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La città del Sole

di Tommaso Campanella

Si cantano inni d'amore e di sapienza e virtù. Si piglia ognuno quella che più ama, e fanno alcuni balli sotto li chiostri, bellissimi. Le donne portano li capelli lunghi, inghirlandati ed uniti in un groppo in mezzo la testa con una treccia. Gli uomini solo un cerro, un velo e berrettino. Usano cappelli in campagna, in casa berrette bianche o rosse o varie, secondo l'offizio ed arte che fanno, e gli officiali più grandi e pompose.
Tutte le cose loro son quattro principali, cioè quando entra il sole in Ariete, in Cancro, in Libra, il Capricorno; e fanno gran rappresentazioni belle e dotte; ed in ogni congiunzione ed opposizione di luna fanno certe feste. E nelli giorni che fondaro la città e quando ebbero vittoria, fanno il medesimo con musica di voci feminine e con trombe e tamburi ed artiglierie; e li poeti cantano le laudi delli più virtuosi. Ma chi dice bugia in laude è punito; non si può dir poeta chi finge menzogna tra loro; e questa licenza dicono che è ruina del mondo, che toglie il premio alle virtù e lo dona altrui per paura o adulazione.
Non si fa statua a nullo, se non dopo che more; ma, vivendo, si scrive nel libro delli eroi chi ha trovato arti nove o secreti d'importanza, o fatto gran benefizio in guerra o pace al publico.
Non si atterrano li corpi morti, ma si bruggiano per levar la peste e per convertirsi in fuoco, cosa tanto nobile e viva, che vien dal sole ed a lui torna, e per non restar sospetto d'idolatria. Restano pitture solo o statue di grand'uomini, e quelle che mirano le donne formose, che s'applicano all'uso della razza.
Tengono per cosa certa l'immortalità dell'anima, e che s'accompagni, morendo, con spiriti buoni o rei, secondo il merito. Ma li luoghi delle pene e premi non l'han tanto per certi; ma assai ragionevole pare che sia il cielo e i luochi sotterranei. Stanno anche molto curiosi di sapere se queste sono eterne o no. Di più son certi che vi siano angeli buoni e tristi, come avviene tra gli uomini, ma quel che sarà di loro aspettano avviso dal cielo. Stanno in dubbio se ci siano altri mondi fuori di questo, ma stimano pazzia dir che non ci sia niente, perché il niente né dentro né fuori del mondo è, e Dio, infinito ente, non comporta il niente seco.
Fanno metafisici princìpi delle cose l'ente, ch'è Dio, e 'l niente, ch'è il mancamento dell'essere, come condizione senza cui nulla si fa: perché non se faria si fosse, dunque non era quel che si fa. Dal correre al niente nasce il male e 'l peccato; però il peccatore si dice annichilarsi e il peccato ha causa deficiente, non efficiente. La deficienza è il medesimo che mancanza, cioè o di potere o di sapere o di volere, e in questo ultimo metteno il peccato. Perché chi può e sa ben fare, deve volere, perché la volontà nasce da loro, ma non ~e contra~. Qui ti stupisci ch'adorano Dio in Trinitate, dicendo ch'è somma Possanza, da cui procede somma Sapienza, e d'essi entrambi, sommo Amore. Ma non conosceno le persone distinte e nominate al modo nostro, perché non ebbero revelazione, ma sanno ch'in Dio ci è processione e relazione di sé a sé; e così tutte cose compongono di possanza, sapienza ed amore, in quanto han l'essere; d'impotenza, insipienza e disamore, in quanto pendeno dal non essere.