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William Shakespeare

 

ENRICO OTTAVO

 

 

 

PERSONAGGI

 

RE ENRICO OTTAVO

IL CARDINALE WOLSEY

IL CARDINALE CAMPEGGI

CHAPUYS, ambasciatore dell'imperatore Carlo Quinto

CRANMER, arcivescovo di Canterbury

IL DUCA DI NORFOLK

IL DUCA DI BUCKINGHAM

IL DUCA DI SUFFOLK

IL CONTE DI SURREY

IL LORD CIAMBELLANO

IL LORD CANCELLIERE

GARDINER, vescovo di Winchester

IL VESCOVO DI LINCOLN

LORD ABERGAVENNY

LORD SANDS

SIR ENRICO GUILDFORD

SIR TOMMASO LOVELL

SIR ANTONIO DENNY

SIR NICOLA VAUX

Segretari di Wolsey

CROMWELL, dipendente di Wolsey

GRIFFITH, gentiluomo d'onore della regina Caterina

Tre Gentiluomini

IL DOTTOR BUTTS, medico del Re

L'Araldo della Giarrettiera

Il Sovrintendente del duca di Buckingham

BRANDON

Un Sergente d'armi

Un Usciere della sala del Consiglio

Un Guardaportone e il suo Uomo

Un Paggio di Gardiner

Un Banditore

LA REGINA CATERINA, moglie del Re, poi divorziata

ANNA BOLENA, sua damigella d'onore, poi Regina

Una vecchia dama, amica di Anna Bolena

PAZIENZA, cameriera della regina Caterina

Signori e Signore; Cameriere della regina; Segretari, Ufficiali, Guardie, Persone del seguito. Spiriti

 

 

 

Scena: Londra; Westminster; Kimbolton

 

 

 

PROLOGO

 

Non vengo questa volta per farvi ridere: ora vi presentiamo fatti di grave e serio aspetto, tristi, alti commoventi, pieni di maestà e di dolore, e nobili scene che vi faranno piangere. Coloro che hanno sensi di pietà potranno qui, se vogliono, spargere qualche lacrima:

l'argomento davvero lo merita. Quelli che spendono il loro denaro con la speranza di sentir cose credibili, troveranno in questo dramma la verità. A quei tali che vengono a vedere soltanto qualche scena spettacolosa e, se c'è, trovano che il dramma è passabile, garantisco che, se vogliono star zitti, in due brevi ore vedranno quanto li ripagherà largamente dello scellino speso per l'entrata. E resteranno delusi solo quelli che sono venuti per ascoltare piacevolezze oscene e rumore di scudi o per vedere un buffone col lungo abito multicolore e le mostre gialle; poiché, uditori egregi, sappiate che, se con la vera storia che abbiamo scelto combinassimo pagliacciate e risse, perderemmo tutti i nostri amici intelligenti, oltre a sacrificare la reputazione di gente di cervello, che intende presentare soltanto uno spettacolo conforme alla verità. Per questo, e perché si sa che siete i più scelti spettatori della città e i meglio disposti, siate, per amor del cielo, seri come vorremmo che foste: fate conto di contemplare in carne ed ossa le persone della nostra nobile storia come se fossero vive; immaginate di vederle nella loro grandezza, seguite dalla calca e dallo zelo di mille amici; poi di vedere come tutt'a un tratto questa potenza si cambi in desolazione; e allora, se riuscirete ad essere allegri, dirò che un uomo può anche piangere il giorno delle nozze.

 

 

 

ATTO PRIMO

 

SCENA PRIMA - Londra. Un 'anticamera del Palazzo

(Entrano da una porta il DUCA DI NORFOLK e da un altra il DUCA DI BUCKINGHAM e LORD ABERGAVENNY)

 

BUCKINGHAM: Buon giorno e ben trovati. Come ve la siete passata dacché ci vedemmo l'ultima volta in Francia?

NORFOLK: Bene, grazie; e sempre ardente ammiratore di quanto ho visto colà.

BUCKINGHAM: Una terzana inopportuna m'inchiodò a letto, quando quei due soli di gloria, quei due luminari dell'umanità s'incontrarono nella valle di Ardres.

NORFOLK: Fu tra Guynes e Ardres: ero presente e li vidi salutarsi a cavallo; quando smontarono, si abbracciarono stretti stretti come se fossero diventati un corpo solo, e se ciò fosse realmente accaduto, dove sono i quattro sovrani che avrebbero pesato quanto quest'uno così composto?

BUCKINGHAM: E durante tutto quel tempo ero prigioniero nella mia stanza!

NORFOLK: Allora avete perduto lo spettacolo di quello che è gloria terrena: si potrebbe dire che la pompa era sino ad ora nubile, ma adesso è sposata a chi le è superiore. Ogni giorno sorpassava di gran lunga il precedente, sinché l'ultimo compendiò in sé tutte le meraviglie di quelli che erano venuti prima. Un giorno i Francesi, tutti scintillanti e coperti d'oro come dèi pagani, mettevano gli Inglesi nell'ombra; il dì dopo la Gran Bretagna splendeva come una nuova India e ogni uomo che era colà pareva una miniera. I loro paggetti sembravano cherubini tutti dorati: e si sarebbe detto che le dame, non avvezze a lavorare, quasi sudassero sotto il peso degli splendidi ornamenti, sicché la fatica stessa serviva loro di rossetto.

Ora uno spettacolo era dichiarato insuperabile, ma quel che si vedeva la sera seguente lo faceva ritenere insipido e meschino. I due re, uguali di splendore, erano al sommo o al basso della scala a seconda che si trovavano o no presenti: quello che era sotto gli occhi era lodato, e, quando erano presenti entrambi, gli astanti dicevano di non vederne che uno, perché nessuno spettatore osava muovere la lingua a pronunciare un giudizio. Quando quei soli radiosi - poiché così li chiamavano - per mezzo dei loro araldi chiamavano alle armi i nobili spiriti dei cavalieri, questi compivano imprese che andavano oltre ogni immaginazione, e così le antiche storie favolose apparivano ora anche troppo possibili e le gesta di Buovo acquistavano credito e fede.

BUCKINGHAM: Via! forse esagerate!

NORFOLK: Da gentiluomo e da uomo amante della verità vi assicuro che anche sulla bocca di un buon parlatore la realtà perderebbe gran parte di quella animazione che si esprimeva nell'azione effettiva. Tutto era regale e tutto disposto senza fare una grinza, e l'ordine metteva ogni cosa nella sua luce: chi era stato incaricato dell'ordinamento compì il suo ufficio a meraviglia.

BUCKINGHAM: Chi fece da guida? voglio dire, chi mise insieme, per quanto ne sapete voi, le membra e il corpo di questo grande spettacolo?

NORFOLK: Uno da cui non ci si aspettava certamente che potesse organizzare con tanta abilità un tal complesso di cerimonie.

BUCKINGHAM: Ma chi è, di grazia, signor mio?

NORFOLK: Tutto fu predisposto dal saggio discernimento di Sua Eminenza Reverendissima il cardinale di York.

BUCKINGHAM: Il diavolo se lo porti! non v'è cosa in cui non ficchi il suo naso d'ambizioso. Che c'entrava il cardinale con questa ostentazione di vanità? Mi chiedo se questo pezzo di grasso non possa con la sua massa intercettare i raggi del sole benefico e privarne la terra.

NORFOLK: Certamente, messere, v'è in lui la stoffa che lo predispone a codesti negozi; poiché, non essendo egli sostenuto dai ricordi delle gesta di antenati, le cui onorevoli imprese segnano la strada ai successori, né chiamato a così alto ufficio per grandi servigi resi alla Corona, né imparentato con eminenti collaboratori, ma, traendo a mo' di ragno la tela da se medesimo, ci mostra che la forza dei suoi meriti gli ha fatto strada: un dono che il cielo gli ha dato, concedendogli una posizione che viene subito dopo quella del re.

ABERGAVENNY: Non so dire che cosa gli abbia dato il cielo; qualche occhio più saggio penetri in questo mistero, ma per conto mio vedo l'orgoglio traspirargli da tutti i pori. Donde gli viene questo? se non dall'inferno, vuol dire che il diavolo è diventato avaro, o che gli aveva dato tutto prima, cosicché ora il cardinale comincia a creare in sé un inferno nuovo.

BUCKINGHAM: Come diavolo s'è incaricato, per questa spedizione di Francia, di designare chi doveva seguirlo senza che il re lo sapesse?

Fa la lista dei gentiluomini, persone per la più parte alle quali intende procurare più spesa che onore; e una sua lettera, scritta senza il concorso dell'onorevole Consiglio, costituisce un ordine perentorio per coloro che sono negli elenchi.

ABERGAVENNY: So di parenti miei, tre almeno, che con questa spedizione hanno così sminuito il patrimonio che non saranno mai più ricchi come prima.

BUCKINGHAM: Molti hanno portato indosso il valore di castelli e si son rotta la schiena con questo gran viaggio. A che ha servito tutta questa vanità se non a dare occasione a una conferenza seguita da ben magri risultati?

NORFOLK: Penso con dolore che la pace tra noi e i Francesi non franca la spesa che abbiamo incontrata per concluderla.

BUCKINGHAM: Dopo lo spaventoso temporale che seguì la conclusione del trattato, tutti gli uomini sembravano ispirati, e, senza sapere l'uno dell'altro, ruppero nella stessa profezia: che questa tempesta, guastando le sembianze esterne della pace, ne faceva presagire l'imminente rottura.

NORFOLK: E la profezia si è avverata, poiché la Francia è venuta meno ai patti e ha confiscato le nostre merci giacenti a Bordeaux.

ABERGAVENNY: E' per questo che l'ambasciatore è stato ridotto al silenzio?

NORFOLK: Sì, davvero.

ABERGAVENNY: Una pace proprio degna di tal nome e comprata a caro prezzo!

BUCKINGHAM: Ebbene, è il cardinale reverendissimo che ha condotto tutta questa faccenda.

NORFOLK: Sia detto con vostra buona licenza, tutti hanno notato la ruggine che c'è fra voi e il cardinale. Vi consiglio - e questo viene da un cuore che vi augura ogni onore e doviziosa sicurezza - di considerare il malanimo del cardinale insieme con la sua potenza; e di tener presente inoltre che quello che il suo alto odio desidera di effettuare trova uno strumento adeguato nel suo potere. Ne conoscete il carattere; sapete che è vendicativo per natura; per conto mio so che ha una spada bene affilata, lunga e che va lontano; e dove non arriva la scaglia. Fate tesoro del mio consiglio; lo troverete salutare: ma ecco qui lo scoglio che vi ho consigliato di schivare.

 

(Entrano il CARDINALE WOLSEY, preceduto da un Servo che porta la borsa col sigillo, alcune Guardie e due Segretari con carte. Il CARDINALE, passando, fissa BUCKINGHAM e BUCKINGHAM lui, entrambi sdegnosamente)

 

WOLSEY: Il sovrintendente del duca di Buckingham; ah! dov'è il suo interrogatorio?

PRIMO SEGRETARIO: Qui, se vi piace.

WOLSEY: E' egli qui in persona?

PRIMO SEGRETARIO: Sì, se piace a Vostra Eminenza.

WOLSEY: Bene, allora ne sapremo dell'altro, e Buckingham perderà un po' della sua albagia.

 

(Esce Wolsey col Seguito)

 

BUCKINGHAM: Questo cagnaccio da macellaio ha il veleno in bocca e non so come mettergli la museruola; meglio perciò non svegliarlo finché dorme. La saccenteria di un pezzente conta più del sangue di un nobile!

NORFOLK: Come! siete tanto irritato? chiedete a Dio un po' di moderazione; e questo è l'unico farmaco che la vostra malattia richiede.

BUCKINGHAM: Gli ho letto in faccia che sa cose che mi pregiudicano, e il suo occhio mi ha guardato con dispregio come qualche cosa di abbietto. In questo istante mi sta giocando qualche brutto tiro. Se ne è andato dal re; ma lo seguirò e lo terrò in soggezione.

NORFOLK: Fermatevi, mio signore; la vostra ragione esamini in contrasto con la collera quello che vi accingete a fare. Per salire un ripido pendio occorre andare adagio sulle prime: la collera è come un cavallo generoso che, a lasciargli le briglie sul collo, si spossa per la sua stessa foga. Non c'è uomo in Inghilterra che sappia consigliarmi meglio di voi: fate ora per voi stesso quello che fareste per l'amico.

BUCKINGHAM: Me ne vado dal re, e con le mie parole di gentiluomo schiaccerò l'arroganza di questo plebeo di Ipswich, o dirò a gran voce che non esiste più differenza di persone.

NORFOLK: Usate prudenza; non scaldate pel vostro nemico la fornace a tal punto da scottare voi stesso; andando troppo velocemente possiamo oltrepassare quello che volevamo raggiungere, e fallire la mèta col correre oltre misura. Non sapete che il fuoco che fa gonfiare il liquido finché trabocca, mentre sembra aumentarne il volume, lo sciupa? Usate prudenza: vi ripeto che non c'è nessuno che possa con più forza governarvi che voi stesso, se col succo della ragione volete spegnere o almeno temperare il fuoco della passione.

BUCKINGHAM: Signore, vi ringrazio e procederò seguendo il vostro consiglio; ma da notizie e prove limpide come fonti di luglio, quando si distingue sul fondo ogni grano di ghiaia, so che questo orgogliosissimo uomo, di cui non parlo per bile ma per motivi disinteressati e sinceri, è corrotto e traditore.

NORFOLK: Non dite "traditore".

BUCKINGHAM: Al re lo dirò e darò alla mia affermazione la solidità della roccia. Questo santo volpone o lupo, o tutt'e due- e davvero è tanto vorace quanto astuto e incline al male quanto fornito di mezzi per compierlo, poiché la sua mente e l'autorità del suo ufficio s'infettano a vicenda - soltanto per fare sfoggio di fasto in Francia come in patria, ha spinto il re nostro signore a questo costoso trattato e a questo colloquio che ha ingoiato tanta parte del nostro tesoro e che, come un bicchiere, si è rotto nel risciacquarlo.

NORFOLK: In fede mia è proprio vero.

BUCKINGHAM: Lasciatemi dire, per favore, signor mio. Questo furbo cardinale prese le disposizioni che gli piacquero per la conferenza e quando disse "così sia" furono approvate con tanto vantaggio quanto ve n'è a dar le grucce a un morto: ma l'ha fatto il cardinale-conte e tutto sta bene: l'ha tatto il degno Wolsey che non può sbagliare! Ora vien questo che a mio parere è come un figlio di quel vecchio babbo tradimento: l'imperatore Carlo, col pretesto di visitare la regina sua zia - perché non era che un pretesto e lo scopo vero era di abboccarsi segretamente con Wolsey - venne in questo paese. Egli temeva che la conferenza dei due re e la loro amicizia gli recasse pregiudizio, poiché da quella facevano capolino pericoli a minacciarlo. Entrò segretamente in trattative col cardinale e come credo - e non temo di sbagliarmi perché son sicuro che l'imperatore pagò prima che l'altro promettesse, e così ottenne quel che voleva prima ancora di chiederlo - quando la strada fu fatta e lastricata d'oro, l'imperatore gli chiese che facesse cambiare politica al re e rompere quella pace.

Sappia il sovrano, e presto lo saprà da me, che il cardinale compra e vende così l'onore della Corona a suo piacimento e per suo profitto.

NORFOLK: Mi duole sentir questo di lui, e vorrei che fosse stato frainteso.

BUCKINGHAM: No; non c'è sillaba che non sia vera: lo rappresento esattamente quale apparirà alla prova.

 

(Entra BRANDON preceduto da un Sergente d'armi e da due o tre Guardie)

 

BRANDON: Fate il vostro dovere, sergente; suvvia, eseguitelo.

SERGENTE: Mio signore duca di Buckingham e conte di Hereford, Stafford e Northampton, vi arresto per alto tradimento in nome del nostro augusto re.

BUCKINGHAM: Ecco, mio signore! la rete s'è chiusa sopra di me! Cadrò vittima dei suoi inganni e delle sue macchinazioni.

BRANDON: Sono dolente di assistere in persona al vostro arresto; ma è volere di Sua Maestà che siate condotto alla Torre.

BUCKINGHAM: Non mi gioverà affatto sostenere la mia innocenza, perché ho addosso tale tinta che annerirà anche la parte più candida della mia vita. La volontà del cielo sia fatta in questa e in tutte le altre cose. Obbedisco. Lord Abergavenny, addio.

BRANDON: No; deve farvi compagnia. (Ad Abergavenny) Il re vuole che anche voi siate rinchiuso nella Torre in attesa delle sue decisioni.

ABERGAVENNY: Come ha detto il duca, sia fatta la volontà del cielo e si obbedisca agli ordini del re.

BRANDON: Ed ecco qui un mandato del re per arrestare lord Montacute, e Giovanni de la Car, confessore del duca, e un certo Gilberto Peck suo cancelliere...

BUCKINGHAM: Bene, bene, questi sono membri del complotto: speriamo che non ve ne siano altri.

BRANDON: Un certosino.

BUCKINGHAM: Oh! Nicola Hopkins.

BRANDON: Proprio lui.

BUCKINGHAM: Il mio sovrintendente mi ha tradito; il grandissimo cardinale gli ha mostrato di che colore è l'oro: le mie ore sono contate. Non sono che l'ombra del povero Buckingham, e la mia figura è in questo istante oscurata dalla nuvola che ottenebra il chiaro sole della mia prosperità. Mio signore, addio.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA SECONDA - Londra. La sala del Consiglio

(Squillo di tromba. Entrano RE ENRICO che si appoggia al braccio del CARDINALE, i Nobili, e SIR TOMMASO LOVELL: il Cardinale si siede in luogo più basso del Re, alla sua destra)

 

RE: La mia vita stessa e il meglio di essa ti ringraziano di tanta cura. Ero la mira di una congiura perfettamente organizzata e ringrazio te che l'hai soffocata. Venga al mio cospetto quel gentiluomo al servizio di Buckingham. Voglio sentirlo in persona confermare le sue dichiarazioni; punto per punto ci ripeterà i tradimenti del suo padrone.

 

(Grida dall'interno: "Largo alla regina!". Entra la REGINA CATERINA introdotta dal DUCA Di NORFOLK e dal DUCA DI SUFFOLK e s'inginocchia. Il Re si alza dal trono, la fa levare in piedi, la bacia e poi la fa sedere al suo fianco)

 

CATERINA: No, debbo restare in ginocchio: io sono una supplice.

RE: Alzatevi e sedetevi accanto a noi: non ditemi una metà di quello che volete perché avete la metà del nostro potere: l'altra metà vi è concessa prima ancora che sia chiesta; dite quello che desiderate ed è vostro.

CATERINA: Ringrazio Vostra Maestà. L'essenza della mia supplica è che voi abbiate cura di voi stesso e che in quella cura teniate in debito conto la dignità del vostro alto ufficio.

RE: Signora mia, procedete.

CATERINA: Vengo informata da molte persone e gente veritiera che c'è grande malcontento tra i sudditi: si sono mandati ordini fra loro che hanno ferito al cuore ogni senso di fedeltà alla Corona: e sebbene in questo sfoghino amaramente il loro risentimento contro di voi, mio buon signor cardinale, come istigatore di questi balzelli, anche il re nostro signore - il cui onore il cielo difenda da ogni macchia - ha la sua parte di male parole, tali da far scoppiare i fianchi della lealtà, e dar quasi luogo a ribellione clamorosa.

NORFOLK: Niente "quasi": è ribellione senz'altro; poiché in seguito all'imposizione del tributo tutti i lanaioli, non più in grado di mantenere i loro dipendenti, hanno licenziato i filatori, i cardatori, i follatori, i tessitori, che, incapaci di fare altro mestiere, spinti dalla fame e dall'indigenza e mettendosi da disperati allo sbaraglio, si sono sollevati tumultuosamente, sicché nelle loro file milita il pericolo.

RE: Balzelli! dove? quali? Signor cardinale, voi che ne siete biasimato come noi, sapete qualche cosa di questi balzelli?

WOLSEY: Se vi piace, sire, non so che una parte di quello che riguarda l'amministrazione dello Stato e non ho altra distinzione che di essere nella prima riga di un drappello che marcia tutto con me.

CATERINA: No, mio signore; sia pure che non ne sappiate più degli altri: ma siete voi che ideate cose che poi tutti vengono a conoscere, dannose a coloro che non vorrebbero conoscerle e che debbono farne la conoscenza per forza. Questi tributi di cui il mio sovrano vorrebbe sapere qualcosa sono odiosissimi a udirli e chi ne sopporta il peso ci rimette la schiena. Dicono che li abbiate progettati voi; altrimenti bisogna riconoscere che soffrite di un biasimo troppo immeritato.

RE: E ancora coi tributi! di che natura sono? di che specie, vorrei sapere, sono questi balzelli?

CATERINA: Sono troppo temeraria nel tentare la vostra pazienza, ma mi fa ardita la vostra promessa di perdono. Il dolore dei sudditi nasce dalle ordinanze, che impongono l'immediata esazione di un sesto delle sostanze di ciascuno: a pretesto di ciò si adducono le guerre in Francia. Di qui parole temerarie e bocche che sputano su ogni osservanza e cuori in cui la fedeltà si raggela; dove erano preghiere trovate maledizioni, e si è giunti al punto che la collera in tutti ha il sopravvento sulla docile obbedienza. Vorrei che Vostra Maestà si occupasse di questo senza indugio, perché è cosa di grande importanza e urgenza.

RE: Sulla mia parola, è cosa che mi dispiace assai.

WOLSEY: Quanto a me, la mia parte in ciò non è andata oltre il mio voto individuale e anche questo ho dato in seguito all'approvazione dei nostri dotti giudici. Se parlano di me gli ignoranti, che non conoscono né la mia persona né le mie qualità, e tuttavia vogliono scrivere la cronaca dei miei atti, permettetemi di dirvi che è il destino della mia posizione, il bosco aspro attraverso il quale la virtù deve passare. Non possiamo limitarci nelle azioni necessarie per paura dei critici malevoli che sempre, come pesci affamati, seguono una nave attrezzata di fresco, ma non ne ricavano altro beneficio che desiderare invano. Spesso quello che facciamo di meglio è attribuito ad altri o biasimato da interpreti mal disposti o poco intelligenti; e altrettanto spesso quello che facciamo di peggio, poiché fa impressione sulle loro menti grossolane, è applaudito come il nostro atto migliore. Se ci dobbiamo fermare per timore che le nostre idee siano schernite o criticate aspramente, tant'è che mettiamo radici dove siamo o che posiamo qui come semplici statue di statisti.

RE: Le cose fatte bene e con cura non sanno di timore, mentre atti che non hanno riscontro nel passato fanno dubitare del loro esito. C'è un precedente per queste ordinanze? credo di no. Non dobbiamo togliere violentemente ai sudditi la protezione della legge e legarli al nostro capriccio. Un sesto del capitale di ciascuno? un tributo da far tremare! Ebbene, se togliamo a un albero ramoscelli, corteccia e parte del legno, anche se gli lasciamo la radice, una volta che è così mutilato l'aria si berrà la linfa. In ogni contea dove si è fatta opposizione, mandate con nostre lettere amnistia a chi ha impugnato la validità dell'ordinanza: vi prego, pensateci voi; l'affido alle vostre cure.

WOLSEY (a parte al Segretario): Una parola. Fate scrivere lettere a ogni contea, informando del perdono e della grazia del re. Il popolo oppresso pensa assai male di me: si faccia correr voce che questa revoca ed amnistia si debbono alla nostra intercessione; e presto vi darò altre istruzioni su questa faccenda.

 

(Esce il Segretario. Entra il Sovrintendente)

 

CATERINA: Mi duole che il duca di Buckingham vi sia caduto in disgrazia.

RE: Duole a molti. E' un gentiluomo assai colto e oratore elegantissimo: nessuno ha più di lui doti naturali, e la sua educazione è stata tale che può essere maestro di color che sanno, né avere mai a chiedere l'altrui aiuto. Eppure, vedete, quando tali doni non sono ben collocati e lo spirito si corrompe, diventano forme di vizio, dieci volte più brutti di quanto erano belli dapprima.

Quest'uomo così completo e oggetto di tanta meraviglia, che ascoltavamo con attenzione così rapita che un'ora dei suoi discorsi ci sembrava un minuto, ha cambiato, mia signora, in mostruosi costumi i doni del cielo che una volta erano suoi e il suo spirito si è fatto nero come se l'inferno l'avesse insozzato. Sedete al mio fianco, e udrete dal sovrintendente - questo signore godeva tutta la sua fiducia cose da rattristare ogni persona d'onore. Ordinategli di ripetere la denuncia di codeste macchinazioni, per le quali il nostro risentimento non sarà mai troppo, né sarà troppo poca la nostra curiosità.

WOLSEY: Venite avanti e coraggiosamente riferite quello che, da suddito diligente, avete raccolto dalla bocca del duca di Buckingham.

RE: Parlate liberamente.

SOVRINTENDENTE: Prima di tutto era solito dire, e ogni giorno le sue parole erano infette di questi pensieri, che, se il re fosse morto senza discendenti, si sarebbe comportato in modo da impadronirsi dello scettro; precise parole di tal natura ho sentito dire da lui a suo genero, lord Abergavenny, in presenza del quale ha anche giurato di vendicarsi del cardinale.

WOLSEY: E qui Vostra Maestà si compiaccia di notare questa pericolosa idea: deluso nelle sue brame, volge il suo intenso malvolere contro la vostra reale persona e lo estende, oltrepassando voi, ai vostri amici.

CATERINA: Mio dotto signor cardinale, parlate con spirito di carità.

RE: Continua: che fondamento dava al suo titolo alla corona quando fossi venuto meno io? l'hai mai sentito dir nulla a questo proposito?

SOVRINTENDENTE: Ve lo condusse una vana profezia di Nicola Hopkins.

RE: Chi era questo Hopkins?

SOVRINTENDENTE: Sire, un frate certosino e suo confessore, che lo nutriva ad ogni momento con discorsi di sovranità.

RE: E come lo sai?

SOVRINTENDENTE: Non molto tempo prima che Vostra Maestà andasse in Francia il duca, trovandosi alla Rosa, nella parrocchia di San Lorenzo in Poultney, mi chiese che cosa dicessero i Londinesi di quel viaggio e io risposi che si temeva che i Francesi avrebbero dato prova di slealtà a danno del re. E subito il duca disse che si temeva proprio di quello e che si sarebbero forse avverate le parole proferite da un santo monaco "che spesso - disse lui - mi ha chiesto licenza di intrattenere quando gli facesse comodo il mio cappellano Giovanni de la Car su cose di una certa importanza. E, dopoché ebbe fatto giurare al cappellano sotto il suggello della confessione che non avrebbe ripetuto ad anima viva, ma a me soltanto le sue parole, con la solennità di chi confida gran cose, dopo una pausa soggiunse: "Di' al duca che né il re né i suoi eredi avranno fortuna: digli anche di acquistarsi l'amore del popolo: il duca governerà l'Inghilterra".

CATERINA: Se ben vi conosco eravate il castaldo del duca e perdeste il posto in seguito ai reclami dei contadini: guardatevi dall'accusare per rancore un nobile a rovina della vostra anima che è cosa ancora più nobile. Ripeto, guardatevene; sì, ve ne prego con tutto il cuore.

RE: Lasciatelo continuare. Va' avanti.

SOVRINTENDENTE: Sull'anima mia, non dirò che la verità. Dissi al duca che il monaco poteva essere illuso dal demonio e che era pericoloso ruminarvi su, e che il diavolo poteva preparare qualche piano tenebroso e farglielo prima accogliere nell'animo e poi eseguire; ma mi rispose: "Zitto, non mi si può fare nulla di male", aggiungendo inoltre che, se il re fosse morto nell'ultima malattia. sarebbero saltate le teste di sir Tommaso Lovell e del cardinale.

RE: Ah! perverso a tal punto? Ah, ah! In quest'uomo c'è lo spirito del male: hai nient'altro da dire?

SOVRINTENDENTE: Sì, ne ho, sire.

RE: Avanti.

SOVRINTENDENTE: Essendo a Greenwich, dopo che Vostra Maestà ebbe rimproverato il duca a proposito di sir Guglielmo Bulmer...

RE: Mi ricordo quell'occasione. Il duca voleva ritenerlo come suo, sebbene fosse mio servo giurato. Ma continua: che venne da questo?

SOVRINTENDENTE: "Se per questo - disse - fossi stato chiuso nella Torre come mi aspettavo, avrei fatto quello che mio padre intendeva di fare all'usurpatore Riccardo, quando a Salisbury, chiese di essere ammesso al suo cospetto; cioè, se gli fosse stato concesso mentre fingeva di fare atto di ossequio, gli avrebbe piantato un coltello in corpo".

RE: Che traditore gigantesco!

WOLSEY: Ora, madama, può il re muoversi liberamente, se un uomo simile non è in prigione?

CATERINA: Dio ci aiuti!

RE: C'è dell'altro che vorrebbe uscirti di bocca: che vuoi dire?

SOVRINTENDENTE: Dopo le parole "mio padre" e "coltello" si alzò e con una mano sullo stocco e l'altra sul petto, levando gli occhi al cielo, proferì un terribile giuramento, il cui tenore era che, se fosse stato trattato male, avrebbe superato suo padre di quanto l'effettuazione supera l'irresolutezza dei propositi.

RE: E questo era il suo scopo: piantarmi in corpo un coltello! Egli è già arrestato; fatelo subito venire al giudizio; se la legge gli può usare pietà, l'avrà; se no, non la chieda a noi; per Dio, è traditore al sommo.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA TERZA - Londra. Un'anticamera del Palazzo

(Entrano il LORD CIAMBELLANO e LORD SANDS)

 

CIAMBELLANO: E' possibile che gli incantesimi della Francia trasformino gli uomini in creature così strane?

SANDS: C'è sempre chi segue i nuovi costumi, per ridicoli ed effeminati che siano.

CIAMBELLANO: A quel che vedo, tutto il buono che gli Inglesi hanno ricavato da questo ultimo viaggio non è che qualche smorfia del viso; ma sono accorti, perché, quando le praticano, giurereste senz'altro che i loro stessi nasi siano stati consiglieri di Pipino e di Lotario, tanto sono dignitosi.

SANDS: Hanno tutti gambe nuove e storpie: chi non li avesse visti camminare prima direbbe che il mal dei garretti regna fra loro come fra i cavalli.

CIAMBELLANO: Canchero, mio signore! Anche gli abiti che portano sono di taglio così pagano che questi signori debbono avere logorato tutto quel che avevano di cristiano.

 

(Entra SIR TOMMASO LOVELL)

 

Che notizie ci portate, sir Tommaso Lovell?

LOVELL: In fede mia, signore, non ho che la notizia del proclama che è stato affisso alla porta della corte.

CIAMBELLANO: E che dice?

LOVELL: Parla della riforma dei costumi dei nostri bellimbusti viaggiatori che riempiono la corte delle loro liti, dei loro pettegolezzi e dei loro sarti.

CIAMBELLANO: Ne sono lieto, e vorrei invitare i nostri "monsieurs" a riflettere che un cortigiano inglese può essere saggio senza avere mai visto il Louvre.

LOVELL: E così sarà, perché le prescrizioni del proclama dicono che debbono lasciare gli avanzi di quelle piume e grullerie che hanno preso in Francia, i punti di stupida etichetta che vanno insieme con quelle, e i duelli e fuochi artificiali; che debbono cessare di offendere con la loro bella sapienza forestiera chi ne sa più di loro, e rinunciare di netto alla fede che hanno nel tennis, nelle calze lunghe, nelle brache corte coi rigonfi, e negli altri segni dei loro viaggi all'estero, e pensarla come tutti i galantuomini: se non faranno questo, dovranno ritornare dai loro vecchi amici, e là, suppongo, potranno con privilegio consumare quanto loro resta di vita viziosa, ed essere oggetto di riso.

SANDS: E' tempo di curare simili malattie che sono ormai diventate contagiose.

CIAMBELLANO: Che perdita faranno le nostre signore con la scomparsa di questi vanerelli!

LOVELL: E saranno dolori davvero! questi furbi figli di sgualdrina hanno una ricetta spiccia per metter supine le signore; non c'è nulla che uguagli un canto francese accompagnato dal violino.

SANDS: Il diavolo se li violini! Sono lieto che se ne vadano, perché certamente non c'è modo di convertirli: un onesto gentiluomo di campagna come sono io, per un bel pezzo tenuto lontano da questo giuoco, potrà intonare il suo canto fermo, farsi ascoltare per un'ora e magari sentirsi dire che è un discreto musicista.

CIAMBELLANO: Bravo lord Sands, vedo che il dente della giovinezza vi serve ancora.

SANDS: Sì, signore, e mi servirà finché ne avrò un pezzettino.

CIAMBELLANO: Sir Tommaso, dove andavate?

LOVELL: Dal cardinale: Vostra Signoria è fra gli invitati.

CIAMBELLANO: Oh! è vero: per questa sera ha imbandito a molti signori e signore una cena, una cosa in grande; vi saranno tutte le bellezze del regno, ve lo garantisco io.

LOVELL: Questo prete ha un animo generoso, una mano tanto prodiga di doni quanto la terra che ci nutre: le sue rugiade cadono dovunque.

CIAMBELLANO: Non vi è dubbio che è di un animo nobile; chi parla diversamente è una mala lingua.

SANDS: Gli è lecito farlo e ha i mezzi per farlo; in lui la parsimonia sembrerebbe un peccato peggiore dell'eresia: gli uomini della sua condizione dovrebbero essere molto generosi; son qui per dar l'esempio.

CIAMBELLANO: E' proprio vero; eppure ben pochi ora danno esempi di tanta magnificenza. Ma la mia barca aspetta: Vostra Signoria venga con me. Andiamo, buon sir Tommaso, o arriveremo in ritardo; e non vorrei farlo, perché questa sera sir Enrico Guilford ed io siamo maestri delle cerimonie.

SANDS: Servo vostro.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA QUARTA - Londra. Un'aula a Palazzo York

(Suono di oboi. Una piccola tavola sotto un baldacchino per il Cardinale e una tavola più lunga per gli ospiti. Entrano da una porta ANNA BOLENA e diverse altre Dame e Gentiluomini invitati; da un'altra porta entra SIR ENRICO GUILDFORD)

 

GUILDFORD: Signore, un generale benvenuto da parte di Sua Eminenza vi saluta tutte; egli dedica questa serata all'allegria e a voi: nessuno di così nobile brigata, egli spera, avrà portato qui un pensiero cruccioso: vi vuole allegre quanto la buona compagnia, il buon vino e la buona accoglienza rendono di solito la brava gente.

 

(Entrano il LORD CIAMBELLANO, LORD SANDS e SIR TOMMASO LOVELL)

 

Signor mio, arrivate in ritardo; invece a me il solo pensiero di così bella compagnia aveva messo le ali ai piedi.

CIAMBELLANO: Siete giovane, sir Enrico Guildford.

SANDS: Sir Tommaso Lovell, se il cardinale avesse la metà dei miei pensieri profani, qualcuna delle signore, prima ancora di sedere, resterebbe servita di uno spuntino che le farebbe molto piacere: sulla mia parola, è una magnifica accolta di bellezze.

LOVELL: Oh, se Vostra Signoria facesse da confessore a una o due di queste dame!

SANDS: E vorrei proprio esserlo: avrebbero da fare una comoda penitenza.

LOVELL: Quanto comoda?

SANDS: Tanto comoda quanto la potesse fornire un letto di piume.

CIAMBELLANO: Gentili signore, volete accomodarvi? Sir Enrico, fate sedere gli ospiti da codesta parte, io mi occuperò di questa: Sua Eminenza sta per entrare. No, non dovete essere così gelide; due donne l'una a fianco dell'altra fanno freddo: monsignor Sands, siete l'uomo da tenerle sveglie; vi prego, sedetevi fra queste due signore.

SANDS: Ma certo, e ne ringrazio Vostra Signoria. Permesso, gentili signore? se mi capita di dirle un po' grosse, perdonatemi; l'ho ereditato da mio padre.

ANNA: Era un caposcarico, signore?

SANDS: Sì, sì, terribilmente e sempre innamorato; ma non mordeva nessuna: come faccio ora io, dava venti baci in un fiato.

 

(La bacia)

 

CIAMBELLANO: Benissimo, signor mio. E ora siete bellamente seduti.

Signori, sarete voi a far penitenza se le belle dame se ne vanno facendo la faccia scura.

SANDS: Alla mia piccola parrocchia penso io.

 

(Suono di oboi. Il CARDINALE WOLSEY entra e occupa il tronetto)

 

WOLSEY: Benvenuti, cari ospiti: quella nobile dama o quel gentiluomo che non sono lieti a piacer loro non sono miei amici: questo a conferma del mio benvenuto, e a voi tutti salute.

 

(Beve)

 

SANDS: Vostra Eminenza è nobile d'animo: fatemi dare una coppa che sia capace di contenere i miei ringraziamenti e mi risparmierete un mucchio di parole.

WOLSEY: Vi sono grato, monsignor Sands: fate stare allegre le vostre vicine. Ma voi, signore mie, non siete di buon umore: signori di chi è la colpa?

SANDS: Il vino deve salir loro alle guance, mio signore; e allora chiacchiereranno tanto da ridurci al silenzio.

ANNA: Fate allegramente il vostro giuoco, monsignor Sands.

SANDS: Sì, quando vinco. A voi, signora: e bevete, perché è tal cosa...

ANNA: ...che non potete mostrarmi.

SANDS: L'avevo detto a Vostra Eminenza che avrebbero incominciato presto a parlare. (Suono di tamburi e trombe; sparo di cannoni)

 

WOLSEY: Che è mai questo?

CIAMBELLANO: Vada un po' a vedere qualcuno di voi.

 

(Esce un Servo)

 

WOLSEY: Che suono di guerra è questo e a che scopo? No, signore mie, non temete; secondo tutte le leggi della guerra siete coperte dall'immunità.

 

(Rientra il Servo)

 

CIAMBELLANO: Dunque? che c'è?

SERVO: Una nobile schiera di forestieri, poiché tali sembrano: hanno lasciato la loro bissona e sono approdati, e qui si dirigono come grandi ambasciatori che vengono in nome di principi stranieri.

WOLSEY: Lord ciambellano, voi che sapete il francese, andate a dar loro il benvenuto; e, di grazia, riceveteli con molta dignità e conduceteli alla nostra presenza, dove questo cielo di bellezze risplenderà in pieno su di loro. Qualcuno lo accompagni. (Esce il Ciambellano, col Seguito. Tutti si alzano e si levano le mense) Non avete ora che gli avanzi di un festino, ma vi rimedieremo: buona digestione a tutti e un cordiale benvenuto ancora una volta. Benvenuti tutti!

(Suono di oboi. Entrano il RE e altri vestiti da pastori, introdotti dal CIAMBELLANO. Si presentano subito al Cardinale e lo salutano con grazia)

 

Bella compagnia! che desiderano?

CIAMBELLANO: Non sapendo parlare inglese vogliono che si dica a Vostra Eminenza che, essendosi sparsa voce della nobile ed eletta brigata raccolta qui questa sera, per la grande considerazione che hanno per la bellezza non potevano far di meno che lasciare il loro gregge e chiedervi licenza di vedere sotto la vostra guida queste signore e di godere per un'ora in loro compagnia.

WOLSEY: Ciambellano, dite loro che onorano la mia povera casa e che per ciò li ringrazio mille volte e li prego di sollazzarsi a loro piacimento.

 

(Ciascuno si sceglie una dama e il Re sceglie Anna Bolena)

 

RE: La più bella mano che io abbia mai toccato! O bellezza, non ti avevo mai conosciuto prima d'ora!

 

(Musica. Danza)

 

WOLSEY: Signore!

CIAMBELLANO: Eminenza?

WOLSEY: Vi prego di dir loro da parte mia che si deve trovare fra di essi uno che per il suo rango merita più di me questo posto; solo che lo conoscessi, gli cederei il mio luogo con affetto ed ossequio.

CIAMBELLANO: Lo farò, signore.

 

(Bisbiglia agli individui mascherati)

 

WOLSEY: Che dicono?

CIAMBELLANO: Tutti confessano che c'è proprio davvero e vorrebbero che voi lo scopriste e allora accetterà la vostra offerta.

WOLSEY: Lasciatemi un po' vedere. Con vostra licenza, signori, su questa persona cade la mia scelta regale.

RE (togliendosi la maschera): Lo avete scoperto, cardinale: voi avete qui una bellissima compagnia e fate bene, mio signore; se non foste un ecclesiastico, vi assicuro cardinale, che farei di voi cattivi pensieri.

WOLSEY: Sono lieto di vedere che Vostra Maestà è così amante delle piacevolezze.

RE: Lord ciambellano, vi prego, venite qui: chi è quella bella signora?

CIAMBELLANO: Se piace a Vostra Maestà, è la figlia di sir Tommaso Bullen, visconte di Rochford, e dama d'onore della regina.

RE: In nome del cielo, è un buon bocconcino. Cara mia, sarei scortese se vi offrissi il braccio senza darvi un bacio. Un brindisi, signori!

Fate girare il bicchiere.

WOLSEY: Sir Tommaso Lovell, è pronto il banchetto nella sala riservata?

LOVELL: Sì, mio signore.

WOLSEY: Temo che Vostra Maestà si sia scaldato alquanto nella danza.

RE: Anche troppo, temo.

WOLSEY: Maestà, nella sala attigua fa più fresco.

RE: Date tutti il braccio alle signore. Mia bella compagna, non vi lascerò per ora. Stiamo allegri, mio buon signor cardinale: ho ancora una dozzina di brindisi da fare alla salute di così belle dame e un nuovo giro di danza. E poi andremo a dormire e sogneremo chi fu la più bella questa sera. Cominci la musica.

 

(Escono al suono delle trombe)

 

 

 

ATTO SECONDO

 

SCENA PRIMA - Westminster. Una strada

(Due Signori entrano e s'incontrano)

 

PRIMO SIGNORE: Dove andate con tanta fretta?

SECONDO SIGNORE: Dio vi salvi! all'Alta Corte di Giustizia, per sentire quel che avverrà del grande duca di Buckingham.

PRIMO SIGNORE: Vi risparmierò questa fatica, signore: tutto è già finito, eccetto che la cerimonia di ricondurre il prigioniero alla Torre.

SECONDO SIGNORE: C'eravate?

PRIMO SIGNORE: C'ero proprio.

SECONDO SIGNORE: Ditemi quello che è accaduto, per favore.

PRIMO SIGNORE: E' presto indovinato.

SECONDO SIGNORE: L'hanno trovato colpevole?

PRIMO SIGNORE: Sì, certo, e l'hanno condannato.

SECONDO SIGNORE: Me ne duole.

PRIMO SIGNORE: E molti altri ancora.

SECONDO SIGNORE: Ma, per favore, come si è svolto il dibattimento?

PRIMO SIGNORE: Ve lo dirò in breve: il grande duca venne alla sbarra, e alle accuse continuò a dichiararsi innocente, portando molti e validi argomenti per sottrarsi al rigore della legge. Al contrario il procuratore di Sua Maestà lo incalzò con gli interrogatori, prove e confessioni dei diversi testimoni. Il duca chiese di essere messo a confronto con loro e come testi a carico comparvero il suo sovrintendente, il cancelliere sir Gilberto Peck e Giovanni de la Car, suo confessore, con quel diavolo di monaco Hopkins che ha combinato tutto questo guaio.

SECONDO SIGNORE: Quello che lo nutriva di profezie?

PRIMO SIGNORE: Proprio lui. Tutti costoro l'hanno accusato insistentemente, ed egli avrebbe voluto respingere queste accuse ma non vi riuscì; e così i suoi pari in forza di queste testimonianze l'hanno riconosciuto colpevole di alto tradimento. Molte cose disse e dottamente, per salvarsi la vita, ma non ci si badò o produssero solo una sterile compassione.

SECONDO SIGNORE: E dopo tutto questo come si comportò?

PRIMO SIGNORE: Quando fu ricondotto alla sbarra per ascoltare il suo rintocco funebre, voglio dire la sentenza, era agitato da tal dolore che sudava profusamente, e parlò incollerito, male e con troppa impetuosità; ma si ricompose ancora e nel seguito diede prova di nobilissima pazienza.

SECONDO SIGNORE: Non credo che abbia paura della morte.

PRIMO SIGNORE: Certamente no, non è mai stato una donnicciola; ma può darsi che si dolga della causa.

SECONDO SIGNORE: Sicuramente sotto tutto questo c'è il cardinale.

PRIMO SIGNORE: E' probabile, per quel che si può congetturare. Prima di tutto ci fu l'arresto di Kildare, allora vicario del re in Irlanda, e, rimosso costui dall'ufficio, fu mandato colà il conte di Surrey, e in tutta fretta anche, perché non aiutasse il suocero.

SECONDO SIGNORE: Questo è stato un astuto ed esoso espediente di governo.

PRIMO SIGNORE: Non c'è dubbio che se ne vendicherà al suo ritorno.

Tutti hanno notato che se il re favorisce qualcuno, il cardinale gli trova subito impiego ben lontano dalla corte.

SECONDO SIGNORE: Tutto il popolo lo odia mortalmente e, a parlar sincero, vorrebbero che fosse dieci braccia sotto terra; e altrettanto amano il duca e vanno pazzi per lui: lo chiamano il generoso Buckingham, lo specchio di ogni cortesia...

PRIMO SIGNORE: Fermatevi, signore, e guardate quel nobile rovinato di cui avete fatto parola.

 

(Entra BUCKINGHAM che viene dal giudizio. Uscieri lo precedono; il filo della scure è rivolto verso di lui, e ai suoi lati camminano Alabardieri. Lo accompagnano SIR TOMMASO LOVELL, SIR NICOLA VAUX, LORD SANDS, Gente del popolo, eccetera)

 

SECONDO SIGNORE: Avviciniamoci e osserviamolo.

BUCKINGHAM: Buona gente tutta, voi che siete venuti sin qui per compassionarmi, ascoltate quello che vi dirò e poi ritornate alle vostre case e dimenticatemi. Oggi sono stato condannato come traditore e con questa taccia debbo morire: eppure ove io non sia stato fedele, se ho una coscienza, mi condanni a eterna perdizione nel momento in cui la scure mi cadrà sul collo; di ciò m'è testimonio il cielo! Non serbo per la mia morte alcun rancore alla legge che, date le premesse, non ha fatto che rendere giustizia, ma vorrei che coloro che cercarono di procurarmela fossero stati più cristiani: eppure, siano quel che si vogliono essere, perdono loro di cuore: non si glorino però del mal fare né si costruiscano le loro private sulle tombe dei grandi, poiché allora il mio sangue innocente griderebbe contro di essi. Non spero di vivere più a lungo in questo mondo né domanderei che mi fosse concesso, sebbene la clemenza del re sia più grande dei miei peccati.

Voi pochi, nobili amici e compagni, che mi amaste e ardite piangere per Buckingham, a cui è amarezza e morte lasciarvi, accompagnatemi come angeli custodi sino al mio ultimo istante, e quando la scure cadrà su me, separando l'anima mia dal corpo, fate una sola dolce offerta delle vostre preghiere e sollevate la mia anima al cielo.

Andiamo avanti, in nome di Dio.

LOVELL: Supplico Vostra Signoria, per carità, di perdonarmi generosamente se mai avete nascosto alcun rancore in cuor vostro verso di me.

BUCKINGHAM: Sir Tommaso Lovell, tanto sinceramente vi perdono quanto vorrei essere perdonato: perdono a tutti, non vi possono essere così innumerevoli offensori che io non mi senta in grado di rappacificarmi con loro: nessun nero odio contrassegnerà la mia tomba. Ricordatemi a Sua Maestà e, se parlerà di Buckingham, vi prego di dirgli che l'avete visto avviato al cielo: i miei voti e le mie preghiere sono per il re e, finché l'anima non mi abbandoni, invocherò su di lui le benedizioni divine: viva egli più anni di quel che io non abbia tempo di contare, possa la sua autorità essere sempre amorosa e sempre amata, e quando la vecchiaia lo condurrà alla morte, egli e la bontà giacciano insieme nella stessa tomba!

LOVELL: Debbo condurre Vostra Signoria alla riva del fiume e poi passare la consegna a sir Nicola Vaux che ha l'incarico di accompagnarvi al termine del vostro viaggio.

VAUX: Olà, preparatevi, il duca sta venendo: approntate la barca e fornitela di tutto quello che si addice alla nobiltà della sua persona.

BUCKINGHAM: No, sir Nicola, lasciate stare: ogni solennità in mio onore sarebbe ora una beffa. Quando venni qui ero gran connestabile e duca di Buckingham, ora sono soltanto il povero Edoardo Bohun; eppure son più ricco dei miei vili accusatori che mai non hanno saputo che cosa fosse verità: io invece la suggello con tal sangue che li farà gemere un giorno. Il mio nobile padre, Enrico di Buckingham, che fu il primo a levarsi in armi contro l'usurpatore Riccardo, essendosi rifugiato presso il servo Banister in un momento di pericolo, fu tradito da quel miserabile e cadde senza essere sottoposto a giudizio; la pace di Dio sia con lui. Enrico Settimo, il re seguente, rimpiangendo sinceramente la morte di mio padre, da quel regale principe che era, mi rimise in possesso dei miei onori e nobilitò ancora una volta il mio nome, togliendolo dalla rovina in cui era caduto. Ora suo figlio, Enrico Ottavo, mi ha tolto con un sol colpo per sempre la vita, l'onore il nome e tutto quello che mi rendeva felice. Sono stato giudicato e, debbo riconoscerlo, con grande decoro; e questo mi rende un po' più fortunato del mio disgraziato padre; ma abbiamo avuto in fondo la stessa sorte, caduti entrambi per opera dei nostri servi, di quegli uomini che amavamo di più; oh, servizio snaturato e sleale! Il cielo sa quello che fa; eppure, voi che mi ascoltate, accogliete come cosa certa quello che vi dice un moribondo.

Quando largheggiate d'affetto e di consigli, guardatevi d'andare oltre il limite; poiché coloro che vi fate amici e a cui date il cuore, appena appena notano il minimo inciampo nella vostra fortuna, corrono via da voi come l'acqua e non li ritroverete più se non quando intendono di affogarvi. Buona gente, pregate per me! ora debbo lasciarvi: è giunto l'ultimo momento della mia lunga ed affannata vita. Addio: e se vorrete narrare qualche cosa di triste, racconterete come caddi. Ho finito, Dio mi perdoni.

 

(Esce il Duca con quelli che lo accompagnano)

 

PRIMO SIGNORE: Oh, che cosa pietosa! Messere credo che ciò richiami troppe maledizioni sul capo di coloro che ne sono stati gli autori.

SECONDO SIGNORE: Se il duca è innocente, è cosa ben dolorosa; eppure posso farvi cenno di un male che, se accadrà, sarà anche più grande di questo.

PRIMO SIGNORE: Gli angeli del cielo ce ne guardino! che sarebbe mai?

Non dubitate certo della mia segretezza, messere?

SECONDO SIGNORE: Questa notizia riservata è così importante che richiede veramente una discrezione a tutta prova per tenerla celata.

PRIMO SIGNORE: Mettetemene a parte; non sono un chiacchierone.

SECONDO SIGNORE: Mi fido di voi, e lo saprete, messere. Non avete sentito recentemente sussurrare di una separazione del re da Caterina?

PRIMO SIGNORE: Sì, ma la voce fu di breve durata: perché, quando il re ne sentì parlare, con gran collera comandò al nostro sindaco di farla subito cessate e di ridurre al silenzio chi osava diffonderla.

SECONDO SIGNORE: Ma quella che pareva calunnia, messere, ora si riscontra verità, poiché è più viva che mai, e si ritiene per certo che il re ci si proverà. O il cardinale o qualcun altro che gli sta presso, in odio alla buona regina, gli hanno instillato uno scrupolo che la condurrà alla rovina, e a confermarlo è giunto da poco il cardinale Campeggi per questa faccenda, come tutti credono.

PRIMO SIGNORE: E' opera del cardinale Wolsey: è una sua macchinazione solo per vendicarsi dell'imperatore che non ha voluto concedergli a sua richiesta l'arcivescovado di Toledo.

SECONDO SIGNORE: Credo che abbiate còlto nel segno; ma non è crudele che proprio lei abbia a sentire il bruciore di questa umiliazione? Ma il cardinale è caparbio e la regina cadrà.

PRIMO SIGNORE: E' cosa assai triste. Ma non sta bene parlarne così in pubblico; faremo altre considerazioni in luogo più appartato.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA SECONDA - Londra. Un'anticamera del Palazzo

(Entra il LORD CIAMBELLANO leggendo una lettera)

 

CIAMBELLANO: "Mio Signore, quanto ai cavalli che Vostra Signoria aveva ordinati, è stata mia cura diligente di vedere che fossero ben scelti, convenientemente addestrati e bardati a dovere. Erano giovani e belli e della miglior razza che si trovi nel settentrione. Quando erano pronti a partire per Londra un uomo del cardinale per suo ordine e con un atto di autorità me li ha tolti, dicendomi che il suo padrone aveva la precedenza su qualsiasi suddito se non anche sul re, e questo ci ha chiuso la bocca". E temo che lo farà: ebbene, se li abbia, e credo che si prenderà tutto il resto.

 

(Sopraggiungono i DUCHI DI NORFOLK e DI SUFFOLK)

 

NORFOLK: Ben trovato, monsignor ciambellano.

CIAMBELLANO: Buon giorno alle Vostre Signorie.

SUFFOLK: Che sta facendo il re?

CIAMBELLANO: L'ho lasciato solo, immerso in gravi pensieri ed ansie.

NORFOLK: E qual è la causa?

CIAMBELLANO: Sembra che certi scrupoli per il matrimonio con la cognata stiano assediando da presso la sua coscienza.

SUFFOLK: No, è la sua coscienza che sta assediando da presso un'altra signora.

NORFOLK: Proprio così: è opera del cardinale, del cardinale-re; quel cieco prete, da vero figlio favorito della fortuna, gira e rigira le cose come vuole. Ma il re lo conoscerà un giorno per quello che è.

SUFFOLK: Dio lo voglia! altrimenti non giungerà mai a conoscere se stesso.

NORFOLK: Quanto santamente attende alle sue occupazioni! e con che zelo! poiché, avendo rovinato l'accordo tra noi e l'imperatore, il grande nipote della regina, scende nel profondo dell'animo del re e vi semina idee di pericolo, dubbi, rimorsi, paure e disperazioni, e tutto questo per via del matrimonio. Per guarirne il re consiglia il divorzio, la perdita di colei che, tenuta da lui per venti anni come un gioiello sospeso al suo collo, non ha mai perduto il suo splendore, di quella donna che l'ama con quella perfezione d'amore con cui gli angeli amano gli uomini buoni e che, anche quando il più grave colpo della fortuna cadrà su di lei, continuerà a benedire il re: e non è questa una pia azione del cardinale?

CIAMBELLANO: Dio mi guardi da tali consiglieri! E' verissimo che questa voce circola dappertutto; ogni lingua ne parla e ogni cuore generoso ne piange: tutti quelli che osano scrutare questa faccenda vedono il motivo ultimo, la sorella del re di Francia. Il cielo un giorno aprirà gli occhi al re, così a lungo ciechi per quest'uomo temerario e perverso.

SUFFOLK: E ci libererà da questa schiavitù.

NORFOLK: Dobbiamo pregare e con tutto il cuore per la nostra liberazione; altrimenti quest'uomo prepotente ci ridurrà tutti da principi a paggi. Tutti gli onori umani gli giacciono davanti come un ammasso informe perché egli lo foggi a quella guisa che vuole.

SUFFOLK: Quanto a me, miei signori, né lo amo né lo temo; questo è il mio pensiero: giacché non è lui che mi ha fatto, mi reggerò se piace al re. Le sue maledizioni e le sue benedizioni non mi toccano: le une e le altre sono un fiato di vento a cui non credo. Lo conoscevo già e lo conosco anche ora. Così lo abbandono a colui che lo ha reso così orgoglioso, il papa.

NORFOLK: Entriamo, e con qualche altra faccenda cerchiamo di distrarre il re dai gravi pensieri che lo angustiano troppo: mio signore, volete farci compagnia?

CIAMBELLANO: Dispensatemene; il re mi ha mandato altrove e inoltre non credo che sia il momento di disturbarlo: state bene, signori.

NORFOLK: Grazie, buon ciambellano.

 

(Esce il Lord Ciambellano; il Re tira la cortina: sta seduto e legge pensoso)

 

SUFFOLK: Quanto triste appare! certamente è assai afflitto.

RE: Chi è là, ehi?

NORFOLK: Dio non voglia che sia in collera.

RE: Chi è là, dico? come osate turbare le mie meditazioni? chi sono io, eh?

NORFOLK: Un re benevolo che perdona tutte le offese commesse non di proposito. Se veniamo meno al nostro dovere in questo modo è per una ragione di Stato, circa la quale desideriamo conoscere la vostra volontà .

RE: Siete temerari; andatevene: vi dirò quando è ora di parlar di affari; è forse questo il momento di trattare di faccende terrene, eh?

 

(Entrano WOLSEY e CAMPEGGI col mandato papale)

 

Chi è là? il mio buon cardinale? oh, mio Wolsey, tu che sei balsamo alla mia coscienza ferita, tu che sei l'uomo atto a sanare un re! (A Campeggi) Benvenuto nel nostro regno, dottissimo e reverendo signore:

noi e le cose nostre siamo a vostra disposizione; (a Wolsey) mio buon signore, vedete voi che queste non siano vane parole.

WOLSEY: Sire, ciò non può essere. Vorrei che Vostra Maestà ci concedesse un'ora di udienza privata.

RE (a Norfolk e Suffolk): Siamo occupati, andate.

NORFOLK (a parte a Suffolk): Questo prete non ha proprio orgoglio!

SUFFOLK (a parte a Norfolk): No, non c'è neanche da parlarne: non vorrei esserne affetto come lui nemmeno se mi si desse il suo posto: ma questo non può continuare.

NORFOLK (a parte a Suffolk): Se è così, gli menerò un buon colpo.

SUFFOLK (a parte a Norfolk): E io un altro.

 

(Escono Norfolk e Suffolk)

 

WOLSEY: Vostra Maestà ha creato un precedente di saggezza che supera quella di ogni altro principe nell'affidare francamente i suoi scrupoli alla decisione della Chiesa: ora chi può essere in collera con voi? che odio può giungere sino al vostro trono? Gli Spagnuoli, legati a lei da sangue e da simpatia, debbono confessare, se hanno spirito di onestà che il giudizio è giusto e nobilmente condotto.

Tutto il clero nei regni cristiani, voglio dire la parte più dotta, può parlare liberamente. Roma, nutrice di sapienza giuridica, in seguito al vostro augusto invito, ci ha mandato una lingua che parli per tutte: questo valentuomo, questo dotto e giusto prete, il cardinale Campeggi, che ancora una volta presento a Vostra Maestà.

RE: E ancora una volta gli do il benvenuto e lo abbraccio, e ringrazio il Sacro Collegio per il suo affetto e per avermi mandato proprio l'uomo che desideravo.

CAMPEGGI: Vostra Maestà è tanto nobile che merita l'affetto di tutti gli stranieri. Nelle mani di Vostra Altezza presento il mandato, in virtù del quale e per ordine della Curia Romana voi, eccellentissimo cardinale di York, sarete compagno a me suo servo nell'esprimere sulla questione un giudizio imparziale.

RE: Tutti e due imparziali. La regina sarà tosto informata della ragione per cui siete venuto. Dov'è Gardiner?

WOLSEY: So che Vostra Maestà l'ha sempre amata tanto che non le negherà quello che una donna di meno alto grado potrebbe chiedere per legge: l'aiuto di dotti che difendano la sua causa.

RE: Sì, li avrà e dei migliori, e la mia approvazione sarà per colui che assolverà meglio questo ufficio: il cielo non voglia che sia altrimenti. Cardinale, vi prego, chiamatemi Gardiner, il mio nuovo segretario: vedo che è un individuo capace.

 

(Esce Wolsey)

(Rientra WOLSEY con GARDINER)

 

WOLSEY (a parte a Gardiner): Datemi la mano: vi auguro ogni bene; ora siete al servizio del re.

GARDINER (a parte a Wolsey): Ma anche sempre al servizio di Vostra Eminenza che mi ha elevato a questo posto.

RE: Venite qui, Gardiner.

 

(Cammina con lui bisbigliando)

 

CAMPEGGI: Monsignore di York, un certo dottor Pace è stato predecessore di quest'uomo nell'ufficio di segretario?

WOLSEY: Sì, lo è stato.

CAMPEGGI: Non era ritenuto persona dotta?

WOLSEY: Sì, sicuramente.

CAMPEGGI: Vi assicuro allora che si sparla persino di voi, signor cardinale.

WOLSEY: Come! di me?

CAMPEGGI: Non si fanno scrupolo di dire che voi eravate geloso di lui, e che temendo che salisse per la sua virtù, lo avete tenuto sempre fuori del paese: questo lo avrebbe addolorato tanto che ne sarebbe impazzito e morto.

WOLSEY: Dio l'abbia in pace! Questa è considerazione da cristiani:

quanto agli autori di mormorazioni vi è un luogo dove saranno puniti.

Egli era uno sciocco, perché voleva essere virtuoso ad ogni costo:

questo brav'uomo, se gli do un ordine, fa quello che gli dico: non voglio nessuno vicino se non a questi patti. Imparate questo, fratello: non viviamo per cadere nelle mani di persone più basse di noi.

RE: Riferite ciò alla regina con ogni riguardo. (Esce Gardiner) Il luogo più adatto che mi viene in mente per ricevere tanta accolta di dottrina è Blackfriars: là sarete convocati per questa grande incombenza. Mio Wolsey, fate mettere in ordine il posto. O mio signore, non è un gran dispiacere per un uomo di cuore abbandonare una così cara compagna? ma, la coscienza, la coscienza! oh, è un punto molto sensibile! e mi è forza lasciarla.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA TERZA - Londra. Anticamera negli appartamenti della Regina

(Entrano ANNA BOLENA e una vecchia Dama)

 

ANNA: Non per questo, proprio. Questo è il punto più doloroso: dopo che Sua Maestà è vissuto tanto con lei, ed ella così buona signora che nessuna lingua ha potuto calunniarla - per l'anima mia, non ha mai saputo che cosa significasse far male - dopo essere stata tanti anni sul trono crescendo in maestà e pompa, dolci al primo acquisto ma amarissime a perdersi, dopo tutto questo cacciarla via, è tal calamità che un mostro ne sarebbe impietosito.

DAMA: I cuori più duri s'inteneriscono e piangono per lei.

ANNA: In nome di Dio, sarebbe meglio che non avesse saputo che cosa è il fasto: sebbene sia una cosa terrena, se la fortuna bisbetica lo toglie a chi lo gode, è una sofferenza tanto dolorosa quanto la separazione dell'anima dal corpo.

DAMA: Ahimè, povera signora! è ridiventata straniera in questa terra.

ANNA: E tanto più merita compassione. Davvero: è proprio meglio nascere in umile stato e viver contenti in mezzo a gente modesta che ammantarsi in un doloroso luccichio e portare un'aurea corona di cordoglio.

DAMA: Il sapersi contentare è quanto di meglio si possa avere.

ANNA: Per la mia fede e la mia verginità, non vorrei essere regina.

DAMA: Io sì che lo vorrei e sarei disposta a rischiare la mia verginità per questo; e lo vorreste anche voi a dispetto di codesto vostro pizzico di ipocrisia; voi che avete tante attrattive femminili, di donna avete anche il cuore che ha sempre desiderato alto stato, ricchezza e sovranità: queste sono di gran belle cose, e sia detto con tutto il dovuto rispetto per la vostra beghineria, la vostra coscienza, capace ed elastica come pelle di capretto, accoglierebbe questi doni, se vi piacesse di tirarla al punto giusto.

ANNA: No, davvero.

DAMA: Sì, davvero e davvero; ma non vorreste proprio essere regina?

ANNA: No, per tutto l'oro del mondo.

DAMA: E' strano: vecchia come sono, per un soldo storto mi lascerei indurre a divenire regina: ma, per favore, che cosa direste se vi facessero duchessa? avreste forza sufficiente per portare il peso di tale titolo?

ANNA: No, certo.

DAMA: Allora siete proprio di debole costituzione: ma scendiamo un gradino. Non vorrei essere un giovane conte e venirvi tra i piedi per provocare in voi più d'un semplice rossore: se la vostra schiena rifiuta anche questo incarico, sarebbe troppo debole per portare il peso di un bambino.

ANNA: Che discorsi mi fate! Vi assicuro ancora che non vorrei essere regina per tutto il mondo.

DAMA: Sì, ma certo per questa piccola Inghilterra affrontereste il rischio di accettare l'emblema regale: io stessa lo farei per la contea di Carnarvon, anche se alla Corona non appartenesse altro. Ma chi viene qua?

 

(Entra il LORD CIAMBELLANO)

 

CIAMBELLANO: Buon giorno, signore. Quanto varrebbe la pena di pagare per conoscere il segreto dei vostri discorsi?

ANNA: Mio buon signore, non vale proprio la pena che lo domandiate:

stavamo commiserando i dolori della nostra signora.

CIAMBELLANO: Nobile atto, degno della vostra bontà: c'è ancora speranza che tutto finisca bene.

ANNA: E così sia, ne prego Dio.

CIAMBELLANO: Avete un animo gentile e le benedizioni del cielo accompagnano creature come voi. A confermare che quel che ho detto è verità e che in alto luogo si sono osservate le vostre molte virtù, Sua Maestà vuole che vi riferisca quanto bene pensa di voi e che si propone di onorarvi nientemeno che col titolo di marchesa di Pembroke, unendo a questo titolo la somma annua di mille sterline come appannaggio, per tutta sua grazia.

ANNA: Non so che specie di obbedienza io gli possa offrire; offrirgli più di tutto quello che ho è ancor nulla, né le mie preghiere sono debitamente santificate né i miei voti valgono più che inani vanità; eppure preghiere e voti sono tutto quello che posso dargli in ricambio. Prego Vostra Signoria di riportare a Sua Maestà i ringraziamenti e l'espressione dell'umile sottomissione di un'ancella vergognosa, che prega per la sua salute e maestà.

CIAMBELLANO: Signora, non mancherò di confermare il re nella buona opinione che ha di voi. (A parte) L'ho osservata bene; bellezza e dignità sono così commiste in lei che hanno fatto presa sul re e chissà che da questa dama non possa venire una gemma che illuminerà tutta l'isola. (Forte) Me ne andrò dal re e gli dirò che ho parlato con voi.

ANNA: Addio, onorato signore.

 

(Esce il Lord Ciambellano)

 

DAMA: Ebbene, così va il mondo, vedete! Ho mendicato in corte per sedici anni e sono ancora una mendicante, né ho saputo mai tra il troppo presto e il troppo tardi trovare così bene il giusto mezzo da cavarne un buon gruzzolo di sterline; e voi, oh fato! voi che siete un pesciolino appena appena venuto qui maledetta questa fortuna che vi capita vostro malgrado! - vi trovate piena la bocca senza neanche darvi il fastidio di aprirla.

ANNA: E' una cosa ben strana per me.

DAMA: Che sapore ha? è amara? scommetto quaranta soldi che non lo è.

C'era una volta una signora, che non voleva essere regina, no, non lo voleva per tutto il limo dell'Egitto; è una vecchia storia: l'avete sentita?

ANNA: Suvvia, siete in vena di piacevolezze.

DAMA: Quando parlo di voi mi sentirei di andare più su dell'allodola.

Marchesa di Pembroke! e mille sterline l'anno per pura grazia e senza alcun corrispettivo! Davvero questo ne promette altre migliaia: lo strascico della grandezza è più lungo che il davanti della gonna.

Ormai so che la vostra schiena può portare il titolo di duchessa:

dite, non vi sentite più forte di quello che eravate prima?

ANNA: Buona signora, divertitevi con le vostre particolari fantasie e lasciatemi in pace. Potessi morire, se questo mi fa arrossire di piacere: mi fa piuttosto venir meno al pensiero di quello che può seguire. La regina è sconsolata e noi, lontane da lei da tanto, la dimentichiamo: vi prego, non ditele quello che avete sentito qui.

DAMA: Per chi mi prendete?

 

(Escono)

 

 

 

SCENA QUARTA - Londra. Un'aula in Blackfriars

(Squillo di trombe, fanfara e suono di cornette. Entrano due Sacristi con piccole verghe d'argento; quindi due Segretari in abito da dottori, l'ARCIVESCOVO DI CANTERBURY da solo, i VESCOVI Dl LINCOLN, ELY, ROCHESTER e SAINT ASAPH; a una certa distanza viene un Gentiluomo che porta la borsa col Gran Sigillo e un cappello cardinalizio, due Preti che portano croci d'argento; un Gentiluomo Usciere a capo scoperto accompagnato da un Sergente d'armi con la mazza d'argento; due Gentiluomini con due alte colonnine d'argento; dopo di loro l'uno a fianco dell'altro i due CARDINALI e due Nobili con la spada e la mazza. Il RE si siede sotto un baldacchino e i due CARDINALI un po' più in basso come giudici. La REGINA si mette a qualche distanza dal RE. I Vescovi prendono posto un po' in disparte dal tribunale come se fossero in Concistoro; ancora più lontano i Segretari. I Pari seggono subito dopo i Vescovi. Il resto del Seguito sta in bell'ordine sul palcoscenico)

 

WOLSEY: Si ordini il silenzio mentre si legge il mandato che abbiamo ricevuto da Roma.

RE: Che bisogno c'è? è già stato letto pubblicamente e da ogni parte se ne riconosce l'autorità, sarà tempo risparmiato.

WOLSEY: E così sia: procedete.

SEGRETARIO: Dite: "Enrico re d'Inghilterra, presentati al tribunale".

BANDITORE: Enrico, re d'Inghilterra, presentati al tribunale.

RE: Presente!

SEGRETARIO: Dite: "Caterina, regina d'Inghilterra, presentati al tribunale".

BANDITORE: Caterina, regina d'Inghilterra, presentati al tribunale.

 

(La Regina non risponde, si alza dalla sedia, attraversa la Corte, va dove si trova il Re, s'inginocchia ai suoi piedi e parla)

 

CATERINA: Sire, desidero che rendiate giustizia al mio buon diritto e che mi commiseriate; poiché sono una poverissima donna, una straniera nata fuori dei vostri domini, e non ho qui giudici imparziali, né sicurezza di benevolenza e di procedimento spassionato. Ahimè, sire, in che cosa vi ho offeso? che causa di risentimento vi ho dato col mio contegno, perché abbiate a respingermi così da voi e a togliermi la vostra grazia? Il cielo mi è testimonio che sono sempre stata una moglie sottomessa e fedele, sempre pronta a far la vostra volontà, sempre paurosa di provocare la vostra disapprovazione, sempre attenta al vostro viso, lieta o triste a seconda che lo vedevo diversamente atteggiato. Quando mai ho contraddetto un vostro desiderio o non l'ho fatto mio? quale dei vostri amici non ho cercato di amare, anche quando sapevo che era mio nemico? quale dei miei amici che si fosse attirata la vostra collera ho continuato a trattar con benevolenza e anzi non ho senz'altro licenziato? Sire, ricordate che in questo stato di obbedienza sono stata vostra moglie per più di venti anni e che ho avuto la benedizione di concepire da voi molti figli: se durante tutto questo tempo potete dire e provare alcunché contro il mio onore e il mio rispetto del vincolo coniugale, il mio amore, il senso di dovere verso la vostra sacra persona, in nome di Dio cacciatemi e il più turpe disprezzo mi colpisca e mi consegni ai rigori della giustizia.

Permettetemi di dire che il re vostro padre aveva reputazione di principe prudentissimo, d'ingegno e giudizio eccellente e insuperabile; Ferdinando, mio padre, re di Spagna, era considerato come uno dei sovrani più saggi che da molti anni avessero regnato in quel paese; e non si può negare che avevano raccolto da tutti i regni un'assemblea di saggi a discutere delle nostre nozze. Costoro giudicarono legale il nostro matrimonio; perciò vi prego umilmente di darmi tempo sinché non abbia consultato i miei amici di Spagna, di cui solleciterò l'avviso: se no, in nome di Dio, sia fatta la vostra volontà.

WOLSEY: Madama, avete qui, e scelti da voi stessa, questi reverendi padri, uomini di singolare integrità e sapere, gli eletti del paese, che sono raccolti per perorare la vostra causa: è inopportuno che cerchiate di tirare in lungo il giudizio, sia per la vostra stessa tranquillità sia per l'urgenza di rettificare quanto di irregolare v'è nella posizione del re.

CAMPEGGI: Sua Eminenza ha parlato bene e con giustizia; perciò, madama, è bene che questa reale udienza proceda e che vengano esposti e ascoltati senza indugio gli argomenti delle due parti.

CATERINA: Signor cardinale, parlo a voi.

WOLSEY: Che desiderate, madama?

CATERINA: Starei per piangere, ma pensando che sono regina, o che ho a lungo sognato di esserlo, e che certamente sono la figlia di un re, muterò le mie lacrime in scintille infuocate.

WOLSEY: Siate paziente ancora per un poco.

CATERINA: Lo sarò quando voi sarete umile, o piuttosto prima, perché Dio altrimenti mi punirebbe. Convinta da ragioni assai forti credo che siate mio nemico e perciò vi ricuso come giudice; poiché siete voi che avete attizzato tra il mio signore e me questa fiamma, la rugiada del cielo possa estinguerla! Perciò ripeto che elevo formale protesta con tutta l'anima e vi ricuso come giudice, poiché, lo dichiaro ancora una volta, vi considero mio mortale nemico, e per nulla zelante della verità.

WOLSEY: E io dichiaro che questo è un linguaggio nuovo sulle vostre labbra; di voi che avete sempre professato spirito di carità e dato prove con gli atti di avere animo soave e saggezza assai superiore a quella del vostro sesso. Madama, mi fate torto: non ho nessun rancore né desiderio di essere ingiusto con voi né con alcun altro: a quello che ho fatto e che farò in seguito sono stato autorizzato dal Concistoro, sì, dall'intiero Collegio dei cardinali. Mi accusate di avere soffiato sul fuoco e io lo nego: il re è presente: se gli constasse che queste parole sono in contrasto con quanto ho fatto, come potrebbe, e giustamente, ferire la mia falsità come voi avete ferito la mia veracità! Se poi sa che sono innocente, sa anche che mi avete fatto torto. Perciò sta in lui di darmi riparazione, e questa consiste nel rimuovere da voi tali pensieri, e prima che Sua Maestà interloquisca vi supplico di negar fede nella vostra mente a quello che avete detto e di non ripeterlo più.

CATERINA: Mio signore, mio signore, io sono soltanto una donna, troppo debole per resistere alla vostra astuzia. Usate contegno dimesso e umili parole, e con questa umiltà di portamento e di discorso in apparenza contrassegnate il vostro ufficio e il vostro stato, ma in realtà avete il cuore zeppo di arroganza, bile e orgoglio. Aiutato dalla fortuna e dal favore di Sua Maestà avete percorso con facilità i primi gradini e ora siete salito dove i potenti sono vostri stipendiati e le vostre parole, come domestici obbedienti, vi servono nell'ufficio che vi piace di assegnar loro. Debbo dirvi che siete più geloso del vostro onore che della vostra alta professione spirituale; e ancora vi ricuso come mio giudice e qui in presenza di tutti mi appello al papa, chiedendo di portare l'intiera causa davanti a Sua Santità, perché sia giudicata da lui.

 

(S'inchina al Re e fa l'atto di andarsene)

 

CAMPEGGI: La regina è ostinata, recalcitrante alla giustizia, pronta a lagnarsene e sdegnosa di esserne giudicata; e non va bene. Sta andandosene!

RE: Richiamatela.

BANDITORE: Caterina, regina d'Inghilterra, presentati al tribunale.

GENTILUOMO USCIERE: Madama, vi richiamano.

CATERINA: Non sta a voi dirlo! vi prego, continuate per la vostra strada: quando richiameranno voi, tornerete indietro: ora Iddio mi aiuti! Mi tormentano sì che la mia pazienza non regge più. Vi prego, andiamo: non indugierò né comparirò mai più per questa causa in alcuno dei loro tribunali.

 

(Escono la Regina e il Seguito)

 

RE: Vattene pure, Caterina: se alcuno dirà di avere una moglie migliore non otterrà più fede alcuna dopo aver detto cosa così falsa.

Se le tue rare qualità, la soave dolcezza, la santa mitezza, la condotta di saggia moglie che pur comandando sembrava obbedire, e le altre tue doti nobili e virtuose potessero rivelarti appieno, saresti la regina di tutte le regine della terra. E' di nobile origine e si è sempre comportata verso di me in armonia con la nobiltà del suo sangue.

WOLSEY: Mio amato sire, poiché dove sono stato derubato e messo in catene, là debbo essere sciolto, sebbene non subito e pienamente risarcito, umilissimamente chiedo che Vostra Maestà si compiaccia di dichiarare in modo che tutti costoro possano sentire se ho mai per il primo avviato questo argomento con voi o fatto nascere scrupoli che vi spingessero a mettere in questione il matrimonio, o se ho mai parlato di lei senza ringraziare il cielo per averci dato così regale signora, o se ho mai proferito la minima parola che potesse pregiudicare la sua attuale dignità o recare offesa alla sua nobile persona.

RE: Signor cardinale, vi dichiaro del tutto innocente; sì, sul mio onore vi libero da questa taccia. Sapete benissimo che avete molti nemici che non sanno perché lo siano ma, come bòtoli di villaggio, abbaiano quando sentono altri abbaiare: da alcuni di questi la regina è stata aizzata contro di voi. La vostra innocenza è proclamata; ma desiderate una maggiore giustificazione? Eccola: avete sempre voluto che questa faccenda dormisse, che mai si toccasse e, se vi sono stati approcci, avete cercato di ostacolarli: sul mio onore rappresento il cardinale com'è, e sin qui lo giustifico. Ma ora, se mi concedete tempo e attenzione, mi farò ardito a dirvi che cosa mi ha mosso a questo atto. Notate bene e state attenti, e vi dirò come tutto ciò accadde. La mia coscienza cominciò a sentire disagio, scrupolo e rimorso per certi discorsi fatti dal vescovo di Bajona, allora ambasciatore di Francia e mandato qui per trattare del matrimonio fra il duca di Orléans e mia figlia Maria. Nel corso delle trattative, prima che si giungesse a una decisione definitiva, egli, voglio dire il vescovo, chiese una dilazione per interpellare il re suo signore sulla legittimità di nostra figlia in relazione al mio matrimonio con la vedova di mio fratello. Il motivo di questa dilazione mi scosse nel fondo della coscienza, entrò in me con violenza, mi fece tremare il cuore e aprì tale strada che insieme a questo dubbio si affollarono e penetrarono a forza nel mio spirito molte considerazioni che mi resero perplesso. Prima di tutto mi pareva che il cielo non mi arridesse e che per sua volontà il grembo di mia moglie, se concepiva un maschio, non gli rendesse altro servizio che quello che la tomba rende al cadavere, perché i figli morivano prima di nascere o poco dopo che avevano cominciato a respirare quest'aria terrena. Di qui mi venne il pensiero che era un castigo del cielo e che il mio regno, pur essendo degno del miglior erede del mondo, non ne sarebbe stato allietato per opera mia; quindi, com'era naturale, passai a meditare sul pericolo che questi Stati correvano per tale mancanza di prole; e ciò mi diede molte amare trafitture al cuore. Agitato così sul mare tempestoso della coscienza mi volsi a cercare quel rimedio pel quale siamo qui raccolti, cioè volli quietare l'animo mio, allora tormentato e oggi non ancora completamente sanato, con l'aiuto di tutti i reverendi padri e dottori egregi del paese. Prima cominciai a farne riservatamente parola con voi, monsignore di Lincoln, e ricorderete come sudavo nel mio turbamento quando mi rivolsi a voi.

LINCOLN: Certamente, sire.

RE: Ho parlato a lungo: compiacetevi ora voi stesso di dire come mi rassicuraste.

LINCOLN: Piaccia a vostra altezza, la vostra richiesta, riguardando cosa di tanta importanza e di così terribili conseguenze, mi turbò al punto che, dubitando del più audace consiglio che avevo in animo di darvi, incitai Vostra Maestà a seguire quella via che qui ora state effettivamente seguendo.

RE: Poi ne parlai con voi, monsignore di Canterbury, e ne ottenni il permesso di convocare quelli che sono qui ora adunati: ogni persona di riverenza in questa corte io l'ho sollecitata, ma in particolare mi sono regolato secondo il consenso formale che mi avete dato per iscritto: perciò continuate, perché nessuna antipatia per la buona regina, ma il pungolo acuto delle ragioni che ho addotte, spinge innanzi questo procedimento. Se riuscite a provare che il nostro matrimonio è legale, sulla mia vita e per la mia dignità di re vi assicuro che saremo lieti di passare quanto ci resta di vita mortale con Caterina, sin qui la più eccellente creatura e ritenuta impareggiabile in tutto il mondo.

CAMPEGGI: Se piace a Vostra Maestà, è necessario che, in assenza della regina, rinviamo il giudizio ad altro giorno: frattanto si deve insistere presso di lei perché ritiri l'appello che intende fare a Sua Santità.

RE (a parte): Mi accorgo che questi cardinali si gingillano con me:

aborro questa inerzia dilatoria e queste furberie di Curia. O Cranmer, mio dotto e amato servo, ritorna, ti prego; con te ritornerà il mio conforto. Sospendete l'udienza: andiamo.

 

(Escono nell'ordine in cui erano entrati)

 

 

 

ATTO TERZO

 

SCENA PRIMA - Londra. Le stanze della regina

(La REGINA e le sue Ancelle intente al lavoro)

 

CATERINA: Prendi il liuto, ragazza: la mia anima è rattristata da dolorosi pensieri; canta e disperdili, se puoi: smetti di lavorare

 

CANZONE

Orfeo col liuto le foreste, e dei monti le fredde creste al suo canto chinar fe';

germogliavan piante e fiori, come ovunque, con piogge e soli, primavera movesse il pié.

Ogni cosa che l'udia suonare, anche l'onde in mezzo al mare, flettea il capo nel languor.

Tal dei dolci suoni è il potere, che ogni affanno e dispiacere s'addormenta, o udendo muor.

 

(Entra un Gentiluomo)

 

CATERINA: Che c'è?

GENTILUOMO: Se piace a Vostra Maestà, i due grandi cardinali attendono nella sala delle udienze.

CATERINA: Vogliono conferire con me?

GENTILUOMO: Così mi hanno detto di comunicarvi, madama.

CATERINA: Pregate le loro signorie di venir qua. (Esce il gentiluomo) Che possono volere da me, povera e debole donna caduta in disgrazia?

La loro visita non mi fa piacere; tuttavia, pensandoci meglio, dovrebbero essere uomini buoni e le loro azioni altrettanto rette: ma l'abito non fa il monaco.

 

(Entrano WOLSEY e CAMPEGGI)

 

WOLSEY: Sia pace a Vostra Maestà.

CATERINA: Le Vostre Signorie mi trovano qui in forma di mediocre massaia: vorrei essere perfetta nel caso che avvenisse il peggio. Che desiderate da me, reverendi signori?

WOLSEY: Nobile signora, se vi compiacerete di ritirarvi in una stanza appartata, vi diremo la ragione della nostra venuta.

CATERINA: Ditela qui: non vi è nulla di quel che ho fatto, in coscienza, di cui debba parlarsi in un angolo segreto: potessero tutte le donne dire altrettanto con un animo altrettanto sincero. Poco mi importa, di tanto sono privilegiata fra le donne, che le mie azioni siano giudicate da ogni lingua, considerate da ogni occhio, attaccate dalla malignità e dai bassi pettegolezzi, così inalterabilmente pura è stata la mia vita. Se volete qualche cosa da me, se desiderate investigare la mia condotta di moglie, parlate apertamente: la verità richiede franchezza.

WOLSEY: "Tanta est erga te mentis integritas, regina serenissima"...

CATERINA: Niente latino, signor cardinale: dal giorno della mia venuta non sono stata così negligente scolara da ignorare la lingua di coloro in mezzo ai quali vivo. Una lingua straniera rende la mia causa più strana, più sospetta; vi prego, parlate inglese: qui vi sono alcune donne che, se dite la verità, ve ne saranno grate per amor della loro povera padrona. Credetemi, le è stato fatto gran torto, signor cardinale: del peccato che ho commesso più volontariamente posso essere assolta in inglese.

WOLSEY: Nobile signora, sono dolente che la mia integrità e i servigi resi a Sua Maestà e a voi abbiano generato così profondo sospetto dove tutto era concepito in buona fede. Non veniamo a macchiare con accuse quell'onore che ogni lingua loda né per mettervi a tradimento in una situazione dolorosa - vi siete già anche troppo, buona signora - ma per sapere come la pensate in questo grande dissenso fra voi e il re, per dirvi la nostra opinione da uomini sinceri e onesti e per portare qualche conforto alla vostra causa.

CAMPEGGI: Onoratissima madama, il cardinale di York, per nobiltà d'animo, zelo e rispetto sempre dimostrato a Vostra Maestà, da quell'uomo buono che è, vuole dimenticare il biasimo che con manifesta esagerazione avete poco fa inflitto a lui e alla sua veracità, e vi offre i suoi buoni uffici e consigli in segno di pace.

CATERINA (a parte): Sì, per tradirmi. Miei signori, vi ringrazio entrambi per il vostro buon volere; parlate da galantuomini e prego Dio che tali vi mostriate alla prova. Ma in verità non so come rispondere lì per lì con la mia meschina intelligenza a uomini così gravi e sapienti su di un punto di tale importanza, che mi tocca da vicino nell'onore e, lo temo, ancor più da vicino nella vita. Sedevo or ora lavorando con le mie ancelle, non aspettandomi affatto, Dio lo sa, una simile visita e per una simile faccenda. Per riguardo a quella che fui - poiché sento gli ultimi aneliti della mia grandezza - lasciatemi prender tempo, Eminenze, e cercare persone con cui consultarmi: ahimè, sono donna, senza amici e senza speranza!

WOLSEY: Madama, fate torto all'affetto del re con questi timori: le vostre speranze e i vostri amici sono infiniti.

CATERINA: Di ben poco vantaggio per me in Inghilterra. Credete, signori, che un qualsiasi Inglese oserebbe consigliarmi o, anche se fosse sconsiderato al punto da essere onesto, ardirebbe essermi pubblicamente amico in opposizione al re senza essere messo a morte?

No davvero; gli amici, coloro che saprebbero pesare le mie afflizioni, coloro a cui potrei accordare fiducia, non sono qui: come ogni altro mio conforto sono lontani, nel mio proprio paese, signori.

CAMPEGGI: Vorrei che Vostra Maestà lasciasse da parte le tribolazioni e seguisse il mio consiglio.

CATERINA: E quale, signore?

CAMPEGGI: Affidatevi alla protezione del re che vi è molto affezionato e animato da grande benevolenza: sarà molto meglio per il vostro onore e per la vostra causa; se il giudizio della legge vi fosse contrario, ve ne andreste da questo paese disonorata.

WOLSEY: Vi suggerisce giusto.

CATERINA: Voi, tutti e due, mi suggerite quello che desiderate: la mia rovina E' questo un consiglio da buoni cristiani? Andatevene! Vi è ancora un cielo che sovrasta a tutti; là siede un giudice che nessun re può corrompere.

CAMPEGGI: Il vostro furore s'inganna su di noi.

CATERINA: Tanto più dovreste vergognarvene. Vi credevo santi uomini, sull'anima mia vere e proprie virtù cardinali; ma temo che siate peccati cardinali e cuori falsi: emendateli, altrimenti vergogna a voi! E' questo il conforto, il rimedio sovrano che portate a una dama miserabile, a una donna sperduta tra voi, derisa, schernita? Non vi auguro la metà dei miei dolori; ho troppa carità. Ma un giorno ricorderete questo ammonimento: state in guardia, per amor del cielo, state in guardia, perché una volta o l'altra il peso dei miei dolori non ricada sopra di voi.

WOLSEY: Voi farneticate, madama: voi riducete la nostra offerta di bene a una espressione di malanimo.

CATERINA: Siete voi che riducete me alla distruzione: guai a voi e a tutti i falsi professanti come voi! Se avete senso di giustizia e di pietà, se di sacerdoti avete qualche cosa di più che l'abito, come mai mi consigliate di mettere la mia causa vacillante nelle mani di colui che mi odia, ahimè, che mi ha già bandita dal suo letto e per lungo tempo dal suo amore? Sono vecchia, miei signori, e il solo vincolo che ho con lui è il vincolo dell'obbedienza. Che cosa può accadermi che superi questa miseria? pensate pure a scovare, se vi riuscite, maledizione peggiore di questa.

CAMPEGGI: Le vostre paure sono anche peggiori.

CATERINA: Lasciatemi parlare per me stessa, perché la virtù non trova amici: ho vissuto tanto a lungo ed è questa tutta la ricompensa che ricevo per essere stata una moglie fedele, una donna, oso dirlo senza vanagloria, mai segnata di sospetti? per questo sono andata incontro al re con tutti i miei affetti, l'ho collocato nel mio amore subito dopo Dio, l'ho obbedito e ho spinto la mia devozione fino all'idolatria, al punto da dimenticar quasi di recitare le preghiere per contentarlo? Questo non è bello, signori. Portatemi come esempio una donna sempre fedele al marito, una che non abbia mai sognato altra gioia che di fargli piacere e vi dirò che io ho in aggiunta al massimo che essa può fare un'altra onorevole qualità: una grande pazienza.

WOLSEY: Madama, la vostra mente divaga lontana dal bene a cui miriamo.

CATERINA: Signore, non oso commettere la colpa di rinunciare volontariamente al titolo che il vostro sovrano mi ha conferito sposandomi: tranne la morte nulla mi toglierà le mie dignità.

WOLSEY: Vi prego, ascoltatemi.

CATERINA: Piacesse al cielo che non avessi mai calpestato questo suolo inglese o sentite le adulazioni che vi allignano! Avete facce di angeli, ma Dio conosce i vostri cuori. Che sarà ora di me, miserabile donna? sono la creatura più infelice del mondo. Ahimè, povere ragazze, dove sono ora le vostre fortune? Naufraga in un regno dove non trovo clemenza, amici, speranze, dove nessun parente piange per me e dove forse non mi si concederà una tomba, chinerò la testa e perirò come il giglio che fioriva una volta nel campo e ne era signore.

WOLSEY: Se Vostra Maestà potesse convincersi che le nostre mire sono oneste, si sentirebbe più riconfortata: buona signora, perché dovremmo, per qual motivo, farvi torto? non lo consentono la nostra posizione e il nostro carattere: ufficio nostro è di sanare, non di seminare tali dolori. Per amor del cielo, pensate a quello che fate; pensate che potete danneggiarvi, straniarvi del tutto dal re con questo comportamento. I cuori dei principi sono assai teneri all'obbedienza, la baciano, ma contro gli spiriti riottosi gonfiano e diventano terribili come bufere. So che avete un animo soave, nobile e calmo come la bonaccia: vi prego, credeteci quello che professiamo di essere: pacificatori, vostri amici e servi.

CAMPEGGI: Lo scoprirete da voi stessa, signora. Fate torto alle vostre virtù con queste paure di donnicciola: un nobile spirito quale è quello che vi è stato dato, sempre rigetta lontano da sé tali dubbi come se fossero moneta falsa. Il re vi ama: guardatevi dal perderne l'affetto; quanto a noi, se volete fidarvi di noi in questa faccenda, siamo pronti a usare tutto il nostro zelo per servirvi.

CATERINA: Fate quello che volete, miei signori e vi prego di scusarmi se mi sono comportata scortesemente; sapete benissimo che manco dell'ingegno che occorrerebbe per rispondere degnamente a persone quali siete voi. Presentate i miei ossequi a Sua Maestà: è ancora padrone del mio affetto e lo sarà delle mie preghiere finché vivrò.

Suvvia, reverendi padri, consigliatemi: vi supplica ora colei che, quando pose piede su questa terra, era lontana dal pensare che avrebbe dovuto comperare le sue dignità a così caro prezzo.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA SECONDA - Londra. Il Palazzo

(Entrano il DUCA DI NORFOLK, il DUCA DI SUFFOLK, il CONTE DI SURREY e il LORD CIAMBELLANO)

 

NORFOLK: Se ora vi unite nelle vostre lagnanze e le sostenete con fermezza, il cardinale non si reggerà sotto il loro peso: se vi lasciate sfuggire quest'occasione sono certo che soffrirete altri spregi oltre a quelli che soffrite già.

SURREY: Sono lieto di approfittare della minima occasione per vendicare su di lui il male fatto a mio suocero, il duca.

SUFFOLK: Quale dei pari non ha sofferto del suo dispregio o per lo meno non è stato stranamente trascurato? quando mai il cardinale ha considerato la nobiltà in altri che in se stesso?

CIAMBELLANO: Voi parlate di quello che vi farebbe piacere: so benissimo quali sono i suoi torti verso di voi e verso di me, ma ho molti dubbi sul male che possiamo fargli, sebbene l'occasione sembri favorirci. Se non potete impedirgli l'accesso al re, non tentate nulla contro di lui, perché nella sua lingua vi è qualche cosa che affascina il sovrano.

NORFOLK: Non temete, codesto incantesimo è rotto: il re ha scoperto contro di lui cose da guastare per sempre il miele delle sue parole.

No, egli è ingolfato nel suo sfavore, da non potersi più risollevare.

SURREY: Messere, sarei ben lieto di udire una volta l'ora notizie come questa.

NORFOLK: Credetelo, è vero: si è scoperta tutta la contraddittorietà del suo procedere nella faccenda del divorzio, e vi fa la figura che vorrei facesse il peggiore dei miei nemici.

SURREY: Come sono venuti alla luce i suoi intrighi?

SUFFOLK: In modo assai strano.

SURREY: Come, come?

SUFFOLK: Le lettere mandate da Wolsey al papa sono andate smarrite e sono finite sotto gli occhi del re: in queste il cardinale supplicava Sua Santità di arrestare il procedimento di divorzio, poiché, se si fosse svolto, "vedo - scriveva - che il mio re è rimasto irretito dall'amore per una dama della regina, Anna Bolena".

SURREY: E il re lo sa?

SUFFOLK: Certamente.

SURREY: E farà effetto?

CIAMBELLANO: Da queste manovre il re vedrà come il cardinale procede tortuosamente e nascostamente. Ma a questo riguardo tutte le sue furberie falliscono ed egli porta la medicina dopo la morte dell'ammalato, perché il re ha già sposato la bella signora.

SURREY: Fosse vero!

SUFFOLK: Il vostro desiderio vi porti fortuna signor mio, perché è già appagato.

SURREY: Tutta la mia gioia segua questa unione.

SUFFOLK: E io dico amen.

NORFOLK: Tutti lo diranno.

SUFFOLK: Sono già state prese le disposizioni per l'incoronazione:

però si tratta di notizia fresca fresca e non è il caso di ridirla a tutti. Ma, miei signori, è una splendida creatura e perfetta di animo e di corpo: sono convinto che da lei deriverà qualche benedizione a questo paese che ne acquisterà eterna fama.

SURREY: Ma il re manderà giù questa lettera del cardinale? Dio non voglia!

NORFOLK: Amen !

SUFFOLK: No, no; ci sono altre vespe che gli ronzano intorno al naso e che gli faranno sentire ancora più presto la puntura. Il cardinale Campeggi è partito di soppiatto per Roma senza prendere formale congedo: ha lasciato in sospeso la causa del re ed è corso via come agente di Wolsey per secondare il suo piano. Vi assicuro che a questa notizia il re ha gridato "ah!".

CIAMBELLANO: Dio lo infuri e lo faccia gridare "ah!" ancor più forte.

NORFOLK: Ma quando ritorna Cranmer?

SUFFOLK: E' ritornato sotto forma di opinioni raccolte da tutte le più famose università del mondo cristiano che hanno persuaso il re al divorzio: tra poco saranno resi di pubblica ragione il suo secondo matrimonio e l'incoronazione di Anna. Caterina non sarà più chiamata regina, ma principessa vedova del principe Arturo.

NORFOLK: Questo Cranmer del quale parlate è una brava persona e s'è occupato molto della faccenda del re.

SUFFOLK: Sì, e per questo lo vedremo nominare arcivescovo.

NORFOLK: L'ho sentito dire anch'io.

SUFFOLK: E' proprio così; ma ecco il cardinale.

 

(Entrano WOLSEY e CROMWELL)

 

NORFOLK: Osservate, osservate: che faccia scura!

WOLSEY: Avete consegnato il plico al re, Cromwell?

CROMWELL: In sue proprie mani nella camera da letto.

WOLSEY: Ne ha guardato il contenuto?

CROMWELL: Lo ha subito dissigillato e il primo documento che ha trovato l'ha letto molto seriamente, si capiva dal viso che era soprappensiero. Ha ordinato che vi presentiate qui a lui questa mattina.

WOLSEY: Sta per uscire dalla camera?

CROMWELL: Ormai credo di sì.

WOLSEY: Lasciatemi solo alquanto. (Esce Cromwell) (A parte) Dev'essere la duchessa d'Alençon, sorella del re di Francia: deve sposare lei!

Anna Bolena! no; non voglio Anne Bolene per lui: in un matrimonio c'è qualcosa di più che un bel viso. Bolena! no niente Bolena. Vorrei avere presto notizie da Roma. La marchesa di Pembroke!

NORFOLK: E' malcontento.

SUFFOLK: Può darsi che abbia sentito dire che il re sta affilando la sua collera contro di lui.

SURREY: E l'affili bene, o Dio, per la tua giustizia!

WOLSEY (a parte): La dama dell'ex-regina e figlia di un cavaliere diventar padrona della sua padrona! la regina della regina! la fiamma della candela è fumosa: tocca a me scatizzarla, e allora si spegnerà.

Che importa se so che è virtuosa e meritevole? So anche che è una luterana biliosa e non giova alla nostra causa che essa posi nel cuore del re, così difficile a governarsi; e poi è sorto un eretico, anzi un eresiarca, Cranmer, uno che si è insinuato nelle grazie del re ed è divenuto il suo oracolo.

NORFOLK: E' irritato per qualche cosa.

SURREY:. Vorrei che fosse cosa che gli rodesse le fibre più vitali del cuore!

 

(Entrano il RE, che legge un foglio, e LOVELL)

 

SUFFOLK: Il re, il re!

RE: Che massa di ricchezze ha accumulato per suo conto! e che pazze spese sembra fare a ogni ora! in nome dell'economia, come mai è riuscito a mettere insieme tutto questo? Ditemi, miei signori, avete veduto il cardinale?

NORFOLK: Sire, siamo stati qui ad osservarlo. Qualche insolita agitazione è nel suo cervello: si morde le labbra e trasalisce, si ferma improvvisamente, china gli occhi, si porta un dito alla tempia; di scatto incomincia a camminare a gran passi, poi si ferma ancora, si batte il petto e subito alza gli occhi alla luna: insomma gli abbiamo visto prendere i più strani atteggiamenti.

RE: Può essere benissimo: vi è certo un tumulto confuso nella sua mente. Questa mattina mi ha mandato dei documenti da leggere come gli avevo chiesto, e sapete cos'ho scoperto, certamente non messo là apposta? un inventario che elenca le diverse parti della sua argenteria, il suo tesoro, ricche stoffe e ornamenti domestici che trovo in quantità così smisurata da eccedere la proprietà normale di un suddito.

NORFOLK: E' volere del cielo: qualche spirito soprannaturale ha messo questa carta nel plico per deliziarne i vostri occhi.

RE: Se pensassi che le sue contemplazioni vanno oltre la terra e si appuntano a un oggetto spirituale, lo lascerei alle sue meditazioni:

ma temo che i suoi pensieri appartengano alla sfera che è sotto la luna e non siano degni della sua seria considerazione.

 

(Il Re si siede e bisbiglia a Lovell che si avvicina al Cardinale)

 

WOLSEY: Il cielo mi perdoni! Dio benedica sempre Vostra Maestà.

RE: Mio buon signore, siete pieno di sostanza celestiale e in mente conservate l'inventario delle vostre migliori doti che ora stavate certo scorrendo. Voi non avete agio di togliere alle vostre occupazioni spirituali un attimo per rivedere i conti in materia terrena: certo, in questo non vi stimo buon amministratore, ma sono lieto di sapere che condividete un simile difetto con me.

WOLSEY: Sire, agli uffici sacri destino una parte del tempo, un'altra a trattare quegli affari di Stato che sono di mia competenza, e la natura chiede momenti di ristoro a cui io, suo fragile figlio fra i miei fratelli mortali, debbo rivolgere l'attenzione.

RE: Dite bene.

WOLSEY: E Vostra Maestà possa sempre, e ve ne offrirò il destro, congiungere nella sua mente il mio ben fare col mio ben dire.

RE: Dite bene ancora, ed è già un fatto buono il dire bene: eppure le parole non sono fatti. Mio padre vi amava e lo diceva e col fatto confermava le sue parole a vostro riguardo. Dacché sono salito al trono vi ho tenuto vicino al mio cuore, vi ho impiegato in uffici di gran rendimento e, di più, ho limitato la mia parte per concedere a voi i frutti della mia generosità.

WOLSEY (a parte): Che vuol dir questo?

SURREY (a parte): Dio conduca questa faccenda a buon fine.

RE: Non ho fatto di voi il primo uomo nello Stato? Vi prego di dirmi se quello che ho detto è vero: e se vi sentite di confessarlo, dite se vi sembra di essere a noi obbligato. Che dite?

WOLSEY: Sire, confesso che le vostre regali grazie fatte piovere giornalmente su di me erano più di quel che occorresse a soddisfare i miei desideri più studiati, che andavano al di là di quanto umani sforzi potessero attingere, e che i miei sforzi furono sempre inferiori ai desideri, ma pari alla mia capacità: i miei propositi erano miei soltanto in quanto tendevano al bene della vostra sacra persona e all'interesse dello Stato. Per i grandi favori che avete accumulati su di me, povero immeritevole, non posso che render grazie di suddito fedele, rivolgendo le mie preghiere al cielo per voi e dedicandovi la mia lealtà che è destinata a crescere continuamente, finché la morte, che è l'inverno della vita, l'uccida.

RE: Bella risposta; questo è il ritratto di un suddito leale ed obbediente: l'onore di esserlo è compenso sufficiente in se stesso, e, pel suo contrario, la punizione sta nel disonore. Presumo che la mano e il cuore, il cervello e ogni atto della vostra attività dovrebbero volgersi a me, vostro amico, più che ad alcun altro, non tanto per il vincolo generico del dovere quanto per un senso d'affetto tutto particolare, giacché la mia mano ha fatto piovere largizioni, il mio cuore amore, la mia potenza onore sopra di voi più che su alcun altro.

WOLSEY: Professo che ho lavorato per il bene di Vostra Maestà più che per il mio proprio e che, anche se l'intiero mondo rompesse ogni vincolo di dovere verso di voi e l'estirpasse dal cuore, anche se i pericoli abbondassero tanto fitti quanto il pensiero può immaginarli e apparissero nelle forme più orribili, la mia fedeltà, come uno scoglio contro il torrente minaccioso, romperebbe al suo avvicinarsi l'impetuosa corrente e io resterei intieramente vostro senza lasciarmi scuotere, come sono sempre stato e sarò per l'avvenire.

RE: Nobili parole. Notate, signori, che cuore fedele, poiché anche voi avete visto come me lo ha aperto. (Dandogli alcune carte) Leggete questo, e questo, e poi andate a far colazione con quanto appetito vi resta.

 

(Esce guardando il Cardinale con fiero cipiglio. I Nobili lo seguono sorridendo e bisbigliando)

 

WOLSEY: Che significa ciò? che collera improvvisa è questa? come me la sono attirata? S'è allontanato da me accigliandosi, come se i suoi occhi fulminassero rovina: così il leone irritato guarda il cacciatore audace che lo ha ferito e poi lo annienta. Debbo leggere questa carta e temo di trovarvi la ragione della sua collera. E' così: essa è la mia rovina: è il conto dell'immensa ricchezza che ho accumulata per mio personale profitto, per comperare il papato e per compensare gli amici di Roma. O negligenza su cui solo uno sciocco poteva incespicare! che demone perverso mi ha fatto mettere un segreto così geloso nel plico che ho mandato al re? non v'è dunque rimedio? nessun espediente per levarglielo di mente? So che deve averlo agitato assai; ma so anche di un modo che, se farà presa, mi salverà a dispetto dell'avversa fortuna. Ma che è ciò? "Al Santo Padre". Come è vero che vivo, è la lettera che ho scritto a Sua Santità, informandolo di tutto. Allora, addio! ho toccato il sommo di ogni grandezza e dal pieno meridiano della gloria precipito ora al tramonto: cadrò come una luminosa meteora della sera e nessuno più mi vedrà.

 

(Rientrano i DUCHI DI NORFOLK e DI SUFFOLK, il CONTE DI SURREY e il LORD CIAMBELLANO)

 

NORFOLK: Ascoltate la volontà del re: egli vi comanda di consegnarci immediatamente il Gran Sigillo e di rimanere confinato a Asher House, dimora del vescovo di Winchester, in attesa delle sue decisioni.

WOLSEY: Fermatevi: dov'è l'ordine scritto, signori? un comando di tanta importanza non può essere dato verbalmente.

SUFFOLK: Chi oserà opporsi a parole che, uscite testualmente dalla bocca del re, ne esprimono la volontà?

WOLSEY: Zelanti signori, debbo e oso oppormi finché del pensiero del sovrano non abbia prove più sicure che non siano il vostro desiderio di farmi male e le vostre parole atte a compierlo. Ora mi accorgo di che vile metallo siete fatti: l'invidia! Con che gusto seguite la mia caduta, come se vi nutrisse! e con che docile compiacenza operate in ogni cosa che contribuisce alla mia rovina! seguite pure le vie dell'invidia, voi perversi; la carità cristiana ve lo consente e col tempo avrete senza dubbio la ricompensa che meritate. Quel sigillo che chiedete con tanta violenza, il re, mio e vostro signore, me l'ha dato con le sue proprie mani e mi disse di goderlo per tutta la vita coll'ufficio e gli onori che lo accompagnano; e, per confermare la sua bontà, l'ha fatto mio con lettere patenti: ora chi lo prenderà?

SURREY: Il re che lo ha dato.

WOLSEY: Deve riprenderlo lui stesso, allora.

SURREY: Sei un traditore orgoglioso, prete.

WOLSEY: Menti: entro quarantott'ore Surrey si accorgerà che avrebbe fatto meglio a bruciarsi la lingua anziché dir questo.

SURREY: La tua ambizione, o vizio scarlatto, ha tolto a questo paese in lacrime il nobile Buckingham, mio suocero: le teste dei tuoi confratelli cardinali e la tua e tutte le tue parti migliori messe insieme non valevano quanto un suo capello. Maledetti i tuoi intrighi!

mi mandasti vicario del sovrano in Irlanda togliendomi la possibilità di soccorrerlo, allontanandomi dal re e da tutto quello che avrebbe potuto ottenergli clemenza per una colpa che tu stesso gli avevi attribuita; la tua grande bontà, per santa commiserazione, gli diede l'assoluzione con la mannaia.

WOLSEY: Ciò e ogni altra cosa che questo signore ciarliero mi addebita è falsissima. Il duca si ebbe con tutte le forme di legge quello che meritava. Il consesso dei pari che lo condannò e la turpe causa della sua fine attestano che sono innocente di ogni rancore personale per quanto riguarda la sua morte. Se fossi uomo di molte parole, mio signore, vi direi che non avete onestà e onore; ve lo dichiarerei io che, in fatto di lealtà e fedeltà al re, mio sempre reale signore, supero di gran lunga chi è meglio di Surrey e tutti coloro che ne approvano le pazzie.

SURREY: Per l'anima mia, la tua sottana ti protegge, prete, altrimenti ti sentiresti la mia spada in corpo. Signori, potete tollerare tanta arroganza? e da un individuo come questo? se viviamo tanto umilmente da lasciarci tiranneggiare da un abito scarlatto, addio nobiltà. Sua Eminenza si faccia avanti e ci attiri col berretto rosso come si fa con le allodole.

WOLSEY: Ogni bontà è veleno pel tuo stomaco.

SURREY: Sicuro, ma alla bontà con cui per via di estorsioni avete raccolto tutta la ricchezza del paese in mano vostra, cardinale; alla bontà con cui avete scritto al papa contro il re, come si è visto dai plichi intercettati: a questa vostra bontà, poiché mi provocate, penserò io a dare la massima notorietà. Lord Norfolk, giacché siete veramente nobile e avete considerazione pel bene generale, per l'onore della nostra nobiltà disprezzata e dei nostri discendenti che non saranno neanche gentiluomini se costui vive, diteci l'elenco delle sue colpe, i capi d'accusa raccolti dalla sua vita. Vi farò trasalire più che il campanello del Santissimo Sacramento, quando quella bella bruna stava tra le vostre braccia e vi baciava signor cardinale.

WOLSEY: Quanto disprezzerei quest'uomo, se la carità cristiana non me lo vietasse!

NORFOLK: I capi d'accusa sono in mano del re e rivelano atti assai turpi.

WOLSEY: Tanto più bella e immacolata apparirà la mia innocenza, quando il re riconoscerà la mia fedeltà.

SURREY: Questo non vi salverà: grazie alla mia memoria ricordo alcuni dei capi e li ripeterò. Ora, cardinale, se saprete arrossire e dire "sono colpevole", dimostrerete ancora una certa onestà.

WOLSEY: Parlate pure, signori; sfido le vostre accuse peggiori: se arrossisco è perché mi tocca vedere un nobile senza creanza.

SURREY: Meglio senza creanza che senza testa. E ora a voi. In primo luogo, senza il consenso del re e a sua insaputa, vi siete adoperato per essere fatto legato, e in tale ufficio avete mutilata la giurisdizione dei vescovi.

NORFOLK: Secondo: in tutte le lettere a Roma e a principi stranieri scrivevate "Ego et Rex meus" trattando il re come un vostro servo.

SUFFOLK: In terzo luogo, all'insaputa del re e del Consiglio, quando andaste in ambasciata presso l'imperatore, ardiste portare in Fiandra il Gran Sigillo.

SURREY: Parimenti, senza autorizzazione del sovrano e del governo, deste ampio mandato a Gregorio de Cassado di concludere una lega fra Sua Maestà e il duca di Ferrara.

SUFFOLK: Per semplice ambizione avete fatto imprimere sulle monete del re il cappello cardinalizio.

SURREY: Poi avete mandato una sostanza incalcolabile - e come l'abbiate accumulata lascio giudicare alla vostra coscienza per arricchire Roma e spianarvi la via agli onori con assoluto impoverimento del regno. Molti altri capi di accusa vi sono, ma poiché riguardano voi personalmente e sono odiosi non voglio insudiciarmene la bocca.

CIAMBELLANO: Signore, è virtù non incalzare troppo un caduto. Le sue colpe lo espongono al rigore della legge; lasciate ad essa l'ufficio di punirlo e non esercitatelo voi. Mi piange il cuore a vederlo ridotto così in basso dall'antica grandezza.

SURREY: Gli perdono.

SUFFOLK: Cardinale, poiché gli atti che avete compiuti recentemente nel regno nella vostra qualità di legato sono infrazioni alla legge che vieta il ricorso ai tribunali stranieri, il re ha ordinato che sia emesso contro di voi un mandato per il sequestro di tutta la vostra proprietà, terre, case e beni mobili e qualunque altra cosa che vi appartiene, e infine che siate bandito. Questo è l'ordine che ho ricevuto.

NORFOLK: E così vi lasceremo alle vostre meditazioni circa una vita migliore. Quanto alla vostra riottosa risposta circa la consegna del Gran Sigillo il re la saprà, e senza dubbio ve ne sarà grato. Così addio, assai poco buono mio signor cardinale.

 

(Escono tutti eccetto Wolsey)

 

WOLSEY: E addio al poco bene che mi volete. Addio, un lungo addio a tutta la mia grandezza! Questo è il destino dell'uomo: oggi gli spuntano le tenere foglie della speranza, domani mette i fiori e porta, spessi sopra di sé, splendori variopinti; il terzo giorno viene il gelo, un gelo mortale e quando, da quel facilone che è, pensa che la sua grandezza stia maturando, quel gelo lo morde alla radice ed egli cade come faccio io in questo momento. Come monelli allegri nuotano sostenendosi con le vesciche, così per molti anni mi sono avventurato su questo mare di gloria, ma in acque troppo profonde: il mio gonfio orgoglio si è finalmente afflosciato sotto il mio peso, e ora mi lascia, stanco e invecchiato nel servizio, alla mercé di una corrente impetuosa che deve chiudersi sopra di me per sempre: vana pompa e gloria di questo mondo, vi odio: sento il mio cuore aprirsi a nuova vita. Quanto miserabile è quel pover'uomo che pende tutto dal favore del principe! fra il sorriso e il benevolo aspetto del sovrano che vogliamo cattivarci e la rovina che è in suo potere di infliggere, ci sono più dolori e paure che non diano le guerre o non soffrano le donne nel parto: e quando cadiamo, precipitiamo come Lucifero senza più alcuna speranza di risollevarci.

 

(Entra CROMWELL e rimane attonito)

 

Che hai, Cromwell?

CROMWELL: Non riesco a parlare, signore.

WOLSEY: Come! Stupito alle mie disgrazie? E il tuo spirito non riesce a comprendere come un grande uomo debba cadere? no, se tu piangi, sono caduto proprio davvero.

CROMWELL: Come si sente Vostra Eminenza?

WOLSEY: Bene; né mai veramente così felice, mio buon Cromwell; ora conosco me stesso, e sento dentro di me una pace che avanza tutte le dignità terrene, una coscienza calma e tranquilla. Il re mi ha sanato e umilmente lo ringrazio; da queste spalle, colonne in rovina, per tutta sua clemenza ha tolto il peso del troppo onore, un carico che farebbe affondare una flotta. Oh! Cromwell, è un fardello troppo pesante per un uomo che volge le sue speranze al cielo!

CROMWELL: Sono lieto che Vostra Eminenza abbia fatto buon uso di questa sventura.

WOLSEY: Spero di sì. Sicuramente ora per una certa fortezza d'animo che sento sono in grado di sopportare più guai e molto maggiori di quelli che i miei nemici pusillanimi possono infliggermi. Che si dice in giro?

CROMWELL: La notizia più grave e dolorosa è che siete caduto in disgrazia del re.

WOLSEY: Dio lo benedica!

CROMWELL: Un'altra è che sir Tommaso Moro è stato nominato Lord Cancelliere al vostro posto.

WOLSEY: Questa è un po' inaspettata. Ma è un dotto; possa continuare a godere a lungo il favore di Sua Maestà e a rendere giustizia a onore della verità e della sua coscienza. Quando avrà finito il corso della sua vita e dormirà benedetto, le sue ossa riposino in una tomba bagnata dalle lacrime degli orfanelli che avrà protetti! E ce n'è ancora?

CROMWELL: Cranmer è tornato ben accolto ed è stato nominato arcivescovo di Canterbury.

WOLSEY: Questa è proprio una notizia davvero!

CROMWELL: L'ultima è che madama Anna, che il re ha segretamente sposata da qualche tempo, quest'oggi ha fatto la sua comparsa in pubblico come regina andando alla chiesa, ed ora non si parla d'altro che della sua incoronazione.

WOLSEY: Ecco il peso che mi ha tirato giù. Cromwell, il re mi ha ingannato; per causa di quella donna ho perduto tutte le mie glorie; nessun sole proclamerà più gli onori che mi si rendevano o illuminerà le nobili brigate che aspettavano da me un sorriso. Va', allontanati da me, Cromwell; sono un pover'uomo caduto e indegno di essere il tuo signore e padrone: va' in cerca del re, quel sole a cui auguro di non mai tramontare. Gli ho detto chi sei e quanto fedele: egli farà la tua fortuna. Conosco la sua nobile natura e per poco che si ricordi di me non lascerà perire i tuoi degni servigi. Buon Cromwell, non trascurarlo; industriati ora e provvedi alla tua propria salvezza.

CROMWELL: O mio signore, debbo proprio lasciarvi, debbo abbandonare un padrone così buono, così nobile e così sincero? Chi non ha il cuore di ferro sia testimonio del cordoglio con cui Cromwell lascia il suo signore. Il re avrà i miei servigi, ma le mie preghiere saranno sempre per voi.

WOLSEY: Cromwell, non avrei mai pensato di versare una lacrima in tutte queste mie miserie, ma con la tua onesta fedeltà mi costringi a comportarmi come una femminuccia. Asciughiamoci gli occhi: ascoltami, Cromwell, e quando sarò dimenticato, come lo sarò certamente, e dormirò in un freddo marmo insensibile ove non s'udrà più di me menzione alcuna, di' quel che ti ho insegnato. Di' che Wolsey, che aveva camminato una volta per le vie della gloria e scandagliato tutte le profondità e le secche dell'onore, nel momento del naufragio ti indicò una strada per cui salire, strada certa e sicura, sebbene il tuo padrone l'avesse smarrita. Osserva la mia caduta e quel che mi ha condotto a rovina. Cromwell, te ne ammonisco, liberati dall'ambizione:

per causa di quel peccato gli angeli caddero: come può l'uomo che è l'immagine del Creatore sperare di trarne profitto? Ama te stesso come ultima cosa: accarezza quei cuori che ti odiano: l'onestà profitta più che la corruzione. Nella tua destra porta sempre la dolce pace per ridurre al silenzio le lingue invidiose. Sii giusto e non temere.

Tutti i fini a cui miri siano quelli del tuo paese, di Dio e della verità: allora, se cadrai, Cromwell, cadrai da martire benedetto!

Servi il re, e ora, ti prego, conducimi nelle mie stanze: farai colà un inventario di tutto quello che ho sino all'ultimo soldo: è del re:

l'abito che vesto e la mia fedeltà assoluta al cielo sono tutto quanto posso chiamare mio proprio. Oh, Cromwell! Cromwell! se avessi servito Dio con la metà dello zelo con cui ho servito il sovrano, non mi avrebbe nella vecchiaia abbandonato inerme nelle mani dei nemici.

CROMWELL: Mio buon signore, siate paziente.

WOLSEY: Lo sono. Addio, speranze della corte: tutte le mie speranze sono rivolte al cielo.

 

 

 

ATTO QUARTO

 

SCENA PRIMA - Una strada. Westminster

(Entrano due Signori e s'incontrano)

 

PRIMO SIGNORE: Ben trovato ancora.

SECONDO SIGNORE: E voi pure.

PRIMO SIGNORE: Siete venuto a prender posto qui e a veder madama Anna ritornare dalla incoronazione?

SECONDO SIGNORE: Non ho altro da fare. L'ultima volta che ci trovammo qui fu quando il duca di Buckingham ritornava dal processo.

PRIMO SIGNORE: Verissimo; ma quell'occasione ci presentava una vista dolorosa, questa invece uno spettacolo di gioia generale.

SECONDO SIGNORE: Bene, bene: a celebrare questo giorno con feste, cortei e altre splendide dimostrazioni di onore i cittadini hanno spiegato una larghezza veramente principesca; ma, per dar lode a chi tocca, bisogna dire che sono sempre pronti a farlo.

PRIMO SIGNORE: Non c'è mai stato nulla di più grande né, ve l'assicuro, di più gradito.

SECONDO SIGNORE: Posso prendermi la libertà di chiedervi che cosa contiene la carta che avete in mano?

PRIMO SIGNORE: Sì; è la lista di quelli che, secondo la consuetudine, vorrebbero prestar servizio il giorno dell'incoronazione. Il duca di Suffolk è il primo e domanda l'ufficio di gran siniscalco; poi c'è il duca di Norfolk che aspira ad essere conte maresciallo; il resto potete leggervelo da voi.

SECONDO SIGNORE: Grazie, messere: se non conoscessi queste consuetudini, ricorrerei alla vostra carta. Ma ditemi, vi prego, che cosa è accaduto di Caterina, la principessa vedova? come procede la sua causa?

PRIMO SIGNORE: Anche di questo posso dirvi qualche cosa. L'arcivescovo di Canterbury con altri dotti e reverendi padri del suo ordine ha tenuto recentemente udienza a Dunstable a sei miglia di distanza da Ampthill dove si trovava la principessa, che, citata da loro più volte, non è comparsa. E, a dirla in breve, per la sua contumacia e per i recenti scrupoli del re, si è pronunciato l'annullamento del suo ultimo matrimonio e il divorzio col consenso generale di tutti quei saggi uomini, dopo di che la signora è stata trasferita a Kimbolton dove ora giace inferma.

SECONDO SIGNORE: Ahimè, buona signora! (Si ode uno squillo di trombe) Suonano le trombe: avvicinatevi, la regina sta per arrivare.

 

(Suono di oboi)

 

CORTEO DELL'INCORONAZIONE

 

(1. Vivace squillo di trombe.

2. Due Giudici.

3. Il LORD CANCELLIERE preceduto dalla borsa col Sigillo e dalla mazza.

4. Coristi che cantano e Musici.

5. Il SINDACO DI LONDRA che porta la mazza. L'Araldo con la sua cotta d'arme e con una corona di rame dorato sul capo.

6. Il MARCHESE DI DORSET con scettro d'oro e corona nobiliare d'oro sulla testa. Con lui è il CONTE DI SURREY che porta la verga d'argento con la colomba e ha in testa la corona di conte. Collari dell'ordine.

7. Il DUCA DI SUFFOLK con la corona e il manto di cerimonia; ha una lunga verga bianca come insegna di Gran Siniscalco. Con lui è il DUCA DI NORFOLK con la verga di Maresciallo e corona in capo. Collari dell'ordine.

8. Baldacchino portato da quattro rappresentanti dei Cinque Porti; sotto di esso la REGINA con gli abiti di cerimonia, incoronata e coi capelli riccamente adorni di perle. Ai suoi lati il VESCOVO DI LONDRA e quello di WINCHESTER.

9. La vecchia DUCHESSA DI NORFOLK, che ha una corona d'oro lavorata di fiori e regge lo strascico della Regina.

10. Alcune Dame e Contesse con corone semplici d'oro senza fiori.

Il corteo passa sul palcoscenico in bell'ordine e con grave solennità)

 

SECONDO SIGNORE: Un corteo veramente regale, ve l'assicuro. Quelli li conosco: ma chi è colui che porta lo scettro?

PRIMO SIGNORE: Il marchese di Dorset, e quello con la verga è il conte di Surrey.

SECONDO SIGNORE: E quel signore dall'aspetto ardito e valoroso sarebbe mai il duca di Suffolk?

PRIMO SIGNORE: Proprio lui, il gran siniscalco.

SECONDO SIGNORE: E quello è monsignore di Norfolk?

PRIMO SIGNORE: Sì.

SECONDO SIGNORE (guardando la Regina): Il cielo ti benedica! hai il viso più dolce che abbia mai visto. Signor mio, come è vero che ho un'anima, costei è un angelo: quando il re la stringe, ha fra le braccia tutte le Indie, anzi qualche cosa di più grande e di più ricco; non mi sento di biasimare i suoi scrupoli di coscienza.

PRIMO SIGNORE: Quelli che portano sopra di lei il baldacchino di onore sono quattro baroni dei Cinque Porti.

SECONDO SIGNORE: Fortunati loro, come del resto tutti quelli che le sono vicini. M'immagino che colei che regge lo strascico sia quella vecchia dama, la duchessa di Norfolk.

PRIMO SIGNORE: Sì, e le altre sono tutte contesse.

SECONDO SIGNORE: Lo dicono le loro corone nobiliari: son proprio stelle davvero, ma talvolta stelle cadenti.

PRIMO SIGNORE: Basta!

 

(Esce il corteo e si sente un grande squillo di trombe. Entra un Terzo Signore)

 

Dio vi salvi, messere. Dove siete stato a farvi arrostire così?

TERZO SIGNORE: Nell'abbazia, tra la folla dove non si sarebbe più potuto ficcar dentro un dito: sono ancora soffocato dall'esuberanza del loro giubilo.

SECONDO SIGNORE: E allora avete veduto la cerimonia?

TERZO SIGNORE: Sicuro.

PRIMO SIGNORE: E come è stata?

TERZO SIGNORE: Meritava proprio di essere vista.

SECONDO SIGNORE: Mio buon signore, ditecene qualche cosa.

TERZO SIGNORE: Per quanto posso. La splendida fiumana di nobili e di dame, avendo condotto la regina al posto designato nel coro, si ritirò a una certa distanza, mentre Sua Maestà si sedette su un ricco trono per riposarsi un poco, circa mezz'ora, presentando liberamente agli spettatori le grazie della sua persona. Credetemi, signori; è la più bella donna che sia mai giaciuta presso un uomo: e quando la gente poté vederla bene, nacque tal rumore come fanno le sartie in mare durante una violenta tempesta, altrettanto forte e composto di altrettanti toni diversi: cappelli, mantelli - farsetti, sicuro! - volavano per aria: e se le facce fossero state movibili, oggi avrebbero perduto anche quelle. Non ho mai veduto tanta gioia prima d'ora. Donne con gran pancia e lontane tre giorni dal parto, come gli arieti nelle guerre dei tempi passati, urtavano la folla e la facevano vacillare. Nessuno poteva dire "ecco mia moglie", tanto stranamente erano impastati in un blocco solo.

SECONDO SIGNORE: E poi che c'è stato?

TERZO SIGNORE: Alla fine Sua Maestà s'alzò e con passi modesti andò all'altare, dove si inginocchiò e in pio atteggiamento alzò i begli occhi al cielo, pregando devotamente; poi si levò ancora e s'inchinò al popolo e allora dall'arcivescovo di Canterbury fu nobilmente ornata degli attributi della regalità, cioè dell'olio santo, della corona di Edoardo il Confessore, della verga con la colomba e di tutti gli altri emblemi. Fatto questo, il coro accompagnato dai migliori musici del regno cantò il "Te Deum". E la regina s'allontanò e con lo stesso elaborato cerimoniale ritornò a Palazzo York, dove si fa il banchetto.

PRIMO SIGNORE: Non dovete chiamarlo più Palazzo York; è cosa sorpassata, poiché, dopo la caduta del cardinale, quel titolo non esiste più: il palazzo ora è del re e si chiama Whitehall.

TERZO SIGNORE: Lo so; ma il cambiamento è così recente che il vecchio nome mi viene spontaneo alle labbra.

SECONDO SIGNORE: Chi erano i due reverendi vescovi ai lati della regina?

TERZO SIGNORE: Stokesly e Gardiner; l'uno vescovo di Winchester, già segretario del re, l'altro vescovo di Londra.

SECONDO SIGNORE: Si dice che il vescovo di Winchester non ami molto l'arcivescovo, il virtuoso Cranmer.

TERZO SIGNORE: Tutti lo sanno: tuttavia non c'è ancora guerra aperta; quando verrà, Cranmer ha una persona fedele che non lo abbandonerà.

SECONDO SIGNORE: Chi può mai essere, di grazia?

TERZO SIGNORE: Tommaso Cromwell, un uomo molto stimato dal re e veramente un degno amico. Il re l'ha nominato consegnatario dei gioielli della Corona e, sin da ora, membro del Consiglio Privato.

SECONDO SIGNORE: E merita dell'altro.

TERZO SIGNORE: Sì, senza ombra di dubbio. Suvvia, signori, venite con me: vado a corte e sarete miei ospiti: ho anch'io un po' d'influenza colà; cammin facendo vi dirò altre cose.

PRIMO E SECONDO SIGNORE: Servo vostro, messere.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA SECONDA - Kimbolton

(Entra CATERINA, inferma, condotta da GRIFFITH, suo gentiluomo d'onore, e da PAZIENZA, sua ancella)

 

GRIFFITH: Come si sente Vostra Maestà?

CATERINA: O Griffith, ammalata a morte! le gambe, come rami sovraccarichi, si piegano a terra e desiderano di liberarsi dal loro peso. Datemi una sedia: così; ora mi sembra di stare meglio. Non mi hai detto, Griffith, mentre mi conducevi qui, che è morto il cardinale Wolsey, quel famoso figlio della grandezza?

GRIFFITH: Sì, madama; ma credo che Vostra Maestà, per il dolore che soffriva, non mi abbia prestato orecchio.

CATERINA: Ti prego, buon Griffith, dimmi come è morto: se è morto bene, è fortuna che mi abbia preceduta per darmi il buon esempio.

GRIFFITH: A quel che si dice, ha fatto una buona morte, madama.

Dopoché il risoluto conte di Northumberland lo ebbe arrestato a York, mentre era portato a rispondere alle gravi accuse mosse contro di lui, si è improvvisamente ammalato e si è aggravato tanto da non reggersi più sulla mula.

CATERINA: Ahimè, pover'uomo!

GRIFFITH: Finalmente a piccole tappe è giunto a Leicester e ha preso alloggio nell'abbazia. Al reverendo abate, andato a riceverlo onorevolmente con tutti i monaci, disse queste parole: "Padre abate, un vecchio, sfinito dalle tempeste del governo, è venuto a lasciare le stanche ossa fra voi; dategli un po' di terra per carità!". Poi si coricò e il male continuò violento sinché tre giorni dopo, verso le otto di sera, che egli stesso aveva predetto sarebbe stata l'ultima ora della sua vita, pieno di pentimento, continue meditazioni, lacrime e espressioni di dolore, rese le sue dignità alla terra, la parte migliore di sé al cielo e si addormentò nella pace del Signore.

CATERINA: E così riposi: le sue colpe gli siano leggere. Tuttavia, Griffith, lasciami dir questo di lui: e cercherò di parlare con carità. Era uomo di insaziabili brame orgogliose, e desideroso di essere sempre alla pari coi principi: uno che con le sue arti aveva fatto schiavo tutto il regno; cosa lecita a lui la simonia; unica legge il suo arbitrio; al cospetto del re diceva il falso e con lui era sempre ambiguo nelle sue parole e nei suoi sensi, pietoso solo quando meditava rovina; le sue promesse grandi come lo era lui medesimo, ma il mantenerle, come è ora egli stesso, nullo; nella vita privata fu immorale e di cattivo esempio al clero.

GRIFFITH: Madama, le colpe degli uomini vivono nel bronzo, mentre scriviamo le loro buone azioni nell'acqua. Consente Vostra Maestà che dica quel che di bene si può ricordare di lui?

CATERINA: Sì, buon Griffith, altrimenti sarei troppo cattiva.

GRIFFITH: Questo cardinale, sebbene di umile origine, era indubbiamente fatto, fin dalla culla, per giungere ad alti onori.

Persona di gran cultura e di maturo giudizio, grandemente saggio, eloquente e persuasivo: altero e brusco con chi non l'amava, ma, a quelli che gli stavano intorno, piacevole come l'estate. Sebbene insaziabile nell'acquistare, e questo era peccato, nel donare aveva generosità quanto mai principesca: deporranno sempre a suo favore le istituzioni gemelle che creò in Ipswich e Oxford. Una di esse cadde con lui non desiderando di sopravvivere alla grandezza del suo creatore; l'altra, sebbene non finita, tuttavia così famosa, così eccellente nelle arti e così sicuramente diretta a più grandi mète che la cristianità proclamerà sempre la virtù del suo fondatore. La caduta gli conferì felicità, perché allora, e solo allora, ebbe piena coscienza di se stesso, e scoprì quanta beatitudine vi è nell'essere piccoli: e per aggiungere alla sua vecchiaia più reverenza di quella che gli uomini potessero dargli, dirò che morì col timor di Dio.

CATERINA: Per salvare l'onore della mia memoria dal disfacimento dopo la morte, vorrei avere un cronista onesto al pari di Griffith che lodasse e proclamasse ciò che feci da viva. Tu con la tua modestia e sincerità religiosa mi hai fatto onorare in morte l'uomo che avevo più odiato in vita: la pace sia con lui. Pazienza, stammi vicina e ponimi più in basso: non ti disturberò per molto ancora. Buon Griffith, fammi suonare quella musica triste che ho battezzato il mio rintocco funebre, mentre sto meditando su quell'armonia celeste verso la quale mi vado dirigendo.

 

(Musica triste e solenne)

GRIFFITH: Dorme, buona ragazza; sediamo in silenzio per non svegliarla: piano, gentile Pazienza.

 

VISIONE

(Entrano camminando solennemente l'uno dopo l'altro sei Personaggi vestiti di bianco con ghirlande di alloro in testa, maschere dorate sul viso e rami di alloro o di palma in mano. Fanno un inchino a Caterina, poi danzano. Alla fine di certe figure i primi due le tengono sospesa sul capo una ghirlanda, mentre gli altri quattro le fanno inchini pieni di reverenza; poi i due che tenevano la ghirlanda la consegnano ai due che vengono dopo e che nelle loro figure seguono lo stesso procedimento tenendole la ghirlanda sospesa sulla testa; e, fatto ciò, consegnano il serto agli ultimi due che fanno come i precedenti: allora, come ispirata, Caterina nel sonno dà segni di godere e alza le mani al cielo. Finalmente, danzando, i Personaggi scompaiono portando la ghirlanda con loro. La musica continua)

 

CATERINA: Spiriti della pace, dove siete? Ve ne siete andati tutti e mi lasciate qui nel dolore?

GRIFFITH: Madama, siamo qui.

CATERINA: Non chiamo voi: non avete visto entrar nessuno dopoché mi sono addormentata?

GRIFFITH: No, madama.

CATERINA: No? non avete visto proprio ora una schiera di beati invitarmi a un banchetto, mandando dal loro viso mille e mille raggi su di me come fa il sole? Mi hanno promesso la felicità eterna, Griffith, e mi hanno recato ghirlande che mi sento indegna di portare; ma le porterò certamente.

GRIFFITH: Sono lietissimo, madama, che tali sogni felici abbiano occupata la vostra fantasia.

CATERINA: Fate cessare la musica; suona troppo dura e triste al mio orecchio.

 

(La musica cessa)

 

PAZIENZA: Non notate come Sua Maestà ha improvvisamente cambiato aspetto? come smunto è il suo viso! quanto pallida è diventata e fredda come la terra! osservatele gli occhi.

GRIFFITH: Sta morendo, ragazza mia; prega, prega.

PAZIENZA: Il cielo la conforti.

 

(Entra un Messaggero)

 

MESSAGGERO: Se Vostra Signoria permette...

CATERINA: Siete un impertinente: non mi si deve maggior rispetto?

GRIFFITH: Sapendo che ella non vuole rinunciare all'usata dignità, meritate biasimo per essere stato così sgarbato: suvvia, inginocchiatevi.

MESSAGGERO: Chiedo umilmente scusa a Vostra Maestà; la fretta mi ha fatto essere scortese. C'è qui un signore mandato dal re, che domanda di essere ricevuto.

CATERINA: Fallo entrare, Griffith: ma che io non veda più questo individuo.

 

(Escono Griffith e il Messaggero. Rientra GRIFFITH con CHAPUYS)

 

Se la vista non m'inganna, dovreste essere l'ambasciatore dell'imperatore, mio augusto nipote; voi vi chiamate Chapuys.

CHAPUYS: Sì, madama, per servirvi.

CATERINA: Mio signore, le mie condizioni e i miei titoli sono stranamente cambiati da quando mi conosceste la prima volta; ma, vi prego, che cosa desiderate da me?

CHAPUYS: Nobile signora, prima di tutto di presentarvi il mio omaggio, poi di dirvi che vengo da parte del re, che è assai dolente della vostra infermità e per mezzo mio vi manda i suoi augusti saluti e con tutto il cuore vi supplica di stare di buon animo.

CATERINA: O mio buon signore, è un conforto che giunge troppo tardi; è come la grazia dopo un'esecuzione capitale. Questa dolce medicina somministrata al momento opportuno mi avrebbe guarita; ma ora non vi sono più conforti per me se non nella preghiera. Come sta Sua Altezza?

CHAPUYS: Madama, è in buona salute.

CATERINA: E sempre lo sia; e sempre fiorisca, anche quando io avrò dimora tra i vermi e il mio povero nome sarà bandito dal regno.

Pazienza, avete spedito quella lettera che vi avevo fatto scrivere?

PAZIENZA: No, madama.

 

(Dà la lettera a Caterina)

 

CATERINA: Signore, umilmente vi prego di consegnarla a Sua Maestà.

CHAPUYS: Ben volentieri, madama.

CATERINA: In questa lettera ho raccomandato alla sua bontà l'immagine del nostro casto amore, la sua giovane figlia: le rugiade del cielo cadano abbondanti su di lei benedicendola. L'ho supplicato di darle una virtuosa educazione: ella è giovane e di carattere nobile e modesto, e spero che farà una buona riuscita; l'ho pregato anche di amarla un po' per ricordo di sua madre che amò lui il cielo sa quanto caramente. Un'altra mia povera richiesta è che la sua benevolenza abbia compassione delle mie disgraziate donne, che mi hanno seguita per tanto tempo e con fedeltà nella buona e nell'avversa fortuna: non ce n'è nessuna, ve lo assicuro - e questo non è il momento di mentire - che per virtù e per reale bellezza d'animo, per onestà e condotta decorosa non meriti un ottimo marito, e se è nobile tanto meglio:

certamente saranno felici quegli uomini che le sposeranno. L'ultima preghiera è per i miei uomini; essi sono dei più poveri, ma la povertà non è mai riuscita ad allontanarli da me: desidero che si paghi debitamente il salario che loro spetta e qualche cosa di più, perché si ricordino di me: se il cielo si fosse compiaciuto di darmi più lunga vita e i mezzi per farlo non ci separeremmo a questo modo. E questo è tutto il contenuto della lettera: e, mio buon signore, per amor di quello che vi è più caro al mondo e per la pace cristiana che voi desiderate alle anime dei defunti, vi prego di aiutare questa misera gente e di indurre il re a rendere giustizia al mio ultimo desiderio.

CHAPUYS: Per il cielo lo farò, o possa io perder l'aspetto d'uomo!

CATERINA: Vi ringrazio, onesto signore. Ricordatemi umilmente a Sua Maestà; ditegli che la causa dei suoi lunghi affanni sta lasciando questo mondo e ditegli anche che morendo lo benedirò, poiché così farò certamente. I miei occhi si velano. Addio, signore. Griffith, addio.

No, Pazienza, non lasciatemi ancora: voglio andare a letto; chiamate altre donne. Quando sarò morta, buona ragazza, fate che io sia trattata col debito onore: cospargetemi di candidi fiori, perché tutti sappiano che sono stata una casta moglie sino alla morte; imbalsamatemi e poi esponete il mio cadavere; sebbene deposta, seppellitemi da regina e da figlia di re. Non reggo più!

 

(Escono conducendo via Caterina)

 

 

 

ATTO QUINTO

 

SCENA PRIMA - Londra. Una galleria nel Palazzo

(Entra GARDINER, Vescovo di Winchester, preceduto da un Paggio con una torcia, e incontra SIR TOMMASO LOVELL)

 

GARDINER: E' l'una, ragazzo, non è vero?

PAGGIO: E' sonata proprio adesso.

GARDINER: Queste ore dovrebbero essere dedicate alle esigenze della natura, non ai divertimenti; è il tempo destinato a ristorare le forze col riposo rigeneratore ed è male sciuparlo. Buona notte, sir Tommaso, dove andate così tardi?

LOVELL: Siete stato dal re, mio signore?

GARDINER: Sì, e l'ho lasciato che giocava a primiera col duca di Suffolk.

LOVELL: Anch'io debbo andare da lui prima che vada a letto, e perciò vi saluto.

GARDINER: Un momento, sir Tommaso Lovell. Che c'è? Sembra che abbiate fretta, e, se non sono troppo indiscreto, fate qualche cenno al vostro amico della faccenda che vi occupa a così tarda ora. Come si dice degli spiriti che vanno attorno a mezzanotte, le faccende notturne sono di più strana natura che quelle che vogliono essere sbrigate di giorno.

LOVELL: Mio signore, sento affetto per voi e oso affidare al vostro orecchio un segreto più importante di questa faccenda. La regina ha le doglie: dicono che stia assai male e si teme che muoia di parto.

GARDINER: Prego col cuore che il frutto che porta in sé viva e abbia buona fortuna; ma, quanto alla pianta, la vorrei vedere sradicata sino da ora.

LOVELL: Quasi mi sentirei di dire amen, e tuttavia la coscienza mi dice che è una buona e soave creatura, che meriterebbe i migliori auguri.

GARDINER: Ma messere, messere! ascoltatemi, sir Tommaso; siete un gentiluomo che la pensa come me, saggio, religioso; lasciate che ve lo dica, non andrà mai bene, no che non andrà, sir Tommaso Lovell, ve lo assicuro io, finché Cranmer e Cromwell, i suoi due strumenti, e lei stessa non dormano nella fossa.

LOVELL: Ora, messere, mi parlate dei due personaggi più eminenti del regno. Quanto a Cromwell, oltre a essere nominato consegnatario dei gioielli della Corona, è stato fatto conservatore dei rotuli e segretario del re e inoltre è avviato a maggiori promozioni di cui col tempo sarà carico. L'arcivescovo è braccio destro e portavoce del sovrano; e chi oserebbe pronunciare una sola sillaba contro di lui?

GARDINER: Sì, sì, sir Tommaso; ci sono di quelli che lo osano, ed io stesso mi sono arrischiato a dir chiaramente quel che penso di lui; e davvero quest'oggi, messere, ve lo garantisco io, credo di aver persuaso i membri del Consiglio che è - perché so che è e loro sanno che lo è - un grande eretico, una pestilenza che infetta tutto il paese: e mossi da questo ne hanno fatto cenno col re, il quale per sua benevolenza e con cura di buon sovrano, prevedendo l'avverarsi dei gravi mali che gli abbiamo esposti con le nostre ragioni, ha dato ascolto a tali lagnanze, in quanto ha ordinato che domattina l'arcivescovo si presenti al Consiglio. E' un'erbaccia, sir Tommaso, e dobbiamo estirparla. Ma vi distraggo troppo a lungo dalle vostre faccende. Buona notte, sir Tommaso.

LOVELL: E buona notte a voi, mio signore; servo vostro.

 

(Escono Gardiner e il Paggio)

(Entrano il RE e SUFFOLK)

 

RE: Carlo, non voglio più giocare questa notte; non riesco a fissarvi su la mente; siete troppo bravo per me.

SUFFOLK: Sire, ma non ho mai vinto giocando con voi prima.

RE: Sì, poco, Carlo; né vinceresti affatto se avessi tutta la mente al giuoco. Ora, Lovell, che notizie mi rechi da parte della regina?

LOVELL: Non potei riferirle personalmente quanto mi avevate ordinato, ma glielo feci sapere per mezzo della sua dama. Vi ringrazia umilmente e invita Vostra Maestà a pregare per lei.

RE: Che dici? pregare per lei? come! grida già pel dolore?

LOVELL: Me l'ha detto la sua dama e mi ha aggiunto che nel suo patimento ogni trafittura è una sofferenza mortale.

RE: Ahimè, buona signora!

SUFFOLK: Dio la sgravi felicemente del suo peso con facile travaglio e allieti di un erede la Maestà Vostra.

RE: E' mezzanotte, Carlo; ti prego, vattene a letto e nelle tue preghiere ricorda le condizioni della povera regina. Lasciatemi solo, poiché i miei pensieri non gradiscono compagnia.

SUFFOLK: Auguro a Vostra Maestà una notte tranquilla: ricorderò la buona regina nelle mie preghiere.

RE: Buona notte, Carlo.

 

(Esce Suffolk. Entra SIR ANTONIO DENNY)

 

Che c'è, signore?

DENNY: Sire, vi ho condotto monsignor arcivescovo, come mi avete ordinato.

RE: Ah! l'arcivescovo di Canterbury?

DENNY: Sì, mio buon signore.

RE: E' vero; dov'è, Denny?

DENNY: Aspetta che vi sia comodo di riceverlo.

RE: Introducilo.

 

(Esce Denny)

 

LOVELL (a parte): Certo è per la faccenda di cui mi ha parlato il vescovo: sono venuto in buon momento.

 

(Rientra DENNY con CRANMER)

 

RE: Sgombrate la galleria. (Lovell sembra volersi trattenere) Ah! vi ho detto di andare: che mai!

 

(Escono Lovell e Denny)

 

CRANMER (a parte): Ho paura: perché è così corrucciato? E' il suo aspetto di quando incute terrore: le cose non vanno bene.

RE: Suvvia, monsignore; certamente desiderate di sapere perché vi ho mandato a chiamare.

CRANMER (inginocchiandosi): E' mio dovere di obbedire ai voleri di Vostra Maestà.

RE: Vi prego, alzatevi, mio buono e virtuoso arcivescovo. Camminiamo insieme su e giù: ho notizie da comunicarvi; suvvia, datemi il braccio. Ah! mio buon monsignore, mi duole di quello che sto per dirvi: ne sono proprio dispiacentissimo. Recentemente, e molto a contraggenio, ho udito assai gravi lagnanze contro di voi che, debitamente prese in considerazione, hanno indotto me e il Consiglio a farvi comparire domattina al nostro cospetto. E poiché non potrete pienamente scolparvi sino al procedimento che si farà per le accuse a cui avete a rispondere, dovrete pazientare e rassegnarvi a fare della Torre la vostra dimora. E' necessario che così si proceda, o altrimenti nessun testimonio oserebbe comparire contro di voi, che siete nostro collega nel Consiglio.

CRANMER (inginocchiandosi): Ringrazio umilmente Vostra Maestà e sono assai lieto di cogliere questa buona occasione per essere vagliato accuratamente, sicché il grano si separi in me dalla pula: poiché so benissimo che nessuno più di me, pover'uomo, è bersaglio di lingue calunniatrici.

RE: Alzati, buon Cranmer. La tua sincerità e integrità hanno messo profonde radici in me che sono tuo amico: dammi la mano, alzati e riprendiamo a camminare insieme Ora, per tutto quel che vi è di santo, che razza di uomo siete? M'aspettavo che mi avreste chiesto di mettervi a confronto coi vostri accusatori e di ascoltarvi senza mettervi in prigione.

CRANMER: Venerato sovrano, la mia sincerità ed onestà sono gli argomenti su cui mi reggo; se essi non resistono, io, coi miei nemici, esulterò per la mia stessa rovina alla quale non darò peso, se risulterò privo di quelle virtù. Ma non temo per nulla quello che si può dire contro di me.

RE: Non sapete qual è la vostra posizione nel mondo, nel gran mondo? I vostri nemici sono molti e di gran conto, e altrettali debbono essere i loro intrighi. Non sempre la giustizia e la verità della causa ottengono riconoscimento dal verdetto. Con quanta facilità menti corrotte possono indurre furfanti altrettanto corrotti a deporre sotto giuramento contro di voi! e non sarebbe la prima volta. I vostri avversari sono potenti, e quanto potenti altrettanto malevoli. Credete di poter avere miglior fortuna, voglio dire in fatto di testimoni falsi, che il Maestro di cui siete ministro quando viveva su questa malvagia terra? Via, via; scambiate un precipizio per un salto innocuo e sembrate voler provocare la vostra propria distruzione.

CRANMER: Dio e Vostra Maestà proteggano la mia innocenza, altrimenti cadrò nella trappola che mi è stata preparata.

RE: State di buon animo, non prevarranno, se non do loro mano libera.

Confortatevi, e non mancate di comparire domattina davanti a loro; se in seguito alle loro accuse volessero imprigionarvi, non mancate di opporre le migliori ragioni con tutta la forza che il momento vi suggerirà: se le preghiere non gioveranno, consegnate loro questo anello e appellatevi a me in loro presenza. Guarda un po': il buon uomo piange! è un galantuomo, sul mio onore. Vergine benedetta! giuro che è sincero e l'uomo migliore del mio regno. Andatevene e fate come vi ho detto. (Esce Cranmer) Le lacrime gli impediscono di parlare.

 

(Entra la vecchia Dama e LOVELL la segue)

 

GENTILUOMO (dall'interno): Indietro: che fate?

DAMA: Niente indietro: le notizie che porto faran creanza del mio ardimento. Ora gli angeli volino sopra il tuo augusto capo e proteggano la tua persona con le ali benedette.

RE: Dal tuo aspetto indovino che notizie mi porti. La regina si è sgravata? di' "sì" e che è un maschio.

DAMA: Sì, sì, mio sovrano, è un bel maschio: Dio del cielo, ora e sempre beneditela! E' una bambina, ma vi promette maschi per l'avvenire. Sire, la regina desidera che andiate a vederla e a fare la conoscenza di questa nuova venuta: vi somiglia come una ciliegia a un'altra ciliegia.

RE: Lovell!

LOVELL: Sire.

RE: Datele cento marchi, vado dalla regina.

 

(Esce)

 

DAMA: Cento marchi! sulla mia parola mi darà di più: questa è la mancia per uno staffiere. Ne avrò degli altri o glieli caverò a furia di brontolare. Per così poco gli ho detto che la bambina gli somiglia?

O me ne darà degli altri o dirò che non è vero: battiamo il ferro finché è caldo.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA SECONDA - Londra. Davanti alla Sala del Consiglio

(Galoppini, Paggi eccetera in attesa. Entra CRANMER, Arcivescovo di Canterbury)

 

CRANMER: Spero di non essere in ritardo; eppure il gentiluomo mandato dal Consiglio mi disse di affrettarmi. Tutto chiuso? che significa ciò? Olà! chi è di servizio? certo mi conoscete.

 

(Entra un Usciere)

 

USCIERE: Sì, monsignore; ma non posso far nulla per voi.

CRANMER: Perché?

 

(Entra il DOTTOR BUTTS)

 

USCIERE: Vostra Signoria deve attendere finché non vi chiamino.

CRANMER: Davvero!

BUTTS (a parte): Questa è malvagità. Sono lieto di essere passato di qui in buon momento: il re lo saprà ben presto.

 

(Esce)

 

CRANMER (a parte): E' Butts, il medico del re: mentre passava, che occhiata seria mi ha dato! Prego il cielo che non sia l'annuncio della mia rovina. Certamente questa è una macchinazione deliberata di qualcuno che mi odia, per umiliare la mia dignità; ma Dio tocchi loro il cuore; per parte mia non ho mai provocato di proposito il loro malanimo. Eppure, se non fosse per questo scopo, si guarderebbero bene dal tenere così un collega alla porta fra paggi, staffieri e lacchè.

Ma bisogna fare quello che vogliono: attenderò con pazienza.

 

(Entrano il RE e BUTTS a una finestra in alto)

 

BUTTS: Mostrerò a Vostra Maestà lo spettacolo più strano...

RE: Che mai, Butts?

BUTTS: Lo spettacolo più strano che Vostra Altezza abbia mai visto da un pezzo.

RE: Dove?

BUTTS: Là, sire: è l'alto grado a cui è giunto monsignore di Canterbury, che sta in pompa magna fra galoppini, paggi e lacchè.

RE: E' proprio lui davvero. E' questo l'onore che si fanno reciprocamente? E' bene che sopra di loro ci sia ancora qualcuno.

Credevo che si fossero scompartita fra loro tanta onestà o almeno tanta creanza da non permettere a un uomo della sua posizione e cosi gradito a me di fare anticamera, attendendo il beneplacito di Lor Signorie alla porta come un corriere con plichi. Per la Vergine Maria, Butts, è furfanteria bella e buona: ma lasciamoli stare e tiriamo la cortina; ne sentiremo di più tra poco.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA TERZA - Londra. La Sala del Consiglio

(Entra il LORD CANCELLIERE che si mette a sedere a capo del tavolo a sinistra; prima di lui resta vuoto il seggio che spetterebbe all'Arcivescovo di Canterbury; il DUCA DI SUFFOLK, il DUCA DI NORFOLK, il CONTE DI SURREY, il LORD CIAMBELLANO e GARDINER prendono posto ordinatamente ai due lati. CROMWELL siede all'altra estremità come segretario. Usciere alla porta)

 

CANCELLIERE: Dite di che cosa si tratta, signor segretario: perché siamo qui riuniti?

CROMWELL: Col beneplacito delle Signorie Vostre, l'argomento principale riguarda monsignore di Canterbury.

GARDINER: Ne è stato informato?

CROMWELL: Sì.

NORFOLK: C'è qualcuno che attende?

USCIERE: Di fuori, signori?

GARDINER: Sì.

USCIERE: Monsignore arcivescovo, è là da mezz'ora, a vostra disposizione.

CANCELLIERE: Fatelo entrare.

USCIERE: Vostra Signoria può entrare ora.

 

(CRANMER entra e si avvicina al tavolo)

 

CANCELLIERE: Mio buon arcivescovo sono dolentissimo di sedere qui in questo momento e di vedere quella sedia vuota: ma siamo tutti uomini e per nostra natura fragili e soggetti alle debolezze della carne; pochi sono angeli: e per questa debolezza e mancanza di saggezza voi, che dovreste ammaestrarci meglio di ogni altro, vi siete comportato male, e non poco, verso il re e le sue leggi, riempiendo l'intero reame col vostro insegnamento e per mezzo dei vostri cappellani - poiché questo ci è stato riferito - di nuove opinioni fuori del comune e pericolose, che sono in realtà eresie e che potrebbero risultare assai perniciose, qualora non venissero corrette.

GARDINER: E questa correzione deve essere immediata, miei nobili signori; coloro che domano cavalli selvaggi non li conducono a mano per addestrarli, ma ne frenano la bocca con saldi morsi e li spronano finché non si piegano docilmente al maneggio. Se per bonarietà o puerile riguardo verso la dignità di un uomo tolleriamo questa malattia contagiosa, addio medicina, e che ne seguirà allora?

turbamenti, tumulti e una generale corruzione dell'intiero Stato, come può attestare l'esempio offertoci a caro prezzo, e vivo ancora nella nostra memoria come oggetto di pietà, dai nostri vicini dell'Alta Germania.

CRANMER: Miei buoni signori, sin qui, in tutto il corso della mia vita e del mio ufficio, mi sono industriato con non poco studio a far sì che i miei insegnamenti e l'energico esercizio della mia autorità seguissero una sola via sicura, e sempre a fin di bene; né vi è uomo al mondo, lo dico con cuore sincero, signori miei, che più di me detesti e più combatta nell'intimo della sua coscienza e nel suo ufficio gli insidiatori della pace. Prego il cielo che il re non trovi mai un cuore meno fedele del mio. Gli uomini che si nutrono d'invidia e di tortuosa malignità osano mordere i migliori. Supplico le Signorie Vostre di concedere in questo procedimento che i miei accusatori, quali che siano, vengano messi a confronto con me in vostra presenza e sostengano francamente le loro accuse.

SUFFOLK: No, mio signore, ciò non può essere; siete un membro del Consiglio e per ragione della vostra carica nessuno oserà accusarvi.

GARDINER: Monsignore, dobbiamo tagliar corto con voi, perché abbiamo affari di maggiore importanza. E' volere di Sua Maestà, e noi siamo dello stesso parere, che al fine di esaminare meglio il vostro caso siate rinchiuso nella Torre; quivi, quando sarete ridotto alla condizione di privato cittadino, vedrete che molti si faranno arditi d'accusarvi, tanti invero che temo non riuscirete a tener loro testa, CRANMER: Ah! Buon monsignore di Winchester, vi ringrazio; siete sempre mio buon amico: se riuscirete a fare a modo vostro sarete giudice e giurato, tanta è la vostra clemenza. Comprendo il fine a cui mirate:

la mia rovina. L'amore e l'umiltà si addicono a un ecclesiastico meglio che l'ambizione, monsignore; riconquistate con la moderazione le anime traviate e non allontanatene sdegnosamente nessuna da voi.

Per quanto possiate mettere a dura prova la mia pazienza, riuscirò a scagionarmi; per questo non ho nessun dubbio, come voi non avete nessuno scrupolo di fare il male ogni giorno. Potrei dire di più, ma me lo vieta la reverenza per il vostro ufficio.

GARDINER: Monsignore, monsignore, siete un settario; questa è la dura e semplice verità: codesti artificiosi argomenti rivelano a chi vi comprende la debolezza delle vostre parole.

CROMWELL: Monsignore di Winchester, con vostra licenza, siete un po' troppo aspro; uomini così nobili, per quanto traviati, meritano rispetto per il loro passato: è crudeltà schiacciare così un caduto.

GARDINER: Signor segretario, chiedo scusa a Vostro Onore, dei presenti siete proprio quello che meno dovrebbe parlare in questo modo.

CROMWELL: Perché, monsignore?

GARDINER: Non so forse che siete un partigiano di questa nuova setta?

non c'è da fidarsi di voi.

CROMWELL: Non c'è da fidarsi?

GARDINER: Non c'è da fidarsi, ripeto.

CROMWELL: Ci fosse da fidarsi altrettanto della vostra onestà! allora gli uomini si volgerebbero a voi con le preghiere e non coi timori.

GARDINER: Non dimenticherò queste parole sfacciate.

CROMWELL: Fatelo pure, ma non dimenticate neanche la vostra vita sfacciata.

CANCELLIERE: Questo è troppo: smettetela, signori; vergogna!

GARDINER: Non ho altro da dire.

CROMWELL: Nemmeno io.

CANCELLIERE: E ora a voi, monsignore. All'unanimità, credo, siamo d'avviso che siate condotto come prigioniero alla Torre per rimanervi sino a che siano note le ulteriori decisioni del re: siamo tutti d'accordo, signori?

TUTTI: Sì.

CRANMER: Non c'è altra via di clemenza? e debbo proprio andare alla Torre, signori?

GARDINER: Che altro vi aspettereste? siete proprio irritante. Qualcuno della guardia si prepari.

 

(Entrano alcune Guardie)

 

CRANMER: Per me? debbo andare colà come un traditore?

GARDINER: Prendetelo in consegna e conducetelo alla Torre.

CRANMER: Fermatevi, ho ancora qualche cosa da dire. Guardate qui, signori: in virtù di questo anello sottraggo la mia causa alle granfie di uomini crudeli e l'affido a un nobilissimo giudice, il re mio signore.

CIAMBELLANO: Questo è l'anello del re!

SURREY: Non è una contraffazione?

SUFFOLK: E' l'anello vero, per Dio: non ve l'avevo detto, che quando avessimo messo in moto questa pietra pericolosa, sarebbe caduta su noi stessi?

NORFOLK: Credete, signori, che il re lascerà torturare anche soltanto il dito mignolo di quest'uomo?

CIAMBELLANO: E' anche troppo chiaro: e quanto più varrà per il re la sua intiera vita! Vorrei proprio essere del tutto fuori di questa faccenda!

CROMWELL: Avevo capito benissimo che nel raccogliere storie e denunce contro quest'uomo la cui onestà è invisa solo al demonio e ai suoi discepoli, soffiavate su di un fuoco che vi avrebbe bruciato: e ora state in guardia!

 

(Entra il RE guardandoli con collera, e siede)

 

GARDINER: Venerato sovrano, quanti giornalieri rendimenti di grazia dobbiamo al cielo, che ci ha dato un tal principe, non solo buono e saggio, ma religiosissimo: uno che con ogni rispetto fa della Chiesa il fine principale della sua dignità e, per rafforzare tale santo dovere, in segno della sua grande considerazione, viene a giudicare in persona la causa tra la Chiesa e questo grande colpevole!

RE: Vescovo di Winchester, siete sempre stato molto valente nell'improvvisare lodi; ma sappiate che non vengo ora per udire tali adulazioni, che al mio cospetto sono troppo trasparenti e nude per nascondere le vostre colpe. Poiché non potete giungere sino a me, mi fate il cagnolino e credete di guadagnare le mie grazie movendo la lingua; ma prendimi pure per chi vuoi, son certo che hai una natura crudele e sanguinaria. (A Cranmer) Buon uomo, siediti, e ora il più orgoglioso tra voi, il più audace osi muovere un dito contro di te:

per tutto quel che c'è di santo, sarebbe assai meglio per lui morire che pensare soltanto che non sei fatto per questo ufficio.

SURREY: Piaccia a Vostra Maestà...

RE: Nossignore, non mi piace. Credevo di avere uomini di una certa intelligenza e saggezza nel mio Consiglio; ma non ne trovo nessuno. Vi sembra discernimento, signori miei, far attendere quest'uomo, questo buon uomo - pochi di voi meritano tal titolo - questo onesto uomo come un servo pidocchioso alla porta del Consiglio? uno tanto grande quanto siete voi? come! che vergogna è questa! forse che il mio mandato vi ha ingiunto di dimenticare sino a questo punto chi siete? Vi ho autorizzato a esaminarlo da consigliere, non da staffiere: vi sono alcuni di voi, lo vedo, che più per rancore che per zelo di giustizia vorrebbero spingere questo procedimento sino all'ultimo, se ne avessero il mezzo, ma il mezzo non l'avranno sinché campo.

CANCELLIERE: Venerato sovrano, Vostra Grazia mi conceda di parlare a giustificazione di tutti. Circa il suo arresto, se c'è buonafede negli uomini, e vi è certamente in me, la decisione non fu presa per malanimo: il nostro proposito era che egli potesse essere debitamente giudicato e giustificato agli occhi del mondo.

RE: Bene, bene, miei signori; rispettatelo, accoglietelo tra voi e trattatelo bene, poiché lo merita. Dirò soltanto questo di lui: che se un principe è debitore di un suddito, io lo sono di lui pel suo affetto e fedele servizio. Non fate più chiacchiere, ma abbracciatelo:

siate amici, miei signori, e vergognatevi! Monsignore di Canterbury, ho un favore da chiedervi e non mi dovete dir di no; c'è una bella fanciulla che non è stata ancor battezzata: fatele da padrino e date le risposte per lei.

CRANMER: Il più grande monarca potrebbe gloriarsi di tale onore: come posso meritarlo io, povero e umile suddito di Vostra Maestà?

RE: Capisco, capisco, monsignore; vorreste risparmiare il dono dei cucchiai. Avrete due nobili compagne con voi: la vecchia duchessa di Norfolk e la marchesa di Dorset: vi accomodano? Monsignore di Winchester, ancora una volta vi ordino di abbracciare e amare quest'uomo.

GARDINER: Lo faccio con cuore sincero e affetto fraterno.

CRANMER: Il cielo sa quanto mi tengo cara questa vostra assicurazione.

RE: Buon uomo queste lacrime di gioia mostrano la sincerità del tuo cuore: vedo che si avvera la voce pubblica che dice di te: "Fate un cattivo servizio a monsignor di Canterbury, ed egli sarà vostro amico per sempre". Suvvia, qui stiamo perdendo il tempo; desidero vivamente di far cristiana questa piccolina. Signori, poiché vi ho uniti, rimanete uniti: io ci guadagnerò forza e voi onore.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA QUARTA - Londra. Il cortile del Palazzo

(Rumore e tumulto fra le scene. Entrano il Guardaportone e un suo Uomo)

 

GUARDAPORTONE: Smettete di far questo baccano, furfanti: prendete la corte per Paris Garden? I villanzoni, smettetela di urlare. (Voce dall'interno: "Buon guardaportone, appartengo alla dispensa")

Appartieni alla forca e va' a farti impiccare, briccone! E' questo il posto da far tanto baccano? Andatemi a prendere una dozzina di randelli, e robusti, questi non sono che verghette al confronto. Vi gratterò la testa. Che bisogno c'è che veniate a vedere un battesimo?

v'aspettate dolci e birra qui, zoticoni?

UOMO: Per favore, messere, abbiate pazienza: a meno che non li spazziamo via dalla porta a cannonate, è tanto impossibile disperderli quanto farli stare a letto la mattina di calendimaggio, il che non sarà mai: è più facile smuovere la croce di San Paolo che costoro.

GUARDAPORTONE: Come hanno fatto a entrare quei pezzi da forca?

UOMO: Ahimè! non lo so. Come entra l'acqua del mare durante l'alta marea? Di quante legnate un sodo bastone lungo quattro piedi può distribuire e vedete quanto poco ne è rimasto- non ne ho risparmiata una sola.

GUARDAPORTONE: Non avete fatto niente, caro mio.

UOMO: Non son poi Sansone né sir Guy né Colbrand, da falciarmeli d'innanzi: ma se ne ho risparmiato uno solo che avesse testa da colpire, giovane o vecchio, uomo o donna, cornuto o cornificante, che io non veda più carne di bue, e non lo vorrei per tutto l'oro del mondo!

 

(Di dentro): "Udite, signor guardaportone!"

GUARDAPORTONE: Son subito da voi, cucciolo mio. Voi intanto tenete bene la porta chiusa, giovanotto.

UOMO: E che cosa vorreste che facessi?

GUARDAPORTONE: Che cosa dovreste fare se non mandarli a ruzzoloni a dozzine? E' questo Moorfields, da farci la rivista? o è venuto a corte un qualche strano Indiano col suo grosso strumento, che le donne ci assediano tanto? Dio mi benedica, che frittura di fornicazione c'è alla porta! in coscienza questo battesimo ne farà nascere altri mille!

qui c'è babbo, padrino e tutti insieme.

UOMO: E i cucchiai saranno anche più grossi, signore. C'è un tale vicino alla porta che pare un braciere, perché, in coscienza, ha condensato nel naso venti giorni della canicola, e tutti quelli che gli stanno vicini sono nel caldo equatoriale e non hanno bisogno di fare altra penitenza per i loro peccati: ebbene, ho colpito questa specie di meteora tre volte sulla testa e tre volte ha scaricato il naso contro di me e sta là come un mortaio pronto a spararci addosso.

Vicino a lui c'era una scema, moglie di un merciaio, che mi canzonava per aver provocato tanta combustione al punto che le cadde di testa quel colabrodo di cappelluccio. Una volta sbagliai la meteora e colpii invece quella donna che gridò "aiuto", e allora vidi correre da lontano in suo soccorso quaranta armati di nodosi bastoni, belle speranze dello Strand dove la donna abita. Mi attaccarono e io mi mantenni sulle mie posizioni; alla fine vennero ai ferri corti, e ancora tenni loro testa; quando improvvisamente dei ragazzi, frombolieri in ordine sparso, che li seguivano, mi scaricarono contro tal pioggia di ciottoli che volentieri avrei rinfoderato il mio onore e li avrei lasciati padroni del campo: fra loro c'era proprio il diavolo certamente.

GUARDAPORTONE: Questi sono i giovanotti che tuonano in teatro e fanno a pugni per torsoli di mele, e nessun pubblico li può sopportare se non la teppaglia di Tower Hill e i loro cari confratelli di Limehouse.

Ne ho già fatto mettere qualcuno in gattabuia e là balleranno tre giorni, oltre al banchetto di frustate che serviranno loro due servi del bargello.

 

(Entra il LORD CIAMBELLANO)

 

CIAMBELLANO: Misericordia, che folla c'è qui! e cresce ancora; vengono da tutte le parti come se ci fosse la fiera. Dove sono i guardaportone, quei pigri furfanti? L'avete fatta bella a lasciar entrare tutta questa canaglia: e costoro sono i vostri cari amici dei sobborghi? senza dubbio ci sarà molto spazio per le signore quando ritorneranno dal battesimo!

GUARDAPORTONE: Con tutto il rispetto per Vostra Signoria, noi non siamo che uomini, e quel che si può fare senza essere ridotti in pezzi, l'abbiamo fatto: un esercito non riuscirebbe a tenerli in riga.

CIAMBELLANO: Com'è vero Dio, se il re se la prende con me, vi farò mettere tutti in ceppi senza tanti complimenti: e vi farò grandinare addosso buone multe per la vostra negligenza! Siete oziosi bricconi e state qui a succhiar fiaschi invece di fare il vostro servizio. Udite!

suonano le trombe; stanno già ritornando dal battesimo: rompete la folla e fate strada alla compagnia perché passi senza fatica, o vi troverò una prigione che vi darà lavoro per due mesi.

GUARDAPORTONE: Largo alla principessa.

UOMO: Omaccione, scostati, o ti farò dolere la testa.

GUARDAPORTONE: Tu, vestito di cambellotto, levati dalla cancellata, o ti butto dall'altra parte.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA QUINTA - Londra. Il Palazzo

(Entrano i Trombettieri sonando; poi due Anziani, il SINDACO, l'ARALDO DELLA GIARRETTIERA, CRANMER, il DUCA DI NORFOLK col bastone di Maresciallo, il DUCA DI SUFFOLK, due Nobili che portano grandi bacili per i doni del battesimo; poi quattro Nobili che reggono un baldacchino sotto il quale viene la madrina, DUCHESSA DI NORFOLK, con la neonata ravvolta in un ricco manto; lo strascico è sostenuto da una Dama. Seguono quindi la MARCHESA DI DORSET, altra madrina, e Dame. Il corteo sfila una volta sul palcoscenico e poi parla l'Araldo)

 

ARALDO: O cielo, nella tua infinita bontà manda vita prospera, lunga e sempre felice alla grande e possente principessa d'Inghilterra, Elisabetta!

 

(Squillo di trombe. Entra il RE con Guardie)

 

CRANMER (inginocchiandosi): Le madrine, mie nobili compagne, ed io stesso così preghiamo per la Vostra Reale Maestà e per la buona regina. Ogni conforto e gioia che il cielo abbia mai accumulato per rendere i genitori felici, cada ad ogni ora su voi nella persona di questa graziosa fanciulla.

RE: Grazie, monsignore arcivescovo. Qual è il suo nome?

CRANMER: Elisabetta.

RE: Alzatevi, monsignore. (Il Re bacia la Bambina) Con questo bacio prendi la mia benedizione. Ti protegga Dio, alle cui mani affido la tua vita.

CRANMER: Amen.

RE: Mie nobili madrine, siete state troppo prodighe: vi ringrazio cordialmente e lo farà anche questa bambina, quando avrà imparato a parlare.

CRANMER: Concedetemi di continuare, sire, poiché il cielo me lo ordina, e nessuno dica che queste parole sono adulatrici, perché si riscontreranno vere. Questa regale fanciulla - il cielo le muova sempre intorno - sebbene ancora in culla promette alla nostra terra mille benedizioni che il tempo maturerà: ella sarà esempio a tutti i principi suoi contemporanei e a tutti i loro successori: ma pochi che ora vivono vedranno tanta perfezione. La regina di Saba non fu più cupida di saggezza e di virtù che non sarà quest'anima pura: le principesche virtù che foggiano un possente sovrano come il nostro, si raddoppieranno in lei con tutte le altre qualità che accompagnano i buoni. La verità la nutrirà, pensieri santi e celestiali la consiglieranno sempre, sarà amata e temuta: i sudditi la benediranno e i nemici tremeranno come un campo di grano battuto e chineranno la testa sotto il peso del dolore. Il bene crescerà con lei: nel suo regno ogni uomo mangerà tranquillo all'ombra della vite che egli stesso avrà piantata, e intonerà gli allegri canti della pace ai suoi vicini. Dio sarà conosciuto secondo verità, e tutti coloro che le staranno intorno impareranno da lei le perfette vie dell'onore; e da quelle e non dal sangue deriveranno la loro grandezza. Questa pace non morirà con lei, poiché como quando si spegne l'uccello delle meraviglie, la vergine fenice, dalle cui ceneri ne nasce un'altra ugualmente degna di ammirazione, essa lascerà la sua fortuna a un re che, quando il cielo la toglierà da questa nube di tenebre, sorgerà come una stella dalle sacre ceneri della sua maestà, grande per fama come fu lei e altrettanto saldo sul trono. La pace, l'abbondanza, l'amore, la verità, il terrore, già servi di questa eletta fanciulla, apparterranno a lui, e a lui si appoggeranno come la vite all'albero.

Dovunque splenderà il sole luminoso saranno celebrati il suo onore e la grandezza del suo nome, creatori di nuove nazioni: egli fiorirà e come il cedro della montagna stenderà i suoi rami su tutte le pianure sottostanti. I figli dei nostri figli vedranno questo e ne benediranno il cielo.

RE: Tu ci proclami meraviglie.

CRANMER: Per la felicità dell'Inghilterra ella vivrà sino alla vecchiaia. Molti giorni la vedranno operare, e nessun giorno senza un atto che lo celebri. Volesse Iddio che non vedessi altro! ma ella deve morire, poiché i santi la vorranno in loro compagnia; ma morirà vergine, giglio immacolatissimo, e tutto il mondo la piangerà.

RE: Arcivescovo, hai fatto di me un uomo. Posso dire di non avere mai posseduto nulla prima che nascesse questa bambina. Questo oracolo confortante mi ha così allietato che quando sarò in cielo, vorrò vedere che cosa farà questa piccina e lodarne il Creatore. Vi ringrazio tutti. A voi, signor sindaco, e ai vostri colleghi sono molto obbligato; sono assai onorato per la vostra presenza e proverete la mia gratitudine. Precedetemi, signori; dovete andar tutti dalla regina che vuole ringraziarvi e che altrimenti ne soffrirebbe nella salute. Oggi tutti dimentichino che hanno affari a casa loro, poiché resteranno qui: per questa piccolina tutti faranno festa.

 

(Escono)

 

 

 

EPILOGO

 

E' assai probabile che questo dramma non piaccia a tutti gli spettatori. Alcuni vengono per riposare e per dormire durante un atto o due; ma temiamo di avere spaventati costoro col suono delle nostre trombe, cosicché diranno che lo spettacolo non val niente. Altri vengono per sentir parlar male dell'amministrazione civica e per dire "quant'è spiritoso!" ma non s'è fatto neanche questo. Quindi temo che tutto il bene che ci aspettavamo di sentire pel dramma si ridurrà questa volta all'interpretazione indulgente che ne daranno le donne buone, perché ne abbiamo loro mostrata una di tal carattere. Se sorrideranno e diranno che lo spettacolo è tollerabile, so che poco dopo anche gli uomini migliori saranno dalla nostra parte: poiché la va proprio male, se stan fermi quando le mogli comandano loro di applaudire.