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William Shakespeare

 

ENRICO SESTO

(Parte Terza)

 

 

PERSONAGGI

RE ENRICO SESTO

EDOARDO, principe di Galles, suo figlio

LUIGI UNDICESIMO, re di Francia.

IL DUCA DI SOMERSET, IL DUCA DI EXETER, IL CONTE DI OXFORD, IL CONTE DI NORTHUMBERLAND, IL CONTE DI WESTMORELAND, LORD CLIFFORD: partigiani di re Enrico

RICCARDO PLANTAGENETO, duca di York

EDOARDO, conte di March, poi re Edoardo Sesto; EDMONDO, conte di Rutland; GIORGIO, poi duca di Clarence; RICCARDO, poi duca di Gloucester: suoi figli

IL DUCA DI NORFOLK, IL MARCHESE DI MONTAGUE, IL CONTE DI WARWICK, IL CONTE DI PEMBROKE, LORD HASTINGS, LORD STAFFORD: partigiani del duca di York

SIR GIOVANNI MORTIMER, SIR UGO MORTIMER: zii del duca di York

ENRICO, conte di Richmond, giovinetto

LORD RIVERS, fratello di Lady Grey

SIR GUGLIELMO STANLEY

SIR GIOVANNI MONTGOMERY

SIR GIOVANNI SOMERVILLE

Il Precettore di Rutland

Il Sindaco di York

Il Luogotenente della Torre

Un Nobile

Due Guardacaccia

Un Cacciatore

Un figlio che ha ucciso il padre

Un padre che ha ucciso il figlio

LA REGINA MARGHERITA

LADY GREY, poi sposa di Edoardo SESTO

BONA, sorella della regina di Francia

Soldati, Persone del seguito, Messi, Guardiani, eccetera

 

 

Scena: durante parte del terzo atto in Francia; durante il resto del dramma in Inghilterra

 

 

 

ATTO PRIMO

 

SCENA PRIMA - Londra. Il Parlamento

(Allarme. Entrano il DUCA DI YORK, EDOARDO, RICCARDO, NORFOLK, MONTAGUE, WARWICK, e Soldati)

 

WARWICK: Non riesco a comprendere come sia sfuggito il re.

YORK: Mentre inseguivamo i cavalieri del settentrione, astutamente si allontanò di soppiatto, abbandonando i suoi uomini: e allora il grande lord Northumberland che da valoroso guerriero non poté mai sopportare il suono della ritirata, rincorò l'esercito avvilito; ed egli stesso, lord Stafford e lord Clifford avanzando insieme vennero alla carica contro la fronte del nostro principale corpo di truppe e, essendovi penetrati, furono uccisi dalle spade dei semplici soldati.

EDOARDO: Il padre di lord Stafford, duca di Buckingham, è ucciso o ferito gravemente, poiché gli ho tagliato l'elmo con un fendente; e che questo sia vero, padre, ecco qui il suo sangue a dimostrarlo.

MONTAGUE: Ed ecco qui, fratello, il sangue del conte di Wiltshire, col quale mi sono scontrato quando le schiere presero contatto.

RICCARDO: Parla tu per me, e di' loro che cosa ho fatto.

 

(Gettando a terra la testa del duca di Somerset)

 

YORK: Di tutti i miei figli Riccardo è quello che ha meglio meritato.

Ma dunque, Vostra Grazia monsignore di Somerset, siete proprio morto?

NORFOLK: Tal sia delle speranze di tutto il ramo di Giovanni di Gand!

RICCARDO: E così spero di squassare la testa di re Enrico.

WARWICK: E io pure. Vittorioso principe di York, giuro per il cielo di non chiuder occhio, finché non ti veda seduto su quel trono che ora la casa di Lancaster usurpa. Questo è il palazzo del pavido re e questo è il trono: renditene padrone, York, poiché è tuo, e non degli eredi di re Enrico.

YORK: Assistimi allora, amato Warwick, e lo farò, poiché qui siamo entrati a forza.

NORFOLK: Tutti vi aiuteremo; chi fuggirà morrà.

YORK: Grazie, Norfolk. Trattenetevi con me, miei signori, e voi, soldati, restate presso di me a dormire stanotte.

 

(Salgono)

 

WARWICK: Quando verrà il re non usategli violenza, a meno che egli non cerchi di cacciarvi con la forza.

YORK: La regina ha convocato qui oggi il Parlamento, ma è ben lontana dal pensare che faremo parte del suo consiglio: e qui a parole o a colpi facciamo valere il nostro diritto.

RICCARDO: Senza deporre le armi rimaniamo in questo palazzo.

WARWICK: Questo sarà chiamato il Parlamento sanguinoso se Plantageneto, duca di York, non sarà fatto re, e non verrà deposto il pauroso Enrico la cui viltà ci ha fatti passare in proverbio presso i nemici.

YORK: Allora non lasciatemi, miei signori; siate risoluti, intendo entrare nel pieno possesso dei miei diritti.

WARWICK: Né il re né coloro che più lo amano né il più superbo partigiano dei Lancaster oserà muovere ala, se Warwick scuote i sonagli. Pianterò sul trono Plantageneto, e cerchi di scalzarlo chi ne ha il coraggio. Deciditi, Riccardo: reclama la corona d'Inghilterra.

 

(York sale sul trono)

(Squillo di trombe. Entrano RE ENRICO, CLIFFORD, NORTHUMBERLAND, WESTMORELAND, EXETER, e gli altri)

 

ENRICO: Miei signori, guardate dove siede l'ostinato ribelle: proprio sul trono! Forse sostenuto dalla forza di Warwick, quel falso pari, aspira alla corona e a regnare come sovrano. Conte di Northumberland, egli ha ucciso tuo padre e il tuo, lord Clifford, ed entrambi avete giurato di vendicarvi sopra di lui, i suoi figli, i suoi favoriti e i suoi amici.

NORTHUMBERLAND: Se non lo farò, il cielo si vendichi sopra di me.

CLIFFORD: Questa speranza fa sì che Clifford non porti altro segno di lutto che la spada.

WESTMORELAND: Come! tollereremo questo? strappiamolo di là: il mio cuore arde di collera e non posso più trattenermi.

ENRICO: Calmati, conte di Westmoreland.

CLIFFORD: La calma è pei poltroni, come è lui: egli non oserebbe seder là, se vostro padre fosse vivo: mio amato signore, qui in Parlamento attacchiamo la famiglia di York.

NORTHUMBERLAND: Hai detto giusto, cugino, così sia.

ENRICO: Ah! non sapete che la città li favorisce e che essi hanno soldati pronti ai loro cenni?

EXETER: Ma quando il duca sarà ucciso, fuggiamo subito.

ENRICO: Sia lungi dal cuore di Enrico il proposito di trasformare il palazzo del Parlamento in un macello. Cugino Exeter, fronte accigliata, parole e minacce sono le armi che Enrico intende di usare.

Tu, sedizioso duca di York, discendi dal trono e inginocchiati ai miei piedi a chiedere grazia e mercé; sono il tuo sovrano YORK: Io sono il tuo sovrano.

EXETER: Vergogna! scendi di costà: egli ti ha creato duca di York YORK: Era mio retaggio, come lo era la contea.

EXETER: Tuo padre tradì la corona.

WARWICK: Sei tu, Exeter, che tradisci la corona, seguendo Enrico che è un usurpatore CLIFFORD: E chi dovrebbe seguire se non il suo re legittimo?

WARWICK: E' vero, Clifford, e questi è Riccardo, duca di York ENRICO: E debbo io starmene qui in piedi mentre tu siedi sul mio trono?

YORK: Così deve essere e sarà: rassegnati.

WARWICK: Contentati di essere duca di Lancaster, e lascia che egli sia re.

WESTMORELAND: Egli è re e duca di Lancaster, e lord Westmoreland lo sosterrà fino al l'estremo.

WARWICK: E Warwick lo contesterà. Voi dimenticate che siamo coloro che vi cacciarono dal campo, uccisero i vostri padri e a bandiere spiegate marciarono attraverso alla città sino alle porte del palazzo.

NORTHUMBERLAND: Sì, Warwick, lo ricordo con cordoglio, e per l'anima di mio padre, tu e la tua casa ve ne pentirete..

WESTMORELAND: Plantageneto, fra te e questi tuoi figli, i tuoi parenti e amici, spegnerò più vite che le gocce di sangue che mio padre aveva nelle vene.

CLIFFORD: Non insistere oltre perché invece di parole io non ti mandi un tal messo che vendicherà la morte del mio genitore prima che io mi muova.

WARWICK: Povero Clifford, sprezzo le tue vane minacce.

YORK: Consentite che mostriamo il nostro titolo alla corona?

altrimenti le nostre armi lo sosterranno in campo.

ENRICO: Che titolo hai tu alla corona, traditore? Tuo padre era, come sei tu, duca di York; tuo nonno, Ruggero Mortimer, conte di March. Io sono figlio di Enrico Quinto che obbligò il Delfino e i Francesi a piegarsi e occupò le loro città e province.

WARWICK: Non parlare di Francia giacché l'hai perduta tutta.

ENRICO: Il Protettore la perdette, non io: quando io fui incoronato non avevo che nove mesi.

RICCARDO: Ora sei vecchio quanto basta, e tuttavia continui a perdere.

Padre, strappa la corona dal capo dell'usurpatore.

EDOARDO: Caro padre, fa' ciò e ponitela sulla testa.

MONTAGUE: Fratello mio, se ami e onori le armi, decidiamo la questione con la spada e smettiamola di cavillare a questo modo.

RICCARDO: Sonate le trombe e i tamburi, e il re fuggirà.

YORK: Zitti, figli.

ENRICO: Zitto tu e lascia che re Enrico parli.

WARWICK: Plantageneto deve parlare per primo: ascoltatelo, signori! e state in silenzio e attenti, perché chi lo interrompe è un uomo morto.

ENRICO: Credi tu che lascerò il trono reale, su cui sedettero mio nonno e mio padre? no: prima la guerra spopolerà questo mio regno; sì, e la loro bandiera già spiegata in Francia e ora con mio grande cordoglio in Inghilterra sarà il mio sudario. Perché vacillate, signori? il mio titolo è valido e migliore assai del suo.

WARWICK: Provalo, Enrico, e sarai re.

ENRICO: Enrico Quarto ottenne la corona per conquista.

YORK: Fu per ribellione contro il suo sovrano.

ENRICO (a parte): Non so che dire: il mio titolo è debole. Dimmi: non può un re adottare un erede?

YORK: E che perciò?

ENRICO: Se lo può, allora sono legittimo re, poiché Riccardo alla presenza di molti pari cedette la corona ad Enrico Quarto di cui mio padre era erede, come io lo sono di lui.

YORK: Egli si levò contro il suo sovrano e l'obbligò a cedergli la corona con la violenza.

WARWICK: E anche se l'avesse fatto liberamente, credete che così avrebbe pregiudicato la trasmissione della corona?

EXETER: No, perché poteva cedere la corona, solo riservando i diritti regali dell'erede prossimo.

ENRICO: Sei tu contro di noi, duca di Exeter?

EXETER: Suo è il buon diritto e perciò perdonatemi.

YORK: Perché bisbigliate, miei signori, e non rispondete?

EXETER: La coscienza mi dice che egli è re legittimo.

ENRICO (a parte): Tutti si ribelleranno contro di me e si volgeranno a lui.

NORTHUMBERLAND: Plantageneto, a dispetto di tutte le tue pretese, non credere che Enrico sarà deposto.

WARWICK: Lo sarà anche a dispetto di tutti.

NORTHUMBERLAND: T'inganni: non sono le tue truppe meridionali dell'Essex, del Norfolk, del Suffolk e del Kent quelle che, pur dandoti tanta presunzione e superbia, porteranno in alto il duca a mio dispetto.

CLIFFORD: Re Enrico, sia giusto o no il tuo titolo, lord Clifford giura di combattere in tua difesa: si apra la terra e m'inghiottisca vivo se piego il ginocchio a chi mi uccise il padre!

ENRICO: O Clifford, come le tue parole confortano il mio cuore!

YORK: Enrico di Lancaster, abbandona la corona. Che cosa borbottate o complottate, signori?

WARWICK: Rendete giustizia al duca di York, o altrimenti riempirò il Parlamento di armati e sopra il trono sul quale siede scriverò il suo titolo col sangue dell'usurpatore.

 

(Batte in terra col piede e i Soldati compaiono)

 

ENRICO: Monsignore di Warwick, lasciami dire soltanto una parola: per quel tanto di vita che mi resta lascia che io regni come sovrano.

YORK: Assicurami solennemente della corona per me e per i miei eredi, e regnerai in pace e quiete per tutto il resto della tua vita.

ENRICO: E così sia: Riccardo Plantageneto, godrai il regno dopo la mia morte.

CLIFFORD: Che torto è questo che fate al principe vostro figlio!

WARWICK: Che bene è questo per l'Inghilterra e per lui medesimo!

WESTMORELAND: Abbietto, pauroso Enrico, che sempre disperi!

CLIFFORD: Che danno hai fatto a te stesso e a noi!

WESTMORELAND: Non mi regge l'animo di udire questi articoli.

NORTHUMBERLAND: Neanche a me.

CLIFFORD: Suvvia, cugino, andiamo a dare queste notizie alla regina.

WESTMORELAND: Addio, re ignavo e degenere, nel cui freddo sangue non vive più alcuna traccia di onore.

NORTHUMBERLAND: Possa tu divenire preda della casa di York e morire in catene per questa vile azione.

CLIFFORD: Possa tu essere sopraffatto in una terribile guerra o morire in pace abbandonato e disprezzato!

 

(Escono Northumberland, Clifford e Westmoreland)

 

WARWICK: Voltati da questa parte, Enrico, e non guardarli neanche.

EXETER: Cercano vendetta e non cederanno.

ENRICO: Ah, Exeter!

WARWICK: Perché sospirate, sire?

ENRICO: Non per me stesso, lord Warwick, ma per mio figlio che da padre snaturato priverò del suo retaggio. Ma sia pur così; (a York) lascio la corona a te e ai tuoi eredi per sempre a condizione che qui giuri di cessare dalla guerra civile e di onorarmi finché vivrò come tuo re e sovrano e purché prometta che per tradimento o per aperti atti di ostilità non cercherai di depormi e assumere tu stesso la corona.

YORK: Mi impegno a giurarlo e a mantenere il giuramento.

WARWICK: Viva re Enrico! Plantageneto, abbraccialo.

ENRICO: E lungamente possiate vivere tu e questi arditi figli!

YORK: Ora York e Lancaster sono riconciliati.

EXETER: E maledetto sia colui che seminerà zizzania fra di loro.

 

(Fanfara. Discendono)

 

YORK: Addio, amato sovrano: vado al mio castello.

WARWICK: E io andrò a occupare Londra coi miei soldati.

NORFOLK: E io a Norfolk coi miei seguaci.

MONTAGUE: E io al mare donde sono venuto.

 

(Escono York coi figli, Warwick, Norfolk, Montague, Soldati e Seguito)

 

ENRICO: E io a corte con dolore e cordoglio.

 

(Entrano la REGINA MARGHERITA e il PRINCIPE DI GALLES)

 

EXETER: Ecco qua la regina con occhi che tradiscono la collera: me ne andrò via furtivamente.

ENRICO: E così farò io, Exeter.

MARGHERITA: No, non andartene da me; altrimenti ti seguirò.

ENRICO: Calmati, amata regina, e rimarrò qui.

MARGHERITA: Chi può essere calmo in tali frangenti? Ah, sciagurato!

Fossi io morta fanciulla, non ti avessi mai visto e non ti avessi mai dato un figlio, giacché sei un padre così snaturato. Ha forse meritato di perdere in tal modo i suoi diritti naturali? Se tu avessi avuto per lui la metà dell'amore che sento io o avessi provato i dolori che soffrii nel darlo alla luce o lo avessi nutrito come ho fatto io, col tuo sangue, avresti versato il sangue più puro del tuo cuore piuttosto che fare erede quel selvaggio duca e diseredare il tuo unico figlio.

PRINCIPE: Padre, voi non potete diseredarmi. Se siete re, perché non dovrei succedervi?

ENRICO: Perdonami, Margherita; perdonami caro figlio; il conte di Warwick e il duca mi hanno forzato.

MARGHERITA: Forzato! sei re e ti lasci forzare? Mi vergogno di sentirti parlare così. Ah timoroso miserabile! hai rovinato te stesso, tuo figlio e me, e ti sei lasciato prendere la mano dalla casa di York a tal punto che regnerai solo col suo beneplacito. Trasmettere la corona a lui e ai suoi eredi è come scavarti la tomba ed entrarvi assai prima del tempo. Warwick è Cancelliere e Signore di Calais; il fiero Falconbridge ha il comando dello Stretto, il duca è fatto Protettore del regno; e tuttavia credi che sarai salvo? è la salvezza dell'agnello tremante circondato dai lupi. Se io che sono una debole donna fossi stata là, i soldati avrebbero dovuto sollevarmi sulle loro picche prima che avessi sanzionato un tale atto; ma tu preferisci la vita all'onore; e, considerando ciò, qui ti dichiaro che ripudierò la tua tavola e il tuo letto, finché non sia revocato quest'atto del Parlamento che disereda mio figlio. I signori del settentrione che hanno tradito la tua bandiera, seguiranno la mia solo che la vedano spiegare; e la spiegherò a tuo disonore e a totale rovina della casa di York. Così ti lascio. Andiamo, figlio, vieni con me; il nostro esercito è pronto, e lo seguiremo.

ENRICO: Fermati, cara Margherita, e ascoltami.

MARGHERITA: Hai parlato anche troppo di già: vattene.

ENRICO: Caro figlio Edoardo, vuoi tu almeno rimanere con me?

MARGHERITA: Sì, per essere assassinato dai suoi nemici.

PRINCIPE: Quando ritornerò vittorioso dal campo, vedrò Vostra Maestà:

sino a quel momento seguirò mia madre.

MARGHERITA: Vieni, figlio, via; non c'è tempo da perdere.

 

(Escono la Regina e il Principe)

 

ENRICO: Povera regina! l'amore per me e per suo figlio l'ha fatta uscire in parole di collera. Possa essa vendicarsi di quell'odiato duca che con altero spirito, sospinto dall'ambizione, mi toglierà la corona, e come aquila affamata si accanirà contro la mia carne e quella di mio figlio! La perdita di quei tre signori mi tormenta.

Scriverò loro e li supplicherò con belle parole. Via, cugino, voi farete da messaggero

EXETER: E spero di riconciliarvi tutti.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA SECONDA - Il Castello di Sandal

(Entrano EDOARDO, RICCARDO e MONTAGUE)

 

RICCARDO: Fratello, sebbene io sia il più giovane, lasciatemi parlare.

EDOARDO: No, so far meglio io la parte dell'oratore.

MONTAGUE: Ma io ho ragioni forti e di gran peso.

 

(Entra il DUCA DI YORK)

 

YORK: Come, fratello mio e figli miei! in contesa? qual è la ragione della vostra lite e chi è stato il primo a cominciarla?

EDOARDO: Non una lite, ma un lieve dissenso.

YORK: Intorno a che cosa?

RICCARDO: Intorno a quello che riguarda Vostra Grazia e noi: la corona d'Inghilterra, padre, che è vostra.

YORK: Mia, ragazzo? no, finché re Enrico non sia morto.

RICCARDO: Il vostro diritto non dipende né dalla vita né dalla morte di lui.

EDOARDO: Ora voi siete l'erede, perciò godetela adesso; se date alla casa di Lancaster agio di respirare, alla fine vi oltrepasserà nella corsa.

YORK: Ho giurato che regnerà in pace.

EDOARDO: Ma per un regno si può rompere qualsiasi giuramento: per conto mio verrei meno a mille giuramenti pur di regnare un anno.

RICCARDO: No, Dio non voglia che Vostra Grazia diventi spergiuro.

YORK: Lo sarò, se rivendicherò la corona con guerra aperta.

RICCARDO: E io proverò il contrario se mi lasciate parlare.

YORK: Non puoi farlo, figlio; è impossibile.

RICCARDO: Non è valido affatto un giuramento che non sia prestato davanti a un magistrato fornito di legittima autorità su colui che giura: Enrico non lo era, perché aveva usurpato il trono; quindi, considerando che avete giurato in mani sue, il vostro giuramento, mio signore, è vano e irrito. Perciò all'armi! E, padre, pensate che cosa bella è portare una corona nel cui piccolo cerchio è l'Eliso e tutto quello che i poeti favoleggiano di felicità e di gioia. Perché esitiamo così? non avrò requie finché la rosa bianca che porto non sia tinta nel sangue appena appena tiepido del cuore di Enrico.

YORK: Riccardo, hai detto abbastanza: sarò re o morirò. Fratello, tu andrai subito a Londra e aizzerai Warwick a questa impresa. Tu, Riccardo, andrai dal duca di Norfolk e gli parlerai segretamente dei nostri propositi. Voi, Edoardo andrete da lord Cobham col quale gli uomini del Kent non faranno difficoltà a sollevarsi: ripongo grande fiducia in loro perché sono soldati accorti, nobili, generosi e pieni di ardire. Mentre sarete così occupati, che mi resterà da fare se non cercare un pretesto per levarmi in armi senza che il re o alcuno della casa di Lancaster sappiano delle mie intenzioni?

 

(Entra un Messo)

 

Ma adagio: che notizie? perché vieni con tanta fretta?

MESSO: La regina con tutti i conti e i signori del settentrione intende di assediarvi qui nel vostro castello. Ella è qui vicina con ventimila uomini e perciò attendete a fortificare la vostra posizione, mio signore.

YORK: Sì, con la mia spada. E che! credi che abbiamo paura di loro?

Edoardo e Riccardo, voi starete con me; mio fratello Montague andrà in tutta fretta a Londra: il nobile Warwick, Cobham e gli altri che abbiamo lasciati protettori del re, si rinforzino con una politica energica e non si fidino del semplice Enrico e dei suoi giuramenti.

MONTAGUE: Vado, fratello; li persuaderò, non dubitare: e mi congedo umilmente da voi.

 

(Esce)

(Entrano SIR GIOVANNI e SIR UGO MORTIMER)

 

YORK: Zii miei, siete venuti a Sandal in buon momento, perché la regina intende di assediarci col suo esercito.

SIR GIOVANNI: Non ce n'è bisogno; l'incontreremo in campo aperto.

YORK: Come? con cinquemila uomini?

RICCARDO: Sì, con cinquecento, padre, se occorre. Il loro generale è una donna; di che dovremmo temere?

 

(Marcia in lontananza)

 

EDOARDO: Sento i loro tamburi: mettiamo in ordine i nostri uomini, usciamo e offriamo loro battaglia senz'altro.

YORK: Cinque contro venti! sebbene la sproporzione sia grande, non dubito affatto, zio, della nostra vittoria. In Francia ho vinto molte battaglie, quando i nemici erano dieci contro uno di noi: perché non dovrei avere ora lo stesso successo?

 

(Allarmi. Escono)

 

 

 

SCENA TERZA - Campo di battaglia tra il Castello di Sandal e Wakefield

(Allarme. Entrano RUTLAND e il suo Precettore)

 

RUTLAND: Ah! dove debbo fuggire per salvarmi dalle loro mani?

Precettore, guardate, ecco che viene il sanguinario Clifford.

 

(Entra CLIFFORD con Soldati)

 

CLIFFORD: Cappellano, vattene! il tuo sacro carattere ti salva la vita. Quanto al marmocchio di quel maledetto duca, il cui padre uccise mio padre, morirà.

PRECETTORE: Ed io, mio signore, morirò con lui.

CLIFFORD: Soldati, conducetelo via!

PRECETTORE: Ah, Clifford, non assassinare questo fanciullo innocente se non vuoi essere odiato da Dio e dagli uomini!

 

(Esce, trascinato via dai Soldati)

 

CLIFFORD: Come! E' già morto? è la paura che gli fa chiudere gli occhi? Glieli riaprirò.

RUTLAND: Così il leone dopo essere stato a lungo rinchiuso guarda il miserabile che trema sotto le zampe che stanno per farlo a brani, e così s'avvicina guardando superbamente la preda e viene verso di lui per lacerargli le membra. Ah! buon Clifford, uccidimi con la tua spada e non con questo tuo crudele occhio minaccioso! Dolce Clifford, lascia che io ti parli prima di morire: sono un oggetto troppo umile per la tua collera; fa' le tue vendette su uomini e lascia che io viva.

CLIFFORD: Parli invano, povero ragazzo; il sangue di mio padre ha chiuso l'accesso per cui dovrebbero entrare le tue parole.

RUTLAND: E allora lascia che il sangue di mio padre lo apra ancora:

egli è un uomo Clifford, tieni testa a lui.

CLIFFORD: Se avessi qui i tuoi fratelli, le loro vite in aggiunta alla tua non sarebbero sufficiente vendetta per me, no, se aprissi le tombe dei tuoi antenati e ne appendessi in catene le bare imputridite, ciò non calmerebbe la mia ira né darebbe sollievo al mio cuore. La vista di qualsiasi persona della casa di York è come una furia che mi tormenta l'anima, e finché io non riesca a sradicare questo ramo maledetto, senza lasciarne vivo uno solo, io vivo nell'inferno.

Perciò...

 

(Alzando la mano)

 

RUTLAND: Oh, lasciami pregare prima di morire! Ti prego, dolce Clifford, abbi pietà di me!

CLIFFORD: La pietà che può dare la punta della mia spada.

RUTLAND: Non ti ho fatto alcun male; perché vuoi uccidermi?

CLIFFORD: Tuo padre me ne ha fatto.

RUTLAND: Ma questo fu prima che nascessi. Tu hai un figlio: per amor suo abbi pietà di me, perché per vendetta, se Dio è giusto, egli non venga ucciso miseramente come me. Ah, chiudimi in prigione per il resto della vita; e quando ti offenderò, mi farai morire, ma non ora perché non hai motivo.

CLIFFORD: Non ho motivo! Tuo padre uccise mio padre; perciò muori.

 

(Lo colpisce)

 

RUTLAND: "Di faciant laudis summa sit ista tuae!" (Muore)

CLIFFORD: Plantageneto, vengo, Plantageneto! e il sangue di questo tuo figlio che è sulla mia spada, arrugginirà su quest'arma, finché il tuo sangue coagulato con esso non m'induca a tergerli entrambi.

 

(Esce)

 

 

 

SCENA QUARTA - Un'altra parte del campo

(Allarmi. Entra il DUCA DI YORK)

 

YORK: L'esercito della regina è padrone del campo: entrambi i miei zii sono rimasti uccisi, mentre tentavano di salvarmi, e tutti i miei seguaci voltano le spalle all'ardito nemico e fuggono come navi davanti al vento o agnelli inseguiti da lupi affamati. Dio sa che sorte hanno avuta i miei figli: ma questo so in modo sicuro, che si sono comportati come uomini destinati ad acquistarsi fama in vita o in morte. Tre volte Riccardo s'è aperta la via sino a me e tre volte ha gridato "Coraggio, padre! combatti sino alla vittoria" e altrettante volte Edoardo è venuto al mio fianco con la spada arrossata, tinta sino all'elsa del sangue di coloro che si erano scontrati con lui: e quando i guerrieri più temerari si ritiravano, Riccardo gridò "Alla carica! non cedete un palmo di terreno!" e ancora gridò "Una corona, o altrimenti una tomba gloriosa! uno scettro o un sepolcro in terra!". A questo grido caricammo ancora, ma ahimè! indietreggiammo nuovamente:

così ho veduto un cigno nuotare con vana fatica controcorrente ed esaurire l'energia contro onde più forti di lui. (Breve allarme all'interno) Ah, udite! i micidiali inseguitori mi danno la caccia ed io sono debole e non posso sfuggire alla loro rabbia; d'altronde, se io fossi forte non eviterei la loro rabbia; le ore della mia vita sono contate! Qui debbo fermarmi e qui devon finire i miei giorni.

 

(Entrano la REGINA MARGHERITA, CLIFFORD, NORTHUMBERLAND, il giovane PRINCIPE e Soldati)

 

Venite, Clifford sanguinoso e rude Northumberland, oso sfidar la vostra rabbia spietata ad infuriare ancor di più: sono il vostro bersaglio e attendo i colpi.

NORTHUMBERLAND: Arrenditi alla nostra clemenza superbo Plantageneto.

CLIFFORD: Sì, a quella clemenza che il suo braccio spietato discendendo dall'alto offrì a mio padre. Ora Fetonte è caduto dal carro e ha fatto sera proprio al punto del mezzogiorno.

YORK: Dalle mie ceneri come da quelle della fenice può nascere un altro uccello che si vendicherà di voi tutti; e con questa speranza volgo gli occhi al cielo spregiando tutti i tormenti che potrete infliggermi. Perché non venite avanti? Come! siete tanti ed avete paura?

CLIFFORD: Così parlano i codardi quando non sanno più dove fuggire e così le colombe danno di becco negli artigli acuti del falco; così i ladri, disperando ormai della vita, svillaneggiano i birri.

YORK: Oh, Clifford, pensa ancora, e ricorda nel tuo pensiero la mia vita passata; e, se lo puoi a dispetto del rossore, guarda questa faccia e morditi la lingua che calunnia di viltà un uomo che prima d'ora ti ha fatto venir meno e fuggire con un aggrottar di ciglio.

CLIFFORD: Non ti ribatterò parola per parola ma ti affibbierò colpo per colpo, quattro contro uno.

MARGHERITA: Fermati, valoroso Clifford, poiché per mille ragioni vorrei prolungare alquanto la vita del traditore. La collera lo rende sordo: parlagli tu, Northumberland.

NORTHUMBERLAND: Fermati, Clifford! non fargli l'onore di pungerti neanche un dito, fosse pure per ferirlo al cuore. Che atto di valore sarebbe, quando un cane bastardo mostra i denti, ficcargli la mano in bocca se si può respingerlo con un calcio? E' buon diritto di guerra approfittare di tutti i vantaggi; combattere in dieci contro uno non diminuisce il valore.

 

(Mettono le mani addosso a York che si divincola)

 

CLIFFORD: Sì, sì, così si agita la beccaccia nella tagliola.

NORTHUMBERLAND: Così si divincola il coniglio nella rete.

YORK: Così trionfano i ladri per il bottino conquistato, e così anche uomini gagliardi cedono alla forza di ladroni troppo numerosi.

NORTHUMBERLAND: E che vuole Vostra Maestà che gli si faccia?

MARGHERITA: Valorosi guerrieri, Clifford e Northumberland, ponete su questa tana di talpa colui che con le braccia stese voleva toccar le montagne, sebbene poi non ne rompesse che l'ombra con la mano. Come!

eravate voi che volevate essere re d'Inghilterra? Eravate voi quello che s'affannava tanto in Parlamento e ci predicava la sua alta origine? Dove sono i vostri quattro figli che dovrebbero darvi man forte ora? il lascivo Edoardo e il gagliardo Giorgio? e dov'è quel valoroso prodigio di gobbo, Ricciardetto, il vostro ragazzo, che con la voce bofonchiante soleva incitare il babbo nelle sedizioni? o, con gli altri, dov'è Rutland, il vostro beniamino? Guarda, York, ho intinto questa pezzuola nel sangue che il valoroso Clifford con la punta della spada ha fatto uscire dal petto del ragazzo; e se i tuoi occhi possono versare lacrime per la sua morte, te la darò per tergertene le guance. Ahimè, povero York! se non ti odiassi mortalmente lamenterei il tuo stato miserabile. Di grazia, sfoga il tuo dolore, York, e così mi divertirai. Come! il tuo cuore in fiamme ti ha arse le viscere al punto che non versi neanche una lacrima per la morte di Rutland? perché sei così paziente, il mio uomo? dovresti uscire di senno, e proprio per farti uscire di senno ti schernisco così. Pesta i piedi, delira, smania perché io possa cantare e danzare.

Ah! vedo: vuoi essere pagato per dare spettacolo: York non può parlare se non porta una corona. Una corona per York! e, signori, inchinatevi profondamente: tenetegli le mani mentre gliela pongo sul capo. (Gli mette sulla testa una corona di carta) Sì, diamine, ora pare proprio un re! Sì, questi è colui che occupò il trono di Enrico e da Enrico fu proclamato erede. Ma come accade che il grande Plantageneto è incoronato così presto e ha rotto il suo solenne giuramento? Ora che mi ricordo, voi non dovreste esser re finché Enrico non abbia dato la mano alla morte: e vuoi circondarti il capo con l'aureola di Enrico e rubare alle sue tempie il diadema ora, mentre è ancor vivo, e contro il tuo sacrosanto giuramento? Oh! è una colpa troppo imperdonabile.

Via la corona, e con la corona la testa: e finché siamo vivi cogliamo il momento per ucciderlo.

CLIFFORD: Questo tocca a me per amor di mio padre.

MARGHERITA: No, fermatevi; sentiamo che orazioni vuol recitare.

YORK: Lupa di Francia, ma peggio dei lupi di Francia, la cui lingua avvelena più del dente delle vipere! quanto male si addice al tuo sesso trionfare come un'amazzone svergognata dei dolori di quelli che la fortuna ha fatto schiavi. Se non fosse che il tuo viso, spudorato per la consuetudine di atti malvagi, è impassibile come una maschera, cercherei di farti arrossire, orgogliosa regina. Se non fossi senza pudore basterebbe a svergognarti dire donde vieni e da chi discendi.

Tuo padre porta il titolo di re di Napoli, delle Due Sicilie e di Gerusalemme, eppure è più povero di un contadino inglese. E' quel povero sovrano che ti ha insegnato a insultare? non è necessario né ti giova, superba regina, seppure non debba verificarsi il proverbio che il mendicante, salito a cavallo, lo fa crepare. E' la bellezza quella che spesso rende le donne orgogliose; ma Dio sa che ben poca è la parte che te n'è toccata; è la virtù che le fa ammirare, ma è il suo contrario che rende te oggetto di meraviglia: è la modestia del contegno che le fa sembrare divine, e la mancanza di essa ti fa abominevole. Sei tanto opposta a tutto quel che vi è di bene quanto lo sono gli antipodi a noi o il mezzogiorno al settentrione. Cuore di tigre involto in una pelle di donna! Come hai potuto vuotar di sangue il figlio e dire al padre di asciugarsene gli occhi eppur continuare ad apparire in sembianza di donna? Le donne sono tenere, dolci, pietose e pieghevoli; tu rigida, indurita, impietrita, aspra e senza pietà. Vuoi che io infuri? ebbene, ora sarai contenta: volevi che piangessi? ebbene, ora sarai contenta, perché il vento furioso accumula i rovesci di pioggia e, quando la sua furia cade, l'acqua incomincia. Queste lacrime sono il rito funebre per il mio caro Rutland e ogni goccia grida vendetta per la sua morte contro te, feroce Clifford, e te, falsa Francese.

NORTHUMBERLAND: Mi colga il malanno, se le sue passioni non mi commuovono al punto che quasi non riesco a frenare le lacrime.

YORK: Neanche i cannibali famelici avrebbero toccato o macchiato di sangue il suo viso; ma voi siete più inumani, più inesorabili oh, dieci volte di più delle tigri d'Ircania. Vedi, spietata regina, le lacrime di un padre infelice. Hai imbevuto questo pannicello del sangue del mio caro figlio e io ne lavo il sangue con le lacrime.

Conserva la pezzuola e vantatene, e se racconterai questa crudele storia veracemente, per l'anima mia gli ascoltatori verseranno lacrime; sì, persino i miei nemici verseranno lacrime copiose e diranno: "Ahimè! fu un fatto veramente pietoso". Ecco qua, prendetevi questa corona e con la corona la mia maledizione: nell'ora del dolore possa tu avere quel conforto che ora ricevo dalle tue mani crudeli!

Spietato Clifford, levami da questa vita; la mia anima al cielo il mio sangue sulle vostre teste.

NORTHUMBERLAND: Se avesse fatto strage di tutto il mio parentado, dovrei pur piangere con lui, vedendo come l'intimo dolore gli tortura l'anima.

MARGHERITA: Come! in lacrime, lord Northumberland? Se solo pensi ai torti che ha fatto a noi tutti, le tue cocenti lacrime si asciugheranno ben presto.

CLIFFORD: Questo per il mio giuramento e questo per la morte di mio padre.

 

(Lo colpisce)

 

MARGHERITA: E questo per far giustizia al nostro buon re.

 

(Lo colpisce)

 

YORK: Aprimi la porta della tua misericordia, pietoso Iddio!

Attraverso a queste ferite la mia anima vola in cerca di Te.

 

(Muore)

 

MARGHERITA: Mozzategli la testa e ponetela sulla porta della città di York: così York guarderà York dall'alto.

 

(Squillo di trombe. Escono)

 

 

 

ATTO SECONDO

 

SCENA PRIMA - Una pianura vicino alla Croce di Mortimer nello Herefordshire

(Marcia. Entrano EDOARDO e RICCARDO con Truppe)

 

EDOARDO: Non so come nostro padre sia fuggito o se sia veramente scampato all'inseguimento di Clifford e di Northumberland. Se fosse stato preso, l'avremmo saputo, se fosse stato ucciso l'avremmo saputo; ma però anche se fosse scampato, avremmo pur dovuto ricevere la felice notizia della sua salvezza. Che ha mio fratello? perché è così triste?

RICCARDO: Non posso essere lieto finché non sappia in modo sicuro a che sia giunto il nostro valoroso padre. L'ho visto correre qua e là durante il combattimento e ho osservato come fra tutti prendeva di mira Clifford in modo particolare. Nel fitto della mischia sembrava comportarsi come un leone in una mandria di buoi o come un orso circondato dai cani, quando, morsi alcuni e fattili guaire, gli altri si tirano in disparte e abbaiano. Così faceva nostro padre coi suoi nemici; così i suoi nemici fuggivano davanti al mio marziale padre:

davvero è un gran privilegio essere suoi figli. Vedete come l'aurora apre le porte d'oro e s'accomiata dal sole splendente; come rassomiglia al fiore della giovinezza, adorno come un garzone che va baldanzoso dalla sua bella.

EDOARDO: Ho gli occhi abbagliati o vedo veramente tre soli?

RICCARDO: Tre splendidi soli e ciascuno perfetto; non separati da nuvole tormentate dal vento, ma distinti in un cielo chiaro e sereno.

Guardate, guardate! Essi si uniscono, si abbracciano e sembrano baciarsi come se giurassero un'alleanza indissolubile; ora sono soltanto una luce, una lampada, un sole. In questo il cielo ci prefigura qualche evento.

EDOARDO: E' cosa meravigliosa ed inaudita. Credo, fratello, che ci spinga al campo dove dobbiamo operare in modo che noi, figli del valoroso Plantageneto, splendendo ciascuno pei propri meriti, uniamo tuttavia le nostre luci e illuminiamo la terra come questo sole fa col mondo. Qualunque cosa esso presagisca, porterò da qui innanzi sul mio scudo tre soli luminosi.

RICCARDO: No, portate piuttosto tre "sole", sole figlie, voglio dire:

sia detto con vostra buona licenza, voi preferite la fattrice al maschio.

 

(Entra un Messo)

 

Ma chi sei tu, il cui triste aspetto annuncia qualche terribile storia che ti pesa sulle labbra?

MESSO: Ah, uno che fu addolorato spettatore, quando fu ucciso il nobile duca di York, augusto padre vostro e mio amato signore!

EDOARDO: Non dire altro poiché ho già udito troppo.

RICCARDO: Di' come morì, perché io invece voglio sentire tutto.

MESSO: Egli era circondato da molti nemici e resisteva loro come Ettore, speranza di Troia, resisteva ai Greci che avrebbero voluto entrare nella città; ma Ercole stesso deve cedere a forze superiori e molti colpi, sebbene di piccola scure, intaccano e abbattono la quercia più dura. Vostro padre fu vinto da molti nemici, ma ucciso soltanto dal braccio irato del crudele Clifford e della regina. Questa per dispregio prima incoronò il grazioso duca, gli rise in faccia e quando piangeva pel dolore gli diede, perché si asciugasse le guance, una pezzuola intinta nel sangue innocente del piccolo Rutland già ucciso dal crudele Clifford. Dopo molti scherni e turpi beffe gli tagliarono la testa e la posero sulla porta della città di York e colà è ancora, il più triste spettacolo che abbia mai visto.

EDOARDO: Amato duca di York, nostro sostegno, ora che sei morto non abbiamo più nulla che ci regga. O Clifford, selvaggio Clifford, hai ucciso colui che per la sua cavalleria era il fiore d'Europa; e l'hai vinto a tradimento poiché corpo a corpo egli avrebbe vinto te. Ora la dimora della mia anima è diventata una prigione: oh! fuggisse di qua per modo che il mio corpo potesse essere chiuso nella fossa a riposare! Da qui innanzi non gioirò più, mai, mai più!

RICCARDO: Non posso piangere poiché tutti gli umori del corpo quasi non bastano a spegnere la fornace ardente del mio cuore; né la lingua può alleggerire il cuore del suo grave peso; il fiato stesso col quale dovrei parlare alimenta i carboni che mi ardono in petto e mi brucia con fiamme che le lacrime spegnerebbero. Piangere è diminuire la profondità del dolore: piangano dunque i fanciulli; per me, colpi e vendetta! Riccardo, io porto il tuo nome; vendicherò la tua morte o morirò famoso per averlo tentato.

EDOARDO: Quel prode duca ha lasciato il nome a te; ma il ducato e il suo seggio discendono a me.

RICCARDO: No, se tu sei figlio di quell'aquila sovrana, da' prova della tua discendenza fissando gli occhi nel sole: invece di seggio e ducato, di' trono e regno; o questi sono tuoi o tu non nascesti da lui.

 

(Marcia. Entrano WARWICK, il MARCHESE DI MONTAGUE e il loro Esercito)

 

WARWICK: Miei signori, come va, che notizie?

RICCARDO: Monsignore di Warwick, se dovessimo raccontarvi le nostre tristi notizie e ad ogni parola fìccarci il pugnale nelle carni sino alla fine della storia, le parole ci darebbero più dolore delle ferite. Il duca di York è ucciso!

EDOARDO: Warwick! Warwick! quel Plantageneto che ti teneva caro come la salvezza dell'anima sua, è stato ucciso dal feroce Clifford.

WARWICK: Ho già annegato questa notizia nelle lacrime dieci giorni fa, e ora per accrescere il vostro dolore, vengo a dirvi che cosa è accaduto dopo quel momento. Dopo la sanguinosa battaglia di Wakefield in cui il vostro valoroso padre ha esalato l'ultimo respiro, da messi rapidissimi mi furono portate notizie della vostra sconfitta e della sua morte. Io allora in Londra, come Protettore del re, raccolsi i miei soldati con gran numero di amici, e bene equipaggiato marciai verso Sant'Albano per fermare la regina, conducendo con me il re nel mio interesse, poiché ero stato avvertito dagli informatori che la sovrana veniva con l'idea di revocare la legge da poco approvata in Parlamento circa il giuramento di re Enrico e la vostra successione. A dirla in breve ci incontrammo a Sant'Albano; le nostre schiere si urtarono e da ambo le parti si combatté accanitamente: ma, o per la freddezza del re che considerando con benevolenza la sposa guerriera toglieva ai miei soldati tutto il loro ardore, o per la notizia del successo riportato da lei, o per la straordinaria paura della crudeltà di Clifford che tuona sangue e morte ai prigionieri, non saprei dire, fatto sta che mentre le armi dei nemici erano mobili come fulmini, quelle dei nostri soldati, come civette dal volo indolente o come il correggiato d'un pigro battitore di grano, cadevano dolcemente sugli avversari come se colpissero degli amici. Cercai di rincorarli mostrando la giustizia della nostra causa e promettendo buona paga e grandi compensi; ma tutto invano: non avevano coraggio per combattere e noi in loro nessuna speranza di vincere la battaglia. Così fuggimmo:

il re dalla regina; Giorgio vostro fratello, Norfolk e io stesso siamo venuti in tutta fretta a unirci con voi, poiché sapevamo che eravate in questa marca a raccogliere altre forze per un nuovo combattimento.

EDOARDO: Warwick, dov'è il duca di Norfolk? e quando è ritornato Giorgio dalla Borgogna in Inghilterra?

WARWICK: Il duca è a circa sei miglia di qui coi suoi soldati, e, quanto a vostro fratello, è stato recentemente mandato dalla vostra buona zia la duchessa di Borgogna con rinforzi di soldati per questa guerra inevitabile.

RICCARDO: Caso raro che il prode Warwick sia fuggito: spesso l'ho sentito lodare per i suoi inseguimenti, ma sino ad ora non avevo mai sentito parlare dell'infamia di una sua ritirata.

WARWICK: Non è la mia infamia, Riccardo, che ora tu odi: poiché devi sapere che questa forte mano può strappare la corona dalla testa del debole Enrico e togliergli dal pugno il venerato scettro, anche se fosse tanto famoso e ardito in guerra quanto è stimato per dolcezza, spirito di pace e pietà religiosa.

RICCARDO: Lo so benissimo, lord Warwick; non biasimarmi: è l'amore per la tua gloria che mi ha fatto parlare. Ma in questo difficile momento che cosa si deve fare? Dobbiamo gettar via le cotte d'acciaio e avviluppare i corpi in neri abiti da lutto contando le avemarie sul rosario? o lasciare con le armi della vendetta i segni della nostra devozione sugli elmetti dei nemici? Se siete per quest'ultimo partito, dite di sì e tosto all'opera, miei signori.

WARWICK: Ebbene, appunto per questo Warwick è venuto a cercarti col fratello Montague: ascoltatemi, signori miei. L'orgogliosa e insultante regina con Clifford e l'altero Northumberland e molti altri superbi uccelli della stessa penna hanno lavorato il re, molle come cera pronta a liquefarsi. Egli aveva giurato di consentire alla vostra successione e il giuramento è registrato in forma solenne negli atti del Parlamento; e ora tutta quella banda se ne è andata a Londra per frustrare questo giuramento e quant'altro può nuocere alla casa di Lancaster. Credo che la loro forza giunga a trentamila uomini: ora se con l'aiuto di Norfolk e mio, e con tutti gli amici che tu, prode conte di March, ti puoi procurare tra gli affezionati Gallesi, riusciremo a mettere insieme anche soltanto venticinquemila uomini, allora, via! marceremo ancora su Londra, ancora monteremo i nostri destrieri coperti di schiuma e grideremo ancora "Caricate i nemici!", ma non fuggiremo più neanche una volta.

RICCARDO: Sì, ora sento proprio parlare il grande Warwick: non giunga mai a vedere un giorno di sole colui che griderà "Ritiratevi" quando Warwick invece ordina di resistere.

EDOARDO: Warwick, mi appoggio sulla tua spalla; se mi verrai meno - e Dio non voglia che ciò avvenga - Edoardo dovrà cedere: il cielo tenga lontano questo pericolo.

WARWICK: Non più conte di March, ma duca di York; e sopra di ciò non vi è che il trono regale d'Inghilterra; poiché re d'Inghilterra tu sarai proclamato in ogni borgo attraverso il quale passeremo e chi per la gioia non getterà in alto il berretto, per tale colpa perderà la testa. Re Edoardo, prode Riccardo, Montague, non indugiamo sognando la fama, ma facciamo sonare le trombe e accingiamoci a eseguire il nostro compito.

RICCARDO: Allora, Clifford, se il tuo cuore fosse anche duro e guisa d'acciaio come con gli atti hai dimostrato di averlo di sasso, vengo a trapassarlo o a darti il mio.

EDOARDO: Allora rullate, tamburi! Iddio e San Giorgio ci proteggano!

 

(Entra un Messo)

 

WARWICK: Che c'è? che notizie ci porti?

MESSO: Il duca di Norfolk v'informa per mezzo mio che la regina si avvicina con un potente esercito ed egli desidera di consultarsi con voi.

WARWICK: Benissimo! prodi guerrieri, marciamo.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA SECONDA - Davanti a York

(Squillo di trombe. Entrano RE ENRICO, la REGINA MARGHERITA, il PRINCIPE DI GALLES, CLIFFORD e NORTHUMBERLAND con tamburi e trombe)

 

MARGHERITA: Benvenuto, mio signore, a questa bella città di York. Là è la testa del grande nemico che cercò di cingersi della vostra corona:

questa vista non vi rallegra il cuore, mio signore?

ENRICO: Sì, come la vista degli scogli rallegra coloro che temono di far naufragio: questo spettacolo mi disgusta nel profondo dell'anima.

Rattieni la tua vendetta, mio Dio! non è colpa mia, né di proposito sono venuto meno al giuramento.

CLIFFORD: Mio grazioso sovrano, questa mitezza troppo grande, questa dannosa pietà debbono essere messe da parte. Che animali guarda il leone con occhi amichevoli? non la bestia che vorrebbe usurpargli il covile. A chi lecca la mano l'orsa della foresta? non a coloro che le rubano i piccoli sotto gli occhi. Chi sfugge alla puntura mortale del serpente nascosto? non colui che gli mette il piede sulla schiena.

Anche il più piccolo verme, calpestato, si rivolta, e le colombe difendono col becco la nidiata. L'ambizioso York mirava alla tua corona e s'accigliava mentre tu sorridevi: non essendo che duca voleva fare del figlio un re e, da buon padre, migliorare la fortuna della sua prole: tu, essendo re e avendo avuto dal cielo un bel figlio, acconsentisti a diseredarlo, dimostrandoti padre indifferente. I bruti nutrono i loro piccoli, e, sebbene il viso dell'uomo li impaurisca, chi non li ha visti, quando si tratta di proteggere le loro creature, usare persino quelle ali che altre volte avevano adoperato per fuggire spaventati? chi non li ha veduti far battaglia con chi si era arrampicato sino al nido, offrendo la vita a difesa dei figli?

Vergogna, mio signore! prendeteli a esempio. Non sarebbe peccato che questo bel ragazzo perdesse i diritti che gli vengono dalla nascita per colpa del padre e in un lontano avvenire avesse a dire a suo figlio: "Quello che il mio bisavolo e il mio avolo conquistarono, mio padre trascurato regalò stoltamente"? Ah! che vergogna sarebbe questa!

Guarda questo ragazzo: il suo volto virile che promette fortuna, tempri il tuo cuore liquefatto e ti induca a conservare ciò che è tuo e a trasmetterlo a lui.

ENRICO: Clifford ha fatto assai bene la parte di oratore, presentando argomenti di gran forza. Ma dimmi, Clifford, non hai mai sentito dire che ciò che è male acquistato non può finir bene? e fu mai cosa felice per un figlio che il padre, per accumulargli denaro, andasse all'inferno? Lascerò in eredità a mio figlio atti virtuosi, e fosse piaciuto al cielo che mio padre non mi avesse lasciato altro; poiché tutto il resto lo si gode a tal prezzo che vi è infinitamente più ansia nel difendere il possesso che piacere nel goderlo. Ah, cugino York, se i tuoi migliori amici sapessero quanto profondamente mi duole che la tua testa sia costà!

MARGHERITA: Rinfrancatevi, mio signore: i nemici sono vicini e questa tepidezza indebolisce anche i vostri seguaci. Avete promesso di far cavaliere il vostro prode figlio: sguainate la spada e armatelo subito. Edoardo, inginocchiati.

ENRICO: Edoardo Plantageneto, alzati cavaliere e ricorda sempre questo: sguaina la spada solo a difesa del diritto.

PRINCIPE: Mio nobile padre, col vostro permesso la sguainerò come erede della corona, e in tale causa l'userò fino alla morte.

CLIFFORD: Ebbene; queste sono parole di principe coraggioso.

 

(Entra un Messo)

 

MESSO: Reali comandanti, state pronti, poiché con un esercito di trentamila uomini viene Warwick a sostegno del duca di York; nel corso della marcia lo proclama re nelle città per cui passa, e molti corrono sotto le sue bandiere. Riordinate le vostre truppe perché sono vicinissimi.

CLIFFORD: Vorrei che Vostra Maestà lasciasse il campo: la regina ha maggior fortuna quando siete assente.

MARGHERITA: Sì, mio buon signore, lasciateci alla nostra fortuna.

ENRICO: Ma come! questa è anche la mia fortuna; quindi rimarrò.

NORTHUMBERLAND: Purché sia con la ferma volontà di combattere.

PRINCIPE: Mio reale padre, fate animo a questi nobili signori e rincorate quelli che combattono in vostra difesa. Sguainate la spada, buon padre, e gridate "San Giorgio!".

 

(Marcia. Entrano EDOARDO, GIORGIO, RICCARDO, WARWICK, NORFOLK, MONTAGUE e Soldati)

 

EDOARDO: Ora, Enrico spergiuro, vuoi tu inginocchiarti, chieder grazia e porre la corona sul mio capo, o preferirei tentare la terribile fortuna della battaglia?

MARGHERITA: Rimprovera i tuoi favoriti, ragazzo orgoglioso e insolente! mal ti si addice usare questo sfacciato linguaggio al tuo sovrano e legittimo re.

EDOARDO: Io sono il suo re e tocca a lui piegare il ginocchio. Ha consentito a proclamarmi erede; ma dopo ha rotto il giuramento poiché, a quel che apprendo, voi, regina, che siete effettivamente re sebbene egli porti la corona, lo avete indotto a cancellare con un nuovo atto del Parlamento il mio nome e sostituirvi quello di suo figlio.

CLIFFORD: E con ragione: chi dovrebbe succedere al padre se non il figlio?

RICCARDO: Siete qui, macellaio? Oh! non mi riesce di parlare.

CLIFFORD: Sì, gobbo; sono qui per rispondere a te o al più superbo della tua razza.

RICCARDO: Siete stato voi a uccidere il giovane Rutland, non è vero?

CLIFFORD: Sì, e il vecchio York, ma non sono ancora soddisfatto.

RICCARDO: Per amor di Dio, signori, date il segnale di attaccare.

WARWICK: Che dici tu, Enrico, sei disposto a rinunciare alla corona?

MARGHERITA: Come! linguacciuto Warwick, osate parlare? quando ci siamo incontrati l'ultima volta a Sant'Albano le gambe vi hanno servito meglio delle mani.

WARWICK: Allora toccò a me di fuggire, e ora tocca a te.

CLIFFORD: Avevate detto altrettanto allora, eppure siete fuggito.

WARWICK: Non è stato il vostro valore, Clifford, che mi ha allontanato di là.

NORTHUMBERLAND: No, né fu la vostra valentia che vi fece rimanere.

RICCARDO: Northumberland, ho molto rispetto per te. Cessiamo di parlamentare perché col cuore gonfio a stento mi trattengo dall'uccidere quel Clifford, crudele massacratore di bambini.

CLIFFORD: Ho ucciso tuo padre: chiami forse quello un bambino?

RICCARDO: Sì, da codardo vigliacco e traditore come uccidesti il nostro tenero fratello Rutland; ma prima del tramonto del sole ti farò maledire quest'atto.

ENRICO: Silenzio, signori, e lasciatemi parlare.

MARGHERITA: Sfidali, allora, o altrimenti tieni chiuse le labbra.

ENRICO: Ti prego, non imporre limiti alle mie parole: sono re e posso parlare a mio talento.

CLIFFORD: Sire, la ferita che ci ha condotti a questo incontro non può sanarsi a parole; perciò state zitto.

RICCARDO: Allora, boia, sguaina la spada. Per Colui che ci ha creati tutti, sono sicuro che Clifford non ha coraggio che sulla lingua.

EDOARDO: Di', Enrico, riconoscerai o no il mio diritto? migliaia di uomini hanno rotto il digiuno stamani che non saranno vivi all'ora del pranzo, salvo che tu non ceda la corona.

WARWICK: Se rifiuti, il loro sangue ricada sul tuo capo; poiché York si arma per la causa della giustizia.

PRINCIPE: Se quello che dice Warwick è giusto, tutto può esser giusto e il torto non esiste più.

RICCARDO: Chiunque sia tuo padre, codesta è certo tua madre, perché hai la stessa lingua.

MARGHERITA: Tu invece non sei né come tuo padre né come tua madre; sei un turpe mostro segnato da Dio con un marchio perché tutti ti fuggano, come i rospi avvelenati o il terribile morso dei ramarri.

RICCARDO: Ferro di Napoli nascosto da doratura inglese, tuo padre ha tanto diritto al titolo di re quanto un rigagnolo al nome di mare; e non ti vergogni, conoscendo la tua bassa estrazione, di lasciare che la tua lingua riveli anche la bassezza originaria del tuo cuore?

EDOARDO: Darei mille corone per un pugnello di paglia che ricordasse a questa svergognata ciana quello che è. Elena di Grecia era assai più bella di te, sebbene tuo marito sia forse un altro Menelao, eppure mai il fratello di Agamennone fu tanto offeso da quella falsa donna quanto questo sovrano fu danneggiato da te. Suo padre aveva trionfato nel cuore della Francia, domato il re e costretto il Delfino a piegarsi; e se tuo marito si fosse scelto una sposa secondo la sua dignità, avrebbe potuto conservare sino ad oggi quella gloria; ma quando assunse al suo letto una mendicante e, con le sue nozze, onorò il tuo povero padre, da quel momento tanto splendor di sole cominciò a preparargli la tempesta che ha spazzato via di Francia le fortunate conquiste di Enrico Quinto e in patria ha accumulato rivolta contro la sua corona: poiché da che cosa è stata prodotta questa confusione se non dal tuo orgoglio? se tu fossi stata umile, il nostro titolo sarebbe rimasto in quiescenza e noi, per riguardo al buon re, avremmo messo a tacere le nostre pretese fino a un'altra generazione.

GIORGIO: Ma quando vedemmo che il nostro sole faceva primavera per te e che la tua estate non ci dava frutti, calammo la scure su te, radice dell'usurpazione; e sebbene il taglio abbia talora colpito noi stessi, sappi che, giacché abbiamo incominciato a colpire, non smetteremo sinché non ti avremo abbattuta o non avremo innaffìata la tua crescita col nostro sangue ardente.

EDOARDO: E con questo proposito ti sfido rifiutando ogni ulteriore conferenza, giacché neghi al buon re di parlare. Sonate, trombe!

Sventolino le nostre bandiere che si coloreranno nel sangue! o la vittoria o una tomba.

MARGHERITA: Fermati, Edoardo.

EDOARDO: No, donna rissosa, non ci fermeremo ancora: queste parole spegneranno oggi migliaia di vite.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA TERZA - Un campo di battaglia fra Towton e Saxton nel Yorkshire

(Allarmi. Scorrerie. Entra WARWICK)

 

WARWICK: Esaurito dalla fatica come un corridore in gara, mi adagio un po' a prender fiato, poiché i molti colpi dati e ricevuti hanno tolto nerbo ai miei forti muscoli e a dispetto di tutto debbo riposarmi alquanto.

 

(Entra EDOARDO correndo)

 

EDOARDO: Sorridimi, cielo amico, o colpiscimi, nemica morte! poiché questo mondo è corrucciato e il sole di Edoardo si ottenebra.

WARWICK: Che mai, mio signore? che sorte è la nostra? che buone speranze abbiamo?

 

(Entra GIORGIO)

 

GIORGIO: La nostra sorte è la sconfitta, la nostra speranza una triste disperazione: le nostre file sono rotte e la rovina ci segue da presso. Che ci consigliate di fare? dove dobbiamo fuggire?

EDOARDO: La fuga è inutile perché ci seguono con le ali ai piedi, mentre noi siamo deboli e non possiamo sfuggire all'inseguimento.

 

(Entra RICCARDO)

 

RICCARDO: Ah! Warwick, perché ti sei ritirato! la terra assetata ha bevuto il sangue di tuo fratello versato dalla punta d'acciaio della lancia di Clifford: negli spasimi della morte gridava, e sembrava un tetro lamento che venisse di lontano, "Warwick, vendicami! Fratello, vendica la mia morte!". Così quel nobile gentiluomo morì sotto i ventri dei cavalli nemici che bagnavano i pasturali nel suo sangue fumante.

WARWICK: E allora s'ubriachi la terra del nostro sangue; sono tanto deciso a non fuggire che ucciderò il cavallo. Perché ce ne stiamo qui come donnicciuole impaurite piangendo le nostre perdite mentre il nemico infuria, e stiamo a guardare come se si trattasse di una tragedia recitata per spasso da simulanti attori? Qui in ginocchio giuro a Dio nell'alto dei cieli che non avrò posa né mi fermerò, finché la morte non mi abbia chiuso gli occhi o la fortuna non mi abbia concesso giusta misura di vendetta.

EDOARDO: O Warwick, piego anch'io il ginocchio con te e in questo voto incateno la mia anima alla tua, e prima che il mio ginocchio s'alzi dalla fredda faccia della terra protendo la mano, gli occhi, il cuore a Te che estolli e abbassi i re, supplicandoti, se me lo concedi, che questo corpo sia preda dei nemici ma che le bronzee porte del cielo si aprano per accogliere dolcemente l'anima peccatrice! Ora, signori, diciamoci addio finché c'incontriamo di nuovo, sia in cielo sia sulla terra RICCARDO: Fratello, dammi la mano e, nobile Warwick, lascia che ti stringa fra le stanche braccia: io che mai non ho pianto mi sciolgo per il dolore che l'inverno abbia a troncare così bruscamente la nostra primavera.

WARWICK: Via, via! ancora una volta, cari signori, addio.

GIORGIO: E ora ritorniamo tutti alle nostre truppe; permettiamo di andarsene a coloro che non si sentono di rimanere, chiamiamo nostre colonne quelli che non ci abbandoneranno e promettiamo, se la fortuna sarà nostra, di dar loro ricompense quali i vincitori ottenevano nei giuochi olimpici. Ciò può ispirare coraggio nei loro petti tremebondi, poiché v'è ancora speranza di vita e di vittoria. Ma non indugiamo di più; andiamocene tosto di qua.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA QUARTA - Un'altra parte del campo

(Scorrerie. Entrano RICCARDO e CLIFFORD)

 

RICCARDO: Ora, Clifford, ti ho scelto in mezzo a tutti. Supponi che questo braccio sia per il duca di York e quest'altro per Rutland, entrambi decisi alla vendetta anche se tu fossi circondato da un muro di bronzo.

CLIFFORD: Riccardo, ora sono solo con te: questa è la mano che uccise tuo padre York e questa è la mano che colpì tuo fratello Rutland, e qui è il cuore che esulta della loro morte e incoraggia le mani che uccisero tuo padre e tuo fratello a fare altrettanto con te; e così, in guardia!

 

(Combattono)

(Entra WARWICK. CLIFFORD fugge)

 

RICCARDO: No, Warwick, cercati altra selvaggina, perché voglio dare la caccia a questo lupo sino ad ucciderlo.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA QUINTA - Un'altra parte del campo

(Allarmi. Entra RE ENRICO solo)

 

ENRICO: Questa battaglia è come la guerra del mattino quando le nubi morenti contendono con la luce che cresce, e il pastore soffiandosi sulle dita non sa se sia giorno o notte. Ora la vittoria inclina da questa parte, come un mare possente forzato dalla marea a combattere col vento; ora inclina dall'altra parte, come quello stesso mare che la furia del vento forzi a ritirarsi; talora la vince il vento e talora la marea; ora l'uno è più forte ora l'altra fortissima: lottano entrambi per la vittoria corpo a corpo, e nessuno è vincitore o vinto:

così ugualmente bilanciata è questa terribile battaglia. Mi sederò qui su questa tana di talpa; conceda Dio la vittoria a chi vuole! La regina Margherita e Clifford mi hanno allontanato dal combattimento coi loro rimbrotti, entrambi giurando che la fortuna li seconda quando io sono lontano. Oh, volesse Dio farmi morire! poiché, che vi è in questo mondo se non dolori e guai? O Dio! che vita felice se fossi un semplice campagnuolo! starei seduto come ora su un monticello di terra, facendo curiose meridiane punto per punto, per vedere come corrono i minuti, quanti minuti compongono l'ora, e quante ore costituiscono il giorno, quanti giorni compiono l'anno e quanti anni può vivere un uomo mortale; e saputo questo, distribuire il tempo:

tante ore per la cura del gregge, tante per il riposo, tante per la meditazione, tante per lo svago; per tanti giorni le mie pecore sono state gravide, tante settimane passeranno prima che quelle semplici creature figlino, e tanti anni prima che tosi gli agnelli: così minuti, ore, giorni, mesi e anni, spesi nei propositi per cui furono creati, porterebbero alla quiete della tomba l'uomo incanutito. Ah!

che vita sarebbe questa, quanto dolce, quanto amabile! Il biancospino non dà ai pastori che guardano le pecore che nulla sanno un'ombra più dolce di quella che il baldacchino riccamente ricamato dà ai re che temono il tradimento dei loro sudditi? oh, sì a mille doppi! e per concludere, le rustiche giuncate del pastore, la fredda bevanda leggera dalla borraccia di cuoio, l'usato sonno alla fresca ombra di un albero, tutte queste cose che egli gode piacevolmente e senza pensieri superano assai il lusso del principe, le vivande servite in piatti d'oro scintillanti, il letto finemente lavorato in cui giace quando a lui ministrano l'ansia, la diffidenza e il tradimento

 

(Allarme. Un Figlio che ha ucciso il padre entra col cadavere)

 

FIGLIO: E' un tristo vento quello che non giova ad alcuno. Può darsi che quest'uomo che ho ucciso in combattimento corpo a corpo possegga un gruzzolo di corone; e io che forse gliele prenderò fra poco, dovrò prima di sera cederle probabilmente con la mia vita a un altro, come quest'ultimo le cede ora a me. Ma chi è costui? O Dio, è la faccia di mio padre che ho ucciso senza saperlo! O tempi tristi, se succedono cose simili! Fui arruolato a forza in Londra dal partito del re e mio padre che era servo del conte di Warwick è stato arruolato dal suo padrone per il partito di York, e io che da lui ho ricevuto la vita, l'ho con le mie stesse mani privato della sua. Perdonami Dio: non sapevo quello che mi facessi! Perdonami, padre, perché non ti ho riconosciuto! Le mie lacrime laveranno queste tracce sanguinose, e non più parole, finché non siano scorse a loro voglia.

ENRICO: O pietoso spettacolo! o tempi sanguinosi! Mentre i leoni guerreggiano e combattono pei loro covili, gli innocenti agnelli soffrono per le loro inimicizie. Piangi disgraziato uomo, mi unirò a te nel pianto stilla per stilla e i nostri occhi e cuori, come in guerra civile, siano accecati dalle lacrime e si spezzino sotto il peso del dolore.

 

(Un Padre che ha ucciso il figlio entra col cadavere tra le braccia)

 

PADRE: Tu che mi hai resistito così ostinatamente, dammi il tuo oro, se ne hai, perché l'ho acquistato a prezzo di cento colpi. Ma vediamo:

è questa la faccia del nostro nemico? Ah, no, no, no, è il mio unico figlio! Ah, ragazzo, se ti resta un filo di vita alza gli occhi e vedi che pioggia di lacrime, nata dalla tempesta turbinosa della mia anima, cade sulle tue ferite che mi mettono la morte negli occhi e nel cuore.

O Dio, abbi pietà di questo tempo miserabile! Che atti crudeli di carneficina snaturati, violenti e inutili genera quotidianamente questa lotta mortale! O figlio, tuo padre ti ha dato la vita troppo tardi e te l'ha tolta troppo presto!

ENRICO: Dolore che s'aggiunge al dolore! cordoglio fuori di ogni comune misura! oh, se la mia morte potesse arrestare questi atti spietati! Oh, misericordia, benigno cielo misericordia! sul suo viso sono la rosa rossa e la rosa bianca, i fatali colori delle nostre case in lotta: l'una rassomiglia al suo sangue purpureo e l'altra è come raffigurasse le sue pallide guance: l'una rosa appassisca e fiorisca l'altra! Se continuerete a contendere, migliaia di vite periranno.

FIGLIO: Come mia madre s'infurierà contro di me per la morte di questo padre, né mai si cheterà!

PADRE: Come piangerà mia moglie per l'uccisione del figlio, né mai sarà sazia!

ENRICO: Come per questi terribili casi il paese giudicherà male il re, né mai si calmerà!

FIGLIO: Vi fu mai figlio che così piangesse la morte di un padre?

PADRE: Vi fu mai padre che si lamentasse tanto sul figlio?

ENRICO: Ci fu mai re così addolorato per le pene dei sudditi? Grande è il vostro dolore ma il mio è dieci volte più grande.

FIGLIO: Ti porterò via di qua, in un luogo dove io possa sfogare il mio pianto.

 

(Esce col cadavere)

 

PADRE: Queste mie braccia ti faranno da sudario; il mio cuore, caro figlio, sarà il tuo sepolcro e dal mio cuore la tua immagine non si allontanerà mai: i miei sospiri saranno i tuoi rintocchi funebri, e tuo padre farà tanto lutto per te, unico figlio, quanto ne fece Priamo per tutta la sua prode figliolanza. Ti porterò via di qua; combatta chi vuole, perché ho assassinato colui che non avrei mai dovuto uccidere.

 

(Esce col cadavere)

 

ENRICO: Tristi uomini così trasportati dal dolore, qui sta un re ancor più addolorato di voi.

 

(Allarmi. Scorrerie. Entrano la REGINA MARGHERITA, il PRINCIPE e EXETER)

 

PRINCIPE: Fuggite, padre, fuggite! poiché tutti i vostri amici sono scappati, e Warwick impazza come un toro furioso. Via! perché la morte ci insegue da vicino.

MARGHERITA: Montate a cavallo, mio signore, andate verso Berwick, e di carriera. Edoardo e Riccardo come un paio di levrieri che scorgono la timida lepre in fuga, sono alle nostre spalle con gli occhi scintillanti di collera e con le spade insanguinate nelle mani irose, e perciò, via di qua subito.

EXETER: Via! poiché la vendetta li accompagna. Via, non state a discutere, affrettatevi a partire o almeno seguitemi: io vi precedo.

ENRICO: Via, prendimi con te, buon Exeter: non che io abbia paura di rimanere, ma desidero di andare dove la regina vuole. Avanti, via!

 

(Escono)

 

 

 

SCENA SESTA - Un'altra parte del campo

(Forte allarme. Entra CLIFFORD ferito)

 

CLIFFORD: Qui si spegne la mia lampada; sì, qui muore, mentre, finché durò, diede luce a re Enrico. Oh! Lancaster, temo per la tua rovina più che per la separazione dell'anima mia dal corpo. L'amore e la paura che suscitavo ti tennero attaccati molti amici, e ora che muoio, tutta questa forte compagnia si scioglie a danno tuo e a pro dell'arrogante York: il popolaccio brulica come le mosche estive, e dove sciamano i moscerini se non verso il sole? e chi splende ora se non i nemici di Enrico ? O Febo, se non avessi mai concesso a Fetonte di reggere i tuoi focosi destrieri, il tuo carro fiammeggiante non avrebbe mai scottato la terra; e tu, Enrico, se avessi governato con autorità come fanno i re e come fecero tuo padre e tuo nonno, e non avessi ceduto terreno alla casa di York, costoro non si sarebbero levati come le mosche d'estate; io e migliaia di altri non avremmo lasciato vedove in lutto per la nostra morte in questo infelice regno, e anche oggi occuperesti il trono in pace. Poiché, che cosa favorisce tanto le erbacce quanto l'aria dolce? e che cosa rende tanto audaci i ladroni quanto la troppa indulgenza? Ma i lagni non giovano, e insanabili sono le mie ferite, non v'è dove fuggire né forza per continuare la fuga: il nemico è spietato e non userà mercé, e del resto io non l'ho meritata da loro. L'aria è penetrata nelle mie ferite mortali e il troppo sangue sparso mi toglie le forze. Venite, York, Riccardo, Warwick e gli altri: ho ferito il petto dei vostri padri; aprite il mio.

 

(Sviene)

(Allarme e ritirata. Entrano EDOARDO, GIORGIO, RICCARDO, MONTAGUE, WARWICK e Soldati)

 

EDOARDO: Ora respiriamo, signori: la buona fortuna ci dice di posare e di spianare in aspetto di pace il cipiglio della guerra. Una parte delle truppe insegue la sanguinaria regina che guidava a suo piacere l'arrendevole Enrico sebbene fosse re, come la vela gonfiata da una violenta raffica spinge una nave a tagliar le onde. Ma credete voi signori, che Clifford sia fuggito con essi?

WARWICK: No, è impossibile che scampasse poiché, sebbene lo dica in sua presenza, vostro fratello Riccardo l'ha segnato per la tomba e, dovunque sia, è certamente morto.

 

(Clifford geme e muore)

 

EDOARDO: Che anima è quella che ha preso un così doloroso commiato dalla vita?

RICCARDO: Un gemito mortale come quando la vita e la morte si sciolgono l'una dall'altra.

EDOARDO: Guardate chi è, e ora che la battaglia è finita, amico o nemico, trattiamolo umanamente.

RICCARDO: Revoca la tua misericordiosa sentenza poiché è Clifford, che non contento di tagliare in Rutland il ramo quando stava mettendo le foglie, volse il coltello omicida alla radice dalla quale il tenero ramoscello era soavemente germogliato, voglio dire il nostro augusto padre, il duca di York.

WARWICK: Levate dalla porta di York la testa, quella di vostro padre, che Clifford vi aveva collocata, e mettete questa in suo luogo:

occorre rendere misura per misura.

EDOARDO: Portate innanzi quel fatale uccellaccio di malaugurio che a noi e ai nostri non cantò mai altro che morte; ora la morte arresterà il suo tetro suono minaccioso, e tacerà la lingua sempre pronta a predir sciagure.

WARWICK: Credo che abbia perduti i sensi. Parla, Clifford; riconosci chi ti parla? Le nebbie tenebrose della morte gli offuscano i raggi della vita ed egli non ci vede né ode ciò che gli diciamo.

RICCARDO: Piacesse al cielo che invece potesse farlo. Ma forse lo può.

E' forse sua astuzia fingersi morto, perché vorrebbe sfuggire agli scherni che usò con nostro padre al momento della morte.

GIORGIO: Se credi che sia così, tormentalo con parole pungenti.

RICCARDO: Clifford, chiedi mercé e non otterrai grazia.

EDOARDO: Clifford, pentiti con vana penitenza.

WARWICK: Clifford, inventa scuse per le tue colpe.

GIORGIO: Mentre noi inventiamo orribili torture per le tue colpe.

RICCARDO: Amasti York, e io sono figlio di York.

EDOARDO: Avesti pietà di Rutland: io avrò pietà di te.

GIORGIO: Dov'è Margherita, la tua comandante. per difenderti ora?

WARWICK: Ti beffano, Clifford: bestemmia come eri solito.

RICCARDO: Come! neanche una bestemmia? La va male quando Clifford non ha in serbo neanche un'imprecazione per i suoi amici. Capisco da ciò che è proprio morto; e per l'anima mia, se sacrificando questa mano destra potessi ricomprargli due ore di vita per beffarlo con ogni sorta di dispregi, me la taglierei d'un colpo e col sangue che ne sgorgasse soffocherei quella canaglia, la cui sete inestinguibile York e il giovane Rutland non bastarono a soddisfare WARWICK: Sì, ma è morto: mozzate la testa al traditore e ponetela dove sta quella di vostro padre. E ora a Londra con marcia trionfale, dove sarete coronato re d'Inghilterra. Di là Warwick partirà per la Francia a chiedere Madama Bona come vostra sposa. Così unirai saldamente queste due terre e avendo la Francia come amica, non temerai i nemici dispersi, che sperano di rivoltarsi ancora; poiché, sebbene non abbiano la forza di offendere pungendoti, aspettati di sentirli ronzare intorno a molestia degli orecchi. Prima di tutto assisterò all'incoronazione, e poi andrò in Bretagna a concludere queste nozze, se piace a Vostra Maestà.

EDOARDO: Sia come vuoi, caro Warwick, poiché erigo il mio trono sul tuo dorso, né mai intraprenderò cosa per cui mi manchino il tuo consiglio e consenso. Riccardo, creerò te duca di Gloucester e Giorgio di Clarence; Warwick avrà autorità di fare e disfare a piacer suo al pari di noi stessi.

RICCARDO: Date a me il titolo di duca di Clarence e a Giorgio quello di duca di Gloucester, perché il ducato di Gloucester è di malaugurio.

WARWICK: Via via! questa è un'osservazione sciocca: Riccardo sia duca di Gloucester; e ora a Londra, per prendere possesso di questi onori.

 

(Escono)

 

 

 

ATTO TERZO

 

SCENA PRIMA - Una foresta nel settentrione dell'Inghilterra

(Entrano due Guardacaccia con balestre)

 

PRIMO GUARDACACCIA: Ci nasconderemo sotto questa folta macchia, poiché i cervi passeranno presto attraverso a questo praticello, e così al coperto ci metteremo alle poste e sceglieremo il più bello di loro.

SECONDO GUARDACACCIA: E io starò sopra la collina; così potremo tirare entrambi.

PRIMO GUARDACACCIA: Non va bene: il rumore della tua balestra spaventerebbe il branco e così il mio colpo andrebbe perduto. Stiamo qui tutti e due e prendiamo di mira il migliore; per ingannare il tempo ti dirò che cosa mi accadde un giorno proprio in questo medesimo punto dove intendiamo appostarci.

SECONDO GUARDACACCIA: Ecco un uomo: aspettiamo finché sarà passato.

 

(Entra RE ENRICO, travestito, con un libro di preghiere)

 

ENRICO: Mi sono allontanato furtivamente dalla Scozia solo per il desiderio di salutare questa mia terra con occhi desiosi. No, Enrico; questa terra non è più tua, il tuo posto è occupato, lo scettro ti è stato strappato di mano, e cancellato il balsamo col quale ero stato consacrato: nessun ginocchio piegato ti proclamerà Cesare ora, nessun umile supplice ti chiederà giustizia insistentemente; no, neanche un uomo verrà a chiederti di riparare i suoi torti; poiché come potrei aiutare costoro, quando non son capace di aiutare me stesso?

PRIMO GUARDACACCIA: Sì, ecco un cervo la cui pelle vale la paga di un guardacaccia: questo è il re deposto; impadroniamoci di lui.

ENRICO: Amara avversità, lascia che ti abbracci: poiché gli uomini saggi dicono che questo è il partito più assennato.

SECONDO GUARDACACCIA: Perché aspettiamo? mettiamogli le mani addosso.

PRIMO GUARDACACCIA: Fermati un momento, sentiamo ancora un po'.

ENRICO: La regina e mio figlio sono andati in Francia a cercare aiuto e, come mi si dice, il grande Warwick, che comanda a suo talento, si è pure recato colà per chiedere la sorella del re di Francia come sposa per Edoardo. Povera regina e povero figlio! se queste notizie sono vere, la vostra è fatica sprecata, perché Warwick è un sottile oratore e Luigi è un principe che si lascia presto conquistare da parole commoventi. Ma, se è per questo, anche Margherita può trarlo dalla sua, poiché è donna degna di gran compassione: i suoi sospiri faranno breccia nel petto del re; le sue lacrime riusciranno a penetrare un cuore di sasso; la tigre stessa si farà mansueta mentre ella si lamenta. Nerone medesimo sarebbe preso da pietà udendo i suoi lagni e vedendole le lacrime amare. Sì, ma d'altra parte, essa è andata per chiedere mentre Warwick è andato per offrire: ella, ponendosi alla sinistra di Luigi, gli chiede aiuto per Enrico, Warwick dalla destra gli chiede una moglie per Edoardo. Margherita dice piangendo che Enrico è deposto, egli invece, sorridendo, che Edoardo è investito dall'autorità regia: sicché la povera disgraziata non potrà più parlare per il dolore mentre Warwick illustrerà il buon diritto del suo signore, attenuerà il suo torto, addurrà argomenti di gran forza e in conclusione alienerà il re da lei, ottenendone la promessa di sua sorella e chissà quali altre cose per rafforzare e consolidare la nuova dignità di Edoardo; o Margherita, così sarà e tu, povera anima, come sei andata da lui desolata così resterai abbandonata!

SECONDO GUARDACACCIA: Di': chi sei tu che parli di re e di regine?

ENRICO: Più di quello che sembro e meno di quello per cui sono nato:

sono almeno un uomo, e meno di questo non posso essere; se agli uomini è lecito parlar di monarchi perché non deve essere permesso anche a me?

SECONDO GUARDACACCIA: Sì, ma tu parli come se fossi re.

ENRICO: Ebbene, lo sono nel mio pensiero e questo basta.

SECONDO GUARDACACCIA: Ma se sei re, dov'è la tua corona?

ENRICO: La corona l'ho nel cuore, non sul capo; non è coperta di diamanti e pietre preziose indiane, né è visibile: la mia corona si chiama rassegnazione, una corona che i re di rado posseggono.

SECONDO GUARDACACCIA: Bene, se siete un re incoronato di rassegnazione, la vostra corona di rassegnazione e voi stesso vi dovete rassegnare a venir con noi; poiché, come crediamo, voi siete il re che Edoardo ha deposto e noi, suoi sudditi che gli abbiamo giurato fedeltà, vi arrestiamo come suo nemico.

ENRICO: Ma non vi è mai capitato di giurare e di venir meno al giuramento?

SECONDO GUARDACACCIA: No, almeno con un giuramento di tal genere, né lo faremo ora.

ENRICO: Dove abitavate quando ero re d'Inghilterra?

SECONDO GUARDACACCIA: Qui in questo paese dove siamo ora.

ENRICO: Fui consacrato re all'età di nove mesi; mio padre e mio nonno erano re e voi mi avete giurato fedeltà di sudditi: non è dunque vero che siete venuti meno al giuramento?

PRIMO GUARDACACCIA: No, perché eravamo vostri sudditi soltanto mentre eravate nostro sovrano.

ENRICO: Sono dunque morto? non respiro come ogni altro essere vivente?

Ah, sciocchi che siete! non sapete quello che giurate. Vedete: come soffio questa piuma lontano dal mio volto e l'aria la respinge ancora verso di me, ed essa obbedisce al mio fiato quando soffio io e al fiato di un altro quando soffia quello, governata sempre dall'aria che spira più forte, tale è la leggerezza di voi uomini del popolo. Ma non rompete i vostri giuramenti: con la mia umile supplica non voglio farvi commettere tale peccato. Andate dove volete e il re riceverà i vostri comandi: siate pure voi i re: comandate e io ubbidirò.

PRIMO GUARDACACCIA: Siamo sudditi fedeli di re Edoardo.

ENRICO: E lo sareste ancora di Enrico se fosse sul trono su cui siede Edoardo.

PRIMO GUARDACACCIA: In nome di Dio e del re vi ordiniamo di venir con noi dalle guardie.

ENRICO: In nome di Dio conducetemi; sia obbedito al nome del vostro re; quello che Dio vuole, lo compia il vostro re; e a quello che il re vuole umilmente mi arrendo.

 

(Escono)

 

 

SCENA SECONDA - Londra. Il Palazzo

(Entrano RE EDOARDO, GLOUCESTER, CLARENCE e LADY GREY)

 

EDOARDO: Fratello Gloucester, il marito di questa dama, Sir Riccardo Grey, è stato ucciso nella battaglia di Sant'Albano e le sue terre confiscate dal vincitore: quello che chiede è di ritornare in possesso dei suoi beni e, se vogliamo essere giusti, non possiamo rifiutarglielo, perché il degno gentiluomo ha perduto la vita combattendo per la casa di York.

GLOUCESTER: Vostra Maestà farà bene ad accogliere la supplica: sarebbe disonore ricusare.

EDOARDO: Lo sarebbe davvero; ma voglio attendere alquanto.

GLOUCESTER (a parte a Clarence): Già! vedo che la dama deve concedere qualche cosa prima che il re acconsenta ad accogliere la sua umile richiesta.

CLARENCE (a parte a Gloucester): Conosce la selvaggina e non gliene sfugge il sentore.

GLOUCESTER (a parte a Clarence): Zitto!

EDOARDO: Vedova, prenderemo in considerazione la supplica: ritornate in altro momento a sentire quello che ne pensiamo.

LADY GREY: Amato sire, non posso attendere: piaccia a Vostra Maestà di decidere subito, e quello che piacerà a voi, piacerà a me.

GLOUCESTER (a parte a Clarence): Sì, vedova? allora vi assicuro che riavrete le vostre terre, se quello che piacerà a lui piacerà anche a voi. Tenete più duro o vi prenderete un bel colpo.

CLARENCE (a parte a Gloucester): Non temo per lei, se però non le capita di cadere

GLOUCESTER (a parte a Clarence): Dio non voglia, o altrimenti egli ne approfitterà.

EDOARDO: Quanti figli hai, vedova? dimmelo.

CLARENCE (a parte a Gloucester): Credo che voglia chiederle di regalargli un bambino.

GLOUCESTER (a parte a Clarence): No, che io possa essere frustato, se non sarà lui a darne due a lei.

LADY GREY: Tre, amato sire.

GLOUCESTER (a parte a Clarence): Ne avrete quattro, se farete a modo suo.

EDOARDO: Sarebbe un peccato se perdessero le terre del loro padre.

LADY GREY: Siate dunque misericordioso, venerato sire, e accogliete la mia supplica.

EDOARDO: Signori, datemi licenza; voglio mettere alla prova il senno di questa vedova.

GLOUCESTER (a parte a Clarence): Sì, la licenza è accordata, perché voi userete della vostra licenza, finché la giovinezza non si licenzi e vi dia licenza di usare le grucce.

 

(Gloucester e Clarence si ritirano in disparte)

 

EDOARDO: Ora ditemi, signora, amate i vostri LADY GREY: Sì, caramente, come amo me stessa.

EDOARDO: E non sareste disposta a fare molto pur di far loro del bene?

LADY GREY: Per far loro del bene sarei disposta a tollerare qualche male.

EDOARDO: Allora procurate di ottenere le terre di vostro marito per far loro del bene.

LADY GREY: Appunto per questo mi sono presentata a Vostra Maestà.

EDOARDO: Vi dirò io come queste terre si possono riavere.

LADY GREY: Così mi legherete di gratitudine a voi, sire.

EDOARDO: Che servizio sei disposta a rendermi se te le ridò?

LADY GREY: Quello che comandate, purché stia in me di farlo.

EDOARDO: Ma tu farai obiezione al favore che intendo domandare.

LADY GREY: No, mio buon sovrano, tranne che non sia cosa che io non possa fare.

EDOARDO: Ma tu puoi fare quello che voglio chiederti.

LADY GREY: Ebbene, allora farò quello che Vostra Maestà domanda.

GLOUCESTER (a parte a Clarence): Egli l'incalza forte, e molta pioggia logora il marmo.

CLARENCE (a parte a Gloucester): E' rosso come fuoco: allora la cera di lei deve liquefarsi.

LADY GREY: Perché si ferma il mio signore? Non debbo sentire il compito che mi assegnate?

EDOARDO: Compito facile: si tratta solo di amare un re.

LADY GREY: E' presto fatto perché sono suddita.

EDOARDO: Ebbene, allora ti concedo senz'altro le terre di tuo marito.

LADY GREY: E io prendo licenza con l'anima piena di gratitudine.

GLOUCESTER (a parte a Clarence): Il contratto è fatto: la donna lo suggella con una riverenza.

EDOARDO: Ma fermati: è dei frutti dell'amore che intendo parlare.

LADY GREY: E io pure, mio amato sovrano.

EDOARDO: Sì, ma temo che tu prenda la cosa in altro senso. Che amore pensi che io cerchi tanto di ottenere?

LADY GREY: Il mio amore sino alla morte, i miei umili ringraziamenti, le mie preghiere: quell'amore che la virtù domanda e la virtù volentieri concede.

EDOARDO: No, in verità, non intendevo questo amore.

LADY GREY: Ebbene, allora il vostro pensiero non è quello che credevo.

EDOARDO: Ma ora in parte almeno puoi capire la mia idea.

LADY GREY: La mia idea sarà di non concedere affatto quello a cui capisco che Vostra Maestà mira, se ho indovinato giusto.

EDOARDO: A parlarti chiaro, miro a giacere con te.

LADY GREY: E a parlarvi chiaro, preferirei giacere in prigione.

EDOARDO: E allora non avrai le terre di tuo marito.

LADY GREY: Ebbene, la mia onestà sarà la mia dote, perché non le comprerei a prezzo di questa.

EDOARDO: Ma in ciò fai gran torto ai tuoi figli.

LADY GREY: E in quello Vostra Maestà fa gran torto a loro e a me. Ma, possente signore, il vostro umore allegro male si accorda con la serietà della mia richiesta; perciò vi piaccia di lasciarmi andare con un sì o con un no.

EDOARDO: Sì, se accondiscendi alla mia domanda, se no, no.

LADY GREY: Allora, no, mio signore. Della mia supplica non c'è più nulla da fare.

GLOUCESTER (a parte a Clarence): Non piace alla vedova; aggrotta la fronte.

CLARENCE (a parte a Gloucester): Il re è il più goffo corteggiatore della Cristianità.

EDOARDO (a parte): Il suo aspetto la mostra piena di pudore, le sue parole rivelano un senno incomparabile; tutte le sue perfezioni sono degne della regalità: in un modo o nell'altro è fatta per appartenere a un re; sarà la mia amante o altrimenti la mia regina. E se re Edoardo ti prendesse per sua regina?

LADY GREY: E' meglio a dirsi che a farsi, mio amato sovrano: sono una suddita con cui si può scherzare, ma del tutto indegna di un trono.

EDOARDO: Leggiadra vedova! per la mia maestà ti giuro che le mie parole corrispondono esattamente a quello che ho nell'animo; e questo è di godere il tuo amore.

LADY GREY: E questo è più di quello a cui io sia disposta ad arrendermi. So che sono troppo bassa per essere la vostra regina, ma troppo alta per essere la vostra concubina.

EDOARDO: State cavillando, donna, volevo proprio dire che intendo di farvi mia sposa.

LADY GREY: Vostra Maestà s'affliggerà che i miei figli vi chiamino padre.

EDOARDO: Non più che quando le mie figlie ti chiameranno madre. Tu sei vedova e hai dei figli; e, per la Vergine, io, che non sono che uno scapolo, ne ho degli altri: come! è assai bello essere padre di molti figli. Non dire altro, perché sarai la mia regina.

GLOUCESTER (a parte a Clarence): Il padre spirituale ha ora condotto a termine la confessione.

CLARENCE (a parte a Gloucester): Quando ha preso il camice del confessore, è stato per amor della camicia.

EDOARDO: Fratelli, voi state pensando che cosa abbiamo detto.

GLOUCESTER: Alla vedova non deve piacere, perché sembra molto seria.

EDOARDO: Vi parrebbe strano forse che le dessi marito?

CLARENCE: Chi, mio signore?

EDOARDO: Me stesso, Clarence.

GLOUCESTER: La meraviglia durerebbe dieci giorni almeno.

CLARENCE: E sarebbe un giorno di più di quello che non durino di solito le meraviglie.

GLOUCESTER: E per questo la meraviglia sarebbe grandissima.

EDOARDO: Scherzate pure, fratelli: posso dirvi intanto che ho accolto le sue suppliche per le terre del marito.

 

(Entra un Nobile)

 

NOBILE: Mio sire, Enrico, il vostro avversario, è stato preso e lo hanno condotto prigioniero alla porta del palazzo.

EDOARDO: Sia portato alla Torre; fratelli, andiamo dall'uomo che lo ha arrestato e chiediamogli come la cosa è avvenuta. Donna, venite con noi. Voi, signori, la tratterete onorevolmente.

 

(Escono tutti eccetto Gloucester)

 

GLOUCESTER: Sì, Edoardo vuol trattare le donne onorevolmente. Fosse egli consunto, midollo, ossa e tutto, e che dai suoi lombi non nascesse alcuno a defraudarmi degli aurei giorni a cui tendo lo sguardo! Eppure fra il desiderio della mia anima e me, quando pure l'autorità del lussurioso Edoardo fosse morta e sepolta, vi sono Clarence, Enrico, il suo giovane figlio Edoardo e la loro discendenza diretta che sarà Dio sa quanta, e tutti pronti a prendere il loro luogo nella successione prima che mi assicuri il mio: un pensiero che mi ghiaccia nei miei propositi. Ebbene, mi limito a sognare la sovranità, come uno che stando su un promontorio vede una spiaggia lontana su cui vorrebbe mettere il piede e desidera che il piede cammini come l'occhio, e impreca al mare che lo separa da quel luogo, proponendosi di prosciugarlo col cucchiaio per attuare il suo desiderio. Allo stesso modo voglio la corona che è lontana da me, e così impreco alle circostanze avverse e mi propongo di abbattere gli ostacoli lusingandomi di poter fare l'impossibile. L'occhio è troppo pronto e il cuore presume eccessivamente, se la mia mano e la mia forza non li uguagliano. Ebbene, supponiamo che non vi sia possibilità di regno per Riccardo: quale altro piacere può fornirmi il mondo?

troverò forse il mio paradiso in grembo a una donna, coprirò il mio corpo di gai ornamenti e affascinerò il bel sesso con le parole e con gli sguardi? o miserabile pensiero e più difficile a mettere in atto che ottenere venti corone d'oro! Già! L'amore mi abbandonò fin da quando ero in seno a mia madre e perché non m'impacciassi delle sue tenere leggi corruppe con qualche dono la fragile natura e la indusse ad atrofizzarmi il braccio come un ramo secco, a crearmi un'odiosa prominenza sul dorso dove la deformità siede a scherno del mio corpo a dar forma disuguale alle mie gambe, a sproporzionarmi in ogni parte, a far di me un ammasso caotico, un orsacchiotto mal leccato che non ha alcuna delle sembianze materne. Come potrei essere fra quelli che piacciono alle donne? Mostruoso errore nutrire un tal pensiero!

Dunque, giacché questa terra non mi offre alcuna gioia se non nel comandare, nel tenere a freno e nell'usar prepotenze a coloro che sono fatti meglio di me, sarà mio paradiso sognare il trono e per tutta la mia vita considerare il mondo come un inferno, finché il mio capo, portato dal tronco deforme, non sia circondato da una splendente corona. E tuttavia non so come ottenerla, poiché molte vite si frappongono tra me e il mio scopo: come colui che, smarritosi in un bosco spinoso, ora spezza le spine ora ne è lacerato, cerca una via di uscita e se ne svia, non sa come giungere all'aperto e lotta disperatamente per riuscirvi, così mi tormento per afferrar lo scettro d'Inghilterra e o mi libererò da questa sofferenza o mi aprirò la via con una scure insanguinata. Sicuro! so sorridere e, sorridendo, uccidere e gridare "ben fatto" per quello che mi affligge il cuore, e bagnare le guance di lacrime false e atteggiare il viso a seconda delle occasioni. Annegherò più marinai che la sirena, come il basilisco ucciderò chi mi guarda; saprò parlare come Nestore o ingannare più astutamente di Ulisse, e come Sinone potrò prendere un'altra Troia. So aggiungere colori al camaleonte e cambiar forma come Proteo, se ciò mi giova, e dar lezioni a quell'assassino di Machiavelli. Se sono capace di far questo, non saprò anche ottenere una corona? Via! la coglierò, anche se fosse assai più lontana di quel che non sia.

 

(Esce)

 

 

 

SCENA TERZA - Francia. Il Palazzo Reale

(Squillo di trombe. Entrano LUIGI RE DI FRANCIA, BONA sua sorella, il BORBONE, suo ammiraglio; il PRINCIPE EDOARDO, la REGINA MARGHERITA e il CONTE DI OXFORD. LUIGI si siede e si alza ancora)

 

LUIGI: Bella regina d'Inghilterra, nobile Margherita, siedi accanto a noi; non si confà alla tua dignità e alla tua nascita che tu stia in piedi mentre Luigi è seduto.

MARGHERITA: No, possente re di Francia, ora Margherita deve ammainare le vele e imparare a servire per un certo tempo dove i re comandano.

Ero, debbo confessarlo, regina della grande Albione in un aureo passato; ma ora la sventura ha conculcato il mio titolo e mi ha con disonore trascinata a terra, dove devo assidermi in modo conforme alle mie fortune e rassegnarmi a tale umiliazione.

LUIGI: Mia bella regina, dimmi, donde nasce questa profonda disperazione?

MARGHERITA: Da una causa che mi riempie gli occhi di lacrime e mi ferma la lingua, mentre il cuore è soffocato dagli affanni.

LUIGI: Di qualunque cosa si tratti, sii tu stessa ancora e siedi al nostro fianco. (La fa sedere presso di lui) Non porgere il collo al giogo della fortuna e lascia trionfare il tuo animo impavido su ogni disavventura. Dimmi il tuo pensiero, regina Margherita, e racconta i tuoi dolori: li allevieremo se il re di Francia può farlo.

MARGHERITA: Queste benevole parole ravvivano in me i pensieri languenti e inducono i muti dolori a scioglier la lingua. Sappi dunque, nobile Luigi, che Enrico, solo signore dei miei affetti, da re che era è divenuto un proscritto e forzato a vivere nella Scozia abbandonato da tutti, mentre l'arrogante e ambizioso Edoardo, duca di York, usurpa il titolo regio e il trono del monarca d'Inghilterra legittimamente consacrato. Questa è la ragione per cui io, povera Margherita, con questo mio figlio, principe Edoardo, erede di Enrico, sono venuta a implorare il tuo giusto e legittimo aiuto. Se ci manchi, ogni nostra speranza è finita; la Scozia vorrebbe soccorrerci ma non può; il nostro popolo e i nobili sono traviati, il tesoro confiscato, i soldati messi in fuga e, come vedi, siamo noi stessi nella più dolorosa delle situazioni.

LUIGI: Illustre regina, calma con la pazienza la tempesta dell'animo mentre noi escogitiamo il modo di dissiparla del tutto.

MARGHERITA: Quanto più indugiamo, tanto più forte diventa il nostro nemico.

LUIGI: Più indugio e più ti aiuterò.

MARGHERITA: Ma l'impazienza è l'ancella del vero dolore: ed ecco qui colui che crea il mio.

 

(Entra WARWICK)

 

LUIGI: Chi è colui che si avvicina con piglio così ardito alla nostra persona?

MARGHERITA: Il nostro conte di Warwick, il più grande amico di Edoardo.

LUIGI: Benvenuto, valoroso Warwick! che cosa ti conduce in Francia?

 

(Egli discende dal trono, ella si alza)

 

MARGHERITA: Sì, ora comincia una seconda tempesta, poiché è costui che muove a piacer suo vento e marea.

WARWICK: Vengo anzitutto a salutare la tua regale persona con spirito di amicizia e sincero amore da parte del nobile Edoardo re d'Inghilterra, mio signore e sovrano e tuo amico dichiarato; poi vengo a stabilire con te solenni rapporti di buon vicinato e infine a confermare tali rapporti con vincolo nuziale, se acconsenti a dare in matrimonio al re d'Inghilterra la virtuosa madama Bona tua leggiadra sorella.

MARGHERITA (a parte): Se ciò si compie, Enrico perde ogni speranza.

WARWICK (a Bona): E, graziosa madama, a nome del nostro re, col vostro permesso e approvazione, ho l'ordine di baciarvi la mano e rivelarvi con parole la passione che è nel cuore del mio sovrano, dove la fama, facendosi strada di recente attraverso il suo attento orecchio, ha collocato l'immagine della tua bellezza e virtù.

MARGHERITA: Re Luigi e madama Bona, sentitemi parlare prima di rispondere a Warwick. La sua domanda non viene da un amore bene inteso ed onesto di Edoardo, ma da un inganno generato dalla necessità; poiché come possono i tiranni governar sicuramente in casa loro, se non si procurano grandi alleanze all'estero? Per dimostrare che è tiranno basta il semplice fatto che Enrico vive ancora; ma anche se fosse morto ecco qui il principe Edoardo, figlio di re Enrico. Guarda perciò, Luigi, di non attirare su di te pericolo e disonore con questa alleanza e con questo matrimonio; poiché, sebbene gli usurpatori possano esercitare per un certo tratto il loro dominio, il cielo è giusto e il tempo punisce i torti da loro commessi.

WARWICK: Che offese son queste, Margherita?

PRINCIPE: E perché non regina?

WARWICK: Perché tuo padre Enrico ha usurpato il trono, e tu non sei principe più di quanto ella sia regina.

OXFORD: Allora Warwick sopprime il grande Giovanni di Gand che sottomise la maggior parte della Spagna; e dopo Giovanni di Gand, Enrico Quarto, la cui saggezza fu di specchio ai più savi; e dopo quel prudente principe, Enrico Quinto, che da prode conquistò tutta la Francia: da costoro il nostro Enrico discende in linea retta.

WARWICK: Oxford, come accade che in questo discorso che sembra correre così liscio, non avete detto come mai Enrico Sesto perdette tutto quello che Enrico Quinto aveva conquistato? Forse questi pari di Francia ne sorriderebbero. Ma, per quanto riguarda il resto, ci esponete un albero genealogico di sessantadue anni, ben poco tempo perché un regno cada in prescrizione.

OXFORD: Come, Warwick! puoi parlare contro il tuo sovrano a cui hai obbedito per trentasei anni, senza rivelare il tuo tradimento con un solo rossore?

WARWICK: E Oxford che ha sempre sostenuto le ragioni della giustizia, può ora difendere la falsità con un albero genealogico? Vergogna!

lascia Enrico e da' a Edoardo il titolo di re.

OXFORD: Chiamare mio re colui che, con ingiusta condanna, fece mettere a morte mio fratello maggiore, lord Aubrey Vere e peggio ancora mio padre nel declino della maturità, quando la natura già lo conduceva alla soglia della morte? No, Warwick, no, finché la mia vita sosterrà questo braccio, questo braccio sosterrà la casa di Lancaster.

WARWICK: Ed il mio la casa di York.

LUIGI: Regina Margherita, principe Edoardo e Oxford, favorite, a nostra richiesta, allontanarvi alquanto mentre m'intrattengo ulteriormente con Warwick.

 

(Si ritirano in disparte)

 

MARGHERITA: Voglia il cielo che le parole di Warwick non lo incantino.

LUIGI: Ora, Warwick, dimmi proprio in coscienza: è Edoardo il vostro vero re? poiché sono riluttante a legarmi con uno che non sia stato eletto secondo la legge.

WARWICK: A ciò impegno il mio credito e il mio onore.

LUIGI: E il popolo lo vede di buon occhio?

WARWICK: Tanto più in quanto Enrico non è stato fortunato.

LUIGI: E ancora, rimossa ogni simulazione, dimmi con tutta sincerità la misura del suo amore per nostra sorella Bona.

WARWICK: L'ama come si addice a un monarca come lui: io medesimo l'ho udito dire e giurare spesso che questo suo amore era una pianta perenne con le radici nel terreno della virtù, le foglie e i frutti mantenuti in vita dal sole della bellezza, esente da rancore, ma tale da dar luogo allo sdegno se Bona non ricambiasse la sua passione.

LUIGI: Ora, sorella, di' qual è la tua ferma decisione.

BONA: Il vostro consenso o il vostro rifiuto saranno anche miei. (A Warwick) Eppure confesso che molte volte prima di oggi, quando ho sentito parlare dei meriti del vostro re, il mio orecchio inclinava il mio discernimento alla simpatia.

LUIGI: E allora, Warwick, così decido: mia sorella sarà sposa di Edoardo e subito si redigerà il contratto della controdote che il vostro re le darà in misura pari alla dote. Avvicinatevi, regina Margherita, affinché voi pure testimoniate che Bona andrà sposa a Edoardo.

PRINCIPE: A Edoardo, ma non al re d'Inghilterra.

MARGHERITA: Warwick ingannatore! E' stato tuo accorgimento di rendere vana la mia supplica con questo matrimonio: prima che tu venissi, Luigi era amico di Enrico.

LUIGI: E ancora lo è di lui e di Margherita: ma se il vostro titolo alla corona è debole come il successo di Edoardo dimostra è giusto che io sia sciolto dall'impegno di darvi aiuto che avevo contratto poco fa; tuttavia godrete da parte mia tutta la benevolenza che la vostra condizione richiede e che la mia posizione può darvi.

WARWICK: Enrico ora vive nella Scozia a suo agio dove, nulla avendo, nulla può perdere, e quanto a voi stessa, già nostra regina, avete un padre capace di mantenervi, e meglio sarebbe importunare lui anziché il re di Francia.

MARGHERITA: Zitto, impudente e svergognato Warwick, zitto, tu che fai e disfi i re; non mi moverò di qua sinché con le parole e con le lacrime piene di verità non faccia capire al re Luigi le tue frodi astute e il falso amore del tuo signore, poiché siete tutti e due della stessa razza.

 

(Un Corriere suona il corno all'interno)

 

LUIGI: Warwick, questa è qualche lettera per noi o per te.

 

(Entra un Corriere)

 

CORRIERE: Mio signor ambasciatore, queste lettere sono per voi e sono mandate da vostro fratello il marchese Montague: queste altre sono per Vostra Maestà da parte del nostro re, e queste, madama, sono per voi, da parte di chi, non so.

 

(Leggono le lettere)

 

OXFORD: Mi piace assai di vedere che la nostra bella regina e signora sorride per le notizie, e Warwick si rannuvola per le sue.

PRINCIPE: Sì: osservate come Luigi batte i piedi in terra, come se fosse irritato: spero che tutto vada per il meglio.

LUIGI: Warwick, che notizie hai ricevuto? e voi, bella regina?

MARGHERITA: Le mie, tali da riempirmi il cuore di gioia insperata.

WARWICK: Le mie piene di dolore e scontento.

LUIGI: Come! il tuo re ha sposato lady Grey; e ora per secondare il tuo inganno e il suo mi manda una lettera per persuadermi e pazientare? E questa l'alleanza che cerca colla Francia? E osa schernirci in questo modo?

MARGHERITA: L'avevo già detto a Vostra Maestà: questo dimostra l'amore di Edoardo e l'onestà di Warwick.

WARWICK: Re Luigi, dichiaro solennemente pel cielo che mi vede e per la speranza che ho della beatitudine celeste, che sono innocente di questa mala azione di Edoardo. Egli non è più il mio re poiché mi disonora così; e capirebbe di aver disonorato quanto mai se stesso, se avesse consapevolezza della sua infamia. Come mai ho potuto dimenticare che mio padre incontrò morte prematura per opera della casa di York? Come sono passato sopra all'offesa fatta a mia nipote? è mai possibile che io l'abbia aiutato a cingere la corona reale e a privare Enrico dei diritti che gli spettavano per nascita? E tutto per ricevere alla fine infamia in compenso? Infamia a lui! poiché quello che merito è onore e, per recuperare l'onore che ho perduto per lui, da questo momento lo abbandono e ritorno a Enrico. Mia nobile regina, dimentichiamo i passati rancori e d'ora innanzi sarò tuo servo fedele.

Vendicherò il torto fatto a madama Bona e ridarò ad Enrico la primitiva maestà.

MARGHERITA: Warwick, queste parole hanno cambiato il mio odio in affetto; perdono e dimentico del tutto le tue antiche colpe e godo che tu sia divenuto amico di re Enrico.

WARWICK: Lo sono divenuto tanto e così sinceramente che, se re Luigi acconsente a fornirci alcune poche truppe scelte, m'impegno a sbarcarle sulla nostra costa e a rimuovere con le armi il tiranno dal trono. Non è la sua novella sposa che lo soccorrerà; e, quanto a Clarence, come mi dicono queste lettere, è facile che si stacchi da lui, poiché Edoardo è stato spinto alle nozze dall'appetito e non dall'onore né dal desiderio di rafforzare e garantire il nostro paese.

BONA: Caro fratello, quale modo migliore di vendicare Bona che aiutare quest'infelice regina?

MARGHERITA: Famoso principe, come vivrà il povero Enrico se tu non lo salvi dall'orrenda disperazione!

BONA: La mia causa e quella della regina d'Inghilterra sono una sola.

WARWICK: E la mia, leggiadra madama Bona, s'unisce alla vostra.

LUIGI: E la mia con la sua, con la tua e con quella di Margherita:

sono finalmente e fermamente deciso a darvi aiuto.

MARGHERITA: Ringrazio umilmente per tutti.

LUIGI: Allora, messo del re d'Inghilterra, ritorna al più presto e di' al falso Edoardo, tuo supposto re, che Luigi di Francia sta mandando un corteo mascherato a far festa con lui e con la novella sposa. Hai sentito quello che si è detto qui ora, va' e spaventa il tuo sovrano con quanto hai saputo.

BONA: Digli che spero che diventi presto vedovo e che porterò una ghirlanda di salice per amor suo.

MARGHERITA: Digli che ho messo da parte gli abiti da lutto e sono pronta a indossare l'armatura, WARWICK: E da parte mia digli che mi ha fatto torto, e che perciò lo priverò della corona prima che molto tempo sia passato. Eccoti la ricompensa: vattene.

 

(Esce il Corriere)

 

LUIGI: Warwick, tu e Oxford passerete il mare con cinquemila uomini e darete battaglia al falso Edoardo e, al momento propizio, questa nobile regina e il principe seguiranno con nuovi rinforzi. Ma prima che tu vada, chiariscimi un dubbio: che pegno mi dai della tua sicura fede?

WARWICK: Questo vi assicura della mia sicura fede: se la nostra regina e questo giovane principe acconsentono, unirò a lui coi santi vincoli del matrimonio la mia figlia primogenita che è tutta la mia gioia.

MARGHERITA: Sì, acconsento e vi ringrazio per questa offerta. Figlio mio, la fanciulla è bella e virtuosa, perciò non esitare: da' la mano a Warwick e con la mano l'irrevocabile promessa che solo la figlia di Warwick sarà tua.

PRINCIPE: Sì, l'accetto, perché ne è ben degna; ed ecco qui la mano per impegnare la mia fede.

 

(Dà la mano a Warwick)

 

LUIGI: Perché indugiamo? siano subito arruolati questi soldati e tu, monsignor di Borbone, nostro ammiraglio supremo, li trasporterai con la flotta reale. Mi par mill'anni che Edoardo sia rovesciato dalla guerra per avere chiesto a scherno la mano di una dama francese.

 

(Escono tutti tranne Warwick)

 

WARWICK: Venni da parte di Edoardo come ambasciatore, ma ritorno come suo nemico mortale e giurato: mi aveva incaricato di nozze, e risponderò con una terribile guerra. Non aveva nessun altro da fare suo zimbello? e allora nessun altro che me volgerà il suo scherzo in dolore. Sono stato io il principale strumento per innalzarlo alla corona e sarò il principale strumento per tirarlo giù: non perché commiseri la triste sorte di Enrico, ma perché voglio vendicarmi della beffa di Edoardo.

 

(Esce)

 

 

 

ATTO QUARTO

 

SCENA PRIMA - Londra. Il Palazzo

(Entrano GLOUCESTER, CLARENCE, SOMERSET e MONTAGUE)

 

GLOUCESTER: Ora dimmi, fratello Clarence, che cosa pensi di questo recente matrimonio con lady Grey? Non ha nostro fratello fatto una degna scelta?

CLARENCE: Ahimè, c'è molto di qui alla Francia; come poteva aspettare finché Warwick ritornasse?

SOMERSET: Miei signori, finitela di parlar così; ecco qua il re che viene.

GLOUCESTER: E la sua sposa, scelta così opportunamente.

CLARENCE: Voglio dirgli chiaramente il mio pensiero.

 

(Squillo di trombe. Entra RE EDOARDO con Persone del seguito; LADY GREY in qualità di Regina; PEMBROKE, STAFFORD, HASTINGS e altri)

 

EDOARDO: Che dici della mia scelta, fratello Clarence che te ne stai così meditabondo come fossi quasi malcontento?

CLARENCE: Quello che ne dicono Luigi di Francia o il conte di Warwick che sono così deboli per coraggio e giudizio da non offendersi per questo nostro affronto.

EDOARDO: E anche se si offendessero senza ragione, non sono altro che Luigi e Warwick; io sono Edoardo re vostro e di Warwick, e debbo poter fare a modo mio.

GLOUCESTER: E farete a modo vostro, perché siete nostro sovrano:

eppure i matrimoni affrettati raramente fanno buona riuscita.

EDOARDO: Davvero, fratello Riccardo, siete offeso voi pure?

GLOUCESTER: Io no; Dio non voglia che io desideri di veder separati coloro che Egli ha uniti; sì, e sarebbe peccato disgiungere coniugi che sembrano proprio fatti l'uno per l'altro.

EDOARDO: Lasciando da parte i vostri scherni e la vostra avversione, ditemi perché lady Grey non avrebbe dovuto divenire mia moglie e regina d'Inghilterra. E anche voi, Somerset e Montague, ditemi liberamente quello che pensate.

CLARENCE: Questa allora è la mia opinione: che re Luigi diventa vostro nemico perché vi siete burlato di lui a proposito del matrimonio con madama Bona.

GLOUCESTER: E Warwick., seguendo i vostri ordini, si trova ora disonorato da quest'altro matrimonio.

EDOARDO: E se tanto Luigi quanto Warwick potessero essere pacificati da un qualche accorgimento che sapessi escogitare?

MONTAGUE: Eppure l'unirvi alla Francia con tali nozze avrebbe rafforzato la nostra monarchia contro tempeste esterne più che qualsiasi altro matrimonio combinato in patria.

HASTINGS: Come! non sa Montague che l'Inghilterra è sicura in se stessa, se è fedele a se medesima?

MONTAGUE: Ma tanto più sicura, quanto più è sostenuta dalla Francia.

HASTINGS: E' meglio servirsi che fidarsi della Francia. Lasciamoci sostenere da Dio e dai mari che ci ha dati per difesa inespugnabile e difendiamoci soltanto col loro aiuto: in essi e in noi medesimi sta tutta la nostra salvezza.

CLARENCE: Per questo solo discorso lord Hastings merita di sposare l'erede di lord Hungerford.

EDOARDO: Sì, ma che avete da dire? E' stato per mia volontà e concessione, e per una volta tanto la mia volontà sia legge.

GLOUCESTER: Eppure mi sembra che Vostra Maestà non abbia fatto bene a dare la figlia ed erede di lord Scales al fratello della vostra amata sposa: sarebbe stata più adatta per me o per Clarence; ma nella vostra sposa seppellite ogni senso fraterno.

CLARENCE: Altrimenti non avreste unita l'erede di lord Bonville col figlio di vostra moglie, lasciando che i vostri fratelli si aggiustassero altrove.

EDOARDO: Ahimè, povero Clarence! è perché non hai moglie che sei malcontento? Te la troverò io.

CLARENCE: Nello scegliervene una per voi avete offerto la misura del vostro discernimento; e poiché si è dimostrato molto superficiale, datemi licenza di essere il mezzano dl me stesso; e a questo scopo intendo di lasciarvi presto.

EDOARDO: Va' o resta: Edoardo sarà sempre re e non si lascerà legare dalla volontà di suo fratello.

ELISABETTA: Miei signori, se volete rendermi giustizia, dovete riconoscere che prima che piacesse a Sua Maestà di elevarmi alla corona reale, non ero di ignobile origine; e gente più bassa di me ha avuto la stessa fortuna. Ma come questo titolo onora me e i miei, così la vostra antipatia, mentre vorrei riuscirvi gradita, offusca la mia gioia col pensiero del pericolo e del dolore.

EDOARDO: Mia cara, desisti dal lusingare il loro malumore: che dolore o pericolo può capitarti finché Edoardo è tuo costante amico e loro sovrano cui essi debbono obbedire? e obbediranno me e ameranno te se non cercano deliberatamente il mio odio; se lo faranno, penserò io a difenderti ed essi sentiranno la vendetta della mia collera.

GLOUCESTER (a parte): Sento e non parlo, ma tanto più intensamente medito.

 

(Entra un Corriere)

 

EDOARDO: Ora, messo, che lettere o che notizie ci porti dalla Francia?

CORRIERE: Mio sire, niente lettere; solo poche parole ma tali che senza il vostro speciale perdono non oso riferirle.

EDOARDO: Certo, ti perdoniamo; perciò in breve ripetimi le loro parole con tutta la precisione di cui sei capace. Che risposta dà re Luigi alle nostre lettere?

CORRIERE: Queste furono le sue precise parole al momento della mia partenza: "Di' al falso Edoardo, tuo supposto re, che Luigi re di Francia sta mandando un corteo mascherato a far festa con lui e con la novella sposa".

EDOARDO: Luigi è così coraggioso? forse crede che io sia Enrico. Ma che ha detto madama Bona per il mio matrimonio?

CORRIERE: Queste furono le sue parole proferite con pacato disdegno:

"Digli che con la speranza che diventi presto vedovo porterò una corona di salice per amor suo".

EDOARDO: Non la biasimo: non poteva dir di meno, poiché le è stato fatto torto, ma che ha detto la regina di Enrico? perché ho sentito dire che era colà.

CORRIERE: "Digli - mi ha detto - che smetto i miei abiti da lutto e sono pronta ad indossare l'armatura".

EDOARDO: Forse vuol far la parte dell'amazzone. Ma che cosa ha detto Warwick sentendo queste offese?

CORRIERE: Più infuriato di tutti gli altri contro Vostra Maestà mi ha congedato con queste parole: "Digli da parte mia che mi ha fatto torto e che perciò gli toglierò la corona prima che sia passato molto tempo".

EDOARDO: Ah, il traditore! ha osato lasciarsi sfuggire parole così orgogliose? Bene, essendo stato messo sull'avviso, mi armerò: avranno guerra e pagheranno cara la loro presunzione. Ma dimmi, è Warwick ora in buoni rapporti con Margherita?

CORRIERE: Sì, grazioso sovrano; essi sono uniti di tanta amicizia che il giovane principe Edoardo sposa la figlia di Warwick.

CLARENCE: Forse la primogenita; Clarence avrà la più giovane. E ora, fratello re, addio e cerca di star saldo sul trono poiché me ne andrò di qua a sposare l'altra figlia di Warwick, per riuscire non inferiore a te in matrimonio sebbene io non porti la corona. Chi ama me e Warwick mi segua.

 

(Clarence esce e Somerset lo segue)

 

GLOUCESTER (a parte): E io no: i miei pensieri mirano più in alto:

rimango non per amore di Edoardo ma per amore della corona.

EDOARDO: Clarence e Somerset se ne sono andati da Warwick; debbo armarmi contro il peggio che può accadere e la rapidità è necessaria in questo caso disperato. Pembroke e Stafford, andate per conto mio ad arruolare uomini e a fare preparativi per la guerra; i nemici sono già sbarcati o lo saranno tra poco: io stesso vi seguirò subito in persona. (Escono Pembroke e Stafford) Ma prima ch'io vada, chiaritemi un dubbio, Hastings e Montague. Voi due più che tutti gli altri siete vicini a Warwick per sangue e affinità: ditemi se amate Warwick più di me. Se è così andate entrambi da lui; vi preferisco nemici aperti anziché falsi amici: ma se intendete di mantenervi fedeli datemene garanzia con un giuramento di amicizia, perch'io non abbia mai a sospettare di voi.

MONTAGUE: Iddio aiuti Montague secondo che egli vi sarà fedele!

HASTINGS: E Hastings secondo che egli favorirà la causa di Edoardo.

EDOARDO: E voi, fratello Riccardo, starete dalla nostra parte?

GLOUCESTER: Sì, a dispetto di tutto quello che vi può contrastare.

EDOARDO: Davvero? Allora sono sicuro della vittoria. Andiamocene di qua e non perdiamo tempo sinché non abbiamo incontrato Warwick col suo esercito straniero.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA SECONDA - Una pianura nel Warwickshire

(Entrano WARWICK e OXFORD con Soldati francesi)

 

WARWICK: Ve l'assicuro, mio signore: tutto va bene; il popolo accorre a noi in folla.

 

(Entrano CLARENCE e SOMERSET)

 

Ecco qui Somerset e Clarence che giungono. Dite subito, miei signori, siamo tutti amici?

CLARENCE: Non temete, signore.

WARWICK: Allora, gentile Clarence, benvenuto per Warwick e benvenuto, Somerset: ritengo viltà nutrire sfiducia quando un nobile cuore mi porge la mano aperta in segno di affetto, altrimenti potrei pensare che Clarence, fratello di Edoardo, non sia che un finto sostenitore della nostra impresa: ma benvenuto, caro Clarence; mia figlia sarà tua. E ora che ci resta se non sorprendere e fare prigioniero tuo fratello col favore della notte mentre è negligentemente accampato, i suoi soldati dispersi in città e poche guardie soltanto vigilano intorno a lui? I nostri informatori credono assai facile l'impresa:

come Ulisse e il gagliardo Diomede con astuzia e forza si avvicinarono furtivamente alle tende di Reso e ne rapirono i fatali destrieri traci, così noi coprendoci col nero manto della notte possiamo, prima di essere scorti, abbattere la guardia di Edoardo e far lui prigioniero; non dico di ucciderlo perché intendo soltanto di sorprenderlo. Quelli che vogliono seguirmi in questo tentativo, acclamino col vostro condottiero al nome di Enrico. (Tutti gridano "Enrico!") Procediamo ora silenziosamente. Per Warwick e i suoi amici, Dio e San Giorgio!

 

(Escono)

 

 

 

SCENA TERZA - Il campo di Edoardo vicino a Warwick

(Escono tre Guardie a vigilare la tenda del Re)

 

PRIMA GUARDIA: Venite, messeri, ognuno al suo posto: il re sta già certo dormendo.

SECONDA GUARDIA: Come! non va a letto?

PRIMA GUARDIA: No, ha fatto un giuramento solenne di non giacere in letto e riposarsi, sinché Warwick o lui stesso non sia perito.

SECONDA GUARDIA: Probabilmente allora sarà domani, se Warwick è così vicino come si dice.

TERZA GUARDIA: Ma ditemi, per favore, chi è il nobile che riposa col re nella tenda?

PRIMA GUARDIA: E' lord Hastings, l'intimo amico del re.

TERZA GUARDIA: On, davvero? ma perché il re ha dato ordine che i suoi principali seguaci alloggino nelle città all'intorno, mentre egli si tiene all'addiaccio?

SECONDA GUARDIA: Tanto maggiore è l'onore quanto più grande è il pericolo.

TERZA GUARDIA: Sì, ma a me date dignità e quiete e le preferisco a un onore pieno di pericoli. Se Warwick sapesse in che situazione si trova il re, non c'è da dubitare che verrebbe a svegliarlo.

PRIMA GUARDIA: A meno che le nostre alabarde non gli impedissero il passo.

SECONDA GUARDIA: Sì, e per quale altra ragione facciamo la guardia alla tenda reale se non per difendere la sua persona dai nemici notturni?

 

(Entrano WARWICK, CLARENCE, OXFORD, SOMERSET e Soldati)

 

WARWICK: Questa è la sua tenda e vedete dove sono le guardie.

Coraggio, messeri, ora o mai è il momento di farci onore! Seguitemi, ed Edoardo cadrà nelle nostre mani.

PRIMA GUARDIA: Chi va là?

SECONDA GUARDIA: Ferma, o sei morto.

 

(Warwick e gli altri gridano "Warwick, Warwick!" e attaccano la Guardia. I Soldati fuggono gridando "All'armi, all'armi", Warwick e gli altri seguono. Con suono di tamburi e di trombe rientrano WARWICK, SOMERSET e gli altri che portano RE EDOARDO, che indossa una vestaglia, seduto su una sedia. Il Duca di GLOUCESTER e HASTINGS fuggono attraverso il palcoscenico)

 

SOMERSET: Chi sono quelli che fuggono così?

WARWICK: Riccardo e Hastings: lasciateli andare, il duca è qui.

EDOARDO: Il duca! quando ci lasciammo, Warwick, mi chiamavi re.

WARWICK: Sì, ma la cosa non è più la stessa: quando mi disonoraste nella mia ambasciata, a mia volta vi considerai deposto e vengo ora a crearvi duca di York. Ahimè! come potreste governare un regno voi che non sapete usare gli ambasciatori, contentarvi di una sola moglie, trattare fraternamente i fratelli, né fare il bene del vostro popolo, né difendervi dai nemici?

EDOARDO: Fratello Clarence, anche tu qui? Allora vedo proprio che Edoardo è finito. Tuttavia, Warwick, a dispetto di ogni disavventura, di te e dei tuoi complici, Edoardo si comporterà sempre da re; per quanto l'avversità della fortuna possa rovesciare la mia autorità, il mio animo è al di là del giro della sua ruota.

WARWICK: E allora Edoardo sia sovrano soltanto nella sua mente. (Gli toglie la corona) Ma Enrico ora porterà la corona d'Inghilterra e sarà re di fatto, e tu non sarai che un'ombra. Monsignore di Somerset, a mia richiesta curate che il duca Edoardo sia tosto condotto da mio fratello l'arcivescovo di York. Dopo aver combattuto con Pembroke e coi suoi compagni vi seguirò e vi dirò che risposta gli mandano Luigi e madama Bona. E arrivederci fra non molto, buon duca di York.

EDOARDO: A quel che il fato impone l'uomo deve inchinarsi: non giova resistere alla forza del vento e della marea.

 

(Viene condotto via a forza)

 

OXFORD: Che cosa ci resta da fare ora, miei signori, se non marciare coi soldati alla volta di Londra?

WARWICK: Sì, questa è la prima cosa che dobbiamo fare: liberare Enrico dalla prigionia e assiderlo sul trono reale.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA QUARTA - Londra. Il Palazzo

(Entrano la REGINA ELISABETTA e RIVERS)

 

RIVERS: Madama, che vi fa cambiare improvvisamente idea?

ELISABETTA: Come, fratello Rivers, non sapete ancora la sventura che ha da poco colpito re Edoardo?

RIVERS: Che mai! ha perduto una battaglia campale contro Warwick?

ELISABETTA: No; ha perduto la sua reale persona.

RIVERS: Allora il sovrano è ucciso?

ELISABETTA: Sì, quasi ucciso, poiché tradito dall'infedeltà delle sue guardie o improvvisamente sorpreso dal nemico, è stato fatto prigioniero: e come ho saputo è stato affidato all'arcivescovo di York, fratello dell'implacabile Warwick, e perciò nostro nemico.

RIVERS: Queste notizie, lo confesso ,sono assai dolorose; eppure, graziosa signora, sopportatele quanto meglio potete: Warwick che ora è vittorioso un giorno potrà essere vinto.

ELISABETTA: Sino a quel momento debbo sostenermi in vita con la speranza, e divezzarmi dalla disperazione per amore del figlio di Edoardo che porto in grembo: questo è ciò che in me frena la collera e mi fa sopportare con spirito sottomesso l'avversa fortuna: per questo inghiotto tante lagrime e trattengo i sospiri che mi suggono il sangue; per non guastare o annegare con essi il frutto dell'amore di Edoardo e vero erede della corona inglese.

RIVERS: Ma, madama, dov'è andato Warwick?

ELISABETTA: Mi si informa che sta venendo verso Londra per mettere ancora una volta la corona sul capo di Enrico. Indovina il resto; gli amici di re Edoardo saranno rovinati: ma, per sfuggire alla violenza del tiranno - poiché non c'è da fidarsi di chi ha già mancato alla parola - mi recherò senz'altro in un luogo d'asilo, ove metterò in salvo almeno i diritti dell'erede di Edoardo: là sarò sicura dalla violenza e dalla frode. Suvvia, fuggiamo finché è possibile: se Warwick ci prende la nostra morte è certa.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA QUINTA - Un parco vicino al Castello di Middleham nel Yorkshire

(Entrano GLOUCESTER, HASTINGS, SIR GUGLIELMO STANLEY e altri)

 

GLOUCESTER: Ora, lord Hastings e sir Guglielmo Stanley, non stupitevi se vi ho condotto nel più folto boschetto del parco. La cosa sta così.

Sapete che il re mio fratello è qui prigioniero dell'arcivescovo, presso il quale gode buon trattamento e grande libertà, e spesso, accompagnato da poche guardie viene a caccia da queste parti per divertirsi. L'ho segretamente avvertito che, se a quest'ora viene qui col pretesto di cacciare secondo il solito, troverà amici con cavalli e uomini per liberarlo dalla prigionia.

 

(Entra RE EDOARDO con un Cacciatore)

 

CACCIATORE: Di qui, signore, perché la selvaggina è da questa parte.

EDOARDO: No, da quest'altra: guarda dove stanno i cacciatori. Fratello Gloucester, Hastings e voialtri siete qui in segreto per rubare daini all'arcivescovo?

GLOUCESTER: Fratello, il momento e la circostanza richiedono che si faccia presto. Un cavallo è pronto per voi all'angolo del parco.

EDOARDO: Ma dove andremo in seguito?

HASTINGS: A Lynn, mio signore; e di là ci imbarcheremo per le Fiandre.

GLOUCESTER: Ben pensato, credetemi: così volevo dire anch'io.

EDOARDO: Stanley, ricompenserò la tua sollecitudine.

GLOUCESTER: Ma perché ci fermiamo qui? non è tempo da chiacchiere.

EDOARDO: Cacciatore, che dici? vuoi venire con noi ?

CACCIATORE: Meglio far questo che rimanere ed essere impiccato.

GLOUCESTER: Allora seguici e basta con le parole.

EDOARDO: Addio arcivescovo: difenditi dal risentimento di Warwick e prega Dio che io possa tornare in possesso della corona.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA SESTA - Londra. La Torre

(Squillo di trombe. Entrano RE ENRICO, CLARENCE, WARWICK, SOMERSET, il giovane RICHMOND, OXFORD, MONTAGUE e il Luogotenente della Torre)

 

ENRICO: Messer luogotenente, giacché Dio e gli amici hanno sbalzato Edoardo dal trono reale e hanno volto la mia prigionia in libertà, la paura in speranza, il dolore in gioia, cosa ti debbo ora che sono libero?

LUOGOTENENTE: I sudditi non possono pretendere nulla dal sovrano; ma se un'umile preghiera vale qualche cosa, allora chiedo perdono a Vostra Maestà.

ENRICO: Per che ragione, luogotenente? perché mi hai trattato bene?

Sta' sicuro che compenserò la tua cortesia perché ha fatto della mia prigionia un piacere, quel piacere che gli uccelli in gabbia provano, quando, dopo molti pensieri malinconici finalmente intonando le note d'una familiare armonia, dimenticano la perdita della libertà. Ma Dio in primo luogo e poi tu, Warwick, mi avete fatto nuovamente libero e perciò ringrazio soprattutto Dio e te: Egli fu l'autore e tu lo strumento. Quindi per vincere la malignità della fortuna vivendo in umile condizione in cui il destino non possa farmi male, e perché il popolo di questa benedetta terra non abbia a soffrire per causa delle stelle che mi avversano, sebbene il mio capo continui a portare la corona, a te, Warwick, affido il governo perché la fortuna ti assista in tutti i tuoi atti.

WARWICK: Vostra Maestà ha sempre avuto fama di virtuoso e ora si acquisterà altrettanta reputazione di saggezza, poiché cerca di spiare e parare i colpi della fortuna contraria: ben pochi uomini infatti sanno secondare l'influenza delle stelle che li guidano. Eppure in una sola cosa mi permetto di biasimare Vostra Maestà, che ha scelto me quando Clarence è sul posto.

CLARENCE: No, Warwick, tu sei degno del comando: a te i cieli al tuo nascere diedero un ramoscello di ulivo e una corona di alloro, come a chi è destinato ad essere fortunato in pace e in guerra; a te quindi dono il mio libero consenso.

WARWICK: E io scelgo Clarence soltanto per Protettore.

ENRICO: Warwick e Clarence, datemi le mani che io le unisca e con esse i cuori, perché nessun dissenso ostacoli il vostro buon governo. Vi faccio entrambi Protettori dello Stato: io invece mi ritirerò a vita privata e passerò il resto dei miei giorni in devozione a penitenza dei peccati e a lode del Creatore.

WARWICK: Che cosa risponde Clarence alla volontà del suo sovrano?

CLARENCE: Che acconsente se Warwick pure acconsente, perché faccio affidamento sulla tua fortuna.

WARWICK: Allora, sebbene riluttante, debbo piegarmi. Ci uniremo come una doppia ombra del corpo di Enrico e prenderemo il suo posto: voglio dire nel portare il peso del governo mentre egli ne gode l'onore e vive in tranquillità. E ora, Clarence, è più che mai necessario che senz'altro Edoardo sia dichiarato traditore e che le terre e i beni suoi siano confiscati.

CLARENCE: E che altro ancora? Sì, che si stabilisca l'ordine della successione.

WARWICK: Ah! in questo Clarence avrà la sua parte.

ENRICO: Ma vi supplico, poiché non comando più, che una delle prime cose che farete sia di richiamare al più presto dalla Francia Margherita, vostra regina, e mio figlio Edoardo; perché, se non li vedo qui, la mia gioia per la libertà ricuperata è eclissata da dubbioso timore.

CLARENCE: Sarà fatto al più presto, sire.

ENRICO: Chi è quel giovinetto di cui sembrate prendervi tanta cura, lord Somerset?

SOMERSET: Sire, è il giovane Enrico, conte di Richmond.

ENRICO: Avvicinati, speranza dell'Inghilterra. (Gli pone la mano sul capo) Se è la verità che misteriosi poteri suggeriscono al mio profetico pensiero, questo bel ragazzo sarà la fortuna del nostro paese: ha un volto pieno di placida maestà, un capo fatto dalla natura per portare la corona, una mano destinata a reggere lo scettro e la persona atta ad onorare un giorno il trono regale. Fatene gran conto, miei signori, poiché costui vi aiuterà più di quanto io vi abbia danneggiato.

 

(Entra un Messo)

 

WARWICK: Che notizie ci porti, amico?

MESSO: Che Edoardo è fuggito dalle mani di vostro fratello e, come questi ha sentito dire, si è recato in Borgogna.

WARWICK: Sgradevoli notizie! ma come è fuggito?

MESSO: Fu rapito da Riccardo, duca di Gloucester, e da Lord Hastings che lo attendevano nascosti al margine della foresta e lo strapparono alle mani dei cacciatori dell'arcivescovo, poiché la caccia era il suo esercizio giornaliero.

WARWICK: Mio fratello è stato troppo negligente nel disimpegno del suo incarico. Ma andiamo via di qua, sire, per trovare rimedio a qualsiasi male che ci possa accadere.

 

(Escono tutti eccetto Somerset, Richmond e Oxford)

 

SOMERSET: Mio signore, questa fuga di Edoardo non mi piace affatto, perché, senza dubbio, il duca di Borgogna gli darà aiuto e ben presto avremo nuove guerre. Come la profezia fatta or ora da Enrico mi ha rallegrato il cuore, inducendomi a concepire grandi speranze del giovane Richmond, così il mio cuore nutre apprensione per quello che può capitargli in queste lotte con suo e nostro danno: perciò, lord Oxford, ad impedire il peggio, lo manderemo subito via di qua in Bretagna, finché non siano passate queste tempeste di odi civili.

OXFORD: Sì, poiché se Edoardo ritorna in possesso della corona, è facile che Richmond e tutti gli altri siano rovinati.

SOMERSET: E così sarà; egli quindi deve andare in Bretagna. Suvvia, occupiamocene subito.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA SETTIMA - Davanti a York

(Squillo di trombe. Entrano RE EDOARDO, GLOUCESTER, HASTINGS e Soldati)

 

EDOARDO: Ora, fratello Riccardo, lord Hastings e voi tutti, sino a questo punto la fortuna ha fatto ammenda e mi dice che ancora una volta scambierò il mio misero stato con la corona reale di Enrico.

Abbiamo passato e poi ripassato i mari felicemente e abbiamo portato dalla Borgogna il desiderato aiuto. Che cosa ci resta allora se non entrare nel nostro ducato, essendo giunti dall'approdo di Ravenspurgh davanti alle porte di York?

GLOUCESTER: Le porte sono chiuse. Fratello questo non mi piace; se si inciampa sulla soglia è sicuro presagio che dentro alla casa si nasconde il pericolo.

EDOARDO: Eh, via! i pronostici non debbono spaventarci ora: dobbiamo entrare con qualunque mezzo, buono o cattivo, perché gli amici accorreranno qui da noi.

HASTINGS: Sire, busserò ancora una volta per chiamar gente.

 

(Entrano sulle mura il SINDACO DI YORK e gli Anziani)

 

SINDACO: Miei signori, eravamo stati preavvisati del vostro arrivo e abbiamo chiuso le porte per nostra propria salvezza, perché dobbiamo fedeltà ad Enrico.

EDOARDO: Ma, signor sindaco, se Enrico è vostro re, Edoardo è almeno duca di York.

SINDACO: Vedo, mio buon signore; per tale io vi conosco.

EDOARDO: Ebbene, non pretendo altro che il mio ducato, essendo ben contento di quello soltanto.

GLOUCESTER (a parte): Ma basta che la volpe ficchi dentro il naso e riuscirà ben presto a farsi seguire da tutto il corpo.

HASTINGS: Perché, signor sindaco, dubitate così? Aprite le porte, siamo amici di re Enrico.

SINDACO: Proprio? Allora vi saranno aperte le porte.

 

(Discende con gli Anziani)

 

GLOUCESTER: Un valoroso, saggio capitano è facile a convincersi!

HASTINGS: Quel buon vecchio vuole che tutto vada a piacer nostro, a patto di non avervi parte; ma una volta che saremo dentro la città, non ho alcun dubbio che ridurremo alla ragione lui e i suoi compagni.

 

(Entrano sotto il Sindaco e due Anziani)

 

EDOARDO: Così va bene, signor sindaco: queste porte non debbono essere chiuse che di notte e in tempo di guerra. Che! Non abbiate paura, datemi le chiavi, (prende le chiavi) perché Edoardo difenderà la città, te e tutti quegli amici che si compiaceranno di seguirlo.

 

(Marcia. Entrano MONTGOMERY e Soldati)

 

GLOUCESTER: Fratello, questo è sir Giovanni Montgomery, nostro fidato amico se non m'inganno.

EDOARDO: Benvenuto, sir Giovanni! perché venite in armi?

MONTAGUE: Per aiutare re Edoardo in tempo di bufera, come ogni suddito fedele dovrebbe fare.

EDOARDO: Grazie, buon Montgomery; ma ora vogliamo dimenticare il nostro diritto alla corona e reclamare soltanto il ducato, finché non piaccia a Dio di mandarci il resto.

MONTAGUE: Allora, addio; me ne vado di qua perché ero venuto a servire un re e non un duca. Tamburino, batti, e marciamo via.

 

(Il Tamburino comincia a battere una marcia)

 

EDOARDO: No, fermatevi per un poco, sir Giovanni, e discuteremo del mezzo più sicuro per recuperare la corona.

MONTGOMERY: Come! parlate di discutere! in poche parole, se qui non vi proclamate nostro re, vi abbandono alla fortuna, e me ne vado a tener indietro coloro che verranno a soccorrervi. Per che ragione dobbiamo combattere se non avanzate nessun diritto?

GLOUCESTER: Ebbene, fratello, perché guardate tanto pel sottile?

EDOARDO: Quando saremo divenuti più forti, dichiareremo le nostre pretese. Sino a quel momento è saggezza nascondere le nostre intenzioni.

HASTINGS: Bando agli scrupoli e agli accorgimenti ! ora comandano le armi.

GLOUCESTER: E una mente impavida sale più presto alla corona.

Fratello, vi proclameremo re senza indugio; e la voce che ne correrà richiamerà intorno a voi molti amici.

EDOARDO: Allora, sia come volete, poiché è il mio diritto, ed Enrico usurpa la corona.

MONTGOMERY: Ora il mio sovrano parla veramente da re, e ora sarò il campione di Edoardo.

HASTINGS: Suona, trombettiere! faremo qui la proclamazione di Edoardo, e tu, commilitone, leggila.

 

(Gli dà una carta. Squillo di tromba)

 

SOLDATO (legge): "Edoardo Quarto per grazia di Dio re d'Inghilterra e Francia e signore d'Irlanda eccetera".

MONTGOMERY: E chiunque nega il diritto di re Edoardo, lo sfido con questo a singolar tenzone.

 

(Getta a terra il guanto)

 

TUTTI: Evviva Edoardo Quarto!

EDOARDO: Grazie, valoroso Montgomery, e grazie a voi tutti; se la fortuna mi aiuta ricompenserò la vostra amorevolezza. Per questa notte ci fermeremo qui a York e, quando il sole del mattino alzerà il suo carro sul confine dell'orizzonte, avanzeremo contro Warwick e i suoi compagni, poiché ben so che Enrico non è un soldato. Ah! riottoso Clarence, mal ti sta di adulare Enrico e di abbandonare tuo fratello!

Eppure, come meglio potremo, verremo incontro a te e a Warwick.

Avanti, valorosi soldati: non dubitate della vittoria e, ottenuta quella, non dubitate di una generosa ricompensa.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA OTTAVA - Londra. Il Palazzo

(Squillo di trombe. Entrano RE ENRICO, WARWICK, MONTAGUE, CLARENCE, EXETER e OXFORD)

 

WARWICK: Che consiglio mi date, signori? Edoardo dal Belgio con Tedeschi impetuosi e tardi Olandesi ha passato incolume lo stretto e con le truppe marcia rapidamente verso Londra, mentre molti scimuniti accorrono sotto le sue bandiere.

ENRICO: Raccogliamo uomini e respingiamolo.

CLARENCE: Un piccolo fuoco è presto soffocato, ma per poco che sia lasciato a sé, non lo estinguono i fiumi.

WARWICK: Nel Warwickshire ho amici fidati, non turbolenti in pace ma arditi in guerra. Li raccoglierò, e tu, Clarence, genero mio, indurrai nel Suffolk, nel Norfolk e nel Kent i cavalieri e i gentiluomini a unirsi a te. Tu, fratello Montague, nel Buckinghamshire, nel Northampton e Leicestershire troverai uomini propensi a dar ascolto ai tuoi comandi; e tu, valoroso Oxford, straordinariamente amato nell'Oxfordshire, raccoglierai i tuoi seguaci. Il mio sovrano circondato dai devoti cittadini, come la nostra isola è cinta dall'oceano o come la pudica Diana è attorniata dalle ninfe, starà quieto in Londra, finché non verremo da lui. Miei signori, prendete congedo senza perder tempo a rispondere. Addio sire.

ENRICO: Addio, mio Ettore e verace speranza di Troia.

CLARENCE: In segno di fedeltà bacio la mano alla Maestà Vostra.

ENRICO: Sì, ben disposto Clarence; sii fortunato!

MONTAGUE: Coraggio, sire, vi saluto.

OXFORD: E così suggello la mia fedeltà, e vi dico addio.

ENRICO: Caro Oxford, amato Montague e tutti voi, una volta ancora addio. Abbiate fortuna!

WARWICK: Addio, diletti signori, arrivederci a Coventry.

 

(Escono tutti eccetto Re Enrico ed Exeter)

 

ENRICO: Mi fermerò alquanto al Palazzo. Cugino Exeter, che pensa Vostra Signoria? Mi sembra che le forze che Edoardo ha in campo non dovrebbero essere in grado di tener testa alle mie.

EXETER: Ma il pericolo è che egli riesca a subornare gli altri.

ENRICO: Non temo di questo; i miei meriti mi han dato fama: non ho chiuso gli orecchi alle domande di nessuno né frustrate le speranze dei postulanti con lunghi indugi; la mia commiserazione è stata balsamo alle loro ferite, la dolcezza ne ha alleviato i più grandi dolori, e la compassione ne ha asciugato i fiotti di lacrime. Non ho desiderato la ricchezza dei cittadini e non li ho gravati con grandi imposte, né sono stato pronto alla vendetta, anche quando hanno peccato assai verso di me. E allora, perché dovrebbero amare Edoardo più di me? No, Exeter, questa bontà genera bontà, e quando il leone fa festa all'agnello, questo non cessa di seguirlo.

 

(Grida interne di "Lancaster Lancaster!")

 

EXETER: Udite, udite, sire! che grida son quelle?

 

(Entrano RE EDOARDO, GLOUCESTER e Soldati)

 

EDOARDO: Arrestate il pudibondo Enrico! Portatelo via di qua e proclamateci ancora una volta re d'Inghilterra. Tu eri la sorgente che alimentava tutti i ruscelli: ora il tuo getto s'inaridisce e il mio mare li assorbe ingrossando quanto più essi diminuiscono. Conducetelo alla Torre! non lasciatelo parlare! (Escono alcuni con Re Enrico) E ora, signori, andiamo verso Coventry ove rimane l'arrogante Warwick.

Il sole è caldo; ma, se indugiamo, il freddo mordente dell'inverno distruggerà le nostre speranze di buon raccolto.

GLOUCESTER: Via, presto, prima che le sue forze si raccolgano, e cerchiamo di sorprendere all'impensata questo grande traditore:

valorosi soldati, marciamo subito verso Coventry.

 

(Escono)

 

 

 

ATTO QUINTO

 

SCENA PRIMA - Coventry

(Entrano WARWICK, il Sindaco di Coventry, due Messi e altri sulle mura)

 

WARWICK: Dov'è il corriere che è venuto da parte del prode Oxford?

Quanto lontano di qui è il tuo signore, galantuomo?

PRIMO MESSO: Deve essere a Dunsmore, in marcia a questa volta.

WARWICK: Quanto lontano è nostro fratello Montague? dov'è il corriere mandato da Montague?

SECONDO MESSO: Dovrebbe essere a Daintry con una grossa schiera.

 

(Entra SIR GIOVANNI SOMERVILLE)

 

WARWICK: Di', Somerville, che dice il mio amato genero? e, a tuo giudizio, quant'è vicino ora Clarence?

SOMERVILLE: L'ho lasciato a Southam con le sue forze e prevedo che sarà qui fra due ore.

 

(Si ode un tamburo)

 

WARWICK: Eccolo qui vicino: sento i suoi tamburi.

SOMERVILLE: Non i suoi, mio signore: Southam è da questa parte; i tamburi che Vostra Signoria sente marciano da Warwick.

WARWICK: Chi potrebbe essere? forse amici non aspettati.

SOMERVILLE: Sono prossimi e presto lo saprete.

 

(Marcia. Squillo di trombe. Entrano RE EDOARDO, GLOUCESTER e Soldati)

 

EDOARDO: Trombettiere, va' alle mura e suona a parlamento.

GLOUCESTER: Vedete come l'arcigno Warwick sta a guardia sul muro!

WARWICK: Oh, disdetta imprevista! è venuto Edoardo, il libertino?

hanno dormito i nostri informatori o sono stati comprati, cosicché non abbiamo avuto nessuna notizia del suo arrivo?

EDOARDO: Ora, Warwick, vuoi aprire le porte della città, usare un linguaggio conveniente piegare umilmente le ginocchia, chiamare Edoardo col titolo di re e chiedergli misericordia? a questi patti egli ti perdonerà tutte le offese.

WARWICK: No; vuoi tu piuttosto ritirare di qui le tue forze, confessare chi ti ha portato su e poi tirato giù, chiamare Warwick col titolo di patrono e pentirti? A questi patti resterai ancora duca di York.

GLOUCESTER: Credevo che dicesse almeno "resterai re", o ha detto una facezia senza averne l'intenzione?

WARWICK: Non è un ducato un ricco dono, messere?

GLOUCESTER: Anche troppo, quando lo dà un povero conte. Ti presterò omaggio per così bel dono.

WARWICK: Sono stato io a dare il regno a tuo fratello.

EDOARDO: Allora è mio, per dono di Warwick, se non fosse per altro.

WARWICK: Non sei Atlante da portare così gran peso, e, omiciattolo mio, Warwick si riprende il suo dono: Enrico è il mio re e Warwick il suo suddito.

EDOARDO: Ma il re di Warwick è prigioniero di Edoardo, e, prode Warwick, rispondi soltanto a questo: che cosa è il corpo quando la testa è tagliata?

GLOUCESTER: Ahimè, che imprevidente quel Warwick! mentre voleva rubare il dieci, gli hanno destramente sottratto il re dal mazzo di carte.

Avete lasciato il povero Enrico nel palazzo del vescovo, e dieci contro uno, vi ritroverete con lui nella Torre.

EDOARDO: Proprio così: ma Warwick è sempre Warwick.

GLOUCESTER: Suvvia, Warwick, cogli l'occasione: inginocchiati, inginocchiati; se non ora, quando? batti il ferro finché è caldo.

WARWICK: Preferirei mozzarmi questa mano di colpo e gettartela in faccia piuttosto che calare così la mia vela e renderti omaggio.

EDOARDO: Barcamenati come puoi e siano pure vento e marea in tuo favore: questa mano, ravvolta nei neri capelli del tuo capo appena tagliato e ancor caldo, scriverà nella polvere, col tuo sangue, queste parole: "Warwick, mutevole col vento, ora non può più mutare".

 

(Entra OXFORD con tamburi e bandiere)

 

WARWICK: O belle bandiere! ecco Oxford che giunge.

OXFORD: Oxford, Oxford, per Lancaster!

 

(Egli e le Truppe entrano nella città)

 

GLOUCESTER: Le porte sono aperte: entriamo anche noi.

EDOARDO: No, no: altri nemici potrebbero assaltarci alle spalle.

Manteniamo il nostro schieramento, perché, senza dubbio, usciranno ancora e ci sfideranno a battaglia: altrimenti, non essendo la città ben difesa, snideremo ben presto i traditori.

WARWICK: Benvenuto, Oxford, perché abbiamo bisogno del tuo aiuto.

 

(Entra MONTAGUE con bandiere e tamburi)

 

MONTAGUE: Montague, Montague, per Lancaster!

 

(Egli e le Truppe entrano nella città)

 

GLOUCESTER: Tu e tuo fratello pagherete questo tradimento col miglior sangue che avete in corpo.

EDOARDO: Quanto più forte il nemico, tanto più grande è la vittoria:

il cuore mi dice che vinceremo felicemente.

 

(Entra SOMERSET con tamburi e bandiere)

 

SOMERSET: Somerset, Somerset, per Lancaster!

 

(Egli e le Truppe entrano nella città)

 

GLOUCESTER: Due del tuo nome, entrambi duchi di Somerset, perdettero la vita per opera della casa di York; e tu sarai il terzo se questa spada non mi fallisce.

 

(Entra CLARENCE con tamburi e bandiere)

 

WARWICK: Ecco Giorgio di Clarence che si avanza rapidamente con forze sufficienti a sfidare suo fratello a battaglia: in lui un retto amore del giusto prevale sul naturale affetto fraterno! Vieni Clarence, vieni, e tu verrai se Warwick ti chiama.

CLARENCE: Suocero Warwick, sai tu che significa questo? (Togliendosi dal cappello la rosa rossa) Guarda, scaglio contro di te questo segno della mia infamia: non voglio, per rimettere Lancaster sul trono, rovinare la casa di mio padre, che diede il sangue per cementarne le pietre. Come! credi tu, Warwick, che Clarence sia così duro, insensibile e snaturato da rivolgere i mortali strumenti di guerra contro suo fratello e contro il suo legittimo re? Forse mi rinfaccerai il mio sacrosanto giuramento, ma l'osservarlo sarebbe più empio che l'atto di Jefte quando sacrificò la figlia. Sono tanto dolente per il mio trascorso che, per ben meritare di mio fratello, qui mi dichiaro tuo mortale nemico deciso, dovunque t'incontri - e ti incontrerò se esci di costà - a non darti tregua per avermi turpemente traviato. E così, orgoglioso Warwick, ti sfido, e volgo a mio fratello il viso cosparso di rossore. Perdonami, Edoardo, farò degna ammenda, e tu Riccardo, non fare il cipiglio alle mie colpe, perché d'ora in poi non sarò più incostante.

EDOARDO: Benvenuto, e dieci volte più amato che se non avessi mai meritato il nostro odio.

GLOUCESTER: Benvenuto, buon Clarence; questo è atto di fratello.

WARWICK: O arcitraditore, ingiusto e spergiuro!

EDOARDO: E ora, Warwick, vuoi lasciare la città e combattere? o dobbiamo fartene saltare le pietre intorno alla testa?

WARWICK: Sicuro! non credete che mi sia imprigionato qui per difendermi! me ne vado verso Barnet e ti sfido a battaglia, Edoardo, se osi.

EDOARDO: Sì, Warwick, Edoardo l'osa e fa strada. Signori, al campo:

San Giorgio e vittoria!

 

(Escono. Marcia. Warwick e le sue truppe li seguono)

 

 

 

SCENA SECONDA - Un campo di battaglia presso Barnet

(Allarmi e scorrerie. Entra RE EDOARDO conducendo WARWICK ferito)

 

EDOARDO: Giaci qui; morto te, muore ogni nostra paura, poiché Warwick era un orco che ci spaventava tutti. E ora, Montague, in guardia: vado in cerca di te, perché le tue ossa tengano compagnia a quelle di Warwick.

WARWICK: Ah! chi è qui? amico o nemico, dimmi se è vincitore York o Warwick. Ma perché lo chiedo? Il corpo maciullato, il sangue versato, la mancanza di forza, l'affievolirsi del cuore mostrano che debbo restituire il corpo alla terra e, con la mia morte, dare vittoria al nemico. Così cede al filo dell'ascia il cedro, sebbene le sue braccia offrissero rifugio all'aquila reale, sebbene sotto la sua ombra dormisse il feroce leone e i suoi rami più alti sovrastassero all'ampio albero di Giove, difendendo gli umili cespugli dalla violenza del vento invernale. Questi occhi, ora offuscati dal tenebroso velo della morte, erano penetranti quanto il sol di mezzogiorno a scrutare i segreti tradimenti del mondo: i solchi sulla mia fronte, ora pieni di sangue, erano spesso assomigliati a sepolcri di re; poiché qual re viveva a cui io non potessi scavare la tomba? E chi osava sorridere quando Warwick corrugava la fronte? ed ecco ora tutta la mia gloria è brutta di polvere e sangue; i miei palchi, i miei viali, i miei manieri mi abbandonano, e di tutte le mie terre nulla mi resta se non quanto è lungo il mio corpo. Ebbene! che sono il fasto, il comando, il regno, se non terra e polvere? e comunque si viva, si deve pur morire.

 

(Entrano OXFORD e SOMERSET)

 

SOMERSET: Ah, Warwick, Warwick! Se fossi come siamo noi, potremmo rifarci delle nostre perdite. La regina ha condotto dalla Francia un grande esercito, e ne abbiamo avuto notizia proprio ora. Ah, fossi tu in grado di fuggire!

WARWICK: Ebbene, non fuggirei. Ah! Montague, se sei costì, caro fratello, prendimi la mano e con le labbra trattieni ancora dentro di me l'anima mia. Tu non mi ami, altrimenti, fratello, con le lacrime laveresti il sangue raggrumato che m'incolla le labbra e non mi permette di parlare. Vieni presto, Montague, o mi troverai morto.

SOMERSET: Ah, Warwick! Montague ha esalato l'ultimo respiro e sino all'ultimo fiato ha chiamato Warwick e ha gridato: "Ricordatemi al mio prode fratello", e più avrebbe voluto dire, ma quel che diceva sonava come uno sparo in un sotterraneo in cui nulla si percepisce distintamente; però alla fine l'udii mormorare con un gemito:

"Warwick, addio!".

WARWICK: Riposi in pace l'anima sua! Voi, signori, fuggite e conservatevi. Warwick vi dice addio, e a rincontrarci in cielo.

 

(Muore)

 

OXFORD: Via via! ad incontrare il grande esercito della regina.

 

(Escono portando via il cadavere)

 

 

 

SCENA TERZA - Un'altra parte del campo

(Squillo di trombe. Entra RE EDOARDO in trionfo; CLARENCE, GLOUCESTER e altri)

 

EDOARDO: Sin qui la nostra fortuna ascende e noi ci orniamo dei serti della vittoria. Ma a mezzo del giorno luminoso discerno una nube nera, sospetta e minacciosa, che si scontrerà col nostro splendido sole, prima che giunga in occidente al suo letto ristoratore; voglio dire, miei signori, che le truppe raccolte dalla regina in Francia sono sbarcate sulla nostra costa, e come mi si informa, marciano in questa direzione per darci battaglia.

CLARENCE: Un lieve venticello presto disperderà quella nube e la respingerà colà donde è venuta: i tuoi stessi raggi faranno dileguare quei vapori, perché non ogni nube porta tempesta.

GLOUCESTER: Si calcola che le truppe della regina ammontino a trentamila uomini; inoltre Somerset e Oxford si sono uniti a lei:

siate certi che se le si dà tempo di respirare la sua parte diventerà tanto forte quanto la nostra.

EDOARDO: I nostri devoti amici ci avvertono che marciano verso Tewksbury. Noi, avendo avuto il sopravvento sul campo di Barnet, andiamo immediatamente colà, perché il buon volere accorcia la strada, e durante la marcia le nostre forze aumenteranno in ogni contea attraversata. Rullino i tamburi, gridate "Coraggio!" e avanti.

 

(Squillo di trombe. Escono)

 

 

 

SCENA QUARTA - Pianura presso Tewksbury

(Marcia. Entrano la REGINA MARGHERITA, il PRINCIPE EDOARDO, SOMERSET, OXFORD e Soldati)

 

MARGHERITA: Signori, i saggi non stanno inoperosi a lamentare le loro perdite, ma con serenità cercano rimedio ai loro mali. Che importa se l'albero è stato gettato in mare dal vento, rotta la gomena, perduta l'àncora e metà dei marinai inghiottiti dalle onde? Il pilota è ancor vivo: ma è giusto che abbandoni il timone e, come un ragazzo impaurito, aggiunga con le lacrime acqua al mare e forza a quello che ne ha già troppa, mentre al suono dei suoi gemiti s'infrange sugli scogli la nave che un'azione coraggiosa potrebbe salvare? Ah che vergogna! che colpa sarebbe questa! Dite pure che Warwick era la nostra àncora, che importa? Montague l'albero, che importa? i nostri amici massacrati i cordami: che perciò? Oxford che è qui non è un'altr'àncora? e Somerset un altro bell'albero? e i nostri amici di Francia il nostro velame e l'attrezzatura? E perché, sebbene siamo inesperti, non si concede una volta tanto al giovane Edoardo e a me l'ufficio d'un esperto pilota? Non siamo disposti a sedere piangendo, lontani dal timone: sebbene il vento violento ce ne dissuada seguiremo la rotta schivando i bassifondi e gli scogli che ci minacciano di naufragio. Con le onde tanto vale rimproverarle quanto dir loro belle parole. E che cosa è Edoardo se non un mare spietato, Clarence, un'ingannevole sabbia mobile e Riccardo un aspro scoglio micidiale?

Tutti costoro sono nemici della nostra povera navicella. Dite pure che sapete nuotare: ahimè, serve solo per poco! mettete piede sulla sabbia e v'inghiottirà prontamente, scendete sullo scoglio e la marea vi porterà via o morrete di fame; o nell'uno o nell'altro di questi tre modi incontrerete la morte. Questo vi dico, signori, per farvi comprendere che, se qualcuno di voi volesse abbandonarci, non c'è da attendere clemenza da quei tre fratelli più che dalle onde crudeli, dalle sabbie e dagli scogli. Allora coraggio! Se v'è qualcosa che non si può evitare, è debolezza puerile lagnarsene o temerla.

PRINCIPE: Una donna così valorosa ispirerebbe magnanimità nel petto di un vile che l'udisse pronunziare queste parole e gli farebbe, anche inerme, tener testa a un armato. Non parlo in questo modo perché dubiti di alcuno dei presenti, poiché se soltanto sospettassi che qualcuno teme, gli darei licenza di partire subito, perché al momento del bisogno non infettasse gli altri e non li rendesse simili a se stesso. Se ve n'è alcuno qui, il che Dio non voglia, parta prima che abbiamo bisogno del suo aiuto.

OXFORD: Così alto coraggio in donne e fanciulli! e saranno i guerrieri pusillanimi? no, sarebbe eterna infamia. O valoroso giovane principe!

il tuo famoso avo rinasce in te: possa tu vivere a lungo, rinnovando la sua immagine e ripetendo le sue glorie!

SOMERSET: E chi non vuole combattere per una tale speranza vada a casa e a letto e se si alza, sia oggetto di scherno e di meraviglia come la civetta quando compare di giorno.

MARGHERITA: Grazie, nobile Somerset; caro Oxford, grazie.

PRINCIPE: E prendetevi anche i miei ringraziamenti, di uno che non ha null'altro da darvi.

 

(Entra un Messo)

 

MESSO: Preparatevi, signori, poiché Edoardo è vicino e pronto a combattere; perciò siate risoluti.

OXFORD: Non mi aspettavo di meno, la sua tattica gli consiglia di incalzarci così per coglierci alla sprovvista.

SOMERSET: Ma egli si inganna: siamo già pronti.

MARGHERITA: Godo in cuor mio di vedervi così animosi.

OXFORD: Qui schiereremo il nostro esercito e di qui non ci moveremo.

 

(Squillo di trombe e marcia. Entrano RE EDOARDO, CLARENCE, GLOUCESTER e Soldati)

 

EDOARDO: Valorosi seguaci, laggiù è il bosco spinoso che con l'aiuto del cielo e della vostra forza deve essere sradicato prima di notte.

Non ho bisogno di aggiungere altra esca al fuoco, poiché so che voi già siete infiammati dal desiderio di arderli vivi. Date il segnale di combattimento e avanti, signori.

MARGHERITA: Signori, cavalieri e gentiluomini, quello che vorrei dire le mie lacrime lo contraddicono; ad ogni parola che proferisco debbo inghiottire l'acqua degli occhi miei. Perciò non vi dico che questo:

Enrico, vostro sovrano, è prigioniero del nemico, la sua autorità usurpata, il suo regno un luogo di macello, i sudditi uccisi, le leggi cancellate, e il tesoro dissipato; colà è il lupo che ha fatto tutta questa rovina. Voi combattete per la causa della giustizia: allora nel nome di Dio siate prodi, signori, e date il segnale del combattimento.

 

(Allarme. Ritirata. Scorrerie. Escono)

 

 

 

SCENA QUINTA - Un'altra parte del campo

(Squillo di trombe. Entrano RE EDOARDO, CLARENCE, GLOUCESTER, Soldati, con la REGINA MARGHERITA, OXFORD e SOMERSET prigionieri)

 

EDOARDO: E qui finiscono queste lotte tumultuose. Conducete subito Oxford al Castello di Hames; quanto a Somerset, sia mozza la sua testa colpevole. Andate, portateli via di qua; non voglio neanche sentirli parlare.

OXFORD: Per parte mia non vi disturberò coi discorsi.

SOMERSET: Neanch'io, ma m'inchinerò rassegnato alla mia fortuna.

 

(Escono Oxford e Somerset con le Guardie)

 

MARGHERITA: Così ci separiamo tristemente in questo mondo agitato, per ritrovarci con gioia nella beata Gerusalemme.

EDOARDO: E' stato fatto il proclama che a chi trova Edoardo daremo una grande ricompensa e al principe lasceremo salva la vita?

GLOUCESTER: Sì, ma ecco là il giovane Edoardo che viene.

 

(Entrano alcuni Soldati col PRINCIPE EDOARDO)

 

EDOARDO: Conducete qui quel valoroso: sentiamolo parlare! Come! una spina così giovane e già comincia a pungere? Edoardo, che soddisfazione mi puoi dare per aver impugnate le armi, aizzati i miei sudditi e procurati a me tanti affanni?

PRINCIPE: Parla come si conviene a un suddito, orgoglioso e ambizioso York. Fa' conto che mio padre parli per bocca mia. Abbandona il trono e sta' in ginocchio, mentre io sto in piedi e ti faccio le stesse domande alle quali vorresti che rispondessi io, traditore.

MARGHERITA: Ah, fosse stato tuo padre altrettanto risoluto!

GLOUCESTER: E allora avreste continuato a portar le sottane, senza rubare i calzoni a Lancaster.

PRINCIPE: Tenete le favole di Esopo per le notti invernali, non è questo il luogo per ringhiose facezie.

GLOUCESTER: Per Dio, ragazzaccio, ti flagellerò per queste parole.

MARGHERITA: Sì, sei nato per essere il flagello degli uomini.

GLOUCESTER: Per amor del cielo, conducete via questa prigioniera bisbetica.

PRINCIPE: No, conducete via piuttosto questo bisbetico gobbo.

EDOARDO: Zitto, ragazzaccio impertinente, o ti paralizzerò la lingua.

CLARENCE: Ragazzaccio villano, sei troppo sfacciato!

PRINCIPE: So qual è il mio dovere, mentre voi ignorate il vostro.

Lascivo Edoardo, e tu Giorgio spergiuro, e tu, deforme Ricciardetto, traditori che non siete altro, io sono al di sopra di voi tutti; tu usurpi i diritti di mio padre e i miei.

EDOARDO: Prendi questo, tu che somigli a questa linguacciuta.

 

(Lo ferisce)

 

GLOUCESTER: Dài i tratti? Prendi questo per finire più presto l'agonia.

 

(Lo colpisce)

 

CLARENCE: E prendi questo perché mi hai rinfacciato lo spergiuro.

 

(Lo colpisce)

 

MARGHERITA: Oh, uccidete anche me!

GLOUCESTER: Diamine, pronto!

 

(Fa l'atto di colpirla)

 

EDOARDO: Fermo, Riccardo, fermo! abbiamo già fatto anche troppo.

GLOUCESTER: Perché deve vivere e riempire il mondo di chiacchiere?

EDOARDO: Che mai! sviene? fatela tornare in sé.

GLOUCESTER: Clarence, scusatemi presso il re mio fratello; debbo andare a Londra per una faccenda seria: prima che arriviate là anche voi ne sentirete delle belle.

CLARENCE: Che mai, che mai?

GLOUCESTER: La Torre! La Torre!

 

(Esce)

 

MARGHERITA: Edoardo, caro Edoardo, parla a tua madre, figlio! non puoi parlare? traditori, assassini! Quelli che uccisero Cesare non sparsero sangue, non commisero colpa, non meritarono biasimo se a quel delitto si pone a fronte questo. Egli era un uomo e questi, in confronto, un bambino; e sui bambini gli uomini non sfogano la loro furia. V'è un nome peggiore di quello di assassino perché io possa usarlo? No, no; il mio cuore scoppia se parlo; ma proprio per questo parlerò, perché il mio cuore giunga a scoppiare. Beccai e furfanti! cannibali sanguinari! che soave pianta avete tagliato immaturamente! Non avete figli, macellai, altrimenti il pensiero di essi vi avrebbe mossi a pietà: ma se mai vi accadrà di avere un figlio, aspettatevi di vederlo uccidere nella giovinezza come voi, carnefici, avete spacciato questo dolce principe!

EDOARDO: Via! conducetela via a forza.

MARGHERITA: No, non portatemi via, ammazzatemi qui: in questo mio corpo caccia la spada, ti perdonerò la mia morte. Come mai! non vuoi farlo? Clarence, fallo tu.

CLARENCE: Per Dio! non voglio farti tanto favore.

MARGHERITA: Fallo, buon Clarence; sì, caro Clarence, fammi questa grazia.

CLARENCE: Non mi hai sentito giurare che non lo farò?

MARGHERITA: Sì, ma tu sei avvezzo a venir meno ai giuramenti; se prima fu peccato, ora sarebbe carità. Non vuoi proprio farlo? dov'è quel beccaio del diavolo, Riccardo il deforme? Riccardo, dove sei? non sei qui proprio davvero, perché l'assassinio è un atto di carità per te; a chi chiede sangue non dici mai di no.

EDOARDO: Via, dico! ve l'ordino, conducetela via di qua.

MARGHERITA: Così sia di voi e dei vostri quello che è stato di questo principe!

 

(Esce)

 

EDOARDO: Dov'è andato Riccardo?

CLARENCE: A Londra in tutta fretta, e, come credo, a fare una cena di sangue nella Torre.

EDOARDO: E' precipitoso se gli viene in mente un'idea. E ora allontaniamoci di qua; congedate i soldati semplici dopo averli pagati e ringraziati, e andiamo a Londra a vedere come sta la nostra amata regina: spero che frattanto abbia dato alla luce un figlio.

 

(Escono)

 

 

 

SCENA SESTA - Londra. La Torre

(Entrano sulle mura RE ENRICO, GLOUCESTER e il Luogotenente)

 

GLOUCESTER: Buon giorno, signore. Come! così intento allo studio?

ENRICO: Sì, mio buon signore: ma dovrei piuttosto dire semplicemente "mio signore"; è un peccato adulare, e chiamar te buono è adulazione:

dire buon Gloucester è lo stesso che dire buon demonio, e l'uno e l'altro è assurdità; perciò niente "mio buon signore".

GLOUCESTER: Messere, lasciateci soli: dobbiamo parlare a quattr'occhi.

 

(Esce il Luogotenente)

 

ENRICO: Così fugge il pastore negligente senza curarsi del lupo; così la pecora innocente prima dà il vello e poi la gola al coltello del beccaio. Che scena di morte deve ora recitare Roscio?

GLOUCESTER: Il sospetto perseguita sempre chi sa di esser in fallo; il ladro in ciascun cespuglio crede di vedere un birro.

ENRICO: L'uccello che è stato invischiato in un cespuglio dubita di ogni altro cespuglio che vede e si sente tremare le ali, e io padre infelice di un povero uccelletto ho ancora sott'occhio il fatale ordigno in cui il mio disgraziato piccolo è stato invischiato, preso e ucciso.

GLOUCESTER: Che gonzo scimunito fu quel tale a Creta che insegnò al figlio il comportamento di un uccello! E a dispetto delle ali l'imbecille annego.

ENRICO: Io sono Dedalo, il mio povero ragazzo Icaro; Minosse, tuo padre che non ci lasciò partire; il sole che riscaldò le ali del mio caro figlio, tuo fratello Edoardo, e tu stesso il mare, il cui abisso odioso ne inghiottì la vita. Ah! uccidimi con l'arma non con le parole. Soffrirà meno il mio petto a sentire la punta del tuo stocco, che non gli orecchi udendo quella tragica storia. Ma perché vieni?

vuoi la mia vita?

GLOUCESTER: Credi forse che io sia un boia?

ENRICO: Un persecutore sei certamente: se l'assassinare degli innocenti è opera da carnefice, ebbene allora sei un boia.

GLOUCESTER: Ho ucciso tuo figlio per la sua presunzione.

ENRICO: Se fossi stato ucciso tu la prima volta che commettesti un atto di presunzione, non saresti vissuto tanto da uccidere mio figlio.

E ora faccio questa profezia: moltissimi che non temono di dover soffrire la minima parte della mia paura, vecchi sospiranti, vedove e orfani in lacrime, uomini per i figli, mogli pei mariti e orfani pei genitori, malediranno per la morte immatura dei loro cari il giorno in cui tu nascesti. La civetta fece sentire il suo stridio di malaugurio alla tua nascita; il gufo mandò il suo rauco grido pronosticando tempi sventurati; i cani ulularono e una orrenda tempesta abbatté gli alberi; il corvo gracchiò di sul comignolo e le gazze ciarliere cantarono in tetra disarmonia. Tua madre sentì più dolore d'una madre, eppure diede alla luce meno della speranza d'una madre, poiché tu nascesti uno sgorbio imperfetto e deforme, ben diverso dal frutto che si aspettava da così bell'albero. Quando nascesti avevi già i denti per significare che venivi per azzannare tutti: e se è vero il resto che ho sentito dire, venisti...

GLOUCESTER: Non voglio sentire di più: muori profeta, a mezzo del discorso: (lo colpisce) si vede che tra l'altro ero destinato anche a questo.

ENRICO: Sì, e a molte altre uccisioni dopo questa. Dio perdoni i miei peccati e perdoni te.

 

(Muore)

 

GLOUCESTER: Come! il sangue ambizioso dei Lancaster cola al suolo? Mi aspettavo di vederlo salire. Vedete come la mia spada piange per la morte del povero re. Oh, possano coloro che desiderano la caduta della nostra casa versare di tali lacrime purpuree! Se ti resta ancora una scintilla di vita, giù giù, nell'inferno; e di' che sono stato io a mandarti, (lo colpisce ancora) io che non ho né pietà né amore né paura. In realtà è vero quello che Enrico ha detto di me, poiché ho spesso sentito dire da mia madre che venni al mondo coi piedi avanti.

E non ho avuto ragione allora di affrettarmi a cercar la rovina di coloro che usurpavano i nostri diritti? La levatrice si stupì e le donne gridarono: "Gesù ci benedica: nato coi denti" ed era vero; e questo indicava chiaramente che avrei ringhiato e morso e fatto il cane. Allora, giacché il cielo ha foggiato così il mio corpo, l'inferno mi storpiò la mente in proporzione. Non ho fratelli, non somiglio a nessun fratello; e questa parola "amore" che i barbogi chiamano divina, stia con gli uomini che si somigliano l'un l'altro e non con me: io sono soltanto me stesso. Attento, Clarence; tu mi pari la luce, ma io ti preparerò un giorno nero perché sussurrerò in giro tali profezie che Edoardo sarà in timore della vita, e io, per liberarlo dal timore, sarò la tua morte. Re Enrico e il principe suo figlio sono morti: Clarence, ora tocca a te e poi agli altri, poiché continuerò a ritenermi infimo finché non sia salito più alto di tutti.

Getterò il cadavere in un'altra stanza; tu, Enrico, trionfa pure il giorno del giudizio.

 

(Esce col cadavere)

 

 

 

SCENA SETTIMA - Londra. Il Palazzo

(Squillo di trombe. Entrano RE EDOARDO, la REGINA ELISABETTA, CLARENCE, GLOUCESTER, HASTINGS, una Nutrice col Principino e Persone del seguito)

 

EDOARDO: Ancora una volta sediamo sul trono reale d'Inghilterra, ricomprato a prezzo del sangue dei nemici: che prodi avversari abbiamo falciato nel colmo del loro orgoglio come grano autunnale! Tre duchi di Somerset, triplicemente famosi come arditi campioni di indiscusso valore; due Clifford, padre e figlio; due Northumberland, gli uomini più prodi che abbiano mai spronato corsieri al suono della tromba e con essi i due orsi poderosi, Warwick e Montague, che con le loro catene avvinsero il leone regale e col ruggito fecero tremare la foresta! Così abbiamo cacciato il sospetto dal nostro trono e ci siamo fatti della sicurezza il nostro sgabello. Avvicinati, Betta, e lasciami baciare mio figlio. Giovane Edoardo, i tuoi zii e io stesso abbiamo vegliato in armi nella notte invernale, abbiamo marciato a piedi nel caldo cocente dell'estate, perché tu possa un giorno godere la corona in pace; tu raccoglierai il frutto delle nostre fatiche.

GLOUCESTER (a parte): Rovinerò il suo raccolto se tu posassi il capo nella tomba, poiché non godo ancora alcuna considerazione al mondo.

Questa spalla è stata formata così spessa per levare pesi, e ne leverà di grossi o mi romperanno la schiena. Tu, testa, trova la via e tu mano, eseguirai.

EDOARDO: Clarence e Gloucester, amate la mia cara regina e baciate il principe vostro nipote.

CLARENCE: L'omaggio che debbo a Vostra Maestà suggello sulle labbra di questo caro fanciullo.

ELISABETTA: Grazie, nobile Clarence; degno fratello, grazie.

GLOUCESTER: L'amoroso bacio che do al frutto sia testimonio dell'amore che ho per l'albero da cui è venuto. (A parte) A dir la verità, così Giuda baciò il Maestro e gridò "salve" mentre invece intendeva di fargli ogni sorta di male.

EDOARDO: Ora sono assiso sul trono come brama il mio cuore, godendo della pace del mio paese e dell'amore dei miei fratelli.

CLARENCE: Che cosa vuole Vostra Maestà si faccia di Margherita?

Renato, suo padre, ha impegnato presso il re di Francia il regno delle due Sicilie e di Gerusalemme e qui ha mandato il denaro del riscatto.

EDOARDO: Se ne vada: conducetela Francia. E ora non ci resta che passare allegramente il tempo in maestose feste trionfali e lieti spettacoli teatrali, gli spassi più graditi in corte. Sonate, trombe e tamburi! Addio amari affanni! poiché qui, spero, comincia la nostra durevole gioia.