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Eros

di

Verga Giovanni

 

Verso le quattro di una fra le ultime notti del carnevalela marchesaAlbertiseduta dinanzi allo specchioe alquanto pallidastavaguardandosi con occhi stanchi e distrattimentre la cameriera leacconciava i capelli per la notte."Che rumore è cotesto?" domandò dopo unlungo silenzio. "Lacarrozza del signor marchese.""Cosí presto!" mormorò essa soffocandouno sbadiglio. Lacameriera era per chiudere l'uscio del salottino che metteva nelle stanzedel marcheseallorché entrò bruscamente un uomo in abito da mascheracol passo malfermoe il riso scuro."Cecilia dorme?" domandò senza fermarsi."L'ho lasciata or orasignor marchese"rispose la cameriera mal dissimulando la sorpresa."Domandatele se può accordarmi cinqueminuti." Eglirimase immobilecol ciglio corrugatoe lo sguardo fiso dinanzi a sé. Lacameriera ritornando sollevò la pesante portiera di velluto; il marchesefece alcuni passi verso l'usciovolse gli occhi a caso su di un grandespecchio che gli stava di faccia: sembrò esitare un istanteposcia alzòle spalleaggrottò il sopracciglioed entrò col sigaro in bocca.La marchesa leggevavoltata verso il muro: udendoil passo di lui chiuse il libroe domandò senza muovere il capo:"Siete voi?""Sí."Ella alzò gli occhi verso l'orologio appeso allaparete. "Sonle quattro e mezzo" rispose il marito a quella muta e significativainterrogazionemasticando il sigaro fra i denti."Datemi quella boccettina che è lí sultavolinovi prego." Egli buttò il sigaro nel caminoe non simosse. Allorala marchesa si voltò verso di luicon un brusco movimento che modellòle coperte sulla sua elegante figura di donna; si passò una mano piúbianca della batista che le cadeva lungo il bracciosui folti capellicastanie fissò in volto al marito i suoi grand'occhi scuri bene apertiEgli era rittoimmobileserio - troppo serio pergli abiti che indossava - e avea tuttora un leggiero strato di polvere suicapelli e sul viso: dovea essere giovaneinvecchiato anzitempopallidobiondoelegantealquanto calvo."Dovete parlarmi?" domandò la marchesadopo un breve silenzio. "Sí.""Sedete adunque."Egli volse un'occhiata sulle seggiole ed il canapèingombri di vesti e di arnesi muliebrie rispose secco:"Grazie". "Vichiedo scusa per la mia cameriera" disse la moglie arrossendoimpercettibilmente. Albertiinchinò appena il capo. "Scusatemipiuttosto la mia visita importuna. Mi premeva di parlarvi...stasera." Ceciliagli lanciò uno sguardo rapido e penetrantee domandò:"Avete perduto?""Non ho giocato.""Vi battete...?""Sí."Ella impallidí."Tranquillizzatevi" soggiunse il marchese."Non mi batto col conte Armandi."Ella si rizzò a sedere sul lettorossa in visocoi capelli scioltie il corsetto discinto: "Perché mi ditecotestoora?". "Perchéil mio amico Armandi è spadaccino famosoe avreste potuto essereinquieta per me." Ladonna rimase a fissarlo con straordinaria fermezza."Perché vi battete?"Il marito sorrise - sorriso grottesco su quel visoimpassibile - e rispose tranquillamente:"Per voi."La marchesa si passò il fazzoletto sulle labbra."Galli aveva lo scilinguagnolo un po' scioltoe pretendeva avervi vista al veglionein dominònel palco del mio amicoArmandi." "Eravatea cena?" "Sí.""Ahvi battete per un cattivo scherzo dadessert!" disse ella sorridendo amaramente.Il marchese la guardò fiso. Posciacoll'aria piúindifferente del mondoprese un dominò ch'era sulla seggiola piú vicinalo buttò sul canapèe sedette di faccia a lei. "Perdonatemi"soggiunse; "non potevo lasciar calunniare mia moglie."Ella s'inchinòtroppo profondamente edironicamente forsee perciò tutto il sangue le corse al viso:"Tutti sanno che Galli è geloso di voi perchégli avete rubato l'Adalgisa!""Lo sapete anche voi?" rispose il marcheseaccavallando l'una gamba sull'altra."Scusatemidebolezze di donne!" diss'ellaun po' pallidae cercando di sorridere."E di uominise volete" aggiunse ilmarito con galanteria. Cifu un istante di silenzio: ella giocherellava collo sparato del suocorsetto; egli dondolava la gamba posta a cavalcioni: evitavano diguardarsi. "Orasiccome vi confesso che mi preme di non rimetterci la pellee farò ilpossibile per evitarlodomani sarò ben lontano di qua."Ella rialzò gli occhi su di luie ascoltava insilenzio. "Desiderorisparmiarvi tutti i piccoli disturbi della mia lontananzae vorreiperciò regolare di comune accordo l'amministrazione della vostradote..." Cecilianon rispose. "Vilascerò procura affinché possiate riscuotere da per voi quella somma checrederete..." "Staretevia molto tempo?" interruppe bruscamente la marchesa."Non lo so io stesso... e se volete suggerirmila cifra..." "Fatevoi." "Maio... francamente... dividerei in parti egualicome fra buoniamici." Ellapiú pallida del lenzuolo che la coprivainchinò il capo.Il marchese si alzòaccese un sigaro allacandela- e al momento di andarsene aggiunsecolla medesima aria dinoncuranza: "Rimarrebbead intenderci sull'educazione di Albertonel caso che la mia assenza siprolungasse indefinitamente; ma il megliomi pareè di uniformarci allaprescrizione della legge. Voi vi occuperete di lui sino a' sette anni;dopo me ne incarico io."E volgeva diggià le spalle. "Come desiderateche sia educato vostro figlio sino ai sette anni?" domandò lamarchesa con voce malferma Ilmarito si fermò su due piedie parve riflettere un istante "Mah!..come vorrete..." aggiunse poscia. "Se vi dessi alcunsuggerimento vi farei torto. Ed ora perdonatemi il disturboe buonanotte." Ceciliarimase immobilemutapallidacogli occhi fissi; ma nel momento in cuiegli stava per passare l'uscioesclamòcon accento improvviso esoffocatocome se tutto il sangue le fosse corso impetuosamente al cuore:"Sentite!...". Egli si voltò. "Sentite!..." e lemancavano le parole. "Parlatemi francamentein nome di Dio!..."Egli vide le lagrime che luccicavano negli occhidella moglie senza batter ciglio. Istintivamente ella si arretròspaventata dallo sguardo freddo ed incisivo di quell'uomo che sembravaricercare le angosce orribili di lei sin nelle pieghe piú riposte del suocuoreper scrutarla con quel viso pallido e glaciale."Sembrami d'avervi detto abbastanza. Mi battocon Galli perché ha insultato la marchesa Albertie Armandi sarà il miosecondo. Parto per l'esterovi lascio la metà della vostra renditailmio nomeed il nostro Alberto sino ai sette anni. Ma il mio sigaro viappesta la camera. Buona notte."Egli non si volseed ella non disse motto.Passando dall'anticamera udí scampanellare nellestanze della marchesa. IIIl marchesino Alberti fu educato lontano da' suoialla spartananel collegio Cicognini. Il padre era morto fuori d'Italiaquasi senza averlo conosciuto. La marchesasempre giovane ed elegantelapiú bella toscana che fosse in Milanoandava a fargli visita una voltaall'annoquando c'erano le corse a Firenzel'abbracciaval'accarezzavagli recava dei confettie rimontava in carrozza sorridente. Ella erastata colta da una pleuriteall'uscire dalla Scalaed era morta primache i suoi amici avessero tempo di far venire il figliuolo da Prato. Ilpovero orfanello aveva allora dodici anni e conservava religiosamente lepoche lettere che il babbo gli aveva scrittoe le scatole dei confettiche la mamma gli aveva regalato. Una volta aveva chinato il capotuttovergognosoallorché il suo amico Gemmati gli aveva detto: "Operché il tuo babbo non vien mai a vederti?". Un'altra volta aveaarrossito perché certi forestieri che visitavano il collegio avevanomostrato di conoscerlo come il figliuolo della marchesa Albertie poiaveva arrossito di avere arrossito. Sua madre non gli parlava mai delbabbo. Di tutte coteste cose si rammentò piú tardi.Le prime inquietudini del cuore gettarono nella suamente il germe funesto dello esame.A sedici anni Alberto era un giovinetto alto edelicatocoi capelli biondiil profilo aristocraticoun po' freddo eduro il pallore marmoreo del padree i grandi occhi azzurriii sorrisoaffascinante e mobilissimo della madre - cuore aperto a due battentiimmaginazione vivaceaffettuosama inquietavagabondadiremmo nervosaingegno piú acuto che penetranteanalitico per inquietudine e perdebolezza di carattere - un ingegno che vi sgusciava dalle mani ad ogniistante - diceva il suo professore di filosofia - atto a fargli cercare ladecomposizione dell'unitào a dargli i peggiori guai della vita quandoil cuore si fosse mescolato della bisogna. Egli aveva preso di buon'oral'abitudine di pensarecome tutti i solitari. Piú tardi trovò un amicoGemmatipel quale ebbe tenerezze e gelosie d'amantesino a tenergli ilbroncio quando seppe che sorrideva alla figliuola del barbiere che stavadi faccia. Molto tempo dopoe in circostanze assai diversementre stavaseduto accanto al fuococogli occhi fissi sulla fiammae le labbracontratte sul sigaro spentoil ricordo di quella ridicola gelosia dellasua infanzia gli balenò in mente colla strana bizzarria dellereminiscenze. Egli buttò il sigaroe si alzò piú pallido ed accigliatodi prima. Avevafatto tranquillamente i suoi studi in collegio sino a quell'età; erapassato per le lingueper i numeriper l'analisi della parola e delpensiero; a sedici anni era diventato sognatorefantasticoipocondriacoe sentí d'amare la prima voltaperché tutti i poeti parlavano d'amore.Alloratrionfante di misteromostrò di nascosto all'amico Gemmati iprimi fiori vizzi che la cuginetta gli avea datoo che egli le avearubati: "Ami l'Adele?" gli domandò Gemmati ch'era anch'esso unpo' parente della ragazza. "Sí!" rispose Alberto facendosirosso. "O come? se non la vedi quasi mai?" "Quando penso alei mi par d'impazzire" ed era veroché le prestava tutte leamplificazioni della sua fantasia; ma allorché le stava accantounavolta all'annorimaneva ingrullito vicino a quell'amante che gliproponeva di giocare a volano.A venti anni egli uscí dal collegio piú bambino diquando c'era entrato; vuol dire con nessuna nozione esatta della vitaconmolte fisime pel capoe certi giudizi strampalati e preconcettineiquali si ostinava con cocciutaggine di uomo che pretenda conoscere ilmondo dai libri. Il direttore del collegio fece trapelare tutte cotestebrutte verità da una bella lettera che scrisse al signor BartolomeoForlaniil babbo dell'Adelezio materno di Albertoaggiungendo che ilnipote non era riescito a superare gli esami dell'ultimo annomalgrado ilsuo bell'ingegno. Lo zioche era tutore per soprammercatoe tornavagiusto dal fare i conti col fattore del nipoterispose ringraziandocomemeglio sapeva e potevail signor direttore per l'ottima riuscita delgiovanetto - una lettera che fece montare la mosca al naso al buondirettore - come se lo si volesse minchionaree non era vero! - Scrisseanche al nipoteinvitandolo a venire a Belmontenome della sua villasulla montagna pistoiesee andò tutto festante a prevenire la figliuoladel prossimo arrivo del cuginettoche il signor dlrettore scrivevaessersi fatto un bel giovanee pieno zeppo d'ingegno. La fanciullachenon giocava piú a volanoarrossí; il babbo se ne avvideaggiunse chesecondo gli ultimi affittii poderi del cugino rendevano trentaduemilalire di nettoe se ne andò fregandosi le mani.A Belmonte si aspettava cotesto bel giovanettodicui il signor direttore diceva tanto benee che aveva trentaduemila liredi rendita. IIICome Alberto aveva il suo amico GemmatiAdele aveaanche lei la sua amica di collegiola contessina Manfredinich'eravenuta a stare con lei per qualche settimana. Le due amiche passeggiavanosulla terrazza sovrastante alla via che menava alla villatenendosiabbracciateridendo e cinguettando come allegri uccelletti. Il soletramontava dietro i monti che si disegnavano con una vaga trasparenzavioletta sulle calde tinte dell'occidente; l'aria era imbalsamata da millefragranze estive; una nebbia sottile si levava dal fondo della valledovesi udiva mormorare il torrentei buoi che c'erano stati a bere risalivanol'erta lentamentebrucando l'erba qua e làe facendo risuonare di tantoin tanto i loro campanacci. Ledue fanciullesilenziose da un pezzostavano appoggiate alla balaustratadella terrazzae guardavano sbadatamente."Tuo cugino verrà stasera?""Sí."E dopo una breve pausa:"È biondo tuo cugino?""Sí.""Alto?""Sí""È bello?"Adele sorrise e chinò il capo.La sua amica si voltò verso di leila guardò invisoe disse lentamente: "L'ami?""Oh!..." esclamò Adele tirandosibruscamente indietro e facendosi di fuoco.Le parole hanno il valore che dà loro chi leascolta. Tutta la verginità che c'era nel cuore della fanciulla sembròtrasalire a quella domanda. L'altrach'era di due o tre anni maggiore dileil'abbracciò strettamenteviso contro visocullandosi insieme a leisulla ringhieracon un movimento di grazia inimitabilee le susurròpiano all'orecchio: "L'ami?".Ella si voltò all'improvvisorossa come fiammaele stampò un bacio sulla guancia."Ed egli ti ama?"Adele rispose senza alzare il capo: "Non loso". "Ehvia!" "Nonme l'ha mai detto." "Certecose non c'è bisogno di dirle.""O come si fa allora?"L'altra la guardò ridendo: "Deve amartimoltissimoperché sei carina davvero!""Come sei bella tu!" esclamò Adelebuttandole le braccia al collo.Una carrozza s'avvicinava rapidamente; il belgiovanetto che c'era dentro levòfra timido e sorridentei grandi occhiazzurri verso la terrazzafece un saluto un po' imbarazzatovolse unosguardo festosoe arrossí leggermente."Come s'è fatto grande!" esclamòsottovoce Adeleaggrappandosisenza saper perchéal vestito della suaamica. "Eun bel giovane" disse costei."Aveva il sigaro in boccahai visto?""Non è elegantema ha un'aria distinta. Èmarchesenon è vero?" "Sía momenti sarà qui." Velledarizzò il capo con un movimento impercettibilmente alterocivettuolo egrazioso al tempo istessoe si mise a frustare i ramoscelli piú bassicon una bacchetta che aveva in mano."Se fossi bella come te!" esclamòingenuamente l'Adeleforse colpita da quel rapido corruscare dellavanitào forse rispondendo ai pensieri che le si affollavano in mente.La sua amica era infatti una magnifica biondaaristocratica e delicata beltàmodellata come una Veneree leggiadracome un figurino di modedalle folte e morbide chiome cinerinedaigrand'occhi azzurri e dalle labbra rugiadose; sotto i suoi guanti grigicelava unghie d'acciaiocolorate di rosa; il suo stivalino sembravaanimato da fremiti impazientie con quel suo tacco altocon quella suacurva eleganteavea l'aria di gentile arroganzacome se sentisse dirender beata l'erba che calpestava; il sorriso di lei era affascinantelosguardo profondo ed un po' alterol'accento carezzevoleil vestito aveaartificiose semplicitàe la bionda pudiche civetterie - ecco che cosaera quella fanciulla che frustava i ramoscelli con un virgolto di salcioe che si chiamava Velledaal modo stesso che era biondache eracapricciosache era elegantee che un bel fiore da stufa ha un bel nomestraniero. Ella sembrava sopraffare la verginale leggiadria della suaamica col semplice portamento superbo del capoo con un solo de' suoisorrisi affascinanti. Adele era magrinadelicatapallidettacosíbianca che sembrava diafanae che le piú piccole vene trasparivano convaga sfumatura azzurrina; avea grand'occhi turchinifolte trecce neremani candide e un po' troppo affusolate; il ventoinnamoratomodellavale vesti sul suo corpiccino svelto e gentile come una statua d'Ebe; imovimenti di lei avevano certa elasticità carezzevole e felina; - accantoa ciò una timidità quasi selvaggiaun sorriso spensieratoe deirossori improvvisi. Un conoscitore avrebbe indovinato nella leggiadriamodesta e quasi infantile della fanciulla il prossimo sbocciare di unabellezza tale da rivaleggiare con quella della superba bionda; ma Albertonon era conoscitoree allorché la cuginetta gli corse incontrostendendogli le mani e salutandolo col suo grazioso rossorei capellibiondila veste di setae lo sguardo da regina dell'altra gli sigettaronodireialla testain un lampo. Povera Adele! se avesse potutoudire il ronzío di tutti quei calabroni inquieti che si destavano nellamente di Albertomentre ella credeva di fare una presentazione in regoladicendo: "Mio cugino!" "La signorina Velleda!"La signorina Velleda fece una bella riverenza daballoed Alberto se ne rammentò scrivendo il giorno stesso all'amicoGemmati: "Se avessi visto con quanta grazia inchinandosi spingevaindietro il suo vestito!".Velleda andava innanzigiocherellando sempre collasua bacchettina a mo' di frustinoun po' da bambina capricciosaun po'da leggiadra civettuola. Allo svoltar d'un viale scomparve.Adeleche chiacchierava col cuginotutta giulivaarrossí improvvisamenteed Alberto se ne avvide."Che hai?" le domandò."Il babbo non sa nulla del tuo arrivo... cercodi vederlo." Ilbabbo li vedeva benissimo dalla sua finestrae si fregava le mani.Al rammentarsi dello zio il giovane si fe' scuro invisoe pensò agli esami andati a monte. Ma lo zioch'era il miglior ziodel mondoabbracciò teneramente il nipotecome se costui non avessedelle palle nere sulla coscienza; anzi a tavola comparve un certo fiascodi vecchio chiantidi quel delle grandi occasionie se l'avesserolasciato farelo zio avrebbe fatto crepare il nipote di indigestioneperprovargli la sua tenerezza. L'Adele fu ciarliera e taciturna a spropositola signorina Manfredini disinvolta e piena di brioAlberto un po'imbarazzatoun po' distrattoe di quando in quando aveva certi assaltidi allegria che gli montavano al visogli luccicavano negli occhi e sirisolvevano in bizzarre effusioni di affetto per lo zio Bartolomeo."La bella luna!" esclamò Adeleaffacciandosi alla finestra. "O che non si va in giardino?"Velledainterrogata a quel modosi mise a ridere."Vacci anche tu" disse lo zio ad Albertoche non faceva le viste di muoversi."E leizio?""O cosa vuoi che venga a farci io? Ci ho il miogiornale da digerire. Vai pure."IV Ledue ragazze irruppero in giardino allegre e chiassose; la luna sembravainondarle di un pallido chiaroretraeva dei riflessi turchinicci daicapelli di Adeledava un che di vaporoso a quelli di Velledaluccicavasulla setagiocava colle ombrefrastagliavasi fra i cespuglidisegnavanettamente in bianco i viali; il cielo era tersoleggermente azzurro; legaie voci e gli allegri scrosci di risa avevano cristalline sonorità."Sono stanca!" disse Adele lasciandosiandare su di un sedilee raccolse la sua vesticciuola volgendosi verso diAlberto con un tacito invito; costui che chiacchierava spensieratamentetacque all'improvviso. "Hodimenticato il mio scialletto" disse Velleda con singolare vivacità."Andrò a prenderlo" rispose premurosoAlberto. Laragazza non poté dissimulare un sorriso maliziosetto."Grazienon s'incomodi" risposee partícorrendo. Adeles'era ritirata in là per far posto al cugino accanto a lei; ma egli simise a passeggiare innanzi e indietrogettando di tempo in tempo sguardiavidi e imbarazzati sul sedile."Vuoi metterti a sedere?" diss'ella."No... grazie... non ti comoda?""Che!"Ella si mise a strappare le foglie del rosaio.Alberto accavallava ora una gamba ora l'altraguardava gli alberiilvialela punta dei suoi stivalie non sapeva che farsene delle mani."Mi permetti di fumare?" disse dopo unlungo silenzioe come se avesse fatto una grande scoperta."Fai pure."Egli trionfante accese un sigaroe si diede abuffare il fumo con enfasi. "Tidà noia il fumo?" le domandò."No" rispose Adele tossendo e fregandosigli occhi. Etacquero di nuovo. "Bellasera!" esclamò finalmente Alberto col naso in aria."Bellissima.""E punta freddal""Punta.""È un pezzo che non ci vediamosai!""Due anni.""È vero."Ella lo stava a guardare seria seria."Hai imparato a fumare!" gli dissefinalmente con un sorrisoe come se gli confidasse un segreto chenascondeva da qualche tempo. "Cosavuoii vizi si imparano facilmente!" rispose Alberto con gravità."Però il sigaro ti sta bene!"Ei la guardò nei grand'occhi turchini cheluccicavano al chiaro di lunachinò i suoi prestamentee si soffiò ilnaso. Adele riduceva in pezzi minutissimi le foglie che avea strappato dalrosaio. "Mail tuo giardino è molto bello!" disse finalmente Alberto.La giovanetta guardò attornocome se vedessequegli alberi per la prima voltae rispose:"Símolto bello.""Una delizia!""Una uera delizia. Quella fontana lí ce l'hovoluta io." "Davvero?""Sínon è bellina?""Bellina tanto!""È tutta di marmosai!""Oh!""Il babbo non volevaper via dellaspesa..." "Deveaver costato parecchio!""Altro! Ma il babbo mi vuol tanto bene!""Oh! (in un altro tono).""E anche tesaiti vuol bene!"Il dialogo che si reggeva sui trampoliminacciòd'inciampare in quel sassolino."Ha detto che ti terrà qui sino anovembre" soggiunse Adele vedendo che il cugino stava zitto."Ma...""Ti rincresce?""No!... no...!""Non ti annoierai?"Egli si volsela guardòpoi si mise a scuoterecol mignolo la cenere del sigaro Adele rimase alquanto pensierosalapovera b.ambinae soggiunseun po' trepidante: "Ci staraivolentieri?" "Figurati!""Anche Velleda ci starà sino a novembre. Chefesta!" Il cugino si senti maledettamente ridicolo per non saperemetter fuori il piú meschino complimento."Ti piace la mia Velleda?" riprese Adele."A me?...""Non è bella?""Oh sí!""Anch'essa ha detto che sei un belgiovanotto." Aquelle parole parve ad Alberto che la luna irradiasse di un'aureolal'Adelina. "Anchete ti sei fatta bella!..." disse col coraggio della gratitudine."Davvero?""Davvero."Ella sorrisechinò il capoincrociò le pallidemanine sulle ginocchiae il raggio della luna sembrò farsi vermigliosulle sue guance. L'usignuolocantava: passò un alito di venticello che fece stormire lievemente lefoglie. Essi si sentivano l'uno accanto l'altra. Tutt'a un tratto lafanciulla scoppiò a ridere. "Oggivolevo darti del leivedi!""O perché?""Perché ti sei fatto grande: avevo suggezionedi te... ecco!" "Oh!"Ella si volse verso di luicon un improvvisomovimento d'espansione e d'abbandono - i sentimenti puri e le animevergini hanno di codeste arditezze innocenti - ed egli si tirò in làmodestamente. "Mase tu m'avessi dato del lei non te l'avrei perdonato mai!""Perché?""Perché... perché... non lo so ilperché." Tacqueroentrambie sentivano che quel silenzio li dominava. Alberto era tuttointento a fumaree l'Adele a pungersi le mani sul rosaio. Si udiva ilfruscío della sua veste ad ogni movimento di lei."L'ultima volta che partisti pel collegiopiovevati rammenti ?" "Sítu mi scrivesti per domandarmi come fossi arrivato.""Ti rammenti anche di codesto?""Ho ancora la lettera.""Davvero?" arrossí e volse il capo."E Velleda che non ritorna!""Mi par di vederla laggiú.""Velleda!""Ohsiete ancora costà?" gridò Velledada lontano. "Parlavamodi tesai!" esclamò Adele correndole incontroe buttandole lebraccia al collo le sussurrò qualcosa all'orecchio."Cattiva!" mormorò Velleda chinando ilcapo e facendosi rossa. "Grulla!"borbottò il signor Bartolomeo quando lo seppe.Alle undici tutti i lumi della villa eranoosembravanospenti. Alberto che stava alla finestracome uno che abbiabisogno di mettersi in cuore tutta la serena bellezza di una notte estivacredette di scorgere un fil di luce che trapelava fra le stecche dellapersiana di una finestra al pianterrenodi faccia alla sua. E si sporsein fuori per meglio vedere; ma la luce si fece all'improvviso piú vivacome pel dileguarsi di un'ombra frappostae si spense quasi subito.V Ildomaniappena Alberto aprí la finestra e appoggiò i gomiti aldavanzalecolla sua bella pipa di schiuma in boccaudí chiamarsi pernome. Volsegli occhi sotto il pergolatoe vide un fresco visetto e due begli occhiche gli sorridevano; la cuginetta stava cogliendo dei fiori da un arbustoalquanto piú alto di leie rizzavasi sulla punta dei piedi per farpiegare i ramoscelli restii; le maniche del vestito le cadevano lungo lebraccia un po' troppo delicatema bianche come alabastro; il piú gaioraggio di sole indorava quelle braccia e quel viso gentile."Buon dícugino!""Buon dícuginetta!""Son le novesa?""Lo so.""E non si vergogna?""O che fa lei costàcosí mattiniera?""Lo vedefaccio dei mazzolini.""Per chi?""Pel babbo.""E poi?""Per Velleda.""E poi?""E poi... per chi se li merita."Egli alzò il naso in ariamandò un grosso buffodi fumoe disse: "Èuna bella giornata." "Sí"rispose la fanciulla asciutto asciutto.Adele andava e veniva fra gli alberichinandosi adogni istante sulle aiuole con una vivacità infantile e graziosa che eratutta sua. Alberto la guardava in silenzio. Di tanto in tanto ella pureguardava luicercando di non farsi scorgerecon una tal ceradispettosetta. "Hadormito bene?" domandò finalmente."Benissimograzie.""E vuol dormire ancora?"No... perché?""Vieni ad aiutarmi dunque!""Vengo subitocuginetta."Vedendolo venire ella si diede un gran da fare perassortire i fiorie il giovane sentí sfumare in un attimo la grandeaudacia con la quale le avea quasi chiesto un mazzolino."Il babbo è andato lassúalla Sassosaallavigna." "Ohdavvero?" "Quest'annoavremo una famosa vendemmia!""Sí?""L'ha detto il fattore!""Lui può saperlo.""E il babbo è contento. Ti piace codestofiore?" riprese poscia l'Adele saltando da un discorso ad un altro."Bellino! come si chiama?""Non rammento; è un nome forestiero.""Dev'esser un fior raro."Ella stava per risponderema vide che il cuginoguardava piú la mano che il fior raroe arrossí."Che bella aiuola!" diss'egli per nonfarsi scorgere. "Saicosa c'era qui prima? la piazzetta dove noi si giocava a volano! Tiricordi?" "Com'ècambiato!" "Anchetu sei cambiato!" rispose ella senza alzare gli occhi.Ei rispose dopo un istante: "E anche tu!".E sorrisero entrambi."Andiamo a svegliare Velledala pigra!"disse Adele tutta rossa in viso.Le finestre del pianterreno non erano molto alte dalsuoloma la povera fanciulla si rizzò invano sulla punta dei suoipiedini: "Bussa tu" disse ad Alberto. Egli picchiò due colpettitimidi. "Chiè?" si udí rispondere da una voce la quale aveva tuttora alcunchéd'addormentato e di voluttuoso."Sono i miei fioriche vengono a darti il buongiornodormigliona!" Lestecche della persiana si schiusero alquanto; i raggi del sole vis'insinuarono con una certa avidità e si disegnarono in strisce luminosesu di una bella figura biancasul braccio roseo che si appoggiava aldavanzalesui capelli color d'oroleggermente ondatiche cadevanomollemente sull'accappatoio. Velleda accostò il viso alla persianae sividero luccicare i suoi begli occhi; ma scorgendo Albertosi tiròindietro bruscamentee chiuse del tuttodicendo: "Vengosubito". "Nonlo vuoi?" domandò un po' crucciata l'Adele ad Alberto che rimanevacogli occhi fissi sulla persiana chiusasenza accorgersi del mazzolinoche gli dava la cugina "Dunqueme lo merito anch'io?" diss'egli sorridendo."Presuntuoso!"Passando sotto la finestra del cuginoAdele alzògli occhi e stette a guardarla."Vedi com'è bello quel gelsomino ches'arrampica sino al tuo davanzale?""Perché fai cosí tardi alla sera?"riprese dopo breve pausa. "Comelo sai?" Ella arrossí. "...Mel'hanno detto" rispose. Quelrossore fece dileguare in un lampo dalla mente di Alberto la leggiadraapparizione ch'egli avea scorto dietro la persiana e che luccicava ancoranel suo pensierocome un raggio di sole irradiasianche dopo chiusanella pupilla che abbagliò. Egli levò gli occhi a quella finestra difaccia alla suadove la sera innanzi gli era sembrato veder del lumeesitò un istantema non aprí bocca. Sembravagli sentire tremare ilbraccio di leie che vaghi rossori fuggitivi le passassero con unatrasparenza alabastrinasul bel viso che teneva chinoe sul collodelicato. S'eranoseduti sotto il pergolato. Ella gli parlava con quella dolce favella dellafanciulla toscana che somiglia a cinguettio d'uccelletto; sorridevaarrossivagiocherellava cogli sgonfietti del suo vestito e colle fogliedel pergolato; era tutta festantee si voltava ad ogni momento per vedercomparire Velleda che non veniva mai. Le ombre delle frondi sembravanoaccarezzarla alternando la luce sul suo viso; il venticellodi tanto intantofaceva strisciare leggermente il lembo della sua veste sui piedi dilui. Egli respirò con forzaquasi con voluttàe sorrise; ella respiròdel pari e sorrise. "Operché?" gli domandò ancora sorridente."Sento allargarmisi i polmoni.""È l'aria montanina.""Come fa bene!""Non è vero!" e si tacquero."Ti piace la campagna?" riprese ella pocodopo. "Sí.""Ci starai volentieri?""Volentierissimo.""A me piace tanto!" esclamò ella battendole mani tutta sorriso. "Tipiace stare a guardare la luna dalla finestra?" domandò tutt'a untratto e bruscamente il cuginocome rispondendo ad un pensieroinsistente. "Sí...""Anche a me!" e divenne pensieroso."Non ti par di voler amare la luna?"riprese quindi con certi occhi che luccicavano singolarmente; "e chequella dolce luce ti piova sul viso come rugiadae ti rinfreschi ilsanguee ti accarezzi le chiomee che le stelle scintillino come occhiinnamoratie che il venticello notturno baci mormorando le foglie e ifiorie che i fili d'erba si agitino in leggiadri abbracciamentie che ituoi sguardi cerchino lassúin quella pallida lucegli sguardi delladonna... cioètudell'uomo..."S'imbrogliòbalbettòl'enfasi sbollíe tacquearrossendo. Essa non rispose; dapprima avea spalancato tanto d'occhi aquella sfuriata; poi avea chinato il capocol viso di fiammas'eratirata un po' in làe s'era sentito il cuore grosso di non so chesospiri. "Andiamoa trovar Velleda?" disse dopo qualche momentolevando su di lui ibegli occhi imbarazzati. Eila seguí. "Ohil bel fiorellino!" esclamò la giovinetta; ilcugino lo raccolse e glielo diede."Grazie!" diss'ella "ma anche il miomazzolino è bellonon è vero?" e si mise a ridere. In quel momentoerano giunti sotto la finestra di lei."È quella la tua finestra?" domandòAlberto con un lieve tremito nella voce."...Sí..." rispose Adele. "EccoVelledafinalmente!" Ele si buttò fra le bracciacoprendola di baci; la prese per manoe simise a correre con lei. "Perchécorri cosí?" le domandò Velleda."Mi sento le ali" diss'ella "e vorreivolare!" VIQuella sera lo zio Bartolomeo ritornò tardi dallaSassosanon si parlò di passeggiate in giardinoe i lumi si spensero dibuon'ora a villa Forlani. Alberto stette inutilmente delle ore parecchiealla finestrasperando rivedere quel tal lume dietro quella tal persiana;ma la persiana rimase pudicamente chiusacome stanno abbassate le lungheciglia di una vergine cui si parli d'amore. Sembravagli che quel filo diluce gli avrebbe irradiato il cuore di tutte le aureole che ci sono in unadolce confessioneche quella finestra chiusa stesse pensando a luie chedietro quelle imposte Adelina dovesse trasalirecome luiallo stormiredi quelle frondi che il venticello agitava mollementeo che stessearrossendosentendosi accarezzare il viso da quel medesimo profumo digelsomini che carezzava il volto anche a lui. Dolci sogni dei vent'anniche le bufere della vita fanno svolazzare qualche volta sul cuoredell'uomopersino quando il sorriso dello scetticismo gli ha giàincrespato le labbra. Lozio Forlani aveva messo in campo una gita alla Sassosa; i cavalliimpazienti scuotevano le sonaglieree le giovanette si facevanoaspettare. Finalmente comparve Adele un po' pallidae con un sorrisorugiadoso. Appena vide Alberto si fece rossa rossa."Buon dícugina!" Ella gli sorrisedolcementee gli porse la mano calda e febbrile."Sempre l'ultima!" disse ridendo Velledache scendeva di corsa infilandosi i guanti. "Il mio cappellino nonvoleva saperne di star fermo! Che hai? Come sei pallida!""Ho dormito male" rispose Adele tornandoad arrossire. Albertosentí balzarsi il cuore in petto.Lo zio Bartolomeo sopraggiunse in tempocome seavesse avuto l'intuizione delle situazioni delicate."Andiamofigliuoliche il sole è giàalto." "Comesei bella oggi!" disse Velleda all'Adeleallorché furono sole.Scorse in tal modo una settimana. Velleda sorpresepiú volte la sua amica cogli occhi pieni di lagrime:"O cos'hai?" le domandava."Nullaho il cuore troppo pieno."Lo zio Bartolomeoda uomo che sa far le coseaveapreparato al nipote una grata sorpresa. La domenica successiva giunse daPistoia anche Gemmatie la sera ci fu gran veglia alla villa Forlani.Vennero dei viciniil notaio Zucchi colla sua signoraed altri tre oquattro. La serata scorse rapidamente in cosí bella compagnia; Albertovicino al suo amico fu piú allegro del solitoed anche chiassone;Gemmati era un bel giovanottotagliato un po' grossolanamentemagioviale spiritoso e simpatico; Velledache sapeva annoiarsi con garbocome una signorina ammodopestò sul piano tutto quello che vollero;Adele fece vedere l'album alla signora Zucchie voltò le pagine aVelleda; Alberto l'aiutò di tanto in tantoper avere il pretesto distarle vicinodi toccare la sua veste o la sua mano nel voltare i fogli;poi le tenne il broncio perché ell'era gaia e spensieratanon cercava diguardarlo negli occhidiscorreva col primo venutoed evitava che le loromani s'incontrassero. Andò a sedere su di un canapèrannuvolato invisoe lanciandole di tempo in tempo occhiate di fuoco. L'Adele chevedeva tutto cotesto armeggío come lo vedono le ragazzecolla codadell'occhiose la godeva ch'era un gusto.La signora Zucchiche la pretendeva ad elegante diprovinciasi dava un gran da fare per mostrarsi disinvoltaed era semprein motoora ad annoiare il signor Forlani che giocava a scacchi colnotaioora ad interrompere Velleda mentre suonavaora a far la bambinacon Adeleo la civettuola con Gemmati. Finalmente si pose a sedere sulcanapè dove era il marchesinofacendo mille moine per attirarsil'attenzione del bel biondoche se ne stava rincantucciato all'altraestremità del canapècon un certo viso da far credere che fosse incollera colla signora Zucchi.Uno dei vicini aveva recato una gran notizia: siaspettava la contessa in villa Armandi - la bella contessa Emilia dicevasi."Non dev'esser piú giovanissima la bellacontessa!" disse l'elegante signora Zucchi."Tutta Firenze parla di leie piú d'uno hafatto delle pazzie..." "Grazietante!..." rispose la Zucchi assettandosi virtuosamente sul canapè."Se non è che questo!..."Il signor Forlani tossí; Velleda suonò un accordofragoroso che non era segnato sulla cartae Adele spalancò tantod'occhi. Anche il notaio borbottò prudentemente: "Hum! hum! tutti imatti non sono all'ospedale!...".Velleda avea smesso di suonare; Gemmati stava adiscorrere con lei sottovoceella l'ascoltavasorridendo a fior dilabbro qualche volta. Poi Gemmati s'era avvicinato all'Adele e s'era datoa parlare con lei. Albertosentiva non so qual dispettoné sapeva egli stesso contro di chi; maguardava di sottecchi la cugina che non si occupava di lui com'egliavrebbe voluto. Infine si alzòe andò a mettersi accanto alla signorinaManfredini. Costei levò gli occhi dalle fotografielo fissò consicurezza da reginasí che dovette chinare gli occhi pel primo."È un simpatico giovane il suo amico" glidiss'ella. "Simpaticoassai." `Ella si rimise a sfogliare l'album; il giovane cercò cogli occhi Gemmatie lo vide presso il caminettodiscorrendo con Adele che rideva come unapazzerella. Egli si fece rosso e si mosse bruscamente per andarsenemainvece d'infilare l'uscio ch'era dietro le sue spalle trovò piú corto difare il giro del giardino per andare in camera suae dovette passarecosí vicino alla cugina da darle quasi uno spintone col gomito."Te ne vai?" gli domandò ella consorpresa. Eirispose con accento da Otello: "Sí!"."Perché?""Ho sonno" rispose bruscamente."Che bel giovane!" esclamò la signoraZucchinon cosí piano da non farsi sentire dall'Adelee osservandolacon pettegola curiosità; la fanciullatroppo ingenua per esserdiffidentesi fece rossa di giubiloseguitando a fissare l'uscio pelquale egli era partito. "Eil figliuolo della signora Cecilia?" domandò il notaio."Sí" rispose il signor Bartolomeo;"ha trentaduemila lire d'entrata in bei poderi.""E sí che il fu marchese!...""Ed anche la fu marchesapur troppo!...""Ma non parliamo dei morti. Quel ragazzo èstato fortunato di avere un parente che si occupasse dei suoi affari...Non faccio per direma non avrebbe di che pagarsi nemmen la boria delmarchesato." "Perònon sembra punto allegro!" osservò la signora Zucchi."Cosa gli hai fatto?" susurrò Velledaall'orecchio di Adele. "Io?...nullati giuro!" rispose la fanciulla turbandosi.Col cuore grosso ella andò a cercare il cugino chela fuggivae lo trovò sulla terrazzaappoggiato alla balaustrata."Cos'è stato?" gli domandò timidamentemettendoglisi accanto come un'ombra."Ma nulla è stato!"Ella non ebbe il coraggio d'insistere e tacque.C'era accanto un ramoscello di gaggia in fiore; nespiccò due o tre fiorellinie glieli porse con atto gentile. Egli alsentirsi toccare dalla mano di lei trasalí."Conosci il significato della gaggia?" ledomandò con un certo turbamento nella voce.Adele si fece di braciae accennò negativamentecol capo. "Davvero?""Davvero!""Tanto meglio!" aggiuns'egli sorridendo.La fanciulla scappò in casae corse all'orecchiodi Velleda. "Chesignificato ha la gaggia?" le domandò sottovocepiú rossa dellaveste della signora Zucchi. "Siamodi già a questi ferri?!" esclamò Velleda ridendo. "Vuol direrottura..." Lagiovinetta non volle udir altroe tornò sulla terrazza trepidante. Ilcugino teneva in mano un ramoscello di vainiglia fiorita."Vedi" le disse "io non son cattivocome te!" e le diede il fiore. Ella se lo mise in senoe congrazioso e pudico ardimentogli strappò dall'occhiello i fiori digaggiali buttò dalla terrazzae fuggí. Alberto la videattraverso ivetripasseggiare al braccio della sua amica; le due giovinettediscorrevano sottovocee sorridevano di tanto in tanto. Tutt'a un trattoAdele si volse verso il balconee baciò il fiore che egli le aveva dato.Al giovane sembrò che quei vetri s'irradiassero di luce.Sentivasi attratto verso di lei dall'incantesimopiú forte che avesse mai provato; ma ella sembrava evitarlolo guardavacon un certo imbarazzoquand'egli s'avvicinava a lei facevaistintivamente dei movimenti bruschicome per fuggirsenee rimanevaesitantea guisa di un uccello spaurito che batte le ali. Tutto ciò larendeva cosí bella che Alberto ne era affascinato; in quel momento tuttele attrattive della vitadella gioventú e dell'amore erano per lui inquel pallido visino e sotto quel modesto vestito grigio che tremava comele foglie agitate dalla brezza. Velleda era lí pressobiondaelegantegraziosacon tutto il fruscío della sua setacol profumo chinese delsuo fazzoletto ricamato - egli se ne avvide."Adeledesidero parlarti" le disse convoce tremante. Lafanciullaun po' rassicurata nel vederlo cosí commossorisposeingenuamente: "Andiamoin giardino." "No...stanottequando tutti saranno a dormire... Allorché sentirai picchiaretre colpi alla tua finestra... sarò io..."Ella sorpresa stava per domandargli la ragione ditutti quei misteri che non capivaquando Alberto la interruppe vivamente:"Zitta! ci osservano!"E tirò di lungo colla guardinga disinvoltura di uncospiratore di melodramma. Velledas'era fermata ad aggiustarsi un nastroe lo zio Bartolomeo inquell'istante era tutto intento a far vedere ai suoi ospiti che la seraera bellissima. Albertoafferrò Gemmati per manoal momento in cui stava per ritirarsi nella suacamerae lo condusse seco in giardino."Stanotte le parlerò!" gli disseall'orecchio con voce soffocata.Gemmati si fermò a guardarlo sorpresoe glirispose dolcemente: "Perchécotesta pazzia? Non la vedi sempre? Non puoi parlarle quando vuoi?""No!... non è la stessa cosa... Tu non miintendi... non puoi intendermi... non l'ami come io l'amo... L'hai vista?Com'è bella! non è vero?""Síè un angioletto.""Anche la Velleda è bella... forse piúbella... in modo diverso... Tutti lo dicono... e alcune voltevedendolel'una accanto all'altraanche io... Ma perché sembrami piú bellal'Adelina?" "Perchél'ami." "Eperché devo amar lei e non Velledache è bella per lo meno quantolei?" "To!perché ella ti ama." VIIIl tocco era suonato da un pezzo quando Albertoaprí la sua finestra - ora deliziosa che precedeva il primo appuntamentoora piena di agitazione voluttuosa e di ansia inesplicabile. La finestradi Adele era chiusa: che fisonomia singolare avea quella finestra buiaecome lo guardava! Egli esitò alcuni istanticome ogni Cesare che stiaper passare un Rubicone; poi saltò sull'erba col cuore di un ladro chescassina per la prima volta un uscio. Il silenzio era profondoe ilgiovane non aveva fatto il menomo rumore cadendo sulla punta dei piedi. Lefrondi del pergolato stormivano appena. Egli si fermòinquietoguardando attornocoll'orecchio tesocome se i menomi rumori venisserodallo zio che stesse soffiandosi il naso e prendendo tabacco. Poi siavanzò a passi di lupo fin sotto la finestra della cugina. Trattavasiadesso di picchiare quei tre famosi colpipromessi quando ci volevanoancora due ore per picchiarliquando il cuoresotto gli occhi di leipicchiava piú fortee il chiacchierío che regnava nel salotto facevasupporre che non si sarebbero quasi uditi. Tutta la poesia dei romanzeschiconvegnidelle scale di seta e dei segnali misteriosisfumò dinanzi altimore di udir tossire lo zio Forlani. Sentí di aver paurae poi cotestaconfessione che dovette farsi gli infuse coraggio. Allorché bussòleggermente alla finestragli parve di aver destato tutti gli echi dellamontagna e tutti gli zii del mondo.Quanti palpiti in quel minuto che la finestraindugiò ad aprirsi! Quanti palpiti allorché l'udí schiudersi pianpianino: con una circospezione che confessava il peccato ad alta voce! Unastriscia luminosa si disegnò sull'erba dell'aiuolae la leggiadratestolina di Adele si mostrò timidamente. Essa tremava un po'; la lunache si era levata tardiilluminava il muro di contro e riverberava unbarlume livido e dolce sul candido viso di leiche sorrideva conineffabile imbarazzoe guardava qua e làsenza osare di fissare gliocchi su di lui. Certamente si erano detto abbastanza; ma il cuginomessoalle strette da quel silenzio eloquenteincominciò:"Come sei buonaAdele!"Ella spalancò i suoi occhionie domandò congraziosa ingenuità: "Operché?" "Perchéhai accondisceso..." "Nonme lo domandasti tu?...""Sí... ma a quest'ora dormiresti... ed inveceio..." L'Adelefece certo sorrisetto e rispose:"Nonon aveva sonno... Non ho sonno daparecchie notti." "Daquando?..." "Sache è molto curiososignor cugino!" gli diss'ella dopo un istanted'esitazione. Ilcuginosenza aprir boccala guardò per la prima volta negli occhicoll'amore dell'uomo. Ella abbassò i suoi e non rise piú."Sei ben sicuro che dorman tutti?" glidomandò poco doporispondendo senza saperlo a quello sguardo."Sída piú di un'ora non si vede un sollume." Ellaritirò bruscamente la sua mano. Successe un silenzio che le diede animo ela fece sorridere: "Ebbene" gli domandò "son quache cosadevi dirmi?" "Volevo...desideravo chiederti scusa.""Di che?""Sono stato cattivo..."Ella scosse il capo lentamente: "No".Alberto avrebbe preferito dei rimproverionde averagio di menare il can per l'aia. Non seppe piú che diree rimaseimbarazzato. "Sentil'usignolo?" "Noè il passero solitario.""Che notte deliziosa!"Ella non rispose."A che pensi?""A nulla.""Non ti senti felice?""... Sí!""Che ora è?" domandò la fanciulla dopoalcuni istanticome se si svegliasse."Sarà il tocco e mezzo...""È tardisai!""Vuoi andartene?""Sí" e non si muoveva."Perché hai detto che sei stato cattivo?"gli domandò sorridendo cheta cheta."Perché... è inutile adesso che te lo dica...tu mi hai perdonato!" Epose un sospirone per punto. Ellasi mise a guardar la lunadicendole tante cose cogli occhi.Poscia vivamentecome trasalendo:"Addio! addio! È tardibuona sera!""Adele!..." esclamò Alberto mentre ellastava per chiudere la finestra. "Adele!" Ella si affacciò dinuovoma tutta tremantequasi avesse udito tutt'altro accento nella vocedi lui. Egli esitava. - Allora la fanciulla gli fissò in volto gli occhilucenti. - Il giovane sentí tutti i pudichi ardimentitutte le avidereticenze che ci erano in quello sguardo di verginee disse: "Viamo! ecco quello che volevo dirvi!".Adele divenne bianca udendo quella parola cheaspettava da un'ora. "Perdonatemi"riprese Alberto turbato dal silenzio di lei. "Vi è dispiaciuto cheve l'abbia detto? PerdonatemiAdele! Ma parlateditemi almeno una solaparolaper l'amor di Dio.""Perché mi date del voi?..." mormorò lafanciulla con un fil di voce."Ah! come sei buonaAdele! Sei buona quantosei bella! Vedia darti del tu adesso sembrami una delizia! Tu non sapevinulla! Non ti sei mai accorta di nulla! Ti amavo da lungo temposai! Sinda quando ero in collegio; ma dacché ti son vicino ti amo come... nonsaprei dirtelo io stesso... Mentre ti parloorasembrami che il cuorestia per scapparmi dal petto... Vorrei..."La fanciulla lasciò cadergli fra le mani ilramoscello di vainiglia che s'era messo in seno. Alberto afferrò quellemaninee gliele baciò con ardore."Come sei bella!" esclamò guardandola conocchi innamorati. "Quanto ti amo!"Infatti ella era proprio bella in quel momento;l'amore irradiavasi come una specie d'aureola dal rossore che la coprivadal suo sorriso incerto e pudicodai suoi occhi chini. C'era tanta lucein quegli occhiche allorché li fissò in volto ad Alberto parvegli chedue stelle lo abbagliassero. Eile parlava concitatocon quel primo irrompere dell'amore che avea vagatosino a quel giorno fra le nebulose dell'immaginazione. Le diceva di quelche sentivasi in cuoredi quel che avea fattodegli anni passati incollegiodelle timide gioiedelle amarezze soffocatedella madre cheavea perduta - come ella avea perduta la sua - di quella prima sera in cuis'era messo a sedere accanto a leidi quel che aveva visto nella tremolaluce delle stelleirradiazione di mondi sconosciutidi quel vagosentimento di un noi sparso per tutto il creatodi quelle aspirazionieteree verso una parola senza voce umanache s'erano concentrati in leie che gli inondavano il cuoretutti in una voltaal semplice contattodella sua veste. Sí sentiva immensamente felice: era la prima volta cheparlava d'amoree che una fanciulla stava ad ascoltarlo. - Ella ascoltavaavidamenteinfatti; o piuttosto beveva l'amore vergine ed entusiasta delgiovane nello scintillare dei suoi occhie nelle vibrazioni appassionatedella sua voce. Le sue povere manine tremavano come foglie`nelle mani dilui. "Mi ami?" le diss'egli con uno di quegli accenti chepenetrano sino in fondo al cuore. Ella accennò di sí col capo due o trevoltesenza osar di guardarlo."E non amerai altri che me?"La giovinetta lo fissò collo sguardo limpido efranco della verginee rispose con ingenua meraviglia:"Potresti amare un'altratu?""No... no!...""O dunque?"Ei rimase un istante pensieroso."E m'amerai sempre cosí?""Sempree insegnerò ai tuoi figli ad amarticosí!" rispose la fanciulla con sublime candore.Alberto tacquesi fe' scuro in visoed evitò diguardarla. Aveva sentito come una trafittura. La schietta rivelazione delcasto istinto materno che rivelavasi negli occhi sereni e nell'ingenuosorriso della verginesconvolgeva l'artificiosa poesia del suo cuorelofaceva precipitare dagli astri fra i quali libravasie lo faceva pensare."Cos'hai?" gli domandò Adeleche lo viderannuvolato.. "Hoche voglio essere amato da tee non dai miei figli!" risposesfogando come poteva il suo malumore. "Ho che amo tee non... Ho cheti amoperché ti amo... senza pensare ad altro... Amami cosíAdele!Amiamoci per amarci... perché altrimenti... sai...""Che cosa?""Potremmo dubitare di noi medesimi... dellenostre intenzioni... potremmo dubitare del nostro amore..."Giusto quando Alberto stava per sciorinare tutta lasua teoria dell'amore puropoetico e senza figliuolisi udí tossirealla finestra di soprach'era quella dello zio Bartolomeo. Adele scappòcome una cerbiatta spaventata; Alberto si fece piccin piccinoesgattaiolò rasente al muro. Ci volle una buona mezz'ora prima didecidersi a rientrare per la finestradopo essersi assicurato che non siudiva fiatare anima vivae che la finestra dello zio era proprio chiusa.Però fu tormentato tutta la notte dal dubbiocombinato colla tosse dellozioche quella tal persiana non fosse stata sempre socchiusacome l'aveavista rientrando - e di vento non ne avea tirato una maledetta in tutta lasera. Il giorno dopo avrebbe voluto trovarsi cento miglia lontanopiuttosto che comparire al cospetto del terribile zio.Verso le otto stava per svignarsela bel bellocolpretesto d'andare a cacciaquando il domestico venne a cercarlo giusto daparte dello zio. "Vengosubito" rispose il nipoteche sarebbe andato piú volentieri aldiavolo. VIIIAl veder la faccia patriarcale e il sorrisogiovialone dello zioil giovanotto si sentí meglioe cercò disorridere anche lui. Lo zio aveva un monte di scartafacci sul tavolinoegli occhiali sul naso. "Staviper andare a caccia?" domandò amichevolmente. "Sícarozio" balbettò il giovane con tenerezza."Scusamima ho a farti un discorsoserio." Albertosentí che si faceva piccino di nuovo. Gli occhiali dello zio gliabbacinavano la vista. "Mami sbrigherò in un fiat" riprese il signor Bartolomeo. "Homesso tutto in ordine da un mese. Non avrai che a gettare gli occhi suicontie spero che sarai contento di me."Alberto respirò liberamentee rispose ch'eracontentissimo. "Vedraiche ordine! che esattezza scrupolosa! Se avessi amministrato sempre io aquest'ora saresti... Basta! dei morti non si parla. Cotesti son atti digabella... le spese... i bilanci... il rendiconto della tutela... Stammi asentire." "Mazio mio!... le pare!...""Nonofigliuolo mio... Sono affari delicatiquesti... Ci son di mezzo io... Si tratta di tutela...!"Albertoche non capiva nulla di nullae che avevain corpo per giunta il rimorso di quella tal magagnetta della nottescorsaperdette intieramente la testa soltanto a gettare gli occhi suquelle lunghe filze di cifree si lasciò trascinare pei capelli in unlaberinto di dare ed avereriscossionipagamentibonificazioniattigiudiziarispese diverseecc.approvando del capoo sfogandosi inproteste di fiducia e di gratitudine. Dopo un par d'ore di quel suppliziovenne a sapere che lo zio Bartolomeosulle trentaduemila lire d'entrataavea fattodurante la sua tutelauna economia di lire 5876 e 97centesimi - oltre le tutte spese e la pensione pagata regolarmente alcollegio Cicognini - delle quali5876 lire e 97 centesimi avea mandato alnipote 2ooo lirequando era ancora a Pratoe senza parlare di un rigo diricevutae le rimanenti lire 387697 le consegnava al momento. Ben intesosenza voler sentire nemmeno discorrere d'indennità - diamine! non era delmedesimo sangue per nulla! Alberto gli rammentava al vivo la sua poveraCecilia! Anzi non volle neppur restituiti i tre centesimi d'avanzo.Il nipotemalgrado la sua inesperienzasentivavagamente che i ringraziamenti gli venivano stentatie che si ricordavadella tosse significativa della notte scorsa."Adessoper la vita e per la morteè benemettersi in regola per via di notaio con una buona quietanza."Alberto non fiatòe sottoscrisse tutto quello chelo zio e il signor Zucchi gli misero sotto la mano.IX Gemmatiera andato a Pistoia per un par di giorni. Alberto l'aveva accompagnatoper un tratto di strada; poi era ritornato a piediper le scorciatoie ches'arrampicavano su per l'erta fiancheggiate da siepi fiorite. La viottolasbucava sulla strada carrozzabilea pochi passiin mezzo ai folti checontinuavano a salire col monticello. Le due ragazze stavano per metterviil piede quand'egli arrivò dall'altra parte della strada maestra; sivoltarono al rumore dei suoi passie misero un oh! prolungato."Vi ho fatto paura?""Paura di che?" disse Velleda."Síci hai fatto paura" rispose ridendol'Adele. "Voleteche vi accompagni?" "Doveandremo?" "Ma..dove vuoi" rispose Velleda all'interrogazione dell'amica."Se tornassimo a casa?"La signorina Manfredini non fece alcunaosservazione; si voltò indietroe incominciò a camminare verso ilcancelloappoggiandosi all'ombrellinocon quell'altera indifferenza chel'avea fatta soprannominare la principessa."Sainon è stato nulla!" disse al cuginoAdelesenza osar di guardarlo.Velleda li precedeva senza affettazione pel granviale del giardinovoltandosi di tanto in tanto per fare unainterrogazioneo fermandosi per raccogliere col medesimo interesse unfiore o un filo d'erba. I due cugini la seguivano l'uno accanto all'altrachiacchierando fra di loroma senzadarsi il braccio. L'Adelina era un po' pallidaaveva certi rossori fuggitivicerti impeti d'allegriacome una pienezzadi vita che si fosse concentrata nel cuore. Andava lentamentequasi fossestancacon certa mollezza carezzevole rispondeva a lui con voce piena diuna dolce sonoritàe gli sorrideva senza alzare gli occhicon unsorriso velato. Entrandonel salotto Velleda sprigionò i suoi magnifici capelli bionditogliendosi il largo cappello di pagliae vi rovesciò tutto quel mucchiod'erbe e di fiori che si teneva in grembo."Cosa vuoi farne?" le domandò Adele."Il piú bel mazzovedrai!"Appena rimasero soli il cugino prese la mano dellagiovinettae le disse: "Come sei bella!". Ella gli sorrisesenza alzare gli occhi. Ilsole faceva scintillare i vetri della finestrae inondava di atomi doratiil viso della fanciulla. Ella lavorava in silenziocol capo chino sulricamoe le sue maniche si affaticavano con febbrile impazienzadicevano al giovane amato tutte quelle cose che le labbra tacevano. - Essisi parlavano da mezz'ora senza aprir bocca - lui cogli sguardi che lagiovinetta si sentiva posare sui capelli come un bacio - ella con quelsilenziocogli improvvisi rossori che passavano sulla nuca delicataecol lieve tremito delle mani."Adele!" mormorò alfine Alberto con voceappena intelligibile. Ella trasalí. "Sei in collera con me?"Essa cercò due o tre volte il buco del canovaccio dove infilar l'agoebalbettò: "Perché?""Perché non mi dici nulla...""Sto ad ascoltarti" rispose ingenuamentela fanciulla. "Miami?" Adeleabbassò il capo sin quasi a toccare il lavoro che avra fra le manie ilsangue le corse come una vampa in tutte le vene."Dammi qualcosa di tuo!...""Non ho nulla..."Il cugino prese la forbicetta: ella se ne avvideimpallidí leggermentesmesse di lavorareed attesea capo chinotrepidante. Ei prese un ricciolino di quei che le svolazzavano sul colloe lo recise. "Ahi!"esclamò la poverettadi cui le mani tremavano forte."Ti ho fatto male?""...No... mi son punto un dito..."Trascorsero parecchi giorni di gioie tumultuosenascoste in due mani che s'incontravano per casoe di sospiri riboccantidi felicitàdi rossori provocanti e di pudiche audaciedi mostruosedissimulazioniche avrebbero aperto gli occhi anche ad un ciecoe disotterfugi abilissimiche nessuno faceva le viste d'indovinare-cercandosi cogli occhiparlandosi colle maniaccarezzandosi col suonodella vocerespirando l'amore e l'amante coll'ariacol profumo deifioricol raggio del solee col canto degli uccelli. Velledaquasifosse sola a vederci chiarosi faceva vedere il meno possibile. Gemmatiera a Pistoialo zio Bartolomeo si fregava le mani guardando il bel tempoche favoriva l'ubertosa vendemmia. Era un paradiso. - Al giovaneinnamorato sembrava di vivere in un'estasi deliziosache non era priva divoluttàvoluttà sottilequasi etereache gli ricercava squisitamentele fibre piú ripostee gli centuplicava il piacere di certe sensazioni.Il suo cuore vi si abbandonava mollemente; ei non desiderava dippiúnonavrebbe osato cercare piú in là: tutte le larve gioconde che avevanopopolato i suoi sogni giovanilila donnal'amorela felicitàeranoriunite in leinel suo sorrisonella sua vocenelle carezze di quellavesticciuola che s'increspava un po' troppo sul petto e sugli omeridelicati. Allorquando lo strascico superbo di Velleda frusciava sultappeto vicino a luio le sue chiome folte gli accarezzavano gli sguardicol loro bel biondoegli guardava con piacerecome se quell'altrabellezza invece di essere una sottrazione alle attrattive di Adelenefacesse parteappartenesse anch'essa alla donna amata... o al suo amore.Del resto egli vedeva di rado Velledaall'infuoridell'ora di pranzoe della sera - non sempre però. Alcuni giorni dopol'incontrò in giardino per la prima volta sola colla larga manicasvolazzante sul braccioil viso colorito dei rosei riflessidell'ombrellinolo sguardo vagabondol'andatura graziosamente indolente.Ella si fermò su due piedigli stese la destrae gli disse con unasicurezza di frase e d'intonazione che parve pesare come una mano vigorosasulla spalla di lui: "EAdele?" "Nonl'ho ancor vista." Ellasorrise come sapeva sorridere alcune voltee disse: "Ooooh!..."Alberto arrossí per timore di farsi rosso."La troveremo forse sulla terrazzadove ilsignor Forlani sta facendo collocar dei vasi di fiori" soggiunse."Vuole accompagnarmi?"E andarono pel vialel'uno accanto all'altra. Leleggere balzane del vestito di lei sussurravano sugli stivalini di pellelucida. "Lepiace la campagna?" incominciò Alberto dopo alcuni passi."Tanto!""Ci fa delle lunghe passeggiate?""Sl.""Non si vede quasi mai la mattina!"Ella si voltò a guardarlocon una sfumatura disorpresae inchinò leggermente il capoun po' ironica."Prima eravamo in due a correr pelgiardino" soggiunse tosto come a scancellare l'effetto del suosaluto. "Ma adesso l'Adele è sempre stanca.""E non si annoia ad andar da sola?" siaffrettò a rispondere Alberto."Perché dovrei annoiarmi?""È pur vero che alle volte si preferisce starein compagnia dei propri pensieri...""Che pensieri?" interruppe Velledabruscamentefissandogli gli occhi in viso.Essi rimasero un istante a guardarsi in tal modo.Lo zio Bartolomeoche stava lí pressogridòcome se avesse indovinato la situazione scabrosa:"Ehiragazzochi vuol vedere la bellacarrozza? Correte sulla terrazza."Passò infatti un cocchio superboluccicante divernicedi stemmi doratidi livree gallonatedi campanelliadorno dinastri e di fiorialle testiere dei cavalli e agli occhielli deipostiglioni; i razzi delle ruote brillavano al sole come rapide ali diuccello; un sottil velo di polvere avvolgeva il legno eleganteimbottitodi seta come un elegante scatolinoe la bella signora che vi stava mezzosdraiataappoggiando i piedi al sedile di facciacon posa indolenteinmezzo ad una nuvola di mussolina fresca e leggiera come il tulle; il veloazzurro del suo cappellino svolazzava su tutto quell'assieme leggiadro."La bella signora!" esclamò ingenuamenteAdelina che era venuta correndo."È la contessa Armandi" disse Velleda.Alberto l'aveva seguita con un lungo sguardo.Tornarono indietro pel desinaree lo zio andavainnanzi piú lesto degli altridicendo che avea fame. Di tanto in tantoAlberto rimaneva pensierosoe non rispondeva subitoo rispondeva asproposito alle interrogazioni e ai discorsi delle due ragazzechesembravano festanti tutt'e due. A tavola parlò due o tre volte dellacontessa Armandi e dopo desinare andò a fumare in giardino.Si sentiva gonfiare in petto i germi di tutte leforme dell'amorecome un rigoglio di vitacome acri fiori di giovinezza:era uno strano miscuglio degli occhi turchini di Adeledel suo sorrisopudicoe delle lusinghedei biondi capelli di Velledadella suaelegante civetteria piú in làfra le nuvole azzurre e purpureedell'avvenireondeggiava vagamente la larva di un altro amore nebulosocome la mussolina che modellava il bel corpo della contessa Armandisdraiata mollemente nella carrozza come in un letto. - Tutti cotestifantasmi gli turbinavano confusamente nella mentegli scorrevano per levene col sangue acceso di febbre. - Quel fanciullo che cominciava a sentirla donna aveva bisogno di piangere.X Allorafu recato in villa un invito pel ballo della contessa Armandi.Andarono in una magnifica sera d'autunno. Le siepifiorite esalavano vigorosi profumi; le sonagliere dei cavalli avevano unnon so che di festoso; le fruste dei postiglioni scoppiettavanoallegramente; l'ultima squilla dell'avemaria moriva in lontananzacoll'ultimo raggio di sole che colorava di tinte opaline uno strappo dicielo. Poi venne la nottetacitastellata.Il giardino della villa Armandi era illuminatolascala adorna di fioritutte le finestre brillavano come le lenti di unalanterna magica. - Alberto guardava avidamente attraverso un'iride ditappezzeriedi coloridi dorature e di specchivedevasi un via vai digente in festa; nelle sale olezzavano profumi soavibrillavano gemmesuperbe ed occhi vellutatic'era una carezza di musicadi frasileggiadre e di raso che frusciava - e in mezzo a tutto questo una donnapiú bellapiú elegante di tutte le altreche si chiamava la contessaArmandi. Erauna delicata bellezza: l'occhio nerosuperboprofondamente evoluttuosamente solcatol'andaturala voce ed il gesto molligli omericandidi e profumati come le foglie di magnoliaondulati in linee purecarezzate dalle trecce nere ed elasticheil seno squisitamente modellatonell'avoriomarmorizzato da sfumature azzurrinevaporoso pei veliricamatilo strascico della veste susurrante in modo carezzevole dietrodi leila punta dello scarpino di raso che luccicava di tanto in tantocome una lingua serpentinala fronte altera e il sorriso affascinante. -Ella aveva quarant'anni. Allorchési trovarono faccia a faccia con Velledacoreste due donne leggiadre inmodo diversoscambiarono un'occhiata che avrebbe potuto dirsi illuccicare di due spade da duellantimentre s'inchinavano graziosamente. -La contessa sorrise all'Adeleal signor Forlanie si voltò a guardarlomentr'egli si allontanava. Tuttigli sguardi seguivano la signorina Manfredini; sembrava infatti che legrazie della sua persona sorridessero trovandosi nel proprio elemento;nella sua elegante disinvoltura c'era un che d'impazientedi avidodifebbrileche luccicava nei suoi occhie dilatavasi colle rosse naricimentre ella agitava il ventaglio chinese. Anche Alberto sorprese séstesso a seguire la direzione di tutti gli sguardie fissava lungamentela contessina - posciainquietocercò cogli occhi l'AdeleVelleda stava presso il pianoforte circondata daipiú eleganti giovanotticome una cerbiatta attorniata da una muta dicani; ma la cerbiatta teneva testa da tutte le particol briocolsorrisocon una parolacon un gestospiritosacausticaleggiadra eimpertinente. Due o tre volte volse a caso gli occhi su di Albertoe adun tratto gli fece segno col ventaglio di avvicinarsi; prese il braccio dilui e si allontanò. "Nonne potevo piú!" disse ridendo.Il povero giovane si sentí tutto sossopra."È naturale che tutti le facciano lacorte..." balbettò. "Vorrebbefarmela anche lei?" diss'ella con un accento e un sorriso singolari.Alberto ammutolíe a lei il sorriso morí sullelabbra. Passeggiaronolentamente per le saleella battendo col ventaglio il tempo di un valzerche suonavano. "Com'èbello!" esclamò Alberto."È Strauss" rispose ella distratta."O perché non si balla un giro?""A proposito della corte?" diss'ellasorridendo. Albertovolle sorridere colla medesima disinvolturama ci riescí assai male."Ebbene..." disse "sí!""No!" rispose ella col medesimo tonomaun po' piú recisamente. Ilgiovane insistette con insolito calore; ella diveniva piú capricciosa epiú ostinatascuoteva il capo con certa grazia risolutae mordevasi lelabbra con certo sorrisetto maliziosoappoggiando le spalle allo stipitedi una finestra e stringendo il ventaglio nelle mani. Di tanto in tantoquasi non se ne avvedesseraggi seduttori le scappavano dagli occhi. Adun trattosenza dir nullamentre sembrava piú ferma nel rifiutoappoggiò mollemente il braccio alla spalla di luie si lasciò andare.Essa ballava in modo singolareun po' dirittacolcapo altoe il braccio disteso. Di tanto in tanto gli diceva qualcheparola senza importanzao scuoteva con grazia inimitabile la sua biondatestolina. Si fermò all'improvvisoun po' rossaun po' smarritasvincolò con impazienza impercettibile la mano che ancora egli le tenevagli lanciò a bruciapelo uno sguardo singolareviso contro visoeimpallidí leggermente. "Nonballo piú" gli disse "sono stanca."La contessa Armandi era lí presso ed esclamò:"Che bella coppia!"Velleda rispose con un grazioso inchino. Albertopassando accanto a uno specchiovi gettò uno sguardo e poscia arrossídi averlo fatto; ma nello specchio sorprese due grandi occhi che loseguivano amorosamente dal fondo di un canapè. Andò verso la poveraAdelinala quale se ne stava modestamente rannicchiata fra due mammeesembrò rianimarsi come lo vide venire e gli sorrise cogli occhi."Non balli?" domandò il cuginoallorchéfurono soli. "Nonmi hai invitato a ballare!" rispose Adele timidamente carezzevole."Ci son tanti giovanotti...!""Non voglio ballare cogli altri...""Perché?""Perché... perché... perché nonvoglio." Eichinò il capotuttora bollente del soffio che Velleda vi aveva gettatoe si allontanò soprapensiero. Stava da qualche tempo nel vano di unafinestracolla fronte sui vetriguardando nel buioallorquando udí unfruscío di vesti vicino a luie si trovò accanto la contessa Armandi."Non balla il cotillon?..." gli domandò."Nocontessa."Ella sembrò volere aggiungere qualche altra parolama gli fece un segno col ventagliosorrise e si allontanò. Ei seguivamacchinalmente cogli occhi il turbinío di quella danza in mezzo allaquale la contessa stava come una reginadi cui tutti si contendevano unsorriso o un giro di valzer. Improvvisamente quella regina andò dirittoverso di luigli gittò come una sultana il suo fazzoletto ricamatoglimise sulla spalla la mano splendida di gemmee fra le braccia la vitasinuosa ed elastica - poiquando ebbe finito di ballarelo ringraziòcon un sorriso. "Voglioconoscerla meglio:" gli disse "facciamo un giro."Tutti gli sguardi si volsero su quell'uomo fortunatoe quell'altera beltà che passavano. Egli pensava al giorno in cui l'avevavista mollemente distesa nella sua carrozzafra una nuvola di polvere edi veli. Entrarononella stufaprofumatasilenziosaoscura. La contessa sedette. Ildiscorso andava a sbalziscucito con certa bizzaria capricciosa che ellasapeva darglistrisciando in tutti i zig-zag serpentini pei quali ellavoleva farlo passarebriosocivettuoloelegante come lei. Poi ella nondisse piú una sola parolaappoggiò il mento sulla manoe guardò qua elà con occhi distratti; il fisciú alitava lieve lievee gettava unacerta dolce ombra livida sul seno d'alabastro: ella apriva e chiudevamacchinalmente il suo ventaglioe faceva scrosciare le stecche fra diloro. Tutt'a un tratto piantò in volto ad Alberto uno sguardo e unsorriso singolarie gli disse:"Ma noi ci compromettiamo orribilmentemiocaro!" Sialzò ridendo e si allontanò.Allorchè gli ospiti di villa Forlani lasciarono lafesta erano le due del mattino. La notte era buiail cielo senza stellela campagna paurosa. Di quando in quando il vento mugolava fra le golelontane. Adele un po' melanconica stava nel fondo della carrozzaavviluppata nel suo mantello. Velleda teneva il viso allo sportello.Alberto respirava a pieni polmoni."Che bella sera!" esclamò. Velleda glirivolse una rapida occhiata. Isogni di quella notte! popolati di tutte le larve dell'amoredi tutte lefebbri della giovinezzadi tutte le lusinghe delle vanitàdi tutte leebbrezze dei piaceri! Povera Adelese avesse potuto indovinarli!XI Albertisi svegliò tardistanchissimoe col capo peso. Un raggio di solepenetrava fra le stecche della persiana e faceva luccicare la vernice delcassettone; ei gli sorriseposcia rimase a fissarlo con occhi sbarrati;infine si alzò con un inesplicabile malumore.Il suo primo sguardo fu per la finestra di Velleda:era chiusa. All'ora della colazione entrando nella sala da pranzovolseintorno uno sguardo ansioso. "Seimalato anche tu?" gli chiese Adele correndogli incontro festosa."Chi è malato?""Velledache non viene a colazione perché ècosí stanca da starne male. Avete ballato molto!"Alberto lasciò cadere il sorriso ingenuo e l'ariagiuliva della fanciulla. La colazione non fu molto gaia. Lo zio Bartolomeouscí appena alzatosi da tavolae li lasciò soli.La fanciulla guardava il cugino alla sfuggitagliporgeva i fiammiferi e la borsa del tabaccocercava di prevenire tutti idesideri di luiedopo di avere esitato lungamente:"Che hai?" domandò."Io? nulla.""Non è vero; hai qualcosa."Il giovane sentí penetrarsi sino al cuorequell'osservazionee rimase un po' senza rispondere."Ma cosa vuoi che abbia?""Mah... se lo sapessi!" rispose lafanciulla ingenuamente. Perla prima volta il giovane non poté sostenere il limpido sguardo dellavergineaccese il sigaro ed usci.Trovandosi all'apertol'ariail soleil profumodei campitutte quelle cose salubri e schiettesembravano purificarlo erinvigorirlo. Gli ebbri fantasmi della notteche avevano bisogno dellumedella stearina e delle ombre delle cortine si dileguavano allachiara luce del solee non rimaneva che la mesta e pura figurina diAdelecolle sue candide manine intrecciate sulle ginocchiae igrand'occhi turchini che l'interrogavano timidamente.Il giorno dopo la contessina Manfredini comparveall'ora del desinarefresca e rosea come prima. Alberto provò unsingolare dispetto vedendola cosí. "S'è rimessa?" le domandò."Lo vede!" rispose ella tranquillamente.Prendevano il caffè in giardino; Velleda posò lachicchera sulla tavola di marmoe si mise a dondolare su di una poltronadi legno: "E il suo amico non torna piú?" domandò dopo qualchetempo ad Alberto. Ei risposecon un po' di sorpresa: "Verrà domanio doman l'altro". "Ah!"Si alzòlasciò i due cugini in giardinoe andòa mettersi al piano. Il tocco della sua mano era secconervosoquasiaspro; la melodia errava scucitae come soffocata in mezzo ad un nembo diaccordi tempestosi; c'era l'indolenzala sprezzaturala sbadataggine dichi va seguendo sui tasti i propri pensierie non si cura di afferrarli.Quella strana musica irrompeva dalle finestre apertee soverchiavadireiturbavala pace solenne della serasembrava udirvi scoppi d'allegria egemiti soffocatie aveva qualcosa della leggiadria bizzarra dellasuonatrice. Albertosi avvicinò al pianoe stette a guardar Velleda. Ella sembrava unastatua di marmo che suonasse; calmaimpassibilecogli occhi fissi sullacarta. "Canteraiqualcosa?" domandò AdeleElla scosse il capo continuando a suonareposciasmisee si alzò. "Cosípresto!" disse Alberto "Continui a suonare almeno."Velleda alzò freddamente gli occhi su di luie glidomandò: "Cosadesidera?" "Ma...quel che le pare." Ellasi mise a sfogliare della musica senza aggiungere verbol'aggiustò sulleggíoe incominciò una canzone di Schubert.Adele erasi messa a sedere sul canapè. Albertoappoggiato alla coda del pianoteneva gli occhi fissi sulla suonatrice:costei non levava i suoi dalla cartacon certa altera freddezza; mettevatutta la sua anima nelle manidi cui gli anelli scintillavano assai piúdei suoi occhi e vedevasi solo che quel seno si gonfiava dai lucidiriflessi della sua vestesu cui cadeva il lume delle candele. A poco apoco il suono morí nelle cordele mani si fermaronoe la suonatricechinò il mento sul petto. "Èfinito?..." domandò Alberto come svegliandosi di soprassalto."Sí" rispose lei bruscamente.E andò ad aggiustarsi un fiore tra i capellibaciò Adelesalutò appena del capo Albertie se ne andò."Si soffoca qui!" disse Alberto allacugina "vado in giardino"Il domani doveva arrivar Gemmati. Alberto andò adincontrarloe dopo la prima stretta di mano il suo amico gli domandò:"O cos'hai?""Cosa mi vedi? Sto benissimo.""Stanno tutti bene in villa?""Tutti.""Siamo in broncioeh?""No!""V'amate sempre?""Non amo che lei!...""Chi ti parla degli altri?" disse Gemmati.XII Albertosi abbeverò di quel sottile veleno che lo penetrava senza che egli se neavvedessee l'ebbrezza di oggi gli dava la sete per domani - spesso nonera che un gestoun'inflessione di voceuno sguardo distrattounsorriso appena accennato. Egli stava in una continua agitazione. Non siaccorgeva nemmeno che cercava tutti i mezzi per star vicino allacontessina Manfrediniche accanto a lei era tutt'altro uomo che nonpoteva saziarsi di rimirarlach'era inquietodispettosocogitabondoquand'era costretto a star colla cuginanon si avvedeva degli innocentisotterfugidelle ingenue manovre che la povera Adele inventava pervederlo sorridere; non indovinava le domande che c'erano nel silenzio dileil'inquieta ansietà dei suoi sguardi. La poverina cercava almeno lacompagnia di Gemmaticome per sfogarsi con luicome se egli avessequalche cosa del suo amicoe stava sovente vicino a lui zitta zittaopensierosao parlandogli di cose indifferentispesso ricacciandoindietro le lagrime che le facevano velo alla vistasenza osar disvelargli giammai il suo dolore. Lo zio Bartolomeo non guardava piú iltemponon si fregava le manie prendeva tabacco con molta enfasi.Velleda non si accorgeva di nullanon mostrava di evitar Albertoma loincontrava assai raramente da sola. Al contrariosi trovava piú spessocon Gemmatistava piú volentieri a discorrer con luigli si mostravagraziosasi faceva accompagnare nelle sue passeggiatee faceva gravaresu di lui il peso dei suoi capriccetti bizzarri.Una volta Gemmatitornando da cacciaaveaincontrato le ragazzeAlbertilo zio Forlanii coniugi Zucchilaintera comitiva insommaal cancello del giardino. Tutti si eranoaffrettati attorno al suo carniere ben pieno facendogli i mirallegro.Velleda sola rimaneva zitta. Però la signora Zucchich'era moltosensibileoffuscava un po' la gloria del cacciatore fortunato conesclamazioni compassionevoli verso una "tortorella fedele" cheteneva spenzoloni per un'alae se la prendeva col crudele divertimentocolla durezza di cuoreecc. Velledaseria serial'interruppe:"Se fossi un uomo non vorrei far altro.""O tu perché non sei venuto?" domandòGemmati al suo amicomentre s'avviavano verso la villaGemmati rimase alquanto sorpreso dal tono di quellarispostaconsegnò schioppo e carniere ad un domesticoe andò coglialtri; ma lungo il giorno fu pensierosoed anche inquieto. Guardavaqualche volta il suo amicotutto annuvolatoe che evitava visibilmentedi trovarsi con lui. Alla fine approfittò di un momento in cui eranosolie gli disse: "Albertostammi a sentire... Da qualche tempo ce l'hai con me!"- "Io?" disse Alberto senza guardarlo.Sítue non so perché. Cosa t'ho fatto?""Nullat'inganni. Perché dovrei avercela conte?" Gemmatigli prese la manoch'ei non osò rifiutarglie gli disse guardandolonegli occhi: "Sarestigeloso?" "Geloso?..."disse Alberto trasalendo"e di chi?"L'altro ebbe un moto di sorpresa."Ma... dell'Adele.""Perché sarei geloso?" replicò Albertodopo un breve silenzioe fissandogli gli occhi in viso per la primavolta. "Non fai la corte alla Velleda per conto tuo?""Io?""Sítu" insisté con un sorrisostentato; "oppure è lei che la fa a te"Gemmati scoppiò in una buona e franca risata."Sei matto! Io sono un povero diavolo di medicoin erbae lei una contessina che ha piú anelli ch'io non abbiaquattrini... Come vuoi?.. Del resto... Ma a te che te ne importa?""Nulla me ne importa.. proprio nulla. Ho dettocosí per convincerti che non potevo esser geloso di te a motivo diAdele." Gemmatistette ancora qualche istante guardandolo negli occhie stringendogli lemani; e riprese da lí a un momento:"AscoltamiAlberto: forse non sai tu stessoqual tesoro sia il cuoricino della tua Adelee come ti amila poverafanciullacon quanta sinceritàe con quanta delicatezza... e come tinasconda i suoi timorii dispiaceri che le dai senza accorgertene.. Saiche se tu la tradissi faresti... To'ci vogliamo abbastanza bene perdirti la parola tal'e quale - una viltà!"Da alcuni giorni la povera fanciulla amava anch'essala solitudinenon perché si vedesse negletta dal cuginoché quando lovedeva sorridere le si schiudeva il paradisoma pel dolore di vederlocosí... cosí... non lo sapeva lei stessa. Ei la trovò su quel sediledove la luna li avea visti l'uno accanto all'altrae sentí qualche cosache gli stringeva l cuore; la poverina stava a guardarlo timidamentespalancando gli occhi per dissimulare le lagrime che le spuntavanoe nonosando chiamarlo nemmen cogli sguardi ei le si avvicinò col sorrisofalsocome un colpevole. - Allora Adele gli afferrò la mano convivacitàe scoppiò in pianto.."Perché piangi?" disse Albertoquasianche lui colle lagrime agli occhi."Ohperché son felice!... Guarda chematta!" Stetteroun po' insieme; egli parlava poco e distratto; essa lo guardava dinascostoquasi temesse di annoiarlo."Albertomi permetti che ti dica unacosa?" balbettò infine timidamente."Di'.""Confidami cos'hai!""Ma cosa mi vedi?""Non lo so... Non sei piú il medesimo..."Egli arrossí lievemente."Perché mi fai cotesta domanda?" dissebruscamenterialzando il capo da una specie di meditazione."Perché... perché sei molto cambiato."Egli parve esitare."Temi che non ti ami?"La fanciulla lo guardò attonitae risposeingenuamente: "Perchénon mi ameresti? Non me l'hai detto tu stesso che mi ami?""Voglio dire... se temi che non ti ami piú?""Non me lo direstiin tal caso?" risposeAdele al modo istessoe senza distogliere gli occhi dai suoi."Dunque?..." balbettò il giovanee queldunque gli s'inchiodo nel pensiero."Dunque sarei proprio un vile!" mormoròallorché fu soloe fuggendo per la campagna come se alcuno l'inseguisse.XIII "Comeva che non s'è piú vistomarchese Alberti?" udí esclamare dietrodi sé. Sivoltòe vide la contessa Armandi a cavalloche si era fermata sullaviaa due passi da lui. La contessa stava bene in sellal'amazzonedisegnava elegantemente il suo bel corpoil velo azzurro le svolazzavasul visoquasi la baciassela cavallacol freno tutto bianco di spumaallungava il collo e scuoteva la bella testolina colla grazia di unagazzella addomesticata. "Bisognavaproprio incontrarlo per via!" disse l'Armandi stendendogli la manoall'altezza del suo ginocchio. "Fortuna che viene a cercare i dolcitramontie i bei punti di vista!... Farebbe anche dei versimarchese?" Ilsorriso di lei era cosí gaioche il giovane se lo sentiva quasicomunicaree rispose: "Nonho questo viziocontessa.""È innamorato dunque?""Anch'ella ci viene senza far versiné essereinnamorata..." "Chene sa lei?" domandò con un sorriso che lo scombussolò del tutto."Ma...""Non posso essere innamorata di mio marito... odella mia Zelia?" aggiunse con quel risolino mordente e leggiadroguardandolo ardita e civettuolae giocando col pomo del frustino fra icrini della cavalla. "Però"riprese "ella che non ha né maritoné Zeliaamerà la biondaola bruna. Quale delle due?"Il giovane arrossívolle negaree rimaseimbarazzato. Lacontessa stava a guardarlo col gomito sul ginocchiola guancia sullapalmae una provocante ironia negli occhi.E dopo averlo ascoltato cosí fra ironica emotteggiatrice soggiunse con una gran serietà:"È vero! Ella è troppo giovane per amare labrunae non amerà la bionda che per un quarto d'ora. Ella non ama che lasua giovinezzae la donna allo stato di nebulosa. Addio. Quando avràbisogno del consiglio di una buona amica venga a trovarmi; cosí m'avròla sua visita che aspetto da un pezzo."E spronò Zeliasenza dare il tempo ad Alberto dibalbettare le scuse che gli si leggevano in volto. Poi arrestò di bottolo slancio della cavallae rizzandosi sulla staffa con piglio grazioso edarditosi voltò indietroe gli disse da lontano:"Ohnon sono in collera... e perprova!..." sul ciglione della via spuntava una margherita tardiva;ella la recise di un colpo di frusta "ed in prova le lascio unricordo: consulti l'oracolomarchese."E sparí come un lampo."Hai visto la contessa Armandi?" domandòa tavola Gemmati. "Sí""Cosa t'ha detto?" aggiunse Adele.Alberto s'imbrogliò nel racconto di una storiellametà vera e metà inventatasi confuse e si fece anche un po' rosso. Lozio Forlani tossí due o tre voltee Velleda gli rivolse una rapidaocchiata. "Chebella signora!" disse per cambiar discorso.Il giorno dopoquando Alberto stava per andare avilla Armandiincontrò per caso la signorina Manfredini presso ilcancello. "Vadalla contessa?" gli domandò."Sí.""Ci tien proprio a far cotesta visita?""Ma... tenerci...""Se non ci tiene non ne faccia nulla per oggi.Il tempo è bello; andremo alla Sassosa in carrozza con Adele."E per la prima volta chinò gli occhi dinanzi allosguardo di lui. "Sí..."diss'egli"sí!" XIVAdele accettò l'invito tutta giuliva. Era tantotempo che il cugino sembrava le tenesse il broncio! Ma in quella comparveil babbocon un viso piú scuro del solitoe chiamò la figliuola nellasua camera sotto pretesto di farle un discorso serio.Alberti ascoltava assai distratto i discorsi cheteneva Velledala quale era assai piú calma e piú padrona di sé. Adeleritornò poco dopopallidatutta sossoprae col viso ancora bagnato dilagrime. "Cos'èstato?" domandò piano il cugino.Ella lo guardò cogli occhi lagrimosiil petto lesi gonfiòe scoppiò a piangere."Nulla! nulla!" rispondeva ostinatamente atutte le interrogazioni di lui che si sentiva trafiggere il cuore da quelpianto. Dopocirca una mezz'ora ritornò lo zio. Era serio in visoma con quell'ariadi burbero benefico che gli andava a meraviglia. Egli fu amabilissimo conVelledae accarezzò il nipote sulla spalla."Il tuo baio mi sembra un po' malato" glidisse. "Vuoi venire a vederlo?"Alberto sentí in nube che il suo baio stava assaimeglio di come egli non si sentisse in quel momento; pure seguí lo ziodi cui il viso andava rannuvolandosi a misura che si allontanavano dalpergolato dove avevano lasciato le ragazze. Arrivati nel viale rimpettoalla scuderiach'era dall'altro lato della villaei si fermò su duepiedidominando il nipote da tutta la maestà della sua corpulentastatura e del suo sguardo da zio."Albertotu sei il figliuolo della mia caraCecilia!" incominciò solennemente."Zio mio...""E sei anche un ottimo ragazzo... non hodifficoltà di dirlo." "Ohmio zio..." "Ioti voglio e ti vorrò sempre del beneda secondo padre che ti sono. Tupuoi vedere come ti ho accolto in casae come..""Graziezio mio!...""Ma che lavoro mi fai in ricambio!Alberto si fece di bracia."M'hai stregata quella povera bambinadi'?..." Ilnipotecon tutti i colori dell'iride sul visoteneva gli occhi fitti aterracome se avesse voluto sprofondarvisi. Lo zio tacque maestosamenteaspettando risposta per alcuni secondi; indi riprese in aria paterna:"M'accorgo dal tuo imbarazzo che capiscid'esserti condotto assai malee che ne sei pentito!..."E mise una seconda pausa; ma la risposta cheaspettava non venne. "Mene sono accorto soltanto oggi... troppo tardi! Ma avrei potuto diffidaredi tedel sangue miodel mio secondo figlio.. ché per tale tiho?..." Albertonon fiatavama andava ruminando come diavolo lo zio se ne fosse accortoproprio adesso che egli non pensava quasi piú alla cuginae ricordavasidella tosse che si era udita quella sera del famoso colloquio con Adelinae che in buona coscienza aveva allora attribuito allo zio. Costuivedendoche il nipote non si risolveva a parlaree rimaneva impalato quasi fossestato di sassoriprese: "Meaculpa! mio danno! i cocci li pagherò io! io che son stato troppo ciecofiducioso come... come un galantuomo... Quella povera figliuola passeràqualche grosso guaio... ma pazienza!""La sposerò!"rispose Alberto pallidocome un cencio. "Figliuolmio!" esclamò il signor Forlani abbracciandolo teneramente."Non ho mai dubitato di te!"Ritornarono sotto il pergolatonon curandosi altrodel baio che mangiava tranquillamente la sua avena. Velledasenza alzaregli occhi dal lavoroli saettò di uno sguardo che avrebbe fatto onore adun diplomatico. Adele chinò maggiormente il capoed impallidí."Figliuola mia" le disse il babbo appenaAlberto si fu allontanato; "tuo cugino Alberto mi ha domandato la tuamano. Posso parlarne qui dinanzi alla tua amica che è come unasorella." Adelelasciò cadersi il lavoro di manoe si fece biancaVelleda si alzò comeper lo scattare di una mollacorse a lei in furial'abbracciò e labaciò a piú ripresepoial sopravvenire di Albertigli sorrisegraziosamentee gli stese la mano."Che Iddio vi benedicafigliuoli miei!"finí il signor Forlani abbracciando i due giovani nel tempo stesso."O come il babbo se n'è accorto adesso?"esclamò ingenuamente Adeleallorché rimasero soli.La felicità della poveretta era cosí grande chesembrava irradiarsi anche sugli altri. C'era tanto affettotantagratitudinetanto abbandonotanta espansione nella sua gioia che Albertocredette un istante il suo amore si fosse galvanizzato.Gemmati avea fatto una corsa sino a Pistoia;ritornando alla sera trovò tutti in festae come seppe di che sitrattava abbracciò Albertoe gli disse con quel suo fare calmo eschietto: "Beneamico mio!" XVAlberto fu insolitamente mattiniero. Tornando dallasua passeggiataudí suonare il pianoed entrò nel salotto.Trovò Velleda al pianoforte; com'egli apparvesull'uscio le ultime note sembrarono trasalire."Ohil signor Alberto!"E gli stese la mano con calma perfetta.Ei s'assise accanto a leie stette ad ascoltare."Non lo sa?" diss'ella dopo alcuniistantie senza smetter di suonare "aspetto la mammaoggi.""Oh! L'avremo per qualche tempo con noi?""Per un giorno. È venuta a prendermi.""Va via?""Sí.""Quando?""Domani.""Cosí presto!""È piú di un mese che son qui."Alberto tacqueed ella continuò a suonare."Che pezzo è codesto?" domandò infine."Uno studio di Liszt. Le piace?""Sí... molto..."Egli si alzòe si mise a guardare fuori dellafinestra. Poi tornò a sedersi al medesimo postoe dopo alcuni istanti disilenzio le disse: "Ci rivedremo?"."Ma... sí..."Egli non disse piú nulla; anche il pianoforte sitacque. Rimasero zittiimmobilisenza guardarsi.Ad un tratto si udirono dei passi vicino all'uscio."Lasciatemi" esclamò Velleda bruscamentedandogli per la prima volta del voi.Entrò Gemmatiseriofreddo; scambiò due o treparole colla contessinapoi prese Alberti pel braccioe lo condussefuori con un pretesto. Dopoalcune centinaia di passiGemmati alzò gli occhi in viso al suo amicoper la prima volta gli disse:"Son venuto a cercarti per dirti una cosa.Domani vado via." Albertoparve un istante colpito da quell'improvviso annuncio; ma ad un trattoavvampò in viso e rispose masticando un sorriso:"Accompagni la contessina Manfredini?""Vado solo:" rispose freddamente Gemmati;"partirò stasera.""Ohfai pure il tuo comodo!"Gemmatidopo una lieve pausariprese:"Dunque l'hai fatta?""Cosa?""Quella cattiva azione.""Luigi!" gridò Alberto."Non andare in colleraperché in tal modo midai ragione; vediio che non ho torto non andrò in collera: se gridigriderò piú alto di te quello che la tua coscienza ti dice sottovoce; setenti di picchiarmipicchierò piú forte. Partirò staseraperché nonvoglio stare a vedere certe scene; tu mi fai rabbiae quella poverabambina mi fa pietà; le mie parole non son giovate a nulla; almeno nonvedrò coi miei occhi... Se avrai la forza di essere quello che sei statosempreun galantuomoverrò ad abbracciarti e a domandarti scusa... Seno... non ci rivedremo piú; addio!"XVI Versosera giunse la contessa Manfredini. Era una bella signora che si erafermata ai quarant'annibionda come la figliuolacolle labbra sottiliil sorriso affabilee quel gentile accento toscano che sembra una carezzadella parola. Si sarebbe detta una donna tutta miele dai capelli allabocca; era discretaindulgenteriservatasemplice e spiritosaall'occorrenzae quando voleva poteva assumere certe arie matronali chebisognava vedere! Fu talmente gentile e affettuosa con Adele da faringelosire Velledase Velleda non fosse stata buona come la mamma; trovòdue o tre parole da fare andare in solluchero Albertie fu cosí graziosacol signor Forlaniche costuiper rispondere di galanteria alla suamanieraavrebbe voluto farle bere di tutti i fiaschi della sua cantina.Dopo il pranzo le ragazze si misero al pianoil signor Forlani preparò ifamosi scacchie il vento cominciò a gemere al di fuori."Ci faccia sentire qualche cosa!" disseAlberto a Velleda con voce lievemente commossa.Ella parve esitare."Sii buonavia!" aggiunse Adele."È l'ultima volta che ci vediamo;"rispose finalmente rivolgendosi ad Alberto; "non le posso ricusarnulla." "L'ultimavolta?" esclamò Adele. "Hodetto per ischerzosai!"E si mise accanto al pianoscelse la sua musicael'Adele si dispose ad accompagnarla.Cantava con una mano appoggiata al pianoforte: laluce delle candeledifesa dalle ventolegiocava coi delicati chiaroscuridel suo viso; nella sua voce c'erano vibrazioni che facevano trasalireche gli ascoltatori sentivano scorrere nelle loro fibre; i giocatoriavevano lasciato gli scacchi; Adele stessa di tanto in tanto alzava gliocchi verso di leicon un sentimento d'ammirazione. Tutt'a un trattoVelleda lanciò uno sguardo rapido e fiammeggiante come una stoccata adAlbertoche ascoltava cogli occhi fissi su di leipallido e turbato."Come hai cantato stasera!" lc disse Adeleabbracciandola. Ellasorrise sbadatamente. "Fammidare del fior d'aranciomi sento un po' agitata."Adele andò ella stessa.Velleda rimase al cembaloe vedeva Alberti senzaguardarlo. Ei le si avvicinò lentamente come affascinatoe le si miseaccanto - ella sembrò non accorgersene."Vorrei parlarvi!" disse finalmente ilpoveretto con voce sorda. Lacontessina chiuse il libro tranquillamente e levò su di lui gli occhisereni: "Stoad ascoltarvi." "Vorreiparlarvi da solostanottein giardino!" ripeté Alberticoll'ostinazione quasi minacciosa di uno che stia per ismarrire laragione. "Èmatto?" diss'ella freddamente.Le labbra del giovane si fecero smortee tremaronodue o tre volte senza poter proferire parola: "Sícredo d'essermatto davvero!". "Maio non lo sonodavvero!"Alberto guardò Velleda in tal modo che ellain unsalotto pieno di genteebbe paura."Sarete cagione di qualche disgrazia!""Io?""Voi!" rispose con fermezzaguardandolafisso. "Masa quel che mi proponelei?" disse la giovinetta con fierezza."Ho bisogno di parlarvistanotte!"insisté Alberto con ostinata tenacità.Adele entrava in quel momento da un uscio accanto alpianoe udí quelle parole come se un demone gliele avesse incise nelcuore coll'artiglio. Ella si appoggiò all'uscio prima d'entrare; ma nellapiú debole fanciulla ci son miracolose energieed ebbe la forza dimostrarsi calma allorché sollevò la tenda. Alberto insisteva collosguardosenza avvedersi di lei.Velleda indovinò un po' d'imbarazzo nel contegnoscambievole. "Saiche cosa gli dicevo?" le disse all'orecchio "che songelosa!" Idue fidanzati trasalirono in modo diverso."Gelosa di me?" balbettò la poverafanciulla. "Noma di lui. Ei mi ruberà il tuo cuore."Alberto chinò gli occhi e arrossí.La contessina incominciò a discorrere di millecosespiritosa e disinvolta come sempree la conversazione si fecegeneralespiegò e raccolse le ondeggianti sue reti di parole che avevanosignificati diversi pei diversi attori di quella scena. Adelecoll'animastraziata dall'angosciaosservava il cugino che sembrava intento ad undiscorso interiore. A un trattoguardando alla sfuggita Velleda concert'occhi da spiritatoei scappò a dire fuor di proposito:"Ebbene?" un ebbene che avrebbe stonato orribilmente nellaconversazione generalese in quel momento tutti non fossero statidistratti da una discussione abbastanza calorosa. Adele fu eroica perforza d'animoVelleda mostrò una sorprendente presenza di spirito: presela musica del Ballo in Maschera sbadatamentecominciò a scorrerne lepaginee canticchiò "Io là sarò... alle tre." Si alzòsimise al pianocome invogliatasi repentinamentee cominciò a suonare lastretta. "Grazie!" le disse Alberto cogli occhi. Adele sentíche le si spezzava qualcosa dentro il petto.XVII Erauna di quelle ultime notti d'autunno che preludiano l'invernoscura etempestosa. Gli alberi si contorcevano sotto un vento furioso che gemevacome voce umana; i cani uggiolavano spaventati; l'aria era talmente caricad'elettricità che sentivasi quel vago senso di terrorefantasticaattrattiva della notte. Albertosaltò giú dalla finestraquella medesima finestra che avea scavalcatoqualche tempo innanzi con tutt'altro amore nel cuoree non volse gliocchi a quella della cugina se non per spiare se potesse esser visto. Intutto il suo interno non c'era che una sola ideaindistintaciecaaffascinante; passeggiò innanzi e indietro pel viale che correva dinanzialla villacoi capelli irtie il sudore sulla frontementre il ventoululavae le foglie degli alberi sembravano scrosciare per gragnuola; ilbuio che l'avvolgeva lo penetrava del tutto; sentiva dentro di sé certomugolío tempestososomigliante al vento che gli faceva sbattere sul visole foglie morte. Due ore scorsero in un lampo; ci avrebbe passeggiatotutta la notte senza accorgersenesotto la pioggiain balía del ventosotto l'uragano. Tutt'aun tratto sentí afferrarsi da una manoquasi le tenebre avessero presocorpo. "Velleda!"esclamòprorompendo in quel nome che lo riempiva tutto."Ebbeneche volete.""Velleda!" ripeté.Ella non lo vedevasebbene lo toccasse quasiequella vocenel buiole faceva paura."Sapete quel che m'avete fatto fare?...""Sílo so!" rispose risolutamente."Voi! il fidanzato di un'altra!...""Sí.""Il fidanzato della mia amica!...""Sí!""M'avete minacciato di fare una pazziaperfarmi commettere una pazzia!""Sí!""Cosa dovete dirmi?""Che vi amo!" diss'egli con voce sorda."Io venni qui per dirvi che sono la figliuoladel conte Manfredini!" rispose Velleda con la voce fremente diorgoglio. "Ioci venni per dirvi che son pazzo di voi!" ribatté Alberto.Successero alcuni istanti di silenzio."Oh! se avessi potuto prevedere!"Alberti esclamò duramente:"Voi lo sapete da molto tempo!""No!"Egli non batté palpebra.diss'ella finalmente."Sí" riprese con febbrile esaltazione;"avete sorpreso il mio pallore da Cainoavete indovinato il miotremito e i miei sguardi da Giuda; vi siete vista nello specchio e avetepensato: son bellami amadeve amarmideve contorcersi a strisciare alpari di un insetto calpestato dal mio stivalino!..."Velleda trasalícome se il demone dell'orgoglioavesse accarezzato con lingua di fuoco tutte le vanità della donna."Síl'ho temuto" disse "e sonostata piú forte di voi!""Ne avete riso!...""Io vi amavo già!" disse ella connobiltà. Albertibarcollòe cercò inutilmente una parola che esprimesse l'irromperedella sua passione: "Vogliovedervi!" gridò. "Lasciatemi vedervi!"Ella scorse gli occhi di lui scintillare nel buiocome quelli di una belva. Il forsennato la spinse per forza verso quellaparte del viale dove gli alberi erano piú radi e l'oscurità meno fittal'afferrò per le tempiele rovesciò il capo all'indietroe la baciòcon labbra di fuoco. Velleda mise un gridoche il vento soffocò."Marchese Alberti;" disse pallida come unospettro"io non vi aveva fatto l'insulto di diffidare di voi."Ei si arretrò di due o tre passi."Ascoltatemi benesignore! Son l'amica diAdelee mi sento ancora degna di leie di me. Questa è l'ultima voltache ci vediamo; vi parlo come attraverso un abisso insormontabilecomestessi per morire per voi: ecco perché non vi ho nascosto e non vinascondo nulla. Non vi ricambierò d'amore giammai! Io farò il miodoveree prego Dio che voi facciate il vostro""Qual è il mio dovere?" domandò Albertia guisa d'uomo colpito dal fulmine."Dimenticatemiè il meglio che possiatefare." Albertorispose con un fosco sorriso."Ebbeneio farò il mio" soggiunseVelleda dopo un istante di silenzio."Ho previsto tutto quello che potrestefare" diss'egli con tenacità disperata. "Voi mi fuggireteiovi seguirò; mi disprezzeretevivrò per vedervi; non mi amereteviamerò io!..." Cosídicendo sembrò che gli mancassero le forzecadde lentamente sui ginocchidinanzi a lei abbracciando la sua veste. Velleda gettò un lungo sguardosu quell'uomo che singhiozzava ai suoi piedi."Alberto!" disse dolcemente - ei balzò inpiedi. "Albertolasciamoci degni l'uno dell'altro; dimentichiamo unistante di debolezza e di follía; siamo forti!...""Che bisogno avete di esser forte voi?"domandò il giovane con terribile ingenuità. "Quali debolezzesentite? quali follie temete?"Ella chinò il capo senza rispondere.Alberto attese due o tre secondi in ansia mortale."Ma parlatein nome di Dio!" gridòdelirantescuotendole le mani con asprezza. "Mi fateimpazzire!" "No!"esclamò dessa. "No!... no! Mai!"E fuggí come un'ombra.XVIII Icontadini dei dintorni udirono abbaiare i cani tutta notte come se unabestia randagia avesse scorazzato per quei monti. Alberto rientrò versoil mezzogiornosotto pretesto d'aver fatto una lunga passeggiatamattinalestancotrafelatofebbricitante. Alla villa trovò tuttosossopra: i domestici andavano e venivano in furiala carrozza eradinanzi alla portacoi cavalli ancora fumanti di sudore; lo zioBartolomeo era ritornato allora allora in compagnia del medico. Durante lanotte Adele era stata assalita da un accesso di febbre violentissimo. Aquella notizia Alberto si sentí mancare il cuore.Trovò lo zio sull'uscio della camera di lei."Dove sei stato?" gli domandò.Ei balbettò delle bugieal par di un colpevole. Lozio era cosí turbato da non accorgersi del turbamento del nipote."La povera Adelina sta malesai!" glidisse. "Non si sa che diavolo abbia; anche il dottore ci ha perso illatino. Entra pure. Adelec'è qui Alberto!"Il giovane incontrò gli occhi di Adeleardenticome carboniche lo fissavano senza dir motto; tutti i muscoli del visodi lei sembrarono decomporsi. Il dottore stava a capo del lettoe tenevafra le dita il polso dell'inferma; ei volse al sopravvenuto uno sguardoche sembrava scrutatore. "Chiè quel signore?" domandò il medico al signor Forlani sottovoce."Mio nipote Albertoil fidanzato della miafigliuola." "Èstrano!" borbottò l'altro. "M'era parso di sentir trasalire ilpolso." Esi mise nuovamente a guardare in viso l'inferma che stava immobilecogliocchi fissile guance accesele manine che stringevano di quando inquando convulsivamente la rimboccatura della copertae le labbra agitateda un tremito nervoso. Lacamera era quasi al buio; si udiva solo il tic-tac dell'orologio ed ilcinguettío degli uccelli sul davanzale della finestra."Avevamo passato tranquillamente la sera incasa" diceva il signor Forlani a mo' d'informazione; "la miabambina era sana e allegra come sempre; ella non ha chiamato una solavolta in tutta la notte; la Gegia che dorme vicino alla sua cameranonl'udí muoversiné fiatare; stamane poi me la trova in quello stato ecolla finestra spalancataper il gran vento di stanotteo perchél'abbia aperta ella stessasenza ricordarsene poisentendosi soffocaredal sangue che le montava al capo. Dalle otto a questa parte è statasempre in quello stato; non parlanon rispondesembra non abbiaconoscenza. La contessina Manfredinila sua piú cara amicaè venuta adirle addio prima di partireed ella non se n'è accorta; anzivedendolaentrareè divenuta pallidaha chiuso gli occhie allorché la suaamica volle baciarla fu colta da un accesso di febbre o di convulsionesidiede a tremare e a rabbrividire che faceva pietà; non ha risposto unasola parola a tutto quello che le diceva la contessinasembrava nonsentisse proprio nullae seguitava a stringere convulsamente larimboccatura della copertacome la vede fare adesso; d'allora non haaperto mai bocca." Ilmedico non diceva nulla. "GuardaAdelec'è qui il tuo Alberto!" riprese il signor Forlani ad altavoce. Albertospinto da luisi accostò al letto. L'inferma lo fissò con quegli occhispalancatilucidi e senza sguardotalmente che egli non poté fare ameno di chinare i suoi. "Staimalepovera Adele?" mormorò con voce commossa.La poverina incominciò a tremarequasi fosse coltadal ribrezzo della febbrema non rispose."È il tuo Alberto!" insisté il babbo.Ella tremò piú forte."Non mi conosci?" balbettò il giovanenon sapendo che direpiegandosi verso di lei."È partita!..." disse l'Adele con unsoffio di voce appena sensibilee con tale accento che lacerò il cuoredi lui. "Cos'hadetto?" domandò il babbo."Non ho inteso..." rispose Albertochinando gli occhi dinanzi agli occhi di leiche lo fissavano sempre.XIX Igiorni seguenti trascorsero in alternative di speranze e di timori per lavita della giovinetta. Alberto non ardiva piú comparirle dinanzi edomandava sempre sue notizieinquietoagitatopiú sofferente di lei.Se fosse morta gli sarebbe parso di aver commesso un assassinio.Finalmente Adele migliorò; ma come andavainoltrandosi nella convalescenzamostravasi piú fredda e riservata versodi luicercava mille pretesti per non ricevere le sue visite evitava dirispondergli e di guardarlo in faccia. Finalmente un bel mattino capitòin camera sua lo zio Bartolomeoil qualedopo avergli parlato dellapioggia e del bel tempoquasi non sapesse da che parte incominciareglidisse infinecon mille proteste di rincrescimentoche quanto amatrimonio non se ne sarebbe fatto nullaalmeno pel momento."Adele non vuole sentirne parlare. È uncapriccetto da convalescentecosa vuoi? Bravo chi sa leggervi. Ti volevaun gran benee te ne vuole di molto tutt'ora. Ma che diavolo di novitàl'è saltata in mente? Cosa vuoi farci? A me rincresce piú di techevorrei poterti dir figlio due volte!... Ma passerà!... Ohpasserà!" Albertocapí assai piú in là dello zioe si trovò piccino dinanzi a quelnobile sacrificio della fanciulla; maegoista come un innamoratononseppe indovinare quante lagrime e quanti dolori fosse costato quelcapriccetto da convalescente alla povera Adele.Poco dopo ricevette una lettera di lei."So tutto. PerdonamiAlbertoma il cuore misi spezzava. Dio mi ha dato la forza di non tradirmie nessuno sapràgiammai il motivo della mia risoluzione. Ma a te bisogna pur dirlopernon farti credere anche a te che sia un capriccio... perché il miorifiuto non ti umilii... e per dirti che ti amo ancora. Capirai che se tiscrivo cotestoadessovuol dire che non sarò giammai piú tuanon cirivedremo mai piú... e ti prego di partire senza cercar di vedermi.Addio." Ilcugino partí per Firenze di nascostocome un ladrosenza volgere unaocchiata a quella finestra di cui le persiane rlmanevano ostinatamentechiuse da molto tempo. XXAlberto era giunto a Firenze in una disposizioned'animo singolare - vergognoso di sécercando Velleda e temendo dirivederlaavendo spesso dinanzi agli occhi il viso pallido e gli occhiardenti di febbre della cuginae bevendosenza avvederseneil fascinodi quell'altra e tanto diversa bellezza che l'aveva sedottocoll'aria cherespiravasembrandogli che il vento delle colline rendesse il profumo diquei biondi capelliche ogni angolo della cittàche l'eleganza deinegozii di modeil fasto degli equipaggiil sorriso delle donneavvenentila giovinezza che sentivasi gonfiare tripudiante nelle veneavessero qualche cosa della Manfredini.La madre e la figlia abitavano un grazioso villinopiccino e civettuoloposto a ridosso dell'amena collina di Bellosguardo.Il giardino era diligentemente tenutole lance del cancello sembravanodorate ierii viali non avevano né un sassoné un filo d'erbail murodi cinta era tappezzato di pianticelle rampicantigli arbusti eranorimondati con cura. La casa era a due pianisemplicebiancacircondatad'albericolle persiane verdidietro le quali si vedevano scintillare ivetri. Allorchéil timido innamorato osò spingere un po' piú innanzi le sue ricercheseppe che il villino era desertoe che le signore Manfredini non eranoancora ritornate in città. Albertiera quasi sconosciuto a Firenze. Quello stato d'isolamento dava unafittizia tenacità alla sua passioneanche senza la sua immaginazioneche ostinavasi a mettere il bruno al suo cuore. - Però egli avea ventianni. Intantoera sopraggiunto il carnevalee il giovane Ortis non s'era fatto scrupolodi andare ad un veglione della Pergólaera stato spinto qua e làci siera annoiatoma c'era rimasto a guardare con tanto d'occhi spalancati.Tutt'a un tratto una bella mascherina gli si fermò di facciasaettandolodi un sorriso indiavolato e con due occhi scintillanti attraverso i foridella maschera. "Ciao."Alberto le fissò addosso un lungo sguardochevaleva per lo meno quanto il ciao.La mascherina era vestita da paggio italiano delXIII secolosveltafrescaelegantesembrava bella come un amore."Sai che sei un bel biondino!" gli dissenella lingua officiale del palcoscenico della Scala il paggettoprendendogli le mani. "Noncapisco il turcobella mascherina.""Non capisci che mi piaci?""E tu?" rispose Albertodiventato arditoanche lui "sei bella?""Guarda!"Scostò rapidamente la maschera e l'abbagliò."Addiomarchese Alberti!" disse vicino alui un'altra voce che lo fece trasalire."Sei anche marchese?" domandò ilpaggetto. "Tirincresce?" "Seicosí bel giovane che puoi essere anche marchese"."Lasciate cotesta ragazza" disse adAlberto la voce di prima con accento breve. "Son discesa in plateaper voi. Devo parlarvi."Ei si vide accanto una signora in dominòvestitadi nerotutta velatasenza un gioiello. Di quelle due donne mascherateche si contendevano il suo braccio l'una era modellata come una Venere dalcostume attillatoavea i capelli riccil'occhio sfolgoranteil colloalabastrinoera roseacivettuolaaffascinante; l'altra non avea che ilportamento del capol'eleganza della personal'attrattiva dell'accentoil profumo aristocratico del fazzolettoe le trine che cadevano sulguanto grigio - e bastò. Costei prese il braccio del giovane come cosapropriae la folla li separò ben tosto dal paggetto. Andavano verso icorridoi dei palchila donna mascherata primasalendo le scale con passofranco e leggerosenza dire una pàrolarialzando un po' i lembi delvestito sulle scarpette di raso. Quando furono arrivati al terz'ordine enell'angolo piú oscuro del corridoiosi fermò all'improvvisogli presele manilo guardò in faccia e gli disse:"Traditore!""Mi conosci?" esclamò Alberti attonito."Ti rammenti di Belmonte?"Ei le afferrò le maniricercandola dappertuttocollo sguardo. "Chisei? Dimmi chi sei!" "Sontua cugina Adele!" Alprimo istante Alberto impallidíl'attirò vivamente verso la parte piúilluminata del corridoio; poi sorrise stentatamentee mormorò:"Non è vero."Anche la donna mascherata sorrise."Per chi mi hai tradita?""Dimmi chi sei" ripeté Alberti cercandodi leggere in quello sguardo che luccicava nell'ombra."È inutile che te lo dicagiacché non miconoscie non mi conoscerai giammai.""Giammai?""Giammai!"Alberto la fissava ansiosamentenon osandopronunziare un nome che gli veniva alle labbra con certi impetidireivertiginosi. "Chevita fai?" esclamò alfine colei con bizzarra intonazione di voce."Perché non ti si vede in nessun luogo? Ami ancoraquell'altra?" "Iovado dappertutto" rispose Alberto eludendo la domanda."Dappertutto è troppo poco. Vai sabato alballo al Casino?" "No.""Vai!" insisté la mascherina con unastretta di mano. "Tivedrò colà?" "No.""Che t'importa allora ch'io ci vada?"Ella parve esitare."Vuoi che ti dia un segno diriconoscimento?" "Dammelo."Si tolse il guanto e gli porse la mano bianca comeil marmo e venata d'azzurro. "Tene rammenterai?" gli disse sorridendocon un accento che glipenetrò sino al cuore. "Oh!...""Baciala... Addio.""Aspetta!" gridò Alberto. "Non milasciare cosí. Ci rivedremo?""No! no! te l'ho detto!"Ella s'era svincolata di nuovoe stava per svoltarl'angolo del corridoio. "Tisei innamorato diggià della mia mano?" gli disse fermandosi unistante in capo alla scala. "Ebbene...t'ho lasciato almeno un ricordo... Rammentati di me. Addio."Il giorno dopo Alberti rivide Velledaall'improvvisoe quando meno se lo aspettava - passava in carrozzadinanzi al Doneye non s'accorse di lui che s'era fermato sul marciapiedicome se gli fosse mancato il respiro - o non volle accorgersene. Allosvoltar di Santa Trinità la contessina mise a caso il capo allosportelloe guardò dalla parte di via Rondinelli. Ei vide un istanteattraverso il cristallo scintillantei capelli biondi di lei.XXI Albertiavea ricevuto un invito pel ballo al Casinosenza sapere da che parte glivenisse; cotesta era forse una buona ragione per non mancarese non ce nefossero state anche delle altre.- Andò.La prima persona che videcircondata dalla follacorteggiata come una granduchessafu Velleda. Ella ci stava proprio comeuna granduchessa e non s'accorgeva di lui. Ad un trattocome siaccorgesse solo allora di luigli stese la mano con un bel sorrisopoisenza lasciare il braccio del suo ballerinogli agghiacciò la gioia cheirrompeva tripudiante negli occhi di luirifacendosi a un tratto seria efredda. "Tuttisanno che ci conosciamo" gli disse. "M'inviti per unballo." "S'èpresentato alla mamma?" gli domandò poscia allo stesso modo."...No...""Che cosa penserà... Si presenti."La contessa Manfredini accolse Alberti col suosorriso e col suo cicaleccio melato."Troppo gentiledavvero!... Siamo state via daFirenze... Abbiamo viaggiato. Bella città Napoli! la conosce?... E Roma?il Vesuvio?... Abitiamo il villino Floraappena fuori Porta Romana.Riceviamo il lunedí. Non manchi."Le allusioni a Belmonteed alla famiglia Forlanifurono evitate con garbo. "Haiqualche impegno col signor De Marchi?" domandò la contessa allafigliuola che si era riaccostata: Velleda si fece pensierosa un istantecome non avesse intesa la domanda; scosse il capo un po' vivamenteerispose: "No...non rammento..." Albertisorprese uno sguardo rapido e acuto che la madre saettò sulla figlia.Mentre conduceva Velleda a prendere il suo posto nella quadrigliacosteigli domandò negligentemente:"La mamma l'ha invitato a venire ai nostrilunedí?" "Sí!"Allora aggrottò leggermente il sopraccigliosimise al suo postospinse indietro lo strascico della veste; e non dissealtro. Eseguiva le diverse figure della quadriglia colla sua grazia edisinvoltura abitualealquanto freddanoncuranterivolgendo ad Albertila parola solamente quel po' ch'era necessario per non dar nell'occhio."Ieri l'altro l'ho vista a Firenze per la primavolta" incominciò il marchese. Ella non disse verbo."Sapeva che ero qui?""Sí" rispose asciutto asciutto; e si misea battere il tempo col ventaglio.E dopo alcuni minuti di silenzio:"Bella cotesta musica!""Sembrami d'averla udita.""Dove?""A Belmonte... in villa Armandi...""S'inganna" disse ella freddamente.Tacquero."S'è divertita in questo viaggio?"domandò Alberti. "Assai!""È stata via molto tempo!""Le pare!... appena quattro mesi."Ei chinò il capo."Troppa gente!" mormorò Velleda perrompere il silenzio. "Èvero." "Havisto la contessa Armandi nelle altre sale?""No.""Deve esser qui. Sembrami d'averla vista unmomento." Laquadriglia era finita. Mentre Alberti la riconducevaVelleda glidomandò: "Hapromesso alla mamma di venire?""Sí... Le rincresce?""Perché dovrebbe rincrescermi?" disseella alteramente. "Midia un bicchiere d'acqua" aggiunse immediatamentecome per mitigarela durezza della sua risposta.Dopo di avere attraversato due altre saleripreseguardando attentamente i disegni del suo ventaglio:"E non pensa di viaggiare anche lei?""Perché?" rispose Alberto con un po' disorpresa. "Perchéè giovanee il mondo è bello. Vada a Romain GreciainOriente..." "Mimanda molto lontano" rispose Alberti sorridendo a bocca stretta.Elladopo aver giocherellato col fiocco delventagliorispose lentamente:"Faccia come vuole.""Mi dia i suoi ordini...""Degli ordiniio?" esclamò Velledarizzando il capo"e a qual titolodica?""Dei consiglialmeno..."Per la prima volta l'altera fanciulla alzò gliocchi su di luie guardandolo fisso:"Credevo non ne avesse bisogno" disse."Ma giacché li desidera... glie li ho dati... Parta."Bevve tranquillamentesi passò sulle labbra ilfazzoletto ricamatoriprese il braccio di luiche non diceva piú unaparolae si fece accompagnare al suo posto senza aggiunger altro.Un bel giovaneche sembrava in qualche intimitàcon leile si avvicinò con premura appena la vide sedutae si chinòverso di lei per dirle qualche cosa. Alberto udí ch'ella rispondevafreddamente: "Grazie.Sono stanca." "Nonballi piú?" domandò la contessa."Nomamma; vorrei già essere a casa."La mamma rivolse su di lei uno sguardo penetrante edisse: "Andiamopure." Ilgiovaneche era rimasto a discorrere con loroaccompagnò le duesignore. Mentre Alberto stava per partire anche luiincontrò la contessaArmandi. "Oh!Lei qui! Lo credevo ancora a Belmonte. Va via anche lei? M'accompagni sinoalla mia carrozza in tal caso..."Gli porse il suo mantello ovattatoin anticameraperché l'aiutasse un po'; e andava chiacchierando mentre il maldestrocavaliere era alquanto imbarazzato. "O come va che trovasi qui esolo? e la sua cuginetta?... Quest'altro capo quisulla spalla... Èandato in fumo dunque?... Badi anche a leidicono che fa freddo. Graziecosí!... Per colpa suane son certa; gliel'avea predettosirammenta?... Tiri un po' in su il cappuccio... Non speravo d'incontrarla:che fortuna!" "Comeva che non l'ho vista al ballo?""Era cosí occupato! Ma non me l'ho a maleveh!" Inquesto momento rientrava il giovanotto che avea accompagnato le signoreManfredinie salutò profondamente l'Armandi."Soletto?" gli disse costei.Il giovine evitò di rispondere facendo un inchinoe un mezzo sorriso. "Chiè quel signore?" domandò Alberti accompagnandolo con un lungosguardo. Gliocchi della contessa brillarono di un'ironia maliziosa: "Il signor DeMarchi" rispose "un amico di casa Manfredini. Bel giovanenonè vero?" Escese le scale appoggiandosi appena al braccio di Alberto. Questimentrele porgeva la mano per montare in carrozzale domandò:"Mi permette che l'accompagni?""No. Ella non potrebbe piú fingere d'ignoraredove abitoe sarebbe costretto a farmi la visita di Belmonte.""Me la son meritata!""Non sono in collera" e gli strinse lamanosorridendogli dal fondo del cappuccio. "Nodavvero!"La carrozza partí.XXII Laprima volta che Alberto andò ai lunedí della contessa Manfrediniparvegli di sorprendere negli occhi di Velleda un'espressione dimeraviglia e di dispetto. Ma la giovinetta era troppo bene educata per farscorgere cotesto altrimenti che per sorpresae l'accolse con un po' difreddezzaè veroma convenevolmente. Non evitavané cercava leoccasioni di trovarsi sola con luie quando ciò avveniva per caso ellasapeva starci benissimo dominando Alberto con la sua calma superba. Glirivolgeva la parola come a tutti gli altriné piú né menoqualchevolta con una sfumatura d'ironiaqualche altra volta con impertinentefreddezzasovente come se volesse col suo contegno domandare tacitamentead Alberti perché continuasse a frequentare la sua casamalgrado il suodivieto assai chiaramente espresso. La madreal contrarioquasi avessevoluto addolcire e far scusare i modi della figliuolatrattava Albertiaffabilmente. Unasera che l'aria piú mite della primavera permetteva di lasciare lefinestre aperteVelleda s'avvicinò ad Alberti colla sua solitadisinvolturae gli disse tranquillamente:"Ho da dirle qualcosaAlberti" e loprecesse sul terrazzino. "Sa che il signor De Marchi ha chiesto lamia mano?" "Losospettavo..." "Nonvolevo... non avevo intenzione di maritarmi..." soggiunse con vocebreve e risolutasenza guardarlo. "Ma giacché mi ci avete costrettaho detto di sí." Albertotardò alcuni minuti a rispondere."Mi ordinate di non venir piú in casavostra?" domandò alfine."Adesso è inutile" diss'ella con unsorriso glaciale e superbo. "Ho bruciato le mie navi."La notizia di quel matrimonio non tardò a circolarefra gli amici di casa Manfredini; da prima discretamentein seguito conmaggiore sicurezza. De Marchi avea diradato le sue visiteVelleda lotrattava con grande riserboma sapevasi che dalle due parti stavansitrattando delle questioni d'interessee ciò era perfettamente in regola."Ardon gl'incensi!" disse una volta l'Armandisortendo insieme ad Alberto da casa Manfredini.Velleda aveva alquanto raddolcito il suo contegnoverso Albertisia che la rassegnazione di lui l'avesse disarmatao chedopo la presa risoluzioneegli non le ispirasse piú alcun timore. Ellaattraversava colla sua grazia disinvolta quel periodotanto difficile peruna ragazza delle domande susurrate dalle amiche di casa all'orecchiodella mammadelle allusioni piú o meno velatedegli sguardiindiscretamente curiosi. Di tanto in tanto sembrava un po' astratta epensierosaavea certi momenti di silenzio quasi cupoo di gaiezza comeirritatao di asprezza irragionevole. Tutto ciò cadeva piúfrequentemente e piú direttamente sul povero Albertiquasi ella nonpotesse perdonargli di averla costretta ad una risoluzione intempestiva.Il sarcasmo le veniva frequente in boccaed ella medesima arrossivaalcune volte dei suoi pungenti epigrammi; un momento dopo sembravaravvedersi e avere l'intenzione di fargli delle scusecome poteva farleil suo carattere orgogliosocon una parola gentile o con una attenzionedelicata. Alberto impallidivao arrossivasoffrivama non osavarinunziare a vederla. Sovente sorprendeva gli occhi di lei che lofissavano carichi di colleraaccigliatifoschi; allora il riso di leiera piú mordenteocosa stranala sua parola era piú graziosa. Alcunealtre volte era lei che sorprendeva gli sguardi d'Alberto rivolti verso DeMarchicolla febbrile ammirazione dell'invidia. De Marchi era un rivaleformidabilebelloaltolocatoelegante e spiritoso - il poveroinnamorato soffriva la piú crudele gelosia; quella che umilia edannichila. Unlunedí che c'era piú gente del solito in casa ManfrediniAlberto sitrovò un momento solo vicino a Velleda sull'uscio del giardinoe simisero a parlare dell'ultima opera della Pergolae delle corse ches'erano fatte alle Cascine. Da qualche tempo fra di loro correvano lebuone relazioni di gente completamente indifferente. Velleda perciò nonsi mossee seguitava a discorrere tranquillamente e piú a lungo delsolitocanticchiava fra i denti i motivi di cui si rammentavae facevastrider la sabbia sotto il suo stivalino irrequietogli domandava come sichiamasse il cavallo che avea vinto alle corsee a quanto ascendesse ilprimo premio. Alberti rispondeva un po' distrattocome gli avvenivaspesso ma a proposito. "Lepiacciono anche a lei le corse?" gli domandò Velleda."Non voglio che sposiate De Marchi!"rispose ad un tratto bruscamente Alberti afferrandole le mani.Ella gli piantò gli occhi in facciae stette afissarlo in tal modocolle braccia rigidamente tese. Non aggiunsero unaparola - rimasero guardandosi. - A poco a poco gli occhi di lei sivelaronoil viso si fece smortoe le braccia si allentarono. Poi sisvincolò con uno sforzo disperato e rientrò come fuggendo.XXIII Dopoalcuni giorni incominciò a susurrarsi dietro il ventaglio che ilmatrimonio della signorina Manfredini avea inciampato in gravi difficoltàd'interesse. De Marchi era partito per Napoliallo scopo di facilitare lepratiche presso la sua famiglia; la ragazza si faceva vedere di rado; lamamma era piú seria del solitoe mostravasi amabilissima colle amichepiú maldicenti. Albertoe Velleda non s'erano piú detta una sola parola. Ella non aveva piú larigida alterezza di una voltala fermezza dello sguardola sicurezzadell'intonazione. Avea un'aria di vinta. Dinanzi a lui ammutolivaechinava gli occhi. Una sera che passeggiando in giardino egli le prese lamanogliela lasciò. Cosí gli s'abbandonava.La contessa Armandi era divenuta intima di casaManfredini; però mostrava non aver perdonato ad Alberto la visita che nonle avea fattoe che poscia ella non gli avea permesso di farle. Del restoera capricciosissimae per vendicarsi sembrava aver adottato il sistemadi fargli perdere la tramontana. Ora era ironicaimpertinentemotteggiatricesdegnosa; ora si faceva accompagnare al pianoo incarrozzae lo lasciava sempre alla sua porta dicendogli: "Sinqui!". Unasera che al villino Flora la conversazione era stata piú scucitae lamamma Manfredini si era mostrata piú preoccupata del solitol'Armandidisse ad Alberto sortendo: "Apropositoperché non sposa lei Velleda?"Alberto ricevette la domanda come una stoccata inpieno. L'Armandi non gli diede il tempo di risponderee soggiunse subitogaiamente: "Quell'altrosarebbe un matrimonio sbagliato. La signorina Manfredini non è riccaela famiglia dello sposo non l'accetta volentieri. Fortuna che la bambinaabbia piú giudizio della madrela quale s'è incaponita dietro quelmiraggioe ci penserà due volte prima di dir di sí! Ci vuolaltro!" "Leiperò ha detto ardon gl'incensi!""Ho detto gl'incensinon ho detto letede!" rispose la contessa col suo risolino ironico. E montò incarrozza. Albertorimase pensieroso. Ilgiorno dopo Velleda lo interrogò due o tre volte collo sguardo - eimostravasi annuvolato. - Poi andò a sedere in un cantosenza fargli unasola domanda. Albertisi avvicinòsedette accanto a lei e si misero a sfogliare dei libri edei giornali. Dopo un lungo silenzio le disse a voce bassa:"Sapete che fra breve tornerà il signor DeMarchi da Napoli?" Velledagli fissò gli occhi in visosi strinse nelle spallee non rispose.Il giovane le strinse la mano di nascostoeriprese. "Perdonatemitutto ciò che ho detto in quella sera... Sono stato matto... o qualcosadi peggio!" Lafanciulla all'ombra della ventolanon staccava da lui quello sguardoluminosotenaceincisivo; ma non aprí bocca; egli si fece pallidoesitòle strinse la mano con forzae balbettò:"Sposatelo."Velleda rimase zittaimmobilebianca; infinelasciò cadere lentamente questa parola:"Perché?""Perché io non prenderò mai moglie."Una vampa di fuoco corse pel viso della giovinettaposcia impallidíritirò dolcemente la manorimase alcuni istanti collosguardo fiso dinanzi a sécol sopracciglio aggrottatoe infine dissecon un tono di voce che non sarebbesi potuto indovinare se fosse altero oindifferente: "Chem'importa?" Albertosi aspettava la sorpresal'indignazionela collerae rimase sbalorditoda quella risposta. Piú pallido di leie colla voce tremantele disse:"Come dovete odiarmi!"Ellasenza levare gli occhilasciò caderemollemente la sua mano in quella di lui."AscoltatemiVelleda!" esclamò Albertocon accento commosso. "Vi amo in modo che non saprei dire. Nella miatesta c'è qualcosa di guastoe il dubbio mi rode come un verme velenoso.Ho bisogno di esser convinto che mi amiate per mesenza secondi finieche mi sacrifichiate tutto... tuttointendete?... Perdonatemi! Allorchéquesto dubbio fatale è entrato in me... o ci è stato messo con unaparola... avrei voluto fuggirvi... e non ho potuto. Voi sola potetedarmene il coraggio disperato. Cosa volete che faccia?""Noi non potremmo amarci altrimenti!"rispose Velleda dopo aver riflettuto un istante. "Meglio cosí!Adesso anch'io posso dirvi che vi amo!"XXIV Unamore cosí romanzesco dovea sedurre l'immaginazione del giovanefantastico. Le sue passioni eterne erano state cosí passeggierele sueimpressioni cosí vivaci e mutabiliche allorquando avea sentito ilbisogno di aver fiducia nel sentimento che riempiva tutto il suo essereera divenuto inquieto. L'amore di quella strana fanciulla che glisacrificava le piú legittime esigenzee il suo avvenire e il rivale piúterribilelusingava ad un tempo la vanità e il cuore di luie insiemeil sofisma. Ei vi si abbandonò con ebbrezzasenza esaminare dove potessecondurlosenza discutere se fosse possibile cosí come mostravasi.I due giovani si vedevano spesso; ora regolarmenteed ora a caso - è vero che aiutavano parecchio il caso. - Il cavallo diAlberto non sapeva passeggiare che fuori di Porta Romariae la signorinaVelleda faceva quello che non aveva mai fattol'aspettava alla finestrao sotto le acacie del giardino. Allorquando erano insieme si dicevano benpocodiscorrevano degli argomenti piú comuniche per loro avevanocent'altri significati; i loro occhi si incontravano di radole loro maninon s'incontravano mai. La contessa Manfredini aveva l'aria di fiutare ilvento. De Marchi era ritornato da Napolie la sua prima visita era stataper il villino Flora. Le trattative pel matrimonio non erano moltoavanzate. certuni dicevano anzi che avevano fatto un passo indietromagli interessati erano tutte persone ammodoe sapevano continuare le lororelazioni in modo da non dar pretesti agli indiscreti ed ai curiosi; tantopiú che degli impegni seri non ne erano mai stati presi officialmente.In uno degli ultimi ricevimenti di casa ManfrediniDe Marchi erasi mostrato piú premuroso e galante del solito. Albertirincantucciato in un angolosoffriva in silenzio. Velleda stava servendoil tèe passandogli accanto lo vide cosí pallido e contraffatto."Che avete?" gli domandò. Ei le lanciò un'occhiata febbrile.Velleda passò oltre. Albertola seguí con avido sguardo. La vide passare accanto a De Marchichestava appoggiato allo stipite di un usciocolla mano nascosta nel gilécolla lente incastrata nell'occhiobello e sardonico. Alberto non potéudire che cosa colui le avesse detto inchinandosi verso di lei; ma lo videsorrideree anch'essa sorrise ed arrossí leggermente. Nell'angolodov'era Alberto si udí un rumore di porcellana che rompevasi; nessuno sene accorseo ci abbadò: la signora piú vicina non volse nemmeno ilcapo; soltanto Velledadall'altra estremità della salavolseun'occhiata cosí rapida e sfolgorante verso quel rumoreche De Marchis'aggiustò la lente sull'occhio e guardò anche lui.La signorina Manfredini continuò a sgusciare fra lafollabriosa e gentile. Infine passò accanto ad Albertosenza una nubesulla frontesenza volgere gli occhi su di luie gli gettòsommessamente questa parola: "Seguitemi."Alberti andò dietro di lei nell'altra salaetemendo di far scorgere la sua agitazionesi mise a guardare con grandeattenzione il giuoco che non capiva. Poco dopo si trovò vicino Velledadisinvoltascherzando coi giuocatori e con coloro che stavano a vedergiuocare. Avvedendosi di Alberto gli disse: "Non fuma?" e andòa prendergli un sigaro da un astuccio intagliato. "Passate di làsenza farvi scorgere" soggiunse cosí piano che appena egli potéudirla. Quell'altrastanza era un piccolo gabinetto da lavoro che metteva da una parte nellacamera della madree dall'altra in quella della signorina Manfredini.C'era un grande scrittoio fra due finestreun canapè di facciae unpiccolo tavolino accanto: fra il canapé e lo scrittoio aprivasi l'usciodella camera di Velleda. La stanza era poco illuminata da una sola lucernaa ventola posata sul tavolino. Alberto aspettò alcuni istantiinquietocoll'occhio e l'orecchio tesi; il cicaleccio della conversazione; e leesclamazioni dei giuocatori si udivano distintamentedi tanto in tanto ilfruscío di una veste passava attraverso l'uscio socchiuso. Tutto ad untratto apparve Velledacamminando sulla punta dei piedi con passo rapidoe risolutoe gli prese la mano. Ma nel medesimo istante lo fermòcolbraccio tesoe rimase immobileansiosaatterritaguardando l'uscio dalquale era entrata. Spinse bruscamente Alberto nella sua cameraed ebbeappena il tempo di chiuderne l'uscio. Tutto questo accadde in un lampo."Cosa fai qui?" domandò la contessaManfredini entrando. "Amomenti mi si stacca un bottone dal guanto...""Sei pallida.""Non mi sento bene.""So tutto... Ho visto il marchese Alberti...""Mamma!...""L'ho visto attraverso lo specchioti dicoquando ha lasciato cadere la tazza... Non mancò di fare uno scandalo...Costui vuol comprometterti ad ogni costo!"La giovanetta fu sublime per presenza di spiritoedebbe uno di quei tratti d'audacia che hanno soltanto le donne."Ci ascoltanomamma!" esclamò conaccento supplichevole. Lacontessa volse uno sguardo furtivo verso la stanza accanto dove giocavasied uscí. Velledapallidastrema di forzee piú bella che maientrò risolutamentedov'era Alberto. "Ebbene?"gli disse fermandoglisi dinanzi.Egli aveva tutto udito. "Perdonatemi!"mormorò. "Ero geloso.""Di chi?""Di colui!...""Sareste qui se aveste il diritto di esseregeloso?" rispose ella semplicemente.Il giovane volse attorno uno sguardo commossoquasireverentecome se il profumo verginale di quella cameretta avessequalcosa d'augustoe le cadde ai piedi."È vero!... Cosa avete fattoVelleda!..." "Hofatto la sola cosa che potesse provarvi come vi ami; ~ rispose lagiovanettasenza una sola vibrazione nella voce.Alberto osò allacciarla colle bracciae accostarlealla fronte le labbra tremanti. Ella socchiuse gli occhie si abbandonòmollemente. Ad un tratto trasalílo respinse con vivacità. e stette adascoltare. "Mio Dio!" esclamò.In un lampo raffermò il viso e lo sguardouscícon un movimento felinoe si trovò a faccia a faccia colla madre e collacontessa Armandi. "Lacontessa non si sente bene" disse la Manfredini. "Hai qualchecordiale nella tua camera?""Nullamamma!" rispose Velleda coninsolita vivacità. L'Armandis'era buttata sul canapèe malgrado il suo gran male sembrava stesseassai meglio della ragazza ch'era pallida come un cencio. Ella avearivolto un'occhiata rapida e penetrante su di Velledae s'era scusataalla meglio. "Qualcosatroverò" disse la Manfredini dopo aver saettato alla sfuggita unosguardo acuto sulla figliuola."Andrò iomamma!" esclamò costeidicui l'angoscia acuta tradivasi nell'accento. Ma prima che ella potessegettarsi dinanzi all'usciola madre era entrata precipitosamente.L'Armandi prese la mano della fanciullaperringraziarlasenza distogliere gli occhi da quelli di lei.La contessa Manfredini ritornò quasi subitoperfettamente calmatenendo in mano una boccettina che faceva odorarealla contessa. La madre e la figlia non si rivolsero uno sguardo.Il rimedio parve giovare immensamente alla contessae dopo cinque minuti ella ritornava in sala al braccio della signoraManfredini. Velleda si fermò ancora un po' dinanzi allo specchio peraggiustare qualche piccolo disordine della sua toelettasenza neppurvolgere gli occhi sullo specchio. Ella accompagnò con un lungo sguardoattraverso lo specchio le due signoree allorché fu certa di esseresolasi precipitò nella sua camerae la scorse in una sola occhiata.Non c'era nessuno. Corse alla finestraalta un primo piano dal suoloela trovò socchiusasoffocò un gridoe cadde sui ginocchi.Il giorno dopoalle quattroil marchese Albertipresentavasi alla contessa Manfredinie le chiedeva la mano dimadamigella Velleda. XXVIl marchese era un orso campagnuoloaveatrentaduemila lire di entratae il matrimonio fu presto combinato."Lo sapevo!" esclamò l'Armandicon unsorriso mordentequando le diedero la notizia.E soggiunseforse per addolcire o spiegarequell'affermazione singolare:"Quel giovane ha la bosse del matrimonio."La sera stessamentre stava per andarsenedisse adAlberto: "Vel'avevo detto che avreste finito per sposarla voi. Siete fatti l'uno perl'altra." Egli volse le spalle. Partendo non si accorse del saluto di luie non glirispose; ad un trattotornando indietroe stendendogli la mano:"A propositole mie felicitazioni" glidisse. Velledaamava moltissimo il suo fidanzato; ma l'amava com'ella poteva amareconmolta riservatezzae un po' freddamente in apparenza. Alberto invidiava alei l'inalterabile disinvoltura e il dominio di sé stessa. L'elettricitàdi cui era carica l'anima ardente di leicelavasi sotto un esterioreglacialee scoppiettava solamente in qualche lampo degli occhio nellareticenza di un sorrisoo in una stretta di mano piú lunga del solitomentre si separavano sull'uscio: che metteva nel giardino. Quel pudoreelegante aveva la sua leggiadría.La signora Manfredini sembrava la vera amante diAlberti; lo lisciavalo carezzavalo adulavase lo teneva attaccato aipannie gli accordava l'onore di offrirle il braccio molto spessoassaipiú spesso ch'egli non avrebbe desiderato. Qualcheduno degli amici dicasa avea domandato quale delle due Manfredini sposasse il marcheseAlberti. Ilmatrimonio era stato fissato pel settembre. Le signore Manfredinisarebbero andate in giugno a Livornoe Alberti dovea andare araggiungerledopo aver fatto una corsa pei suoi poderie date ledisposizioni per certi restauri che occorrevano ad una villetta sul lagodi Comoche lo zio Bartolomeo avea salvato dal naufragio delle sostanzepaternee nella quale gli sposi dovevano andare a passare l'autunno.In quel tempo a Firenze non si parlava che di ungran signore romanogiunto di frescoil quale s'era fatto vedere alleCascine in un superbo equipaggio. Il principe Don Ferdinando Metellianiera un omicciattolo dieci o dodici volte milionarioche troneggiava daiquattro cuscini del suo phaéton come un Apollo brutto. La folla agitavasial suo passaggio come uno sciame di formiche sorprese dal piede di unvillanolo invidiavalo ammiravalo deridevalo deificava; tutti gliocchi volgevansi verso il suo cocchio lucente; il nome di luila suaricchezzala sua etài suoi vizicorrevano sulle bocche di tutti; lepiú belle e le piú schive guardavano con maggior attenzione che nonsogliono accordare ad un semplice mortalecotesto scimmiotto che lefissava insolentementee buffava loro il fumo in viso del suo avanae lotrovavano schicche perché spingeva i suoi quattro cavalli sulla follacome se si sentisse abbastanza ricco per pagare le ossa che avrebbe rotto.Il principe discendeva da quel patriziato romano che aveva cinque secolidi esistenza allorquando la piú antica nobiltà d'Europa arava la terra oserviva nelle sue legioni; era ufficiale delle Guardie Nobilie cotestosoldatodiscendente da una famiglia che aveva condotto alla vittoriaparecchie generazioni dei padroni del mondos'era rifiutato a battersi induello; avea quarant'annie avea sciupati tutti i godimenti della vita;ascoltava messa tutti i giornisi comunicava due volte al mesegettaval'oro sotto le ciabatte delle cortigianee avea fatto rinchiudere la suaunica sorella in un monastero per non darle una dote. - Sopra tutto ciòdue milioni di scudi. Ilprincipe Metelliani frequentava la migliore società di Firenzee aveaconosciuto la signora Manfredini all'Ambasciata di Napoli; l'alterabellezza di Velleda avea colpitoil dissoluto patrizioe soltanto dinanzi a leichenon gli volgeva uno sguardoegli aveva chinato la testa pelata e superba;s'era incaponito con ostinazione da uomo onnipotente a far la corte allasola donna che non la facesse a lui. La signorina Manfredini era troppoorgogliosa per accorgersenee allorché vide la prima nube sulla frontedi Albertoella aggrottò il sopracciglio. - Una volta che il principes'era mostrato piú galante del consuetoellacon un cennoimpercettibilechiamò il suo fidanzatoche ronzava lí pressoe lopresentò a Don Ferdinando. Quei due uomini si scambiarono un salutod'antipatia cordiale. Mala contessa Manfredini civettava col Metelliani in luogo della figliuola.Allorché entrava in una sala al braccio di luio allorquando potevapresentarlo alle sue amichesembrava raggianteed era arrivata achiamarlo semplicemente Don Ferdinando. - Don Ferdinando lasciava faregraziosamente. La figliuola al contrario conservava una serenitàolimpica; soltanto allorché le donne piú nobilipiú bellepiúelegantisi abbassavano a mendicare l'attenzione di quell'omiciattochenon sembrava curarsi d'altri all'infuori di leile sue rosee narici sigonfiavano appena. Di tanto in tanto era distrattao pensierosa; qualchevolta Alberto la sorprendeva fissando su di lui uno strano sguardocomese lo vedesse per la prima voltae stesse esaminandolo tacitamente. Essanon avea mai voluto dirgliene il perchée finiva sempre motteggiandolo.Gli amici di casa Manfredini avevano combinato unagitae naturalmente la madre e la figlia erano della partita; siccomeAlbertivivendo ancora da scapolonon avea che due cavallidei qualiuno da sellail principe Metelliani avea messo la sua carrozza adisposizione delle signore Manfredini. Questa circostanza avea fattonascere un piccolo diverbio con Alberto che era un po' geloso delprincipesenza che volesse confessarlo; ma la contessa avea spiegatonella lotta tutta la sua vanità di mondanatutta la sua prepotenza disuocerae avea vinto. Velleda s'era acconciata alla vittoria collasuperba indifferenza che le era particolare. Al ritorno la lunga filadelle carrozzecon in testa la sfolgorante daumont delle Manfrediniaveafatto un giro per le Cascinee allo svoltar del piazzone il principe eravenuto loro incontro a cavallo. Allorché Velledadistesa mollementenella superba calèchevolse uno sguardo su quell'immensa piazzaaffollatae vide tutti gli occhi fissarsi sui magnifici cavallisullericche livree di quell'uomo che stava dinanzi a lei col cappello in manoil seno le si gonfiò con violenza.Alberti ebbe il torto di congedarsi un po'bruscamente quella sera. Velleda gli aveva dettopiú freddamente delsolito: "Aveteun carattere singolare davvero!"Quand'egli si allontanol'accompagnò con unosguardo carico di pensieri; poi alzò leggermente le spalle.Il domani stavano per uscire in carrozza - carrozzada rimessa - e vedendo il suo fidanzato ancora imbronciatoVelleda glidisse ridendomentre si abbottonava il guanto:"Orsú!... Sareste capace d'ingelosirvi delMetelliani?" "No!"rispose Alberto con un po' di superbietta appunto da geloso."Alla buon'ora!" diss'ella; ma non risepiú. XXVIAl cominciar della primavera la contessa Armandi erapartita per la campagnae non s'era piú fatta vedere in casa Manfredini;soltanto era ritornata in giugno per due o tre giorni a Firenzeprima diandare ai bagni; ma il caso avea fatto sí che non si fosse piúincontrata con Alberto. Lasignora Manfredinisenza saper perchéavea rimandato alla secondaquindicina del mese la partenza per Livornoe perciò anche Alberti avearimandato la sua. Velleda non faceva la menoma osservazioneperò eradivenuta bisbeticacapricciosalunaticae qualche volta anche dura edingiusta verso il suo fidanzato. La madre prendeva le parti dellafigliuolae faceva prevedere una suocera coi fiocchio piuttosto con gliartigli. Allora Velleda avea dei momenti di affezione piú espansiva delsolitoquasi dei pentimentiche col suo carattere sembravano piústraordinari. Albertoavea tal'altra idea di Velledache avrebbe creduto oltraggiarlamortalmente se avesse confessato gli ingiustificabili ma invincibiliassalti di gelosia che l'assalivano di tanto in tanto. Il Metelliani eracosí attempatoe cosí poco seducenteche egli non avrebbe giammaicreduto possibile un pensiero di Velleda per quell'uomo. Don Ferdinandoera divenuto intanto uno dei piú assidui frequentatori del villino Flora.La signora Manfredini trovava sempre modo di far cadere nel discorsoquesto fattoe Velleda non poteva fare a meno di esserne lusingatainternamentepoiché Don Ferdinando era l'idolo della societàe le piúnobili dame erano gelose di cotesta preferenza. Metelliani possedevaquella disinvoltura da gran signoreche adattasi egualmente allaimpertinenza e alle belle maniere; l'omaggio rispettoso di quell'uomosuperbo e sprezzante verso tutti gli altridovea lusingare enormementel'amor proprio della fanciulla vanitosa; ella avea finito perringraziarnelo con una parola graziosacon un sorrisocon un'occhiatasempre però accompagnati da quell'ombrosa riservatezza che era la suapiú bella attrattiva. Alberti soffriva come un dannatoarrossiva eindispettivasi contro sé stessoma senza potersi vincere. Volere o nonvolereera lui solo che in mezzo a tanti sorrisi rappresentasse la partedi uggiosoe la mamma Manfredini glielo faceva intendere in tutti i modi;la figliuolach'era superbettasi mordeva le labbra senza dir nulla."Vi sareste pentito d'avermi data la vostraparola?" gli domandò un giornosmettendo di giocare colla cagnetta."Io!... come?.. Ma perché mi diteciò?..." Velleda si mise ad inseguire cosí pazzamente Gemma peiviali del giardino che Alberto non poté aggiungere altroe non osòbuttarsi ai piedi di lei. Siccomeil Metelliani non trascurava occasione per dimostrare la sua premurosaamicizia verso le signore Manfrediniavea insistito per avere l'onore diaccompagnarle all'ultima festa a Pitti. Le signore avevano accettato.Passando in mezzo a quella folla di uniformidi decorazionidi grandezzemondaneappoggiata al braccio di quell'uomo di cui il nome correva sullebocche di tuttiche portava la testa alta nella casa del GranducaVelleda sentí qualche cosa di mai provatoche le fece rialzare il capocon un impercettibile movimentocome se avesse voluto gettarsi sullespalle a guisa di manto reale il ricco volume dei suoi capelli. Ella volsesul principe un'occhiata rapida e sfolgorantenella quale sembraronoriflettersi lo scintillío delle decorazioni e dei ricami dell'uniforme dilui. Chebrutta sera pel povero Albertiil quale dovette subirsi la mammae videla sua fidanzata sempre a distanza che si abbandonava con radiosaspensieratezza al piacere di esser corteggiata! Ei procurò di avvicinarsialla contessa Armandiper non rimaner né solo né colla suocera; maanche la contessa gli volse le spalle - però senza che se ne fosseaccortadi certo - poiché incontrandolo poco dopo si mostròamabilissimaprese il braccio di luie si mise a girare per le sale.Dopo aver chiacchierato un bel pezzo d'argomentidiversi gli domandò con accento singolare:"Si diverte?"La domanda era semplicissimama Alberto si trovòimbarazzato a rispondere: "M'accorgo" disse alfine "che nonson fatto per cotesti divertimenti.""Cosa vuole! Qualche volta bisogna sacrificarsiper gli altri. Velleda ci si diverte tanto! cotesto non è un piacere perlei?" "Sí"rispose egli secco secco. Lacontessa ebbe uno di quegli scoppi di ilarità che la rendevanoformidabile; sicché Alberto si fece di porpora. Ma tosto ellaperdimostrargli in certo modo la vera causa di quel riso a doppio indirizzosoggiunse: "Quelpovero Metelliani m'ha l'aria di un rajà indianocosí camuffato ecarico di brillanti." Albertosaettò sul rajà romano uno sguardo che l'Armandi sorprese."Senza adulazionesa ch'è un bel trionfo ilsuo?" gli disse. "Non dipenderebbe che da Velleda di vedersideporre ai piedi tutti quei ninnolie di aversi la corona di principessaallo sportello della carrozza!...""Se le fossi grato di una simile preferenza miparrebbe di insultare la mia fidanzata" rispose Albertocercando diadattarsi all'aria scherzosa dell'Armandima con troppa vivacità.La contessa gli piantò in viso uno sguardo acuto eun sorriso increduloe gli disse tranquillamente:"Ella è geloso!""Io?... di colui!...""Superbo!..."E si mise a solfeggiare col ventaglio la musica chesuonavasi. "Ta... ta... ta... Vogliamo sederci qui?"Cambiò discorso e si misero a guardare il via vaidella folla. Pocodopo passavano la contessina Manfredini e il principe Metelliani. L'Armandinon aveva detto una sola parolama troncò a mezzo la frase incominciatae li seguí semplicemente collo sguardo. Velleda rivolse loro da lungi ungrazioso cenno del capo. "Verràanche lei a Livorno?" domandò l'Armandi al principe."Sí.""Ma la Toscana se lo ruba addirittura!""Non domando di meglio che d'essere rubatobella con tessa." Ellascoppiò a ridere ironicamentema si fece rossa. "S'accomodi!"gli dissevolgendo a mezzo le spalle.Anche Alberto s'era fatto di fiamma in viso; lanciòa Don Ferdinando uno sguardo provocatoree gli disse colla voceleggermente tremante: "Èsingolare però che ella cerchi da un pezzo!"Velleda si morse le labbrae colse il primopretesto per allontanarsi. "Cosaavete fattomalaccorto!" esclamò l'Armandi allorché furono soli."Vi siete perduto!""Come?... Perché?...""Avete fornito a Velleda le armi che ellacercava!... Lasciamocilasciamoci!"Le signore Manfredini partirono com'erano venuteinsieme ad Alberti. Velleda parlò pocoe smontando di carrozza gli porsela mano come al solito. Ei la lasciò un po' bruscamente.Il giorno dopoandando al villino Floragli fudetto che le signore erano in giardino; ma ci trovò soltanto Velledachestava passando in rivista i suoi fiori. La ragazza lo salutò freddamentecontinuò a discorrere per un cinque minuti col giardiniere di cardenie edi magnolierispondendo con monosillabi alle domande di Albertoe poscias'incamminò lentamente verso casaprecedendolodi qualche passo. Primadi giungere all'usciosi fermò su due piedie gli dissevoltandosiverso di lui: "Albertivi prego di ripigliarvi la vostra parola."Egli rimase un istante sbalordito."Perché?" balbettò."Non ci abbassiamo entrambi con spiegazionisuperfluevoi sapete il perché assai meglio di me. Siete liberissimo diseguire le vostre inclinazionima vi prego di rispettarmi tanto da nonfarmene spettatrice. Lasciamoci tranquillamenteda gente ammododa buoniamicisinché vi è tempo. Albertonon diceva una parolae rimaneva come di sasso; fissando lei chegiocherellava in aria distratta coi fiori che aveva colto. "SentiteVelleda!" esclamò quindi con uno slancio d'affetto; "vorreipoter baciare la sabbia che calpestate!... Grazie!..."La contessina lo guardò attonita. "Diche?..." "Sietegelosa!... Dunque mi amate ancora!"Velleda aggrottò il sopracciglio e parve un istanteturbata ed esitante. "Chi v'ha detto ch'io sia gelosa?" risposeposcia alteramente. "Madunque?... Ma perché?... Ma allora perché volete lasciarmi?"Dopo alcuni istanti la giovanetta rialzò il capoche teneva chinoe rispose lentamente:"Perché non ci conveniamo... Ci siamosbagliati. Rimediamocifinché siamo in tempo.""E il rimediarci non vi costerà nulla?"domandò Alberto pallido come cera."Nulla!" diss'ella dopo alcuni istanti."Rimediamoci allora!"Fecero alcuni passi in silenzio."Noi partiremo doman l'altro per Livorno"riprese Velleda con voce calma. "Questa sera andremo in casa Armandie domani faremo le ultime visite di congedo; quindi saremo occupatissimesino al momento della partenza; cosí potremo far tacere le ciarle degliindiscretiper adesso. Durante la stagione dei bagni avremo poi tutto iltempo per disporre le cose nel modo piú conveniente..."Alberto s'inchinò in silenzio."È inutile che riveda vostra madre?" ledomandò. "Èinutile; sa tutto." Ellagli stese mollemente la manosfiorò appena quella di luied entrò incasa. "PoveraAdele!" mormorò Albertocome se allora soltanto indovinasse quelche avea dovuto soffrire la povera cuginaquando il piú acuto doloredella vita l'aveva addentata.XXVII Ilmarchese Alberti trovò a casa sua un biglietto di partecipazione delleprossime nozze dell'amico Gemmati colla cugina Forlani."Alcune volte il caso ha una logicasingolare!" egli pensò Ilsuo vecchio domestico venne a recargli il lume verso le ottoquantunqueegli non l'avesse domandatoe gli chiese discretamente se si sentissemalee se volesse desinare in casa."No" rispose Alberto. "SaiToni?l'Adele si marita! Sposa Gemmati!"La contessa Armandi abitava un bellissimoappartamento a Porta San Gallo e siccome ci aveva un giardino annessoriceveva ancoramalgrado che la stagione fosse inoltrata di molto.Alberto verso le dieci andò a Porta San Galloe fece rimettere il suobiglietto di visita alla contessa.Ella venne ad incontrarlo all'uscio della sala. Eratroppo gran dama per fargli nessuna domanda; ma era troppo donna perresistere alla tentazione di lanciargli la sua unghiata."Che fortuna!... finalmente!" gli dissestendendogli la mano. Albertosembrava calmoed aveva un sorriso nervoso che poteva passare perdisinvolto. Sedendole accanto sul canapèla ringraziò di aver tolto laconsegna che gli vietava di passare la porta di lei."Non mi ringraziché non ci ho nessunmerito..." rispose l'Armandi piantandogli in volto come puntiinterrogativi gli occhi e il sorriso.Era ancor troppo prestoe la contessa ed Albertistettero soli una mezz'ora a discorrere di cose indifferenti."E le signore Manfredini?" domandòsbadatamente l'Armandi. "Verrannopiú tardi... probabilmente."La contessa lasciò passare quel probabilmenteecambiò discorso. Apoco a poco incominciarono a venire gli amici di casae l'Armandipresentava il marchese Alberti come se fosse arrivato dall'Australia. Laconversazione si fece generale. Verso le undici entrarono le Manfredinicoll'inseparabile Don Ferdinando. La contessaalzandosi per andarle ariceverestrinse furtivamente la mano ad Albertoe gli sussurròsottovoce queste parole: "Giudiziomi raccomando!" Velledapossedeva una perfetta disinvolturae sebbene la presenza inaspettata diAlberti in casa Armandi dovesse sorprenderlanon ne mostrò nulla.Metelliani sembrava raggiante; la contessa Manfredini era maestosa. Alcunisi erano messi a giocare; una bella signora bionda canticchiavaprovandodella musica al pianosottovoce; il crocchio principale era fra le duefinestre della salapresso il canapèdove si trovarono l'Armandiledue ManfrediniDon Ferdinando ed Alberto. Si facevano molte paroleperché quasi tutti gli attori di quella scena avevano una preoccupazioneda nascondere. Alberto faceva pompa di una gaiezza febbrile chescoppiettava in paradossi e in epigrammi. Velledadopo avergli lanciatodi nascosto due o tre occhiate fra sorpresa e curiosaavea preso partealla conversazione col brio che le era solito. L'Armandia guisa di abilecapo d'orchestradirigeva la rappresentazionee dava il tono allaconversazione generale. Inquel tempo non facevasi che parlare a Firenze di una povera ragazzalaquale si era asfissiata col carboneperché volevano costringerla asposare un talementre amava un altro. La novità di quel genere dimortela morte dei poveri di borsa e d'animoavea messo in modaquell'argomento: nei saloni aristocratici se ne discorrava moltoe lesignore vi sciorinavano sopra il loro sentimentalismo profumato. La solaArmandi avea indovinato esser quello un argomento scabrosoe cercava dicambiar discorso; ma Alberto vi si attaccava con avida ostinazionecomese si sentisse forte su quel terrenoe sfoggiava a proposito un cinismoprovocante. "Scommettoche il fidanzato proposto a questa ragazza non era ricco" diss'egli."Perché?" domandò imprudentemente lasignora Manfredini. "Perchése fosse stato ricco la ragazza si sarebbe rassegnata a sposarloinvecedi suicidarsi." "Cheorrore!" esclamarono le signore agitando il ventaglio."Signore mienoi non possiamo giudicare su diciò colle idee nostre. Quella era una povera popolana...""E per questo?... Non poteva amare?..."interruppe Don Ferdinandoche trovavasi nel quarto d'ora di tenerezza.Alberto gli rise in faccia insolentemente."O che ci ha a fare l'amore concotesto?..." Lesignore erano imbarazzatecompresa l'Armandiche non sapeva qualcontegno prendere. La signora Manfredini s'era fatta rossa come untacchino; ma la figliuola era rimasta perfettamente padrona di séfacendosi vento però con un poco d'animazione. Ella sola ebbe il coraggiodi lottare colle medesime armicontro quel disperato che ubbriacavasi diepigrammi. "Hanotizia di sua cugina Adele?" gli domandò tranquillamentecome persviare il discorso. "Miacugina sta benissimoe sposa il mio amico Gemmati" rispose Alberticollo stesso tono. "Elladunque non crede all'amore!" insisté Metelliani con cocciutagginepresuntuosa e cercando di comprometterlo agli occhi di Velledapoichéanch'egli era geloso di Alberto.Questi gli piantò gli occhi negli occhi; e risposeironicamente: "L'argomentocomincia ad annoiare coteste signore. Vogliamo fare una partita a cartepiuttosto?" Ilprincipe parve esitare: ma infine inchinò il capo e lo precedette altavolino. Mentre Alberti lo seguiva l'Armandi gli disse piano:"Alberto!"Egli non s'avvide dell'accento turbato e dellaparola confidenziale; la rassicurò con un sorriso stentatoe passònell'altra sala. Idue giuocatori sedettero di faccia. L'Armandiinquietavenne adappoggiarsi alla spalliera di una seggiolamostrando prendere un grandeinteresse alla partita. Velleda non si tradiva; ma era inquieta anch'essae ronzava per la sala da gioco con un'irrequietezza che non sapevapadroneggiare. I due avversariseduti in modo che quasi si toccavanononalzavano gli occhi dalle carte; si mostravano completamente assorti nelgiuocoe al lume delle candele sembravano pallidi.Alberti giocava come un uomo che ha la febbreo cheperde sulla parola. I suoi occhi fissavansi di tanto in tanto scintillantisul volto del principeche rimaneva impassibilee all'ombra dellaventola pareva di marmo. Metelliani era troppo uomo di mondo per dare adAlberti il menomo pretesto ad una provocazione. Giuocava freddamentedagran signoreed era fortunato come un milionario. Tutt'e due non dicevanoche le sole parole indispensabiliil principe con la sua flemmainalterabile. Alberto armandole di tutte le punte dell'epigrammasenzache riescisse a far balenare gli occhi del suo avversarioo farimporporare il suo volto. Egli perdeva sempre. Infinecome sequell'imperturbabilità calcolata gli avesse fatto perdere la testasialzòbuttò con piglio insolente sul tavolino il denaroe disse a DonFerdinando: "Ellami ha domandato se credessi all'amore. Adesso che siamo soli le dico checi credo quando invece di guadagnarci qualcosa ci si rimette - come credoall'onestà del giuocatore quando non vince sempre."E rimase ritto dall'altro lato del tavolinoprovocando ancora coll'attitudine. Il principe alzò finalmente gli occhisu di luisi lisciò la barbettae rispose freddamente:"Io ho centoventimila scudi di renditacarosignore." Sialzò anche luie gli volse le spalle.Alberto sentí una mano tremante che l'afferrava pelbraccio. "M'avevapromesso!" gli disse l'Armandipallida anche essa.Ei si passò una mano sulla frontecome per metterea sesto le sue idee. "Haragione!... Le chiedo perdono! Non so dove abbia la testa!"Rimasero silenziosi tutt'e due ritti presso lafinestra. L'ultimacarrozzach'era quella delle Manfredinipassò la porta. Alberto sicelò il viso fra le mani e scoppiò in pianto."Soffrite anche voi!... finalmente!..."proruppe l'Armandi con accento intraducibile.Alberto rimase sbalordito da quella esplosioneviolenta di un sentimento inesplicabile che quella donna avea celato sottola frivolezzache irrompeva pieno di collera e di lagrime. Egli leafferrò le manie la guardò alcuni istanti con mille confusi sentimentinegli occhi ardenti di lagrime."Voi!" esclamò.La fiamma dell'orgoglio asciugò in un lampo gliocchi di lei. "No!"disse ella corrucciata e con impeto. "V'ingannate!"Egli non l'ascoltava: avea la tempesta nell'anima.Ella strappò con violenza le mani da quelle di luisi rizzò in tuttal'altezza della sua bella personae rimase un momento cogli occhi chiusipremendosi il petto colle mani."Alberto!" disse quasi pacatamente."Sappiate che non sono una bimba!"Alberto levò il capola guardò stralunatoquasinon comprendesse quello che avveniva al di fuori di luie poi balbettò:"Perdonatemi!... son pazzo..."E quindi proruppe con amarezza disperata:"Síson pazzo... guardate!""Lasciamoci amici" disse la contessa dopouna breve pausa"amici schietti."XXVIII Nonerano ancora le otto del mattinoe Alberto stava già per uscire di casaallorché Toni venne a dirgli che una personala quale dovea parlargli dicosa che premeval'aspettava in legno alla porta.Alberto vide rincantucciata nell'angolo del fiacreuna signora velata. Com'eglifu sedutol'Armandi gli disse con animata concisione:"Cosa pensa di fare?""Nulla""Nulla è troppo poco! Stava già per uscirealle otto di mattina! Avevo dunque ragione di essere inquieta!""Ebbene" riprese dopo un breve silenzio"mi dica la verità... vuol battersi?"Alberti chinò il capo senza rispondere."Il principe Metelliani è religiosissimoenon usa battersi. Cosa potrebbe fare per costringervelo? Schiaffeggiarlo?ei ricorrerà ai tribunali e per vendicarsi lo farà insultar mortalmenteda un suo domestico che sarà lietissimo di buscarsi una discreta manciaandando in prigione pel suo padrone. Non faccia follíeper carità! Nongioveranno a nulla." "Èvero." rispose Alberti in tono breve."Abbiamo detto di essere amici schiettied hoperciò il diritto di darle dei consigli. Anzitutto perché si batterebbe?per dispetto o per gelosia?""Non lo so..." rispose il giovane dopo unapausa. "Nonlo sa?... diggià!" diss'ella con un gaio sorriso"allabuon'ora!" Andavanopel gran viale delle Cascine. L'aria era ancor frescail cielo azzurroei grandi alberi si elevavano dai due lati come immense muraglie diverdura. Per lungo tratto Alberto e la contessa rimasero silenziosiguardando distrattamente i boschetti. Infine il giovane rivolse due o treocchiate furtive su di leie disse esitando:"M'ha perdonato davvero?""Che cosa?..." domandò ella saettandogliuno sguardo penetrante. Egliammutolí; ma la contessasenza dargli il tempo di aprir boccaaggiunsecon uno scoppio di riso civettuolo:"Ah!... Non ci pensavo piú!"L'Armandimalgrado la bizzarria del suo caratteres'era mostratacome avea promessoamica schietta e vera d'Albertinell'uggioso periodo che aveva seguito la rottura di lui colla Manfredini.Egli andava a trovarla piú spessoe distraevasi chiacchierando con leidi cose indifferenti e sfogando l'umor nero. La contessa possedeva la raraqualità di saper ascoltare. Piú di una volta il giovane avea sorpresosé stesso in muta contemplazione di quella mano fina e aristocratica checarezzava indolentemente il nastro della gorgierinao gli sgonfietti delfisciòe almanaccava dove l'avesse vista un'altra volta.L'Armandi partiva anch'essa pei bagnie a poco apoco Alberto aveva finito per andarla a trovare quasi ogni giorno. Allavigilia della partenza entrambi s'erano fermati piú a lungo del solitosul terrazzino a contemplare gli ultimi raggi del sole che moriva. Albertoera taciturnoed anche la contessa aveva parlato pochissimo."Non è punto allegro stasera!" diss'ellacome per scacciare la tristezza che invadeva anche lei."Si fermerà lungo tempo ai bagni?""Dipenderà da mio marito; ma poi andremo sullago di Como." Eichinò il capo e rimase zitto. Anch'essa divenne astratta.Poi gli disse abbassando la vocesenza che nesapesse il perché ella medesima:"Veramente... le rincresce ch'io parta?""Sí" rispose Alberto senza alzare ilcapo. Lacontessa ammutolí di nuovo. Infine ella gli prese la manoe gli dissedolcemente con voce commossa:"Io non vi amonon posso amarvie non viamerò giammai. Dopo quel ch'è stato fra di noi non possiamo esser altroche amici. Volete?" Eistrinse la mano ch'ella gli porgevasenza avere il coraggio di dire unasola parola. Ilgiorno dopo Alberti era andato a dire addio alla contessa. Nel momento dilasciarsi ella gli domandò: "Verràa trovarmi sul lago?" "Sí.""Non manchi. Venga verso la metà disettembre." Edopo alcuni istanti: "Adessocosa farà? Rimarrà a Firenze tutta l'estate?""Non lo so.""Vada in campagnaai bagni - viaggi. Ella habisogno di distrarsidia retta alla sua amica... E soprattutto cerchid'innamorarsima con giudizioveh! tanto da non perderci la testa...Addio." XXIXLa contessa avea promesso ad Alberto di scrivergli;ma non ne avea fatto nulla. Ella fu alcun poco sorpresa ediciamolo pureanche indispettitadi non veder giungere nessuna lettera del marchesino.Questidall'altro latoincaponí vasi a non scriverleperché ella nons'era curata di mandargli un sol rigo - ed entrambisenza avvedersenesitenevano il broncioproprio come due innamorati. La donna combattevaanche colla curiosità di figlia d'Evae fu vinta la prima."Amico mio - gli scrisse - è morto? è vivo?dov'è? Poiché i giornali non recano notizia di leipermetterà alla suaamica che se ne informi direttamente. Ha dunque seguito il mio consiglio?Innamorato diggià? O s'è fatto trappista? Promise di venirmi a trovaresul lago verso la metà di settembree siamo già alla fine."Al ricevere questa lettera Alberto s'era rammentatodei dolci e melanconici tramonti sull'Arnoquando la contessa gli stavaaccanto pensierosa; ma leggendone il contenuto cadde dal settimo cieloecome un fanciullo che eraebbe la temerità di voler lottare sul medesimoterreno e colle armi medesime con chi era piú forte di lui. Rispose:"Ho seguito i suoi consigli: ho viaggiato! sonoa Milanoe mi diverto mezzo mondo. Sono innamorato con giudizio di unabella tosa che avevo conosciuta ad un veglione della Pergolae che rividiqui in una certa cena che un mio amico - ho molti amici - il quale prendemoglieci dava per farla finita colle follie. Si chiama Selene - l'amata- (bel nome da palcoscenicon'è vero?) ballerina al regio teatro dellaScalaprima quadrigliamarcia in punta di piedi come niente fossee civogliamo un bene da non dire. Vedendomiella mi riconobbe subitoe feceun oh! che ci rendeva amici vecchi. Mi chiama Biondino. La nostra amiciziaè stata facile e prontaed è per questo senza una nube. Ella vededunqueamica miache non c'è nulla da temere per la mia testa. Noi nonci strappiamo i capellinon abbiamo piú il meschino geloso da sfidareoil piú piccolo balcone da scalare; non c'è la piú innocente lagrimaneppur l'ombra di una vera e grande passione... Ma tant'èsi campa lostesso. La mia Selene è molto bella - nient'altro - e mi dice molte cosegentili alla sua maniera - fra le altre che mi vorrebbe benefossi anchepovero come Giobbee che il mio portamonete non ci ha nulla a vederenella mia felicità. Io le credo sulla parolae l'ho divezzata dallabirra. Ella m'insegna un po' di meneghinocosí ci perfezioniamo avicenda. Alcune volteè verorimane a fissarmi con tanto d'occhispalancati - ha occhioni magnifici - come se le stessi a parlar turco; masarà perché non capisce bene il mio toscanoo perché l'annoio collemie fantasie -ma le son fantasie e passeranno. A proposito di fantasiesa? la contessina Manfredini è andata a Castellamare col principeMetelliani - e la mammaben inteso. - Son passati per Firenze. Tuttidicevano colà che ci ritornerà o principessa o morta."Conclusione: Se mi facessi trappista non avreitorto?" Lacontessa stava per rispondere con una lettera che incominciava: "Ellaè proprio sulla via di farsi trappista!". Ma si pentí e stracciòil foglio. Albertoche cuocevasi d'avere una rispostadopo due giorninon seppe piú continuare la sua partee scrisse:"Contessa mianon so davvero perchéma sontriste come un mortorio; quella povera ragazza non ci ha colpama ionemmeno. Ho deciso di cambiar ariaed ho bisogno che Ella mi sgridi e miconsigli come un ragazzo che sono. Mi rammento che costàsulle rive delLarioci dev'essere una certa mia villettala quale era destinata adessere il mio nido nuziale. Scaccio la paura delle nozzee vengo arannicchiarmi domani stesso: ne avremo 30 del mese. Giacché è scrittoche le mie visite debbano giungere sempre in ritardovorrà permettermidi presentarmi a lei domani nella serata?".Leggendo quella lettera la contessa sorrisee poisi fece seria. Rilesse due o tre volte le poche righeconsultò ilcalendariosi mise al tavolino per iscriveree infine chiuse la letteranel cassettoe si alzò. XXXLa giornata era stata calda e burrascosama la seraera incantevole. La luna sorgeva dietro i montialcune bianche nuvoletteerano ancor disseminate pel cieloil lago sembrava color d'acciaiosolcato qua e là da bianche strisce luminose; di quando in quandoalunghi intervalliun soffio di fresca brezza faceva stormire gli alberi efiottare le acque sommessamente.La contessa Armandi avea passato una di quellegiornate bisbetiche nelle quali avrebbe dato non so che cosa per poterdire che aveva l'emicrania: s'era sentita stancainquietanervosauggita; s'era aggirata pel salottosi era guardata nello specchios'eramessa alla finestrapoi avea cominciato a leggereavea buttato il libroda banda e s'era appoggiata all'étagèrea guardare sbadigliando lalancetta dell'orologioed era rimasta a guardarla mezz'ora senzaaccorgersene. Infine aprí il pianofortee si mise a suonaredapprimasvogliatamente. Ad un tratto udí gente al cancello; allora fece unmovimento. "Ilmarchese Alberti" annunziò il domestico.La contessa assentí del caposenza voltarsiecontinuò a suonare. Albertoentròsi accostò al pianoe si mise dietro a lei; ella lo salutò conun cenno del caposenza volger gli occhi su di luianimandosi contro unadifficoltà di Schubert. Infinesmise bruscamente di suonaree si alzò."Che peccato!" esclamò Alberto."Continuila prego!""Nomi annoia... Come sta?""Benissimo; ma ella non sta bene.""Io? s'inganna. Com'è venuto?""In barcadal lago. Ho sentito la sua musicaaccostandomi alla villae avrei fatto meglio standomene ad ascoltarelaggiú..." "Avrebbefatto peggioperché m'annoiavo orribilmente. Le piace quel pezzo?""Moltissimo.""Lo suoni adunque.""Volentierise lo desidera.""Non per me!" diss'ella voltandogli lespalle. "Perchiallora?" "Ma...per coloro che sono sul lago... pei pescatori."Alberto era rimasto immobile; indi le si avvicinò eandò a sedere presso di leiche s'era messa sul canapèscartabellandoun libro nuovo." "Cos'ha?"le domandò pianodopo avere atteso inutilmente ch'ella levasse gliocchi. "Nulla.Cosa mi trova? È stata una brutta giornatacciaecco tutto.""E son venuto in un brutto momentaccio?""Al contrariol'aspettavo.""Cosa legge?""Una sciocchezza" e buttò via il libro:"suoni qualcosadunque!""Cosa desidera che suoni?"Quel che vuole... Quell'Addio di Schubert.""Ma se non le piace..."Ella si strinse nelle spalle con un movimentoinimitabile. Alberti si mise al piano. L'Armandi s'appoggiò al leggiopoi incominciò a leggere della musicainfine andò a riprendere il libroche avea buttato via. Albertisi volsesmise di suonaree stette alcuni minuti cogli occhi fissi su dileiil gomito appoggiato al pianoforte e la fronte sulla mano. Ad untratto si alzòe si avvicinò al canapè."Avete finito?" domandò l'Armandi levandogli occhi con sorpresa su di lui."Sí" rispose Alberto sbadatamente.Ella sorrisee chiuse il libro."Cosa fa a Bellagio? c'è molta gente? sidiverte? si annoia?" "Sí"rispose Alberto sbadatamente.L'Armandi gli rivolse uno sguardo fra il distratto eil penetrantee si diede da fare per rassettare gli oggetti che eranosulla tavola. "Lasera è bella?" domandò poscia senza pensare a quel che diceva.Ei volse gli occhi alla finestra spalancatacheincorniciava il piú bel chiaro di lunae rispose:"Bellissima.""È stato sul lagooggi?""Son venuto in barcagliel'ho detto."Il discorsoprivo d'alimentocadde del tutto. Lacontessa si guardava attornocome cercando un pretesto per rompere quelsilenzio. "Sultavolino ci son dei sigari" gli disse "fumi puresiamo incampagna." "Grazie.""Mi racconti che c'è di nuovo? Cosa si dice daquelle parti?" "Sidice che i bigatti vanno benone.""Ah! Avremo della seta a buon mercatodunque?" "Certamente!""Che fortuna!"Improvvisamente l'uscio s'apríed entrò correndouna graziosa bambina di quasi cinque anniche andò a buttarsi nellebraccia della contessa. "Adagiocara!" esclamò la madre baciandola. "Cosa dirà il signore diuna bimba che entra cosí all'impazzata?"La bambina si volse a guardare il signore coi grandiocchi timidi e curiosi. Alberto le disse cingendola colle braccia:"Mi permette che le dia un bel baciosignorina?" Labambina seria seria acconsenti col capoe sporse la guancia rosea."Com'è bellae come le somiglia!" disseAlberto baciandola. Lacontessa suonò un po' vivamentee consegnò la figlia alla governante."Perché rimandarla?..." domandò Albertosorpreso da quel brusco congedo."È tardi per leisono quasi le dieci"rispose ella secco secco. Albertisi alzò. "Maio non sono una ragazzina!" disse ridendo la contessae ritirò lamano che egli le stringeva per andarsene."Son venuto in un cattivo momentodavvero!" "No.""Non la disturbo?""Parlitaccialeggasuonima non mi lascisola con la mia noiaché sarei capace di buttarmi nel lago"diss'ella col medesimo sorriso."Tanto meglio!"L'Armandi gli rivolse una tacita interrogazioneesi appoggiò alla spalliera del canapècontemplando i disegni dellaventola. Successeun lungo silenzio. "Ela sua ballerina?" domandò quasi sbadatamente."Sta benissimo" rispose Alberti senzalevare gli occhi dall'album. Etacquero nuovamente. Tutt'aun tratto Alberti le piantò gli occhi in viso e domandò:"Perché mi domanda della mia ballerina?""Cosí... per parlare di qualche cosa..."Ei chiuse l'albumsi alzòandò a vedere l'orache segnava l'orologioe tornò a sedersi senza aprir bocca.La contessa l'avea seguito collo sguardoe s'erafatta pensierosa. Alla sua volta gli piantò gli occhi in faccia ancheleie gli disse: "Perchéle rincresce che le parli della sua ballerina?""Non mi rincresce" rispose Alberti un po'bruscamente. "Hobisogno di rammentarle i nostri patti?" riprese l'Armandi dopo unalieve esitazione. "Non siamo piú amici come prima? Non ho piú ildiritto d'interessarmi a lei? di darle dei consigli all'occorrenza? Ellaè giovane e pieno di cuore - troppoforse. - Non le ho detto che quellaragazza le convienegiacché non è pericolosa per la suaimmaginazione?" "Grazie."Successe un lungo silenzio."M'ascolti" riprese infine la contessamentre Alberti stava a capo chino. "Le ho parlato sempre con tantaschiettezzache non le ho lasciato nemmeno il diritto di essere ingiusto.Sa che non l'amoe che non l'amerò giammaima che le voglio un granbene - in un altro modo - e che la sua amicizia mi è carissima. Però ilgiorno in cui ella mi amerà sarà un gran maleci pensi! Se avrò unamante lo dirò a lei per primo - nient'altro - per provarle laschiettezza dei miei sentimentie costringerla a rimanere quello chedesidero ch'ella sia per me. Le basta? Potrà promettermi di manteneresempre dentro cotesti limiti le nostre relazioni? Ella è un uomo d'onore- parta o rimanga." Albertorimase alcuni istanti silenzioso. Poscia rispose:"Ha ragione."La contessa gli strinse la mano."Stasera sono stata bisbeticae forse anchecattiva" riprese gaiamente. "È affar di nervi; mi perdoniamico mio. Vuole che le suoni qualche pezzo per ricompensarlo dellanoia?" "Sí"rispose egli distratto. L'Armandisi mise al pianoe suonò lungamente senza interrompersi. Albertisembrava ascoltasse attentamentesilenziosamentee quand'ella si alzòun po' stancanon aprí nemmen bocca per ringraziarla.Leiseduta nell'angolo piú oscurotaceva da unpezzo; il silenzio era profondo; di tanto in tanto un soffio di brezzaspingeva verso l'interno del salotto le tende del balcone e il profumo deifiori ch'erano sulla terrazza; dalla finestra aperta vedevasi lasuperficie del lago incresparsi in strisce argentee.Infine la contessa si alzò senza dire una parola eandò lentamente sulla terrazza. Alberti la seguí. Si appoggiarono allabalaustrataguardando il lago. Non si vedeva un lume; mezzanotte suonavalontano. "Diggià!"mormorò l'Armandi. Albertoprese il cappello per andarsene. Ella rispose appena al suo salutoe nonsi volse nemmeno per vederlo partire. Udí vagamente chiudersi l'uscio delvestiboloe poco dopo i passi di lui nel viale."La sua barca è laggiú?" domandòall'improvviso e con vivacità dall'alto della terrazza."Sí.""Sa remare?""Credo di sí.""Rimandi il barcaiuoloe m'aspetti."Dopo pochi momenti egli se la vide comparire dinanziinfilandosi i guanticon un velo sul capoil viso bianco e seriogliocchi luccicanti. "Saproprio remare?" replicò brevemente e senza volgere gli occhi su dilui. "Sísí." Ellasaltò nella barca senza aggiungere altroe sedette a poppa.La barchetta scivolò sulle acque tranquilleeallorché furono molto lontani dalla sponda Alberto lasciò i remi. Lacontessa guardava in silenzio la striscia luminosa che fuggiva dinanzi aloro sulla superficie bruna del lagoe l'acqua che s'increspavascintillante intorno ai remi. Stava mezzo sdraiata sui cuscinitenendo ilcapo un po' arrovesciato indietro sul tappeto che sfiorava le acqueeguardando in alto; di tanto in tanto saettava uno sguardo su di Albertoche teneva gli occhi rivolti altrovee non diceva motto. Il silenzioaveva un fascino voluttuoso; quella pallida luce sembrava versare onde dinon so qual nebbia seduttriceun'ora suonava. La donna rivolseindolentemente il capo verso il luogo dove echeggiavano ancora gli ultimirintocchi e tutt'a un trattofissando in volto ad Alberto gli occhiluccicantie bruscamenteridendo quasi ironicagli disse:"Marchese Albertise in questo momento cifosse anche in voi il conte Armandie se una metà del vostro individuogiurasse all'altra metà di non essere l'amante di vostra moglielocredereste?" Albertorimase sbalordito. Poi si rizzò di bottoe le disse con voce tremante esoffocata: "Perchévi trastullate col mio cuore come con un cencio?"Ella s'era alzata anche lei; si teneva ritta sullapoppaleggermente pallidacogli sguardi smarritile labbra smorte esorridenti. "NoAlberto!... Dico per ischerzo..." rispose con uno scoppiettíoconvulso. Eile afferrò le mani "Aspettate!"diss'ella seriarisolutae con voce concitata. "Giuratemi che nonè un capriccio il vostro!""Oh!..."Il brusco movimento di lui minacciò di farrovesciare la barchetta. La contessa vacillòmise un piccolo grido."Non cominciamo dalla fine!" disse.I primi chiarori dell'alba imbiancavano il cieloquando la barca toccò la sponda. La luna era smortail lago sembravapiú scuro; la contessa era pallidapensosasembrava pentita. Saltòvivamente sulla riva per non toccare la mano che il giovane le offriva;spinse la barchetta bruscamente col suo stivalinoe s'incamminò a passolento verso il cancelloguardando con occhi distratti il lume che ardevaancora nel salotto. "Addio"gli disse con voce incertasenza guardarloa capo chino.XXXI Albertos'incamminò lentamente andando alla venturacol sigaro in boccail visopallidol'occhio ardente e fisso dinanzi a séguardando macchinalmenteil lagoi montila gente che incontrava. L'aria fresca del mattinofacevagli dilatare i polmoni con forzae sembrava infondergliun'esuberanza di vita. Il canto degli uccellii mille profumi dei campii primi raggi del sole lo penetravano vagamentesottilmentecon un'altrafisonomiaquasi gli appartenessero e fossero al mondo soltanto per luiincarnandosi confusamente in una immagine fitta nel cervellonel cuoredinanzi agli occhi. Il suo pensiero era inerte e vertiginoso; tutti gliavvenimenti di quella notte si urtavano confusamente nella sua memoria fradi loroe l'abbagliavano con una specie di luminosa intermittenza. Nonavrebbe saputo esprimere quel che provavase era felice oppur nosentivaun gran sbalordimentoun desiderio febbrileun'immensa gioia tumultuosainquieta - e leisempre làdinanzi agli occhidentro di sédappertutto. Levie cominciavano a popolarsiil lago formicolava di barchettee Albertigironzava sempre attorno a quella villa che esercitava un fascino su dilui. Ella doveva esser lí dietro ogni persianaansiosabramosa come acercarlo anche lei cogli occhicolle reminiscenzecolla fantasticheria.Contemplava quella terrazza ov'erano stati insieme quella balaustra allaquale ella s'era appoggiataquella scalinata per la quale era discesaquel lago sul quale s'era cullata mollemente la loro barchettacircondatadi tenebre discretedolcimisteriose. Tutte quelle cose adesso eranoinondate di solesenza ombresenza velipetulanti. - Udiva dentro disé quella parola "m'aspetti" - e quel piccolo grido soffocato.Verso le undici non poté piú resistere aldesiderio di rivederlacome se l'avesse lasciata da un secoloed andò.La cameriera gli disse che dormiva. Ei se lo fece ripetere due voltequasi non fosse ben sveglio egli puree volse le spalle. Poi tornòindietroe lasciò per lei il suo biglietto di visitasul quale scrissein inglese col lapis: "Invidiovoi che potete dormire."Andò all'albergosi buttò sul lettoe dormí dueo tre ore un sonno da ubbriaco. Una lettera di lei venne a svegliarlo disoprassalto. "Amicomio- diceva - verrete domani alle quattro? Avrò anche la signoraRigallie faremo della musica. Conto su di voi. Oggi sono a pranzo daiCorvetti." Ilcarattere era elegantetracciato con mano sicurala firma era perintero: "Emilia Armandi".Il povero giovane stette mezz'ora voltando erivoltando fra le mani quel fogliettino profumatoe rileggendo quelle duerighe cosí semplicicosí chiareche non riusciva a comprendere.Ei passò tutto il giorno in una specie disonnolenza e di sbalordimentopensando a leia che cosa stesse facendoa che cosa fosse accadutoal perché gli ordinasse di non vederla sinoall'indomanial come ella potesse aspettare sino a questo domani senzasoffrire al par di lui. Trasaliva al ricordarsi con miracolosa precisionele parole di leiil tono della sua voceil profumo dei suoi capelli;stava guardando il lagoquel medesimo lago che cominciava a farsi brunoe su cui le stelle cominciavano a scintillare. Fra il disordine delle sueidee ce n'era una piú insistente delle altre: perché ella gli avessefatto promettere di buttarsi nel lagoe perché poi non gliel'avesseordinato. Sapeva che non l'avrebbe obbeditae che quel tale amore lorendeva vile? Ilgiorno dopoavviandosi verso le quattro alla villa Armandiincontrò lasignora Rigalli che andava ad imbarcarsi insieme ad un'allegra brigata."Non va dalla contessa Armandi?" ledomandò con un po' di sorpresa."No. L'Emilia doveva anzi venire con noimastamane m'ha scritto che ha cambiato idea. Vuol essere dei nostri?""Grazienon posso"; e si allontanòalmanaccando perché l'Armandi in un biglietto di tre righe ci avessecacciato anche la musica e la signora Rigalli.Trovò la contessa nel suo salottosul suo canapècircondata dai suoi amici e dalle sue amiche; fu accolto col migliorsorrisoe fu presentato agli altri senza il menomo imbarazzo. Ella eraperfettamente padrona di sépiena di brio e disinvoltura - scherzò anzicoll'aria un po' stralunata di lui - parlò di corse sul lagodi partitedi piaceredelle avventure dei bagni. Un tale domandò del conte Armandich'era ancora a Torinosebbene la sessione fosse chiusa da un pezzo."Verrà quanto prima" rispose la contessa"appena terminati non so quali lavori di non so qual commissioneparlamentare; e rivolgendosi alla signora che aveva al fianco aggiunsesorridendo: "Quella benedetta politica è una rivalepericolosa." Albertoascoltava la sua vocee guardava le sue belle maniornate di larghimanichini di trinache ella tirava in sú allorché le cadevano lungo ilbraccio. Alle ultime parole di lei la fissò in viso; poscia arrossísenza saper perchédistolse gli occhie prese parte alla conversazionecon vivacità nervosaa sbalzicon lunghe interruzioni che avrebberograndemente sorpreso tutti coloro che erano presenti se non fossero statitutti perfettamente ben educati."Non va colla signora Rigalli?" domandòad un tratto. Lacontessa gli rivolse un'occhiata tranquilla e rispose:"No.""Mi disse però che contava su di lei...""Souvent femme varie!" rispose l'Armandicolla massima disinvolturae sorridendo un po'.XXXII Infinei visitatori se ne andarono a poco a poco. Alberti e l'Armandi rimaserosoliseduti l'uno accanto all'altraeper alcuni istantisilenziosi.La contessa s'alzò all'improvvisosi allontanòbruscamente da luidiede un'occhiata incerta all'intornopoi gli venneincontro risolutamente facendo frusciare i lembi del vestito con un sibilodi serpente irritatoe gli si piantò in faccia."Cosa avete? Dite infine! parlate!"esclamò corrucciata. "Nullacosa volete che abbia?" rispose egli con durezza.Le labbra della donna tremarono convulsamentees'agitarono due o tre volte come per parlare. Ma ad un tratto scoppiò inun accento indescrivibilecoprendosi il viso colle mani:"Ah! come mi punite!"Ei s'alzòle prese le mani che gli sfuggironoerimase alcun tempo senza trovar parola. "Che vi ho fatto?"balbettò infine. "Nullam'avete fatto!" esclamò l'Armandi sdegnosamente.Alberto le prese nuovamente la mano. Stavolta ellagliel'abbandonò senza accorgersene; teneva gli occhi fitti sul tappetotorvaaccigliata. Tutt'a un tratto gli disse con voce breve e concitatafissandogli in faccia uno sguardo lucido e freddo ome l'acciaio:"Perché siete venuto? Cinque minuti prima dilegarmi a voi mi sarei piuttosto buttata nel lago se avessi potutoimmaginarlo! Ora avete il diritto di dubitarne!"Alberto si fece rosso e pallido."Non mi amate?" le disse allentando lamano. "Checosa pensereste adesso di me se non vi amassi?" gli risposesorridendo di un riso che faceva rilevare il labbro superiore conun'espressione d'amarezza intraducibile. "Ma non avrei voluto esserevostra amante... Ve lo giuro per mia figlia... per mia figlia!"replicò con forzaguardandolo alteramente negli occhie scuotendogli lamanonell'osservare un impenetrabile movimento di lui. "Voi m'avetepreferito a un'altra donnaed io ero orgogliosa..." E chinando ilcapo con sarcastica e fiera rassegnazione: "Adesso vedete che non losono piú". Siabbandonò sulla poltrona e nascose il viso nel fazzolettosenza muoversipiúsenza dire una parolacosí altera e sdegnosa che Alberto non osòscostare una punta di quel fazzoletto."Cosa v'ho fatto?" replicò alfinegiungendo le mani "Non vedete come soffro? come vi amo? come hosofferto per non avervi potuto vedere?... Avete letto il miobiglietto?" "Sí...e la mia cameriera prima di me.""Ho scritto per questo in inglese...""Avreste dovuto scrivere in camaldolese:sarebbe stato meno sospettoe meno compromettente."Ella parlava pianocon calmacon accento dirassegnazione ironicacol viso dimessoe le mani incrociate sulleginocchia. "Hoavuto torto!" rispose Alberto alquanto indispettito"perdonatemi. Vi amavoavevo perduto la testa Non pensavo alleconvenienzeal mondoai domestici... Avevo bisogno di pensare a voi....di fare qualche cosa per voi... Non avevo altro da dirvi...""Nemmeno che avreste fatto della musica collasignora Rigallionde non compromettervi col vostro scritto... Non ècosí?" interruppe la donna."Oh!""Perché arrossite d'avermelo rimproveratomezz'ora fa: Avevate ragione!" riprese ella colla medesima calmanella parolanell'accentonella fisonomia e nell'atteggiamento. "Ilvostro amore è schiettofrancoe sincero. Io ho parlato dinanzi a voidi mio maritoe non ho arrossito In presenza di coloro che miascoltavano. Ho mentito l'indifferenza e la disinvolturaho mentito versodi voiverso i miei doverie verso il mondo; avete il diritto di pensareche vi abbia mentito anche quando vi ho detto che vi amo! Mezz'ora fa miavete guardata in faccia stupefatto due o tre voltee avete arrossito permevi ho visto. Voi non ci avete colpa. Son moglieson madreho deidoveri sociali e son la vostra amante: è impossibile conciliare tuttoquello che ci è di contraddittorio nel mio stato senza mentire. Io misono umiliata ai vostri occhi facendo il sacrificio del mio orgoglio edella mia delicatezza dinanzi a voiper voi. Non vi faccio un rimprovero.È colpa vostra se avete tutto per voila franchezzala lealtàladelicatezza l'onoreea salvaguardia di tutto ciòla vostra spada? Voiavete tutto quello che io mi son messo sotto i piedi... per voi."A queste ultime parole il sarcasmo scoppiònell'accento vibratosibilantenel sorriso amaro e nelle calde lagrimeche ella asciugava dispettosamente prima ancora che spuntasserosull'orbita. Ciascuna di quelle paroleciascuno di quegli accentiandavano a colpire sul viso Albertiil quale stava zittoimmobilearrossendo e impallidendo a vicenda come se si sentisse schiaffeggiaredalla propria coscienza. "Perchém'avete amato?" domandò alfine con voce fremente e soffocata.L'Armandi alzò su di lui gli occhi ardenti dilagrime e di colleracome smemoratae non rispose."Perché non mi scacciate?" replicòAlberti. Un'espressioneindefinibileun non so che di attonitod'ansiosod'iratodivendicativod'innamorato e di paurosolampeggiò nello sguardo dellacontessa. Ella stette alcun tempo senza dir nulla; poi arrovesciò il capoall'indietro sulla spalliera della poltronacon un movimento felinoecolle mani intrecciate dietro la nucacolle larghe maniche cadenti per lecandide bracciarispose mollementeguardando il soffitto:"Avete ragione. Il meglio sarà non vedercipiú." Albertorimase immobileguardandola. Ad un tratto si precipitò su di lei come unleone innamoratol'afferrò per la vitasenza dire una parolae lasollevò sulle braccia. Ella piantò gli occhi scintillanti come armiomicide in quel viso pallido e stravoltotenendosi discosta da lui contutta la forza della sue braccia irrigiditee all'improvviso gli siavventò al colloe lo baciò rabbiosamente.XXXIII ABellagio il marchese Alberti aveva la riputazione d'essere alquantooriginalee infatti menava tal vita da giustificare cotesta riputazione.Non si faceva vedere da nessuno per delle settimane intieree poi tutt'aun tratto mischiavasi a tutti i crocchiprendeva parte a ognidivertimentomostravasi assetato di piacerimontava spesso a cavallofaceva delle corse da numidao dormiva per ventiquattr'oree los'incontrava a scorrazzare per i sentieruoli piú deserti ad ore da poetio passava le notti ad un giuoco d'infernoperdendo delle grosse sommecolla stessa indifferenza con cui vinceva. Le signore chiudevano un occhiosulle stranezze di lui perché egli li aveva molto belli tutt'e dueeragiovane e riccoe qualche volta anche grazioso ed amabile. Quel po' dicorteccia ruvida che gli rimaneva attaccatae di cui s'ingegnavano a garadi mondarlodavagli anch'essa una certa agreste attrattiva - dicevano.Egli aveva i migliori cavalligli amici piú simpaticied una voltapregò due di costoro d'andare a sfidare un taleil quale aveagli dettoche aveva anche la piú bella amante. I due amici cominciarono dal riderema per rabbonirlo dovettero finire col dirgli che non era proprio il casodi prendere in mala parte un complimento di cui molti altri sarebberostati lusingatissimi. Alberto erasi incaponito che quel complimento fosseingiurioso per la riputazione della dama. Il piú intimo dei duequegliche desinava piú spesso con lui e che gli doveva di piúlo tiròalquanto in disparte e gli disse:"Caro miosei ben sicuro d'essere stato ilprimo amante di quella dama?... Be'... Non c'è di che arrossire...Lasciamola lí piuttosto. Un duello la comprometterebbe infinitamentedippiú. Andiamo a cena e dormiamoci sopra."La contessa riceveva Alberti frequentemente digiornoanche quando non c'era per tutti gli altrie di seraallorchéfaceva della musica: il marchese era distinto pianista e l'Armandi amavala musica appassionatamente - ognuno lo sapeva. Alberti la vedeva in tuttele riunioniin tutte le partite di campagnae in tutte le traversate sullago; era con lei sovente a cavallo o in carrozzada solo o in numerosacompagniastava con disinvoltura nel salotto di leil'accompagnava alpianoe faceva il galante colle amiche di lei; sapeva condursi con garborispettava le esigenze socialie piegava il capo con grazia alle piccoleipocrisie. Ella invece stava in mezzo a questi scogli colla testa altacon aristocratica disinvolturadominando tutto ciò che non potevaelevare sino a lei; ingentiliva Albertolo perfezionavastava adiscorrere con lui accanto al pianoo presso il tavolino da lavoroo sifaceva accompagnare in giardinodandogli l'ombrellino da portarlee silasciava baciare il guanto - sicché tutte le volte che gli permetteva distrapparle quel guantoo lo precedeva sotto i folti alberi del boschettosorridenteesitanteguardandosi intorno nel raccogliere le pieghe delvestitoe camminando in punta di piedia lui sembrava che il cielo sispalancasse a due battenti. - Giammai non aveva voluto piú andare unasola volta sul lago con lui. Siapprossimava il ritorno del conte Armandi; Alberti lo sapeva vagamentemanon aveva mai osato domandarne alla contessaed ella non gliene avea maiparlato. Un venerdí ch'era andato da lei per combinare una gita sul lagoe gli avevano detto che sarebbe ritornata a momentis'era messo al pianoper ingannare il tempoe scorreva della musica che la sera innanzi leavea mandato egli stesso. Infatti udí aprir l'uscio del salottoe sialzò credendo fosse lei. Invece era la bambinache giungeva correndoprima della madree vedendo Alberto s'era fermata sull'uscio."Le faccio paurasignorina?" disseAlberto. Inquel momento entrò anche la contessa; gli stese la manobuttandol'ombrellino sul tavoloe togliendo alla figlia il largo cappello dipaglia. "Comesei rossa!" le disse baciandola. "Vai dalla Tilde."La bimba gli rese il bacioe prima d'andarseneoffrí anche ad Alberto la guancia vermiglia. Egli l'accarezzò suicapelli. Lamadre tirò a sé bruscamente la figliuolala baciò di nuovoconsingolare vivacitàe l'accompagnò sino all'uscio."Perché non avete baciato la miabambina?" gli domandò tornando indietro.Alberti tardò un istante a rispondere; ma ellasenza dargliene il tempoandò al pianoe prese il fascicolo ch'era sulleggio. "Viringrazio della musica" aggiunse senza voltarsi e sfogliandola."Ci ho dato un'occhiata ieri stesso. È proprio bella."E tornò lentamente verso il canapèsenza levaregli occhi dalla cartasedettee spiegò il quaderno sui ginocchi."Avete fatto una lunga passeggiata?"domandò Alberti. V'hofatto aspettare? Scusatemi. Ero andato ad incentrare Armandi. Invecericevo una lettera che rimanda la sua venuta a domani.""Ah!""Volete essere dei nostri a pranzodomani?" "Grazie.""Rifiutate?" diss'ella facendosi un po'rossa. "Sí.""Non se ne parli altro."Suonò il campanelloe si fece recare il cestellinoda ricamo "Sifermerà molto tempo il conte?" domandò Alberto giuocherellando colgomitolo. "Unmese circasin che andremo a Belmonteposcia sarà a Torino per lariapertura della Camera."Alberto chinò la fronte sulla palmae dopo unabreve pausa disse plano: "Sicché...non ci vedremo sino a giugno?""Come volete che vi riveda senza presentarvi amio marito?" "Èvero." Ilsilenzio che seguí avea alcunché d'imbarazzante. La contessatuttaintenta al suo ricamoriprese alfine:"Iersera so che avete fatto una grossa perditaal giuoco. Ho il diritto di parlarveneperché sono la vostra miglioreamica. Ciò è irragionevolemio caro.""Avrei anche potuto vincere. Sono sfortunatoecco tutto;" rispose Alberto seccamente"Ebbeneabbiate giudizio anche per la fortunache vi manca: non giuocate.""Lo volete?""Ve ne prego.""Non giuocherò."Ella chinò il capo."Che bel lavoro!" disse Alberto poco dopo."Vi piace?""Moltissimo. È un lavoro per uomo?""Sí.""E... senza essere indiscreto?""Nessuna indiscrezionemio caro;" risposel'Armandi sorridendo; "anzi quel che c'è di piú legittimo: è permio marito." "Oh!...proprio un regalo di nozze!" diss'egli sorridendo a denti stretti.La contessa sorrise senza alzare gli occhi dalricamoe arrossí lievemente. Ei cavò l'orologio e si alzò."Addio" gli disse l'Armandi stendendogliuna manomentre coll'altra contava i punti del disegno.Alberto le strappò il ricamoe lo stracciò."Marchese Alberti!" esclamò l'Armandirizzando il capoalteracorrucciata e imponente.Il marchese fece barcollando due o tre passi versol'usciosi arrestò sulla sogliaed esclamò torcendosi le mani:"Ah! come son vile!""Nosiete pazzo!"Gli volse le spalleandando verso la finestra; eposciavolgendosi vivamente verso di lui:"Anche geloso di mio marito?"Alberto impallidí."Tanto meglio!" esclamò la contessa conun sorriso irritato. "Perché?...perché volete ad ogni costo che io stringa la mano di quell'uomo?"disse Alberti con accento brusco.Ella lo fissò un istante con occhi di sfida e dicollera. "Perchévi ho dato il mio onoree voglio che voi mi diate il vostro!"XXXIV Albertopartí la sera stessa per Milanoe andò a cadere come una bomba dallaSelene. "Nonè in casa" gli dissero.Era il tocco della mezzanotte; egli andò alCircoloe vi passò il resto della notte.Il giorno dopo s'era levato da pocoallorquandoSelene entrò come una spiritatasbattendo gli uscie cantarellando."To! eri tubiondino? Sei venuto a cercarmiiersera? Sei tornato? Scusami se non mi hai trovata in casa; ero andata alCarcano." "Altocco?" "Sídopo s'era andati a cena colla Irmasail'Irmala brunala conosci? cipagava una cena scicche perché era il giorno della sua festa. Comestai?" "Stobenissimograzie." "Vienidal lago? Cosa m'hai portato dal lago?""T'ho portato un braccialetto.""Bello? Fammelo vedere. Dov'è?""Da Bigatti. Se hai furia puoi andare aprenderlo." Scrissesu un bigliettino di visita due righe pel gioielliere che la conoscevabenissimoe glielo diede. Ella volle gettargli le braccia al collo."Grazienon occorre..." diss'egliscostandola. Lapovera Selene se n'andò mogia mogia. Alberti ordinò al cameriere di dirsempre che non era in casa tutte le volte che ella venisse a cercarlo.Andò al Corsoalla sala d'armial Circolo;giuocòrivide i suoi amicie prese parte alle loro cene e a tutti iloro passatempi. Frelliil nestore emerito della brigatal'avea presosotto la sua protezione. "È di buona razza e di buona tempra"diceva. Il nestore aveva quarantasette annidue gran dame che se lodisputavanoed un'amante per la quale gettava il denaro a due mani. Gliamici di Alberto erano tutti bravi giovanotti - borsa apertacuore aprova di spadae scilinguagnolo un po' sciolto. Nella loro allegrianella loro conversazionenei loro bagordic'era un profumo di gaiezzadi spiritoe di cordialità giovanile che inebbriava i piú sobri.Una delle piú belle sere di luglio Alberti erauscito dal Circoloinsieme a due amici coi quali avea desinato; avea lapupilla alquanto dilatataè veroma le gambe piú ferme e la linguapiú sciolta degli altri. Andarono sui bastioni in carrozzaciarlandofumando e ridendo ad alta voce. L'aria era rinfrescata da un lieveventicello che veniva dalle Alpi; dai giardini venivano di tanto in tantovigorosi profumiincontravasi solamente qualche coppia che passeggiavalentamentediscorrendo sottovocee dileguavasi sotto gli alberi deivialio qualche brougham che andava a piccolo trotto il cavallo fiutandola polvere e il cocchiere contando le stelle nascenti. Alberti a poco apoco era divenuto silenziosos'era buttato in fondo al legnoe avealasciato spegnere il sigaro. Ad un tratto fece fermare la carrozzasalutò gli amicis'avviò a piedi pel corsofermò il primo fiacre cheincontrò e si fece portare dalla Selene."Oh!" esclamò costei vedendoselocomparire dinanzie rimanendo con una mano sul battente dell'usciocongrand'occhi attoniti. "Non t'aspettavo piú."Ei si chinò sulla candelae accese un altrosigaro. "T'hannodetto che sono venuta a cercarti?""Sí."Selene andò in furia a prendere il biglietto cheAlberti le aveva dato per Bigattie lo stracciò in cento pezzi."Allora ecco il tuo braccialetto! Non lovoglio." "Comesei bella cosí in collera!" rispose Alberti dopo averla fissataalcuni secondi senza batter ciglio."Sei innamorato? Cos'haisei innamorato?"Ei non rispose."Sei in collera con la tua belladi'?"Alberto scrollò le spalle e disse freddamente:"Vuoi che me ne vada?""Sísívattene!" e posciaafferrandolo con impeto per un braccio: "No! non te ne andare!".E rimase a guardarlo avidamentetenendolo semprepel braccioe gli occhi le si velarono."Come fa a non amarticotestasuperbiosa?" Gligettò le braccia al collo. Ei che stava per partire tranquillamenteallorché sentí avvinghiarsi da quelle braccia dimenticò la contessa.Uscí dopo mezz'orafoscostralunatodispettoso -la povera ragazza non ebbe il coraggio di trattenerlo. Andò a Como colprimo treno; passò la giornata sul lagoe la seraa notte fattas'avviò a piedi verso la villa. Tutto era buiosoltanto alla finestradella camera della contessa c'era lume.Quel lume l'accecaval'affascinavagli trafiggevail cuore come una punta di ferro arroventato. Ei non avrebbe osato ridiretutti i pensieri che gli tempestavano in mente: c'era una specie digelosia acreche avea un pudore singolare. Avrebbe ucciso la contessa conle sue mani piuttosto che rimproverarle le torture che ella gli facevasoffrire in quel momento - e stette ad assaporarle ad una ad unasinquando quel lume si spense. L'indomani le scrisse: "Mi volete adesinare oggi?" Gli fu risposto con un invito del conte e dellacontessa Armandi. XXXVIl conte Armandi era un uomo politicogentiluomosino alla punta delle unghiedignitososeriofreddoed uomo di mondo:avea la riputazione d'aver corso la cavallina in gioventúla qual cosagli avea lasciato una elegante piacevolezza di maniere ed una lievetendenza all'epicureismo che gli andava come un guanto. Ei stava a Torinodurante le sessioni parlamentarie il resto dell'anno viaggiavae andavaai bagnidove riunivasi la chiesuola de' suoi amici politici.Quando Alberti entrò nel salotto la contessa nonc'era; ma il marito accolse il nuovo invitato come una vecchia conoscenzae gli parlò del fu marchesech'era stato suo amicoe della marchesach'era detta a Milano la bella toscana. La contessa si fece un pocoaspettaresicché fu quasi il conte che dovette presentare Alberto allamoglie. "Miacara Emiliavi son grato d'avermi fatto riannodare una vecchia conoscenzadi famiglia." "Finalmente!"diss'ella ad Alberto stendendogli la mano.Come furono riuniti i tre o quattro amici chedesinavano in casa Armandila contessa prese il braccio dell'ultimovenutoil colonnello Martenie passò nella sala da pranzo. Albertosedette accanto alla signora Rigalliche stavolta era venuta davvero.Il colonnello Martenidei carabinieri piemontesiera un bellissimo uomocon una larga cicatrice che gli attraversava mezzala frontee con due nastri turchini all'occhiello del suo abito daborghese; egli era amico personale del conte Armandiche l'aveva indottoa venire a passare il suo mese di permesso sul lago di Como. Il colonnellofaceva galantemente onore alla tavolaai suoi ospitie alla sua damacon galanteria un po' soldatesca. Le signore andavano matte per quel belmilitare che s'era acquistato a Custoza ed a Goito i suoi nastri e la suacicatricee ne parlavano tanto che il Martenida uomo di spiritoaveacercato due o tre volte di cambiar discorsoed infine s'era salvato collacontessaandando a prendere il caffè nel salotto.La contessa in tutta la sera non avea rivolto chepochissime volte gli sguardi e la parola ad Alberti. I commensali avevanoseguito in sala la prima coppia e s'erano fermati in diversi gruppi.Alberto era andato sulla terrazza; il conte Armandi discorreva con altridue presso il camino; la signora Rigalli assediava il suo militare sulcanapè; la contessa era accanto alla tavola: dopo alcuni minuti di quelleciarle scucite che avviano la conversazionevolse attorno una rapidaocchiataversò del caffè in una chiccherae andò difilata verso laterrazza. Alberto stava colle spalle appoggiate alla balaustrataevedendo comparir l'Armandi nel vano luminoso del balconesi rizzò disoprassalto; ella gli afferrò la mano e gli disse sottovocerapidamentecon accento intraducibile: "Viringrazio. Adesso non v'è cosa che non farei per voi."Ei le afferrò la manofissandola. - Cosí rimaseroalcuni istanti zitti e palpitanti."Lo sapete che mio marito mi ucciderebbe?...Volete che mi faccia uccidere? Volete che mi perda per voi?"diss'ella sorridente. "Volete?"In quel momento il conte avea finito di discorrerecol suo interlocutoree avvicinavasi alla terrazza. Scostò la tendasifermò un po' sulla soglia per abituare i suoi occhi alle tenebreescambiò qualche parola con Alberti. La contessa rientrò centellandotranquillamente il suo caffècol piú spensierato sorriso in viso.Passando vicino alla signora. Rigalli e al Martenidisse ridendo:"Schiettamentecara Virginiavorreste essereun uomo celebregloriosodecorato?""Ma... se non fossi quel che sono... vorreiesserlo!" "Ideefalseamica miauna delle tante ingiustizie sociali! Non c'è che unadonna capace di far quello che il colonnello non oserebbe di farenemmenocolla speranza di una terza medagliaper..."Sedette sulla poltrona favoritaappoggiando il capoalla spallierae bevendo il caffè con una specie di voluttàd'orgoglioe di trionfo. "Perche cosa?" domandò il Marteni."Per una cosa da nullaper un capriccio... peruna tazza di caffè..." rispose l'Armandi con uno scoppio di risa."Prenda la mia ch'è vuotaMarteni."Gli invitati se n'erano andati a poco a poco.Alberti era rimasto a discorrere coll'Armandi presso l'uscio."Verrà domani?" gli domandò la contessacogliendo giusto quel momento. "Venga alle quattro. Ci ho dellamusica nuova." XXXVIIl conte Armandi era uscito verso le tre; la musicagli piaceva al Regioo alla Scalacon accompagnamento di ballerineeaveva il buon gusto di stare nel salotto della moglie soltanto allorchéella non riceveva. Era dunque montato a cavalloed era andato a desinarealla villa di un suo amico. Andavatranquillamente di passocol sigaro in boccapiegandosi sulle staffe perosservar da buon cavallerizzo la levata del cavalloe compiacendosinell'atteggiarlo come fosse al maneggio. La giornata era bellarinfrescata da una piacevole brezzolina che faceva sventolare labanderuola di segnale posta da un lato della via che stavasi riparando. Ilcavallo del conte ebbe un ghiribizzo alla vista di quella banderuola rossache svolazzavagli dinanzi agli occhiricalcitròe passò sbuffandoguardandola torvocon le narici fumantie contrastando alla mano.Armandi volle assicurarlo: cavallo e cavaliere si incaponironos'imbizzarrironosbrigliandoimpennandosispronandoe rinculando versoquella parte della strada ch'era tutta sossopra e sparsa di buchequasiil cavaliere avesse il proposito deliberato di rompersi il collo; tutt'aun tratto il cavallo mise un piede in falsocaddetentò generosamentedi rialzarsi con isforzi disperatie infinevinto dal doloresirovesciò senza mettere un nitritoda bravo. Armandi era saltatoabilmente in piedi fuor delle staffee cercò rianimare colla briglia ecolla voce il povero animale che aveva l'angoscia negli occhisollevavail capo e ricadeva. "Povero Falco!" disse il conte. Infinevedendo che non c'era proprio nulla da fare raccomandò il cavallo feritoagli operai che lavoravano sulla stradapromettendo di mandar subito deisoccorsie invece di tornare a piedi per la via fattache sarebbe statatroppo lungascese sulla riva in cerca di un battelloe si fece condurreper acqua alla sua villa. Lavilla dalla parte del lago avea un cancello che aprivasi sul molomicroscopico dov'erano ormeggiate le due barchette del conte. Un centinaiodi passi piú in lá era la casetta del giardiniereaddossata al muro dicintatappezzata di gelsominie di cui il tetto rosso faceva un belvedere sul verde cupo dei grandi alberi del boschetto. Il conte andò apicchiare sui vetri della finestra col pomo del suo frustinoe si feceaprire il cancellorimandò il giardinieree s'avviò pel viale chemenava alla terrazza. Camminava lentamentee di tanto in tanto fermavasicome per stare in ascoltoe alzava gli occhi verso le finestre delsalotto. Ilvialeprima di mettere alla scalinata della terrazzaserpeggiava attornoad una gran vasca ombreggiata da magnifiche piante acquaticheebiforcavasi per mettere in un sentieruolo che conduceva alle scuderiepassando dinanzi ad una capanna rustica ch'era chiusa da lungo tempo.Il conte s'era avviato pel sentieruoloteneva gliocchi fissi sulla capanna abbandonata o sulle scuderiecercando di vederqualcuno da mandare in soccorso pel povero Falco.Ei passò accanto ad un padiglione di bosso e dimortellatenuto con somma curaaperto da quattro arcateornato disedili e di statuedinanzi al quale il sentieruolo svoltava bruscamenteper salire l'erta verso la capanna.Alberti era giunto all'ora fissata. La contessal'aspettava: ei le s'appressò rapidamentele baciò la manoe le dissecon voce breve: "Vostromarito?" "Uscito.""Tornerà presto?""Desinerà fuori di casa.""Come siete bella!" esclamò.Ella si svincolò dalle mani che le stringevano ipolsie andò a tirare il cordone del campanello."Lasciate aperto quell'uscio" ordinò aldomestico "fa troppo caldo.""Non m'amate piú?" le disse Albertosottovocerispondendo all'occhiata timida e come di scusa ch'ella glirivolse tornando a sedersi presso di lui.La contessa chinò la fronte nella mano. Dopo unistante rispose con voce commossa:"Se vi amo!""Mi amate in un modo singolare davvero!""Singolare davvero! Sono una matta! Non sodov'abbia la testa in certi momenti... Stanotte non ho chiuso occhiopensando alla follía che ho fatto ieri sera!...""Perdonatemi!... Se sapeste!....Perdonatemi!..." Siparlarono a voce bassaquasi senza guardarsipadroneggiandosi perché iloro volti rimanessero impassibiliacciò qualche specchio indiscreto nonli tradisse alla curiosità del domestico che stava nell'altra stanza.Quelle passioni ardentiche sibilavano come il soffio del vaporeimprigionato sotto quella maschera d'indifferenzaaveano qualcosad'irresistibile. Lacontessa s'alzòandò ad aprire le persiane e si mise a guardar fuori."C'è un'arietta fresca che ristora" dissedopo alcuni istanti. "In giardino si deve star benissimo.Andiamo?" Albertola segui. Ellaprecedeva di qualche passocoll'andatura svogliatadimenando un po' ilbraccioe tenendo l'ombrellino sulla spalla. Si vedeva il suo bustopiegarsi e inarcarsi con graziosa elasticità sotto il tessuto leggero chegonfiavasi e increspavasi alternativamente. Si fermava agli sbocchi deivialimettevasi sugli occhiper guardar lontanola mano che al solesembrava di un roseo trasparenteposcia s'avviava risolutamentecon vagaspensieratezza: il viale si arrampicava sull'erta serpeggiando; lacontessa arrestavasi di tanto in tanto per ripigliar fiatoe voltavasiverso di Alberto per dirgli qualche parola. Ad un certo punto gli stesesenza voltarsila mano: ei la baciò."Cosa volete che faccia per provarvi quanto viami?" gli disse risolutamente."Datemi la chiave del cancello che mette sullago." Ellasi voltòlo fissò seria seriae scosse il capo due o tre volte."Vedete!" disse Alberto amaramente.La contessa gli strinse la manoconducendolo condolce violenza; svoltò l'angolo del viale che saliva alla capannaabbandonataed entrò nel padiglione.Stava ritta sotto l'arco fioritoguardando il lagoche luccicava in fondo al panoramae colle mani appoggiate al bastonedell'ombrellino. Il venticello faceva svolazzare il suo vestito e glielomodellava adosso. "Vorrestevivere con melaggiúin Isvizzeraa Londrao a Parigi?" glidisse ridendo. Eile afferrò la mano con impeto."E voi lo fareste?...""Se lo potessi...""Ohallora... Ma non bisogna chieder tropponeanche all'amore." Lacontessa gli piantò in faccia uno sguardo profondo e pensieroso. Albertil'evitòcome se tutte le contraddizioni che c'erano nello stato diquella donna gli saltassero agli occhi. Sentí che il suo stesso silenzioglielo rinfacciavae dovette ricorrere al paradosso per giustificar lei esé stesso. Ella ascoltava avidamentepiú convinta di luiaffascinatada quella falsa eloquenza della passione; sorrise e gli disse:"Cotesta è la teoria del fruttoproibito..." "Credete?"domandò dopo un voluttuoso silenzio.Era seduta mollementeun po' piegata verso di luitenendogli le maniombreggiata dai folti ramoscellie tutta profumo. Eila guardò avidamente. "Sí!"le disse con un bacio. "Zitto!"esclamò l'Armandi trasalendo e facendosi pallida. "Vien gente!"Si udí scricchiolare la sabbia del sentieruolo cheincrociavasi col viale pel quale erano venuti."Vostro marito!" esclamò Alberti con vocesordae facendole schermo istintivamente del suo corpo.La donna s'avviticchiò all'amantee gli nascose ilviso in petto con un voluttuoso terrore. Stettero alcuni istanti immobilinascosti nell'angolo piú oscurotrattenendo il respiro coi due cuori chebattevano l'un sull'altro. Si udirono i passi avvicinarsi lentamentepassare accanto al padiglionee allontanarsi a poco a poco. La contessarialzava il capo timidamentee per la prima volta mise un respiro. I dueamanti si guardaronopallidi come ceragli occhi di lei si velaronoesi abbandonò dolcemente nelle braccia di Alberto."Emilia... per l'amor di Dio! Fatevi animovia!..." Ellanon lo lasciavae fissavalo con occhi nuotanti in un languore deliziosocome se il pericolol'ansietàla paura avessero dato non so qualdivorante ed irritante attrattiva al desiderioalla colpaall'uomoamato. Rimase in quella specie d'estasi eol eapo appoggiato alla spalla diluicolla bocca socchiusapallidaspaventata e sorridente."AndiamoandiamoEmilia!"Emilia si rizzò vacillantesi fregò un po' gliocchidistese mollemente le braccia con un movimento di tigrelo guardòcon occhi addormentatie gli disse:"Passate sotto la mia finestra... vi butteròla chiave... Domani a mezzanotte... se vedete lume nel salotto... saràsegno di sí... Vattene! vattene!"Il conte Armandi sembrava alquanto turbato allorchéentrò nella stanza della moglie. La contessa gli rivolse un'occhiata allasfuggita. "Sapetel'accidente di quel povero Falco?" diss'egli. "S'è rotta unagamba!" All'entraredel marito la contessa s'era allontanata bruscamente dalla finestra."Ma dove? come?... E voi?" domandò."Sulla strada maestraproprio come in questastanza. Non saprei dire io stesso come sia avvenuto. Povero Falco! Sonostato alla scuderia per mandare tutti i possibili soccorsima pur troppotemo sieno inutili... Io sto benissimocome vedete... Ma voicos'avete?Siete un po' pallida anche voi!""Quest'accidente...""Che volete farci? Non ne parliamo altro. Cosaavete fatto di bello?" "Malo vedete!" disse la moglie mostrandogli il ricamo che avea in mano."Il marchese Alberti non è venuto?""Sí"."Avete fatto della musica?""Pochissimo; non mi sentivo bene. Ho un po' dimal di capo..." "Èpartito adesso il marchese?"."Mezz'ora fa.""Oh! ma non è lui... laggiú?" disse ilconte dalla finestra. "Da dove diavolo viene dunque con questosole?" Lacontessa si fece alla finestra anche leisorridente e curiosagettòun'occhiata al di fuorisi strinse nelle spallepoi tornò a sedersi."Passeggiare con questo bel sole!... che follía...""Avrà fatto qualche visita nellevicinanze" disse invece il conte.XXXVII Armandidovea partire insieme al suo amico Marteni per un convegno di caccia.L'ora della partenza era stata fissata per le diecidi sera. Il conte avea siffattamente assicurato che sarebbe statopuntualeche aveva detto al suo amico di andarsene pur da solo se egliavesse tardato piú di cinque minutigiacché cotesto sarebbe stato segnodi essergli sopraggiunto qualche affare o impedimento imprevisto. Egliaveva preso il caffè nel salotto della moglieed era stato achiacchierare tranquillamente con lei sino all'ora della partenzafumandoil sigaroe leggendo qualche brano dei giornali di mode ch'erano sullatavola. La moglie lavorava accanto a luie chinava la testa vicino allasua per guardare insieme le incisioni del giornale. Di quando in quandovolgeva gli occhi sull'orologioe diceva sorridendo al marito che nonavrebbe fatto a tempo. Finalmente il conte si alzòordinò la carrozza estrinse la mano alla moglie. "Quandoritornerete?" domandò costei."Doman l'altro o giovedí al piú tardi.""Buon viaggio."Armandi s'affacciò alla finestra per vedere se lacarrozza fosse pronta; guardò il cielo stellatoe disse alla moglie:"La sera è magnificavolete farmi il piaceredi accompagnarmi sin da Marteni?""Volentierima temo di farvi ritardartroppo." "Abbiamotempo d'avanzo" diss'egli "il vostro orologio va di galoppo.Metterete qualche cosa sulle spalleecco tutto."La Armandi mostrò una certa premuranell'accondiscendere al cortese desiderio del marito; questi laringraziòle offerse il braccio; e montò con lei in carrozza."Perdio!" esclamò al momento di partire."Ho dimenticato il mio portafoglio nientemeno! Quel che vuol dire farle cose troppo in furia!" E saltò a terra d'un balzoma mise unbuon quarto d'ora a tornare. La contessa era piú impaziente di lui."Vai al galoppo!" ordinò ella alcocchiere. Ilconte si buttò in fondo al legno e si mise a fumare. La moglie sostenevada sola il dialogocon certa vivacità inquieta e nervosasporgendosi ditanto in tanto fuori dello sportello. Suo marito limitavasi ad evitare cheil fumo del sigaro le desse noiae a volgere qualche volta il capo versodi leiper farle dei cenni affermativi."Il signor capitano è partito da ventiminuti;" venne a dire il domestico."Alla buon'ora!" disse Armandi congaiezza. "Ci perdo una cacciama ci guadagno il piacere di passarela sera con voi." Ellalo ringraziò con un pallido sorrisoe tornarono indietro. Questa voltaanche la contessa s'era buttata in fondo al legnoavvolgendosi nel suoscialletaceva e sembrava alquanto preoccupata. Giunti alla villasaltòa terra per la prima con vivacitàe montò bruscamente i pochi scalini;il marito però la prevenne nello schiudere l'uscialee la precedettenelle sue stanze. "Perchéavete lasciato acceso quel lume?" disse bruscamente l'Armandi allacameriera. "Nonm'avete ordinato di spegnerlo.""Siete una stupida! Andate!""Viavianon andate in collera"soggiunse il marito. "Infine che male c'e?"Ella si strappò i guantili buttò sul canapèerimosse due o tre oggetti con impazienza."Vi disturbo forse...""Vi pare?... tutt'altro!" gli risposesaettando uno sguardo sull'orologio."Davvero! sembra che il vostro orologio abbiapiú giudizio del mio!" disse Armandi regolando il suo su quel delsalotto; "sono in ritardo di una buona mezz'ora."E sedendo accanto alla moglie:"Volete regalarmi un po' di musica?""Non sono proprio in venamio caro... Ma se lodesiderate assolutamente..." soggiunse con un sorriso abbattuto."Assolutamente?... Ma no! Desidero quel che vifa piacere." Ellainchinò leggermente il capoe si mise a guardare qua e là in attosbadato. Il silenzio cominciava a divenire penoso."Volete che vi legga qualche cosa?"domandò Armandi. "Fate."E si mise ad ascoltarecolla fronte sulla palmaall'ombra della ventolasaettando alla sfuggita sguardi rapidi esfolgoranti su di lui. Egli non se ne avvedevaleggeva colla sua bellavoce chiara e limpidae voltava tranquillamente le pagine. Tutt'a untratto la contessa si alzò quasi soffocasse."Cos'avete?" domandò il marito levandogli occhi dal libro. "Nulla...continuate" rispose lei tornando a sedere."È inutilegiacché non v'interessa."E chiuse il volume.La contessa rimase alcuni istanti col capo fra lemani. Armandi continuava a sfogliare i disegni di mode. Finalmente ella sialzò di bottobianca come cerae gli disse stendendogli la manomalferma: "Nonmi sento bene. Buona notte..."Il conte si alzò anche luile prese la mano senzadir mottoe la tenne fra le sue; ella incominciò a fissarlo negli occhicon una certa inquietudine. L'orologio suonava i dodici colpi dellamezzanotte; i muscoli del viso della donna ebbero un lieve tremitopoi siallentarono rilasciatie affascinata dal pericoloperdendo la testasivolse verso il balcone che dava sulla terrazza con un movimentoinvincibilee tentò di svincolarsi dal marito che le stringeva sempre lemani con amorevole violenza. "Fermatevi!"diss'egli con voce breve. Rimaseroa guardarsi due o tre secondi. La donna si lasciò cadere lentamente sulcanapè. Armandiandò ad aprire il valigino che aveva fatto posare sulla tavolae netrasse un paio di pistole da viaggio. La mogliefuori di sési alzòper gridareper far non so che cosae rimase atterritapietrificatasotto lo sguardo fermo e minaccioso di lui."Silenzio!" le disse con voce sorda."Se fate un passose mettete un gridove l'uccido come uncane!" Andòrisolutamente verso il balconel'apríe si trovò faccia a faccia conAlberti. Idue uomini non dissero una parolanon fecero un gesto. Il contepiúpallido di Albertoavea la pistola in pugno e il dito sul grilletto.Finalmente disse interrottamente:"Marchese Alberti... potrei uccidervi come unladro stanotteo passarvi la spada pel cuore domani... Ma non vogliofarlo... non lo posso... Un giorno forse ne saprete il perché... esaprete anche che siamo pari!"Prima che Alberto avesse potuto rimettersi dallasorpresaegli aveva chiuso il balcone.XXXVIIIAlberti passò una notte orribile. Avea vistoattraverso i vetri di quel balconela donna che amava alla follíaaccasciata sul canapècolla testa fra le mani - ella non avea fatto unpasso verso di luinon avea messo un grido - egli non avea potutostendere le braccia per soccorrerlao per rapirla alla gelosia del suorivale - questo soltanto bastava a delineare la situazione reciproca conuna terribile eloquenza. L'amore di lui esaltavasi al pericolo di leialpensiero delle lagrime che non poteva vedere. Fece i piú insensatiprogetti; andò cento volte a spiare le finestre di quella casa. Il domaniseppe che marito e moglie erano partiti all'albanon si sapeva per dove.Il giovane ardeva di seguirlama dove? Fece tuttoquello ch'era possibile di fare per aver notizie di lei; poi speròch'ella gli avrebbe scritto; poi s'accasciò. A poco a poco incominciò apensare a lei con una dolcezza melanconicafantasticando sul castellosolitario dove il geloso marito l'avea probabilmente rinchiusasullelagrime ch'ella avea dovuto versaresui ricordi mesti e cari che doveanotornarle alla mente mentre fissava i begli occhi alle stelle... E tuttociò sarebbe stato possibile forse; ma Armandi conosceva troppo il mondo ele donne per contribuire a fare esaltare colla solitudine la passioncelladella moglie. Dopo una breve spiegazionefatta con garbo e da genteammodoentrambi avevano finito per andar d'accordo che quanto ci fosse dimeglio a fare era d'andare a Baden. La contessadopo quella scossainaspettataerasi mostrata quasi riconoscente verso il marito del suospirito conciliativo e da canto suo s'era prestata lealmente a riparare ilmale fatto. Passato il primo sbigottimentoil suo amorechiamiamolo purcosíavea guardato la cosa dal lato mondanoe avea fatto giudizio.Intanto il tempo scorreva sul rancore del maritosulla melanconia della mogliee sull'immaginazione di Albertocome se sifosse incaricato di poter far riunire nuovamente e senza inconvenientiqueste tre persone nel medesimo salottoa centellinare il caffèciarlando tranquillamente di mode o di politica.Alberti dopo alcuni mesi avea ripreso le abitudinidi una volta. Al principio dell'inverno seppe da un amico che tornava daBaden come l'Armandi fosse stata la piú bellala piú elegantela piúallegra signora che si fosse trovata ai bagni. Il baccanale della babeleeuropea estiva faceva crollare in uno scoppio di risa il melanconicocastello di cartedove la sua fantasia abbrunata avea rinchiuso i sospiridella bellamentre egli dondolavasi sulla poltrona fumando il sigaro. Ilsuo funesto spirito d'analisi ebbe campo di fargli fare delle lunghemeditazioniamareirritantiche ferivano non solo le sue illusionigiovanilima anche il suo amor proprio.Coll'inverno erano ritornate le rondinelle dell'altasocietàed Alberti seppe che la contessa era andata a Torino col marito.A quella notiziaal sapersela cotanto vicinasentí divampare in fondoal cuorenon diremo l'amorema il desideriola curiositàuna certaostinazione dispettosa e andò e la rivide. Com'era cambiata! non alfisico - la contessa era sempre giovane e bella; ma il contegno di leicosí stranocosí indifferentericominciava a montargli la testa o afargliela perdere del tutto. Però l'Armandi non era tal donna da perderela suaquando non volevao da farsi trascinare pei capelli in unasituazione imbarazzante. Finalmente gli rispose dandogli appuntamento inuno dei piú remoti viali del Valentino.Allorché il giovane la vide discendere dal fiacreda nolosentí battersi il cuore come una voltapiú forte di una voltaforse. Ella gli venne incontro un po' esitantee gli stese la mano."Volete che montiamo in carrozza?" ledomandò. "No.""Perché non rimandate il vostro legno in talcaso?" "Lasciatelolí." Albertotacquee presentí tutto quello che ella dovea dirgli con la sua vocepacata. Feceroalcuni passi in silenzio. L'Armandi non s'era accorta del braccio cheoffrivale il giovane. "SentiteAlberto" gli disse alfine "dobbiamo dimenticare."Ei sentí scoppiargli in cuoremontargli allatestaaffogargli la voce nella golatutto ciò che avea soffertotemutoe sperato per lei. Non disse mottonon le rivolse uno sguardo. - Ella glistrinse la mano. "Ènecessario!" soggiunse. "Lovolete?" "Ènecessario. Mio marito mi ha perdonatoma sa tutto... Cosa volete chefaccia?..." Successe una breve pausa. "A che pensate?"diss'ella. "Pensoche veramente non dovete amarmi piúse l'ultima volta che mi vedetepotete aver il coraggio di dirmi addio in presenza del vostro fiaccheraioper impedirmi che almeno vi lasci scorgere le mie lagrime.""Come siete ingiusto!""È veroperdonatemi... Soffro tanto!"esclamò tristamente e scuotendole le mani.Ella non risposee voltò indietro per ritornarelentamente verso il fiacre che l'aspettava."Vi domando un ultimo sacrificio: lasciateTorino." "Nonvi basta che rinunzi a vedervi?""E mio marito?""Ebbenepartirò."La contessa continuava ad andare innanzi."Volete proprio che vi dica addio dinanzi alcocchiere?" mormorò il giovane con tutta l'amarezza che gli rodevail cuore. Ellasi fermòvoltandosi appena verso di luigli strinse la manoe senzarialzare il velo gli disse: "Addio!"Le labbra del giovane tremavano senza che potesseroprofferire una sola parola. La vide allontanarsi lentamentee montare incarrozza. Poisi asciugò di nascosto una lagrima - l'ultima.Il giorno dopo partí davveroper un alterorispetto della sua parolao per un dispettoso amor proprio. Il vedererompere con tanta indifferenza tali legami l'avea ferito profondamente; maavea tanto amato quella donnae tanto diversamente dalle altreche fraloro parevagli dovesse sussistere sempre un vincolo indissolubile; il suodolore avea certa voluttà che gli piaceva assaporare andando aseppellirsi in campagna - ma la sua campagna era troppo vicina a Milanoegli amici non tardarono ad andare a farvi una partita di caccia - perdistrarlo. Cosí seppe dopo qualche tempo quello che non avrebbe dovutosapere: il colonnello Marteninell'assenza del conte Armandiche era inGermania con una missione diplomaticacomprometteva un pochi no lacontessae la contessa si lasciava compromettere. Alberto corse a Torinoe colla ingiusta e malsana curiosità del geloso riescí a convincersidavvero che il colonnello era precisamente quello che dicesi un successorein tutte le regole. Alloraandò a cercare del colonnello Marteni.Lo trovò che faceva colazione. Il colonnelloalricevere il suo biglietto di visitasi era rammentato di luiforse unpo' troppoe l'invitò a prender posto alla tavolada vecchio amico.Alberto rifiutò freddamentedicendo che lo scopo della sua visita nonpermettevagli di fermarsi a lungo. L'altro si fece seriovuotò ilbicchiere che aveva offertoe levò il capo come per ascoltare conmaggior attenzione. "Nonavremo bisogno di molte parole per intenderci"disse Alberti."Ella è soldato e gentiluomoe troverà la cosa perfettamentenaturale. Noi siamo rivali; non occorre fare il nome della donna cheamiamo o che abbiamo amato. Son venuto per cercare di comune accordo unpretesto per liquidare la faccenda fra di noisenza che sia compromessoil nome di quella persona."Il colonnello parve riflettere alquanto."Anzitutto" rispose "mi permetta unadomanda: Lei è dalla parte di chi amaoppure dalla parte di chi haamato?" "Cotestonon preme sapere." "Domandoscusapreme moltissimo.""Signoresembrami che divaghiamo!" disseAlberti con una sfumatura d'ironia provocante.Marteni conservò la piú perfetta calma."Scusiavrei dovuto incominciare da un'altradomanda: Ella crede che io le debba qualche cosa... perché sono il suo...successore?" "Signore!...""Caro marchesesono ufficiale nei carabinierie come tale un po' soldatoe un po' legale; ragioniamo adunquepoiché abucarsi la pelle c'è sempre tempo. Se lei è convinto che io le debba unariparazione soltanto perché son venuto dopo di leivorrei sapere chi dinoi due avrebbe piú diritto di sfidar l'altro? Ellaperché io sonoarrivato ultimooppure io perché lei mi ha preceduto?""Cotesto è invertire singolarmente laquistione." "Semplifichirettifichi pure; son qui ad ascoltare.""Non son venuto a dirlené ho bisogno didirlequali siano le mie opinioni su quella signora; e sembrami che nonoccorrano tante parole fra due gentiluomini per bucarsi la pellecome leidice." "Caromarchesenon ha rettificato nullae si agrappa alla provocazione comeuno che non abbia migliori ragioni da metter fuori. Ma io ho piú anni dileisono soldatoho due medagliedi quelle che danno il diritto diesser sempre calmoe posso permettermi di credere che occorrano propriotutte le possibili spiegazioni fra due uomini di cuoreprima di metteremano ai ferrisoprattutto allorché sono seduticome noidinanzi ad unabuona tavola. Ella viene a sfidarmi per amor proprioper dispettopiuttosto che per gelosia; senza pensare che colloca il suo amor proprioprima del mioche avrei lo stesso diritto. Le parlo da uomo di cuore e dauomo d'onore - come le propongo di stringere la mano che stendo. Orasecoteste ragioni non le bastanoe cerca proprio un pretestomi dica chequesto bicchier di vino che le offro è cattivoe io le getto labottiglia alla testa e mi metto a sua disposizione."Alberti alzò lentamente il bicchieree bevve."Bravo cosí!" esclamò Martenistringendogli calorosamente la mano."Un'ultima parolacolonnello... Da quantotempo... Ella è il mio successore?...""Ah! Questo poi....""Era per farci su le mie riflessioni"rispose Alberti con un amaro sorriso. "Senza implicarci menomanentequella signorain parola d'onore!""Le ho detto già troppoperché ella è moltogiovane... Ma mi lasci il mio segreto... professionale" finí Marteniridendo. "Grazie!"rispose Alberto dopo un po' di esitazione.XXXIX Eranotrascorsi parecchi annied Alberti aveva ricominciato a far la vita diprimapeggio di primaabusando di tuttoesagerando il maleche cercavaegli medesimocalunniando il bene che non poteva raggiungere perfiacchezza di carattereincallendosi in uno scetticismo di parata perchénon conosceva altre donne all'infuori di quelle che alimentavano la suavanità o i suoi piaceri - vanitose e capricciose come lui - e perché nonaveva altri amiciall'infuori di quelli coi quali s'era battuto perun'amante o per una partita di giuoco. Possedeva tutte le disgrazie:l'immaginazione caldal'indole fiaccail cuore sensibilissimoma nontemprato da affetti domesticied una certa agiatezza che gli permettevadi vedere la vita da un lato solo. Cotesta vita era stata occupatasoltanto d'ozioe faticosa di piaceri. A ventott'anni sentivasi isolatostancosenza scoposenza emozioni che non fossero malsanesenzaentusiasmosenza domani. Provava momenti di debolezza e di scoraggiamentoindicibili; ma si vergognava di confessarli. Nel baccano di una festa o diun bagordo pensava con abbattimento che il giorno dopo si sarebbedivertito al modo istesso. Spessola notteritornando stanco a casainvidiava il suo cocchiere o il suo cameriere che stavano ad aspettarlopur non sapendo farsi idea del come si potesse vivere nella lorocondizione. Delresto faceva la vita che facevano gli altribevevagiuocavaschermiva efumava piú degli altri. Era un po' pallido la mattinae avea il polso unpo' agitato la sera; nulla di piú. Di tanto in tanto i ricordi della suaprima giovinezzache sembravagli tanto lontanagli alitavano sul cuorecome i soffi della brezza marina in una calda notte d'estate; ei liassaporava tacitamentecoll'occhio socchiuso e il sigaro in boccavilasciava vagare il pensiero e riposare il cuoree allorché scuotevasi disoprassaltoanche un po' vergognosoil mondo che piú lo sorprendevache sembravagli piú falsoera quello in cui viveva.In una di coteste situazioni di spiritoSelene glis'era trovata fra i piedio fra le braccia. Ei le avea proposto di andarea vivere assieme in campagnacome se ella avesse potuto ridargli ilvergine trasporto con cui s'era innamorato persin di una ballerina; lepropose sul serio una capanna e il suo cuore. La ragazzache sirammentava di qual fibra fosse quel cuorerispose cu-cu! Egli soggiunseche la capanna sarebbe stata tappezzata di setae la rapí all'impresarioe ad una mezza dozzina d'amantiancora vestita da baiadera. I loro amicidissero ch'erano ubbriachi tutt'e due. Giuntimandò un biglietto dicondoglianza. "Miocaro" gli disse Alberti la prima volta che lo rivide"sequella ragazza mi piaceperché non dovrei amarla? Credi che valga dipiú la tua marchesa sol perché è ricca? Selene non possiede che le suescarpette di rasoed ha bisogno di quattrini come una bella damigella habisogno di uno sposoo una bella dama ha bisogno di un amante nulla piúnulla meno - ella non è né signorinané marchesanon è altro chebellaed è quindi naturalissimo che io gliene dia dei quattrini.""Tutto ciò va benissimo; non è di cotesto cheintendo parlare. Fai quel che vuoirovinati purenessuno troverà aridire; ma lasciala al suo postoo piuttosto mettila al posto in cui devestare. Compra per lei dei cavallidei gioiellima non andare a fartiridicolo coll'amore campestre! Che diavolo! sei uomo di spirito. Cosa vuoifare colla Selene per tutto il santo giornodopo che le avrai detto intutti i toni che le vuoi bene?""La vita che faccio mi stanca... mi annoiamortalmente... Voglio cambiare...""Povera Selene!" borbottò Giunti.La povera Selene amava il bel biondino come potevaquanto poteva; ma era abituata a ridere e a folleggiaree quell'amanteche la teneva a distanzae che cercava l'x dell'amorele rendeval'orizzonte piú uggioso delle grigie nubi d'inverno. Il marchese Albertiavea perduto il suo vecchio Tonied avea per cameriere un giovanotto.Qualche tempo dopo s'accorse che era anche un bel giovanottoscoprendoche gli faceva l'onore di essergli rivale fortunato. Allorché ne ebbe leprove incontestabilichiamò la Selene e le disse:"Di' un po'ti piace Cesare? Non starmi adarrossirebambina! qui non siamo sul teatro. È un bell'uomome ne sonoaccorto e non ti do tortonoin parola d'onore... fosse biondo comeme... tanto tanto!... potrei forse avere il diritto d'essere geloso... Mache diavolo! avresti dovuto prevenirmi! Potevo correre il rischio diprendere a calci il mio rivale. Vuoi sposarlodi'? Non mi far la grulla.Non sono in collerati dicoma capisci che non posso fare le spese delmio rivalené lasciarti sulla strada. Ti do in dote quel che avevopromesso di darti in cambio del tuo amor fidoma ti condanno a sposarlo eperdonami se mi troverai severo."Dopo questa tirata partí per un lungo viaggiorecando seco le sue malsane abitudinied i germi funesti di unoscetticismo chein mezzo a gente la quale si occupava di lui soltanto pervendergli dei piacerilontano dai luoghi cari per memorienon poteva faraltro che peggiorare. Invecchiò precocementecorrendo pel mondo comel'Ebreo Errantespinto da non so quale inquietudine fatale chel'incalzava sempre dappertuttonon vedendo e non cercando altro deidiversi costumi che il lato peggiore. Visse tanti lunghissimi anni senzaalcun sentimento schiettosenza alcuno degli affetti piú intimiche siabituò a credere fosse un disgraziato privilegio quel cuore che sentivasibattere in petto alle lontane reminiscenze.In questo tempo lo zio Forlani era mortolasciandoAdele orfana e sola. Costeiper accondiscendere all'insistente desideriodel padreil quale le proponeva di sposar Gemmatiavea detto di sí; maall'ultimo momentocon la lealtà che formava il fondo del suo carattereera scesa un bel mattino a trovar Gemmati che passeggiava in giardinoegli avea detto: "Amicomioio ho amato mio cugino Albertolo sapete; che cosa pensereste di mese vi sposassi?" Gemmatitacque un momento. "L'amateancora?" le dimandò poi."...Sí.""Anch'io v'amavoperché voi siete unangelo!" esclamò tristamente Gemmati; "e rinunziare a voi èdura cosa!... Ma è necessarionon è vero?"Ella chinò il capo."Come meritate di esser felice! Se quellosciagurato avesse un carattere meno fiacco!..."Cosí s'erano lasciatistringendosi la manocomedue cuori onesti e leali che s'intendono in una sola parola. Egli non leaveva detto quanto gli costasse il sacrificio che dovea fare ed aveaaccettato un posto di medico a bordo di un bastimento che faceva lunghiviaggi di circumnavigazione. Ilsignor Forlani avea lasciato la figliuola ricchissimae le amiche di leinon si davano pace vedendo che essacosí ricca e bellarifiutava tuttii partiti che facevano la caccia a lei e alla sua dote. Adele portava illutto del suo cuore nobilmente e fieramentesenza una debolezza e senzaun lamento. Del cuginoche non si curava menomamente di leiavea saputovita e miracolima non avea detto una parolaed era rimasta pallida emuta. S'era informata spesso di lui dalle amiche piú discretecon pudicae delicata riserbatezzae quando non ne avea avuto piú notizies'erachiusa dignitosamente nella sua tristezzasenza farne trapelar nulla aldi fuori. Lasua bellezza intanto s'era sviluppata: era un genere di bellezzafantasticadelicataflessuosaelegantealquanto pallida e diafanaconmagnifici capelli nerimani candide su cui il guanto adattavasi con certepieghe e certo garbo aristocraticoe grand'occhi turchiniun pocoincavatiaccerchiati da un solco color perlascintillanti di tal luceche avrebbe potuto dirsi fatalese giammai fosse stata destinata adincontrarsi con Alberto. Ella portava alta la testa leggiadra nei salonifiorentinie con un sorriso distratto e uno sguardo profondo chel'avevano fatta soprannominare Elisabetta d'Inghilterra.XL Dopovent'anni che non s'erano piú visti Alberto e sua cugina s'incontrarono aFirenzespinti dal turbine della fatalità.Era il primo giorno delle corse. Le Cascinebrulicavano di spettatori; il cielo era azzurroil sole frastagliavasifra i rami; i velile ciarpele piume svolazzavano; il prato stendevasicome un'immensa tavola di bigliardoscreziato dai vivi colori dei fantiniche caracollavano; i cavalli nitrivanosi udivano gai accenti in tutti idialetti d'Italiasi vedevano dei fiori dappertuttoai cappellisuivestitinelle carrozzealle testiere dei cavalli - c'era un profumo digiovinezzadi festae di primavera che inebbriava.Adele era a cavallo presso la calèche di una suaamica di Viareggiola Rigallie rispondeva al saluto delle sue numeroseconoscenze inchinando graziosamente il capo; mentre discorreva passava ilguanto sulla criniera della sua cavalla; cosí com'eracol suo amazzoneneroe nel suo grazioso atteggiamentoera assai leggiadra; la calècheera ovattatariboccante di fioricoi jockey ricamati e incipriatiimmobili come statuei cavalli irrequietidall'occhio e dal garrettoteso. Una folla di curiosi s'era fermata vicino a quel bel gruppo."Ohchi vedo!" esclamò tutt'a un trattola signora Rigalli "non è il marchese Alberti quel laggiúche ciarriva dall'India a cavallo del suo baio?"Adele si volse di soprassaltoe divenne bianca comeil suo colletto di tela. Albertisi avanzava al passo. Il cavallo era impazientecolle narici rossesbuffavamordeva il freno bianco di schiumae lo scuoteva con bruschimovimenti. Il cavaliere era calmoseriofreddoe avea la mano di ferro;volgeva gli occhi sulla folla sbadatamentecol sigaro in boccae aveal'occhio smortoil pallore cadavericoe l'impassibilità quasi fosca.Guardava quella festa come un defunto avrebbe potuto guardarla dallatomba. Passando vicino alla calèche volse gli occhi a casola Rigalli lochiamò col piú grazioso sorrisoed ei si trovò a faccia a faccia conAdele. Una fiamma rapida come un lampo passò per la prima volta dopotanti anni su quelle pallide guance. Intanto la Rigalli diceva all'Adele:"Mi permette che le presenti il marcheseAlberti?" "Vuolpresentarmi mio cugino?" rispose Adelech'era divenuta calma esorridente con un supremo sforzo di volontà e stese ad Alberto il pomodel frustino attraverso la calèchecome se gli stendesse la mano."È proprio un cugino d'America dunque!""Son quelli i benvenuti. Da dove ci piovetecugino?" "DaCalcutta." "Sonpiú di dieci anni che non lo si vede piú! Cosa avete fatto tutto questotempo?" "L'hopassato in ferrovia e in vaporecugina mia.""Vi siete divertito?""Ma... assai."La calèche si mosse al piccolo trotto; la signoraRigalli si fece promettere una visita dal marchesee i due cugini sitrovarono accantoin mezzo al gran viale."Volete permettermi di accompagnarvicugina?" disse Alberto. "Volentieri."Ei voltò le brigliee si mise al passoaccanto aleiseguiti dal groom di Adele a distanza."Come trovate Firenze?" domandò lei."Piú bella che mai.""Vi fermerete parecchio?""Non lo so io stesso.""Raccontatemi qualche cosa dei vostriviaggi." "Cosavolete che vi racconti?""Ma... quel che avete visto.""Ho vistosu per giúdelle vie Calzaiuolidegli Arnie delle colline di San Miniato dappertuttoin grandeinpiccoloe in microscopico; e dei fiorentini giallirossie nerichedicono giuraddio un po' diversamente di noi altri.""E le donne?" domandò ridendo Adele."E le donne... quali le hanno fatte gliuomini." "Nonso se devo ringraziarvi del complimentocugino.""Ringraziatemenecuginaché me lomerito." Adelesalutò una bella giovinetta che passava in phaéton al fianco di unsignore elegante. "Conoscete quella signora?" gli domandò."No.""È Ceciliala figliuola del conte Armandiadesso maritata Livoretti."Sul viso di Alberto passò una nube rapidissima."Sono un uomo dell'altro mondocugina miaabbiate la bontà di mettermi al corrente. E della contessa cosa midite?" "Èsul lago di Como da due anni a piangere la morte del marito.""Oh!... E della principessa Metelliani?"" È a Romapresidentessa di non so qualCongregazione di Carità... Vi sorprende?""No."Fecero un centinaio di passi senza dir altro."Sapete che ci rivediamo in un modosingolare?" disse Alberti tutt'a un tratto."Singolare o noson lieta di vedervi."Ei la fissò di un lungo sguardoe poscia:"Avete molto spirito!"Ella chinò lievemente il capo."Cugina mia" domandò Albertiall'improvviso "che cosa direste se vi facessi la corte?""La direi la cosa piú naturale di questomondo." "Dopoquel ch'è stato fra di noi?""Appunto per quello."La sua cavalla fece uno sbalzoe s'inarcò tuttafremente sotto la mano ferma dell'amazzone."Siete forte!" le disse Alberto."Cora è docile" rispose leiaccarezzandola sul collo. Tacquero.Andavano al piccolo trotto per uno dei viali al di là del piazzone. Ilsoleche tramontava come un gran disco infuocatolo inondava per tuttala sua lunghezza di pulviscoli dorati. Alcune nuvole un po' altesull'orizzonte disegnavansi come larghi sprazzi di porpora e d'oro."Che bel tramonto!" disse Adele perrompere quel silenzio. Albertolevò il capoe soggiunse sbadatamente:"Par d'essere a Belmonte.""Avete buona memoriacugino!" disse Adelecon singolare sorriso. Alberti volle rispondere a quel sorriso."È la memoria del cuorecugina mia.""Comincereste a farmi la corte?""Non avete detto che sarebbe la cosa piúnaturale?" "Cuginomiocosa pensereste di me se vi permettessi d farmela?" domandòAdele alla sua voltaseria seria"Avete ragione" rispose Albertobrevemente. Iviali cominciavano a velarsi d'ombra. Ella guardò di Sottecchi quell'uomosingolare. "Sietestata felice qualche volta?" domandò Alberti come rispondendo ad unalunga meditazione. "...Sí"disse Adele dopo una lieve esitazione. "Per quanto si può esserlo...E voi?" "Iomi son divertito" rispose lui con accento glaciale.Discorrevano a sbalzicon lunghe interruzionicomerispondendo ai pensieri che andavano svolgendosi per la loro singolaresituazione. Il marchese di tanto in tanto gettava un lungo sguardo sullacuginache cavalcava calma e sicura."Non serbate rancorecugina?" domandòalfine. "No.""Che peccato!""E voicugino?""Io non credo averne il diritto in nessuncaso... poiché nessuno ha torto a questo mondo!""Teoria comoda!"Ei si rizzò sulle staffe con fredda ed alteraserietà: "Cuginamiaquando m'avete detto che non potevate permettermi di farvi la corteio vi ho dato ragione!" C'eratal tranquilla amarezzatale accento di convinzione nel suo scetticismoche il seno di Adele gonfiavasi violentemente di tanto in tanto. Eglirespirava con forzaa lunghi intervalli. Cavalcavano in silenzio e a capochino. "Viringrazio per quest'ora che non avevo piú provato da vent'anni"disse alfine con voce sorda quell'uomo il quale non si commoveva piú.Ella alzò il capo sgomenta quasi cercando da dovevenisse quella voce che la faceva trasalire."Torniamo indietro!" disse brevemente.Oltrepassarono il groom che s'era fermato anch'essoe lo lasciarono molto indietro. Nessuno di loro due osò rompere perqualche tempo il silenzio che seguí. Il passo dei cavalli era sonoro; laluna incominciava a sorgere e ad insinuarsi fra gli alberistrisciandosul bianco viale; a poco a poco i cavalli s'erano accostati e andavanofiutandosi. Alberto prese la mano della cuginache le cadeva lungo ilvestito. "Lasciatemi..."diss'ella dolcemente. "Perdonatemi!"rispose Alberto con voce sorda. "È la vostra ora!""Lasciatemi" ripeté Adele con tantamaggior vivacità per quanto sentivasi divenir piú debole. "Ora ètroppo tardi." "Vostromarito?" "Chi?"diss'ella con voce che lo fece trasalire."Gemmati!..."Ella tirò bruscamente le redinie si rizzò sullasellapallidaimmobilecon occhi scintillanti."Io mi chiamo ancora Adele Forlani!"esclamò con voce estintama colla fronte alta.Il marchese ammutolí."Mi credevate maritata?" riprese ella dopoalcuni istanti. "E parlavate in tal modo alla moglie del vostromigliore amico!..." Einon rispose. "Comesiete divenutoAlberto!" esclamò essa celandosi il viso fra lemani. "Vifaccio orrore?" "No...mi fate pietà" Andavanorasentando gli alberi per non starsi vicini."Quanto avete dovuto soffrire per essere cosícambiato!" diss'ella alfine."Lo credete?" mormorò Alberti con unstrano sorriso. "Sí!Tutte le sante credenze che c'erano nel vostro cuore non si sbarbicanosenza dolore. Quando mi avete abbandonata per Velledaquando vi sieteinvaghito dell'Armandiquando avete fatto piangere e avete piantoc'eraancora qualche cosa in voi. Adesso non ci avete piú nulla. I vostri occhiasciutti mi fanno paura!""E voi?" diss'egli con voce che sembravauscire di sotterra "credete ancora a qualche cosa?""Credo a ciò che fa battere il miocuore." Eglisorrise. "Ciecamente?""Non posso dubitare di quel che sento.""Io vi ho ingannata a vent'anni!""Io sono stata per morirne. Come volete chepotessi dubitare del sentimento che mi faceva tanto soffrire?"Alberti non rispose immediatamente. Poi le piantògli occhi in viso e domandò:"Voi siete bellagiovane e ricca; come va chenon vi siete maritata?" "Hosempre rifiutato." "Perchi?" "Pervoi." "Miamavate?" "Sí.""Anche dopo?""Sí."Ei rimase pensieroso."Cugina mia" disse ad un trattocontutt'altro accento e con satanica disinvoltura "io non ho piúcapelliné illusioni; ho quarant'anni e trenta mila franchi didebiti." DapprimaAdele rimase come fulminatacogli occhi sbarratiquasi ad afferrare ilsenso di quelle parole che non poteva capire. Tutt'a un tratto si fecerossa come se Alberto l'avesse percossa in viso col frustino."Ah!" gridò"Ah!"E fuggí di carriera. XLIDopo alcuni giorni Alberti si presentòall'anticamera di sua cuginae le fece recapitare il seguente biglietto:"Ho bisogno di vedervi e di parlarvi. So diavervi fatto un affronto mortalee son venuto alla vostra porta affinchépossiate farmi scacciarese volete."Il domestico ritornò dicendo:"Passi."Egli entròun po' turbatoma con passo fermo.Adele stava presso il caminosebbene la primaverafosse di molto inoltratacoi piedi posati su di uno sgabelletto. Era unpo' pallida anch'essae come vide il cugino impallidí maggiormente.Alberto le strinse la mano e si assise di faccia a lei."Adele" le disse con calma "hoquaranta annie trenta mila franchi di debiti. Volete esser miamoglie?" "No."Sul volto di lui passò un fosco sorriso."Ma se avessi una figliuola bellaingenuapuracon tutti i tesori del cuore e dello spiritove la darei inmoglie." Dapprimaei le lanciò uno sguardo di sorpresa; ma posciain un altro tono:"Disgraziatamente non l'avete!""Lasciate quel cattivo sorriso che fa male avoi e a me!... Perché siete dunque venutoAlberto?"Egli esitò alquanto. "Non lo so" dissealfine. "È la prima volta che non basto a me stesso."Quelle parole sembrarono colpire la donna; glilanciò uno sguardo rapidissimoe si fece rossa. Poscia ripetédolcemente: "Seavessi una figliuola ve la darei; ella vi metterebbe in cuore la sua fedeil suo affettoi suoi santi entusiasmivi rinfrancherebbe lo spiritovifarebbe rinascere." "Nonesitereste a dare la figliuola vostra... a me?""No.""Ora che sono cosí cambiato?" aggiunsecon un sorriso ironico. "Appuntoperché siete cosí!" Eile fissò gli occhi negli occhi."Perché non fate voi codesto?""Io non ho piú sedici anninon ho piú lafede... e fra di noi c'è un triste passato.""Sia!" diss'egli.E si mise ad attizzare il fuoco. Rimasero silenziosilungamente. Adele stendeva verso la fiamma le sue mani pallide e di tantoin tanto Alberto vi fissava uno sguardo distratto."Cugina" disse dopo alcuni minuti "sefossi giovanè e belloe avessi pure i torti che ho verso di voimiamereste?" "Perchémi fate questa domandaAlberto?" rispose Adele rizzandosi sullapoltrona. "Persapere alfine in che stia codesto amore" mormorò lui sordamente.Adele ricadde all'indietro sulla spalliera dellaseggiolae rimase alcun tempo senza aggiunger motto. "Quanto avetedovuto soffrire!" esclamò poscia."Io ho goduto della vita" rispose egli.Lei gli volse uno sguardo fra attonito e dolente. Ilcugino teneva la fronte fra le maniparlava con amara e tranquillaconvinzionema evitava di incontrare gli occhi di lei."Ho letto chiaro nella natura umana come in unospecchio: la maggior parte dei nostri dolori ce li fabbrichiamo da pernoi: avveleniamo la festa della nostra giovinezza esagerando e complicandoi piaceri dell'amore sino a farne risultare dei dolorie intorbidiamo laserenità della nostra vecchiaia coi fantasmi di un'altra vita che nessunoconosce. Ecco il risultato della nostra civiltà. Ho visto dei selvaggiscotennarsi per la donna o per il ventrema fra di loro non ci sono nésuicidiné spleen. Tutta la scienza della vita sta nel semplificare leumane passionie nel ridurle alle proporzioni naturali. - Ho regolato suquesta verità la mia condotta... Ecco come non ho piú sofferto.""Oh!" diss'ella con immenso sgomento."Oh!" "Sietestata piú felice di mecugina?" domandò Alberto con ironicosorriso. Adelepallidacome trasognatagli rivolse un'occhiata paurosa: "No! voinon credete a ciò che dite!""È vero!" rispose Alberto con voce sordachinando il capo "e per la prima volta!... Mi avete fatto dubitareanche di cotestovoi! M'avete fatto un gran male!""Ammogliatevi!" gli disse Adeleosandostringere finalmente la mano fredda di lui. "La famiglia visalverebbe... So quel che vuol dire essere soli al mondo! Se potessicolsacrificio della mia vitamettervi qualcosa in cuorevi giuro che lofarei." Eila guardò in modo singolarea lungosenza aprir bocca. "Cuginamia!" disse dopo una lunga esitazione "io non ho quasiconosciuto mio padre; mia madre non ebbe nemmeno il tempo di abbracciarmiprima di morire; una volta fui sorpreso da un marito che avrebbe avuto ildiritto e il dovere di uccidermi come un cane... Sapete cosa mi dissequell'uomo? "che mi risparmiava perché ero figlio della marchesaAlberti!..."" Adelesi celò il viso fra le mani."Addio!" diss'egli alfine"Ve ne andate?""Sí.""Cosa farete?""Quel che ho fatto.""Non avete nessuno scopo?""Non vi pare uno scopo il viver come meglio sipuò?" "Nonsiete nemmeno ambizioso?""Cosa potrebbe ricompensarmi della pena che midarei per esserlo?" "Checi avete dunque dinanzi a voinel vostro avvenire?""Nulla."A quella parola ella trasalíe si alzòrisolutamente. "Albertose acconsentissi ad esser vostra mogliecredereste che vi amodavvero?" Eirimase stupefatto. "Seci credete" ripigliò Adele stendendogli la mano. "Stringetelason vostra." XLIIIl matrimonio fu celebrato in ottobre. Alberti siprestò a quelle pratiche che esigevano gli usi e le convenienze conperfetta compiacenza. In questa occasione molti suoi conoscentiche nonsapevano piú nulla di luilo rividero. Ei piegava il capo con una tintadi galanteria a tutto quello che Adele trovava necessarioo semplicementeconveniente - fossero anche stati dei pregiudizi - la schiettezza delleconvinzioni di lei glieli rendevano rispettabilici credesse o no. Adeleal contrariomettevaci il giulivo entusiasmo di chi è felice - un talriverbero del suo affetto vergine e schietto; amava il cugino francamentesenza reticenzesenza dubbia cuore apertoabbandonandogli conspensierata generosità tutti i tesori che per lui avea accumulato insegreto nel suo cuore. Alberto fece tutto quello che fanno gli altricolla massima semplicitàsenza esitazione. Andò in chiesaserio erispettosoalmeno al vederee allorché Adele gli mise la mano nellasuae udí che si univa a lui per sempre con un fil di vocee la videdolcemente commossaanche quell'uomo si turbò alquantoe con lievetremito strinse nella sua la mano che tremava.Dopo la cerimonia religiosa partirono per Belmonte.Il marchese avea preso un coupé riservato sino aPistoiae allorché furono in vagonee Adele si fu assisachiuse ivetri della parte dov'era leitirò le tendinele mise il plaid sotto ipiedile rese con delicatezza paterna tutte quelle piccole curepoi lesi assise di facciale prese le manie le disse dolcementesorridendocon certa solennità: "Visalutomarchesa Alberti."Era commossa anche leied un po' turbataguardavafuori lo sportello pudibonda del suo imbarazzoe si lasciava stringere lemani con un abbandono affettuoso.Aveva un bel vestito grigioun cappellino dipagliadei lunghi guanti di Sveziaed il suo viso delicato sembrava piúpallido attraverso il velo azzurro. Pareva che Alberto non potessesaziarsi di contemplare quella donna leggiadra che ormai gli apparteneva -ellasenza vederlosentiva quello sguardoe ne era tutta penetrata. Adun certo puntosempre col viso allo sportelloposò una mano su quelledi lui. "Nonvi faccio paura?" le chiese Alberto dolcemente.Ella raccolse le sue vestiandò a sedere a fiancodi luie senza rispondergli direttamente si misero a discorrere di milleargomenti comunidi ricordiche per loro avevano significati reconditie racchiudevano non so quali misteriose attrattive. Ei parlava pocoel'ascoltava intentocon una certa aviditàcome se stesse analizzandominutamentecon affetto gli avvolgimenti di quelle treccel'alitare diquel velole balze di quel vestitole trine di quei polsinii rossoriimprovvisi e irragionevoli che salivano al viso di leie che eglisentivasi dolcemente scorrere nelle vene. Ad un tratto:"Vorrei tornare ai miei vent'anni!" dissecollo sguardo fiso nel vuoto.La locomotiva fermavasi sbuffante."Diggià!" esclamò lei."Nosiamo a Prato.""Oh!... lasciami vedere!"E si misero l'uno accanto all'altro presso losportello a guardar la campagna - ei con un sentimento che non aveaprovato da lungo tempo. Tutto ciò che vedevasi era verde ed azzurro.Adelecolle mani appoggiate alla manopolagli diceva sommessamentequalche parola insignificantecome se stesse a parlargli di un gransegreto. Il nastro del suo cappellino svolazzava di tanto in tanto sulviso ad Alberto. Sembrava che i polmoni di lui si dilatassero avidamenteonde abbeverarsi di tutte quelle vergini sensazioni che gli erano quasisconosciute. "Non vi faccio paura... proprio?" domandò quasitimidamente e a voce bassa. Adele cercò di nascosto la mano di luie lastrinse a lungomentre il conduttore verificava i biglietti. Anche quelnon so che di furtivo che vi era in tanta schiettezza faceva una potenteimpressione su di Alberto. Ei le prese le maniserio serioe guardandolanegli occhi: "Adelemiaquel prete m'ha stregato."Adele s'era fatta seria anch'essa."Stregato o noson contentoe non sapreispiegarti il sentimento che mi lega a te. Non è solo amore il mio:sembrami che tu faccia parte di medella mia casadel mio nome. Tu seila continuazione di mia madree mi è dolce chiamarti col suo nome. Hoamato in tutti i modima non ho provato mai nulla di ciò che provoadesso. Sembrami che noi ci apparteniamo per qualche cosa che è in noi eal di fuori di noi - il mondola leggegli uominiDioche so?... Semai avessi a dubitare di quel che sento adessovorrei morire."A poco a poco le era caduto ai piedie parlava contale accento di calma e salda convinzioneche le lagrime spuntarononell'orbita di Adele. Ella piegossi dolcemente verso di luigli cinse ilcollo delle sue bracciae reclinò mollemente il capo sul capo diAlberto. XLIIII due sposi andarono a nascondere la loro felicitàa Belmonte - quella di lui però era un po' chiusaesistanteombrosaeavea sempre una tinta di melanconia; quella di Adele era franca edespansiva. Albertonon avea piú rivisto quei luoghi da oltre vent'annie ciascun ricordociascuna novella impressione che passava su quell'anima esulceratamalgrado il grande imperio ch'egli aveva su se stessolo facevatrasalire; Adele se ne avvedevae si sentiva piú strettamentepiúintimamente legata a lui appunto per tutto quel bene ch'essa facevagli.Erano sempre insiemein carrozzaa cavalloo a passeggiare peidintorni. Albertiquell'uomo tormentato dalla febbre del movimentoperseguitato dalla noia dappertuttoaveva passato delle lunghe oredelizioseguardando accanto a lei la pioggia che sgocciolava sui vetriola fiamma che crepitava nel camino. Ogni piccola cosa avea una fisonomianuovaserenafestosa. Le occupazioni piú comuni avevano un'attrattivadelicata. Egli era andato con lei a rintracciare a passo a passo i luoghiche racchiudevano i ricordi della loro prima giovinezza: quel banco doveavevano provato il primo imbarazzo stando seduti accantoquella ringhieraappoggiati alla quale avevano litigato e avevano fatto pace per la primavoltaquell'albero dal quale egli aveva còlto i primi fiori per lei edicevano: "Ti rammenti?". A volte questi ti rammentiracchiudevano un dolce rimprovero che adesso lo penetrava sino all'intimoe gli era caro. Li cercava anzi quasi a far risaltare colle ombre ilraggio festoso che splendeva su di loro adesso. Ridevano e siabbracciavano. Se qualche cosa avea cambiato aspettose un albero eracadutose il banco era Zoppicantese il giardiniere avea dispostoaltrimenti l'aiuolaerano delle vere perditee dicevano: - Era piúbello alloran'è vero? Conuna nobile franchezzae come se il fallo non valesse il pentimentoAlberto aveva mostrato all'Adele quel viale dove avea parlato l'ultimavolta con Velledae le avea messo la mano nella mano e gli occhi negliocchi. Adele avea chinato il capo cercando di riderneimpallidendoarrossendoe non gli avea detto quante volte si fosse fermata piangendoin quel medesimo viale. "Cometutto ciò è lontano!" diceva Alberto.Elladopo lunghe esitazionigli avea fatto vederetutti i ricordi che avea conservato di lui religiosamente: il bottone delguanto che gli avea rimesso la sera ch'erano andati a villa Armandiilfiore disseccato ch'ei avea lasciato cadersi dall'occhiellola cortecciad'albero ch'egli avea staccato col temperinoil foglio spiegazzato su cuis'erano divertiti a schizzare degli sgorbi e delle caricatureseduti almedesimo tavolinosotto la medesima lucernamentre la pioggia scrosciavaallegramente sui vetri. Egliche avea buttato dalla finestra al vento dicento cittào sulla cenere di cento caminettile lettere d'eterno amoredi donne che aveano messo in giuoco la loro vita e quella di lui per uncapriccionon arrivava a comprendere del tutto la tenacità di quelsentimento che rendeva preziosi quegli oggetti insignificanti. - Tra diloro due che s'amavano tantoch'erano cosí intimamente legatic'erasempre un abisso che egli non osava confessare a sé stessoe che ellanon voleva vederee per non vederlo chiudeva gli occhi. L'ottica delleloro idee era immensamente diversa: il cuore della donnagiovanefrescoriccoera lieto d'amares'attaccava alla felicitàci credeva senzaesitazionici si abbandonava con fiducia. Alberto non possedeva piú nécotesta fedené cotesto entusiasmoné cotesta serenità; la vita cheavea menato avea alterato profondamente il suo modo di vedere e digiudicare; avea osservato e studiato le passioni in sé e negli altrimanon le avea mai combattuteedisgraziatamente per luinon le avea vistocombattere. Il sentimento del giusto e del dovere restava quindi per luiuna formula astrattapoco meno di un'illusione.In tali disposizioni d'animoe alla sua etàl'amore era perciò una debolezza - e l'amore istesso rendeva il suoscetticismo un'infermità piuttosto che una corazza. Sentiva rigermogliaredentro di sé quei sentimenti sui quali avea messo i piedima chenondimeno avevano turbata la serenità epicurea dei suoi piaceriora cheli trovava freschi e rigogliosi nella donna a cui sentiva il bisogno diidentificarsi. Però al vedere cotesti sentimenti cosí diversi in sé ein lei nello sviluppo e negli effettiin sentirli agitarsi penosamentenel suo animopiuttosto che rinvigorirsine provava un grande sconfortoun dubbio piú amaro. La fede d'Adele - quella che per lui era la cecità- rivelavasi cosí salda ed interache trovavasi costretto ad ammirarlaad invidiarla quasisenza poterla dividere. Istintivamente sentivasiinferiore a lei di tutta quella triste scienza del mondo e del malecheaveva acquistato. Fossepudoretimidezzao alterigiac'era sempre in lui qualcosa di chiusoanche nei momenti in cui abbandonava il capo sui ginocchi di lei come comeun fanciullo. Adessoal contrariopossedeva l'ingenua curiosità di chinon ha nulla da nasconderee gli faceva delle domande cui egli rispondevaevasivamentesorridendole come ad una bambinao abbuiandosi alquanto.Quella serenità un po' nebbiosaquella specie dimistero che intravedevasi in fondo ai sentimenti piú espansivi di lui eraun'altra attrattiva per l'innocenza di Adele - pericolosa attrattiva. Ellaindovinava nell'uomo amato delle ferite che era lieta di sanaredelleritrose debolezze che lusingavano gli istinti materni e protettori delladonna; l'altera riserbatezza con cui il marito celavale agli occhi di leidavagli un carattere di dignità e di forzaun che di superiore a mo' diLucifero. Cento curiose domandeche le erano venute sulle labbraeranospirate dinanzi al sorriso calmovelato e impenetrabile di quell'uomo."Che cosa vuoi saperne tubambina mia?"le diceva egli. Edella che avea la pretesa di non essere piú una bambinagli faceva ilbroncio proprio da bimba. AncheAlberto aveva le sue curiosità - curiosità malsane curiosità avideinteressatevitaliadesso che Adele era tutta per lui: sentiva ilbisogno di apprendere come si sviluppassero le passioni in mezzo a tantocandorequal forma assumesseroe quanta importanza ci avessero."E tu" le aveva domandato sorridendo afior di labbra "non hai amato altri?"Ellache gli teneva ancora il bronciorispose coldispettuccio dei sedici anni."Sího amato Gemmati.""Proprio?" domandò Alberto ridendo.Erano appoggiati a quella tale balaustrataun dolcee tiepido giorno di novembre. Le foglie ingiallite si correvano dietro peivialiil torrente rigonfio s'era fatto brontolonee le nuvolettefacevano capolino sulle cime degli Appenniniproprio come allora. Ellagli cinse il collo col braccioe rispose:"Nogli ho voluto bene soltanto.""Cosa vuol dire voler bene soltanto?""Vuol dire stare a discorrere volentieri conquel tale di ciò che piú ci preme o ci addolorae trovare un gransollievo nel sentirsi stringere la mano quando si ha il cuor grosso.""La sasignora miache cotesto io lo chiamoamore bell'e buono?" "Davvero?...o come va dunque che pensassi in quel momento ad un altro... ch'era ancheun gran cattivaccio?...". Ei se la strinse al senoforte forte. -Adele si era fatta dolcemente melanconica."Quante volte siamo stati quicome adesso! Chebrutti giorni!... Cos'hai?""Nulla.""Se sapessi che nobile cuore! e com'è degnodella tua amicizia Gemmati! Quando gli dissi che t'amavo sempre... e che asposarci bisognava non pensarci piúnon esitònon feceun'osservazionenon disse una parola; chinò il capoe allorché partíavea le lagrime agli occhi senza che se ne avvedesse. Io pure che avevotanto soffertoe che sentivo come egli dovesse soffrireavevo gli occhiumidi... Ma che haiti dico?... Hai tortovedi!""Lo so. Ma non me ne parlare mai piúAdele!" Ellachinò il caposi fece rossae poi sorridendogli fra maliziosa egiuliva: "Preferirestiche facessi come te?" "Comefaccio io?" "Ma...Io non ho nulla a nasconderti... Invece se tu mi narrassi la metà diquello che non mi vuoi dire!...""Non è la stessa cosaAdele mia" disseAlberto secco secco. XLIVAlberti sarebbe volentieri rimasto a Belmonte tuttol'invernoed anche tutto l'annoQuella vita calma e serenacircoscrittain un orizzonte limitatoconfacevasi alla stanchezza dell'animo suoe albisogno che provava di rinascere in quell'amore cosí nuovosenza chealtre immagini del passato potessero venire a turbare il suo pensiero ed amettere in pericolo quell'intimità che gli faceva tanto bene. Ma Adeletemeva di stancare l'ombrosa e mobilissima fantasia del marito mostrandosia lui sempre dentro la stessa cornicee sotto il medesimo aspetto. - Nelpiú puro amor di donnae forse anche in quello dell'uomoc'è sempre unpo' di civetteria. - La moglie voleva legare a sé piú strettamenteindissolubilmente il maritogiovandosi di tutti i vantaggi che il mondodà ad una bella donnafacendoglisi vedere piú ricercatase non piúbella. Alla donna sorrideva forse il pensiero di mettere ai piedidell'uomo amato la sua eleganza di gran signoraed ancheperché no? isuoi trionfi di mondana. Albertitemendo di mostrarsi egoista non fecealcuna osservazionee ad inverno già inoltrato tornarono a Firenze.La marchesa Alberti era leggiadrala sua felicitàirradiava come un'aureola seduttrice su di lei. Ella prese con perfettadisinvoltura il primo posto nei saloni fiorentini. Alberti era stato unuomo eleganteadesso era un marito perfetto. Accompagnava qualche voltala moglie nelle prime visitetanto da non dar nell'occhioe dal cantosuo ricominciò a fare press'a poco la vita che facevano tutti i suoiamici. Si faceva vedere un momento nei saloni che frequentava la moglieoandava a trovarla nel suo palco per presentarle qualche amico. Sua moglieera sempre assediata da una folla di cortigiani - egli avrebbe trovatoassai strano che fosse stato altrimentipoiché cosí facevano tutticosí aveva fatto egli stesso - ma intanto ne soffriva segretamenteedoveva fare sforzi penosi per dissimulare le unghie d'acciaio che glilaceravano il cuore e gli facevano balenare in viso la collerao sullelabbra il sarcasmo. Piuttosto che tradirsi si sarebbe ucciso; ma senzaessere precisamente gelososenza aver perduto una briciola dellaillimitata fiducia che riponeva nella moglieprovava un gran dispettovedendola corteggiata. Sapeva che corteggiare vuol dire insidiareeppuresarebbe stato quasi ridicolo che sua moglie non lo fosseed egli eracostretto a stringer la mano a quei suoi buoni amici che cercavano dirubargli il suo tesoroe soffriva tutte le punizioni di quella logicamondana in nome della quale aveva fatto soffrire egli pure. Ne soffrivapiú degli altri perché era piú orgoglioso e piú corrottopiúdiffidente e piú innamorato.Marito e moglie non erano piú sempre insieme come aBelmonte. Avevano adesso cento occupazioni diverse che li allontanavanoinesorabilmente per delle ore parecchiee subivano senza avvedersene latirannia della società in cui vivevano. Adeleche amava sempre a cuoreapertoera felicissima di deporre ai piedi di quel sarcastico ed alterosignor marito le corone che riportava la sua vanità di donnae vedendolosorridere non sospettava nemmeno quanto egli soffrisse senza che un solmuscolo della sua fisonomia si contraesse; lo vedeva sempre gentile edamoroso; lo vedeva disinvolto e di buon umore fra i suoi amici; lo vedevaelegantecorteggiato ed invidiato; non scorgeva una nube sulla suafrontee lo credeva felice. Essis'incontravano sovente all'ora della colazionee quasi sempre a pranzo.Dinanzi ai domestici si trattavano col calma ed affettuosa dimestichezza;l'etichetta coniugale non costava loro il menomo sacrificioperchéentrambi erano perfettamente ben educati. A volte stavano a discorrereprendendo il caffè sino all'ora che la moglie andava ad abbigliarsi perla sera ed il marito andava a fumare il suo sigaro al Circolo. Eglil'accompagnava sino alla soglia delle sue stanzee si lasciavano con unastretta di mano. Spesso la sera accadeva ad Alberto di aspettare. Adeleseduto accanto al fuoco col capo fra le mani. Lo specchio del camino nondiceva a lei quali nubi fossero passate su quella fronte. Udendo ilfruscio della sua veste e vedendola entrare bella e radiosafacevasitrovare sorridente egli puresi alzava e andava a toccare le mani e lelabbra che ella gli porgeva. Allora sedevano accanto al fuoco narrandosi icasi insignificanti del díe le storielle piccanti o ridicole dellasera. Alcune volte il marito gettava uno sguardo distratto o imbarazzatosulle sue belle spalle nude che arrossivanoed ella chinava gli occhisenza vedere che anche lui li teneva fitti sul tappeto - e non sereni comei suoi. "Comesei bella!" le diceva talvolta Alberto con una certa risolutezza.Ella sorrideva."Quanti te l'avranno detto stasera!"Ella faceva una graziosa spallata."Vorrei essere giovane e bello comete!..." soggiungeva Alberto con un sorriso dl cui stentava adissimulare la tristezza. "Perché?"domandava Adele un po' inquieta.Egli tardava a rispondere."Vuoi che ritorniamo a Belmonte?""Sei felice almenoAdele mia?""Tanto!" e lo abbracciava per dirgli chelo era per lui. "E tu?""Io... sí! sí!"Alcune volte Alberti era piú triste del solitoperò senza motivo. Saettava alla sfuggita sulla mogliequasiinavvedutamenteuno sguardo scrutatore; impallidiva o arrossiva senzavederlo se per caso Adele sembrava piú melanconicao piú allegraopiú pensosa del consueto. Non osava rivolgerle la piú lontana domanda;indispettivasi contro sé stessoe le chiedeva tacitamente perdono di nonso quali sospetti baciandola con effusione. Pensava spesso a Belmonte conmelanconica dolcezzae si rimproverava il suo egoismo. Il suo tristepassato gli si rizzava dinanzi come il fantasma della pena del taglione.XLV Lacontessa Armandi era ritornata a Firenze sin dal principio dell'invernoeper consiglio dei mediciper obbligo di condizioneper svagoper farpiacere alla figliuolaavea dovuto ricominciar a veder gentee a farsivedere. Cosí non tardò molto ad incontrare Alberti. La contessa erasempre una donna di spiritoe non avea pensato a rimettere al pari deidentigli artigli che le erano cascati. Ella abbracciò Adele come la suamigliore amicavide Alberti come se si fossero lasciati il giorno innanzi- e gli disse anche: "Civuole un bel coraggio per dirle che son proprio l'Armandi di vent'anni fanon è vero? Gli amici che invecchiano lontano non dovrebbero rivedersigiammai. Anche lei è cambiatosa?""E tu hai amato quella donna." gli disseAdele fra motteggevole ed imbronciataallorché furono a casarittidinanzi allo specchio del camino - ei ci si era guardato a lungo per laprima volta. Ci aveva pensato anche luied era un po' lunatico quellasera; Adele aveva tentato dissipar la tenne nube. Egli sorrise dolcementeancora pensoso e le disse: "Chissàse fra qualche anno non penserai la stessa cosa di me?""Cattivo! ohcattivo!" esclamò conimpeto la moglie buttandoglisi al collo. Quelle due parole dell'Armandiavevano però gettato un gran turbamento nel cuore di Alberto. Tutte lefollíe del passato gli sfilavano dinanziironichemotteggiatriciassurderidicole; prendevano la fisonomia di quella amantegiàappassitae coi capelli grigi; ei fu costretto a domandarsi qualisarebbero stati adesso i suoi sentimenti se l'Armandiinvece di lasciarlocome un guanto rotto in un viale del Valentinoavesse sempre continuatoad amarlo; se la gratitudineil doverel'onorelo legassero ancora aquella donna! Tutto quello che aveva sentito per lei se ne sarebbe dunqueandato con gli anni e colla bellezzapoiché non sarebbe rimasto altrolegame che il dovereo peggio l'abitudine. Allora avea gettato gli occhisullo specchioe il suo pensiero era corso di lancio ad Adele. Anch'egliera cambiatomolto cambiato! Quel dubbioquella timiditàquell'inquietudine che agitavasi confusamente in lui da un pezzol'Armandil'avea formulato nettamente colle sue parole e coi suoi capelli grigi; sisentiva piú cambiato dentro di sé che all'esteriore; la stanchezzafisica influiva sulla prostrazione morale; tutti i suoi sentimenti avevanoalcun che di fiaccod'incertodi sfiduciatoall'infuori di quel soloche qualche volta era un tormento - e Adele era ancora piena di giovinezzae di beltà! - Il suo fatale spirito d'analisti lo spingeva a tristideduzioni; sembravagli che il nuovo sentimento il quale riempiva tutto ilsuo cuore fosse un effetto di quella medesima stanchezza fisica e moralefosse quel bisogno di ritemprarsi che c'è nell'umana natura. Il suo amoreera dunque l'egoismo del cuoreche invecchiando s'attacca a qualche cosa!Ma Adele che era giovane e ricca d'affetto?... tutto quello che avevaattratto o suscitato gli ardori della giovinezza di lui non dovevaattrarre o suscitare adesso quelli di leisedurlafarle comprendere aqual uomo avesse ella legato la sua giovinezza? Avrebbe rinunziato a leipiuttosto che sapersela legata da un sentimento qualsiasi che non fossestato puro amore. Il suo affetto per la moglie diveniva piú intensomenoespansivoassai piú timido e ombroso.Adele si avvedeva qualche volta di ciò che passavapel capo del marito come una nube tempestosa. Indovinava il turbamento chesconvolgeva di tratto in tratto quell'animae non sapeva a cheattribuirlo. Anch'essa divenne inquietatimorosa e alquanto schiva allevolte. Temeva che gli spiriti irrequieti del marito si risvegliasseroeche egli stessocombattendosi per debito d'onest'uomonon potesse fare ameno di rimpiangere segretamente la libertà perdutae la vitaavventurosa dl una volta. Anch'ella perciò era divenuta un po'melanconicae qualche volta anche dispettosa. Avrebbe voluto mettere lasordina alle memorie che turbavano la mente del maritocome potevamettergli le mani sugli occhi se volevaper impedirgli di vedere le belledonne delle quali era gelosa - e poi per una tal superbietta di donnaedanche per ambizioncella di moglieavrebbe voluto scaricare su qualcunoun caro qualcuno di là da venirela responsabilità di quella missione."Se avessimo un bimbo!" gli diceva sottovocee celandogli inseno il viso infuocato. Eichinava il capo e stava zitto; una volta rispose con quel sorriso tuttosuo: "Haivoluto tentare il cielolo vediAdele mia!"In quel tempo Gemmati era ritornato a Firenze da unlungo viaggio scientificoe Adele avea dato scherzando al marito quellanotizia raccolta nelle conversazioni dove si facevano le lodi del giovanescienziato. "Bisognascappar via da Firenze adesso?" domandò ridendo."Bisogna invitarlo a pranzo domanie farmiperdonare i torti che ho verso di lui."Gemmati avea perdonato quei tortinoti oppur nocon una di quelle strette di mano che armonizzavano col suo viso aperto eleale. Avea riveduto Adele senza finta semplicitàsenza riserbatezzaaffettata. Dopo la prima stretta di manotutti tre sentirono che nonavevano piú nulla a nascondersinulla a rimproverarsie respiraronoliberamente. "Saiche sono stato geloso di te!" gli disse Alberto allorché furono soliun momento. "Nonsarebbe stata la prima volta" rispose Gemmati ridendo. "Tirammenti della figliuola del barbiere a Prato? e adessoalla fine deicontimi tocca d'esser geloso io di te! Sei felice?" aggiunsevedendo rientrare la marchesa."Sí" rispose Alberto con una certavivacità. Gemmatiavea mille cose da raccontare dei suoi viaggie il suo dire era pieno dibrio e d'interesse. La sera trascorse come un lampoin una dolce etranquilla intimitàe fece venire nel discorso il ricordo delle piúbelle sere di Belmonte. Gemmati s'era fatto un bell'uomodai lineamentienergici e virili; sembrava avesse acquistato in una vita attiva edoperosa tutto quello che Alberti aveva sciupato nella sua molle etempestosa. Il marchese l'avea forse contemplato con cotesto sentimentomentre Gemmati discorreva con sua mogliee quando se ne fu andatoAdeledisse: "Èsempre giovanen'è veroAlberto?"La salute della marchesa Alberti era sempredelicatain estate i medici le prescrivevano di fuggire Firenze. Ellasoleva andare a Montecatinia Viareggioo a Livorno.Quell'anno fu scelto Livorno."Vieni anche tu?" aveva domandato Albertoa Gemmati. "Nonposso. Ho speso tutto il mio poco avere nei viaggie adesso bisogna chemetta giudizio. Comincio a farmi una discreta clientela. Sai come siamonoi altri medicispecialmente in principio di carriera? Non potreilasciar Firenze per una settimanasenza mandare a monte quel che ho fattosinora." Livornoquell'anno era una stazione alla moda. Gli alberghi e le villerigurgitavano di forestieri. Giammai l'Ardenza e i Cavalleggeri eranostati piú affollati di equipaggi eleganti. Il giorno stesso che lamarchesa Alberti prendeva stanza nell'appartamento fissato preventivamenteper telegrafo all'albergo della Gran Brettagnagiungeva da Bernanell'albergo istesso una di quelle coppie di zingari del gran mondo chescorazzavano per tutte le stazioni d'Europa segnate dalla moda - ilprincipe e la principessa Metelliani.La principessa era abituata ad arrivar da per tuttocome una reginaed a stendere senza contrasto il suo ventaglio come unoscettro. Ella fu dunque ferita nel piú vivo dell'amor proprio incontrandoa Livorno una rivale preferitaincensatacorteggiata piú di leie cheper giunta non sembrava curarsi del suo trionfoo godevaselodisinvoltamentecome cosa dovutale naturalmente - e chi poi? quellamedesima donnina che ella aveva sempre eclissato col solo riflesso deisuoi biondi capelli! - quella figurina pallidamagratutta occhilaquale non aveva cotesti occhi che per suo maritoe che tutti quegliimbecilli dell'Ardenza e dei Cavalleggieri adoravano da lontano come tantiDon Chisciotti. - Quel cencio stesso di marito glielo aveva lasciato leiquando non avea saputo piú che farsene. Se non si fosse trattato che diluiella avrebbe continuato ad essere la migliore amica di Adelee delresto - a parte il principeche nell'esistenza di Velleda non aveagiammai contato altro che come principe - l'antico suo amante era davverodivenuto un cencio d'uomo. Ma adesso gliene voleva anche perché quel talmarito cencio o noche essa le aveva regalatoil quale l'avea tantoamataleila bella Manfredini! che anch'essa avea forse amato - forse -si fosse consolato proprio con quella Adele! si fosse consolato talmenteda non caderle ai piedi la prima volta che l'avea riveduta da Pancaldi! -leila superba beltà che portava una corona di principessa! Se Adele leavesse rubato quella coronanon le avrebbe fatto maggior dispetto.L'indispettiva anche l'indifferenza serena di quella rivale innamoratasoltanto del marito - fierezzanoncuranzacivetteria che fosseroirritavanoferivanoumiliavano il suo orgogliola sua vanitàla suacivetteria. Se ci avesse pensatoavrebbe voluto colpire quella rivale nelsolo lato che mostrava vulnerabilein quel tal cencio di marito che ella- la vinta d'oggi - le avea buttato fra i piedi come una limosina.Del resto coteste due rivali appartenevano allamedesima societàerano state amichesapevano vivere abbastanza per nondar spettacolo dei loro intimi sentimenti ai curiosiagli invidiosiallafollae per stringersi la manosin dalla prima voltacol piú graziososorriso. Velleda e Alberto s'incontraronosi salutaronosi rivolsero laparola al modo stessocolla medesima disinvoltura. Ella disse che avevanofinito come avevano incominciato - e realmente non era malcontenta cheavessero finito a quel modo. Ledue amiche e rivali dimoravano nello stesso albergoal medesimo pianouscio contro usciosi vedevano soventes'incontravano tutti i giornialla medesima passeggiata e agli stessi ritrovi. Una sera che da Pancaldis'era organizzata in parecchi una gran cenaalla quale Adele avevabrillato piú del solitoe la principessa era stata piú del solitouggitamentre l'allegra comitiva usciva in massa a fare una passeggiataal chiaro di lunaVelledasenza saper comes'era trovata l'ultima evicina ad Alberti. Essa gli rivolse un'occhiata singolaree quindi glidisse mettendoglisi risolutamente al lato:"Alla fin fine... davvero... perché non midareste il braccio?" Eavevano incominciato a discorrere di questo o di quello; poi nel separarsigli avea detto con quel medesimo tono:"Vedete che noi si sta meglio in questo modo...che in quell'altro." Eda quel giorno s'era messa a far la corte ad Alberto.Alberto se n'era avvistoe ne provava una segretasoddisfazioneun po' per istinto di vecchio leone che vuol provare ancorale zannema principalmente per uno strano sentimento che riferivasi a suamoglie. Era geloso senza osare di confessarlo all'Adele e a sé stessoeprovava una singolare civetteria mascolina a far intravvedere alla mogliee a provar a sé medesimoche egli era sempre preferito a tutti queiganimedi che gli davano uggia. Non gli dispiaceva anche che sua moglietemesse un pochino per luigiacché egli temeva per leie volevametterle ai piedi anche lui qualcosauna di quelle preferenze chelusingano tanto l'amor proprio di una donna.Adele avea cominciato ad accorgersi anch'essa deltiro che intendeva giocarle la Metelliani; ma rifuggiva dai lamentidalleosservazionidalle sceneper alterezza naturaleo per timore di quelmarito che le imponeva soggezionee s'era chiusa nella sua dignità dimoglie con tal dispettuccio che sembrava disinvoltura.Intanto le cose andavano perché la Metelliani lespingevaperché Albertosenza dare positivamente una manochiudeva gliocchi e lasciava andare - e lasciava andare anche per un falso timore disembrare ridicolo se avesse fatto il puritano - e andavano infine perchéAdele non faceva nulla perché non andassero.Un giorno Albertiarrivando un po' tardi allostabilimento dei bagniincontrò la principessa."Vostra moglie è lí" gli disse lei conuna lieve tinta di motteggioindicando sul mare una barchetta carica diombrellini di paglia e di veli svolazzanti. "Volete che andiamo araggiungerla?" Ilmarchese rispose qualche parola a casoe le sedette accanto. Dopo alcunimomenti le domandò perché non fosse andata anche lei."Potrei dirvi perché vi aspettavoma nonvoglio lusingarvi. Ho corso tanto sui piroscafiche il mare mi fa uggiapersin dalla barchetta. Anche voi avete molto viaggiatoso."E si misero a parlar di viaggi."Chi ce l'avrebbe detto che dovevamo corrertanto per riunirci... da Pancaldi!" diss'ella ridendo.Gli aveva detto codesto in un certo modoe con taleaccento da ricordargli perfettamente il punto dal quale erano pur partitiper correre - e gliel'aveva fatto rivedere in cosifatta manieracheAlberto era rimasto taciturno."Non promettevate di riescir cosí buon maritodavvero!" gli disse poco dopo con uno sbalzo capriccioso delpensiero. Albertorispose al complimento ironico con un ironico chinar di capo."Schiettamente... senz'ombra di lusinga... seavessi potuto prevederlo... non mi chiamerei forse Metelliani.""Vedete che qualche volta torna meglio nonprevedere!" "MarchesaAlberti è un bel nome anch'esso. E poi tutti vi chiamano il maritomodello. Non ve l'abbiate a male: è una bellissima cosa essere innamoratodella propria moglie.. È vero che siete innamorato di vostra moglie?Sapete che avrei quasi il diritto di essere gelosa io? VediamoAlbertocosa direste se fossi gelosa di vostra moglie?"Alberto si dibatteva ancora contro il fascino dilei. "Vidirei che avete torto" rispose freddamente e alteramente.Ella si levò da sedere. "Francamentese nonfossi quella che sono vorrei essere... M'accompagnate sino alla miacarrozza?" Albertis'inchinòle porse il braccioe s'avviarono. Dopo alcuni passi:"Verrete al ballo di stasera?" domandò la principessa."Non so.""Ci sarà anche la vostra Adele.""In tal caso verrò per accompagnarvi lei"rispose egli con calmae senza mostrare di aver sentito la puntura."Andrete pure al concerto delle quattro? Leinon manca mai." "Essasa che fuggo i concertie me ne dispenserà."La principessa rizzò il capoe fissò gli occhinel vuoto corrugando le ciglia."Sicché alle quattro sarete libero?"domandò dopo un istantecon quel medesimo sorriso."Liberissimo.""Ho intenzione di fare una gita sino aMontenero" riprese ella con vivacità. "La giornata èfreschissima. Volete venire con me alle quattro? Andremo a cavallo.Domandatene il permesso a vostra moglie. Volete che glielo domandiio?" "Miamoglie sarà lietissima."Ella si fermògli lanciò uno sguardoscosse icapelli ancora profumati dal bagno con un brusco movimento del capoe conintonazione singolare: "Davvero?Dunque verrete?" "Masí." "Nonavete paura?" "Pauradi che?" "Ma...che so io?..." Elo fissò in viso ridendo stranamente."Proprio? Non temete che... la fatalità... Èsingolare!" "Iosono incredulo." "Ah!Venite dunque ad incontrarmi alle quattro ai Cavalleggieri."Egli s'inchinò senza rispondere."Proprio? Verrete?""Certo.""È che temevo... Scusate: non ce l'avete piúcon me?" "Nonce l'ho avuta mai." "Mai?""Mai.""Arrivederci dunque."XLVI Albertorimase tutto sconvoltocol capo vertiginosocon degli ardori improvvisiche gli scorrevano per le veneed evitò gli sguardi della mogliequand'ella saltò dalla barca appoggiandosi alla mano di lui.Il marchese avea ordinato il suo cavallo per le tree mezzo. Verso quell'ora Adeledopo essersi abbigliatausciva per andareal concertoe incontrò il marito nel salotto - la camera e lospogliatoio della marchesa erano separati dalle stanze del marito da quelsalotto. - Alberto leggeva o fingeva di leggere."Ohnon sei andato?" gli disse."Novengo con te. Vuoi?""Volentieri. Non ti annoierai però?""Tutt'altro."Al concerto c'era tutto il mondo eleganteall'infuori della principessa Metelliani. Marito e moglie erano rientratiin casa verso le seiquando si udí nel corridoio che separava il loroappartamento da quello dei Metelliani il fruscío dell'amazzone dellaprincipessa che ritornava dalla sua passeggiata.A pranzo Alberti fu un po' distrattoe faceva deglisforzi visibili per non lasciar scorgere la sua preoccupazione; quando ful'ora d'andare al ballo pregò la moglie che lo dispensassed'accompagnarla. "Perchénon vieni?" "Sonostancoho qualche lettera da scriveree del resto sai che non mi divertomolto." "Cirinunzierei anch'iose non mi fossi impegnata ad andare colla Lina.""Novaidivertiti pureanche un poco perme." Lamarchesa partí; un quarto d'ora dopo si udí anche la carrozza dellaMetelliani che andava. Allora Alberti respirò liberamente.Passò nel suo stanzino da studio e si mise aleggere per ingannare il tempoaspettando la moglieed anche perdistrarsi alquanto. Amisura che andava calmandosi quello stato d'agitazione in cui era statotutto il giornodopo la prima vertigineattraverso le idee che andavaglisuscitando la letturaritornava con una strana intermittenzail pensieroche lo preoccupava dippiú. In certi momenti chiudeva gli occhiescorgeva Velleda come l'avea vista il mattino.Tutt'a un tratto udí un passo rapido e leggiero nelsalottol'uscio fu aperto bruscamenteed entrò la principessa.Era in abito da balloavvolta in una leggieramantellinasplendida di bellezza."Vostra moglie vi ha proibito di venire?"domandò con un sardonico sorriso.Alberto la guardava ancora sorpresosenzarispondere. "Visiete pentitodite?" "Sí.""Alla buon'ora!"La principessa non osservava che Alberti s'erabensí levato in piedima non l'invitava a sedere. Andò risolutamenteverso la poltrona ch'egli aveva lasciatoe vi si adagiò da padrona."Perché non siete venuto neppure al ballo? Pertimore d'incontrarmi?" Esiccome egli non rispondevasoggiunse:"Avete fatto una bella cosamarchese Alberti!"Dopo un istante di lotta penosa ei disserisolutamente: "Iovi ho perdonato... perdonatemi!""Ah! m'avete perdonato? Che cosadigrazia?" "Losconvolgimento che avete gettato nella mia menteil turbamento chem'avete fatto provare accanto a mia moglie... il rossore che son costrettoa subire dinanzi a voi. Tutto ciò non vi pare abbastanza?""No!" esclamò dessa con accentoindefinibile. "C'è qualcosa di piú... o di peggiocome volete...che io mi sia gettata alla vostra testache voi ne abbiate forse riso convostra mogliee che io sia qui!... Cosa vi sembra di cotestomarchese?" Eiguardava stupefatto quella bellezza imperiosafremente di corruccio e dicivetteria dispettosa di cui le braccia nude spiccavano a loro insaputasul bruno velluto della poltrona."Cosa credete che possa fare una donna in talicondizioni" Albertochinò gli occhi dinanzi a quegli occhi sfolgoranti."Per fortuna che sono una donna di spirito-avete detto- e anche voi... - e non ho bisogno di domandarvi se sietecerto che il vostro amor proprio non v'abbia giocato un brutto tiro. -AddioAlberto; giacché volete il mio perdonove lo dò con tutt'e duele mani. Non dite nulla a vostra moglie. Che cosa penserebbe se sapesseche sono stata quiproprio quidopo la mezzanotteiola vostra anticaamante?... Poiché ci siamo amatinon è cosí? - Madavvero!... avrebbetortodavvero!" S'erarizzata in tutta la bellezza della sua elegante personaironicaprovocantemotteggevolecolle spalle marmoreee il seno superbolaveste sinuosacome cosa animata anch'essa è seduttrice e stava perandarsene. - Egli che non avea detto più una parolale prese con impetouna manopoi l'altra. Ellaafferrata da quella strettagittò indietrotutta la sua persona fremente.La principessa aprí l'uscio con un colpo secco enervoso; gettò ad Alberto una stretta di mano senza voltarsiedattraversò il salotto rapidamente. Alberto ritornando dall'accompagnarlaancora confuso e sossopravide del lume in camera della moglie. Rimase unistante ritto in mezzo al salottoturbatosorpresoesitanteposciapicchiò timidamente all'uscio ch'era soltanto socchiuso. Trovò Adeledinanzi allo specchioin atto di disfarsi i capelli senza l'aiuto dellacamerierapallidaturbata anch'essa. - Udendo entrare Alberto si volsetrasalendo. "Seitornata... diggià!..." diss'egli evitando di guardarla.Chinò gli occhi anche lei."Sí" rispose dolcemente."Da quanto?""Da poco... da mezz'ora..."Egli fece qualche passo per la camera."Volete che partiamo domani?" domandòposcia. Ellachinò il capo. Il marito uscí.XLVII Qualnotte terribile per la povera Adele! Non solo avea ricevuto una acerbaferita al cuore ed all'amor proprioma tutto l'edificio della suafelicità crollava; quell'uomo ch'era tutto per lei le sfuggivatravoltonel turbine di quelle passioni ch'erano state cosí formidabili per luieche lo rendevano formidabile agli altri.Ella non avea piantonon s'era lamentata; il domanis'era levata com'era andata a letto la sera senza chiuder occhiopallidafebbricitantee avea fatto con calma i preparativi per la partenza.Lungo il viaggio scambiarono una dozzina di paroleparole indifferentidette con accento pacatoevitando di guardarsiparole di ghiaccio che mettevano del ghiaccio tra di loro. Ella sentivasistringere il cuoree procurava di metterci almeno una certa dolcezza;quella dignitosa rassegnazione sembrava che andasse a colpire in facciaAlbertoil quale sentiva l'abisso sprofondarsi gradatamente fra di loro:lo sentiva alla sua propria freddezzaa quel non so che d'impacciatoditimido ed altero che c'eraa sua insaputanelle sue stesse parole.Cento voltein quella notte dolorosa anche per luiera stato sul punto di correre a buttarsi ai piedi di Adelee chiederleperdono; ma gliene era mancato il coraggio per una fatale delicatezzaperun falso pudoreper una singolare rettitudine della colpa. Domandarleperdono di che? Di averla tradita vilmente per una donna che non stimavapunto? Di aver dimenticato in un istante l'amore di leila fiduciach'ella aveva in luiil loro passatoi giornii mesi interid'intimitàdi casto abbandonod'espansioned'identificazione completad'ideedi sentimenti? Di essersi posto sotto i piedi tutto ciò per deicapelli biondi e delle spalle che gli si erano gettate alla faccia? Diaverla insultata volgarmente all'uscio istesso delle sue stanze? Ma ildomandarle cotesto perdono non sarebbe stato un altro insulto? Non sarebbestato come domandarle una sanzione disonorevole per entrambiunconfessarsi piú basso della colpa? D'ora innanzi avrebbe potuto piúdirle che l'amava tuttorache non avea mai cessato d'amarla - ed era vero- senza sentirsi montare i rossori al viso? E avrebbe potuto crederech'ella avesse obbliatoe l'amasse ancorasenza dubitare che mentisseanche lei? Quando si cade bisogna almeno aver la forza di non dare delviso nel fango. Giuntia Firenzemise in campo degli affarie partí per la campagna. Cosítoglievasi pel momento al supplizio di comparirle dinanzi in quelle oreche solevano passare insieme. Ella sentiva un gran doloreuna grantimidezza di fronte a quell'uomoun gran timore di contrariarloe nonfece la menoma osservazione. Albertiavea detto che sarebbe mancato una settimana o duee mancò tre mesi. Inquesto tempo Adele s'era ammalataassai piú gravemente di quel chesospettasse ella medesimae gliene aveva scritto come di una passeggieraindisposizione. Egli informavasi di lei tutti i giorni per telegrafomanon ritornava. Del resto le notizie che riceveva erano sempre piúrassicuranti: la marchesa sembrava intieramente guarita.D'allora in poi il marchese scriveva spesso allamogliee spesso riceveva sue lettere. Per lo piú erano lettereinsignificanti - o significanti troppo - non contenenti altro che lefredde formule della cortesia coniugalerispettose e asciutte da parte diluitimide e riservate da parte di lei. Di tanto in tanto un pensieroserpeggiava (è questa la parola adattapoiché era un serpe) per lamente di Alberto. Che cosa sarebbe divenuto di quel tesoro di affetto chec'era nella sua Adeleadesso che per sua colpa era stato distoltoviolentemente da lui? Dove sarebbesi rivoltosu chi e in qual modo?Allora arrischiavasi ad insinuare nelle lettere qualche frase cheprestavasi ad un'interpretazione affettuosae cercava nelle risposte diAdele il riflesso del sentimento che provava.Gemmatiavendo saputo che la marchesa Alberti eraritornata da Livornosebben non si fosse fatta vivaera andato a farlevisitaed era rimasto colpito dall'alterazione profonda che scorgevasinell'aspetto di lei. Dopo alcuni giorni Adele s'era ammalata davveroGemmati l'avea assistita come sorella o come una figliaepurdissimulando la gravità del maleaveva insistito perché ne fosseinformato Alberto. I pretesti dapprimae poi le ripulse ostinate dellamarchesal'avevano sorpresoe non avea tardato ad accorgersi chequalcosa di grosso doveva esserci stato. Conoscendo Alberto intimamenteegli fu sgomentato piú di quanto lo fosse Adele istessa.Prima di cedere al gran bisogno che sentiva disfogarsidi esser confortatadi appoggiarsi ad una mano amicaAdeleavea molto combattutoper delicatezzaper un sentimento di dignitàdirispetto e di amore verso il marito; ma a poco a poco qualcosa eralesfuggita lentamente. Gemmati avea capito il restoe d'allora in poi erasimostrato piú riservatoe piú discretamente affettuoso. Andava atrovarla di soventepoiché sentiva che il darle occasione di parlar dilui le faceva benee che quel povero cuore tremante e malato avevabisogno di esser rinfrancato da una voce amica. Le diceva poche parolediquelle che sapeva giovarleo stava zittoascoltando pazientemente i suoidiscorsi scuciti e febbrilio il suo silenzio eloquente. Ella avea finitoper fargli leggere le lettere di Albertocosí freddecosí compassatee gli dimandava dei consigli o delle lusinghe. Mostravasi cosí contentaallorché Gemmati dicevale che Alberto sarebbe ritornato ad amarlach'egli ripetevale spesso. L'amico le faceva piú bene del medico. Ellaguarí infattio sembrò esser guarita.Finalmente una sera piovosaverso gli ultimi diottobreAlberto ritornò a Firenzee arrivò a casa sua quasiall'improvviso. Alsuo annunzio Adele s'era rizzata di botto in piedi; tutto il sangue le eracorso al visoe vedendolo entrare era ricaduta tremante sulla poltronamentre il rossore e il pallore si alternavano rapidamente sulle sueguancie. Gemmati osservava con occhio inquieto cotesti sintomie rimanevapreoccupato. Alberti fu sorpreso dall'accoglienza che gli facevae parvearrestarsi un istante sull'uscioe saettare uno sguardo rapido e profondosulla moglie e su Gemmati. Poi era andato a stringerle la manol'avevastretta anche al suo amico e s'era messo a sedere e a discorrere di quelche avea fatto e di cose indifferenti con aria distratta. Anche Gemmatierasi mostrato un po' freddo verso l'amicodi cui il suo leale caratterenon poteva scusare la condotta. L'arrivo di Alberto evidentemente aveagettato del ghiaccio nel discorsoche andava scucito e alla meglio. Dopocirca un quarto d'ora Alberto protestò una grande stanchezza e siritirò. L'indomaniandò a trovare la mogliee s'informò piú minutamente della salute dilei. "EGemmati .. lo vedi spesso?""Sí.""Ah!" e parlò d'altro.Le disse della ubertosa vendemmiae della Sassosala famosa Sassosae dei miglioramenti fattidelle disposizioni datedelle occupazioni piacevoli che avea trovato in campagna."E tu?" le domandò. "Come haipassato il tuo tempo?" "Ma...bene." "Seimolto pallidasai! Devi esser stata piú male di quel che m'haiscritto." "Adessosto meglio." "EGemmati è il tuo medico?""Sí.""Dicono che sia un bravo medico. È statosempre un uomo d'ingegno.""È verissimoin pochi mesi qui a Firenze s'èfatta una bellissima riputazione.""E dei clienti?""Molti.""Devi essergli doppiamente grata in tal casodella sua assiduità..." Ella levò timidamente gli occhi sul visomarmoreo di lui. "Però trovo strano... davvero!... ch'egli nonm'abbia avvisato della gravità della tua malattia... molto strano!"disse Alberto andandosene. Adeleera rimasta confusasgomentatrepidante. In mezzo a tutto questo vagoturbamento insinuavasicome un raggio di sole fra le tristi nebbie dellasua animala speranza che in quel cuore di sasso fosse ancora qualcosa divivo che agitavasi per lei. D'allora in poi ella s'arrischiò timidamentea far scorgere anche a lui qualcosa di quel suo nuovo sentimentodiquella deliziosa speranza. Alberto volgeva uno sguardo sorpresopenetrantepensieroso su di lei a quelle commoventi esitazionia queglislanci repressiche tremolavano nello sguardo o vibravano nella voce oavvampavano nei rossori subitanei del suo viso. Aveva anch'egli di quelleesitazionidi quelle distrazioni - il ghiaccio si liquefacevail dubbiosi dileguava. Anch'egli sorprendevasi a stare piú lungamente del solitoaccanto a lei dopo il desinaree a non cercare piú con tanta fatica isoggetti piú comuni per la sterile e penosa conversazione di quelle oreo a non essere piú impacciato se il silenzio li sorprendeva tutt'e duecogli occhi fissi sulla fiamma del camino. In certi momenti il cuoredavagli come uno sbalzo in pettola parola gli moriva sulle labbraevolgea su di lei gli occhi distratti e profondi. Una seradopo aver presoil caffèerano rimasti piú a lungo del consueto accanto al fuocoellacome assorta in quel silenzio e deliziosamente turbataegli astrattostuzzicando i tizzoni colle molle.Da qualche tempo le rare parole erano finiteanch'esse; marito e moglie non avevano piú bisogno di parlarsinonrimaneva loro che stringersi quelle mani le quali piú di una volta sierano stese l'una verso l'altraallorché fu suonata una visitaed ildomestico annunziò Gemmati. Albertosi scossesi alzò bruscamentee fece due o tre passi scostandosi dallamoglie con vivacità. Poi tornò indietro. Il suo volto avea ripreso lasolita maschera di marmo. Ella a quel movimento del marito s'era fatta dibrace. "Fateentrare" disse il marchesepoiché sua moglie non dava alcun ordine."Ti faccio fuggire?" gli domandò Gemmatistendendogli la mano. "Alcontrario" rispose Albertisenza avvedersi del gesto e tornando asedere sulla poltroncina. "Ecco!"Il discorso si avviò su cose indifferenti. Malgradola gran forza di dissimulazione che possedeva Albertobalenava di trattoin tratto nelle sue parole un'ironia dispettosa di sé stesso e d'altrui.Adele sbalordita dalla luce che si era fatta improvvisamente nella suamentetaceva spessoera spesso pensierosae sembrava imbarazzata.Gemmati sentiva l'effetto che aveva prodotto la sua visitaed eraimpacciato anche luisenza saperne troppo egli stesso il perché. Fratutti loro Alberto solo mostravasi il piú amaramente disinvolto. Comeaccade qualche voltaa furia di cercar di stordire la preoccupazionecomune col divagare sugli argomenti piú disparatiil discorso erasdrucciolato sul terreno scottante della cronaca galantee parlavasi diun duello famoso nel quale un marito aveva avuto la peggio: duello cheallora faceva le spese della conversazione in tutti i ritrovi dellacittà. "Ah"disse Alberto alzando le spalle. "Il giudizio di Dio!"Adele lo guardò in viso. Gemmati aggiunse ridendo:"Sei tu che parli cosí?""Perché no?" rispose Alberto serio seriodopo un istante di riflessione. "Alla fin finese l'onore non ha unfondamento naturaleè una convenzione sociale anch'esso... una cosafalsa..." "Nesei convinto?" gli domandò Gemmatiironico a sua volta."Perfettamente" rispose Alberti con calma.Dopo che Gemmati se ne fu andatoAlberti rimaseancora soprappensieri poi si accomiatò dalla moglie. Vedendolo uscireAdele fu due o tre volte per buttargli piangendo le braccia al collo edirgli: "OhAlberto!...". Ma le parolelo sguardoil sorrisola fisonomia del marito le agghiacciarono il sangue nelle vene.Al domani la colazione fra marito e moglie fusilenziosa. Si scambiarono appena le parole indispensabili di cortesiaetosto alzato da tavola Alberti disse alla moglie:"Non vai stasera al ballo di casa Rossi?""No" rispose Adele pensierosa."Non vai in nessun luogo!... Èsingolare!" "Selo desideri..." "Nondesidero nulla. Sembrami sconveniente cotesto stare rintanata in casa..appena appena compatibile ad una innamorata Tu cominci a render ridicolala nostra luna di mielemia cara... E sai bene che non ci ho colpa."Ed uscí.XLVIII Adelerimase sbalorditail sangue le avvampò al visoe corse in furia nellesue stanze. Albertoera uscitoróso anche lui dalla febbredal dispettodalle furie. Andòa casoquasi senza vedercie tornò sui suoi passispinto da una smaniainvincibile. Allora fece una cosa che egli stesso avrebbe credutoimpossibile: si mise a spiar la moglie.La marchesa aveva scritto un bigliettino corto cortoa Gemmatidicendogli che aveva bisogno di parlargli. Gemmati vennedurante la serainquieto per quella letterina secca e asciutta che nondiceva nulla e lasciava indovinare molto. Trovò Adele cogli occhiluccicanti insolitamentema pallida e disfattae toccandole la mano:"Voi avete la febbre!" esclamò.Ella non l'udí. Dopo un istante di esitazioneglidisse risolutamente: "Amicomio... bisogna che non ci vediamo piú.""Perché?"Adele si fece rossacon un'aria di pudico trionfo."Mio marito è geloso!""Di me?""Di chi potrebbe esserlo?" diss'ellaabbassando gli occhi e la vocecome se una favilla di quei misteri che anostra insaputa si nascondono fra le tenebre dell'anima scintillasseimprovvisamente alla superficie."E voi... siete contenta ch'egli siageloso?" domandò Gemmati sottovoce."Sí!" rispose dolcemente la donna conl'egoismo degli innamorati; e un sorriso la irradiò."Che volete che faccia?""Evitiamo di vederci.""Cosa penserà Alberti?... che m'abbiateprevenuto!..." "Èvero!..." "Quell'animafiacca e malata dubiterà sempre... Forse sarebbe peggio... Bisogna farequalcosa dippiú." "Cosa?"Dopo un breve silenzio ei le disse timidamente:"Mi sarete grata di quel che farò pervoi?" Ellagli strinse la manoe chinò gli occhi. Rimasero un istante assorti. Inquel momento entrò Alberto. Adeleritirò vivamente la mano. Il marchese li guardò appena. Vide Gemmaticommossoe delle tracce di lagrime negli occhi di sua moglie; sedette."Sono venuto a dirti addio" disse Gemmatirompendo pel primo quel silenzio glaciale."Parti?""Sí.""Per dove?""Vado a Napoli."Adele impallidí. "A Napoli c'è ilcolèra!" disse con vivacità."Son medicoed ho degli importanti studi dafare sul colèra." "Eti fermerai... molto tempo?""Mi stabilirò colà.""E la tua clientela di Firenze?""Me ne farò un'altra laggiú..."La marchesa non aveva piú aperto bocca. Gemmatisenza nessuna esagerazionele disse addio con semplicità.Alberti l'accompagnò sull'uscioe gli strinse lamano proprio all'inglese. "Tardio noè una bella azione che fa Gemmati!" disse tornando a sederepresso la moglie immobile e bianca come una statua. Ella levò gli occhisu di lui quasi non avesse ben capito."E a proposito di partenza... sono venuto adire... che parto anch'io."Adeleseguitando a fissarlo con occhi spalancatiattonitiimpietrati dal dolorebalbettò:"Per sempre?""Chi ha detto che sia per sempre? Non vado aconsacrarmi ai colerosi io... Ho risoluto di viaggiare un po'.""Oh! Alberto!" esclamò la derelitta convoce sordalasciandosi cadere sulle ginocchia.Ei la sollevò con mano ferma. "Nonabbassatevi!" le disse freddamente "e non abbassate me!"La poveretta rimase pietrificata da quello sguardoincisivoduroinesorabilee sentí l'abisso ch'erasi sprofondato fra diloro. Nons'erano piú detta una parolae le prime notizie del marchese eranovenute da Monaco. Frattanto Adele era ricaduta piú gravemente inferma. Alprincipio della primaveralusingata da un'apparenza di convalescenzaerapartita per Belmonte. Il maritoche non aveva mancato di chieder notiziedi leiaveva approvato la risoluzioneed avea promesso che appena diritorno in Italiasarebbe andato a trovarla.Intanto non ritornavae il male di Adeledopoparecchi miglioramenti fittizis'era dichiarato in tutta la sua gravità.Ella moriva del male che le avea rapito la madre. Il vecchio medicochela conosceva da bambinacominciò a farle capire che non intendevaaddossarsi da solo la responsabilità di una cura tanto difficileechiese un consulto. Lamarchesa non disse né sí né no; rimase meditabondae nessuno seppe maiquel ch'ella facesse nelle lunghe ore che chiudevasi nella sua camera.Finalmente rispose al dottore che insisteva pel consulto:"Parmi che si dovrebbe domandare il parere dimio marito..." Ilbuon dottore non seppe capire il timido desiderio che avea l'inferma dirichiamare Alberto con quel pretestoe di averselo vicino in quegliultimi dolorosi giorni di prova. Egli se ne andò tentennando il capoeborbottando: "Purché non si faccia aspettare anche larisposta..." Ellaaspettava! Il male intanto la divorava rapidamentee ben tosto le forzele mancarono. Piú voltenon vedendo giungere alcuna lettera del maritosi mise a scriverglie non ne ebbe il coraggio. Piú tardi non n'ebbenemmen la forza. Allora fu assalita da una paura indicibilee per laprima volta lasciò scappar le lagrime al cospetto del medico."Non sarebbe tempo di avvisare miomarito?..." "Credevoche avesse già scritto... e mi stupisco davvero!... Ma telegraferò oggistesso..." "Telegrafare!..."mormorò lei. Non disse piú nullae rimase a guardare il pallido sole dinovembre che tramontava sui vetri della finestra.Disgraziatamente il telegramma del dottore nontrovò il marchese a Berlinodove credevasi che egli fosse; sicchéperdette tempo prezioso a corrergli dietro per tutte le piccole cittàdella Germania. Quando finalmente gli fu ricapitatoAlberto non misetempo in mezzo e ritornò subito in Italia.A Firenze trovò un secondo dispaccio firmato dallamoglie. Era affranto dalla fatica e diluviava; si fece condurre da untreno speciale sino a Pistoiae da Pistoiain carrozzasi mise inviaggio per Belmonte. XLIXPiovigginavala campagna era brullale ruote dellacarrozza s'affondavano nella via fangosa che i cavalli salivano a fatica.Alberto guardava macchinalmente lo sgocciolar della pioggia sui cristalli.Si udivano lenti i rintocchi dell'avemariae di tanto in tantoa secondadello svoltare della stradalo squillare acuto ed ora soffocato di uncampanello che sembrava inseguire Alberto da un pezzo."E cosí?" domandò aprendo lo sportellobruscamente. "Icavalli non ne possono piú""Ammazzali!"Ma come se il suono di quella parola l'avessecolpitogettò un'occhiata sulle povere bestie fumanti e sgocciolanti dipioggiae si ricacciò in fondo al legno.I noti alberi che fiancheggiavano la stradasfilavano lentamente attraverso gli sportellie lo salutarono mestamenteinclinando il capo con sommesso mormorío. La carrozza oltrepassò ilcancello. Allora il marchese appoggiò il viso al cristallo per vedere unafontanache cadeva in rovina. La carrozza svoltò pel viale e si fermò."Diggià!" mormorò Alberto.Nessuno era corso ad aprire lo sportello. Eglibalzò a terra. La villa sembrava disabitatatutte le finestre eranochiusei rami sfrondati e la pioggia cadeva lenta e monotona. Ilcampanello che si era udito per l'erta tornò ad udirsi. Alberto bussòrisolutamente. Undomestico sconosciuto venne ad aprirgli e gli domandò cosa volessecomese fosse un estraneo. Però egli spinse il servitore per le spalle con unfar da padrone che non lasciava alcun dubbio ed andò difilato alle stanzedi Adele. Prima ancora di giungervi sentivasi un forte e singolare odore;l'uscio era socchiusoe non si udiva né parlarené muoversi nellastanza. Alberto aprí esitantee si arrestò sulla soglia.La camera era quasi buia; di faccia all'uscioardevano due candele su di un tavolino coperto da una tovaglia bianca;dall'altro lato c'era il letto che sembrava vuotobianco come un sepolcronell'ombra. Sotto le coperte modellavasi vagamente una forma indecisaesul guancialeappena depressospiccavano due folte treccie neree sulviso già disfatto gli occhi neri anch'essilucenti nella morte. Su diuna piccola tavola accanto al letto c'era un mucchio di piccoli utensilid'argento e di cristallo che luccicavano; di contro al lettocolle spalleall'usciovedevasi una poltronae una testa interamente canuta chesorpassava la spalliera alla quale appoggiavasi. Tutte quelle cosestringevano il cuore. L'infermavedendo un'ombra nel vano dell'usciovolse penosamente il capotrasalíe fece un languido movimento per stendere la manoatteggiando le labbraad un pallido sorriso. "Grazie!"mormorò con voce che a lui mise il brivido nelle vene."Adele!... Adele!...""Vedi?" diss'ella soltanto.Ei volse gli occhi su quella tovaglia biancacomese non l'avesse ancor vistae la guardò a lungo in tal modo che Adelepremette tacitamente la mano che teneva nella sua.Il medico s'era alzato."Il buon dottore!" disse lei.Alberto gli strinse la mano con forza."È la seconda volta che mi vede in questacamera!" gli disse con un singolare sorriso. "Si rammenta?""Molto tempo addietro però!""Símolto tempo!"E stette guardando Adeleimmobile e bianca nel suobianco letto. Di quando in quando faceva scorrere uno sguardo stralunatosulla copertaquasi cercandovi il corpo di lei che vi si smarrivae lestringeva convulsamente la manocome per accertarsi che ella fosse ancorlíe che quello non fosse un orribile sogno. Adele respirava con pena; iricami del suo corsetto sembravano alitare a guisa di farfalle. Dopo quellungo sguardoe un piú lungo silenzio: "Guardami Adele!..."diss'egli alfine. Adelevolse il capo in attitudine stanca. Ei mise sulla ventola la manotremantee la fece girare; allora la luce della candela cadde sul visodell'inferma. Ei rimase affascinato.Non piangevanon diceva una parolala guardavafiso al pari di spettroe le stringeva la mano come se un'altra mano diferro gli stringesse il cuore. Sembrava che cogli occhi cercasseavidamente qualche cosaqualche cosa che non era piúe faceva balenarela sua ragione. Ellagli lesse tutto ciò in visoe due lagrime scorsero lentamente per le sueguance. "Mitrovi tanto mutata" mormorò essa con un dolce sorriso "chequasi non mi riconosciè vero?... E non mi dici nulla!.."Egli non rispose subito. Poicon voce sorda:"Sí... Tanto mutata!... E io pure... iopure..." Tutt'aun tratto si udí squillare vicinissimo il campanello che aveva uditolungo la strada. Il dottore si alzò."Son le sonagliere dei cavalli!" siaffrettò a dire Alberto senza saper troppo il perché. Nessuno glirispose. Una vecchia domestica entrò pian pianoe posò sulla tavola duevasi di fiori. "Cosafate?" domandò Alberto. La vecchia rimase indecisanon sapendo chedire. Adele gli strinse la mano tacitamente. "Non le faranno malequei fiori in camera?" domandò egli al dottore.Questi scosse il capo tristamente; Alberto ammutolí.Lo squillare del campanelloche un momento erataciutorisuonò nell'anticamerae sembrava avvicinarsi di stanza instanzainsieme ad uno scalpiccio di passi e ad un borbottare sommesso.Alberto istintivamente avea fatto un passo indietroquasi si sentisseinseguito. Poitutt'a un trattostrappò la sua mano da quella di Adelecon un movimento istintivo indietreggiò sino in mezzo alla cameraerimase rittopallidofoscocoll'occhio fisso sull'uscioaffascinato.Entrò il preteil sagrestanodue o tre contadini.Il marchese guardava come in un sogno tutta quella gente che entrava cosíin casa suae s'accostava al letto di sua moglie. Li vedeva muoversiappunto come le immagini di un sognotacitimisteriosiborbottandoparole e facendo segni che non capiva. Adele non parlavanon lo guardavasembrava impietritacome sotto un sudario. Poscia tutta quella gente sene andòcol medesimo scalpiccio funebrecol medesimo mormorío diparole sommesselasciando un odor singolare che non aveva mai sentito.Adele rimaneva distesa sul lettocolle mani in croce sul pettogli occhirivolti adesso verso di luie gli sorrideva serenamente."Ora lasciatemi confessare con miamoglie!" disse improvvisamente Alberto alle due o tre personech'erano presenti. Rimaselunga ora nascosto tra le cortine del lettotenendo abbracciato il capodi lei. Non lo si vide muovere; non si udí un singhiozzo o una parola;nessuno seppe che cosa avesse detto quell'uomo a quella moribonda.Allorché rialzò il caponell'ombra del cortinaggioera piú pallido dileie aveva gli occhi lucenti.Il dottore gli fece un cenno. Egli lasciòdolcemente la mano di lei. Nonsi udiva altro rumore all'infuori della pioggia che batteva sui vetri. Eiandò ad appoggiarvi la fronteguardando nel buio. Dopo qualche tempo siaccostò al medicoe gli domandò sottovoce:"Ebbenedottore?"Il dottore non rispose. Allora Alberto con la voceancor piú soffocata: "Soffriràmolto?" "No.""E... sarà per stanotte?""Domani al piú tardi."Ei volse all'orologio uno sguardo incerto."Crede che dei dispiaceri... possano averlauccisa?" domandò poscia."Il suo è un male ereditariodi quelli chenon perdonano... I dispiaceri non possono che averne accelerato losviluppo..." "Anchel'assassino non fa che accelerare!..." interruppe Alberto collostesso accento calmo e profondolasciandosi cadere su di una poltrona difaccia al medico. E rimase cogli occhi fissi su di lei che teneva gliocchi chiusi e sembrava che dormisse."Lei deve aver bisogno di riposo" ripresepoco dopo il dottore dolcemente. "Approfitti di questa breve ora incui essa è calma..." "Equando non potrò vederla piú?"Il vecchio chinò il capo."Mi pare impossibile che non debba vederla piú!"mormorò poscia Alberto come fra di sé.E un istante dopo:"Che cosa diverràdottore?"Costui alzò un dito al cielo. Alberto vi rivolsegli occhi anche luiseguendo macchinalmente quel gesto. Poscia fissandosul medico uno sguardo singolare:"Lei non è materialistadottore?""Non sono uno scienziatosono un povero medicodi campagna. Ho assistito a molti momenti similied ho visto moltidolori..." "Havisto morire delle persone care?""Sí.""Dev'esser cosí!" mormorò Albertidopoalcuni istanti di meditazione.E rimase colla fronte fra le manie i gomiti suiginocchi. Ditanto in tanto l'inferma era agitata da scosse convulsivee tremavatutta; sembrava tormentata persin nel sonno da un'arcana ambascia. AlloraAlberto levava il capofissava su di lei gli occhi ardenti di febbreequando la respirazione di lei si faceva piú calmatornava a chinarli aterra. Improvvisamentefu scosso da un rantolola moribonda cominciò ad agitare il capo sulguanciale e chiamò Alberto con un suono inarticolato. Egli balzò inpiedie le prese la mano ch'era fredda come il marmo."Dottore!" esclamò con voce concitata.Il medico prese il polsoe lo lasciò ricaderesenza dir nulla. "Soffre?""Per poco..."La moribonda fissava su di lui gli occhi che siandavano appannando. Il rantolo si faceva piú soffocatoe l'ambasciapiú spasmodica. "Chelunga notte!" mormorò Alberto asciugandosi il sudore della fronte.Cominciavano ad udirsi i campanacci delle mandre cheandavano al pascolo. Alberti levò il capo come svegliandosie videconfusamente che i vetri delle finestre cominciavano ad imbiancare. Allapallida luce dell'alba il viso di Adele sembrava livido. Essa era supinaimmobilecol viso affilato e gli occhi appannati. "Adele!"mormorò Alberto chinandosi su di lei. Ella sollevò le palpebrestentatamente. "Son qui Adele!" ripeté una di quelle frasiinsensate che strappa l'angoscia. Le bianche labbra della poveretta siagitarono. "Dottoremi sente!" esclamò Alberto con un'immensa commozione nella voceinterrogando il medico con occhi ansiosi.Costui chinò i suoi e non rispose. Alberto chinòil capo Adelericominciò a tremare. Il medico prese per un braccio Alberto e vollecondurlo via Ei gli rivolse uno sguardo profondo."Non abbiate paura!" disse."Paura?" rispose il vecchio stringendosinelle spalle. Unbrivido corse per tutto il corpo della moribonda. Alberto prese quasimacchinalmente il crocifisso ch'era a capo del lettoe lo mise fra lemani agghiacciate di lei - il viso si profilòi muscoli del mento edella bocca si rilasciarono e rimase immobile.Ei la guardòsi chinò su di leisi rialzò lentolentolasciò dolcemente le mani che stringevano ancora le suee fece unpasso indietro. Ilmedico gli prese la destra. Egli lo guardò trasognato e balbettò:"Perché?... Diggià?... Per sempre?..."L Albertosi lasciò condur via dalla camera della morta. Lungo tutto il giornostette a guardar dietro i vetri il pergolato spoglio di frondiil bancorovesciatoe la finestra chiusaattraverso le cui cortine si vedevacome una voltaun barlume - funebre barlume stavolta. Alla chiesuola delcamposantolaggiú nella vallettasi udivano di tanto in tanto dei mestirintocchi - ei rizzava il capo e guardava nel vuoto.Verso sera il triste corteo si mise in marcia. Egliseguivalo a capo scopertoimpenetrabile e tetro come un fantasma. Lefiammelle dei ceri oscillavanoe le nappe della funebre coltredondolavano per la ripida discesa.Alberti ritornò solo dal cimiterotardi. Le stellescintillavano sul suo capoe la luna incominciava a sorgere dietro imonti. Ei si fermò sul ciglio della via a contemplare un lume chebrillava ancora laggiú accanto alla chiesuolanell'ombra. Guardò laluna che sorgevale stelle che scintillavano sul suo capo e s'incamminòlentamente verso la villa. Idomestici lo videro attraversare le stanze con passo fermopallido ecalmoe dirigersi verso la camera mortuaria.Quella camera era ancora nel medesimo stato. Lecandele finivano di consumarsi sgocciolandole finestre erano aperteifiori erano ancora sulla tovaglia biancail crocifisso a capo del lettole boccettine sulla piccola tavola. Il vento entrava a buffie facevasvolazzare le cortine del letto.Egli s'avanzò lentamente ed andò a toccare ad unoad uno quei fioriquella tovagliaquei mobiliad esaminare leboccettine. Poscia riempí un gran bicchiere d'acqual'accostò allelabbra avidamentema lo posò senza bere.Il letto era intattola coperta liscia e distesail guanciale non aveva una piega. Ei stette ritto dinanzi a quel lettolunga pezzaguardandolo con occhi astrattimise la mano con un gestomalfermo sulla rimboccatura della copertaesitòcolle dita increspate econtrattee ad un trattobruscamenterisolutamentetirò in giú lacopertae cadde pesantemente ai piedi del letto col capo sul cuscino.Si udí un colpo di pistola.