbedire ad un uomo così importante.

Dopo la sua morte, per tre anni gli Ateniesi subirono la tirannide di suo fratello Ippia,(10) e da tutti i vecchi avrai

avuto modo di apprendere che solo in quegli anni ad Atene ci fu la tirannide, mentre prima gli Ateniesi vivevano quasi

come sotto il regno di Crono.(11) Si racconta, poi, da parte dei meglio informati, che la sua morte avvenne non, come

pensano i più, per aver recato offesa alla sorella di Armodio, durante la caneforia (12) - questa sarebbe, infatti, una

motivazione sciocca -, ma per il fatto che Armodio era l'amante di Aristogitone ed era stato educato da lui; di

conseguenza Aristogitone andava fiero di averlo istruito e riteneva Ipparco un suo rivale. A quel tempo, ad Armodio

capitò di innamorarsi di uno dei giovani belli e nobili di allora - ne riferiscono anche il nome, ma io non lo ricordo.

Questo giovanotto, dunque, fino a quel momento sarebbe stato un ammiratore di Armodio e Aristogitone, a motivo

della loro sapienza, ma, in seguito, col frequentare Ipparco, prese a disprezzarli: essi furono così addolorati da tale

offesa, che uccisero Ipparco. (13) Amico: Corri, allora, il rischio, o Socrate:, o di non considerarmi un tuo amico

oppure, se tale mi ritieni, di non dare retta ad Ipparco: perché io non riesco a convincermi di come tu non mi inganni -

non so, tuttavia, in che modo - con i tuoi ragionamenti.

Socrate: Ebbene, come se giocassi a tavoliere, (14) in questa discussione sono disposto a ritirare quella che vuoi

delle affermazioni fatte, affinché tu non creda di essere ingannato. Tutti gli uomini desiderano ciò che è bene: è, forse,

questo che devo ritirare?

Amico: Assolutamente no.

Socrate: Allora che il perdere, come la perdita, è un male?

Amico: No, certo.

Socrate: Che il guadagno e il guadagnare sono il contrario della perdita e del perdere.

Amico: Nemmeno questo.

Socrate: Che, essendo il contrario di ciò che è male, il guadagno è un bene?

Amico: Non tutti i guadagni: è proprio questa l'affermazione che devi ritirare.

Socrate: Tu pensi, dunque, a quanto pare, che il guadagno a volte sia un bene, a volte un male.

Amico: Sì.

Socrate: Allora ritiro questa affermazione: si ammetta pure che un guadagno sia buono e un altro cattivo. Ma di

questi il buon guadagno non è più guadagno del cattivo. Non è così?

Amico: Che cosa vuoi sapere da me?

Socrate: Te lo dirò: il cibo può essere sia buono che cattivo?

Amico: Sì.

Socrate: Forse, dunque, uno di essi è più cibo dell'altro oppure, allo stesso modo, sono entrambi cibi e non c'è

differenza tra l'uno e l'altro, quanto all'essere cibo, ma per il fatto di essere uno buono e l'altro cattivo?

Amico: Sì.

Socrate: Perciò, anche le bevande e tutte le altre cose che esistono e che, pur essendo in sé le stesse, si trovano ad

essere le une buone e le altre cattive, non differiscono fra di loro quanto a quello per cui sono identiche? E questo vale

anche per l'uomo, che può essere buono e malvagio.

Amico: Certo.

Socrate: Tuttavia, credo, nessuno dei due è più o meno uomo dell'altro, né il buono del malvagio, né il malvagio del

buono.

Amico: Hai ragione.

Socrate: E non pensiamo così anche del guadagno, cioè che, buono o cattivo, è pur sempre guadagno?

Amico: Necessariamente.

Socrate: Colui che ottiene un cattivo guadagno non trae, certo, più vantaggio di colui che ottiene un buon guadagno;

pertanto, nessuno dei due sembra essere più guadagno dell'altro, come abbiamo convenuto.

Amico: Sì.

Socrate: Perché a nessuno dei due si può applicare il più o il meno.

Amico: No, per l'appunto.

Socrate: Come si potrebbe fare o subire qualcosa di più o di meno, in una circostanza del genere, alla quale né il più,

né il meno sono applicabili?

Amico: è impossibile.

Socrate: Poiché, dunque, entrambi sono guadagni allo stesso modo e, per di più, vantaggiosi, occorre che noi

consideriamo per quale motivo tu li chiami entrambi guadagni: che cosa vedi di uguale in essi? E come se mi

domandassi, a proposito degli esempi poco fa citati, perché mai sia il cibo buono, sia il cibo cattivo io li chiami

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entrambi cibi allo stesso modo, ti risponderei che li chiamo così perché entrambi sono nutrimento solido per il corpo; e

che il cibo consista in questo, anche tu lo riconoscerai. Non è così?

Amico: Sì, certamente.

Socrate: La stessa risposta si potrebbe dare anche in riferimento alle bevande: questo è il nome che ha il nutrimento

liquido per il corpo, buono o cattivo che sia: e così anche per il resto. Prova, dunque, anche tu ad imitarmi nel

rispondere così. Tu sostieni che il buon guadagno e il cattivo siano guadagni entrambi: che cosa vedi di uguale in essi,

che sia appunto anche questo guadagno? Se, poi, tu stesso non sai che cosa rispondere, considera le mie parole: chiami,

forse, guadagno ogni acquisto che uno si trovi a fare o senza spendere nulla oppure spendendo di meno di quanto si

ricava?

Amico: Sì. Questo è, credo, quello che io chiamo guadagno.

Socrate: Diresti lo stesso di uno invitato a banchetto che, dopo essersi ben rifocillato, rimediasse una malattia?

Amico: No, per Zeus, assolutamente no.

Socrate: E se, invece, dal banchetto ricavasse buona salute, il suo sarebbe un guadagno o una perdita?

Amico: Un guadagno.

Socrate: Dunque, non è un guadagno fare un qualsiasi acquisto.

Amico: No. Di certo.

Socrate: Questo non vale, forse, solo per un cattivo acquisto? O non sarebbe un guadagno neppure se si facesse un

buon acquisto?

Amico: Penso di sì, se si tratta di un buon acquisto.

Socrate: Se, invece, è cattivo, non sarà una perdita?

Amico: Credo di sì.

Socrate: Vedi, allora, che continui a girare intorno allo stesso punto?

Il guadagno sembra un bene, mentre la perdita un male.

Amico: Non so più che cosa dire.

Socrate: Non senza ragione ti trovi in difficoltà. Rispondi ancora a questo: parleresti di guadagno se si trattasse di

acquistare di più di quel che si spende.

Amico: Non quando si tratta di un male, ma solo nel caso in cui uno, spendendo meno oro e argento, ne ottenesse di

più.

Socrate: Stavo per domandarti proprio questo. Ebbene: se uno, con la spesa di mezza libbra d'oro, ricavasse una

quantità doppia di argento, otterrebbe un guadagno o una perdita?

Amico: Una perdita di certo, o Socrate:: perché l'oro gli viene valutato il doppio, anziché dodici volte tanto.

Socrate: Eppure ha ricevuto di più; o, forse, il doppio non è più della metà?

Amico: Non per il valore dell'argento rispetto all'oro.

Socrate: Di conseguenza, a quanto pare, al concetto di guadagno bisogna aggiungere quello di valore. Ora, per

esempio, dici che l'argento, pur essendo di più dell'oro, non ne ha il valore, mentre ha più valore l'oro, anche se in minor

quantità.

Amico: Naturalmente! Le cose stanno proprio così.

Socrate: Il valore, dunque, grande o piccolo che sia, procura vantaggio, mentre la mancanza di esso è

controproducente.

Amico: Sì.

Socrate: Ciò che ha valore a che cosa vale, secondo te, se non ad essere acquistato?

Amico: Senza dubbio ad essere acquistato.

Socrate: Con il valore si fa un acquisto utile o inutile?

Amico: Utile, senz'altro.

Socrate: Dunque, l'utile è un bene?

Amico: Sì.

Socrate: Orbene, o valorosissimo uomo, di nuovo, per la terza o quarta volta, non giungiamo a riconoscere che ciò

che procura vantaggio è un bene?

Amico: Pare di sì.

Socrate: Bene. Ricordi da dove è scaturita la nostra discussione?

Amico: Penso di sì.

Socrate: Se non lo ricordi, sarò io a rinfrescarti la memoria: tu eri in disaccordo con me, sostenendo che le persone

per bene non vogliono ottenere tutti i tipi di guadagno, ma di essi scelgono i buoni guadagni e scartano i cattivi.

Amico: Sì. è vero.

Socrate: Ed ora la discussione non ci ha costretti a riconoscere che tutti i guadagni, piccoli e grandi, sono un bene?

Amico: Costretto sì, o Socrate, più che persuaso.

Socrate: Ma, forse, più tardi, ne sarai anche persuaso: ora, comunque, persuaso, o in qualunque stato tu sia, sei

d'accordo con me sul fatto che tutti i guadagni sono un bene, piccoli e grandi.

Amico: Infatti sono d'accordo.

Socrate: E che gli uomini per bene vogliono tutti ciò che è bene, qualunque esso sia, lo ammetti o no?

Amico: Sì. Lo ammetto.

Socrate: Invece, riguardo agli uomini malvagi, hai detto tu stesso che amano guadagni sia piccoli, sia grandi.

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Amico: L'ho detto.

Socrate: Insomma, secondo il tuo ragionamento, tutti gli uomini sarebbero avidi di guadagno, i buoni come i cattivi.

Amico: Sembra di sì.

Socrate: Non muove, dunque, un rimprovero motivato chi rimproveri ad un altro di essere avido di guadagno;

accade, infatti, che chi muove questi rimproveri si trovi nella medesima condizione.

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NOTE: 1) Il gioco di parole fra i termini "axios" 'degno' e "axioun" 'credere' ricorre anche più avanti in 225b-c;

226c.

2) Pisistrato (600-528/27 circa a.C.) fu tiranno di Atene per due volte: fra il 561 e il 556 a.C. e fra il 546 e il 528 a.C.

3) Il demo era una suddivisione territoriale della popolazione di Atene, cui tutti gli Ateniesi, dall'età di diciotto anni,

erano iscritti. Con il nome di Filaide si designava un demo della tribù Eglide.

4) Per Ipparco cfr. la Premessa.

5) Le Panatenee erano le feste più famose di Atene: si svolgevano nei mese di Ecatombeone (luglio-agosto) e

terminavano con una solenne processione all'Acropoli. Le piccole Panatenee avevano cadenza annuale; le grandi erano

quadriennali ed avevano luogo il terzo anno dopo le Olimpiadi.

6) Celebre poeta lirico, noto soprattutto per i suoi carmi erotici (570-487 a.C.).

7) Poeta lirico, nacque a Ceo nel 559 a.C., visse per molti anni ad Atene, e, pochi anni prima di morire (469 a.C.), si

trasferì alla corte dei tiranni di Siracusa.

8) Pilastri rettangolari, sormontati da una testa che rappresentava il dio Ermes.

9) La strada che conduceva ad Atene al demo di Steirià, della tribù di Pandione.

10) Per Ippia si veda la Premessa.

11) Ossia durante la mitica età dell'oro.

12) La caneforia è una processione sacra inserita nelle Panatenee: le fanciulle portavano in canestri, sul capo, oggetti

per il sacrificio.

13) Riguardo alla vita e all'uccisione di Ipparco le fonti antiche presentano versioni fra loro differenti: alcuni vedono

la congiura di Armodio e Aristogitone come una vendetta politica, altri come una vendetta personale, motivata da

gelosie e tradimenti. C'è chi vede nel nostro dialogo un'apologia di Ipparco, scritta da qualcuno che lo considerava un

grande uomo politico, artista e mecenate. Per altri, soprattutto per chi ritiene l'opera autentica, l'elogio di Ipparco è

piuttosto un'ironica rielaborazione della vicenda.

14) Antico gioco a pedine, antenato degli scacchi.