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Arabesco e grottesco in Edgar Allan Poe (1809 -
1949)
brano tratto da Filosofia della composizione di E.A.Poe
[…] Io preferisco cominciare studiando un effetto. Tenendo sempre d’occhio l’originalità (perché tradisce se stesso chi si azzarda a privarsi di una fonte di interesse tanto ovvia e tanto facile a raggiungersi), io mi dico, in primo luogo: “Degli innumerevoli effetti, o impressioni, di cui è suscettibile il cuore, o l’intelletto, o più genericamente la mente, quale mi conviene scegliere in questo caso?”. Una volta scelto un effetto che sia anzitutto inedito, e poi intenso, rifletto se possa meglio indurlo un episodio o un registro; se sia meglio introdurre episodi correnti e un registro, invece, singolare, o il contrario, o cercare una singolarità tanto dell’episodio quanto del registro. A questo punto mi guardo intorno, o meglio mi guardo dentro, cercando le combinazioni di episodi e di registro che meglio possano aiutarmi a costruire quell’effetto.
Mi è capitato spesso di pensare quanto sarebbe interessante il saggio di uno scrittore che volesse (che sapesse, cioè) raccontare nei particolari, passo per passo, i processi attraverso i quali ha portato a termine un suo testo qualsiasi. Perché nessuno abbia mai dato alla luce un saggio del genere non riesco a capirlo. Probabilmente di questa omissione è responsabile, più di qualsiasi altra ragione, la vanità d’autore. La maggior parte degli scrittori, e in particolare i poeti, preferiscono dare a intendere di comporre in una sorta di splendida frenesia, o intuizione estatica. E rabbrividirebbero all’idea di lasciare che il pubblico sbirci, fra le quinte, le crudezze elaborate e vacillanti del pensiero; il senso acchiappato all’ultimo momento, le idee baluginate mille volte senza mai arrivare alla maturità della visione piena; le fantasie maturate invece appieno, ma scartate nella disperazione davanti alla loro inservibilità; le selezioni attente, i cauti rifiuti; le dolorose cancellature, le interpolazioni. In una parola, le ruote e gli ingranaggi; i macchinari per i cambiamenti di scena; le scale a pioli, le botole; le penne del pavone, il cerone rosso e i neri nei che novantanove volte su cento costituiscono il bagaglio
dell’histrio letterario.
Mi rendo conto, d’altra parte, come sia tutt’altro che consueto il caso di uno scrittore perfettamente in grado di ripercorrere i passi che lo hanno condotto al suo punto d’arrivo. Generalmente le invenzioni insorgono alla rinfusa, e alla rinfusa vengono inseguite e dimenticate.
Per conto mio non solo non simpatizzo con la ripugnanza di cui ho parlato, ma non ho mai avuto la minima difficoltà a rievocare mentalmente, uno dopo l’altro, gli stadi nella composizione di un mio testo. E dal momento che l’interesse di un’analisi o di una ricostruzione come quella che ho indicato come un
desideratum è totalmente indipendente dall’interesse specifico, reale o presunto che sia, dell’oggetto in analisi, non si potrà prendere per una mia infrazione alla decenza la dimostrazione del
modus operandi nel mettere insieme uno dei miei lavori. Scelgo Il
Corvo, perché è il più universalmente noto. Il mio progetto consiste nel far vedere che non un solo passaggio nel corso della composizione de
Il Corvo può essere ricondotto al caso o all’intuizione; e come il lavoro sia venuto progredendo passo per passo, fino a concludersi con la precisione e le implicazioni rigorose di un problema matematico.
Lasciamo andare, in quanto irrilevanti rispetto al poemetto per se, le circostanze (diciamo pure, la necessità) che hanno dato spunto al progetto di comporre un poemetto che incontrasse al tempo stesso il gusto dei critici e quello del vasto pubblico.
Cominciamo dunque da questo progetto.
Il primo oggetto dalla mia riflessione è stata la
lunghezza. Se un’opera letteraria di qualunque tipo è troppo lunga perché la si
legga in una seduta sola, dobbiamo rassegnarci a fare a meno dell’effetto, di
enorme importanza, legato all’unità di impressione. Perché, se occorrono due
sedute, fra l’una e l’altra si frappongono le vicende del mondo, e ogni parvenza
di totalità ne viene immediatamente distrutta […].
Ecco, quindi, il Poe illuminista che sostiene fermamente l’esistenza di un modus operandi
nella composizione dei suoi testi. Eppure c’è qualcosa che emerge dalle prime righe del testo in esame: ”A questo punto mi guardo intorno, o meglio mi guardo dentro, cercando le combinazioni di episodi e di registro che meglio possano aiutarmi a costruire quell’effetto.”
La costruzione dell’effetto è evidentemente ragionata, realizzata con criterio, ma lo scrittore cercava altro e lo cercava in altri luoghi: mente, anima, cuore.
E’ importante chiarire che Poe non condusse la vita tipica dello scrittore illuminista quanto quella dello scrittore decadente; Baudelaire stesso affermò che un modello al quale tutti i decadenti dovevano rifarsi era proprio E.A. Poe il primo fra i
poets maudit, il
primo ad aver utilizzato veramente il simbolismo come tecnica letteraria e non
solo. Poe scovava le paure insite nei più remoti meandri dell’animo umano
rendendole quasi reali e trasformandole in strumento per dare spiegazione del
reale, aspetto, fra l’altro, tipicamente illuminista.
Un percorso di lettura potrebbe essere tracciato partendo da Il pozzo e il pendolo, Lo scarabeo d'oro, Il corvo, Eureka. Questi testi sono molto differenti gli uni dagli altri ed è proprio questa differenza a incuriosire anche il lettore meno attento. Tra queste opere non è solo il genere letterario a cambiare, ma bensì lo stile e gli intenti dello scrittore.
Il pozzo e il pendolo lo si potrebbe definire il tipico racconto "alla Poe": breve, ricco di suspance, che attinge continuamente dalle paure del lettore; è la situazione in cui si trova il protagonista, o meglio il suo stato mentale, a generare nel lettore un senso d'ansia quasi palpabile.
Il pendolo rappresenta tutte le insicurezze e le paure di una vita e ... spetta al lettore giudicare.
Con Lo scarabeo d'oro Poe utilizza un linguaggio più tecnico, il sistema di decodificazione del messaggio cifrato è realmente utilizzabile ed è proprio questo a rendere scientificamente interessante la lettura. Il racconto è sicuramente un giallo e va a porsi in quella moltitudine di testi ai quali gli studiosi moderni hanno dato il nome di racconti dell'arabesco. Discostandosi così dal racconto del terrore, Poe analizza una realtà logica e deduttiva (illuminista) nella quale l'anima e i sensi sono sopraffatti dalla razionalità e dove l'imprevedibilità di ogni azione è in realtà palesata continuamente dall'enorme esperienza dimostrata dal protagonista.
A tutto c'è una spiegazione, sostiene Poe, ma spiegarsi The Pit and the pendulum o The premature Burial non è semplice se si pensa di ricorrere solo alla razionalità e, questo, Poe lo sapeva benissimo. Giocare con le paure umane razionalizzandone alcune e lasciando all'intuizione del lettore le altre era ciò che a Poe riusciva meglio e se ne Il corvo i sensi prendono il sopravvento sulla ragione in Eureka accade proprio il contrario, Forse citare Eureka può sembrare un po' azzardato essendo quest'ultimo un discorso tenuto da Poe, non una produzione quindi pensata per suscitare una reazione nel pubblico, l'effetto di cui tanto scrive Poe nella sua Filosofia della composizione, ma è comunque un aspetto differente del pensiero di uno scrittore che ha creato un genere del tutto nuovo nel mondo della letteratura.
Andrea Neri
Redazione di
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