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Stendhal
Ricordi di egotismo
RICORDI
Lascio questo esame di coscienza al celebre pittore Abraham Constantin conpreghiera di darlo a qualche
stampatore che non sia un bigotto dieci anni dopo di me o di depositarlo inqualche bibliotecase nessuno vuole
stamparlo. B[envenut]o Cellini è stato pubblicato cinquant'anni dopo la suamorte.
H. BEYLE
CODICILLO AL TESTAMENTO OLOGRAFO
DEL SIGNOR H.-M. BEYLECONSOLE DI FRANCIA
A CIVITA-VECCHIA
Io sottoscritto H.-M. Beyle lascio il presente manoscritto che contienechiacchiere sulla mia vita privata al
signor Abraham Constantin di Ginevracelebre pittorecavaliere della Legiond'onoreecc.ecc. Prego il signor
Constantin di dare alle stampe questo manoscritto dieci anni dopo la miamorte. Lo prego di non cambiare niente; si
potranno cambiare soltanto i nomi sostituendoli con nomi immaginariperesempio si può mettere Mme Durand oppure
Mme Delpierre al posto di Mme Doligny o Mme Berthois.
Civita-Vecchia24 giugno 1832.
H. BEYLE
Mi piacerebbe che tutti i nomi venissero cambiati. Si potrebbero rimetterequelli veri se per caso queste
chiacchiere fossero ristampate cinquant'anni dopo la mia morte.
H. BEYLE
CAPITOLO I
Per impiegare il tempo libero in questa terra stranieraho voglia discrivere un breve resoconto di quanto mi è
accaduto nel mio ultimo viaggio a Parigi dal 21 giugno 1821 al [...] novembre1830. È un periodo di nove anni e mezzo.
Sono due mesida quando ho digerito la novità della mia posizioneche vadorimproverandomi di non intraprendere un
lavoro qualunque. Senza lavoro il vascello della vita umana non ha zavorra.Confesso che il coraggio di scrivere mi
mancherebbe se non pensassi che un giorno questi fogli saranno stampati e chesaranno letti da qualche persona che
amo come Mme Roland o il matematico Gros. Ma gli occhi che leggeranno questecose si aprono appena alla luce.
Calcolo che i miei lettori futuri abbiano oggi dieci o dodici anni.
Ho tratto tutto il vantaggio possibile per la mia felicità dalle situazioniin cui il destino mi ha fatto trovare in
questi nove anni passati a Parigi? Che uomo sono? Ho buon senso? Buon sensocon profondità?
Ho un ingegno notevole? Davvero non ne so nulla. Sono colpito da quel che micapita giorno per giorno e
penso raramente a questi problemi fondamentali. Perciò i miei giudizivariano come il mio umore. I miei giudizi non
sono altro che colpi d'occhio.
Vediamo se facendo l'esame di coscienza con la penna in mano arriverò aqualcosa di positivo e che resti vero
a lungo per me. Cosa penserò di ciò che adesso mi sento disposto ascrivere quando lo rileggerò nel 1835se pure vivrò
ancora? Sarà come per le mie opere stampate? Sento una tristezza profondaquando le rileggo in mancanza di altri libri.
È un mese che ci penso e provo una vera ripugnanza a scrivere soltanto perparlare di medel numero delle mie
camiciedelle disavventure del mio amor proprio. D'altra parte sono lontanodalla Franciaho letto tutti i libri divertenti
che sono arrivati in questo paese. Il mio cuore era incline a scrivere unlibro d'immaginazione su un intrigo amoroso
accaduto a Dresda nell'agosto del 1813 in una casa accanto alla mia?ma idoveri minuti della mia funzione
m'interrompono spesso. O per meglio direnon posso essere mai sicuroprendendo i miei foglidi starci un'ora senza
essere interrotto. Questa piccola contrarietà mi spegne l'immaginazione.Quando riprendo la mia finzionemi sento
disgustato da ciò che pensavo. Al che qualche savio obietterà che bisognavincere se stessi. Rispondo: è troppo tardiho
quarantanove anni. Dopo tante avventure è tempo di pensare a concludere lavita il meno peggio possibile.
La mia obiezione principale non era la vanità che c'è a scrivere lapropria vita. Un libro su un tale argomento è
come tutti gli altri; se è noiosoviene ben presto dimenticato. Temevo disciupare i momenti felici che ho vissuto
descrivendolianatomizzandoli. Ma non lo faròsalterò la felicità.
Il genio poetico è mortoma il genio del sospetto è venuto almondo. Sono profondamente convinto che il solo
antidoto che possa far dimenticare al lettore gli eterni Io chel'autore scriveràsia una perfetta sincerità.
Avrò il coraggio di raccontare le cose umilianti senza giustificarle coninfiniti preamboli? Lo spero.Nonostante le delusioni della mia ambizionenonconsidero malvagi gli uomini. Non mi sento perseguitato da
loroli guardo come macchine che in Francia sono spinte dalla vanità ealtrove da tutte le passionicompresa la vanità.
Non conosco me stesso ed è questo che talvoltaquando ci penso di nottemirattrista. Sono buonocattivo
intelligentesciocco? Ho saputo trar profitto dalle circostanze nelle qualimi hanno gettato l'onnipotenza di Napoleone
(che sempre adorai) nel 1810poi nel 1814 la nostra caduta nel fangoe ilnostro sforzo per uscirne nel 1830? Temo
proprio di no; ho agito secondo l'umorea caso. Se qualcuno m'avesse chiestoconsiglio sulla mia posizionene avrei
dato molte volte uno di gran valore: certi amicirivali spiritosimi hannofatto dei complimenti a questo proposito.
Nel 1814il conte Beugnotministro di Poliziami offrì di dirigerel'approvvigionamento di Parigi. Non lo
sollecitavoero in ottima posizione per accettare. Risposi in modo da nonincoraggiare Beugnotuno che aveva la vanità
di due francesi. Dovette rimanerne sconvolto. L'uomo che ebbe quel posto siè ritirato in capo a quattro o cinque anni
stanco di far quattrini estando a quel che si dicesenza rubare. Ildisprezzo estremo che m'ispiravano i Borboni - per
me a quel tempo erano fetida melma - mi fece lasciare Parigi qualche giornodopo aver rifiutato l'offerta lusinghiera del
conte Beugnot. Il cuore straziato dal trionfo di tutto ciò che disprezzavo eche non potevo odiare trovava ristoro in quel
po' d'amore che cominciavo a provare per la contessa Du Longche vedevotutti i giorni da Beugnot e che dieci anni
dopo doveva avere una parte importante nella mia vita. Lei allora mi notavanon tanto per la mia amabilità quanto per il
mio comportamento singolare. Mi vedeva come l'amico di una donna molto bruttae di forte personalità: la contessa
Beugnot. Mi sono sempre pentito di non averla amata. Che piacere parlare conintimità a una persona di quella levatura!
Questo preambolo è molto lungolo sento da tre pagine; ma devo cominciareda un argomento così triste e
difficile che già la pigrizia mi afferra. Ho quasi voglia di lasciare lapenna. Ma al primo momento di solitudineavrei
dei rimorsi.
Partii da Milano per Parigi il [...] giugno 1821 con 3.500 franchise non misbaglio. L'unica felicità che
intravedevo era di farmi saltare le cervella non appena il denaro fossefinito. Lasciavo dopo tre anni d'intimità una
donna che adoravoche mi amava e che non si è mai data a me. A tanti annidi distanzacerco ancora di indovinare i
motivi del suo comportamento. Aveva una pessima reputazioneeppure non avevaavuto che un amante. Ma le signore
della buona società di Milano si vendicavano della sua superiorità. Lapovera Métilde non fu mai capace di manovrare
contro quel nemiconé di disprezzarlo. Forse un giornoquando sarò moltovecchiomolto freddoavrò il coraggio di
parlare degli anni 1818181918201821.
Nel 1821 resistevo a stento alla tentazione di bruciarmi le cervella.Disegnai una pistola in margine a un brutto
dramma d'amore che stavo scribacchiando (ospite in casa Acerbi). Mi sembrache sia stata la curiosità politica a
impedirmi di farla finita. Forsesenza che me ne rendessi contofu anche lapaura di farmi male.
Infine mi congedai da Métilde.
«Quando tornerete?»mi disse.
«Maispero».
A questo punto ci fu un'ora di tergiversazioni e di parole vane. Una solaavrebbe potuto cambiare la mia vita
futura. Ma non per molto tempoahimé! Quell'anima angelicachiusa in sìbel corpoha dato addio alla vita nel 1825.
Infine partii nello stato che è facile immaginare il [...] giugno. Andavo daMilano a Comotemendo ad ogni
istanteanzi credendoloche sarei tornato indietro.
Quella città dove ero convinto di non poter rimanere senza morirenonriuscii ad abbandonarla senza sentirmi
strappare l'anima. Mi sembrava di lasciarvi la vitama che dico? Cos'era maila vita in confronto a Métilde? Esalavo
l'ultimo respiro ad ogni passo che facevo per allontanarmene:
«Non respiravo che sospirando».
SHELLEY
Ben presto fui come istupiditoconversando coi postiglioni e rispondendo conserietà alle loro riflessioni sul
prezzo del vino. Soppesavo con loro le ragioni che dovevano farlo aumentaredi un soldo. La cosa più terribile era
guardarmi dentro. Passai per AiroloBellinzonaLugano (il suono di questinomi mi fa fremere ancora adesso20
giugno 1832).
Arrivai al San Gottardoallora abominevole (esattamente come le montagne delCumberland nel nord
dell'Inghilterracon in più dei precipizi). Volli attraversare il SanGottardo a cavallocon una mezza speranza di cadere
di conciarmi a dovere e di distrarmi. Benché ex ufficiale di cavalleriaebenché abbia passato la mia vita a cadere da
cavalloho orrore delle cadute su pietre che rotolano e cedono sotto i passidel cavallo.
Il corriere che mi accompagnava mi trattenne dicendomi che poco gli importavadella mia vitama che avrei
diminuito il suo guadagno e che nessuno sarebbe più voluto andare con luiquando si fosse saputo che uno dei suoi
clienti era finito in un precipizio.
«Ma come! Non avete capito che ho la s[ifilide] e che non possocamminare?».
Arrivai con il corriere che malediceva la sua mala sorte ad Altdorf. Guardavoogni cosa con occhi
imbambolati. Sono un grande ammiratore di Guglielmo Tellanche se gliscrittori ministeriali di ogni paese sostengono
che non sia mai esistito. Mi sembra che proprio ad Altdorf una brutta statuadi Tell con un gonnellino di pietra mi
commosse appunto per la sua bruttezza.«Ecco dunquemi dicevo con una dolcemalinconia che seguiva per la prima volta a una secca disperazione
ecco che diventano le cose più belle agli occhi degli uomini grossolani!Così sei tuMétildenel salotto della signora
Traversi!».
La vista di quella statua mi raddolcì un po'. Chiesi dove fosse la cappelladi Tell.
«La vedrete domani».
L'indomani m'imbarcai con una pessima compagnia: degli ufficiali svizzeridella guardia di Luigi XVIII che
andavano a Parigi.
(E qui quattro pagine di descrizioni da Altdorf a GersauLucernaBasileaBelfortLangresParigi.
Interessandomi al moralela descrizione del fisico m'infastidisce. Da dueanni non ho scritto dodici pagine del genere.)
La Francia e soprattutto i dintorni di Parigi non mi sono mai piaciutiilche prova che sono un cattivo francese
e un uomo cattivodiceva più tardi Sophie [...] figliastra di Cuvier. Mi sistrinse il cuore andando da Basilea a Belfort e
lasciando le altese non belle montagne svizzereper la spaventosa e piattamiseria della Champagne. Come sono brutte
le donne del villaggio... in calze turchine e zoccoli. Ma in seguito midissi: «Che cortesiache affabilitàche senso di
giustizia nelle loro conversazioni paesane!».
Langres ha la stessa posizione di Volterracittà che a quel tempo adoravo.Era stata teatro di una delle mie
imprese più ardite nella guerra contro Métilde.
Pensai a Diderot (figliocome è notodi un coltellinaio di Langres)pensai a Jacques le Fatalistel'unica delle
sue opere che apprezzoma che apprezzo molto di più del Voyage d'Anacharsisdel Traité des étudese di cento altri
libercoli stimati dai pedanti.
«La disgrazia peggioreesclamaisarebbe che quegli uomini così aridigliamici in mezzo ai quali sto per
andare a vivereindovinassero la mia passionee per una donna che non hoavuto!».
Mi dissi questo nel giugno 1821e nel giugno 1832 capisco per la primavoltascrivendo queste coseche
quella pauramille volte rinnovataè stata in realtà il principio che hadiretto la mia vita per dieci anni. È per questa via
che sono riuscito ad avere dello spiritocosa sulla quale siconcentrava tutto il mio disprezzo a Milano nel 1818quando
amavo Métilde.
Entrai a Parigi che trovai più che bruttainsultante per il mio doloreconun'unica idea: non essere scoperto. In
capo a otto giorniconstatando la mancanza della politicami dissi:«Approfittare del mio dolore per u L 18».
Vissi così parecchi mesi dei quali non ho ricordi. Tempestavo di lettere gliamici di Milano per averne
indirettamente una mezza parola su Métilde. Loro che disapprovavano la miastupiditànon me ne parlavano mai.
A Parigi presi alloggio in rue de Richelieu n. 47all'hôtel di Bruxellestenuto da un certo Petitex cameriere di
uno dei signori de Damas. La cortesiala graziail tatto di questo Petitla sua assoluta mancanza di sentimentiil suo
orrore per ogni moto profondo dell'animail suo vivo ricordo di certesoddisfazioni della sua vanità di trent'anni prima
la sua impeccabile onestà in materia di denarone facevano ai miei occhi ilmodello perfetto del francese dei tempi
andati. Gli affidai ben presto i 3000 franchi che mi restavano. Mi volle darea tutti costi una ricevuta che smarrii subito
il che lo contrariò molto quandoqualche mese o qualche settimana doporipresi il mio denaro per andare in Inghilterra
dove mi spinse il disgusto mortale che provavo a Parigi.
Ho pochi ricordi di quel tempo appassionatosentivo scivolarmi addosso lecose senza avvertirle o
disprezzandole se le intravedevo. Il mio pensiero era in piazza Belgioioso aMilano. Mi raccoglierò per cercare di
ricordarmi le case che frequentavo.
CAPITOLO II
Ecco il ritratto di un uomo di valore con il quale ho passato tutte le miemattinate per otto anni. Fra noi c'era
stimama non amicizia.
Avevo scelto l'hôtel di Bruxelles perché vi alloggiava il piemontese piùaridopiù duropiù somigliante alla
Rancune (del Roman comique) che abbia mai incontrato. Il barone diLussinge mi è stato compagno di vita dal 1821 al
1831. Nato verso il 1785nel 1821 aveva trentasei anni. Cominciò adallontanarsi da me e a farmi discorsi scortesi
soltanto quando mi feci la reputazione di un uomo di spiritodopo latremenda sciagura del 15 settembre 1826.
Il barone di Lussingepiccolotozzotarchiatoe che non ci vedeva a trepassi di distanzaera sempre mal
messo per avarizia e impiegava le nostre passeggiate a far bilanci di spesepersonali per uno scapolo che vive solo a
Parigi. Era però un uomo di una sagacia eccezionale. Nelle mie romanzesche efervide illusionivalutavo trentamentre
non valevano che quindiciil geniola bontàla gloria e la felicità diun tale che passava; lui non li valutava che sei o
sette.
È stata questa la base delle nostre conversazioni per otto anni. Cicercavamo da un capo all'altro di Parigi.
Lussingeche a quel tempo era sui trentasei o trentasette anniaveva ilcuore e la testa di un uomo di
cinquantacinque. Si commuoveva profondamente solo per i suoi fatti personali;allora dava di mattocome quando
decise di sposarsi. A parte questol'emozione era il bersaglio costantedella sua ironia. Non aveva che un culto: la stima
per i suoi nobili natali. E apparteneva in verità a una famiglia del Bugeyche nel cinquecento vi occupava un rangoelevato. Aveva seguito a Torino i duchidi Savoiadivenuti re di Sardegna. Ed è in quella città che Lussinge erastato
educatonella stessa accademia di Alfieri; là aveva imparato quellaprofonda cattiveria piemontese che non ha pari al
mondoe che tuttavia è solo diffidenza verso la sorte e verso gli uomini.Ne ritrovo non pochi tratti a Romama qui in
più ci sono delle passioni. E in un teatro più vastouna minoremeschinità borghese. Non per questo ho amato di meno
Lussinge finché non è diventato riccopoi avaropauroso e infinesgradevole nel parlare e quasi villano nel gennaio
1830.
Aveva una madre avarama soprattutto folle e che era capace di regalaretutto ai preti. Pensò di prender
moglie. La madre si sarebbe impegnata con degli atti che le avrebberoimpedito di lasciare le sue sostanze al confessore.
Ci divertimmo molto ai suoi intrighi e alle manovre mentre andava a caccia diuna moglie. Lussinge fu sul punto di
chiedere la mano di una graziosa ragazza che gli avrebbe dato la felicità eavrebbe reso eterna la nostra amicizia: la
figlia del generale Gilly (che in seguito divenne Mme Doinsposandomi pareun avvocato). Ma il generale era stato
condannato a morte dopo il 1815e ciò avrebbe fatto infuriare la nobilebaronessa madre. Per puro caso non sposò una
gran civettache poi divenne Mme Varambon. Alla fine prese in moglie un'ocaperfettaalta e abbastanza bella se
avesse avuto un po' di sale in zucca. Questa sciocca andava a confessarsi nelsalotto di M. de Quélenarcivescovo di
Parigi. Avevo casualmente qualche informazione sugli amori del dettoMonsignoreche forse allora aveva una storia
con Mme de Podenasdama d'onore della duchessa di Berry e non so bene seprima o dopoamante del fin troppo
famoso duca di Ragusa. Un giornocon un po'd'indiscrezione da parte mia - edècredouno dei miei tanti difetti -
punzecchiavo Mme Lussinge a proposito dell'arcivescovo. Eravamo dallacontessa d'Avelles.
«Cuginafate tacere il signor Beyle»esclamò furibonda.
Da quel momento mi è stata nemicaanche se ogni tanto la sua stranacivetteria faceva capolino. Ma eccomi
imbarcato in un episodio assai lungo. Continuo perché ho visto Lussinge duevolte al giorno per otto annie più in là
dovrò tornare su questa alta e florida baronessadi quasi un metro eottanta.
Tra la dote della moglieil suo stipendio di capo ufficio al ministero diPolizia e le donazioni della madre
Lussinge metteva insieme 22 o 23000 franchi di rendita verso il 1828. Daallora in poi fu dominato da un unico
sentimento: la paura di perdere. Disprezzando i Borboninon quanto me che houna virtus politicama disprezzandoli
perché inettiarrivò a non poter reprimere violenti eccessi di malumore alracconto della loro incapacità. Vi scopriva
d'improvviso un pericolo per le sue proprietà. Ogni giorno ce n'era unanuovacome si può vedere dai giornali dal 1826
al 1830. La seraLussinge andava a teatro e mai in società; si vergognavadel suo impiego. Ogni mattina ci trovavamo
al caffè. Gli raccontavo quel che avevo saputo il giorno prima. Di solitoscherzavamo sulla diversità delle nostre
opinioni politiche. Se non vado erratoil 3 gennaio 1830 egli mi smentì sunon so quale episodio antiborbonico che
avevo saputo a casa di Cuviera quel tempo consigliere di Stato e moltolegato al ministero. Questa inezia fu seguita da
un lunghissimo silenzio. Attraversammo il Louvre senza parlare. Allora io nonavevo che lo stretto necessario; lui
come sappiamo22000 franchi. Da un anno mi pareva che cercasse di assumereun tono di superiorità nei miei
confronti. Nelle nostre discussioni politiche mi diceva:
«Voivoi non possedete nulla».
Alla fine mi risolsi al sacrificio molto penoso di cambiare caffè senzadirglielo. Erano nove anni che andavo
tutti i giorni alle dieci e mezzo al café de Rouentenuto da un certo Piqueun bravo borghesee dalla sua signoraa quel
tempo molto graziosa e dalla quale mi pare che uno dei nostri comuni amiciMaisonnetteottenesse degli appuntamenti
a 500 franchi l'uno. Mi ritirai al Lemblinil famoso caffè dei liberalianch'esso al Palais-Royal. Vedevo Lussinge
soltanto ogni quindici giorni. Dopoabbiamo spesso desiderato di riannodareun'intimità che era divenuta un bisogno
per entrambima non ce n'è stata la forza. Molte voltein seguito. Lamusica o la pitturadi cui si intendevaerano per
noi terreni neutri. Ma tutta l'inurbanità dei suoi modi si ripresentava conasprezza appena cominciavamo a parlare di
politica e lo riprendeva la paura per i suoi 22000 franchi. Non c'era versodi continuare. Il suo buon senso m'impediva di
perdermi nelle mie illusioni poetiche. La mia allegriaperché divenniallegro o meglio acquistai l'arte di sembrar talelo
distraeva dal suo cattivo umore e dalla terribile paura di perdere.
Quando ho riavuto un modesto impiego nel 1830credo che abbia trovato il miostipendio troppo alto. A conti
fattidal 1821 al 1828ho visto Lussinge due volte al giorno ea partel'amore e i progetti letterari di cui non capiva
nienteabbiamo chiacchierato a lungo su ciascuna delle mie azionialleTuileries e sul quai del Louvre che portava al
suo ufficio. Stavamo insieme dalle 11 a mezzogiorno e mezzo e molto spessoriusciva a distrarmi completamente dalle
mie pene che ignorava.
Finalmente questo lungo episodio è terminato. Ma si trattava del primopersonaggio di queste memoriedi
colui al quale più tardi inoculai in modo così ameno il mio frenetico amoreper Mme Azurdi cui è da due anni l'amante
fedele. E quel che è più comico è che è riuscito a far diventare fedeleanche lei. È una delle francesi meno pupattole che
abbia incontrato.
Ma non anticipiamo. La cosa più difficile in questa grave storia èrispettare l'ordine cronologico.
Siamo dunque al mese d'agosto 1821con me che alloggio con Lussingeall'hôtel di Bruxellesche lo seguo
alle cinque alla tavola eccellente e ben servita dal più compito deiFrancesiM. Petite da sua mogliecameriera di gran
classema sempre imbronciata. Qui Lussinge checome capisco bene nel 1832ha sempre avuto paura di presentarmi ai
suoi amicinon poté fare a meno di farmi conoscere:
1° Un bravo e amabile giovanottobello e senza cervelloBarotbanchiere aCharleville e occupato a quel
tempo a guadagnarsi un patrimonio di 80000 franchi di rendita.2° Unufficiale a mezza pagadecorato a Waterloo e che era del tutto privo d'ingegnoe ancor più se è possibile
d'immaginazione. Uno scioccoma di modi impeccabili e che aveva avutotalmente tante donne che era diventato
sincero sul loro conto. La conversazione di M. Poitevinlo spettacolo delsuo buon senso assolutamente immune da
ogni eccesso dovuto all'immaginazionele sue idee sulle donnei suoiconsigli sull'abbigliamentomi sono stati molto
utili. Credo che quel povero Poitevin avesse 1200 franchi di rendita e unposto di 1500 franchi. Con questoera uno dei
giovanotti meglio vestiti di Parigi. Anche se è vero che non usciva maisenza una preparazione di due ore e qualche
volta di due ore e mezzo. Aveva avuto un'avventura di due mesi con lamarchesa di Rosineverso la quale più in là ho
contratto tanti obblighi e che dieci volte mi sono ripromesso di possedere.Non ci ho mai provato e ho avuto torto. Lei
mi perdonava la mia bruttezza e avrei davvero avuto il dovere di essere ilsuo amante. Vedrò di saldare questo debito al
mio primo viaggio a Parigi. Sarà forse più sensibile alle mie attenzioniora che la giovinezza ci ha abbandonati
entrambi. Ma forse m'illudo. Da dieci anni si comporta in modo saggiomasecondo me perché se lo impone.
Insommaabbandonato da Mme Dar.sulla quale ho contato tantodevo la piùviva riconoscenza alla
marchesa.
È solo riflettendo per essere in grado di scrivere queste cose che si fachiaro ai miei occhi quanto accadeva nel
mio cuore nel 1821. Ho sempre vissuto e vivo ancora giorno per giorno e senzapensare minimamente a ciò che farò
domani. Per me il progredire del tempo è segnato soltanto dalle domenichedurante le quali solitamente mi annoio e
prendo tutto male. Non sono mai riuscito a capire perché. Nel 1821aParigile domeniche erano per me davvero
orribili. Perduto sotto i grandi ippocastani delle Tuileriescosì maestosiin quel periodo dell'annopensavo a Métilde
che era solita trascorrere queste giornate a casa dell'opulenta signoraTraversi. Quell'amica funesta che mi odiavaera
gelosa della cugina e che l'aveva persuasadirettamente e attraverso i suoiamiciche si sarebbe disonorata se mi avesse
preso come amante.
Immerso in una cupa fantasticheria per tutto il tempo in cui non stavo con imiei tre amiciLussingeBarot e
Poitevinaccettavo la loro compagnia soltanto per distrarmi. Il piacere diessere distratto per un istante dal mio dolore o
la ripugnanza a esserne distrattodettavano ogni mia azione. Quando uno diquei signori sospettava che fossi triste
parlavo molto e mi capitava di dire le più grandi sciocchezzedi quellecose che in Francia non si devono dire mai
perché pungono la vanità dell'interlocutore. M. de Poitevin mi facevapagare cento volte quelle parole.
Ho sempre parlato troppo e senza curarmi di alcuna prudenza. Allora parlavosoltanto al fine di alleviare per un
istante un dolore acutissimopensando soprattutto ad evitare di essererimproverato per aver lasciato un affetto a Milano
e di essere triste per questoil che avrebbe attirato sulla mia presuntaamante dei lazzi che non avrei potuto sopportare.
Dovevo quindi parer davvero matto a quelle tre persone sprovviste d'ogniimmaginazione. Qualche anno dopo ho
saputo che mi consideravano solo estremamente affettato. Mentre scrivo questecose mi rendo conto che se il casoo un
po' di prudenzami avessero fatto cercare la compagnia delle donnenonostante la mia etàla mia bruttezzaecc.vi
avrei trovato qualche successo e forse qualche consolazione. Ho avutoun'amante solo per caso nel 1824tre anni dopo.
E fu allora che il ricordo di Métilde cessò di essere straziante. Divenneper me come un tenero fantasmaprofondamente
triste e che al suo apparire mi disponeva in sommo grado alle idee tenerebuonegiusteindulgenti.
Fu per me una fatica ingratanel 1821ritornare per la prima volta nellecase dove ero stato accolto con grande
cortesia quando ero alla corte di Napoleone. Prendevo temporimandavocontinuamente. Alla finepoiché avevo pur
dovuto stringere la mano agli amici che incontravo per stradasi seppe dellamia presenza a Parigi. E si deplorò la mia
negligenza.
Il conte d'Argoutmio compagno quando eravamo uditori al Consiglio di Statomolto coraggiosolavoratore
infaticabilema del tutto sprovvisto d'ingegnoera pari di Francia nel1821. Mi diede un biglietto per la Camera dei Pari
dove si istruiva il processo contro un folto gruppo di sciocchi imprudenti eprivi di logica. Mi pare che quella faccenda
fosse chiamata la cospirazione del 19 o 29 agosto. Fu proprio per caso che laloro testa non cadde. Vidi là per la prima
volta Odilon Barrotun ometto dalla barba blu. Era l'avvocato di uno di queipoveri imbecilli che s'impicciano di
cospirazioni non avendo che i due terzi o i tre quarti del coraggio che civuole per questa attività strampalata. La logica
di Barrot mi colpì. Di solito stavo dietro la poltrona del cancelliereDambray. Ebbi l'impressione che dirigesse tutti quei
dibattimenti con sufficiente onestà per essere un aristocratico.
Aveva lo stesso stile e le stesse maniere di Petitil padrone dell'hôtel diBruxellesex cameriere in casa Damas.
Ma con questa differenzache Dambray aveva maniere meno nobili. L'indomanifeci l'elogio della sua onestà dalla
contessa di Doligny. C'era l'amante di Dambrayun donnone di trentasei annifreschissima. Aveva la naturalezza e le
forme di Mlle de Contat nei suoi ultimi anni. (Fu un'attrice inimitabile; senon mi sbagliol'avevo seguita molto nel
1803).
Ho fatto male a non legarmi a quest'amante di Dambray. La mia follia lesarebbe apparsa un gran segno di
distinzione. Mi credeva l'amante o uno degli amanti di Mme Doligny. In leiavrei trovato il rimedio ai miei malima ero
cieco.
Un giornouscendo dalla Camera dei Pariincontrai mio cugino il baroneMartial Daru. Teneva molto al suo
titolo; era l'uomo migliore del mondoil mio benefattoreil maestro che miaveva insegnatoa Milano nel 1800 e a
Brunswick nel 1807quel poco che so nell'arte di comportarsi con le donne.Nella sua vita ne ha avute ventiduee delle
più bellesempre quanto c'era di meglio nel posto in cui si trovava. Io hobruciato i ritratticapellilettereecc.
«Come! Siete a Parigi. E da quando?».
«Da tre giorni».«Venite domanimio fratello sarà molto contento divedervi...».
Quale fu la mia risposta a un'accoglienza così amabile e così amichevole?Sono andato a trovare quegli ottimi
parenti soltanto sei o otto anni dopo. E la vergogna di non essermi fattovivo con i miei benefattori mi ha poi impedito
di andarvi più di una decina di volte prima della loro morte prematura.Verso il 1829 morì il simpatico Martial Daru
che era diventato grasso e scialbo per l'abuso di bevande afrodisiache aproposito delle quali gli avevo fatto due o tre
scenate. Qualche mese più tardirimasi di sasso nel mio caffé de Rouenche allora si trovava all'angolo di rue du
Rempartleggendo sul giornale l'annuncio della morte del conte Daru. Saltaisu un calesse con le lacrime agli occhi e
corsi al n. 81 della rue de Grenelle. Trovai un domestico che piangevaepiansi a calde lacrime. Mi sentivo un ingrato.
Spinsi al colmo la mia ingratitudine partendose ricordo benela serastessa per l'Italia. Anticipai la mia partenza; sarei
morto di dolore entrando a casa sua. Anche in questo c'era un po' dellafollia che mi rendeva così barocco nel 1821.
Doligny figlio difendeva anche lui uno di quei poveri imbecilli che avevanovoluto cospirare. Mi vide dal posto
che occupava come avvocatoe non ci fu modo di esimermi dall'andare atrovare sua madre. Aveva un carattere forte
era una vera donna. Non so perché non approfittai della sua squisitaaccoglienza per raccontarle le mie pene e chiederle
consiglio. Anche in quell'occasione sfiorai la felicitàperché la ragioneudita dalla bocca di una donna avrebbe avuto su
di me un potere ben diverso da quello che esercitavo su me stesso. Cenavospesso da Mme Doligny. Alla seconda o alla
terza cena mi invitò a colazione con l'amante di Dambray che era alloracancelliere. Ebbi successo e feci la sciocchezza
di non tuffarmi in mezzo a quella gente amica. Amante felice o respintoviavrei trovato un po' di quell'oblio che
cercavo dappertutto eper esempioin lunghe passeggiate solitarie aMontmartre e al Bois de Boulogne. Mi ci sono
sentito così infelice che da allora ho preso in orrore quei luoghi ameni. Maa quel tempo ero cieco. Solo nel 1824
quando il destino mi diede un'amantetrovai rimedio al mio dolore.
Quel che sto scrivendo mi sembra molto noiosose continua cosìquesto nonsarà un libroma un esame di
coscienza. Non ho quasi nessun ricordo preciso di quei tempi di tempesta e dipassione.
A vedere ogni giorno i miei cospiratori alla Camera dei pariun pensiero micolpiva profondamente: u[ccidere]
qualcuno a cui non si è mai parlato non è che un duello normale. Come mainessuno di quegli sciocchi ha avuto l'idea
d'imitare L[ouve]l?
Ho ricordi così vaghi di quel tempo che in verità non so se ho incontratonel 1821 o nel 1814 l'amante di
Dambray da Mme Doligny.
Nel 1821 mi pare di non aver visto Doligny che nel suo castello di Corbeileinoltre mi decisi ad andarci solo
dopo due o tre inviti.
CAPITOLO III
L'amore mi diede nel 1821 una virtù molto comica: la castità.
Nonostante i miei sforzinell'agosto del 1821LussingeBarot e Poitevins'accorsero della mia malinconia e
organizzarono un incontro delizioso con delle prostitute. Barotcome hocapito in seguitoè uno dei migliori talenti di
Parigi per questo genere di piacere piuttosto difficile. Per lui una donnanon è donna che una sola volta: la prima.
Spende trentamila dei suoi ottantamila franchie di questi trentamila almenoventimila in prostitute.
Barot dunque combinò una serata con Mme Petitsua antica amanteallaqualemi pareaveva prestato del
denaro per metter su una casa d'appuntamenti (to raise a brothel) inrue du Cadranall'angolo di rue Montmartreal
quarto piano.
Ci doveva venire Alexandrineche sei mesi dopo sarebbe stata mantenuta dagliinglesi più ricchi e che allora
era un'esordiente da soli due mesi. Verso le otto di sera trovammo un salottomolto grazioso sebbene al quarto piano
champagne ghiacciatopunch caldo... Finalmente arrivò Alexandrine con unacameriera incaricata di sorvegliarla.
Incaricata da chi? L'ho dimenticato. Ma quella donna doveva essere moltoimportante perché sul conto della serata vidi
che aveva preso venti franchi. Alexandrine apparve e superò ogniaspettativa. Era una ragazza slanciatatra i diciassette
e i diciotto annigià formatacon degli occhi neri che ho ritrovato inseguito nel ritratto della duchessa d'Urbino di
Tiziano alla galleria di Firenze. Salvo il colore dei capelliè il suoritratto che Tiziano ha dipinto. Era dolceper niente
timidapiuttosto allegracontegnosa. Gli occhi dei miei compagni diventanocome smarriti a quella vista. Lussinge le
offre un bicchiere di champagne che lei rifiuta e sparisce con lei. Mme Petitci presenta altre due ragazze niente male.
Le diciamo che lei è più carina. Aveva un piedino graziosissimo. Poitevinse la porta di là. Dopo un tempo
spaventosamente lungoLussinge ritorna pallidissimo.
«A voi Belle. Onore al nuovo arrivato!»esclamano.
Trovo Alexandrine su un lettoun po' stancaquasi nello stessoabbigliamento ed esattamente nella posa della
duchessa d'Urbino di Tiziano.
«Per dieci minuti parliamo soltanto. Sono un po' stancachiacchieriamo. Trapoco ritroverò il fuoco della
giovinezza».
Era adorabile; forse non ho mai visto niente di tanto grazioso. Nessuneccesso di dissolutezzase non negli
occhi che poco a poco si riempirono nuovamente di follia ese si vuoledipassione.Feci cilecca in pienofiasco completo. Cercai di risarcirlalei si prestò. Non sapendo bene che farevolevo
ricominciare con quel gioco di manima lei rifiutò. Pareva sbalorditaledissi qualche parola gentile data la mia
situazione e uscii.
Appena Barrot prese il mio posto sentimmo degli scoppi di risa che ciarrivarono attraverso tre stanze. D'un
tratto Mme Petit congedò le altre ragazze e Barot ci portò Alexandrine
dans le simple appareil
D'une beauté qu'on vient d'arracher au sommeil.
«La mia ammirazione per Belle»disse ridendo come un matto«finirà colfarmelo imitare. Vengo a
rinforzarmi con lo champagne».
Risero per una ventina di minuti; Poitevin si rotolava sul tappeto. Lostupore esagerato di Alexandrine era
impagabile. Era la prima volta che qualcuno faceva cilecca con lei.
Quei signori volevano convincermi che morivo di vergogna e che quello era ilmomento più infelice della mia
vita. Ero sbalordito e niente di più. Non so perché il pensiero di Métildesi era impadronito di me entrando in quella
camera di cui Alexandrine era un così bell'ornamento.
Insomma per dieci anni non sono andato a donne nemmeno tre volte. E la primavolta dopo la bella
Alexandrine fu nell'ottobre o nel novembre del 1826per disperazione.
Ho incontrato una decina di volte Alexandrine nella splendida carrozza cheebbe un mese dopoe ne ho avuto
sempre uno sguardo. Dopo cinque o sei anni si è involgarita come tutte lesue colleghe.
Da quel momento passai per babilano agli occhi di quei tre che per caso eranoi miei compagni di vita. Questa
bella fama si diffuse in società ebene o maleè durata finché Mme Azurnon ha dato conto dei miei fatti e gesta. Quella
serata rinsaldò molto la mia amicizia con Barot a cui voglio ancora bene eche me ne vuole. È forse il solo francese nel
cui castello andrei a passare con piacere quindici giorni. È il cuore piùsinceroil carattere più schiettol'uomo meno
spiritoso e meno colto che io conosca. Ma non ha pari nelle sue duespecialità: quella di far denaro senza giocare in
Borsae quella di attaccar bottone con una donna a passeggio o a teatro.Specialmente nella seconda.
Ma è una necessità vera e propria. Ogni donna che gli ha usato dellecortesie diventa per lui come un uomo.
Una sera Métilde mi parlava della sua amicala signora Bignami. Miraccontò una storia d'amore molto nota
poi aggiunse:
«Pensate che destino: ogni sera il suo amanteuscendo da casa suaandavada una di quelle».
Ma quando fui partito da Milanocapii che quella storiella morale non avevaniente a che vedere con la signora
Bignami. Era un avvertimento a mio uso e consumo.
Infatti ogni sera dopo aver accompagnato Métilde dalla cuginala signoraTraversialla quale goffamente
avevo rifiutato di farmi presentarefinivo la serata dall'affascinante edivina contessa Cassera. E per un'altra
sciocchezzamolto simile a quella che ho commesso con Alexandrineuna voltaho rifiutato di diventare l'amante di
questa donnala più adorabile forse che abbia conosciuto. E tutto ciò permeritareagli occhi di Dioche Métilde mi
amasse. Ho rifiutatonello stesso spirito e per lo stesso motivola celebreViganòche un giornomentre tutta la sua
corte scendeva le scalee c'era tra i cortigiani quell'uomo di spirito delconte di Sauraulasciò passare tutti per dirmi:
«Belledicono che siete innamorato di me».
«Si sbagliano»risposi con un gran sangue freddosenza nemmeno baciarlela mano.
Questo atto indegno mi è valso l'odio implacabile di quella donna che eratutta cervello. Non mi salutava più
quando ci incontravamo faccia a faccia in una di quelle strette vie diMilano.
Ecco tre grandi sciocchezze. Non mi perdonerò mai la contessa Cassera (oggiè la donna più saggia e più
rispettata del suo paese).
CAPITOLO IV
Ecco un altro ambientein contrasto con quello del capitolo precedente. Nel1817 il conte di Tracyl'uomo che
ho più ammirato per i suoi scrittiil solo che abbia provocato in me unavera rivoluzionevenne a trovarmi all'hôtel
d'Italiein place Favart. Mai provata una sorpresa più grande. Adoravo dadodici anni l'Idéologie di quest'uomo che un
giorno sarà celebre. Gli avevo fatto recapitare un esemplare dell'Histoirede la peinture en Italie.
Passò un'ora con me. L'ammiravo tanto che probabilmente feci fiasco pereccesso d'amore. Non mi sono mai
preoccupato di meno di mostrarmi spiritoso o piacevole. Mi accostavo a quellavasta intelligenza e la contemplavo
stupefatto; le chiedevo dei lumi. D'altro cantoa quel tempo non ero capacedi avere dello spirito. La capacità
d'improvvisare controllo e tranquillità non m'è venuta che nel 1827.
Destutt de Tracypari di Franciamembro dell'Accademiaera un vecchiettoben fatto e dal portamento
elegante e singolare. Con la scusa che non ci vedeporta abitualmente unavisiera verde. L'avevo visto quando era stato
ricevuto all'Accademia da Ségurche gli disse una serie di sciocchezze innome del dispotismo imperiale. Se non mi
sbaglioera il 1811. Anche se ero molto legato alla corterimasiprofondamente disgustato. «Stiamo cadendo nella
barbarie militare» mi dicevo «per diventare tanti generali Grosse». Questogeneraleche incontravo dalla contessa Daruera uno degli sciabolatori piùstupidi della guardia imperiale. Ed è ancora dire troppo. Aveva l'accentoprovenzale ed era
smanioso soprattutto di sciabolare i francesi nemici dell'uomo che gli davada mangiare. Quel tipo è diventato la mia
bestia neraal punto che la sera della battaglia della Moscovavedendo apochi passi da me i resti di due o tre generali
della Guardiami venne da dire: «Degli insolenti di meno!»frase che perpoco non mi rovinò e che era del resto
disumana.
M. de Tracy non ha mai permesso che gli facessero un ritratto. Secondo mesomiglia al papa CorsiniClemente
[...]come lo si può vedere a Santa Maria Maggiore nella bella cappella disinistraentrando.
I suoi modi sono impeccabili quando non è in preda a un abominevole umornero. Solo nel 1822 ho capito il
suo carattere. È un vecchio don Giovanni (vedi l'opera di MozartMolièreecc.). Si adombra di tutto. Per esempionel
suo salottoLa Fayette appariva più grand'uomo di lui (anche nel 1821).Inoltrei francesi non hanno mai apprezzato
l'Idéologie e la Logique. M. de Tracy è stato chiamatoall'Accademia da quei piccoli retori azzimati soltanto come
autore di una buona grammatica e per di più debitamente ingiuriato daquell'insignificante Ségurpadre di un figlio
ancora più insignificantequel tale Philippe che ha descritto le nostresventure in Russia per avere una decorazione da
Luigi XVIII. Quest'infame Philippe de Ségur mi servirà da modello per ilcarattere che più mi ripugna a Parigi: il
ministeriale fedele all'onore in tutto meno che nelle decisioni piùimportanti di una vita. Ultimamente questo Philippe ha
sostenuto nei confronti del ministro Casimir Perier (vedi i Débatsmaggio 1832) la stessa parte che gli aveva valso il
favore di quel Napoleone che egli abbandonò così vigliaccamentee inseguito il favore di Luigi XVIII che si trovava
bene fra gente tanto vile. Capiva perfettamente la loro bassezza e la evocavacon parole argute al momento in cui
facevano qualcosa di nobile. Forse l'amico di Favras che aspettò la notiziadella sua impiccagione per dire: Fate portare
in tavolaera conscio di avere una tale natura. Era senz'altro un uomocapace di confessarsi infame e di ridere della sua
infamia.
So bene che il termine infame è inadattoma la bassezza alla Philippe deSégur è stata la mia bestia nera. Stimo
e preferisco cento volte di più un semplice galeottoun semplice assassinoche ha avuto un momento di debolezza e che
d'altronde era un morto di fame. Nel 1828 o 26 il buon Philippe era occupatoa mettere incinta una vedova milionaria
che aveva sedotto e che è stata costretta a sposarlo (Mme Greffulhevedovadi un pari di Francia). Ho mangiato qualche
volta col generale Philippe de Ségur alla tavola di serviziodell'imperatore. Allora Philippe parlava soltanto delle sue
tredici feriteperché quell'animale ha del coraggio.
Sarebbe un eroe in Russiain quei paesi semicivili. In Francia cominciano acapire la sua bassezza. Le signore
Garnett (rue Duphotn12) volevano portarmi dal fratello che era loro vicinoal n14mi sembra. Ma ho sempre rifiutato
a causa dello storico della campagna di Russia.
Il conte di Ségurgran maestro di cerimonie a Saint-Cloud nel 1811quandoc'ero iomoriva dal dispiacere di
non essere duca. Per lui era peggio di una disgraziaera una sconvenienza.Tutte le sue idee erano nanema ne aveva
molte e su tutto. Vedeva grossolanità dappertutto e in tuttima con qualegrazia non esprimeva il suo sentire!
In quel pover'uomo mi piaceva l'amore appassionato che la moglie aveva perlui. Del resto quando gli parlavo
mi sembrava di avere a che fare con un Lillipuziano. Incontravo M. de Ségurgran maestro di cerimonie dal 1810 al
1814dai ministri di Napoleone. Non l'ho più visto dopo la caduta di quelgrandedel quale egli fu una delle debolezze
e una delle disgrazie.
Persino i Dangeau della corte dell'Imperatore (e ce n'erano moltiperesempioil mio amico barone Martial
Daru) persino quella gente non poteva fare a meno di ridere del cerimonialeinventato dal conte di Ségur per il
matrimonio di Napoleone con Maria Luisa d'Austriae soprattutto per il loroprimo incontro. Per quanto infatuato della
sua nuova uniforme regaleNapoleone non poté trattenersi e ne rise conDuroc che me l'ha raccontato. Credo che niente
di quel labirinto di piccolezze sia stato eseguito. Se avessi qui le miecarte di Parigi allegherei quel programma a queste
frivolezze sulla mia vita. È magnifico a scorrerlosembra una presa ingiro.
Sospiro nel 1832 dicendomi: «Ecco fino a che punto la meschina vanitàparigina aveva fatto scendere un
italiano: Napoleone!».
Ma dov'ero rimasto? Dio miocome è scritto male tutto questo!
Il conte di Ségur era sublime soprattutto al Consiglio di Stato. Era unConsiglio rispettabile. Nel 1810 non era
un'accozzaglia di tangheridi Cousindi Jacqueminotdi... e di altriancora più oscuri (1832). Eccetto i pezzi grossi
suoi nemici accanitiNapoleone aveva radunato nel suo Consiglio i cinquantafrancesi meno idioti. C'erano delle
sezioni. Qualche volta la sezione della guerra (dove facevo il mio tirociniosotto l'ammirevole Gouvion-Saint-Cyr)
aveva a che fare con la sezione degli Interni che ogni tanto Ségurpresiedeva. Non so perchéforse durante l'assenza o la
malattia dell'energico Regnault (de Saint-Jean-d'Angély).
Nelle questioni più difficiliper esempio l'arruolamento delle guardied'onore in Piemontedi cui fui tra i
relatori minoril'eleganteil perfetto Ségurnon trovando una sola ideaspostava in avanti la sua poltrona. Ma lo faceva
con un gesto d'incredibile comicitàafferrandola tra le cosce divaricate.
Dopo aver riso della sua incapacitàmi dicevo: «Ma non sono forse io cheho torto? Quello è il celebre
ambasciatore presso la Grande Caterinacolui che rubò la pennaall'ambasciatore d'Inghilterra. È lo storico di
Guglielmo II o III che sia (non ricordo più qualel'amante di quellaLichtenau per cui si batteva Benjamin Constant)».
In gioventù ero portato a rispettare troppo. Quando la miaimmaginazione s'impossessava di un dato
personaggiorimanevo inebetito di fronte a lui: adoravo i suoi difetti.
Ma un Ségur che guidava Napoleone eraa quel che pareeccessivamenteridicolo per la mia gullibility.D'altra parte dal conte di Ségurgranmaestro di cerimonie (e in ciò ben diverso da Philippe)potevamo
aspettarci i comportamenti più delicati e chein materia di donnearrivavano fino all'eroismo. Trovava anche parole
delicate e piene di graziama bisognava che non fossero al di sopra dellastatura lillipuziana delle sue idee.
Ho fatto malissimo a non coltivare quest'amabile vecchio dal 1821 al 1830.Credo che sia morto
contemporaneamente alla sua rispettabile consorte. Ma ero pazzoil mioorrore per ciò che è vile era diventato passione.
Invece di divertirmicome faccio adesso di quel che accade alla corte di.... Nel 1817al mio ritorno dall'Inghilterrail
conte di Ségur mi aveva fatto avere i suoi complimenti a proposito di RomeNaples et Florencedi cui gli avevo fatto
recapitare una copia.
In fondo al cuoresotto il profilo moraleho sempre disprezzato Parigi. Peresservi gradito si doveva essere
come M. de Séguril gran maestro.
Sotto l'aspetto fisico Parigi non mi è mai piaciuta. Anche verso il 1803mifaceva orrore perché non aveva
montagne intorno. Le montagne del mio paese (il Delfinato)testimoni deimoti appassionati del mio cuore durante i
primi sedici anni della mia vitami hanno lasciato un bias (un'inclinazioneparola inglese) da cui non ho potuto mai
liberarmi.
Ho cominciato ad apprezzare Parigi solo il 28 luglio 1830. Ancora il giornodelle ordinanze alle 11 di serain
casa del conte Réalmi prendevo gioco del coraggio dei parigini e dellaresistenza che ci si aspettava da loro. Credo che
quell'uomo così allegro e la sua eroica figliala baronessa Lacuéenon mel'abbiano ancora perdonato.
Oggi io apprezzo Parigi. Ammetto che quanto a coraggio deve essere messa alprimo postocome per la cucina
e come per lo spirito. Ma non per questo mi seduce. Mi pare che ci siasempre un po' di commedia nella sua virtù. I
giovani nati a Parigi da padri provinciali e di maschia energiaquella cheha permesso loro di far fortunami sembrano
fiacchiattenti soltanto all'apparenza esterna dei loro vestitial buongusto del loro cappello grigioalla piega della
cravattacome FéburierViollet-le-Ducecc. Non so concepire un uomo senzaun po' di maschia energiadi costanza e
di profondità nelle ideeecc. Tutte cose rare a Parigi quanto il tonogrossolano o semplicemente duro.
Ma devo finire qui questo capitolo. Per cercare di non mentire e di nonnascondere i miei difettimi sono
imposto di scrivere questi ricordi a venti pagine per voltacome unalettera. Dopo la mia morte si stamperà dal
manoscritto originale. Forse in questo modo arriverò alla veracitàma bisognerà anche che supplichi il lettore (che forse
è nato stamattina nella casa qui accanto) di perdonarmi certe terribilidigressioni.
CAPITOLO V
Mi accorgo nel 1832 (in generale la mia filosofia è del giorno in cuiscrivoe ne ero ben lontano nel 1821)mi
accorgo dunque che sono stato un mezzo termine tra la grossonalitàenergica del generale Grosse o del conte Regnault
de Saint-Angély e le grazie un po' lillipuzianeun po' meschine del signorconte di Ségur o del signor Petitpadrone
dell'hôtel di Bruxellesecc.
Solo per la bassezza sono stato diverso dai due estremi nei quali miriconosco. Per mancanza di abilità
mancanza di destrezzacome mi diceva a proposito dei miei libri edell'InstitutM.D. dei «Débats» (M. Delécluze)ho
perduto cinque o sei occasioni di afferrare la più grande fortuna politicafinanziaria o letteraria. Senza volerlotutte
queste cose sono venute a bussare alla mia porta l'una dopo l'altra. Unafantasticheriatenera nel 1821e più tardi
filosofica e malinconica (similea parte ogni vanitàa quella di Jacquesin As you like it) è diventata per me un piacere
così grande chequando un amico mi ferma per stradadarei un paolo perchénon mi rivolgesse la parola. La sola vista
di qualcuno che conosco mi infastidisce. Quando vedo una persona da lontano eso di doverla salutarecomincio a
esserne contrariato a cinquanta passi di distanza. Invece adoro incontrareamici la sera in societàil sabato da Cuvierla
domenica dal signor de Tracyil martedì da Mme Ancelotil mercoledì dalbarone Gérardecc.
Un uomo con un minimo di tatto si accorge che m'infastidisce parlandomi perstrada. «Ecco uno che è poco
sensibile ai miei meriti»suggerisce la vanità di quest'uomo ed ha torto.
Donde la mia felicità a passeggiare a testa alta in una città straniera:LancasterTorre del Grecoecc.dove
sono arrivato da un'ora e dove sono sicuro di non essere conosciuto danessuno. Da qualche anno questa felicità
comincia a mancarmi. Se non fosse per il mal di mare viaggerei volentieri inAmerica. Lo credereste? Porterei con
piacere una maschera; sarei felice di cambiar nome. Le Mille e una notte cheadoro occupano più di un quarto della mia
testa. Penso spesso all'anello di Angelica. Il mio sommo piacere sarebbe ditrasformarmi in un lungo tedesco biondo e
camminare così per Parigi.
Scorrendo questi foglivedo che ero arrivato a M. de Tracy. Questo vecchiosignore così ben fattosempre
vestito di nerocon la sua immensa visiera verde e che davanti al suo caminosi poggiava ora su un piede ora sull'altro
aveva un modo di parlare che era agli antipodi di ciò che scriveva. La suaconversazione era un seguito di osservazioni
sottilieleganti. Aveva orrore di una parola energica come fosse unabestemmiaeppure scrive come un sindaco di
campagna. La semplicità energica che mi pare io avessi a quel tempo nondoveva piacergli molto. Portavo degli enormi
favoriti neri dei quali Mme Doligny mi fece vergognare solo un anno dopo.Quella testa da macellaio italiano non
doveva piacere molto all'ex colonnello del regno di Luigi XVI.M. de Tracyfiglio di una vedovaè nato verso il 1765con trentamila franchi di rendita.Il suo palazzo era in
rue de Tracy vicino a rue Saint-Martin. Fece il commerciante senzaaccorgersene come tanta gente ricca del 1780.
Costruì la sua strada e vi perdette due o trecentomila franchi e così via.Tanto che sono convinto che oggi quest'uomo
(così amabile verso il 1790quando era l'amante di Mme Praslin)questoprofondo ragionatore abbia ridotto i suoi
trecentomila franchi di rendita a trentamila al massimo.
Sua madredonna di raro buon sensoera ben introdotta a corte. Perciò aventidue anni il figlio diventò
colonnello e colonnello di un reggimento dove trovò tra i capitani un Tracysuo cuginoapparentemente nobile quanto
lui e al quale non venne mai in mente di scandalizzarsi nel vedere unbambolotto di ventidue anni che comandava il
reggimento in cui egli serviva.
Quel bambolotto checome mi diceva più tardi Mme de Tracy era capaced'impulsi ammirevoliaveva in fondo
del buon senso. Questa madredonna raraavendo saputo che a Strasburgoc'era un filosofo (e notate bene cheintorno
al 1780non si trattava di uno come VoltaireDiderotRaynal)avendosaputostavo dicendoche a Strasburgo c'era un
filosofo che analizzava i pensieri dell'uomoimmagini o segni di tutto ciòche ha vistodi tutto ciò che ha sentitocapì
che suo figlio avrebbe avuto una bella testa se avesse imparato la scienza dismuovere queste immagini.
E pensate che testa poteva avere nel 1785 un gran bel ragazzomolto nobilemolto introdotto a cortecon
trecentomila franchi di rendita.
La marchesa de Tracy piazzò il figlio in artiglieriacosì fu mandato aStrasburgo per due anni di seguito. Se
mai ci capiterò chiederò chi fosse quel filosofo tedesco molto famosointorno al 1780.
Se non errodue anni dopo M. de Tracy era a Rethel col suo reggimento didragoni mi parecosa da verificare
nell'Almanach royal di quegli anni.
I limoni
M. de Tracy non mi ha mai parlato di questi limoni. Ho saputo questa storiada un altro misantropoun ex
monaco di nome Jacquemontuomo di gran valore. Ma M. de Tracy mi haraccontato molti aneddoti sulla prima armata
della Francia riformata. La Fayette era il comandante in capo.
Il suo tenente colonnello voleva portar via il reggimento e farlo emigrare...
Congedo e duello
Alto e in cima a quel gran corpo una faccia imperturbabilefreddainsignificante come un vecchio quadro di
famigliauna testa ricoperta da una parrucca di capelli cortimal fatta.Quell'uomo vestito di un qualunque abito grigio
fatto male e che entrava zoppicando leggermente e appoggiandosi su un bastonenel salotto di Mme de Tracy che lo
chiamava: Mio caro signore con voce incantevolequello era ilgenerale La Fayette nel 1821e tale ce l'ha mostrato il
guascone Scheffer nel suo ritratto molto somigliante.
Il caro signore di Mme de Tracye detto in quel tonocredo cheaddolorasse M. de Tracy. Non è che La
Fayette se la facesse con sua moglieo che alla sua età avesse di similipreoccupazioni. Ma l'ammirazione sincera e mai
simulata o esagerata della signora faceva troppo evidentemente di La Fayetteil personaggio più importante del salotto.
Per quanto nel 1821 fossi un novizio (avevo sempre vissuto nelle illusionidell'entusiasmo e delle passioni) lo
capivo da solo.
Sentii anchesenza che nessuno me lo facesse notareche M. de la Fayetteera molto semplicemente un eroe di
Plutarco. Viveva alla giornatasenza grandi sforzi mentaliprendendo alvolocome Epaminondala grande azione che
gli si presentava davanti. E nell'attesanonostante la sua età (era natonel 1757 come il suo compagno nel gioco della
pallacorda Carlo X) la sua unica occupazione era di acchiappare da dietro lagonna di qualche bella ragazza (vulgo:
toccarle il culo). Di frequente e senza troppi riguardi.
Aspettando le grandi azioni che non si presentano tutti i giorni el'occasione di tastare le ragazzecosa che può
succedere solo a mezzanotte e mezzo quando esconoLa Fayette illustravasenza troppa eleganza i luoghi comuni della
guardia nazionale:
«È buono quel governo e soltanto quello che garantisce al cittadino lasicurezza sulla strada maestra
l'uguaglianza davanti al giudice e un giudice abbastanza illuminatounamoneta di giusto valorestrade passabiliuna
giusta protezione all'estero».
Messa cosìla cosa non è tanto complicata.
Dobbiamo ammettere che c'è una bella differenza fra un uomo simile e Séguril gran maestro. La Francia e
soprattutto Parigi saranno esecrate dai posteri per non aver riconosciuto lagrandezza di quell'uomo.
Quanto a meabituato a Napoleone e a Lord Byrone aggiungerò a LordBroughama Montia Canovaa
Rossiniho subito riconosciuto la grandezza di La Fayette e non ho maicambiato idea. L'ho visto nelle giornate di
Luglio con la camicia bucata; accoglieva tutti gli intrigantigli sciocchitutti i retori da quattro soldi. Io non ho goduto
gli stessi favori. Ha chiesto la mia pelle (per favorire un rozzo segretarioLevasseur). Ma non per questo mi sono offeso
o l'ho venerato di menocome non mi passa per la mente di bestemmiare controil sole quando si copre di una nuvola.
Alla tenera età di settantacinque anniLa Fayette ha il mio stesso difetto.Si infiamma per una giovane
portoghese di diciotto anni che viene nel salotto di M. de Tracy come amicadelle sue nipotile signorine Georges La
Fayettede Lasteyriede Maubourg; immagina che questa portogheseoqualsiasi altra donna della stessa giovane etàloabbia notatonon pensa che aleie quel che è più comicoè che spesso ha ragione di immaginarselo. Lasua gloria in
tutta l'Europal'eleganza fondamentale dei suoi discorsi malgradol'apparente semplicitài suoi occhi che si animano
non appena sono a mezzo metro da un bel senotutto contribuisce a farglitrascorrere allegramente i suoi ultimi anni
con grande scandalo delle signore trentacinquenni (come la marchesa deMarmier[Choiseul]Mme de Perey e altre) che
frequentano quel salotto. Per tutta questa gente non si può essere amabilise non con le frasette argute di Ségur o le
riflessioni scintillanti di Benjamin Constant.
La Fayette è molto cortese e persino affettuoso con tuttima cortesecome un re. Lo dissi un giorno a Mme de
Tracy la quale ne fu irritata quanto può irritarsi la grazia fatta donnamacapì forse da quel giorno che la semplicità
energica dei miei discorsi non era l'ottusità di un Dunoyerper esempio.Costui era un bravo liberaleoggi prefetto di
Moulinsil meglio intenzionatoil più eroico forse e il più ottuso degliscrittori liberali. E non è dir pococredete a me
che sono del loro partito. L'ammirazione credulona di Dunoyerredattore del«Censeur»e quella di due o tre della
stessa rismacircondava continuamente la poltrona del generale il qualeappena potevali piantava in assocon loro
grande scandaloper andare ad ammirare da vicinoe gli occhi gli siinfiammavanole belle spalle di qualche giovane
signora che era arrivata.
Quei poveri virtuosi (tutti venduti dopo come dei [...] al ministroPerier1832) assumevano un'aria buffa nel
vedersi abbandonati. Io li prendevo in giro e la mia nuova amica se nescandalizzava. Ma era ovvio che avesse un
debole per me. «C'è in lui una scintilla»disse un giorno a unasignora che sembrava fatta apposta per ammirare le
frasette lillipuziane alla Ségure che si lamentava con lei dellasemplicità severa e franca con la quale le dicevo che tutti
quegli ultraliberali erano certamente rispettabili per la loro alta virtùma che per il resto erano incapaci di capire che
due più due fa quattro. La pesantezzala lentezzala virtù che si allarmaper la minima verità detta agli Americanidi un
Dunoyerdi un...di un... superano davvero ogni immaginazione. Sono come lamancanza d'idee di un Ludovic Vitet o
di un Mortimer-Ternauxquella nuova generazione che verso il 1828 venne arinnovare il salotto Tracy. In mezzo a
tutto ciòLa Fayette era ed è tuttora un capo politico. Deve averpreso quest'abitudine nel 1789. L'essenziale è di non
scontentare nessuno e di ricordarsi tutti i nomied in questo lui èammirevole. Gli interessi attivi e pressanti di un capo
politico allontanano La Fayette da ogni idea letterariadi cui loritengo del resto incapace. Deve essere questo il
meccanismo che non gli fa avvertire tutta la pesantezzatutta la noia degliscritti di Dunoyer e compagni.
Ho dimenticato di descrivervi il salotto. Sir Walter Scott e i suoi imitatoriavrebbero saggiamente cominciato di
lìma io ho orrore della descrizione materiale. La noia di doverla farem'impedisce di scrivere romanzi.
La porta d'ingresso introduce in una sala di forma allungata in fondo allaquale c'è una grande porta a due
battenti sempre aperta. Poi un salotto quadrato abbastanza ampio con un bellampadario e sopra il caminetto un piccolo
orologio a pendolo orrendo. Entrando a destra c'è un bel divano azzurro sulquale siedono quindici ragazze dai dodici ai
diciotto anni e i loro corteggiatori: Charles de Rémusatspiritoso e ancordi più affettato - una copia del celebre attore
Fleury; François de Corcelle con la sua franchezza e rudezza repubblicane.Probabilmente si è venduto nel 1831; nel
1820 già pubblicava un opuscolo cui toccò la disgrazia di essere lodatodall'avvocato Dupin (autentico furfante e
conosciuto da me come tale dal 1827). Nel 1821 Rémusat e Corcelle eranomolto stimati e più tardi hanno sposato due
nipoti di La Fayette. Accanto a loro si mostrava un gelido guasconeilpittore Scheffer. Secondo meil bugiardo più
sfrontato e la faccia più ignobile che conosco. Dopo m'hanno detto che avevafatto la corte alla divina...la maggiore
delle nipoti di La Fayetteche ha sposato il primogenito di Augustin Perieril più importante e il più impalato dei miei
compatrioti. Mi sembra che Mlle Virginie fosse la favorita di Mme de Tracy.
Accanto all'elegante Rémusat si vedevano due facce da gesuiti dallo sguardofalso e obliquo. Quei due erano
fratelli e avevano il privilegio di parlare per delle ore al conte di Tracy.Nel 1821 li adorai con tutto l'ardore della mia
età (per la sua credulità il mio cuore aveva solo ventun'anni). Ma appenacapii che gente fosseroil mio entusiasmo per
M. de Tracy si raffreddò non poco.
Il maggiore dei due ha pubblicato una storia sentimentalistica dellaconquista dell'Inghilterra a opera di
Guglielmo. È Thierry dell'Académie des Inscriptions. Ha avuto il merito direstituire l'ortografia autentica ai Clodovei
ai Chilpericiai Teodorici e ad altri fantasmi degli albori della nostrastoria. Ha pubblicato un volume meno
sentimentale sull'organizzazione dei comuni in Francia nel Duecento. Un viziodi collegio lo ha fatto diventare cieco.
Suo fratellopiù gesuita di lui (di cuore e di comportamento) benchéliberale come l'altrofu nominato prefetto di
Vesoul nel 1830e probabilmente si è venduto per le sue prebendecome ilsuo protettore Guizot.
In perfetto contrasto con i due fratelli gesuiticon il pesante Dunoyerconl'azzimato Rémusatc'era il giovane
Victor Jacquemont che ha poi viaggiato in India. Allora era magrissimoaltocirca sei piedi. A quel tempo era
completamente privo di logica e perciò misantropo. Con la pretesa di averemolto ingegnoJacquemont non voleva
darsi la pena di ragionare. Questo autentico francese consideravaletteralmente come un'insolenza l'invito a usare il
cervello. Il viaggio era davvero per lui la sola porta che la vanitàlasciasse aperta alla verità. Del restoforse mi sbaglio.
Victor mi sembra un uomo notevolecome un intenditore (perdonatemil'esempio) vede un bel cavallo in un puledro di
quattro mesi che ha le zampe ancora impacciate. Diventò mio amico estamattina (1832) ho ricevuto una sua lettera dal
Kashmir in India.
Il suo cuore non aveva che un difetto: un'invidia bassa e subalterna perNapoleone. Una simile invidia era
d'altro canto l'unica passione che io abbia mai visto nel conte de Tracy. Conun piacere indicibile il vecchio filosofo e il
grande Victor raccontavano l'aneddoto della caccia al coniglio offerta daTalleyrand a Napoleoneallora primo console
da sei settimane e che aveva già atteggiamenti alla Luigi XVI.I coniglid'allevamento e i maiali al Bois de Boulogne.
Victor aveva il torto di amare molto Mme Lavenellemoglie di una spia che haquarantamila franchi di rendita
e che aveva il compito di riferire alle Tuileries le azioni e le intenzionidel generale La Fayette. Il buffo è che il
generaleBenjamin Constant e Bignon confidavano a questo Lavenelle tutte leloro idee liberali. Come è facile
immaginarequesta spiaterrorista nel '93non parlava che di marciare sulcastello per massacrare tutti i Borboni. Sua
moglie era tanto libertinatanto attratta dal fisico degli uominiche finìcol rendermi disgustosi i discorsi liberi in
francese. Adoro questo genere di conversazione in italiano. Invecefin daquando ero un giovanissimo sottotenente del
6 dragonimi ha fatto orrore in bocca a Mme Henrietla moglie del capitano.Questa Mme Lavenelle è secca come una
cartapecoradel tutto priva di spiritoe soprattutto senza passione.Si commuove soltanto per le belle cosce di una
compagnia di granatieri che sfilano nel giardino delle Tuileries in brache dilana bianca.
Non era così un'altra dello stesso genereMme Baraguey d'Hilliers checonobbi poco dopo da Mme Beugnot. E
non erano così a Milano la signora Ruga e la signora Aresi. Insomma hoorrore delle parole libertine in francese; quel
mescolare lo spirito all'emozione mi esasperacome mi offende l'orecchio uncoltello che taglia il sughero.
La descrizione morale di questo salotto è forse un po' lunga ma non restanoche due o tre tipi.
L'incantevole Louise Letortfiglia del generale dei dragoni della guardiache avevo conosciuto bene a Vienna
nel 1809. Louise che dopo è diventata così bella e che finora ha conservatoun carattere così poco affettato e così nobile
è nata la vigilia o l'indomani della battaglia di Waterloo. Sua madrel'affascinante Sarah Newtonsposò Victor de
Tracyil figlio del pari di Francia e a quel tempo maggiore di fanteria.
Lo chiamavamo sbarra di ferro. È la definizione del suo carattere.Coraggiosopiù volte ferito in Spagna sotto
Napoleoneha la disgrazia di vedere il male in ogni cosa.
Sono otto giorni (giugno 1832) che il re Luigi Filippo ha sciolto ilreggimento d'artiglieria della guardia
nazionaledi cui Victor de Tracy era colonnello. Da deputatoparla spesso eha il difetto di essere troppo garbato alla
tribuna. Si direbbe che non osi parlare schietto. Come suo padreè statogeloso di Napoleone in modo meschino.
Adesso che l'eroe è morto e sepoltosta più tranquillo. Ma l'eroe eraancora vivo quando entravo per la prima volta nel
salotto di rue d'Anjou. Li ho visti gioire per la sua morte. Quegli sguardivolevano dire: L'avevamo pur detto che un
borghese diventato re non poteva fare una bella fine.
Sono stato dieci anni in quel salottoaccolto con gentilezzastimatomaogni giorno meno legatotranne che ai
miei amici. È uno dei difetti del mio carattere. Perciò non faccio colpaagli uomini della mia carriera poco brillante. E
questo nonostante quello che il generale Duroc ebbe a dirmi due o tre voltedel mio talento in campo militare. Sono
soddisfatto d'una posizione inferiore. Molto soddisfatto soprattutto quandomi trovocome oggia duecento leghe dal
mio capo.
Spero dunque chese la noia non impedirà che questo libro sia lettonon visi trovi alcun rancore contro gli
uomini. Il loro favore si ottiene solo usando un certo amo. Quando voglioservirmene riesco a pescare la stima di una o
due personema ben presto mi si stanca la mano. E tuttavìa nel 1814quandoNapoleone mi mandò nella 7 divisionela
contessa Daru che era moglie di un ministro mi disse:
«Senza questa maledetta invasione stavate per diventare prefetto di unagrande città».
Mi sembrò di capire che si trattava di Toulouse.
Dimenticavo uno strano tipo di donna. Ho trascurato di piacerle ed èdiventata mia nemica. Mme de
Montcertinalta e ben fattatimidissimapigramolto abitudinariaavevadue amanti: uno per la città e uno per la
campagnatutti e due sgraziati. Quell'arrangiamento è durato non so quantianni. Credo che il pittore Scheffer fosse
l'amante di campagna; l'amante di città era l'allora colonnellooggigenerale Carbonelguardia del corpo di La Fayette.
Un giorno le otto o dieci nipoti di Mme de Moncertin le chiesero cos'eral'amore. Lei rispose:
«È una cosa brutta e sporca della quale accusano qualche volta le cameriereese sono riconosciute colpevoli
le mandano via».
Avrei dovuto essere galante con la Montcertin. Non avrei corso alcunpericolonon avrei ottenuto niente
perché lei si contentava dei suoi due uomini e aveva una paura dannata dirimanere incinta. Ma la consideravo una cosa
e non una persona. Si vendicò ripetendomi tre o quattro volte alla settimanache ero uno leggeroun pazzo. Preparava il
tè ed è vero chespessoin tutta la serata non le parlavo se non nelmomento in cui mi offriva il tè.
Ero scoraggiato dalla quantità di persone alle quali bisognava domandarecome stavanoentrando in quel
salotto.
Oltre alle quindici o venti nipoti di La Fayette e le loro amichequasitutte bionde dal colorito smagliante e dal
volto banale (vero è che io arrivavo dall'Italia) e che erano schierate suldivano azzurrobisognava salutare:
La contessa de Tracy63 anni;
Il conte de Tracy60 anni;
il generale La Fayette;
suo figlio Georges-Washington La Fayette (vero cittadino degli Stati Unitid'Americadel tutto immune da
ogni pregiudizio nobiliare).
La mia amica Mme de Tracy aveva un figlio:
Victor de Tracynato verso il 1785
sua moglie Mme Sarah de Tracygiovane e brillanteun modello di delicatabellezza ingleseun po' troppo
magrae due figliele mogli di Georges de La Fayette e diLaubespin.Bisognava salutare anche il lungo M. de Laubespinautoreincollaborazione con un monaco che lui sfamava
del Mémorial. Era sempre presente e diceva otto o dieci parole persera.
Ho scambiato per molto tempo la moglie di Georges de La Fayette con una suorache Mme de Tracy s'era
presa in casa per carità. Con quell'aspettoha delle idee rigide e ostinateda giansenista. E aveva almeno quattro o
cinque figlie. Mme de Maubourgfiglia di La Fayettene aveva cinque o sei.Mi ci sono voluti dieci anni per distinguere
l'una dall'altra tutte queste bionde che dicevano cose del tutto per benema per quanto mi riguarda da dormirci in piedi
abituato com'ero agli occhi loquaci e al carattere deciso delle bellemilanesie prima ancora all'adorabile semplicità
delle buone tedesche. (Sono stato intendente a SaganSlesiae a Brunswick).
M. de Tracy era stato amico intimo del celebre Cabanisil padre delmaterialismoautore del Rapport du
physique et du moral che era stato la mia bibbia a sedici anni. MmeCabanis e sua figliache era alta uno e novanta e ciò
nonostante molto gradevolefacevano delle apparizioni in questo salotto. M.de Tracy mi portò da loroin rue des
Vieilles-Tuileriesa casa del diavolo; ne fui cacciato dal caldo eccessivo.A quel tempo avevo tutta la delicatezza di
nervi italiana. Una stanza chiusa con dentro dieci persone sedutebastava per darmi un malessere spaventoso e a farmi
quasi svenire. Pensate a una stanza ben chiusa con un fuoco d'inferno.
Non ho insistito a sufficienza sulla mia debolezza fisica; il fuoco micacciò da casa Cabanis. M. de Tracy non
me l'ha mai perdonato. Avrei potuto dire una parola alla contessa sua mogliema a quel tempo ero goffo senza motivoe
lo sono un poco anche adesso.
Nonostante il suo metro e novantaMlle Cabanis cercava marito. Sposò unfigurino con parrucca ben curata
un presunto scultoretal Dupatyautore del Luigi XIII della Place Royaleacavallo su una specie di mulo. Questo mulo
era un cavallo arabo che vedevo spesso da Dupaty. Il povero cavallo sicongelava in un angolo dello studio. Dupaty mi
faceva grandi accoglienze perché scrivevo di cose italiane ed ero autore diuna storia della pittura. Sarebbe stato difficile
essere più per bene e più sprovvisti di calored'imprevistodislancioecc. di quel brav'uomo. L'ultimo dei mestieri per
quei parigini così curaticosì lindi e così per beneè lascultura.
Dupatytanto a modoera inoltre molto coraggioso; avrebbe dovuto restarmilitare.
Da Mme Cabanis conobbi un onest'uomoma molto borghese e d'idee moltoristretteestremamente meticoloso
in tutta la sua piccola politica domestica. L'unico scopo di M. Thurotprofessore di grecoera di diventare membro
dell'Académie des Inscriptions. Per una spaventosa contraddizionequest'uomoche non si soffiava il naso senza
pensare a lusingare qualche vanitoso che potesse influire a mille leghe didistanza sulla sua nomina all'Académieera
ultra-liberale. All'inizio questo ci avvicinòma ben presto sua moglieuna borghese alla quale non rivolgevo la parola
se non quando vi ero costrettomi trovò imprudente.
Un giorno Tracy e Thurot mi interrogarono sulle mie opinioni politiche; me lialienai entrambi con la mia
risposta:
«Appena fossi al potereristamperei la lista degli emigrati che hannodichiarato che Napoleoneradiandoliha
usurpato un potere che non aveva. Tre quarti di loro sono morti; io mandereiin esilio gli altri nei dipartimenti dei
Pirenei e nei due o tre lì vicino. Farei circondare questi quattro o cinquedipartimenti da due o tre piccoli eserciti che
per un effetto moralevi bivaccherebbero almeno per sei mesi l'anno. Ogniemigrato che si allontanasse sarebbe
inesorabilmente fucilato.
I beni restituiti da Napoleone sarebbero venduti a lotti non superiori a dueiugeri. Gli emigrati godrebbero di
pensioni di milleduemilatremila franchi l'anno. Potrebbero scegliere divivere all'estero. Ma se girassero il mondo per
ordire intrighinessun perdono».
Le facce di Thurot e di Tracy s'imbronciavano mentre spiegavo il mio piano.Sembravo atroce a quelle
animelle infiacchite dalla cortesia parigina. Era presente una giovane donnache ammirò le mie ideee soprattutto
l'eccesso d'imprudenza a cui mi lasciavo andare. Vedeva in me l'Huron (romanzodi Voltaire).
L'estrema benevolenza di questa donna mi ha consolato di tanti insuccessi.Non sono mai stato davvero il suo
amante. Era straordinariamente civetta e occupata ad agghindarsi. Stavasempre a parlare di begli uomini ed era molto
legata a quanto v'era di più brillante nei palchi dell'Opera Buffa.
Cerco di fare in modo che non sia riconoscibile. Se avessi avuto l'accortezzadi farle capire che l'amavone
sarebbe stata felice. Ma non l'amavo abbastanza da dimenticare che non sonobello. Lei l'aveva dimenticato. Una delle
volte che partivo da Parigimi disse in mezzo al suo salotto: «Ho da dirviuna parola»e in un corridoio che portava a
un'anticamera dove per fortuna non c'era nessunomi baciò sulla bocca.Ricambiai con ardorema il giorno dopo ero
partito e tutto finì lì.
Prima di arrivare a quel puntoci eravamo parlati per molti annicome dicono nella Champagne. A mia
richiestami riferiva fedelmente tutto il male che si diceva di me.
Aveva un tono seducentenon aveva l'aria né di approvare né didisapprovare. Avere un tal Ministro di Polizia
è quanto trovo di più piacevole negli amori pariginialtrimenti cosìfreddi.
Non si ha idea delle cose atroci che si vengono a sapere. Un giorno leidisse:
«Quella spia del signor...ha detto a casa Tracy: "Ah! Ecco Beyle conun vestito nuovo; si vede che la signora
Pasta ha avuto una buona entrata"».
Questa idiozia piacque: M. de Tracy non mi perdonava la mia pubblica (quantoinnocente) relazione con quella
celebre artista.
Il bello è che Célineche mi riportava la maldicenza dello spioneeraforse lei stessa gelosa della mia assiduità
dalla signora Pasta.A qualunque ora finissero le mie serate altroveandavodalla Pasta (al n° 63 di rue Richelieuhôtel des Lillois
di fronte alla Biblioteca). Abitavo al n. 47a un centinaio di passi di là.Seccato dalla collera del portiere che era molto
contrariato di dovermi spesso aprire alle tre di nottefinii per prenderealloggio nello stesso hôtel di Mme Pasta.
Quindici giorni dopo mi trovai in ribasso del 70 per cento nel salotto di Mmede Tracy. Feci male a non chiedere
consiglio alla mia amica. A quel tempo la mia condotta non era che unsusseguirsi di capricci. Se fossi stato marchese o
colonnello con quarantamila franchi di renditaavrei finito col rovinarmi.
Amavo appassionatamente non la musicama unicamente la musica di Cimarosa edi Mozart. Il salotto della
Pasta era il ritrovo di tutti i milanesi che venivano a Parigi. Da loroqualche voltaper casosentivo pronunciare il nome
di Métilde.
Métilde a Milano seppe che passavo la mia vita presso un'attrice. Forsequesto la guarì definitivamente.
Non ero in grado di capirlo. Per un'estate intera ho giocato a faraone dallaPasta fino al mattinoin silenzio
estasiato dal sentir parlare milanesee respirando con tutti i sensi ilpensiero di Métilde. Salivo nella mia bella camera al
terzo piano e correggevocon le lacrime agli occhile bozze di De l'Amour.È un libro scritto a matita a Milano nei miei
intervalli di lucidità. Mi faceva male lavorarci a Parigi; non ho mai volutoritoccarlo.
Dicono i letterati: «Nei paesi stranieri si possono avere pensieriingegnosima solo in Francia si sa fare un
libro». Sìse l'unico scopo del libro è di far comprendere un'idea;nose si spera allo stesso tempo di far sentiredi dare
qualche sfumatura di emozione.
La regola francese vale soltanto per un libro di storia quale per esempio l'Histoirede la Régence di Lemontey
di cui ammiravo stamattina lo stile davvero accademico. La prefazione diLemontey (un avaro che ho conosciuto bene
dal conte Beugnot) può essere considerata un modello di un siffatto stileaccademico.
Piacerei sicuramente agli sciocchise mi prendessi la pena di aggiustare intal senso qualche pagina di questa
chiacchierata. Ma forse scrivendo queste cose come una letteraa trentapagine per voltaa mia insaputaraggiungo la
somiglianza.
Oraprima di tuttovoglio essere vero. Che miracolo in questo secolo dicommediain una società in cui i tre
quarti degli attori sono dei ciarlatani sfrontati come Magendie o il conteRegnault de Saint-Jean d'Angélyo il barone
Gérard!
Una delle caratteristiche del secolo della rivoluzione (1789-1832) è che nonsi ottiene un gran successo senza
una certa dose d'impudicizia e anche di ciarlataneria vera e propria. Solo LaFayette è al di sopra della ciarlataneria che
non va confusa con l'amabile compiacenzaarma necessaria di un capodi partito.
Avevo conosciuto da Mme Cabanis un uomo che non è certo un ciarlatanoFauriel (ex amante di Mme
Condorcet). Con Mérimée e con meè il solo esempio che io conosca dinon-ciarlataneria tra la gente che scrive.
Perciò Fauriel non ha alcuna notorietà. Un giorno il libraio Bossange mioffrì cinquanta esemplari di una delle
sue opere se avessi fatto non solo una bella recensionema se fossi riuscitoa piazzarla su un certo giornale dove a quel
tempo ero ben accetto (per quindici giorni). Ne fui scandalizzato e decisi difare l'articolo in cambio di una sola copia.
Ma rapidamente per il disgusto di corteggiare degli sporchi cialtroni smisidi vedere quei giornalisti e mi rimprovero
ancora di non aver fatto l'articolo.
Ma questo avveniva nel 1826 o '27. Torniamo al 1821. Faurieltrattato condisprezzo da Mme Condorcet al
momento della sua morte (fu una donna sensibile solo al piacere fisico)frequentava assiduamente una piccola strega
mezza gobbaMlle Clarke.
Questa inglese aveva un certo ingegnonon lo si può negarema aridodurocontortocome le corna di un
camoscio. Faurielche allora aveva per me molta stimami condusse da MlleClarke. Ci ritrovai il mio amico Augustin
Thierryautore della storia della conquista di Guglielmoche là faceva ilbello e il cattivo tempo. Fui colpito dal viso
stupendo di Mme Belloc (la moglie del pittore) che somigliava in modosbalorditivo a Lord Byron che allora amavo
molto. Un uomo fineche mi prendeva per un Machiavelli perché tornavodall'Italiami disse:
«Non vedete che con Mme Belloc è tempo perduto? Fa all'amore con MlleMontgolfier» (un orrendo
mostricciatolo con begli occhi).
Rimasi a bocca apertae per il mio machiavellismoe per il mio presuntoamore per Mme Belloce ancor di
più per gli amori di costei. Forse c'era qualcosa di vero.
In capo a un anno o dueMlle Clarke mi trascinò in una disputa di lanacaprinatanto che smisi di vederla.
Fauriele questo mi dispiacesi schierò dalla sua parte.
Fauriel e Victor Jacquemont si pongono a un livello immensamente più alto ditutte le persone che ho
conosciuto in quei primi mesi del mio ritorno a Parigi. La contessa de Tracyera almeno alla stessa altezza. In realtà
stupivo o scandalizzavo tutti i miei conoscenti. Ero un mostro o un dio.Ancora oggi tutta la compagnia di Mlle Clarke
mi crede fermamente un mostro.
E soprattutto un mostro d'immoralità. Il lettore sa bene come stanno lecose: ero andato a donne una sola volta
e forse ricorderete i miei successi con quella ragazza di celestialebellezzaAlexandrine.
Ecco la mia vita a quell'epoca.
Mi alzavo alle dieci e mi trovavo alle dieci e mezzo al café de Roueninsieme al barone di Lussinge e a mio
cugino Colomb (uomo integrogiustoragionevolemio amico dall'infanzia).Il guaio era che queste due persone non
capivano proprio niente della teoria del cuore umano e della sua descrizionemediante la letteratura e la musica. Per me
la conversazione di gran lunga più interessante è il ragionare all'infinitosu questa materiatraendo le conseguenze da
ogni aneddoto nuovo e ben provato. Più tardi mi sono reso conto chenemmeno Mériméeche pure stimo tantoha gustoper questo genere diconversazione. Vi eccelle invece il mio amico d'infanzial'ottimo Crozet(ingegnere capo del
dipartimento dell'Isère). Ma sua moglie me l'ha portato via da molti anniper gelosia della nostra amicizia. Peccato! Che
essere superiore sarebbe stato Crozet se avesse abitato a Parigi! Ilmatrimonio e soprattutto la provincia invecchiano un
uomo in maniera sorprendente: lo spirito impigrisce e il moto del cervello aforza di essere infrequentediventa faticoso
e presto impossibile.
Dopo aver assaporato un ottimo caffè e due briochesaccompagnavo Lussingeal suo ufficio. Passavamo per le
Tuileries e il lungosennafermandoci da ogni venditore di stampe. Il momentopiù atroce della giornata cominciava
quando lasciavo Lussinge. Per il gran caldo di quell'anno andavo a cercare unpo' d'ombra e di frescura sotto i grandi
ippocastani delle Tuileries. «Dato che non posso dimenticarlanon fareimeglio a uccidermi?» mi dicevo. Tutto mi era
di peso. Nel 1821 avevo ancora qualche residuo di quella passione per lapittura italiana che mi aveva spinto a scriverci
sopra nel 1816 e nel 18[17]. Andavo al museo con un biglietto procurato daLussinge. La vista di quei capolavori mi
ricordava ancora più intensamente Brera e Métilde. Quando trovavo in unlibro il nome francese corrispondente
cambiavo colore.
Ho pochi ricordi di quei giorni che si rassomigliavano tutti. Tutto ciò chepiace a Parigi mi faceva orrore. Ero
liberalema trovavo i liberali vergognosamente sciocchi. Insommahoconservato un ricordo triste e doloroso di quanto
vedevo in quel tempo.
Incontravo continuamente il grosso Luigi XVIII con i suoi occhi bovinitrascinato lentamente da sei grossi
cavallie mi faceva particolarmente orrore.
Comprai qualche dramma di Shakespearein edizione inglese a trenta soldil'uno; li leggevo alle Tuileries e
spesso chiudevo il libro per pensare a Métilde. La mia camera solitaria mispaventava.
Finalmente arrivavano le cinque; mi precipitavo nella sala da pranzodell'hôtel de Bruxelles. Ritrovavo
Lussingecupostancoannoiato; il valoroso Barot; l'elegante Poitevinecinque o sei originali da tavola d'albergouna
specie che confina da una parte col cavaliere d'industria e dall'altra colcospiratore subalterno. A quella tavola vidi M.
Alpyun tempo aiutante di campo del generale Michaud che lo mandava aprendergli gli stivali. Fui stupito di rivederlo
colonnello e genero di Kentzingerriccoimbecille e sindaco di Strasburgo.Non rivolsi la parola al colonnello e
nemmeno al suocero. Mi colpì un uomo magroabbastanza altogiallastro echiacchierone. C'era un po' del fuoco sacro
di Jean-Jacques Rousseau nelle sue frasi in lode dei Borboni che tutti icommensali trovavano piatte e ridicole. Aveva il
portamento sgraziato di un ufficiale austriaco. Più tardi divenne celebre:è Courvoisieril guardasigilli. Lussinge l'aveva
conosciuto a Besançon.
Dopo aver mangiatoil caffé era ancora un buon momento per me. Al contrariodella passeggiata sul Boulevard
de Ganddi gran moda e pieno di polvere. Era un vero supplizio trovarmi inquel ritrovo di elegantoni subalternidi
ufficiali della guardiadi prostitute d'alto bordo e di borghesi benvestiteloro rivali.
Là incontravo uno dei miei amici d'infanziail conte de Barralun ottimoragazzo chenipote di un celebre
avarocominciava a trent'anni a subire i primi attacchi di questa tristepassione. Il marchese di Barralsuo nonno...
Brodo 3 a mes.
Strenna padre Domi[nique].
Nel 1810se non mi sbagliopoiché Barral aveva perduto al gioco tutto ciòche avevagli prestai un po' di
denaro e lo costrinsi a partire per Napoli. Quel galantuomo di suo padre glipassava una pensione di seimila franchi.
Di lì a qualche annoBarral di ritorno da Napoli mi trovò che vivevo conuna cantante che ogni seraalle
undici e mezzoveniva a infilarsi nel mio letto. Io rientravo all'una ecenavamo insieme con pernice fredda e
champagne. Questa relazione è durata due o tre anni. Mlle B[éreyter] eraamica della figlia del celebre Rose
commerciante di calzoni di pelle. Moléil noto attoreaveva sedotto le tresorelleragazze deliziose. Una di loro è oggi
la marchesa di D... Annettecadendo sempre più in bassoviveva a queltempo con uno della Borsa. La vantai tanto con
Barral che egli se ne innamorò. Convinsi la bella Annette a lasciare losporco speculatore. Al 2 del meseBarral non
aveva più un soldo. Il primo del mesetornando dalla sua banca concinquecento franchiandava a disimpegnare il suo
orologio e a giocarsi i quattrocento franchi che gli restavano. Mi diedi dafareoffrii due cene alle parti belligerantida
Véry alle Tuileriese infine persuasi Annette ad amministrare gli affaridel conte ed a vivere saggiamente con lui con i
cinquecento franchi che il padre gli passava. Oggi1832sono dieci anni chela coppia resiste. Purtroppo Barral è
diventato ricco: ha almeno ventimila franchi di renditae con la ricchezzagli è venuta un'avarizia atroce.
Nel 1817 ero stato innamorato di Annette per quindici giorni; dopo di cheavevo scoperto in lei idee ristrette e
parigine. Per me sono il miglior rimedio contro l'amore. La serainmezzo alla polvere del Boulevard de Gand
ritrovavo il mio amico d'infanzia e la buona Annette. Non sapevo che dire.Morivo di noia e di tristezza; andare a donne
non mi divertiva. Infineverso le dieci e mezzoandavo dalla Pasta agiocare a faraone. E sfortunatamente ci arrivavo
per primo ed ero costretto alla conversazione tutta di cucina di Rachelemadre di Giuditta. Ma parlava in milanese;
qualche volta c'era con lei qualche babbeo arrivato fresco da Milano e chelei aveva invitato a cena. Chiedevo
timidamente notizie di tutte le belle donne di Milano. Sarei morto piuttostoche nominare Métildema qualche volta
loro stessi me ne parlavano. Quelle serate facevano epoca nella mia vita.Finalmente si cominciava a giocare. Allora
immerso in una profonda fantasticheriaperdevo o guadagnavo trenta franchiin quattro ore.Avevo abbandonato a tal punto ogni riguardo per il mio onore chequando perdevo più di quanto avevo in
tascadicevo a chi vinceva:
«Volete che salga in camera mia?».
Rispondevano:
«Nosi figuri!».
E pagavo solo il giorno dopo. Per questa sciocchezza ripetuta parecchie voltemi feci la reputazione di uno
povero. Me ne sono accorto in seguitoquando l'ottimo Pasta (marito diGiuditta) si lamentava perché perdevo trenta o
trentacinque franchi. Anche dopo aver aperto gli occhinon cambiai il miocomportamento.
CAPITOLO VI
Qualche volta scrivevo su un libro che compravo una data e l'indicazione delsentimento che mi dominava.
Forse troverò qualche data nei miei libri. Non so come mi venne l'idea diandare in Inghilterra. Scrissi al mio banchiere
M[...] di darmi una lettera di credito di mille scudi su Londra. Mi risposeche nel mio conto c'erano solo centoventisei
franchi. Avevo del denaro non so doveforse a Grenoble. Me lo feci mandare epartii.
La prima idea di Londra mi venne dunque nel 1821. Un giornomi sembra versoil 1816 a Milanoparlavo di
suicidio col celebre Brougham (oggi Lord Broughamcancelliere d'Inghilterrae che ben presto creperà di troppo
lavoro).
«C'è niente di più sgradevole»mi disse Brougham«del pensare chetutti i giornali annunceranno che vi siete
fatto saltare le cervellae che poi frugheranno nella vostra vita privataper cercarne i motivi?... C'è da farsi passar la
voglia di ammazzarsi».
«Che c'è di più semplice»risposi «del prendere l'abitudine di andarper mare su una barca da pesca? Un giorno
di burrascasi cade in mare per un incidente».
Questa idea di andar per mare mi piacque molto. Per me il solo scrittoreleggibile era Shakespearee sarebbe
stata una festa vederlo rappresentare. Non avevo visto niente di Shakespearenel 1817durante il mio primo viaggio in
Inghilterra.
Nella mia vita non ho amato con passione che:
Cimarosa
Mozart
e Shakespeare.
A Milanonel 1820desideravo farlo mettere sulla mia tomba. Pensavo tutti igiorni a questa iscrizione
convinto che avrei trovato tranquillità solo nella tomba. Volevo una piccolalastra di marmo della forma di una carta da
gioco.Non aggiungere segni sconciornamenti banalifar incidere questaiscrizione in lettere maiuscole. Odio Grenoble
sono arrivato a Milano nel maggio 1800amo questa città. Qui ho provato ipiaceri più grandi e i più grandi dolori. Qui
soprattuttoed è ciò che fa una patriaho provato i primi piaceri. Voglioinvecchiare e morire a Milano.
Quante voltecullato su una barca solitaria dalle onde del lago di Comomidicevo estasiato:
Hic captabis frigus opacum.
Se lascio scritto come fare questa lastraè perché desidero sia messa nelcimitero di Andillyvicino a
Montmorencyesposta a levante. Ma soprattutto non desidero avere nessunaltro monumentoniente di pariginodi
vaudevillescoun genere che detesto. Lo detestavo ancora di più nel1821. Lo spirito francese che trovavo nei teatri
parigini quasi mi faceva urlare: Canaglie! canaglie! canaglie! Me ne andavodopo il primo atto. Quando la musica
francese si univa allo spirito francesel'orrore arrivava a farmifare delle smorfie e a dare spettacolo di me. Una volta
Mme de Longueville mi offrì il suo palco al teatro Feydeau. Per fortuna erosolo. Scappai via dopo un quarto d'ora
facendo smorfie ridicole e facendo voto di non ritornare in quel teatro peralmeno due anni: ho mantenuto il giuramento.
Tutto ciò che somiglia ai romanzi di Mme de Genlisalla poesia di LegouvéJouyCampenonTreneuil
m'ispirava il medesimo orrore. Nel 1832 è un luogo comuneTutti la pensanocosì. Nel '21 Lussinge si burlava del mio
orgoglio insopportabile quando gli manifestavo il mio odio convulso. Neconcludeva che certamente Jouy o Campenon
dovevano aver fatto una critica sanguinosa di qualche mia opera. Invece uncritico che mi deride m'ispira un sentimento
del tutto diverso. Ogni volta che rileggo la sua criticami rimetto avalutare chi di noi due abbia ragione.
Mi sembra di essere partito per Londra nel settembre 1821. Per Parigi provavosolo disgusto. Ero accecato
avrei dovuto chiedere consiglio alla contessa de Tracy. Quella donnaadorabile che amavo come una madre o piuttosto
come un'ex bella donnama senza alcuna idea d'amore terrestreaveva allorasessantatré anni. Avevo respinto la sua
amicizia con la mia scarsa confidenza. Avrei dovuto essere l'amiconol'amante di Céline. Non so se allora avrei fatto
una buona riuscita come amantema vedo chiaramente che ero sull'orlo diun'amicizia intima. Non avrei dovuto
rifiutarmi di riprendere i rapporti con la contessa de Berthois.Ero disperatoo per meglio dire profondamente disgustato della vita a Parigie soprattutto dime. Mi trovavo
tutti i difetti; avrei voluto essere un altro. Andavo a cercare a Londra unrimedio allo spleen e lo trovai quanto bastava.
Bisognava mettere una collina tra me e l'immagine del duomo di Milano. Idrammi di Shakespeare e l'attore Kean
(pronunciare Kîn) furono l'evento decisivo. Trovavo abbastanza spesso insocietà persone che mi facevano complimenti
su qualcuna delle mie opere; allora ne avevo scritte ben poche. E dopo ilcomplimento e la rispostanon sapevamo più
cosa dirci. Quei parigini complimentosiche si aspettavano qualche rispostada vaudevilledovevano trovarmi molto
goffo e forse molto orgoglioso. Sono abituato a sembrare il contrario di quelche sono. Considero e ho sempre
considerato le mie opere come biglietti di lotteria. M'importa solo di essereristampato nel 1900. Petrarca contava sul
suo poema latino Africa e non si curava dei suoi sonetti.
Due dei complimentosi mi colpirono. Unodi cinquant'anniun uomo alto ebelloassomigliava in modo
incredibile allo Jupiter Mansuetus. Nel '21 ero ancora ebbro delsentimento chequattro anni primami aveva fatto
scrivere l'inizio del secondo volume dell'Histoire de la peinture.Quell'uomo così complimentoso e così bello parlava
con la leziosità delle lettere di Voltaire. Era stato condannato a morte aNapoli nel 1800 o nel 1799. Si chiamava Di
Fiori ed è oggi il mio amico più caro. Per dieci anni non ci siamo capiti;a quel tempo non sapevo come rispondere alle
sue piccole tortuosità alla Voltaire.
L'altro tipo ossequioso aveva bellissimi capelli inglesibiondi e ricciuti.Poteva avere trent'anni e si chiamava
Edouard Edwards. Pessimo soggetto dei bassifondi di Londraera statocommissario di guerrami sembranell'esercito
d'occupazione comandato dal duca di Wellington. In seguitoquando seppi cheaveva frequentato i bassifondi londinesi
lavorando per i giornalitentando di inventare quelche celebre gioco diparolemi stupii che non fosse cavaliere
d'industria. Il povero Edwards aveva un'altra qualità: era naturalmente eperfettamente coraggioso. Così naturalmente
chementre si vantava di tutto con una vanità più che francesenonparlava mai del suo coraggio.
Incontrai Edwards nella diligenza di Calais. Trovandosi con un autorefrancesesi credette obbligato a parlare e
per me fu una gioia. Pensavo di distrarmi col paesaggio. Non c'è niente dicosì insipido (almeno per me) come la strada
che passa per AbbevilleMontreuil-sur-Merecc. Quelle lunghe strade biancheche si profilano da lontano su un terreno
piattamente ondulato mi avrebbero riempito d'infelicità senza le chiacchieredi Edwards.
E tuttavia le mura di Montreuil e il servizio di ceramica del pranzo miricordarono intensamente l'Inghilterra.
Viaggiavamo con un certo Schmitex segretario del più meschino degliintrigantiil consigliere di stato
Fréville che avevo conosciuto da Mme Nardotal n° 4 di rue Menars. Questopovero Schmitin origine abbastanza
onestoera diventato una spia politica. Decazes lo mandava ai congressialle acque di Aix-la-Chapelle. Sempre
intrigando e alla finecredorubandomutando fortuna ogni sei mesiungiorno Schmit mi incontrò e mi disse che
come matrimonio di convenienza e non d'amorestava per sposare lafiglia del maresciallo Oudinotduca di Reggio.
Questi a dire il vero ha un reggimento di figlie e chiedeva ogni sei mesil'elemosina a Luigi XVIII.
«Sposatevi staseraamico mio»gli dissi molto stupito.
Ma dopo una quindicina di giorni venni a sapere che il duca di Decazes eradisgraziatamente venuto a sapere
delle sostanze del povero Schmit e si era sentito in obbligo di informare ilsuocero. Ma Schmit era un buon diavolo e un
buon compagno.
A Calais feci una grossa sciocchezza. Parlai a tavola come uno che non ha maiparlato da un anno. Ero molto
allegro. Quasi mi ubriacai di birra inglese. Un mezzo bifolcoun capitanoinglese di piccolo cabotaggiomosse qualche
obiezione ai miei racconti. Gli risposi allegramente e bonariamente. La notteebbi una terribile indigestionela prima
della mia vita. Qualche giorno dopo Edwards mi disse con garbocosa in luimolto rarache avrei dovuto rispondere
aspramente e non allegramente al capitano inglese.
Ho commesso questo terribile sbaglio un'altra voltaa Dresda nel 1813 neiconfronti di [...] che poi diventò
pazzo.
Non manco di coraggio; oggi non mi succederebbe più. Ma da giovanequandoimprovvisavodiventavo
matto. Ero attento solo alla bellezza delle immagini che cercavo di rendere.L'avvertimento di Edwards fu per me come
il canto del gallo per San Pietro. Per due giorni cercammo il capitanoinglese in tutte le taverne infami che la gente di
quella risma frequenta vicino alla Torrese non vado errato.
Il giorno dopo Edwards mi disse con garbocortesia e persino con eleganza:
«Vedeteogni nazione ha il suo modo di battersi; la maniera di noi inglesiè barocca»ecc.ecc.
Alla fineil risultato di tutta quella filosofia fu di pregarmi di farloparlare con il capitano il qualec'era da
scommettere dieci contro unononostante l'antipatia nazionale verso ifrancesiavrebbe detto che non aveva avuto per
niente l'intenzione di offendermiecc.ecc. Ma che se poi ci si dovevabattereEdwards mi supplicava di permettergli di
prendere il mio posto.
«Mi state sfottendo?»gli risposi.
Corsero parole durema alla fine mi convinse che da parte sua c'era solo uneccesso di zelo e ci rimetemmo a
cercare il capitano. Due o tre volte mi sentii rizzare tutti i peli dellebraccia credendo di riconoscerlo. Ho pensato in
seguito che la cosa mi sarebbe stata difficile senza Edwards; a Calais eroubriaco di allegriadi chiacchiere e di birra. Fu
la mia prima infedeltà al ricordo di Milano.
Londra mi commosse per le passeggiate lungo il Tamigi verso Little Chelsea(littl cèlsi). C'erano casette fiorite
di rosai che furono per me la vera elegia. Per la prima volta questo genereinsipido mi commosse.
Oggi capisco che la mia anima era sempre molto ammalata. Provavo un orrorequasi idrofobo alla vista di ogni
persona grossolana. La conversazione con un rozzo e grosso mercante diprovincia mi inebetiva e mi rendeva infeliceper tutto il resto della giornata.Per esempiocon il ricco banchiere Charles Durand di Grenoble che mi parlava
amichevolmente. Questa disposizione infantile che mi ha procurato tantimomenti neri dai quindici ai venticinque anni
mi ritornava con forza.
2: ero così infelice che amavo solo le facce che conoscevo. Ogni faccianuovache in condizioni normali mi
diverteallora mi dava fastidio.
Il caso mi portò al Tavistock HotelCovent-Garden. È l'albergo deibenestanti che dalla provincia vengono a
Londra. La mia camerasempre aperta in quel paese del furto impunitoeralarga otto piedi e lunga dieci. Ma in
compenso si andava a mangiare in un salone che poteva avere cento piedi dilunghezzatrenta di larghezza e venti di
altezza. Lì per cinquanta soldi (due sterline) si mangiava quel che sivoleva e quanto si voleva. Vi preparavano delle
bistecche a volontào vi mettevano davanti un pezzo di bue arrosto diquaranta libbre con un coltello ben affilato. Poi
arrivava il tè per mandar giù tutta quella carne. Il salone si apriva adarcate sulla piazza del Covent-Garden. Ogni
mattina ci trovavo una trentina di bravi inglesi che camminavano congravitàe molti con l'aria affranta. Nessuna
affettazionené frivolezze rumorose alla francese. Questo mi piaceva molto;in quel salone mi sentivo meno infelice. Il
pranzo non era un diversivo di un'ora o duema mi faceva passare un'oradavvero buona. Imparai a leggere
meccanicamente i giornali inglesi chein fondonon m'interessavano. Piùtardinel 1826sono stato molto infelice su
quella stessa piazza del Covent-Gardenall'Ouxkum Hotelo un nomealtrettanto sgraziatoall'angolo opposto al
Tavistock. Dal 1826 al 1832 non ho sofferto.
Il giorno del mio arrivo a Londra non davano ancora Shakespeare. Andaiall'Haymarket chese non mi sbaglio
era aperto. Nonostante la tristezza della salami divertii abbastanza.
She stoops to conquercommedia di [...] mi divertì moltissimo per ilgioco di guance dell'attore che faceva il
marito di Miss [...]la quale si umilia per conquistare. È un po'l'argomento delle [...] di Marivaux. Una ragazza da
marito si traveste da cameriera.
Beaux' Stratagem mi divertì molto. Di giorno vagavo per i dintorni diLondra; andavo spesso a Richmond.
Questa famosa terrazza presenta lo stesso movimento di terreno diSaint-Germain-en-Laye. Ma la vista
affondada un'altezza probabilmente minoresu prati di un verde incantevoledisseminati di grandi alberi di età
venerabile. Invece da Saint-Germain non si vedono che rocciose aridità.Niente può eguagliare la freschezza del verde
in Inghilterra e la bellezza degli alberi: tagliarli sarebbe un crimine e undisonorementre al minimo bisogno di denaro
il proprietario francese vende le cinque o sei grandi querce che si trovanonella sua tenuta. La vista di Richmondquella
di Windsormi ricordavano la mia adorata Lombardiai monti della BrianzaDesioComoCadenabbiail santuario di
Varesebei paesi che hanno fatto da sfondo ai miei giorni più belli. Erocosì folle in quei momenti di felicità che non ne
ho quasi nessun ricordo preciso. Tutt'al più qualche data per indicaresuun libro comprato di recenteil luogo dove
l'avevo letto. La minima nota a margine fa si chese mai rileggo in unqualunque momento quel libroriprendo il filo
delle mie idee e vado avanti. Se rileggendo un libro non trovo alcunricordoil lavoro è tutto da ricominciare.
Una seraseduto sul ponte che è ai piedi della terrazza di Richmondleggevo le Memorie della signora
Hutchinsonuna delle mie passioni.
«Mister Bell!» disse un uomo fermandosi dritto davanti a me.
Era il signor B [...] che avevo incontrato in Italiada lady Jersey aMilano. Uomo molto fine sulla cinquantina
era ammesso nella buona società anche senza farne precisamente parte (inInghilterra le classi sono nettamente distinte
come in Indiapaese dei paria; vedi La Chaumière indienne).
«Avete visto lady Jersey?».
«Nola conoscevo troppo poco a Milano; e dicono che voialtri viaggiatoriinglesi siete un po' soggetti a perdere
la memoria riattraversando la Manica».
«Che idea! Andateci».
«Essere accolto freddamente o semplicemente non essere riconosciuto mifarebbe più male di quanto piacere
potrebbe darmi l'accoglienza più calorosa».
«Non avete visto HobhouseBrougham?».
Stessa risposta.
Il signor B. da perfetto diplomatico mi chiese molte notizie della Francia.
«I giovani della piccola borghesiache hanno una buona educazione e che nonsanno dove sistemarsi perché si
trovano sempre davanti i protetti della Congrégationfiniranno colrovesciare la Congrégation eall'occasionei
Borboni».
(Poiché ciò ha l'aria di una predizionelascio al lettore benevolo tuttala libertà di non crederci.) Ho messo qui
questa frase per potervi aggiungere che il mio assoluto disgusto per tuttoquello di cui parlavo mi dipinse in volto
quell'aria infelice senza la quale in Inghilterra non si ottiene alcunaconsiderazione.
Quando il signor B. si rese conto che conoscevo La FayetteTracy:
«Oh!»mi disse molto meravigliato «e non avete dato una portata piùampia al vostro viaggio!dipendeva
solo da voi cenare due volte la settimana da lord Hollandda lady N [...]da lady [...]».
«A Parigi non ho neppure detto che venivo a Londra. Ho un unico scopo:vedere Shakespeare a teatro».
Quando B. ebbe capito benecredette che fossi diventato pazzo.
La prima volta che andai al ballo di Almackil mio banchierevedendo il miobiglietto d'invitomi disse con
un sospiro:
«Sono ventidue annisignoreche mi do da fare per andarci e voi ci saretefra un'ora!».Poiché la società è divisa in sezionicome una canna dibambùil massimo impegno di un uomo è di elevarsi
alla classe superiore alla suae il massimo sforzo di questa classe è diimpedirglielo.
Una volta sola ho riscontrato in Francia costumi del genere: quando igenerali del vecchio esercito di
Napoleone che si erano venduti a Luigi XVIIIcercavano a forza di bassezzedi farsi ammettere nel salotto di Mme de
Talaru e di altre del Faubourg Saint-Germain. Le umiliazioni che quei vilidovettero subire ogni giorno riempirebbero
cinquanta pagine. Il povero Amédée de Pastoretse mai scrivesse i suoiricordipotrebbe raccontarne delle belle.
Ebbene! non credo che i giovani che fanno l'università nel 1832 siano capacidi sopportare simili umiliazioni.
Commetteranno magari una volta un'azione vileuna scelleratezzama farsiassassinare in questo modoa colpi di spillo
dal disprezzoè una cosa contro natura per chi non è nato nei salotti del1780resuscitati tra il 1804 e il 1830.
Questa bassezza che tutto può sopportare dalla moglie di un «cordon-bleu»(Mme Talaru) ormai apparirà
soltanto fra i giovani nati a Parigi. E Luigi Filippo ha troppo pocaconsistenza perchéper un bel pezzosalotti del
genere possano ricostituirsi nella capitale.
Probabilmente il bill di riforma (giugno 1832) farà cessare inInghilterra la produzione di tipi come il signor B.
che non mi perdonò mai di non aver dato una portata più ampia al mioviaggio. Nel 1821 non sospettavo nemmeno una
cosa che ho capito nel mio viaggio del 1826: che i banchetti e i ballidell'aristocrazia costano in modo follee che sono i
soldi peggio spesi del mondo.
Ho un debito verso il signor B.: m'insegnò a tornare per via d'acqua daRichmond a Londra; è un viaggio
delizioso.
Finalmente il [...] del 1821 annunciarono l'Otello interpretato daKean. Per poco non fui schiacciato per
conquistarmi un biglietto di platea. La lunga coda mi ricordò i bei tempidella mia giovinezzaquando nel 1800 ci
facevamo schiacciare per vedere la prima di Pinto (germinale annoVIII). Il disgraziato che vuole un biglietto al
Covent-Garden deve addentrarsi in corridoi tortuosilarghi tre piedi erivestiti di tavole diventate lisce per lo
sfregamento degli abiti di quei poveracci degli spettatori.
Con la testa piena di idee letterariesolo dopo che mi fui cacciato perquegli orrendi corridoi e la collera mi
ebbe dato un'energia superiore a quella dei miei vicinimi dissi: «Per mestasera non è possibile nessun piacere. Che
sciocchezza non aver prenotato prima un palco!».
Per fortunaappena entrato in plateale persone con le quali avevo fatto aspintoni mi guardarono con aria
amichevole e bonaria. Ci dicemmo qualche parola cortese sulle penesopportate. Sbollita la collerami abbandonai
interamente alla mia ammirazione per Kean che conoscevo soltanto attraversol'entusiasmo iperbolico del mio
compagno di viaggio Edwards. Sembra che Kean sia un eroe da tavernaunattaccabrighe della specie peggiore.
Glielo perdonavo facilmente. Se fosse nato ricco o in una famiglia perbenenon sarebbe Keanma un frigido
stupido qualsiasi. Le buone maniere delle classi elevate in Franciae forsein Inghilterrabandiscono ogni energia e se
per caso esiste la logorano. Perfettamente educato e perfettamente privo diogni energiaecco il tipo che mi aspetto di
vedere quando in casa de Tracy annunciano M. de Syon o qualunque altrogiovanotto del Faubourg Saint-Germain. E
per di più nel 1821 non ero ancora del tutto preparato a giudicare in pienola nullità di questi smidollati. M. de Syon
che frequenta il generale La Fayette e che è andato in America al suoseguitodeve sembrare un mostro d'energia nel
salotto di Mme de Trémoïlle.
Gran Dio! Come è possibile essere così insignificanti! come descriveregente simile! Me lo chiedevo durante
l'inverno del '30 studiando quei giovanotti. A quel tempo l'unico problemache avevano era il timore che i loro capelli
sistemati in modo da formare una specie di ciambella da una parte all'altradella frontenon venissero in giù.
Il mio piacere nel vedere Kean si mescolò allo stupore. Gli inglesipopolo stizzosohanno gesti molto diversi
dai nostri per esprimere gli stessi moti dell'anima.
Il barone di Lussinge e l'ottimo Barot mi raggiunsero a Londra; forseLussinge era venuto con me.
Sfortunatamente ho un gran talento a comunicare i miei gusti. Spessoparlando ai miei amici delle mie amantili ho
fatti innamorare di loro oquel che è molto peggioha fatto innamorare lamia amante dell'amico al quale ero davvero
affezionato. Mi è accaduto per Mme Azur e Mérimée. Ne fui disperato perquattro giorni. Quando la disperazione
diminuì pregai Mérimée di rispettare il mio dolore per quindici giorni.
«Per quindici mesi»mi rispose«quella non mi piace. L'ho vista con lecalze allentate sulle gambe». (en
garaudefrancese di Grenoble).
Barotche fa le cose con metodo e con regola come un commercianteci spinsea prendere un cameriere. Era
un inglesino sciocco. Li disprezzo più degli altri; da loro la moda non èun piacerema un dovere serio cui non si può
mancare. Avevo buon senso per tutto quello che non era legato a certiricordi; sentii immediatamente il ridicolo delle
diciotto ore di lavoro dell'operaio inglese. Un povero italiano tuttocencioso è più vicino alla felicità. Ha il tempo di fare
all'amoresi dedica ottanta o cento giorni l'anno a una religione che tantopiù lo diverte in quanto gli fa un po' di paura.
ecc.ecc.
I miei compagni si prendevano gioco di me. Ma il mio paradosso sta diventandoverità a vista d'occhioe sarà
un luogo comune nel 1840. Allora mi consideravano matto quando aggiungevo:
«Il lavoro eccessivo e massacrante dell'operaio inglese ci vendica diWaterloo e delle quattro coalizioni. Noi
abbiamo seppellito i nostri morti e i nostri superstiti sono più felicidegli inglesi».
Per tutta la vita Barot e Lussinge mi riterranno una testa marcia. A diecianni di distanza cerco di svergognarli:
«Oggi voi la pensate come la pensavo io a Londra nel 1821».Lo neganoequesta pessima reputazione mi sta attaccata addosso. Pensate cosa mi accadevaquando avevo la
disgrazia di parlare di letteratura. Mio cugino Colomb mi ha creduto a lungorealmente invidioso perché gli dicevo che
il Lascaris di Villemain era così noioso da far dormire in piedi. Chesuccedeva poiDio mioquando affrontavo i
principi generali!
Un giorno stavo parlando del lavoro in Inghilterra e quello sciocco che cifaceva da cameriere sostenne che
avevo offeso l'onore della sua nazione.
«Avete ragione»gli dissi «ma siamo sfortunatinon conosciamo personepiacevoli».
«Signoreme ne occupo io. Penserò io a contrattare... Non vi rivolgete adaltri; vi ricatterebbero»ecc.ecc.
I miei amici ridevano. Cosìper essermi burlato dell'onore di quelloscioccomi trovai coinvolto in un incontro
con delle prostitute. Niente di più sgradevole e disgustoso dei dettaglidella contrattazione che il nostro uomo ci
costrinse a subire l'indomani mostrandoci Londra.
Anzitutto le nostre ragazze abitavano in un quartiere sperdutoWestminsterRoadfatto apposta perché quattro
magnaccia di marinai potessero aggredire dei francesi. Quando ne parlammo aun amico inglese:
«State attenti a questa trappola!»ci disse.
Lo sciocco ci disse di aver contrattato a lungo perché ci fosse servito iltè la mattina al nostro risveglio. Le
prostitute non volevano concederci le loro grazie e il tè per ventunoscellini (venticinque franchi e cinque soldi). Ma alla
fine avevano acconsentito. Due o tre inglesi ci dissero:
«Un inglese non cadrebbe mai in un simile agguato. Sapete che vi porterannoa una lega da Londra?».
Decidemmo di non andare. La seraBarot mi guardò. Io lo capii.
«Siamo forti»gli dissi «abbiamo delle armi».
Lussinge non se la sentì di venire.
Con Barot prendemmo una carrozza e attraversammo il ponte di Westminster. Poici cacciammo per certe vie
senza casein mezzo a giardini. Barot rideva.
«Se siete stato così brillante con Alexandrine in una bella casa al centrodi Parigicosa non farete qui?».
Provavo un disgusto profondo. Se non fosse stato per noia del dopocena aLondra quando non c'è spettacolo
come quel giornoe per quella piccola punta di pericoloWestminster Roadnon mi avrebbe mai visto. Finalmentedopo
aver corso due o tre volte il pericolo di rovesciarci per quelle strade nonlastricateil vetturino si fermò bestemmiando
davanti a una casa a tre piani che in tutto poteva essere alta venticinquepiedi. Non ho mai visto niente di più piccolo in
vita mia.
Certamente non sarei entrato senza l'idea del pericolo. Mi aspettavo divedere tre infami baldracche. Invece
erano tre ragazzine minutecon bei capelli castaniun po' timidemoltopremurosepallidissime.
I mobili erano minuscoli in modo ridicolo. Barot è grande e grossoio sonogrosso. Non sapevamo
letteralmente dove sederci; i mobili sembravano fatti per delle bambole.Avevamo paura di schiacciarli. Le ragazzine si
accorsero del nostro imbarazzoe il loro aumentò. Per fortuna Barot ebbel'idea di parlare del giardino.
«Oh! Ce l'abbiamo un giardino»disseronon dico con orgoglioma con unpo' di gioia per avere qualcosa di
lussuoso da mostrare.
Scendemmo nel giardino con delle candele per vederci; era lungo venticinquepiedi e largo dieci. Io e Barot
scoppiammo a ridere. C'erano tutti gli attrezzi casalinghi di quelle povereragazze: la tinozza per il bucatouna vaschetta
con un apparecchio di forma ellittica per fare la birra.
Io ero commosso e Barot disgustato. Mi disse in francese:
«Paghiamole e tagliamo la corda».
«Rimarranno così umiliate»risposi.
«Bah! umiliate! le conoscete bene! manderanno a cercare altri clienti se nonè troppo tardio i loro amantise
qui le cose vanno come in Francia».
Queste verità non mi fecero alcuna impressione. La loro miseriatutti queimobiletti molto puliti e molto
vecchi mi avevano turbato. Non avevamo ancora finito di prendere il tè cheio ero già in tale intimità da confessar loro
nel mio pessimo inglese la nostra paura di essere assassinati. Ne rimaserosconcertate.
«Ma insomma»aggiunsi «la prova che ci siamo ricreduti è che ve loracconto».
Mandammo via lo sciocco. Allora fu come se mi trovassi con degli amici cariche rivedevo dopo un anno di
viaggio.
Non si chiudeva nessuna porta: altro motivo di sospetto quando andammo aletto. Ma a cosa sarebbero servite
porte e buone serrature? I leggeri tramezzi a mattoni si potevano sfondarecon un pugno. In quella casa si sentivano tutti
i rumori. Barotche era salito al secondo piano nella camera sopra la miami gridò:
«Se vi assassinanochiamatemi!».
Volevo lasciare un po' di luce; ma per pudore la mia nuova amicaperaltrocosì buona e sottomessanon volle
acconsentire. Ebbe un moto di paura molto evidente quando mi vide chesistemavo pistole e pugnali sul comodino che
era a fianco del letto dall'altra parte della porta. Era carinapiccolabenfattapallida.
Nessuno ci assassinò. Il giorno dopo rinunciammo al tè e mandammo ilcameriere a cercare Lussinge
raccomandandogli di portare carne fredda e vino. Comparve prestissimo con unpranzo squisito e molto meravigliato
del nostro entusiasmo.
Le due sorelle mandarono a chiamare un'amica. Lasciammo del vino e dellacarne fredda alle ragazze che
rimasero stupefatte.Credevano che le prendessimo in giro quando promettemmodi tornare. La mia amicaMiss [...]mi disse in
disparte:
«Non uscirei se potessi sperare che tornerete stasera. Ma la nostra casa ètroppo povera per gente come voi».
Per tutto il giorno non feci che pensare alla serata piacevoledolcetranquilla (full of snugness) che mi
aspettava. Lo spettacolo mi sembrò lungo. Barot e Lussinge vollero vederetutte le sfrontate damigelle che affollavano il
foyer del Covent-Garden. Finalmente io e Barot arrivammo nella nostracasetta. Quando videro tirar fuori delle bottiglie
di chiaretto e di champagnequelle poverine spalancarono gli occhi. Sospettoche non si fossero mai trovate di fronte a
una bottiglia ancora intatta di real champaigndi autenticochampagne.
Per fortuna il tappo della nostra saltò; furono tutte contentema il loroentusiasmo era tranquillo e decoroso.
Tutto il loro contegno era molto decoroso. Lo sapevamo già.
Fu il primovero e intimo conforto all'infelicità che avvelenava ogni miomomento di solitudine. Vedete bene
che avevo solo vent'anni nel 1821. Se ne avessi avuto trentottocomesembrava provare il mio atto di battesimoavrei
potuto tentare di trovare questo conforto dalle oneste parigine che midimostravano una certa simpatia. Ma qualche
volta dubito che ci sarei riuscito. Quella che chiamiamo aria del bel mondoquella che fa che la signora di Marmier ha
qualcosa di diverso dalla signora Edwardsmi pare spesso una detestabileaffettazione e per un istante mi chiude
ermeticamente il cuore.
Ecco una delle mie più grandi infelicitàla provate anche voi come me?Sono colpito a morte dalle minime
sfumature.
Le maniere del bel mondo (un po' più o un po' meno) mi fanno gridare dentrodi me: Borghese! oppure
Pupattola del faubourg Saint-Germain!e immediatamente non ho chedisgusto o ironia verso il prossimo.
Si può conoscere tuttotranne se stessi: «Sono ben lungi dal credere diconoscere tutto»aggiungerebbe un
uomo compìto di quel nobile faubourgattento ad evitare il ridicolo. I mieimediciquando sono stato malatomi hanno
sempre curato con piacere come se fossi un mostroper la mia eccessiva irritabilitànervosa. Una voltasentivo freddo
perché c'era una finestra aperta nella stanza vicinaanche se la porta erachiusa. Il minimo odore (fuorché i cattivi) mi
indebolisce il braccio e la gamba sinistra e mi spinge a cadere da quel lato.
«Ma tutti questi particolari sono di un abominevole egotismo!».
Certamentee cos'è mai questo libro se non dell'abominevole egotismo? A chepro sciorinare le grazie di
pedante come faceva Villemain in un articolo di ieri sull'arresto diChateaubriand?
Se questo libro è noiosofra due anni servirà al salumaio per incartarciil burro; se non è noiososi vedrà che
l'egotismoma sinceroè una maniera di dipingere il cuore umanonella cui conoscenza abbiamo fatto passi da gigante
dopo il 1721data delle Lettres persanes di quel grand'uomo che hotanto studiatoMontesquieu.
Il progresso è talvolta così stupefacente che Montesquieu sembragrossolano.
Mi trovavo tanto bene a Londra da quando potevo passare tranquillamente epaciosamentee col mio cattivo
inglesele serateche lasciai ripartire per Parigi il baronerichiamatodal suo ufficioe Barot dai suoi affari di Baccarat
e di cardatura. Non parlavamo di belle artie questo è stato il mio scogliomaggiore con questi amici. Credo che gli
inglesi siano il popolo più ottuso e più barbaro del mondo. A tal punto chemi sento di scusarli per le infamie di
Sant'Elena.
Non se ne rendevano conto. È sicuro che uno spagnoloun italiano e persinoun tedesco si sarebbero
immaginati il martirio di Napoleone. Ma quegli onesti inglesicherasentano continuamente il pericolo abissale di
morire di fame se si scordano per un istante di lavorarescacciavano ilpensiero di Sant'Elenacome scacciano il
pensiero di Raffaello perché fa perdere del tempoed ecco tutto.
Noi tre: io per la conoscenza di Say e di Smith (Adam)il barone di Lussingeper l'inclinazione a vedere il male
in ogni cosaBarot per il lavoro (che trasforma una libbra d'acciaio chevale dodici franchi in tre quarti di libbra di
molle di orologio del valore di dodicimila franchi) formavamo insieme unviaggiatore abbastanza completo.
Quando rimasi solol'onestà della famiglia inglese con diecimila franchi direndita entrò in contrasto dentro di
me con la totale demoralizzazione dell'inglese cheavendo gusti costosisiè accorto che per soddisfarli deve vendersi al
governo. Il Philippe de Ségur inglese è per me l'essere più vile e assurdoda ascoltare.
Per il contrasto di queste idee sono partito come [...]senza sapere sebisognasse desiderare un Terrore che
lavasse le stalle di Augia in Inghilterra.
La povera prostituta da cui trascorrevo le mie serate mi assicurava che sisarebbe nutrita di mele e che non mi
sarebbe costata niente se l'avessi portata in Francia.
Sono stato severamente punito per aver consigliato a una sorella di venire aMilanomi pare nel 1816. Mme
Périer mi si è attaccata come un'ostricascaricandomi per sempre laresponsabilità del suo destino. Mme Périer aveva
tutte le virtùed era abbastanza ragionevole ed amabile. Sono statocostretto a litigare per liberarmi di quell'ostrica
fastidiosamente attaccata alla carena della mia barcae che volente onolente mi rendeva responsabile della sua felicità
futura. Che cosa spaventosa!
Questo ricordo tremendo mi trattenne dal condurre Miss Appleby a Parigi.Avrei evitato momenti di umor
nerodiabolico. Sfortunatamente ho tanta antipatia per l'affettazione che miriesce molto difficile di essere semplice
sincerobuonoin una parola perfettamente tedesco con una donna francese.
Un giorno annunciarono che avrebbero impiccato otto poveri diavoli. Secondomequando in Inghilterra
impiccano un ladro o un assassinoè l'aristocrazia che immola una vittimaalla propria sicurezzaperché è stata lei acostringerlo ad essere scelleratoecc. Questa veritàoggi tanto paradossalesarà forse un luogo comune quandosi
leggeranno queste mie chiacchiere.
Passai la notte a ripetermi che è dovere del viaggiatore vedere similispettacoli e l'effetto che producono sul
popolo che ha conservato i caratteri del proprio paese (who has raciness).Il giorno dopo quando mi svegliarono alle
ottopioveva a dirotto. la cosa che volevo impormi era così penosa che miricordo ancora quanto fui combattuto. Non
vidi quello spettacolo atroce.
CAPITOLO VII
Al mio ritorno a Parigiverso il mese di dicembreprovavo più interesseper gli uomini e le cose. Oggi mi
rendo conto del perché. Sapevo che indipendentemente da quello che avevolasciato a Milanopotevo trovare da
qualche altra parte un po' di felicità o almeno di svago. Quest'altra parteera la casetta di Miss Appleby.
Ma non ero abbastanza assennato da organizzare sistematicamente la mia vita.I miei rapporti erano sempre
guidati dal caso. Per esempio:
C'era una volta a Napoli un ministro della guerra che si chiamava Micheroux.Se mi ricordo benequesto
povero ufficiale di ventura era di Liegi. Lasciò ai suoi due figli dellepensioni di corte; a Napoli si conta sui favori del re
come su un patrimonio.
Il cavaliere Alexandre Micheroux mangiava al n. 47 di rue Richelieu. È unbel giovane che ha l'aspetto
flemmatico di un olandese. Era consumato dai dispiaceri. Al tempo dellaRivoluzione del 1820se ne stava tranquillo a
Napoli ed era monarchico.
Francescoprincipe ereditario e in seguito il più disprezzato dei Kingsera reggente e protettore particolare del
cavaliere Micheroux. Lo fece chiamare e lo pregòdandogli del tudiaccettare il posto di ministro a Dresdaal quale
l'apatico Micheroux non teneva affatto. Tuttavianon avendo il coraggio didispiacere a un'Altezza Reale e principe
ereditarioandò a Dresda. Ben prestose non mi sbaglioFrancesco loesiliò e lo condannò a morteo almeno gli
confiscò le sue pensioni.
Senza avere ingegno o attitudine per nienteil cavaliere è stato ilcarnefice di se stesso: ha lavorato per lungo
tempo diciotto ore al giorno per diventare pittoremusicistafilosofo o cheso io. Questa educazione era del tutto priva
di logica.
So di questo suo lavoro stupefacente da un'attrice mia amica chedalla suafinestravedeva quel bel giovane
dipingere dalle cinque del mattino alle cinque del pomeriggioe poi leggereper tutta la serata. Di tanto lavoro
spaventoso era rimasta al cavaliere l'arte di accompagnare al piano in modosuperlativo e con un certo buon senso o
buon gusto musicalese proprio voleteper non lasciarsi abbagliare dallapanna montata e dalle fanfaronate di Rossini.
Appena pretendeva di ragionarequello spirito fiaccooberato di falsaculturacadeva nelle più comiche bestialità. Era
buffo soprattutto in politica. Del restonon ho visto niente di più poeticoe di più assurdo del liberale italiano o
carbonaro che affollava i salotti liberali di Parigi dal 1821 al 1830.
Una sera dopo cena Micheroux salì in camera sua. Due ore doponon vedendoloarrivare al café de Foy dove
chi di noi aveva perduto un caffè lo pagavaandammo da lui. Era svenuto peril dolore. Aveva la scolozione. Dopo aver
mangiatoil dolore locale si era acutizzato; quello spirito flemmatico siera messo a riflettere su tutte le sue miserie
compresa la mancanza di denaro. Il dolore lo aveva sopraffatto. Un altro sisarebbe ammazzato. Lui invece si sarebbe
accontentato di morire svenuto se con grande fatica non gli avessimo fattoriprendere i sensi.
La sua sorte mi commosse. Forse un po' per la seguente riflessione: «Eccouno che nonostante tutto è più
infelice di me». Barot gli prestò cinquecento franchi che gli sono statirestituiti. L'indomani non mi ricordo se io o
Lussinge lo presentammo alla signora Pasta.
Otto giorni dopo ci accorgemmo che era diventato il suo amico del cuore.Niente di più freddodi più
ragionevole di quei due l'uno di fronte all'altra. Li ho incontrati ognigiorno per quattro o cinque annie non mi sarei
stupitose dopo tanto tempoun magorendendomi invisibilemi avesse datomodo di vedere che quando erano insieme
non facevano all'amorema parlavano semplicemente di musica. Sono sicuro chela signora Pastache per otto o dieci
anni non solo ha abitato a Parigi ma vi è stata molto alla moda per i trequarti di questo periodonon ha mai avuto un
amante francese.
All'epoca in cui le presentammo Micherouxil bel Lagrange veniva ogni seraad annoiarci per tre oreseduto
accanto a lei sul divano. È quel generale che faceva la parte di Apollo odel bello spagnolo liberato nei balli della corte
imperiale. Ho visto la regina Caroline Murat e la divina principessa Borghesedanzare con lui in costumi da selvagge. È
uno degli esseri più vacui del bel mondoe non è dir poco.
Poiché scivolare su una frase sconveniente è per un giovane molto piùfunesto di quanto non gli riesca
vantaggioso dire una buona battutai posteriche saranno forse menosciocchinon riusciranno a farsi un'idea del bel
mondo.
Il cavaliere Missirini aveva modi compìtiquasi eleganti. Sotto questoaspettoera in perfetto contrasto con
Lussinge e persino con Barotil quale è solo un buon ragazzo di provinciache per caso ha guadagnato dei milioni. Le
maniere eleganti di Missirini mi attiravano. Mi resi conto molto presto cheera un'anima perfettamente fredda.Aveva imparato la musica come un eruditodell'Académie des Inscriptions impara o fa finta d'imparare il
persiano. Aveva imparato ad ammirare questo o quel brano; per lui laprima qualità di un suono era di essere giustodi
una frase di essere corretta.
Secondo mela prima qualità è di gran lunga quella di essere espressivo.
In tutto quanto è nero su biancoè di poter dire con Boileau:
Et mon versbien ou maldit toujours quelque chose.
Poiché i miei rapporti con Missirini e la signora Pasta diventavano semprepiù strettiandai ad abitare al terzo
piano dell'hôtel des Lilloisdi cui quella donna amabile occupò prima ilsecondopoi il primo piano.
Ai miei occhi è stata senza vizi e senza difettiun carattere semplicelineareequilibratonaturalee con il più
grande talento tragico ch'io abbia mai conosciuto.
Per consuetudine da giovanotto (si ricordi che avevo solo vent'anni nel 1821)in principio avrei desiderato che
s'innamorasse un poco di me che l'ammiravo tanto. Oggi capisco che era troppofreddatroppo ragionevolenon
abbastanza folle e tenera perché il nostro legamese fosse stato d'amorepotesse durare. Da parte mia sarebbe stata solo
un'avventura; lei giustamente indignata avrebbe rotto ogni rapporto. Perciòè meglio che la cosa si sia limitata alla più
pura e devota amicizia da parte miae dalla suaa un sentimento dellastessa naturama che ha avuto alti e bassi.
Missirini che aveva un po' di paura di me inventò sul mio conto due o trebuone calunnie che io logorai
ignorandole. Dopo sei o otto mesiimmagino che la signora Pasta si saràdetta: «Ma non ha alcun senso!».
Eppure rimane sempre qualcosa; main capo a sei o otto anniquelle calunniehanno reso molto serena la
nostra amicizia. Non ho mai avuto un momento di collera contro Missirini.Dopo il trattamento così regale di Francesco
poteva direcome non so quale eroe di Voltaire:
Une pauvreté noble est tout ce qui me reste.
e immagino che la Giudittacome la chiamavamo in italianogliprestasse delle piccole somme per preservarlo
dalle punte più acuminate di quella povertà.
A quel tempo non ero molto brillantee tuttavia mi attiravo già dellegelosie. M. de Pereyla spia del gruppo di
M. de Tracyvenne a sapere della mia amicizia con la signora Pasta: quellagente sa tutto dai colleghi. Presentò la cosa
nella maniera più odiosa alle dame della rue d'Anjou. La donna più onestala più aliena da ogni idea di relazione
amorosanon perdona l'amicizia con un'attrice. Mi era già successo aMarsiglia nel 1805; ma allora Mme Séraphie
Tivollier aveva ragione di non volermi più vedere quando seppe della miastoria con Mlle Louason (quella donna così
piena di spirito che divenne in seguito Mme Barkoff).
In rue d'Anjoudove in fondo c'erano i miei amici più rispettabilinemmenoil vecchio de Tracyil filosofomi
perdonò l'amicizia con un'attrice.
Sono ardenteappassionatofollesincero fino all'eccesso nell'amicizia enell'amore fino al primo sintomo di
freddezza. A quel punto dalla follia di un sedicenne passoin un batterd'occhioal machiavellismo di un cinquantenne
ein capo a otto giorninon resta più che ghiaccio fondentefreddoassoluto. (Mi è successo anche in questi giorni with
lady Angelicamaggio 1832.)
Stavo per dare tutta l'amicizia di cui sono capace alla compagnia dei Tracyquando mi resi conto di una
superficie di brina. Dal 1821 al 1830 sono stato con loro soltanto freddo emachiavellicocioè perfettamente prudente.
Vedo ancora gli steli spezzati di varie amicizie che stavano per nascere inrue d'Anjou. L'eccellente contessa de Tracy
che mi rimprovero amaramente di non aver amato di piùnon mi fece sentirequella sfumatura di freddezza. E tuttavia
io tornavo per lei dall'Inghilterra con una schiettezza d'animoun bisognodi amicizia sincera che si calmò per puro
consensoquando decisi di essere freddo e calcolatore con tutto il restodella compagnia.
In Italia adoravo l'opera. I momenti più dolci della mia vita sono statisenza alcun confronto possibilequelli
che passavo a teatro. A forza di essere felice alla Scala (a Milano)erodiventato una specie d'intenditore.
Quando avevo dieci anni mio padreche aveva tutti i pregiudizi dellareligione e dell'aristocraziami impedì
con la forza di studiare musica. A sedici imparai il violinopoi il canto eil clarinetto. Solo con questo sono riuscito ad
emettere suoni che mi davano piacere. Il mio maestroun tedesco bello ebuono che si chiamava Hermannmi faceva
suonare tenere cantilene. Chi lo sa? Forse conosceva Mozart. Era il 1797.Mozart era morto da poco.
Ma allora quel grande nome non mi fu rivelato. Fui travolto da una grandepassione per la matematica; per due
anni non ho pensato ad altro. Partii per Parigidove arrivai l'indomani del18 Brumaio (il 10 novembre del '99)In
seguitoquando ho voluto studiare la musicami sono accorto che era troppotardi da questo segno: la mia passione
diminuiva man mano che aumentava la mia competenza. I suoni che producevo mifacevano orrore a differenza di tanti
esecutori di quart'ordinei quali devono quel po' di talento che hanno (eche la serain campagnafa pure piacere)
soltanto al gran coraggio con cui al mattino si straziano le orecchie. Ma nonse le straziano perché... Questo filosofare
potrebbe continuare all'infinito.
Insomma ho adorato la musicae con grande felicità in Germaniadal 1806 al1810. In Italiadal 1814 al 1821.
Qui potevo discutere di musica con il vecchio Mayeril giovane Pacinicon icompositori. Invece gli esecutoriil
marchese CarafaViscontini di Milanotrovavano che non avevo il minimosenso comune. È come se oggi mi mettessi
a parlare di politica con un sottoprefetto.Una delle cose che lasciavastupefatto il conte Daruvero letterato dalla testa ai piedidegnodell'ottusità
dell'Académie des Inscriptions nel 1828era che potessi scrivere una paginache piacesse a qualcuno. Un giorno comprò
da Delaunayche me l'ha raccontatoun mio libercolo che era esaurito equindi si vendeva a quaranta franchi. Il libraio
mi disse che il suo stupore era da morir dal ridere. «Comequarantafranchi!».
«Esattamentesignor contee per riguardo a lei. Se non lo comprate aquesto prezzofarete un favore a chi lo
vende».
«Possibile!»diceva l'accademico levando gli occhi al cielo «quelragazzo! ignorante come una carpa!».
Era in perfetta buona fede. Chi vive agli antipodi di dove viviamo noi guardala luna quando per noi è ridotta a
una piccola falce e dice: «Che luce magnifica! è quasi luna piena!» Io eil conte Darumembro dell'Académie française
socio dell'Académie des Sciencesecc.ecc.guardavamo il cuore dell'uomola naturaecc.da lati diametralmente
opposti.
Una delle cose che meravigliavano Missiriniche abitava nella bella cameraaccanto alla mia al secondo piano
dell'hôtel des Lilloisera che qualcuno mi stesse a sentire quando parlavodi musica. Non riuscì a riprendersi dalla
sorpresa quando seppe che avevo fatto un opuscoletto su Haydn. Trovavaabbastanza buono il libro«troppo
metafisico»diceva. Ma che avessi potuto scriverloche ne fossi l'autoreproprio io che ero incapace di suonare sul
pianoforte un accordo di settima diminuitaquesto gli faceva sgranare gliocchi dallo stupore. E i suoi occhi erano
bellissimiquando per caso avevano un po' di espressione.
Questo stuporeche ho descritto un po' troppo a lungol'ho riscontrato piùo meno in tutti i miei interlocutori
fino all'epoca (1827) in cui mi sono dedicato al mio ingegno.
Sono come una donna onesta che si mette a fare la puttana: devo vincere ognimomento il pudore dell'uomo
onesto che ha orrore di parlare di sé. Eppure questo libro non è fattod'altro. Non prevedevo questo inconveniente; forse
dovrò lasciar perdere. La sola difficoltà che prevedevo era il coraggio didire la verità su tutto. Invece questo è il meno.
Mi sfuggono un po' i dettagli su quelle epoche remote. Sarò meno arido emeno verboso man mano che mi
avvicinerò agli anni 1826-1830. A quel tempol'infelicità mi costrinse adavere dell'ingegno; mi ricordo tutto come
fosse ieri.
Per un disgraziato problema fisico che mi ha fatto passare per bugiardostravagante e soprattutto per un cattivo
francesemi è molto difficile godere della musica cantata in uno dei nostriteatri.
Tuttaviacome tutti i miei amici del 1821avevo una grande passione per l'Operabuffa.
La Pasta vi cantava TancrediOtelloRomeo e Giulietta[...]in maniera che non soltanto non è stata mai
eguagliatama nemmeno prevista dai compositori di queste opere.
Talmache forse i posteri eleveranno su un piedistallopossedeva l'animatragicama era così stupido che
cadeva nelle più ridicole affettazioni. Sospetto cheoltre all'eclissitotale dell'intelligenzaavesse quel servilismo
indispensabile a intraprendere la strada del successoe che ho ritrovato conmolto dispiacere persino nell'ammirevole e
amabile Béranger.
Dunque Talma fu probabilmente servileinvidiosobassostriscianteadulatoreecc.ecc.e forse qualcosa di
più nei confronti di Mme de Staël cheossessionata com'era continuamente estupidamente dalla propria bruttezza (se è
lecito parlare di stupidità a proposito di quella donna ammirevole)persentirsi rassicurata aveva bisogno di ragioni
palpabili e sempre rinnovate.
Mme de Staël checome uno dei suoi amantiil principe di Talleyrandpossedeva in modo invidiabile l'arte
del successo a Parigicapì quanto poteva giovarle mettere il suosigillo al successo di Talmache cominciava a
diffondersi ediventando duraturoa perdere il carattere poco rispettabiledi moda.
Il successo di Talma iniziò con certe audacie; ebbe il coraggio d'innovareil solo coraggio che in Francia faccia
scalpore. Fu innovatore nel Brutus di Voltaire e subito dopo in quellapovera amplificazione retorica che è Charles IX di
Chénier.
Un vecchio e pessimo attore che ho conosciutoil noioso e monarchico Naudetfu così colpito dal genio
innovatore di Talma che più volte lo sfidò a duello. In verità non so doveavesse preso l'idea e il coraggio d'innovare;
come l'ho conosciuto ioera molto al di sotto di questa capacità.
Nonostante la sua vociona impostata e l'esibizione affettata e quasialtrettanto noiosa dei suoi polsi snodatichi
in Francia volesse commuoversi ai bei sentimenti tragici del terzo atto dell'Hamletdi Ducis o alle belle scene degli
ultimi atti di Andromaquenon aveva altra risorsa che andare a vedereTalma.
Possedeva l'anima tragicae a un grado stupefacente. Se ci avesse aggiuntoun carattere semplice e il coraggio
di chiedere qualche consigliosarebbe arrivato molto lontano: per esempioaessere sublime come Monvel nel ruolo di
Augusto (Cinna). Parlo qui di cose che ho visto e visto bene o almenomolto in dettaglioavendo frequentato con
passione il Théâtre Français.
La fortuna di Talmaprima che uno scrittoreuomo d'ingegno e che parlavaspesso al pubblico (l'abate
Geoffroy) si divertisse a voler distruggere la sua famaera stata che a Mmede Staël era convenuto portarlo alle stelle.
Quella donna eloquente si fece carico di spiegare agli sciocchi in chetermini dovevano parlare di Talma. Potete
immaginare che non risparmiò l'enfasi. Il nome di Talma ebbe risonanzaeuropea.
La sua abominevole affettazione divenne invisibile ai francesi che sono deipecoroni.
La malinconia vaga e determinata dalla fatalità come in OEdipe nonavrà mai un interprete paragonabile a
Talma. Nella parte di Manlius era veramente romano: Prendslise: Connais-tula main de Rutile? erano una cosa
divina. Questo perché non c'era modo di metterci dentro l'abominevolecantilena del verso alessandrino. Quanta audaciami ci voleva per pensare questonel 1805! Quasi fremo a scrivere tali bestemmie oggi (1832) che i due idoli sonocaduti.
Tuttavia nel 1805 predicevo il 1832e il successo mi sorprende e mi rendstupide (Cinna).
Mi accadrà lo stesso con la ti...
La cantilena continuail vocioneil tremolio dei polsil'andaturaaffettata m'impedivano di provare cinque
minuti di piacere puro vedendo Talma. Ad ogni istante si doveva scegliere:brutto affare per l'immaginazioneo meglio
in questo caso il ragionamento uccide l'immaginazione. Di perfetto in Talmanon c'era che la sua testa e il suo sguardo
vago. Tornerò su questi grandi concetti a proposito delle madonne diRaffaello e di Mlle Virginie de La Fayette (Mme
Adolphe Périer)che aveva questo tipo di bellezza a un grado supremo. Suanonnala contessa de Tracyne andava
molto fiera.
Trovai in Kean il tragico che mi si confacevae lo adorai. Mi riempì gliocchi e il cuore. Vedo ancora davanti a
me Riccardo III e Otello.
Ma il tragico in una donnache è quello che mi commuove di piùl'hotrovato soltanto nella signora Pasta e in
lei era puroperfettosenza mescolanze. A casa suaera silenziosa eimpassibile. La sera per due ore era [...].
Rincasandopassava due ore su un divano a piangere e ad avere crisi dinervi.
Ma al talento dell'attrice tragica si univa quello della cantante. L'orecchioperfezionava l'emozione iniziata
dagli occhi. E la signora Pasta rimaneva a lungoper esempio due o tresecondi nella stessa posizione. È stata una
facilitazione o un ostacolo in più da superare? Ci ho fantasticato sopramolte volte. Tendo a credere che il fatto di dover
rimanere a lungo nella stessa posizione non comporti né facilitazioni néostacoli. Per l'anima della signora Pasta resta la
difficoltà di concentrare tutta l'attenzione a cantare bene.
Ioil cavaliere MissiriniLussingeDi FioriSutton Sharpe e qualchealtrouniti dalla comune ammirazione per
la gran donnanon smettevamo mai di parlare del modo in cui avevainterpretato l'ultima volta Romeoe delle
sciocchezze dette in tale occasione da quei poveri letterati francesicostretti ad avere un'opinione su una cosa così
estranea al carattere dei francesi: la musica. L'abate Geoffroydi granlunga il più intelligente e il più dotto dei
giornalistichiamava Mozart senza tanti complimenti fabbricante dischiamazzi; era in buona fede e non sentiva altri
che Grétry e Monsigny che aveva imparato.
Di grazialettore benevolocapisci bene questa parola. È la storia dellamusica in Francia.
Si pensi alle idiozie che dicevano nel 1822 tutti quei letterati egiornalisti tanto inferiori a Geoffroy. Hanno
raccolto gli articoli di quell'intelligente maestro di scuola e dicono chesia una raccolta insignificante. Erano divini
quando ce li servivano come improvvisatidue volte alla settimanae millevolte superiori agli articoli pesanti di un
Hoffmann o di un Féletz cheriunitifanno forse miglior figura deideliziosi interventi di Geoffroy. A quel tempo
pranzavo al café Hardyche era molto di modacon degli squisiti rognonciniallo spiedo. Ebbene! i giorni in cui non
c'era un articolo di Geoffroy mangiavo male!
Li faceva ascoltando la lettura dei temi latini dei suoi scolari nel collegio[...] dove insegnava. Un giorno alcuni
suoi scolari che erano stati mandati a cercare della birra in un caffévicino alla Bastiglia ebbero la fortuna di trovare un
giornale da cui seppero cosa faceva il loro maestroche spesso vedevanoscrivere col naso sul fogliotanto era di vista
corta.
Anche Talma doveva alla sua miopia quel suo sguardo vagobellissimoe cherivela tanta anima (come una
mezza concentrazione interiore appena qualcosa d'interessante non attiri aforza l'attenzione verso l'esterno).
Trovo un limite al talento della signora Pasta. Non le costava molta faticainterpretare con naturalezza una
grande anima: ce l'aveva così.
Per esempioera avara ose vogliamoeconoma non senza ragione poichéaveva un marito prodigo. Ebbene! in
un solo mese fece distribuire duecento franchi a dei poveri rifugiatiitaliani. E ce n'erano di ben poco simpaticifatti
apposta per far passare la voglia della beneficenza. Come il poeta modeneseGiannoneche il cielo abbia pietà di lui.
Che sguardo aveva!
Di Fioriche somiglia come una goccia d'acqua allo Jupiter Mansuetuscondannato a morte a ventitré annia
Napoli nel 1799s'incaricava di distribuire giudiziosamente gli aiuti dellasignora Pasta. Lui solo lo sapeva e me l'ha
confidato in segreto molto tempo dopo. La regina di Francianel giornale dioggiha fatto dar notizia di un'offerta di
settanta franchi in favore di una vecchia (giugno 1832).
CAPITOLO VIII
Oltre all'impudicizia di parlare continuamente di séquesto lavoro miscoraggia anche per un altro motivo:
quante cose ardite e che presento con un certo tremore saranno banali luoghicomuni dieci anni dopo la mia morte
ammesso che il cielo mi conceda una vita passabile di ottanta o novant'anni.
D'altro cantofa piacere parlare del generale Foydella signora PastadiLord Byrondi Napoleoneeccdi tutti
i grandio perlomeno delle persone notevoli che ho avuto la fortuna diconoscere e che si sono degnati di parlare con
me!
Ma se il lettore è invidioso come i miei contemporaneiche si consoli: diquei grandi che ho amatosolo pochi
mi hanno capito. Credo addirittura che mi trovassero più noioso di chiunquealtro; forse non vedevano in me che un
esagerato sentimentale.È davvero la razza peggiore. Solo da quando sonodiventato un uomo di spirito sono stato apprezzato e molto
al di là dei miei meriti. Il generale Foyla PastaTracyCanova non hannointuito in me (ce l'ho sullo stomaco questa
sciocca parola: intuito) un'anima colma di rara bontà. Ne ho ilbernoccolo (sistema di Gall)con uno spirito ardente e
capace di comprenderli.
Uno che mi ha capito è forsetutto sommatocolui che ho amato di più(incarnava il mio idealecome ha detto
non so più quale enfatico idiota): Andrea Corner di Veneziache era statoaiutante di campo del Principe Eugenio a
Milano.
Nel 1811 ero amico intimo del conte Widmanncapitano della compagnia delleguardie di Venezia (ero
l'amante della sua amante). Ho rivisto a Mosca l'amabile Widmann e lì michiese addirittura di nominarlo senatore del
regno d'Italia. A quel tempo tutti credevano che fossi nelle grazie di miocugino il conte Daruil quale al contrario non
mi ha mai amato. Nel 1811 Widmann mi fece conoscere Cornerche mi colpìcome un bel ritratto di Paolo Veronese.
Dicono che il conte Corner s'è mangiato cinque milioni. Ha gesti della piùrara generositàagli antipodi del
carattere dell'uomo di mondo francese. È coraggioso ed ha avuto le due crocidalle mani di Napoleone (croce di ferro e
legion d'onore).
Era lui che diceva candidamente alle quattro di pomeriggio del giorno dellabattaglia della Moscova (7
settembre 1812):
«Ma questa dannata battaglia non finisce più!».
Me lo raccontarono il giorno dopo Widmann o Migliorini.
Nessuno dei francesi tanto coraggiosima così affettati che ho conosciutoallora nell'esercitocome il generale
Coulaincourtper esempioo il generale Montbrun avrebbe osato dire unafrase del genere. Nemmeno il duca del Friuli
(Michel Duroc)che aveva un carattere di rara schiettezza. Ma in ciòcomenella capacità di essere divertenteera ben
lungi da Andrea Corner.
A quel tempo quest'uomo amabile era a Parigi senza denaroe cominciava aperdere i capelli. Era privo di tutto
a trentotto annietà in cuise non si hanno più illusionisi comincia aesser punti dalla noia. Per questo (ed è il solo
difetto che abbia mai trovato in lui)qualche volta la sera se ne andava ingiro da solomezzo ubriaconel giardino del
Palais-Royal che non era ancora illuminato. È la fine di tutti gli uominiillustri che non hanno fortuna: i principi
spodestatiPitt di fronte ai successi di Napoleone e alla notizia dellabattaglia di Austerlitz.
Lussingel'uomo più prudente che conoscevovolendo assicurarsi un compagnoper le sue passeggiate
mattutineera riluttante a presentarmi gente nuova.
Mi condusse tuttavia da Maisonnetteuno dei tipi più singolari che abbiaconosciuto a Parigi. È brunomagro
molto piccolo. Sembra uno spagnolo col suo occhio vivoil suo coraggio e lasua suscettibilità.
Ciò che Maisonnette ha in comune con i [...]i Viteti Léon PilletiSaint-Marc Girardin e altri scrittori venduti
al governoè il fatto che riesca a scrivere in una serata trenta pagineeleganti e verbose per provare una tesi politica su
un appunto che il ministro gli ha mandato quella sera alle seiprima diandare a cena. La cosa stranaincredibileè che
Maisonnette crede a ciò che scrive. Si è innamorato una voltamainnamorato da perderci la vitadi Decazespoi di
Villèle e poimi paredi Martignac. Almeno quest'ultimo era simpatico.
Molte volte ho cercato di capire Maisonnette. Mi è sembrato di vedere in luiuna mancanza totale di logica e
talvolta una capitolazione della coscienzalo stordimento di un piccolorimorso che tentava di affiorare. Tutto questo
basato sul grande assioma: «Devo pur vivere».
Maisonnette non ha alcuna idea dei doveri del cittadino; li considera come ioconsidero i rapporti dell'uomo
con gli angeli in cui credeva così fermamente Frédéric Ancillonoraministro degli Esteri a Berlino (e che conoscevo
bene nel 1806 e nel 1807). Maisonnette ignora i doveri del cittadinocomeDominique quelli della religione. Se qualche
voltascrivendo così spesso le parole onore e lealtàlo coglieun'ombra di rimorsosi assolve nel suo intimo invocando
la sua cavalleresca devozione per gli amici. Se avessi volutodopo averlotrascurato sei mesi perché mi annoiavaavrei
potuto farlo alzare alle cinque di mattina per andare a chiedere un favoreper me. Se qualcuno avesse messo in dubbio il
suo onore di uomo di mondosarebbe andato a cercarlo fino al poloperbattersi con lui.
Senza mai sprecare la sua intelligenza dietro alle utopie della felicitàpubblicadi una giusta costituzioneera
speciale per sapere tutti i fatti più minuti. Una sera ioLussinge e Gazulparlavamo di M. de Jouyche era a quel tempo
l'autore alla modail successore di Voltaire. Lui si alza e va a cercare inuno dei suoi voluminosi incartamenti la lettera
autografa con la quale Jouy chiedeva ai Borboni la croce di San Luigi. Non cimise più di due minuti a trovare quel
documento che smentiva in modo così ameno l'intransigente virtù delliberale Jouy.
Maisonnette non aveva la furfanteria vile e profondail perfetto gesuitismodei redattori del Journal des
Débats. Per questo ai Débats erano scandalizzati dei quindici oventimila franchi che quell'uomo così positivo che era
Villèle dava a Maisonnette.
Quelli di rue des Prêtres lo consideravano uno scioccoma il suo stipendiotoglieva loro il sonnocome gli
allori di Milziade.
Rimiravamo la lettera di Jouy e Maisonnette disse:
«È strano che i due corifei della letteratura e del liberalismo attuale sichiamino tutti e due Etienne».
Il signor de Jouy nacque a Jouy da un borghese che si chiamava Etienne. Conquella sfrontatezza francese che i
poveri tedeschi non riescono a concepirea quattordici anni il piccoloEtienne partì da Jouy (vicino a Versailles) e andò
in India. Là si fece chiamare Etienne de Jouye infine de Jouy tout court.Diventò davvero capitano; poi unambasciatorese non mi sbagliolo fececolonnello. Era un uomo di fegatoma ha fatto poco o niente nell'esercito. Era
molto attraente. Un giorno in India lui e due o tre suoi amici entrarono inun tempio per sfuggire al caldo spaventoso.
Trovarono la sacerdotessauna specie di vestale. A de Jouy sembrò una cosamolto divertente renderla infedele a
Brahma proprio sull'altare del suo dio.
Gli Indiani se ne accorseropiombarono armatitagliarono prima i polsi epoi la testa alla vestalesegarono in
due l'ufficiale che accompagnava l'autore di Syllail quale dopo lamorte dell'amico riuscì a montare a cavallo e galoppa
ancora.
Prima che M. de Jouy applicasse alla letteratura il suo talento perl'intrigoera segretario generale della
prefettura di Bruxelles verso il 1810. Penso che fosse l'amante della mogliedel prefetto e il factotum di quest'ultimoM.
de Pontécoulantun uomo di vero ingegno. Fra tutti e due eliminarono lamendicitàimpresa davvero immensa
dovunque e soprattutto in Belgiopaese eminentemente cattolico.
Quando il grand'uomo caddeM. de Jouy chiese la croce di san Luigi; epoiché gli imbecilli che regnavano
gliela rifiutaronocominciò a prenderli in giro servendosi dellaletteratura. Li ha danneggiati più di quanto hanno
giovato loro tutti i letterati dei Débatspagati tanto lautamente.Si veda nel 1820 il furore dei Débats contro la Minerve.
M. de Jouy con il suo Hermite de la Chaussée d'Antinlibro tantoconsono allo spirito della borghesia francese
e alla stupida curiosità dei tedeschis'è visto e s'è creduto percinque o sei anni il successore di Voltaire. E perciò ne
teneva il busto nel giardino della sua casa dei Trois-Frères.
Dal 1829 i letterati romanticiche non sono nemmeno alla sua altezzalofanno passare per il Cotin del suo
tempo (Boileau)e la sua vecchiaia è infelicitata (amaregiata) dallafama stravagante della sua età matura.
Quando arrivai nel 1821condivideva la dittatura letteraria con un altrosciocco molto più grossolanoA.-V.
Arnault dell'Institutamante di Mme Brack. L'ho visto spesso da Mme Cuviersorella della sua amante. Aveva lo spirito
di un portiere ubriaco. Tuttavia ha scritto questi versi graziosi:
Où vas-tufeuille de chêne?
Je vais où le vent me mène.
Li scrisse il giorno prima di partire per l'esilio. La sventura personaleaveva dato un po' di vita a quell'anima di
sughero. L'avevo conosciuto verso il 1811 quando strisciava bassamente dalconte Daruche egli ricevette all'Académie
française. M. de Jouymolto più gentilevendeva i resti della sua maschiabellezza a Mme Davillierla più vecchia e la
più noiosa civetta di quel tempo. Erao lo è tuttoramolto più ridicoladella contessa Baranguey-d'Hilliers chealla
tenera età di cinquantasette annireclutava amanti tra gli uominid'ingegno. Non so se a questo titolo fui costretto a
sfuggirle a casa di Mme Daubignon. Lei si prese quel tanghero di Masson(referendario al Consiglio di Stato)e quando
una mia amica le disse:
«Come? Uno così brutto!».
«L'ho preso per il suo cervello»rispose.
Il bello è che il malinconico segretario di Beugnot aveva tanto fascinoquanto cervello. Non gli si può negare
l'abilità nel destreggiarsil'arte di andare avanti a forza di pazienza ed'ingoiare rospie inoltre delle competenze non in
materia di finanzama nell'arte di registrare le operazioni finanziariedello Stato. Gli imbecilli confondono le due cose.
Mme d'Hilliersmentre le guardavo le braccia ancora superbemi disse:
«Vi insegnerò a far fortuna col vostro talento. Da solo vi rompereste latesta».
Non avevo abbastanza cervello da capirla. Guardavo spesso quella vecchiacontessa per i bei vestiti di
Victorine che portava. Amo alla follia un vestito ben fattoper me è lavoluttà. Fu la signora N.C.D. a iniziarmi a questo
gustolegato ai ricordi deliziosi di Cideville.
Fu Mme Baranguey-d'Hilliersse non mi sbaglioa informarmi che l'autore diuna canzone deliziosa che io
adoravo e che tenevo in tascafaceva delle poesiole per i compleanni diquelle due vecchie scimmie: Jouy e Arnaulte
per l'orribile Mme Davillier. Ecco una cosa che non ho mai fattoma non hofatto neppure Le Roi d'YvetotLe Sénateur
La Grand-mère.
Bérangersoddisfatto di essersi guadagnato il titolo (del resto meritato)di grande poeta adulando quei babuini
non si è abbassato ad adulare il governo di Luigi Filippo al quale tantiliberali si sono venduti.
CAPITOLO IX
Ma è tempo di tornare al piccolo giardino di rue Caumartin. Là ogni serad'estate ci aspettavano buone bottiglie
di birra fresca che ci versava una donna alta e bellaMme Romancemoglieseparata di un tipografo imbroglione e
amante di Maisonnetteche l'aveva comprata dal detto marito per due otremila franchi.
Ci andavamo spesso io e Lussinge. La sera incontravamo sul boulevardDarbellesalto sei piedinostro amico
d'infanziama molto noioso. Ci parlava di Court de Gébelin e voleva farcarriera con la scienza. Gli è andata meglio in
un altro campoperché adesso è ministro. Andava a far visita a sua madrein rue Caumartin; per sbarazzarci di lui
entravamo da Maisonnette.Quell'estate cominciavo a riprendere interesse perle cose di questo mondo. Riuscivo a non pensare più a
Milano per cinque o sei ore di seguito; solo il risveglio era ancora amaroper me. Qualche volta rimanevo a letto fino a
mezzogiorno a ruminare neri pensieri. Stavo dunque ad ascoltare dalla boccadi Maisonnette la descrizione di come il
poteresola cosa realeera distribuito a Parigi nel 1821.
Arrivando in una cittàchiedo sempre:
1° Quali sono le dodici donne più belle;
2° Quali sono i dodici uomini più ricchi;
3° Qual'è l'uomo che può farmi impiccare.
Maisonnette rispondeva abbastanza bene alle mie domande. Quello che mistupiva era che nel suo amore per la
parola Re fosse in buona fede.
«Che parola per un francese!» mi diceva con entusiasmo e levando al cielo isuoi occhietti neri e smarriti.
Nel 1811 Maisonnette era professore di retorica; aveva concessospontaneamente un giorno di vacanza ai suoi
allievi quando era nato il re di Roma. Nel 1815 aveva scritto un opuscolo infavore dei Borboni. Decazes lo lesse
convocò il suo autore e lo fece scrittore politico a ottomila franchi. OggiMaisonnette è molto utile per un primo
ministro: conosce a perfezione come un dizionario tutti i fatti più minutitutti i retroscena degli intrighi politici di Parigi
dal 1815 al 1832.
Non riuscivo a vedere questo meritoche si scopre soltanto quando si fannodelle domande. Mi accorgevo
unicamente del suo modo incredibile di ragionare.
Mi dicevo: «Chi stanno prendendo in giro? Forse me? Ma a che scopo? ForseLussinge? O quel povero
giovanotto in redingote grigia e così brutto col suo nasoall'insù?». Quel giovanotto aveva qualcosa di sfrontato e di
molto sgradevole. I suoi occhi piccoli e inespressivi avevano sempre lostesso sguardo ed era uno sguardo cattivo.
Fu la prima impressione che ebbi di colui che oggi è il mio migliore amico.Non sono troppo sicuro del suo
cuorema lo sono del suo talento: è il conte Gazuloggi tanto famoso. Horicevuto una sua lettera la settimana scorsa e
mi ha riempito di gioia. Doveva avere diciotto anni perché era natomiparenel 1804. Sono portato a crederecon
Buffonche prendiamo molto dalle nostre madria parte ogni faceziasull'incertezza del padreincertezza molto rara per
il primogenito.
Questa teoria mi sembra confermata dal conte Gazul. Sua madre ha molto dellospirito francese e una capacità
di ragionare superiore. Come il figliomi sembra in grado di commuoversi unavolta all'anno. Trovo il senso dell'arido
in molte opere di Gazulma gli faccio credito per l'avvenire.
Al tempo del bel giardinetto di rue Caumartin era allievo di retorica delpiù abominevole dei maestri. La parola
abominevole si stupisce molto nel vedersi accoppiata al nome diMaisonnetteil migliore degli uomini. Ma tale era il
suo gusto in arte: prima di tutto il falsoil brillanteil vaudevillesco.
Il suo maestro era Luce de Lancival che ho conosciuto da giovanissimo in casadi Maisonneuveil quale non
stampava le sue tragedie benché avessero avuto successo. Quelbrav'uomo mi rese il servizio di dirmi che dovevo avere
uno spirito superiore.
«Volete dire un orgoglio superiore»replicava ridendo Martial Daruche mi considerava quasi uno stupido.
Ma gli perdonavo tutto: mi portava da Clotilde (a quel tempo prima ballerinadell'Opéra). Qualche voltae che
giorni erano per me! mi trovavo nel suo palco all'Opérae davanti a me(eravamo in quattro) lei si vestiva e si svestiva.
Che momento per un provinciale!
Luce de Lancival aveva una gamba di legno e molta cortesia; per il restosarebbe stato capace di mettere un
gioco di parole in una tragedia. M'immagino che Dorat dovesse pensarla cosìnel campo delle arti. Trovo la parola
giusta: è un pastore di Boucher. Forse nel 1860 ci saranno ancora dei quadridi Boucher al museo.
Maisonnette era stato allievo di Lucee Gazul di Maisonnette. È in questosenso che Annibale Carracci è
allievo del fiammingo Calvaert.
Oltre alla sua passione prodigiosa e altrettanto sincera per il ministroregnante e al suo coraggioMaisonnette
aveva un'altra qualità che mi piace: riceveva ventiduemila franchi dalministro per dimostrare ai francesi che i Borboni
erano adorabili. E se ne mangiava trenta.
Dopo aver scritto talvolta dodici ore di seguito per convincere i francesiMaisonnette andava a trovare una
onesta popolana alla quale offriva cinquecento franchi. Era bruttopiccoloma aveva un tale ardore spagnolo che dopo
tre visite quelle signore dimenticavano il suo aspetto singolare e vedevanosolo il sublime del biglietto di cinquecento
franchi.
Bisogna che aggiunga qualcosa per l'occhio di una donna onesta e saggiasemai un occhio simile si soffermerà
su queste pagine. Prima di tutto che cinquecento franchi nel 1822 sono comemille nel 1872. Poiche una deliziosa
marchettara mi confessò che prima del biglietto di cinquecento franchi diMaisonnettenon aveva avuto un doppio
napoleone.
I ricchi sono molto ingiusti e ridicoli quando si erigono a giudici sdegnatidi tutti i peccati e i crimini commessi
per denaro. Pensate alle bassezze spaventose e alle decine d'anni diattenzioni che impiegano a corte per ottenere un
portafoglio. Pensate alla vita di Decazes dalla sua caduta nel 1820dopol'azione di Louvelfino ad oggi.
Eccomi dunque nel 1822 a passare tre serate alla settimana all'Opera Buffa euna o due da Maisonnette in rue
Caumartin. Quando sto male la sera per me è sempre il momento piùdifficile. Quando andavo all'Operada mezzanotte
alle due ero dalla signora Pasta con LussingeMissiriniFioriecc.Pocomancò che non avessi un duello con un uomo molto allegro e coraggioso chevoleva che lo presentassi
alla Pasta. È il simpatico Edwardsil solo inglese che avesse un caratteregaio. Era stato mio compagno di viaggio in
Inghilterraquello che a Londra voleva battersi per me.
Non avete dimenticato che mi aveva avvertito di un'insinuazione offensiva diuna specie di bifolcocapitano di
un battello a Calais.
Mi rifiutai di presentarlo. Era sera e già alle nove il povero Edwards nonera più l'uomo della mattina.
«Lo sapetemio caro B.»mi disse«che avrei tutto il diritto diritenermi offeso?».
«Lo sapetemio caro Edwardsche io ho tanto orgoglio quanto voi e che lavostra irritazione mi lascia del tutto
indifferente?»ecc.ecc.
La cosa andò molto avanti. Io tiro molto beneprendo nove pupazzi sudodici. (Prosper Mérimée l'ha visto al
tiro al bersaglio del Lussemburgo.) Anche Edwards tirava beneforse un po'meno di me.
In conclusionequesto litigio rinsaldò la nostra amicizia. Me ne ricordoperchésventato com'erogli chiesi un
giorno o al massimo due giorni dopo di presentarmi al famoso dottor Edwardsche era suo fratello e del quale si parlava
molto nel 1822. Ammazzava mille rane al mese e dicevano che stava perscoprire come respiriamo e come curare le
malattie di petto delle belle donne. Sapete bene che il freddo all'uscita daiballi uccideogni anno a Parigimillecento
giovani donne. Cifra ufficiale.
Orail dottosaggiotranquillostudioso dottor Edwards non teneva moltoagli amici del fratello. Anzitutto il
dottore aveva sedici fratelli e il mio amico era il più scapestrato ditutti. Era stato appunto a causa del suo contegno
troppo spensierato e del suo gusto appassionato per le peggiori facezieacui non rinunciava se gli venivano in mente
che non avevo voluto condurlo dalla Pasta. Aveva un testonebegli occhi daavvinazzato e i più bei capelli biondi che
ho mai visto. Senza quella maledetta smania di voler essere spiritoso come unfrancesesarebbe stato una persona
amabilee dipendeva solo da lui aver successo con le donne come diròparlando di Eugeny. Ma lei adesso è così
giovane che forse non sta bene parlarne in mezzo a queste chiacchiere cheforse saranno stampate dieci anni dopo la
mia morte. Se sono ventitutte le sfumature della vita sarannoalterate e il lettore non vedrà che le masse. E dove
diavolo sono le masse in questi giochi della mia penna? Ci devopensare.
Credo che per vendicarsi nobilmenteperché aveva l'anima nobile quando nonera offuscata da cinquanta
bicchieri d'acquaviteEdwards ce la mise tutta per riuscire a presentarmi aldottore.
Trovai un salottino arciborgheseuna donna di gran valore che parlava dimorale e che presi per una quacchera
e infine il dottoreun uomo del più eccezionale valorenascosto in uncorpo piccolo e mingherlino da cui la vita
sembrava scappar via. Non ci si vedeva in quel salotto di rue Holdar n. 12.Vi fui accolto freddamente.
Che diavolo d'idea chiedere di essere presentato! Un capriccio imprevistouna follia. In fondose desideravo
una cosaera di conoscere gli uomini. Forse ogni mese mi tornava questaideama occorreva che i gustile passionile
cento follie che mi riempivano la vitalasciassero tranquilla la superficiedell'acqua perché quell'immagine potesse
apparirvi. Allora mi dicevo: «Non sono come... come...»certi stupidi checonoscevo. Io non scelgo i miei amici.
Prendo a caso quello che il destino mette sulla mia strada.
Sono stato orgoglioso di questa frase per dieci anni.
Mi ci sono voluti tre anni per vincere la ripugnanza e il timore che ispiravonel salotto della signora Edwards.
Mi prendevano per un don Giovanni (vedi Mozart e Molière)per un seduttoremostruoso e diabolico. Certo non avrei
faticato di più a farmi sopportare nel salotto di Mme de Talarudi MmeDuras o di Mme de Broglie che riceveva
normalmente dei borghesioppure di Mme Guizot che mi piaceva molto (parlo diMlle Pauline de Meulan)e persino
nel salotto di Mme Récamier.
Ma nel 1822 non avevo capito appieno l'importanza della risposta a questadomanda su uno che pubblica un
libro che la gente legge:
Che uomo è?
Mi ha salvato dal disprezzo questa risposta: «Va spesso da Mme de Tracy».La società del 1829 ha bisogno di
disprezzare l'uomo al qualea torto o a ragionericonosce un certo ingegnocome scrittore. Essa ha pauranon è più un
giudice imparziale. Che sarebbe accaduto se avessero risposto:
«Va spesso da Mme de Duras (Mlle Kersaint)».
Ebbeneanche oggi che ho capito l'importanza di queste risposteè proprioper questa importanza che lascerei
un salotto alla moda. (Ho abbandonato or ora quello di lady Holyenel1832.)
Rimasi fedele al salotto del dottor Edwards che non era per niente piacevolecome si è fedeli a un'amante
bruttaperché potevo assentarmi tutti i mercoledì (era il giorno dellasignora Edwards).
Potrei sopportare tutto per un capriccio del momentoma se il giorno primami dicono: «Domani dovete
sopportare un momento di noia»la mia immaginazione ne fa una cosamostruosa e mi butterei dalla finestra piuttosto
che lasciarmi condurre in un salotto noioso.
Dalla signora Edwards ho conosciuto Stritchun inglese impassibile e tristeassolutamente onestovittima
dell'aristocrazia perché era irlandese e avvocato. Eppure difendevacomepunto d'onorei pregiudizi seminati e coltivati
dall'aristocrazia nella testa degli inglesi. Ritrovo la stessa assurditàsingolaremista alla massima onestà e delicatezza in
Rogerspresso Birmingham (dal quale ho passato qualche tempo nell'agosto del1826). In Inghilterra è un carattere
molto comune. Quanto alle idee seminate e coltivate dall'aristocrazia nelproprio interessesi può diree non è pocoche
gli inglesi mancano di logica quasi quanto i tedeschi.La logica degliinglesitanto ammirevole in campo finanziario e in tutto quanto faccia produrredenaro alla fine
di ogni settimanasi confonde e si smarrisce non appena ci si innalza adargomenti un po' astratti e che non producono
denaro direttamente. Sono diventati imbecilli nei ragionamenti cheriguardano l'alta letteratura per lo stesso
meccanismo che procura imbecilli alla diplomazia of the King of French;si sceglie soltanto tra un numero limitatissimo
di uomini. Un uomo nato per disquisire sul genio di Shakespeare e diCervantes (grandi uomini morti lo stesso giornoil
16 aprile 16...se non mi sbaglio) fa il mercante di filo di cotone aManchester. Si accuserebbe di perdere tempo se
aprisse un libro che non fosse in rapporto diretto con il cotone e con la suaesportazione in Germania quando è filato
ecc.ecc.
Allo stesso modo il k[in]g of Fr[ench] sceglie i suoi diplomatici solotra i giovani di alto lignaggio o di grandi
sostanze. Il talento va cercato dove s'è formato Thiers (venduto nel 1830).È figlio di un borghesuccio di Aix-en-Provence.
Arrivato all'estate del 1822un anno circa dopo la mia partenza da Milanopensavo ormai molto raramente a
evitare volontariamente questa gente. La vita mi si riempiva poco a poco nondi cose piacevolima di cose qualsiasi che
si frapponevano fra me e l'ultima felicità che avevo trasformato in oggettodi culto.
Avevo due piaceri molto innocenti:
1) Far due chiacchiere dopo pranzo passeggiando con Lussinge o con qualchealtro conoscente; ne avevo otto o
diecitutticome al solitoincontrati per caso;
2) Quando faceva caldoandare a leggere i giornali inglesi nel giardino diGalignani. Rilessi con delizia quattro
o cinque romanzi di Walter Scott. Il primodove si trovano Henry Morton e ilsergente Boswell (Old Mortalitycredo)
mi riportava alla mente i ricordi per me così vivi di Volterra. L'avevoaperto molte volte per caso aspettando Métilde a
Firenzenel gabinetto di lettura di Molini sull'Arno. Lo lessi come ricordodel 1818.
Ho avuto lunghe dispute con Lussinge. Sostenevo che un buon terzo dei meritidi sir Walter Scott si doveva a
un segretario che gli abbozzava le descrizioni di paesaggi dal vero. Lotrovavocome lo trovo adessodebole nella
rappresentazione delle passioninella conoscenza del cuore umano. I postericonfermeranno il giudizio dei
contemporanei che pongono il baronetto ultra subito dopo Shakespeare?
Io ho in orrore la sua persona e ho più volte rifiutato d'incontrarlo (aParigi per mezzo di M. Mirbela Napoli
nel 1832a Roma [idem]).
Fox gli ha dato un posto di cinquanta o centomila franchi e di qui egli hapreso le mosse per calunniare
astutamente lord Byronil quale ha tratto profitto da questa alta lezioned'ipocrisia: si veda la lettera che lord Byron mi
scrisse nel 1823.
Hai mai vistolettore benevoloun baco da seta che ha mangiato a sazietàfoglie di gelso? Il paragone non è
nobilema è tanto preciso! Quella brutta bestia non vuole più mangiarehabisogno di arrampicarsi e fabbricare la sua
prigione di seta.
Così è l'animale che chiamano scrittore. Per chi ha assaporato la profondaoccupazione di scrivereleggere non
è più che un piacere secondario. Tante volte credevo che fossero le dueguardavo l'orologio: erano le sei e mezzo. Ecco
la mia sola scusa per aver imbrattato tanta carta.
Poiché nell'estate del 1822 andavo riacquistando la salute moralepensai afar stampare un libro intitolato
L'Amourscritto a matita a Milano mentre passeggiavo e pensavo aMétilde.
Contavo di riscriverlo a Parigi e ne ha un gran bisogno. Riflettere con unpo' di profondità a queste cose mi
rendeva eccessivamente triste. Era come passare la mano con violenza su unaferita appena cicatrizzata. Trascrivevo a
inchiostro ciò che era ancora a matita.
Il mio amico Edwards mi trovò un editore (Mongie) che non mi dette nulla peril manoscritto e mi promise la
metà del guadagnose ce ne fosse stato.
Oggi che il caso mi ha fatto crescere di gradoricevo lettere da editori ame ignoti (giugno 1832da Thierrymi
pare) che sono pronti a pagare in contanti dei manoscritti. Non avevo laminima idea di tutto questo meccanismo della
bassa letteratura. Mi ha fatto orrore e mi avrebbe dato il disgusto discrivere. Gli intrighi di Hugo (si veda nella Gazette
des tribunaux del 1831se non mi sbaglioil suo processo con l'editoreBossan[ge] o Plassan)le manovre di
Chateaubriandi traffici di Bérangerma questi si possono giustificare.Questo grande poeta era stato destituito dai
Borboni dal suo posto al Ministero degli Interni di milleottocento franchi.
Re sciocchire...
(Tre versi di Monti.)
La stupidità dei B[orboni] risplende alla luce del sole. Se non avesserovilmente destituito un povero impiegato
per una canzone scherzosa più che malignaquel grande poeta non avrebbecoltivato il suo talento e non sarebbe
divenuto una delle leve più potenti della loro cacciata. Egli ha espressoallegramente il disprezzo dei francesi per quel
trono imputridito. Così diceva la regina di Spagnamorta a Romal'amica del principe della Pace.
Per caso ho conosciuto quella cortema mi annoia scrivere cose diversedall'analisi del cuore umano. Se il
destino mi avesse fornito un segretariosarei stato un altro tipo discrittore.
«Ne abbiamo già abbastanza»dice l'avvocato del diavolo.Questa vecchiaregina aveva portato a Roma dalla Spagna un vecchio confessore. Il confessoremanteneva la
nuora del cuoco dell'Accademia di Francia. Questo spagnolo decrepito e ancoraarzillo commise l'imprudenza di dire
(qui non posso dare particolari divertentigli attori sono ancora vivi) cheFerdinando VII era figlio di un tale e non di
Carlo IV: era uno dei peccati della vecchia regina. Lei era morta. Una spiavenne a sapere ciò che diceva il prete.
Ferdinando l'ha fatto rapire a Romama invece di farlo avvelenareper uncontro-intrigo che ignoroha fatto rinchiudere
il vecchio ai Présides.
Posso rivelare qual'era la malattia di quella vecchia regina piena di buonsenso? (L'ho saputo a Roma nel 1817
o 1824). Era la conseguenza di avventure galanti così mal curata che nonpoteva cadere senza rompersi un osso. La
poverettaessendo reginasi vergognava di accidenti tanto frequenti e nonosava farsi curare seriamente. Mi sono
imbattuto in una disgrazia del genere alla corte di Napoleone nel 1811.Conoscevoahimè! molto bene l'ottino Cullerier
(lo zioil padreil vecchioinsomma; il giovane mi ha l'aria di unosciocco). Gli portai tre signore e a due di loro bendai
gli occhi (rue de l'Odéon n. 26).
Due giorni dopo mi disse che avevano la febbre (effetto della vergogna e nondella malattia).
Quel perfetto gentiluomo non alzò mai gli occhi per guardarle.
È sempre una bella fortuna per la razza dei Borboni essersi sbarazzati di unmostro come Ferdinando VII. Quel
galantuomo del duca de Lavalma pur sempre nobile e duca (il che fa duemalattie mentali) mi diceva di essere onorato
dell'amicizia di Ferdinando VII. E tuttavia era stato per tre anniambasciatore alla sua corte.
Mi ricorda l'odio profondo di Luigi XVI per Franklin. Il sovrano trovò unmodo davvero borbonico di
vendicarsi: fece dipingere la faccia del venerabile vegliardo in fondo a unvaso da notte di porcellana.
Ce lo raccontava Mme Campan in casa di Mme Cardon (rue de Lilleall'angolodi rue Bellechasse)dopo il 18
Brumaio. I suoi Mémoires di quell'epoca che leggevamo dalla Cardonerano ben diversi dalla rapsodia lacrimevole che
intenerisce le ragazze più distinte del Faubourg Saint-Honoré (per la qualcosa una di esse ha perduto ogni fascino per i
miei deboli occhiverso il 1827).
CAPITOLO X
Ecco dunque che avevo trovato un'occupazione per l'estate 1822: correggere lebozze di De l'Amour stampato
in 12 su carta scadente. Mongie mi giurò indignato che l'avevano ingannatosulla qualità della carta. Nel 1822 non
conoscevo gli editori. Avevo avuto a che fare solo con Pierre Didotcuipagavo la carta secondo la sua tariffa. Mongie
si faceva le più grasse risate della mia imbecillità.
«Ah! Questo qui non è una volpe!» diceva morendo dal ridere eparagonandomi agli Ancelotai Vitetai [...] e
ad altri mestieranti.
Ebbeneho scoperto in seguito che Mongie era di gran lunga l'editore piùonesto. Che dire del mio amico
Sauteletgiovane avvocatoamico mio prima di diventare editore?
Ma il poveretto s'è ammazzato per il dispiacere di essere abbandonato da unaricca vedova che si chiamava
Mme Bonnet o Bourdetun qualche nome nobile del genere e che gli avevapreferito un giovane pari di Francia (parola
che cominciava ad avere un suono molto seducente nel 1828). Quel fortunatoerami pareM. Pérignon che aveva avuto
una storia con la mia amica la signora Viganòla figlia del grand'uomo (nel1820se mi ricordo bene).
Era molto pericoloso per me correggere le bozze di un libro che mi ricordavatante sfumature di sentimenti che
avevo provato in Italia. Ebbi la debolezza di prendere una stanza aMontmorency. Ci arrivavo in due ore la sera con la
diligenza di rue Saint-Denis. In mezzo ai boschisoprattutto a sinistrasalendo dalla Sablonnièrecorregevo le mie
bozze. Mancò poco che non impazzissi.
Le folli tentazioni di ritornare a Milano che tante volte avevo respintemitornavano con forza straordinaria.
Non so come riuscii a resistere. La forza della passioneche fa sì che nonguardiamo che una cosa solacancella ogni
ricordoalla distanza in cui trovo da quel tempo. Non mi ricordodistintamente che la forma degli alberi di quella parte
del bosco di Montmorency.
Quella che chiamano la valle di M[ontmorency] è soltanto un promontorio chesi protende verso la valle della
Senna e direttamente verso la cupola degli Invalides.
Quando Lanfranco dipingeva una cupola alta centocinquanta piediesageravaalcuni tratti. «L'aria dipinge»
diceva. Allo stesso modopoiché verso il 1870 saremo molto più scettici diquanto lo siamo oggi sui Kingssui nobili e
sui pretimi viene la tentazione di esagerare alcuni tratti contro questipidocchi della specie umana. Ma resisto
significherebbe essere infedele alla verità
«Infidèle à sa couche».
Cymbeline.
Perché non ho un segretario al quale dettare fattianeddoti e nonragionamenti su queste tre cose? Ma oggi ho
scritto ventisette pagine e sono troppo stanco per raccontare nei particolarianeddoti veridi cui sono stato testimone e
che mi si affollano alla memoria.CAPITOLO XI
Andavo abbastanza spesso a correggere le bozze di De l'Amour nel parcodi Mme Doligny a Corbeil. Là
potevo sfuggire alle tristi fantasticherie. Appena finivo il mio lavororientravo in salotto.
Nel 1824 sfiorai la felicità. Pensando alla Francia nei sei o sette anni cheho passato a Milanosperando di non
rivedere Parigi insudiciata dai Borboniné la Franciami dicevo: «Unasola donna avrebbe potuto farmi perdonare a
quel paesela contessa Fanny Bertois». Nel 1824 l'amavo. Pensavamo l'unoall'altra da quando l'avevo vista a piedi nudi
nel 1814il giorno dopo la battaglia di Montmirail o di Champaubertmentreentrava dalla madrela M. de N.per
chiedere notizie. Ebbene! Mme Bertois era in campagna dalla sua amica MmeDoligny. Quando finalmente mi decisi a
mostrare il mio muso imbronciato in casa della Dolignyquesta mi disse:
«Mme de Bertois vi ha aspettato. Se n'è andata soltanto ieri l'altro acausa di una orribile disgrazia: ha perduto
una delle sue incantevoli figlie».
In bocca a una donna assennata come Mme Doligny queste parole avevano unsignificato importante. Nel 1814
mi aveva detto:
«Mme Bertois sa bene quanto valete».
Nel 1823 o [18]22 Mme Bertois mi faceva la cortesia di amarmi un po'. Ungiorno Mme Doligny le disse:
«Voi guardate spesso Beyle; se fosse più slanciatogià da tempo viavrebbe detto che vi ama».
Non era esatto. La mia malinconia guardava con piacere gli occhi così bellidi Mme Bertois. Nella mia
stupidità non andavo oltre. Non mi dicevo: «Perché questa donna miguarda?» Avevo dimenticato le ottime lezioni
d'amore che mi avevano dato un tempo lo zio Gagnon e il mio amico eprotettore Martial Daru. Lo zio Gagnonnato a
Grenoble verso il 1765era davvero un uomo affascinante. La suaconversazione era per gli uomini come un romanzo
enfatico ed elegantema era deliziosa per le donne. Era sempre piacevoledelicatocon quelle frasi che vogliono dir
tutto quando si vuole. Non aveva quella gaiezza che mette paura e che èdiventata la mia specialità. Era difficile essere
più gradevole e meno ragionevole dello zio Gagnon. Per questo non ha avutofortuna con gli uomini. I giovani lo
invidiavano ma non riuscivano ad imitarlo. Le persone maturecomedicono a Grenoblelo trovavano leggero. Parola
che distrugge una reputazione. Lo zioanche se era ultra come tuttala mia famiglia nel 1815 e anche se era emigrato
verso il 1792non è mai arrivato ad essere consigliere della Corte Reale diGrenoble sotto Luigi XVIII. E questo mentre
si riempiva quella Corte di malandrini come il notaio Faureeccecc. e digente che si faceva un vanto di non aver mai
letto l'abominevole Codice Civile della Rivoluzione. In compenso lo zio haavuto tutte le belle donne cheverso il 1788
facevano di Grenoble una delle più gradevoli città di provincia. Il celebreLaclos che ho conosciuto quando era un
vecchio generale d'artiglieria nel palco dello stato maggiore a Milano e alquale ho fatto la corte per via delle Liaisons
dangereusessi commosse sapendo che ero di Grenoble.
Mio zio dunquequando nel novembre 1799 mi vide partire per l'Ecolepolytechniquemi prese da parte per
darmi due luigi che io rifiutai. Questo gli fece piacere probabilmenteperché teneva sempre due o tre appartamenti in
città e poco denaro. Dopo di cheassumendo un'aria paterna che mi commosseperché aveva occhi bellissimidei grandi
occhi che diventano un po' strabici alla minima emozione:
«Mio caro»mi disse «tu ti credi una gran testasei pieno di un orgoglioinsopportabile per i tuoi successi
scolastici in matematicama tutto questo è niente. Nel mondo si va avantisolo per mezzo delle donne. Oratu sei brutto
ma non ti rimprovereranno mai la tua bruttezza perché è molto particolare.Le tue amanti ti pianteranno e allora tu devi
tenere bene a mente questo: che quando si è piantati si cade facilmente nelridicolo. Dopo di che uno è da buttar via agli
occhi delle altre donne del luogo. Entro ventiquattr'ore da quando ti hannopiantatofai una dichiarazione a un'altra
donna; in mancanza di megliofalla ad una cameriera».
Detto questo mi abbracciò e salii sulla diligenza di Lione. Magari mi fossiricordato degli ammonimenti di quel
grande stratega! Quanti successi mancati! Quante umiliazioni! Ma se fossistato abilesarei disgustato delle donne fino
alla nausea e di conseguenza della musica e della pittura come i miei duecontemporaneide la Rosière e Perrochin.
Sono arididisgustati dal mondofilosofi. Io inveceper tutto quel cheriguarda le donneho avuto la fortuna di rimanere
un gonzo come a venticinque anni.
Per questa ragione non mi farò mai saltare le cervella per disgusto dituttoperché la vita m'è venuta a noia.
Nella carriera lettararia vedo ancora una quantità di cose da fare. Ho tantilavori in mente da riempirne dieci vite. In
questo momentonel 1832il difficile è abituarmi a non lasciarmi distrarredal fatto di dover spillare una tratta di
ventimila franchi al cassiere delle spese centrali del tesoro a Parigi.
CAPITOLO XII
Non so chi mi condusse da M. de L'Etang. Mi sembra che si fosse fatto dareuna copia dell'Histoire de la
peinture en Italie con la scusa di una recensione nel Lycéeunodi quei giornali effimeri che nacquero a Parigi dopo il
successo della Edinburgh Review. Volle conoscermi.In Inghilterral'aristocrazia disprezza le lettere. A Parigi danno loro troppa importanza. Perdei francesi che
abitano a Parigi è impossibile dire la verità sulle opere di altri francesiche abitano a Parigi. Mi sono fatto otto o dieci
nemici mortali per aver detto ai redattori del Globesotto forma diconsiglio e parlando direttamente con loroche Le
Globe aveva un tono troppo puritano e che forse mancava un po' di spirito.
Un giornale letterario e coscienzioso come l'Edinburgh Review potrebbeesistere solo se venisse stampato a
Ginevra e diretto da uno che ha la testa di un commerciante capace dimantenere il segreto. Il direttore dovrebbe fare
ogni anno un viaggio a Parigi e ricevere a Ginevra gli articoli mese permese. Dovrebbe saper sceglierepagare bene
(duecento franchi a foglio stampato) e non far mai il nome dei suoiredattori.
Mi condussero dunque da M. de l'Etang una domenica alle due. Lui riceveva aquell'ora scomoda. Bisognava
salire novantacinque gradiniperché teneva le riunioni al sesto piano diuna casa che apparteneva a lui e alle sorellein
rue Gaillon. Dalle sue piccole finestre si vedeva soltanto una foresta dicomignoli in gesso nerastro. Secondo me una
delle vedute più bruttema le quattro camerette abitate da de l'Etang eranoadorne di incisioni e di oggetti d'arte curiosi
e piacevoli.
C'era un magnifico ritratto del cardinale Richelieu che guardavo spesso.Accanto c'era il faccione pesante
massiccio e ottuso di Racine. Quel grande poeta aveva provato i sentimenti ilcui ricordo è indispensabile per scrivere
Andromaque e Phèdre prima di diventare così grasso.
Da M. de l'Etangdavanti a un misero fuocherello (perché se ricordo bene funel febbraio 1822 che mi ci
portarono) trovai otto o dieci persone che parlavano di tutto. Fui colpitodal loro buon sensodall'acume e soprattutto
dal tatto finissimo del padrone di casa chesenza darlo a intenderedirigeva la discussione in modo che non parlassero
tre alla volta e che non si cadesse in momenti neri di silenzio.
Non saprò mai esprimere abbastanza la mia stima per quella compagnia. Non neho mai incontrata un'altra che
non dico le fosse superiorema che nemmeno le fosse paragonabile. Rimasicolpito la prima volta e forse venti volte
durante i tre o quattro anni che è rimasta in piedimi sono sorpreso aprovare la stessa ammirazione.
Una compagnia simile può esistere soltanto nella patria di VoltairediMolièredi Courier.
Non può esistere in Inghilterra perché in casa di M. de l'Etang avrebberoriso di un duca come di qualunque
altroe molto di più di un altro se il duca si fosse reso ridicolo.
E nemmeno in Germania dove si è troppo abituati a credere con entusiasmoalle sciocchezze filosofiche alla
moda (gli angeli di M. Ancillon). Del restoa parte l'entusiasmoi tedeschisono troppo stupidi.
Gli italiani avrebbero dissertatoognuno avrebbe continuato a parlare perventi minuti e sarebbe rimasto
nemico mortale del suo antagonista nella discussione. Alla terza sedutaavrebbero fatto sonetti satirici l'uno contro
l'altro.
Perché in quel gruppo la discussione era franca e decisa su tutto e contutti. Da M. de l'Etang erano tutti cortesi
ma per merito suo. Era spesso costretto a proteggere la ritirata degliimprudenti cheper cercare un'idea nuovaavevano
tirato fuori un'assurdità troppo grossa.
Con de l'Etang c'erano Albert StapferJ.-J. AmpèreSauteletLussinge.
M. de l'Etang è un carattere del tipo del buon vicario di Wakefield. Civorrebbero le mezze tinte di Goldsmith o
di Addison per darne un'idea.
In primo luogo è bruttissimo; specialmente per la fronte bassa e plebeacosa rara a Parigi; è ben fatto e
abbastanza alto.
Ha tutte le meschinità di un borghese. Se compra per trentasei franchi unadozzina di fazzoletti dal negoziante
all'angolodue ore dopo è convinto che i suoi fazzoletti siano una raritàe che a nessun prezzo se ne possano trovare di
simili a Parigi.