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La leggenda del castello Nero

di Igino Ugo Tarchetti

Non so se le memorie che io sto per scrivere possano avere interesse per altri che per me, -- le scrivo ad ogni modo per me. Esse si riferiscono pressoché tutte ad un avvenimento pieno di mistero e di terrore, nel quale non sarà possibile a molti rintracciare il filo di un fatto, o desumere una conseguenza, o trovare una ragione qualunque. Io solo il potrò, io attore e vittima a un tempo. Incominciato in quell’età in cui la mente è suscettibile delle allucinazioni più strane e più paurose, continuato, interrotto e ripreso dopo un intervallo di quasi venti anni, circondato di tutte le parvenze dei sogni, compiuti, -- se così si può dire d’una cosa che non ebbe principio evidente -- in una terra che non era la mia e alla quale mi avevano attratto delle tradizioni piene di superstizioni e di tenebre, io non posso considerare questo avvenimento imperscrutabile della mia vita che come un enigma insolvibile, come l’ombra di un fatto, come una rivelazione incompleta, ma eloquente d’un’esistenza trascorsa. Erano fatti, od erano visioni? L’uno e l’altro -- né l’uno né l’altro forse. Nell’abisso che ha inghiottito il passato non vi sono più fatti od idee, vi è il passato: i grandi caratteri delle cose si sono distrutti come le cose, e le idee si sono modificate con esse -- la verità è nell’istante -- il passato e l’avvenire sono due tenebre che ci avviluppano da tutte le parti, e in mezzo alle quali noi trasciniamo, appoggiandoci al presente che ci accompagna e che viene con noi, come distaccato dal tempo, il viaggio doloroso della vita. Ma abbiamo noi avuta una vita antecedente? Abbiamo previssuto in altro tempo, con altro cuore e sotto un altro destino, alla esistenza dell’oggi? Vi fu un’epoca nel tempo, nella quale abbiamo abitato quei luoghi che ora ignoriamo, amato quegli esseri che la morte ha rapito da anni, vissuto fra quelle persone di cui vediamo oggi le opere, o cerchiamo la memoria nelle storie o nell’oscurità delle tradizioni? Mistero! E nondimeno... sì, io ho sentito spesso qualche cosa che mi parlava d’un’esistenza trascorsa, qualche cosa di oscuro, di confuso, è vero, ma di lontano, di infinitamente lontano. Vi sono delle rimembranze nella mia mente che non possono essere contenute in questo limite angusto della mia vita, per giungere alla cui origine io devo risalire la curva degli anni, risalire molto lontano… due o tre secoli… Anche prima d’oggi mi era avvenuto più volte ne’ miei viaggi di arrestarmi in una campagna e di esclamare: «Ma io ho veduto già questo sito, io sono già stato qui altre volte!… questi campi, questa valle, questo orizzonte io li conosco!» E chi non ha esclamato talora, parendogli di ravvisare in qualche persona delle sembianze già note: «Quell’uomo l’ho già veduto: dove? quando? chi è egli? non lo so, ma per fermo noi ci siamo veduti altre volte, noi ci conosciamo!»