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Platone

Epinomide

Platone Epinomide

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Platone

EPINOMIDE

CLINIA: (1) Come avevamo convenuto, (2) giungiamo tutti e tre puntuali, o straniero, io, tu e questo Megillo qui,

per considerare l'argomento della saggezza e precisamente come debba affrontarsi con il ragionamento ciò che - una

volta intellettivamente afferrato - noi sosteniamo permetta alla capacità propria dell'uomo di trovarsi nella migliore

condizione rispetto alla saggezza, quanta almeno è possibile che l'uomo possieda. Per il resto, infatti, riteniamo di aver

esaurito l'argomento sull'istituzione delle leggi. Ma quel che più importa trovare e dire, ossia attraverso quale scienza

un uomo mortale potrebbe diventare sapiente, questo né l'abbiamo detto, né l'abbiamo trovato ed è ora questo che che

dobbiamo fare in modo di non tralasciare; altrimenti, infatti, rimarrebbe incompiuto il progetto per il quale ci siamo

mossi, di far chiarezza su tutto, dall'inizio alla fine.

ATENIESE: (3) Caro Clinia, parli bene, tuttavia penso che ti toccherà ascoltare un discorso fuori dall'ordinario,

anzi, per certi versi fuori dall'ordinario, per certi altri no. Molti, infatti, che sanno che cos'è la vita ripetono sempre lo

stesso discorso: il genere umano non potrà mai essere beato e felice. Seguimi, dunque, e considera se, a tuo avviso,

anche io, come costoro, tratti come si deve tale argomento. Io affermo che, tranne rare eccezioni, non sia possibile per

gli uomini essere beati e felici - finché vivremo, si intende: resta, però, la piacevole speranza di ottenere, una volta

morti, tutti quei beni per i quali, in vita, desideriamo ardentemente vivere e nel modo migliore possibile e, al momento

della morte, di ricevere una fine degna della vita trascorsa. Con ciò niente di originale dico, ma quello che noi tutti,

Greci e barbari, in qualche modo riconosciamo, cioè come, fin dall'inizio, l'esistenza sia dolorosa per ogni essere

vivente: per prima cosa, l'essere concepiti e vivere nell'utero materno, poi il nascere e, ancora, l'essere allevati ed

educati: tutto ciò avviene a prezzo di innumerevoli difficoltà, come tutti diciamo. E, per il calcolo non delle grandi

sofferenze, ma di ciò che ognuno intende come normale esistenza, poco tempo resterebbe, quasi lo spazio di un respiro

nel mezzo della vita umana; la vecchiaia, poi, sopraggiunta veloce, priverebbe del desiderio di vivere un'altra volta

chiunque abbia fatto un bilancio della propria vita passata, a meno che non si trovi colto da rimbambimento totale. Di

ciò che prova posso portare? Lo stesso argomento di cui è oggetto la presente ricerca. Andiamo cercando in che modo

diventeremo sapienti, pensando che questa possibilità sia insita in ciascuno di noi; questa possibilità, però, fugge

velocemente non appena ci si avvicina a una qualche forma di conoscenza delle cosiddette arti o attività intellettuali o di

altre simili, come si suoi dire, scienze, mentre nessuna di queste cose è degna di ricevere il nome di sapienza - parlo

della sapienza relativa ai casi umani: così l'anima è sì assolutamente fiduciosa e in grado di fare previsioni - che è, in

qualche modo, la sua naturale maniera di possedere la sapienza - ma è totalmente incapace di trovare in che cosa

consista la sapienza, né quando e come lo debba scoprire. E questo non accade, forse, proprio nelle difficoltà della

nostra ricerca sulla sapienza, quando prendono il sopravvento sulla speranza in ciascuno di noi, in quanti, almeno, sono

in grado di sottoporre ad indagine se stessi e gli altri, in modo accorto e coerente, attraverso ogni argomentazione

esposta in tutte le sue possibili sfumature? Siamo o non siamo d'accordo su ciò?

CLINIA: Straniero, potremo forse essere d'accordo con te sullo sperare, grazie al tuo aiuto e con il tempo, di farci,

prima o poi, circa queste cose, un'opinione non troppo distante dal vero.

ATENIESE: Pertanto, le altre cosiddette scienze non sono in grado di rendere sapiente chi le apprende o le possiede:

il primo passo consiste nel passarle in rassegna per poterne prendere le distanze, cercando, però, di far emergere quelle

di cui abbiamo bisogno e, una volta fatto questo, apprenderle.

Innanzi tutto, fra le conoscenze di primaria necessità per il genere umano, individuiamo se ve ne siano di

assolutamente indispensabili e davvero fondamentali: ma colui che di esse acquisisce esperienza, se anche nell'antichità

parve essere sapiente, ora, in nessun modo viene reputato tale, anzi, per lo sfoggio di una scienza del genere, si copre di

ridicolo. Indaghiamo quali esse siano e perché ogni uomo - quanti sentono in loro il bisogno di entrare in competizione

per ottenere fama di uomini perfetti - le eviti per dedicarsi all'acquisto e alla pratica della saggezza. Poniamo,

innanzitutto, la scienza che ci vietò assolutamente, come racconta il mito, di mangiarci a vicenda, per quanto riguarda

alcuni esseri viventi, mentre per altri ne ha legittimamente stabilito il pasto. Ammettiamo pure che i nostri progenitori

siano stati benevoli con noi e lo sono davvero - quelli, almeno, di cui parlavamo, siano i primi a ricevere il nostro

omaggio: tuttavia, la produzione di farina d'orzo e di frumento e, nello stesso tempo, un'alimentazione sana e buona non

saranno mai in grado di rendere completamente sapiente un uomo; perché lo stesso nome di produzione provocherebbe

la nausea di quanto viene prodotto.

Pressoché lo stesso vale per l'agricoltura su ogni tipo dì terreno: infatti, non per arte, ma per dono di natura e per

volontà divina,(4) sembra che tutti abbiamo appreso a lavorare la terra. E, inoltre, la struttura delle case, l'arte

architettonica nel suo complesso e la produzione di ogni sorta di suppellettile, l'arte del fabbro e l'arte che fornisce

ciascun tipo di strumento da lavoro per i fabbri, appunto, per i muratori, gli scultori, i tessitori e così via: tutto ciò

procura, indubbiamente, vantaggi per la società, ma non ha nulla da dire in fatto di virtù. E, ancora, neppure l'arte del

cacciare, nonostante la sua varietà e professionalità, produce grandezza d'animo e sapienza. Lo stesso vale per l'arte

divinatoria e, in generale, per l'arte di interpretare gli oracoli: perché ciò che si conosce, a patto che sia vero, lo si

conosce solo perché viene detto e non perché lo si sia appreso.

Poiché vediamo che il possesso delle cose necessarie lo si realizza attraverso la tecnica, senza che nessuna arte renda

sapiente l'uomo, dopo ciò non resterebbe che una specie di gioco per ragazzi, una sorta di imitazione, ma niente di

serio. Chi imita si serve, infatti, di molti strumenti e spesso anche del proprio corpo, con imitazioni non del tutto

decorose; in tale attività mimetica rientrano anche le arti della parola, la Musa tutta, tutte quelle arti, insomma, di cui è

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madre la pittura, con le sue molte e variegate riproduzioni eseguite a secco o a umido: tuttavia, nessuna di queste arti

imitative ha la facoltà di rendere sapiente alcuno, anche chi vi si applica con la massima serietà.

Trattate tutte queste arti, resterebbe un'infinità di aiuti che toccano un'infinità di aspetti: l'arte più importante e la più

complessa, che è stata chiamata arte della guerra, la strategia, assai apprezzata per la sua utilità, ha bisogno di una

buona dose di fortuna e, più che a sapienza, è dovuta a naturale coraggio.

Quanto all'arte che ha nome di medicina, ci viene più o meno in aiuto contro tutti i danni che le stagioni arrecano

agli esseri viventi per via del freddo e del caldo eccessivi e contro tutti i mali di questo genere. Tuttavia, nessuna di tali

arti ha fama di condurre alla sapienza più vera, perché esse procedono senza metodo, per congetture e opinioni. Non

negheremo che anche i piloti e i marinai possano portare aiuto, ma nessuno, per confortarci, proclami sapiente uno di

costoro: perché non saprebbero spiegarci la ragione della furia e del favore dei venti, il che sarebbe, invece, utile al

complesso dell'arte nautica. Né sapienti possono ritenersi coloro che dicono di essere d'aiuto nei processi, in virtù della

forza della parola, poiché, per memoria e pratica dell'opinione, badano solo alle consuetudini e sono completamente

fuori strada rispetto alla verità della giustizia in senso stretto.

Resta ancora una strana facoltà in fama di sapienza, ma che i più dovrebbero chiamare natura piuttosto che sapienza,

quando si consideri la facilità con cui uno assimila quanto sta imparando, la sicurezza con cui memorizza un gran

numero di nozioni; e, quando uno è in grado di richiamare alla memoria, in ogni circostanza, ciò che è opportuno e che

sarebbe conveniente realizzare, per farlo subito. Tutte queste cose alcuni le riterranno natura, altri sapienza, altri ancora

naturale intelligenza, ma nessuno che abbia buon senso avrà il coraggio di chiamarle sapienza in senso stretto.

Ma, allora, bisogna scoprire una scienza, con il possesso della quale il sapiente divenga sapiente davvero e non lo sia

solo in apparenza. Vediamo! Quello cui mettiamo mano non è certo un argomento facile: oltre alle scienze che abbiamo

trovato, si tratta di trovarne un'altra che, nella sua essenza e giustamente, meriti il nome di sapienza e che permetta a

colui che se ne impadronisce di essere un cittadino non di basso rango e inutile, ma sapiente e buon cittadino e,

qualunque sia il suo ruolo nello Stato, comandante o suddito, di essere rispettoso delle leggi e in armonia con lo Stato.

Consideriamo quale sia questa scienza prima che, unica fra quelle oggi diffuse, se venisse a mancare alla natura umana

o non ne venisse in soccorso, renderebbe l'uomo il più insulso e dissennato degli esseri viventi. Tale aspetto non è per

nulla difficile da cogliere. A passare, per così dire, in rassegna, una ad una, le scienze, quella che ha dato a tutta la stirpe

mortale il numero, questa sola è quella capace di produrre tale effetto: ritengo che sia un dio in persona, più che il caso,

a salvarci, facendoci questo dono. Devo ora precisare chi sia il dio cui faccio riferimento, un dio strano da un certo

punto di vista, ma non strano da un altro. (5) Come, infatti, non pensare che la causa di ogni nostro bene sia anche causa

del bene di gran lunga più grande, ossia della saggezza? Di quale dio parlo in modo tanto solenne, cari Megillo e

Clinia? Senza dubbio il Cielo, al quale è assolutamente doveroso, come del resto fanno tutti gli altri demoni e dèi,

rendere omaggio ed elevare speciali preghiere.

Tutti potremmo ammettere che proprio lui sia stato per noi causa anche di tutti gli altri beni: e, nello stesso tempo,

noi diciamo che egli realmente ha donato il numero e che lo darà ancora, purché uno voglia seguirlo. Nel caso in cui,

infatti, lo si osservi nel modo giusto - e lo si chiami pure come più aggrada con il nome di Cosmo, Olimpo o Cielo - se

ne seguano le molteplici manifestazioni e si veda come, facendo compiere agli astri, che in sé racchiude, il moto di

rivoluzione, a tutti assicuri l'avvicendarsi delle quattro stagioni e i mezzi di sostentamento, per non parlare, tra gli altri

beni, delle varie forme del sapere, ivi compresa la scienza dei numeri: ma il bene più grande consiste nel ripercorrere,

una volta accettato dal dio il dono del numero, l'intero ciclo celeste.

Inoltre, facendo un passo indietro nel nostro discorso, richiamiamo di nuovo alla memoria quanto assai bene

avevamo compreso, cioè che, se dovessimo togliere il numero alla natura umana, non ci resterebbe più alcuna

possibilità di conoscenza. (6) Infatti, mai l'anima dell'essere vivente potrebbe accogliere la virtù nella sua interezza, nel

caso gli venisse a mancare la facoltà del calcolo. L'essere vivente che non riconoscesse il due e il tre, il dispari e il pari,

insomma, che ignorasse del tutto la scienza dei numeri, non sarebbe in grado di rendere conto delle realtà, riguardo alle

quali possiederebbe solo percezioni e ricordi, mentre le altre virtù, quali coraggio e temperanza, non gli sarebbero

precluse. Per di più, mancando della vera ragione, non potrebbe mai diventare sapiente e chiunque cui viene a mancare

la sapienza, che costituisce la parte più importante di ogni virtù, poiché non potrà più essere un perfetto virtuoso, non

sarà mai felice. Ecco perché è assolutamente necessario porre a fondamento il numero: ma, per far ciò, è necessario

protrarre il discorso al di là dei limiti cui fino ad ora si è tenuto. Allora sarà ugualmente giusto sostenere che anche

quanto è stato detto sulle altre arti, che poco fa passammo in rassegna, riconoscendo a tutte una loro ragion d'essere, di

ciò nulla rimane, ma tutto viene meno in senso assoluto, nel caso in cui si annullasse l'aritmetica.

A guardare le arti, uno forse potrebbe farsi l'idea che il genere umano abbia bisogno dei numeri solo per cose di

poco conto - per quanto anche questo sia importante; se poi si considerasse l'aspetto divino del mondo del divenire e il

suo aspetto umano - e in ciò si vedrebbe davvero il significato religioso e il valore del numero - non tutti

riconoscerebbero di quanta potenza la scienza dei numeri nel suo complesso potrebbe essere causa per noi - poiché,

chiaramente, la musica, con tutto quanto la riguarda, ha bisogno di movimento e di suoni conformi alla legge del

numero - e, aspetto di assoluta importanza, il numero è causa di tutti i beni e di nessun male, come è facile riconoscere.

Ma chi vuol giungere felice alla morte deve riconoscere che ogni movimento privo di ragione, di ordine, di struttura, di

ritmo e di proporzione e tutto quanto ha qualcosa che fare con il male manca completamente del numero; non c'è

nessuno che, ignorando il giusto, il buono e il bello e tutti gli altri valori, senza avere di essi raggiunto una retta

opinione, potrebbe essere in grado di persuadere davvero sé e gli altri.

Passiamo a considerare quest'altro argomento: come abbiamo imparato a contare. Ebbene: per quale via è sorto il

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concetto dell'uno e del due in noi uomini che, fra tutti gli esseri viventi, siamo i soli capaci di simili nozioni? A molti

altri animali la natura non venne in aiuto, fornendo loro la capacità di imparare a contare dal proprio padre, mentre a noi

il dio infuse, per prima cosa, la disposizione a capire quel che ci viene spiegato e, solo più tardi, cominciò a spiegare e

continua a farlo tuttora. Fra le realtà che il dio ci mostra, c'è qualcosa di più bello del vedere sorgere il sole e poi

prendere parte allo spettacolo della notte, che offre una visione del tutto differente? E poiché il cielo si rinnova

ciclicamente, senza cessare di far seguire infinite notti a infiniti giorni, non smetterà di insegnare agli uomini l'uno e il

due, prima che anche l'uomo più tardo non abbia imparato a contare in modo decente: sicché anche il tre e il quattro e

l'intera serie dei numeri ciascuno di noi potrebbe comprendere dall'osservazione di queste realtà. E di tale pluralità il dio

fece un'unità quando creò la luna, la quale apparendo talora piena, talora a quarti, di volta in volta, con la sua comparsa,

prosegue il suo corso, facendo regolarmente spuntare un altro giorno, fino ad arrivare a quindici giorni e altrettante

notti; questo moto di rivoluzione, se si vuole rendere l'intero ciclo un'unità è, per così dire, tale da essere appreso anche

dal meno intelligente degli esseri viventi, cui il dio fornisca la capacità naturale di imparare. Entro questi limiti e a

queste condizioni, osservando i fenomeni separatamente, ognuno degli esseri viventi che abbia capacità di apprendere è

divenuto abilissimo a contare, guardando a ciò che è in sé unitario. Oltre che per scopi più grandi, dio creò la luna anche

per far sì che ogni numero venisse concepito, di volta in volta, in rapporto con un altro, e la fece, come abbiamo detto,

crescente e calante, per poter raccogliere i mesi in anni: grazie a questa felice coincidenza, si cominciò a cogliere le

relazioni reciproche tra i numeri. Ecco il motivo per cui abbiamo a nostra disposizione frutti e una terra fertile, al punto

che il nutrimento è assicurato ad ogni essere vivente, a condizione che venti e piogge non vengano fuori tempo e fuori

misura; ma se qualcosa va storto, non s'ha da incolpare la natura divina, ma quella umana, che, nel vivere, non mantiene

una condotta conforme a giustizia. Dalla nostra ricerca sulle leggi è, dunque, risultato che, in relazione ad ogni altra

attività, è facile per l'uomo conoscere ciò che è meglio per sé: anzi, ciascuno sarebbe in grado di praticare e di fare

quanto è stato detto, a patto di conoscere la natura di ciò che può essere utile o meno. Pensavamo, e siamo ancora dello

stesso parere, che tutte le altre arti non siano eccessivamente difficili: difficilissima, invece, la via da seguire per

diventare uomini per bene. Possedere tutti gli altri beni è, come si dice, alla portata e non difficile: ad esempio, di quali

sostanze si debba o meno disporre, le qualità che un corpo debba o meno avere; quanto all'anima, se pure tutti sono

d'accordo che deve essere buona, sul modo in cui debba esserlo - giusta, tollerante, coraggiosa - e anche sul fatto che

debba essere sapiente, quando, però, si passi a precisare di quale sapienza si tratti, come poco fa abbiamo esaminato,

non ce n'è uno, fra tutti gli uomini, che si trovi, almeno su qualche punto, d'accordo con gli altri. Ora, oltre a tutte le

forme di sapere sopra illustrate, ne abbiamo scoperta una non certo trascurabile ai fini della nostra ricerca: risulta

sapiente chi è in possesso di quelle nozioni che abbiamo esaminato.

Ma se è davvero sapiente e virtuoso chi è esperto in tali materie, questo deve essere verificato.

CLINIA: O straniero, come avevi ragione quando dicesti che ti accingevi a dare spiegazioni di rilievo su argomenti

di rilievo.

ATENIESE: Non certamente di poca importanza, o Clinia; ma la cosa più difficile sta nel verificare se essi siano, in

tutto e per tutto, conformi a verità.

CLINIA: Questo è indubbio, o straniero; tuttavia non ti faccia desistere dal dire ciò che devi.

ATENIESE: E sia, ma neppure voi due trattenga dall'ascoltarmi.

CLINIA: Sarà così: te lo assicuro a nome di tutti e due.(7) ATENIESE: Sta bene. Bisogna affrontare il discorso

dall'inizio: per prima cosa, come pare, occorre definire se siamo capaci, nei limiti del possibile, di cogliere con un'unica

denominazione il concetto di sapienza; o, in alternativa, se in questa impresa non riusciamo, quali e quante sono le

forme del sapere che uno deve acquisire per essere sapiente, almeno stando al nostro discorso.

CLINIA: Parla pure.

ATENIESE: Allora, dopo questo discorso, non ci sarà nulla da rimproverare al legislatore che a parole descrive gli

dèi con le immagini più belle e migliori di quelle usate prima di lui, come se fosse un bel gioco in loro onore, e che,

venerandoli con inni in letizia di cuore, trascorre la vita.

CLINIA: Dici bene, o straniero. Almeno fosse questo il fine delle tue leggi: celebrare con lodi gli dèi, vivere la vita

più pura e, nello stesso tempo, ottenere la morte più nobile e bella.(8) ATENIESE: Che dobbiamo dire o Clinia?

Riteniamo forse di onorare in sommo grado gli dèi, innalzando loro inni e preghiere affinché ci ispirino le parole più

belle e più nobili sul loro conto? Va bene così o suggerisci qualcos'altro?

CLINIA: Va a meraviglia così! Orbene, o uomo divino, prega fiducioso gli dèi ed esponi il tuo bel ragionamento a

proposito degli dèi e delle dee.

ATENIESE: E sia, se sarà il dio in persona a guidarci. Resta solo da pregare tutti insieme.

CLINIA: Ora, però, parla!

ATENIESE: In primo luogo, è, dunque, necessario, a quanto sembra, che io esponga meglio, conformemente al

discorso sostenuto prima, la teoria della nascita degli dèi e degli esseri viventi, male rappresentata dagli antichi,

riprendendo il discorso che prima ho cercato di fare a proposito degli empi, quando sostenevo che esistono dèi i quali si

prendono cura di ogni cosa, piccola o grande che sia e, per quanto riguarda gli atti di giustizia, sono davvero inflessibili

- ve ne ricordate, Clinia? Lo dovreste, dal momento che avevate preso anche degli appunti - d'altra parte le cose dette

allora erano assolutamente vere; di tali cose il punto essenziale era che ogni anima è nata prima di qualsiasi corpo: ve ne

ricordate? Vi rammentate di questo, non è vero? Perché ciò che è migliore, più antico, più simile a un dio, è da credere

che venga prima di ciò che è più giovane (9) e più indegno, come, dovunque, chi comanda viene prima di chi è

comandato e, in generale, tutto quel che muove viene prima di quel che è mosso.

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Accettiamo, dunque, per vero che l'anima sia anteriore al corpo.

Ma se le cose stanno così, per noi risulta più degno di fede il principio che sia principio di generazione; noi, dunque,

assumiamo che il principio del principio sia la realtà più alta che esista: ma, intanto, con questo trattare della genesi

degli dèi, abbiamo raggiunto direttamente l'apice della sapienza.

CLINIA: Ammettiamo pure che quanto è stato detto sia vero, sempre entro i limiti del le nostre possibilità.

ATENIESE: Via! Non diciamo forse una cosa verissima quando sosteniamo che, secondo natura, si ha un essere

vivente allorché si verifichi l'unione di un'anima e di un corpo e ne scaturisca una sola forma?

CLINIA: Giustamente.

ATENIESE: Un tale comporsi di anima e corpo è, dunque, il modo più esatto per parlare di essere vivente?

CLINIA: Sì.

ATENIESE: Bisogna allora trattare dei corpi solidi, cinque, stando al giusto ragionamento, dai quali si possono

plasmare le figure più belle e più perfette, mentre la restante specie nel suo complesso possiede una forma sola:

null'altro può esistere di incorporeo e privo assolutamente di colore, se non la specie delle anime, di certo la più divine

di tutte. Ed è proprio a questa specie e a nessun'altra che spetta il compito di plasmare e di dare forma, mentre al corpo,

come dicevamo, spetta d'essere plasmato, generato e percepito dalla vista; all'altra specie - ripetiamo, ché non è cosa da

dirsi una volta sola - spetta di essere invisibile, intelligente, intelligibile, dotato di memoria e di capacità di riconoscere,

per via dì calcolo, l'alternarsi del pari e del dispari. Se dunque i corpi sono cinque, bisogna dire che essi sono: il fuoco,

l'acqua, terza l'aria, quarta la terra, quinto l'etere.(10) A seconda che prevalga l'uno o l'altro, si formano, numerosi e

d'ogni specie, i singoli esseri viventi. Ma tutto questo va ora compreso, analizzando ad uno ad uno gli elementi.

Poniamo come primo e come unitario l'elemento terrestre con tutti gli uomini, tutti gli esseri dotati o meno di piedi,

tutti quanti si muovono o restano fissi, tenuti dalle radici; bisogna, però, considerare che l'unità di tale gruppo dipende

dal fatto che, per quanto tutti gli esseri che lo compongono siano formati da tutti gli elementi, in esso prevale la terra e

la natura di solido. è da porre, poi, un'altra specie di esseri viventi, che viene per seconda ed è visibile: è, per la maggior

parte, costituita di fuoco, poi di terra, aria e, in misura minore, di tutto il resto; per questo bisogna dire che da tale

miscuglio si generano esseri viventi di ogni tipo e visibili; oltre a questo dobbiamo pensare che anche i corpi celesti

sono specie viventi che, nel loro insieme, dobbiamo chiamare divina specie degli astri, cui è toccato in sorte il corpo più

bello e l'anima più felice e perfetta. Ad essi, secondo il mio giudizio, non si può attribuire che uno dei due destini: o

ciascuno di essi è incorruttibile, immortale e, per necessità, assolutamente divino, oppure ha un'esistenza lunga quanto

basta alle sue aspettative, in modo da non desiderare di averne di più.

Innanzitutto, volgiamo il pensiero al fatto che, come stiamo dicendo, queste due specie di esseri viventi -

ripetiamolo - sono entrambe visibili, l'una, così sembrerebbe, è interamente fatta di fuoco, l'altra, invece, di terra; e,

mentre l'elemento terrestre si muove disordinatamente, quello igneo si muove secondo un ordine rigoroso. Ora, quel che

si muove senza un ordine, cosa che, per lo più, fanno gli esseri viventi del nostro mondo, va ritenuto privo di ragione,

quello, invece, che si muove con ordine, seguendo la via del cielo, deve considerarsi prova dell'esistenza di una forma

di intelligenza. L'essere costantemente animati dallo stesso moto e dalla stessa velocità, l'essere sottoposti sempre alle

medesime forze ed esercitare sempre i medesimi influssi, basta a dimostrare che c'è una vita improntata a ragione.

E la necessità di un'anima fornita di intelletto dovrebbe essere, di gran lunga, fra tutte, la più importante - perché

l'anima impone le sue norme e comanda senza essere comandata - e assolutamente ineluttabile, qualora essa prenda le

decisioni migliori, in armonia con la migliore intelligenza. Si ha, così, per quel che concerne l'attività intellettuale, una

perfezione con cui neppure l'acciaio, nonostante la sua forza e durezza, potrebbe competere, tant'è vero che anche le tre

Moire presiedono e assicurano la perfetta realizzazione delle decisioni, prese nel migliore dei modi, da ciascuno degli

dèi. Per gli uomini, dunque, avrebbe dovuto essere prova del fatto che gli astri e l'intero loro moto di rivoluzione siano

retti da intelligenza, la constatazione che essi hanno sempre un comportamento regolare, poiché percorrono, da un

tempo straordinariamente lungo, un tragitto fissato fin dalla notte dei tempi, senza deviare né verso il basso, né verso

l'alto, né mutare di comportamento da una volta all'altra, sì da vagare impazziti uscendo dall'orbita. Per molti di noi

questo fenomeno, cioè il fatto che gli astri si muovano e si comportino sempre allo stesso modo, è sembrato indicare

l'esatto contrario: gli astri sono privi di anima. Così la moltitudine si mise al seguito di questi dissennati, al punto da

ritenere il genere umano dotato di ragione e di vita solo perché si muove liberamente; quello divino, invece, privo di

ragione perché animato da un moto sempre identico; eppure l'uomo, elevandosi a quanto c'è di più bello, nobile e

prezioso, avrebbe dovuto capire che è necessario attribuire intelligenza a ciò che sempre agisce allo stesso modo, con

regolarità e per le stesse cause: cioè alla natura degli astri, la più bella a vedersi, che produce quanto serve a tutti gli

esseri viventi, in una danza che, quanto ad andamenti e movenze, supera in bellezza ed eleganza tutte le altre danze. Ed

ora, dato che a ragion veduta constatiamo come gli astri siano animati, consideriamo innanzitutto la loro grandezza: gli

astri, infatti, non sono affatto così piccoli come sembrano, anzi, ognuno di loro possiede dimensioni incommensurabili.

Si può essere sicuri di questo perché ci sono prove sufficienti a dimostrarlo: ad esempio, la massa del sole sì può

ritenere, con un buon margine di certezza, più grande di quella della terra e, quindi, anche tutti i corpi celesti in

movimento possiedono dimensioni eccezionali. Immaginiamo in che modo una forza naturale potrebbe trascinare una

massa tanto grande in un moto di rivoluzione regolare e senza fine, che dura ancora oggi. Ebbene, io affermo che solo

un dio potrebbe esserne la causa e che non potrebbe essere diversamente: perché nulla, come abbiamo dimostrato, può

essere animato da un'altra causa che non sia il dio. E poiché il dio ha questo potere, gli è stato estremamente facile

rendere il primo essere vivente tutto corpo e tutta massa e poi fornirlo di movimento nel modo che, a suo giudizio, era il

migliore. Ora, a proposito di tutte queste realtà, una sola conclusione corretta possiamo trarre: non è possibile che la

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terra, il cielo e gli astri al gran completo, con tutta la loro massa, senza avere un'anima al proprio sostegno o anche

all'interno di ciascuno di essi, si muovano così, di anno in anno, con precisione, mese dopo mese, giorno dopo giorno, e

che tutto quanto esiste sia per noi motivo di vantaggio.

Occorre anche che l'uomo, per quanto sia di capacità limitate, mostri di non parlare a vanvera, ma in modo chiaro e

preciso. Se qualcuno, dunque, dirà che le cause di movimento dei corpi sono forze d'urto o forze naturali o fenomeni del

genere, non parlerà con chiarezza; e noi dobbiamo assolutamente riprendere la tesi sostenuta prima, per verificare se il

discorso ha una logica o è del tutto infondato. Innanzitutto, esistono due specie di esseri viventi, gli uni anima e gli altri

corpo; un'infinità di individui appartengono all'una e all'altra; sono tutti diversi fra di loro e diversi da una specie

all'altra; in secondo luogo, non esiste un'altra terza specie, comune ad alcuna delle due esistenti; infine, l'anima è

superiore al corpo. Stabiliremo che l'una è dotata di ragione e l'altro ne è privo, l'una è destinata a comandare e l'altro a

essere comandato, l'una è causa di tutto quel che esiste e l'altro di niente; cosicché l'affermazione, secondo cui i

fenomeni celesti sono originati da un'altra causa, senza così essere frutto né dell'anima, né del corpo, è una mera

sciocchezza, completamente priva di fondamento logico. Se è, dunque, necessario far prevalere le nostre

argomentazioni su tali temi e, con sicurezza, mostrare che questi esseri, nella loro totalità, sono divini, bisogna porre la

seguente alternativa: infatti, o li si celebrano come dèi a pieno titolo, oppure li si considerano come immagini e

simulacri divini, foggiati dagli dèi stessi; e gli dèi non sono certo artefici privi di ragione e di scarso valore, ma, come

abbiamo detto, non possiamo fare altro che porre uno dei due casi e onorare tali supposte immagini a preferenza di

tutte: perché mai appariranno simulacri più belli, né più comuni a tutti gli uomini, né collocati in luoghi più elevati, che

si distinguano per purezza, dignità e pienezza di vita, quanto questi, poiché tali, in tutto e per tutto essi sono. Ed ora,

sugli dèi cerchiamo di chiarire questo punto: prese in considerazione le due specie di esseri viventi visibili, che abbiamo

definito l'una immortale e l'altra mortale, poiché totalmente terrestre, cerchiamo di parlare nel modo più chiaro,

attenendoci all'opinione più ragionevole, dei tre elementi che stanno in mezzo ai cinque e che si collocano a metà di

queste due specie.

Collochiamo, infatti, l'etere dopo il fuoco, supponiamo che da esso l'anima abbia il potere di plasmare gli esseri

viventi che, come le altre specie, sono costituiti, per la maggior parte, dalla natura dell'etere e, in minima parte, da tutti

gli altri elementi, in favore di un legame universale; dopo l'etere, l'anima plasma dall'aria un'altra specie di esseri

viventi e una terza la plasma dall'acqua. Dopo aver creato tutto questo, è verosimile che l'anima abbia riempito il cielo

intero di esseri viventi, servendosi di tutte le specie, secondo le possibilità di ciascuna, per completare la gamma degli

esseri dotati di vita: quindi, una seconda, una terza, una quarta, una quinta classe di viventi, a partire dalla generazione

degli dèi visibili, per terminare con noi uomini.

Quanto agli dèi, Zeus, Era e tutti gli altri, li si disponga come si vuole, purché secondo la stessa legge, e si tenga ben

saldo questo ragionamento. Fra gli dèi visibili i più importanti, i più degni di onore e che hanno la vista più acuta, per

penetrare ogni cosa, sono da nominare per primi, insieme a tutti quegli esseri che percepiamo trovarsi al loro seguito;

dopo questi e ad un livello inferiore, andando per ordine, viene la stirpe aerea dei demoni, che occupa il terzo posto,

quello centrale, ed ha la funzione di interprete fra i due livelli: è necessario onorare questa stirpe con preghiere, in

favore della loro benevola intercessione. Queste due classi di esseri viventi, quelli fatti di etere e, al livello inferiore,

quelli fatti d'aria, sono, sia l'una che l'altra, completamente trasparenti a vedersi - tant'è vero che anche quando ci sono

vicini non ce ne accorgiamo - e possiedono una straordinaria intelligenza, in quanto appartengono ad una specie che

impara facilmente ed è dì buona memoria. Diciamo pure che conoscono tutto quello che ci passa per la testa, hanno una

particolare predilezione per chi di noi sia moralmente nobile e detestano con forza i viziosi, in quanto i demoni

partecipano del dolore, a differenza degli dèi che, avendo in sé la perfezione della natura, sono estranei a dolore e

piacere e sono, invece, onniscienti e onnisapienti.

Dal momento che il cielo è pieno di esseri viventi, i demoni fanno da interpreti fra di loro e fra tutti gli dèi superiori

e ogni altro essere, poiché, in virtù della posizione intermedia che occupano fra i viventi, si spostano sulla terra e fra le

regioni del cielo con agile movimento. Quanto alla quinta classe di esseri viventi, quella plasmata dall'acqua, non

sbaglieremmo nel rappresentarla di natura semidivina, qualora ne descrivessimo l'origine, e questo perché talvolta la si

riesce a vedere, talvolta si nasconde e sparisce, quindi, alla vista, lasciandoci sbalorditi con le sue oscure sembianze. Di

cinque tipi sono, effettivamente, gli esseri viventi, a seconda di come essi vengono in contatto con noi: o appaiono in

sogno durante il sonno, o, come si dice, attraverso profezie e vaticinii, in alcuni racconti ascoltati da persone sane,

malate o, addirittura, in fin di vita. Le credenze che su questi esseri si sono avvicendate, sia a livello personale, sia a

livello pubblico, dalle quali sono sorti culti sacri di grande diffusione e altri ne sorgeranno, in tutto questo, un

legislatore, che abbia un minimo di intelligenza, si guarderà bene dall'introdurre novità, per evitare così di dirigere il

proprio Stato verso forme di devozione non troppo chiare. Egli, pertanto, non vieterà quanto la legge dei padri ha

disposto riguardo ai sacrifici, perché non ha alcuna competenza in merito, come, d'altra parte, non l'ha in alcun modo il

genere umano. Quanto agli dèi che realmente vediamo, non sussiste forse la stessa ragione di ritenere assolutamente

empi coloro che non hanno il coraggio di dirci e di provare che sono visibili anche altri dèi, privi di un culto specifico e

degli onori dovuti? Oggi, però, capita proprio così: se, per esempio, uno di noi si rendesse conto che il sole e la luna ci

tengono tutti sotto costante osservazione e non riferisse la sua scoperta perché impossibilitato a farlo (11) e se, pur

constatando che tali astri sono privi di culto, non si prodigasse per portarli in un luogo in vista perché siano onorati, per

organizzare feste e sacrifici in loro onore, prendere in esame il calendario e distribuire a ciascuno, in più riprese, in

misura maggiore e minore, le stagioni nel corso dell'anno: costui, se fosse definito malvagio, non dovrebbe convenire

con sé e con chi è al corrente dei fatti di aver ricevuto una giusta accusa?

Platone Epinomide

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CLINIA: E come no, straniero? Sarebbe, anzi, più che malvagio.

ATENIESE: Eppure, caro Clinia, sappi che io ora mi trovo esattamente in questa situazione. (12) CLINIA: Che

cosa vuoi dire?

ATENIESE: Come sapete, tra le potenze del cielo nel suo complesso, ce ne sono otto strettamente imparentate fra di

loro, che io ho personalmente individuato - senza con questo aver fatto una gran scoperta, visto che chiunque altro

potrebbe rifarla; tre di queste sono le seguenti: la potenza del sole, quella della luna e quella degli astri - ovvero le

potenze appena sopra menzionate. Seguono poi le altre cinque. Tutte queste potenze e i corpi celesti che si muovono in

esse, chi di moto proprio, chi perché portato in giro dai carri, nessuno di noi temerariamente creda che siano in alcuni

casi dèi, in altri no, che alcuni siano figli legittimi di dèi e altri altre cose che non è neppur lecito menzionare.

Noi tutti, invece, affermeremo e proclameremo che ognuno di loro è fratello dell'altro e coinvolto in una sorte

analoga, e attribuiremo loro i medesimi onori, non consacrando ad uno l'anno, ad un altro il mese, ad altri, invece,

nessuna parte, né un tempo nel quale possano percorrere la loro orbita, contribuendo così al compimento di quell'ordine

che la Ragione, la realtà più divina, ha predisposto che fosse mostrato a noi. A tale vista, il fortunato spettatore

dapprima è colto da meraviglia; poi viene spinto dal desiderio di apprendere quanto alla natura umana è possibile, nella

convinzione che solo così potrà vivere la vita più nobile e felice in assoluto e, una volta morto, andarsene verso i luoghi

propri della virtù. Proprio come un uomo iniziato ai misteri, in sé unitario e partecipe di un solo sapere, trascorre il

resto del tempo come spettatore delle realtà più belle che la vista può offrire. Ora, arrivati a questo punto, per non essere

tacciati di menzogna, non ci resta che dire quanti e quali siano questi dèi. Con sicurezza insisto nel sostenere quanto

segue: le potenze - ripeto - sono otto; di queste otto, tre sono già state menzionate, ne restano pertanto cinque. Il quarto

e il quinto movimento orbitale hanno pressappoco la stessa velocità del sole e, in linea di massima non sono né più lenti,

né più veloci di esso.

è necessario che di questi tre faccia da guida quello che possiede l'intelligenza adatta. Stiamo parlando del sole;

segue poi la stella del mattino e un terzo astro che non possiamo definire con precisione perché il suo nome è

sconosciuto: fu, infatti, un barbaro il primo ad individuarlo. Fu un'antica civiltà a educare i primi uomini che

rifletterono su questi fenomeni, grazie alla bellezza del clima estivo, di cui Egitto e Siria godono per buona parte

dell'anno; essi potevano contemplare, per così dire, senza interruzioni, ogni stella nel suo splendore, in quanto il clima

di cui godevano era sempre privo di nubi e piogge; da qui, dovunque, anche fino a noi, queste osservazioni giunsero,

diffondendosi per un lungo, infinito volgere di anni. è perciò necessario prendere il coraggio di proporre queste potenze

in qualità di leggi - perché non sarebbe certamente logico ritenere degni di onore certi esseri divini e altri no. Inoltre, il

fatto che alcuni di essi non abbiano nome è da attribuire alla causa che si è detta. In ogni caso, essi assunsero i nomi

degli dèi: la stella del mattino, infatti, che è poi la stessa della sera è detta, a ragione, stella di Afrodite, come era da

aspettarsi da un legislatore sirio, (13) mentre l'astro che ha più o meno l'orbita del sole e della stella del mattino è detto

stella di Ermes. Parliamo ora di altri tre moti di rivoluzione che si spostano a destra come la luna e il sole. In seguito, è

doveroso parlare dell'ottavo dio, cui più di ogni altro si può dare il nome di Cosmo, il quale si muove in senso opposto

rispetto a tutti quegli altri astri, senza trascinarli con sé, come potrebbe sembrare a chi non si intende di queste cose. Ciò

che sappiamo sufficientemente bene è nostro dovere comunicarlo e, per questo, lo comunichiamo: così, anche a chi, in

minima proporzione, partecipa della retta e divina ragione, in qualche modo, sarà rivelata l'autentica sapienza.

Restano ancora tre astri: uno di questi si segnala sugli altri per la sua lentezza e da alcuni è denominato stella di

Crono. L'astro che viene subito dopo, quanto a lentezza, va chiamato stella di Zeus; segue poi la stella di Ares che,

rispetto agli altri astri, assume una colorazione rosso intenso. Questi astri non sono difficili da riconoscere, se c'è

qualcuno ad indicarli, ma, una volta individuati, vanno concepiti come s'è detto.

Ed ecco un altro punto su cui ogni greco deve riflettere, dal momento che noi possediamo una regione, la Grecia,

che, rispetto alle regioni vicine, è la migliore ai fini dell'acquisizione della virtù. Di essa bisogna definire lodevole il

fatto che si trovi a metà fra le zone fredde e quelle torride, anche se il nostro clima estivo - meno propizio di quello delle

regioni di cui si è parlato (14) - soltanto in un secondo tempo rispetto agli abitanti di tali zone, ha dato a noi la

possibilità di escogitare il sistema di ordinamento delle divinità. Consideriamo, tuttavia, che quanto i Greci hanno

ereditato dai barbari l'hanno poi portato alla perfezione massima. Ed inoltre, anche in riferimento a ciò di cui ora stiamo

trattando, bisogna tenere presente la difficoltà di arrivare, in tale campo, a scoperte definitive; tuttavia, resta la viva e

consolante speranza che i Greci si preoccupino di venerare tutti questi dèi in un modo davvero più bello e più degno di

quanto non facciano le tradizioni e i culti che provengono dai barbari. Per ottenere ciò, è bene che i Greci si servano

dell'educazione, dei responsi di Delfi e di tutto un complesso di riti sanciti per legge.

Nessun greco sia colto in alcun modo da timore, pensando che, siccome è mortale, non possa occuparsi delle realtà

immortali; anzi, il principio cui deve attenersi è esattamente l'opposto: non esiste essere divino privo di ragione e che

ignori l'umana natura. Il dio sa, infatti, che, se si farà maestro dell'uomo, l'uomo lo seguirà e farà tesoro dei suoi

insegnamenti. La divinità, senza dubbio, sa di essere lei stessa ad insegnarci questa scienza e che noi impariamo i

numeri e a contare. Se ignorasse la cosa, sarebbe di una stoltezza immane; per così dire, infatti, ignorerebbe addirittura

se stessa, se fosse ostile a chi ha la capacità di apprendere, invece di gioire, senza invidia, con chi è divenuto buono con

l'aiuto del dio. Vi è più di una buona ragione per credere che, quando gli uomini formularono le prime riflessioni sugli

dèi, su come nacquero, che caratteristiche avevano e sulle loro funzioni, non parlassero né da uomini assennati, né come

i saggi di allora avrebbero voluto. Ma, d'altra parte, neppure questi saggi giudicarono come quelli successivi, per i quali

le realtà più antiche erano costituite da fuoco, acqua e dagli altri elementi, mentre la meravigliosa natura dell'anima si

sarebbe formata in un secondo tempo: di conseguenza, il movimento più importante e più perfetto sarebbe stato non

Platone Epinomide

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quello dell'anima che muove se stessa e il corpo, ma quello con cui il corpo è in grado di muovere sé medesimo, per

effetto del caldo, del freddo e di tutti gli stati fisici analoghi a questi. Ora, quando diciamo che non c'è nulla di strano

che l'anima muova e porti in giro, oltre a se stessa, anche il corpo, nella misura in cui gli inerisce, non c'è ragione per

non accettare che la nostra anima abbia la capacità di spostare una qualsiasi massa. A questo punto, diamo per scontato

che, dato che l'anima è causa di tutto e che il bene è sempre generatore di altro bene e il male di altro male, non c'è da

meravigliarsi se l'anima sia causa di ogni forma di movimento e mutamento; il movimento e il mutamento al bene

spettano all'anima più nobile, mentre a quella di natura opposta spettano movimento e mutamento contrari. Ecco perché

è necessario che il bene a suo tempo abbia sconfitto il suo contrario e continui a farlo.

Tutto questo discorso è stato fatto in funzione della Giustizia che punisce gli empi. Riguardo all'argomento che

stiamo trattando, non c'è motivo per dubitare del fatto che non necessariamente l'uomo buono è anche saggio; d'altra

parte, questa sapienza, che da tempo andiamo cercando, vediamo se concepirla basata su una certa educazione o su una

certa arte, ignorando la quale noi ignoreremmo che cos'è il giusto. Non posso fare a meno di affermare questo

principio, dato che ne sono fermamente convinto: tenterò, infatti, di rendervi manifesta tale sapienza che andavo

cercando per cielo e terra ed ora, alla fine, mi è apparsa.

La causa del nostro errore sta nel fatto di non mettere bene in pratica l'aspetto più importante della virtù, come a mio

giudizio risulta con assoluta chiarezza da quanto si è sostenuto in precedenza. Nessuno potrà mai convincerci che

esiste, per il genere mortale, virtù più grande della devozione agli dèi: va detto, purtroppo, che essa non ha potuto

attecchire nelle nature più nobili, per via di una profonda ignoranza. Le nature migliori sono quelle che nascono con

grande fatica, ma, una volta formate, sono davvero preziose. In effetti, quando un'anima accoglie in sé, con

moderazione e gradatamente, movimenti lenti e di carattere opposto, avrà un buon carattere: ammirerà il coraggio, sarà

incline alla temperanza e, cosa più importante fra queste doti naturali, avrà la capacità di apprendere e di ricordare;

potrà, insomma, godere a pieno di queste cose, tanto da diventare amante della scienza. Non è impresa facile, per queste

nature, venire generate, ma, una volta nate e favorite da un'educazione e da una formazione adeguate, avranno il potere

di dominare, nel migliore dei modi, la massa di chi è inferiore a loro, grazie alla forza del loro pensiero, alle loro azioni

e alla loro capacità di parlare degli dèi nel modo e al momento giusti, facendo riferimento ai sacrifici e ai riti di

purificazione che riguardano dèi e uomini, senza ricorrere ad atteggiamenti subdoli, ma onorando davvero la virtù:

quest'ultimo, fra tutti, è l'aspetto più importante per il bene della città intera. Noi, dunque, affermiamo che questa è la

parte della cittadinanza, per natura, la più degna di sovranità e con la possibilità di apprendere le nozioni migliori e più

elevate, a patto che qualcuno la educhi. Tuttavia, nessuno potrebbe educarla, se non ci fosse il dio a guidarlo: se anche

uno fosse disposto ad educarla, ma non lo facesse nel modo giusto, sarebbe meglio non imparare. In ogni caso, da

quanto fin qui sostenuto, risulta necessario apprendere i seguenti insegnamenti: non solo, ma è necessario proclamare

apertamente che la natura descritta è la migliore. Apprestiamoci, dunque, a passare in rassegna, con criterio logico,

quali siano le discipline da imparare, quali caratteristiche abbiano e con quale metodo si possano apprendere e, poi, in

che modo le forme del culto vadano assimilate; il tutto stando alle mie possibilità di relatore e a quelle degli ascoltatori.

Singolare, direi, parrà a chi ascolta il nome di astronomia che noi attribuiamo a questa scienza e coglierà impreparato

chi non ha esperienza in questo genere di cose. Costui, infatti ignora che il vero astronomo è, per necessità, anche un

grandissimo sapiente: il riferimento non è a chi pratica l'astronomia alla maniera di Esiodo e dei suoi successori, i quali

si limitano ad osservare il sorgere e il tramontare delle stelle, ma a chi delle otto orbite ne ha individuato almeno sette,

ciascuna con il proprio moto di rivoluzione. A queste condizioni non è certo facile per una natura qualsiasi riuscire a

contemplare questi fenomeni, senza possedere doti naturali straordinarie. Ecco, dunque, quello che sopra dicevamo e su

cui torneremo - anzi, ne parliamo ora: modalità e metodo per imparare. Passiamo, pertanto, al primo punto della

trattazione.

La luna è il corpo celeste che percorre la sua orbita più velocemente di tutti gli altri, impiegando un mese a tornare

alla prima fase, cioè al plenilunio. Al secondo posto va annoverato il sole che, percorrendo l'intero moto di rivoluzione,

porta a compimento le stagioni, e, con lui, gli astri che si muovono con la sua stessa velocità. Per non ripetere più volte

le stesse cose, circa gli stessi argomenti, volgiamoci con il pensiero, per quanto non sia facile impresa, alle altre orbite

che in precedenza esaminammo, preparando a tale impresa le nature che ne sono all'altezza: per fare questo, è

necessario ricorrere ad un intenso insegnamento propedeutico e abituare il discepolo, fin dalla più tenera età e

giovinezza, a sottoporsi ad un esercizio sistematico. Da qui verrebbe la necessità di un programma di studi. La

disciplina più importante e da affrontare per prima è quella che si occupa dei numeri in quanto tali, cioè non dei numeri

nella loro dimensione materiale, ma della teoria del pari e del dispari, della loro formazione e della loro potenza e

quanto di essa si comunica alla natura degli esseri.(15) Una volta assimilata tale scienza, viene il turno di quella che,

con nome forse ridicolo, (16) è chiamata geometria: dato che i numeri, per natura, non sono fra loro commensurabili,

con la geometria, la commensurabilità, riferita alla categoria delle superfici piane, diventa evidente. Tale dimostrazione

appare, a chi può comprenderla, una sorta di prodigio non umano, ma prodotto da una mente divina. Segue, poi, la

scienza dei numeri elevati al cubo e corrispondenti ai solidi; o, meglio, la scienza dei numeri incommensurabili che

diventano commensurabili, per via di un'altra disciplina che gli scopritori hanno chiamato stereometria. Gli osservatori

esperti considerano divino e meraviglioso il fatto che, di volta in volta, con la serie di base due delle potenze e dei loro

inversi, (17) la natura, nel suo complesso, si configuri in generi e specie definiti, sulla base della proporzione. La prima

serie che procede per successivi raddoppiamenti segue il rapporto numerico da uno a due, mentre il raddoppio di due è

un quadrato; il passaggio alla dimensione solida e tangibile avviene nuovamente per via di raddoppiamento, passando

così da uno a otto. (18) Nella serie inversa, dal doppio alla metà, un termine si trova ad essere superiore al suo termine

Platone Epinomide

9

inferiore e inferiore al suo termine superiore, nella stessa proporzione, e il termine, relativamente agli estremi in cui è

compreso, è superiore e inferiore nel medesimo rapporto: (19) in un intervallo da sei a dodici si può verificare sia il

rapporto di tre a due, sia il rapporto di quattro a tre. La media dei due termini, sviluppata secondo l'uno e l'altro

rapporto, ha procurato agli uomini il vantaggio della misura e della simmetria e il piacere del gioco del ritmo e

dell'armonia, concesso dal beato coro delle Muse. (20) Ecco esposta l'origine di queste scienze e il loro contenuto

generale.

Per raggiungere il culmine di esse, bisognerà muoversi verso la genesi divina e, nello stesso tempo, verso la natura

degli esseri visibili, nella sua forma più bella e divina, nella misura in cui il dio ha concesso agli uomini di osservarla.

Senza le nozioni di cui ora si è parlato, nessuno si vanti di capire e di intuire facilmente queste cose. Inoltre, in ogni

conversazione, tutto ciò che è particolare va ricondotto all'unità, approfondendo e correggendo le posizioni sbagliate.

Del resto, diventa questa la prova migliore e determinante che l'uomo possiede per stabilire di essere nel giusto e quante

pretendono di essere tali, ma non lo sono, comportano più di tutte uno spreco di fatica. Ci resta ancora da prendere in

considerazione la perfezione del tempo, come con regolarità esso porti a compimento tutti i fenomeni celesti, affinché

chi ha creduto vera la tesi, secondo cui l'anima è a un tempo più antica e più divina del corpo, si farà sostenitore del

principio, di straordinaria bellezza e coerenza, che tutto è pieno di dèi (21) e che mai, per dimenticanza o incuria,

saremo trascurati dalle più alte potenze. In proposito, bisogna poi considerare il fatto che, se uno correttamente

apprenderà ciascuna di queste discipline, ne trarrà grande vantaggio, a patto che apprenda con giusto criterio, se no sarà

meglio chiamare un dio in soccorso. Il metodo - non si può fare a meno di esporre un argomento tanto importante - è il

seguente: ogni figura geometrica, ogni sistema numerico, ogni rapporto armonico e, perfino, la regolarità del moto di

rivoluzione degli astri devono poter mostrare l'unità del molteplice a chiunque apprenda questi concetti con criterio. Ma

ciò, lo ribadisco, apparirà solo se si apprende nel modo giusto, cioè tenendo d'occhio l'unità: a chi, infatti, riflette a

fondo uno apparirà il legame originario di tutto ciò. (22) A chi, invece, metterà mano a queste cose per vie diverse non

resterà altro da fare, come abbiamo detto, che invocare la sorte. Senza queste conoscenze, nelle città non ci sarebbe

neppure una natura ben formata, perché questo solo è il metodo, questa l'educazione, questi i contenuti di essa: questa,

insomma, la via da percorrere, facile o difficile che sia. Non è neppur lecito trascurare gli dèi, dato che ci è stata

riferita, secondo un metodo coerente, un'eccellente tradizione che li comprende tutti. Chi ha così acquisito la

conoscenza di tutte queste cose, costui lo proclamo il più sapiente, nel significato più vero del termine: affermo, inoltre,

scherzosamente e seriamente ad un tempo, che quando un simile uomo, con la morte, porterà a compimento il proprio

destino, se è vero che anche da morto egli vive ancora, allora non parteciperà più, come ora, di molteplici sensazioni,

ricevendo, ormai, una sola sorte e, divenuto uno da molteplice che era, sarà felice e, giunto al culmine della sapienza e

della beatitudine, beatamente viva nel continente o sulle isole; e parteciperà, per sempre, di simile condizione e

chiunque, durante la propria vita, si sia dedicato a tali occupazioni, in ambito pubblico o privato, riceverà anch'egli dagli

dèi un'uguale e identica sorte. Quel che all'inizio dicevamo, (23) ed anche ora lo stesso discorso risulta davvero fondato,

cioè che è impossibile per gli uomini essere completamente beati e felici, tranne poche eccezioni, tutto questo è stato

detto a ragione.

Quanti sono, infatti, divini, moderati e, insieme, partecipi per natura di ogni altra virtù, e, inoltre, quanti hanno

acquisito il bagaglio di conoscenze relativo alla scienza beata - abbiamo detto in che cosa essa consista; a costoro

soltanto sono toccate e toccano tuttora i doni generosi degli dèi. A questo punto, diciamo in privato e proclamiamo in

pubblico, magari fissandolo in termini di legge, che chi, con duro impegno, si è così dedicato a questi studi, giunto alla

soglia della vecchiaia, debba ricevere le cariche più alte; gli altri cittadini, invece, seguendone l'esempio, hanno il

dovere di rendere grazie a tutti gli dèi e le dee insieme.

A noi tutti, infine, toccherà incoraggiare a questa sapienza il Consiglio Notturno, (24) dopo aver bene individuato i

suoi membri ed averli giudicati nel modo più obiettivo possibile.

Platone Epinomide

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NOTE:

1) La città di provenienza di questo personaggio, così come quella di Megillo, non è casuale: Creta e Sparta

rappresentano, infatti, i luoghi di origine dei due più grandi e famosi oratori dell'antichità, Minosse e Licurgo.

2) Cfr. Platone, Leges, libro 12, 969a. 3) Nelle Leggi, il vecchio Ateniese, anonimo, percorre, insieme a Megillo e

Clinia, la strada diretta a Cnosso, dove sorgono l'antro e il santuario di Zeus. Qui, Platone non avrebbe potuto introdurre

Socrate come personaggio, perché questi non aveva mai lasciato Atene, se non per brevi spedizioni militari. I

commentatori antichi ritengono che sotto le spoglie del vecchio Ateniese anonimo si nasconda lo stesso Platone.

4) Demetra e Core, con la mediazione di Trittolemo, come si dice nelle Leggi (libro 6, 782b).

5) Strano da un lato perché, secondo la comune tradizione, la scienza del numero era attribuita a Prometeo, o a

Palamede; non strano da un altro lato perché, se il Cielo ci ha dato tutti gli altri beni, evidentemente ci ha fatto dono

anche del bene più grande, la sapienza. 6) Cfr. supra, 976d ("...oltre alle scienze che abbiamo trovato..." 7) Cioè Clinia

e Megillo.

8. Cfr. supra, 973c-d "...Molti, infatti, che sanno che cos'è la vita (...) al momento della morte, di ricevere una fine

degna della vita trascorsa..." 9) L'editore Burnet, seguendo il Parisinus graecus 2807, il Laurentianus 80.17 e il

Vaticanus graecus 1, legge "néou" e lo segnala tra croci perché è lezione priva di senso. Il codice Marcianus graecus

188 corretto riporta la lezione "cheironos" ('inferiore').

10) Nel Timeo, in un passo ritenuto parallelo a questo (48b), si parla di quattro elementi solidi. Tuttavia, nello

stesso dialogo (58d), si menziona anche il quinto elemento: l'etere.

11) Per la paura di andare contro la religione tradizionale.

12) Qui l'Ateniese intende dire che, pur conoscendo gli astri e le loro rivoluzioni, non ha avuto il coraggio di

divulgare la portata che tali conoscenze avrebbero sul piano religioso e politico.

13) Cfr. Erodoto, libro 1, 105; Luciano, De dea Syria 22,31; in Oriente (Babilonesi, Assiri, Fenici, Egizi)

antichissimo era il culto di Venere, sotto i vari nomi di Astarte, Melitta, Alitta, Derceto, Atergate. 14) Si tratta delle

regioni orientali, cfr. supra, 987a ("...di cui Egitto e Siria...").

15) è qui tratteggiata la differenza fra la matematica applicata e la matematica teorica (filosofia dei numeri). 16) Si

tratta della geometria piana. Forse il ridicolo del nome sta nel fatto che, alla lettera, geometria significa agrimensura. La

geometria dei solidi è detta stereometria (cfr. subito dopo). 17) Per inverso qui si intende l'operazione inversa

dell'innalzamento a potenza, ovvero l'estrazione di radice. 18) Si accenna qui alla progressione geometrica 1,2,4,8 i cui

termini sono 1, 2, 2 alla seconda (geometria piana = numeri omogenei alla natura delle superfici), 2 elevato al cubo

(geometria solida o stereometria = numeri omogenei alla natura del solido). 19) Data la progressione 1, 2, 4, 8 è chiaro

che, come 4 è la metà di 8, così 2 è la metà di 4 e 1 la metà di 2, per cui il rapporto fra ogni termine e quello di grado

minore è costante (8:4 = 4:2 = 2:1 = 2).

20) Nella progressione 6 ,9, 12 si hanno i rapporti 9/6 = 3/2 (cioè il rapporto di 3 a 2) e 12/9 4/3 (cioè il rapporto di

4 a 3) e la media aritmetica fra 6 e 12 è 9 (il numero delle Muse) costituente così un accordo musicale simile

all'accordo di 1, 4/3, 3/2, 2.

21) Celebre frammento di Talete (22 Diels-Kranz), menzionato anche nelle Leggi (libro 10, 899b). 22) Allusione

all'Uno-Principio delle Dottrine non scritte, legame originario del tutto e orizzonte ultimo della conoscenza. 23) Cfr.

supra, 973c-974a ("...Molti sanno che cos'è la vita..."). 24) Cfr. Platone, Leges, libro 12, 960b-969d.