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Il signor dottorino

di Emilio de Marchi

Dottorino era chiamato dalla gente dei dintorni or sono molti anni un giovane medico d'uno di que' paesi, studioso e valente, ma ancor piú stimato per la nobiltà del suo carattere e per l’affabilità del suo tratto.

[...]

Il dottorino tornava verso casa, ma fosse la sera che gli piacesse, colle pallide luci e col molle spirare della brezza, o fossero i pensieri che gli facessero ingombro, si appoggiò a un muricciuolo che difendeva la strada in un punto solitario e fissò lo sguardo alla villa Pliniana, sulla riva opposta, che spiccava come una macchia bianca di calce nel nero bigio del ceppo e nel verdone dei boschi. Ma egli non pensava a Plinio e nemmeno al fenomeno della fontana intermittente e nemmeno alle fresche ombre e alle cascate che stillano piú che da mill'anni da que' classici tufi.
Un altro giorno forse si sarebbe smarrito alla contemplazione delle ninfe e delle naiadi che insieme alle belle di Roma avevano popolato la deserta riva, care ai naviganti; ma quella sera tutta quanta la gentilezza dei pensieri si raccoglieva sull'immagine unica di Severina, che egli aveva veduto pochi istanti prima e della quale gli titillava ancora nelle orecchie il dolcissimo “buona sera!”

[...]

Ma perché Severina salutasse lui tutte le sere e sorridsse al suo passaggio, perché ieri avesse scosso un fazzoletto, perché oggi avesse lasciato cadere un garofano rosso dal davanzale sulla via, erano problemi che invano cercava risolvere a memoria fissando l'occhio nell'ombra.
Egli esitava a pronunziare un giudizio che fosse troppo acerbo, perché que' sorrisi e quelle grazie gli erano, dopo tutto, carissime; gli pareva anzi che un po' di franca audacia non dicesse male a una bellezza cosí solitaria; oppure s'ingegnava di supporre in lei un'anima fanciullescamente inesperta, che sconoscendo le vecchie regole del decoro sociale, si abbandonava senza rimorso alla libera manifestazione d'un sentimento vergine, tal quale veniva da natura; oppure essa era la vittima di una ferrea disciplina, condannata forse dal rigore paterno a vita serrata fra le quattro pareti, tra i libri, il pennello e il piano, ma senza un'ora di follia giovanile su per i prati, senza un'ora di conversazione con un uomo di mondo.