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Emilio De Marchi

 

Il cappello del prete

 

 

AVVERTENZA PREMESSA DALL'AUTORE ALLA PRIMA EDIZIONE (1888)

 

Questo non è un romanzo sperimentaletutt'altroma unromanzo d'esperimentoe come tale vuol essere preso.

Due ragioni mossero l'autore a scriverlo.

La primaper provare se sia proprio necessario andare inFrancia a prendere il romanzo detto d'appendicecon quel beneficio del sensomorale e del senso comune che ognuno sa; o se invececon un poco di buonavolontànon si possa provvedere da noi largamente e con piú giudizio aisemplici desiderî del gran pubblico.

La seconda ragionefu per esperimentare quanto di vitale edi onesto e di logico esiste in questo gran pubblico cosí spesso calunniato eproclamato come una bestia vorace che si pasce solo di incongruenzedi sozzuredi carni ignudee alla quale i giornali a centomila copie credono necessario diservire di truogolo.

L'esperimento ha dimostrato già a quest'ora le due cosecioè che anche da noi si saprebbe fare come gli altrie col tempo forse moltomeglio per noi; e poi che il signor pubblico è meno volgo di quel chel'interesse e l'ignoranza nostra s'ingegnano di fare.

Pubblicato in due giornali d'indole diversain due cittàposte quasi agli estremi d'Italia - nell'Italia di Milano e nel Corrieredi Napoli - questo Cappello del pretesenza nessuna delle solite bassetransazionima col semplice ajuto dei comuni artifici d'invenzione e dirichiamoha ottenuto piú di quanto l'autore pensasse di ottenere. I signoricentomila hanno letto di buona voglia eda quel che si dicesi sono anchecommossi e divertiti.

Dal canto suo l'autoreentrato in comunicazione di spiritocol gran pubblicosi è sentito piú di una volta attratto dalla forza potenteche emana dalla moltitudine; e piú d'una volta si è chiesto in cuor suo se nonhanno torto gli scrittori italiani di non servirsi pìú che non facciano diquesta forza naturale per rinvigorire la tisica costituzione dell'e nostra.

Si è chiesto ancora se non sia cosa utile e patriotticagiovarsi di questa forza viva che trascina i centomila al leggereper suscitarein mezzo ai' palpiti della curiosità qualche vivace idea di bellezza che ajutia sollevare gli animi.

L'arte è cosa divina; ma non è male di tanto in tantoscrivere anche per i lettori.

 

 

PARTE PRIMA

 

I

 

IL BARONE E IL PRETE

 

Il Barone Carlo Coriolano di Santafusca non credeva in Dio emeno ancora credeva nel diavolo; eper quanto buon napoletanonemmeno nellestreghe e nella iettatura.

A vent'anni voleva farsi fratema imbattutosi in un dottoscienziato franceseun certo dottor Panterreperseguitato dal governo diNapoleone III per la sua propaganda materialistica ed anarchicacolla fantasiarapida e violenta propria dei meridionalisi innamorò delle dottrine delbizzarro cospiratoreche aveva anche una testa curiosatutta ossocon dueocchiacci di falcoinsomma un terribile fascinatore.

Per qualche anno il baronedetto «u barone»lesse deilibri e prese la scienza sul serio: ma non sarebbe stato luise avesse peramore della scienza rinunciato alle belle donneal giuocoal buon vino delVesuvioe ai cari amici. Il libertino prese la mano sul frate e sul nichilistae dalla fusione di questi tre uomini uscí «u barone» unico nel suo generegran giuocatoregran fumatoregran bestemmiatore in faccia all'eterno. Nullae nello stesso tempo amabile camerataidolo delle donnecoraggioso come unnegroe a certe lune fantastico come un bramino.

Noi qui parliamo del barone della sua prima maniera quandonon aveva piú di trent'anni. Napoli allora era tutta una festa garibaldinabiancarossa e verde. Le donne abbracciavano i bei soldati nella via e alzavanoi bambini sulle bracciaperché Garibaldi li battezzasse nel nome santod'Italia. Innanzi al ritratto dell'eroe si accendevano i lumi e si appendevanocorone di fioricome davanti a San Gennaro e alla Madonna Santissima.

Santafusca prese una parte breve e brillante nelle ultimescaramucce di quel tempo e fu anche ferito alla fronte. Gliene rimase unacicatrice sopra il ciglio...ma i bei tempi erano passati.

Oggi l'uomo aveva quarantacinque anniuna gran barba neraun volto abbruciato dal sole e dai liquoriuna gran voglia di godere la vita euna miseria profonda.

Non godeva píú credito né presso gli amiciné presso iparentich'egli aveva disgustati colla sua vita dissipata e colla sua bestialeempietà.

Al frateal nichilistaal libertino si aggiungeva ora unpitocco disperatocostretto a quarantacinque anni a mendicare dieci lire allasua guardarobierase voleva pranzare e bere un cognac.

Al club avevano pubblicato il suo nome nell'albo degliinsolvibilie poiché non pagava piú i debiti del giuocotutti lo fuggivanoora come la lebbra.

Síil barone Carlo Coriolano di Santafusca si sentíveramente la lebbra addosso quel dí che il canonico amministratore del SacroMonte delle Orfanelle gli mandò a dire per l'ultima volta chese entro lasettimana non restituiva una cartella di quindicimila lireil Consigliod'Amministrazione avrebbe denunciata la cosa al Procuratore del Re.

I Santafusca per antico diritto avevano partenell'Amministrazione del Sacro Montee nella sua qualità di patrono e diconsigliere «u barone» aveva più volte pescato nelle strette del bisogno infondo alla cassa dell'istitutodando false o poco solide garanzie. Ora i gruppierano venuti al pettine.

Il canonico diceva chiaro:

- Se vostra eccellenza non rende a questa pia Casa lacartella di lire quindicimilail Consiglio sarà nella dolorosa necessità diportare il fatto davanti ai Tribunali.

Davanti ai Tribunali «u barone» non sarebbe mai andatoquesto era certo. Eravamo al lunedí santo e c'eran davanti quasi quindicigiorni alla fatale scadenza. In quindici giorni un uomo d'ingegnoche non havoglia ancora di farsi saltare le cervelladeve trovare la maniera di nonandare in prigione.

Quale prigione avrebbe potuto tenerlo dentro? O che non hapiú boschi la Calabria ed è proprio finita la razza dei briganti?

Non era la prima volta che un Santafusca aveva battuta lacampagna e un suo avolodon Nicolòera stato con Fra Diavolo sei mesi su perle rupi della Maiella ai tempi dei tempi: ma con tutto ciò il barone sentivache un uomo in quindici giorni non ha tempo neppure di diventare un brigante.

Bisognava adunque trovare qualche altro espediente piúspiccio e meno melodrammatico. Fuggire? Non era il caso di pensarciperchéquando si è poveri si viaggia maleChiedere un prestito? A chise non c'erapiú un cane che gli volesse dare un quattrino? Giocaretentar la sorte?Nessuno voleva mescolare con lui un mazzo di cartee poinon sempre chi giuocavince.

Non rimaneva che la sua villa di Santafuscalontana uncinque chilometri da Napoliche poteva fruttare ancora qualche migliaio dilirea patto però di vendere fino all'ultimo chiodoperché un terzo eraipotecato già al marchese di Vico Spianoun terzo era una rovina e l'altroterzo rappresentava un rifugioun tettoun asilo d'un povero uomo sulla terra.

Anche vendendo ciò che rimaneva di nettonon avrebbe potutoraggranellare quindicimila lire e dopo egli sarebbe rimasto un vagabondo interonudo natosenza nemmeno un guanciale per posare il capo.

Se un barone di Santafuscasi noticontava ancora perqualche cosa nel mondo e se poteva sperar dì trovare ancora un cento lire perla fame e per la setequesto creditoper quanto avariatogli proveniva daquel vecchio palazzoche imponeva ancora un certo rispetto al volgo e chesosteneva colla catena della tradizione un uomo ridotto ormai a far la parte dipulcinella.

Bisognava trovare le quindicimila lire e già eravamo giuntial giovedí santo senza alcun risultato.

Finalmente gli venne in mente prete Cirillo.

 

Chi era prete Cirillo?

Non v'era donnicciuola o pescivendola o camorrista delleSezioni di Pendino e di Mercato che non conoscesse «u prevete»che abitavanei quartieri più poveriin una soffitta chiusa in mezzo ai comignoli dellecaseove non mai scende l'occhio benedetto del solee non regna sovrano che ilvizio ed il puzzo del pesceche il popolino frigge sugli usci e nella via.

A vederlo camminare per le stradenon si sarebbe data unabuccia di arancia per quel pretuzzo tutto cappellovestito di un abitopolverososotto un mantello verdognolo e ragnoso che faceva da staccio alventocon un viso tinto proprio come il pesce fritto.

Le mani erano lunghemagrelucidecome i fusi d'ulivoconunghie piú forti degli uncini che tirano nel porto i barili e ì sacchi delmerluzzo.

Le gambetteasciutte come gli stinchi dei santiandavano afinire in due scarpe sconquassategrandi come i burchielli che fanno ilservizio di cabotaggio tra Napoli e Messina.

Prete Cirillo era un uomo pieno di denariche egli avevaradunati un poco coll'usuraprestando ai pizzicagnoliai pescivendoliaigalantini della Sezionee molto colle vincite al lotto. Si diceva che «uprevete» avesse i numeri ecoll'aiuto di certi calcoli cabalistici trovati dalui su un libro vecchiovincesse al lotto ogni volta che gli piacesse divincere. A qualcuno aveva anche regalati dei numeri buonima il negromante erageloso e non si lasciava pigliare da tutti.

 

È in casa del prete Cirillo che noi troviamo ora «ubarone»che durante le feste di Pasqua non aveva perduto il suo tempo.

«U prevete» offrí una sedia di legno colle paglie rotteandò a chiudere l'uscio ben benee tornò a sedere davanti a un tavolinoingombro di carte e di libri vecchi. Allora disse «u barone»:

- Avete pensatodon Cirillo?

- Ci ho pensato.

- E la villa l'avete veduta?

- L'ho vistaeccellenza.

- Vi piace?

- Poco mi piacema non son lontano dall'acquistarla. Vi doventimila lireeccellenza.

- Voi fareste bestemmiare un eremitadon Cirillo. S'eradetto quarantamila in principiopoi trentaora dite ventiper il sangue di...- «U barone» cominciò a sfilare bestemmie.

- Ebbene ve ne darò trenta- interruppe il prete che nonamava le brutte parole- ma voi dovete dimostrarmi che la casa è netta da ogniipoteca.

- Io vi ho giurato che essa è netta come questa mano e ungentiluomo non giura due volte.

- Un gentiluomo non ha bisogno di giurare. Bastano idocumenti.

- Voi condurrete con voi il vostro notaio.

- La villa non l'acquisto per me e nemmeno coi denari miei.Che cosa devo farne iopovero servo di Diodi una villa?

- Uhchi vi crede? si dice che avete il pagliericcio pienod'oro.

- Guardatein nome di Diose questa è la casa dei riccoEpulone.

- Si dice che voi avete i numeri del lotto.

- Anche questa è una calunnia della gente ignorante ebeffarda. Se io avessi i numerisarei riccoese fossi ricconon vivrei diuna piccola messa e sui poveri morti in mezzo a una gente che mi perseguita.

- Non è vero che voi vincete un terno o un quaterno tutte lesettimane?

- O pazienza di Dio! e voi potete credereeccellenzaaqueste favolevoi un uomo di mondo? Una volta sola per salvarmi dalle minacciedei miei nemici ho regalato dei numeri buoni che hanno vintoe da quel dí nonho più pacenemmeno sull'altare. Sífin nella chiesa sento la voce delledonne che dicono: «O pe l'ammore de Dio damme tre nummere! Fallo pe San Gennarobeneditto!».

Prete Cirillo parlava con affannocon pauracon sinceritàaprendo le dieci dita di legnotremolanti in aria.

- Io posso salvarvi da queste persecuzioni- disse ilbarone.

- Questo gennaio una masnada di camorristi mi ha sequestratoil corpo e mi ha tenuto rinchiuso in un sotterraneominacciandomi di morte ebattendomi colle catenese io non davo i numeri.

- Li avete dati?

- Ho invocato tanto la Madonna del Carmine e il divinoSpirito che mi illuminassero e mi salvassero. Li ho dati.

- Son venuti?

- Tutti.

«U barone» alzò la testa e una grande meraviglia gligonfiò gli occhi. A guardarsi intorno c'era proprio da credere d'essere nellacasa del mago.

- Fu la bontà divina che mi ha voluto salvo e non giàqualche virtú cabalisticacome crede la gente: ma da quel giorno la mia paceè morta. Le mie scale son sempre assediate di poverelli che vogliono linummeri e devo spesso rifugiarmi in luogo sacro per non essere presoun'altra voltaincatenato e torturato.

- Ebbeneio vi aiuteròdon Cirilloma voi dovete esserepiú giusto e star saldo alle quarantamila lire.

- Voi aiutate meio aiuto voieccellenza. Voi salvate medalle mani dei tristiio salvo voi... dalla prigione.

«U barone» si mosse dalla sedia e girò intorno gli occhispaventatialzando un poco un certo bastone di canna col manico d'argentoacui di tanto in tanto appoggiava la bocca.

- Non è forse vero che voi dovete per la domenica inalbis restituire una somma che non trovate piú né in cieloné in terra?

- Voi siete un padre inquisitore- mormorò il baronetorbido.

- Io dovevo prendere le mie informazioninon è giusto? Nonper questo rinuncio ad aiutarvi; anzivi dicoaiutiamoci insieme. Voi avetebisogno di quindicimila lire e io ve ne do trenta. Ve ne darei anche quarantase non avessi scoperto che c'è anche un'ipoteca del marchese di Vico Spiano.

- Ha ragione la gentevoi siete un grande strologo e ungrande cabalista- disse ridendo il baronealzando ancora un poco il suobastone.

- Dovevo prendere le mie precauzionibenedetto. E non èforse vero che vi aiuto? il palazzo non lo piglio per me e chi verrà adabitarlo dovrà spendere altrettanto per adattarlo. Certo che un piccologuadagno lo devo fare anche per amore dei poverelli che saranno i miei eredi: mail guadagno vero per me è una condizione che mi permetterà di vivere incampagnain luogo sicurolontano dalle persecuzionidove potrò pensare ancheai bisogni dell'anima mia peccatrice.

- Io son sicuro che voi farete di tutto perché anche l'animamia non vada perduta- disse il baroneraddolcendo la voce e fingendo unaimprovvisa compunzione. - Sívoi sapete che io sono rovinato e che non miresta piú che Santafuscaultima trave di un naufragio. Se voi non mi aiutateio dovrei abbruciarmi le cervella...

«U barone» trasse il fazzoletto e se lo passò tre voltesulle pupille con meraviglia grande di prete Cirilloche non aveva mai vedutopiangere nessuno. E ora quell'empiopeccatorequel maledetto bestemmiatore diDioquello sciagurato libertinosull'orlo di un precipizio nefandopregavaluipovero servo di Diodi aver pietà dell'anima sua.

Un non so che di tenero e di compassionevole risonò al disotto della fodera metallica di quell'anima avara. Raddolcendo la vocesoggiunse:

- Io vi salverò l'anima e il corpobarone di Santafuscaese potrò collocare la villa con vantaggioson uomo giusto e mi ricorderò deivostri bisogni. Ora voi lasciate subito Napoli e io porterò domani al canonicole quindicimila lire. Giovedìgiorno 4vengo alla Villa e vi porto il resto edo un addio a questa maledetta cittàche è diventata il mio inferno. Hobisogno di alcuni giorni per accomodare le cose mie e spero che Dio mi aiuteràa salvar voi e a salvar me.

- Io penso proprio che Dio benedetto vi abbia mandato sullamia strada- disse il baronefingendo ancora un'anima compunta e stracciatadal dolore. - Vi aspetto alla Villa e badate che nessuno si accorga della vostrapartenza. La gente verrebbe a perseguitarvi fino in paradiso per avere i numeri.

- Lo soho già studiato il modo dì ingannare i curiosi.

- Ma portatemi lì denariper amor di Dioperché io muoiodi fame.

- E voi pensate al notaio.

- Conoscete don Nunziante?

- Molto beneè un galantuomo.

- Lo condurrò con me e stenderemo il contratto. AddiodonCirillo.

- Che il Signore vi aiutieccellenza. A giovedí.

Prete Cirillo chiuse in fretta l'uscioperché la gente nonavesse a udire le sue combinazioni e si fregò allegramente le mani come chi sadi aver fatto un buon affare. E veramente il furbo vecchietto aveva coltivatocon malizia l'orto del diavolo. Egli ragionava cosí:

«Il barone ha bisogno di denaro e non può tirare in lungole trattative. La villa è desiderata da monsignor arcivescovoche vuolecollocarvi un seminario e un collegio teologico. Monsignor vicario era giàincaricato di parlarne al barone e l'avrebbe già fattose le funzioni dellasettimana santa non avessero impedito il degno prelato.

«La Sacra Mensa è disposta a spendere fin centomila lireperché la posizione è stupendané lontanané troppo vicina alla città epuò anche servire di villeggiatura a Sua Eminenza.

«Se arrivo a tempo a stringere il contratto prima delladomenica in albisuna volta diventato padrone dello stabile e scaricatal'ipoteca del marchese di Spianohocome si diceil coltello pel manico.Trenta e dieci fanno quarantamila lireche possonel giro di pochi giornicambiare in cento. Ne spendessi anche cinquantamilaè sempre un affareluminoso...».

Chiuso nel suo bugigattoloin mezzo allo squallore dellapiú sordida avarizial'anima rugginosa del vecchio prete mandava deglisplendori. Schiacciandosi e fregandosi i palmi delle manipensava che avrebbepotuto chiedere anche centoventimila lire all'arcivescovo e salvare per sé ildiritto di una stanza nel collegio coll'obbligo di una messa quotidianatavolacomune e pulizia di letto. Pensava ancora che al marchese poteva limitare ilcontomostrando che il barone era un uomo rovinatoe così colla scusa disalvare un'animaavrebbe potuto persuadere il canonico del Sacro Monte delleOrfanelle a contentarsi di una mezza somma e a mettere la cosa in tacere.

Prete Cirillo vedeva crescere il suo mucchio da tutte leparti e la faccia di pesce fritto pigliava nella luce giallognola della finestrauna fosforescenza di vecchia moneta d'oro. Al barone non restava che di bere odi affogare.

Tirò innanzi un grosso volumeuna «Summa theologica»in-folio del grande Aquinateche gli serviva di registro e di scatolaecominciò coll'unghie gialle a ripassare le lunghe liste dei suoi creditivedendo quali poteva esigere subitoquali girare a un pignoratario suo comparedetto Cruschellocoi quale era in vecchi rapporti d'affari.

Corse coll'occhio avidamente sulle colonne in cui eranoscritti i numeri delle sue cartellebanco di Napolirendita dello Statofondiariaferrovie meridionalitramways napoletaniecc.e in mezzo moltequietanze e boni di pegnogaranziepiccole ipotechecambialipagheròchetenevano tutto il posto d'un quaderno strappatoquello in cui il dottorAngelico parla dell'«habitus operativus». Raccolsestrinse con un legaccioquel tesoro di carte untechiuse il libro con un giro di stringa e lo nascosein un baule ferrato che teneva sotto il lettolegato con una catena al muro.

Indossò il mantellomise in capo il suo vecchio tricorno euscí colle solite precauzionidesiderando di trovarsi un'ora con Cruschello.

Della gente non prese alcuna soggezione questa volta: anzi ilvecchio cabalista era disposto a burlarsi una buona volta de' suoi persecutori.

- O don Cirilloo santo pretedammeli tre numeri e che laMadonna dei Carmine ti aiuti... - disse una vecchia spettinatache filavadavanti a un usciolino.

- Ve've' là «u prevete»e quando me date li nummeri? -gridò un acquaiolopadre di sette creature.

- Se li avessima non son certi... - rispose «u prevete».

- Dammelidammeli.

- Non m'è venuto l'oroscopo 'sta settimana. C'è Saturno incielo che ingombra il Capricorno. - Prete Cirillo rideva profondamente in sédella burla che giocava alle megere e ai prepotenti del vico. - Pure provate il12 e il 77ma debolmente giocateperché li vedo oscuri.

- Dio ti benedicaomo santo...

E il sant'uomo rideva fuggendo per le stradecol mantello alventocoi cappello svolazzante in ariapensando che prima dell'estrazione eisarebbe stato lontano un'ora da Napoli e che avrebbe vinto davvero il suo terno.Il poverino non immaginava nemmeno che sarebbe caduto in bocca al lupo.

 

II

 

LA TRAPPOLA

 

Il Barone di Santafusca pensava al modo di trarre qualcheprofitto dall'avarizia di prete Cirillocome prete Cirillo aveva saputo farecolla sua miseria.

Molti progetti gli ronzavano in capoma uno era nero inmezzo ai bigi.

Dapprima lo cacciò viama tornato un'altra volta lo guardòin faccia. Era un'idea vestita di nerocolor del prete.

Che cosa aveva detto prete Cirillo?

Che voleva partireanzi fuggire da Napoli in gransegretezza: che giovedígiorno 4sarebbe venuto alla villa col denaro intasca per stringere il contratto davanti al notaio: che non sarebbe tornato piúin Napoliperché c'era della gente che minacciava continuamente la sua vitaper avere i numeri.

Questo aveva detto il prete.

Una banda di camorristi un giorno si era impadronita dellasua personae l'uomo di Dio sarebbe stato realmente uccisose Dio e il divinoSpirito non l'aiutavano in quel momento.

Con questi elementi c'era da mettere insieme un magnificoprogettopurché non si guardasse troppo agli scrupoli e ai pregiudizi.

«U barone» sentí il bisogno di raccogliere i suoi pensierie corse a casa tutto caldo di speranze e di fantasia.

Egli abitava da alcuni anni un quartierino di poche stanze inuna casa di via Speranzella e non aveva con sé che una vecchia donnala qualeera già stata sua istitutrice nei giorni che i Santafusca contavano per qualchecosa.

Venuti i tempi della rovinadonna Maddalena si tenevaattaccata a quest'ultimo rudere di una gloriosa famiglia coll'ansia di chis'avvinghia a un duro scoglio per non affogare. Per quanto su un nudo scoglionon resti che di morire di famepure si preferisce soffrire un giorno di piúal morir subito.

Il barone non aveva avuto il coraggio di disfarsi di questapovera donna che gli teneva la casae di Salvatorel'ultimo castaldo della suavillavecchio di settant'annimalato di gambemezzo sconquassato dall'età edagli acciacchi.

Donna Maddalena e Salvatore erano tutto quanto rimanevadell'antico fasto: il resto era tutto venduto o ipotecato. Né l'unanél'altro pigliavano stipendioma vivevano entrambi meschinamente dei detritidella casa che si sfasciava sulla loro testa.

Donna Maddalenacolla sua devota bontàaveva messi tutti isuoi risparmi in mano a Don Coriolanoche giocò in una notte tutto ciò che lapovera istitutrice aveva messo in disparte in quarant'anni di vita semplice e dieconomia. Ora essa non aveva piú nulla e doveva ogni giorno supplicare il suosignore e padrone perché non la lasciasse morire di fame. Erano preghiere senzarimproverivoci rispettose e sommesseuna devozione e un amore insomma dimadre tenera verso un caro figliuolo viziato. Tutto ciò che veniva da DonCoriolano era per l'umile istitutrice bellograndedegno di lode o di perdono.

Giustizia vuole che si dica che anche il barone conservavaper la vecchia maestra un sentimento che il tempo e gli stravizi non avevano maipotuto distruggere.

La voce piangente di Maddalena aveva ancora la virtú diturbare la coscienza indurita di un uomoche ormai l'aveva chiusa a ogni altroaffetto. Un'eco dolce e pietosa era rimasta nascosta nell'edificio vecchio ecadente della sua coscienza e Maddalena sapeva di non parlare mai inutilmente.

Non era egli un tristodegno della forca- (si dimandavaspesso) - di rubare a quella povera creatura il suo denarodi lasciarla morirein casa di fame e di solitudine?

Tornato a casa dal colloquio col preteegli confrontavaquesta povera vittima che viveva di sospiricol prete che aveva il pagliericciopieno di denaro.

L'una da quarant'anni divideva il destino di una antichissimacasacadendo anch'essa a brani a brani insieme ai murinon lamentandosi mai senon quando la fame era piú forte della pazienzasollevando alta la bandieradell'onore fin che c'era fiato; e l'altroil preteinsidiavaminava fin lestesse rovine e cercava di pigliare un Santafusca per la gola.

Maddalena aveva chiusi gli occhi della sua povera mamma -pensava sempre l'uomo salendo le scale di casa - ed egli non poteva fare piúnulla per lei. Se fosse andato in prigionela povera donna sarebbe morta difame sulla via.

I Santafusca avevano nelle vene sangue di re normannidicevala cronaca. L'ultimo dei baroni poteva ben morire in odore di brigante con unapalla nella gola: ma era vergognoso che si lasciasse succhiare il sangue da unpipistrello.

Man mano che il suo pensiero girava su questo fusol'animodel barone si rinfocolava e pigliava coraggio.

Che cosa era un vil pretuzzo in suo confronto?

Il prete sarebbe venuto alla villa con molti denari e forsecolla nota di tutti i suoi tesori nascosti nel pagliericcio.

La villa era desertaSalvatore mezzo sordo e imbecille.

Per la domenica doveva restituire il denaro al Sacro Montese nomarchein prigione.

Maddalena moriva di fame.

In tutto il mondo non c'era che un cuore che gli volesse unbene sincero e disinteressatoquesto cuore di Maddalena.

La villa era in un luogo solitario e da dieci anni non vientrava quasi piú nessuno.

Erano sempre mancati i denari per restaurarla e ora se lagodevano i topi e le capreche Salvatore allevava nell'antico giardino.

A Santafusca prete Cirillo non era conosciuto da nessuno.

Nessuno si sarebbe accorto in città della sua partenza:dunquedunque...

- Se gli togli il denaroche cos'è questo scheletro umanovestito da prete? Egli non è un uomoma una sommaun sacchetto. Io salvol'onore dei miei padrisalvo me dalla prigionesalvo Maddalena dalla famepago i miei debitirendo il pane a tanti bisognosifo elemosineristabiliscola giustiziacompio una legge di natura.

Io non so dire quante volte «u barone» pensò e ripensòqueste cose durante i pochi giorni che dividevano il lunedí dal fatale giovedí4 di aprile.

Il tempo non passava maimolto piú ch'egli stette quasisempre in casanel piccolo studionel silenzio d'una casa mortasempre curvoa tessere questa lurida tela.

 

Ogni giornoogni oraquasi ogni minutosi persuadeva chenon gli restava altro rimedioe che una forza superiore lo incalzava verso ungrande avvenimentovoglio dire (ormai si capisce) tirare il prete in trappolae...

La difficoltà consisteva nel far la cosa senza passioneconistudiocon freddezza di cuore.

Egli era un uomo superiore ai pregiudizi. Se avesse credutocoll'ammazzare un uomo di commettere un delitto contro la natura o contro unpadrone suo superiore diretto od immediatonon l'avrebbe fattonon fosse peraltro che per il quieto vivere e per un certo senso di proprietà e di cortesia.

Ma egli era profondamente persuaso che l'uomo è un pugno diterrache la terra ritorna alla terra e s'impasta colla terra. La coscienza -aveva scritto il dottor Panterre - è un geroglifico scritto col gesso sopra unatavola nera. Si cancella cosí prestocome si fa. La coscienza è il lussol'eleganza dell'uomo felice. E Dio? Dio una capocchia di spillo puntato nelcuscino del cielo...

Da questo lato della coscienza «u barone» eratranquillissimo.

Se avesse creduto di dover fare la parte di Macbettoo didover perdere i sonni come il vecchio Aristodemonon si sarebbe mosso; ma nonaveva nessuna voglia di rubare il mestiere a Rossi e a Salvini.

Non c'era che un pericolo in questa faccenda - cioè dimetterci troppa precipitazione e di compromettersi in faccia al carabiniere. Lasocietà è come le donne. Non si offende d'essere tradita se non quando lo sa.Se la lasci nella sua ignoranzala donna ti vorrà bene come prima.

Bisognava operare con prudenzain modo che prete Cirillo scomparissesenza far rumorecome un sasso che tu abbandoni a fior d'acqua e che precipitamorbidamente al centro di gravità.

 

Passarono in questi pensieri il lunedíil martedí e partedel mercoledí. Il barone cominciò allora a soffrire per la troppa speculazionee si accorse di non essere troppo quieto in Napoli. Piú d'una volta sorpresesé stesso in istrada a gesticolareo con due dita aperte a un dilemma mentaleche gli inchiodava il cervelloo con una smania rabbiosa nelle gambe che lofaceva correre senza scopo in mezzo alla gente. Cominciò quasi a temere che lagente avesse a legger il suo pensiero attraverso alle rughe. Impazienteagitatocolla febbre addossoil mercoledí mattina prese la penna e buttòsulla carta queste parole:

 

«Caro mio Don Cirillo

«Son partito oggi per dare qualche ordine alla Villa. Èpartito con me anche Don Nunzianteche è già informato del contratto e trovache voi fate un affare stupendo. Pazienzaio sconto i miei peccati. Non si èparlato del parco che abbraccia piú di venti moggia. Io vi cederei anche questose avete denaro. Ma mi occorrono subitoperché il mio diavolo mi ha fattoperdere anche ieri sera. Vi aspetto domani.

La corsa parte a 1220 e voi sarete per il tocco alla Villa.

Dalla stazione pigliate il gran viale degli ulivi e vi faròtrovare aperto il cancello. Alla Villa c'è da dormire comodamente.

«A rivederci».

Alle dieci mise alla posta la letteravolendo quasiaffidare alla sorte un poco di responsabilitàe colla corsa delle 1220 partísolo per Santafusca.

 

Prete Cirillo non perdette il suo tempo.

Molte cose doveva prevedere e stabilire anche lui persottrarsi senza dar sospetto alle persecuzioni che oggi non poteva piúsopportare.

Trovato Cruschelloliquidò molti contilasciandogliguadagnare piú che non meritasse; ma dovette mostrarsi largo di mano perinvogliarlo a pagare e far presto.

Poi passò alla Cassa di Risparmio del Banco di San Giacomo eritirò molte cartelle di rendita al portatore che aveva depositate per maggiorsicurezza. Erano i frutti di una vecchia eredità e delle sue segretespeculazioni.

Poi scrisse un biglietto al suo padrone di casain cui glidiceva che per urgenti affari di famiglia doveva allontanarsi improvvisamente daNapoli. Nell'incertezza s'ei sarebbe tornatoconsegnava i denari della pigionee la chiave dell'uscio a Gennariello il ciabattinosuo nipoteche avrebberitirata la roba secondo le sue istruzioni.

Poi corse al Sacro Monte a perorare la causa del poverobarone. Trovò il segretario e gli dimostrò colle lagrime agli occhi come illibertino fosse sull'orlo di un abisso. Non bisognavacol mostrarsi troppo durie inesorabilispingere un povero cristiano alla disperazione. Egli era venutoper incarico suo a cercare una mezza conciliazione. Uno scandalo non avrebbefatto che nuocere alla buona riputazione dell'istituto.

Prete Cirillo disse tantoche persuase il Consiglio adaccettare ottomila lire una volta per sempre e a cancellare il debito del baronedi Santafusca. Pagòritirò la quietanza per quindicimila e se ne tornò lietoe trionfante.

Il primo affaruccio non era andato male.

Il giorno dopo andò in curia e fece cantare il pretecancelliere sulle intenzioni della mensa arcivescovile e sulla somma che suaeminenza era disposta a spendere per l'acquisto dei nuovi stabili.

E rimasero d'accordo cosí: don Cirillo entro la settimanaavrebbe scritto proponendo un eccellente affareche egli aveva già quasi nellamanica. Trattandosi dei bene della Chiesa e della religionenon sarebbe stato alesinare sul quattrino. Non volle dire pel momento né il luogoné il padronedel sitoe se ne andò per definire col marchese di Vico Spiano la vertenzadell'ipoteca. Non trovò il marchese in casa e lasciò una lettera. La serastessa riceveva una risposta dall'amministrazione di casa Spiano che promettevapossibili accordi.

In tutte queste faccende il tempo passò per prete Cirillomolto piú presto che non per il barone di Santafusca; e il buon servo di Dio sitrovò alla mattina del giovedí4 aprilequasi senza accorgersene.

Di solito usciva di casa verso le nove per recarsi a dire lamessa alla chiesa di Porto Salvo.

Quel dí uscì all'albaquando la gente è piú occupata disé nei preparativi della giornata. Uscí dai quartieri popolari e col suogrosso volume di San Tomaso sotto il bracciopieno di valoriandò verso laMarina dove sperava di non essere conosciuto. Non volendo mostrarsi al pubbliconon disse per quel dí la solita messa e andò invece a prendere una tazza dicioccolata in un caffeuccio remoto verso la Dogana.

 

Quando Gennariello ebbe aperto il suo bugigattolopreteCirillo gli consegnò la chiave e la lettera dicendo:

- Terrai la chiave fino al mio ritorno e porterai questalettera a don Ciccio Scuottoil «paglietta»che abita presso la chiesa diSan Giovanni a Mare. Io devo accompagnare un gran mortoun senatorefino alcimitero di Mianodove lo portano a seppellire nella tomba di famigliae nonvoglio portare la chiave in tasca.

- Volete che vi pulisca le scarpezio Cirillo?

- Síper rispetto al morto.

- Vi darò anche qualche puntose avete tempo.

- Ho tempo e le scarpe ridono troppo per un funerale...

Lo zio prete rise anche lui della sua idea e lasciò cheGennariello rattoppasse qualche buco.

- Io applicherò qualche intenzione in suffragio della tuapovera mammaGennariello.

- Se voi mi deste due numeri buoni! Li date agli altrielasciate indietro il vostro sangue.

- Non sappiamo nemmeno noi quel che si fa e che si diceGennariello. È un'ispirazione che suggerisce.

- Oh se venisse l'ispirazione anche per me...

- Prova a giocare il 23 e il 40...

- Ditene un altrouomo benedettoe che sia benedetta laSanta Trinità.

- Mettici anche il 66. Ma non caricar troppo la postaperché i numeri hanno l’ombra del Capricorno.

Gennariello ringraziò col cuore pieno di fede e rese lescarpe del vecchio negromante belle e lucide come specchi.

Prete Cirillo raccolse i lembi del suo mantellostrinse colbraccio il volume di San Tomaso e uscí. Il vento di mare gonfiava il mantellodietro la schiena come una vela. Non sapendo come ingannare il tempoche non silascia sempre ingannare come gli uominientrò a sentire una messa nella chiesadell'Ospedaletto.

Poca gente stava raccolta intorno all'altare ad ascoltare unamessa da morto che un frate magro e sparuto recitava con voce cavernosaleggendo in un libro orlato dì nero.

La luce che batteva sulle tende giallastre riempiva la navedella chiesa di un'aria mortain cui scintillavano i candelierile lampadelecornici dei quadri.

Una gran pace dormiva negli angoli fondi e ciechi dellecappelledove le immagini dei santi alzano le mani al cielodove sonnecchianole statue polverosedove si appiattano i vecchi sepolcri.

- «Et lux perpetua luceat ei...» - diceva il frate sparutoche nel voltarsi indietro a benedire fissò l'occhio bianco e infossato sopradon Cirillo.

Accosciata ai piedi del balaustro di marmouna donnaforsela vedova del defuntosinghiozzava rompendo il silenzio della cupola. A leirispondeva con un singhiozzo rauco una lampada a cui mancava alimentoa destradove una scaletta menava all'ossario dei giustiziati.

Prete Cirillo sentí una pesante tristezza invadere l'anima evenir meno le forze dell'egoismo. Egli era forse troppo attaccato ai beni dellaterra e poco tempo aveva consacrato alla edificazione delle anime e alla moraleperfezione. Un giorno Dio gli avrebbe dimandato conto del talento affidatogli eDio non si paga con titoli di Stato o con cambiali a scadenza.

Dio vuol essere pagato coll'oro delle buone azioni.

Quando pensava egli un momento alla morte e alla vita eterna?

Prete Cirillo giurò con fervida fede che questo sarebbestato l'ultimo giorno della sua vita usuraia. Una volta entrato in possessodella villae una volta conchiuso il contratto alla Curiaegli non avrebbepensato che alla salute de' suoi fratelli e allo studio delle eterne verità.Molte limosine egli avrebbe potuto fare colla rendita de' suoi risparmi eavrebbe poi fatto un testamento a favore dei poveri e delle orfanelle. Nellaquiete della campagnasotto l'ombra degli oliviin mezzo al lieto frastuonodelle cicalecolla vista dei monti e dei mare lontanoin una cameretta biancaprete Cirillo sognava un tramonto d'oroil tramonto luminoso del giusto.

- «Et libera nos a malo» - disse facendo un segno dicroce molto grande e preciso.

Si mosse eper confondere ancora di piú le traccie deicuriosiuscí da una porta segreta che dava in un vicoletto. Se ne andava tuttoraccolto nella sua compunzionequando sentí chiamare:

- Don Cirillodon Cirilloper carità...

- Chi è? che cosa volete?

- Son Filippinoil cappellaionon mi conoscete?

- Volete ricordarmi che ho un debituccio? Uhildiffidente...

- Possa morire se ho pensato a questo. Sono un povero uomodisperato davvero. Ieri è stato in casa l'usciere e minacciò il sequestrodella roba. Ho la moglie malata di risipola e quattro figliuoli che muoiono difame.

- E che ci posso fare io?

- Una caritàdon Cirillo. Almeno non morir di fame.

- Sono un poverettoFilippinoe ora non posso.

- Sentiteio avrei un bel cappello nuovo che avevo messo indisparte per voi. L'avevo fatto per monsignor vicarioma gli è tornato troppostretto. Pigliatelodon Cirilloprima che l'usciere se lo porti via col restoe datemi da comperare le medicine alla mia Chiarina.

Prete Cirillo pensò che non dovendo piú tornare a Napoliun cappello nuovo non sarebbe stato inutile. In cuore gli parlava ancora un pocola voce di compunzionee poiché la bottega di Filippino era sull'angolo dellavicina piazzettavi andò e pose sul banco alcune lire.

- Datemi almeno dodici liredon Cirillo. È un cappellonuovo coi nastrini di setabelloleggiero come una foglia.

- Non vi do di piúbenedetto.

- Voi avete anche un debituccio.

Prete Cirillo pensò che veramente non era onesto lasciarindietro dei debiti e soggiunse:

- Vi do undici lire e pace. Per il debito vecchio li voletetre numeri buoni?

- Se voi li date proprio buoni.

- Mi pare di avere l'inspirazione. Passano oggi nel segno delCapricorno. Notateli che io li credo veri veri.

- Fosse il signore del cielo che v'ispira! - esclamòFilippinoprendendo in mano la penna.

- Scrivete il 4. (Questo era il giorno di sua felicepartenza). Il 30 (cioè il prezzo della villa).

- E finalmente il 90che vuol dire tutta la fortuna per voie per la vostra Chiarina. Filippinoaddiovado a portare un morto a Miano.Addio.

E col suo bellissimo cappello nuovo «u prevete»coll'animopiú leggierodopo qualche giravolta nei vicoliarrivava alla stazione chesonava giusto mezzodí.

Venti minuti dopo egli rannicchiavasi in un vagone di terzaclassestringendo col braccio San Tommaso e tutta la sua scienza. Nessunol'aveva veduto partire e tutti pensavano che egli andasse a Miano a portare unmorto. Il morto l'aveva ben sotto la mantellinama era un morto che farisuscitare i vivi.

- Addiosta lí città dell'invidia. Della camorradell'ignoranza- esclamò in cuor suo quando il treno si mossee in fondo allamemoria si mosse anche un versetto latinoche egli aveva studiato da ragazzo eche dice: «Beatus ille qui procul negotiis...»

La giornata era bellaserena. frescauna vera giornataallegra di aprile. Ma «u prevete» non era buon astrologo questa volta.

 

 

III

 

ALLA VIGILIA DEL DELITTO

 

Il barone stava aspettando con una certa inquietudineil suo salvatore.

Il palazzotto dei Santafuscad'un grosso e pesante stileseicentoda molti anni abbandonato alle ericheall'edera e alle ortichepresentava in mezzo alla sua grande decadenza ancora qualche vestigiodell'antica suntuosità.

Un lungo viale di platani secolari menava alla casaattraverso a un parco chiusodove il tempo e la negligenza avevano seminatoogni sorta dì erbe e di lappolifin sui gradini stessi della doppia scaleache un gonfio stile rococò portava al terrazzo della casa.

Né qui finiva l’'invasione del verde. Edere e glicini eviti silvestri si arrampicavano avviluppate anche alle pareti della casafinquasi al tettostendendo dei larghi tappeti lungo i murientrando fra lefessure delle persianestringendosi ai ferri delle finestreingombrandol'ingresso delle porte.

Dei vecchi mozziconi di statueche una volta rappresentavanoGiove o Mercurionon eranooggi che un ammasso informe di frasche o divilucchiin cui il sasso nero giaceva morto e sepolto e vedevi l'erba uscirefin dalle corrose ardesie del terrazzoa far beate le lucertole.

L'interno era piú squallido.

Tutte le vecchie suppellettilii vasigli stemmiicandelabrii quadri preziosi avevano emigrato da un pezzonon a pagare idebiti del padronema a riempire qualche buco della vecchia nave che facevaacqua da tutte le parti. Erano molti anni che il silenzio e la miseriaintristivano una casa dove quarant'anni prima aveva regnato il chiassoil fastoe l'orgoglio d'una grande famiglia dei reame.

Non parlo delle feste del principio del secolo e dei trionfidell'altro secoloquando i Santafusca comandavano né pìú né meno deiBorboni a Napoli.

In quei tempi i vecchi contadini avevano udito dire dellecaccie rumorose e principesche del barone Nicolache andava attorno semprearmato di pistolottoe si raccontavano avventure tremende di rapimentidivoluttàdi orgiedi delitti.

Che cosa era rimasto di tutta questa potenza? Nullaanzimeno che nullaperché «u barone» Coriolano oggi valeva meno di un tronco distatua. Non solo egli era debitore dell'aria che respiravama la prigione erasua creditrice.

Queste cose rivolgeva egli stesso nella mente la mattina delfamoso giovedìmentrepasseggiando in su ed in giú per la fredda e nudagalleria che dava sul terrazzostava aspettando il suo prete.

Di tutto l'antico fasto non rimanevano oggi che lembi dibroccato sospesi ai muribrandelli dì cornicioni doratile vólte dipintequalche buon mosaico; ma la tristezzail desertola rovina erano maggiori.

Tranne un paio di cameruccie a pian terrenodove Santafuscaaveva nascosto un letto e quattro sedie per sépiú come una tana di rifugioche per un luogo di riposoil resto della casa era interamente vuoto. Chiusetutte le persianechiuse tutte le portel'umido e il freddo davano a quellevaste sale un'aria di grandi sotterraneiin cui risuonava l'eco dei passi esvolazzavano ombre misteriose.

Dove la tenebra era piú fittaper la grande quantità dellefrascheche avevano stesa una tenda sulle gelosiei pipistrelli avevan fattoil loro sordido nidoed «u barone» non osava accostarsi per paura dirisvegliarne l'immonda tregenda.

Alla villa capitava di tempo in tempocome un fantasma ancheluiquando era piú nero e piú in collera colla fortuna; ma non si fermava maipiú di un giorno o dueil tempo cioè di togliere ciò che si poteva ancorascassinare della vecchia magnificenza; e se ne andava come era venutosenzavedere nessunodopo aver diviso con Salvatore un pranzo alla cacciatora.

Salvatoregià avvilito da un colpo di apoplessiavecchiodi settant'annimezzo orbo e mezzo scemopassava il suo tempo in quel desertoin compagnia del suo cane nero e di alcune capre ch'egli lasciava pascolare nelparco. Viveva anche lui di qualche detritocome un vecchio sorciovendendol'erba che non mangiavano le caprecoltivando quattro frasche di insalataeraccogliendo i fichi e le mandorle che cadevano dalle piante. Le capre ed alcunegalline provvedevano al suo pranzo e alla sua cena.

Nella sua decadenza non riconosceva «u barone» che al suonoimperioso della sua voce e al colore nero della barba. Allora un'antica forzasvegliavasi in quel vecchioche dormiva le sue giornate al soleebene omaleSalvatore moveva le gambe e le braccia nel senso delle antiche abitudinidi obbedienza e di rispettocome un vecchio telaio guasto che conserva ancoral'ossatura del suo buon tempo.

Il barone arrivòcome dicemmoil mercoledíe rimase adormire la notte alla villa.

Dormire non sarebbe la parola giustaperché troppe coseegli doveva pensare per poter chiudere gli occhi al sonno. Ma non fu nemmeno unvegliare ad occhi aperti. Quel trovarsi solo in un luogo cosí grande e desertoalla vigilia di un fatto tanto importanteaizzato da una parte dalla paura edai debitiaizzato dall'altra da diaboliche suggestionidisposto a tentare ungran colpoma ancora in sospetto di non aver provveduto abbastanza; quelsilenzio profondoquelle ore eternequel letto duro imbottito di stecchitutto ciò non doveva lasciarlo dormire.

Ma d'altra parte la mente si sprofondava in sogni che nonavevano nulla a che fare colla realtà.

Il prete era ricco e pauroso; minacciatotormentatoavrebbecomperata la sua salvezza col suo sanguecioè col suo denaro. Ma come sidoveva fare? e poi? e se il prete l'avesse denunciato? Non rimaneva di sicuroche di ammazzarlo.

E come si doveva fare? dove tirarlo? Il vecchio erasospettoso. Non trovando il notaiocome era stato convenutonon avrebbe messofuori i denariforse egli veniva senza denari o con titoli legati al suo nome.Bisognava anche su questo punto operare con prudenzacon spiritofargli unalieta accoglienzaindurlo a parlarefargli vedere il palazzoil gran salonedi soprale cucinele stallele cantine...ripeteva il suo pensierosottolineandosto per direquesta parola...le cantine.

Se egli poteva persuadere il prete a discendere una dozzinadi gradinifin dopo il primo portone di legnouna volta rinchiuso là sottonon c’era né Dioné Cristoné Belzebúche avrebbero potuto aiutarlo. Euna volta rinchiuso il battenteaddio!... - C'erano dei labirinti spaventosilaggiúavanzi ancora d'un vecchio castello medioevalesul quale era sorta lanuova villae nessuno osava per paura metterci il piede.

Era proprio il paese del nulla e di nessunodove le cosecompiute non esistono piú. Ma bisognava persuadere il vecchio a discendere... eprima bisognava sincerarsi che avesse i denari indossooppure bisognavastrappargli dalle unghie una procurauna cambialequalche cosa...

«U barone» sospirava forte e si rotolava nel letto.

Qui cominciavano i sogni. Luoghi buiantricavernestallescuderiegrottebassifonditinaielegnaiepozziandronisolaisotterranei neriscale nere e umidee molte ragnatelegrandifortiche loinvischiavanolo avviluppavanogli impedivano il passo e il movimento dellebracciae una lotta grottesca tra lui e un grosso ragno neroche non era infondo che il suo prete.

- Oh! - gridò una voltamettendosi a sedere sul letto.Albeggiava. Nel giardino e nella selva cinguettavano gli uccelli.

Una dolce memoria della sua infanziacome se passando vicinogli ventilasse il viso coll'alaringiovaní e rinfrescò per un istante il suopensiero. Oh le belle mattinequando scendeva dal letto e correva a respirarel'aria puraa rinfrescarsi nella rugiada che sgocciolava dalle rose fiorite! equando usciva colla civetta a cacciae quando s'inginocchiava al suono vivodell'Avemaria! Era ancora la stessa campana che sonava al chiarore dell'alba.Era ancora don Antonioil prete che lo aveva battezzato...

Ma allora era facile il problema della vita. Non c'erano icarabinieri in agguato dietro l'uscioe non si sapeva ancora che cosa fosse unprocuratore del re. Oggi era tutto cambiato. Se il prete non gli portava idenaritra due giorni un Santafusca sarebbe stato denunciato alla procura.Questo era certoe per un gentiluomo l'infamia è peggio della morte.

Perché non si ammazzava? perché non usciva da questiimbrogli feroci?

Certo meglio ammazzarsiche farsi legare dai questurini. Aquesta ideail sangue dei vecchi Santafusca ribolliva nelle sue venemandavaun gridosaliva alla testa in un fiottole livide pareti si tingevano dirossoe rosse apparivano tutte le piante del giardino.

 

 

IV

 

IL DELITTO

 

 

- Salvatore! - chiamò per la terza volta dall'alto deiterrazzo il baronefacendo conca alla bocca colle mani.

Il vecchio servo che stava sul vialeappoggiato al bastoneincantato a contemplare le sue capresentí finalmente la gran voce delpadronesi scosseedondolando sulle gambeansando come un vecchio manticeaccorse a ricevere gli ordini.

- Voglio che tu porti questa lettera al parroco di SanFedele.

- Lassú? - chiese Salvatoreindicando col dito un luogoaltosui collilontano cinque o sei miglia.

- Sínon mi fido che di te. Resta pure a dormire questanotte se la strada è lunga.

- Passo passopotrò essere di ritorno stasera.

Il barone stette un momento a pensare. Aveva sei o sette oredavanti a sé prima che il vecchio fosse di ritorno.

- To'- disse- per il tabacco... - e gli mise in manoinsieme alla lettera un paio di lirele ultime delle ultime che gli avevaprestate Maddalena.

Salvatore baciò la punta delle dita e se ne andò col suopasso traballante dalla parte delle scuderiedov'era la strada verso il paese.

Il padrone rimase solo un'ora a passeggiare tristamente insuin giúper la vuota galleriapensando alla sua disperata miseria.

Non aveva piú un soldo in tascanon piú credito di giuoconon piú roba da venderetranne la roba che ora stava per vendere al prete. Male poche migliaia di lire del prete dovevano andare quasi tutte a pagare idebiti piú pericolosi. Quindi egli rimaneva povero e nudo per semprecostrettoforse a rubare o a mendicare per vivere.

Bestia la pecorama non bestia il lupo!

E tratto tratto guardava per la finestra verso il lungo vialedei platani se vedeva venire il suo prete.

Nella lotta per la vita vince il piú forte. È questo unprincipio elementare dell'esistenza. Se egli avesse avuto degli scrupoliseavesse temuto i fantasmi dei mortivia!... ma per una coscienza scientifica ilmondo è tutto una pasta; e vivi e morti fermentano nel medesimo lievito.

Un fischio risonò nella verde bassurae dietro il fischioil vento portò il rombo del treno che veniva da Napoli. Suonò il tocco alcampanile della parrocchia.

- Verrà? - domandò una voce paurosa.

Nessuno rispose a quella voce.

Per quanto non superstiziosovolle credere per un istante aisegnali. Se il prete venivaera segno che bisognava agire.

Un altro fischio indicò la partenza del treno.

Dalla stazione al cancello della villa era una passeggiata didieci minutima quel prete camminava col passo della lumaca!

- Non è venuto! - disse una volta con un soffio di gioia ilbarone. E pensava già di partire.

Che cosa faceva egli in un deserto? Che cosa era venuto afare?

Aveva fame!

Da un pezzo sentiva un certo dolore allo stomaco e nonpensava che potesse essere fame.

Ora se ne accorse tutto ad un trattoe un brivido diraccapriccio corse per tutta la sua vita.

Egli pativa la fame. Era proprio la fame?

Quando mai uno dei suoi aveva conosciuta questa malattia! Lostomaco provava dei crampi dolorosi.

- Quando?

Il barone fissò l'occhio verso il fondo del vialedove gliera parso di veder svolazzare un non so che di nero.

- Quando? - seguitava a ripetere una voce ostinatamal'occhio era fisso.

Il suo prete venivapasso passosu per la salitacolmantello raccolto e le braccia strette intorno al librocol bel cappellinonuovo... aperto al vento.

 

Salvatorepassando accanto alla Canonicavide don Antonioil prete della pievein maniche di camiciaoccupato a lavar la faccia aiquattro santi d'argentoche dovevano splendere sull'altare il giorno delladomenica in albisin cui si celebrava una delle feste principali delpaese.

Il buon vecchietto viveva tutto in quella sua cura. Daquarant'anni il suo pensiero non andava piú in là del cimiteroche segnava ilconfine della parrocchiae tre generazioni erano quasi passate nelle sue mani.

Don Antoniocollocati i quattro santi sulla panchina dipietra esposta al vivo raggio del solemesceva in una ciotola una certapoltiglia di pomice e gessoche poi passava sul viso dei santicome se facesseloro l'insaponata per la barba.

Vedendo venire Salvatorecominciò a ridere e a burlarsi disé.

- O Salvatorenon dite ch'io faccio la barba ai santi. Ma ilfumo e la polvere sconciano questi poveri bustiche anneriscono come unostagno. Ed è foglia d'argento garantita. Sono costati al Comunein illotemporequaranta piastre l'uno... Dove andate con questo soleSalvatore?

Costui capí soltanto la domanda e rispose:

- Vado lassú a San Fedele. È venuto «u barone».

- È venuto? che sia vero dunque quello che mi hannoriferitoche sua eccellenza sia per vendere la villa all'arcivescovo? Quando fudi passaggio monsignor vicariosi fermò un'ora in casa miae mi disse cheSantafusca sarebbe stata una buona posizione per un seminario e anche per unavilleggiatura. Che ve ne pareSalvatore?

- Fu da me una volta un prete a vedere il sitoma non se neparlò guari.

- E questa visita non dimostra che le trattative sonocominciate

- Io non so... - disse il vecchioche non si sentiva in lenadi parlare.

E continuò lemme lemme pel suo viottolo.

- Ite pianoperché il sasso è duroe il sole è piú durodel sasso.

Don Antonioche invece amava la ciarla innocente e parlavain mancanza di meglioanche con sé stessocontinuòrivolgendo la parola a'suoi santi:

- Certo sarebbe una grande fortuna per Santafusca se ciòavvenisse. Per baccoaver l'onore di ospitare sua eminenza! Anche voipoverisantistareste piú allegrie io vi farei fare una bella raggiera d'orocomene ho visti una volta al vescovado di Napoli.

- È tempo di asciugare la faccia a questi santireverendo?- disse Martino il campanaroun sapientonegià frate converso cappuccinocheamava discutere con don Antonio sui casi di coscienza e di liturgia.

- Aspettate che il sole abbia prima asciugata la pastapoici metterete l'olio di gomito. Torneranno bianchi come le stelle.

- Io vorrei farvi un caso di coscienzadon Antonio. Se unazuccasforzando la siepepassa dall'orto del vicino nel mioposso iocoglierla senza far peccato? Il cursore dice che possoe anche la legge mi dàragione.

- La legge vi dà ragioneperché la zucca copre la vostraterra e impedisce a voi di piantarvi un gambo di fagiuoli; ma se io considero lazucca nella vostra coscienzaè un altro paio di maniche.

Don Antonio rise gioiosamente del suo traslatoe i suoicapelli bianchi di neve scintillarono sotto il raggio del sole come la facciadei santi d'argento sotto le fregagioni di Martino.

- Che cosa volete diredon Antoniocon questa ipotiposidella zucca nella mia coscienza?

- Voglio dire che il buon cristiano non deve tanto guardareal suo diritto quanto al suo dovere. La zucca non l'avete piantata voie se èvenuta nel vostro ortola colpa è vostra che non avete chiusa bene la siepe.Ma la vita essa la trae non dalla terra vostra. Voi dovreste trovare il vostrovicino e dirgli: Io ho sul mio la vostra zucca: o ve la ripigliateo me lapiglio.

A chi tratta con giustizia sembrano piú saporite le zucche.

- Voi avete sempre dei buoni proverbi: voi siete l'anticoSalomone.

- Senza la regina Saba... - soggiunse il vecchietto ridendoancora con tutto il cuore. Poi disse: - È arrivato «u barone».

- E che cosa viene a fare quel selvatico?

- Voi volete far la barba a sua eccellenza e non ricordateche Dio v'ha fatto suonatore di campane. Io spero che Santafusca vedrà giornimigliori. Non pensate voi qual fortuna sarebbe per noi tutti e per la chiesanostra e per le vostre campane se si avverasse ciò che ha fatto speraremonsignor vicario?

- Dio volesse e San Michele! Io ho fatto un sognoin cui viho veduto con un piviale d'oro e una mitra in testa.

- I sogni vengono da Dio. Egli parlò a Giacobbe e a Faraonee a Giuseppe sposo di Mariaproprio per la via dei sogni. È vero che voi nonsiete che Martino campanaro...

- Se sua eminenza venisse quidovrebbe celebrare nellanostra chiesa.

- Certamente.

- E credete che «u barone» voglia vendergli la villa?

- Fammi indovino e ti farò ricco.

- Dovrebbe regalare un paliotto d'oro.

- Speriamo prima nell'edificazione delle anime e poise c'ètemposi pensi al pallio e al baldacchino che i topi hanno rosicchiato.

- Avviene sempre cosíquando va male il raccolto dellenoci. I topinon avendo le nocidiventano cattivi e rodono le cose sacre. Voidovreste maledirli una volta.

- Perchépovere bestie? E non guastiamo anche noi le cosesacrequando ci spinge un forte appetito? Peggio dei sorcinon sempre cicontentiamo di noci...

...................

Mentre il piovano e il campanaro facevano questi discorsidavanti alla canonica nella queta caldura del meriggio«u barone» ammazzavaprete Cirillo. Il colpo era riuscito in questa maniera.

 

Il barone era andato incontro al prete con un viso allegrogli aveva chiesto notizie della sua salutese il viaggio era stato buono.

Poi soggiunse:

- Venitedon Cirillo; ho mandato or ora in cerca di donNunzianteche è andato al Comune per un contratto di acquisto. Veniteviricevo come possoalla cacciatora.

E cosí parlandoentrarono in casa e andarono a sedersinella stanzuccia a terreno davanti ad un tavolino zopposu due vecchie sedieche tentennavano anch'esse sui piedi.

- Troverete la casa spogliama è piú facile vederne ilprezzo sostanziale. Voi fate un affaronedon Cirilloe se non fosse il bisognoche mi piglia per la golaavrei potuto guadagnare quattro volte tanto fra unanno o fra sei mesi. Avete portato il denaro?

- Come ho promessotrentamila lire- rispose il pretesottovoceguardandosi intorno con sospetto.

- Io non vi ho parlato dei rusticiche son fuori del muro dicinta. Potrei cedere queste case al Comune per le scuole e ho mandato donNunziante a interrogare il Consiglioche deve appunto radunarsi oggi alle due.Ma io sarei disposto a favorirvise vi mostrate generoso.

- E non mi mostro io generoso? compro per trentamila lire unacasa che non conosco.

- Scusateio non voglio la rovina vostra. Voi non mi daretenullase prima non vi sarete persuaso cogli occhi vostri che la casaconsiderata soltanto come un mucchio di mattonivale di piú. Anzi io direimentre si aspetta don Nunziantedi fare un giro per i locali. E poi vicondurrò a vedere questi rustici...

Il barone pronunziò queste ultime frasi senza guardare inviso il pretema cogli occhi fissiquasi confitti alla finestra.

- Son venuto anche per vedere - disse tranquillamente ilpreteche stringeva il suo libro sul cuore.

- E non intendete di tornare piú a Napoli?

- Mai piúper omnia secula! - disse il prete con unaconvinzione che fece colpo sull'animo di sua eccellenza. - Io resterò vostroospitefinché la casa è vostrae voi sarete ospite mioquando la casa saràmia. Ma a Napoli non mi vedranno piú.

- E se venissero a cercarvi?

- Nessuno sa ch'io sono partitoné per dove.

- Ma avete troppe ragioni per tornare spesso a Napoli. Ilcorpo è quima l'anima di prete Cirillo è al... al... banco di Napoli.

Il barone si sforzò di ridere questa voltaper quanto sisentisse le mascelle dure e legate.

- Voi mi fate tortobaronea credere ch'io sia tanto ricco:ho portato con me i pochi risparmi d'una vita povera e modestae spero ditrovare nella quiete dei campi quella pace e quel riposoche è il premio d'unavita semplice e senza ambizione.

- Voi la troverete la pace- disse «u barone» come sefacesse un complimento; ma le sue parole suonarono in lui come in un vuotosotterraneo.

- Ebbenevediamola questa casapoiché ci siamo. Hoosservato già che è tutta da rifare- disse il prete alzandosi.

- Venite e vi farò vedere anche le cantinese desiderate.Volete deporre il vostro mantello?

- Nopreferisco...

Prete Cirillo finí la sua idea con un moto nervoso divecchio avaroche cerca nascondere il suo tesoroe si strinse la mantellinasui fianchi. Ma non fu tanto abileche il barone non vedesse spuntare l'orlodel libroe dall'orlo un fascetto di belle cedole azzurre della renditaitaliana.

- Comincierò a farvi vedere la galleria. Qui una volta c'erauna bella raccolta di quadri- prese a dire «u barone» che camminava un mezzopasso indietrovicino al Preteche già pieno del lauto guadagnoosservavacon silenziosa meraviglia le vólte dipintele finestre incorniciatei buonimosaici.

- Questa era la sala da pranzo. C'è posto per cinquantaconvitati...

- Chi sa che bei pranzi vi hanno consumato!

L'idea di un pranzo richiamò la memoria della fame e «ubarone» risentí un gran dolore alla bocca dello stomaco.

Camminava dietro il prete come fosse l'ombra sua. Un fremitodi paura e di ferocia vibrava ne' forti muscoliche la volontà piú fortedominavasoffocava. L'occhio avido divorava già il prete dietro la nucalungoi cordoni del colloche il prete aveva sottile e gracile. Se egli avesse stesole due manise avesse stretto quel collo entro le quattro ditadon Cirillo nonavrebbe detto piú Jesus.

- Questa è la sala di ricevimento... È buioma tanto ci sivede abbastanza.

Il prete si lasciava sospingere dolcissimamentecome se ilsuo destino lo chiamasse: ed era lui che sentiva per il primo il desiderio diveder tuttodi scendere le scaledi entrare nei corridoi piú oscuridove «ubarone» non avrebbe osatosto per dirediscendere solo.

Era lui chetratto dalla ghiottoneria del guadagnovolevacalcolare cogli occhi quante volte le trentamila lire stavano dentro lemassiccie paretie intanto seguitava a rimorchiare il suo assassinoche quasiaccecato da una sanguigna vertigine non capiva piú qual forza maligna lotrascinasse in giú.

- Questa è la cucina.

- Grande! - disse il prete con un impeto di contentezza.

E faceva il calcolo che poteva benissimo servire a unacomunità di cento allievi.

«U barone» non pensava piú e quasi non vedeva piú il suoprete. Come sul momento d'accostarsi a un intimo colloquio d'amore freme ilsangue e par che gorgogli a fiotti nel corpoe la vita si mesce già conun'altra vitacosí man mano che la vittima si accostava al suo lettoilbarone sentiva crescere la ferina voluttà.

- Di qui si va alle scuderie... e poi ai sotterranei.

Se prete Cirillo non fosse stato tanto stordito dalla suaavara passioneavrebbe veduto che l'occhio del barone cominciava a esseresinistro e pieno di sanguee si sarebbe voltato al suono di una voce chediventava sempre piú coperta e mortacome quella d'un tamburo funebre. Ma eglivoleva veder tuttoe pensando al vantaggio che si poteva trarre dalle scuderiemutandole in grandi aule di scuolapassò egli per il primo davanti alle stallee giunse in un cortiletto chiuso per tre lati da un alto muro. Qui eraammucchiato molto materiale di fabbricamattonisabbia e fin calce viva pressouna cisterna o scolatoioche il barone molti anni prima aveva fatto scavare perraccoglier l'acqua piovana in servizio delle scuderie. Ma poi erano mancati imezzi e i lavori restarono lí.

Prete Cirilloche voleva veder tuttosi avvicinò allacisterna e allungò il collo per guardare.

Fu come se egli desse un segnale.

«U barone» balzòe senza guardare se cosí facendo andavadietro alle disposizioni presema sospinto da una violenza di cento uominibrandí una grossa leva di ferro che era in terra dimenticata dagli operaielasciò cadere un tal colpo sulla nuca del preteche il povero martire caddecome schiacciato sul mucchiosenza dare un gemitoe rotolò quasi da sé nellacisterna.

«U barone» gliene assestò un altroche avrebbe spezzatoun capo di bronzonon che la piccola testa dell'infeliceche si ruppe come unavecchia noce. Il libro caddesi aperse e molte cartelle si sparpagliarono suimattoni.

Il barone vide insieme alle cartelle molti biglietti grandidi vario coloreche acciuffòcacciò in tascainsaccandoli a piú ripresefinché la tasca fu gonfia.

Colla vanga spinse il morto e il libro in fondo allacisternaprofonda tre metri. Il corpo piombò nel molliccio con un rumore mollee pastoso.

Egli prese un badile ch'era lí; e dentro sabbiadentrosabbia! Colla sabbia buttò anche della calcepoi ancora della sabbia.

Lavorava con alacrità di dieci uomini. Poi sollevò collaforza erculea delle sue braccia una grossa pietra già preparatache dovevaricoprire l'imboccatura. Ve la collocò come si muove e s'impasta un foglio dicarta sopra un vetro rotto. Prese ancora il badilespinse sulla pietra dellasabbiadei mattonie poi sabbia ancorane fece un mucchio e finalmente siguardò intorno...

Era solo! La sua fronte stillava un freddo sudore. Cinto datre parti da un muro altonon aveva davanti a sé che l'imboccatura di unacieca scuderia. Ascoltò e sentí un gran silenzio. Soltanto una lucertola s'erafermata sul muro e alzava la testolinacome affascinata. Del resto nessunoeun gran silenzio.

Impaurito di quel troppo nullatraversò a furia la scuderiae passando per il rustico delle stallestava per uscire in giardinoquandosentí ancora il bisogno di ritornare sopra i suoi passi per vedere ancora ilsito. La calcela sabbiala pietratutti i mattonitutto era a suo posto.Prete Cirillo non sarebbe tornato piú a Napoli.

Gli parve che la leva gettata di traverso sul materialedicesse più che non dovesse direed ebbe ancora la forza di chinarsi e diconficcarla dentro il mucchio della calce fin quasi alla mano.

Poisentendosi mancare le forzeuscí in giardinoscese acorsa per il viale degli ulivirisalí sempre correndo e venne in un pratopieno d'erbe folte e di soledove stavano pascolando le capre di Salvatore. Quisi fermò coi piedi sprofondati nella terra molle e cominciò a guardarestupidamente il muso delle capreche guardavano lui stupidamenteruminando.

 

V

 

DOPO IL DELITTO - SENSAZIONI

 

Una gran pace calda riposava sulle cose. Sui fiorisvolazzavano farfalle e libellule dalle ali trasparenti. Un bel sole di lietoaprile scaldava la terra e accendeva il verde contrastante dei laurideisicomori e degli ulivi. La natura era quietaa postocome se prete Cirillo nonfosse mai morto. Il peso della terra non era diminuito per questo.

Il barone pensò che tutto ciò poteva essere un sogno: manon era un sogno il grosso ch'ei sentiva sotto la mano: questi erano denarilasalvezzal'onorela libertàla vitail tutto in luogo del nulla.

Rimase due minuti coi piedi sprofondati nella terra mollecome se un gran peso lo tirasse in giúpoi sentí il bisogno di romperel'incantesimo e di non lasciarsi prendere dai brividi.

- Sono sensazioni! - disse a voce chiararispondendo a unadomanda interiore.

Voleva dire a sé stesso che le sensazioni passano e i fattirestano.

Tutto era riuscito benissimo. Nessuno aveva veduto il pretepartire da Napolinessuno lo aveva veduto arrivare alla villanessuno sapevaperché egli fosse partitoe dove riposasse. La villa ora si richiudeva peraltri trent'annie se non parlano le lucertolechi doveva andare senza ilpermesso del padrone a smuovere un mucchio di sassi e di sabbia per cercare unuomo che nessuno desiderava? Non rimaneva che Salvatorema il povero vecchioscemo era cosí poco curioso!

Un grande ed allegro scampanío risvegliò di balzo il baronedalle sue contemplazioni. Era Martino che sonava a festa per la prossimadomenica in albis. La festosa musica riempiva il cielo e le colline diuna gioiasto per dire fanciullescacome se le campane giocassero arincorrersi nell'aria.

Sua eccellenza il barone di Santafuscarichiamato alpensiero dei casi suoinon resistendo all'enorme fatica di aspettare Salvatorefino alla serachiuse le stanze della villachiuse il cancello verso iplataniepassando per il cancello delle scuderiealzò gli occhi rapidamentealle scrimolo del muro che cingeva il cortiletto. Li alzò per istintononperché egli si aspettasse di vedere la faccia giallognola dei prete guardare disopra le tegole.

Chiuse anche questo cancello. Cosí prete Cìrillo nonfuggiva più. Per non dare sospetto alla gente prese la via dei campi etagliando il colle per un sentieruolo dì traversoch'ei conosceva molto beneandò a porsi sul passo di Salvatore che aveva presa comodamente la lunga.

Sedette sopra un muricciolo e accese un avanacome un buonvilleggianteche riposa lo spirito dopo un gran lavoro. Dal luogo ove sifermòl'occhio stendevasi su tutta la città e sul magnifico golfolembo diparadiso in terrachiuso fra due conche azzurrequella del cielo e quella delmare.

In fondo il Vesuvio mandava fuori un ciuffo di fumoel'anfiteatro della città e dei paesi distesi al suo piede biancheggiava allaluce tersa dell'aria piena di caldi effluvi.

A sinistradietro una folta macchia di lauriusciva lacornice grigia della villa rattristita dall'ombra d'una nuvoletta passeggera.

- Sono sensazioni! - disse ancora la voce di primacome sein lui parlasse lo spirito di un freddo anatomista; lo sguardo corrucciato sisprofondava verso l'orizzonte.

Accese ancora il suo buon avana e provò a soffiare il fumoverso il cielo colla beata noncuranza di chi esce dalla sala da pranzo in ungiardino a digerire.

La natura era bellasoavelucidatranquillacome se nullafosse accaduto.

Martino sonava a festaallegramentepazzamentee al suonodella sua musica danzavano gli echi lontani.

- E le sensazioni passanoma i fatti restano! - Tornava aripetere la voce rinchiusamentre il braccio scendeva un poco a stringerel'altro morto che faceva gonfia la tasca dell'abito. Quanti denari aveva con séquel prete? Egli non aveva avuto il tempo di fare il contoma cosí a occhio ecroce aveva veduto un mucchioun tesoroche ora si sentiva addossoe che nonosava di guardare per paura che si rompesse il sognoe svegliandosiegliavesse a trovarsi al giorno del pagamento e col carabiniere alla porta.

Salvatoreche camminava trascinando i piedi sulla rivasassosaspuntò dallo svolto della stradicciuola e giunse quasi sopra al suopadrone prima di accorgersi di lui. Sarebbe anche passato oltre cosíse ilbarone non lo avesse toccato nel gomito.

Il vecchio si svegliò dalla sua pensosa sonnolenza e apríla bocca a un oh! senza meraviglia.

- Devo partire subito e t'ho portato la chiave del cancello.Ho chiuso dapertutto. Se venisse qualcuno per visitare la villa colla scusa chec'è chi la vuol compraredi' apertamente che la villa non si vendeanzi di'addirittura che è già vendutae che hai l'ordine di non aprire a nessuno. Haicapito?

Il barone parlava tanto chiaro e Salvatore stava tantoattentoche era difficile non capire. Il servo mise una mano sul petto e disse:

- Non entrerà nessunoeccellenzapadron mio.

In quel suo contegno umile e sommesso si poteva vederel'antico vassallo pronto a dare la vita per il feudatario. Il barone sentí cheda questa parte poteva dormire tranquillamente e soggiunse:

- Restituiscimi la lettera: manderò io stesso la rispostaper mezzo della posta e torna pure a casaSalvatoreche sei vecchio ed haibisogno di riposare.

- Oheccellenza!...

- Ti manderò qualche danaroperché tu possa campare unavita meno da cane.

- Ohillustrissimo!...

Il barone nel pronunciare queste poche parole di pietàsentí un sentimento tenero e caldo avvolgere tutto il suo cuore. Salvatore eMaddalena l'avevano portato in braccio e possedevano nel loro cuore la partemigliore del padroncinoche non era morta in loroma che il padroncino avevafinito di uccidere in sé.

Stette a osservare il povero vecchioche ritornavadocilmente sopra i suoi passi verso la villa a far compagnia all'altroeun velo di nebbia oscurò per un istante la sua pupilla. La nebbia si sciolse«u barone» si sentí gli occhi pregni di pianto.

Martino riprese l'allegro scampanare.

- Sono sensazioni! - disse ancora una volta la voce delsegreto anatomistache il barone riconobbe uguale a quella del dottorPariterreil famoso nichilista. Vedendo che il sole volgeva al suo tramontosialzòscosse la testa come il leone fa colla giubbaquando si toglie dalcovilee guardò l'orologio. Erano le quattro.

Il prete era arrivato al tocco.

Quante cose erano già accadute in queste poche ore!

Il barone sentiva di aver vissuto dieci anni almeno della suavita.

Alle quattro e trentacinque ripassava il treno per Napoli.Prese un altro viottolo di traversoed evitando di passare per Santafuscasiportò sulla strada provinciale. Volse prima un poco verso il maregirò dietroun cascinale per risalire ancora sulla provincialesempre di buon passocomeun uomo molto occupatoche va per la sua stradafinché il fischio dellalocomotiva avvertí che il treno stava per entrare in stazione.

Aspettò ancora un poco per consumare tutto il tempo di piúepresa la rincorsaarrivò in stazione nel momento giusto di prendere iltreno per la coda. Mostrò il suo biglietto di ritorno al conduttore e sicacciò nell'ultimo scompartimento che trovò ancora aperto.

Nel vagone non c'erano che due giovani sposi svizzeri otedeschiche probabilmente scendevano a passare la luna di miele in braccioalla sirena del mare. Si tenevano vicini e abbracciatiin mezzo a una montagnadi valigettedi canestrinidi sciallidi ombrellicolla spalla appoggiataalla spallale mani in manogli occhi perduti nell'infinito splendore delmareabbagliati da quella luce che si rinforzava nel crepuscolomormorandoparoline in cui si sentiva tutta la dolcezza del germanico «Liebe».

Essa era biondacolle guancie soffuse di rosagli occhiazzurripieni d'innocenza e di verginità. L'anima di quella romantica creaturanon aveva una macchiae Dio vi si specchiava come in un cristallo.

«U barone» buttando un mozzicone dallo sportellovolse lespalle alla coppia felice e sputò sulla terra. Si attaccò colle due mani allafinestrella del vagonevi appoggiò la facciasorreggendosi come un uomostracco straccomentre gli occhi vuoti e gonfi guardavano di fuori senza vederealtro che un grande bagliore di colori fuggenti.

Finché il treno in ritardo sforzò la sua corsail rombole scosseil fischiola fuga delle cosel'affanno stesso della corsa fattaper arrivare a tempoil battimento dei polsiil palpito precipitoso del cuoregià affetto d'ipertrofianon gli lasciarono il tempo di riflettere. Anzi perun quarto d'ora si obliò perfettamentequasi assorbito dalle sue stesseemozioni fisiche. Man mano che il treno rallentavaegli cominciò aricuperarsie trovò tutto sé stessoentrando in stazione. E si meravigliòdi sentirsi cosí sicuro e quieto. Scese e s'incamminò verso la città colpasso di un uomo «convinto». Man mano che rivedeva le casele botteghelagentei soliti amiciandava ricuperando anche il senso della sua vita solita.

 

Prima di andare a casaabbottonato bene l'abito fino alcollovolle fermarsi da Comparielloil liquorista frequentato dagli elegantibuontemponi di via Toledoa bere un vermutte col seltz in ghiaccio.

Rimase un pezzo ad ascoltare le allegre cicatate delmarchesino d'Usillidirettore del veloceclubgrande maestro di barzellette.

L'Usillisapendo che il club della Fenice aveva pubblicatoil nome del baronelo trasse in disparte e gli disse sottovoce:

- Mi rincresceSantache siano venuti a questo eccesso. Ioti ho difesoma hai avuto ventitré palle nere contro dodici bianche.

- Vuoi un po' di denaro per ritentare la sorte? fino aventimila potrei trovartele e con poco interesse.

- Ecco gli animali! tutti mi offrono denaroquando non ne hopiú bisogno - gridò Santafusca.

- Tu non avrai scoperta una miniera: so che ti trovi in seriimbarazziSanta. Abbi confidenza con un amico. È vero quel che si dice di te?

- Che cosa? - domandò «u barone» con voce alterata.

- Che non puoi restituire quindicimila lire al Sacro Montedelle Orfanelle?

- Spero di ottenere una dilazione... - mormorò il baronechinando gli occhi. - Ma parliamo di Marinella. Che fa questa scellerata? dopoche la fortuna mi ha voltate le spalledice ch'io sono un brutto peloso. ELellina è ancora fedele a di Spiano? O di Spiano paga e tu...

- Che cosa diciSanta? Non farei un peccato di desiderio perLellina... Bevi un assenzio?

- Marinella mi vuol bene! - esclamò il baronementreingoiava é'un fiato un bicchiere di assenzio verde come lo smeraldocheriscaldò la sua voce. - Marinella non odia che la mia sfortuna. Ma voglio fareun patto col diavolo come il vecchio Faust. L'anima mia gliela cedo tutta per unbuon asso di picchesu cui abbia puntato centomila per tre volte. Ti pare chefaccia pagare troppo cara l'anima di un peccatore di spirito? Vuoi provareintanto chi di noi due deve pagare l'assenzio? Aspettalasciami invocare il miodiavolo protettore.

I due signori si accostarono alla piccola roletta posta sulbanco.

Il marchesino d'Usilli mosse la roletta e fece tre.

«U barone» fece diecimila.

- Vedi se non ho il diavolo con me?

- È un casosi sa. Eccovedrai ora che il mio angelocustode mi dà...

Una grande risata tenne dietro a queste parole.

Usilli fece uno.

Santafusca toccò col mignolo e fece centomila!

- Ciò avviene sempre quando si giuoca per baia. Ma se tuavessi cento lire in tascaSantafuscavedresti che il tuo diavolo te le rubatosto.

- Chi mi dà cento lire sulle corna del mio diavolo? - chiese«u barone»guardandosi intorno.

- Io te le doSantagiuoca- disse il marchese di Spìanocheentrato in quella aveva assistito al giuoco.

- BravoVico. Giuochiamo queste cento lire.

Usilli fece tre.

«U barone» fece cinquecentomila.

Nuove risa e nuovi clamori.

- Non voglio il tuo denaro adesso - disse il fortunatovincitore. - Ma promettimi di giocare almeno una volta per cento lire staserain una partita di picchetto o a scopa.

Usilli si tenne obbligato per la sera. Santafusca bevveancora una voltae animato dalle ciarledal liquoredalla fortunaritrovavaal di sotto delle macerie le grazie del suo vecchio spirito di gentiluomo. E sistordí tanto bene cheuscendo e scendendo per Toledo in mezzo al via-vai dellecarrozzelle e della genteriuscí quasi a dimenticare il suo prete.

Non fu che rientrando in casa che riprovo un senso di pena.Era quasi notte quando la Maddalena venne ad aprire.

- O eccellenzaben tornato. Quale fortuna?

- Porta il lume nella mia stanza- brontolò il padrone.

E mentre la Maddalena correva ad accendere il lumeeglirimase un istante ad ascoltare le sue sensazioniche si dibattevano coifantasmi dell'alcool.

- Bestia! - esclamò a fior di labbroforse contro l'Usilli;ma non era certo.

- Il lume è acceso.

Maddalena dalla faccia del padrone arguí che anche questavolta egli aveva perdutoe andò a rannicchiarsi nella sua seggiola dì legnodove per ore ed ore sedeva a ingannare il tempo e la fameguardando le case esonnecchiando a intervalli.

«U barone» chiuse colle spalle le portine della sua stanzae girò anche la chiavetta.

Era soloal sicuroe poteva finalmente mettere le mani sultesoro. Ma ebbe bisogno di raccogliere ancora un poco di forza. Gli pareva ditornare da un lunghissimo viaggioal di là dei maridopo tre o quattro annidi assenzae non erano trascorse che ventiquattro o trenta ore dalla suapartenza. Lasciò che passassero anche queste sensazionieacceso un sigarosi abbandonò nelle braccia di una poltronadopo aver posto sulla scrivania ilfascio delle sue carte.

Era tempo - pensava - ch'egli si facesse una ragione.

Se avesse creduto di ritrovaretornando in casail fantasmadel morto seduto su una sedianon avrebbe accettato quella brutta speculazione.Ma era soltanto un uomo che il caso aveva trascinato ad una violenza. Glirincresceva per il povero diavolo che ci aveva lasciata la vita: ma d'altrapartepelle contro pelleanche la sua valeva qualche cosa.

Era naturale ch'egli provasse nei primi giorni qualchespavento. Non si ammazza un uomo senza che il sangue non dia un tuffo. La naturavuol la sua partema non piú che una partecioè una certa nausea che ilbarone era pronto a sopportarefinché fosse passata a poco a poco da sé.

Prete Cirillo era una carcassa già sacra alla morte. Iltempo avrebbe distrutto a poco apoco ciò che la forza di un uomo distrussesubito. Era dunque questione di mesi e di giorniche scompariscono in un numerogrande di anni e sono un nulla nel tempo senza fine.

- Se al di là vi fosse veramente un Dio- pensava a suodispetto il barone- il quale dal suo trono di cartone d'oro giudicasse diqueste faccendecapisco ch'io starei fresco il giorno del giudizio; e non avreigusto di veder risorgere il mio prete dalla sua cisterna. Ma poiché io sonoconvinto che al di là non c'è nulla e che il cielo non è che una soffittadove collochiamo le idee che non usiamo piúdi chidi che avrò paura? delleombre? dei sogni? del diavolo? delle baie dei preti? Dunqueda questa partepossiamo vivere in pace. Prete Cirillo non ha fatto che pagare un poco prima deltempo il suo debito alla naturae se lo meritava un pocoperché egli eraavarouna sanguisuga dei poveri e in fondo non cercava che di strozzar mepigliandomi per la gola nelle strette del bisogno.

«U barone» aveva bisogno di ripetere queste cose perinchiodarsele indosso.

- Tra me e lui si è combattuta la grande lotta per la vita.La vittoriacome semprefu del piú fortevedi Carlo Darwin.

«U barone» voltava la testa e pensava ancora:

- Il pericolola pauralo spavento terribileil castigoeterno è che la faccenda caschi nelle mani della Polizia. La società ha troppointeresse nel rispetto del dirittoperché non perseguiti con accanimentocoloro che lo violano. Nel rispetto dei diritti e delle leggi ogni debole trovala sua difesa e la sua protezionee l'egoismo di ciascuno viene a creare questogrande egoismo sociale che si chiama la legge.

Ed egli cercava di inchiodarsi addosso anche questo:

- È un morto pericoloso. Ma tu- pensava soffiando il fumoverso il soffitto - tu hai provveduto con tutti i riguardie il signorcommissarioi signori giornalistii signori gendarmi e il signor pubblico nonsaranno disturbati da te. La società è come le donne tradite«occhio nonvedecuore non duole».

E mentre la sua mente girava in questo circolosentiva apoco a poco il sangue scorrere piú regolarmenteil cuore battere con maggiorpace e le idee diventare sempre piú lucide e precise.

Quante altre paure e superstizioni non meno vane e inutiliavevano turbata la sua infanziaquando la Maddalena gli contava le storie deimaghidei folletti e dei morti che ballano nel cimitero!

Noi siamo sempre un po' bambini sulle ginocchia dellasuperstizione.

- Animo! Vediamo il nostro conto.

Scosse la testascosse la personasi fregò la fronte edincominciò a sciogliere il pacco dei denari.

Il prete aveva portatooltre al denaro per il contratto(circa quarantamila lire)molti titoli di renditae una lunga lista di numerie d'indicazioni d'altre cartelle al portatore rappresentate da una polizza. -«U barone» non aveva che a presentarsi allo sportello del Bancogettare lapolizza e ritirare i titoli.

Trovò insieme ai valori anche la ricevuta lasciata dalpresidente del Sacro Monte a don Cirillo per saldo delle quindicimila lire cheSantafusca doveva all'istituto.

Il prete gli aveva anche risparmiato l'incomodo dì recarsiegli stesso dagli amministratorie piú che l'incomodoil fastidio di dovergiustificare l'origine del denaro.

Trovò anche una lettera di Vico Spiano che diceva:

«Il mio amministratore mi ha parlato ieri della S.V.laquale sarebbe pronta a rilevare una ipoteca di lire diecimila che vanto sullavilla di Santafusca. Per conto mio non ho difficoltà a concederloma ne parlicol signor barone e col ragioniere Omboni...»

 

Il barone pensò che questa circostanza poteva dar luogo aqualche indagine. Il marchese di Spiano era un uomo troppo distratto peroccuparsi di affarima non doveva essere contrario a pigliare dei denari prontie sicuri contro una ipoteca che non rendeva nulla. Se il prete gli aveva parlatodell'ipoteca e del suo desiderio di comperare la villanulla di piú naturale edi piú semplice che il marchese cercasse un giorno o l'altro di questo donCirillo. Non trovandolo in Napoli (sulla lettera c'era l'indirizzo dei prete)avrebbe potuto pensare che Santafusca ne sapesse egli qualche cosae quindigliene parlasse alla prima occasione. Era un forellino che bisognava otturareper rendere l'edificio della sua coscienza piú solido e piú sicuro. Comedoveva fare?

Due colpi secchiche risonarono nell'usciolo fecero tuttoa un tratto trasalire.

- Chi è? - gridò con voce strozzatastendendo le maniistintivamente sulle carte.

- Volevo direeccellenzache mezz'ora fa è stato a cercaredi vossignoria un prete.

Cosí la voce flebile e tremante di Maddalena dietro l'uscio.

- Che prete? io non conosco preti... - gridò esagerando lavoce «u barone».

- Ha detto che tornerà.

Successe a queste parole un gran silenzio. Maddalena siallontanòstrascinando le pianelle. Il barone era rimasto irrigidito colledieci dita aperte e curve sul denaro.

Chiuse le cartelle e i denari in un cassetto della scrivaniatranne qualche centinaio di lire che prese con sé per tentare la fortuna. Sivestí con pazienzacome soleva fare nelle grandi occasioniavendo la cura dichiudere gli abiti da viaggio in un cassettonedal quale levò la chiave.Chiuse l'uscio della camerae mettendosi la chiave in tascadisse a Maddalena:

- Stanotte non torno a casa.

- Non sprechi la sua saluteeccellenza - disse la buonavecchietta colla sua voce piagnucolosa.

- Lascia fare a me. Domani ti porterò del denaro.

E soffermatosi sulla sogliadopo un istante di silenziosoggiunse:

- Non ti ha detto che cosa voleva quel prete?

- Nulla mi ha detto.

Il barone uscii.

 

Erano le sette quando egli si accorse ancora di aver fame.Non aveva toccato cibo tutto il giornoe ora si sentiva quasi le vertiginilegambe e le braccia stracche... le braccia specialmente.

Pensò di pranzare al caffè dell'Europa.

Dieci minuti dopo un camerierelindo e lucido come un lordattendeva i suoi comandi in una bella sala piena di specchi e rilucente di oro.Molti stranieri e qualche diplomatico finivano di pranzare a una tavola comune.In un vicino salotto i due sposini tedeschi susurravano parole dolci a unamelarancia che stavano sbucciandotoccandosi fronte a fronte. L'assassinoentrò con passo risolutocoll'occhio altiero dell'uomo abituato a vincereeandò a sedersi a un tavolinoaccolto con rispettosa premura dal cameriereazzimato anche lui come uno sposino.

Il barone era conosciuto anche all'Europa come un uomo semprepiú splendido coi camerieriquanto piú era grosso il debito ch'egli aveva colpadrone. Scorse la lista dei piattisegnò tre o quattro cose colla punta deicoltello e disse solamente:

- Vino!

L'aria caldapregna di succhi odorantila bellezza delluogoil bagliore dei cristalli e i primi fumi di un eccellente Médocfinirono col trasportare «u barone» lontano dal suo prete. I pensiericominciavano a uscire dalla loro fissazione e la «faccenda» si annebbiavanella memoriacome un sogno confuso all'entrare del mattino chiaro nellastanza.

Alle diecidopo aver data un'occhiata al San Carlodove sirappresentava una discreta «Aida»si ricordò che l'Usilli l'attendeva alclub.

Fu ricevuto freddamente e quasi sdegnosamente dai pochi chesedevano ai tavolini; ma l'Usilliche l'aveva preso sotto la sua protezionedisse a voce alta:

- AmiciSantafusca è uomo onesto ed è venuto per vincerecento lire a me e per tentare ancora una volta la fortuna. Dice che ha ildiavolo dalla sua...

- Un diavolino... l'ultimo - disse il barone ridendo conisforzoe suscitando l'ilarità di chi vinceva.

Alle undici egli vinceva già diecimila lire.

L'Usilli stuzzicatocaldo di smaniapuntava come un matto eperdeva sempre.

Davveroc'era da credere alla leggenda del vecchio Faust.

A un'ora dopo mezzanotte «u barone» giocava ancora... evinceva.

 

 

VI

 

FILIPPINO IL CAPPELLAIO

 

Filippinoil povero cappellaiotormentato dai creditori edagli uscieriscrisse diligentemente i tre numeri dati dal prete:

43090

 

Poi andò nella camera della moglie malata a prendereconsiglio.

Donna Chiarinauna cara creatura innamorata di Diovide inquesto incontro con prete Cirillo un aiuto del cielo e volle che Filippinovendesse anche un suo braccialetto d'oro per avere i denari.

Quando una barca sta per affondaresi butta ogni cosa inmare e si procura di salvare almeno il legno. Se poi la barca vuole andare apiccoè la volontà di Dio.

Cosí pensava Filippinoun uomo seccoche pareva cottosotto la cenerema non intricato nelle faccende sue.

Per tutto il venerdí e per due terzi del sabatosi osservòin casa un rigoroso digiuno per implorare la benedizione del cielo. I figliuolivedevano girare il sole con tutti i pianeti. Donna Chiarinache non potevamuoversi dal lettonon fece che dire rosari tutto il tempo.

Passò il venerdíper quanto paresse eterno. Passò ancheparte del sabatoeprima delle treFilippinosalutata la moglie eaccompagnato da' suoi quattro figliuolisi avviò verso la strada di SantaChiara per assistere all'estrazione dei numeri.

Molta gente era raccolta nella cortesotto il portone e inun vicoletto vicinoed erano specialmente operaipescivendoliacquaiolidonne vecchie e giovanitutta povera gente che attacca al lunedí la speranza auna funicella e vive tutta la settimanatoccandovi sopra il pane asciutto.

La speranza è nientema dà un buon sapore alla roba.

Donna Chiarinaaccese due candele innanzi a una immaginemiracolosa di Nostra Signora di Loretoseguitava a pregare con tanto fervoreche avrebbe potuto sfondare le porte del paradiso.

- Zittizittieccoli... son qua... - Chi? - L'autoritàilragazzole guardie. - Oggi vinceranno i numeri del terremoto. - C'è il fattodell'inglese che si è impiccato all'albergo - È il 18 il numero di quest'oggivedreteNunziatella...

Questi erano i discorsi che faceva quella genteagglomeratae tormentata dal desiderio e dalla curiosità.

Molte speranze si accendono e bruciano il cuore come uncarbone vivo; vengono gli ultimi dubbigli ultimi scoraggiamenti; si ciarlasiride per stordirsi.

Zittoil ragazzetto cogli occhi bendaticol braccio ignudodall'alto d'un palco tuffa la mano nell'urnaestrae un rotolino di cartachepassa al signor delegatovien scritto su un libroviene esposto in unatabellae il banditore grida: - Quattro!

- Papàpapàil Quattro - gridano i ragazzi inmezzo al susurro che tien dietro al primo numero.

- Non vuol dir nullaragazzi. Tutti possono pigliare unnumero come si piglia un pesce morto colle mani. È il terno che ci vuole.

Cosí dice Filippinoa cui quel primo numero ha fattobattere terribilmente il cuore.

Succede un nuovo istante di silenzio. Il ragazzino tuffaancora la mano nell'urnatira il numeroquesto vien scrittoespostoe ilbanditore grida: - Trenta!

- Papàpapàpapà... - strillano i quattro ragazzi comequattro aquilotti.

Filippinocolla voce e coll'anima sconcertatamentre nellafolla cresce il susurrosentendo che sta per perdere la testachiama ipensieri a partito e sgridando i figliuoli dice:

- Taceteallocchi. Che vogliono dire due numeri? si puòavere il capo e la coda del pesce e non avere il pesce. La fortuna è comel'onda del mare grosso che vi spinge a terrama non vi lascia mai sbarcare equalche volta vi ammazza sullo scoglio. Vedi tu beneAngiolilloche siaproprio il Trenta?

Filippino sollevò il piú piccolo de' suoi figliuoliperché leggesse i numeri al di sopra delle testeil padre aveva la nebbianegli occhi.

- È il trentalo conosco bene - gridò il bimbo.

- Ebbenefate conto che non sia venuto niente. Noi dobbiamovincere il terno seccoo non è che un pugno di mosche.

- Dicono che «u governo» levi dall'urna i numeri pericolosi- disse un grosso fabbro a una bella ragazzona del Mercato.

- Il lotto è una trappola - rispose costei.

- Come l'amoresperanza mia! - disse il fabbroche avrebbevoluto tingere la bella guancia.

Filippino procurava di stare attento a questi discorsi perdistrarsiper non soffrir troppoper ingannare il tempo. Se ci fosse stata lasua Chiarina... ma la pia donna sognava in quel momento un nido di rondini. Eglinon cessava intanto di tirare i riccioletti d'Angiolillo come se volessespennacchiarlo.

Il. ragazzo tuffa per la terza volta il braccio nell'urna.Tira il numeroche vien scrittopubblicatoe il banditore questa volta convoce da cannone grida:

 

NOVANTA!

 

Filippino seguitava a dire macchinalmente:

- Moschemoschemosche...

Un grande uragano di voci accolse la comparsa del

 

90

 

del gran signore del lottodi questa illustre quantitàchenella sua pontificale maestà viene in fondo alla processione degli altrinumeriultimo della seriesimbolo dell'abbondanza.

- Papàpaparinoil novantail ternoguardapapà...

I ragazzi hanno un bel gridare. Filippinocome se avessericevuto una mazzata sulla nucatentenna il capostraluna gli occhicontorcela bocca e seguita a ripetere:

- Moschemosche.

Intorno a lui si fece l'Ombra che avvolse Nostro Signore sulmonte. Le gambe non lo portavano piú. Sentiva i ragazzi che strillavanochesì arrampicavano sulle gambema egli non vedeva piú nulla.

- Aiutoaiuto!

- Che c'è?

- Gli vien male.

- Chi è?

- Un epilettico.

- Ha vinto un terno. È il caldo. Portatelo fuori. Fatevenire una carrozzella. Largolargogalantuomini...

Accorrono alcune guardie municipali. Filippino è sollevatoportato fuori dalla folla e dietro si fa un codazzo di gente che interrogacheesclamache dice la suacommentaattacca la frangia.

Angiolillosvelto come un uccellinoè volato a casa aportar la notizia alla mamma.

Mezz'ora dopoin Mercato non si parlava d'altro. Filippinoil cappellaio aveva vinto un terno secco datogli dal prete Cirillo in cambio diun cappello.

Prima di sera il nome di Filippino il cappellaio e quello diprete Cirillo erano sulle bocche di tutti.

- La vincita è grossa. Chi dice centochi duecentochitrecentomila lire. Don Nunziante ha visto la polizza e sa che Filippino hagiuocata la vita de' suoi figliuoli. Non poteva «u prevete» contentarci un po'tutti?

Il vespaio stuzzicato dalla meravigliadall'invidiadallastizzadalla passionesuscitò una mezza rivoluzione nelle piccole stradenelle bottegucciepresso i banchi del pescespecialmente in Mercato dov'era lacasa del prete.

Uscí fuori anche Gennarielloil ciabattinoche aveva inconsegna la chiave della casa e che da due giorni non vedeva tornare lo zio.Comparve sulla sera anche don Ciccio Scuottoil famoso «paglietta» o avvocatodei pretiche aveva ricevuta la lettera di don Cirillo. Aprí la casain mezzoal gran bisbiglio delle comari spettinateche strologavano sull'accidente. Ilprete mancava da casa da giovedí; Ciamminella l'aveva veduto uscire all'alba enon era piú tornato.

Gennarielloche aveva fatto un debito per giuocare i numeridello zio preterestò istupidito tutta la sera e non gli si poté tirar fuoriuna parola di bocca.

La gente lo compativa.

- Vacredi alla carità dei parentipovero martire! A te hadato i numeri falsiperché sei figliuolo di sua sorellae ha dato i buoni almarito di donna Chiarina.

- Sposa amorosa e fresca - cantarellava l'acquaiolo. - Chinon regala volontieri qualche cosa a una bella donnina?

- Son cose in cui c'entra il diavoloCiamminellae nonvorrei toccare un soldo di quei denari.

- Nemmeno ioCarmela. Chi compra la fortuna vende l'anima.

Né minore era la folla e il subbuglio davanti alla bottegadi Filìppino.

Il pover'uomoportato a casa mezzo mortotrovò la mogliemezza morta nel letto. Tutta la domenica fu un giorno di sospiridiesclamazionidi piccoli svenimenticon un gran consumo di acqua di melissa edi fior di arancio. Per fortuna era festa e la bottega stette chiusa. La gentenella piazzuolaquanto fu lungo il giornorimase a contemplare i battentilegelosiela dittacome accade sul luogo di un grande delitto di sanguetantoche il medico dovette entrare in casapassando dalla porta del vicino dopo aversfondato un tavolato di mattoni.

Don Nunziante il notaioincaricato da Filippinotrovò ilmezzo di interrogare il commendator Bertidirettore generale del Regio Lottosull'entità della vincita e sui modi della riscossione e venne verso l’oradel pranzo a dire chefatti tutti i calcoli necessarie sottratta anche laparte di trattenuta per ricchezza mobileecc.Filippino Mantica aveva dirittoa 455.000 lirenon un mezzo milionema giú di lí.

I coniugi Mantica ascoltarono con un senso di tristezzaquesto gran numero.

Essi temevano che fosse l'effetto di una febbreo chec'entrasse qualche malefizio. Questo stordimentoquesto sonnambulismoduròfino al lunedíquando il medico li persuase a lasciarsi cavare quattro dita disangue.

Ma dobbiamo tornare indietro e seguire passo passo il barone.

 

VII

 

TROPPA FORTUNA

 

COSTUIcome abbiamo dettogiocava e vinceva sempre. Mentredistribuiva le carte al marchese Vico Spianocolse la palla al balzo per tirareil discorso sulla questione della ipoteca. Senza alzare gli occhi dalle cartegli disse:

- Fu da me ieri un certo prete a dirmi che tu avevi promessodi cedergli l'ipoteca di Santafusca.

- È verome ne ha parlato il mio amministratoremostrandomi la convenienza dell'affare. Ho scritto al pretema non l'ho maipiú visto.

- Immagino chi possa essere- soggiunse il baronedistendendo tranquillamente le carte sulla tavola. - Io era venuto nell'idea divendere anche quei quattro sassiper far onore ai miei debiti di giuoco. Maoggi la fortuna «va cangiando stile»come dice il Petrarca. Se tu hai tempoposso rilevare io stesso la tua ipoteca...

Il barone rise forte alzando gli occhi all'orologio. Eranoappena le due di notte e i gentiluomini si divertivano tanto che avrebbero fattomale a smettere cosí presto.

- Resto fino a coprire la somma dell'ipoteca - disse ilmarchese di Spiano- e giuoco i miei crediti.

- Poiché ho il diavolo dalla mianon abuserò dellaposizione. Voltiamo queste quattro carte. Ecco qua la donna di bastone. HaisonnoVico?

- Un poco.

- Facciamo dunque i conti di banco. Tu mi devi ottocentolire: e poco per pagare l'ipoteca. Ma se vuoi arrischiarla tutta sul mazzolascio a te il taglio. Ecco qua il mio denaro.

Il marchese prese il mazzotagliò. Perdette.

- Ora siamo in pace- esclamò il barone ridendo nellabarba. - Con tuo comodo mi fai avere a casa quel documento. Le ombre dei vecchiSantafusca si rallegreranno. Quell'ipoteca era una macchia d’olio sopra unvecchio arazzo...

Poco dopo «u barone» stancoaffranto dalle fatichedalleemozionidal giuocosi addormentava sopra un canapè nella sala stessa delclube si addormentava di un sonno tenace e vischioso come la pece.

Turbata meno da sogni che da visioni rapide e sconnesselasua mente si ravvolgeva nel fondo oscuro di un sillogismoche usciva dalle piúcupe caverne del cervellosi affacciava rottolaceratovelato in parte; edava quindi una pena insopportabile lo sforzo che in mezzo a fantasmi sucidi epieni di ragnatele egli doveva fare per mettere insieme i brandelli diquell'argomentazione scucitache ricadeva sul suo capo col volo pesante di unuccellaccio. Passavano in quel sonno di piombo cose luminose e cose nerepezzidi marepezzi di muro grigiomacchie biancastre di calce vivarotte scale dicantine e di sotterranei; in mezzo alle quali cose si raggirava il suosillogismo coll'aspetto di un prete che andasse rovistando qualche cosa nellespazzature. E quel prete non era infine che il dottor Panterrevestito dapreteper burlacon quella sua faccia a grossi zigomiche rideva... e poitornava ancora il concetto che si ficcava dolorosamente tra le pieghe dellamateria cerebrale e diceva: «L'uomo vale una lucertola...».

Cosí riposòronfiando col versaccio dell'orsofino allenove del mattino.

Quando aprí gli occhi si guardò intorno e stentò ariconoscere il luogo. La luce scialba d'una giornata piovosa entrava peifinestroni e versava la sua tristezza sui tavolini da giuocosulle sedie indisordine e nell'aria della sala deserta e freddache poche ore prima erarisonata di risadi ciarledi pugni e di bestemmie.

Sopra un piatto d'argento brillavano le marchette di oro e ibiglietti variopintiche rappresentavano la vincita del baronecome eglil'aveva lasciata sulla tavola prima di chiudere gli occhi.

La vista di tutti quei denari richiamò alla memoria delgiuocatore le ultime impressioni della nottericonobbe il luogosi ricordòd'aver giuocato disperatamentee un'ultima eco del frastuono e delle ciarledella notte si risvegliò nella sua testa confusa.

Per quanto egli avesse dormito piú del solitosi sentivagli occhi affumicatila bocca amara e un senso di tristezza in tutto il corpodi cui non sapeva rinvenire la cagione. Quindi a poco a pocoe quasi risalendodi sensazione in sensazionecome se montasse una ripida scala a piuolisiricordò di aver pranzato al caffè dell'Europadi aver trovato l'Usillidiaver viaggiato il giorno primadi avere... Arrivato in cima alle suereminiscenzetrasalísi guardò intorno spaventatosi mise a sederesentíi polsi del capo battere con violenzail cuore farsi piccino e stretto.

Per fortuna era solo.

Lasciò che passassero anche queste sensazioni. La vita è unfiume che dopo un uragano ha le acque torbide; ma lasciate passare dell'acquaea poco a poco il fiume andrà schiarendosi.

Toccò il bottone d'un campanello ed ordinò a Raffaelloilcustode del clubun caffè con molto rhum.

Stette un poco a discorrere con lui di cose indifferentiperabituare la voce e per muovere lo spirito.

Raccolse il denaro senza contarloriflettendo in cuor suochese la fortuna fosse arrivata un giorno primaegli avrebbe potutorisparmiare di ammazzare il prete.

- Il paradiso e l'inferno sono in fondo a un sacchetto. Tu vicacci la mano e tiri a sorte...

Cosí brontolavascendendo lo scalone. Si sentiva stracco...specialmente le braccia.

Giunto sulla portastette ad osservare svogliatamente ilvia-vai della gente che si rimescolava in varie direzionicol passo lesto edritto di chi sa dove va e quel che fa. Non piOVeva piúma l'atmosfera erabigiacarica di vapore. Le strade fangosetetre.

Egli si sentiva una volontà piena di stoppa. Non sapeva seandare a casao se far visita a Marinellao se doveva far colazione. Non avevafameanzi si sentiva la bocca amara ed impastata.

Passavano carrozzellebirocciomnibus pieni di gente:ognuno aveva un pensiero in capouna voglia in corpoqualche cosa da diredaportareda ricevere. Egli si trovava invece d'essere un uomo perduto in mezzoalla genteprecisamente come se la fatica fatta per ammazzare quel prete avesseconsumata tutta la freschezza della sua vita e vivesse in sé come un uomo seccoin un guscio secco.

Uno strano desiderio lo condusse verso i quartieri popolaridel Mercato: ma a un certo punto si fermò. Gli sembrò che Napoli fosse pienadi preti. Non ne aveva mai visti tanti. Ne spuntava uno ad ogni angolo. Forseegli ci badava per la prima volta. Quanti preti!

Cominciò ad osservare le stampe e le fotografiedavantialla bottega d'un libraioe si lasciò tentare a comperare i «Viaggi diStanley nel Continente africano». Aveva bisogno di emigrare almeno colpensierofinché molta acqua fosse passata.

Ma sentiva già che è piú facile uccidere un uomocheuccidere un pregiudizio.

Egli non avrebbe potuto rassegnarsi a vivere cosía minutoa minutocome un orologio. Bisognava dare alla vita una buona scossa e farcadere con un colpo tutte le foglie morte.

 

VIII

 

IL CAPPELLO

 

Quattro o cinque giorni dopo il terribile fatto che abbiamoraccontatodon Antonioil parroco di Santafuscastava in giardino tuttooccupato a dar da bere alle sue rosee rimproverava le signore formicheche simostravano troppo indiscrete verso un uomoche avrebbe potuto adoperare controdi loro il fuoco e lo zolfo.

Prete Cirillo dormiva silenziosamente nella sua cisternasotto il mucchio dei mattoni.

Il bellissimo sole del mattinopassando in mezzo al fogliamedel pergolatoriempiva il viale e la persona del vecchio parroco di macchied'oro tremolanti come tante fiammelle.

Ne' suoi robusti settant'annidon Antonio godeva la gioiadella brezza mattutina. Il mattino è la giovinezza del giornouna giovinezzache torna ogni giornomentre l'altraahimèuna volta passata non ritornapiù.

Tuttavia il buon vecchiettoche sentiva stillare sui capellid'argento la fresca rugiada de' suoi fioripensava che nell'amor di Dio si èsempre giovani abbastanza e che il cuore dei buoni non invecchia.

Cosí pensavacoll'innaffiatoio in manoquando venneMartino a corsa a dire che Salvatore era caduto sulla strada preso da un granmale. Corresse don Antonio giú verso la villa coll'olio santose pure c'eratempo ancora. Corresse di quamentre egli correva di là a suonare la campana.

Don Antonio lasciò in fretta le formichecorse in chiesaprese il suo tricorno per ripararsi dal soleintascò la stola e il vasettodei sacri unguenti ecome gli permettevano le gambescese verso la villapreceduto da alcuni contadiniche avevano aiutato a portare Salvatore in casa.

Il poveretto era proprio agonizzante. Un secondo colpo eracaduto a rompere un esistenza già sconquassata. Salvatore abitava nella villauna cameruccia a terrenoche nei tempi antichi aveva servito di muda agliuccelli. Pochi stracciun vecchio canteranoun paio di sedieun pagliericcioformavano tutta la sua ricchezza. A capo del letto pendeva il vecchio fucileche da dieci anni non aveva ucciso un uccellino. La ruggine se lo mangiavasilenziosamente.

Il moribondo non mormorò che poche parole inconcludenti; madon Antoniopensando che s'era confessato l'anno prima e che d'allora in poi ilmeschino non aveva avuto nemmeno la volontà di peccarelo assolse «inarticulo mortis»lo benedissee gli chiuse gli occhi «in vitamaeternamamen».

Martino rimase a custodire il morto in compagnia delprocaccia comunale.

- Ecco un uomo arrivato al suo porto - diceva fra sé stessoil vecchio piovanoritornando verso la canonica.

E mentre andava pensando al modo di fargli un poco difunerale e alle parole che doveva scrivere al barone per dargli la ingratanotiziavenendo su molle molle per lo stretto sentierovide sul terrenol'ombra del suo cappello sbattuta dal sole e si fermò. Girò un poco il capoper far giocare l'ombra in terra e gli parve che non fosse l'ombra solitavoglio dire quella che da tanti anni lo accompagnava nelle sue passeggiate alsole.

La differenza era nelle tese. Mentre di solito il suo largotriangolo colle ali distese come una vela al vento riempiva dell'ombra sua quasitutto il viottolodando l'immagine d'un uccellaccio che traversi colle alistanche un braccio di marequesta volta l'uccellaccio aveva qualche cosa in sédi piú sveltodi piú aggraziatopareva insomma il figliuolo del primo.

Non sapendo come spiegare lo strano fenomenodon Antonio silevò il triangolo dal capo e vide ch'era avvenuto uno scambio. Non era piú ilvecchio cappello dall'antico pelodagli orli corrosidalle rosse ammaccaturema un fior di cappellino nuovo fiammante di zeccacoi nastrini di setalafodera di seta azzurra come la mozzetta dei monsignoriun vere cappello damonsignore.

- Come va questa faccenda? - esclamò don Antonio. - Io holetto nelle sacre carte che un corvo portò un pane al profeta Elia; ma non homai letto che Dio mandasse anche i cappelli nuovi ai poveri preti.

Il piú bello si è che il cappellino pareva fatto a pennellopel suo capocome se veramente la mano di Dio avesse presa la misura.

Non sapendo come spiegare il misteroma sicuro in cuor suoche lo scambio era avvenuto nella stanza del mortonon disse nulla per ilmomento a Martino; ma quando tornò per il funeralegirò gli occhi intorno evide che veramente il suo cappello d'antico pelo era rimasto sopra una sedia inun angolo e che egli aveva preso il nuovo d'in sul canteranodove vedevasiancora il segno nella polvere.

La coscienza avrebbe voluto che egli lasciasse il nuovo alsuo posto senza cercar altro e ripigliasse il suo; ma sul punto di uscire colmortofosse distrazionefosse una cattiva suggestione dello spirito malvagioche trionfa di piú quando può conquistare una coscienza delicatafatto stache il buon prete prese ancora il nuovo e lasciò il vecchio sulla sedia.

- Questo non è rubare- diceva la coscienzamentre ilfunerale si avviava al camposanto- perché non si ruba nulla ad un poveromortoprendendogli il cappello. Laggiúsotto la terranon c'è pericolo dipigliare un colpo di sole. E poi io devo ben pagarmi in qualche modo di questofunerale. Salvatore non lascia indietro che il suo canee se aspetto che paghiper lui quel vecchio libertino del suo padronesto fresco. Resta a vedersi-mormorava la coscienza incontentabile e schizzinosa- resta a vedersi se ilcappello era proprietà di Salvatore o non si trovasse per caso nella camerettao se egli l'avesse ricevuto in consegna. D'altra parte io lascio in luogo delnuovo il mio usatoe quando il padrone del primo si sarà accorto del cambiopotrà venire alla canonica a reclamare.

Acquietata la coscienza in questo pensierone parlò lastessa sera a Martinol'ex-cappuccinoche era fine nel risolvere i casi dicoscienza: e anche costui trovò naturale che don Antonio usasse di un cappelloche in fondo era di nessuno. Per togliersi tuttavia anche le ultime pagliuzzedalla coscienzail prete non lesinò sui suffragi e recitò una messa da mortoindirizzata tutta a sollievo della povera anima di Salvatore.

E si tenne il cappello.

Salvatore era morto senza poter dire come questo si trovassenella sua stanza.

Avrebbe potuto dirlo il suo canecheandando secondol'abitudine sua a raspare nelle paglie della stallal'aveva trovato in uncantuccio e l'aveva portato al padronecome usava fare cogli storni a caccia.

Ma i cani non parlano.

 

IX

 

IL PRETE RISUSCITA

 

Aveva ragione il barone. Passati i primi tre giornilesensazioni cominciavano a schiarirsila vita rientrava a poco a poco nelle sueabitudini e l'uomo forte e positivo si abituava a guardare in faccia al suomisfattocome a un fatto qualunque non peggiore degli altri.

Il marchese di Spiano gli fece avere a casa l'atto d'ipotecache il barone gettò sul fuoco insieme alle lettere del prete e ad altre carteinconcludenti. Cosí anche da questa parte poteva dormire tranquillamente.Bruciò anche i valori in cui fosse scritto il nome del pretema ne restòancora un cassetto pieno. Oltre alle vincite fatte al club «u barone» avrebbepotuto mandare al Banco di Napoli a riscuotere quasi novantamila lire in tantecedole di Stato al portatore; non c'era pericolo che il prete fermasse i numeridelle cartelle. I morti fanno il mortoe volontieripare.

Al club lo accoglievano con simpatia: Marinella non gli avevamai voluto tanto bene.

- Tu dovresti condurmi a Parigibarone - diceva la graziosaninfacircondandolo colle sue magnifiche braccia.

- Perché noNelluccia? È un progetto a cui si puòpensare.

Un viaggio a Parigiun cambiamento d'aria non avrebbe fattomale a un uomo che stentava ancora un poco a ricuperare sé stesso. Egli nonamava Marinella piú di quanto gli poteva dar piacere: ed essa era una creaturaabbastanza sciocchina per non annoiarlo con dimande inutili e con questionimetafisiche. Passò il venerdíil sabatola domenicavenne il lunedí enessuno al mondo uscí fuori a chiedergli notizie del prete.

Di tanto in tantoquando lo ripigliavano le tristezzefaceva «un bagno di filosofia»voglio dire cercava di richiamare alla mente iprincipii sui quali il mondo si basa come un paiolo sul treppiediche una cosaval l'altrache un uomo non è piú che una lucertolache tutto si riduce allamateriae che nulla potendo essere di ciò che esisteegli non aveva fatto chemodificare l'esistenza del...

Si abituava già a sottintenderlomodo anche questo utileper spegnerlo del tutto.

Un giorno egli leggeva il «Trattato delle cose» del celebredottor Panterreil terribile nichilistae si compiaceva di trovare formulatoin splendidi aforismi quelle consolazioni e quelle dimostrazioni che la suamente vedeva soltanto in confuso.

«Una palla di cannone che viaggi colla velocità dicinquecento metri al minuto secondo» diceva un capitolo del celebre libro«lanciata dalla terra al sole impiegherebbe nove anni e mezzo per arrivarvi. Eil sole è l'astro a noi piú vicino. Per giungere a un'altra stellala piúvicina dopo di luila palla impiegherebbe piú di nove milioni d'anni. E pergiungere alla piú lontana stella visibile? - diciottomila milioni di anni...Provate a scrivere questi numeri spaventevoli: provatevi a pensarli! E al di làdi quella stella di sedicesima grandezza il telescopio scopre mondi di nebuloseche sono forse altrettanti universi di stelle. Ahdolce filosofoche cos'è latua vita in questo spazio?

«Tutta l'umanità veduta insieme a cento miglia di altezzanon è che una muffa microscopica vegetata nei luoghi piú umidi d'una crosta.

«Se il sole per un capriccio viaggiasse una sola giornatalontano da noiquesto bel globo fiorito si cangerebbe nel tempo d'un fiat inuna pallottolina di ghiaccio. Chi saprebbe trovare in quel ghiaccio i tuoiesercitio imperatore di tutte le Russie? Qual potenza di lente occorrerebbeper rintracciare al di sotto di un blocco di ghiaccio i tuoi quaderni sulla"Ragion pura"o pretenzioso filosofo di Könisberga? In questi grandirapporti a base di zodiacoche cosa sono i miei debiti col mio vicino?».

«U barone»leggendo questi aforismisentiva la coscienzaallargarsi e spianarsi nell'immensità dello spazio e del tempo. Una profondatranquillitàsomigliante al muto fatalismo orientalesottentrava all'uggia ealle punture d'un pensiero rattrappito negli angoli della vita comune. Egliriposava superbamente e stupendamente in quello spazio di milioni e milioni diraggi terrestrinel quale vedeva sprofondarsi il corpicciuolo magro del suovecchio prete.

E si sarebbe addormentato ancora in questa metafisicavisionese Maddalena non avesse a un tratto picchiato due colpi secchi collenocche nell'uscio. «U barone» trasalí.

- Eccellenzastamattina c'è stato ancora quel prete.

- Che cosa vuole? - chiese con voce torbida il barone.

- Vuol parlare con vostra eccellenza.

- Ha detto come si chiama?

- Non ha voluto dirlo. Tornerà.

Il barone cominciava a seccarsi di quest'altro prete che glironzava intorno come un moscone. Egli non conosceva nessun pretetranne il... suo.Chi poteva esser costui che già due volte era venuto a cercarlo a casa suaeche non voleva dire il suo nome? Non già ch'egli temesse l'ombra di preteCirillosi sa «u barone» non era Macbetto.

Ma prete Cirillo poteva avere degli amiciche conoscevano lesue intenzioni; e se questi amici venivano a chiedere di lui...

L'occhiofisso e cristallizzato in questo pensieroeraandato a cadere sul foglio dell'almanacco americano attaccato a una delleimposte sulla finestra e che portava ancora il grosso numero nero

4

 

il giorno del famoso fatto.

Quel 4 restava come un atto d'accusa e il barone si alzò perdistruggerloquando udí ancora la voce di Maddalena che disse:

- Eccellenzac'è una lettera.

Ogni piccolo avvenimento era per lo sciagurato un motivo diapprensione o di paura; molt'acqua ancora bisognava che passasseprima di potervedere in fondo alle cose con serenità di spirito.

Perdette di vista l'almanacco e corse a prendere la lettera.

Veniva dalla posta e portava il bollo di Santafusca.

La mano tremò tantoche la lettera scivolò dalle dita ecadde in terra. Chiuse in fretta l'uscioraccolse la letterae premendo nellostomaco un'onda gonfia che tentava di soffocarlosi lasciò andare su unapoltronaruppe con frenesia la bustaaprí il foglio...

Non era il caso di credere che il prete gli mandasse un contosaldato; ma quanti pensieri gli si affollarono in quel minuto secondo nelcervello! Tutti confluirono in quella dimanda: Che lo avessero gia scoperto?

La lettera era firmata «Jervolinosegretario».

Era insomma il segretario di Santafusca checon uno stilepieno di un burocratico rispettogli annunciava la morte del fedel servoSalvatoreavvenuta per un colpo apoplettico sulla viae riferiva come equalmente il sottoscritto avesse chiuso il cancello della villa e ritiratal'unica chiaveche conservavasi nella sala del Consiglio comunale in attesa diquelle ulteriori disposizioni che sua eccellenza illustrissima si fosse degnatodi dare.

Del prete nulla.

Anziil tono della lettera non poteva essere piúrassicurante.

- Va bene! - esclamò «u barone» con una cadenza dabaritono che prova la vocee sentí lo spirito andare a posto. - PoveroSalvatore! - soggiunse abbassando la testa e portando una mano agli occhi.

Il suo compianto era sinceroperché l'animo suo non erachiuso a tutte le memorie della giovinezzaquandocon Salvatoresoleva andarea caccia sui monti.

Il povero vecchio aveva voluto morire su una strada... comese avesse sdegnato di chiudere gli occhi in una casa maledetta.

Questa era poesia forseo retorica rimasta nelle infossaturedella vita; ma egli non poteva sottrarsi a queste considerazioni. Si consolò infondo che la faccenda non poteva andar meglio. Morto anche Salvatore e chiusa lavillasenza che uscisse sospetto alcunoil prete non poteva esser meglioseppellito.

Egli avrebbe scritto che gli mandassero la chiavee amen!il luogo rimaneva perfettamente disabitato e chiuso agli occhi deicuriosi.

Lo riprese un nuovo vigore. Tutto funzionava come un perfettoorologio e tutto dimostrava come a questo mondo il caso è piú forte ancora diogni previsione.

Per goder una bella giornata con Marinellaa cui avevapromesso di pranzare insiemeandò a farsi bello nella bottega del Granellaparrucchiere e profumiere premiato piú volteche aveva per il barone unrispetto proporzionato al numero dei profumi che regalava a Marinella.

Lo spinse ad entrare in bottega anche il desiderio di farcantare il Granellache - degno figlio di Figaro - era il gazzettino parlantedella città. Volevacon questo mezzointerrogare la voce pubblica.

- Ebbenequali novitàGranella? - dimandòquando fuseduto ed avvolto nelle candide salviette come un antico sacerdote.

- Molte e belle. Il ministero è caduto: Bismarck ha ricevutol'ambasciatore di Russiae pare che la guerra coi Turchi sia inevitabile. Èmorto il mio padrone di casae Filippino Mantica ha vinto mezzo milione allotto.

- Chi è questo Filippino? - chiese «u barone» che stava asentire col cuore sospeso. Ma vide che il suo prete era ben morto.

- Chi è? oggi è l'uomo piú felice del mondo. Sabatomattina era il piú miserabile cappellaio di Napoli.

- E ha vintodici...

- C'è vincere e vincere. Questo è spiantare il regio lotto.E dire che se io avessi mezzo milioneper San Gennaronon farei il barbiere.

- Prova.

- Ehse scrivo tre numeriil diavolo me li mangia.

«U barone» rise. Era la prima volta che rideva di gustodopo molto tempo. E del suo prete nulla. Napoli non si era dunque accorta dinullacome se fosse scomparsa una mosca.

- Ma il piú belloeccellenzaè ciò che si dice di questocappellaio.

- Che cosa si dice?

- Si dice - e io ripeto la cosa senza insaponarla - che ilcappellaio ha una moglie bella e giovanela quale avrebbe ricevuto i trenumeriindovini da chi...

- Da chi?

- Indovini.

- Come si fa? da un amante?

- Da un prete.

- Uh....

- Giàun cabalistaun negromanteche abita laggiú nellaSezione di Mercatoil quale sa l'algebra e regala di questi terni alle belledonnine.

- E questo?...

- Veda c'è tutta la storia sul Piccolo di ieri. Ne parlatutta Napoli. Dov'è? eccolo quileggasi divertirà... Preferisce cosmetico obrillantinaeccellenza?

«U barone» prese il fogliolo aprie proprio in primapagina vide scritto in testa a un articolo queste precise parole in caratteremaiuscolo:

 

PRETE CIRILLO

 

X

PRIMI SPAVENTI

 

Che cosa provasse dentro di sé l'assassino a leggerestampato in lettere di scatola un nome ch'egli credeva d'aver cancellato dallafaccia della terraè difficile dirlo. Se non fosse stato nelle braccia dellapoltronasarebbe caduto miseramente a terra. Provò un gran peso in tutto ilcorpo: il sangue si fece prima caldo come piombo liquefattopoi rigido comemercurioe non ci volle che la sua straordinaria energia moralecorazzata dimetafisicaperché egli non si tradisse con un moto inconsulto o con un grido.

Per fortuna Granella fu distratto da alcune persone cheentrarono in quel mentre nella bottegae non stette a osservare il pallorelivido che era sceso sul volto del barone. Questichiusi un istante gli occhiebbe tempo di irrigidirsi nella sua sensazione e di preparare una faccia dismalto. Ma quando si guardò nello specchiocredette di vedere un morto.

Ecco che cosa raccontava il Piccolo:

«Il grande avvenimento di Napoli è la vincita al lotto diquasi mezzo milione fatta dal cappellaio Filippino Manticavincita che ha messoin rivoluzione le Sezioni di Pendino e di Mercatodove il cappellaio èconosciutoe piú conosciuto ancora prete Cirillo detto u prevete.

«Chi è prete Cirillo? È un negromanteun magouncabalistaun Nostradamus che ha il secreto dei numeri e vince quando vuole e favincere chi vuole.

«La fama di Prete Cirillo cominciò l'anno passatoquandosalvò la pelle dalle unghie di alcuni camorristidando un terno che uscítutto intero. Quei buoni camorristi furono tanto riconoscenti del serviziocheminacciavano di sequestrarlo un'altra volta. Vi par poco avere un uomo chefabbrica i milioni coi numeri del lotto?

«II prete li teneva a bada col pretesto che soltanto unavolta all'anno vedeva chiaro nella congiunzione dei pianetiin cui pare siaposto il segreto dei numeri.

«- U prevete fa l'ovo d'oro soltanto una volta l'anno- ci diceva una vecchia stracciaiuolaalla quale ci siamo rivolti per averspiegazione dei fatto. Questa donna abita nella casa stessa dove abitava preteCirillo; diciamo abitavaperché il prete ha fiutato il subbuglio e ha preso atempo il volo per ignoti lidi. Fuge rumores...».

- Non è una storia allegraeccellenza? - chiese Granella.

«U barone» non rispose e seguitò a scorrere la pagina delgiornale che descriveva la casa del cappellaiola famiglia di costuiil numerodei suoi figliuolil'uso che intendeva fare dei suoi denariecc. Del prete nonsi diceva altro se non che aveva preso il volo.

- Voi dovreste sapere qualche cosa del pretedon Ciccio -disse Granellavolgendosi ad un vecchiettoche stava aspettando in bottega lavolta sua.

Era costui quel medesimo don Ciccio Scuottoil padrone dellacasaal quale il prete aveva mandata la lettera. Lo conoscevano tutti per ilgrande «paglietta» o avvocato dei preti e dei poveriuomo finotenacenemico dei giornali liberali e dei tempi scellerati.

- So di certo che è partito; ma voi non credete ai giornaliche hanno il gusto di ingannare la gente. Leggete il Popolo Cattolicol'unico foglio autorizzato dall'arcivescovo. Là troverete la verità. Il preteera mio amico e mi pagava puntualmente la pigione.

- Vi pagava con tre numeri buoni? - esclamò ridendo un altrogalantuomoche Granella aveva salutato per don Nunziante.

«U barone» che stava colle orecchie teseguardando nellospecchiorìconobbe nell'uomo dal grasso ventre e dal naso spugnoso il notaioche egli avrebbe dovuto condurre seco a Santafusca per stringere il contrattocol prete. Qualche altra volta aveva avuto bisogno di luiche servivavolentieri i tribolati della fortuna e prestava con ragionevole interesse.

Don Ciccio e don Nunziante erano antichi amici e rivalimanel comune vantaggio si aiutavano volentieri. Entrambi conoscevano preteCirillo.

La gentequando vedeva insieme il «paglietta»il notaio eil pretediceva:

- Ecco «don consigliodon appigliodon artiglio».

Un buon cliente passava nelle loro mani come attraverso a unafiliera. Questi due galantuominiche sedevano nella bottega del Granellavestivano alla foggia dei loro tempi: abiti grandi con larghe tasche semprepiene di carte.

Don Nunziante però era grossolargo di spallecon una granvoce; mentre il «paglietta» era piccolocon una pancia asciutta comeun'assicellastizzosouncinonervoso come un campanello elettricoe portavasempre un cilindro bianco col pelo arruffato.

- Dicono che sia andato a Roma a portare l'obolo al Papa -esclamò don Nunziante. - Prete Cirillo ha studiato la negromanzia per rubare ildenaro al Governoe darlo al papa. Non è verodon Ciccio?

- Voi parlate come un giornale liberale - risposestizzosamente il «paglietta». - La negromanzia è un'arte diabolica e laChiesa non ha bisogno di questi sostegni. «Et portæ inferi nonprævalebunt...»capite ancora il latino?

- Vi ha scritto dove si trova?

- Mi ha scritto e non mi ha scritto - disse con ariaaltezzosa l'arruffato don Ciccio- ciò che mi irrita è di vedere il disprezzogettato sulle cose sacre e degne di rispetto.

- Credete almeno che tornerà?... la gente fa millesupposizioni una piú brutta dell'altra.

- La gentela gentela gente... la gente!

Don Ciccio fece una mezza volta per la bottegaaccompagnandoogni sua esclamazione con un sorriso pieno di amaro dispetto. Sentí il bisognodi dare una strappata forte al suo panciotto a fiori e di passare la manica sulpelo del suo cilindro bianconell'atto che lo appiccava al chiodo. Il cilindrorimase appiccato col pelo piú arruffato di prima e pareva che si associasse alsuo padrone nell'acre disprezzo per la gente o pei liberalastri.

- Eccellenza è servita.

«U barone»che durante questo tempo aveva perduto il sensodi sé stessosi scossesi tolse con fatica dalla poltronasi concentrò inun sussiego aristocraticoe si mosse gravemente. Don Nunzianteche loriconobbes'inchinò rispettosamente e corse a sollevare la tenda.

«U barone» uscí durotutto d'un pezzoe prese acamminare verso un'ignota destinazionesenz'altro scopo che di snodare gli artie di smuovere il sangue. Egli aveva provato un gran spaventoquando credettesulle prime che fosse stato scoperto il delitto. Se ne sentiva veramentescassinato per tutta la vita.

Ci sono scosse improvvise di terremotoche abbattonoqualunque edificio e storcono qualunque chiave di ferro. Alzando gli occhi versoil cieloprovò a ricollocarsi mentalmente nello spazio infinito. Era cosastupida di soffrir tanto per quattro parole stampate su un giornale; e ancora siconvinse che il vecchio uomo non era morto in lui.

A poco a pocoe man mano che l'aria viva della strada glibatteva sul visocominciò a vedere non solo la sua posizione sicurama quasimigliorata.

Questa faccenda del terno e del mezzo milione arrivava atempo per richiamare l'attenzione della gente e dei giornali su prete Cirillo ene spiegava nello stesso tempo la improvvisa scomparsa.

Prete Cirillo aveva preso il volo per isfuggire allepersecuzioni degli ignoranti e dei tristi e aveva tutto l'interesse di rimanerenascosto.

Passato un po' di temponessuno avrebbe pensato a lui. Seanche fosse stato trovato il suo cadaverela gente non credeva già ch'egli eracaduto nelle mani dei camorristi?

Tratto e sospinto da questi suoi pensieriil barone sitrovò senza saperlo in Mercato. Gli parve una buona idea di andare egli stessoa chiedere di prete Cirillo a una donna che allattava un bambino sulla sogliadella casa dove abitava il prete.

- Abita qui prete Cirillo? - dimandòlanciando un'occhiatalunga e frettolosa su per la scaletta umida e nera.

- È partitoeccellenza - disse la donna.

- Dove si trova?

- Chi lo sa? Gesú...

La donna fece uno di quei gesti contratti con cui il popolodi Napoli riassume tutto ciò che pensa e che non pensa.

Non gli parve che in Mercato vi fosse tutta la rivoluzione dicui parlava il Piccolo. A Napoli le impressioni sono altrettanto fortiquanto passeggiereraggi di sole sull'acqua che abbaglianoma non scaldano.Questo suo mortoinsommatornato a galla un momentodoveva come gli annegatiprecipitare subito in fondo e non risvegliarsi che il giorno del giudiziovalea dire mai.

In questa convinzione se ne tornò con passo lesto e con unfare superbo quasi di provocazione verso la gente che gli veniva incontro e chepensava a prete Cirillo molto meno di quello che il barone immaginasse.

Comprò tutti i giornali del giorno primacompreso il PopoloCattolicoe corse a casa colla voglia smaniosa di leggere quel che dicevanodel suo prete. Non era paurama solamente una curiosità come un'altra.

 

XI

 

IL RIMORSO DI COSCIENZA

 

Don Antonio accese per la seconda volta la lampada davanti alSacramento e mezz'ora dopo la trovò spenta di nuovocome se uno spiritofolletto maligno e invidioso vi soffiasse sopra.

Entrando in chiesauna volta incespicò nel gradino dellasacristiae un'altra volta rovesciò le ampolline della messa.

Erano brutti segnali.

Sentì il bisogno di parlarne con Martino.

- Credo che siano avvisi del cieloMartinoperché mi soncaricata la coscienza di roba non mia.

Martino aperse le grosse dita in forma di Veponendo undito su un ditogli disse-

- O il cappello era proprietà di Salvatoree allora voifate giusto a pagarvi delle spese del funerale: o non era di Salvatore...ma dichi può essere se non è suo?

- È appunto ciò ch'io vado dimandando. Di chi può essere?

- Non potrebbe essere che d'un prete?

- D'un soldatono... - soggiunse don Antoniofacendoseguire l'osservazione d'una risatina grassache scese nella gola e morí nelventre col tintinnío d'un campanello.

- Non potrebbe Salvatore averlo acquistato da un prete?

- Con che sugo?

- Per fare una carità.

- Non è possibile. Vedete che è un cappello nuovo degnod'un monsignore.

- To'mi viene in mente un'idea. Che fosse di monsignorvicarioquel reverendo prelato che una volta fu a visitare la villa?

- Ci avevo quasi pensato vedendo i nastrini di seta.

- Scommetterei che è cosí.

- Ma vi pare possibile dimenticare il cappello? A me èaccaduto di dimenticare qualche volta il libro dell'uffizioma un cappello...vi pare? Ad ogni modo io non farei male a scrivere una bella lettera a monsignorvicario per togliermi d'addosso anche questa pagliuzza.

- Vossignoria farà bene certamente per la pace dell'anima.

Il giorno appresso don Antonio versò tre goccie di vino nelcalamaiodove da un mese era seccata l'ultima sua predicaprese la penna edisse nell'atto che cominciava la sua bella lettera:

- La pace e il riposo dell'anima valgono ogni altro beneemeglio è andare in paradiso a capo scopertoche andare all'inferno colcappello del diavolo.

Dopo aver riletto tre pagine del Segneri per rifarel'orecchio al bel periodoin men d'un'ora don Antonio poté mettere insiemequesta lettera:

 

«M. R. Monsignor VicarioPadron mio colendissimo!

«La dolce memoria ch'io conservo della S. V. Illustrissima eReverendissimae la paterna bontà onde in una non lontana contingenza fuidalla prefata S. V. Illustrissima compatito e incoraggiatomi dà l'animo dirivolgermi per un caso in cui la mia coscienza naviga come una navicella fra gliscogli in tempestoso mare. Non ho bisogno di dichiarare la devozione delsottoscritto ai puri principii proclamati dalla cattedra di Pietronon che daisuoi visibili interpretitra' quali face di sette fiamme è l'EminentissimoPastore che governa codesta Partenopea Metropoliecc.ecc.».

E su questo stile finiva col raccontare la storia delcappello trovato nella camera di Salvatorelo scambio avvenutoi dubbi dellacoscienzai segnali del cieloe chiedeva se nella Curia si sapesse di unqualche prelato«il quale avesseper oblivione o per alcun altro accidentedimenticatoo lasciatoo perduto il cappello».

Due o tre giorni dopomonsignor vicario rispondeva con moltaarguzia che a lui e ai colleghi suoi era accaduto piú d'una fiata di perdere latestama nessuno si ricordava di avere mai perduto il cappello.

E finiva con un sincero elogio della semplicità e dellavirtú di don Antoniol'apostolico ministero del quale non era ignoto del tuttoagli occhi di sua eminenza.

Don Antonio fu contentissimo di queste paroled'incoraggiamentoche gli venivano da sí alto pergamoe lesse due volte lalettera al Martinoche disse:

- Io vedo in queste parole un gran segnaledon Antonio mio:e spero che questo cappello sarà per voi il principio di gran fortuna.

- Volete forse dire che io avrò un cappello di cardinale?

Lieto e ridente della sua abbondante bontàil vecchiocurato prese le forbici e cominciò a tondere una piccola siepe di mortella checingeva un'aiuola d'insalata.

- Non dico cardinalema c'è cappello e cappello. Imonsignoriper esempiohanno un fiocco azzurro nel mezzo.

- Taceteburlone: voi fate arrossire di vergogna questigiacinti. Io dicoinveceche noi siamo nell'imbroglio di primae parlando conpoca riverenzasecondo memonsignor vicario avrebbe dovuto risolvere il dubbiose un sacerdote può pagarsi da mugnaioritenendo una roba che il fedele nongli ha esplicitamente donata.

- Ma quando la roba è di nessunoè roba del buon Dio -osservò Martino. - Aggiungete che io ho cercato il vostro vecchio cappello allavilla e non c'è piú. Un nipote di Salvatoreche fa l'oste alla Faldaèvenuto e ha portato via il cappello vecchio insieme alla roba dentro un sacco.

- Per modo che tra due cappelli io sono come l'asino diBuridano tra due fasci di fienoo viceversa...

- Sicurovoi non potete andare in montagna o al borgo a capoignudo.

- Sicuro che non posso andare a capo ignudo. Dimani ho unfunerale a San Fedele e non posso andarci senza cappello con questo bel sole.

 

Ecco in qual modo don Antonioacchetata anche lui la suacoscienzasi abituò a servirsi del cappello del diavolo. Al funeraledoveconvennero molti pretitutti ammirarono la leggerezza dei pannol'eleganza deitaglio che sapeva conciliare il canonico col mondano. «Sacra mixta profanis!».

- Quanto vi costadon Antonioquesto cappellino dazerbinotto?

- Eh! eh! si vedono di rado sulle nostre montagne di questifunghi.

- Questi sono i cappelli che portano i monsignori del duomoquando vanno per strada Toledo.

- Don Antonio ha ereditato da qualche contessa suapenitente.

- Crescono le ulive d'oro sulle piante di Santafusca?

Don Antoniorubicondo di confusionesi sforzava di riderelasciava riderema non ebbe il coraggio di dire che l'aveva pigliato nellacamera d'un penitente moribondo.

Un pretucolo piú insistente degli altri lo tirò in dispartee gli disse:

- Quanto l'avete pagato?

Don Antonio si schermí un poco enon volendo entrare introppi discorsisegnò tre volte cinque colla mano aperta. Non la disse collaboccama fu una bugiauna bugia schietta da pigliare colle molle.

Tornando a casa coll'animo amareggiatodiceva stradafacendo:

- Eccopretechi è ladro è bugiardo. Si comincia atransigere colla pagliuzza e si finisce coll'inghiottire la trave. Non bastapredicare la virtú per essere uomo virtuoso. Noi sappiamo sempre trovare unsofisma da mettere in bocca alla coscienza che abbaia... Tuvecchio peccatoretenti troppo la pazienza di Dio.

Il castigo non si fece aspettare. Non era ancora a casa cheuna tremenda gragnuola ruppe e sparpagliò tutte le sue belle rose.

 

Da quel momento gli parve che tutto andasse a malecome seil cappello del diavolo avesse portato in casa la maledizione. Di nottequell'ombra nerache si disegnava sulla paretee sulla quale scendeva nelleore chiare il raggio della lunaaveva la forza di rompere il sonno e di nonlasciarlo piú dormire.

Non poteva piú durare cosí. A costo di farlo volare dallafinestra...

E già stava quasi per eseguire il suo pensieroquando videsul cielo del cupolino un biglietto rotondo con una scrittache diceva:«Filippino ManticacappellaioNapoliMercato34».

- Noi siamo molte volte assai fatui nella nostra presunzione- disse a Martino in sagrestia. - Abbiamo tanto strologato di chi poteva essereil cappello e c'è scritto su.

- C'è scritto il nome del padrone?

- Non il nome del padronema quello di chi l'ha fattocolnumero della bottega. Siccome il cappello è nuovoil sor Filippino saprà achi l'ha venduto e io purificherò la casa dalla roba degli altri.

- Voi siete un giusto dell'antico testamento - disse ilcampanaro tutto compunto: e promise di cercare una bella scatola di legno o dicartone e di portare egli stesso il cappello alla stazione.

Come avviene nei piccoli paesila leggenda del «cappellodel diavolo» e della santità del piovanoportata fuori dall'ex-cappuccinocampanarofece il giro delle case e delle stallee tutti lodavano Iddio cheavesse mandato loro un pastore dell'antico testamento.

 

XII

 

IL FANTASMA DEL CAPPELLO

 

Per qualche tempo il barone fece vita ritirata e carezzòl'idea di andare lontano o con Marinella o solo a godere i frutti delle suespeculazioni.

Per quanto si sforzasse di pigliare la vita di Napoli comeprimasentiva sempre un non so che tra i piedi che gli legava il passo. Ognigridoogni accennoogni prete che incontrava per viaogni scherzo sui pretierano altrettante occasioni di penadi sospensionedi sospettose non dipaura.

Tutti i giorni leggeva i giornali e si consolava nel vederechedopo il piccolo episodio del ternoil suo prete rientrava tranquillamentenell'ombra.

I giornali non parlavano piú di prete Cirillocome se nonfosse mai esistitoe se una volta nominarono il barone di Santafuscafu perannunciare la sua elezione a presidente del club delle caccie. La puntualitàcon cui il barone aveva soddisfatto a' suoi debiti d'onore gli aveva restituitala stima dei gentiluomini.

Erano ormai passati dieci giornilunghieternima c'eramotivo di credere che potessero passare egualmente bene dieciventi anniinfondo ai quali il nome di prete Cirillo sarebbe del tutto diluitocome unghiacciolino nel mare.

Una mattina Maddalena venne ad annunciare per la terza voltala visita di un prete.

- Insomma - gridò questa volta il barone - non puoi mandarloal diavolo?

- È qui! - disse Maddalena impaurita.

- Che cosa vuole?

- Parlare con vostra eccellenza.

Il barone esitò ancora un poco per un resto disuperstizionepoi disse:

- Ebbenevenga avanti... Vediamolo - soggiunse poi tra sé -questo noioso mosconeche da una settimana mi ronza intorno.

Mentre sfidava il misterioso personaggio a farsi vedere«ubarone» sentí che aveva bisogno d'un coraggio insolito anche per ricevere unprete. Nessuno penserà ch'egli avesse paura di veder entrare prete Cirillo. Soncose che si leggono nelle ballate tedeschema chi le crede oggimai? Tuttaviaavrebbe fatto senza di questa visita quasi per un istintivo ribrezzo al nero.

Stette ad ascoltare la voce della Maddalenache pregava ilmisterioso visitatore a venire innanzi. Sentí anche un passino delicato estrisciato sul pavimento; poi l'uscio si aperse adagio adagio...

- Licet? - chiese una voce morbida come il miele.

- Avanti! - gridò «u barone» fortecome se comandasse unosquadrone di cavalleria.

Entrò un piccolo sacerdote rotondo e mollecon una facciabutirrosacon abiti lindi e freschicon due manine grassottelle piene dipozzette e con un portamento di grande cerimoniere. S'inchinòsocchiudendo gliocchi: e masticando le parole col gusto di chi mastica delle prugne cottedisse:

- Ho io l'onore di parlare con sua eccellenza il signorbarone Coriolano di Santafusca?

- Precisamentee io ho l'onore di...

- Io sono monsignor vicario e vengo incaricato di unarispettosa dimanda a vossignoria per parte di sua eminenza monsignorarcivescovo.

- Pregosi accomodi.

Il barone fece qualche passo innanziindicò unapoltroncinane accostò un'altra per sé. Il grazioso monsignore non vollesedersi per il primoil barone insistettee dopo un po' d'altalenaperrispetto e per obbedienzail prete cedette alle gentili insistenzesedettecollocò il suo bel cappellino di seta a tre punte sulla sponda della scrivaniasi lavò due volte le mani nell'ariae aprendole d'un tratto come due girasolidisse:

- Ecco! lo sono venuto per sapere da vostra eccellenza(sempre se è lecita l'indiscrezione) quanto c'è di vero nella voce che ellavoglia vendere la sua villa di Santafusca.

- Nulla c'è di vero - rispose recisamente sua eccellenza.

- Dirò il perché della mia dimanda. Sua eminenza cerca neidintorni di Napoli un palazzo grande e adatto per collocarvi un seminario ocollegio teologicoche potesse servire nello stesso tempo di villeggiatura alsacro capitolo.

- Non ho nessuna intenzione di vendere Santafusca - tornò aripetere il barone.

- È stranoperché in Curia si dava per certo che un pretedi Napoli avesse già data a vostra eccellenza un'anticipazione per l'acquistonon solo della villama anche dei terreni annessi.

- Uhm! - fece il baroneraccogliendo tutto il suo spirito. Epensò: - Sempre quel maledetto prete!

- La cosa pareva tanto più attendibile in quanto che chidoveva acquistaree diceva di aver già in parte acquistatoera uomo danarosoe venne egli stesso piú volte a fare delle offerte al cancelliere della sacramensa.

- Ah!... ellamonsignorevuol forse alludere a prete...Cirillo...?

Il barone pronunciò queste parole tutte su una nota con tonodi canto fermo. Era la prima volta che il nome di prete Cirillo(dell'assassinato)risonava sulle sue labbrae gli parve che il nomesquillasse come una trombetta. - Sensazioni! - Non perdette tuttavia le staffeanzi fu contento che si cominciasse a parlare del morto come di un vivoqualunque.

- Precisamente don Cirillo - rispose monsignore.

- Difatti - seguitò «u barone» con voce naturale - questoprete era stato da me qualche volta e si doveva combinare una gita insieme...Allora io ero in un momento di grandi bisogni. Poi a un tratto questo prete èpartito. Dicono che abbia paura di restare a Napoliperché è in voce dinegromantedi stregoned'indovinoche so io? («u barone» rideva). Ci deveentrare la camorrail giuoco dei lottola vincita di un mezzo milione; ne haparlato anche il Piccolo e credo anche il Popolo Cattolico... Eccoquantomonsignore.

Bisognava sapere che monsignore non leggeva mai i giornali eche preferiva nei momenti di riposo fare qualche sonnellino nella poltronaanziché ascoltare i pettegolezzi di sacristia. Si può immaginare comerimanessesentendo dire che a Napoli c'era un prete negromantestregonecamorristache aveva vinto mezzo milioneun prete scomparso.

«U barone» lesse la meraviglia sul volto e negli occhi delprelato e si affrettò a raddolcire l'effetto delle sue parole.

- Io non ho veduto che una volta questo pretema poichéoggi ho potuto provvedere diversamente ai miei bisogninon intendo di venderela casa dei miei maggiori.

- Ce ne duole assai. Santafusca rispondeva al nostro idealee la mensa sarebbe stata disposta a qualunque sacrificio. Il cancelliere avevaquasi promesso a prete Cirillo centomila lire per il puro stabilema oggi sisarebbe disposti a dare anche di piú.

- Il prete faceva un ghiotto affare! - esclamò «u barone»parlando quasi da sé stesso.

- La casa vuole molti ristauri; anzi si vorrebbe fabbricaretutto un lato nuovo.

- Non intendo fare nessuna speculazione- rispose quasiburberamente il baronea cui l'idea che altri avesse potuto smuovere il terrenodi Santafusca fece scorrere un brivido nelle ossa.

- Rispettiamo i sentimenti generosi di vostra eccellenza. Cene duole per noima ritenga chequalora venisse in questo pensierotroveràin noi le migliori disposizioni. Intanto sarà un vantaggio per le due partilevar di mezzo questo prete e negromanteche specula con poco spirito direligione sui bisogni della Chiesa.

Monsignor vicario fece un gesto cosí pulito nel dire «levardi mezzo» che non avrebbe offeso una mosca.

- Pareva anche a medifatti: non mancherò qualora...macome diconon ho intenzione di vendere.

- Non mi resta che di chiedere scusa dell'incomodoeccellenza. Se mai volesse conoscere una prima offertaritenga che fino acentosessantamila lire ci andiamo noi...

- Centosessantamila! - balbettò «u barone»che vedevapiovere denaro da tutte le parti.

Perché questa offerta non gli era stata fatta il giorno 3?Casocasocaso.... tutto caso!

- Avrò presentesi vedrà...

 

Nell'alzarsimonsignor vicariomentre stendeva la mano ariprendere il cappello posto sulla sponda della scrivaniasia che incespicassenel tappetosia che volesse mostrarsi troppo cerimoniosoperdette un pocol'equilibrioe urtò colla mano nella tesa del cappelloche saltò comeanimato da una scossa elettricacadde sulla scrivania. si piegò sullo spigoloe andò a rotolare contro il muro. Monsignoretutto confuso del suo mal garbocorse egli stesso a raccogliere il cappello da terraatteggiando la persona nelmodo che aveva fatto l'altroquando si era curvato a guardare nella cisterna.

«U barone» si appoggiò colle due braccia tese e rigideallo schienale imbottito della poltroncina e accompagnò con un sorriso fatuol'illustre prelatocherosso in faccia come un papaverousciva a ritrosoinchinandosi.

Anche quando la porta fu chiusa coi riguardi che monsignoremetteva in tutte le cose sue«u barone» non poté staccare gli occhi dalmurodov'era andato a rotolare il cappelloné pote staccarsi dalla poltronaa cui lo teneva legato un pensiero duro e tagliente come un fil di ferro.

Non era la ripetuta impressione d'uno spettacolo orribile cherichiamava la sua paura. No. Le sensazioni si raffreddanosfumanosi sa: mal'incidente curioso del cappelloquel suo girare come una ruotasuscitava unariflessioneche nel terrore degli altri pensieri non si era presentata primauna riflessione semplicissimabanaleferocemente banaleche aveva la forza difar drizzare i capelli in testa a un uomo che si credeva giunto in porto.

Anche l'altro aveva in testa un cappello. Al primo colpo datocolla leva era balzato giustogirando nell'ariaed era andato a cadere sulmucchio dei mattoni; ma che cosa era poi avvenuto di quel cappello?

 

XIII

 

PAURE...

 

CHE COSA era avvenuto poi di quel cappello?

«U barone» si sforzava di richiamare ad una ad una tutte leimpressioni di quel terribile istante. Aveva buttato il prete nella fossaavevagettato sabbia e calce e ancora sabbia e poi la pietra fu collocata soprae poisopra la pietra nuovo materiale. Aveva nascosto la leva nella calcema inquanto al cappello... Rievocando la scena del cortileproiettando sul luogotriste fiammate fantastichegli pareva di averlo visto tra i mattoni e il muroin piedicome una macchia nera sul rossoma non aveva pensatoper una fataleobliterazione mentalea toglierlo di làa distruggerlo.... per modo chedoveva esserci ancora tra i mattoni e il muromacchia nera sul sanguetristouccellaccio accusatore.

«U barone» cominciava a vederlo chiaramentecome sel'avesse proprio davanti...

La ripetuta sensazione aveva d'un tratto suscitata una diquelle sensazioni latentiche secondo il celebre Panterreprecipitano edormono anche per lunghi anni nelle fosse cerebralifinché una sensazione piúviva non le risveglia d'un colpo e le fa saltar fuori.

Il grande colpevole non poteva capacitarsi come avesse potutolasciare sul luogo del suo delitto una prova tanto pericolosa. Gli ripugnava dicredere al tradimento d'una forza estranea e superiore. Il dottor Panterre avevaun capitolo su certi fenomeni d'inerzia e d'insensibilità cerebralechepotevano spiegare anche questa terribile distrazione.

Comunque fosseil cappello del prete si alzava dal mucchiograndenerosozzopeloso come un osceno pipistrellocome un fantasmaaccusatore.

«U barone» corse a girare la chiave nella toppacome setemesse che dall'uscio avessero a fuggire i suoi pensieri.

Egli aveva bisogno di fare ancora i suoi conti. Credeva diaver finito tutto coll'ammazzare un uomo e tutto era ancora da farsise peròera ancora a tempo.

Se il cappello era rimasto sulla cisterna quasi per dire: «hicjacet presbyter»nulla di strano che Salvatorefacendo il giro dellacasal'avesse trovato.

Ma Salvatore era morto.

Quand'era morto?... Cercò tra i molti giornaliaccatastatisulla scrivaniala lettera del segretario che pareva sprofondata. Frugafrugala trovò (e mentre cercava colle maniil suo pensiero seguitava a indagare)l'aperseera in data del 9. Salvatore era morto il giorno 8. Oggi era ilgiorno...

«U barone» sollevò gli occhi all'almanacco e vide ancorail numero

 

4

 

Non lo aveva egli già strappato una volta quel maledettonumero? Chi si divertiva a impastarglielo davanti? Oh! che bisogna credere aglispiriti? Anche il 4 aveva la figura del cappello.

Baie! spaventi d'uomo colla febbre! - «U barone» se lasentiva venire addosso la febbreardentee si rannicchiò in un cantuccioprese tutta la testa fra le due mani apertela tenne fermae comandò a séstesso la calmala freddezzalo spirito positivol'oggettività insomma dellariflessione.

Che cosa era infine quello straccio di cappello in paragonedell'universo siderale? Possibile che egli dovesse soffrire per sí poco?

Nonobisognava guardar le cose con occhio filosoficoragionareragionare soprattutto.

Il prete dunque era stato ucciso il giorno 4Salvatore eramorto l'8. Oggi eravamo ai 15 o ai 16 di aprile. Erano dunque passati dieci ododici giorni buoni e nessun segno appariva che il cappello fosse statotrovato... Cioèpoteva esser stato trovato da qualcunoma nessuno pensava chepotesse essere di prete Cirillo; nessuno sospettava che prete Cirillo fossemorto. Ma ad ogni modo quel cappello rimasto sopra la terra era sempre unpericolo.... perché la gente è per natura curiosa...la gente.... la gente...

Questa espressione gli fece venire in mente la figura di donCiccioe con don Ciccio scattò improvvisamente l'idea della vincita fatta daFilippinoil cappellaio. Anche qualche giornale aveva detto che «u prevete»aveva dato il terno in cambio d'un cappello.

«U barone» saltò in piedi. Sentiva che la sua testa stavaper infiammarsi. Versò dell'acqua nella catinellae vi tuffò il capo.

Era orribilmente grottesco che un uomo come lui dovessesoffrir tanto per cagione di un cappello. Altro che Macbetto!

Passato il primo tumultocominciò a farsi qualche ragionepiú chiara e a mettersi innanzi qualche progetto.

Tra le tante idee balenategli in testaci fu anche quella dinon lasciarsi venire addosso il castigo e di prender il volo per altri lidi; mapoi la mente riuscí a formulare un dilemma più razionale e utile.

O la gente aveva scoperto il cappelloe la giustizia avevagià in mano il corpo del delittoe allora ogni tentativo di fuga erapericoloso. Per quanto andasse lontanola mano della giustizia è lunga.Fuggire era un accusarsi. Se invece il cappello giaceva ancoracome eranaturalesul luogoera piú prudente tornarvitogliere questo spauracchioche una volta scoperto poteva trascinare una lunga seccatura di processi e diinterrogatorii.

Passatocome dissiil primo tumultoche avrebbe spezzatoogni altra testala sua robusta costituzione morale riprese il sopravvento equasi cominciò a ridere egli stesso di questa commedia.

- Che sciocco! - diceva- e se anche scoprissero non unomacento cappellichi può dire che prete Cirillo sia stato ammazzato? E se anchescoprissero non unoma cento pretichi può dimostrare che l'ho ammazzato ioprete Cirillo? E non ci sono a Napoli cento camorristi fatti apposta perpigliarsi queste brighe? Ciò che importa è di fare in maniera che la gente nonvada troppo innanzi e indietro per la villa. La chiave l'ha ancora in consegnail segretarioe siccome il giardino è fresco e ombrosonulla di piú naturaleche i buoni abitanti di Santafusca vadano sulle ore calde a far la siestaaIl'ombra dei vecchi sicomori.

«U barone» riprovava a quest'idea nuovi tumulti e nuovituffi di sangue. Se ciò ch'egli pensava era verogià da otto giorni almeno ibuoni abitanti di Santafusca frequentavano la villa.

Prima c'era stato il funerale di Salvatoree siccome ilocali delle scuderie erano luoghi apertinulla di piú naturale che i ragazzientrando per curiosità fino alle stalleavessero trovato il cappello delprete.

Provò il bisogno di uscire di casa e di respirare l'arialibera delle strade. L'aria di casa era già troppo impregnata di cattivipensieri.

Per quanti sforzi però egli facesse sopra sé stesso per nonpensare al cappellocento motivi incontrava per via che gliene richiamavano lamemoria. Bastavaper esempiola vista d'un prete... Se ne vedeva uno svoltareper un vicolettosi affrettava a corrergli dietro attraverso alle viein mezzoalla gentefin oltre le caselungo la riva del mare...

- Nulla di piú naturale che i ragazzitrovando il cappellodel pretelo raccogliessero e lo portassero in paese. Grande sorpresa! Uncappello? Di chi sarà? Dove l'avete trovato? Nella villa. Dove? Sopra unmucchio di mattoni. Portiamolo alla canonica. Qui don Antonio ha letto nel PopoloCattolico che prete Cirillo era scomparso. Che il cappello sia del prete?portiamolo al comandante dei carabinierianzi al pretore...

«U barone» nel pensare queste cose si immaginava davanti lascena viva vivae correva anch'egli dietro a quella folla di contadinidi cuisentiva quasi le voci rintronare in testa. I ragazzi per divertirsi infilano ilcappello su un bastone e tutto il villaggio scende alla pretura con quellabandiera alzata...

E intanto correva correva anche luicome se volesseraggiungere quella ragazzagliafar correre degli scappellottiportar via ilcappello...

Una volta si trovò in mezzo a questi pensieri sulla stradache menava a Santafusca a mezz'ora di distanza dalla villa. Una forza misteriosal'aveva sospinto verso porta Capuanaa piedie di strada in stradadiviottolo in viottolos'era trovato quasi in vista del vecchio e noto campanile.Quando sì arrestò su due piedisi vide pieno di polverebrutto di sudorecogli abiti in disordinee si spaventò egli stesso della sua follia. Tornò incittà e andò da Compariello a prendere un po' di forza. L'assenzio aveva lavirtú di sgombrargli la testa dal fumo e di rendergli il senso esatto dellecose. Alla villa sarebbe andatoma non a piedicome un vagabondo. Ci sarebbeandato in gran formao con una brigata di allegri amici cacciatoricolle belleamiche di Napolicon Marinella...

Egli si sentiva una gran tentazione di sfidare il mondo e ilPadre Eterno come Mefistofele. Ma poi rifletté meglio che i buoni terrazzanil'avevano già in conto di libertinoche non conveniva turbare con uno scandalole anime semplici: che si sarebbe fatto odiareche sarebbe parsa un'offesa allamemoria del povero Salvatore. Era meglio andar soloprovveder solo ai casipropriimostrarsi animato da buone intenzioni per l'avvenirelasciare qualcheelemosina...

Due giorni durarono in questi contrasti i suoi pensierimentre di fuori egli procurava di mostrarsi l'uomo allegro e spensieratodell'altre voltesia che andasse al club delle cacciesia che sedesse vicino aMarinellao che pranzasse all'«Europa» con qualche amico. L'Usilli gli feceuna volta un'osservazionedicendo:

- Bevi troppo veleno verdeSantae fumi troppo.

Ma «u barone» beveva e fumava senza accorgersi.

Il terzo giornosentendo che non avrebbe mai piú potutovivere in quelle incertezze (per quanto la gente e i giornali non dessero segnoalcuno di occuparsi della cosa)andò alla scuderia della cavallerizza Biagidov'era molto conosciutoprese a nolo un bellissimo puledroe saltato insellatraversò Napoli in tutte le vie piú popolosefacendo caracollare labestia dov'era piú fitta la gentesuscitando apposta le imprecazioni deicocchieri e dei merciaioli ambulanti. Voleva con ciò che Napoli lo vedessesanoallegrotrionfantecome se non fosse mai accaduto nulla che un barone diSantafusca non credesse degno di sé.

Per dir la veritànon c'era un cane in tutta Napoli chepensasse più a prete Cirillo o al suo cappellotranne forse di tempo in tempoFilippino e i suoi; ma il barone si faceva l'idea che il mondo non potessepensare che colle sue idee e non gli pareva mai di mostrarsi abbastanza allegroe disinvolto. Arrivò fino al punto che gli amici lo trovavano un pochinonoioso.

Quando fu in campagnaspronò il cavallo e volò quasi unamezz'ora curvo sulla criniera del generoso animaleche non capiva la ragione diquel correre. Ma «u barone» non voleva lasciar stagnare il sangue in molteriflessioni.

La giornata era bigiacoperta da nuvoloni spessi e pieni.Tirava un forte vento di mare. Ben presto cominciò a pioverea balenareatuonare sopra il monte.

Giunto quasi in vista del paesemise il cavallo al passo. Lapovera bestiache non aveva nessun delitto sulla coscienzaincominciava amostrarsi stufa di correre per conto degli altri.

Camminava al passosotto una pioggettina fredda edinsistenteallorché alzando gli occhi si trovò davanti quasi improvvisamentela villalarga costruzione distesa sul clivopiú livida e piú trista delsolito nel colore bigio dell'ariaattraverso al velo fitto della piova.

Alla vista di quella casache riassumeva una lunga storia divicende domestiche e che oggi chiudeva nelle sue grigie pareti un cosí grandesignificato.... «u barone» si fermò per ripigliar lenaabbassò la testa eprovò l'abbattimento profondo dell'uomo condannato.

Da dove veniva questa tristezza?

Dal cielo insieme alla pioggia?

Dalla coscienza insieme al pensiero?

Se egli avesse potuto cessare di pensare...

Osservò che per conto suo si sarebbe abituato a sopportarele conseguenze della premessama bisognava rimuovere tutte le occasioni di farpensare gli altri. Bisognava ritrovare quel maledetto cappello.

Era arrivato al punto che piú non distingueva chiaramentetra il morto e il cappello. Di queste due figure torve e nemichenon era preteCirillo la piú cattiva.

Il prete - sentiva in modo confuso il peccatore - il preteavrebbe potutonella sua misericordiaperdonare; il cappellono.

Questi nuovi pensieri che nascevano dal terreno del fattoallagavano gli altri pensieri fatti prima a casa. Il cavallo non andava avanti.Il temporale saliva sempre piú dietro la montagna. Una gran tenda funebre dinuvoloni copriva il colle e il lidoe la pioggia scendeva a righe sottiliasbuffipremendo ora piúora menotra i giuochi dei lampiche impaurivano labestia.

«U barone»sollevando gli occhi all'imponente spettacolodella natura corrucciatafino all'alta regione del tuono e del balenosisentí come una pagliuzza in balia degli elementi. Il sentimento dellafatalitàche fabbrica ed agita uomini e cosedissipòcome un bagliore dilampoi romantici spettri della sua infantile superstizione. Che colpa ha ilfulmine quando uccide il povero agricoltore accanto all'aratro? Uomini e fulminisiamo ciechi esecutori di forze universali... Avanti!

Il cavallo nitríscosse la crinierae sua eccellenza ilbarone Coriolano di Santafusca entrò tra le case del vìllaggio col passo ecoll'animo di un vincitore.

Il calpestío dei piedi ferrati sui ciottoli richiamòl'attenzione della gente. Tutti riconobbero «u barone» ed egli fu superbo chelo vedessero. Dalle botteguccie e dalle finestruole uscirono le testeiberrettile cuffie dei curiosiquei che erano nelle vie s'inchinarono quasifino a terra.

«U barone» entrò in un piccolo angiporto e fermò ilcavallo per lasciar sfogare il mal tempo. La pioggia scendeva mista a grandine erumoreggiava sui tettisui muri e sulle straderibollendogorgogliando neglistretti scolatoi.

- Chi di voi mi chiama il segretario? - disse sua eccellenza.

Un ragazzetto corse come una lepree due minuti dopoJervolinoil segretariovenne in pianellesaltando le pozze dell'acquaeinchinò il barone.

Questi intanto aveva chiesto ai presenti qualche notiziaintorno alla morte di Salvatore e intorno al raccolto delle ulive e del vino.

I piú vecchi gli rispondevano col loro linguaggio immaginosoche i tempi buoni erano mortiche la freddura aveva mangiato gli aranciche ifigliuoli non guadagnavano piú gli orecchini dell'amorosa nella pesca delcoralloche «u guerno» portava via tutto colle tasse.

Sotto i berrettoni rossi di lana e sotto la vernice nera delsole e del tempo «u barone» riconobbe qualche antico compagno di fanciullezzafelice etàquando il giuoco ci rende tutti eguali. Promise tempi migliori perSantafusca e lasciò capire che avrebbe potuto un giorno o l'altroristabilirvisi.

- Volesse Dio e la Madonna! - esclamarono con tantasincerità uomini e donneche ei ne fu quasi commosso.

Martino era corso a dare la grande notizia a don Antoniochestava per mettersi a tavolae poiché l'acqua era sul cessareil buon pretescese anche lui dalla Cura a riverire l'illustrissimo. Trattandosi di un tantosignorenon osò presentarsi col suo nicchio verdognolo e polveroso e nemmenocolla papalina di lana che usava in casa; ma poiché il cappello nuovo non eraancora partitopiú per il decoro del ministero che per séandò incontro asua eccellenza col cappello del morto.

 

XIV

 

UNA VISITA AL MORTO

 

UNA LEGGIERA nube passò sul viso del barone alla vista delvenerando vecchiettoche lo aveva battezzatoe che scendeva ora tuttoriverente colla voglia di baciargli la mano.

- Che cosa fatedon Antonio? - esclamò «u barone»ritirando con raccapriccio la destrache il vecchio pastore aveva già presonelle sue mani.

Egli avrebbe voluto risvegliarsi da un duro sognoeritrovarsi veramente il signoreil protettoreil benefattorela benedizionedel suo villaggioil rappresentante della Provvidenzail difensore dei deboliil sostegno degli afflitti.

Nella nausea del male s'invoca il bene come un porto dirifugio e di riposo. Forse c'è un paradiso terrestre oltre quel portoma chilo nega non lo merita.

Queste idee passarono in confusocome dentro a una nebbiamentre preceduto dal segretario si avviava verso la villa.

Strada facendoJervolino gli raccontò che era stato da luiun certo Giorgio che si diceva nipote di Salvatorecon una lettera che lo ziogli aveva scritto un mese prima di morirenella quale lo nominava erede dialcune cosuccie e di un vecchio fucile.

- Conosco il giovinotto e sapevo che Salvatore avevaintenzione di lasciargli queste poche robe; sicché ho creduto diconsegnargliele ieri l'altro... Ho fatto maleeccellenza?

- Avete fatto bene - disse «u barone». - Dove abita questogiovinotto?

- Alla Faldalassúeccellenzae tiene una osteria dettadel «Vesuvio».

«U barone» saltò da cavallolegò la bestia a unainferriata e ringraziò il segretariomettendogli in mano uno scudo d'argentoper i suoi servizi.

Quello accettò inchinandosi e offrendo la sua interaservitú. E se ne andò.

L'altropoiché l'acqua era cessatarestò un momento sulpiazzale davanti la casa e fissò gli occhi verso l'orizzontedove le nubiumide e lacerate lasciavano vedere qualche lembo di sereno. I piedi sprofondatinella ghiaia umida parevano morti. Si dimandò perché era venuto. Non se loricordava piú. Quando gli tornò a menteprovò un freddo raccapriccioel'impresa gli parve piú ardua... dell'altra volta. Si trattava infine ditornare sul luogo dell'avvenimentododici o quindici passi al di là dell'usciodelle scuderie e di osservare se c'era un cappello; e i piedi parevano mortilegambe parevano di stagnoil cuore freddo e piccino e duro come un sassolino.

- Che stupido! - esclamòcrollando cinque o sei volte latestae si mosse verso la villa.

Aprí con una piccola chiave le gelosie del terrazzoe sifermò nella galleria a pianterrenodove aveva aspettato l'altra volta preteCirillo.

Dai discorsi uditi e dalla lieta accoglienza ricevutaegliaveva potuto persuadersi che a Santafusca nessuno non sapeva nulla né del pretené del suo cappello. Una mesta speranza rinasceva nel suo cuore; e un sensoquasi di tenerezza cercava di rompere la crosta indurita del suo vecchioscetticismo.

La primavera era nel suo rigoglio. Fiori nascevanodappertuttonel pratellisulle siepisugli alberi. Un caldo odor di terrabagnata esalavano i viali che luccicavano al solee una gran pacela paceallegra e pensosa del meriggiopioveva sull'antico palazzo dei Santafusca.

Che cosa aveva egli promesso ai buoni terrazzani? Quali tempimigliori potevano nascere sul corpo di prete Cirillo? Oh se i semplici contadiniavessero potuto immaginare chi era l'uomo ch'essi inchinavano con tantorispetto! Se don Antonio avesse potuto sapere ciò che aveva fatto la destrach'egli voleva baciare!... Dalla galleria l'occhio si sprofondava ancora per gliusci aperti nella lunga e tenebrosa fuga delle sale desertenon abitate che damemorie e da pipistrelli.

L'eguaglianza del luogo e dei pensieri lo spingeva aconfondere il passato col presentea vivere contemporaneamente in due diversitempia non distinguere il già fatto col da farsiper modo cheper unastrana aberrazione del cervellodue volte alzò gli occhi verso la porta delgiardino a osservare se in fondo al viale degli ulivi comparisse prete Cirillo.

- Se comparisse! - disse una volta a voce alta; e un sibiloconfuso strisciò sulle nude pareti. - Se egli vivesse e io fossi veramente quelche ho promesso di voler essere!

Un'onda gonfia di gioia riempiva l'anima sua a questaimmaginazione. Ma quell'onda ritiravasi subito stridendolasciando a nudo gliscogli della sua maledetta coscienza. Su quegli scogli era disteso un cadavere.

Quando egli avesse potuto provvedere alla sua sicurezza ealla sua pacecapiva che non gli sarebbe mancato il coraggio di ricominciare dacapo una vita diversa e miglioredella quale sentiva confusamente gli stimolieccitanti in mezzo al suo selvaggio orgoglio. Dal suo stesso delitto sepolto ingrembo alla terraavrebbe attinta l'energia del benecome l'«Innominato» delManzonianima nera venduta al demonioche trovò nelle lagrime dellacompunzione e nelle buone azioni la sua morale rigenerazione.

Ma l'«Innominato» aveva incontrato sulla sua via un buonvescovonon un ispettore di pubblica sicurezza.

I tempi allora non erano troppo sofisticie nessuno chiese acolui il pagamento di tutte le sue bricconate cogli articoli del codice penalein mano. Bastarono le lagrime della contrizione a lavare tutto il sudiciume diuna coscienza malvagia.

Se un Dio avesse potuto promettere anche a luibarone diSantafuscaquesto incondizionato perdonoegli sarebbe caduto in ginocchio.

- O che forse esiste un Dio sí buono? - diceva voltandosinei suoi pensieri come in un nero lenzuolo. - Se esisteperché non accetta ilmio debito e non attende che io lo paghi a poco a poco con una vita diespiazione? Io non avrei piú denaro per mema tutta la mia ricchezza sarebbeil tesoro dei poveri. Io farei prosperare questi campilavorerei io stessocolla zappa in manosotto la sferza del solein mezzo ai colonidividendo conessi il pane e l'acqua della loro povera mensa. Perché dunque non accetta Iddioquesto mio pagamento a soldi a soldi? Se esistenon vede che io son sincero nelmio dolore e nel mio proponimento? Non vede come io soffro atrocemente? Perchénon si crea egli unico giudice in cielo di questo sincero verme della terra?

A questo puntomeravigliato egli stesso di intendere le sueparole (quasi che un frate predicasse in lui)si fermò.

Passeggiava da un'ora per la fredda galleria senza averenessuna misura del tempo. Un gran silenzioun'afa calda e chiara pesava sulverde sgocciolante del giardino.

Si era fermato davanti a una domanda piú strana e piùpaurosa di tutte le altre:

Perché non andava da don Antonio a confessare tutto?

La dolce sembianza del buon vecchio aveva risvegliato un grannumero di affetti che parevano mortie non erano che assopiti sotto il cumulodelle grosse passioni.

Forse era il buon vecchio che parlava in lui in quel momentocolla voce stessa con cui lo aveva battezzato e benedetto nel nome della santaTrinità.

Sonarono due ore al campanile della parrocchiae Santafuscariconobbe la squilla argentinache soleva tenergli compagnia e dissipargli lepaure nelle veglie infantiliche lo risvegliava al mattinoquando l'alba sischiude e nella riga bianca dell'orizzonte cominciano a scuotersi e acinguettare gli uccelli.

Quei due tocchi argentini di campana pareva dicessero:

- Vienivieni.

Ma non erano piú i tempi in cui una tonaca salvava un tristodalla forca e lo mandava santo in paradiso.

Don Antonio avrebbe provato un tale spavento a udire laconfessione dell'assassinoche ne sarebbe morto: o avrebbe avuto tanta pena edifficoltà a conservare il segretoche invece di uno avevi due infelicipernon dire due colpevoliuno dei quali avrebbe mai ritrovata la sua pacese noncolla morte dell'altro.

Dopo un lungo e faticoso rimuginarein cui ritornavanoconfusamente idee o brandelli di idee già passategià discusse e respinteilbaronepiú persuaso di prima che in luiin lui solo era posta la suasicurezzasi risolse con uno strappo forte alla volontà a discendere i gradiniche davano in giardino: e passo passo con pesante lentezzae poi con crescenteimpeto di speranzarasentò il palazzoentrò nel portico delle scuderietraversò una bassa legnaia tappezzata di ragnatele: e un passodue passiancoragiunse fino allo sbocco del cortiletto chiuso tra il muro di cinta e ilmuro delle stalle.

Qui si fermò ancora un poco. Aveva bisogno di raccogliere leforze.

I polsi delle tempie picchiavano a rompere il capo. Un gransilenzio regnava in quel luogoun silenzio pieno di cose.

Dal posto ov'era arrivato non vedeva ancora il mucchio dellasabbia e dei mattoniche circondavano la cisterna. Bisognava fare almeno trepassi ancora. Tre passiun oceano.

Il morto era là che aspettava in gran silenzio.

Santafusca stava per tornare indietroma un altro Santafuscalo tenne fermo con cento mani di ferro e lo trascinò avanti.

- Avanti! è la vita o la morte.

Provò ad allungare il collose dal suo posto potevascorgere il mucchio.

Non si poteva.

- Avantivigliacco! - gridò il vero Santafusca: e cogliocchi sbarratipieni di aviditàfece una corsa e vide...

Tutto era a suo posto. La pietrala sabbiai mattonilaleva confitta nella calce. Tutto era tranquillissimoin ordine.

Ma il cappello non c'era piú.

Dal punto dov'era arrivato poteva girar l'occhio per tutto lospazio del cortilee quell'occhio avidoassorbentepercorse due o tre volteil terreno; ma non poté scorgere nulla dietro il declivio che faceva ilmateriale ammucchiato e sul quale poteva essere caduto il corpo del delitto.

Bisognava fare ancora un mezzo passo verso il morto.

Lo fece. Nulla.

- Maledetto! - ruggí in cuor suo.

Mentre il suo giudice interno diceva «nulla»un fruscio dipaglia scossa si fece sentire dentro lo strame della vicina stalla e uscí uncane: un cane nero che stette sull'uscio a guardare l'uomo con piccoli occhigialli.

«U barone» mandò un sordo mugghío di toro strozzato egridò:

- Va via...

Il cane fuggí correndo in mezzo alla paglia.

Santafusca si riprese e con un colpo di volontà si dominò.

Non aveva picchiato piú forte sul prete.

- È il cane di Salvatore- disse un pensiero; ma il corpotremava come un filo teso che una mano forte abbia fatto vibrare.

Sentendo che le forze stavano per abbandonarloebbe piúpaura della sua debolezza che del morto. Se egli si lasciava vincere e cadevaestenuatoera perduto.

Da quando in qua aveva imparato ad avere paura dei cani?

Aveva egli parlato a quel cane?

Come poteva dire di non temere lo spettro di Bancose lavista d'un cane lo spaventava tanto?

Guardò ancora una volta con occhio di sfida per tutti gliangoli del cortilenella stallanella legnaia... Nulla. Ma aveva paura atornare indietropaura di quel cane.

Dio non aveva accettato il suo pattosegno che Dio nonesiste. Altrimenti avrebbe avuto compassione.

Bisognava cominciare da capo e soprattutto non perdere latesta. Bisognava ragionareragionare.

Salvatore era morto due o tre giorni dopo il fatto e d'uncolpo improvviso. In quei due o tre giorni nel suo lungo far nulla poteva esserpassato dal cortile e aveva raccolto il cappello. O forse l'aveva portato incasa il suo cane... A questa idea corse fuori in giardino.

Se avesse potuto parlare quel maledetto cane!

Trovato il cappellonulla di piú naturale che Salvatore loportasse intanto in camera sua.

«U barone» corse a vedere nella stanza.

Il morto non aveva lasciato che il canteranoe il fusto delletto con un pagliericcio. Aprí un cassettone e non vi trovò nulla. Aprí unaltroun terzoguardò sotto il canteranosotto il lettotoccòpalpò ilpagliericcio da tutte le parti... Nulla. Allora tornò fuori in giardino.

Il cane poteva benissimo aver portato il cappello in giardinoo nella vecchia serra dei fiori.

«U barone» fece il giro del giardinoentrò nel boschettocercò presso la fontanacorse in serradove era la cuccia del canee non vitrovò che delle ossa spolpate.

In preda a uno spaventoso parossismoche gli impediva difermarsientrò nel palazzo e cominciò a correre per le vuote stanzeguardando in ogni angolo; risalídopo tanti anni che non vi poneva il piedel'antico scalone sparso di calcinaccitraversò una lunga fuga di sale quasicadentiinfilò delle scalettediscese in luoghi non mai vistipersuaso giàdi non potervi trovar nullama cacciato dalla sua pauradalla suairragionevole curiositàdal desiderio acuto e pungente di mettere la mano suquel maledetto cappello che si sottraeva al suo dominio.

Una volta si arrestò e si chiese:

- E non l'avrei io sepolto col suo padrone?

E si chiese ancora se si sentiva pronto per comperare la pacedi rimovere di notte il mucchio dei mattonidi rimovere tutta quella sabbiadisollevare la pietradi guardare...

Ma egli era troppo sicuro che non aveva piú cappello quellatesta rotta quando scese nella tomba...

Come se queste idee fossero la peste«u barone» fuggíinnanzi a lorosaltò sul cavallouscí e si ricompose nella sua abitualerigidezzaquando vide venire incontro il segretario. Questi chiuse il cancelloe consegnò con molto ossequio la chiave al signoreche non volendo partiresenza aprire la boccauscí con queste parole:

- Che cosa avete detto del nipote di Salvatore?

- Che gli ho consegnato certe robe ch'erano nella stanza deldefunto...

- Ah! - esclamò «u barone» aprendo la bocca a una enfaticaesclamazione. - E dove abita questo giovinotto?

- Alla Faldaeccellenzaall'osteria del Vesuvio!...

Il cavallo si mosse lentamente. Splendeva un bellissimo solee l'arialavata dalla recente pioggiamandava un mite bagliore celeste.

 

XV

 

IN CASA DI FILIPPINO

 

MOLTA allegria e molto chiasso si fece quel dí in casa diFilippino ex-cappellaio.

Il fortunato vincitore aveva potuto riscuotere una prima ratadella sua vincitae con due contratti in un giorno aveva ceduto il negozio a uncompagno e acquistata la casa dove abitava.

Per festeggiare il dupliceanzi triplice avvenimentoin unasala del primo piano era preparata una bella tavola con ogni sorta di grazia diDioservita in cappa magna dall'albergatore della «Colomba d'oro» con moltaprofusione di torte e di sorbetti.

Oltre a Filippinoa donna Chiarinasua legittima consortee a' suoi figliuolisedevano intorno alla mensa l'ingegnere Fabi che avevastimato lo stabiledon Ciccioil celebre «paglietta»che aveva aiutatoFilippino nelle pratiche legalidon Nunziante dal grosso nasoche aveva rogatogli strumentiCiro Stellache aveva rilevata la bottegamolti compagni delmestierealcune vicine amiche della padronache piú bella del sole sedeva acapo della tavolatutta splendente di perledi corallo e di robe d'oro.

Al momento dei brindisi entrò Gennariello il ciabattinoildisgraziato Gennarielloche per giuocare i numeri dati dallo zio aveva vendutoi ferri del mestieree ora girava colla chitarra a cantare serenate e barcarolee tarantellecon un cappello biancoalto come una torreornato di piumedifiori e di scope.

Per la gente onesta era un mistero perché prete Cirilloavesse tradito il suo sangue e favorito invece a quel modo gli estranei; per imaligni il mistero si spiegava colla debolezza della natura umanae anche fra ipresenti c'era chi beveva con entusiasmo agli occhi belli e amorosi di donnaChiarina. Gennariello non aveva rancori con nessuno e accompagnava le suecanzonette con tali sgambetti e pulcinellateche le donne e i ragazzi mandavanole grida fino al cielo.

Si era giunti al massimo fervore dell'allegriaquando iconvitati sentono d'essere piú che mai fatti a sembianza d'un solofigli tuttid'un solo riscatto.

- Chi l'avrebbe dettoChiaruzza - diceva cogli occhi molliFilippino- il dí che abbiamo aperta questa bottega con duecento scudi tolti aprestito e con dodici cappelli di lanachi lo avrebbe detto che saremmo venutia questo?

- È tutta bontà di Dio e di prete CirilloPippo -rispondeva la bella moglie.

- Ohperché non è qui anche luil'uomo di Dio?

- E non si è potuto sapere ancora il luogo del suonascondiglio? - domandò col suo vocione don Nunziantetirando fuori dalbicchiere un naso piú spugnoso del solito.

- Nulla.

- Avrebbe potuto scrivere a voiFilippinoin segretezza; omandare a dire: son vivo; amo però star nascosto.

- È quello che diciamo sempre anche noi. Chiarina se loaspettava da un momento all'altro e teneva sempre pronta un'oca... MadonCicciodite voi quel che ne sapete.

- Io ne so meno di voiamici carissimi - esclamò don Cicciocogli occhi lucenti. - Un giorno vien da me Gennarielloti ricordiGennariello?...

- Eccellenzasí. Lo zio era stato da me la mattina e gli hodato quattro punti alle scarpe.

- Ei mi portava una lettera in cui diceva: «Per affari difamiglia parto da Napoli. Mando lire trenta pel trimestre di pigione.Gennariello ha la chiave e gli lascio la roba». Ecco quantoe «insalutatohospite evolavit»...

- Il lotto è una passione checome tutte le passioniconduce spesso a perdizione - disse don Nunziante.

- Io vorrei possedere la cabalistica di prete Cirillo evenderci la mia matematica per il guscio di un'ostrica - esclamò l'ingegnere.

- Sapete che cosa ho trovato in casa sua? disse don Ciccio-un volume del Cardanoe la «Magia Naturale» del nostro immortale GiovanniBattista Porta.

- Il grande autore della «Fisionomia»che precedette diquasi duecent'anni gli studi di Gall e di Lavater- si affrettò a dire donNunzianteche non voleva mostrarsi meno dotto del «paglietta».

- E credete che in questa cabalistica non c'entri anche unpo' la coda del diavolo? - gridò qualcuno.

- Benvenuto anche il diavolose ha gli occhi belli comequelli di donna Chiarinaillustrissima mia padrona - esclamò don Ciccioalzando il bicchiere.

Fu un grande applauso. Gennariello ripigliò la canzone «sulmare luccica».

- Dicono che il prete sia andato con un grosso fardello inLevantetra gl'infedelidove ha trovato un'odalisca che...

- Che lo aiuta a sciogliere il fardello.

- Uh uh! oh! scandalosi... zitto là.

- «In vino veritas».

- «Maxima debetur pueris reverentia».

- Signori - gridò Filippinoalzandosi in piedì esollevando un calice pieno di vino color dell'ambra. - Ovunque egli si troviinOriente o in Occidentepropongo per il lontano e desiderato amicoper ilgrande benefattoreper il salvatore de' miei figliuoli un caldo brindisiacciocché gli anni suoi siano ricolmi di tutte le consolazioni...

- Amabile Chiarina! - declamò in falsetto don Nunzianteguardandola attraverso il bicchiere.

- Bravo! bene! viva don Cirillo!

Il baccano era veramente indiavolatoma fu a un trattointerrotto da un ragazzo che entrò con una grossa scatola rotonda di cartonelegata con una doppia corda in croce suggellata con larghe piastre di ceralacca.

Si fece a un tratto gran silenzio.

- Chi manda questa roba? - dimandò Filippino.

- È arrivata or ora in bottega al vostro indirizzo. Viendalla ferrovia.

- È un cialdone di marzapanepapà - gridò uno deifigliuoli.

- Se indoviniCelioti dò a leccare la scatola - disse ilbabbo col volto ancora acceso dal brindisi.

Epreso un coltello d'in su la tavolatagliò la cordatolse il coperchiorimosse un foglio di giornale e vide un cappello con unbigliettino appuntato nel nastro.

- Chi lo manda?

Filippino legge il bigliettonon capiscetorna a leggereeun po' colpa la scritturaun po' colpa il vino color dell'ambranon siraccapezza. Peròvoltatosi a don Ciccio:

- A voi- disse- che avete gli occhiali. Che cosa dicequesto geroglifico?

Don Ciccio si acconciò le invetriate sul grosso del naso ecominciò a leggere a voce alta:

«Colendissimo signore

«Essendo stato smarrito in questi luoghi un sacerdotalecappello e non avendoper quante ricerche siano state da me consumatetrovatoa quale dei ministri di Dio possa convenirenon volendo col trattenere oggettiche non sono di mia proprietà farmi degli inutili carichi di coscienzaloinvio franco di porto alla S. V.secondo l'indirizzo della marca di fabbricasupponendo che vi sarà meno arduo rintracciare il naturale proprietario erecapitarglielo.

«Con perfetta osservanza mi segno

«Dev. servitore «DON ANTONIO SPINO

Parroco di Santafusca

 

- Ecco un uomo onesto! - esclamò don Nunziante.

- O che ha una testa troppo grossa per il cappello-osservò maliziosamente don Ciccio.

- Che cosa dite voi? - esclamò impallidendo a un trattoFilippinomentre voltava e rivoltava il cappello. - Questo è il cappello cheio ho dato ultimamente a prete Cirilloil giorno che egli partí da Napoli.

- Eh! - esclamarono tuttiaprendo la boccagli occhiledital'anima.

- Io mi ricordo beneperché l'avevo preparato per monsignorvicario e m'è restato troppo stretto. Tu lo ricordiChiarinail numero diregistro?

- È questoè questo - disse con voce tremante la mogliedell’ex-cappellaio.

I convitati si guardarono in viso e ammutolirono.

Avevano invocato il prete e usciva invece il suo cappello.

Questi son sempre segni di cattivo augurio.

Le riflessioni venivano spontaneamente da sé. Se preteCirillo non aveva che quell'unico cappello quando uscí da Napolipareva stranoche ei non lo tenesse da contomolto piú che era nuovo fiammantea meno chenon lo avesse veramente cambiato col turbantecome il notaro aveva malignamentesupposto.

- Io qui sento un odore di criminale - disse don Ciccioalzandosi in piediarricciando un poco le naricicome se veramente sentisse uncerto odoree puntando un dito lungo e secco sul corpo del delitto.

- O santa Maria addolorata! - esclamò donna Chiarinabiancacome un giglio.

- Che dite voidon Ciccio? - ripeterono le altre donne.

- Io ripeto che sento odor di criminale in questa faccendaen'ho ben donde. - Don Ciccio pareva piú secco del solito. - Signori! - esclamòalzando la voce il famoso «paglietta»come usava fare in tribunale - questocappello fu trovato nei dintorni di Santafuscae dintorni per me significa unastradauna campagnauna vignaun boscoaltrimenti don Antonio avrebbescritto: in casa miain chiesain sagrestia. Il signor Filippino Mantica diceche il cappello era nuovo fiammante e c'è la testimonianza amabile di donnaChiarinala quale conferma che il cappello fu venduto o regalato a preteCirillo nuovo fiammante. Ora io trovo invece il segno di una forte ammaccaturadelle traccie rosse di mattone e qualche macchia o spruzzo di calceche hannoqua e là abbruciata la seta. Dunqueo signorinei dintorni c'era della calcevivae quest'ammaccatura dice piú che un colpo di vento.

- O mio Diodon Ciccio! - esclamò la donnaalzando le duemani al cielo.

- Io non sono astrologoné figlio di astrologo - gridò il«paglietta»stralunando gli occhi- e se prete Cirillo entrasse in questomomento a toccare il suo bicchiere col miocerto non oserei dire ch'egli èstato assassinato; ma io faccio presente a questi signori che il prete manca daquindici giorniche nessuno sa dove sia il suo rifugioche non si è fattovivo nemmeno co' piú intimi amiciche mentre aveva detto a Gennariello diessere andato verso Mianosi trova il suo cappello nei dintorni di Santafuscaprecisamente al lato opposto. Che cosa era andato a fare a Santafusca un uomoche non usciva mai da Napolischivo del muoversiche non aveva parentiamiciin quel paese? Avvegnachésignorise egli fosse conosciuto da qualcunolassúdon Antonio non avrebbe cercato inutilmente il padrone del cappelloese fosse stato solamente vedutoera naturale che alcuno pensasse a lui; ma lalettera dice chiaro chiaro: «avendo consumato tutte le ricerche inutilmente».Ah! ah! E quest'uomo è tanto ignoto al parroco e ai colleghi suoi de' paesiviciniche nessuno sa dare un indizio nemmenodirò cosíprobabile delpadrone del cappello? e ciò mentre tutti i giornalicompreso il PopoloCattolicohanno strombazzata la storia del terno al lotto e del pretescomparso? Signoriio non sono astrologoripetoné figlio di astrologomatrovo che un uomoil quale perde un cappello nuovo in un paese dove nessuno nonl'ha mai vedutoè un uomodirò cosímolto problematico. Si aggiunga chenon è la prima volta che il prete Cirillo soffre ingiuria e violenza da partedi male intenzionati: ch'egli era ritenuto possessore di occulte ricchezze: siaggiunga che la notizia della grande vincita ottenuta coi numeri dati da luipuò aver istigato qualche pazzo o illusoo brigante o figlio di briganteainfierire contro un inerme servo di Dio. Io non soio mi perdo in questo buioma brancicando mi pare di toccare il corpo di un delitto...

Don Ciccio si era fatto lugubre e cupo. Colla sua voceincisivacol suo dito lungo e tesocolla sua stringente istruttoria fecescorrere un brivido per tutte le schiene. Il suo cilindro bianco non aveva piúun pelo a posto.

Don Nunziante provò a dire che probabilmente il prete avevaperduto il cappello cacciando fuori un momento la testa dalla finestra di unvagone; ma a nessuno piacque una ragione cosí semplice e cosí probabile. Uscirfuori con un pensiero cosí comune e banale era un far torto a tutte quellefantasiecheriscaldate dal vino e accese dalle parole di don Cicciocominciavano già a credere a qualche cosa di straordinario. Non bisogna maidisturbare le speranze della fantasia. Una storia terribile uscí grande ecompiuta dal fondo del cappellocome Minerva uscí grande ed armata dalcervello di Giove. Per quel giorno fu messa in disparte la gioia. Don Ciccioraccolse un piccolo consiglio e propose di portare la faccendacosí com'eraarrivata in tavolaall'illustrissimo signor procuratore del reil commendatoreJonettiamico suoanzi suo compagno di universitàuomo fino e prudenteacutoun poco parente del ministro degli Interni.

Intanto non bisognava dir nulla ai giornali liberalichéquando si tratta dei poveri pretili impiccherebbero nudi. Se v'era delittoDio ha la mano lunga: nel peggior dei casi - che per gli altri non avvocati erail migliore - gli indizi dati dal cappello avrebbero condotto la giustizia atrovare il padrone.

Ad ogni modoFilippino aveva obbligo di coscienza dispendere anche qualche denaro perché la luce fosse fatta su questo affare buiomolto buiopiú che buiobuissimo.

Filippino incaricò don Ciccio di tutte le pratichenecessariee non guardò a spendere per accendere un lumicino. Ma per quantos'usasse prudenza e riserbonon fu possibile impedire che la storia delcappello e del prete non serpeggiasse verso sera tra i vicinie prima di nottequalche accenno confuso non fosse arrivato alla Sezione di Mercatodove preteCirillo era già quasi dimenticato.

Sull'albaun reporterpiú svelto degli altrine sapevagià abbastanza per inventare il resto e per confondere le idee.

 

XVI

 

IL CACCIATORE

 

«U barone»tornato a Napoliper qualche giorno si sforzòdi non piú pensare né a prete Cirilloné al suo cappello.

L'uno era ben chiuso in un luogo sicuroe la chiave erachiusa anch'essa in un cassettino segreto della sua scrivania; l'altroilcappello.... ma per quanto si sforzasse di non pensarcinon poteva aver l'animotranquillo su questo argomento. Un brandello del morto sopravviveva in quel nerospauracchio e se lo sentiva svolazzare intorno. E non poterci metter la manoaddosso! Egli sarebbe stato tanto ricco e tanto quieto senza questa scioccapaura!

Inutilmente cercò di stordirsi nel giuocoal clubconMarinellanelle visite eleganti che aveva ripreso con qualche fortuna.

- A che cosa pensibarone? - gli chiese un giorno Marinellamentre egli si era fissato coll'occhio vitreo su quell'ombra nera e fastidiosa.

Non poteva incontrare un prete che avesse in testa uncappello a tre puntesenza che l'occhio andasse da sé sul triangolocon unamalsanainsistente curiosità; e una volta preso all'incantosentivasi trattoa seguirlo attraverso alle strade popolose di Napoli fin sulla soglia dellecanonichedelle chiesedei conventi.

Di questi strani fenomeni di fascinazione cercava di dare asé stesso una spiegazione scientifica. Egli aveva giuocato troppo col suotemperamento eccitabilee sebbene vedesse e sentisse che la persecuzione nonveniva dalla coscienzama dai nervi e dalla immaginazionenon potevasottrarsicome accade agli allucinatial tormento della sua illusione. Ilcervellosi sasoffre anche dei dolori di una gamba che non c'è.

Il cuore soffriva già da qualche tempo acuti accessi dipalpitazionee piú d'una volta egli aveva dovuto ricorrere alla digitale.Provò anche il bromuro e si sentí piú calmopiú fresco. A dispetto delcappello ora cominciava a dormire sonni piú quietie gli fece bene anche ilfumar meno.

Fu appunto in un sogno che gli balenò l'idea che il cappellopotesse essere caduto nelle mani di Giorgionipote di Salvatoreche faceval'oste lassú alla Falda.

Non era disceso costui a raccogliere l'eredità dello zioqualche giorno dopo la sua morte? Non aveva portato via un sacco di roba?Perché avrebbe dovuto lasciare il cappello se ci fosse stato?

Gli parve un sogno non assurdoper quanto si può credere aisogni. Valeva la pena secondo lui di fare una gita lassú per vedere quanto divero passa nei sogni.

Per non dare sospetto si vestí di un rozzo abito dicacciatoresi calcò in testa un cappellaccio mollee con un carniere di pellee il suo fucile ad armacolloun giorno prese il trenoe scese alla stazionepiù vicina alla Falda.

Passo passo nella frescura mattutina cominciò a salire ilcollezufolandocol cuore aperto a una mezza speranza.

Che cosa non avrebbe dato per quel cencio di cappello? Checosa c'è di piú caro e di piú prezioso della quiete dei nervi? Meglio morticome prete Cirilloche vivere all'ombra di quel cappello!

L'osteria del «Vesuvio»colla sua vecchia insegna colorpomodorosi trovava sulla strada grossa che sale verso i montiin un luogosegregatopresso un bosco di plataniche serviva di riposo e di ristoro aicarrettieri e agli asinai.

Non era un albergo degno di nobili inglesima vi si trovavaun vino frescodel vecchio caciocavallodel tabacco e anche un'insalatapreparatacondita e voltata dalle grosse dita di Giorgio.

Era costui un giovinotto grosso e tarchiatotondo di capo edi cervellobuon figliuolo in fondosempre disposto a far un buon servizio aun vicinoquando c'era da guadagnare una mezza lira. Stava egli tutto occupatoa squartare un montone che aveva appiccato per le gambe all'inferriata d'unafinestraquando vide arrivare un cacciatore senza cane.

- C'è del vino e del caciogiovinotto?

- Fin che ne voletegalantuomo - rispose Giorgio; e andò adasciugarsi le mani sporche di sangue.

Il cacciatore entrò in una stanzuccia a terreno e giròvivamente lo sguardo intorno come se cercasse qualche cosa. Poi sedette innanzia una tavola coll'abbandono di un uomo molto stanco.

Giorgio tornò presto col vinocol cacio e un pane durosopra un piattello.

- Mi pare di conoscervigiovinotto...e non ricordo dove viho trovato...

Giorgio fissò gli occhi in faccia al cacciatore e disse:

- Gli uomini si trovanoma io non so di avervi mai visto...

- Non siete voi per caso parente di quel Salvatore che stalaggiú a Santafusca?

- Lo sono veramente. Adesso è morto.

- Lo so che è mortopover'uomo. Era un giustoungrand'uomo per la bontà. È mortopoveretto.

Giorgio pose la mano aperta sul petto.

- È ciò che si guadagna a servire i signori. Ti succiano ilsangue fin che ne hai una goccia nelle vene e danno il carcame al loro cane.

- Volete dire forse del barone... - soggiunse ridendo ilcacciatore.

- Di lui e di tutti quanti: ma costui forse è peggiore deglialtri. Mio zio non ha lasciata la croce d'uno scudodopo quaranta ocinquant'anni di utile servizioe «u barone» spende sacchi d'oro collesgualdrine. Ma guardatedicono che ciò deve cangiare una volta...

- Allora siete proprio voi che siete venuto un giorno allavilla a prendere certe robe.

- Ci sono stato or sono quindici giorni.

- Io sono parente del parroco di Santafuscason figlio diuna sua sorella - disse il cacciatore con piglio alla buona.

- Di don Antonio? un sant'uomo...

- E mi pare di avervi veduto passare in compagnia delsegretario...

- Precisamente. Aveva lui le chiavi della stanza...

- Conoscevo anche il vostro povero zio. La sua morte mi hariempito il cuore di lagrime!

Il cacciatore disse tutto ciò con animo sincero.

- Siete del paese?

- Io sto presso Napoli e vengo spesso a Santafusca a caccia;ma si piglia niente quest'anno...

- È un anno povero davvero.

- E poiché siamo sul discorso- soggiunse dopo un respiroil cacciatoreche pareva un uomo semplice e disinvolto- non avete prese percaso insieme alle altre robe anche un cappello da prete?

- Síc'è... - rispose Giorgio.

Il cacciatore apri le gambe e le braccia e si abbandonò auna forte ilarità.

- Sic'è... e perché ridete ora?

L'altro non finiva mai di rideree contorcendosi sulla pancanon poté frenarsise non quando ebbe presa la testa tra le sue mani.

La gioia immensala profonda emozione che il cacciatoreprovò a quella scopertanon si potrebbero troppo facilmente descrivere. Dopotanti giorni di angoscie e di paureegli stava per mettere le mani sul corpodel suo delitto e tutto ciò avveniva per l'aiuto di un sogno. Che cosa nonavrebbe dato egli per quel cencio di cappello? eccoecco invece la sua fortunache quasi gliele regalava gratis... e tutto ciò avveniva per l'aiuto d'unsogno!

- Ora vi conterògiovinotto- soggiunse dopo un istante. -Don Antonio aveva dimenticato nella stanza del povero vostro zio il suocappelloe non se ne ricordò che tre o quattro giorni dopo. È un sant'uomoche ha sempre il pensiero in paradiso. Ma quando se ne ricordò il cappello erascomparso. Il sant'uomo voleva disperarsiperché non ha che quelloed èpoverosapete: darebbe ai poveri anche la camicia. Io ero presente quando venneil segretario; come si chiama il segretario?

- Jervolino.

- Precisamentee disse che forse l'avevate preso voi collealtre robe...

- Davvero è ridicola come una commedia. Io non ci hopensatofiguratevi. C'era tanto poco da portar viache ho cacciato tutto nelsacco alla rinfusa.

- Don Antonio vi accuserà come ladro di cose sacre.

- Ladro io? avrei dovuto pensarcima l'ho fattosemplicemente...

- Voi capite che si celia. Ladro senza saperlo comePulcinella al teatro di Sciosciammocca.

Il cacciatore versò il vino dalla mezzina e tracannò unbuon bicchiereche gli riempí l'anima di calore.

Se Giorgio non fosse stato duro di legnoavrebbe osservatoche gli occhi del cacciatore scintillavano d'una luce viva e parlante.

- Voi meritate di andare a l'inferno per aver rubato al prete- tornò a dire costuiridendo grosso e picchiando coi pugni sulla tavola.

- Dio mi scampi di perder l'anima per cosí poco. Ora lovedrete questo bel cappello: è pelato come l'asino dei nostro mugnaio. Io hovisto il cappello sulla sedia e ho pensato... che cosa ho pensato? non sonemmeno io. Ma non è buono nemmeno per spaventare gli uccelli... Ora ve lofaccio vedere...

Il cacciatore rimase solo.

Giorgio fe' sonare gli zoccoli sopra una scaletta di legnoche si arrampicava dietro il muro. Li strascicò sull'impalcato sopra la testadel cacciatoresi arrestòcorse a frugare nel sacco.

Intanto il cacciatorecogli occhi fissi all'impalcatosorrideva mostrando i denti e battendo le dita sul piattello. Egli stava perdare l'ultima mazzolata a prete Cirillo.

Quel sinistro uccellaccio avrebbe cessato di svolazzargliintorno? Rideva gelidamentema nello stesso tempo il cuore malato picchiavaforte. Nel cappello era rimasto un brandello dell'anima del pretee in fondoegli aveva paura d'incontrarsi anche in questo spauracchio.

Non avrebbe creduto mai d'essere uomo cosí vile. Ma forse losiamo tutti cosígiovani e vecchinaviganti nel gran mare delle cose!

Gli zoccoli di Giorgio risonarono sull'impalcatoe sceserogravi sui gradini della scala di legno. Il cacciatore immobile e composto sipuntellò colle braccia alla tavola. Finalmente Giorgioper far la burletta delpretecacciata la testa cogli occhi gonfi e col cappello in capo da unfinestrinoche dava aria al sottoscalacon voce sguaiatasi mise a cantare«allelujaalleluja».

Il cacciatore a quella vista grottesca trasalí e colla manorovesciò la mezzina del vino. Per poco egli avrebbe urlato di spavento: mal'oste venne fuori e cominciò a ridere del suo scherzo. Egli non immaginava ilmale che aveva fatto a un uomo già malato di palpitazione di cuore.

Passata la prima impressioneera per il cacciatoreun'occasione troppo ghiottaperché potesse in quel momento pensare ancora alsuo mal di cuore. Si sforzò dunque di ridere anche luidi rideresímentrel'occhio affascinato e impaurito si fissava sul brutto cappellacciosconquassatoche Giorgio gli aveva messo davanti sulla tavola.

Nessun fisiologonemmeno il celebre autore del «Trattatodelle cose»potrebbe descrivere il nucleo di sensazioni che vibrarono intornoal cuore del barone Santafuscanell'atto ch'egli stava per stendere la mano eimpadronirsi dell'anima di prete Cirillo. In fondo a una battaglia buia eraun'acqua buiaprofondapiena di gioia amara e piena di spavento. Il cuoremartellava ancorama erano le ultime sensazioni. Dopo sperava di ritrovare lapaceche deriva dalla coscienza della propria sicurezza.

- Ebbenevolete voi che io porti questo cappello a donAntonio? sarà per mio zio una grata sorpresa.

- Date a Cesare quel che è di Cesare - disse Giorgio. - Voimi sbarazzate la casa di un cattivo augurio.

- Se ci sta nel carniere. Provate un po'...

- L'uccellaccio è grossoma schiacciandogli un poco leali...

Quel goffo ragazzottoche rideva nel gozzoprese ilcappellolo schiacciò nelle mani e lo fece passare nel carniere. Il cacciatorelasciò fareduroquasi irrigidito tra la panca e la tavola.

- Ecco quaci son pochi cacciatori al mondo che prendono diqueste lepri.

- Quanto costa il paneil vino e il cacio?

- Dodici soldigalantuomo: il cappello ve lo do per nulla edite pure a don Antonio che mi assolva da tutti i miei peccati passati e futuri.

- Glielo dirò...

In quella entrarono in bottega due contadinie Giorgiopieno il cuore della sua avventurasi mise a raccontare subito la storia delcappellomentre lo faceva saltare e ballare sulle mani.

Tutti risero del povero prete e dell'uccellaccio chiuso nelcarniere.

Rise anche il cacciatore per essere in caratterema appenapoté farlo senza dar sospettouscísalutò i buoni amici e prese la suastradacol carniere in ispallagli occhi fissi innanzinello spazio infinitola testa piena di fumo. Il cuore era esultante e trionfante come chi sented'essere sfuggito a un duro cimento di morte.

Camminava a passi lunghicadenzatiper la strada indiscesa; e ad ogni passo il carniere che batteva nel fianco mandava un suonoarmonico di scatola vuota.

Quel suono richiamava un'altra impressionesprofondataanch'essa nelle viscere più cieche della memoria.

Quell'urto sonoro e rotto di noci scosserichiamava allamente una sensazione somigliante...

Il cacciatore accelerava ancora di piú il passo nellafiducia che tutto sarebbe scomparso quando fosse stato fuori della valle.

Camminava a cavalloper dir cosídella sua ideanonvedendo piú in là del passoe già pensava al modo di distruggere per semprequell'orrida prova del suo delittocioè se doveva abbruciarlofarlo apezzettiseppellirlo...quand'ecco l'abbaiare improvviso di un caneche uscídietro a un casolaree sorprendendolo in mezzo alle sue meditazionilo facevatrasalire in una maniera spaventosa: tanto che fatto un salto in mezzo alla viasi tirò come un ragazzo pauroso dietro un mucchio di sassi. Sul tetto delcasolare stavano lavorando alcuni muratoriche vista la gran paura che ilcacciatore aveva dei canicominciarono a ridere forte e a dargli la baia.

- Ehicacciatore di formiche - diceva uno.

- Cacciatore di cicale - soggiungeva un altro. Va a cacciadei cani e mena con sé la lepre.

- Ha la pelle d'un coniglio nel carniere.

Il furioso sangue dei Santafusca fu lí lí per traboccareeveramente sarebbe stata poca vendetta per la sua rabbia una fucilata perciascuno; ma era un giorno di pazienza e di espiazione. Avanti dunque... Lapaura che gli aveva fatto quel maledetto cane col suo improvviso abbaiare erarimasta come un senso di acuta trafittura tra le costole a sinistra.

Dopo tre quarti d'ora di buon viaggio giunse in vista dellastazione. Traversando un passaggio della strada ferratachiese al cantoniere sec'era molto tempo alla corsa per Napoli.

- Un'ora e mezzocacciatore - disse l'uomoche stavaaggiustando uno scarpino di ragazzo seduto su un tronco presso il casellodadove usciva la voce di una donna e il pianto d'un bimbo.

Un gran silenzio ed una gran pace regnava intorno a quellacasupolatuffata nel chiaror roseo del tramontoin mezzo alla grandesolitudine.

- Come sono felici questi pitocchi! - pensò l'ultimo deiSantafusca.

La schietta confidenza con cui Giorgio della Falda ed ilcasellante gli avevano parlatocredendolo uno dei lorolo aveva avvicinato aun mondo che di solito egli guardava troppo dall'alto; voglio direal mondo deibisogni semplici e degli affetti semplici della natura. Solo in questo terrenovergine cresce l'erba della felicità.

- Come sono felici questi pitocchi! - tornò a pensaremettendosi a sedere sopra il parapetto di un ponticelloche traversava untorrentacciolontano cento passi dalla stazione.

Aveva un'ora e mezzo da far passaree poiché il luogo eraquasi disabitatoe nessuno lo conoscevapensò se non era il momento dinascondere il maledetto cappello in qualche cespuglioin modo da farnescomparire la traccia e l'ombra per sempre.

Tirato da questo pensierosi lasciò condurre da unsentieruolo verso alcuni boschetti bassi di nocciuoliche andavano a finire inuna deserta sodagliadi un aspetto squallido e vulcanico.

Pareva proprio il regno della morte. Non una casanonun'anima viva per quanto girasse l'occhio intorno.

- Come sono felici questi pitocchi! - tornò a ripetere perla terza volta e quasi per una forza meccanica della glottidementre l'occhioed il pensiero andavano in cerca di una buca per seppellire ciò chesopravviveva di prete Cirillo.

Dopo aver gironzolato un pezzosi pose a sedere sopra unmucchio di pomicida cui uscivano poche ginestre e per la prima volta sentíuna grande stanchezza alle gambe. Era stata una grande giornatae un granviaggio: ma la vittoria era sua.

E dire che questa visione gli era venuta in un sogno! Avevadunque ragione prete Cirillo di credere ai sogni. Se non fosse stato ridicolod'ammettere certe ubbíec'era quasi da pensare che il suo prete gli avesse insogno suggerito il pensiero di andare alla Falda.

Non gli aveva promesso un giorno prete Cirillo di salvarglil'anima e il corpo? Le anime dei morti non conservano rancoree se preteCirillo poteva dal mondo di là tirare un'anima di questo mondo al porto dellasaluteperché non l'avrebbe fatto? Anche luiil pretenon era senza peccatie aveva bisogno forse di molto perdonare.

Che cosa sappiamoin nome di Diodelle cose di questo edell'altro mondo?

In tutto ciò che era accaduto intorno a lui non era egliquasi trascinato per necessità a credere alla forza di una pietosa provvidenzache conduce le cose con una precisione meravigliosa?

Il sole dalla linea bassa dell'orizzonte proiettava le ombredegli arbusti sul terreno arsiccio. Un gran cielo biancastrotroppo pieno dilucericopriva il vasto piano per cui si raggirava il nostro cacciatore incerca di una buca. Ma non si trovavano buche già fattee quella sodaglia eratroppo apertaperché un uomo potesse scavarne una senza dare sospetto aqualcheduno. C'era anche troppo cielo di sopra.

Visto un fossatello in cui stagnava ancora della vecchiaacqua piovanasi abbassò con tutta la personatrasse il carniere davantigirò l'occhio intorno... Ma non osò buttar via il carniere. L'ombra suaingrandita dal sole cadente era un troppo noioso testimonio.

Quando si alzògli parve d'essere divenuto grande come ungigantee temette quasi di dar la testa nella vólta del cielo...

Allora pensò che era piú sicuro andare a casarinchiudersinella sua stanzatagliuzzare e distruggere a poco a poco questa noiosareliquia. Si rimise in camminotornò sulla stradafino al caselloraggiunsela piccola stazionee quando arrivò il trenosaltò in un vagone di terzaclassecontento di viaggiare coi buoni figli del popolotra cui trovò chi gliparlò a lungo di canidi beccacce e di allodole. Nella dimestichezza colpopoloegli perdeva di vista il baronee sentiva nascere la compiacenza diessere un cacciatore come se ne danno tantireo soltanto d'aver ucciso dellaselvaggina; un buon uomo innocente insommache in un bicchier di vino e in unabuona pipa mette tutto il problema dell'umana felicità.

Arrivò a Napoli ch'era già buioe ripiegò verso isobborghi coll'idea di giungere al mare in qualche sito deserto.

Piú volte si arrestò preso dalla tentazione di lasciarcadere carniere e cappello in uno di quei tanti canali di scolo che escono dallecase del popolo; ma anche qui pensò che poteva essere ripescato dai ragazziche guazzano nelle fogne come le rane nel pantano.

Siccome «u prevete» aveva già creato a sé una piccolaleggendabisognava evitare qualunque segno che potesse guidare la curiositàdella gente sulle traccie del delitto. Anche il cappello aveva oramai la suapiccola leggenda.

«U prevete» l'aveva pagato al cappellaio con un ternocheuscí tutto; ne aveva parlato tutta la città; tutti i gìornali vi avevanoricamati sopra i loro commenti: l'oste del «Vesuvio» l'aveva portato allaFalda in un saccopoi l'aveva dato a un cacciatore...

Alla Falda l'aneddoto del cappello doveva ora divertire ibuoni avventori dell'osteria del «Vesuvio». Occorreva dunque la massimaprudenza per non richiamare l'attenzione di nessuno su questo cencio mortuarioche aveva in sé tanta forza di vita. Per Diopareva che lo spirito del pretevi si dibattesse dentro con impeti e convulsioni di uccellaccio agonizzante. Nonl'avrebbe seppellitonemmeno nella sabbia del maredove vanno i ragazzi acercare nicchi e coralli.

Non si poteva pensare nemmeno a bruciarlo.

Come si fa un falò in mezzo alla via? Per il diavolo! erastato meno difficile sbarazzarsi del prete... «U barone» sentiva che lamateria è duraindistruttibilementre un uomo si spegne come a soffiare soprauna candela. Gli tornarono in mente molti aforismi del celebre dottor Panterresu questo argomentomentre camminava nel buiogesticolando come un forsennatotra le ultime case dei pescatori lungo la marina.

La difficoltà dell'impresala stanchezza del viaggioiltedio che gli dava quel cappellaccio co' suoi impeti e col continuo battere suifianchi in un rumore di noce fessatutto ciò misto alla paura delle ombrefiní coll'irritare un uomo che nel buionel desertonella quiete profondadella notte sentiva troppo sé stesso.

E si sarebbe forse buttato in mezzo alla via affranto enauseatoseuscendo da un vicolettonon si fosse trovato davanti tutto ilmarecon una immensa spiaggia aperta e desertacolla sua bell'onda grossa esbuffanteche veniva faticosamente sul lido e qui si scioglieva fremendo sullaghiaia in un lieto bisbiglio di spume.

A sinistra Napoli splendeva di mille lumi; nella nottemandava un ampio bagliore al cielo.

La notte era chiusasenza ventosenza stellee parevafatta per un delitto.

Dieci o dodici passi avanti c'era un piccolo promontorio dineri scogli e di ciottoli che si protendevano nell'acqua.

«U barone» fu guidato da una mano invisibile (alla qualecominciava a credere fin troppo) verso gli scoglie vi trovò una barcaccia dapesca coi remi dentrolegata a un masso con una catena e riparata dai flutti.Non c'era intorno anima viva. Entrò nella barcala sciolseprese i remiepigliato il momento che l'onda torna indietrocon quattro colpi si trovò allargoavvolto nelle fitte tenebresolotra un mare nero e un cielo nerodimenticato da tuttidiviso dalla morte da sole quattro assicelle tarlate.

Egli aveva data una grande battaglia alla naturacheinutilmente l'aveva fatto inseguire dai suoi fantasmi. Finalmente l'uomo forte eprudente l'aveva vinta!

Socchiudendo gli occhicome se avesse paura di vedere uncapo di mortocacciò le mani nel carnieresentí il suo cappellolo trassefuoributtò il carniere nel fondo della barcacon una cinghia legò ilcappello stretto stretto al fucilee ridendo gelidamente nel buiotuffò ilfucile nell'acquafino alla boccacompiacendosi di tenerlo un momento nelpugno per assaporare piú lentamente il suo trionfo... poi aprí la mano.

Il fucile e il cappelloprecipitando senza rumoresiperdettero negli oscuri abissi del mare.

- Ecco fattoprete! - disse a voce alta «u barone»ridestando un piccolo suono nascosto tra gli scogli. Pareva che il preterispondesse: amen.

Un'ora dopo sotto un torrente di poggia «u barone»rientrava in città. Andò a casa difilatosi spogliò degli abiti dacacciatoresi cacciò nel letto e si addormentò di un sonno greve e senzapensieri. Ne aveva bisogno. La giornata era stata lunga e piena di scosse. Sisentiva le ossa fracassatel'anima affranta: e dormí profondamente sulla suavittoria.

 

La mattina seguentementre sua eccellenza dormiva ancoraprofondamente sulla sua vittoriai ragazzi strilloni correvano per le vie diNapoli a gridare coi foglietti in mano:

- «U cappiello du prevete».

- Grande scopertail cappello del prete. -

- «U cappiello du prevete Cirillo».

- A un soldo il cappello del prete.

La gentespecialmente il popolinocomperava i fogliettieinnanzi agli acquaioli e ai caffeucci si formavano dei crocchi. Uno leggeva egli altri ascoltavanoe tutti ripetevano poi la storia del cappello arrivato aFilippino dentro una scatolacon quella naturale immaginazione della gentefantasticache quando trova un bel caso verocerca di consolarsi in qualchemaniera del dispiacere di non averlo inventato.

 

 

PARTE SECONDA

 

 

I

 

LA MANO DELLA GIUSTIZIA

 

IL barone di Santafuscamesso il cuore in pacepotevadormire felicementema i guai e le tribolazioni cominciarono invece per l'altrocolpevolevoglio dire (se non avete indovinato) per don Antonio.

Il povero prete una mattina sull'alba non aveva ancora finitoun bel sogno (cioè che l'arcivescovo era venuto a Santafuscacon molto seguitodi prelati in mitrache la chiesa era tutta splendente di lampade d'argentoche egli cantava messa con una mitra in testa...) quando Martino bussò confracasso all'uscio.

- Che c'è? - esclamò il vecchioalzando la testa eportando la mano al berretto da notteche gli stringeva un poco la fronte. -Non è ancora l'ora della messa.

- Non è la messadon Antonio. Venga giú. C'èc'è... undelegato della polizia con... con...

Si sentiva che Martino non era troppo padrone della sua voce.Don Antonio avrebbe scommesso che gli tremavano le gambe.

- Un delegato della po... li... zia... che roba è questa?È uno sbaglio.

Don Antonio buttò la mitra... ovverosia il berretto da nottesul lettoe cacciò fuori le gambe.

- Che cosa vuole da me questo signor delegato?

- Non lo dice. Venga giú presto.

- Vengo. Un delegato? che conti ho io colla polizia? certo unerrore giudiziario. A meno che non si tratti della faccenda di Lellache hadato una coltellata a Guasco. Sempre il coltello in mano quel... quei... quei...

E su queste paroleche andava ripetendo meccanicamentescese a bassosenza collarecolla veste in disordinee cogli occhi ancorapieni di nebbia.

Trovò nel salottinodove soleva d'estate studiare le sueprediche e fare un sonnellino tra un punto e l'altroun signore seriovestitotutto di nerocon due baffi neriin compagnia di un grande carabiniereforseil marescialloche toccava colla punta del suo cappello il soffitto.

Il prete fece tre o quattro inchini prima di poter trovare lavoce.

Il signore vestito di nero s'inchinò anche luimentre ilsignor maresciallo andava a chiudere la porta.

- In che cosa posso servire questi bravi signori? - disse conun gran condimento di tenerezza il Povero vecchietto tutto spaventato.

- Devo farle alcune dimande e darle forse qualche seccatura.Ella è don Antonio Spino?

- Per servirla. Prego si accomodi.

- Ella ha scritto giorni fa una lettera a un certo FilippinoMariticacappellaio in Napoli.

- Precisamente.

- La lettera accompagnava...

- Una scatola...sissignore.

- Con un cappello...

- Precisamentecon un cappellosissignore...

- Benissimo! Potrebbe ora favorirmi qualche spiegazione suquesta lettera?... la riconosce per sua?

Il signor delegato presentò un foglio spiegato.

- È la mia scrittura...è quella- balbettò don Antonioche non sapeva ancora in quali acque navigava.

- Ella qui dice che il cappello fu trovato «nei dintorni».Ebbene: importa molto al procuratore del re di sapere la località precisa oveil cappello è stato trovatochi l'ha trovatoda quanto tempo è statotrovatoper quali mani è passato... e ciò s'intende nel miglior modopossibileperché si tratta...ma dirò poi di che cosa si tratta.

A ognuna di queste paroledon Antonio cadeva di meravigliain meravigliae il suo spirito si smarriva. Si ricordava di non essere statotroppo preciso nella sua letterae veramente la cosa era andata diversamente.Ecco che cosa significa non dire tutta la verità. - Ecco- diceva lacoscienza- tu hai voluto nascondere il tuo peccatoe il tuo peccato è venutoa galla da sé. Chi non ha voluto confessarsi innanzi a Diodeve oggiconfessarsi davanti al signor delegato e al signor carabiniere.-

Queste meditazioni passarono tutte insieme in un volo rapidoe confuso. Poi disse:

- Sarò sinceromio bravo signoree racconterò esattamentecome quel cappello sia venuto nelle mie mani e perché l'abbia inviato al signorFilippino.

- Badi che intanto io prendo nota della sua deposizione e chela signoria vostra potrebbe essere chiamata in giudizio pubblico a confermarla.

- In giudizio pubblico? o anime divine! mamasi faquestione di processo? Dove sono io? io non sono colpevole che d'un piccolopeccato d'avarizia e d'un po' di pigrizia. Posso aver mentito una voltadicendoche l'avevo comperato co' miei denarie un'altra volta ho velato un poco laverità scrivendo una frase genericama non vedoscusinon vedo che ci possaessere materia di penale...

- Si calmidon Antonioed esponga tranquillamente tuttociò che ella sa su questo fatto. Il signor maresciallo non ha nessunaintenzione di arrestarla.

Il signore vestito di nero sorrise un pocoe ciò rinfrancòun po' l'animo sbigottito del povero preteche prese il suo coraggio colle duemani e cominciò un racconto lungo lungominutoprecisosenza trascurare laminima circostanza. Disse il giornol'orail minuto in cui Martino era venutoa chiamarlo per correre in aiuto di Salvatorelo scambio del cappello avvenutonella camera del mortoe come avesse perduto il suo. Confessò i suoi dubbiiisuoi scrupolii discorsi fatti con Martinola lettera scritta a monsignorvicarioe presentò la risposta di monsignore. Disse come scoprisse il nome delcappellaiomostrò la polizza rilasciata dal capostazione per «scatola concappello» (ci aveva rimesse anche le spese di spedizione)insomma vuotòrovesciò tutta la sua coscienzacome si fa col sacco della farinaallorchéè sul finire. Non si era confessato con tanto ardore e con tanta compunzione lavigilia della sua prima messa.

Il signor delegatoche aveva pescato in fondo ad una tascaun calamaio d'osso e una pennascrisse tutto sopra un cartolare in presenza delsignor carabiniereche ascoltava colle braccia incrociate sul petto e riempivacon le sue spalle tutto lo stanzino.

Si fece consegnare la lettera di monsignorela polizza della«scatola con cappello»che allegò in numero ABall'incartamentopoidisse:

- Da tutto ciò che ella mi ha dettoreverendovedo cheella ha agito in perfetta buona fede: ma non sarà mia colpa se io dovrò darledi nuovo qualche disturbo. Noi siamo forse alla presenza di un delitto.

- Un delitto! - esclamò don Antonio col viso spaventato.

Martinoche stava ascoltando dietro l'uscio coll'occhio allaserraturadovette appoggiarsi colle mani alle ginocchia.

- Questo cappello dei diavolocome ella lo ha giustamentechiamatoapparteneva a un vecchio sacerdote da una ventina di giorni scomparsoda Napolisenza che nessuno abbia mai saputo dar notizia di lui. Siccome c'èogni ragione per credere ch'egli sia stato assassinatocosí è necessario chedon Antonio offra ogni suo sussidioaffinché la giustizia sia illuminata nellesue ricerche.

Don Antonio non fece che aprire un poco le mani e rimaseimmobile sulla sua sedia colle labbra aperteinerte come un uomo assiderato. Isensi dei povero vecchio erano rimasti come inchiodati alla spaventosa immaginedi un cappello che era stato in testa a un fratello assassinatoun cappello cheegli aveva portato sulla testa con maledetta presunzionech'egli avevacollocato presso gli altari...

Altro che la mitra sognata! Altro che il cappellocardinalizio promesso da Martino! Questo era un cappello rossoma rosso disangue cristiano...di sangue consacrato...

- Ella ha dettodon Antoniodi aver lasciato in luogo delcappello rosso incriminato il suo vecchio cappello...

Don Antonio disse di sí col capo. La lingua era gelata inbocca.

- E sarebbe venuto un giovinotto che sta alla Falda a portarvia il cappello colla roba?

Don Antonio tornò a dir di sí col capo.

Il delegato tirò in disparte il signor maresciallo e gliparlò a lungo sottovoce. Pare che combinassero di mandar subito due uomini allaFalda per arrestare l'oste dei «Vesuvio» che nella mente del bravo funzionarioappariva come intricato in questa oscura faccenda. Il valente funzionariocominciava a rallegrarsi d'aver in mano un filo conduttore. Capita a pochi (seben si considera) di andare in cerca d'un cappello e di trovarne due.

Fu chiamato subito anche Jervolino il segretario e fu sentitoin paragone di Martino il campanaro. Jervolino aveva avuto la chiave dellavillama ora questa l'aveva «u barone».

 

Il delegato rifletté un momento se doveva aspettare nuoviordini da Napoli prima di far scassinare il cancello della villa; ma poi pensòche il paese era già in subbuglioche i camorristi hanno segreti alleati e cheogni ora perduta poteva far perdere le traccie del prete.

Si mandò subito in cerca di un fabbro che aprisse ilcancello.

Il signor delegato si assumeva sulla sua responsabilità dirispondere in faccia ai giudici e al barone di Santafusca.

Non senza qualche fatica fu scassinata la vecchia e rugginosaserratura del cancello verso le scuderiementre la gentemessa in agitazioneda Martinoveniva a riempire le strade e la piazzuola coll'animo disposto adifendere il suo pastoreil vecchio patriarca dell'antico testamento.

Tutti parlavano di questo cappelloe un ragazzoguardianodi pecore uscí a dire d'aver veduto un giorno un certo prete salire alla villaper il viale degli ulivi; ma nessuno volle badare a ciò che diceva un ragazzo.

Condotti dal curato e dal campanarodelegato e guardieinvasero la stanzuccia di Salvatoredi cui fu stesa una breve descrizione.

- Il cappello nuovo era sul canteranoella dice?

- Signor sí. E il cappello vecchio sulla sedia? Sulla sediaprecisamente.

Il delegato notò nel processo verbale anche canterano esediae poiché gli pareva di aver compiuto tutto il suo doverelasciò unsoldato di guardia al cancello coll'ordine di tener lontano i ragazzi e le donnespettinatee colla corsa delle undici partí per Napoli.

Don Antonio non disse quel giorno la sua solita messa.

Quasi invecchiato di trent'annisi trascinò fino a casa esi buttò sulla poltrona a gemere e a sospirare.

- O Signore - diceva - pietà di questo vostro vecchio servoche fu troppo punito del suo peccato. Voi che scrutate le reni e i cuoripesatecolla bilancia della vostra misericordia il mio peccato e sentenziate nellavostra giustizia. Se vi pare che la mia morte basti a lavare la menzogna e ladebolezza di spirito di un'ora sciaguratafatemi morire adesso e chiamatemi ariposare nel vostro grembo. O se volete che questi tormenti siano l'espiazioneterrena di un vecchio peccatorebenedetta la vostra mano che castigaoSignore.

Una grande tristezza pesò quel giorno sul paese diSantafuscacome se l'ombra malinconica e triste del cappellaccio coprisse lachiesa e le case.

 

II

 

L'ORGIA

 

- O Marinellalume di stellacandida e bellaonavicella...

«U barone»come si vedeera in vena di poetare.

Il vin del Renosangue di Museaveva riscaldata la suafantasia. Quando un uomo siede da due ore a tavola in buona compagnia conquattro bicchieri di cristallo davantie due belle ragazze ai fianchisicapisce come possa diventare un pochino poeta.

- A teUsillicanta Lellina.

- Grassa e piccina...

- Fior di farina...

- O barchettina...

- Stupidissime barbe! - gridava Lellinaversando un calicedi buon vino di Siracusa nella schiena del marchese Carlo Emanuele Lodovico diSpiano cavaliere di Malta.

«U barone» sull'aria del Sabba classico del «Mefistofele»ripigliò il suo ritornello:

- O Maddalenala pancia è pienacantasirena...

La villetta della «Favorita»posta quasi a picco sul mareera un panierino di legno traforato in mezzo a un boschetto di lauri e aranci.

Vico di Spianoche da qualche tempo era in rialzo difortunal'aveva acquistata per farne un regalo provvisorio a Lellinaunagattina piena di capricci e di pretensioni. Oggi convitava i buoni amici «sansfaçons» a un lunch di famigliae prometteva di fare qualche cosa di piúse«Andreina» vinceva un premio alle prossime corse.

«Andreina» era una cavalla.

Lellina era una gattina.

- Fior di farina!

- Canta Lellina.

- O barchettina.

- Candida e bella.

- O Marinella.

- La pancia è piena.

- Cantasirena.

Usilli aveva portato un cesto di bottiglie di Sciampagnamarca garantitacinquanta lire alla bottigliache egli aveva comperato da uncapo scudiero del duca di Sassoniail quale era venuto a passare l'inverno (loscudiero non il duca) in una villa di Mergellina. Il vino era Sciampagna genuinocome si serve alle tavole dei principie molto probabilmente lo scudierol'aveva rubato al suo padrone.

- Vino rubato è vino già pagato.

I turaccioli scapparono dalle bocche d'argento come palle dilucide mitragliatricie saltarono in mare. Un'onda bionda e spumosa come icapelli di Marinella riempí le coppei piattitraboccòspruzzò i senidelle ragazze che si tuffarono gridando in quel dolce lavacro frementementre«u barone»piú alticcio degli altridiceva di celebrare la santa messa.

Per quanto ei fosse venuto con tutte le buone intenzioni dinon chiacchierar troppo e di custodirsi sempre cogli occhinon poteva impedireal Reno e allo Sciampagna di dire anche le loro ragioni. Lieto ed ebbro di unafalsa ilaritàguardando attraverso il bicchiere si rallegrava di non vedervinullanemmeno un puntino nero.

Dall'alto terrazzo della villa l'occhio poteva scorrere sututta la superficie del mare di sottoche fa da ampio piatto azzurro alla tazzaazzurra del firmamento. Nel gran tremolío fosforescente delle ondine al solepalpitava l'immensa vita della naturaquella vita che «u barone» sentiva insémentre stringeva Marinella nelle braccia.

Chi avrebbe pescato in quel gran mare di seicento leghe uncappelluccio di prete?

- Tu mi hai promesso cento volte di condurmi a Santafusca; masei un barone d'un barone disse Marinella.

- L'ho venduta.

- L'hai venduta al prete?- chiese Vico di Spiano.

- Quale prete?

- Quello dell'ipoteca.

- Si l'ho venduta all'arcivescovo.

- Oh! a proposito di prete - disse la Marinella. - Aveteletto il Piccolo di ieri sera? L'hanno trovato il prete.

- Che prete? - domandò sbadatamente «u barone».

- Quello del cappello. Non hai letto il Piccolo?

- Vapazzerellaio ti comprerò una villa piú bella diquesta -disse il barone che intendeva a mezzo.

- Oh guarda lassú quell'uccellaccio! - gridarono le donnesegnando colla mano un punto alto del cielo.

- È un'aquila.

- È un airone.

- È una gru.

Nel punto piú chiaro del cielo volgevasi un coso nerounuccellaccio di mare. «U barone»che mal si reggeva sulle gamberidendosgangheratamente disse:

- È il cappello del prete.

E rimase un istante col dito verso il cielo in atto di sfida.

Non so dire come fosse venuto sulla tavola il Piccolo.

«U barone»che aveva già le vertiginiaccese un grossoavanaspinse una poltrona sul terrazzovi si sdraiòdistendendo le gambeeaprí il giornalementre mandava grossi buffi di fumo al Padre Eterno.

Nel bel mezzo della pagina a grossi caratteri vide stampato:

 

IL CAPPELLO DEL PRETE

 

Lo vide bene e non mostrò meraviglia. Gli pareva un fattocosí sciocco e comuneche non valeva quasi la pena di occuparsene. Lesse soloper curiosità le prime righee per un giramento del capo gli si mescolarono leparole in una broda nera e sanguigna.

Un resto di ragionesopravvissuta al bagordocercò dirichiamare l'attenzione dispersa sulle cose inchiodate dalle parole sulla carta:ma il cervello era pieno di fumo. Il vinoil pasticcio d'ocala tortal'aragosta che egli aveva mangiatofecero ad un tratto come una macina damolino sulla bocca dello stomaco.

«U barone» si sentiva schiacciato in mezzo al pettomentrela testa si squagliavavolava. Al disotto del gran fumo usciva tratto tratto lagrossa scritta nerasegnata da altre righe nere in cui spiccava il nome diprete Cirilloil cappelloil cappellaioSantafuscala scatola...

Non ne capiva il sensoma un atomo di coscienza restava comeinfilzato su uno spillo a soffrire atrocemente di tutto quel diavolío digeroglifici. Soffiava grossi sbuffi di fumoansandosudando d'un sudor freddoche gl'imperlava la fronte divenuta pallida e fredda.

Le ragazze intanto distese sulle sedie ripetevano in un corosguaiato la bella canzone:

- Fior di farina.

- O barchettina.

- Candida e bella.

- O Marinella.

E non poter leggere!... quale maledizione non poter capirecome c'entrasse quella scatola e il cappellaio.

Dopo un grande e faticoso sforzo di mente una volta riuscí adecifrare questa frase:

«La cosa è ora nelle mani dei procuratore del re.»

Era un sogno d'ubbriaco? Girava gli occhi verso la sala dapranzoe riconosceva il luogogli amicile donne sdraiate e seminudechefumavano le loro sigarette. Girava gli occhi dall'altra parte e vedeva ilbagliore azzurro e tremolante del mare infinitodov'era andato a precipitare ilsuo segreto. Provava a scuotere il foglio bianco e nero che teneva in mano. Losentiva striderecantaree la scritta maiuscola pareva diventata ancor piúgrande; cosí:

 

IL CAPPELLO DEL PRETE

 

Certo era un sognoun delirioun incubo del vino e delpasticcio d'oca.

Non erano insomma che sensazioni.

Si voltò verso le ragazze e disse ridendo:

- Stupidissime barbe...

Sentiva nel modo stesso che egli faceva a rideredi essereubbriaco. Lo sentiva dal peso stesso delle sue scarpe che parevano diventate dipiombo. Badasse per carità a custodirsia non tradirsi. Riprese la lettura.

Quello stupido foglio nominava anche lui insieme a donAntonio. Vedi il sogno? vedi la stravaganza! vedi il romanzo di SaverioMontépin!

Ecco che cosa diceva il Piccolo:

«Tutti i nostri lettori si ricorderanno certamente di preteCirillodel quale abbiamo parlato in occasione di una straordinaria vincita allotto fatta da un cappellaio di Napoli. Abbiamo dettoin quella circostanzache il prete aveva lasciata la città e nessuno non seppe piú nulla dei fattisuoi. Già si cominciava a dubitare che gli fosse capitato una brutta avventuraed ecco ora un fatto curioso che conferma quei brutti sospetti.

«- Che? - voi direte- s'è trovato il suo cadavere?

«- No.

«- Si è scoperta una congiura

«- No.

«- S'è arrestato l'assassino?

«- Nemmeno. Si è semplicemente trovato il suo cappello.

«Un cappello? ma che faccenda è questa! Pare una favoladelle Mille ed una notte e non è che la verità».

Il giornaledopo aver raccontato il fattoriportandolo dal PopoloCattolico senza citarloconcludeva:

«Abbiamo mandato uno dei nostri reporter a Santafusca araccogliere dei particolarie terremo informati i nostri lettori di tuttaquesta bizzarra e non semplice faccenda».

A poco a poco«u barone» aveva potuto decifrare il sensodi queste parolee in mezzo alle fiamme e al fumo della sua ubbriachezza gliapparí chiaramente il pensiero del suo pericolo. Una forza piú potente dellaragione e del caso si pigliava burla di lui. Sentí un fiotto di sangue montareprecipitosamente alla testa seguito da un fiotto di bile che gli fece amara labocca. Diventando ad un tratto freneticolacerò rabbiosamente il fogliose locacciò in boccalo morseurtò e ruppe i vetri della finestra e andò arotolareruggendo come una bestia ferocesotto la tavola. Ne nacque untremendo scompiglio. La ragazze spaventatestrillando come aquilefuggirono diqua e di làmentre i servi accorsi al rumore e alle chiamateaiutavano aportar via il barone ubbriacoduro e stecchito come un epilettico.

 

 

III

L'HANNO ARRESTATO

 

Quando il barone si risvegliò dal quel letargo di piomboincui lo aveva gettato il vino e lo spaventostentò a raccapezzarsie si stupídi trovarsi in un letto non suopresso al maresolovestito sul lettocolcapo e con una mano fasciata.

Una volta erano avventure che facevano piacere. Ma erapassato il tempo in cui il giovane e brillante Santafuscaferito quasi a mortein un duellosi risvegliava nella casa di una fata.

Era passato da un pezzo il caro tempo delle fate.

La vista del mareche tremolava di sotto nella sua vampaazzurracominciò a richiamare un'ombrae dietro l'ombra un'idea... ma un'ideamolle e confusain cui sentiva che entrava ancora in qualche maniera il suoprete; piú che un'idea era un dolore al cuoredove provava di tanto in tantoun'acuta trafitta.

- Se vostra eccellenza comanda qualche cosa... - domandò unservo in livreache entrò improvvisamente da una portiera di velluto.

- Dove sono?

- Alla «Favorita»eccellenza; e il mio padroneilmarchese di Spianomi ha detto di scusarla se dovette partire per Napoli. Saràdi ritorno questa sera...

- Ah!... questa è la «Favorita»... Ora mi ricordo! Ma checosa e accadutoamico mio?

Vostra eccellenza s'è sentita molto male ieri.

Mi ricordo. La colpa fu dello Sciampagna. Quel capo scudierodel re di Sassonia ha rubato un certo vino!... Basta; son cose che capitano aiviviverogiovinotto?

Il servitore fece un piccolo inchino e sorrise in maniera dafar capire che sapeva compatire queste disgrazie.

Anche ai ladri toccano delle strane disillusioni.

- Il signor marchese la prega di ordinare liberamente ciòche le abbisogna.

- Allora cominciamo da un caffè! ma prima dimmi se hodormito un pezzo.

- Da ieri fino a oggie sono le dieci.

- Cospettina! c'è della morfina in quel vino. E dici chetornerà stasera il marchese?

- Sissignore. È andato a Napoli per qualche combinazione perle corse di domani.

- È verodomani gran giorno di corse. E quelle signored'ieri...?

- Son partite subito.

- Dimmi ancora: perché ho fasciata la mano e la testa? chec'è? sangue?

- Vostra eccellenza è caduta sulla grande lastra di vetrodel balcone e si è tagliata qui e là. Il pavimento è cosí lucido...

- Altro che morfina! Portami il caffè.

«U barone» si mise a sedere sul lettoe si toccò la testae la mano. Non erano che scalfitture. Altre volte ne aveva toccato di peggio.Infine non è una disgrazia risvegliarsi in un bel casino in riva al mare dopoaver dormito diciott'ore d'un profondo sonno. Poiché l'amico di Spiano eratanto corteseSantafusca intendeva approfittare della sua bontà e rimanerealla «Favorita»finché avesse avuto il tempo di mandare a Napoli a prenderedei vestiti piú decenti. Dalla baldoria il vecchio libertino era uscito come uncane da una chiesa. Vino e sangue dappertutto.

- Vino e sangue! che bel titolo per un romanzo d'appendice!

L'idea del romanzo richiamò l'altra dei giornalee questal'altra del Piccolo colla storia famosa di un cappello.

- Era un fatto vero od era stato un sogno di un uomoubbriaco?

Il servo entrò col caffè.

- Ci sarà un concorso enorme dimani: vedremo elegantissimiequipaggi. Il premio Sebeto quest'anno è di tremila liree di duemila ecinquecento il premio del Ministero. Sento che molti scommettono per«Andreina». Il marchese è fortunato. L'anno scorso ha vinto le ottomila liredel premio Ottaiano con «Rodomonte». Un bel cavallocorpo del diavoloquel«Rodomonte»! Che testa! Hai il Piccolo di ieri?

Guarderòci deve essere.

Il servoversato il caffèusci.

Era stato un sognodunqueo veramente il Piccolo avevariportato la storiella di un cappello mandato da don Antonio in una scatola a uncappellaio di Napoli? Già un'altra volta aveva fatto un sogno meraviglioso. Lasua fantasia non dormiva più e si sa che i sogni son fatti coi frastagli checadono dalle nostre idee. «U barone» fissò l'occhio nel fondo della chiccheracome se vi cercasse dentro la chiave di un enigma.

Il servo entrò con un pezzo di giornale sciupatofatto abrani. Era quanto rimaneva del Piccolo.

- Lascia vedere... queste corse.

«U barone» accomodò i pezzi sul letto e tornò a vedere lagrossa scritta:

 

IL CAPPELLO DEL PRETE

 

Non era piú il caso né di sogni né di vino traditore.

Il caffè aveva dissipata la nebbia del capo. Sebbene lastoriella fosse monca qua e là«li barone» poté leggerla e toccarla conmano. Non era piú ubbriaco. Non dormiva. Non delirava. Ricordava benissimo anziche quel foglio assassino gli aveva fatto salire il vino e il sangue alla testa.

Vino e sangue non era un titolo da romanzoma la vera storiaorribile della sua vita. E questa storia minacciava di non finir mai. Era unospaventoun castigoun tormento insopportabile di sentire qualcuno checamminavaincalzava dietro le spalle e di non poter fermare quel fantasmadinon poter farsi una ragione delle cose.

In qual maniera il cappello del morto avesse potuto usciredal fondo del mare ed arrivare col mezzo della ferrovia dentro una bella scatolasuggellata fino nelle mani del procuratore del reera anche questo un misteroche egli rinunciava di decifrare. C'è forse al disopra delle cose e dellaragione una forza operatrice piú potente delle cose e della ragione? Era ancorala mano invisibile che scendeva lunga lunga fin negli abissi dell'Oceano apescare il suo delitto?

- NoSantafuscaquesta è della filosofia trascendentale.Guarda bene: ciò è accaduto perché tu hai sbagliato. O tu hai sottratto unaltro cappelloo il procuratore del re ha pescato un granchio... Ragioniamoper carità. Quel prete non aveva due cappellicome non aveva due teste. Se lagiustizia prende un granchiose ne accorgerà subitoe prete Cirilloripiomberà nel suo nulla quasi per forza d'inerzia. Se ho sbagliato io...ebbenevediamoche male me ne può derivare? Síè stato trovato un cappelloda prete. Ebbene? che significa ciò? («U barone» immaginava una disputa tralui e il procuratore). - Vediamosignor procuratoreche significa ciò? - Mail cappello è stato trovato nei dintorni di Santafusca. - Bravome nerallegroe cosí? - Il prete non si vede piú. - E lo conta a me? - Si dice chesia stato ucciso. - Che colpa ne ho iocaro commendatore? - È stato trovatonella sua villa. - Chi?... il cappello o il prete? - Il cappello. - La mia villaè la casa di tuttie le capre di Salvatore sono piú padrone di me. Pianopianonon si lancia con tanta leggerezza una accusa sopra un gentiluomosoprauna delle piú antiche famiglie del reame. E chi è questo prete? io non l'homai né visto né conosciuto... To'... Anzimi meraviglio altamente di nonessere stato avvertito subitoe protesto contro l'abuso che si fa del mio nome.

Il barone faceva questi discorsimentre si raccomodava unpoco gli abiti addosso. Recitando a sé stesso la sua difesaandavapersuadendosi egli per il primo di ciò che credeva di dover persuadere aglialtri. Non aveva nessun motivo per temeree quando avesse potuto rimuovere isoliti spaventi dell'immaginazione non avrebbe avuto pauralo sentivadisostenere anche la vista del morto.

Solo costui poteva accusarlo; ma si può pescare un cappellonon si fa parlare un morto.

D'altra partenon gli parve prudente nemmeno di stare collemani in mano. Se era da uomo sciocco ed ubbriaco perdere la testa per uncappellonon conveniva permettere che i giornali si impadronissero del fattoeandassero a cercare cinque piedi al montone. Poiché Santafusca era implicato inquesta faccendaera dover suo correreinterrogareandare dallo stessoprocuratore del re a sentire quanto c'era di vero in fondo a questo cappello.

Anche il troppo tacere in una cosain cui direttamente oindirettamente entrava il suo nomepoteva destare qualche sorpresa nella gente.Una parte bisognava pur rappresentarla in questo processoalmeno quella dipadrone di casa.

Bisognava assolutamente ch'egli tornasse a Napoli: si lavòle maniacconciò le vestichiamò il servo e dimandò se c'era una carrozzachiusa che lo portasse in città.

- Ella deve comandare tutto ciò che desidera.

- Dirai al marchese... ma spero di vederlo io stesso fra unpaio d'ore.

Bisognava ch'egli vedesse i giornali della mattinae se eranecessario pubblicasse qualche rettifica.

- Maledetti i giornali! - diceva «il barone» sdraiatonell'angolo della carrozza a due cavalli che volavano verso la città. -Maledette le ciarle stampate! Se io fossi il padronevorrei affogarli tutti igiornalisti!

Il sentimento feudale dei vecchi Santafusca ribolliva in luie il sangue ribellavasi con furore a questo sistema detto di democrazia checonsiste nel raccogliere su un foglio stampato i pettegolezziche lepescivendole sparpagliano sui loro usci. Colla scusa di un «si dice»sistampano cose che nessuno diceche nessuno vorrebbe diree nemmeno sentire adire.

Arrivò a Napoli che stava ancora impiccando in idea ungiornalista. Diede una mancia al cocchiere e corse in casa a farsi decente epresentabile. Maddalena venne ad aprire e ripeté le solite frasiche ilpadrone per vecchia abitudine non ascoltava piú.

Mentre si rivestivaripeté a sé stesso la sua difesaevide ch'egli non aveva a temere niente dagli uominitanto meno dal PadreEterno. Desiderando vedere il marchese per fargli le sue scuseuscí quasisubitoe andò al circolo ove di solito Vico di Spiano faceva colazione. Eraanche il modo piú breve per vedere tutti i giornali della mattina.

Entrando in anticamerasenti il portiere che diceva aRaffaello:

- L'hanno arrestato.

- Chi? - domandò repentinamente «u barone» come se laparola fosse stata rivolta a lui.

- L'assassino del preteeccellenza.

 

IV

 

L'ASSASSINO DEL PRETE

Il barone non ebbe quasi tempo di afferrare queste paroleche:

- Eccoloeccolo! - gridarono molte vocie vide l'UsillidiSpianoin compagnia di altri signoriche entravano dietro di lui e che gliandarono incontro per avere notizie della sua preziosa salute.

- Ebbenecome ti senti? che cos'è stato?

- Effetto di aragosta?

- Effetto del vostro scelleratissimo Sciampagna - disse ilbaronestringendo la mano a questo e a quello.

- Non capite? - disse l'Usilli- l'aragosta si trovò anuotare in un elemento che non era il suo e fece una rivoluzione.

- Mi rincrescecaro marchesema pagherò i vetri e loscandalo.

- Non ti sei fatto troppo male?

- Qualche scalfittura. Sainoi siamo pachidermi...

Il barone cercava di ridere rumorosamentema rideva piú coidenti che col cuore.

- Conte- disse di Spianovolgendosi a uno dei presenti -ho l'onore di presentarvi il barone Coriolano di Santafuscamio vecchio amico evecchio patriota; e a teamicopresento il conte Ignazi di Romache haportato il suo famoso «Lazio».

- Che vinse il «derby» di Roma di quest'autunno?

- Precisamente...

- E questi è il conte Stagni di Urbinogià nostro ospiteda qualche giorno.

- Ho piacere... grazie!

- Onor mio!

I bravi signori si strinsero la mano e si lodarono un pezzo avicendacome fanno di solito. Il conte Stagni credette di riconoscere il baroneper averlo veduto un venti giorni prima a una piccola stazione presso Napoli.

- Sarà benissimo- disse con freddezza Santafusca.

- Tornavo da una gita a Pompei e richiamò la mia attenzioneun signore che correva verso la stazione per non perdere il treno...

- Ella è buon fisionimista - tornò a dire il baroneche inmezzo a tutti questi discorsi andava ripetendo mentalmente la frase udita inanticamera: «Hanno arrestato l'assassino del prete!».

- Tu fai colazione con noibarone.

- Volontieri; do prima un'occhiata ai giornali.

- Giustoa proposito- gridò l'Usilli - Santafusca sta perdiventare famosa. Hanno scoperto l'assassino dei prete.

- Che assassino?! - dimandò quasi con villania il barone.

- Leggic'è tutta l'intera ed esatta spiegazione. Io sonoun dilettante di processi celebrie se non fossi nato conteavrei fatto ilcommissario di polizia.

Tutti risero a questa grossa sentenzamentre il baronecorreva nella vicina sala di letturadove stavano sopra una tavola tutti igiornali della sera e dei mattino. Ne fece passare molti con tremito nervosonelle mani (per fortuna era solo) finché ne trovò uno che portava la grossascritta:

 

ANCORA DI PRETE CIRILLO

 

«Siamo costretti - diceva il foglio - a tornare su questoargomentoperché le nostre informazioni segrete ci persuadono che la leggendadi prete Cirillo resterà famosa negli annali giudiziari.

«Sebbene per ora la giustizia sia d'una gelosa e quasimonacale riservatezzasi sa che per un buon reporter ogni uscio ha la suachiave.

«Perciò siamo in grado di dare qualche primizia intanto cheil processo è nelle mani di quel zelante e bravo giudice istruttore che è ilcavaliere Martellinilustro del foro napoletanonon che grande scacchista eadoratore del gentil sesso.

«Abbiamo già detto come sulle traccie del cappello delpretescoperto nei dintorni di Santafusca e mandato a Napoli in una scatolafosse stato interrogato il parroco di quella terrae come dietro le deposizionidel reverendola giustizia avesse sguinzagliato i suoi cagnotti - la frase èd'obbligo - sulle traccie dei colpevoli.

«Le mani furono subito poste sopra un certo Giorgioun osteche sta alla Faldaall'insegna del «Vesuvio»il quale (l'ostenon ilVesuvio) sarebbe stato trovato in possesso d'un cappelloma viceversa poi nonera il cappello di prete Cirillo... Anzi il cappello sarebbe stato consegnatosecondo le deposizioni dell'ostea un misterioso cacciatore (qui comincia ilfantastico) che in un certo giorno si sarebbe presentato a ritirare il falsocappello del prete a nome di don Antonio parroco di Santafusca.

«Che esista un cacciatore interessato in questa faccendaoltre alla testimonianza dell'ostec'è quella di alcuni contadini e di alcunimuratori. Ma nessuno sa dire chi sia il misterioso cacciatoreda dove siauscitodove sia andato a finire.

«Ma la giustizia che ha le gambe lunghemercé l'operazelante del cavaliere Martellininon dispera ed è già sulle traccie delcacciatoreche se fosse anche una leprenon tarderà a cadere nella trappola.

«Il lato curioso del cappello è questo: che mentre prima siaveva un cappellopare che adesso se ne abbiano due.

«Insomma un cappello di piú e un prete di meno!

«Inutile dire che il fatto interessa il buon popolo dellapartenopea cittàe che le donnicciuole hanno giuocato il terno: pretecappellocacciatore (vedi «Cabala» e la «Sibilla Cumana») e può esserechevivo o mortol'ultimo dei negromanti faccia un altro salasso alla cassadell'erario».

 

Il giornale era il vecchio Omnibuse l'articolofirmato Cecereche pareva per il momento uno scrittore spiritoso.

 

- Noi potremo combinare una scommessa collettiva sopra«Andreina»se ci sta anche Santafusca.

- A fare? - esclamòtrasalendoil baronevedendo entraredella gente: e cercò di nascondere il foglio tra gli altri giornali che eranosulla tavola.

- Si tratta di sostenere «Andreina» contro «Lazio»Napoli contro Romail Sebeto contro il Teveree tu sei troppo fortunatoSantaper non arrischiare qualche migliaio di lire.

- A fare? - tornò a dimandare «u barone» che era rimastocolla mano sul foglio e cogli occhi smarriti nel vuoto.

- Usilli! - chiamò di Spiano nell'altra sala.

Il barone rimase col conte Ignaziche avviò un discorso dicortesia.

- Voi dovreste venire una voltabaronealla caccia dellavolpe nella campagna romana.

- Sí.

- Siete cacciatorebarone?

- Io?

- C'è molta passione di sport in queste provincie?

- Che!

- Noi romani molto. Sapete«noblesse oblige».

- Lo credo.

Rientrò a tempo l'Usilliche colla sua elettrica mobilitàtrasse l'uno e l'altro in una sala vicinadove di Spiano stava persuadendoalcuni amici del club a scommettere per «Andreina».

Erano tutti infervorati nella discussione. Parlavano tuttiinsieme di «turf»di pistadi bel tempodi «pesage»di razzedicavalledi belle donnecol fuoco che destano nei signori le questioniinconcludenti.

La maggior parte erano giovaniambiziosiavidi di gloria edi piaceri. Chi sedeva sulla tavolachi sulla sponda del canapèchi acavalcioni delle sedie. V’erano anche degli ufficiali nelle splendide divise eun acuto profumo di sigarette rendeva l'aria ancor piú calda e mordente.

«U barone» seduto in mezzo e quasi dimenticato fra tantigiovani illustrivenuti da tutte le parti d'Italia a rappresentare il fastodella patria aristocraziaebbe un momento di raccoglimento e di riposo e potéabbandonarsi un minuto al suo pensiero.

Sentiva di avere ormai esaurite tutte le sue forze attive eche troppo disuguale era la lotta tra un vivo e un morto.

Il prete era piú forte di lui.

Ammazzatosepoltoschiacciato da una grossa pietra e da unmucchio di mattoni e di sabbia«u prevete» aveva cacciato fuori prima il suocappello. Inutilmente egli aveva tentato di affogare anche il cappello in fondoal mare; «u prevete» aveva la mano lunga.

Per Dio! se non basta uccidere un uomo con due tremendemazzolate sulla nuca; se non basta tutto il mare Mediterraneo a coprire unsegreto; se uccidere un uomo significa farlo vivere piú di prima; senasconderlo in una cisterna vuol dire fare in modo che egli occupi di sé tuttauna cittàtutta la stampala magistraturail telegrafole botteghe deibarbierii botteghini del lotto: se tutto ciò accade nel mondoper Dio! èsegno che la ragione non è ragioneil verosimile non è veroma tutto èverospecialmente l'impossibileanzi l'assurdoil tutto è nientee ilniente è tutto...

Una grande risata accolse queste conclusioni filosofiche delbarone di Santafusca: cioèparve a lui che gli amici ridessero della suaminchioneria. Egli cominciava a odiare quei fastidiosi eleganti: e aveva torto.

L'Usilli raccontava degli aneddoti galanti con tantafelicità di spiritoche avrebbe fatto ridere le finestre. Irritato da questagrossa ilaritàSantacon atto d'uomo offeso si alzòuscí di sala e senzasalutare nessuno abbandonò il circoloscese a precipizio le scale e corse untratto verso il palazzo di giustiziacolla intenzione di parlare al cavaliereMartellinich'egli conosceva benissimoper essersi trovato piú volte con luial club degli Scacchidove l'egregio magistrato faceva testo di lingua.

Strada facendogli parve che i monelli vendessero piúgiornali del solito. Molti cocchieri delle vetture pubbliche avevano in mano unfoglio e leggevano a parer suo la storia del prete e del cacciatore.

E mentre pensava anche lui a questo strano cacciatoregliparve improvvisamente di ravvisarlo al di là d'una lucida vetrina dipasticciere. Si arrestò come se un abisso si fosse improvvisamente apertoinnanzi ai suoi piedi; e stette un momento a guardare l'immagine sua con unocchio atterrito.

Per quanto egli avesse mutato di pannila faccia del famosocacciatore doveva essere rimasta impressa nella mente di Giorgio della Falda edegli altri contadinispecialmente l'occhio lucente e vivo e la barba intera diun nero di carbone. Se ne ricordava fin il conte Stagni! Se il cavaliereMartellini lo avesse messo di fronte all'accusatoera impossibile che questinon avesse a riconoscerlo. Se anche il barone avesse mentito fino allospergiuroera già troppoal punto in cui si era arrivatinon che ilsospettoil suscitare l'ombra di un mezzo sospetto.

Come fare? Egli non poteva tór via l'occhio da quella figuradi là oltre i vetri che si accompagnava con lui. Il caso o un segreto istintolo condusse davanti alla bottega del Granella.

L'occasione favorí anche questa volta i progetti del nobilesportman. Il figurino della moda venuto d'Inghilterra portava quest'anno come ilnon plus ultra dell'eleganza in materia di corse e di sportuna giubba rossastretta alla vitastivali alla scudieracalzoni chiarie barba tagliata alla«derby»con due brevi basette o spazzolette sulle guancierasato e pulito ilresto della faccia.

Granellache era sempre al corrente dell'ultima parola dellascienzanon ebbe bisogno di consigli per rendere il barone di Santafusca ilpiú inglese dei napoletani.

- Anche il principe d'Ottaiano ha sacrificato per le corse didomani la sua bella barba alla «palmerston». È in queste cose che si conosceil vero sportman. Chi non sa sacrificare qualche cosa all'eleganza e alla modanon sa sacrificare nulla alla bellezza e all'amore. Voilàmonsieur»... se ilbarone di Santafusca riporterà domani piú d'un trionfoil merito sarà unpoco del suo «herdresser».

Il barone rise a sentir Granella parlare inglese.Contemplandosi nello specchiosi rallegrò in cuor suo di essere ringiovanitotanto. Il cacciatore era morto nelle mani del primo «herdresser» della città.Giorgio della Falda non avrebbe piú riconosciuto nell'elegante sportman ilnipote del curato di Santafusca.

Ciò cominciò a tranquillare un poco il suo cuoree volendointerrogare l'opinione pubblicacome l'altra voltafacendo cantare ilGranelladomandò con fare di noncuranzamentre si accomodava la cravattainnanzi allo specchio:

- Ebbenee questo prete?

- Quale?

- Quel dei ternol'hanno trovato?

- È una matassa imbrogliata e io credo che la signoragiustizia questa volta batta una strada falsa.

- Perché?

- Perché mentre crede di aver nelle mani il colpevolelascia al colpevole tutto il tempo di mettersi al sicuro.

- Cioè...

- Non per vantarmieccellenzama siccome ho l'onore diservire anche il cavaliere Martellini che ha in mano l'istruttoriacosí possosapere qualche cosa che i giornali non sono in grado di sapere.

- Oh! oh! - esclamò «u barone» che ritto davanti allospecchiodisfaceva per la seconda volta il nodo della sua cravatta.

- Ne discorriamo qualche volta insiemeio e il cavaliereche è un uomo finoalla mano... che sa il conto suonon nego: ma alle voltevede di piú una formica in cima a un palo che non un elefante.

- Ah! ah! ebbene? sentiamo...

- Il pretenon quel mortoil vivo avrebbe deposto: primoche egli non ha mandato mai nessun cacciatore alla Falda a riscattar cappelli;secondoche non ha parentie tanto meno nipoti che facciano il cacciatore;terzoche il cappello mandato da lui a Filippino era nuovomentre il suo eravecchio e usatoe che per conseguenza il povero diavolo arrestato sottol'accusa di aver ammazzato «u prevete» non avrebbe nemmeno toccato il suocappello. E intantoun po' per le lungagginiun po' per le ciarle deigiornalistiil cacciatore piglia il largoe addio suonatori.

- Tu credi proprio che... il cacciatore sia il reo...

- Non ho piú un dubbiocome non dubito che vostraeccellenza sarà dimani il piú elegante cavaliere di Napoli. Ci son troppitestimoni che l'hanno veduto. Anche un cantoniere della ferrovia asserisce cheè passato il giorno taleora taleche ha preso il treno di Napoliche avevaun carniere al colloe si sa d'altra parte che nel carniere c'era il cappellodel prete... Dunque costui aveva tutto l'interesse a far scomparire il cappellodel preteche un casocioè la vincita del famoso ternoaveva reso a untratto celebre in tutto il mondo. Il diavolo aiutasíma fino a un certopunto i suoi figliuoli...

- Bastastaremo a vedere - disse «u barone» che cominciavaa soffrire di quelle ciarle. - Prevedo che sarò seccato anch'io per conto diSantafusca. Non vorrei che fossi chiamato dimani.

- Non conosce per caso il cavaliere Martellini?

- Molto bene. Ci troviamo qualche volta al club degliScacchi.

- Potrebbe scrivergli un biglietto.

- Tu mi suggerisci una buona idea: sei degno di farel'avvocato.

- Sento che sarei riuscito. Vuol fuoco?

Granella offrí un fiammifero e lo tenne alto finché ilbarone ebbe acceso il sigaro. Poi corse a ritirare la tendae facendoschioccare una salvietta come un frustinoesclamò nel suo inglese di Napoli:

- «Got bai».

- Una buona idea veramente! - tornò a dire tra sé il baroneche ripassando davanti alle botteghesi consolava di non rivedere più ilcacciatore di prima.

La speranza tornava a rinascere per la terza volta e lesensazioni paurose tornavano a cedere il posto alle riflessioni chiare epositive. Anche questa volta si era impaurito per un'ombra.

Se il vero colpevole era il cacciatoreche cosa dovevatemere ora il barone di Santafusca? L'opinione di Granella era l'opinioneuniversalee quella forse del signor giudice istruttore. 1 testimoniconcordavano nell'aggravare la responsabilità di questo povero cacciatorecheoggi non aveva proprio nulla a che fare col piú elegante cavaliere di Napoli.

Tratto dall'evidenza di queste ragionie in certi momenticredendo forse egli stesso al mitico cacciatore piú che non fosse necessarioentrò in un caffèe sopra un suo biglietto di visita - con tanto di corona -scrisse al cavaliere Martellini queste righe:

 

«Caro e amabile cavaliere

«Leggo ora che nel processo del cappello è implicataSantafusca. Il segretario comunale mi ha scritto che fu violata la santità delmio domicilio. Preparo forti protestema perdonerò facilmente al cavaliereMartellinise non mi citerà tra i testimoni il giorno delle corse. Se poi mirisparmia del tutto l'incomodopiglierò volentieri il treno di Parigi. Peròsempre pronto all'obbedienza - come don Abbondio».

 

Il cavaliere Martelliniche conosceva ciò che si chiama ilvivere del mondo e che nelle buone grazie dei signori nuotava come una tinca inun'acqua chiarasi affrettò a rispondere come segue:

 

«Eccellenza

«Se fu violato il santofaremo sacrificii di propiziazione.In quanto al sentir V. S. Illustrissimaspero che non sarà necessarioperchéil processo manca di fondamento e si finirà con un non farsi luogo. Ad ognimodoho troppo desiderio di assistere anch'io alle corse per fare a me stessoil tiro di seder pro tribunali e di citar leimentre Andreina batteràdi due teste quel povero Lazio. Ogni buon napoletano deve credere oggi in Andreina...- For ever!».

 

- Benebene! - disse il baroneche non si curò nemmeno dileggere i giornali della sera.

Infine si meravigliò egli stesso di sentirsi cosí sicuro esollevato.

Un gran peso cadeva dalla sua coscienza sulla coscienza di unaltro luiuscito da luiombra pietosa che s'intrometteva tra la vittima e ilsuo assassino. In questo buon cacciatore bisognava credere quasi perriconoscenza.

E a volte ci credeva proprio sinceramentecome se la suapersonalità si sdoppiassecome il fanciulletto crede all'esistenza realedell'ombra che giuoca con lui. Era tratto a parlarne volentierinella speranzacheparlandonefosse un mezzo di dare all'ombra una maggiore e realeconsistenza.

Cosí credeva di aiutare l'opinione pubblica ad allontanarsidal vero e a concentrare sopra un essere impalpabile tutta la responsabilitàdella nefanda azione.

Questa fu la sua grande preoccupazione per tutto il giornoche precedette le corse.

Dovunque si trovasseo al club o al caffèo sul «turf»dovunque insomma si poteva tirare il discorso sul processo del giornoegliesponeva le sue idee con un calore e una chiarezza singolarecon una insistenzaquasi noiosafinché l'Usilli gli disse una volta:

- O sentimi hai quasi rotta la testa con questo cappello!

Essendo associato con Usillidi Spiano e molti altricavalieri una partita comunein cui molte scommesse erano in giuocodovettecorrere tutta la sera e tutta la mattinaora a cavalloora in carrozzaoradal sarto che non aveva ancora pronta la giubba rossaora alla cavallerizzaora presso alcune signore della aristocraziaper gli opportuni accordi.

In tutto questo lieto affaccendamento egli ritrovava l'animoil briola grazial'eleganza dei suoi trent'anni. Il cavaliere Martellini nonavrebbe mai immaginato il bene che aveva fatto a un'anima dei purgatorio. Fin laprincipessa di Palàndesche non lo vedeva da un pezzotrovò Santafuscaringiovanito di dieci anni.

Era ancora una bellissima donna questa famosa principessaincui si fondevano due vecchie schiatte italo-spagnuole. Rimasta vedova ancorgiovanenon andava ancora oltre i trent'annie la sua bellezza rifioriva ditutto il pieno sviluppo della seconda etàche nelle vaghe donne è di solitouna edizione rivedutaaumentata e migliorata. La principessa si lasciava far lacorte volentieri (non aveva altro da fare) e con lei trionfava facilmentel'impresa dell'«audaces fortuna juvat». Il barone - l'abbiam visto -non mancava d'iniziativae seppe tanto bene presentarsi e ne disse in pochiminuti di cosí curioseche la principessa lo volle per suo cavaliere.

- Verrò a prendervi colla carrozzaprincipessa.

- E perché non a cavallo?

- Se vi piaceandiamo pure a cavallofacendo suonare glisperoni.

- Voi sarete il mio cavalier terribile.

- Perché terribileprincipessa?

- Cosíperché avete una faccia da brigante che mi piace.

Poi la principessaridendocon tutta la sua bella vocesoggiunse: - È vero che un vostro antenato morí appiccato?

- Brigante síprincipessaappiccato no. I Santafusca nonsi lasciano appiccare. A dimani.

- Venite presto.

Il barone partí quasi innamorato della bella vedovaequesto pensiero nuovo e ridente s'intrecciò come un filo d'oro alla tramalacera ed oscura della sua povera vita.

Il giorno doposul mezzodínel suo magnifico costume dipanno rossocon una lunga penna di gallo silvestre in un berretto di velluto«u barone»a fianco della bellissima amazzoneusciva a cavallo verso ilcampo delle corse.

 

 

V

 

ALLE CORSE

 

LA GIORNATA non avrebbe potuto essere piú splendida. Grandefu il concorso delle carrozzedei «foor-in-hand»dei «tilbury»dei«coupés»dei «breaks»delle belle signoree forte il numero dellescommesse.

I «bookmakers» fecero splendidi affarie piú diduecentomila lire girarono in poche ore sul campo del «turf».

«Andreina» battè d'una lunghezza «Lazio»il grandefavorito del futuro «derby»e diede la vittoria alle scuderie napoletanedicui era presidente il marchese di Spiano.

Indescrivibile fu l'entusiasmo in tutti quei bravi signoriegli applausile carezzei baci accolsero la bella cavallaa cui le signoregettarono i loro mazzetti di fiori.

Il popolo accorsose non si commosse per un trionfo che loriguardava poconon tralasciò tuttavia dal gridare; e i rivenditori di acquecedrate e freschedi arancidi cocomeri e di ventagli giapponesi feceroanch'essi dei grassi affari.

Quando cominciò il ritornonessuna penna potrebbe dareun'idea del movimentodel briodel bisbigliodel visibilio dei coloridelcorreredel gridaredell'allegria sfolgorante in quell'aria piena di sole e diazzurro.

Era un chiamarsiun salutarsi dall'alto delle carrozzeunrincorrersi di cavalli e di pedoniuna miscela di livreedi piumedi giubberosse e bigiedi ventaglidi parasoli scarlattidi strascichidi velisvolazzanti; uno scintillamento insomma di brillanti e di occhi di fate.

«U barone»rinnovato e trasformatoaveva fatto una cortespietata alla principessache intendeva giocare di capriccio e miravacoll'accettare l'adorazione di Santafuscaa vendicarsi di un segretotradimento.

Santafusca prese i sorrisi della bella donna nel migliorsenso. Era sempre stato il suo sistema di non cercare mai alle donne piú diquanto vogliono dare: e in fondo s'era sempre trovato contentissimo.

L'ariala luceil calore delle scommessele ansie dellecorsetanta gentetante belle signore richiamarono tutte le forze vivedell'uomo nato per godere la vita in tutta la sua ampiezzasenza reticenze esenza penitenze.

- Eccellenzaeccellenza... vede che non l'abbiamodisturbata.

Cosí gridò la voce del cavaliere Martelliniche dall'altodi un «break» signorile cercava di conciliare in mezzo a un paniere di bellesignore la rigida severità del giudicecoll'amabile cortesia dell'uomo dimondo. Questo si chiama scrivere la propria vita un po' coll'inchiostroun po'col rosolio; e pochi uomini erano in quest'arte più sapienti del cavaliere.

- Graziegrazie!... - gli gridò dietro il barone agitandola mano in aria.

- Non mi ringrazi troppoperché sono capace di farloarrestare... colla bella complice - esclamò il cavaliere parlando nelle manicome dentro una trombetta.

- Faccia pure; non mi opporrò alla forca...

Grandi risa risuonarono sull'alto del «break»chescomparve in mezzo a un nuvolone di polvere.

- Perché vuole arrestarvibarone? - chiese la bellaamazzone che cavalcava al suo fianco.

- È ancora la storia di quel processo.

- È proprio vero che fu assassinato un prete a Santafusca?Me ne parlava ieri sera il conte Villi. Che brutta storia! fu trovatol'assassino?

- Ci sono dei sospetti... - rispose il barone guardando inaria.

- Qui non è il caso di dire «cherchez la femme»

- Nopiuttosto «cherchez le chasseur».

- Siete proprio persuaso che il colpevole sia questo mitico«Freischutz»?

- Sícome sono persuaso che vi amo.

- Ci avete pensato tre giorni per dirmelo.

- È un amore con aggravante di premeditazione...

La bella principessa italo-spagnuola sorrise adorabilmente.«U barone» fe' sentire gli sproni al cavalloe tutti e dueche erano uscitialquanto dalla follasi slanciarono a un trotto vivospronandosi a vicendacogli sguardi.

Un vivo e gagliardo fiotto di sangue nuovo rianimò un uomoche stava per invecchiare nel suoi pensieri. Il soleun buon cavallo e l'amoresono tali beniche la vita non può godere di piú.

La vita dell'uomo liberopadrone della sua salute e del suodenaroe il paradiso terrestre perduto dal vecchio Adamo. Che importaa chipossiede Eva e il paradiso terrestreogni altro paradiso fabbricato sullenuvole? «U barone» lasciava volentieri questo paradiso sopra le tegole aipoveri di spirito.

Una chiara e vigorosa coscienza della sua forza lo fecepronto a sostenere l'ultima battaglia. Accompagnò a casa la stupenda amazzoneche nel dirgli «a rivederci» gli lasciò nel palmo della mano una grandepromessae raggiunse di Spiano e l'Usilli alle scuderie.

- Dunque una grande vittoriaSanta... - gridarono gli amici.

- Se saranno denarili piglieremo - rispose il barone.

La fortuna seguitava ad aiutarlo. Tra scommesse grosse epiccole aveva vinto ancora venti o trentamila lire. Quest'abbondanza di denaronon faceva ormai piú effetto ad un uomo che per quindicimila lire aveva dovutoammazzare un prete. Sottentrava quasi in lui la convinzione che non gli potevamancar piúche ne avrebbe trovatodappertuttosolamente a grattare la terra.Vinceva e spendeva senza contarecome se il tesoro rinchiuso nella suascrivania avesse la virtú di rinnovare sé stesso e di moltiplicarsi.

Uscendo dalle scuderie cadde nelle braccia di Cecereilgrosso cronista-impressionista dell'Omnibusun giornale che contaormai piú di cinquant'annie che Cecere col suo stile a scattiad asterischia virgoletteaveva da qualche tempo ringiovanito.

- Barone - gridò Cecere- voi venite propriose non èirriverenzacome il cacio sui maccheroni.

- O bravo Cecerevolevo scrivervi uno di questi giorni -disse il barone.

- E io volevo venire da voieccellenza. Non si stampa duevolte il nome di un uomo senza sentirsi un poco suo parente. È laconsanguineità dell'inchiostro...

Ceceredalla faccia molle di fratacchione sbarbatorisemostrando due file di denti grossi e bianchi come quelli di un ruminante.

- E chi ci vieta di pranzare insieme?

- Qual dei Numi? - declamò Cecereche si impadroní moltovolentieri del braccio d'un uomo che aveva vinto alle corse. - Ho bisogno dimolte indicazioni sulla gran giornata d'oggied è sempre una fortuna per ungiornalista quando può dire di aver attinto a una fonte «ineccepibile.» Maciò che m'importa di piúbaroneè di ottenere da voi il permesso divisitare Santafusca.

- Oibò! - disse senza pensare «u barone».

- A tanto intercessor nulla si niega!... Io devo insistere suquesta mia istanzaperché il mio direttore si è già meravigliato due volteche io non sia ancora andato sul luogo del misfatto. Se egli si meraviglia unaterza voltanon gli resterà piú modo di meravigliarsi... e allora come si fa?

- E chi vi dicesignori mieiche vi sia stato un misfatto?- esclamò il barone mentre entrava con Cecere nella sala del caffèdell'Europa.

- Regola generaleper un giornalistaun misfatto esistesempree specialmente quando si accorge che non esiste. Questo processo delprete ha troppo interessato i nostri buoni lettori perché si possa oradisgustarli con un non farsi luogo a procedere. Noi abbiamo bisogno digalvanizzare il nostro mortodi farlo vivere oggi per ammazzarlo dimaniseppellirlo dopoesumando piú tardie ciò almeno fino alle prossime elezionipolitichecioè fino a nuovi assassini politici. E perché non faremo tuttociò con un mortose lo facciamo sempre coi vivi?

Cecere tornò a ridere e a mostrare i suoi bellissimi dentidi buementre si ravvolgeva nel tovagliolo e cominciava la pulitura dei piattie delle posate che il cameriere gli metteva davanti.

- Se sapeste quante volte vi ho mandato al diavolo per questovostro processo!

- Chi manda al diavolo un giornalistalo manda a casa di suononno. Il divino poeta ha detto che il diavolo è il padre della menzognae noisiamo i figli della figlia... capite.

- Ebbenesentiamo- esclamò il barone che si sentiva invena di parlare - quali sono le indicazioni che vi abbisognano?

- Posso dire almeno d'avervi intervistato?

- Non sono il principe di Bismarck.

- Per un cronista oggi voi siete qualche cosa di piúe voinon potete indovinare il piacere che io farò ai miei lettori quando potròscrivereper esempioqueste parole: «Abbiamo ieri parlato con sua eccellenzail barone di Santafuscauno dei piú simpatici giovani gentiluomini».

- Giovaneahimè!...

- E non si è giovani quando si ha la fortuna di accompagnarela bella principessa di Palàndes?

- E stamperete anche questo?

- Adesso no.

- Siete animali.

- Non per nulla un uomo si fa tagliare la barba alla«derby» e si fa morbido il mento.

- Che cosa volete dire? - chiese il barone con voce velata.

- Che voi siete giovaneinnamorato e fortunato. Lasciatefare. Non mancherò di far nota questa circostanza alle nostre gentili lettrici.Io non vi darò che trent'anni. Dunque riassumendo- come dice il professorSpaventa - voi avete una villa a Santafusca.

- Sí.

- Stile?

- Seicentomezzo barocco...

- Bene quel mezzo barocco; lo sfondo è piú scenografico.Villa splendidas'intende...

- Al contrariorovinata... cadente.

- Stupendo: ciò è romantico... e farà bell'effetto. E ilcappello fu trovato nella villa?

- Io non so nulla... Siete voi che lo avete detto.

- Ciò risulta dal processo. Quale opinione avete voi suquesto delitto del prete?

- Cioè? - chiese il baroneversando del vino.

- Credete che il prete sia stato ucciso nella villa?

- Io? - e il barone portò il bicchiere alle labbra e lovuotò. - Che ne posso sapere io? Siete voi che avete ucciso questo prete. (Eintanto faceva di tutto per ridere). Io ho dato un'occhiata alle vostre ciarlequando mi hanno detto che era implicato il mio nomee mi pare di aver capitoche c'è di mezzo un cacciatoreche avrebbe trovato il cappello del pretechesarebbe stato veduto prima a Santafuscapoi alla Faldaall'osteria del«Vesuvio»; avrebbe dato ad intendere d'essere il nipote del prete.... unpasticcio che il peggio non mangeremo quest'oggise vi piacciono...

- Ad ogni modose voi foste chiamato in tribunale a dire lavostra opinionetrovereste probabile questa versione che accusa il misteriosocacciatore...

- Se c'è un delitto...

- Se c'è la lepreci dev'essere anche il cacciatorevoidite.

Il barone si sforzò ancora di riderema non poté chetossire. Versò ancora del vino. Lo tracannò in frettae volendo ribadire unaopinioneche nel peggior dei casi avrebbe aiutato a salvarlocontinuò:

- Non dico che il cacciatore abbia ucciso il prete piuttostoa Santafusca che altrove. Può essere che siano molti i colpevoliche l'abbianoaffogato in mare dopo avergli rubati i denarie che uno di lorocacciatore omenoabbia gettato il famoso cappello al di sopra del muro di cinta del miogiardinocinqueseidieci miglia lontano dal luogo del delitto per deviare letraccie della giustizia.

- Può essere cosí... È alto il muro di cinta?

II barone non rispose. I suoi occhi erano fissi alla portada dove vedevasi il banco dell'albergatore.

- È alto?

- Che cosa?- chiese il barone sempre fisso a quella porta.

Cecere si voltò e vide che due carabinieri stavano mostrandoun foglio al padronechiedendogli delle spiegazioni.

Il dialogo fu interrotto dal cameriere.

- Che cosa desiderano ancora?

- È sua eccellenza che comanda in questi feudi... - disseCecere.

- Per me non so... dite voi... Mi sento la testa pesante ebalorda. C'era troppo sole laggiú.

Il barone si fregò la testa colla mano come se volessecancellare le rughe della fronte.

- Poiché abbiamo parlato di cacciatoriproviamo un polloalla cacciatora - disse Cecere.

I due carabinieri scomparvero e il padrone tornò al suoposto.

Ceceretutto occupato a consumare il pranzo in salsa gratiscredette sinceramente che il barone avesse preso troppo solee gli disse:

- Un buon rimedio è un sonnellino... Del restoeccellenzaci perdete poco a non aver appetito. Avete mai visto un pollo piú apocalitticodi questo? Mi pare di aver sul piatto lo scheletro dei nostro prete... Questisignori si burlano della stampa e dello sportbisognerà ch'io dica anchequesto nell'Omnibus.

Cecere scrisse su un taccuino alcune parole: cappello...cacciatore... muro alto... prete e pollo magro - e dopo un gran fiume di paroleche «u barone» non ascoltò colla scusa del suo mal di testase ne andòcontento della sua giornata.

 

Il barone rimase solocolla testa appoggiata alla mano e gliocchi in apparenza fissi sulla carcassa che Cecere aveva lasciata sul piatto. Sisentiva veramente male. Quegli stupidi discorsil'allegria fatua e volgare diCecerela vista di quei due gendarmiche parevano venuti per cercare qualcunoavevano rimosso il sangue guasto delle sue veneed egli ripiombava ora piúgravemente nella dolorosa contemplazione del suo pensiero.

Da venti giorni menava una vita ladradisperatapiena discosse e di spaventidi speranzedi sforzi erculei per sorreggere l'edificioartificiale ch'egli aveva edificato sul suo delitto.

Aveva perdute molte notti al giuoconell'orgiae per moltegiornate aveva cercato la forza e l'oblio al chiassoalle stalleai cavalliai liquorial vecchio Medoc. Oggidopo una giornata di gran solesi sentivaveramente la testa riarsa e incapace di connettere due buone idee. Era unacondizione pericolosa per un uomo che aveva bisogno di ragionar molto bene e difar ragionar gli altri a suo modo. Anche il cuorequel benedetto cuore giàmalatosi faceva sentire piú del solito...

E intanto non aveva nemmeno fame. Se bevevalo faceva piústordirsi che per piacere. Egli non aveva dato ancora quella tale scossa fortealla vita che doveva far cadere tutte le foglie mortee sentiva che non sarebbemai uscito dai suoi pensierifinché non fosse terminato quel maledettoprocesso.

Per fortuna le testimonianze erano tutte concordi perdimostrare l'innocenza di Giorgio della Falda. Ma se per un errore giudiziarioil castigo fosse caduto sopra un innocenteavrebbe avuto egli il coraggio diaggiungere questo delitto al primo?

Per quanto un uomo valga una lucertolagli sarebbe ripugnatodi far soffrire un uomo vivo. Si può non aver paura degli spettrima ci sonopensieri che fanno piú paura degli spettri.

Pensareecco il castigo!

Egli aveva sperato troppo in una scienza: ed era la scienzache aiutava a raffinare la sua coscienza.

Quel caro dottor Panterre forse era uno stupido anche lui.Solo le belve divorano senza rimorso; e pace egli non avrebbe trovata maimailo sentivase non a patto di abbrutirsi a poco a poco nell'orgia e nel fango.

La bella principessa gli aveva detto «a rivederci»; ma eglinon ci sarebbe andato. Quella graziosissima creaturaavvolta in una nube diprofumi orientalidagli occhi vellutati e pensosidalla voce piena di notemusicalinon avrebbe fatto che ingentilirlo e farlo soffrire di piú. Era giàtroppo Marinella colla sua giovialità incosciente di bella bestiolina.

Il barone di Santafusca non avrebbe mai potuto conciliare ilsuo cuore pieno di spaventi colla sua ragione piena di principii... Ecco laterribile battaglia che disertava il piccolo campo della sua vita.

Questi pensieri passavano in un'ombra l'un dopo l'altro comeuna nera processionementre col capo appoggiato alla manogli occhi socchiusisentiva bollire il suo vecchio Medoc nella testa già cotta dal sole.

Era una brutta vita...

Perché non si ammazzava?

Questa era una dimanda che non si era mai fatto. Se un uomoval l'altroperché non aveva fin da principio accoppato sé in luogo delprete? O che forse egli aveva paura del retroscena?

- Oh! i grandi imbecilli che siamo - mormorò a mezza voceesi mosse per uscire.

 

Il giorno dopo l'Omnibus portava il brillantissimoarticolo di Cecere intitolato: «Tre giorni a Santafusca».

Il cronista descriveva il suo viaggio attraverso a un paeseincantatopopolato di case e d'uliveti. Poi seguiva la descrizione d'una villastile barocco e un cenno storico sulla famiglia dei Santafuscache Cecere avevacopiato dalle «Famiglie notabili».

«Sua eccellenza il barone Coriolano ci venne incontro collasua solita amabilità (cosí continuava il favolista) e ci strinse cordialmentela mano. Bell'uomo il barone e ha per i giornalisti una speciale simpatia.Aggiungiamo ch'egli è uno dei piú eleganti e arditi nostri gentiluominie sele belle gli danno piú di trent'anniciò non vuol dire che ne abbia quaranta.

«Sua eccellenza (che tra parentesi è molto seccato delchiasso che si fa intorno al suo nome) mi ha fatto vedere il luogo dovesecondoquel che dice la gentesarebbe stato trovato il famoso cappello. Anch'egli èdella nostra opinione che il prete possa essere stato ucciso altrovee cheperdeviare le traccie della giustiziail cacciatore abbia gettato il cappello aldi sopra del muro di cinta. Abbiamo voluto misurare il muro: è alto due metri equarantasette».

E dopo molte altre particolarità di questo valorecheCecere aveva pescato nel calamaiol'articolo finiva col motto:

«Cherchez le chasseur».

 

Due giorni dopo questi fattiun bigliettino graziosissimodel cavaliere Martellini pregava sua eccellenza il barone di Santafusca a uncolloquio particolare nel suo gabinetto... ma senza la principessa.

«Mi dispiace - soggiungeva - darle tanto disturbo per unafaccenda che andrà a finire in nulla: e può essere che prete Cirillouscendoa un tratto dal suo nascondigliorisparmi a V. S. ILL. anche questa seccatura.

«Ma intantoper esaurire la praticacome diciamo noibisogna che senta anche il padrone di casa. Non pensi di presentarsi al giudicema all'amico. Resteremo in famiglia: anzi sarà un'occasione buona per andarepoi a colazione insieme. Sento parlare di certe ostriche alla mayonnaisespecialità della «Colomba d'oro» che sono una squisitezza.

«La seduta è alle 10».

 

«U barone» lesserilesseascoltò quello che gli dicevail cuore. Gli parve di essere tranquillo abbastanza. Il tono con cui gliscriveva l'amabile cavaliere era tale da togliere qualunque sospetto.

Aveva ancora una notte avanti a sé per riassumere con tuttaper tutta comodità le risultanze del processoi fatti dell'istruttoriaestudiare a memoria la parte che doveva rappresentare in questo dramma.

Non era difficile formulare la sua posizione:

Egli non sapeva nulla: egli non aveva veduto mai preteCirillo. Egli sapeva soltanto che alla villa era stato trovato un cappello... epoiché si parlava di un cacciatoresupponeva anche lui chese c'era stato undelitto questo cacciatore... irreperibile... poteva averci avuta la sua parte.Del resto non sapeva nulla. Questa parola nulla era tutta la sua forza.

Dopo aver ripetuto tre o quattro volte queste ideefondamentali come un ragazzo che non vuol far cattiva figura innanzi agliesaminatoricercò di non pensarci piú; tuttavia non poté chiudere occhioquasi tutta la notte.

Verso la mattina soltantocolle ossa rotte dalla vegliasiaddormentò e fece dei sogni incongruentisotto i qualicome un carbone accesoposto sul cuoreardeva sempre il suo dolore latenteinsistentecruccioso. Insogno vide una volta anche un suo fratellinomorto di soli dieci mesich'egliaveva portato in braccio da ragazzo e gli parve ancora di correre col bimbo inispalla in un campo fitto di papaveri semplici.

Oh se egli avesse potuto togliere dodici ore dalla sua vita!

Avrebbe date dodici oncie del suo sangue per quelle maledettedodici ore! Per quanto la fatalità gli gridasse: Non aver paura! son io che tiaiuto...temeva che vi fosse qualche cosa di piú forte ancora della fatalitàper cui era inutile ogni difesa. Quel maledetto prete si muoveva ancora nellasua cisterna.

- Quanta vita hanno indosso i morti... disse una volta sedutosul suo letto cogli occhi fissi nel buio.

Il tempo che gli era sembrato sempre troppo brevepassavaora a goccia a goccia. Guardando indietrogli pareva di aver vissutocinquant'anni dal giorno che prete Cirillo era venuto a trovarlo alla villa. Enon era passato un mese.

 

VI

 

UN ALTRO GRANDE COLPEVOLE

 

Non era nemmeno quieto e sollevato il cuore del povero donAntonioil giorno che ritornò a Santafusca in compagnia di Martino dopo untriste viaggio a Napoli e una triste giornata passata nei corridoi del palazzodi giustizia.

Era stato chiamato all'udienza con un ordine scritto ericapitato dal maresciallo dei carabinieried era discesocollo spavento incuorealla presenza del giudice istruttoreche lo tormentò un'ora colle piùinsistenti inquisizioni.

E pazienza l'inquisizione! pazienza ancora la vista di tantisbirridi tanti carcerieri che passavano facendo tintinnare il mazzo dellechiavi; e la vista di tante porte di ferrodi tante sbarre che chiudevano deiciechi sotterranei! Pazienza tuttoma quale scoperta di intrighidi bugieditradimentidi assassini... Ed egli aveva portato sul capoper un sensod'avariziail corpo del delitto; egli aveva posto sulla sacra tonsura il segnoesecrando del delitto...!

Questo pensiero bastava a farlo rabbrividire sotto lo stessoraggio di un bel sole di maggio che scaldava i poggi e ardeva le messi.

Martinoche camminava innanzi per la strada sassosatrattotratto si fermava ad aspettare il suo piovanoche a stento buttava innanzi legambecome se le avesse veramente incatenate.

Eran quarant'anni e piú ch'egli benediceva quei campi ilgiorno delle sante rogazioni.

Quasi tutta la popolazione era passata nelle sue manie ilcimitero era pieno di gente che egli aveva inviata sulla strada del cielo.

In mezzo alla sua semplicità e povertà il vecchio pastoreaveva compiuto il suo lungo viaggio serenamentepadre amoroso de' suoi figliamico dei derelittisostegno dei debolicoll'animo puro da ogni cattivaazioneimmacolatolindo da ogni sozzura.

Perché Dio aveva permesso che presso al tramonto la suapiccola terra fosse funestata da un orribile sacrilegioe la sua casa insozzatadalla lordura di un delitto? Egli che aveva sempre tenute le mani monde da ognipeccatoaveva colle mani consacrate al mistero divino toccato il pegno delsanguee si era rallegrato di possederloe aveva dormito all'ombra funestad'un nero spettroche ancora gridava giustizia e vendetta.

Per quanto poco chiare fossero finora le risultanze delprocessotutto faceva pensare che veramente si passeggiava sulle orme sanguignedi un delitto. Le testimonianze di Filippinodi don Cicciodi GennariellodiGiorgiodei contadini della Falda concordavano a provare che un ignotovestitoda cacciatoreaveva avuto mano in questa misteriosa impresa.

Dopo tre o quattro giorni di rumoreprete Cirillo avrebbedovuto farsi vivose era vivo. In una barchetta da pescatorepresso alcuniscogliera stata trovata la sacca di un cacciatoreche Giorgio riconobbesubito per quella in cui aveva posto il cappello del prete. Ma le tracciefinivano qui e anche il cavaliere Martellini era imbarazzato a procederemancandogli da ogni parte il terreno.

D'altro lato molti credevano che prete Cirillo fosse andatoin Levante.

- Fatevi coraggiodon Antonioche se anche il prete èmortonon lo abbiamo ammazzato noi.

Cosí diceva Martinosentendo che il suo padrone mandava deisospiri grossi.

- Io son persuaso che è tutta una lanterna magicae che igiudici e i carabinieri hanno pigliato un granchio per un prete. Un cappello nonè un mortoe se un colpo di vento portasse al diavolo il miociò non vuoldire che io sia morto.

- Fosse almeno quello che voi diteMartino. Ma se sapestequale orribile sospetto mi è nato da poche ore nell'animopensando a tuttequeste strane combinazioni!...

- Che volete dire ora?

- Guardate là...

- Dove?

Don Antonio segnò col dito la villa dei Santafuscachedormiva nel suo chiuso raccoglimento nell'ombra d'una vasta nube.

- Ebbeneche pensate?

- Penso... nulla; andiamo a casa. Ho la febbreho bisogno dimettermi a letto.

- Non crederete che il prete l'abbia ucciso Salvatore.

- Oh povero scemo! non aveva la forza di uccidere una mosca!Pace a luie viva lui che è morto. Salvatore non ha fatto che raccogliere ilcappello dove l'ha trovatoe l'ha portato in casa coll'intenzione diparlarmene: ma non poté piú aprir la bocca da quel giorno.

- Qual giorno?

- Io non lo sonon sonon fatemi piú parlare.

E i due afflitti seguitarono ancora un pezzo di strada insilenzio. Poi tutto a un tratto don Antonioche non poteva fuggire alle suemeditazioniusciva fuori con questa domanda:

- Vi ricordate il giorno che abbiamo lavata la faccia aisanti dell'altare?

- Mi ricordo.

- Quando fu?

- Aspettateprima della domenica in Albiseprecisamente il giorno che ho trovato le candele rosicchiate dai topi. Non lavigilianon il venerdí. Eccoprecisamente il giorno quattro di aprileilprimo giorno che ho suonato a festa.

- Precisamente - disse il piovano aggrottando le ciglia.

E non disse piú nulla.

Ma egli pensava chementre era davanti alla canonicaerapassato Salvatore con una lettera in mano e aveva detto:

- È arrivato «u barone»!

II bambino di Menichella del Torchio diceva di aver veduto unprete avviarsi alla villa per il viale degli ulivi. Nessuno aveva veduto néprima né dopo il baronee nessuno pensò a luise non il giorno che tornòcon molta spavalderia a cavallo. Il barone era un'anima perdutabisognosounmiscredenteun materialistae molte leggende di paura uscivano da Santafusca.

Con questo sospetto fitto in cuore don Antonio entrò in casae si fece condurre nella sua stanzadove si chiuse a piangerea pregareasospirare.

Verso il tramonto lo colse una febbre di fuoco e fu posto inlettomentre egli andava ripetendo nei vaneggiamenti le piú strane cose delmondo.

Martino e qualche buon contadino rimasero a custodiadell'infermo; e intanto qualcuno andò in cerca del medico e delle medicine.

 

VII

 

NON SI FA LUOGO A PROCEDERE

 

L'egregio cavaliere Martellini era veramente imbarazzato atrovare il bandolo del suo processo. Dopo che le varie testimonianze e lacontraddizione stessa dei fatti avevano dimostrata l'innocenza di Giorgio dellaFalda e la esistenza di un secondo cappelloche veniva in certa qual guisa adescludere il primonon rimaneva che un'ombra irreperibilequella del famosocacciatoreche molti avevano vedutoè veroma che era sfumato in aria comeuno spirito.

Il bravo e solerte funzionario si trovava dunque in mano unprocesso ipoteticocon un morto non constatatoe un assassino«volatilizzato».

Un giorno disse ridendo anche a don Ciccio:

- Caro don Ciccioio lodo il vostro zeloma auguro che levostre specifiche e i denari dei vostri clienti sieno meno ideali dei vostriprocessi. Io tenterò ancora qualche ricercama non posso tenere in prigione unpoveraccio colpevole d'aver dato da bere a un cacciatore.

- Ma questo cacciatore esiste.

- Se esisteditemi dove si trovadi grazia.

- E prete Cirillo che non si è fatto piú vivo.

- Non bastabisogna dimostrare ch'egli è morto.

- E il cappello trovato nei dintorni di Santafusca con delleammaccaturecon traccie di calce e di mattoni?

- Cose da nulla. Il cappello fu trovato dal vecchioSalvatoreportato in casapreso da don Antoniomandato al cappellaio... Voivedete che pochi ragionamenti di avvocati vanno tanto diritti come questocappello.

- Quale interesse aveva il cacciatore a presentarsi a nome didon Antonio?...

- E dalli col cacciatore... Questa è l'araba fenice:

 

Che ci sia ciascun lo dice

Dove sia nessun lo sa.

 

Io direi di cercare prima il mortose è morto: e poicercheremo il vivose è necessario. Per un eccesso di zelo sentirò domattinasua eccellenza il barone di Santafuscacol quale ho già parlato alle corseeche mi ha promesso qualche schiarimento di luogoe qualche notizia intorno aSalvatore suo castaldo. Ma è proprio per andare fino in fine. E quest'oggilascerò in libertà l'imputato e i testimoni.

A don Ciccio non parea vero che tutto il gran processo cosìstupendamente architettato dalla sua istruttoria in casa di Filippinodovessefinire come una bolla di sapone.

Secondo lui le cose erano state condotte pessimamentecolsolito sistema bislacco delle procedure nostrecon troppo intervento digiornalisticon troppo pettegolezzodando tempo al vero colpevole (ed eglisentiva che c'era un colpevole) di mettersi in salvo e di deludere le ricerchedella polizia.

Fu nella direzione dei Popolo Cattolico che eglisfogò la sua bile:

- Sempre la solita insipienza! e non vedono che se il delittoera probabile con un cappello in manoè doppiamente probabile ora che se nehanno due. E quella sacca di cuoio non grida vendetta al cielo? e non abbiamodue contadinitre muratoriun casellanteun oste che dicono d'aver veduto uncacciatore il giorno talel'ora tale? ebbene noquesti non sono segnalieloquentieperché si tratta di un povero pretenon si pensa nemmeno chevalga la pena di vedere se è vivo o morto... Ma se Dio mi dà vita e lenascriverò io un opuscolo sulle «Magagne della nostra procedura». Ci vuol altroche parlare di delinquenti natidi forza irresistibiledi lipemaniadi pazziaragionantedi scuola positiva e scuola classica; ciarle! bisogna che i bricconisiano pigliati e che lo spavento del malvagio sia conciliato colla sicurezzadell'innocente. Ecco quel che bisogna a questi liberaloni del codice penalepeiquali Romagnosise vivessenon sarebbe che un cretino ragionante.

Don Ciccio questa volta era piú ispido del suo cilindrobianco

 

VIII

 

IL CASTIGO

 

Fu solamente verso la mattina che il barone poté chiudere unpoco gli occhi; ma si svegliò prima delle sette. Per un istante non gli tornòalla mente la grande preoccupazione della nottefin quando un dolore fisso alcuore lo ricondusse a ríflettere sul suo male e si ricordò.

Alla luce del giorno la sua posizione gli parve ancora buonae senza pericoli. Non ci voleva che una fantasia vulcanica per vedere nelladolcissima citazione del cavaliere Martellini qualche cosa di piú di un invitoad assaggiare delle ostriche alla «mayonnaise».

- Bell'originale costui!... - disse ridendoquando ebberiletta ancora una volta la lettera del cavaliere. - Se in vece mia potessimandargli la principessasono sicuro che gli farei perdere la testa. Intantostiamo attenti a non perderla noi...

Egli sentiva che tutta la sua vita era lànella testa. Dilà era venuta l'idea di ammazzare il pretedi là il principio che un uomovale una lucertolae che vivi e morti fermentano tutti dell'istesso lievito.

Di là finalmente erano venuti i consigli prudentiisuggerimentile induzionile insidie e i piani di guerra.

Di là dunque doveva venire anche la difesa.

Già se la sentiva piena e armata come una fortezza questapovera testae quando vi portò la manogli parve di toccare un forno ardente.

Povera testa! Da un mese e mezzocioè dal giorno che ilcanonico del Sacro Monte delle Orfanelle gli aveva mandato a chiedere lequindicimila lirenon aveva avuto piú un'ora di tregua e di riposo. Fin glistessi sonni profondiin cui cadeva di tanto in tantonon erano che laconseguenza di una snervante fatica cerebrale.

Pazienza! era l'ultimo giorno. Fra cinque ore egli avrebbepotuto partire senza dar sospetto a nessuno...

Partire! che gioia quando fosse stato quattrocento leghe aldi là del mare! Sarebbe andato in Ispagna. Perché no? la Spagna è la patriadei «toreros» e delle andaluse.

Era un poco anche la patria della olimpica principessa diPalàndes.

E mentre pensava queste cose per dar riposo e svago allatestafiní di vestirsi. Di rado la gente aveva veduto il barone di Santafuscapiú elegante: panciotto biancotuba lucidaguanti chiari e freschissimiuncolletto altoun bastoncino di ebano con pomo di platinoe un profumo d'ircossu tutta la persona.

Per ingannare il tempo scrisse un biglietto dolce e profumatoalla principessa per dirle che alle sei sarebbe andato a pranzo da lei.

«Devo farvi un lungo discorso - le scriveva- dal qualepuò dipendere tutta la sorte della mia vita futura».

Che discorso? non sapeva bene egli stesso: ma scriveva cosíper vivere in qualche maniera al di là di un'ora fastidiosa.

Credette di aver fatto molto tardie si accorsequando fuin istradach'erano appena le otto e mezzo. Aveva ancora un'ora e mezzo daaspettare.

Che doveva fare intanto? Entrò un momento da Compariellodove non c'era che il padronee si fermò con lui a discorrere di corse e dicose vaghee a rotolare sigarette colle dita.

- Credevo che ella fosse in villabarone- disseCompariello.

- Perché?

- Perché l'Omnibus parla di una visita che ilcronista ha fatto a vostra eccellenza nella sua magnìfica villa di Santafusca.

- Dov'è questo Omnibus? Sarà stato quell'animale diCecere. Eccoproprio lui! - soggiunse scorrendo coll'occhio il giornale. - Ecosí si scrive la storiarubando un pranzo a un uomo in buona fede!

- È per vendere un numero di piú. Si diceva che da questocappello dovesse uscire un gran processoma pare che vada a finire in nulla.

- Son chiamato anch'io stamattina. Non so che cosa diròperché coi preti non ho mai avuta troppo confidenza. Ma il cavaliere Martellinivuol farmi assaggiare certe ostriche...

- Io ho un Liparieccellenzain cui le ostriche nuotanocome se fossero vive.

Per quanto i discorsi succedessero ai discorsila lancettadell'orologio non segnava che le nove.

Dio buono! ancora un'ora. I giornali gli facevano nausea.Stette un minuto a guardare di fuoricol viso appoggiato ai vetri dellabottegala gente che andava e tornava lesta per gli affari suoiindifferenteinconsapevole.

Uscí e andò a casofinché il caso lo portò davanti allachiesa dell'Ospedaletto dove prete Cirillo aveva sentita l'ultima sua messa.

Qui la sua attenzione fu attirata da una comitiva di poveragentein parte pescatori e in parte operaiche portavano un bambino abattezzare: e siccome il barone non cercava che qualche occasione per ingannaril tempo e per lasciar riposare la testa in una esterna distrazionecosí silasciò tirar in chiesa dalla brigatellache era andata ingrossando di tutti iragazzini che formicolano nei chiassuoli.

Quanta gioia splendeva negli occhi di quella gente sporca!

Una giovinettaforse la sorella o la zietta del bambinoselo teneva sulle braccia e se lo stringeva al petto con un amore di madrementreil babbo del neonato - che pareva un merciaiuolo- andava girando e rigirandointorno a una colonnafacendo girar nelle mani il suo cappello. Era il suoprimo. maschioe il babbo non sapeva come manifestare altrimenti la suavergognosa contentezza.

Santafusca per la seconda volta invidiò un per uno tuttaquella canaglia di miserabiliche avevano trovata la maniera di esser felicienon avevano la radice di una idea in capo.

All'altar grande diceva messa un fratecon una pianeta rossafiammante. Un vecchio prete curvo e prostrato nei banchi tossiva forte coi capodentro le mani.

Da un pezzo «u barone» non vedeva una chiesae sentínelgirare gli occhi intorno e in altoche quelle sacre pareti avrebbero potuto unavolta circondarlo e difenderlo dal terribile mostro sociale che rumoreggiavanelle vie. V'erano anditi bui e segretiov'egli avrebbe fatto voto dirannicchiarsi tutta la vitapurché la sua testa (quella povera testa) avessepotuto cessare una volta di pensaredi rifletteredi argomentare.

Forse molte antiche sensazioni religiose della prima etàcoperte ma non soffocate dalle rovine della sua vita libertinasi agitavano aldi sottoe alcune immaginisprigionandosi dalle piú intime pieghe delsentimentotraversavano l'anima sua come un volo di colombe bianche sul campobrullo d'un deserto.

Nella sua vitacome dicemmoegli aveva anche pensato unavolta di farsi frate. A sedici annivergine ancora di anima e di corpoe pienodel dolore d'aver perduta la mamma suas'era lasciato condurre da un pio monacoa Montecassinodove stette tre giorni e tre notti a contemplare il cielo e lavalle dalla finestruola di una cella.

Che paceche riposo immenso in quella luminosasolitudine!... Se prima di sera egli avesse potuto giungere fin lassúechiesta l'ospitalità in nome di Dioavesse potuto nascondere il resto de' suoigiorni in una cella sotterraneada dove avesse potuto vedere un lembo delcielo... pur di non pensare piú!

In una nicchia sotto l'altare dell'Addolorataposti agiacere sopra un mucchio confuso di stinchi e di rottami umaniguardavano al difuori attraverso una piccola grata di ferro alcuni teschicolle occhiaie nere eprofondein una attitudine di eccitata curiosità.

Uno di quei teschi aveva un berretto da prete polveroso erosicchiato esso pure dal tempoda quel gran Tempo filosofo paziente.checome l'infinito spazioaggiusta molte cose. Nulla di strano- pensò ilbarone- che il caso portasse un giorno il teschio rotto di prete Cirillo adiscorrere col suo duro teschio di peccatore in fondo a una nicchia dell'ossariodi Santafusca. L'ossario è una cappelletta barocca che si trova sull'angolo didue viottole campestricolle finestre rivolte a ponentecioè verso il mare.Molte teste di vecchi contadini morti durante il contagio dei 1630 guardano daduecentocinquant'anni la marina azzurra e il Vesuvio che fuma. La pioggia lavadi tempo in tempo quelle fronti senza rugheche si squagliano lentamente neiloro elementitra cui domina il fosfato di calce.

«U barone» pensava a questo tempo della sua lentaconsunzione chimica coll'istessa dolcezza con cui poco fàscrivendo allaprincipessasognava un colloquio al di là d'ogni pauraun colloquio d'amoree chi sa? forse una notte d'amore.

Un gran bisbiglio e un fitto scalpiccio scosse il meschino dauna contemplazione e da una meditazione che lo teneva immobile e quasiincatenato ne' suoi giri. La gente si affollava verso la portafacendo cerchioa quel marmocchiettoche aveva avuta la malinconia di venire al mondoforseper desiderare anche lui un giorno di essere morto da duecent'anni e di stare aguardare l'aria e il nulla dalla grata di un ossario.

Sentí suonare delle ore.

Erano le dieci.

Guardò l'orologio.

Aveva ancora cinque minuti di tempo.

Doveva proprio andare dal giudice o correre invece allastazionesaltare nel primo treno in partenzaprendere il largo? Se non era lacellapoteva salvarlo il bosco. Frate o briganteper conto suo era tutt'unopurché non gli mettessero le mani addosso...

Cosí pensava ancora tra sébilanciando il pro e il controla vita e la morteil tutto e il nullamentre era già in vista del palazzo digiustizia. Vi erano quasi due forze operanti in luiuna razionale che lavoravanel vuotosenza addentellatiun'altra istintiva e sofferente che losospingeva. Cosí proviamo tutti quando andiamo a farei strappare un dente checi fa soffrire le pene dell'inferno: la volontà ha paurama il dolore citirerebbe il capo sotto la mannaia.

Sul punto di porre il piede sulla soglia di quel tribunaledove da una settimana si erano occupati de' fatti suoi«u barone» sentísprofondarsi in un gran buio. Fu una breve vertiginecontro la quale reagípuntando il bastone a una delle colonne presso il portone e appoggiandovisi unmomento col petto. Se egli avesse avuto occhio per vedere le cose del mondoavrebbe notato nella corte e sotto i portici un gruppo di persone che al suocomparire si mossero e si agitaronosusurrando il suo nome mentre egli passavadavanti.

Erano costoro le persone che avevano avuta una grande o unapiccola parte nel processo detto del cappelloe che tornavano ancoraforse perl'ultima voltaa mettersi a disposizione del signor giudice istruttore.

C'era Filippino il cappellaiovestito come un principenella sua giacca di panno a grandi scacchi. C'era donna Chiarina sua moglie inuna mantiglia di seta con una frangia di pizzo e un ventaglio a colori vivi. Daicapelli usciva un alto pettine di tartaruga che il marito aveva pagatoduecentocinquanta lire.

C'era anche don Ciccio Scuottol'anima dannata del processoco' suoi calzoni chiari tirati sucorti e ballanti sull'imboccatura dellescarpee coi solito cappello bianco ispido e corrucciato.

C'era don Nunziante dal naso grosso e spugnosocitato da donCiccio per un apprezzamento legale; e Gennarielloil nipote del pretepoveroin cannacoi capelli lunghipallido di fame per le lunghe sedute al tribunaleche gl'impedivano d'andare attorno a ventolare l'appetito colle bellecanzonette; e con costoro c'era finalmente anche quel Giorgiol'oste dellaFaldada un giorno uscito di prigionee che Filippino aveva ospitato in casasua per un sentimento non dirò di gratitudine (non è merito il non ammazzare)ma di riguardo verso il prete benefattore. Giorgio non riconobbe nell'elegantecavaliere colla barba tagliata alla «derby» il famoso cacciatore dalla lungabarba nera ch'era stato lassúalla Faldaun giorno in cerca del cappello.

Il piú mortificato di tutti costoro era don Ciccioilfocoso «paglietta»che vedeva il suo gran processo squagliarsi come untortello di neve che altri butti dentro a una caldaia d'olio bollente.L'asinità dei giudici questa voltaa parer suoera stata piramidaleed eglistava appunto ripetendo e declamando per la decima volta il suo opuscolo sulle«Magagne ecc.»quando la vista del barone nel modo improvviso e balzano concui comparve nel vano del portonefeceio non so perchétrasalire il suosangue.

Don Ciccio Scuottoper quanto abile e zelante avvocatononera né un uomo superiore ai tempi suoiné un uomo migliore de' suoi simili.Alla fascinazioneal mal occhioalle impressioni credeva sí e nosecondo icasicome si crede tutti un poco ai sogni e magari anche alla cabala del lotto.Egli non conosceva il barone di Santafusca che per averlo veduto un paio divolte di passaggio: ma non per nulla un uomo si fa l'occhio medico e filosofico.Voglio dire che dal modo con cui il barone arrivò davanti alla portadal modocon cui puntò il bastone alla colonnacon cui prese d'assalto lo scalonedall'eleganza esagerata del suo vestitodal passo legatosconvoltoda un nonso che insomma di indecifrabilee forse anche di irragionevole che urtò i suoinerviil famoso «paglietta» fu tratto a seguire quell'uomocome si segue unlumicino che spunti improvvisamente nel fitto d'una boscagliadove ci siraggiri da cinque o sei ore senza bussola e con disperazione.

Non è il caso di credere troppo a segreti istinti e nemmenoa misteriose leggi fisiologiche; basta per noi ammettere in queste circostanzeun fino istinto delle cose e delle condizioni loro per spiegare come don Cicciopotesse seguire il barone di Santafusca fin quasi all'uscio del giudiceistruttore.

«U barone» col fare insolente d'un bravaccio fe' trasalireun vecchio portiere che pisolava in anticamera.

- Che cosa comanda? - chiese costuialzandosi con doloredelle sue giunture.

- Annunciate al cavaliere Martellini che il barone diSantafusca è a sua disposizione.

Ealzando il bastoneindicò egli stesso al portiere lastrada che doveva tenere.

Rimase mezzo minuto a passeggiare con passo soldatescoeanche questo esercizio aiutò a rinfrancare i suoi nervi. In quel momento eglinon pensava nulla. Come lo scolaro che sul punto di andare all'esame sente diaver dimenticato ogni cosa e gli pare di avere la testa piena di stoppacosíil barone non arrivava piú a ricordare le espressioni principali delle sueidee; ma non se ne spaventò. Bastava che egli rispondesse a quella razzabalorda di avvocati una frase sola: «Non so nulla». È vero che suo avoNicolò avrebbe risposto in un modo piú spiccioma... pazienza! Il cavaliereMartellini fortunatamente ne sapeva meno di lui.

- Vorrei aver tre giorni di regno! - brontolò. - Scribi efarisei!

- Vostra eccellenza è puntuale come un re - esclamò ilgrazioso cavalierecacciando fuori la testa calva e lucente dallo spiragliodell'uscio.

Era costui un uomo tondoun poco tozzo di spallema bennutritobianco di pellecon due favoriti neri e una bella fronte nitida comeuna palla da bigliardo. Le sue maniere affabili e confidenziali rivelavanol'uomo abituato a vivere nel mondo elegantee specialmente fra le signoreallequali soleva regalare dei complimentucci sempre in due versi rimati.

- Come state baronenon avete condotto con voi la vostrabella prigioniera? È vero che il prigioniero siete voi... Ah! ah! - il signorgiudice rideva a pieni polmoni. - Dev'essere una gran bella prigioneaffè diDio!

- Che cosa?

- La principessa. Bastavoi giocate a partita doppia.Vincete alle corsecorrendoe vincete in amorearrivando a tempo.

Coll'abbandono dell'uomo abituato a vivere nei salottiilcavaliere prese sotto il braccio il testimonioe fermandosi tre o quattro voltein cinque minutimentre lo faceva passare in un tetro corridoiogli dissesottovoce coll'aria di chi fa una delicata confidenza:

- Inter nos io vi avrei risparmiata anche questaseccaturavisto e considerato che questa sciocchezza del cappello è una cosasenza sale. Ma anche noipoveri giudicisiamo vittime del pubblico especialmente dei giornalisti. C'è poi quel povero don Ciccio... conoscete donCiccio?...

- No.

- È il piú ridicolo uomo del mondoun «paglietta»stizzosoinsistentenoioso come una zanzara. È lui che fa fuoco e fiammeperché io scopra questo prete. Ha trovato un babbeo che spende volentierieintanto spilla la botte con la scusa delle carte bollate. Don Ciccio vuole cheio gli trovi ad ogni costo il prete o vivo o mortoe meglio morto che vivoperla réclame della bottegacapite? Insisteminaccia fin degli opuscolie voinon avete idea che cosa è un avvocato che scrive degli opuscoli. Vi confessoche vien quasi voglia di ammazzare un prete per contentarlo... ah! ah!

La risata squillante del piccolo magistrato risonò nellevolte buie del corridoio.

- Dunquecaro baronebisogna ch'io mostri almeno la buonaintenzione e che interroghise è necessarioanche le capre e i cani diSantafusca. Interrogato il canenon rispose.

- Che cane!? - esclamò ad un tratto «u barone»chemetteva troppi pensieri suoi in mezzo alle allegre parole del giudice per poterpigliare al volo una facezia.

- Ai cani si può mettere la museruola: ma non si puòmetterla ai giornalisti ed agli avvocati.

In questi discorsi arrivarono ad una stanzaccia nudadov'erano alcune poche sedieun tavolo nel mezzoe per tutto ornamento unritratto del re.

In giro molti usci. Sopra l'uno era scritto: «Sala delProcuratore del re». Sopra l'altro: «Cancelleria». Sopra un terzo:«Carceri». Piú in là: «Reali carabinieri».

Un puzzo di chiusodi polvere e di vecchio inchiostrorendeva ancora piú triste quella stanzacciaal di là della quale il barone diSantafusca sentiva la forza armatail terrorela vendetta sociale in agguatocarica di catene e di chiavi.

- Oraeccellenzaabbiate la bontà d'aspettare due minuti.Poi vi farò chiamareed in quattro parole vi sbrigo. Per mezzogiorno ho giàordinato le ostriche... Sentirete!

Il baronesentendosi le gambe rotte come chi esce da unagran febbresedette: posò il cilindro sulla tavola polverosae si asciugò lafronte col fazzoletto.

Per quanto avesse imparato a non credere alle sensazioniquel trovarsi ad uscio ad uscio colla giustizia umana lo faceva un poco tremare.

Tuttavia il suo piano era infallibile... non so nulla! Unuomo che tace non può dire degli spropositi.

Era l'ultima scaramuccia. Una volta che avesse portato fuorii piedi da quel tetro palazzottopensava di andare sei mesi in qualche paesellodella Svizzerain altoin altoin qualche valle romitae di stare le lunghegiornate sdraiato sull'erba a rinnovare le forze fisiche e intellettuali. Poi...avrebbe fatto del bene! Ancora una volta sentiva che non si offendono senzastrazio e senza pericolo le vecchie leggi della natura. Ma aveva bisogno primadi riposare in mezzo al verde. Poi avrebbe fatto del benesí... Il bene ènecessario alla vita quasi come l'olio alla macchina.

Volgeva l'occhio da una visione tutta verdee lo fissavasopra uno degli usci che aveva davanti.

Il mostro sociale era líed egli doveva affrontarlo colsorriso sulle labbracol sorriso stesso con cui soleva andare incontro allaprincipessa; doveva carezzare la criniera a quel mostro; placarlo con qualchefacezia; ridere dei suoi rabbiosi ruggiti.

L'usciosul quale il poveretto versava questi ultimi suoipensierisi aprí dopo un aspro scricchiolío e ne uscirono due carabinieridalle spalle quadredalle braccia grosse e tondeche stringevano tra le ancheun ragazzotto imberbeun di quei «guappi» color della terra che pullulano neifangosi vicoli del portocoi polsi legativestito di una sola giacca senzacolore e d'un paio di brache sconnessech’egli cercava di tener suaiutandosi colle mani in croce.

Dopo che i due soldati l'ebbero palpato in tutte le parti delcorpofin sul nudolo cacciarono innanzi verso l'uscio dei «carcerieri»aprirono... e cracl'uscio si chiuse con un piccolo scatto.

Il barone Carlo Coriolano di Santafusca pensò che per unorologio o per una gallina rubata un cristiano va a finire cosí. Egli sisarebbe prima abbruciato dieci volte le cervella.

Un improvviso sgomento gli fece vedere un grande abissospalancato sotto i piedi. Chi l'aveva sospinto a poco a poco fin sulla sogliadella prigione? Gli parve ancora di sentire sulla schiena la mano invisibile chelo urtava bel belloe si voltò rapidamente.

Si vergognò della sua viltà. Rifece rapidamente il suntodelle mille idee ch'egli aveva raccolte in quei dí sull'infinità dello spazioe del tempo e sul pio riposo della morte.

Non era da uomo pazzo il soffrir tanto per una sí meschinacontingenza?

- Vostra eccellenza è pregata a entrare.

Queste parole furono pronunciate con un tono di umileossequio da un vecchio uscieremagro come un merluzzodal capo sottile ebiancovestito d'una sciupata toga nera.

«U barone» stette come incantato a guardare quell'uomodalla testa piccina vestito anche lui come un prete.

- Si accomodiper di quaeccellenza.

Santafusca fece ancora uno sforzo sopra sé stessoe sispinse avanti. Il vecchio uscierevedendo che stava per infilare un usciofalsogli pose gentilmente una mano sulla schiena e balbettò:

- Scusiper di qua.

 

Entrò in una sala grandeben arredata e ben rischiarata.Innanzi a un tavolinoingombro di cartesedeva il cavaliere Martellinisprofondato nella sua poltrona fra due cordoni di campanelli che si allacciavanosulle sue ginocchia. Il suo cranio lucido e bianco faceva un gran spicco nelcolore sanguigno dell'ampio schienale. Ai due capi della tavola stavano duesignoricurvi sulle carte a scrivereche il testimonio vide in ombra.

Il barone sentí per una specie di corrente magnetica che ilvecchio usciere vestito da prete s'era fermato in fondo alla sala accantoall'uscio.

- Si accomodieccellenza - disse con un tono piú sostenutol'amabile cavalierea cui l'alta poltrona imprimeva un carattere piú serio edufficiale.

Il barone andò diritto e svelto verso la poltrona che gli fuindicatae sedette con un poco di furia e di dispetto.

- Poiché siamo quasi in famiglia presenterò il signorcancellierecavalier Tincae il dottor Macellimio collega.

Le due ombre sedute ai lati della tavola si mossero un poco.Il barone cercò di fare altrettanto.

- Portate le robeQuaglia - disse il cavaliere.

L'ombra secca e nera si distaccò dal muro e portò sultavolo dei giudici una cesta coperta da un panno verde.

- Il nostro colloquio sarà molto spicciosignor baroneperché vedo che fui già prevenuto.

- Di che? - esclamò molto forte il testimonio.

- Un briccone può esser sicuro di salvarsi dalle mani delgiudicema non un galantuomo da quelle del giornalista. Scusieccellenzalamia indiscrezione. Che cosa c'è di verosimile nel colloquio che l'Omnibus hastampato ieri in questo numero?...

- Ah! - esclamò ridendo il baronea cui l'esordio delgiudice aveva un poco stretto il cuore. - C'è di vero: primoche ilgiornalista non fu mai a Santafusca; secondoche le bugie si vendono a buonmercato.

- Ella però ha avuto veramente un colloquio con questosignore che firma Cecere?

- Un colloquio sí... voglio dire delle ciarle al caffè. Miha chiesto una mia opinione e gliel'ho detta. Del resto non so nulla.

- Ella dunque crede... o inclina a credere che esistaveramente un cacciatore.

- Come ho detto... non so nulla.

- Un nulla relativosi sa. Non si è padroni di una villache si chiama Santafuscasenza interessarsi un poco alle questioni di casa ealla sorte del proprio nome. Il cappello fu trovato nella villaanzi ella haprotestato già per violazione di domicilio... Conosceva ella prete Cirillo?

- No!

Il Quagliaabituato a sonnecchiare sui lunghi interrogatoririlevò col suo orecchio fino ed educato a tutti i toni della verità e dellabugiaun tono falso in questo «no» durosgarbatoche il barone diSantafusca gettò come un cencio in viso al signor giudice.

- E di Salvatoreche cosa ci può dire?

- Un sant'uomoSalvatoreun buon vecchioSalvatore.Lasciamolo stareper carità; e per la voglia di trovare un delittononfacciamo torto ai poveri mortiper carità.

Il barone pronunciò queste parole tutte d'un fiato e con unsentimento di pietosa tenerezza.

Salvatore non poteva desiderare un maggior elogio in bocca alsuo padroneche parlò proprio col cuore amoroso e caldo.

Salvatore e Maddalenalo abbiam dettos'eran pigliata atempo la parte migliore di quel cuore pieno di passioni e di fantasmi.

- E come spiega alloraeccellenzache Salvatore fosse inpossesso del cappello di prete Cirillo?

- Io non so nullacaro...

- Ella avrebbe detto al giornalista che il cappello puòessere stato gettato nel giardino...

- Sí.

- Ci dia un'idea della casa e del giardino. C'è un muro dicinta?

- Sí.

- Molto alto?

- Cosí...

- Ma un testimonio dice che il cappello non fu trovato ingiardino.

- Dove fu trovato? - chiese con piú animo il barone.

- In casa.

- Dove? - insisté sua eccellenza con un tono quasiinsolente.

- Abbia pazienzacapiscoè noioso. Ma è questione dicinque minuti.

Il barone si era fermato al suo dove? come davanti auna porta chiusa. Non era meno curioso degli altri di sapere in qual maniera ilprete aveva perduto il suo cappello.

Successe una piccola pausa intanto che il signor cancellieree l'altro signore dagli occhiali sul naso frugavano in mezzo a un mucchio dicartesusurrando tra loro parole confuse e cabalistiche.

- Non sai nulla! - disse ancora una volta una voceche usciva dagli strati piú fondi del suo pensiero.

Era un ultimo avvertimento a un uomoche si accorgeva dilasciarsi troppo ingannare dalle sensazioni.

Si abbandonòsi accomodò nella poltrona e cominciò aguardare diritto avanti a sé coll'occhio fisso nella luce chiara dellafinestracolle gambe accavallatecol suo splendido cilindro in mano. Agitò ilbastonesi guardò la punta dei guanti...

- Non sai nulla! - tornò a dire la voce prudente esegreta.

Il giudice perdette un po' di tempo a cercare una carta trale carte; poicol tono uniforme di una campanacominciò:

- Il suo nome?... Scusisono le solite formalità.

- Carlo Coriolano barone di Santafusca - rispose il baronecon enfasi.

- Figlio?

- Di Nicolò.

- Età?

- Quarantacinque... credo... però...

«U barone» sorrise un poco.

Sorrise un poco anche il giudice.

- Abitante?... lo sappiamo... non importa.

Il giudice mormorò alcune parole al vicino che alzò il nasoarmato di due grandi occhiali.

Il vecchio usciere cominciò a dondolare come un pendolodietro le spalle del testimonio.

«U barone» che lo vedeva colla coda dell'occhio non potéresistere alla voglia di voltare il capo e di guardare ancora una volta quellasecca figura di merluzzo vestita di nero.

Era un gran mistero per lui come avesse potuto credere didistruggere il corpo del delittogettando in fondo al mare un cappellocheadesso era nelle mani dei giudici.

Fisso in questo problema non intese l'ultima dimanda delgiudicee ciò produsse un piccolo imbarazzo in tutti.

- Non crede che possa essere stato gettato in mare? - chiesecon una naturale diversione l'amabile cavaliere Martelliniche non perdeva divista l'orologiocome per dire all'illustre amico: Abbia pazienzaho quasifinito.

- È difatti la mia opinione...

- Che cosa fu gettato in mare? - chiese il cancellierechestava scrivendo le risposte nel processo verbale.

- Il cappello.

- Il prete.

Queste due parole risonarono insiemela prima per la boccadel barone che era trascinato dalla forza della veritàl'altra per la boccadel giudiceche seguiva invece i naturali indizi del processo.

L'urto di queste due parole fu una prima scossa dell'edificioche il barone aveva innalzato per sua difesa. Temette di essere già caduto incontraddizionee si affrettò a dire con grande vivacità:

- Dico il cappello... il cappello.

- Questo non è possibile- soggiunse il signor giudice -perché il cappello è nelle nostre mani. Anzise lo vuol vedere... Quagliatogliete il panno.

L'usciere si avvicinò alla cesta con passo lento evacillante e la scoprí.

Il cavaliere Martellini si alzò e disse:

- Favorisca. eccellenza.

Il baroneche sedeva piú bassonon poteva arrivare cogliocchi fin sopra la cesta. All'invito replicato del giudice fece per muoversimanon poté subito per una specie di paralisi nervosa.

- Scusise non le rincresce incomodarsi...

«U barone» sentí che non poteva rimanere líduro duroincantato. Si spaventò di questa sua fisica incapacitàmolto piú che gliparve di scorgere in viso al cavaliere un senso di meraviglia; si ripresee conuno di quegli sforzi supremi con cui soleva pigliarsi quasi per i capelliandòdiritto fino al banco e guardò.

Il cappello del pretenella sua eleganza di cappello nuovospiccava sul fondo rossiccio di una sacca o carniere da cacciatore.

Il cavaliere continuò:

- Ecco il famigerato cappello: lo osservieccellenza. Lagiustizia sa di sicuro che questo cappello fu venduto a prete Cirillo la mattinadel giorno quattro di aprile. Don Antonio l'avrebbe trovato nella stanza diSalvatoreche forse l'avrà raccolto in giardino. Per scrupolo di coscienza fuinviato in una scatola a Filippino Mantica. In questo intervallo prete Cirilloscomparve e non si sa piú nulla dei fatti suoi. Il cappello porta qualcheammaccatura leggiera qua e làqualche macchia di calce... osservivede?

«U barone» non vedeva nullatranne un gran nero. Tutta lasua vita era raccolta nell'afferrare le dimostrazioni e le dimande del giudice.Al suo fianco vedeva una figura nera che si agitavae che cacciava le maninella cesta quasi per fargli dispettoe cominciò a fissarla con un occhiosanguigno e cattivo.

La toga nera e sciupata del vecchio usciere faceva spiccareil bianco del suo piccolo capo e di un bavaglino di tela conficcato nel collare.Il Quagliache teneva il cappello del prete in manolo mosse due o tre voltesegnando col dito ossuto le macchie e le ammaccature qua e làgonfiando unpoco un paio d'occhi color madreperla.

Il barone non poteva torcere gli occhi da quegli occhi gonfiche lo guardavano con una mezz'aria d'ironia.

- In quanto all'opinione che accusa un cacciatore-continuò il giudice- sarebbe in parte confermata dalla scoperta di questocarniere.

- Ah! - fece il barone con un'esclamazione quasi di trionfocome se volesse dire: «E non avevo ragione io di credere in questocacciatore?».

- Questo carniere fu trovato in una barca presso alcuniscogli.

- Precisamente! - ribatté il colpevolesenz'accorgersi didire troppoma credendo con ciò di distruggere meglio l'effetto di unacontraddizione in cui fosse caduto poco prima.

Ormai nel suo turbamento e nel conflitto in cui trovavasi trala veritàla coscienza e il giudicenon sempre aveva presente ciò che gliconveniva dire e ciò ch'era meglio tacere.

- Scusibaroneella forse si sente male... - balbettòl'egregio funzionarioimpallidendo un poco.

- Nonosto benissimoche cosa dice? - rispose «ubarone» balzando con una scossa del corpo come se cadesse da un gradino nonvistonel buio. - Volevo soltanto far notare - soggiunse ridendo - che la miaopinione era fondata su una presunzionee che non avevo torto di dire«cherchez le chasseur». Non mi sento maletutt'altroanzi ho quasiappetito... - Trasse e guardò l'orologio. - È naturaleè quasi mezzodí.Pareva che lor signori avessero voglia di trovarmi in contraddizione; ma quic'è la prova parlante che un cacciatore esiste. Ecco il triste connubiodell'assassino e della sua vittima!

La voce del barone di Santafusca erasi fatta cosí oscura eprofondail modo con cui andava squadrando il vecchio usciere era cosí pienodi ferocia e di spaventoche il cavaliere Martellini e gli altriallibitisiguardarono in viso.

Il buon giudice istruttore finse di cercare alcune cartemale sue mani tremarono come se avesse indosso la terzana fredda.

- C'è don Ciccio Scuotto? - chiese al Quaglia.

- È di fuori.

- Fatelo pure entrare.

Il baronela testa del quale navigava già in un maretorbido e burrascosotornò a fissar l'occhio bianco e cristallino sullafinestra.

- Scusi eccellenzasi accomodi pure - riprese a dire ilgiudice con voce più composta. - Anche noi non abbiamo mai messo in dubbiol'esistenza di un cacciatore... Si accomodi.

Il barone andò a sedersi sopra una scranna che portò eglistesso nel mezzo della salae cominciò a far dei calcoli e dei confronti trail suo orologio e il quadrante appeso alla parete. Si sarebbe detto che ilprocesso non lo toccasse più.

- Dunque vediamo d'orientarcicaro baroneper venire a unaconclusione - cominciò a dire colla amabilità solita il signor giudice: anziinfilando egli stesso il racconto con una di quelle astuzie inquisitorie che nonsbagliavano quasi maientrò nell'animo del testimonio e cercò di tirarlo asé: - Un cacciatore dunque fu veduto alla Faldaall'osteria del «Vesuvio»;poi fu veduto da un cantoniere della strada ferratae finalmente pare che abbiapreso il largo in una barchetta da pesca che trovò presso alcuni scogli. Vabene?

- Precisamente - tornò a dire Santafusca col tono semplice enaturale di chi ha veduto e quasi toccate le cose che afferma.

Il cavaliere Martellini tornò a rimestare nelle carteperdar tempo all'animo di ricomporsi. Gli altri due signori che sedevano ai capidella tavola si lanciarono un'occhiata piena di spavento dietro le carte e iprotocolli.

Piú che il contegno irritatopiú che l'occhio stravoltofece colpo sull'animo dei giudici la sicurezzala prontezzail candore quasicon cui il testimonio confermava e ribadiva i semplici indizi della procedura.

In quel mentre entrò don Ciccioa cui il Quaglia avevasusurrato nell'orecchio alcune paroline. L'acuto «paglietta» gettò unosguardo su quell'uomo torbido che sedeva nel mezzo della salapiú appoggiatoalle ginocchia che alla sediae si arrestò di scatto. Aveva egli trovato piúdi quanto cercava?

Fissoestasiato di quel suo trionfol'avvocato dei pretiandava girando la manica sul pelo del suo cilindro biancoche non era mai statocosí liscio.

Dopo aver ricomposta la persona sulla poltronail cavaliereMartellini ritornò a dire colla solita piacevolezza:

- Ancora una parolaeccellenzae poi la lascierò inlibertà. Ormai non è più il giudice che interrogama l'amico che discorre diun caso curioso. Noi magistrati siamo spesse volte affetti di miopia curialescae piú aguzziamo l'occhio e meno vediamo le cose che cerchiamo. Un uomo di mondoinvece ha l'occhio sano. Voi avete detto benissimocaro barone... - soggiunseil giudice ripigliando un grazioso tono di confidenza- noi abbiamo davanti ilturpe connubio dell'assassino e della sua vittima; masecondo voiqualeinteresse poteva avere l'assassino di uccidere il povero prete?

- Il prete era ricco - disse il barone alzando burberamentele spalle.

- E voi credetecaro baroneche il cacciatore abbia agitoper conto proprio o invece per mandato di qualche persona potente?

- Per conto propriodiavolo!

- Dunque - continuò il giudice con un tono piú eccitato esquillante - questo cacciatore o falso cacciatore avrebbe procurato di tirare ilprete fuori di Napoli...

Il barone si alzò con aria tragica e accompagnò la suaaffermazione con un gesto vigorosostendendo il braccio e l'indice verso unpunto della parete.

- Precisamentee lo gettò in mare.

- Il prete? gridò il giudice.

- Il prete... rispose il barone che adesso non parlava piúche per una specie di meccanismo interno.

- Prego il signor cancelliere di mettere a processo verbaleche il testimonio crede che il prete sia stato gettato in mare.

Il tono ruvido e autorevole con cui il signor giudicepronunciò queste parolee i colpi del dito sulla carta con cui accompagnòl'ordinediedero una seconda e terribile scossa ad un uomo che parlava come unaddormentato. «U barone» trasalíe ripetendo a sé stesso l'ultima rispostasi spaventò di essere caduto cosí presto in contraddizione. Prima aveva dettoche il cacciatore aveva gettato in mare il cappello e non il prete: ora dicevache il prete era stato gettato in mare. Di questa contraddizione la sua mentenon era piú in grado di valutare l'importanza e il pericolo: e tanto meno essaera in grado di conciliare la prima risposta colla seconda: ma il colpevolesentí confusamente che l'edificio della sua difesa diroccava da tutte le partie che da questo momento aveva nel cavaliere Martellini un terribile nemico.

Procurò di rettificare la deposizione di prima: ma ormai glimancavano gli argomentigli mancava la voceil tempo; e le parole gli siaggrovigliavano in bocca. Gli veniva meno la forza di tener separato nettamenteil cacciatore da sédi non attribuire all'uno pensieri ed atti cheappartenevanopur troppo! soltanto all'altro. Non sapeva piú discernere ilfatto da' suoi particolarieper la foga di conciliare il prete col suocappello e di voler credere troppo nel cacciatorenon si accorgeva che a poco apoco andava esponendo e accusando sé stesso. La sua testa era una fornace. Imille fantasmi cacciatirespinticostrettiflagellati dalla sua scienza edalla sua logicauscivano sbucando ora tutt'insieme dai tenebrosi spechi dellacoscienzainvadendo la sua ragione e lo spavento s'impadroniva di quell'uomoche da circa un mese aveva lanciata una terribile sfida alla natura e a Dio.

Questa povera animache aveva resistito agli urti delrimorso e della disperazionefatta solida da uno smalto artificiale diconvinzioni scientifichesi screpolava da sé per la inferiorità della suastessa vernice.

La mente non connetteva piùsi spezzavano le formolelogichee la pazziala furia vendicatrice della superba ragionescendeva arompere la testa del barone di Santafuscacome egli aveva spezzatacon unasbarra di ferrola piccola testa di prete Cirillo.

Ciò che seguí da questo momento non fu piú interrogatorionelle formema la lotta estrema di una ragione contro un rimorso.

 

Il barone in piedinel mezzo della salagesticolando conforzacol suo bastoncino in manocominciò a dire:

- Mi meraviglio che si voglia ancora trovarmi incontraddizione. È chiaraper Dio! Prego a non farmi dire cose che non penso.Che ne so io di questa faccenda? Io dico che il cacciatore aveva tuttol'interesse a far scomparire le traccie del pretecioè il suo cappello. L'unovaleva l'altro; anzi l'uno piú dell'altroperché l'uomo si spegne come asoffiare sopra un moccoloma la materia (gridò contorcendo nelle mani ilbastone) la materia è duraresistenteindistruttibileha filamenti eterniimmortali. Avete lettosignoriil «Trattato delle cose» del celebre dottorPanterre? Devo io citare a questi signori BuchnerMoleschottHartmannperdimostrare questo principio fondamentale che nulla si può distruggere di ciòche esiste? Quando voi pensate che una palla di cannone impiega piú d'unmilione d'anni a cadere dal centro del sole al centro della terrae che il soleè un tuorlo d'uovo in confronto delle nebulose e degli asteroidi edell'infinito spazioio son persuaso che riderete anche voi con me di questesciocchezzecome rideva poco fa quel teschio di prete coi denti appoggiati allagrata. Né quel pretené quell'altronon cantano piú l'epistola...

«U barone» sorrise in modo sinistro efacendo tre oquattro passi veloci nella salacontinuòrinfocolandosispezzando in due ilbel bastoncino e buttandone in aria i frantumi:

- Ecco perché il cacciatore cercò di far scomparire ilcappello del pretegettandolo in mare. Per averlo in manoquel cappelloeraandato fino alla Falda perché sapeva che Giorgio della Falda l'aveva preso conaltre robe nella stanza di Salvatore. Per questo io dicevo che il cappello fugettato in maree non c'è nessuna contraddizionecaro cavaliere Martellini.Se il cacciatore avesse affogato il pretecome potrebbe il prete essere sepoltoa Santafusca? Non vorrete supporre che lo abbia ammazzato Salvatore. O perl'anima mia! io devo difendere la memoria di un uomo che mi ha portato sullebracciaedovessi dar tutto il mio sanguenon permetterò mai che l'ombra delpiú piccolo sospetto funesti una tomba pura e modesta! Vigliacco è chi lopensavigliacco chi lo dice. Perché avete trovato il cappello nella suastanzavoi correte a calunniare un poveretto morto che non può difendersi. Echi vi dice che il cappello non sia stato portato in camera di Salvatore dal suocane?... Interrogato il canenon risposeha detto ironicamente il cavaliereMartellini; ma se quel cane parlassesignori mieivi direbbecome ha detto ameche il prete non fu gettato in marema fu ammazzato dal cacciatore esepolto da lui nella villa...

- Dal cacciatore? - soggiunse con voce rotta da un singultoil giudiceche si aggrappava ai bracci della poltrona quasi per resistere allospavento di quella scena non mai veduta.

Gli altri ufficialil'uscieredon Ciccioirrigiditi daquello spettacolonon davano quasi piú segno di vita.

- Dal cacciatoredall'anticristo... - gridò «u barone».

- Che... che tirò il prete a Santafusca con un pretesto...l'uccise e lo seppellí in giardino... eh? eh? - Il giudice pareva che volessearrampicarsi sullo schienale dei seggiolone.

- Non in giardino - esclamò «u barone» ridendo come sel'amabile cavaliere avesse detto una facezia. - In fondo alle scuderiesottoquel mucchio...

Il barone non parlò piú. L'occhio fisso sul cappello delpretedopo aver raccontato del cacciatore ciò che da un mese aveva troppevolte raccontato a sési sprofondò nella contemplazione estatica del suodelitto come se ancora avesse sotto gli occhi quel maledetto mucchio di calce edi mattoni. Ed era uno spettacolo veramente tragico e solenne assistere allaconfessione di un uomo che accusava l'ombra sua.

- Barone di Santafusca- gridò finalmente il giudicealzandosi ritto su tutta la persona che parve diventata piú grande - voi sietemio prigioniero.

Il barone a queste parole si scosse da quella specie di sonnomagnetico in cui l'aveva tratto la fissazione della sua mente; fece un mezzogiro su sé stessosi guardò intorno con occhio scemo e torvoparve ancorauna volta riconoscere l'orrore delle sua condizionemandò un urloalzò lebracciaespinta la sedia in terracercò farsi strada verso la porta.

Era troppo tardi. Vi stava già la forza.

- No- gridò colla bava alla bocca - v'ingannate. Possodare altre prove. Sono malatovedeteè la testa. Sentite la mia testa. PerCristo santoho la febbre! Sono innocente. Volete che io vi conduca sul luogodel delitto? Vi farò vedere e toccar con mano. Signorivoi avete davanti unbarone di Santafuscache non si lascia arrestare come un guappo.

Cosí dicendosi chinòafferrò la sedia colle due maniealzandola colla vigoria dei suoi muscoli furibondicercò di farsi ancora unastrada verso la libertà.

Successe una scena indescrivibile.

I giudici si alzarono spaventati e si ritrassero verso laparete di fondoscompaginando nella fuga sediecarte e libri. Il vecchiousciere per poco rimaneva massacrato dalla sedia che l'assassino gli scaraventòsulla testa; guai a luise non si abbassava a tempo!

Seguí una lotta fiera a corpo a corpotra l'assassinoinferocito e i due soldati dalle braccia robusteche lo avvinghiarono come unorso feroce. L'assassino rotolò in terra ai piedi della tavolatrascinando consé uno dei carabinieri che tentò di mordere al viso. Finalmentecoll'aiutod'altri secondini accorsifu domatolegato.... ma la giustizia umana non ebbenelle mani che un povero pazzo.

Il barone era stato tradito e punito dalla sua stessacoscienza.

 

IX

 

UN MORTO E UN RISORTO

 

È una brutta giornata piovosa. Le case di Santafusca avvoltenelle nubi hanno un aspetto triste e malato.

Don Antonio è moribondo.

Da ieri le donnei vecchii fanciulli stanno raccolti sullasoglia della sua casasui gradini della scalae pregano piangendo per la pacedel vecchio padre che sta per lasciarli.

È venuto il prete di San Fedele e siede al capezzale aconsolarne gli ultimi istanti.

Nessuno avrebbe mai credutoad onta della grave etàche ilbuon piovano sarebbe precipitato cosí d'un colpoe di quella febbre malignache il medico non sa definire. Speravano d'averlo ancora per molti Natali e ilvecchio aveva promesso di condurre a termine certe operazioni del suogiardino...ma Dio comanda e vuole.

Martino andava ripetendo che il cappello del prete l'avevauccise.

- Voi sapete - diceva - lo scrupolo e la santità di donAntonio. L'antico testamento non ha un patriarca piú giustose non è Abramoil quale lasciò trarre sul monte e mettere sulla catasta il proprio figlio perobbedienza di Dio. È caduto in casa il «cappello del diavolo» a seminare gliscrupoli primapoi il castigopoi il delitto ed il sangue... Dio concedaalmeno al santo pastore il transito del giusto!

- Dio lo conceda! - ripetevano le donnee tornavano apregare per la sua pace.

Don Antonioassopito nel suo letto di mortedi tanto intanto mandava dei gemitivoltava la faccia come se non volesse vedere un bruttofantasmao alzava in un estremo sforzo la mano per togliersi dal petto l'ombrache funestava le ultime visioni della sua coscienza.

La campana seguitava a piangere per lui in mezzo allapioggiae le case di Santafusca si chiudevano in una piú bigia tristezza.

Fu con questo cielocon quest'agoniache il cavaliereMartelliniaccompagnato dal cancelliereda don Ciccio e da alcune guardiearrivò a Santafusca in cerca di prete Cirillo.

La confessione del barone non poteva essere piú esplicita epiù tremenda. Ciò che non aveva detto primaandava dicendo e ripetendo oranel suo furioso deliriomentre legato come un toro che si trae al macellodibattevasi nelle convulsioni di una pazzia spaventosa.

Egli parlava confusamenteridendofischiandourlandodifilosofiadel dottor Panterredi corsedi cavallidi cartedi donnediprete Cirillo; lo chiamava per nomelo beffeggiavalo avvertiva di non fidarsidel cacciatore che voleva ammazzarloe quando la scena dei cortiletto gliritornava a mente«u barone» diventava un terribile artistae declamava ildramma del suo delitto con moti e con parole di cupa evidenza.

- Questa è proprio una giornataccia da funerale - disse ilcavalierestringendosi in uno scialle e coprendosi alla meglio col suoombrellino dalla poggia. - E anche questa campana aiuta a creare l'ambiente.Oggi si parla tanto dell'ambiente!

Don Ciccio che camminava vicino rispose:

- Oggi si fanno in generale troppe parole; però io l'avevodetto.

- Che cosadon Ciccio? che doveva piovere?

- Avevo detto che l'avrei trovato il mio morto.

Don Ciccio pronunziò queste parole con un mezzo sorriso ditrionfo.

- Sta a vedere che ora siete contento...

- Non per prete Cirillopoverino; ma per la vostra giustiziache disprezza i vecchi occhiali...

- Torniamo all'anticovolete dire...

- Voglio dire che l'uomo sarà sempre homini lupus.

Arrivarono alla villa. Chiamato il segretario e un fabbrofuper la seconda volta aperto il cancelloe fuin mezzo alla disgraziaunapiccola fortunache le donnei ragazzi e la parte piú paurosa dellapopolazione fosse raccolta a piangere e a pregare sulla soglia e sulla scala delparroco moribondo. Martinoattaccato alla corda della campanadava i suoicolpi lentisinghiozzantiasciugandosi di tanto in tanto gli occhi collamanicaintercalando ai colpi qualche versetto latino tolto al libro dellamessa.

- Conduceteci alle scuderie - disse il giudice al segretario.

- Le signorie vostre favoriscano per di qua.

La triste compagnia si avviò verso le scuderie.

Attraversarono una legnaiagiunsero nel cortilettoe siarrestarono in silenzio davanti al mucchio che formavano i mattonila sabbiala calce.

Tutto era ancora al suo postofin la leva di ferroconficcata nella calce.

- Vengano due uomini con badili - disse il giudice.

E mentre il segretario andava in cerca degli uominiipresenti girarono gli occhi intorno in silenzio pel triste andito.

Piovevae l'acqua del tettocadendo nel cortilesaltellavasopra un piccolo selciato. Per non bagnarsi troppo don Ciccio e il giudice sitrassero verso la stallae stavano citando ancora l'autorità di Puffendorfquando intesero un gemito lungo che pareva venisse di sotterra.

Era ancora il cane di Salvatoreche stormí nello strameefuggí attraverso le gambe di don Ciccioche mandò un ringhio.

Il cavaliere si sforzò di sorriderema i muscoli dellabocca questa volta erano irrugginiti.

Tuttavianon volendo perdere la sua fama di uomo di spiritomormorò:

- Homo homini canis...

- È lo stesso! - si affrettò a dire don Ciccio per farsivedere superiore a certe pauree credo volesse dire cheo cane o lupol'uomoè anche lui una brutta bestia.

Vennero gli uomini coi badili e cominciarono a smuovere ilmateriale morto. Tolsero i mattonila calcela sabbiae misero a nudo lagrossa pietra della cisterna.

Martino sonava ancor piú lento e triste.

Il medicofacendosi largo tra le donne inginocchiate sullascala e sul pianerottolodisse stringendo la sua canna sotto un braccio e ilfazzoletto sotto l'altro:

- La terra ha un giusto di menoe il cielo un santo di piú.Fu una congestione cerebrale.

Le donne cominciarono a rispondere alle preghiere dei mortiche il prete recitava nella stanza.

Non piangevano piúper quella sicurezza morale che vien dalfatto compiuto e dalla convinzione che non resta piú nulla a sperare. Lasicurezza di avere un santo di piú in paradiso rendeva quelle preghiere piúcalde e confidenti. Non si sarebbe potuto distinguere se pregassero per donAntonioo se già lo invocassero come un santo protettore.

Quando fu loro concessoentrarono nella sua stanza inprocessione efacendo il giro intorno al lettobaciarono le sue mani e i suoipieditoccarono le sue vestie si sparsero poi per tutta la casanellostudiololieti di immaginarlo vivo ancoraseduto nel suo seggiolone davanti a'suoi libriche vollero toccare colla riverenza con cui si mette la mano sulmessale.

Poipigliando il momento che l'acqua taceva un poco e chel'aria si schiariva nel sole. uscirono nel giardino e tutti colsero una rosa permemoriache appuntarono al petto dopo averla baciata come una reliquia.

Quando Martino cambiò campana e suonò mezzodíla folla siriversò nella piazzuola e prese a scendere verso le case per il desinarenonpiú piangente; ma quasi consolata e lieta d'aver baciato le mani del santo.

Pareva una vera festa di maggio con tante rose in seno allebelle ragazze.

Scendevano tutt'insiemevecchiragazze e donneverso ilcentro del villaggioquando videro venire in susbuffandopallido come unfantasmail segretario che gridava:

- Indietroindietro... lasciate passare!

Subito dopo la gente vide passare un grosso signore vestitodi neroavvolto in uno scialle: dietro di lui un altro signore piccolocolcappello di pelo bianco arruffatoe dietro alcune guardiee poi degli uominiche portavano una barella.

Portavano prete Cirillo a seppellire in terra sacra.