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Aristotele

Etica Nicomachea, Sintesi

 

Ogni arte e ogni ricerca scientifica tendono ad un bene che ne rappresenta il fine.

Come le arti e le scienze sono molteplici, cosi' lo saranno i fini: il fine della medicina e' la salute, quello dell'ingegneria navale e' la nave, quello della strategia la vittoria, quello dell'economia la ricchezza.

I fini possono essere subordinati gli uni agli altri; esistono dei fini piu' architettonici e i fini voluti per se stessi saranno beni superiori a quelli subordinati agli altri.

Lo studio del bene supremo sara' il compito della scienza piu' architettonica di tutte : la Politica.
Essa studiera' il bene propriamente umano e sebbene sia identico per il singolo individuo e per la citta' sara' cosa piu' perfetta salvaguardare il bene della città'.
Il bene infatti e' amabile anche nella dimensione dell'individuo singolo, ma e' piu' bello e piu' divino quando concerne un popolo o delle citta'.

Nel discorso etico non dobbiamo ricercare una grande precisione perche' i beni hanno una certa instabilita': taluni credono che esistano per convenzione e non per natura, inoltre si puo' morire per la ricchezza e per il coraggio. Ci si accontentera' di mostrare la verita' in modo approssimativo e a grandi linee.

Infatti e' proprio dell'uomo coltorichiedere in ciascun genere di ricerca tanta esattezza quanta ne permette la natura dell'argomento.

L'ascoltatore adatto alle lezioni di politica non e' il giovane inesperto e incline alle passioni: egli ascoltera' invano e inutilmente perche' il fine della politica (etica) non e' la conoscenza, ma l'azione. C'e' un accordo unanime sulla natura del bene supremo che viene riconosciuto nella felicita'.

Ma in che cosa consiste la felicita'?

Si esamineranno le endoxa, le opinioni piu' diffuse e ragionevoli.

Si partira' da cio' che e' noto per noi, si partira' cioe' dai fatti e da essi per induzione ricaveremo la virtu'.
Per essere in grado di riconoscere il fatto virtuoso si deve essere di buoni costumi.

Il principio e' il fatto e se questo risultera' sufficientemente chiaro non ci sara' alcun bisogno del perche'.

Tre sono i generi di vita piu' notevoli: quello che cerca il piacere, quello che mira alla vita politica, infine quello contemplativo.

Chi dedica la vita dedita al piacere appare piu' simile agli schiavi scegliendosi un'esistenza degna delle bestie.

Le persone evolute e attive ripongono invece il bene nellonore.

Ma questo fine NON puo' essere il bene supremo poiche': a) dipende da chi lo conferisce e non da colui al quale viene conferito.
Quindi non e' sufficiente a se stesso
b) rinvia alla virtu': infatti si desidera essere onorati come prova dell'essere persone dabbene e da persone dabbene
Anche la stessa virtu' non e' sufficiente perche':
a) il semplice possesso della virtu' non ne implica l'uso;
b) il virtuoso potrebbe avere un vita piena di sciagure

Anche il guadagno non puo' essere il sommo bene poiche':
a) il guadagno si persegue per le necessita' del sopravvivere
b) il denaro e' un mezzo e non un fine

4 Aporie della teoria platonica del bene

I platonici negano l'esistenza delle idee di quelle realta' che hanno un prima e un dopo (per esempio i numeri).
Infatti in questo caso l'idea, esprimendo cio' che e' comune ai termini della serie, sarebbe anteriore al termine che e' primo.
Il bene come l'essere si predica in tutte le categorie, quindi non e' un genere cioe' alcunche' di comune e di universale
Di cio' che rientra in un'idea, una sola e' anche la scienza.
Ma il bene non e' studiato da una sola scienza, bensi' da molte scienze: dunque non e' un'idea.

il bene ideale, per il fatto di essere eterno e in se, non e' maggiormente bene di qualunque bene empirico come il bianco eterno non e' maggiormente bianco di un bianco di un sol giorno.

Il bene si predica nell'essenza, nella qualita' e nella relazione e la sostanza e' ontologicamente anteriore a queste categorie
Dunque il bene non puo' essere una idea, vale a dire un genere comune poiche' sarebbe anteriore alla sostanza che e' prima Ma i platonici avevano sottolineato come l'idea del bene non concerne tutti i beni, ma solo quelli che sono tali per se stessi e non quelli che lo sono in relazione agli altri.

Risposta: si danno due possibilita':
a) o l'idea del bene e' distinta da quei beni che si vogliono di per se' (onori, il pensare alcuni piaceri) e allora sarebbe vuota.
b) o l'idea del bene si identifica con i beni in se' allora occorrerebbe che in tutti si desse la medesima definizione, il che in tutta evidenza non e'. Aristotele quindi asserisce che il bene non e' un termine univoco o sinonimo: non e' un termine che esprime un'unica idea.

Egli nei Topici I, 15, 105 a 7-12 parla degli omonimi e li distingue in tre tipi::
a. omonimi puri, derivati dal caso: si tratta di termini che denotano realta' che non hanno nulla in comune fuorche' il nome
b. omonimi aph' enos o pros en: termini che denotano realta' diverse, ma non totalmente diverse, bensi' che procedono da un unico principio o che convengono in un medesimo fine (il caso della predicazione dell'essere). c omonimi per analogia (vista- corpo; intelletto- anima)
Il bene e' omonimo pros en.

Infine , se anche esistesse un bene unico, che fosse un predicato comune, o separato esistente come una cosa in se' e' evidente che non sarebbe oggetto di azione o acquisibile per l'uomo. Ma noi cerchiamo proprio un bene di questo genere. Si potrebbe rispondere asserendo che la conoscenza di questo bene modello potrebbe essere utile nella prassi.

Eppure anche le arti tendono tutte ad un bene, ma non per questo necessitano del bene in se'.

La conoscenza di tale bene qualora esistesse non gioverebbe all'esercizio dell'arte: il medico non studia la salute in se, ma la salute dell'uomo, meglio ancora quella di questo uomo qui. Infatti egli cura l'individuo. Il medico ovviamente deve avere conoscenze universali, ma e' necessaria l'esperienza del particolare.

5, 6

I fini sono manifestamente molteplici e non sono tutti perfetti; invece il bene supremo e' perfetto.

Quindi se vi e' un fine solo che e' perfetto sara' il bene che cerchiamo, se sono molti il piu' perfetto.
Quindi il bene supremo sara' perfetto e sufficiente a se stesso.
La felicita' risponde a questi requisiti:
a. la scegliamo sempre per se stessa e mai a motivo di altro.
b. e' sufficiente in se': e' cio' che pur essendo da solo, rende la vita sceglibile e non bisognosa di nulla.
La felicita' infatti e' la piu' degna di scelta di tutte le cose senza che sia sommata ad altro. La felicita' e' quindi un bene perfetto e autosufficiente essendo il fine delle cose che sono oggetto di azione.

Il bene consistera' dunque nell'opera propria dell'uomo.

Tale opera non potra' consistere nel puro fatto di vivere (comune a tutti i viventi); neppure nella vita sensitiva (comune agli animali).

Non rimane che una certa vita attiva (vita dell'agente morale) da parte dell'anima che possiede la regola, parte che viene distinta da quella che obbedisce alla regola.

L'opera dell'uomo consistera' dunque nel vivere la vita secondo l'attivita' della parte dell'anima che possiede la regola e poiche' la virtu' rende perfetta l'attivita', la virtu' della parte razionale dell'anima rende perfetta l'attivita' di questa arte. Il bene supremo consistera' quindi in un'attivita' dell'anima secondo virtu'; e se le virtu' di essa sono molte, secondo la piu' eccellente e la piu' perfetta, inoltre in una vita compiuta: una vita che ha ricevuto il suo fine, che e' pervenuta alla maturita'; vengono cosi' escluse dalla felicita' sia l'infanzia, dove non si esercita ancora la virtu', sia la giovinezza, dove l'esercizio della virtu' e' inteso all'acquisizione di essa.

7 precisioni di metodo

Per prima si deve delineare un abbozzo, successivamente definirne i particolari.

I progressi delle arti infatti derivano dall'aggiungere cio' che manca.

Non si deve pero' ricercare in materia di etica uguale esattezza come in altri campi, ma l'esattezza deve adeguarsi alla natura della materia.

Egualmente non si deve richiedere la causa in tutti gli argomenti, ma per alcuni sara' sufficiente indicare il fatto, ossia il che.

I principi si conosceranno per induzione attraverso la sensazione o per una forma di abitudine.

La ricerca immediata dei principi di ordine morale si compie, secondo i casi, attraverso le vie differenti dell'intuizione, della percezione sensibile o dell'abitudine, ma e' esclusa ogni dimostrazione propriamente detta.

8,9

Poiche' con cio' che e' vero i dati concordano tutti, mentre con cio' che e' falso la realta' e' subito in disaccordo, si deve verificare l'accordo tra la definizione di felicita' data da cio' che si dice attorno ad essa.

Posta la tripartizione dei beni in esteriori, del corpo e dell'anima, si dice che i beni per eccellenza siano quelli dell'anima c.v.d.; anche il fine e' annoverato tra i beni relativi all'anima c.v.d.; se si dice che il vivere bene e l'aver successo esprimono l'uomo felice, si accorda con la nostra definizione perche' la felicita' e' una sorta di vita beata e di attivita' coronata di successo (eudemonia).

1. Vi e' accordo con chi identifica la felicita' con la virtu' (o particolari virtu' come la saggezza e la sapienza).

C'e' differenza tra chi ritiene la felicita' come semplice possesso della virtu' (disposizione) mentre noi parliamo di attivita' infatti il possesso e la disposizione non comportano, di per se', nulla di buono, al contrario dell'attivita'.

2. Vi e' accordo anche con chi identifica la felicita' con il piacere; infatti per chi e' virtuoso le azioni virtuose sono anche piacevoli ed essendo conformi alla propria natura sono anche piacevoli di per se.

Quindi non c'e' conflitto tra il piacere prodotto dall'una e quello delle altre come avviene per le cose piacevoli non di per se', inoltre il piacere non deve aggiungersi alla felicita' come qualcosa di posticcio e di ulteriore.

La felicita' e' dunque il bene supremo e piu' bello e piu' piacevole.

3. Vi e' accordo infine con chi ritiene la felicita' un bene esteriore nel senso che la felicita' necessita anche di questi beni: di beni pecuniari, mezzi per compiere azioni moralmente belle e di beni come una nobile nascita, di bellezza poiche' non e' del tutto rivolto alla felicita' chi e' brutto d'aspetto, o e' solo di oscura origine, o senza figli.

Sembra che la felicita' abbia bisogno di un tale benessere

10, 11, 12

La causa della felicita' e' in noi, perche' apprendibile con lo studio o acquisibile con l'esercizio o fuori di noi perche' e' dono divino, o dovuta alla sorte?

1. Non puo' essere essenzialmente dovuta a fattori estrinseci all'uomo perche':
a. se col farne un dono degli dei si intende asserire che e' qualcosa di divino, la premessa non serve per la conseguenza: in fatti come premio e fine della virtu' essa e' senz'altro divina anche se non e' dovuta al favore degli dei.
b. se fosse un dono degli dei sarebbe posseduta da pochi, mentre puo' essere conseguita da tutti coloro che non sono incapaci di praticare la virtu'.
c. E se e' meglio essere felici in questo modo, poiche' le opere della natura sono al meglio, anche per la felicita' sara' meglio non dipendere solo dalla sorte
. 2. Avevamo definito la felicita' attivita' dell'anima conforme a virtu' sottolineando come dei restanti beni alcuni devono essere presenti, altri sono coadiuvanti e utili a titolo di strumenti.
Quindi la causa essenziale della felicita', essendo la virtu', e' in noi mentre i fattori esterni sono solo strumentali.

3. Ne' i fanciulli e tanto memo gli animali possono essere felici in quanto non sono capaci di attivita' eticamente e politicamente rilevanti.
Solone pensava che solo a vita compiuta si puo' parlare di felicita', cadendo nell'assurdo che un uomo puo' essere felice solo dopo morto.
Non si deve attendere la fine della vita per sapere se un uomo e' felice poiche' i mutamenti della sorte non intaccano l'essenza della felicita'.
Se seguissimo, infatti, le vicende della sorte l'uomo sarebbe un camaleonte, ma non risiede in esse lo stare bene o male, ma di questi l'uomo ha semplicemente bisogno, mentre il fattore essenziale della felicita' e' l'attivita' dell'anima conformi a virtu'.
L'esercizio della virtu', inoltre, non e' soggetto a dimendicanza (come nelle scienze): e' quindi stabile.
L'uomo felice e' stabile nel suo stato di felicita': in ogni circostanza agira' secondo virtu', mai sara' misero, ma sopportera' gli eventi della sorte con misura; anche tra i dolori e le sventure riluce la bellezza morale, qualora si sopportino con serenita' (e non per insensibilita') perche' virtuoso.

La felicita' e' tra i beni degni di onore e non gia' tra quelli degni di lode poiche':
la lode viene attribuita in relazione ad un certo aspetto, o ad una certa qualita', ma la felicita' non e' alcunche' di relativo, essendo cio' in vista di cui si compie tutto il resto, e come tale non le compete la lode, all'opposto e' una causa finale (un principio) che appartiene ai beni degni di onore e divini.
Libro 1, 13 le facolta' dell'anima e le virtu' etiche e diaonetiche

La virtu' che dobbiamo cercare e' la virtu' dell'anima, infatti la felicita' e' il sommo bene dell'uomo quindi la virtu' dovra' essere la virtu' umana. La virtu' tipicamente umana e' appunto la virtu' dell'anima e non del corpo.
Chi si occupa di politica e quindi di etica deve pertanto avere nozioni sull'anima, ma sempre per quanto e' sufficiente alla sua ricerca.
Nel Proterptico si e' detto che:
a. vi sono due parti dell'anima: l'una senza regola (irrazionale) e l'altra che possiede la regola (ragione) (razionale);
b. la prima si divide a sua volta in due parti: una vegetativa che riguarda la nutrizione e la crescita e l'altra di natura desiderativa e appettitiva.
La virtu' che cerchiamo no puo' essere della parte vegetativa, comune a tutti i viventi
L'altra parte dell'anima irrazionale, quella desiderativa, partecipa in qualche modo alla regola, nel senso che e' capace di ascoltarla e di darle retta: non possiede la ragione, ma puo' seguire cio' che comanda. Infatti negli intemperanti e nei temperanti si manifesta la inclinazione ad andare contro la regola ovvero a sottomettersi.
Se la parte senza regola e' duplice e in una parte interviene la regola allora questa e' comune anche alla parte che possiede la regola.
Cosi' anche la parte dell'anima che possiede la regola sara' duplice una parte possedera' la regola di per se', l'altra e' comune con la 'anima irrazionale.
Pertanto la virtu' che cerchiamo e' la virtu' dell'anima che partecipa alla regola e quella che possiede la regola in senso proprio: quindi avremo due specie di virtu': la virtu' etica relativa alla prima parte e la virtu' dianoetica, relativa alla seconda.