La
scala
di Massimo Canetta
Era stanco. Camminava senza guardare dove
metteva i piedi.
Come
tutte le sere, dopo l’ufficio, quella camminata avrebbe dovuto aiutarlo a
scaricare le tensioni accumulate durante la giornata e, invece, come tutte le
sere, si ritrovava a maledire se stesso per non aver preso la
macchina.
Il
suo sguardo vagava tra un cartellone pubblicitario e l’altro, senza capire ciò
che vi era scritto: forse era proprio quello che volevano i “creativi”, si
diceva spesso.
Improvvisamente
il suo sguardo fu dirottato verso un edificio, apparentemente senza attrattive
particolari, uguale agli altri che lo circondavano, in quel quartiere popolare
di tante case tutte dello stesso colore e con i cancelli
arrugginiti.
Non
sapeva perché fosse attratto da quell’edificio però sentiva il desiderio
irrefrenabile di visitarne l’interno. Si chiese se per caso facesse parte di
qualche suo ricordo ormai sepolto sotto la polvere degli anni ma non gli venne
in mente nulla. Decise di entrare.
Mentre
stava per varcare il portone vide una finestra aperta al piano rialzato. Guardò
all’interno e vide una stanza in disordine, polverosa, con molti oggetti sparsi
sul pavimento. Notò un quadro antico con ritratto un volto familiare, appoggiato
malamente ad un divano.
“Ma
quello è mio nonno!” - esclamò Max perplesso.
Guardò
nuovamente la facciata del palazzo ma quella costruzione non gli ricordava
assolutamente nulla. Cosa ci facesse un ritratto di suo nonno in
quell’appartamento, proprio non riusciva a capirlo.
Entrò
e salì gli scalini che portavano al piano rialzato.
Si
fermò davanti alla porta dell’appartamento e suonò il campanello, curioso di
scoprire la provenienza di quel quadro.
Non
rispose nessuno.
Provò
ad entrare ma la porta era chiusa a chiave. Mentre stava per andarsene vide un
oggetto luccicare nel portaombrelli accanto alla porta; guardò meglio e notò un
mazzo di chiavi.
Ecco
come entrare. Prese le chiavi e le inserì nella serratura. Ci fu lo scatto, la
chiave era quella giusta.
Aprì
la porta e gli apparve la stanza che aveva scorto dalla finestra: mobili,
quadri, lampade, sedie ed altri oggetti ammucchiati per terra, alla
rinfusa.
Cercò
il quadro ma non riuscì a vederlo: notò solo un dipinto che raffigurava un
vecchio con uno strano cappello ma, indubbiamente, non era il ritratto di suo
nonno. La stanchezza l’aveva certamente ingannato.
Cominciò
a sentirsi un intruso, poteva essere scambiato per un ladro.
Uscì
dalla stanza, chiuse con le chiavi e le rimise nel portaombrelli, dove le aveva
trovate.
Sospirò,
ormai libero dalla tensione per la paura di essere
sorpreso.
Ritornò
sulla strada che l’avrebbe ricondotto a casa ma, d’un tratto, si rese conto di
non avere più la valigetta con i documenti dell’ufficio.
L’appartamento:
sicuramente l’aveva appoggiata nell’appartamento, maledizione. Doveva tornare
indietro e aprire di nuovo quella porta, tornare ad essere un intruso, con la
possibilità che lo sorprendessero là dentro.
Tornò
sui suoi passi, entrò nuovamente dal portone, salì gli scalini e giunse sul
pianerottolo. Prese le chiavi dal portaombrelli e fece scattare la serratura.
Aprì
la porta e vide subito la valigetta accanto al divano. Era sudato come se avesse
corso per chilometri.
Prese
la valigetta ed uscì velocemente.
Chiuse
a chiave, rimise il mazzo nel portaombrelli ed uscì di corsa dal portone. Giunto
sulla strada controllò di non aver combinato qualche altro pasticcio. C’era
tutto. Trasse un sospiro di sollievo e s’incamminò vero
casa.
Giunse
finalmente davanti alla porta del proprio appartamento, prese le chiavi ma non
riuscì ad inserirle nella serratura. Le guardò: erano di quell’appartamento
maledetto.
Probabilmente
si era confuso e aveva messo in tasca quelle chiavi poi aveva preso le proprie e
le aveva riposte nel portaombrelli.
Quell’appartamento
lo stava perseguitando.
Tornò
indietro, superò il portone, salì gli scalini e guardò immediatamente nel
portaombrelli: le sue chiavi erano lì.
Le
prese e le sostituì con le altre. Stava per andarsene quando udì delle voci
all’interno dell’appartamento. Incuriosito, accostò l’orecchio alla
porta.
All’interno
due persone stavano discutendo animatamente e da ciò che dicevano Max capì che
stavano aspettando qualcuno che sarebbe giunto a momenti.
Decise
di andarsene. Ne aveva abbastanza di quel posto. Mentre stava per scendere gli
scalini un uomo ed una donna, sulla sessantina, stavano entrando dal
portone.
“Buongiorno.”
“Buongiorno.”
- rispose Max dirigendosi verso il portone.
“Dove
va?”
“Prego?”
- Max li guardò perplesso.
“Sì,
erano anni che la stavamo aspettando e adesso che finalmente è qui, se ne
va?”
Max
deglutì a fatica e, in quel momento, la porta dell’appartamento si aprì:
all’interno non c’era nessuno, anche se pochi istanti prima Max aveva udito
distintamente due persone che stavano discutendo.
“Prego,
prima lei.” - disse la signora rivolta verso Max.
“No,
grazie, devo proprio andare.” - rispose.
“Ma
sta scherzando? Questa è casa sua.”.
Max
fece finta di non aver udito ed uscì dal portone. Correndo giunse fino a casa,
estrasse le chiavi ed aprì la porta. Entrò, si chiuse la porta alle spalle e si
appoggiò al muro, riprendendo fiato.
“Merda!”
- esclamò all’improvviso.
Aveva
di nuovo perso la valigetta.
L’aveva
appoggiata a terra, sul pianerottolo e, sicuramente, si era dimenticato di
riprenderla. Non aveva intenzione di tornare in quell’edificio ma non poteva
nemmeno abbandonare la valigetta con i documenti.
Tornò
in strada e in pochi minuti si ritrovò davanti al portone. Guardò verso
l’interno ma non vide nessuno. Entrò silenziosamente e notò che il pianerottolo
era spoglio: della sua valigetta nemmeno l’ombra. Salì fino alla porta
dell’appartamento.
All’interno
si sentivano chiaramente delle voci.
“Tornerà,
tornerà, ne sono certo.”.
Parlavano
di lui?
Ma
cosa volevano?
“L’ho
sempre detto che era testardo, ma qualcuno non voleva darmi retta,
vero?”.
Era
tentato di bussare ma non trovava il coraggio.
Cosa
stavano architettando quelle persone?
Poteva
anche essere pericoloso. Forse doveva andare alla Polizia. Cominciò ad avere
paura: perché avrebbero dovuto avercela proprio con lui?
Giunse
un rumore dal portone d’ingresso e Max, colto di sorpresa, si appiattì contro la
parete per evitare di essere visto. Un signore stava salendo gli scalini per
raggiungere il piano rialzato.
Max
decise di salire qualche gradino della scala che portava al primo piano, per
nascondersi meglio.
Il
signore si fermò davanti alla porta dell’appartamento ed appoggiò il cappello al
portaombrelli. Si accostò alla porta e cominciò ad origliare. Dopo qualche
secondo trasalì e corse velocemente verso l’uscita, dimenticando il cappello sul
portaombrelli.
Max
gridò: “Signore, il cappello! Ha dimenticato il
cappello.”.
“Non
può sentirla.” - disse una voce alle sue spalle.
“Chi
diavolo è lei?” - Max cercò di riprendere fiato e fulminò con lo sguardo la
persona che gli aveva rivolto la parola, spaventandolo a
morte.
“Mi
dispiace di averla spaventata,” - disse l’uomo - “volevo solo darle il benvenuto
tra noi.”.
“Senta,
mi lasci perdere perché non è la giornata giusta.” - Max era
furibondo.
“No,
non si arrabbi; noi siamo come lei, condannati a restare su questa scala, per
sempre.” - disse sconsolato il vecchio - “Anche noi abbiamo cercato di dirle che
stava dimenticando la valigetta, le chiavi, ma lei non poteva sentirci. Così
come ha fatto lei anche quel signore tornerà, si lascerà tentare, entrerà,
tornerà nuovamente e dimenticherà qualcos’altro. Questo è un trabocchetto che
dura da un’infinità di giorni, di mesi, di anni. Crollerà questo palazzo ma la
scala resterà, per sempre.”.
“Provi
a raggiungere la cima: passeranno anni, decenni senza che lei riesca mai a
raggiungere la fine. Dovrà desistere, così come abbiamo desistito tutti. Non c’è
via di scampo.”.
Max
alzò le spalle, come se questo strano signore fosse completamente
pazzo.
Alzò
una mano, come per salutarlo e fece un passo in avanti, per scendere dalla
scala, per superare gli ultimi gradini che lo separavano dal pianerottolo. D’un
tratto gli parve di essere su una scala mobile che si muovesse in senso
contrario al suo e più cercava di scendere più risaliva.
Poi
la scala si fermò bruscamente e Max cadde in avanti.
Dall’alto
della scala, dai piani più alti, risuonò una risata fragorosa. Alzò lo sguardo,
indispettito, verso la sommità della scala e notò centinaia, forse migliaia di
persone, che stavano ridendo di lui.
Cercò
di individuare l’anziano signore che aveva parlato poco prima con lui e lo
riconobbe, tra le centinaia di volti che incrociavano il suo
sguardo.
Era
l’unico tra tutti che non ridesse: una lacrima gli solcava il
viso.
“Non
mi guardi così,” - disse l’anziano signore - “non sono migliore degli altri.
Sono solo l’ultimo arrivato, anzi, il penultimo ormai, ed è per questo che provo
pena per lei: ci sono appena passato anch’io.
“Ma
stiamo scherzando?” - Max respirava a fatica e le gambe gli
tremavano.
“Purtroppo
no.” - sospirò il vecchio.
Qualche
secondo dopo risuonò un grido, agghiacciante, proveniente dalla sommità della
scala.
Alzarono
tutti la testa per vedere poi, a più riprese, tutti risero, riempiendo l’aria da
far quasi mancare il respiro.
“Cos’è
successo?” - chiese Max.
“Uno
dei piani alti ha ceduto.”.
“Cosa
vuol dire?”
“Si
è gettato verso il basso.” - rispose il vecchio chiudendo gli occhi e aprendo le
braccia come per imitare il volo di un aeroplano.
“E’
morto?” - Max guardò il vecchio che aveva ancora gli occhi
chiusi.
“Morto?”.
Quella
domanda risuonò per la scala e tutti risero nuovamente gridando in coro: “Morto!
Morto!”.
“Qui
non si può morire” - disse un ragazzo qualche gradino più in
alto.
“Non
è permesso.” - disse un altro.
“E
quello che si è buttato?” - Max cominciava a credere di essere
impazzito.
“Ricomincia
dal basso, senza luce, come noi.” - disse l’anziano signore - “Ad ogni nuovo
arrivato la scala permette di salire in altezza. Dopo qualche tempo si raggiunge
la luce e lì è un po’ meglio.”.
“Meglio?”
- Max si sedette sconsolato sul gradino.
“Sì,
meglio,” - rispose il vecchio - “nel senso che la luce fa cambiare il modo di
vedere le cose.”.
“Per
poi crollare e tentare di uccidersi, pur sapendo che è
impossibile?”.
“Sì,
credo di sì.”.
“Io
sarei l’ultimo arrivato, vero?” - Max si alzò di scatto.
“Certo.”
- rispose il vecchio.
“E
se io mi gettassi verso il basso?”.
“Non
saprei, credo che dovrebbe arretrare anche lei, ma non è possibile visto che lei
è l’ultimo.”.
“Mi
è venuta un’idea, mi ascolti...” - Max sussurrò all’orecchio del vecchio - “Io
mi butto verso il basso; essendo l’ultimo potrei anche uscire di qui. Se non mi
dovesse più vedere si getti anche lei e lo dica a quello prima di lei e così
via. Ce la faremo tutti, vedrà.”.
“Non
ne sarei così sicuro.” - rispose il vecchio.
“Proviamo,
cosa ci costa?”.
Detto
ciò Max si volse e si gettò verso il basso.
L’impatto
fu violento e appena toccò il suolo sentì un forte dolore alla
testa.
Era
buio, completamente buio.
“Mio
dio non ha funzionato. Sono caduto nel buio totale, devo avvisare gli altri.
Fermatevi, non fatelo, non buttatevi!” - urlava come un
ossesso.
Improvvisamente
il buio scomparve e Max si trovò seduto sul pavimento della sua camera da letto,
con la moglie che lo guardava, accanto all’interruttore, con un’espressione tra
il divertito e l’assonnato.
“Brutto
sogno?” - gli chiese stropicciandosi gli occhi.
“Sognavo,
eh?” - Max scoppiò a ridere, mentre con una mano si massaggiava la
testa.
Tornò
a letto e riprese, anche se a fatica, il sonno interrotto, per quelle poche ore
che lo separavano dal suono della sveglia.
Quando
giunse l’ora si sentì più stanco di quando si era coricato. Si alzò, andò in
bagno e si fece la barba, come tutte le mattine. Sorrise ripensando a quel
brutto sogno.
Fece
colazione, con la fretta di ogni mattina ed andò a svegliare la
moglie.
“Vado,
ci vediamo stasera. Poi ti racconto che diavolo di sogno ho fatto stanotte.
Pazzesco!”.
Detto
ciò prese la valigetta e come ogni mattina uscì. Chiuse a chiave la porta e
sorrise al pensiero di avere lì, a portata di mano sia le chiavi che la
valigetta.
Detto
ciò scese le scale di corsa, come ogni mattina e, improvvisamente, cominciò a
precipitare nel vuoto, in un vuoto senza fine, per sempre.