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VictorHugo


L'ULTIMOGIORNO DI

UNCONDANNATO






INTRODUZIONE


VictorHugo nacque il 26 febbraio 1802 a Besançon. Suo padreLeopold- Sigisberg Hugogenerale dell'esercito napoleonicoseguìin Italia e in Spagna Giuseppe Bonapartee i figli e la moglieSofia Trebuchetgli furono accanto nei suoi spostamenti. LaRestaurazione pose fine a questo vagabondare.

Dal1815 al 1818Victor visse a Parigi nel convitto Cordier dove ilpadre avrebbe voluto preparasse gli esami per essere ammessoall'Ecole Polytechnique. Egli uscì invece dall'Istituto benconvinto di dedicarsi alla letteratura e nel 1819 fondò con ilfratello Abel "Le Conservateur Littéraire". Nel 1822i suoi primi scritti di intonazione monarchica e cattolica "Odeset poesies diverses"gli fruttarono dal re Luigi Diciottesimouna pensione di 1000 franchi che fu accresciuta nel 1823 per lapubblicazione di "Han d'Island". Lo stesso anno sposòAdele Foucher. Da questo matrimonio nacquero cinque figli.

Sonodi questi anni i suoi primi contatti con i circoli romanticipariginiprimo fra tutti quello di Jacques Nodier alla Bibliotecadell'Arsenalè del 1827 il "Cromwell"il dramma lacui prefazione è considerata giustamente il manifesto dellenuove teorie romantiche.

Delletre unità aristoteliche egli mantiene la sola unità diazione che considera unica condizione necessaria per un'operadrammaticaproclama la necessità di riportare l'arte allaveritàparla di imitazione della naturadi introduzionedella storia nel drammadi verso espressivovariopieghevole.

Nel1830poiché il "Cromwell" era un dramma di troppovasta mole per essere rappresentatosulla base delle teorie esposteportò sulle scene l'"Hernani". Fu la battagliadecisiva e Victor Hugo fu riconosciuto capo della nuova scuolaromantica. Gli scritti si susseguirono allora numerosi: operedrammatiche ("Marion Delorme" 1831; "Le Roi s'amuse"1832; "Lucrece Borgia""Maria Tudor""RuyBlas"1838; un romanzo ("Nôtre Dame de Paris")4 volumi di versi ("Les feuilles d'automne" 1831; "Lechats du Crepuscule" 1835; "Les Voix Interieures"1837; "Les Rayon et les ombres" 1840)e nel 1841 divennemembro dell'Accademia Francese.

Dueavvenimenti interruppero nel 1843 per un decennio la sua attivitàletteraria: la morte di sua figlia Léopoldine e l'insuccessodel dramma "Les Burgraves"che determinò la suarinuncia al teatro.

Nel1845 venne nominato da Luigi Filippo Pari di Francianel 1848deputato all'Assemblea Costituentedove fu uno dei più fieriavversari del presidente Luigi Bonaparte. Ma il colpo di stato del1851 segnò per lui l'inizio dell'esiliodi quell'esilio chedoveva durare fino al 4 settembre 1870. Furono letterariamente annimolto fecondi: nel 1853 pubblicò "Les chatiments"aspra satira contro Napoleonenel 1856 "Les contemplations"nel 1859 la prima serie della "Légende des Siecles"(il seguito uscirà nel 1877 e nel 1883)nel 1862 "IMiserabili".

Rientròa Parigi dopo il crollo del Secondo Imperoentrò nel Senatonel 1876 e morì il 22 maggio 1884. Le sue esequie furonoun'apoteosi; la sua salma fu lasciata per una notte sotto l'Arco diTrionfo dei Campi Elisi e vegliata da dodici poeti.




Bicêtre



1.


Condannato amorte!

Sonocinque settimane che io vivo con questo pensiero: sempre solo conessosempre agghiacciato dalla sua presenzasempre curvo sotto ilsuo peso!

Untempopoiché mi sembra siano passati anni e non settimaneioero un uomo come tutti gli altri: ogni giornoogni oraogni minutoaveva le sue fantasie: e il mio spiritogiovane e riccosidivertiva a snodarmele davanti l'una dopo l'altra senza alcun ordineo regola ricamando di arabeschi infiniti il tessuto di questa miseravita.

Eranoragazzesplendide cappe d'arcivescovovinte battaglie e teatriilluminati e sonori; e ragazze ancora e solitarie passeggiatedinottesotto le larghe braccia dei castagni... Era sempre festa nellamia immaginazione: potevo sempre pensare a quel che volevoerolibero!

Orainvecesono carcerato.

Ilmio corpo è in catene in una cella e l'anima èprigioniera d'una idea: un'orribileatroceimplacabile idea: non hopiù che un pensieroche una convinzioneche una certezza:condannato a morte!

Qualsiasicosa io faccia questo pensiero infernale è sempre lìsolo e geloso ai miei fianchi come uno spettro di piombo che mitoglie ogni distrazionecon gli occhi sempre fissi nei mieisemprepronto a scuotermi con le sue mani di ghiaccio non appena vogliagirare la testa od abbassare le palpebre. Si insinua in tutte lemaniere là dove cerca di fuggirlo il mio spiritosi mischiacome un orribile ritornello a tutte le parole che mi rivolgonomiassedia quando sono svegliospia il mio sonno agitato e infine comeun orribile coltello mi appare nei sogni. Allora mi sveglio di colpoe balzando a sedere spaventato da tale visione esclamo: «Ahnon era che un sogno!».

Ebbeneprima ancora che i miei occhi pesanti abbian potuto aprirsiabbastanza per contemplare questo spaventoso pensiero scrittonell'orribile realtà che mi circondasul viscido e trasudantepavimento della cellanel pallido lume della lucernanella telagrossolana dei vestitisulla tetra figura del soldato di guardia lacui giberna luccica al di là dello spioncinomi sembra cheuna voce mi abbia mormorato all'orecchio: «Condannato amorte!».




2.


Fuuna bella mattina d'agosto

Eranotre giorni che il mio processo era iniziato: tre giorni che il mionome e il mio delitto richiamavano ogni mattino un nugolo dispettatori che venivano a calare sui banchi delle udienze come corviintorno a un cadaveretre giorni che tutta quella fantasmagoria digiudicidi testimonidi avvocatidi procuratori del re mi passavae ripassava davantialle volte grottesca e alle volte spaventosaesempre ad ogni modo cupa e terribile. Durante le due prime nottipiene di inquietudini e di terrorinon avevo potuto dormire; laterzaalla finedormii di noia e fatica. A mezzanotteinfattilasciati i giurati riuniti per deliberaremi avevano riportato sullapaglia della prigione e immediatamente ero piombato in unprofondissimo sonno d'oblio: dopo molti e molti giorni erano quellele prime ore di riposo.

Quandomi vennero a svegliare ero ancora nel più profondo del sonno.

Questavolta non bastarono davvero né i passi pesanti e le suolechiodate del secondino né il tintinnio del suo mazzo di chiaviné il rauco cigolìo del catenaccio: per farmi usciredal letargo in cui ero caduto ci volle la sua voce rude al mioorecchio e la sua mano pesante sul mio braccio: «Alzatevisu!».

Mialzai intontito e mi misi a sedere sul letto.

Inquel momentodalla stretta ed alta finestra della celia vidi sulsoffitto del corridoio vicinosolo cielo che mi fu dato intravederequel riflesso dorato in cui degli occhi abituati alle tenebre di unaprigione sanno così bene riconoscere il sole.

Ioamo il sole.

«E'una bella giornata»dissi al secondino. Egli restò unmomento senza rispondermicome se non sapesse se valesse la pena dispendere una parola; poi con qualche sforzo mormoròbruscamente: «Può darsi».

Restaiimmobilecoi sensi non ancora ben sveglila bocca sorridentel'occhio fisso su quel dolce riverbero che chiazzava il soffitto.

«Eccouna bella giornata» ripetei.

«Sìmi rispose quellobisogna andare».

Questepoche parolecome l'ostacolo che interrompe il volo di 'un insettomi rigettarono violentemente nella realtà: improvvisamenterividicome nel chiarore di un lampola cupa sala del tribunaleiltavolo a ferro di cavallo dei giudicii tre ordini di testimonidalle facce un poco ebetii due gendarmi ai capi del mio bancol'agitarsi delle toghe nereil formicolare delle teste della follain fondonell'ombrae il loro arrestarsi su di melo sguardo fissodi quei dodici giurati che avevano vegliato mentre io dormivo...

Mialzai: mi battevano i denti e mi tremavano le mani; e al primo passoche feci traballai come un facchino troppo carico.

Tuttaviaseguii il carceriere.

Idue gendarmi mi aspettavano sulla soglia della cella: rimessemi lemanette ne chiusero con cura la piccola complicata serratura mentreio li lasciavo fare.

Nell'attraversareun cortile interno l'aria viva del mattino mi rianimò. Alzaila testa: il cielo era azzurroe i raggi del solerotti dai lunghicaminidisegnavano delle grandi zone di luce sulla cima dei tristied alti muri della prigione: era bello davvero.

Salimmoper una scala a chiocciola; percorremmo un corridoiopoi un altropoi ancora un terzo; alla fine si aprì una piccola porta e unaaria calda e piena di brusio mi investì in viso: era il soffiodella folla nella sala del processo.

Entrai.

Allamia vista ci fu un rumore di armi e di voci e si spostaronorumorosamente le panche. Le ringhiere di legno scricchiolarono; ementre attraversavo la lunga sala tra due file di pubblico a stentotrattenuto dai soldatimi sembrò di essere come il centro alquale si attaccassero i fili che facevano muovere tutte quelle faccecuriose e protese. Proprio in quel momento mi accorsi di essere senzaferri; ma non riuscii più a ricordarmi né dove néquando me li avessero tolti.

Poisi fece un grande silenzio: ero giunto al mio posto. Nel momento incui il tumulto cessò tra la follacessò anche nellemie idee: e di colpo compresi chiaramente ciò che non avevofatto che intravvedere confusamente fino ad allora: che il momentodecisivocioèera arrivatoe che io ero là perascoltare la mia sentenza.

Nonso comema quest'idea non mi fece terrore. Le finestre erano apertee l'aria e il brusio della città arrivavano liberamente dafuori; la sala era chiara come per un giorno di nozze e gli allegriraggi del sole tracciavano qua e là la figura luminosa dellefinestreora allungata sul pavimentoora stesa sui tavoliorarotta nell'angolo del muro. I giudiciin fondo alla salaavevanol'aria soddisfatta: per la gioiaprobabilmentedi aver quasifinito. Il viso del presidentedolcemente rischiarato dal riflessodi un vetroaveva qualcosa di calmo e di buono; e un giovaneassessoregualcendo il collarinodiscorreva quasi allegramente conuna graziosa signora in cappellino rosa che se ne stava dietro dilui.

Soloi giurati sembravano pallidi e abbattuti: ma eracome sembravaperla fatica di aver vegliato tutta la notte: qualcuno infattisbadigliavae niente faceva sospettare in loro degli uomini chestessero per pronunciare una sentenza di morte: nell'aspetto di queibuoni borghesi io non leggevo che una gran voglia di dormire.

Difronte a me una finestra era completamente spalancata: sentivo rideredelle fioraie sulla strada; e sul davanzaleun piccolo fiore giallotutto pieno di sole giocava con il vento in una crepa. Come avrebbemai potuto nascere un'idea sinistra in mezzo a immagini tantopiacevoli?

Inondatodi aria e di sole non mi fu possibile pensare ad altro che allalibertà: la speranza mi brillava nel cuore come il giornoall'intorno etranquilloaspettavo la sentenza come si aspettano laliberazione e la vita.

Nelfrattempoatteso già da un pocoera giunto il mio avvocato.

Presoalfine il suo posto si piegò verso di me con un sorriso.

-Io spero - mi disse.

-Non è vero?! - risposi allegro e sorridendo anch'io.

-Sì- riprese - non so ancora niente della loro motivazione macerto hanno dovuto escludere la premeditazione; e allora non sarannodi sicuroche i lavori forzati.

-Ma cosa dite mai?! - replicai indignato - piuttosto cento volte lamorte!

Sìla morte!

Edel restomi ripeteva una voce da dentrocosa rischio a direquesto? Si è mai pronunciata sentenza di morte se non amezzanotteal lume delle torcein una sala tetra e nera durante unafredda e piovosa notte d'inverno? Nel mese di agostoalle otto delmattinocon una così bella giornata e questi buoni giuratisuvviaè impossibile! E i miei occhi tornavano a fissarsi sulpiccolo fiore giallo che tremava al sole.

D'improvvisoil presidenteche non aspettava che l'avvocatomi invitò adalzarmi. I soldati presentarono le armi e come per una scossaelettrica tutta l'assemblea fu in piedi nello stesso istante.

Unafigura scialba e insignificante sistemata in un tavolo al di sottodel tribunale (il segretarioio penso) prese allora la parola elesse il verdetto che i giurati avevano pronunciato durante la miaassenza.

Unsudore freddo uscì da ogni parte del mio corpo e mi dovettiappoggiare al muro per non cadere.

-Avvocato- chiese il presidente- avete qualcosa da diresull'applicazione della pena?

Ioavrei avuto tutto da direio; ma non mi venne nientee la lingua mirimase incollata al palato.

Sialzò allora il mio difensore.

Capiiche cercava di attenuare la dichiarazione della giuria e di farsostituire alla pena richiesta quell'altra che io ero cosìindignato di vedergli sperare.

Bisognache l'indignazione fosse ben forte per farsi strada attraverso lemille emozioni che si contendevano la mia attenzione: volli infattiripetere ad alta voce quel che gli avevo già detto: -Piuttosto la morte!- ma mi mancò il fiato; e non potei faraltro che fermarlo bruscamente per il braccio gridando con forzaconvulsa: - No!- Il procuratore generale ribatté all'avvocatoe io lo ascoltai con soddisfazione insensata; e poi i giudiciuscironopoi rientraronoe il presidente mi lesse la sentenza.

-Condannato a mortedisse la folla; e mentre mi portavano fuoritutta quella gente si rovesciò sui miei passi con il fragoredi un edificio che crolla.

Camminavoebbro e intontito: dentro di me era avvenuta una rivoluzione: finoalla condanna a morte mi ero sentito respirarepalpitarevivere inmezzo a tutti gli altriora invece distinguevo chiaramente come unabisso tra me e il mondo. Niente mi appariva più sotto lostesso aspetto di prima. Quelle ampie e luminose finestrequel belsolequel cielo serenoquel fiore graziosotutto era pallido ebianco come un sudario; e quegli uominiquelle donnequei bambiniche si accalcavano al mio passaggio mi sembravano fantasmi.

Infondo alla scala mi aspettava una nera e sudicia vettura. Al momentodi salirvi guardai per caso nella piazza: - Un condannato a morte! -gridavano i passanti correndo verso la vettura; e attraverso la nubeche mi sembrava essersi frapposta tra me e le cosedistinsi dueragazze che mi seguivano con gli occhi avidi: - Benedisse la piùgiovane battendo le manisarà tra sei settimane.




3.


Condannatoa morte!

Ebbeneperché no? Gli "uomini"mi ricordo di aver letto innon so più che libro dove non c'era che quello di buono"gliuomini sono tutti dei condannati a morte con delle dilazioniindefinite". Che c'è dunque di così cambiato nellamia situazione?

Dalmomento in cui è stata pronunciata la mia condanna quantagente è morta che si preparava a una lunga vita! Quanti mihanno precedutochegiovaniliberi e sani contavano di andare avedere rotolare la mia testail tale giornoin «place deGrève!» Quanti forse mi precederanno di quelli che oracamminano e respirano all'aperto ed entrano ed escono quandovogliono!

Epoiche cosa ha maidunquedi così desiderabile la vita perme?

Lagiornata piena di tristezza e il pane nero della prigionela razionedi brodaglia sorbita nella tinozza dei galeottil'esserestrapazzatoioche ho avuto una educazione raffinatal'esseresvillaneggiato da secondini e guardia-ciurmanon vedere essere umanoche mi creda degno di una parolatrasalire senza posa per quel cheho fattoe quel che mi faranno: ecco quapiù o menoi solibeni che il boia mi possa ormai togliere.

Ah!ma non importa: è orribile ugualmente!




4.


Lavettura nera mi trasportò quiin questa odiosa «Bicêtre»

Vistoda lontano l'edificio ha qualcosa di maestoso: si stendeall'orizzontedavanti a una collinaeda distanteconserva ancoraun po' del suo antico splendoreun'aria da castello reale. Ma a manoa mano che ci si avvicina al palazzo diventa sempre più unacatapecchia: i muri in rovina feriscono la vistae un non so che disquallido e laido ne deturpa tanto la facciata regale che si direbbeche i muri siano rosi come da una lebbra; niente più impostené vetrima robuste inferriate a cui si aggrappa qualchepallida e macilenta figura di un galeotto o di un pazzo. E' la vitavista da vicino.




5.


Appenaarrivatodelle mani di ferro si impadronirono di me. Simoltiplicarono le precauzioni:

nientecoltello e niente forchetta per mangiare; e la camicia di forzaunaspecie di sacco di telacanapaimprigionò le mie braccia: sirispondeva infatti della mia vita. Avevo ricorso in cassazione e sipoteva avere sulle spalle questa noiosa faccenda per sei o settesettimane: l'importante era dunque di conservarmi sano e salvo per la«place de Grève».

Iprimi giorni mi trattarono con una dolcezza che mi riuscivaterribile: gli sguardi di un carcerieresi voglia o nopuzzanosempre di cadavere. Per fortunaperòdopo solo poco tempol'abitudine riprese il sopravventoe mi confusero con gli altriprigionieri in una comune brutalità senza più usarmiquelle insolite e così diverse cortesie che continuamenterimettevano il boia davanti ai miei occhi. Né questodelrestofu il solo miglioramento: la mia giovinezzala mia docilitàle cure del cappellano della prigione e soprattutto qualche parola inlatino rivolta al carceriere senza che quello ne abbia mai capitonientemi aprirono ben presto la passeggiata con gli altri detenutiuna volta alla settimana e fecero sparire la camicia in cui eroimmobilizzato. Infinedopo molte esitazionimi diedero persinodella carta da scriverel'inchiostrouna penna e una lucerna.

Eancoratutte le domenichedopo la Messami si lascia nel cortiledurante la ricreazionedoveper forzadiscorro con i detenuti.Sono buona gentepoveretti.

Miraccontano le loro «carovane»: cose da far rabbrividirese non sapessi che si vantano; e mi insegnano a parlare in gergoa«batter l'incudine»come dicono. E' tutta una linguafiorita sulla lingua normalecome una specie di nauseanteescrescenzacome un bubbone.

Qualchevolta però c'è in essa anche un'energia singolareunche di orribilmente pittoresco: «c'è del vino sul solco»(del sangue sul cammino)essi diconooppure «sposare lavedova» (essere impiccato)come se la corda della forca fossevedova di tutti gli impiccati. La testa di un ladropoiha duenomi: «la Sorbona» quando meditastudia ed elabora il«colpo»; il «ceppo» quando il boia la taglia.

Altrevolte si tratta di spirito di farsa: «un fazzoletto di vimini»è il paniere del cenciaiolo«la bugiarda» èla lingua; ma soprattuttosemprein ogni momento sono parolebizzarremisteriosesordide e laidenate chissà dove: il«taule» (il boia)la «cone» (la morte)il«cartello» (la piazza delle esecuzioni): un linguaggio darospi che ti avvolge come una ragnatela. Quando si sente parlarequesta linguasi ha l'impressione di qualcosa di sporco e di luridodi un mucchio di stracci che si vorrebbe togliere di mezzo al piùpresto possibile.

Maalmeno questi uomini mi compiangono. E sono i soli. I carcerieriisecondinii guardiani discorrono e ridono; e parlano di medavantia mecome di una cosa.




6.


Mison detto: dal momento che ho la possibilità di scrivereperché non farlo? Già! ma che scriverepoi? Chiuso traquattro mura di pietra nude e freddesenza libertà dimovimentosenza orizzonte per i miei occhitutto il giornooccupatoper unica distrazionea seguire macchinalmente illentissimo corso del riquadro biancastro che lo spioncino della portadisegna sul viscido muro di frontesempre solo con un'unica ideacon l'idea del delitto e della penadell'assassinio e della mortepotrei forse avere qualcosa da direioche non ho più nienteda fare in questo mondo? E che troverei in questo cervello inariditoe vuoto che valga la pena di essere scritto?

Eperché nopoi? Se tuttointorno a meè monotono esenza colorenon ho forsedentrouna tempestauna lottaunatragedia? Questa idea fissa che mi possiede non mi si presenta forsead ogni orain ogni istantesotto un nuovo aspettosempre piùodiosa e spietata a mano a mano che si avvicina il mio ultimoistante? Perché mai tenterò di dire a me stesso tuttociò che io provo di violento e di strano nella disperatasituazione in cui sono? Certo la materia è abbondante eperbreve che sia ormai la mia vitaci sarà bene con le angoscei terrori e le torture che ancora la devono certo riempiredi cheusare questa penna e svuotare questo calamaio! Del resto il solomezzo per soffrire meno è proprio osservare le proprieangosce; e il dipingerledunquein qualche modo mi distrarrà.E poiquello che scriverò potrebbe anche non essere inutileforse. Questo diario delle mie sofferenzeredatto ora per oraminuto per minutosupplizio per suppliziose avrò la forzadi condurlo fino al momento in cui mi sarà «fisicamente»impossibile continuarequesta storianecessariamente interrotta mail più possibilmente completa delle mie sensazioninon potràforse contenere un grande e profondo insegnamento?

Nonci sarà dunque in questo processo verbale di un pensiero inagoniain questa progressione sempre crescente di doloriin questaspecie di autopsia intellettuale di un condannato a mortepiùdi una lezione per coloro che tranquillamente condannano? Forsequesta lettura renderà loro la mano meno facile quando sitratterà di gettare qualche altra volta una testa che pensala testa di un uomosu quella che loro chiamano la bilancia dellagiustizia? Possibile che non abbiano mai pensatoi disgraziatiallalenta successione di torture che nasconde la formula spiccia di unacondanna a morte? Non si siano mai fermati a riflettereanche soloper un istanteintorno all'idea acutamente dolorosa che nella testache loro tagliano c'è un'intelligenza: un'intelligenza cheaveva contato sulla vitaun'anima che non si è affattopreparata a morire ? No. Loro non vedono in tutto questo che lacaduta a piombo di un coltello a mezza luna e pensano di certo che ilcondannato non ha niente davanti a séniente dietro di sé.

Questifogli li disinganneranno: pubblicati forse un giornofermerannoinfine la loro attenzione per qualche istante sulle sofferenze dellospirito: poiché infatti sono queste che loro non sospettanoné immaginano affatto. Loro godonotrionfanti di poteruccidere senza quasi far male; come se proprio di questo sitrattasse!

Cos'èmaiinfattiil dolore fisico paragonato a quello morale?

Ohl'orrore e la pietà delle leggi fatte in un simile modo! Maverrà il giorno in cui... e forse queste memorieultimeconfidenti di un miserabilevi avranno contribuito.

Ameno chedopo la mia morteil vento non giochi nel cortile conquesti pezzi di carta imbrattati di fango o che essi abbiano amarcire sotto la pioggia incollati sui vetri rotti di qualchefinestra di un carceriere.




7.


Chequello che qui scrivo possa un giorno essere utile ad altrio possafermare il giudice sul punto di giudicareo salvare dei disgraziatiinnocenti o colpevolidall'agonia alla quale io sono condannatoinfondoche mi interessa?

Quandola mia testa sarà stata tagliata che m'importasuvviachenon se ne taglino altre? Posso io dunque aver pensato davvero asimili follie? Abbattere il patibolo dopo esservi salito! Belguadagno ne ricaverei!

Ahil solela primaverai prati pieni di fiorigli uccelli che sisvegliano al mattinole nuvolegli alberila naturala libertàla vitatutto questo non è più per me! Ahsono io chemi devo salvaresono io!

E'mai possibile che ciò non si possache io debba moriredomanioggi stesso magariche le cose stiano proprioineluttabilmente così?

MioDio che terribile idea; da spaccarsi la testa contro il muro dellaprigione.




8.


Vediamodunquecosa mi resta.

Tregiorni di dilazione dopo la condanna per il ricorso in cassazione.

Ottogiorni d'oblio negli uffici della corte d'Assisedopo di chele«pratiche»come essi diconosono inviate al ministro.

Quindicigiorni di attesa presso il ministro che non sa nemmeno che esistonoma che tuttavia si suppone le trasmettadopo attento esameallaCorte di cassazione.

Làclassificazionenumerazioneregistrazione;poiché laghigliottina è affollatasi saed ognuno deve passare quandoè il suo turno.

Quindicigiorni per vigilare che non abbia un trattamento di privilegio!

Infinela corte si riuniscein genere al giovedì: rigetta ventiricorsi in massa e rinvia il tutto al ministro; questi la rinvia alprocuratore generaleil procuratore generale al boia. Tre giorni. Lamattina del quartoil sostituto del procuratore generale si dicemettendosi la cravatta:

-Bisogna pure che questo affare finisca!...

Allorase il vice cancelliere non ha qualche pranzo da amici che lo tengaimpegnatol'ordine di esecuzione è abbozzatoredattomessoin bella copia e spedito; e l'indomani mattina all'alba nella «placede Grève» si sente martellare un carpentiere e agliincroci urlare a piena voce i banditori arrochiti. In tutto seisettimane: la ragazzina aveva ragione. Oraecco sono almeno cinquesettimaneforse sei (non ho il coraggio di contare) che mi trovo inquest'orribile postoe mi sembra che tre giorni fa fosse giovedì.




9.


Devofare testamento.

Maa che pro? Io sono condannato alle spese: e tutto quello che possiedobasterà appena appena: la ghigliottina è infatti moltocaraa quel che sembra.

Lasciodunque una madreuna moglie e una figlia.

Unabimbetta di tre annidolcerosea e delicatacon due grandi occhineri e dei lunghi capelli castani: quando la vidi l'ultima voltaaveva due anni e un mese.

Ecosìdopo la mia mortetre donne senza figliosenza maritosenza padre: tre orfane di specie diversatre vedove per colpa dellalegge.

Ammettobenissimo che io sia stato giustamente punito: ma queste innocentiche hanno mai fatto? Perché mai vengono disonorate e mandatetranquillamente in rovina? Perché vuole così lagiustizia? Del resto non è per la mia povera vecchia mamma chemi preoccupo: ha settantaquattro anni e certo morirà dicrepacuore. O se riuscirà ancora a vivere un po'purchéabbia fino alla fine un poco di cenere calda dentro il suo scaldinonon dirà mai niente.

Népiù mi preoccupa mia moglie chemalaticcia e debole com'èsempre statasicuramente anche lei morrà.

Ameno che non impazzisca. Si dice che questo faccia vivere; mal'intelligenzaalmenonon soffre: dorme; e in fin dei conti ècome se fosse morta.

Mamia figliala mia bimbala mia povera piccola Mariache aquest'ora ride e gioca e canta e non pensa a nienteè leièlei che mi fa male.




10.


Eccodunque qui la mia cella.

Ottopiedi quadrati. Quattro muri di pietra viva che si appoggiano adangolo retto su un pavimento sopraelevato di un gradino rispetto alcorridoio esterno.

Adestra della portaentrandouna specie di nicchia che forma unaparodia di alcova. Ci si butta una bracciata di paglia e si pensa cheil prigioniero possa dormirvi e riposarevestito com'èestate e invernodi un paio di calzoni di tela e di una casacca ditraliccio.

Soprala testaal posto del cielouna nera volta ogivaè cosìche si chiamada cui le ragnatele pendono come se fossero stracci.

Peril resto né finestra né spiragli: solo una porta tuttacoperta di ferroal centro della qualec'è una piccolissimaapertura difesa da una inferriata che il carcerieredi nottepuòchiudere.

Difuori un corridoio piuttosto lungorischiarato e aerato da stretteferitoie ricavate nell'alto del muro e diviso come tantiscompartimenti comunicanti tra loro per mezzo di bassissime porte:

ognunodi questi scompartimenti serveper così direda anticamera auna cella come la mia. E' in queste celle che si mettono i forzaticondannati alla segregazione per indisciplinama le tre prime sonoriservate ai condannati a morte poiché essendo piùvicine al corpo di guardiasono più comode per i secondini.

Questecelle sono tutto quello che resta dell'antico castello di Bicêtrecostruito nel quindicesimo secolo dal cardinale di Winchesterlostesso che fece bruciare Giovanna d'Arco. Così almeno hosentito dire da alcuni «curiosi» che sono venuti avedermi l'altro giorno nella mia tanae che mi guardavano da lontanocome una bestia da serraglio. Il secondino ci ha guadagnato centosoldi.

Midimenticavo di direpoiche alla porta c'è una sentinellanotte e giornoe che i miei occhi non possono alzarsi verso lospioncino senza incontrare i suoi sempre fissisbarrati su di me. El'aria e la luce del giorno si possono appena immaginare in questabotte di pietra.




11.


Poichéil giorno ancora non appareche fare della notte? Mi è venutaun'idea: mi sono alzato ed ho portato in giro la mia lampada suiquattro muri della cella: sono tutti coperti di frasidi disegnidifigure bizzarredi nomi che si accavallano l'uno sull'altro: acarbonea matitacol gessolettere nerebianchegrigiespessoprofonde incisioni nel sassoe qua e làa voltedeicaratteri rossastri che si direbbero scritti col sangue. Certo se nonavessi ben altro cui pensare sarebbe interessante davvero questostrano libro che si sfoglia ai miei occhipagina per paginasu ognipietra della prigione. Mi piacerebbe ricomporre in un tutto questiframmenti di pensiero sparsi sulla muragliae ritrovare un uomosotto ogni nome e ridonare senso e vita a queste iscrizioni mutilatee smembratea queste parole troncatecorpi senza testacome quelliche le hanno scritte. Sopra il mio letto ci sono due cuorifiammeggiantitrapassati da una frecciae sotto: «Amore pertutta la vita». Il disgraziatoper la veritànonprendeva un impegno troppo lungo.

Difianco una specie di cappello a tre punte con una piccola figuradisegnata sotto grossolanamente e le parole: «Vival'imperatore!».

Ancoradue cuori fiammeggianti e questa iscrizionestrana in una prigione:«Io amo e adoro Mathieu Dauvin. Jacques».

Sulmuro di fronte si legge questo nome: «Papavoine»; e il Pmaiuscolo è tutto arabescato e abbellito con cura.

Ilritornello di una canzone oscena.

Uncappello frigio inciso profondamente nella pietra e queste parolesotto: «Bories - La Repubblica»: era uno dei quattrosottufficiali della Rochelle. Povero giovane! Quanto sono odiose lecosiddette necessità politiche! Per una ideaper un sognoper un'astrazionequesta orribile realtà che si chiamaghigliottina! Ed io che mi lamentoiomiserabileche ho commessoun vero delittoche ho versato del sangue!

Manon continuerò nella mia ricerca: ecco che ho vistodisegnatoin bianconell'angolo di un muro un'immagine spaventosala figuradel palco chea quest'orapuò darsi si rizzi proprio per me.

Perpoco la lampada non mi è caduta di mano.




12.


Sonocorso precipitosamente a sedermi sulla paglia con la testa tra leginocchia. Poisvanita poco per volta la mia paura di bimbomi haripreso una strana curiosità di continuare la lettura delmuro.

Vicinoal nome di Papavoine ho strappato un'enorme ragnatela tesanell'angolo e sono apparsi quattro o cinque nomi perfettamenteleggibili insieme ad alcuni altri di cui non resta che una lievissimatraccia: «Dautun1815. Poulain1818. Jean Martin1821.Castaing1823.».

Holetto questi nomi e mi sono venuti in mente lugubri ricordi:

Dautunquello che aveva tagliato a pezzi il fratello e che di notte andavain giro per Parigi gettando la testa in una fontana e il tronco inuna fogna; Poulainquello che aveva assassinato sua moglie; JeanMartincolui che sparò un colpo di pistola a suo padre mentreil povero vecchio stava aprendo una finestra; Castaingil medico cheaveva avvelenato l'amico e checurandolo durante l'ultima malattiache gli aveva procuratoinvece di medicine gli somministrava dinuovo veleno; e Papavoinel'orribile pazzo che uccideva i bambini acolpi di coltello in testa!

Eccomi dicevoe un brivido di febbre mi correva per la schienaecco gliospiti che mi hanno preceduto in questa cella. E' quasullo stessopavimento su cui sono ioche quei sanguinari assassini hanno pensatoi loro ultimi pensieri; è intorno a questi muriin questostretto quadrato che si sono aggirati come belve inferocite.

Ecome si sono succeduti a brevi intervalli: si direbbe quasi che lacella non si vuoti mai ed abbian lasciato il posto caldo. A me lohanno lasciato. E anch'io andrò a raggiungerli al cimitero diClamart dove l'erba cresce così bene!

Ionon sono né visionario né superstizioso; ed èanche probabile che queste idee mi dessero un po' di febbre; ad ognimodoil fatto è che mentre ero preso da queste immaginazionitutt'a un tratto mi sembrò che questi terribili nomi fosseroscritti con il fuoco sul nero del muro; un tintinnio sempre piùprecipitoso mi risuonò nelle orecchieun bagliore rosso miriempì gli occhi... e mi sembrò che la prigione fossepiena di uoministrani uomini che portavano la loro testa con lasinistrae la portavano per la bocca poiché non avevacapelli.

Tuttitranne il parricidami mostravano il pugno.

Conorrore chiusi gli occhi; e tutta la scena allora mi parve ancora piùchiara.

Sognovisione o realtàsarei impazzito se una brusca impressionenon mi avesse risvegliato in tempo. Stavo quasi per cadere riversoquando sentii strisciare sui miei piedi nudi un ventre freddo e deipiedi vellutati: era il ragno che avevo disturbato e che fuggiva.

Questomi ha risvegliato dall'incubo.

Glispaventosi spettri! Ma noera una nebbiauna immaginazione del miocervello vuoto ed esaltato; chimere alla Macbeth! I morti sono morti;questi sopra tutto.

Essison ben incatenati nella tombae quella non è una prigione dacui si possa evadere!

Macome può allora essere che io abbia avuto così tantapaura? La porta del sepolcro non si apre dal di dentro!




13.


Alcunigiorni fa ho visto una cosa disgustosa. Era appena giornoe laprigione era piena di rumori. Si sentivano aprire e chiudere lepesanti portestridere i chiavistelli e le catene di ferrotintinnare i mazzi di chiavi appesi alla cintura dei secondinietremare le scale dall'alto in basso sotto il peso di passiprecipitosi e voci che si chiamavano da un capo all'altro dei lunghicorridoi.

Imiei vicini di cellai forzati in segregazioneerano piùallegri del solito. Tutta Bicêtre pareva riderecantarecorreredanzare.

Iosolo muto in tutto quel fracassosolo immobile in quel tumultoattento e stupitoascoltavo.

Passòun secondino. Mi azzardai a chiamarlo e a chiedergli se in prigioneera festa.

-In un certo sensosì! - mi rispose. - E' oggiinfattichesi ferrano i forzati che devono partire per Tolone: se volete vedereavrete da divertirvi.

Perla verità uno spettacoloper odioso che fosseera una verafortuna per un recluso solitario: e accettai il divertimento.

Presele solite precauzioni per assicurarsi di meil guardiano mi portòin un'altra piccolissima cella completamente vuota e con una finestrachiusa da sbarre: ma una vera finestraad ogni modoad altezzad'uomoe attraverso cuirealmentesi poteva vedere il cielo.

-Ecco - mi disse - da qui vedrete e sentirete e sarete solo nellavostra stanza come il re nel suo palco.

Poiuscì e chiuse su di me serraturecatenacci e chiavistelli.

Lafinestra dava su di un ampio cortile ai lati del quale si alzava comeuna muraglia un grande edificio a sei piani in pietra viva.

Nientedi più squallidodi più nudodi più miserabileche la vista di quella quadruplice facciata forata da una moltitudinedi inferriate alle quali si tenevano incollati dal basso in alto unafolla di visi pallidi e magrischiacciati gli uni sopra gli altricome le pietre di un muro e tutti incorniciatiper così direnei riquadri delle sbarre di ferro. Erano i prigionieriglispettatori della cerimonia che aspettavano di diventare attori a lorovoltae sembravano anime in pena agli spiragli del purgatorio chedanno sull'inferno.

Tuttiguardavano in silenzio il cortile ancora vuoto e aspettavano; qua elàtra le figure pallide e dolenti brillavano degli occhivivi e pungenticome di fuoco.

Ilquadrato delle prigioni che formano il cortile non si chiude su sestesso: uno dei quattro bracci dell'edificioinfattièinterrotto nel centro e non si riattacca al successivo che tramite uncancello che si apre su di un secondo cortile più piccolo delprimo e come quello recintato da muri nerastri. Tutt'intorno alcortile principaleaddossati al murocorrono dei sedili di pietra enel mezzo si innalza un palo di ferro ricurvo destinato a sostenereuna lanterna.

Suonòmezzogiorno. Un grande portone nascosto da una rientranza si aprìdi colpoe con un sordo rumore di ferraglie entròpesantemente un carretto scortato da alcuni soldati sporchi ed untiin divisa blu con spalline rosse e bandoliere gialle: la ciurma e lecatene.

Nellostesso istante come se quel rumore avesse risvegliato tutti i rumoridella prigionegli spettatori delle finestrefino ad allorasilenziosi ed immobiliscoppiarono in grida di gioiain canzoni ein minacce miste a scrosci di risa strazianti. Su ogni viso c'era unasmorfia: i pugni protesi fuori dalle sbarretutti urlanti a pienavocetutti con gli occhi iniettati di sangue. Sembravano demoni.

Gliaguzzinitra i quali si potevano distinguereper i vestiti borghesie la loro pauraalcuni curiosi venuti da Parigisi misero intantotranquillamente al loro lavoro: uno di essi salì sul carro ecominciò a lanciare ai compagni le catenei collari daviaggio e i pacchi di pantaloni di tela; poi si divisero tra loro levarie incombenze; gli uni andarono a stendere in un angolo delcortile le lunghe catene che chiamavano nel loro gergo gli spaghi;gli altri spiegarono sull'acciottolato i taffetasle camicie e ipantalonimentre i più abili andavano esaminando a uno a unosotto l'occhio del loro capitanoun vecchio basso e atticciatoicollari di ferro che provavano infine facendoli tintinnare sui sassi.Il tutto tra le acclamazioni ironiche dei prigionierila cui vocenon era dominata che dalle risate sguaiate dei forzati per i quali sifacevano tutti quei preparativi e che si vedevanoin fondoallefinestre della vecchia prigione che dà sul cortile piùpiccolo.

Quandoinfine si terminòun signore tutto ricamato d'argento chechiamavano signor ispettore diede un ordine al direttore dellaprigione; e un attimo dopo due o tre porte basse vomitarono quasicontemporaneamentein un turbine impetuosoun nugolo di uominilaidiurlanti e cenciosi: i forzati.

Aquella vistaraddoppiamento di gioia alle finestre. E alcuni diloroi grandi nomi del bagnofurono addirittura salutati daacclamazioni e applausi che loro ricevevano con una specie di fieramodestia.

Lamaggior parte dei forzati aveva una specie di cappelli intrecciatidalle loro stesse mani con la paglia della cellasempre in una formastranaaffinchénei paesi dove si sarebbe passatiilcappello facesse notare la testa: e quelli erano ancor piùapplauditi. Unosoprattuttosuscitò particolarimanifestazioni di entusiasmo: un giovanotto di diciassette anni conun viso di ragazza che usciva allora dalla cella dove era statosegregato per otto giorni; del suo materasso di paglia si era fattoun vestito che lo copriva dalla testa ai piedi ed entrò nelcortile facendo la ruota su se stesso con l'agilità di unserpente. Era un saltimbanco condannato per furtoe al suo apparireci fu uno scoppio di applausi e di grida di gioia. La societàaveva un bell'essere làrappresentata dalle guardie e daicuriosi spaventati: il delitto le sghignazzava in facciae diquell'orribile castigo ne faceva una festa di famiglia.

Intantoa mano a mano che i forzati arrivavanovenivano spintitra due filedi guardia-ciurmanel cortiletto con la cancellata per la visitamedica. Era là che tutti quanti facevano un ultimo disperatotentativo per evitare il viaggio allegando qualche misera scusa: gliocchi malatila gamba sozzala mano mutilata o che altro so io;quasi sempreperò erano trovati buoni per il bagno ed allorain pochi momentisi rassegnavano tranquillamentedimenticando in unminuto la pretesa infermità di tutta la vita.

Dopoun po' il cancello del piccolo cortile si aprìun guardianofece l'appello in ordine alfabetico e tutti i forzati ad uno ad unouscirono e si andarono a mettere in piedi in un angolo del cortilevicino ad un compagno assegnato dal caso della lettera iniziale:cosìdi colpoognuno si vide realmente ridotto da solo conse stessoognuno con la propria catena per séfianco afianco con uno sconosciuto; poichése per caso qualcuno avevaun amicola catena lo separava.

Quandone furono usciti una trentina il cancello fu rinchiuso di nuovo; unguardiano li allineò con il suo bastonegettò davantia ognuno una camicia e dei pantaloni di tela grossolanafece unsegnoe tutti cominciarono a svestirsi.

Proprioin quel momento un nuovo accidente inatteso venne a mutarel'umiliazione in tortura. Fino ad allorainfattiil tempo era statoabbastanza buonoe il vento d'ottobre benché raffreddassel'ariadi tanto in tanto apriva qua e là nelle brumegrigiastre del cielo qualche spiraglioda cui cadeva un raggio disole. Ma non appena i forzati si furono spogliati dei loro cencinelmomento in cui si offrivano nudi e in piedi alla vista sospettosa deisecondini e agli sguardi dei curiosi che giravano loro intorno peresaminare le spalleil cielo si oscuròe sulle loro testescopertesulle povere membra nudesui loro miseri stracci sparsisull'acciottolatoimprovvisoa torrentiscrosciò un freddoacquazzone autunnale.

Inun batter d'occhiomentre i curiosi di Parigi correvano a ripararsisotto le tettoie delle portelo spiazzo fu vuoto di tutti coloro chenon erano guardiani e galeotti.

Intantola pioggia cadeva a fiotti e non si vedevano piùnel cortileche i forzati nudi e grondanti sul selciato sommerso. Un cuposilenzio era seguito alle loro rumorose bravate: tremavano ebattevano i dentile loro gambe magre e i ginocchi si urtavanoinsieme; e faceva una tale pena veder mettere sulle loro membraillividite quelle camicie inzuppatequelle vestiquei pantalonigocciolanti di pioggia ché la nudità sarebbe sembrataaddirittura migliore.

Unosoloun vecchioaveva conservata qualche allegria e andavagridandomentre si asciugava con la camicia bagnatache quello nonera nel programma. Poi cominciò a ridere mostrando i pugni.

Quand'ebberoindossati gli abiti da viaggioli portarono in squadre di venti otrenta nell'altro angolo dello spiazzo dove c'erano i cordoniallungati per terra.

Sonoquesti cordonidelle lunghe e robuste catene interrottetrasversalmente ogni due piedi da un'altra catena più cortaalle cui estremità è attaccato un collare quadrato chesi apre per mezzo di una cerniera applicata ad uno degli angoli echeper tutto il viaggiosi chiude nell'angolo opposto con unbullone di ferro ribadito sul collo del galeotto. Quando sono stesisembrano delle grandi lische di pesce.

Isecondini fecero dunque sedere i forzati nel fangosull'acciottolatobagnatoe si misero a provare loro i collari; poi due fabbri dellaciurmaarmati di piccoli incudinicon grandi colpi di mazza glieliribatterono a freddo. E' un momento terribilein cui anche i piùarditi impallidiscono: ogni colpo di martelloinfattivibratosull'incudine appoggiata alle loro schiene fa rimbalzare il mento eun minimo movimento all'indietro farebbe loro saltare il cranio comeun guscio di noce.

Dopoquest'operazione diventarono taciturni; non si sentiva più cheil tintinnare delle catene eogni tantoun grido e il colpo sordodel bastone del guardia-ciurma sulle membra dei recalcitranti;qualcunoallorapiangevama i vecchi tremavano e si mordevano lelabbra. Io li guardavo e avevo terrore di tutti quei profili sinistrinelle loro cornici di ferro.

Ecosìpensavodopo la visita del medico la visita deisecondini; dopo la visita dei secondinila ferratura. Tre atti perquesto spettacolo orribile...

Aun tratto riapparve un raggio di sole: e sembrò che il fuocoentrasse in tutti quei cervelli. I forzati si rialzaronoimmediatamente come in un moto convulso; i cinque cordoni si preseroper mano e in un momento formarono un gran cerchio intorno al palodella lanterna. Cantavano una canzone del bagnouna romanza ingergosu di un'aria ora triste e ora allegra e furiosa; ogni tantosi sentivano delle grida acute e degli scoppi di risa stridule eansanti mischiarsi a misteriose parole; poi delle acclamazionifuribonde; e le catene che si urtavano fra loro in cadenza facevanoda orchestra a quel canto più rauco del loro rumore.

Aun certo punto portarono in mezzo allo spiazzo una grande tinozzadove galleggiavano non so che erbe in una specie di liquido sudicio efumante e i guardia-ciurmarotta la danza dei forzati a colpi dibastoneve li portarono e li fecero mangiare.

Terminatoe gettato per terra i resti della broda e del pane neroricominciarono a ballare e cantare: il giorno della ferratura e lanotte seguenteinfattiè loro concessa questa libertà.

Iointantome ne stavo a guardare questo strano spettacolo con unacuriosità così avidacosì ansiosa ed attentache mi ero completamente dimenticato di me stessoe una profondapietà mi commoveva fin nelle più intime fibre epiangevo quando li sentivo ridere in quella maniera.

All'improvvisoattraverso la fantasticheria in cui ero cadutovidi il girotondourlante fermarsi di colpo e ammutolire; poi tutti gli occhi sigirarono verso la finestra dov'ero io. - Il condannato! ilcondannato! - gridarono tutti mostrandomi a dito; e le esplosioni digioia raddoppiarono ancora.

Restaiagghiacciato.

Ionon so in che modo mi avessero mai conosciuto.

-Buongiorno! Buona sera! mi gridavano sghignazzando atrocementee unodei più giovanifaccia livida e tiratacondannato a vita ailavori forzati mi guardò con aria d'invidia dicendo: -Fortunato!

Sarà"tosato"! Addio camerata!

Ionon so dire quello che provai! Effettivamente ero loro cameratalaGrève è sorella di Tolone; anziero addirittura piùin basso di loroed erano essi che mi facevano onore. Fremevo.

Magiàloro camerata! E di lì a qualche giorno avreianche potuto essereiouno spettacolo per loro.

Erorimasto alla finestra immobilerattrappitoparalizzato; ma quandovidi quei cinque cordoni avanzare e rotolare verso di me con delleparole di un'infernale cordialità; quandosentii iltumultuoso fracasso delle loro catenedei loro clamoridei loropassi ai piedi del muromi sembrò che quel nugolo di demonistesse per scalare la mia miserabile cella etirato fuori un grangridomi lanciai sulla porta con tutta la violenza di cui erocapace. Ma non c'era modo di fuggire: i catenacci erano tirati dal difuori. Picchiai e gridai con rabbia. Poi mi sembrò di sentireancora più da vicino le spaventose voci dei forzati. Credettidi vedere già le loro teste odiose apparire ai bordi dellafinestragettai un altro grido d'angoscia e caddi svenuto




14.


Quandorinvenni era notte. Ero disteso su di un giaciglio e una lanterna chevacillava al soffitto mi fece intravedere altri giacigli allineati aidue lati del mio. Capii che mi avevano portato in infermeria.

Rimasisveglio per qualche minutoma senza pensieri e senza ricordiimmerso nella gioia di essere in un letto. In altri tempiquel lettod'ospedale e di prigione mi avrebbe certamente fatto indietreggiareper il disgusto e la pietàma ora non ero più lostesso uomo: le lenzuola erano ruvide e grigieè verolacoperta leggera e bucata; e attraverso il materasso si sentiva ilpagliericcio; ma che importa! le mie membra potevano sgranchirsi comevolevano tra quelle lenzuola grigie; sotto quella copertaperleggera che fossesentivo sparire a poco a poco quell'orribilefreddo dentro al midollo delle ossa al quale mi ero abituato! E miriaddormentai.

Eraappena l'alba quando mi svegliò un gran fracasso che veniva dafuori; il mio letto era vicino alla finestra e mi alzai a sedere pervedere che cosa fosse.

Lafinestra dava sul cortile più grande di Bicêtre; erapieno di gente. Due file di veterania faticatenevano sgombro nelmezzo un passaggio che lo attraversava da un capo all'altro. Traqueste due siepi di soldati marciavano lentamentesobbalzando a ognisassocinque lunghi carri carichi d'uomini: erano i forzati chepartivano.

Icarri erano scopertie ogni cordone ne occupava uno. I forzati eranoseduti ai due latiaddossati gli uni agli altriseparati dallacatena comune che si snodava nel senso della lunghezza esull'estremità della qualein piedicon il fucile spianatoteneva il piede una guardia. Si sentivano tintinnare i loro ferri ead ogni scossa della vetturasi vedevano sobbalzare le teste eballare le gambe penzoloni.

Unapioggia fine e penetrante rendeva freddissima l'aria e incollava lorosulle ginocchia i pantaloni di tela da grigi diventati neri. Le lorolunghe barbei corti capelligocciolavano; i loro visi eranolividi; li si vedeva rabbrividire e i loro denti battevano dall'ira edal freddo. Per il restonon un movimento era possibile. Una voltaattaccati a quella catena non si è più che unaparticella di quel tutto odioso che si chiama il cordone e che simuove come un unico uomo. L'intelligenza deve abdicareil collaredel bagno la condanna a morte; e l'animale stesso non deve piùavere bisogni o desideri che ad ore fisse.

Cosìimmobilila maggior parte mezzi nuditeste scoperte e piedipenzoloniessi cominciavano il loro viaggio di venticinque giornivestiti con gli stessi vestiti sia per il sole a piombo di lugliosia per le fredde piogge di novembre come se si volesse incaricareanche il cielo di fare la sua parte di boia.

Trala folla ed i carriintantosi era intavolato non so quale orribiledialogo: ingiurie da una partebravate dall'altraimprecazioni datutt'e due; maa un segnale del capitano vidi piovere a caso neicarri colpi di bastone sulle spalle o sulle testee tutto ritornòsubito in quella specie di calma esteriore che chiamano "ordine".Ma gli occhi erano pieni di vendetta e i pugni di quei miserabili sistringevano sulle ginocchia.

Icinque carriscortati da gendarmi a cavallo e da guardie a piedisparirono infine sotto l'alto portone a volta di Bicêtreseguiti da un sesto nel quale traballavano alla rinfusa le pentolele gavette di rame e le catene di ricambio.

Qualcheguardia-ciurma che si era attardata in cantina uscì di corsaper raggiungere la sua squadra. La folla si allontanò. E tuttolo spettacolo svanì come una fantasmagoria. Si sentìdiminuire a poco a poco nell'aria il sordo rumore delle ruote e deglizoccoli dei cavalli sulla via acciottolata di Fontainebleauglischiocchi di frustail tintinnio delle catene e le urla della genteche augurava disgrazie al viaggio dei galeotti; poi piùniente.

Equello per loro non era che l'inizio!

Cosami diceva dunque l'avvocato? L'ergastolo! Ahma sìpiuttostoil palco che il bagnopiuttosto il nulla che l'infernopiuttostodare la mia testa al coltello di Guillottin che al collare dellaciurma!

L'ergastolomio Dio!




15.


Sfortunatamentenon ero malato. Il giorno dopo dovetti uscire dall'infermeria e miringhiottì la cella. Non ammalato! Effettivamente sonogiovanesano e forte. Il sangue circola liberamente nelle mie venetutte le mie membra obbediscono ad ogni mio capricciosono robustodi corpo e di spiritofatto per una lunga vita: sìtuttoquesto è vero; e tuttavia ho una malattia mortaleunamalattia fatta dalle mani degli uomini.

Daquando sono uscito dall'infermeria mi ha preso un'idea pungenteunaidea da rendermi folleche avrei forse potuto fuggire se qualcuno miavesse un po' favorito. Quei mediciquelle suore di caritàsembravano avere interesse per me: morire così giovane e diuna simile morte! Si sarebbe detto che mi compiangessero tanto siaffollavano intorno al mio letto. Bah! curiosità! E poiquesta gente che guarisceti guarisce sì da una febbremanon certo da una sentenza di morte.

Esarebbe loro tuttavia così facile! Una porta aperta! Che cosamai costerebbe loro?

Mah!Più nessuna speranzaormai! Il mio ricorso saràrespintopoiché tutto è in regola: i testimoni hannoben testimoniatoi difensori hanno ben difesoi giudici hanno bengiudicato. Io non ci sono piùa meno che... Nopazzie! Piùnessuna speranza! Il ricorso è una corda che vi tiene sospesisopra l'abisso e che si sente scricchiolare ad ogni momento finchési spezza. E' come se il coltello della ghigliottina impiegasse seisettimane a cadere.

Ese io avessi la grazia? Avere la grazia! E da chi? e perché? ecome?

E'impossibile che mi si faccia la grazia. I precedenti come diconoloro.

Nonmi restano più che tre passi da fare: BicêtrelaConciergeriela Grève.




16.


Durantele poche ore passate all'infermeria mi ero seduto vicino ad unafinestraal sole finalmente riapparsoo meglioa prendere del soletutto quello che mi lasciavano le sbarre dell'inferriata.

Mene stavo làcon la testa pensante tra le mani che lareggevano a stentoi gomiti sulle ginocchia e i piedi sui piolidella sediapoiché lo scoramento mi fa incurvare e ripiegaresu me stesso come se non avessi più ossa nelle membra némuscoli nella carne.

L'odoredi chiuso della prigione mi soffocava più che mai econancora nelle orecchie tutto quel fracasso delle catene dei galeottisentivo una grande stanchezza. Mi sembrava che il buon Dio avrebbeben dovuto aver pietà di me ed inviarmi almeno un piccolouccello a cantare un po' con melà in faccia sul bordo deltetto.

Nonso se sia stato il buon Dio che mi ha esauditomaquasi in quellostesso istantesentii levarsi sotto la finestra una voce: non quelladi un uccelloma molto di meglio: la voce purafrescavellutata diuna fanciulla di quindici anni. Alzai la testa come di soprassaltoascoltando avidamente la canzone che cantava. Era un'aria lenta emalinconicauna specie di nenia triste e lamentosa. Ecco:

Invia del Maglio è stato Che sono stato preso AhimèDatre brutti sbirriAhimè poveretto


Nonso dire quanto fu amaro il mio disappunto. La voce continuò:

Chemi hanno morsicatoPoveretto me.

Chemi hanno morsicatoAhimè.

M'hannomesse le manetteAhimè poverettoe il Ruffiano èarrivatoPoveretto me.

Nellastrada trovo un ladro Ahimè poveretto.

C'eraun ladro del quartiere Poveretto me.

Eraun ladro del quartiere.

Ahimè.

-Vai a dire alla mia donna Ahimè poverettoChe m'hanno messosotto chiave Poveretto me.

Lamia donna tutta in rabbia Ahimè poveretto M'ha gridato:

Cos'haidunque combinato?

Poverettome.

Cos'haidunque combinato?

Ahimè.

-Ho cavato sangue a un uomo Ahimè poverettoE i denari gli hopigliatoPoveretto me.

Idenari e l'orologio Ahimè poveretto.

Ele fibbie delle scarpe.

Poverettome.

Lamia donna va a Versailles Ahimè poveretto.

Edai piedi del Gran RePoveretto me.

Unasupplica depone Ahimè poveretto Perch'io sia liberato.

Poverettome.

Perch'iosia liberatoAhimè.

Ah!se infine uscirò fuoriAhimè poverettoFaròbella la mia donnaPoveretto me.

Lefarò portare dei nastri Ahimè poveretto E scarpinetutte d'oroAhimè.

Mail Gran Re che monta in bestiaDisse: - Pel berretto mioPoverettome.

Glifarò ballare un ballo Ahimè poveretto Senza ch'abbia atoccar terra Poveretto me.

Nonne sentii e non avrei potuto sentirne di più. Il senso a metàcompreso e a metà nascosto di quell'orribile lamentoquellalotta del bandito con le guardiequel quadro che incontra e chemanda alla sua donna quello spaventoso messaggio: "ho cavatosangue a un uomo e m'hanno messo sotto chiave"; quella donna checorre a Versailles con una supplicae quel "Gran Re" ches'indigna e minaccia il colpevole di fargli fare un "ballo senzach'abbia a toccar terra..."; e tutto questo cantato sull'ariapiù dolce e dalla più dolce voce che abbia maiascoltato l'orecchio di un uomo!...

Sonorimasto feritoagghiacciatodisfatto. Era una cosa ripugnante chetutte quelle mostruose parole uscissero da una così frescabocca di rosa: era come la bava di una lumaca su di un fiore.

Ionon saprei dire quello che provavo: ero ferito e accarezzato nellostesso tempo: il gergo della caverna e della galeraquestolinguaggio insanguinato e grottescoquesto lurido dialetto unito auna voce di fanciullagrazioso passaggio dalla voce di bimba allavoce di donna!

Tuttequelle sporche e deformi parolecantate e ritmatearmoniose!

Ah!che cosa infame è la prigione! c'è un veleno che rovinaogni cosa:

tuttodiventa laidoperfino la canzone di una fanciulla di quindici anni!Vi potete trovare un uccelloha il fango sulle alivi cogliete unfiore graziosol'aspirate: puzza.




17.


Oh!se evadessicome correrei per i campi!

Nonon bisognerebbe correre: attira l'attenzione e mette sospetto. Alcontrariocamminare lentamentea testa altacantando. Cercare diavere qualche pastrano bleu a righe rosse che andrebbe cosìbenedal momento che tutti gli ortolani dei dintorni lo portanocosì. Dalle parti di Arcueil conosco una forra vicino a unostagno dovequand'ero in collegioandavo con i miei compagni apescare le rane tutti i giovedì. E' là che mi potreinascondere fino a sera. Scesa la notteriprenderei la mia corsa.Andrei a Vincennes. Noil fiume me lo impedirebbe. Andrei adArpajon. Sarebbe stato meglio prendere dalla parte di Saint-Germained andare a Le Havreed imbarcarmi per l'Inghilterra. Non importa!Arrivo a Longjumeau. Passa un gendarme; mi chiede la cartad'identità... sono perduto!

Ah!disgraziato sognatorerompi dunque prima di tutto il muro spesso trepiedi che ti imprigiona! La morte! La morte!

Quandoio penso cheancora bambinellosono venuto qui a Bicêtreavederne i profondissimi pozzi ed i folli.




18.


Mentrescrivevo queste cose la lucerna è andata impallidendosi èfatto giornoe l'orologio della chiesa ha suonato le sei.

Checosa vuol dire tutto questo? Il secondino di guardia è entratonella mia cellasi è tolto il cappellomi ha salutatosi èscusato di disturbarmie mi ha chiestoaddolcendo come megliopoteva la vocecosa desiderassi mangiare...

Unbrivido mi è corso lungo la schiena: che sia per quest'oggi?




19.


E'per quest'oggi.

Ildirettore della prigione in persona è appena venuto a farmivisita.

Miha chiesto in cosa mi potesse essere utileha espresso la speranzache io non abbia avuto a lamentarmi di lui o dei suoi inferiorisi èinformato con interesse della mia salute e di come avessi passato lanotte; e lasciandomimi ha chiamato"signore"!

E'per quest'oggi!




20.


Noncredequesto carceriereche io abbia a lamentarmi di lui e dei suoisecondini. E ha ragione. Avrei tortoinfattia lamentarmi; lorohanno fatto il loro mestiere: mi hanno ben custodito; e all'arrivo ealla partenza sono stati gentili; non devo dunque essere contento?

Questobuon carcerierecon il suo sorriso benignole sue parolecarezzevoliil suo occhio che lusinga e che spiacon le sue grossee larghe maniè la prigione incarnataè Bicêtrefatto uomo. Tutto è prigione intorno a me: ritrovo la prigionesotto tutte le formesotto forma umana come sotto forma di sbarre ecatenacci. Questo muro è la prigione in pietra; questa porta èla prigione in legno; questi secondini sono la prigione in carne edossa! La prigione è una specie di essere orribilecompletoindivisibilemezzo edificio e mezzo uomo. E io sono sua preda: essami cova e mi nasconde nelle sue pieghemi rinserra tra i suoi muridi granitomi incatena dietro le sue serrature di ferro e misorveglia con gli occhi dei suoi secondini.

Ah!miserabile! Che cosa sto per diventare? Che cosa vogliono fare di me?




21.


Sonocalmofinalmente. Tutto è finitocompletamente finito; esono uscito dall'orribile ansia in cui mi aveva gettato la visita deldirettore: poichélo confessosperavo ancora. Oragrazie aDionon spero più.

Eccocome sono andate le cose.

Nelmomento in cui suonavano le sei e mezzo - nole sette meno un quarto- la porta della cella si è aperta di nuovo; ed èentrato un vecchio con la testa tutta biancavestito con un lungosoprabito scuro.

Eraun prete; non però il cappellano della prigione.

Eglisi è seduto di fronte a me con un sorriso benevolo; poi hascosso la testa e alzato gli occhi al cielocioèalla voltadella cella. Io capii.

-Figlio mio - mi disse - siete preparato?

-Preparatono - risposi - ma sono pronto.

Poimi si confuse la vistaun sudore freddo mi uscì da tutte lemembrami sentii gonfiare le tempie; le orecchie si riempirono di unronzio confuso.

Intantoche vacillavo sulla sedia come assopitoil buon vecchio parlava.Almenocosì mi è parsoe mi sembra anche diricordarmi di aver visto muoversi le sue labbraagitarsi le sue manieogni tantobrillare i suoi occhi.

All'improvvisola porta si è aperta una seconda volta strappandoci di colpocon il rumore dei chiavistellime al mio stuporelui ai suoidiscorsie una specie di signore in abito neroaccompagnato daldirettore della prigionesi è presentato salutandomiprofondamente.

Avevasul visoqualcosa della tristezza ufficiale degli impiegati dellepompe funebri e teneva nelle mani un rotolo di carta.

-Signoremi disse con un sorriso di cortesiaio sono l'usciere dellacorte reale di Parigi. Ho l'onore di recarvi un messaggio da partedel signor procuratore generale.

Laprima scossa era passata; e mi aveva ripreso tutta la mia presenza dispirito.

-E' il signor procuratore generale che ha chiesto cosìinsistentemente la mia testagli risposiè dunque un grandeonore che lui ora mi scriva! Speroad ogni modoche la mia mortegli abbia a fare molto piacerepoiché davvero mi sarebbe duropensare che lui l'abbia chiesta con tanto ardore mentrein fondogli è indifferente.

Gliho detto cosìe poi ho ripreso con voce ferma:

-Orsùsignoreleggete!

Egliallora si è messo a leggermi un lungo testocantando allafine di ogni riga ed esitando a metà di ogni parola; era ilrigetto del mio ricorso.

-La sentenza sarà eseguita quest'oggi in «place deGrève»- ha aggiunto quando ha finitosenza alzare gliocchi dalla sua carta piena di timbri. - Partiremo alle sette e mezzoprecise per la Conciergerie. Mio caro signoreavrete l'estrema bontàdi seguirmi?

Daqualche minuto io non lo ascoltavo più. Il direttore parlavacon il prete; lui aveva l'occhio fisso alla sua carta; guardai laporta che era rimasta socchiusa... - Ah! Miserabili! quattro gendarminel corridoio!

L'usciereha ripetuto la sua domandaguardandomi questa volta.

-Quando vorretegli ho risposto. A vostra disposizione!

Eglimi ha salutato dicendomi:

-Avrò l'onore di venirvi a cercare tra una mezz'ora.

Allorami hanno lasciato solo.

Unmezzo per fuggiremio Dio! un mezzo qualsiasi! Bisogna che io evada!Bisogna! Immediatamente. Dalle portedalle finestredal tetto!Quand'anche dovessi lasciare dei brandelli di carne attaccati alletravi.

Maledizione!Ci vorrebbero dei mesi per forare questo muro con degli arnesiadattie io non ho né un chiodo né un'ora.




DallaConciergerie



22.


Eccomidunque "trasferito"come dice il processo verbale.

Mail viaggio vale la pena di essere raccontato.

Suonavanole sette e mezzo quando l'usciere si è presentato di nuovosulla soglia della mia cella. - Signoremi ha dettovi aspetto.

Ahimè!non era solo. Mi sono alzato e ho fatto un passo: mi èsembrato che non ne avrei potuto fare un altrotanto avevo la testapesante e deboli le gambe. Tuttavia mi sono rimesso e ho continuatocon un portamento abbastanza sicuro. Prima di uscire dalla stanza leho dato un ultimo sguardo. L'amavo la mia cella. Poi l'ho lasciatavuota e aperta; e questo le dava un aspetto assai singolare.

Delresto non lo sarà per lungo tempo: per questa sera si aspettaqualcunodicevano i secondiniun condannato che la corte d'Assisesta preparando a quest'ora.

All'angolodel corridoio ci ha raggiunto il cappellano.

All'uscitadella prigione il direttore mi ha preso affettuosamente le mani e harinforzato la mia scorta di altre quattro guardie. Davanti alla portadell'infermeria un vecchio moribondo mi ha gridato: - Arrivederci!

Poisiamo arrivati in cortile. Ho respirato a pieni polmoni l'ariafrescama per poco: una vettura con i cavalli già prontiaspettava nel primo cortile; la stessa vettura che mi aveva portato;una specie di lungo "cabriolet" diviso in due da una gratatrasversale di così fitti fili di ferro da sembrare fatta amaglia. Le due parti hanno ciascuna una portauna davantil'altradi dietro. Il tutto così sudiciocosì nerocosìpolveroso che il carro funebre dei mortial confrontoè unacarrozza di gala.

Primadi seppellirmi in quella tomba a due ruote ho lanciato uno di queglisguardi disperati davanti ai quali sembra che debbano crollare anchei muri. Il cortileuna specie di piccola piazza alberataera ancorapiù pieno di gente che per i forzati. Giàla folla!

Comeil giorno della partenza dei "cordoni" cadeva una pioggiaautunnaleuna pioggia fine e gelida che cade ancora adesso mentrescrivoche cadrà certamente tutto il giornoche dureràpiù di me.

Lestrade erano impraticabiliil cortile pieno d'acqua e di fangoevedendo quella folla in tutta quella poltiglia ne ebbi un po'piacere.

Siamosaliti: l'usciere e un gendarme nello scompartimento davanti; ilpreteio e un gendarme di dietro; altri quattro gendarmi intornoalla vettura. Cosìsenza il cocchiereotto uomini per unosolo.

Mentresalivouna vecchia con gli occhi grigi diceva: - Questo mi piaceancora di più della catena. - Capii: è uno spettacoloche si abbraccia più facilmente con un solo colpo d'occhionon c'è che un uomoe su quest'unico uomo tanta miseriaquanta su tutti i forzati messi insieme; è meno diluito; èun liquore concentrato e ben più gustoso.

Unospettacolo così bello e così comodo! Niente chedistragga l'attenzione.

Lavettura si è mossa. Passando sotto la volta del portone hafatto un sordo rumorepoi è uscita nel vialee i pesantibattenti di Bicêtre si sono chiusi dietro di essa. Io misentivo trasportare quasi storditocome un uomo caduto in letargoche non può gridare né muoversi e che si sentesotterrare; e vagamentelontanoal di là di una nebbiaascoltavo i sonagli attaccati ai cavalli tinnire in maniera cadenzatacome se singhiozzasserosferragliare le ruote sul selciato o suonarela tromba cambiando viail galoppo sonoro dei gendarmi intorno alcarriaggiogli schiocchi di frusta del postiglione. E mi sembravatutto ciòcome un vento impetuoso che mi rapisse. Attraversola grata di uno spioncino aperto davanti a mei miei occhi si eranofissati meccanicamente sull'iscrizione disegnata a grandi lettere sulportone di Bicêtre: «Ricovero di Vecchiaia». Tohmi dicevosembra ci sia della gente che invecchia dentro là.Ecome si fa nel dormivegliarigiravo in tutti i sensi quell'ideanella mia mente intorpidita dal dolore. All'improvvisoilcarriaggiopassando dal viale nella strada provincialeha cambiatola visuale del finestrino. Le torri di Nôtre-Dame sono venute ainquadrarvisiazzurrine e mezzo nascoste nella nebbia di Parigi.Subito è cambiato anche il punto di vista della mia mente. Erodiventato una macchina come la vettura; all'idea di Bicêtre èseguita l'idea di Nôtre-Dame.

Quelliche saranno sulla torre dove c'è la bandiera vedranno benemisono detto sorridendo scioccamente.

Credosia stato proprio in quel momento che il prete ha ripreso a parlarmi.Io l'ho lasciato dire pazientemente: avevo già nelle orecchieil rumore delle ruotelo scalpitìo dei cavallilo schioccodel postiglione; non era che un rumore di più.

Ascoltavoin silenzio quel fluire di parole monotone che assopivano i mieipensieri come il mormorio di una fontana e che mi passavano davantisempre diverse e sempre le stessecome gli olmi della stradaquandola voce breve e sgraziata dell'usciere seduto davanti è venutaa scuotermi improvvisamente.

-Ebbene! signor abate - diceva con un tono quasi allegro niente dinuovo?

Eraverso il prete che egli si rivolgeva dicendo così. Ilcappellanoche mi guardava senza interruzione e che era assordatodalla carrozza non ha risposto.

-Accidenti - ha risposto l'usciere alzando la voce per farsi sentireal di sopra del rumore delle ruote - maledetta vettura! Maledettadavvero!

Poiha continuato: - Senza dubbiosono le scosse; non ci si sente.

Checosa dunque volevo dire? Ditemiper piacerecosa volevo diresignor abate? Ah! sapete la grande notizia di Parigiquest'oggi?

Sonotrasalito come se parlasse di me.

-No- ha detto il preteche finalmente aveva sentito - non ho avuto iltempo di leggere i giornaliquesta mattina. La vedrò questasera. Quando sono occupato tutto il giorno come oggiraccomando alportinaio di conservarmi i giornalie li leggo quando torno.

-Bah! - ha ripreso l'usciere - è impossibile che non laconosciate.

Lanotizia di Parigi! La notizia di questa mattina!

Alloraho preso la parola: - Credo di saperla io.

L'uscierem'ha guardato.

-Voi! veramente!? E in tal casoche ne dite ?

-Siete curioso! - gli ho detto.

-Perchésignore? - ha replicato l'usciere. - Ognuno ha la suaopinione politicae io vi stimo troppo per credere che voi nonabbiate la vostra. Per quello che mi riguardaio sono senz'altro delparere di ristabilire la guardia nazionale; ero sergente della miacompagnia evi assicuro era una cosa molto piacevole.

L'hointerrotto.

-Io non credevo che si trattasse di questo.

-E di che cosa dunque? Voi dicevate di sapere la notizia...

-Ma io parlavo di un'altradi cui pure si occupa oggi Parigi.

L'imbecillenon ha compreso; la sua curiosità si è risvegliata.

-Un'altra notizia? Dove diavolo avete potuto sentire delle notizie ?

Equaledi graziacaro signore? Voi sapete di cosa si trattisignorabate? Siete più al corrente di me? Di graziaraccontatemi lafaccenda. Di cosa si tratta? Vedetea me piacciono le notizie; leracconto al signor presidente e lui si diverte.

Emille altre storie; si girava alternativamente verso il prete e versodi me e io non rispondevo che alzando le spalle.

-Ebbene! - mi ha detto alla fine - a cosa dunque pensate?

-Pensogli ho rispostoche questa sera non penserò più.

-Ah! è questo! - ha replicato - andiamosiete troppo triste!

Ilsignor Castaing discorreva piacevolmente.

Epoi dopo un silenzio:

-Io ho condotto il signor Papavoine: aveva il suo berretto di lontra efumava il suo sigaro. Quanto ai giovanotti de la Rochellenonparlavano che tra di loro. Ma parlavano.

Hafatto ancora una pausa ed ha continuato.

-Dei pazzi! degli entusiasti; avevano l'aria di disprezzare tuttiquanti. Ma per quel che vi riguardaveramentevi trovo troppopreoccupatogiovanotto.

-Giovanotto! - gli ho detto - sono più vecchio io di voi; ogniquarto d'ora che passa mi invecchia di un anno.

Luisi è giratomi ha guardato qualche minuto con inebetitostuporepoi si è messo a sghignazzare sconciamente.

-Andiamovoi volete riderepiù vecchio di me! Potrei esserevostro nonno!

-Non voglio ridere affatto - gli ho risposto gravemente.

Luiallora ha aperto la tabacchiera.

-Prendetecaro signorenon offendeteviuna presa di tabacco e nonserbatemi rancore.

-Non abbiate paura: non avrò molto tempo per essere in colleracon voi.

Inquel momento la tabacchiera che mi tendeva era vicino alla grata checi separava; un sobbalzo della vettura ve l'ha fatta urtareviolentementeed essa è cadutacompletamente apertasuipiedi del gendarme.

-Maledetta grata! - ha esclamato l'usciere.

Poisi è girato verso di me.

-Ebbene! non sono sfortunato? Ecco che ho perduto tutto il tabacco!

-Eh! Io perdo più di voi - gli ho risposto sorridendo.

Egliha cercato di raccogliere il tabaccoborbottando tra i denti:

-Più di me! Si fa presto a dirlo. Niente tabacco fino a Parigi!E' terribile.

Ilcappellanoalloragli ha detto qualche parola per consolarloe ionon so se fossi preoccupatoma certo mi è sembrato che fosseil seguito dell'esortazione di cui io avevo avuto il principio. Apoco a poco la conversazione si è intavolata tra il prete el'usciere; li ho lasciati parlare per conto loro e mi sono messo apensare per conto mio.

Nell'avvicinarmialle porte ero sempre preoccupatosenza dubbioma mi è parsoche Parigi risuonasse più rumorosa del solito.

Lavettura si è fermata un attimo davanti al dazio e gli agentil'hanno ispezionata. Se si fosse trattato di un montone o di un bueda portare al macello si sarebbe dovuto dare loro una borsad'argento; ma una testa d'uomo non paga balzelli. E siamo passati.

Superatoil vialela carrozza si è infilata al gran trotto in quellevecchie vie tortuose del quartiere Saint-Marceau e del centro cheserpeggiano e si tagliano tra loro come le infinite gallerie di unformicaio; sul selciato di quelle vie strette il rotolìo èdiventato così rapido e fragoroso che non sentivo piùniente dei rumori che venivano dal di fuori. Quando gettavo gli occhiattraverso la piccola inferriatami sembrava che la folla deipassanti si fermasse per guardare la vettura e che dei branchi diragazzi le corressero dietro; e mi è sembrato anche di vedereogni tantoqua e là agli incrociun uomo o una vecchiacenciosia volte tutti e due insiemecon in mano un mazzo di foglistampati che i passanti si disputavano aprendo la bocca come per ungrande urlo.

Suonavanole otto e mezzo all'orologio del Tribunale quando siamo arrivati nelcortile della "Conciergerie". La vista di quel grandescalonedi quelle guardie sinistre mi ha agghiacciato.

Quandola vettura si è fermata ho creduto che stessero per fermarsianche i battiti del mio cuore.

Horaccolto le mie forze; la porta si è aperta con la rapiditàdel lamposono saltato giù dalla prigione semovente e mi sonofrettolosamente infilato sotto la volta tra due file di soldati. Sulpassaggio si era già formata una folla.




23.


Finchého camminato per i corridoi pubblici del Palazzo di Giustizia mi sonoquasi sentito libero e a mio agio; ma ogni mia risolutezza mi halasciato quando mi hanno aperto davanti delle basse portedellescale segretedei passaggi internidei lunghi corridoi sordi esenz'aria dove non entrano che quelli che condannano o quelli chesono condannati.

L'uscieremi accompagnava sempre; il preteinvecemi aveva lasciato pertornare di lì a due ore.

Allafine mi hanno portato nello studio del direttorenelle cui manil'usciere mi ha consegnato. Un cambio di guardia.

Ildirettore l'ha pregato di aspettare un istante dicendogli che dovevaconsegnargli della selvaggina perché la portasse a Bicêtrecol ritorno del carriaggio. Senza dubbio il condannato di oggiquello che deve dormire questa sera sul mucchio di paglia che io nonho avuto tempo di usare.

-Molto bene - ha detto l'usciere al direttore - aspetto senz'altro unmomentocosì faremo i due processi verbalicontemporaneamente; la cosa si mette bene.

Mentresi aspettavami hanno messo in un piccolo locale vicino a quello deldirettore. Làben chiusosono stato lasciato solo.

Nonso a che cosa pensassiné da quanto tempo fossi lìquando un improvviso e violento scoppio di risa mi ha scosso dal miofantasticare. Ho alzato gli occhi trasalendo. Non ero più solonella cella: c'era un uomo con meun uomo di una cinquantina d'annidi media statura; rugosocurvo e quasi tutto grigio; atticciatoconuno sguardo torbido negli occhi grigi e un riso amaro sul volto;sporcosbrindellatomezzo nudodisgustoso al solo vederlo.

Sembravache la porta si fosse apertalo avesse vomitatoe si fosserinchiusa senza che io mi fossi accorto di niente.

Sela morte potesse venire così!

Cisiamo guardati fissamente per qualche secondol'uomo ed io; luiprolungando il suo riso che sembrava un rantolo; io mezzomeravigliato e mezzo atterrito.

Allafine gli ho chiesto:

-Chi siete?

-Amena domanda! - egli ha risposto. - Un "friauche".

-Un "friauche"! che significa ciò?

Questaquestione ha raddoppiata la sua allegria.

-Ciò vuol dire - gridò in mezzo a uno scoppio di risa -che tra sei settimane il «taule» giocherà al«paniere» con la mia «Sorbona» come faràtra sei ore col tuo «ceppo». Ah! Ah! sembra che tucapiscaora!

Effettivamenteero pallidoe i capelli mi si rizzavano in testa. Era l'altrocondannatoil condannato del giornoquello che aspettavano aBicêtreil mio erede.

Egliha continuato:

-Che vuoi? Eccoti la mia storia.

Iosono figlio di un brav'uomo ed è una gran disgrazia che ungiorno Charlot (1) si sia preso la briga di mettergli la cravatta.Era quando regnava ancora la forcaper grazia di Dio. A sei anni nonavevo più né padre né madre; d'estate facevo laruota nella polvereai bordi della stradaper la qual cosa mibuttavano un soldo dalle portiere della corriera postale; d'invernoinveceandavo a piedi nudi nel fango soffiandomi sulle dita tutterosse; e attraverso i calzoni mi si vedevano le natiche. A nove anniho cominciato a servirmi dei miei cucchiai (2) eogni tantovuotavouna tasca o rubavo un mantello; a dieci anni ero un borsaiolo. Poi hofatto delle conoscenze; a diciassette anni ero un ladro e svaligiavouna bottega o facevo una trottola (3) falsa. Mi presero. Avevo l'etàe mi mandarono a remare nella piccola Marina (4). Il bagnosi saèduro: dormire su di un tavolacciobere solo acqua chiaramangiaredel pane nerotrascinare una stupida palla di ferro che non serve aniente; dei colpi di bastone e dei colpi di sole. Con un similetrattamento in poco tempo si è belli e tosatie io che avevobei capelli castani! Non importa... ho fatto il mio tempo. Quindiciannipassano anche loro.

Avevotrentadue anni. Un bel mattino mi diedero un foglio di via esessantasei franchi che mi ero guadagnato nei miei quindici anni digaleralavorando sedici ore al giornotrenta giorni per meseedodici per anno. Niente di irreparabile; volevo essere un uomo onestocon i miei sessantasei franchied avevo sentimenti più bellisotto i miei stracci di quanti ve ne siano sotto una veste d'abate.

Mache i demoni abbiano la carta d'identità! Essa era giallaec'era scritto sopra: "forzato liberato". Bisognavamostrarla ovunque andassi e presentarla ogni otto giorni al sindacodel villaggio dove mi avevano costretto ad abitare.

Labella raccomandazione! Un galeotto! Facevo paurae si mettevano insalvo i bambinettie si sprangavano le porte. Nessuno voleva darmida lavorare. Così mangiai i miei sessantasei franchi; poibisognava pur viveremi si chiusero le porte. Offrii la mia giornataper quindici soldiper dieci soldiper cinque soldi. Niente. Chefare? Un giorno avevo fame. Diedi una gomitata al carretto delpanettiere; presi un pane e il panettiere prese me; non mangiai ilpane ed ebbi l'ergastolo a vitacon tre lettere di fuoco sullespalle. Te le faccio vederese vuoi.

Eccomidunque"di ritorno recidivo". Mi riportarono a Tolone; maquesta volta con i berretti verdi. Dovevo evadere. Per questononavevo che da bucare tre muri e segare due catene; e non avevo che unchiodo. Evasi. Spararono il cannone d'allarme; perchénoialtrisiamo i principi e i revestiti in divisae si spara ilcannone quando ce ne andiamo. Ad ogni modo la loro polvere non servìproprio a niente. Questa volta niente carta gialla ma niente denaroanche. Dopo un po' trovai dei vecchi compagni che avevano scontato lapena o tagliato la corda. Il loro capo mi propose di essere dei lorofacendo l'assassino sulle grandi strade. Accettai e mi misi aduccidere per vivere. Alle volte era una diligenzaaltre volte unacorriera postalealtre ancora un mercante di buoi a cavallo. Siprendeva il denarosi lasciava andare libera la bestia o la vetturae si seppelliva l'uomo sotto un albero badando bene che nonspuntassero i piedi; e poi si ballava sulla fossa perché laterra non apparisse mossa di fresco. E sono diventato vecchio cosìvivendo alla macchiadormendo all'apertoinseguito da un boscoall'altroma liberoalmenoe padrone di me stesso. Tutto peròha un terminee una bella notte i "mercanti di lacci" (5)ci hanno preso per il colletto. I miei compagni si sono salvati; maioil più vecchiosono rimasto sotto le grinfie di queigatti con il cappello gallonato. Mi hanno portato qui.

Avevogià fatto i gradini della scala tranne uno. Aver rubato unfazzoletto o ucciso un uomoper me era ormai la stessa cosa; c'eraancora da applicarmi una recidiva. Non c'era altro che passare dalboia. Il mio processo è stato molto breve. Parola d'onoreincominciavo a diventare vecchio e a non essere più buono aniente.

Miopadre ha "sposato la vedova" (6)io mi ritiro nell'abbaziadi Monte dei Lamenti (7). Ecco tuttoamico mio.

Erorimasto attonito ad ascoltarlo. Lui si è messo di nuovo aridere più fragorosamente ancora di prima ed ha volutoprendermi la mano.

Sonoindietreggiato con orrore.

-Oh! l'amico! - mi ha detto - non hai l'aria coraggiosa! cerca di nonfare il vigliacco davanti alla carlina (8). Vedic'è dapassare un brutto momento sulla piazzama è cosìpresto passato! Vorrei essere là io per farti vedere ilcapitombolo. Per mille dei! Quasi quasi ho voglia di non ricorrerese mi tagliano oggi stesso con te.

Lostesso prete ci servirà tutti e due; per me non ha importanzaanche prendere i tuoi avanzi. Vedi che sono un bravo ragazzo. Heh!Dimmilo vuoi? da amico!

Edha fatto ancora un passo per venirmi vicino.

-Signore - gli ho detto respingendolo - vi ringrazio.

Nuoviscoppi di risa alla mia risposta.

-Ah! ah! Signore: è un marchese! Un marchese!

L'hointerrotto:

-Senti amicoho bisogno di raccogliermi un po'; lasciami stare. - Lagravità delle mie parole lo ha reso pensieroso di colpo: hascosso la testa grigia e quasi calva e poigrattandosi il pettovilloso che appariva nudo sotto la camicia apertaha mormorato tra identi:

-Giàcapisco; effettivamente il prete aiuta!

Poidopo qualche istante di silenzio:

-Guardate - mi ha detto quasi timidamente - voi siete un marchese e èuna gran bella cosa; ma avete una magnifica giacca che non vi serviràpiù a gran che! Il palco se la prenderà. Datela a meche la venderò per comperare del tabacco.

Misono tolto la giacca e gliel'ho data: si è messo a battere lemani con gioia infantile. Poivedendo che ero in camicia e chebattevo i denti:

-Voi avete freddosignoremettetevi questo; piovee vi bagneretetutto; e poibisogna stare decorosamente sulla carretta.

Cosìdicendo si è tolto il maglione di lana grigia e me l'ha datoin mano. Io lo lasciavo fare; stavo appoggiato al muro e non sapreinemmeno dire che razza d'impressione mi facesse quell'uomo. Si eramesso ad esaminare la giacca che gli avevo regalato e ad ogni momentomandava un grido di gioia.

-Le tasche sono completamente nuove! Il colletto non è usatoper niente! Ne ricaverò almeno quindici franchi. Che fortuna!Tabacco per tutt'e sei le settimane!

Siè riaperta la porta. Venivano a cercarci entrambi: meperportarmi nella camera dove i condannati aspettano il momento; luiper portarlo a Bicêtre. Ridendo si è messo in mezzo alpicchetto che doveva portarlo viae diceva ai gendarmi:

-Ah! badate! Non vi sbagliate! Il signore e io abbiamo cambiatogiaccama non prendetemi al suo posto. Diavolo! non mi piacerebbepropriospecie ora che ho modo di avere del tabacco!




24.


Questovecchio scellerato! Mi ha preso la giacca (poiché io nongliel'ho certo regalata) e mi ha lasciato questo straccioil suomaglione infame. Chissà che aria avrò preso! Non gli hocerto lasciato prendere la mia giacca per indifferenza o bontà;noma perché era più forte di me. Se gliela avessirifiutata mi avrebbe picchiato con i suoi grossi pugni.

Masìbontà! Ero pieno dei peggiori sentimenti. Avreivoluto poterlo strozzare con le mie manivecchio ladro! Poterlopestare sotto i piedi! Mi sento il cuore pieno di collera e rabbia.Credo che mi sia scoppiata la vescichetta della bile.

Lamorte rende perversi.




25.


Mihanno portato in una piccola cella dove non ci sono che i quattromuri enon c'è bisogno di dirlomolte sbarre alle finestre emolti chiavistelli alla porta.

Hochiesto un tavolouna sedia e l'occorrente per scrivere. Mi hannoportato ogni cosa. Ho chiesto un letto. Il secondino mi ha guardatocon uno sguardo stupito che sembrava dire: E per fare che? Tuttaviahanno sistemato una branda in un angolo; manello stesso tempo ungendarme è venuto ad installarsi in quella che essi chiamavano"la mia stanza".

Hannoforse paura che mi strangoli con il materasso?

26)Sono le dieci.

Omia piccola bambina! Ancora sei ore e sarò morto! Saròqualcosa di immondo che si trascinerà su di un freddo tavoloanatomicouna testa che taglieranno da una parteun tronco chesezioneranno dall'altra; e poidi tutto quello che resteràriempiranno una bara e ogni cosa finirà a Clamart (9).

Eccocosa stanno per fare di tuo padre questi uomini di cui nessuno miodiache tutti piangono e che tutti potrebbero salvare. Essi stannoper uccidermi. Capisci questa cosaMaria? Uccidermi a sangue freddocon una cerimoniaper il bene pubblico! Ahgran Dio!

Poverapiccola! Tuo padre che ti amava tantotuo padre che baciava il tuopiccolo collo bianco e profumatoche continuamente ti passava lemani sui riccioli come su di una setache stringeva il tuo visucciotondo tra le maniche ti faceva saltare sulle ginocchia e la serauniva le tue piccole mani per pregare Dio!

Chiti farà tutto questoora? Chi ti amerà? Tutti ibambini della tua età avranno un papà tranne te. Comefaraifiglia miaa dimenticarti di capodannodelle strennedeibei regalidei dolci e dei baci?

Comefaraipovera orfanaa dimenticare di bere e di mangiare?

Oh!se quei giurati l'avessero vistaalmenola mia piccola Maria!

Avrebberocapito che non bisogna uccidere il papà di una bimba di treanni.

Equando sarà grandese pure ci riesceche cosa diventerà?Suo padre sarà uno dei ricordi del popolo di Parigi. Arrossiràdi me e del mio nome; sarà disprezzatarespintaabietta percolpa miadi me che l'amo con tutta la tenerezza del cuore. O miapiccola Maria amata!

Davverotu avrai vergogna ed orrore di me ? Miserabileche delitto hocommesso e che delitto faccio commettere alla società! Oh!davvero è sicuro che io morirò prima della fine delgiorno? Davvero si tratta di me?

Questovociare confuso che sento di fuoriquesta moltitudine di genteallegra che s'affretta già per le stradequei gendarmi che sipreparano nelle casermequel prete vestito di neroquell'uomo dallemani rossesono per me! Sono io che vado a morire! Iolo stesso cheè quache viveche si muoveche respirache èseduto a questo tavoloil quale assomiglia a qualsiasi altro tavoloe potrebbe ben anche essere altrove; ioinfinequesto io che toccoe che sentoe il cui vestito fa questa piega!




27.


Sealmeno sapessi com'è fatta quella cosae in che maniera simuore là sotto! Ma è orribileio non lo so.

Ilnome stesso della cosa è spaventosoe non capisco propriocome l'abbia potuto scrivere e pronunciare fino ad ora.

Lacombinazione di quelle dodici lettereil loro aspettola lorofisionomia è ben fatta per suggerire un'idea spaventosae ilmaledetto medico che ha inventato la cosa aveva davvero un nomepredestinato.

L'immagineche ci attaccoa quell'odiosa parolaè vaga e indeterminatae tanto più sinistraperciò. Ogni sillaba ècome un pezzo della macchinae io ne costruisco e demolisco senzaposa la mostruosa intelaiatura dentro la mente. Io non oso fare unadomanda su tale argomentoma è orribile non sapere cos'èné come si prende.

Sembraci sia una specie di piano inclinato e che vi stendano sul ventre...Ah! i miei capelli diventeranno bianchi prima che mi cada la testa!




28.


Unavoltaperòl'ho intravista. Un giorno passavo per la piazzadi Grèvein carrozzaverso le undici del mattino.All'improvviso la vettura si fermò.

C'erafolla nella piazza. Misi la testa allo sportello. La plebagliaingombrava l'ampio spazio e il Lungo Senna e donneuomini e ragazzierano in piedi sul parapetto. Al di sopra delle teste si vedeva unaspecie di palco di legno rosso che tre uomini stavano drizzando.

Uncondannato doveva essere giustiziato proprio quel giorno e siimpiantava la Macchina.

Iogirai la testa prima ancora di aver visto. A fianco della carrozzac'era una donna che diceva a un bambino:

-Guarda! la lama non scivola bene: stanno spalmando la scanalatura conla cera di una candela.

E'là probabilmenteche loro sono ora. Le undici sono appenasuonate:

certamentespalmano la scanalatura.

Ah!questa voltadisgraziatonon potrò girare la testa.




29.


Ohla grazia! la grazia! può darsi che me la faccianola grazia.

Ilrenon è mica in colleracon me. Che si cerchi il mioavvocato!

Prestol'avvocato! Ma sìpreferisco i lavori forzati. Cinque anni digalera; diciamolo pure: vent'annio per semprecon il ferro rossoanche. Ma la grazia della vita.

Unforzatoinfinecammina ancorava e vienevede il sole.




30.


Ilprete è tornato.

Hai capelli bianchil'aria molto dolce e una figura che incuterispetto: effettivamente è un uomo eccellente e amorevole.Questa mattina l'ho visto vuotare il suo portafoglio nelle mani deiprigionieri. Ma come maidunquela sua voce non mi commuove? Comemai egli non mi ha ancora detto niente che mi abbia preso perl'intelligenza e per il cuore? Questa mattina ero fuori di me; hoappena sentito quello che mi ha detto. Tuttavia le sue parole mi sonosembrate inutilie sono rimasto indifferente: esse sono scivolatevia come questa fredda pioggia su questo gelido vetro.

Tuttaviaquando poco fa è ritornato la sua vista mi ha fatto bene. Tratutti questi uomini èper mel'unico che sia ancora uomo. Emi ha preso una sete ardente di buone e consolanti parole.

Cisiamo sedutilui sulla sediaio sul letto. Mi ha detto:

-Figlio mio... - mi si è aperto il cuore.

Poiha continuato:

-Figlio miocredete in Dio?

-Sìpadre mio - gli ho risposto.

-Credete nella Santa Chiesa Cattolica Apostolica e Romana?

-Ben volentieri - gli ho detto.

-Figlio mio - ha ripreso - voi avete l'aria di dubitare.

Allorasi è messo a parlare. Ha parlato a lungo; ha detto molteparole; poiquando ha creduto di aver finitosi è alzato emi 'ha guardato per la prima volta dopo l'inizio del suo discorsochiedendomi: - E allora?

Viassicuro che lo avevo ascoltato con aviditàall'iniziopoicon attenzionepoi con ossequio.

Misono alzato anch'io.

-Reverendo - gli ho detto - mi lasci solola prego.

Luim'ha chiesto:

-Quando dovrò ritornare?

-Glielo farò sapere.

Alloraè uscitosenza collerama scuotendo la testa: forsemormorando una preghiera. Forse pensava che io ero un empio.

Noper quanto in basso che io sia caduto non sono un empioe Dio mi ètestimonio che io credo in lui. Ma cosa mi ha detto questo vecchio?

Nientedi sentitoniente di commossoniente di soffertoniente chevenisse dal suo cuore al mioniente che fosse suo per me. E poiaveva l'aria di recitare una lezione già recitata venti voltedi ripassare un tema un po' dimenticato a furia di essere saputo.

Ecome avrebbe potuto essere altrimenti? Questo prete è ilcappellano titolare della prigioneil suo compito è diconsolare ed esortaree di questo egli vive. I forzatii condannatisono l'oggetto della sua eloquenza: li confessa e li assiste perchéquesto è il suo lavoro. E' invecchiato portando a morire gliuomini. Da molto tempo è abituato a quello che fa rabbrividiregli altri; i suoi capelli ormai bianchi non si rizzano più; ilbagno e il palco sono cosa di tutti i giorni per lui. E'disincantato. Probabilmente ha il suo libriccino: questa pagina gliergastolaniquest'altra pagina i condannati a morte. La vigilia losi avverte che ci sarà qualcuno da consolare l'indomani allatale ora: egli chiede di che cosa si tratta: galeotto o condannato amorte? Rilegge la pagina adatta e poi viene. In questo modo succedeche quelli che vanno a Tolone e quelli che vanno a la Grèvesono un luogo comune per luie che lui è un luogo comune perloro.

Oh!che mi si vada dunque a cercareal posto di quelloqualche giovanecoadiutorequalche vecchio curatoa casonella prima parrocchiache capita; che lo si prenda dal suo cantuccio vicino al fuoco mentrelegge il breviario e non si aspetta nientee gli si dica: - C'èun uomo che sta per essere uccisoe bisogna che siate voi aconsolarlo. Bisogna che voi siate là quando gli legheranno lemani e gli taglieranno i capelliche voi saliate sulla sua carrettacon il vostro crocifisso per nascondergli il boiache siatesballottato con lui dal selciato fino a la Grève; cheattraversiate con lui l'orribile folla assetata di sangueche loabbracciate ai piedi del palcoe restiate là fino a che latesta sia da una parte e il corpo dall'altra.

Allorache me lo portinotutto palpitantetutto rabbrividente dalla testaai piedi; che io mi getti tra le sue bracciaalle sue ginocchia; elui piangeràe noi piangeremoe lui sarà commosso edio sarò consolatoil mio cuore si scioglierà nel suoe lui prenderà la mia anima ed io il suo Dio.

Maquesto buon vecchiocos'è per me? Cosa sono per lui? Unindividuo della specie sfortunataun'ombra come lui ne ha ormaiviste tanteun'unità da aggiungere alla cifra delleesecuzioni.

Forsepuò anche essere che abbia avuto torto a respingerlo così!è lui che è buono e io che sono malvagio. Ahimè!non è colpa mia. E' il mio alito di condannato che guasta eammorba ogni cosa.

Mihanno appena portato la colazione: hanno creduto che ne dovessi averebisogno; una cosa delicata e fine: un pollo novellomi sembraealtro ancora. Ebbene! Ho cercato di mangiare; ma alla prima boccatami è caduta ogni cosa di bocca tanto mi è parsa fetidae amara.




31.


Pocofa è entrato un signore con un cappello in testa che mi haappena guardatopoi ha aperto un metro e si è messo amisurare dal basso in alto le pietre del muro parlando a voce altaora per dire:

-E' così - e ora: Non è così.

Hochiesto al gendarme chi fosse. Sembra che sia una specie di geometraaddetto alla prigione.

Allafine si è svegliata la sua curiosità sul mio conto; hascambiato qualche parola con il carceriere che lo accompagnavapoiha fissato per un momento gli occhi su di meha scosso la testa conaria indifferente e si è rimesso a parlare a voce alta e aprendere misure.

Finitoil suo lavoro mi si è avvicinato dicendomi con la sua vocesquillante:

-Caro amico miotra sei mesi questa prigione sarà molto piùbella.

-E il suo tono sembrava aggiungere:- Peccato che voi non ne godrete. -E quasi sorrideva.

Ilmio gendarmevecchio soldato incallitosi è incaricato dellarisposta.

-Signore - gli ha detto - non si grida in questo modo nella camera diun morto.

L'architettose n'è andato. E io ero là come una delle tante pietreche misurava.




32.


Epoi mi è capitata una faccenda ridicola.

Sonovenuti a prendere il mio buon vecchio gendarme al qualeingratoegoista che sononon ho nemmeno stretto la mano. Un altro gli hadato il cambio: un uomo con la fronte bassa e due occhi da bue.

Iodel restonon avevo fatto nessuna attenzione alla cosa: sedutodavanti al tavologiravo la schiena alla porta e cercavo dirinfrescarmi un po' la fronte con la mano mentre i pensieri miagitavano la mente.

Uncolpo leggerobattutomi sulla spallami ha fatto girare la testa.

Erail nuovo gendarmecon cui ero solo.

Edecco come ha cominciato a parlarmi:

-Criminaleavete del buon cuore?

-No! - gli ho detto.

Labruschezza della mia risposta sembrò sconcertarlo. Tuttavia haripreso esitando:

-Non si è cattivi per il piacere di esserlo.

-Perché no? - gli ho replicato. - Se non avete che questo dadirmi lasciatemi in pace.

-Scusatesignor criminale - ha risposto - due parole soltanto.

Ecco.Se voi poteste fare la fortuna di un pover'uomo e non vi costassenientenon la fareste?

Hoalzato le spalle.

-Siete diventato matto? Scegliete un bel vaso per bervi la felicità!

Iofare la fortuna di qualcuno!

Egliha abbassato la voce e ha preso un'aria misteriosa che non siaddiceva affatto alla sua figura idiota.

-Sìcriminaleproprio felicitàproprio fortuna. Tuttoquesto mi potrà venire da voi. Ecco qua come. Io sono unpovero gendarmeil servizio è pesantela paga leggera; ilcavallo è a mio caricoed è la mia rovina. Oraio percontrobilanciare gioco al lotto: bisogna ben industriarsi in qualchemodo. Fino ad oraper guadagnarenon mi sono mancati che i numeribuoni; ne cerco dappertutto di sicurima casco sempre solo vicino.Punto sul 76 ed esce il 77. Ho un bel curarlinon escono mai...

Ancoraun po' di pazienzavi pregoe ho finito. Oraecco una bellaoccasione per me. Sembrascusatecriminaleche voi moriate oggi.E' certo che i morti che si fanno perire come voi vedono i numeriprima.

Promettetemidunquedi venire domani seraa voi cosa costa? a darmi tre numeritre numeri buoni. Eh? Io non ho paura degli spiritistatetranquillo. Ecco il mio indirizzo: Caserma Popincourtscala Ainfondo al corridoio. Mi riconoscerete beneno? Venite pure anchestasera se per voi è più comodo.

Nonmi sarei degnato di risponderea quell'imbecillese una follesperanza non mi avesse attraversata la mente. Nella posizionedisperata in cui sono si credein certi momentidi poter rompereuna catena con un capello.

-Ascolta - gli ho dettofacendo la commedia come può farla unoche sta per morire - effettivamente io posso renderti piùricco del refarti guadagnare milioni e milioni; a una condizioneperò. Egli apriva gli occhi imbambolati.

-Quale? quale? Tutto quel che voletemio criminale.

-Al posto di tre numeri te ne prometto quattro. Cambia i tuoi vestiticon i miei.

-Se non è che questo! - ha esclamato slacciandosi i primibottoni dell'uniforme.

Iomi ero alzato dalla sedia e osservavo tutti i suoi movimenti con ilcuore in tumulto. Vedevo già aprirsi le porte davanti alladivisa di gendarmee la piazzae la stradae il Palazzo diGiustizia dietro di me!

Maegli si è girato con aria indecisa.

-Ah! ma non sarà mica per uscire di qui?

Hocapito che era tutto perduto. Tuttavia ho fatto un ultimo tentativoinutile e insensato - Sìè così - gli ho detto- ma la tua fortuna è fatta...

Miha interrotto:

-Ah no! Ma già! e i miei numeri!? Perché siano buonibisogna che voi siate morto.

Misono seduto di nuovomuto e più disperatoper tutta lasperanza che avevo avuto.




33.


Hochiuso gli occhi e ho cercato di dimenticare il presente nel passato.Mentre pensoi ricordi della mia infanzia e della mia giovinezza miritornano a uno a unodolcicalmiridenticome delle isole difiori su questo gorgo di pensieri neri e confusi che mi tempestano intesta.

Mirivedo bambinoscolaro fresco e pieno di risamentre giococorro erido con i miei fratelli nel grande viale alberato di quel giardinoselvaggio dove sono passati i miei primi annivecchio chiostromonacale che domina la fosca cima della Val-de-Grâce. E poiquattro anni più tardieccomi ancora làsempreragazzoma già sognatore appassionato.

Nelgiardino solitaria c'è una giovinetta: la piccola spagnoladai grandi occhi e i folti capellidalla pelle bruna e doratalelabbra rosse e le guance rossel'andalusa quattordicennePepa.

Lenostre mamme ci hanno detto di andare a correre insieme: noi siamovenuti a passeggiare. Ci è stato detto di giocaree noidiscorriamoragazzi della medesima etàma non uguali. Ancoraun anno fatuttavia correvamo e litigavamo insieme. Io contendevo aPepita la più bella mela del frutteto o la picchiavo per unnido di uccellilei piangeva; io dicevo: Ti sta bene! e tutt'e dueandavamo a piangere insieme dalle nostre mamme che a voce alta cidavano torto e di nascosto ragione.

Oralei si appoggia al mio braccioe io sono tutto fiero e silenzioso;camminiamo lentamenteparlando sottovoce. Lei lascia cadere ilfazzoletto; io glielo raccolgo. Le nostre manitoccandositremano.

Leimi parla dei piccoli uccellidella stella che si vede là inbassodel tramonto vermiglio dietro alle piante o delle sue amiched'albergodel suo vestito e dei suoi nastri. Diciamo cose innocenti;e tutti e due arrossiamo. La bimbetta si è fatta signorina.Quella sera - era una sera d'estate - eravamo sotto i castagniinfondo al giardino. Dopo uno di quei lunghi silenzi che riempivano lenostre passeggiatelei lasciò di colpo il mio braccio e midisse: Corriamo!

Lavedo ancoratutta in nero per il lutto di sua nonna. Le era passataper la testa una idea di bimbaPepa era tornata Pepitae mi avevadetto: Corriamo! Si mise a corrermi avanticon la sua figurasottile; io la inseguiilei fuggiva; e l'aria della corsa lesollevava a tratti la pellegrina nera sulle spalle.

Laraggiunsi vicino alla fontana in rovina.

-Sedetevi qui- mi disse. - E' ancora giorno chiaroleggiamo qualcosa.Avete un libro?

Avevocon me il secondo volume dei viaggi di Spallanzani. Aprii a caso e miavvicinai a lei: lei appoggiò la sua spalla alla mia e cimettemmo a leggere sottovoceognuno dalla propria partela stessapagina. Prima di girare il fogliolei era sempre obbligata adaspettare. La mia mente andava più adagio della sua.

-Avete finito? - mi diceva; e avevo appena iniziato. Restammo cosìl'una accanto all'altroseduti a leggerea guardarci negli occhi!

-Oh ! mammamamma - disse lei rientrando - sapessi quanto abbiamocorso!

Iorimasi in silenzio.

-Non dici niente - mi disse la mamma hai l'aria di essere triste.

Eavevo il paradiso nel cuore.

E'una seraquellache ricorderò per tutta la vita.

Tuttala vita!




34.


Sonoappena suonate le ore; non so qualipoiché non sento bene ilmartello dell'orologio. Mi pareinfattidi avere nelle orecchiecome il rumore di un organo: sono i miei ultimi pensieri chemormorano.

Inquesto momento supremo in cui mi raccolgo nei miei ricordi ritrovo inessi con orrore il mio delitto; e vorrei pentirmi ancora di più.

Avevopiù rimorsiinfattiprima della condanna; poinon mi sembraci sia più stato posto che per i pensieri di morte. Purtuttavia io vorrei ben maggiormente pentirmi.

Quand'hopensato un minuto a quello che è successo nella mia vita eritorno al colpo d'ascia che deve terminarla tra breveiorabbrividisco tutto come per una nuovissima cosa. La mia bellainfanzia! la mia bella giovinezza! Stoffa dorata dall'estremitàinsanguinata! Tra il passato e il presente c'è un fiume disangueil sangue mio e dell'altro. Se un giorno si leggerà lamia storiadopo tanti anni innocenti e felicinon si vorràcredere a quest'anno esecrabileche si apre con un delitto e sichiude con un supplizio:

saràtroppo mostruosamente strano. Eppurenon ero un perverso! Ohmoriretra poche ore e pensare che un anno fanello stesso giornoerolibero e innocenteche facevo le mie passeggiate d'autunnochevagavo sotto gli alberi con i piedi affondati tra le foglie!




35.


Inquesto stesso momento ci sonovicinissimi a mein queste case chefanno cerchio intorno al Palazzo e alla Grève e in tuttaParigidegli uomini che vanno e vengonodiscorrono e ridonoleggono il giornalepensano ai loro affari; dei mercanti chevendono; delle ragazze che preparano i loro vestiti da ballo perquesta sera; delle madri che giocano con i loro bambini!




36.


Miricordo che un giornoquando ero bambinoandai a vedere ilcampanone di Nôtre-Dame. Ero già stordito per aversalito l'oscura scala a chiocciolaper aver percorso la deboleloggia che unisce le due torriper aver avuto Parigi sotto i piediquando entrai nel castello di pietra e di legno dove pende ilcampanone con il suo battaglioche peserà un migliaio dilibbre.

Avanzavotremando sulle tavole sconnesseguardando da lontano questa campanacosì famosa tra i ragazzi e il popolo di Parigi e notandononsenza paurache i tetti coperti di ardesia che circondavano ilcampanile con i loro piani inclinati erano al livello dei miei piedi.

Ognitanto tra gli interstizi vedevocome a volo d'uccellola piazza diParvis-Nôtre-Dame ed i passanti come formiche.

All'improvvisol'enorme campana suonòuna vibrazione profonda scosse l'ariae fece oscillare la grossa torreil tavolo sobbalzò sulletravi.

Perpoco il rumore non mi fece cadere; vacillaicome stessi perdendol'equilibrio e fossi sul punto di scivolare sui ripidi tettuccid'ardesia eper il terroremi gettai sulle assi stringendolestrette con le braccia: senza voce e senza fiatocon quel terribilescampanìo nelle orecchie e quel precipizio sotto gli occhiquella piazza lontana dove si incrociavano tanti passanti tranquillie invidiati.

Ebbene!mi sembra di essere ancora sulla torre del campanone. E' una speciedi stordimento e di vertigine: c'è come un rombo di campanache scuote la cavità della mia testae intorno a me non vedopiù quella vita piana e tranquilla che ho abbandonata e dovegli altri uomini camminano ancorase non da lontano e attraverso icrepacci di un abisso.




37.


Ilpalazzo municipale è un edificio sinistro.

Conil suo tetto acuto e ripidola sua guglia bizzarra e il grandeorologio biancole sue mille finestrele sue scale consumate daipassie i due archi a destra e sinistraè làinsiemea La Grève:

foscolugubrela facciata tutta corrosa dalla vecchiezza; è cosìneroche è nero anche il sole.

Igiorni dell'esecuzione esso vomita gendarmi da tutte le porte e fissail condannato da tutte le sue finestre.

Ela seral'orologioche ha segnato l'orarimane luminoso sullatenebrosa facciata.




38.


E'l'una e un quarto.

Eccocosa provo in questo momento: un violento mal di testa. La schienafreddala fronte in fiamme. Ogni volta che mi alzo o mi piego misembra che ci sia un liquido che ondeggia nella mia testa e che mi fabattere il cervello contro le pareti del cranio.

Hodei trasalimenti improvvisi eogni tantola penna mi cade dallemani come per una scossa elettrica.

Gliocchi mi bruciano come se fossi nel fumo.

Eho male alle giunture.

Ancoradue ore e quarantacinque minuti e sarò guarito.




39.


Loromi dicono che non è nienteche non si soffreche èuna fine dolceche la morte in questo modo è completamentesemplificata.

Eh!Cos'è dunque quest'agonia di sei settimane e questo rantolo ditutto un giorno? Cosa sono le angosce di questa giornatairreparabileche scorre così lentamente e così veloce?Che cos'è allora questa scala di torture che termina sulpalco?

Forseche non sono uguali le convulsionisia che il sangue si esauriscagoccia a gocciasia che l'intelligenza si spenga pensiero apensiero?

Epoi: non si soffre; ne sono ben sicuri? Chi l'ha detto loro? Siracconta che mai una testa tagliata si sia sollevata sanguinante albordo del cesto e abbia gridato al popolo: Non fa per niente male?

Cisono dei morti alla loro maniera che sono venuti a ringraziarli e adir loro: - E' un bella invenzione; tenetevela cara; il meccanismo èottimo?...

ForseRobespierre? Forse Luigi Sedicesimo?... Noniente! meno di unminutomeno di un secondoe la cosa è fatta. Non si sono maimessi soltanto con il pensieroal posto di quello che è lànel momento in cui il pesante coltello che cade morde la carnerompei nervistritola le vertebre?... Macché! un mezzo secondo! Ildolore è sparito... orrore!




40.


E'strano come io pensi continuamente al re. Ho un bel fareun belscuotere la testanell'orecchio ho una cosa che sempre mi dice:

-In questa stessa cittàa questa stessa orae non lontano daquiin un altro palazzoc'è un uomo unico come teconquesta sola differenza che lui è tanto in alto quanto tu inbasso. La sua vita interaminuto per minutonon è chegloriagrandezzadelizie ed ebbrezza. Tuttointorno a luièamorerispettovenerazione. Le voci più alte parlandoglidiventano sommessee le fronti più fiere si inchinano. Eglinon ha che seta ed oro sotto gli occhi. A quest'oratiene qualcheconsiglio dei ministri dove tutti sono del suo parere; oppure pensaalla caccia di domanial ballo di questa serasicuro che la festaarriverà all'ora fissatae lasciando agli altri la cura deisuoi piaceri. Ebbene! quest'uomo è di carne e ossa come te! Eperché immediatamente crollasse l'orribile palcoperchétutto ti fosse resovitalibertàfortunafamigliabasterebbe che scrivesse con questa penna le sette parole del suonome in fondo a un pezzo di cartao che semplicementela suacarrozza incontrasse la tua carretta! E luii è buonoe nonchiederebbe forse niente di meglioe non sa niente!




41.


Ebbenedunque! Abbiamo coraggio con la morteprendiamo quest'orribile ideaa due mani e guardiamola in faccia. Chiediamole cosa siacerchiamodi sapere cosa vuole da noigiriamola da tutte le partiscrutiamol'enigma: guardiamoorsùnella tomba.

Misembra chequando i miei occhi saranno chiusivedrò unagrande luce e degli abissi di luce in cui il mio spirito rotoleràsenza fine.

Misembra che il cielo sarà luminoso per se stessoche le stellediventeranno delle macchie oscure e cheal posto di essere come pergli occhi dei vividelle pagliuzze d'oro su un velluto nerosembrano dei punti neri su un velluto d'oro.

Oppureme disgraziatonon ci sarà che uno spaventevole gorgoprofondole cui pareti saranno tappezzate di tenebre e dove io cadròcontinuamentecircondato da larve sbucanti dall'ombra.

Oppuresvegliandomi dopo il colpo mi troverò forse su qualchesuperficie umida e lisciamentre striscio nell'oscuritàgirandomi su me stesso come una testa che rotola. E ci sarà ungran vento che spingeràe altre teste che rotolerannomisbatteranno qua e là. E ci saranno mari e ruscelli di unliquido tiepido e sconosciuto; e sarà tutto nero.

Quandoi miei occhinella loro rotazionesaranno rivolti verso l'altononvedranno che un cielo oscuro che grava su di loro e lontano lontanoin fondodei grandi archi di fumo più neri delle tenebre. Enella notte volteggeranno delle piccole fiammelle rosse cheavvicinandosidiventeranno uccelli di fuoco. E sarà cosìper tutta l'eternità.

Epuò anche darsi che in certe nere notti di inverno i mortidella Grève si riuniscano sulla piazza che è loro. Saràuna folla pallida e insanguinatae io non vi mancherò. Non cisarà luna e si parlerà a voce bassa. Il palazzomunicipale sarà làcon la sua faccia butteratail suotetto frastagliato e il suo orologio che è stato per noi senzapietà. Sulla piazza ci sarà una ghigliottinadell'inferno dove un demonio ucciderà un boia: alle quattrodel mattino. Ea nostra voltafaremo folla intorno.

E'probabile che sarà così. Ma se quei morti ritornanosotto che forma ritornano? Cosa conservano del loro corpo incompletoo mutilato?

Checosa scelgonoessi? E' il tronco o la testa che è spettro?

Ohimè!Cosa fa mai la morte alla nostra anima? Che natura le lascia?

Checosa le toglie e le dona? Dove la manda? Qualche volta le prestadegli occhi di carne per guardare sulla terrae piangere?

Ah!un prete! un prete che sappia tutte queste cose! Voglio un preteeun crocifisso da baciare. Un pretemio Dio!




42.


L'hopregato di lasciarmi dormiree mi sono gettato sul letto.

Inrealtàavevo un fiotto di sangue nella testa che mi ha fattodormire. Il mio ultimo sonno di questa specie.

Hofatto un sogno.

Hosognato che era notte e che ero nel mio studio con due o tre amicinon so più quali.

Miamoglie era a letto nella camera accanto e dormiva con la bambina.

Parlavamosottovocei miei amici e ioe quello che dicevamo ci atterriva.

All'improvvisomi sembrò di sentire un rumore in qualche partedell'appartamento: un rumore debolestranoindeterminato.

Imiei amici avevano sentito come me. Ascoltammo: era come unaserratura che si apriva sordamentecome un chiavistello che sifacesse scorrere a poco a poco.

C'eraqualcosa che ci agghiacciava: avevamo paura. Pensammo potesseroessere dei ladri che si erano introdotti in casa a quell'ora cosìtarda di notte.

Decidemmodi andare a vedere; mi alzai e presi la bugia. Gli amici mi seguivanoa uno a uno.

Attraversammola vicina camera da letto. Mia moglie dormiva con la bambina.

Arrivammonel salone. Niente. I ritratti erano immobili nelle loro cornicid'oro sulla tappezzeria rossa. Mi sembrò che la porta delsalone alla sala da pranzo non fosse a posto come sempre.

Entrammonella sala da pranzo; ne facemmo il giro. Io camminavo per primo: laporta sulla scala era chiusa bene; le finestreanche.

Arrivativicino alla stufavidi che l'armadio era aperto e il battente tiratoverso l'angolo del muro come per nasconderlo.

Questomi sorprese. Pensammo ci fosse qualcuno nascosto dietro la porta efeci per chiudere: resistette. Stupefattotirai più forteedessabruscamentecedette scoprendoci una vecchiettacon le manipenzolonigli occhi chiusiimmobilein piedi incollata nell'angolodel muro.

C'eraqualcosa di orribilein tutto questoe a pensarci mi si rizzaronoancora i capelli.

-Cosa fate qui? - chiesi alla vecchia.

Leinon rispose.

Ledomandai: - Chi siete?

Nonrisposenon si mosse e rimase ad occhi chiusi.

Gliamiciallorami dissero:

-E' certamente la complice di quelli che sono entrati con cattiveintenzioni. Sentendoci venire sono scappati; lei non avràpotuto fuggire e si è nascosta qui.

L'hointerrogata di nuovo: è rimasta senza vocesenza vitasenzasguardo.

Unodi noi le ha dato uno spintone: è caduta.

E'caduta tutta d'un pezzocome un pezzo di legnocome una cosa morta.

L'abbiamomossa con il piedepoi due di noi l'hanno alzata e appoggiata dinuovo al muro; non ha dato nessun segno di vita. Le abbiamo gridatonell'orecchio: è rimasta muta come se fosse sorda.

Cominciavamoa perdere la pazienza; e nel nostro terrore c'era ormai anche lacollera.

Unomi ha detto: - Mettetele la bugia sotto il mento.

Leho accostato la fiamma. Allora ha aperto un occhio a metàunocchio vuotofoscospaventoso e senza sguardo.

Hotolto la fiamma e le ho detto:

-Ah! finalmente! risponderaivecchia strega? Chi sei?

L'occhiosi è chiuso come da solo.

-Ah! ma è troppo - hanno detto gli altri.- Ancora la bugia!

ancora!bisognerà bene che parli.

Horimesso il lume sotto il mento della vecchia.

Alloralei ha aperto lentamente i due occhici ha guardati tutti uno dopol'altropoichinandosi bruscamentecon un gelido soffio ha spentola bugia. Nel medesimo istantenelle tenebreho sentito penetraretre denti acutissimi nella mia mano.

Misono svegliatotremante e bagnato di sudore freddo.

Ilbuon cappellano era seduto ai piedi del lettoe leggeva dellepreghiere.

-Ho dormito molto tempo? - gli ho chiesto.

-Figlio mio - mi ha risposto - avete dormito un'ora. Vi hanno portatovostra figlia. E' nella camera vicina che vi aspetta; non ho volutoche vi svegliassero.

-Ah! - ho gridato - mia figliaportatemi mia figlia!




43.


E'frescaè roseaha dei grandi occhiohcom'è bella!Le hanno poi messo un vestitino che le va così bene!

L'hosollevata tra le mie braccial'ho fatta sedere sulle ginocchial'hobaciata sui capelli. Intantoleimi guardava con aria stupita:

carezzataabbracciatadivorata da bacilasciava farema gettando ogni tantouno sguardo inquieto alla balia che piangeva in un angolo.

-Maria!- le ho detto - mia piccola Maria! - e l'ho strettaviolentemente al petto gonfio di pianto. Lei ha lanciato un piccologrido.

-Ohsignoremi fate male - mi ha detto.

Signore?E' ormai un anno che non mi vedepovera bambinae mi hadimenticatovisovoce e accento; e poichi mai mi riconoscerebbecon questa barbaquesti abiti e questo pallore? E che? sarei giàdunque scomparso da questa memoriala sola in cui avrei volutovivere ancora?! Non sono già dunque più padre?Condannato a non sentire più questa parolaquesta paroladella lingua dei bimbicosì dolce che non può restarein quella degli uomini: papà!

Sentirlauna volta da questa boccauna volta sola ecco tutto quello che avreichiesto in cambio di quarant'anni di vita che mi si prendono.

-AscoltaMaria - le ho detto stringendo le sue piccole mani nelle mie- davvero non mi conosci?

Leimi ha guardato con i suoi begli occhie ha risposto: - Ohnoperdavvero!

-Guarda bene - le ho ripetuto. - Ma come tu non sai chi sia?

-Sì - ha detto. - Un signore.

Ah!non amare ardentemente che un unico essere al mondoamarlo con tuttoil proprio amoree averlo davanti a séche vi vede e viguardavi parla e rispondee non vi riconosce! Non desiderate diesser consolato che da luimentre lui solonon sappia che ne avetebisogno perché andate a morire!

-Maria - ho ripreso - tu hai un papà?

-Sìsignore - ha detto la bimba.

-Ohe dov'è allora?

Leiha alzato i suoi grandi occhi stupiti.

-Ah! voi dunque non lo sapete? E' morto.

Poiha strillato; per pocoinfattinon l'avevo lasciata cadere.

-Morto! - dicevo. - Maria! ma sai che cosa vuol diremorto?

-Sìsignore - ha risposto. - Vuol dire che è nellaterra e nel cielo.

Eha continuato da sola: - Io prego il buon Dio per lui mattino e serasulle ginocchia della mamma.

L'hobaciata sulla fronte.

-Mariadimmi la tua preghiera.

-Non possosignore. Una preghiera non si può dirla durante ilgiorno. Venite a casa mia stasera e ve la dirò.

Eraabbastanza. E l'ho interrotta: - Mariaiosono il tuo papà.

-Ah! - mi ha detto.

Hoaggiunto: - Vuoi che sia io il tuo papà? La bimba s'ègirata.

-Nomio papà era molto più bello.

L'hocoperta di baci e di lacrime. Lei ha cercato di liberarsi dalle miebracciagridando: - Mi fate male con la vostra barba.

Allorame la sono rimessa sulle ginocchia covandola con gli occhi e ho presoa interrogarla.

-Mariasai leggere?

-Sì - ha risposto. - So leggere benissimo. Me lo ha insegnatola mamma.

-Vediamoalloraleggi un po' - le ho detto indicandole un foglio cheteneva accartocciato in una delle sue manine.

Hascosso la testa.

-Eh! Non so leggere che le favole!

-Ma suprova lo stesso. Suleggi.

Leiha spiegato il foglio e si è messa a compitare con il suodito: - "SensentensentenSentenza..."Gliel'ho strappato di mano. Era la mia sentenza di morteche mileggeva.

Nonci sono parole per dire quello che provavo. La mia violenza l'avevaspaventataquasi quasi piangeva. All'improvviso mi ha detto:

-Restituitemi il mio foglio! E' mioe lo voglio per giocare.

L'horiconsegnata alla balia.

-Portatela via.

Esono caduto sulla sediamestocupoe disperato. Ora lorodovrebbero venire; non mi importa più di niente; l'ultimafibra del mio cuore è spezzata.

Sonobuono per quello che stanno per fare.




44.


Tuttosommato il prete è buono e anche il gendarme. Credo chequand'ho loro detto che mi avevano portato mia figlia abbiano versatoqualche lacrima.

E'fatto. Ora bisogna che mi roda in me stessoe che pensi fermamenteal boiaalla carrettaai gendarmialla folla sul pontealla follasul vialealla folla alle finestree a quello che ci saràespressamente per me su quella lugubre piazza di Grève chepotrebbe essere selciata di tutte le teste che ha visto cadere.

Credodi avere ancora un'ora per abituarmi a tutto questo.




45.


Etutta quella gente rideràbatterà le maniapplaudirà.E tra quegli uomini liberi e conosciuti ai poliziotti che corronopieni di gioia a un'esecuzionein quella marea di teste che copriràla piazzaci sarà più di una testa predestinatachepresto o tardiseguirà la mia nel cesto rosso. Piùd'uno che viene per me verrà per sé. Per questi esserifatali c'èsu un certo punto della piazza di Grève unluogo fataleun centro d'attrazioneuna trappola. Essi vi giranointorno finché non vi restano presi.




46.


Lamia piccola Maria! L'hanno riportata a giocare: osserva la folladalla portiera della carrozza e non pensa già più aquesto signore.

Forseavrò ancora il tempo per scrivere qualche pagina per leipoiché un giorno la possa leggere e tra quindici annipiangere per oggi.

Sìbisogna che sappia da me la mia storia e perché il nome che lelascio gronda di sangue.




LAMIA STORIA



47.


Notadell'editore

Ifogli che a questi si dovrebbero riattaccarenon si sono ancorapotuti trovare. Forsecome quelli che seguono sembrano indicareilcondannato non ha avuto il tempo di scriverli. Quando questo pensierogli è venuto era tardi.




Dauna stanza del palazzo municipale



48.


Dalpalazzo municipale!... E così ci sono arrivato! L'esecrabileviaggio è fatto. La piazza è làesotto lafinestrac'è l'orribile folla che abbaiae mi aspettaeride.

Hoavuto un bel rodermiun bel rabbrividireil cuore mi èmancato.

Quandoho visto al di sopra delle teste quei due bracci rossi con il lorotriangolo nero in cimarizzati tra le due lanterne della piazzailcuore mi è mancato; e ho chiesto di poter fare un'ultimadichiarazione. Mi hanno messo qui e sono andati a cercare qualcheprocuratore del re. Io aspetto: è tutto tempo guadagnato.

Eccodunque:

Suonavanole tre quando sono venuti ad avvertirmi che era ora. Ho tremato: comese da sei oreda sei settimaneda sei mesi avessi sempre pensato atutt'altra cosa. Mi ha fatto l'effetto di qualcosa d'improvviso einatteso.

Mihanno fatto attraversare i loro corridoi e discendere le loro scale emi 'hanno spinto al di là di due battenti a pian terreno inuna sala sudicia e angustae a malapena rischiarata da un giorno dipioggia e di nebbia. Nel mezzo c'era una sedia: mi hanno detto disedermi e io mi sono seduto.

Vicinoalla porta e lungo i muri c'era in piedi qualche persona oltre alprete e ai gendarmi; e c'erano anche tre altri uomini.

Ilprimoil più grande e vecchiograsso e con la faccia rossaportava la redingote e un tricorno sformato. Era lui.

Erail boiail servitore della ghigliottina. Gli altri erano i suoiservitoriper lui.

Appenasedutogli altri due mi si sono avvicinatida dietrocome gatti;poiall'improvviso ho sentito un freddo d'acciaio nei miei capelli ele forbici hanno cominciato a stridermi nelle orecchie.

Icapellitagliati come venivacadevano a ciocche sulle mie spalleel'uomo dal tricorno li spazzava via dolcemente con la sua grossamano.

Intornosi parlava a bassa voce.

C'eraun gran rumorefuori: come un fremito che ondeggiasse nell'aria.All'inizio ho creduto che fosse il fiume; madopo alcuni scoppi dirisa ho capito che era la folla.

Ungiovanotto che scriveva a matita su un notes vicino alla finestra hadomandato a uno dei carcerieri come si chiamava quello che si stavafacendo.

-La toilette del condannato - ha risposto quello.

Hocapito che domanisul giornaleci sarà anche quello.

Improvvisamenteuno dei servitori mi ha tolto il maglione e l'altro mi ha afferratole mani penzolonime le ha rigirate dietro la schiena ed ho sentitoi nodi di una corda girare lentamente intorno ai miei pugni vicini.Contemporaneamentel'altro mi scioglieva la cravatta.

Lacamicia di batistasolo lembo che mi restava di quello che ero statoaltre voltel'ha fatto esitare un momento; poi si è messo atagliarne via il collo.

Aquesta orribile precauzionealla sensazione dell'acciaio che misfiorava il collo mi sono tremate le bracciami sono lasciatoscappare un lamento soffocato. La mano dell'esecutore ètrasalita.

-Signore - mi ha detto - scusate! Vi ho forse fatto male?

Questiboia sono degli uomini molto gentili.

Lafolladi fuoriurlava più forte.

L'omaccionedalla faccia bitorzoluta mi ha offerto da respirare un fazzolettoimbevuto di aceto.

-Grazie - gli ho detto con la voce più alta che potevo - èinutilesto benissimo.

Allorauno di loro si è abbassato e mi ha legato i piedi con unacorda fine e lenta che mi permetteva di muovere dei piccoli passi eche ha poi attaccata a quella delle mani.

Poil'omaccione mi ha gettato sulla schiena la veste e me ne sonoannodate le maniche sotto il mento. Quello che c'era da fare erastato fatto Allora il prete si è avvicinato con il suocrocifisso.

-Andiamofiglio mio - mi ha detto.

Iboia mi hanno preso sotto le ascellemi sono alzatoho camminato.

Imiei passi erano molli e ondeggianti come se avessi avuto dueginocchia per gamba.

Inquel momento la porta esterna si è apertaspalancata: unclamore furioso e l'aria fredda e la luce bianca hanno fattoirruzione fino a me nell'ombra.

Dalfondo della cellabruscamenteho visto contemporaneamenteattraverso la pioggiale mille teste urlanti della gente ammucchiatae che si urtava sulla scalinata del Palazzo; a destraa pianterrenouna schiera di gendarmi a cavallo dei cui la porta bassa non milasciava vedere che gli zoccoli e il petto; di fronteun drappellodi soldati in tenuta da campagna; a sinistra la parte posteriore diuna carretta alla quale era appoggiata una scala. Orribile quadro benincorniciato nella porta di una prigione.

Eraper quel momento temuto che io avevo conservato il mio coraggio:

hofatto tre passi e sono comparso sulla soglia.

-Eccolo! Eccolo! - ha gridato la folla. - Esce! Finalmente! E quelliche mi erano vicino battevano le mani. Per quanto si ami un re gli sifarebbe meno festa.

Erauna carretta delle solitecon un cavallo tisicoe un carrettierecon una veste bleu a disegni rossi come quella degli ortolani deidintorni di Bicêtre.

L'omaccionecon il cappello a tricorno è salito per primo.

-Buongiornosignor Sansone! - gridavano alcuni ragazzi arrampicati adelle inferriate.

Unservitore l'ha seguito.

-Bravo Mardì! - hanno gridato di nuovo i ragazzi.

Entrambisi sono seduti sul sedile davanti.

Oratoccava a me: sono salito con un portamento abbastanza sicuro.

-Va beneperò! - ha gridato una donna vicino ai gendarmi!

Quell'atroceelogio mi ha dato coraggio. Intanto il prete è venuto amettermisi vicino. Mi avevano fatto prendere posto sul sedile didietrocon la schiena rivolta al cavalloe questa estremaattenzione mi ha fatto fremere.

Cimettono dell'umanitàlà dentro!

Hovoluto guardarmi in giro: gendarmi davanti e gendarmi dietro; e poifollafollafolla: un mare di teste infinito su tutta la piazza.

Unpicchetto di gendarmeria a cavallo mi aspettava al cancello delPalazzo Municipale. L'ufficiale ha dato un ordine: la carretta e ilsuo seguito si sono mossi come spinti in avanti dall'urlìodella folla. Abbiamo passato il cancello. Nel momento in cui lacarretta si è diretta verso il Ponte del Cambiola piazza èscoppiata in un grido dai tetti alla strada e i ponti e i viali hannorisposto facendo tremare la terra. E' là che il picchetto cheaspettava si è riunito alla scorta.

-Giù i cappelli! giù i cappelli! - gridavano mille vociinsieme.

Comeper il re.

Alloraho riso orribilmente anch'io e ho detto: - Loro i cappelliio latesta.

Siandava al passo.

Eragiorno di mercato; il viale dei fiori profumava tutto e i mercantilasciavano i loro cestini per venirmi a vedere.

Difronteun po' oltre la torre quadrata che forma l'angolo del Palazzodi giustiziaci sono delle osteriee tutte le loro finestre eranopiene di spettatori felici dei loro bei postisoprattutto di donne:per gli osti doveva essere un'ottima giornata.

Siaffittavano tavolesediepalchicarrettiogni cosa; e deimercanti di sangue umano gridavano a squarciagola: - Chi vuole deiposti?

Allorami ha preso una terribile collera contro quella folla e mi èvenuto voglia di gridare: Chi vuole il mio?

Intantola carretta avanzava: a ogni passo che facevala folla le sirovesciava dietro e la vedevocon gli occhi sbarratiandare afermarsi di nuovo più lontano su un altro punto del miopassaggio.

Entrandosul Ponte del Cambio ho gettato per caso gli occhi alla mia destra:lo sguardo mi si è fermato sull'altro vialeal di sopra dellecasesu una torre neraisolatapiena di sculturein cima allaquale scorgevo due mostri di pietra seduti di profilo. Non so perchého chiesto al prete che torre fosse.

-Saint-Jacques-la-Boucherie - ha risposto il boia.

Nonso come accadesse: nella nebbiae malgrado la pioggia fine einsistente che rigava l'aria come una rete di fili di ragnonientedi quello che mi passava vicino mi è potuto sfuggire; e ogniparticolare mi portava la sua tortura.

Versola metà di questo Ponte del Cambiocosì largo e cosìingombro che ci camminavano a malapenal'orrore mi ha presoviolentemente; e ho avuto terrore di venir meno. Estrema vanità.

Allorami sono chiuso in me stesso per essere cieco e per essere sordo aogni cosatranne che al prete del quale sentivo appena le paroleinterrotte dai rumori.

Hopreso il crocifisso e l'ho baciato.

-Abbiate pietà di me- ho detto - o mio Dio! - E ho cercatod'inabissarmi in questo pensiero.

Maogni scossa della dura carretta mi riscuoteva.

Poiall'improvviso ho sentito un gran freddo: la pioggia avevaattraversato i miei vestitie mi bagnava la pelle della testaattraverso i corti capelli tagliati.

-Tremate di freddofiglio mio? - mi ha chiesto il prete.

-Sì - ho risposto.

Ahimè!non solo di freddo.

Infondo al pontedelle donnemi hanno compianto di essere cosìgiovane.

Avevamopreso il viale fatale. Cominciavo a non vedere e a non capire piùniente: tutte quelle vocitutte quelle teste alle finestrealleportealle inferriate delle bottegheai bracci delle lanterne;quegli spettatori avidi e crudeli; quella folla in cui tutti miconoscevano e dove io non conoscevo nessuno; quella strada lastricatae murata di visi umani... Era vuotostupidoinsensato: il peso ditanti sguardi puntati su di voi è qualcosa di terribile ed'insopportabile.

Vacillavosul sedile inebetito.

Neltumulto che mi fasciava non distinguevo più le grida di pietàdalle grida di gioiale risa dai piantile voci dai rumori: era ununico immenso rombo che mi risuonava in testa.

Imiei occhi leggevano meccanicamente le insegne delle botteghe.

Aun certo punto mi prese la strana curiosità di girare la testae di guardare verso cosa avanzassi: era un'ultima bravatadell'intelligenzama il corpo non vollee la nuca mi restòparalizzata e come già morta.

Intravidisoloa sinistraal di là del fiumela torre di Nôtre-Damechevista di lànasconde l'altra. Era quella dove c'èla bandiera. C'era molta gentee che doveva veder bene.

Ela carretta andavaandavae le botteghe passavanoe le insegne sisuccedevanoscrittedipintedoratee il popolaccio rideva epestava i piedi nel fango e io mi lasciavo andarecome ai loro sogniquelli che dormono.

All'improvvisola serie di botteghe che occupava i miei occhi si è troncataall'angolo di una piazza: la voce della folla è diventata piùvastapiù acutapiù gioiosa ancorala carretta si èfermata bruscamente e per poco non mi ha fatto cadere con la facciasul pianale. Il prete mi ha sostenuto. - Coraggio!- ha mormorato.

Allorahanno portato una scala dietro la carretta; lui mi ha dato il braccioe sono sceso; poi ho fatto un passopoi mi sono girato per farne unaltro e non ho potuto: fra i due lampioni del viale avevo vistoun'orribile cosa.

Oh!era la realtà!

Misono fermato come se vacillassi già sotto il colpo.

-Ho da fare un'ultima dichiarazione - ho gridato debolmente.

Mihanno fatto salire qui.

Hochiesto che mi lasciassero scrivere le ultime volontà; mihanno slegato le manima la corda è quisempre prontae ilresto è di sotto.




49.


E'arrivato una specie di giudice o commissario o magistrato che sia.Gli ho chiesto la grazia a mani giunte e trascinandomi sulleginocchia; e lui mi ha rispostocon un sorriso fatalese era tuttolà quello che avevo da dirgli.

-La grazia! la grazia! - ho ripetuto - oper pietàancoracinque minuti!

Chissà?Potrebbe anche arrivare! E' così orribile alla mia etàmorire in questo modo! Di grazie che arrivano all'ultimo momento sene sono viste spesso. E a chi si farà la graziasignoresenon a me?

Quell'esecrabileboia! Si è avvicinato al giudice per dirgli che l'esecuzioneandava fatta a una certa orache questa ora si avvicinavache luiera il responsabilee chedel restopiovevae quella faccendarischiava di arrugginirsi.

-Per pietà! un momento per attendere la mia grazia! o io midifendo!

iomordo!

Ilgiudice e il boia sono usciti. Sono solo. Solo con due gendarmi. Ohquel maledetto popolaccio con le sue grida di iena! Chissà senon gli scapperò? Se non sarò salvato? e la grazia!...impossibile che non mi si faccia la grazia!...

Ah!i miserabili! Mi sembra che salgano le scale...

LEQUATTRO